ANNO XXVIII -N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO 1976 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ROMA 

ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 

1976 



ABBONAMENTI 

ANNO L. 12.750 
UN NUMERO SEPARATO .�..���..��..... � 2.250 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a; 

LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA 
e/e postale 1/2640 

Stampato in Italia � Printed in ltaly 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1960 


(6219004) Roma, 1976 -Istituto Poligrafico dello Stato P.V. 



Da questo numero l'avv. Paolo Vittoria curer� 
direttamente la parte della settima sezione concernente 
la materia delle acque pubbliche. 

LA REDAZIONE 


CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA 
DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE 


Avvocati 

Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; 
Giovanni CONTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; Filippo CAPECE 
MINUTOLO DEL SASSO, Catanzaro; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco 
GuICCIARDI, Genova; Adriano RossI, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, 
Lecce; Giuseppe MINNITI, Messina; Marcello DELLA VALLE, Milano; Aldo 
ALABiso, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Pier Giorgio LIGNANI, Perugia; 
Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino; Maurizio DE 
FRANCHIS, Trento; Paolo ScoTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 

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INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione primo: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 
dell'avv. Giuseppe Angelini-Rota) 
(a cura 
pag. 
Sezione secondo: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
{a cura del/'avv. Arturo Marzano} � 33 
Sezione terzo: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI 
SDIZIONE (a cura del/'avv. Benedetto 
e del/'avv. Carlo Carbone) 
GIURIBaccari 
� 49 
Sezione quarto: GIURISPRUDENZA CIVILE 
cato Adriano Rossi} � 
(a cura dell'avvo
� 67 
Sezione quinto: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 
del/'avv. Ugo Gargiulo) 
(a cura 
� 79 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 
vocato Carlo Bafile} 
(a cura de/l'av
� 90 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED 
APPALTI PUBBLICI (a cura dell'avv. Arturo 
Marzano, per gli appalti e del/'avv. Paolo Vittoria, 
per le acque pubbliche) � 124 
Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo 
Di Tarsia di Be/monte) � I 62 

Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 


LEGISLAZIONE pag. 
CONSULTAZIONI � 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 



ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


BAFILE C., Considerazioni sulla obbligazione tributaria e la sua trasmissione 
per causa di morte . . . . . . . . . . I, 90 
BAFILE C., Sull'impugnazione delle decisioni parziali delle Commissioni 
tributarie .................... I, 105 
MARZANO A., Interventi dello Stato sul mercato nazionale e responsabilit� 
nei confronti dei singoli per attivit� in contrasto con la 
normativa comunitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 36 
TAMIOZZO R., Cespite indennizzabile nel risarcimento del danno di 
guerra . . . . . I, 84 



PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRICIT� 


-Acque sotterranee -Pubblicit� -Condizioni 
-Esistenza in comprensorio 
soggetto a tutela -Irrilevanza, 158. 

-competenza e giurisdizione -Tribunali 
delle acque -Pubblicit� dell'acqua 
-Accertamento negativo -Deniclaratoria 
di competenza per le altre 
questioni, 158. 

APPALTO 

-Appalto di opere pubbliche -Maggiori 
richieste dell'appaltatore -Interessi 
-Decorrenza, 124. 

-Appalto di opere pubbliche -Partite 
di lavoro non contabilizzate e riconosciute 
in sede giudiziale -Indennizzo 
per rincaro dei costi -Ammissibilit�, 

124. 
-Appalto di opere pubbliche -Richieste 
dell'appaltatore relative a partite 
di lavoro non indicate nel registro 
di contabilit� -Omessa riserva nei 
relativi documenti contabili -Dec�denza 
dell'appaltatore, 124. 

- 
Appalto di opere pubbliche -Riserve 
dell'appaltatore -Contestazione in 
sede giudiziale -Eccezione di decadenza 
-Subordinate deduzioni di merito 
-Effetti -Rinunzia all'eccezione 
di decadenza -Esclusione, 124. 

-Appalto di opere pubbliche -Riserve 
dell'appaltatore -Onere -Carattere 
generale, 124. 

-Appalto di opere pubbliche -Riserve 
dell'appaltatore -Somme riconosciute 
in sede giudiziale -Rivalutazione 
-Inammissibilit�, 124. 

-Appalto di opere pubbliche -Sospensione 
dei lavori -Facolt� discrezionale 
dell'amministrazione committente 
-Esercizio legittimo -Pregiudizio 
derivante all'appaltatore dalla 
sospensione dei lavori -Qualificazio


ne come danno contrattuale -Esclu


sione, 124. 

-Appalto di opere pubbliche -Sospensione 
dei lavori -Inclusione fra i 
cosiddetti fatti continuativi -Esclusione, 
124. 

-Appalto di opere pubbliche -Sospensione 
dei lavori -Maggiori compensi 
chiesti dall'appaltatore -Onere della 
riserva alla firma del verbale di ripresa 
dei lavori, 124. 

-Appalto di opere pubbliche -Variazioni 
ed addizioni -Facolt� dell'amministrazione 
committente -Limiti, 

124. 
ASSICURAZIONE 

-Circolazione di veicoli o natanti Procedimento 
penale -Notifica della 
costituzione di parte civile -Non � 
prescritta, 18. 

ASSOCIAZIONE 

-Associazioni sindacali -Autorizzazione 
per organizare gite o viaggi 
Legittimit� costituzionale, 10. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Attivit� amministrativa vincolata da 
norme di legge -� Configurabilit� Non 
sussiste, 80. 

-Obbligo di motivazione -Provvedimento 
che costituisce mera attuazione 
vincolata di una norma di legge Necessit� 
di specifica motivazi:one Non 
sussiste, 82. � 

CACCIA E PESCA 

-Pesca marittima -Tutela delle risorse 
biologiche e dell'attivit� di pesca 
-Immissione di sostanze inquinanti 
-Scarico di acque reflue di 
albergo -Sussistenza di reato -Fattispecie, 
160. 


VIII 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE 

-Espropriazione per pubblico interesse 
-Dichiarazione di pubblica utilit� 
-Opere necessarie per l'EUR di Roma: 
esistenza del potere espropriativo 
-Difetto di giurisdizione del1'
AGO, 56. 

-�Espropriazione per pubblico interesse 
-Retrocessione -Diritto soggettivo: 
limiti, 56. 

-Giurisdizione ordinaria ed amministrativa 
-Ente pubblico non economico 
-Licenziamento del dipendente 
-Richiesta di un procedimento 
d'urgenza -Giurisdizione amministrativa, 
49. 

-Regolamento di giurisdizione -Conflitto 
di attribuzione -Interferenze 
reciproche ove i mezzi vengano sollevati 
nella medesima controversia Efficacia 
vincolante della decisione 
emessa dalla Corte costituzionale, 
con nota di C. CARBONE, 51. 

-Tribunali Amministrativi Regionali Regolamento 
di competenza territoriale 
-Termini ex art. 31, 2� comma, 
legge 1034/1971 -Decorrenza -Individuazione 
-Riferibilit� alla data di 
effettiva costituzione in giudizio Casi 
di esclusione, 86. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore dei cereali Attivit� 
di uno Stato membro in 
contrasto con la normativa comunitaria 
-Responsabilit� nei confronti 
dei singoli -Disciplina applicabile, 
con nota di A. MARZANO, 36. 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore dei cereali Situazione 
giuridica del produttore, 
con nota di A. MARZANO, 36. 

-Agricoltura -Organizzazione comune 
dei mercati nel settore dei cereali Vendite 
da parte di uno Stato membro 
a prezzo inferiore al prezzo indicativo 
-Incompatibilit� con l'organizzaione 
comune dei mercati, con 
nota di A. MARZANO, 36. 

-Unione doganale -Tariffa doganale 
comune -Disposizioni preliminari Regole 
generali per la interpretazione 
della nomenclatura della tariffa 


Miscugli classificabili in due o pm 
voci tariffarie -Criterio di classificazione, 
33. 

CONCORSO 

-Collocamento obbligatorio ex legge 
2 aprile 1968, n. 482 -Possesso dei 
requisiti -Condizioni -Limiti, con 
nota di R. TAMIOZZO, 79. 

CONTABILIT� GENERALE DELLO 
STATO 

-Debiti e crediti di amministrazione 
diverse dallo Stato nei confronti dello 
stesso soggetto -Compensazione Ammissibilit�, 
72. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitti di attribuzione -Sospensione 
dell'esecuzione dell'atto impugnato, 
17. 

COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 

-Assicurazione -Associazione -Corte 
Costituzionale -Enfiteusi -Espropriazione 
per p.u. -Giustizia Amministrativa 
-Locazione -Pensioni Procedimento 
penale -Professioni. 

DANNI DI GUERRA 

-Nozione e qualificazione� del ce13pite Incostituzionalit� 
dell'art. 8 � legge 
955/1967 in relazione all'art. 3 Cost. Non 
sussiste -Fattispecie in tema 
di unit� navigante, con nota di R. 
TAMIOZZO, 83. 

ENFITEUSI 

-Non assimilabilit� all'affitto di fondi 
rustici -Mancata distinzione tra 
enfiteuta coltivatore ed enfiteuta non 
coltivatore -Legittimit� costituzionale, 
1. 

-Rapporti di natura reale -Inapplicabilit� 
dell'art. 1467 cod. civ. -Legittimit� 
costituzionale, 1. 

ESPROPRIAZIONE PER P.U. 

-Danno permanente arrecato ad altro 
fondo -Unit� economica con l'immobile 
espropriato -Espropriazione 
parziale, 139. 



INDICE 
IX 

-Espropriazione parziale � Determinazione 
dell'indennit� � Fondo coltivato 
come cava -Rilevanza � Pregiudizio 
dell'azienda estrattiva � Irrilevanza, 

139. 
-Indennizzo -Determinazione secondo 
la c.d. legge di Napoli -Adeguamento 
solo parziale al variare dei valori 
venali -Non contrasta col principio 
di eguaglianza, 20. 

- 
Indennizzo -Determinazione secondo 
la c. d. legge di Napoli � Aggiornamento 
degli imponibili solo per i 
fondi urbani � Non contrasta con il 
principio di eguaglianza, 20. 

-Indennizzo -Determinazione secondo 
la c. d. legge di Napoli -Utilizzazione 
del parametro dell'imponibile 
catastale -Ragionevolezza, 20. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Consiglio di giustizia amministrativa 
per la Regione siciliana � Possibilit� 
di conferma nell'ufficio di componente 
-Contrasto con l'indipendenza 
del giudice, 28. 

-Decisioni del Consiglio di giustizia 
amministrativa per la Regione siciliana 
-Appello all'Adunanza plenaria 
del Consiglio di Stato � Legittimit� 
costituzionale, 28. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti 
statali � Disciplina contenuta 
nell'art. 67 decreto del Presidente 
della Repubblica 30 giugno 1972, 

n. 748 -Incostituzionalit� in relazione 
all'art. 3 Cost. -Non sussiste, 80. 
-Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti 
statali � Disciplina contenuta 
nell'art. 67 decreto del Presidente 
della Repubblica 30 giugno� 1972, numero 
748 � Incostituzionalit� in relazione 
agli artt. 76 e 77 Cost. � Non 
sussiste, 80. 

-Promozione di direttori di divisione 
alla qualifica ad esaurimento di 
ispettore generale � Art. 66 decreto 
del Presidente della Repubblica 748/ 
1972 � Decorrenza della nomina, 80. 

- 
Promozione di direttori di divisione 
alla qualifica ad esaurimento di 
ispettore generale � Disciplina contenuta 
nell'art. 67 decreto del Presi


dente della Repubblica 30 giugno 
1972, n. 748 -Incostituzionalit� in relazione 
agli artt. 36 e 97 Cost. � Non 
sussiste, 80. 

-Promozione di direttori di divisione 
alla qualifica ad esaurimento di 
ispettore generale � Mancata previsione 
di retroattivit� -Incostituzionalit� 
degli artt. 60, 61, 65 e 66 decreto 
del Presidente della Repubblica 
30 giugno 1972, n. 748 in relazione 
agli artt. 76 e 77 Cost. � Non sussiste, 
80. 

-Promozione di direttori di divisione 
alla qualifica ad esaurimento di 
ispettore generale � Mancata previsione 
di retrodatazione -Incostituzionalit� 
degli artt. 60, 61, 65, e 66 
decreto del Presidente della Repubblica 
30 giugno 1972, n. 748 in relazione 
all'art. 3 Cost. -Non sussiste, 

80. 
IMPOSTE E TASSE IN GENERE 

-Competenza e giurisdizione � Imposte 
indirette � Ricorso al Tribunale 
per grave ed evidente errore di apprezzamento 
� Censura sul merito 
della valutazione � Difetto di giurisdizione 
del tribunale, 121. 

-Condono � Controversia di soli interessi 
-Esclusione, 116. 

-Condono di cui al decreto-legge 5 novembre 
1973, n. 660 -Sospensione del 
giudizio innanzi alla Corte di Cassazione 
-Rigetto della istanza in 
sede amministrativa -Contestazione 
sul diritto al condono -Decisione 
da parte del giudice del processo 
sospeso, 116. 

-Imposte indirette -Azione in sede 
ordinaria -Termine -Decorrenza � 
Decisione della Commissione Centrale 
che risolve una questione preliminare 
-Successiva decisione di altra 
commissione che esaurisce il rapporto 
tributario -Decorrenza dall'ultima 
decisione -Decisione definitiva 
-Nozione -Decisione. che rigetta l'eccezione 
di prescrizione -Non � tale Successiva 
pronuncia di merito -Impugnazione 
di ambedue le decisioni Ammissibilit�, 
con nota di C. BAFI� 
LE, 104. 

-Imposte indirette -Interessi � Condono 
di cui alla legge 31 ottobre 1963 


RASSEGNA DELL'AVVOCAT.URA DELLO STATO

X 

n. 1458 � Pagamento del tributo � Diritto 
della Finanza al Sl).ccessivo pagamento 
degli interessi -Sussiste, 
116. 
-Imposte indirette -Interessi -Prescrizione 
� Termine quinquennale Interruzione 
� Pagamento dell'imposta 
� Non interrompe la prescrizione 
per gli interessi, 116. 
-Imposte indirette � Solidariet� -Condono 
� Istanza di una sola parte . 
Estensione ai condebitori -Esclusione, 
115. 
-Imposte indirette -Solidariet� -Successione 
ereditaria -Divisione del debito 
fra eredi, con nota di C. BAFI� 
LE, 90. 
-Obbligazione tributaria -Natura Applicabilit� 
di tutte le regole di diritto 
civile non espressamente derogate, 
con nota di C. BAFILE, 90. 
-Rapporto di esattoria � Titolarit� del 
credito fiscale � Spetta all'Amministrazione 
dello Stato, 72. 

ISTRUZIONE PUBBLICA 

-Esami� Esami di maturit� -Elementi 
valutabili dalla Commissione -Criteri 
di valutazione -Limiti, con nota 
di R. TAMIOZZO, 88. 

-Esami � Esami di maturit� tecnica 
commerciale � Elementi valutabili � 
Cultura e preparazione tecnica � Rilevanza, 
con nota di R. TAMIOZZO, 88. 

-Esami � Risultanze esami di maturit� 
� Valutazioni di merito -Intervento 
di fattori estranei ai parametri 
legali � Sindacato di legittimit� . 
Ammissibilit� � Sussiste, con nota di 

R. TAMIOZZO, 88. 
-Esami � Svolgimento di esami di maturit� 
� Comportamento del candidato 
nei confronti della Commissione 
� Effetti � Rilevanza -Limiti, con 
nota di R. TAMIOZZO, 88. 

LAVORO (RAPPORTO DI) 

-Assunzione in violazione del divieto 
previsto dalla legge � Conseguenza 
sulla qualificazione del rapporto e 
sugli obblighi previdenziali, 75. 

LEGGE, DECRETI E REGOLAMENTI 

-Proponibilit� di una questione di incostituzionalit� 
� Limiti, 82. 

LOCAZIONE 

-Abitazioni urbane � Blocco dei fitti 

� Disciplina differenziata per fitti 
maggiorati � Legittimit� costituzionale, 
3. 
-Abitazioni urbane � Blocco dei fitti Legittimit� 
costituzionale. Condizioni, 
3. 

-Abitazioni urbane � Blocco dei fitti Limite 
della propriet� privata per 
funzione sociale � Legittimit� costituzionale, 
3. 

-Abitazioni urbane � Blocco dei fitti Limite 
della propriet� privata per 
funzione sociale � Legittimit� costituzionale, 
4. 

-Abitazioni urbane � Discipline diffe. 
renziate succedutesi nel tempo -Legittimit� 
costituzionale, 4. 

PARTE CIVILE 

-Costituzione -Forme e termini -Costituzione 
predibattimentale -Termine 
per la notifica all'imputato, 162. 

PENSIONI 

-Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. Congiw1ti 
� Diritti per successione Tassativit� 
della elencazione degli aventi 
diritto -Sussiste, 82. 

-Ricorso alla Corte dei Conti -Termine 
di novanta giorni -Contrasta 
con il principio di uguaglianza . Illegittimit� 
costituzionale, 12. 

PRESCRIZIONE 

-Fatto illecito costituente reato -Estinzione 
per amnistia a seguito di 
modifica dell'imputazione � Decorrenza 
del termine di prescrizione, 67. 

-Illecito costituente reato � Fatto-reato 
produttivo di evento plurimo Azione 
penale per un solo reato -Decorrenza 
della prescrizione anche per 
l'illecito relativo al reato non perseguito 
dalla decisione definitiva sul 
diverso reato perseguito, 67. 

-Indennit� per danni da atto lecito Prescrizione 
quinquennale per danni 
da illecito � Applicabilit� -Esclusione, 
140. i 

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INDICE 
XI 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Concorso di reati e concorso di norme 
� Ammissibilit� di un secondo 
giudizio nel caso di concorso di reati, 
10. 

-Decreto di citazione � Persone diverse 
dall'imputato (citazione delle) � 
Parte civile� Omessa citazione � Nullit� 
relativa -Deducibilit� da parte 
del P .M., 162. 

-Imputato assente -Notifica della 
sentenza � Non � necessaria, 26. 

-Responsabile civile � Assicuratore di 
danni da circolazione di veicoli o 
natanti � Citazione nel corso della 
istruzione sommaria, 18. 

-Riabilitazione -Deposito in cancelleria 
degli atti della procedura e avviso 
all'istante � Necessit�, 9. 

PROFESSIONI 

-Societ� per l'esercizio di professioni 
intellettuali � Societ� di progettazione 
� Disciplina legislativa -Legittimit� 
costituzionale, 23. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Responsabilit� della P.A. -Per atti 
leciti � Danno permanente -Nozione, 
140. 

-Responsabilit� della P.A. -Per atti 
leciti � Eliminazione di opera pubblica 
� Perdita di utilit� connesse 
alla sua presenza � Danno permanente 
� Esclusione � Fattispecie, 139. 

-Responsabilit� della P.A. -Per atti 
leciti � Eliminazione di preesistente 
opera idraulica -Esecuzione di opera 
pubblica . e tale, 140. 

-Responsabilit� della P.A. -Per atti 
leciti � Liquidazione dell'indennit� � 
Liquidazione equitativa -Fattispecie, 

141. 
- 
Responsabilit� della P.A. -Per atti 
leciti � Opera idraulica -Maggior 
pericolo di inondazioni � Danno permanente 
� Sussiste, 141. 

RICORSI AMMINISTRATIVI 

-Termini processuali -Art. 22 L. numero 
1034/1971 � Natura del termine 
� Ordinatorio, 86. 


INDICE XIII 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Sez. IV, 11 novmebre 1975, n. 971 pag. 79 
Sez. IV, 11 novembre 1975, n. 973 � 80 
Sez. IV, 14 novembre 1975, n. 1017 � 82 
Sez. IV, 2 dicembre 1975, n. 1167 � 83 
Sez. VI, 14 novembre 1975, n. 617 � 86 
Sez. VI, 28 novembre 1975, n. 622 � 88 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III, 12 dicembre 1974, n. 1045 pag. 160 
Sez. I, 24 aprile 1975, n. 294 . . � 162 
Sez. IV, 24 maggio 1975, n. 69 . . � 162 


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PARTE SECONDA 
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INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLE CONSULTAZIONI 


ACQUE PUBBLICHE 

-Acque pubbliche -Concessione di 
grande derivazione -Scadenza, decadenza 
o rinuncia della concessione 
� Opere di raccolta, regolazione 
e derivazione � Trasferimento allo 
Stato t. u., 13. 

-Acque pubbliche � Concessione di 
grande derivazione � Scadenza, decadenza 
o rinuncia alla concessione 
� Opere di raccolta, regolazione 

o derivazione � Trasferimento all'ENEL, 
13. 
- 
Acque pubbliche � Concessione di 
grande derivazione � Scadenza, decadenza 
o rinuncia � ENEL -Domanda 
di concessione per scopi 
idroelettrici � Istruttoria, 13. 

ANTICHIT� E BELLE ARTI 

-Edifici d'interesse storico o artistico, 
biblioteche, archivi � Impianti 
termici � Norme sull'inquinamento 
atmosferico, 13. 

ESECUZIONE FORZATA 

-Acque pubbliche -Concessione di 
derivazione a scopo idroelettrico � 
Immobili e beni inerenti la concessione 
� Esecuzione forzata a danno 
del concessionario, 14. 

�-Acque pubbliche -Concessione di 
derivazione a scopo idroelettrico Immobili 
e beni inerenti la concessione 
� Esecuzione forzata � Vendita 
all'asta � Acquirente � Trasferimento 
della concessione -Nulla osta della 
P.A., 14. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Espropriazione per pubblico interesse 
� Dichiarazione di pubblica 

utilit� � Termini -Scadenza � Mancata 
emanazione decreto di esproprio 
-Effetti � Opera pubblica eseguita, 
14. 

FALLIMENTO 

-Concordato fallimentare -Effetti Credito 
anteriore al fallimento -Riconoscimento 
integrale in sentenza 
posteriore, 14. 

IMPOSTA DI REGISTRO 

-Imposta di registro -Cessione di 
quote di societ� di persone -Valutazione 
base imponibile, 14. 

IMPOSTE V ARIE 

-Imposta di registro . Condono Controversia 
pendente � Giudicato Successiva 
domanda di condono Effetti, 
15. 

-Tributi in generale -Esenzioni e 
agevolazioni � Trattamento tributario 
degli Istituti di credito a medio 

o lungo termine -Limiti soggettivi, 
15. 
- 
Tributi in generale � Esenzioni e 
agevolazioni -Trattamento tributario 
degli istituti di credito a medio 
e lungo termine � Limiti soggettivi � 
Clausola di risoluzione anticipata, 

15. 
RESPONSABILIT� CIVILE 

-Circolazione stradale � Scontro tra 
veicoli � Impianti semaforici . Inefficienza 
� Responsabilit� civile, 15. 

SANZIONI AMMINISTRATIVE 

-Agricoltura e foreste -Violazioni a 
norme di tutela del patrimonio fo. 
restale � Depenalizzazione, 15. 



INDICE xv 
LEGISLAZIONE 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 
I -Norme dichiarate incostituzionali 
II -Questioni dichiarate non fondate 
III -Questioni proposte . . 
pag. 
)) 
)) 
1 
3 
5 


PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (*) 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 2 -Pres. Oggioni -Rel. 
Volterra -Convitto Naz. Vittorio Emanuele II di Napoli (avv. De 
Martino) c. Santini (n.c.). 

Enfiteusi -Non assimilabilit� all'affitto di. fondi rustici -Mancata distinzione 
tra enfiteuta coltivatore ed enfiteuta non coltivatore � Legittimit� 
costituzionale. 
(Cost., art. 3; !. 22 luglio 1966, n. 607, art. 1). 

Enfiteusi -Rapporti di natura reale -Inapplicabilit� dell'art. 1467 cod. 

civ. -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; 1. 22 luglio 1966, n. 607, art. 18). 
E arbitraria qualsiasi assimilazione del rapporto enfiteutico al rapporto 
di affitto di fondi rustici; pertanto non contrasta con l'art. 3 Cost. 
la mancata distinzione fra enfiteuta coltivatore ed enfiteuta non coltivatore 
(1). 

L'art. 1467 cod. civ. � applicabile esclusivamente nel campo dei rap


porti obbligatori; pertanto non contrasta con l'art. 3 Cast. la non esten


dibilit� di il.etta disposizione ai rapporti di enfiteusi. 

(Omissis). -La prima censura alle disposizioni denunziate si riallaccia 
alla sentenza n. 155 del 1972 della Corte costituzionale, con cui 
appunto venne ritenuta illegittima la parificazione tra affittuari che 
coltivano il fondo col lavoro proprio e dei propri familiari ed affittuari 

(1) Nella sentenza n. 155 del 1972 (in questa Rassegna, 1972, I, 1045), la 
Corte ha sottolineato che � mentre l'affittuario coltivatore gode della situazione 
privilegiata che gli artt. 35 e segg. Cost. assicurano alla posizione del 
lavoratore, l'affittuario imprenditore ha a sua tutela solo il principio sancito 
dall'art. 41 Cost. �. 
Le parti non riprodotte della sentenza in esame sono sostanzialmente 
confermative di quanto affermato nella sentenza n. 37 del 1969 (in questa 
Rassegna, 1969, I, 212) e nella sentenza n. 53 del 1974 (ivi, 1974, I, 542). 

(*} Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato 
l'Avv. F. FAVARA. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

imprenditori, ai fini della determinazione del canone nell'affitto dei fondi 
rustici. 

La questione � infondata. 

� infatti arbitraria quaisiasi assimilazione del rapporto enfiteutico 
a quello preso in considerazione con la pronunzia richiamata, sia sotto 
il profilo giuridico, sia sotto quello economico-sociale. Quanto al primo, 
� fin troppo noto che, a differenza del contratt� di locazione-conduzione, 
generatore di rapporti di obbligazione fra i contraenti, la costituzione 
di enfiteusi fa sorgere un diritto reale sull'immobile altrui che assorbe 
quasi interamente l'esercizio della propriet� sulla cosa, attribuendo all'enfiteuta 
oltre al potere di disporre del proprio diritto, anche il godimento 
del fondo enfiteutico nonch� il diritto di acquistarne la propriet� 
mediante l'affrancazione, diritto questo considerato un requisito essenziale 
dell'istituto stesso. 

Inoltre, � elemento naturale dell'enfiteusi, caratterizzante anche sotto 
l'aspetto economico e sociale, l'obbligo di migliorare il fondo, da cui si 
trae l'utilit�,� obbligo non inerente al contratto di affitto di fondi rustici 
e presidiato, in caso di inosservanza, dall'istituto della devoluzione di 
cui all'art. 972 cod. civ., rimasto in vigore anche a seguito della legge 

n. 607 del 1966 (art. 8). 
Tale obbligo di miglioramento del fondo, che grava in maniera indifferenziata 
su tutti gli utilisti, conferma la ragionevolezza di non di-� 
stinguere tra le specifiche posizioni degli utilisti, disponendo l'abrogazione 
dell'art. 962 cod. civ. -(Omissis). 

Ancor meno .� sostenibile l'incostituzionalit� dell'art. 18 sotto il profilo 
che il domino diretto non pu�, a differenza di altri cittadini, far ricorso 
all'art. 1467 del codice civile. 

� infatti pacifico in giurisprudenza e dottrina che questa ultima 
norma � applicabile esclusivamente nel campo di diritti obbligatori e 
non certo in ordine all'esercizio di diritti reali. Come afferma la Corte 
di cassazione, l'istituto dell'enfiteusi, �anche quando abbia origine contrattuale 
e ancorch� possa successivamente risolversi nel trasferimento 
della propriet� all'enfiteuta mediante l'affrancazione, � pur sempre costitutivo 
di uno ius in re aliena, con effetto istantaneo, e non pu� equipararsi 
ad una compravendita sotto condizione potestativa, ad esecuzione 
differita�. 

La norma denunziata, abrogando l'art. 962 del codice civile e ripristinando 
con ci� l'antico regime dell'enfiteusi, non d� luogo ad alcuna 
situazione di disparit� lesiva dell'art. 3 della Costituzione, essendo del 
tutto razionale ed anzi consequenziale a basiliari principi giuridici che 
alla richiesta di risoluzione di un contratto per eccessiva sopravvenura 
onerosit� siano legittimati i titolari di rapporti obbligatori e non invece 
i titolari di diritti reali inerenti direttamente sulla cosa. -(Omissis). i' 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

3 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 3 -Pres. Oggioni -Rel. 
Gionfrida -Frisardi ed altri (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri 
(vice avv. gen. Stato Albisinni). 

Locazione � Abitazioni urbane � Blocco dei fitti -Limite della propriet� 

privata per funzione sociale � Legittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 42; I. 6 novembre 1963 n. 1444, artt. 1 e 3 e successive modificazioni). 

Locazione � Abitazioni urbane � Blocco dei fitti -Legittimit� costituzionale 
-Condizioni. 
(Cost., art. 42; I. 6 novembre 1963 n. 1444, artt. 1 e 3 e successive modificazioni). 

Locazione � Abitazioni urbane � Blocco dei fitti � Disciplina differenziata 
per fitti maggiorati -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; I. 6 novembre 1963 n. 1444, art. 1). 

Il regime di blocco dei canoni delle locazioni degli immobili urbani 
adibiti ad uso di abitazione si giustifica alla stregua dell'art. 42 Cost. 
giacch� tale articolo riserva alla legge ordinaria la determinazione di 
limiti alla propriet� privata allo scopo di realizzarne la funzione sociale; 
funzione sociale che si identifica, nella specie, nell'esigenza di assicurare 
il bene primario dell'abitazione a categorie di soggetti che non 
superano determinati livelli di reddito (1). 

I limiti predetti, se possono comprimere le facolt� che formano il 
contenuto del diritto di propriet� privata, non possono mai pervenire 
ad annullarle; una definitiva e irreversibile compressione delle facolt� 
di godimento del proprietario non si verifica se il blocco dei canoni 
locatizi rimane un mezza straordinario di intervento pubblico, preordinato 
a fronteggiare crisi congiunturali del settore dell'edilizia abitativa. 
Se invece tale blocco avesse ad acquisire carattere di ordinariet� (che 
per il momento non gli si riconosce) dovrebbe riesaminarsene la compatibilit� 
con le disposizioni costituzionali, con riguardo, tra l'altro, anche 
all'aspetto della valutazione comparativa delle condizioni economiche del 
locatore e del conduttore (2). 

La circostanza che una parte dei locatori abbia richiesto ed ottenuto 

un aumento del canone � valorizzabile per giustificare una disciplina diffe


renziata di tale categoria di locatori rispetto agli altri (3). 

(1, 2 e 5) Nelle sentenze n. 132 del 1972 (in questa Rassegna, 1972, I, 
985 e in Giur. cost., 1970, 1360, con nota di richiami di dottrina) e n. 29 
del 1975 (in questa Rassegna, 1975, I, 48), la Corte Costituzionale aveva avuto 
modo di esaminare questioni relative alla compatibilit� con l'art. 3 Cost. di 
alcuni aspetti della disciplina legale d'ei rapporti' di locazione degli immobili 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

4 

II 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 4 -Pres. Oggioni -Rel. 
Gionfrida -Rivalta (avv. Celoria) ed altri e Presidente Consiglio dei 
Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). 

Locazione -Abitazioni urbane -Discipline differenziate .succedutesi nel 
tempo -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; I. 26 novembre 1969 n. 833, art. 1; d.!. 26 ottobre 1970 n. 745, art. 56). 

Locazione -Abitazioni urbane -Blocco dei fitti -Limite della propriet� 

privata per funzione sociale � Legittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 42; d.!. 26 ottobre 1970 n. 745, art. 56). 

Una disciplina differenziata di situazioni simili ma diversamente circostanziate 
nel tempo � giustificata ove sia diretta al perseguimento di 
esigenze collettive esse pure circostanziate nel tempo,� il sopravvenire 
di una legge, che proroga una disciplina differenziata, non � valorizzabile 
come dato modificativo ex post della valutazione politica fatta 
dal legislatore ordinario (e delle finalit� dallo stesso perseguite) nel 
momento in cui � stata dettata la disciplina poi prorogata (4). 

La funzione sociale della propriet� privata degli immobili urbani 
destinati ad uso di abitazione, se pu� giustificare un regime di blocco 
dei canoni come misura contingente, non postula la adozione del regime 
stesso come misura in ogni caso e in ogni tempo indispensabile all'attuazione 
dell'art. 42 cpv. Cost. (5). 

I 

(Omissis). -4. -� pur vero, d'altra parte, che i �limiti� sopradetti, 
� se possono comprimere le facolt� che formano la sostanza del 
diritto di propriet�, non possono mai pervenire ad annullarle� (cfr. sentenza 
n. 155 del 1972). 

urbani adibiti ad abitazione (proroga legale e blocco dei canoni). Nelle sen� 
tenze qui annotate � invece stato affrontato il tema, di pi� ampio respiro, 
della compatibilit� di detta disciplina legale con l'art. 42 comma secondo Cost. 

Dopo aver implicitamente condiviso lo spostamento, dal terreno dei rapporti 
obbligatori a quello del diritto reale di propriet�, della problematica 
conseguente alla disciplina legale delle locazioni urbane (nel senso che � l'autonomia 
contrattuale . . . non riceve dalla Costituzione una tutela diretta � ma 
� la riceve indirettamente da quelle norme della Carta fondamentale, che. 
come gli artt. 41 e 42 ... si riferiscono ai possibili oggetti di quella autonomia
�, la sentenza n. 37 del 1969, in questa Rassegna, 1969, I, 212, e altre in 
detta sentenza richiamate), la Corte ha potuto affrontare in termini sostan




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ma tale principio -che, nella sentenza n. 155 del 1972 citata, sorregge 
la declaratoria di incostituzionalit� dell'art. 1 legge 11 febbraio 
1971 n. 11 (� per l'omessa previsione di forme di periodica rivalutazione 
�del canone in denaro dei fondi rustici�) -non pu�, contrariamente 
all'assunto del giudice a quo, condurre ad analoga conclusione di illegittimit� 
nei rispetti della normativa impugnata. 

E ci� per la fondamentale ragione (posta anche in luce dall'Avvo
�catura dello Stato) che -mentre nella materia dell'affitto di fondi 
rustici, il giudizio di costituzionalit� � stato formulato sul presupposto 
<lel carattere ordinario della relativa disciplina -nella specie viene, 
invece, in considerazione una disciplina (quale � appunto quella sul 
blocco dei canoni locativi), costituente un mezzo straordinario di intervento 
pubblico, preordinato a fronteggiare crisi congiunturali del settore 
dell'edilizia abitativa. 

In altre parole, l'eventuale alterazione dell'equilibrio (il quale deve 
pur sussistere) tra interessi dei conduttori ed interessi dei proprietari 
locatori -quale si connetterebbe ad una disciplina che in via normale 

e permanente riducesse ad irrisoria misura il reddito della propriet� edilizia 
-non viene qui in rilievo (e la Corte si esime, pertanto, dall'esaminarla) 
in quanto proprio gli indicati caratteri di straordinariet� e 
temporaneit� di tale disciplina ne giustificano in ogni caso la legit


ziali le questioni ad essa sottoposte, pervenendo ad inquadrare la disciplina 
predetta tra i limiti della propriet� privi;tta aventi lo scopo di assicurarne 
la �funzione sociale� (tra tali limiti, nella sentenza n. 73 del 1966, la Corte 
ha collocato anche la normativa dettata a tutela dell'avviamento commerciale). 
Per incise;>, si osserva che la funzione sociale della propriet� non � uno 
scopo obbiettivo che il legislatore sia libero di prefiggersi o meno, ma � 
uno scopo che il legislatore � tenuto a perseguire, nel senso che non pu� 
esimersi dall'operare gli interventi necessari a tale fine neppure rinunciando 
a porre in essere qualsiasi intervento (in tal senso, PUGLIATTI, La propriet� e 
Je propriet�, in La propriet� nel nuovo diritto, 1954, 277). 

Merita sottolineare che la Corte si � ritenuta legittimata ad individuare e . a 
qualificare una specifica esigenza collettiva (assicurare l'abitazione ai meno abbienti) 
come � funzione sociale �. Peraltro una siffatta individuazione e qualificazione 
potrebbe essere fatta anche esplicitamente dal legislatore. 

Sulla compatibilit� tra diritto soggettivo e funzione sociale, cfr. RonOT�, 
Propriet� -diritto vigente, in N.mo Dig. It., XIV, 1967, 134, e Note critiche 
in tema di propriet�, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 1299. Lo stesso Autore 
osserva anche che nella Costituzione il qualificativo � sociale � � utilizzato in 
tre diverse accezioni: � una descrittiva, tendente cio� ad individuare posizioni 

o forme di organizzazione all'interno della comunit� statale; un'altra comprensiva 
del riconoscimento della necessit� (e quindi del diritto) ad una profonda 
integrazione dell'individuo nella societ�, integrazione da realizzare attraverso 
misure predisposte a favore di tutti i singoli i quali si trovino in determinate 
condizioni (artt. 2, 3, 4, 30, 38, 46); una infine, come criterio di 
valutazione di situazioni giuridiche connesse allo svolgimento di determinate 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

timit�: in funzione dello scopo sociale di intervento in favore delle 
classi meno abbienti, che si realizza senza una definitiva ed irreversibile 
compressione delle facolt� di godimento del proprietario. 

5. -Non va, a questo punto, per altro trascurata la circostanza 
della uniforme ripetizio:qe e sovrapposizione nel tempo di normative 
di blocco. 
La considerazione di tale circostanza prospetta, infatti, il pericolo 
che -in dipendenza dell'ulteriore procrastinarsi di tali normative possa 
di fatto acquisirsi al regime di blocco quel carattere di ordinariet� 
(che per il momento non gli si riconosce). 

Ora, tale evenienza -ove in concreto si verificasse -potrebbe 
indurre la Corte a riformulare, sotto tale diverso presupposto, il giudizio 
di legittimit� sulla disciplina di blocco, con riferimento ai parametri 
costituzionali, e con riguardo, tra l'altro, anche all'aspetto della 
valutazione comparativa delle condizioni economiche del locatore. 


(Omissis). 

II 

(Omissis). -3. -Nel ,merito, la sollevata questione di legittimit� 
risulta, comunque, gi� esaminata, proprio nelle innanzi indicate decisioni 
n. 132 del 1972 e n. 29 del 1975. 

attivit� economiche, delle quali sono indicati l'ambito e le eventuali forme 
di coordinamento (artt. 41, 42, 44, 45). Quest'ultimo � il significato che ci 
interessa essendo l'unico compatibile con il concetto di funzioni ed il solo 
che si presti ad essere univocamente usato nelle espressioni � benessere sociale 
>>, � utilit� sociale >>, � interesse sociale �: tutte espressioni che si riferiscono 
ad un � massimo sociale � che � appunto il fine al cui raggiungimento 
sono coordinati i vari strumenti giuridici presi in considerazione �. (RoooT�, 
Propriet� -diritto vigente, cit., 137). 

Dalla segnalata impostazione discende la applicabilit�, anche nella materia 
della quale si tratta, del principio secondo cui i limiti della propriet� possono 
comprimerne ma non annullarne il contenuto (cfr. la sentenza n. 155 del 1972 
in tema di affitto di fondi rustici, in questa Rassegna, 1972, I, 1045). 

In questo quadro, di grande importanza si rivela l'affermazione secondo 
cui il carattere temporaneo e non ordinario di una limitazione, ancorch� consistente, 
del contenuto della propriet� �, di per s�, sufficiente a qualificare la 
limitazione stessa come solo compressiva del contenuto del relativo d,iritto. 

(4) Com'� noto, nel garantire l'osservanza del principio di uguaglianza, la 
Corte Costituzionale sovente ricerca e valuta l'intenzione del legislatore, lo 
scopo della disciplina legislativa. L'affermazione di cui alla massima appare 
precisazione di notevole importanza, in quanto qualifica come utilizzabili per 
la individuazione dello scopo del legislatore soltanto i dati politici, economici, 
etici presenti nel momento della legificazione. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Le quali hanno escluso la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, 
sul rilievo che � la situazione dei conduttori che stipularono 
il contratto anteriormente al 1� dicembre 1969 � obiettivamente diversa 
ed � stata diversamente valutata dal legislatore�, ed hanno precisato 
che, �per i contratti stipulati in epoca successiva la situazione economica 
e di mercato, profondamente diversa da quella esistente al momento 
in cui vennero prorogati fitti precedenti, richiedeva una valutazione 
per sopperire ad altre esigenze, valutazione che implicava una scelta 
di esclusiva competenza del legislatore �. 

Le considerazioni svolte nelle ordinanze di rinvio si risolvono, pertanto, 
in una critica alle sentenze riportate. Tale critica, soprattutto, 
mette in rilievo: 

a) la contraddizione, in cui sarebbe incorsa la Corte, ritenendo, 
da un lato, legittima la limitazione cronologica della proroga al 1� dicembre 
1969 ed affermando, dall'altro (con la medesima decisione n. 132 
del 1972), l'incostituzionalit�, invece, della limitazione, alla data stessa, 
dell'indagine in ordine alla capacit� economica del conduttore; 

b) l'insuperabilit� dell'ostacolo frapposto, dal principio costituzionale 
dell'eguaglianza, ad una disciplina cronologicamente differenziata 
delle locazioni, sia pure finalizzata alla realizzazione delle � altre esigenze
� (rilancio dell'economia, dell'industria edilizia, ecc.), di cui � cenno 
nella motivazione delle sentenze criticate; 

e) l'inesistenza, infine, dell'assunta � diversit� obiettiva� tra le 
situazioni dei conduttori stipulanti prima o dopo il 1� dicembre 1969; 
diversit�, del resto, smentita dallo stesso legislatore con il successivo 

d.l. 24 lu!$lio 1973, n. 426 (convertito in legge 1973 n. 495) di proroga di 
tutte le locazioni (allora) in corso, anche quindi, di quelle posteriori al 
1� dicembre 1969. 
4. -Tali nuove addotte argomentazioni non valgono a indurre la 
Corte a modificare la propria giurisprudenza. 
Non sussiste, infatti innanzitutto, la denunziata contraddizione, nella 
motivazione delle sentenze menzionate: giacch� una cosa, evidentemente, 
� la limitazione cronologica dell'indagine sul reddito del conduttore, ai 
fini del decidere della permanenza ed attualit� del suo diritto alla 
proroga (limitazione dichiarata incostituzionale allo scopo, appunto, di 
� evitare irrazionali differenze qualora le condizioni economiche del conduttore 
siano mutate al momento in cui si decide della proroga�) ed 
altra cosa � la limitazione cronologica, invece, del � regime � di proroga; 
valendo, in questo caso, il termine ad identificare il momento di 
passaggio tra due diverse discipline delle locazioni. 

Inconsistente �, d'altra parte, anche l'argomento esposto sub b): 
poich� la legittimit� di una disciplina cronologicamente differenziata 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di situazioni strutturalmente simili non pu� in assoluto escludersi e 
tale differenziazione appare anzi giustificata ove, appunto, sia (come -
in tesi -nel caso di specie) diretta al perseguimento (a partire da 
una certa data) di particolari �esigenze� rilevanti per la collettivit�. 
L'emergenza di tali esigenze diversifica, infatti, gi� sul piano ontologico, 
le situazioni comparate: consentendone, di conseguenza, una 
non identica regolamentazione. 
L'ultima argomentazione dei giudice di rinvio -con cui, in sostanza, 
si denunzia l'arbitrariet� ed irragionevolezza della diversificazione di 
disciplina di locazioni obiettivamente identiche, in base al mero dato 
cronologico (dell'anteriorit� o non al dicembre 1969) -non ha nemmeno 
consistenza, ove si consideri che, invece, non irrazionalmente -
e sicuramente nell'�mbito della sua discrezionalit� -ha operato il legislatore 
del 1970, ritenendo che la congiuntura economica a lui sottoposta 
consentisse, in materia di locazioni, una risposta articolata: tradottasi, 
per un verso, nel prolungamene di durata della proroga per i 
contratti che a questa gi� fossero soggetti ex legge 1969 n. 833 e, per 
altro verso, nel mantenimento del regime libero per le locazioni stipulate 
successivamente all'entrata in vigore della predetta legge 1969. 
La pretesa irrazionalit� di tale situazione normativa neppure pu�, 
d'altra parte, essere ex post desunta dal fatto che, con legge n. 426 
del 1973, la proroga sia stata -come detto -estesa anche ai contratti 
(�in corso�) stipulati successivamente al dicembre 1969, inizialmente 
non prorogati. 
La legge 1973 n. 426 citata (anteriore alla sentenza 1975 n. 29 della 
Corte, che ne ha, quindi, implicitamente gi� escluso l'incidenza sulla 
soggetta questione di costituzionalit�) non contraddice, infatti, la normazione 
del 1970, ma si limita a esprimere la valutazione di una diversa 
e successiva congiuntura (cui � stato, evidentemente, ritenuto rispondente 
un regime pi� generalizzato di blocco delle locazioni). 
5. -Resta da esaminare la questione sollevata con l'ordinanza del 
pretore di Milano. -(Omissis). 
Nel merito, la questione � infondata. 
La mancata previsione -nell'art. 56 del d.I. 1970 n. 745 (che ha 
prorogato il blocco dei canoni gi� stabilito con l'art. 2 della legge 1969 
n. 833) -di un nuovo blocco per le locazioni stipulate posteriormente 
all'entrata in vigore della legge 1969 citata, non contrasta, infatti, con 
i richiamati parametri costituzionali di cui agli artt. 4, 31 e 42, comma 
secondo, della Costituzione. 
A parte le considerazioni sulla razionalit� della normativa impugnata 
che discendono dalle argomentazioni innanzi svolte sull'analoga questione 
in tema di proroga (ed a parte il rilievo, altres�, che, comunque, anche 
relativamente a contratti stipulati dopo il 1� dicembre 1969, il canone ;~~ 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l) 

resta di fatto bloccato ove trattisi di appartamenti locati non per la 
prima volta, giacch� il � divieto di aumento �, discendente dal precedente 
regime di blocco, permane � nei confronti del nuovo conduttore �, 
ex art. 2 legge 1969 citata) � decisivo invero, osservare che il perseguimento 
delle finalit� contemplate nei precetti costituzionali qui specificamente 
invocati (artt. 4, 31 e 42 della Costituzione) non si lega, in 
termini di necessariet�, allo strumento legislativo del blocco dei canoni 
locativi. 

In particolare, la funzione sociale della propriet�, di cui all'art. 42 

cpv. della Costituzione -se pu� giustificare un regime di blocco dei 

canoni (come misura contingente e non come forma di assetto ordi


nario della propriet� di immobili urbani destinati ad uso di abitazione: 

cfr. la sentenza n. 3 del 1976) -non postula, per�, l'adozione del regi


me stesso come misura in ogni caso e in ogni tempo indispensabile 
,all'attuazione del precetto costituzionale. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 5 -Pres. Oggioni -Rel. 
De Marco -Gigli (n. c.). 

Procedimento penale -Riabilitazione -Deposito in cancelleria degli atti 
della procedura e avviso all'istante -Necessit�. 
(Cast., art. 24; cod. proc. pen., art. 598). 

Contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 598 c.p.p. nella parte in cui non 
prevede che prima della decisione della Corte d'appello si proceda agli 
adempimenti di cui all'art. 372, primo e secondo comma, dello stesso 
codice, ai fini dell'esercizio delle facolt� da questa norma previste. 

(Om.issis). -La dottrina e la giurisprudenza dei giudici ordinari 
sono concordi nell'interpretare l'art. 598 c.p.p. nel senso che sia consentita 
all'istante la mera facolt� di presentare memorie, senza prevedere 
l'instaurazione di un vero e proprio contraddittorio, sia pure nei 
limiti connaturali ad un procedimento in camera di consiglio. Ma la 
mera facolt� di presentare memorie -come giustamente rileva l'ordinanza 
di rimessione -non � �idonea ad assicurare la difesa dell'interessato 
se non gli � consentito di prendere cognizione delle acquisizioni 
probatorie e delle conclusioni del pubblico ministero, sulla base delle 
quali deve essere pronunciata la sentenza ed in relazione alle quali 
l'istante ha interesse a presentare le proprie deduzioni. Tale interesse 
appare particolarmente ampio ove si consideri che, se la riabilitazione 
� negata, l'istanza non pu� essere rinnovata che dopo trascorso, dal 
giorno in cui la sentenza � divenuta irrevocabile, un nuovo termine 
uguale a quello stabilito per la presentazione della prima istanza, salvo 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

che sia negata per difetto o irregolarit� di qualche documento (art. 
599 c.p.p.). La disciplina in esame, pertanto, deve ritenersi sicuramente 
non conforme all'art. 24 della Costituzione, perch� non contempla adempimenti 
idonei a garantire il contraddittorio, quali quelli previsti dal 

primo e secondo comma dell'art. 372 c.p.p. a chiusura dell'istruttoria 
formale. 

Peve quindi estendersi all'ipotesi esaminata -la normativa di cui al 
citato art. 372 e conseguentemente ritenersi che, prima della decisione 
della Corte di appello, debbano depositarsi in cancelleria gli atti e i 
documenti della procedura, dandosene avviso a chi abbia sottoscritto 
la domanda di riabilitazione (l'interessato o un suo procuratore speciale, 
a norma dell'art. 44 disp. att. c.p.p.), ai fini dell'esercizio delle 
facolt� di cui al secondo comma del su menzionato art. 372 c.p.p. 


(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 6 -Pres. Oggioni -Rel. 
Rocchetti -Manzato (n. c.). 

Procedimento penale -Concorso di reati e concorso di norme -Ammissibilit� 
di un secondo giudizio nel caso di concorso di reati. 
(Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. pen., art. 90). 

La semplice reiterazione del processo in ordine ad uno stesso episodio, 
ma con riferimento a pi� fatti in cui esso si scinda, non pu� 

� influire sul diritto di difesa dell'imputato, perch�, nel caso, la tutela 
che a quel diritto � riservata, non viene limitata od esclusa in alcun 
modo. D'altro canto, � giustificato e non contrasta con l'art. 3 Cast. il 
diverso trattamento previsto dall'art. 90 c.p.p. per la sentenza divenuta 
irrevocabile rispetto a quella che tale ancora non sia divenuta. 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 7 -Pres. Oggioni -Rel. 
Amadei -Marinello (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. 
avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). 

Associazione -Associazioni sindacali -Autorizzazione per organizzare gite 

o viaggi -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 9 e 39; r.d.l. 23 novembre 1936 n. 2523, art. 20; d.P.R. 28 giugno 1955 
n. 630, art. 9). 
L'organizzazione di gite o viaggi a carattere culturale, religioso a 
patriottico � attivit� estranea alle finalit� istituzionali delle associazioni 
sindacali, le quali pertanto, per tale attivit�, sono sottoposte alle leggi 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 11 

ordinarie dello Stato come qualsiasi altro soggetto. Non contrasta quindi 
con gli articoli 3, 9 e 39 della Costituzione, l'art. 20, secondo e terza 
comma, del r.d.l. 23 novembre 1936 n. 2523, come modificato dall'art. 9 
del d.P.R. 28 giugno 1955 n. 630 (1). 

(Omissis). -Dal combinato disposto delle norme impugnate � dato 
rilevare che il legislatore, in tema di attivit� turistica, ha seguito due 
direttive aventi per oggetto sia la tutela di interessi statali o settoriali, 
sia l'incremento di attivit� turistiche promosse da privati in relazione 
ai fini specifici, agevolandole e sottraendole ad ogni legame con gli 
enti a cui la legge, in via generale riconosce la facolt� di esercitarle 
nella loro pienezza e, per questo, sottoposte ad un regime di vigilanza 
e di controllo diretto a garantire un effettivo svolgimento dell'attivit� 
stessa nello stretto ambito del settore di competenza. 

Il proponente si duole, come primo punto di contestazione delle 
nonne, che la formulazione di queste porterebbe ad escludere i sindacati 
dalla facolt� di organizzare viaggi o gite occasionali, senza scopo 
di lucro, avvalendosi delle agevolazioni previste dal secondo comma dell'art. 
20 del r.d.l. del 1936. 

Da qui la violazione del principio di eguaglianza. 
Giustamente l'Avvocatura dello Stato nota, nelle sue deduzioni, che 
l'art. 20, per effetto della modifica apportata dal d.P.R. 26 giugno 1955, 

n. 630, non legittima, ai fini della facolt� in esso contemplata, alcuna 
distinzione tra ente e ente promotore, per cui qualsiasi organizzazione, 
e quindi anche un sindacato, rimane libera di promuovere e realizzare 
in proprio gite patriottiche, religiose e culturali senza scopi speculativi, 
previa concessione, a richiesta, di deroga alle disposizioni di carattere 
generale. Non sussiste pi�, pertanto, a giudizio della Corte, nessuna 
differenziazione dei sindacati dai comitati od enti promotori per quanto 
riguarda il trattamento. ' 
Non � esatto, altres�, �affermare che comunque anche la normativa 
relativa alla deroga rappresenterebbe una limitazione al pieno sviluppo 
della persona umana (art. 3 secondo comma) e una non accettabile compressione 
allo sviluppo culturale dei lavoratori (art. 9, primo comma). 

Invero le agevolazioni previste dal legislatore si inquadrano nei fini 
propri delle norme costituzionali che si assumono violate. L'intervento 
amministrativo di concessione di deroga assume il concreto valore promozionale 
e la sua ragione d'essere trova piena giustificazione nella 

(1) L'ordinanza di rem1ss1one del Pretore di Trieste � pubblicata in Gazz. 
Utf., 15 gennaio 1974 n. 15. Significativa la distinzione tra attivit� istituzionali 
delle associazioni sindacali, per le quali � consentito (anzi doveroso) configurare 
un regime giuridico speciale, e le altre attivit� di dette associazioni, 
per le quali deve operare il diritto comune. 

La sentenza appare di notevole importanza anzitutto per una considerazione 
di metodo. Come � noto, mentre di regola il giudizio di costituzionalit� 
La sentenza appare di notevole importanza anzitutto per una considerazione 
di metodo. Come � noto, mentre di regola il giudizio di costituzionalit� 
12 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

necessit� di salvaguardare nei limiti quel complesso di interessi gene


rali dello Stato che, in ogni circostanza, devono essere tenuti presenti 

dai pubblici poteri e con i quali ogni attivit� libera di manifestarsi 

deve ragionevolmente collimare. 

In ordine all'asserita violazione dell'art. 39 della Costituzione, la 

Corte osserva che con esso si garantiscono la libert� dei cittadini di 

organizzarsi in sindacati e la libert� delle associazioni che ne derivano. 

Sotto questo profilo sono pertanto da rigettare le censure mosse 

alla disciplina giuridica impugnata. 

In questa, invero, difetta qualsiasi negazione o violazione delle 

libert� sindacali e della conseguente libert� di azione sindacale. 

L'organizzare gite o viaggi a carattere culturale, religioso e patriot


tico se pu� rappresentare un complemento apprezzabile dell'attivit� sin


dacale, intesa in senso lato, tuttavia costituisce pur sempre attivit� che 

rimane al di fuori della istituzione e organizzazione interna dei sindacati 

stessi e, pertanto, va soggetta all'osservanza delle leggi ordinarie dello 

Stato cos� come per ogni altro ente, cittadino o raggruppamento di cit


tadini. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 8 -Pres. Oggioni -Rel. 
Rocchetti -Cervone (avv. Cassandro e Schwarzemberg) e Venturi 
(n. c.). 

Pensioni -Ricorso alla Corte dei Conti -Termine di novanta giorni 


Contrasta con il principio di uguaglianza -Illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 3; r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, art. 63; r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, art. 72; 

r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680, art. 60). 
La pensione dei pubblici dipendenti va coUocata tra le prestazioni 
patrimoniali corrisposte in base alla legge dalla Amministrazione, e forma 
oggetto di un diritto soggettivo di natura patrimoniale. Considerato 
che gli atti della amministrazione in materia di diritti soggettivi patrimoniali 
sono stati qualificati � non autoritativi � ai fini della assenza 
di termini di decadenza per i ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi, 
� risulta priva di ogni giustificazione sul piano della razionalit� e pertanto 
contrasta con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) la previsione 
del termine di novanta giorni per la preposizione dei ricorsi alla 

Corte dei Conti in materia di pensioni (1). 

(1) Le ordinanze di rimessione della Corte dei Conti, sez. III, 21 novembre 
1972 e 12 aprile 1973, sono pubblicate in Gazz. U[f., rispettivamente del 
6 febbraio 1974 n. 35 e del 15 maggio 1974 n. 126. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 13 

(Omissis). -3. -La questione � fondata. 

Occorre premettere che il diritto a pensione dei pubbli�i dipendenti 
va collocato nel pi� ampio quadro delle prestazioni patrimoniali a carico 
dell'Amministrazione e da essa corrisposte in base alla legge sia 
a titolo di remunerazione del servizio prestato dall'impiegato, sia, dopo 
la cessazione dal servizio, come corresponsione periodica e vitalizia di 
una somma di danaro. Tali prestazioni, che sono oggetto di un diritto 
soggettivo di natura patrimoniale, trovano nel nostro ordinamento tutela 
giurisdizionale dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, (tribunali 
amministrativi regionali e Consiglio di Stato) per quanto concerne 
il diritto allo stipendio (ma, in determinati casi, anche alla pensione) 
e dinanzi alla Corte dei conti, per quanto riguarda il diritto alla pensione 
e agli altri assegni di quiescenza (art. 103, primo e secondo comma, 
Cost.). 

� noto che per i diritti che, come quelli in esame, sono devoluti 
alla sua giurisdizione esclusiva dall'art. 29 del t.u. approvato con r.d. 
26 giugno 1924, n. 1054, il Consiglio di Stato ha, da tempo, elaborato 
una giurisprudenza, ormai fermamente consolidata, la quale ha escluso 
che, per la proposizione di ricorsi contro provvedimenti che non hanno 
causa nell'esercizio di una potest� autoritativa, possa valere il termine 
di decadenza di sessanta giorni, stabilito in via generale dall'art. 36 del 
citato t.u. 

Il Consiglio di Stato ha motivato il suo orientamento facendo riferimento 
sia alla natura del provvedimento amministrativo in tema di 
questioni patrimoniali dei pubblici dipendenti che, essendo di carattere 
cos� detto paritetico e non autoritativo, ha per oggetto diritti sogget


di una disposizione legislativa consiste nel diretto confronto di detta disposiz�one 
con uno o pi� precetti costituzionali, l'esame di questioni coinvolgenti 
il principio di uguaglianza include un � momento � di individuazione 
della norma o del principio che deve essere assunto come termine di raffronto 
(tertium comparationis), ossia come norma o principio pi� consono 
con i � valori � politici e giuridici espressi dalla Costituzione. Non di rado 
l'autonomia di questo � momento � -la cui importanza e delicatezza sono� 
palesi -non emerge alla luce di una piena consapevolezza, e il � momento � 
in questione rimane indifferenziato all'interno dello iter logico seguito dapprima 
dal giudice a quo e poi dalla Corte Costituzionale: ci� avviene soprattutto 
perch� evidente e non contestata � la maggiore aderenza alla Costituzione 
(o all'ordinamento nel suo �nsieme) della norma o principio che 
viene assunto come tertium comparationis (ad esempio, tale norma o principio 
ha �carattere generale, mentre la disposizione la cui �ragionevolezza� e 

legittimit� costituzionale � contestata ha carattere particolare). 

Nella sentenza in rassegna, invece, la Corte ha esplicitamente, seppure 

marginalmente, motivato sul punto della maggiore aderenza all'ordinamento co


stituzionale del principio (affermato dalla giurispmdenza del Consiglio di Stato) 

della assenza di termini di decadenza per la proposizione di ricorsi avverso 

i cosidetti ,, atti paritetici � rispetto alle disposizioni le quali, per i giudizi 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

14 

tivi e non interessi legittimi; sia all'oggetto stesso della controversia 
in sede giurisdizionale, che non � limitata all'esame della legittimit� 
del provvedimento amministrativo, ma si estende al rapporto controverso 
e quindi a tutti i presupposti del diritto soggettivo in questione. 

4. -I principi cos� elaborati si attagliano perfettamente alle controversie 
relative al trattamento di quiescenza, riservate alla giurisdizione 
della Corte dei conti. Anche in questo caso, oggetto del giudizio � 
un diritto soggettivo patrimoniale, rispetto al quale il provvedimento 
amministrativo, che lo riconosce o lo esclude, � privo di ogni carattere 
autoritativo, perch� si limita ad accertare i presupposti stabiliti dalla 
legge, in ordine sia alla spettanza del diritto al detto trattamento, sia 
alla determinazione del suo ammontare. 
Donde la conseguenza che non esistono, in rapporto a un provvedimento 
siffatto, quelle esigenze che legittimano la previsione di un 
breve termine di decadenza per l'impugnazione, invece, dei provvedimenti 
autoritativi. 

Nella prassi giurisprudenziale, del resto, il giudizio che si instaura 
a seguito del ricorso, pur avendo formalmente carattere di giudizio 
d'impugnazione di un provvedimento amministrativo, sostanzialmente � 
volto all'accertamento del diritto a pensione attraverso un'indagine che 
comprende tutti gli elementi del diritto medesimo. 

5. -Alla stregua delle considerazioni che precedono, le norme che, 
nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione dei pubblici 
dipendenti, prescrivono, per la presentazione dei ricorsi, il termine 
di novanta giorni decorrenti dalla data della comunicazione o 
notificazione del provvedimento di concessione o di rifiuto della pensione, 
dell'assegno o dell'indennit�, si presentano prive di ogni giustificazione 
sul piano della razionalit� e, in quanto determinano, con riferimento 
a situazioni tra loro assimilabili, una rilevante disparit� di trattamento, 
risultano in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 
in materia di pensioni dinanzi alla Corte dei Conti, prevedevano il termine di decadenza 
di novanta giorni. 

Ed invero, � auspicabile che, in ogni giudizio in cui si invochi il principio 
di eguaglianza, l'anzidetto � momento � assuma autonomia e rilievo. Ci�, 
ovviamente, vale non soltanto in sede di giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale, 
ma anche in sede di prima delibazione delle questioni di legittimit� 

costituzionale ad opera del giudice a quo: tale giudice, infatti, � tenuto a 
percepire e a cogliere ogni aspetto delle questioni di legittimit� costituzionale 
a lui sottoposte ed a vederne tutte le possibili . implicazioni, sia per stabilire 
se sussistano o meno la rilevanza e non manifesta infondatezza, sia -even� 
tualmente -per investire la Corte Costituzionale dell'interezza delle questioni, 
evitando di deviare o condizionare il successivo giudizio mediante un 
" ritaglio ,, della materia controversa e delle questioni prospettate. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 15 

Ed invero, la antica previsione di un breve termine di decadenza 
(risalente alla legge 26 luglio 1869, n. 4516) per la tutela del diritto a 
pensione, ritenuto gi� imprescrittibile dalla giurisprudenza della Corte 
dei conti e oggi espressamente dichiarato tale dalla legge (art. 5 del 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092), se pu� trovare la sua spiegazione 
nella antica struttura del giudizio pensionistico e nelle concezioni del 
legislatore dell'epoca, non appare pi� consona al riconoscimento dei 
diritti che, nell'ambito del pubblico impiego, attraverso una lenta ma 
sicura evoluzione giurisprudenziale e legislativa dell'istituto, sono stati 
riconosciuti ai dipendenti della pubblica Amministrazione. 
D'altra parte, non � chi non veda come non sussista pi� alcuna ragione 
per differenziare, dal punto di vista della sua tutela, i diritti 
patrimoniali nascenti in costanza del rapporto di impiego pubblico, da 
quelli che invece sorgono dalla cessazione dal servizio e che attengono 
al trattamento di quiescenza del dipendente, specie se si considera che 
i principi giuridici affermati �con riferimento a tutti i provvedimenti non 
autoritativi relativi alle situazioni patrimoniali dei dipendenti pubblici 
non possono trovare una differente applicazione in ragione della di7 
stribuzione della giurisdizione tra il tribunale amministrativo regionale 
e il Consiglio di Stato da una parte e la Corte dei conti dall'altra. 

Dalla accertata violazione dell'art~ 3, primo comma, della Costituzione, 
consegue che deve essere dichiarata la illegittimit� costituziona~e 
degli artt. 63 del r.d. 12 luglio 1934, n.. 1214, 72 del r.d. 13 agosto 
1933, n. 1038, e 60 del r.d. 3 marzo 1938, n. 680, nella parte in cui sta7 
biliscono il termine perentorio di novanta giorni per la presentazione 
dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al tr.at~ 
tamento di quiescenza. Ed � appena il caso di precisare che il termine 
assegnato al Procuratore generale per il deposito del ricorso, quando 
egli ricorra in via principale, ai sensi dell'art. 76 del r.d. i3 agosto 19331 

n. 1038, avendo diverso fondamento e differenti finalit� rispettq a quello 
denunciato dall'ordinanza di rimessione, non viene travolto dalla pichia~ 
razione di illegittimit� costituzionale contenuta nella presente decisione. 
6. -A seguito della dichiarazione di illegittimit� delle norme impu~ 
gnate, vengono dichiarati assorbiti gli altri motivi di censura proposti 
dalle ordinanze di rinvio. 
7.� In conseguenza della pronuncia di incostituzionalit� delle norme 

denunciate, va dichiarata d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 

marzo 1953, n. 87, la illegittimit� delle seguenti altre disposizioni, nella 

parte in cui prevedono lo stesso termine di decadenza di novanta giorni 

per la proposizione dei ricorsi dinanzi alla Corte dei conti, e cio�: 

1) l'art. 22, secondo comma, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229; 

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RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

2) l'art. 24, secondo comma, del r.d.l. 27 novembre 1919, n. 2373;, 
convertito nella legge 7 aprile 1921, n. 369; 

3) l'art. 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312; 

4) l'art. 54, primo comma, della legge 6 luglio 1939, n. 1035; 

5) l'art. 63, primo comma, dell�!. legge 6 febbraio 1941, n. 176, in. 
quanto richiamata dall'art. 6 della legge l1 aprile 1955, n. 379; 
6) l'art. 59, primo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934; 
7) l'art. 90, primo comma, del d.P.R. S giugno 1952, n. 656; 
8) l'art. 29, secondo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699. 

per questi motivi 

a) dichiara l'illegittimit� costituzionale degli artt. 63 del r.d. 12 lu-glio 
1934, n. 1214, 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, e 60 del r.d.l. 3� � 
marzo 1938, n. 680, nella parte in cui prescrivono, per la proposizione 
dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al trattamento 
di quiescanza, il termine perentorio di novanta giorni dalla. 
data di comunicazione e notificazione del provvedimento� impugnato; 

b) dichiar� altres�, d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 mar-zo 
1953, n. 87, e negli stessi limiti, la illegittimit� costituzionale delle� 
disposizioni di cui ai seguenti artkoli: 

1) art. 22, secondo comma, del r.d. 22 �aprile 1909, n. 229, sullepensioni 
del personale delle ferrovie dello Stato; 

2) art. 24, secondo comma, del r.d.l. 27 novembre 1919, n. 2373,. 
convertito nella legge 7 aprile 1921, n. 369, che migliora il trattamento 
di quiescenza del personale delle� ferrovie dello Stato; 

3) art. 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312, sull'ordinamento della 
Cassa di previdenza per le pensioni agli ufficiali giudiziari; 
4) art. 54, primo comma, della legge 6 luglio 1939, n. 1035, suE 
regolamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai sanitari; 

5) art. 63, primo comma, della legge 6 febbraio 1941, n. 176, sul" 
l'ordinamento del Monte-pensioni per gli insegnanti elementari, in quanto 
richiamata dall'art. 6 della legge 11 aprile 1955, n. 379; 

6) art. 59, primo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934, sul-� 
l'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai salariati. 
degli Enti locali; 

7) art. 90, primo comma, del d.P.R. 5 giugno 1952, n. 656, sulle 
disposizioni in materia di ricevitorie postali e telegrafiche, agenzie, col-lettorie 
e servizi di portalettere rurali; 

8) art. 29, secondo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699, sulla,. 
disciplina dell'Ente Fondo trattamento quiescenza al personale del lotto. 
-(Omissis). 


PARTE' I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, ordinanza 15 gennaio 1976, n. 13 -Pres. 
Oggioni -Rel. De Stefano -Regione Sicilia (avv. Aula) c. Presidente 
Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Gozzi). 

Corte costituzionale � Conflitti di attribuzione � Sospensione dell'esecuzione 

dell'atto impugnato. 

(!. 11 marzo 1953, n. 87, art. 40). 

Il provvedimento amministrativo regionale con il quale viene disposta 
la disapplicazione nell'ambito del territorio della Regione di 
un provvedimento amministrativo statale, preclude alla Regione la possibilit� 
di ottenere dalla Corte costituzionale una ordinanza di sospensione 
di quest'ultimo provvedimento tempestivamente impugnato per 
conflitto di attribuzione. 

(Omissis). -Ritenuto che la Regione siciliana, con il ricorso di 
cui in epigrafe, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello 
Stato, chiedendo l'annullamento, previa sospensione della esecuzione, del 
decreto 23 luglio 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica 
n. 197 del successivo 25 luglio), emesso dal Ministro per le finanze, 
di concerto con il Ministro per il tesoro, con il quale sono state 
dettate, in materia' di rimborso delle eccedenze dell'imposta sul valore 
aggiunto, � modalit� per l'esecuzione delle disposizioni dell'art. 38, comma 
quinto del decreto del. Presidente della Repubb�ca 26 ottobre 197i; 
n:: '633�, e successive 'modificazioni�; ' 

che, nelle more del presente giudizio, lAssessore per le finanze 

della Regione siciliana, con suo decreto 29 agosto 1975 (pubblicato nel


la Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 42 del successivo 27 

settembre), ha disposto che, fino a quando la materie non sar� pun


tualmente e definitivamente disciplinata in sede di norme di coordi


namento di cui �all'art. 12, n. 4, della legge delega per la riforma tri~ 

butaria 9 ottobre 1971, n. 825, il decreto ministeriale 23 luglio 1975 'non 

si applichi nell'ambito del territorio della Regione siciliana, facendosi 

quindi obbligo agli uffici I.V.A. della Sicilia di continuare a versare le 

somme riscosse a titolo d'imposta sul valore aggiunto, in conto entrata 

della Regione (art. 1), e di continuare a provvedere ai rimborsi d'im


posta, utilizzando le somme che all'uopo verranno accreditate sui nor


mali stanziamenti di spesa del bilancio dello Stato o di quello della 

Regione, a seconda dell'Ente al cui erario sono affluite le quote d'im


posta ammesse a rimborso, salvo conferma da parte del Ministero delle 

finanze della determinazione, di cui alla nota n. 109691 dell'll novembre 

1974, di provvedere, in linea provvisoria, agli accreditamenti in parola 

a carico del bilancio statale (art. 2). 


18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Considerato che, in disparte ogni altra valutazione, non sussistono, 
allo stato, per effetto della disposta disapplicazione dell'impugnato provvedimento 
nell'ambito del territorio della Regione siciliana, le gravi ragioni 
che, ai sensi dell'art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dell'art. 
28 delle Norme integrative del 16 marzo 1956 per i giudizi avanti 
alla Corte costituzionale, possano giustificare la sospensione della sua 
esecuzione. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 14 -Pres. Oggioni -Rel. 
Capalozza -Vallone ed altri (n. c.). 

Procedimento penale -Responsabile civile -Assicuratore di danni da 

circolazione di veicoli o natanti -Citazione nel corso della istruzione 

sommaria. 

(Cost., art. 24; c.p.p., art. 108 primo comma; legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24). 

Assicurazione -Circolazione di veicoli o natanti -Procedimento penale Notifica 
della costituzione di parte civile -Non � prescritta. 
(Cost., art. 24; c.p.c., art. 95). 

Alla parte lesa da un evento derivato dalla circolazione di veicoli 

o natanti e costituitasi parte civile, non pu� rimanere precluso, nel corso 
della istruzione sommaria, l'esercizio del diritto di azione nei confronti 
dell'assicuratore del danneggiante, anche per ottenere la provvisionale,� 
pertanto, contrasta con l'art. 24 Cost. l'art. 108, primo comma, del codice 
di procedura penale, nella parte in cui non consente, nel corso 
dell'istruzione sommaria, la citazione del responsabile civile, nei cui 
confronti si richieda la provvisionale di cui all'art. 24 della legge 24 dicembre 
1969, n. 990 (1). 
Non contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 95 c.p.p. il quale prescrive 
che la costituzione di parte civile sia notificata al pubblico ministero 
e all'imputato, e non anche all'assicuratore quale responsabile civile (2). 

(Omissis). -5. -� da tener fermo che l'assicuratore, obbligato 
civilmente al risarcimento, � abilitato ad intervenire come responsabile 
civile nell'istruttoria anche sommaria (vedasi la sentenza n. 172 del 1974). 

(1-2) La prima massima si collega a quanto affermato dalla Corte costituzionale 
nella sentenza 10 luglio 1975, n. 198 (in Giur. cost. 1975, I, 1546, ove 
sono anche alcune indicazioni di dottrina sulla pr�vvisionale di cui all'art. 
24 della legge n. 990 del 1969). La sentenza Corte cost. 19 giugno 1974, n. 172 
richiamata nella motivazione � pubblicata in Foro lt., 1974, I, 2598. 

Sulla legge n. 990 del 1969, cfr. anche Corte cost., 12 marzo 1975, n. 55 
(in questa Rassegna, 1975, 283) e n. 56 (ivi, 1975, 285). � 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Del che si ha riprova testuale nell'art. 95, secondo comma, cod. proc. 
pen., per il quale �le istanze proposte (dalla parte civile) dopo la cita~ 
zione o l'intervento del responsabile civile devono prima del dibattimento 
essere notificate anche al responsabile civile �. 

Tuttavia, il 'problema sorge rispetto all'ipotesi in cui il danneggiato 
intenda chiedere la provvisionale di cui all'art. 24 legge 24 dicembre 1969, 

n. 990, nei confronti dell'assicuratore, il quale non sia intervenuto nella 
istruzione. Risulta dai principii -ed � pacificamente riconosciuto che 
l'istanza ex art. 24, presuppone la costituzione di parte civile; ed � 
ovvio che in tanto l'istanza medesima pu� essere rivolta nei confronti 
dell'assicuratore, in quanto l'azione civile nel procedimento penale sia 
esercitata anche contro quest'ultimo. 
Ora, mentre ci� � possibile nella istruzione formale, �, invece, precluso 
nell'istruzione sommaria, alla stregua del disposto dell'art. 108 
cod. proc. pen., il quale -con riguardo a tale tipo di procedimento __; 
non consente la citazione del responsabile civile se non per il dibattimento. 


Ne consegue che durante il corso dell'istruzione sommaria il danneggiato 
non potrebbe chiedere la provvisionale contro l'assicuratore; 
il che, oltre a creare una disparit� di trattamento rispetto all'ipotesi in 
cui si proceda con istruzione formale (durante la quale la predetta 
richiesta del danneggiato � ammissibile), si risolve in una violazione 
dell'art. 24 Cost., rimanendo, durante tutto il corso dell'istruzione sommaria, 
privo di tutela il diritto del danneggiato ad ottenere la pronunzia 
di cui all'art. 24 della citata legge del 1969. 

Ricorrono, cio�, riguardo alla pretesa del danneggiato contro il responsabile 
civile, quelle stesse ragioni che, con riferimento agli artt. 3 
e 24 Cost., hanno indotto questa Corte a ritenere illegittima la normativa 
che, durante l'istruzione sommaria condotta dal P.M., rendeva impossibile 
(per difetto dei poteri decisori del P.M.) la proponibilit� dell'istanza 
di provvisionale nei confronti dell'imputato (sentenza n. 198 
del 1975). 

Nella specie, alla proponibilit� della richiesta di provvisionale contro 
l'assicuratore durante il corso dell'istruzione sommaria, osta -come si 
� detto -l'art. 108 del codice di procedura penale. Del quale, pertanto, 
va dichiarata l'illegittimit� costituzionale nella parte, appunto, in cui 
non consente, nel corso dell'istruzione sommaria, la citazione del responsabile 
civile, nei cui confronti si chieda la provvisionale di cui all'art. 24 
della legge n. 990 del 1969. 

6. -La questione dell'illegittimit� dell'art. 95, primo comma, cod. proc. 
pen. -formulata dal pretore di Napoli sotto il profilo che la mancata 
prescrizione di notificazione, prima del dibattimento, della dichiarazione 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di costituzione di parte civile anche all'assicuratore quale responsabile 
civile, violi, in danno del medesimo, l'art. 24 della Costituzione -� 
.manifestamente infondata. 

Questa Corte, invero, con decisione n. 172 del 1974, ha gi� dichiarato 
non fondata la predetta questione di legittimit� costituzionale dell'art. 95 
~od. proc. pen. -sotto l'identico profilo ora nuovamente prospettato rilevando 
che �ai sensi dell'art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773, 
portante modifiche al codice di procedura penale al fine di accelerare 
� semplificare i procedimenti, applicabile anche ai procedimenti con 
istruzione sommaria, sin dal primo atto di istruzione, il giudice istrut� 
tore � obbligato ad inviare a coloro che vi possono avere interesse, 
come parti private, una comunicazione giudiziaria con indicazione delle 
norme di legge violate e della data del fatto addebitato con invito ad 
esercitare la facolt� di nominare un difensore, il che, per quanto attiene 
al responsabile civile va evidentemente inteso nel senso che la comunicazione 
debba a questo esser fatta non appena avvenuta la costituzione 
di parte civile nei confronti dell'imputato�. -(Omi-ssis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 15 � Pres. e Rel. Oggioni. 
� Cane ed altri (n.c.) c. Comune di Taggia (avv. Contaldi), e Presidente 
Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). 

Espropriazione per p.u. � Indennizzo -Determinazione secondo la c.d. 
legge di Napoli -Adeguamento solo parziale al variare dei valori 
venali -Non contrasta col principio di eguaglianza. 
(Cost., art. 3; I. 15 gennaio 1885, n. 2892, artt. 12 e 13; I. 28 luglio 1967, n. 641, art. 14). 

Espropriazione per p;u, -Indennizzo -Determinazione secondo la c. d. 
legge di Napoli -Utilizzazione del parametro dell'imponibile cata� 
stale � Ragionevolezza. 
(Cost., art. 3; I. 15 gennaio 1885, n. 2892, artt. 12 e 13; I. 28 luglio 1967, n. 641, art. 14). 

Espropriazione per p.u. -Indennizzo � Determinazione secondo la c. d. 
legge di Napoli -Aggiornamento degli imponibili solo per i fondi 
urbani � Non contrasta con il principio di eguaglianza. 
(Cost., art. 3; I. 15 gennaio 1885, n. 2892, artt. 12 e 13). 

La circostanza che -applicandosi la c. d. legge di Napoli -l'indennizzo 
per l'esproprio venga determinato per met� secondo il valore venale 
del bene espropriato � sufficiente ad escludere che, pur nella costanza 
di un imponibile non aggiornato, la differenza di indennizzo tra proprietari 
espropriati in epoche diverse per beni in astratto di eguale valore, 
dia luogo a violazione del principio di eguaglianza, dovendosi ricono



PARTE l, SEZ. 'I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 21 

:scere che diseguaglianze sono cdnnaturate all'attuazione, necessariamente 
graduale, di interventi urbanistici di ampio raggio (1). , 

E rispondente a criteri di ragionevolezza, il cui riconoscimento � 
sufficiente ad escludere ogni sindacato in questa sede circa l'uso del 
potere discrezionale del legislatore, il ricorso al parametro dell'imponibile 
catastale in mancanza del dato offerto da un canone di locazione 
(2). 

Non d� luogo a violazione del principio di eguaglianza la circostanza 
.che per i fondi urbani, e non anche per i fondi rustici, siano stati stabiJiti 
coefficienti annui di aggiornamento degli imponibili presi a base per 
la determinazione della indennit� di esproprio, posto che superiore � la 
capacit� di incremento di valore dei fondi urbani (3). 

(Omissis). -Occorre aggiungere che il sistema di determinazione 
dell'indennizzo non prescinde affatto, come sembra ritenere il giudice 
a quo, da un certo adeguamento alla realt� economica, giacch�, anche 
nell'ipotesi in cui non risultino canoni di locazione, entra sempre a far 
parte del calcolo relativo, come dato componente alla media, il valore 
venale dell'immobile, il che contribuisce in modo determinante ad adeguare, 
sia pure entro certi limiti, l'ammontare dell'indennizzo alla realt� 
dei valori economici. Alla quale finalit� di adeguamento � anche diretta 
la legge 22 dicembre 1969, n. 952, che, appW�to in tema di edilizia scolastica 
e universitaria, ha stabi�ito una� maggiorazione pari al 2 per cento 
annuo degli indennizzi dovuti al proprietario espropriato. N� d'altra 
parte, secondo la giurisprudenza della Corte, l'indennizzo per esproprio 
deve puntualmente corrispondere alla: consistenz� economica del bene 
-espropriato, essendo stifficiente che ess� costituisca un � ristoro � anche 
parz�ale, purch� non meramente 'sirhbolico, il che, appunto, si verifica 
neila specie. � certo,� che il sisteina 'in �san�e garantisce, anche nella 
pi� ristretta ipotesi,' un indennizzo pari �lla media fra valore venale e 

(1-3) L'ordinanza di rimessione � pubblicata nella Gazz. Uff. del 18 luglio 
1973, � n, 183. La sentenza n. 155� del 1972 richiamata in motivazione � pubbli.
cata in questa Rassegna 1972, 1, 1045; 

La Corte costituzionale aveva avuto modo di pronunciarsi in ordine alla 
�Compatibilit�, con l'art. 42, comma terzo, Cost.; di disposizioni che prevedono 
una determinazione dell'indennizzo . con riferimento al valore del bene espropriato 
in epoca anteriore a quella dell'espropriazione (sentenze n. 67 del 1959, 

n. 22 del 1965, in questa Rassegna 1965, 1, 426 con nota di TRACANNA, La legge 
18 aprile 1962, n. 167; carattere, sistema e finalit�, n. 37 del 1969, ivi, 1969, 1, 
212; n. 63 del 1970, ivi, 1970, l, 365). In questa sentenza la differenza tra la 
data di riferimento del valore del bene espropriato e la data dell'espropria� 
zione viene esaminata in relazione al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): 
e la Corte perviene alla soluzione di cui alla prima massima facendo ricorso 
al principio, pi� volte affermato, secondo cui l'indennizzo per esproprio non 

22 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

reddito imponibile catastale, cio� pari ad una somma superiore, nella 
generalit� dei casi, alla met� del valore venale. In base a queste considerazioni, 
emerge la garanzia di continuit�, in un certo adeguamento 
della consistenza dell'indennizzo alla progressiva svalutazione monetaria, 
e si deve, quindi, escludere che, pur nella costanza dell'elemento di valutazione 
costituito dell'imponibile non aggiornato, la differenza di indennizzo 
fra proprietari espropriati in epoche diverse per beni in astratto 
di eguale valore, assuma la portata generale del prospettato vizio invalidante 
della norma impugnata, dovendosi altres� riconoscere che, entro 
l'ambito di una ineliminabile variabilit� di casi singoli, disparit� di 
trattamento siano connaturate all'attuazione, necessariamente graduale, 
di interventi urbanistici di ampio raggio, come quello in esame. 

Le osservazioni sopra svolte circa la razionalit� del sistema di determinazione 
dell'ammontare dell'indennizzo, contribuiscono anche ad escludere 
la fondatezza della censura concernente la pretesa disparit� di 
trattamento a danno dei proprietari conduttori in proprio. Invero, la 
finalit� del sistema stesso postula il ricorso a parametri di certa identificazione, 
ed il riferimento all'imponibile catastale, praticato in numerosi 
provvedimenti legislativi in materia analoga (e gi� riconosciuto utilizzabile, 
in via di principio, con sentenza di questa Corte n. 155 del 1972) 
rappresenta una delle soluzioni pi� conducenti ai fini perseguiti, in mancanza 
del dato costituito dal canone di locazione, e tale, quindi, da non 
potersi ritenere in contrasto con quei criteri di ragionevolezza, il cui 
riconoscimento � sufficiente ad escludere ogni . sindacato in questa sede 
circa l'uso del potere discrezio;nale del legislatore. Il che, d'altro canto, 
non esclude ed anzi, in certo senso, sollecita un auspicabile intervento 
del legislatore per un graduale aggiornamento, nella materia in esame, 
dei dati catastali, onde accostarli, il pi� possibile, alla realt� economica. 

Anche per quanto riguarda la pretesa illegittimit� della norma impugnata, 
conseguente alla situazione di privilegio che si sarebbe creata 

deve � puntualmente corrispondere alla consistenza economica del bene espropriato 
�. 

La seconda massima, integrata dalla terza, conferma la legittimit� costituzionale 
di leggi (l'affermazione difatti trascende il riferimento specifico alla 
legge c. d. di Napoli) le quali faceiano ricorso ail'imponibile catastale per 
determinare, a fini diversi da quello tributario, il valore e il reddito di un 
immobile rustico o urbano. In proposito va ricordato che l'art. 16 della legge 

n. 865 del 1971 (reso applicabile a tutte le espropriazioni per opere o interventi 
dello Stato o degli altri enti pubblici anche non territoriali dall'art. 4 
del d.l. n. 115 del 1974 come modificato dalla legge di conversione 27 giugno 
1974, n. 347) ha introdotto un altro sistema di valori � legali >>, diverso e per 
certi aspetti concorrente con il sistema dei valori accertati mediante il catasto. 
Su tale punto cfr. Dr CIOMMO, Il provvedimento di espropriazione della 
legge sulla casa, in questa Rassegna 1973, 2, 137 e quindi note aggiunte in 
questa Rassegna 1975, 2, 25. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 23 

a favore di proprietari dei fondi urbani, i quali riceverebbero un indennizzo 
pi� adeguato alla svalutazione monetaria di quello liquidato ai 
proprietari dei fondi rustici, deve escludersi la sussistenza del lamen-� 
tato vizio di illegittimit�. 

I fondi urbani e quelli rustici, invero, ai fini della determinazione 
del rispettivo indennizzo, presentano caratteri sostanzialmente diversi,. 
nel senso che la loro situazione economico-sociale si presenta con note 
differenziali evidenti, ove si tenga presente che, a prescindere dalla incidenza 
dei fenomeni monetari, il variare del valore dei fondi rustici � 
essenzialmente legato, di regola, al mutare della qualit� di coltura e� 
cl�sse di produttivit� dei fondi stessi, mentre quello dei fondi urbani. 
� determinato dall'imponente e preponderante fenomeno del variare del 
valore dei fondi urbani e da una molteplicit� di fattori, tra cui la va-� 
riet� delle possibili destinazioni per fini economici. Ed appunto in relazione 
a tali caratteristiche sono stati stabiliti (legge 23 febbraio 1960,. 

n. 131) coefficienti di aggiornamento annuale dell'imponibile dei fondi 
urbani, aggiornamento la cui funzione si svolge nel senso dell'incremento�� 
dei tributi cui i fondi sono sottoposti, oltre che nel senso dell'incremento 
dell'indennizzo spettante ai proprietari nel caso di espropriazione in. 
forza della norma impugnata. L'aggiornamento in parola, pertanto, si 
armonizza con il sistema di calcolo del valore ai fini dell'indennizzo, e� 
risponde al fine di accostarne il contenuto al valore reale. Indubbiamente,. 
ci� rappresenta un meccanismo di aggiornamento pi� aderente di quello� 
per i fondi rustici, in cui l'elemento variabile � il valore venale da mediare 
con� quello dell'imponibile netto agli effetti dell'imposta terreni,. 
imponibile da calcolare, tenuto conto della rivalutazione degli estimi catastali, 
risalente alla data del decreto legislativo C.P.S. 12 maggio 1947,. 
n. 356. Ma tale differenza di disciplina, come si � detto, trova una razionale 
giustificazione nella superiore capacit� di incremento del valore deii 
fondi urbani, e tanto pu� bastare per escludere la violazione del principio 
di eguaglianza sotto il profilo prospettato nell'ordinanza di rinvio~ 
-(Omissis). 
CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 17 -Pres. Oggioni -ReL 
Astuti. Puri. (n.c.). 

Professioni -Societ� per l'esercizio di professioni intellettuali -Societ� 
di progettazione -Disciplina legislativa -Legittimit� costituzionale. 
(Cast., art. 41; I. 23 novembre 1939, n. 1815, artt. 1, 2, 3 e 7). 

Anche l'esercizio delle professioni intellettuali per cui la legge richiede 
la necessaria iscrizione in albi o elenchi � garantito, in quanto, 
iniziativa economica privata, dall'art. 41 Cast.; detto esercizio deve pe



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO StAtO

24 

.raltro essere disciplinato e controllato dalla legge. Il riconoscimento 
.dell'ammissibilit� della costituzione di societ� per l'esercizio associato 
di professioni intellettuali appartiene alla discrezionalit� di valutazione 
del legislatore, fermo restando che una congrua normativa � necessaria 
per evitare la possibilit� dell'esercizio abusivo e il pericolo dello sfrutta-. 
mento dell'opera intellettuale, nonch� per regolare le responsabilit� nei 
confronti dei clienti, di terzi, dello Stato e delle organizzazioni professio


nali e sindacali. Ci� vale anche per le attivit� tecniche proprie dell'ingegneria 
industriale, che sono pur sempre attivit� professionali (1). 

(Omissis). -3. -Ci� premesso, a giudizio di questa Corte non sussiste 
nella disposizione denunciata alcun vizio di incostituzionalit�, per contrasto 
con il principio della libert� dell'iniziativa economica privata. 
Invero, la questione, prospettata dall'ordinanza di rimessione con spe.
ciale riferimento alle attivit� di progettazione industriale, deve essere 
�considerata sotto due profili distinti, anche se connessi: e precisamente, 
con riguardo alla ammissibilit� della costituzione di societ� per l'eser..
cizio .delle professioni intellettuali, in genere, ai sensi degli artt. 2247 e 

seguenti del codice civile, e con riguardo alla asserita esigenza tecnica 
.�he determinate attivit� professionali, come la progettazione industriale, 
richiedano oggi un'organizzazione a base imprenditoriale, realizzabile 
tipicamente nella forma giuridica della societ� per azioni. 

Per quanto concerne le societ� di professionisti in genere, sarebbe 

fuori luogo esaminare in questa sede le questioni largamente discusse 

(1) L'ordinanza di rimessione � pubblicata in Ga�,. Uff. 3 aprile 1974, n. 89. 
. Nel senso della inapplicabilit� dell'art. 41 della Cost. alle professioni cosidette 
liberali, 'SPAGNUOLO, VIGORITA e PALMA, Professione e lavoro (libert� di), in 
Nuov.mo Dig. It., 14�, 17. lvi. � anche osservato, in relazione all'art. 4 della 
-Costituzione, che �la garanzia costituzionale della libert� di scelta dell'occupazione 
ha valore e significato soltanto sotto un profilo negativo, in quanto 
-cio� equivale ad escludere che i cittadini possano essere costretti a svolgere 
�professionalmente� (ovvero fuori di eccezionali e contingenti casi di necessit�) 
uno specifico lavoro da essi non prescelto; quella garanzia non vale 
invece in nessun modo ad assicurare al cittadino (sotto il profilo, per cos� dire, 
positivo) il diritto di volgersi a suo piacimento verso un qualsiasi settore 
.di attivit� al di fuori di preclusioni, limitazioni e controlli statali. � vero, al 
.contrario, che lo Stato pu� proprio al fine di assicurare il progresso mate� 
riale e spirituale della societ�, impedire ai privati certe attivit�, pubblicizzare 
.delle professioni, sopprimerne altre, vietare determinate forme di lavoro o 
regolarne i modi di prestazione, disciplinare quantitativamente l'afflusso a 
.�erti settori lavorativi, ecc.; oltre a fissare comunque i presupposti e i re.
quisiti per lo svolgimento delle varie attivit� �. 

In merito alle specifica questione decisa, si osserva come la disciplina 
.dell'esercizio associato di professioni � protette � costituisce un necessario 
.completamento delle normative regolanti l'esercizio di dette professioni. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALl! 25 

in dottrina circa la possibilit� di configurare l'esercizio delle professioni 
-intellettuali sotto l'aspetto esclusivo o prevalente dell'attivit� economica 
:a scopo di lucro, e di riferire l'attivit� personale dei professionisti, eserdtata 
in forme di collaborazione associativa, ad un ente giuridico astratto 
-0 ad un gruppo unificato. Sarebbe del pari superfluo ricordare prece-
denti legislativi forniti da ordinamenti stranieri ed anche da quello italiano, 
come la legge 23 novembre 1939, n. 1966 sulla disciplina delle sodet� 
fiduciarie e di revisione, per tacer dei disegni di legge sottoposti 
.all'esame del Parlamento. Ci� che qui unicamente importa accertare � 
l'eventuale conflitto della normativa vigente con l'art. 41, primo comma, 
della Costituzione: e tale conflitto sicuramente non sussiste, dati i limiti 

che lo stesso art. 41 �prevede nel secondo e terzo comma, riservando alla 
legge ogni opportuno controllo delle iniziative ed attivit� economiche. In 
particolare, l'esercizio delle professioni intellettuali � stato sempre oggetto 
di speciale disciplina, pur con forme, modalit� e limitazioni diverse 
nei tempi e nel vario regolamento delle singole professioni. Le osservazioni 
svolte nell'ordinanza di rimessione prospettano l'opportunit� di una 
eventuale riforma legislativa, non l'esistenza di una questione di legittimit� 
costituzionale. � infatti chiaro che il riconoscimento dell'ammissibilit� 
della costituzione di societ� per l'esercizio delle .attivit� professionali 
protette appartiene alla discrezionalit� di valutazione del legislatore, 
al quale soltanto spetta di stabilire se, e a quali condizioni, possa consentirsi 
l'adozione di forme societarie. 

In questa materia, la necessit� di una congrua normativa appare 

evidente, per evitare la possibilit� dell'esercizio abusivo da parte di sog


getti non abilitati o autorizzati, ed il pericolo dello sfruttamento dell'o


pera intellettuale in forme non computabili con la dignit� e autonomia 

-dei singoli professionisti; mentre occorre, d'altro canto, con riguardo alla 

-diversa qualit� delle prestazioni professionali, un preciso regolamento 

.delle responsabilit� sociali e personali, sia nei confronti dei clienti e dei 

terzi, sia anche nei confronti dello Stato e delle organizzazioni profes


sionali o sindacali. 

4. -Non � possibile ravvisare l'ipotizzato conflitto con l'art. 41 nemmeno 
per quanto concerne le attivit� di progettazione industriale che, 
secondo il giudice a quo, richiederebbero oggi una complessa organizzazione 
di uomini e di mezzi, talch� il divieto di costituire societ� per azioni, 
che si prefiggano, nell'oggetto sociale, anche l'espletamento di dette 
.attivit�, determinerebbe una inammissibile preclusione, riguardante � tanto 
l'attivit� di pura progettazione in se stessa, quanto le attivit� industriali 
direttamente produttive di beni e servizi a cui la prima assicura 

26 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

le indispensabili basi tecnologiche, l'una e le altre concretando tipiche 
manifestazioni della iniziativa economica �. 

Si prospetta qui l'esigenza di forme associative di attivit� professionale 
organizzate come vere e proprie imprese, con apprestamento di un 
complesso di beni e mezzi strumentali necessari per il loro esercizio. 
Occorre ricordare, al riguardo, che l'art. 2238 del codice civile prevede� 
bens� che l'esercizio d'una professione possa costituire elemento di un'at-� 
tivit� organizzata in forma d'impresa (nel qual caso debbono applicarsi 
anche le disposizioni degli artt. 2082 e seguenti che disciplinano il lavoro� 
nell'impresa, e vige l'esclusione sancita dall'art. 3 della legge 23 novembre 
1939, n. 1815); ma non si pu� evidentemente sostenere che il principio� 
della libert� di iniziativa economica postuli senz'altro l'ammissibilit� 
d'una diversa fattispecie, in cui un professionista, o un gruppo .di professionisti, 
costituiscano una impresa, con riferimento ed organizzazione di 
mezzi strumentali e beni aziendali, per svolgere attivit� di progettazione 
industriale, connesse o non alla diretta produzione di beni o servizi (non 
professionali). Per siffatte forme complesse di attivit� imprenditoriale, 
l'esigenza sopra illustrata di una speciale disciplina normativa appare 
ancor pi� palese, trattandosi di regolare la costituzione e l'esercizio non 
solo di una societ� tra professionisti, ma di una societ� professionale organizzata 
in forma di impresa, ci� che comporta la soluzione di particolari 
e gravi problemi giuridici. Le esigenze prospettate dal giudice a quo 
concernono pur sempre una questione di politica legislativa, non di legittimit� 
costituzionale, perch� il parametro offerto dal primo comma dell'art. 
41 della Costituzione non comporta, nemmeno sotto questo speciale� 
profilo, l'ammissibilit� di una piena � liberalizzazione � quanto all'esercizio 
delle attivit� tecniche proprie dell'ingegneria industriale, che sono 
pur sempre attivit� professionali, soggette alla discrezionale disciplina 
del legislatore, sindacabile in questa sede soltanto con riguardo alla ragionevolezza 
dei limiti imposti al loro esercizio. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 18 � Pres. Oggioni . Rel. 
Reale � Sapia (n.c.). 

Procedimento penale � Imputato assente � Notifica della sentenza . Non � 
necessaria. 
(Cost. artt. 3 e 24; c.p.p., art. 500). 

L'imputato assente � nella condizione di poter assumere informazioni, 
sol che lo voglia, intorno a tutte le vicende del processo, e di apprendere ;:: 
il contenuto della sentenza allorch� verr� emanata; deve pertanto esclu-\: 

!: 

1; 

l1 

~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Z7 

.dersi che la mancata notifica della sentenza menomi in modo apprez.
zabile il diritto di difesa dell'imputato assente, tanto pi� se si considera 
che egli � rappresentato per tutti gli effetti (artt. 427 e 428 c.p.p.) dal difensore 
che ha il potere di interporre impugnazione (art~ 192, u.c., c.p.p.~, 
anche con riserva di motivi, da depositarsi entro venti giorni dall'avviso 
.di cui agli artt. 151 e 201 del codice di procedura penale (1). 

(Omissis). -La questione, come sopra identificata, non � fondata. 

Per vero, come questa Corte ha gi� affermato nell'affrontare analoga 
,questione prospettata in riferimento all'art. 472, u.c., c.p.p. (il quale 
.dispone che la lettura del dispositivo sostituisce la notificazione della 
.sentenza per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi 
presenti nel dibattimento, anche se non sono presenti alla lettura), in 
tutti i casi di �assenza� contemplati dal codice di procedura penale 
ricorre, quale dato costante, la sicura conoscenza, da parte dell'imputato, 
.dell'esistenza del giudizio e della data, almeno iniziale, di esso (sent. n. 

136 del 1971, e ord. n. 76 del 1973). Sicch� l'imputato � assente � � nella 
.condizione di poter assumere informazioni, sol che lo voglia, intorno 
.a tutte le vicende del processo e di apprendere il contenuto della sentenza 
.allorch� verr� emanata. Deve pertanto escludersi che la mancata notifica 
.della sentenza menomi in modo apprezzabile il diritto di difesa dell'imputato 
assente, tanto pi� se si considera che egli � rappresentato per tutti 
,gli effetti (artt. 427 e 428 c.p.p.) dal difensore che ha il potere di interporre 
impugnazione (art. 192, u.c., c.p.p.), anche con riserva di motivi, 
da depositarsi entro venti giorni dall'avviso di cui agli artt. 151 e 201 del 
,codice. di procedura penale. 

N� priva di giustificazione �, poi, la disparit� di trattamento tra imputato 
assente e imputato contumace per ci� che concerne la notifica della 
.sentenza, che, come si � gi� accennato, � prevista soltanto per l'imputato 
<:ontumace. 

Tale disparit� di trattamento � infatti pienamente giustificata dalla 
.diversit� delle situazioni. Invero, stando alle gi� ricordate decisioni, il contumace, 
a differenza dell'assente, non ha manifestato alcuna volont� negativa 
in ordine alla comparizione e alla presenza in udienza e potrebbe, 
in caso estremo, anche ignorare l'esistenza del giudizio o la data del dibattimento. 
Il che, per le ragioni esposte, non pu� mai verificarsi per 
l'imputato che sia rimasto assente, ricorrendo l'ipotesi di cui all'ordinanza. 
-(Omissis). 

(1) La sentenza 22 giugno 1971, n. 136 richiamata in motivazione � pubbli.
cata in questa Rassegna 1971, 1, 960. 

28 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 25 -Pres. Oggioni -Rel. 
Astuti -Fortino e Ventura (avv. Lubrano) e Presidente Consiglio dei 
Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). 

Giustizia amministrativa -Consiglio di giustizia amministrativa per la 

Regione siciliana -Possibilit� di conferma nell'ufficio di componente � 

Contrasto con l'indipendenza del giudice. 

(Cost., artt. 101 e 108; d.l. 6 maggio 1948, n. 654, art. 3). 

Giustizia amministrativa -Decisioni del Consiglio di giustizia anummstrativa 
per la Regione siciliana � Appello all'Adunanza plenaria del 
Consiglio di Stato -Legittimit� costituzionale. 
(Cost., artt. 3, 24, 113 e 125; statuto Sicilia, art. 23, d.I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 5). 

Il carattere temporaneo della nomina a componente di un organogiurisdizionale 
non contrasta, di per s�, con i principi costituzionali che 
garantiscono l'indipendenza, e con essa l'imparzialit�, dei giudici. Contrasta, 
invece, con tali principi la possibilit� di conferma o meno nel-� 
l'incarico secondo un discrezionale apprezzamento; peraltro, tale profilO' 
di incostituzionalit� conduce non alla esclusione dall'organo giurisdizionale 
dei componenti sottoposti alla potest� di conferma o meno nell'ufficio, 
bens� alla eliminazione della disposizione legislativa che attribuisce 
detta potest�. Da ci� consegue che � illegittimo, per violazione� 
degli artt. 100, 101 e 108 Cast., l'art. 3, secondo comma, del d.l. 6 maggio 
1948, n. 654, nella parte in cui dispone. che i membri del Consiglio� 
di giustizia amministrativa d�lla Regione siciliana "in sede giurisdizionale, 
designati dalla Giunta regionale, possono essere confermati (1). 

(1-2) Le due ordinanze di rimessione del Consiglio di Stato, IV, 18 ottobre 
1974, e Ad. plen., 6 marzo 1975, sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, 
rispettivamente 23 luglio 1975, n. 195 e 22 ottobre 1975, n. 281 �(cfr. anche 
Foro it., 1975, III, 379, con nota di richiami). 

Nella motivazione si allude alle sentenze Cass. S.U. 11 ottobre 1955, n. 2994(
in Giust. civ., 1955, I, 1584, COI). nota di A. SANDULLI), e Cons. Stato, Ad. plen., 
29 ottobre 1956, n. 16 e 2 maggio 1960, n. 5 (in Cons. St., rispettivamente, 1956, 
I, 1122 e 1960, I, 818). 

In precedenti pronuncie della Corte Costituzionale (cos� le sentenze 27" 
dicembre 1965, n. 93, in questa Rassegna, 1965, 1112, sui consigli comunali e 
provinciali in sede di giurisdizione elettorale, 3 giugno 1966 n. 55, ivi, 1966,. 
538, sui Consigli di Prefettura, 22 marzo 1967, n. 30, ivi, 1967, 214, sulla G.P.A. 
in sede giurisdizionale, 27 maggio 1968, n. 49, ivi, 1968, 365, sulle sezioni per 
il contenzioso elettorale dei non ancora istituiti T.A.R.) alla constatazione della 
insufficiente � indipendenza � di taluno dei componenti l'organismo giurisdizionale 
sub judice � seguita la declaratoria di incostituzionalit�, e quindi la 
eliminazione, delle norme concernenti la composizione di detti organismi, e, 
nella sostanza, la loro sparizione come organismi giurisdizionali. Con la sen-� 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Mentre l'art. 23 dello Statuto della Regione "siciliana prevede semplicemente 
l'istituzione in Sicilia di una sezione del Consiglio di Stator 
con il d.l. n. 654 del 1948 � stato istituito un organo di giustizia ammi~� 
nistrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e composizione; 
essendo il C.G.A. investito delle stesse attribuzioni che sono 
proprie del Consiglio di Stato, vengono meno le ragioni per cui gli era 
stata conferita quella particolare composizione. Deve pertanto auspicarsi" 
che il legislatore provveda rapidamente alla revisione dell'attuale sistema 
di giustizia amministrativa nella Regione siciliana, eliminando ogni residua 
anomalia e disarmonia, nel rispetto dei principi sanciti dall'art. 23� 
dello Statuto speciale. Nel frattempo, non contrasta con gli articoli 3, 
24, 113, secondo comma, 125, secondo comnia, della Costituzione, e con: 
l'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana, l'art. 5, 
terzo comma, del d.l. 6 maggio 1948, n. 654, per il quale � ammesso ricorso 
all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato avverso le decisioni' 
del C.G.A. emesse sulle impugnative di atti delle autorit� amministrative 
dello Stato, e che non siano pronunciate in grado di appello (2). 

(Omissis). -4. -Nel merito, la prima questione di legittimit� costituzionale 
risulta fondata. �Il carattere temporaneo della nomina, per 
i membri del C.G.A. in sede giurisdizionale designati dalla Giunta regionale, 
ed estranei ai ruoli organici del Consiglio di Stato, non contrasta,. 
di per s�, con i princ�pi costituzionali che garantiscono l'indipendenza,.. 
e con essa la imparzialit�, dei giudici, siano essi ordinari o estranei alle� 
magistrature: a tal fine, infatti, non appare necessaria una inamovibilit�. 
assoluta, specie per i cosiddetti membri laici o estranei, che ben posson0o 

tenza in esame, invece, la Corte ha preso un'altra strada, ed ha eliminat0> 
una disposizione incompatibile con la indipendenza del singolo componente; 
un approccio analogo si � avuto nella sentenza 19 dicembre 1973, n. 177 (iru 
Foro it., 1974, I, 1), nella quale peraltro � stato espresso un giudizio di in-� 
fondatezza -sia pure per una sorta di � fatto normativo sopravvenuto � -� 
della questione di incostituzionalit� che era stata prospettata. 

Deve ritenersi che la rilevata diversit� di reazione alla illegittimit� costi


tuzionale sottintende una inespressa valutazione d'insieme sulla coerenza o� 

meno, dell'organismo giurisdizionale di volta in volta sub judice, con l'ordi


namento costituzionale. L'orientamento di cui alla prima massima merita, co


munque, consenso, e trascende il caso deciso. Qualsiasi discorso in terna di" 

� indipendenza� o meno di giudici estratti da categorie diverse da quelle


dei magistrati per professione e anche di � estranei all'amministrazione della 

giustizia � pu� e -ove possibile -deve essere affrontato e risolto non �il! 

termini di chiusura e di esclusione, bens� in termini opposti e cio� in termine 

di estensione delle guarantigie o di .alcune di esse a favore di detti giudici' 

non professionali: in tal senso una indicazione si deve trarre dallo stesso art. 

108, comma secondo, Cost. ove si dispone che anche agli � estranei� deve: 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

30 

essere nominati per un determinato e congruo periodo di tempo, senza 
�che perci� venga meno l'indipendenza dell'organo, o del singolo giudice. 
Ma l'indipendenza dei membri del C.G.A. designati dalla Giunta regionale 
� sicuramente compromessa per effetto della disposizione che pre
�vede, al termine del quadriennio, la possibilit� di riconferma nell'incarico, 
secondo il discrezionale apprezzamento del Governo regionale. Questa 
Corte ha gi� avuto occasione di affermare, a proposito dei compo:
nenti della G.P.A. estranei all'amministrazione, che �la sola prospettiva 
.del reincarico basta ad escludere l'indipendenza di costoro dai consigli 
provinciali o regionali� (sentenza n. 49 del 1968); e ci� appare ancor 
pi� evidente nel caso di specie, trattandosi di membri designati dalla 

�Giunta regionale, e la cui nomina o conferma (ancorch� con decreto 
presidenziale) avviene, come per gli altri componenti dell'organo, su proposta 
del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei 
-ministri, sentito il Presidente della Regione: talch�, proprio in rapporto 
.alla prospettiva d'una eventuale conferma, l'indipendenza di questi giu
�dici non pu� ritenersi assicurata dalla legge, sia nei confronti del Go
�verno centrale sia soprattutto di quello regionale, con aperta violazione 
dei precetti contenuti negli artt. 100, 101 e 108 della Costituzione. E non 
'�ccorre avvertire che di fronte ai principi della indipendenza ed imparzialit� 
dei giudici, ordinari, amministrativi o speciali, cede il prin.
cipio generale della ammissibilit� agli incarichi ed uffici pubblici, che 
�essere assicurata la possibilit� di partecipare all'amministrazione della giustizia 
in una situazione giuridica (e di fatto) tale da garantire libert� e sopratutto 
�<mest�. 
In questo quadro appare, tra l'altro, evidente che la tematica della com
�patibilit� di una funzione giurisdizionale con altra pubblica funzione non si 
.esaurisce nella considerazione dei requisiti per l'esercizio della funzione rite-
nuta giurisdizionale, ma necessariamente coinvolge anche disposizioni legisla
�tive che regolano il diverso rapporto di servizio nel cui ambito � svolta 

l'altra pubblica funzione; con la conseguenza che la compatibilit� in questione 
pu� essere assicurata, anzich� con esclusioni dalla funzione giurisdizionale che 
�contrastano con una riconosciuta � idoneit� � alla funzione stessa, con corret
�tivi o � manipolazioni � che operino sul cennato diverso rapporto con il rendere 
ancor pi� garantito lo stato giuridico di provenienza della persona am


�messa anche alla funzione giurisdizionale. 

Con le affermazioni di cui alla seconda massima, la Corte costituzionale 
ha lanciato un invito che suona quasi come un avvertimento. La menzionata 
"ordinanza (di rimessione) dell'Adunanza plenaria aveva posto l'accento sulla 
asimmetria costituita dall'appello ad essa Adunanza proponibile avverso le de
�:isioni del C.G.A.; la Corte costituzionale, forse anche perch� costretta entro 
i limiti dell'ordinanza predetta, non� ha mancato di rilevare come siffatta 
:asimmetria possa essere rimossa attraverso una fedele applicazione dell'art. 23, 
�>dello Statuto siciliano. 

~ 

~ 

I; 


-



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

comport� di regola anche la possibilit� di riconferma o rielezione: possibilit� 
che deve essere fermamente esclusa per i membri laici del 

C.G.A. quale organo di tutela della giustizia nell'amministrazione, a cui 
l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana attribuisce le stesse funzioni 
spettanti alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. 
5. � Non vi sono, invece, motivi sufficienti a giustificare una pronuncia 
di accoglimento in ordine alla seconda questione di costituzionalit�, 
concernente il terzo comma dell'art. 5 del d.Igs. 6 maggio 1948, n. 654. 
Certamente l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana prevedeva semplicemente 
l'istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Co.nsiglio 
di Stato, ed � innegabile che con il d.Igs. n. 654 del 1948 � stato 
invece istituito un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da 
una propria particolare fisionomia e struttura, investito peraltro dell'esercizio 
delle stesse funzioni attribuite dalla legge alle sezioni giurisdizionali 
del Consiglio di Stato, giusta il disposto dei primi due commi 
dell'art. 5. � del pari innegabile che una anomalia rispetto al regime 
ordinario della giustizia amministrativa fu allora introdotta con il disposto 
del terzo comma del medesimo art. 5, in base al quale veniva 
ammesso il ricorso all'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del 
Consiglio di Stato avverso le decisioni del C.G.A. sulle impugnative di 
atti e provvedimenti delle autorit� amministrative dello Stato, non pronunciate 
in grado di appello. 
Ma la legittimit� costituzionale del provvedimento istitutivo del C.G.A. 
della Regione siciliana nel suo complesso, ed in specie della disposizione 
contenuta nell'art. 5, terzo comma, del d.Igs. 6 maggio 1948, n. 654, riconosciuta 
vent'anni or sono da una nota decisione delle sezioni unite 
della Corte di cassazione, e dalla stessa adunanza plenaria del Consiglio 
di Stato, non pu� non essere qui confermata, anche sotto il particolare 
profilo ora prospettato, della diversit� di regime verificatasi 
medio tempore, -e precisamente nel periodo intercorso tra l'istituzione 
del C.G.A. in Sicilia e quella dei T.A.R. nell'intero territorio dello 
Stato -, quanto alla tutela giurisdizionale in grado di appello, nei confronti 
dei provvedimenti di cui al citato art. 5, ammessa soltanto per 
la Sicilia, mentre in ogni altra parte dello Stato esisteva per gli stessi 
provvedimenti un solo grado di giurisdizione. Questo regime eccezionale, 
(non contrastante peraltro con la previsione dell'art. 125_, secondo comma, 
della Costituzione), trova giustificazione nella speciale competenza 
giurisdizionale attribuita dal d.lgs. 654 del 1948 al C.G.A. nei riguardi 
degli atti e provvedimenti definitivi sia dell'amministrazione regionale, 
sia delle altre autorit� amministrative aventi sede nel territorio della 
Regione siciliana. Tale competenza giurisdizionale giustifica l'introduzione 
della possibilit� di impugnazione delle sue decisioni concernenti atti 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

delle amministrazioni statali davanti all'adunanza plenaria del Consiglicr 
di Stato. Invero, essendo il C.G.A. investito nei confronti di quegli atti 
delle stesse attribuzioni che sono proprie del Consiglio di Stato, venivano 
meno le ragioni per cui gli era stata conferita quella particolare 
composizione caratterizzata dalla presenza di due giuristi designati dalla 
Giunta regionale, e poteva a ci� costituire opportuno rimedio la previsione 
dell'impugnabilit� delle sue decisioni, cos� circoscritta ratione� 
materiae, non nel fine di attribuire ai ricorrenti davanti al C.G.A. una 
tutela giurisdizionale maggiore di quella riconosciuta alla generalit� dei' 
cittadini davanti al Consiglio di Stato, quanto piuttosto per assicurare 
una definitiva uniformit� di controllo sugli atti delle amministrazioni' 
dello Stato. 

Come fu gi� riconosciuto proprio dall'adunanza plenaria, � nessun: 
ostacolo costituzionale impediva che, entro lo stesso ambito della giurisdizione 
del Consiglio di Stato, fosse previsto il ricorso alla adunanza 
plenaria per determinate pronunzie del C.G.A. �. E poich� la particola-� 
rit� del regime dianzi ricordato non pu� dirsi irrazionale, n� tale da 
integrare ingiustificata disparit� di trattamento ai sensi dell'art. 3 della 
Costituzione, non � nemmeno possibile ravvisare contrasto con le disposizioni 
degli artt. 24 e 113 della Costituzione, che, di per s�, non garantiscono 
n� il doppio grado di giurisdizione n� una completa uniformit� 
di tutela giurisdizionale amministrativa. 

6. -Se per le suesposte considerazioni deve dichiararsi l'infondatezza 
della questione, questa Corte non pu� tuttavia esimersi dal segnalare� 
le ulteriori anomalie risultanti nel vigente sistema della giustizia ammi-� 
n�strativa dopo la istituzione dei tribunali amministrativi regionali, at-� 
tuata con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Queste anomalie non sono� 
sfuggite al legislatore che ha provveduto a dettare con l'art. 40 di tale 
legge speciali disposizioni transitorie per la Sicilia, peraltro inadeguate 
rispetto all'esigenza di una piena ed unifonne attuazione dei precetti del-� 
l'art. 125 della Costituzione; e anche la sentenza pronunciata da questa 
Corte il 5 marzo 1975, n. 61, ha potuto eliminare solo parzialmente dette 
anomalie, con il riconoscimento al T.A.R. istituito nella Regione siciliana 
della stessa competenza propria degli altri tribunali amministrativi regionali, 
e con la conseguente assunzione da parte del C.G.A. delle stesse� 
funzioni di giudice di appello attribuite dalla medesima legge al Consiglio 
di Stato. 
Deve pertanto auspicarsi che il legislatore provveda rapidamente alla 
gi� prevista revisione dell'attuale sistema di giustizia amministrativa nel-la 
Regione siciliana, eliminando ogni residua anomalia e disarmonia, nel 

rispetto dei princ�pi sanciti dall'art. 23 dello Statuto speciale. -(Omissis)~ 'i: 

~~ 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 25 settembre 1975, 
nella causa 28/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Reischl -Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof nella causa Baupla 
(avv. Scheidemandel) c. Oberfinanzdirektion di Colonia -Interv.: 
Commissione delle Comunit� europee (ag. Amphoux e Kalbe). 

Comunit� europee -Unione doganale -Tariffa doganale comune -Disposioni 
preliminari -Regole generali per la interpretazione della nomenclatura 
della tariffa -Miscugli classificabili in due o pi� voci tariffarie Criterio 
di classificazione. 

(Regolamento de.I Consiglio 28 giugno 1968, n. 950, relativo alla tariffa doganale comune). 

Qualora un miscuglio sia classificabile sotto due o pi� voci tariffarie, 
ciascuna delle quali si riferisca ad una delle materie che lo costituiscono, 
nessuna di tali voci pu� essere ritenuta pi� specifica delle 
altre per il semplice fatto che essa fornisca del prodotto una descrizione 
pi� precisa o pi� completa, e la classificazione dovr� essere quindi effettuata 
in base alle regole di interpretazione di cui al n. 3, lett. b o 
lett. e, delle regole generali per l'interpretazione della nomenclatura della 
tariffa (1). 

(Omissis). -In diritto. Con ordinanza 12 febbraio 1975, pervenuta 
in cancelleria il 12 marzo 1975, il Bundesfinanzhof ha sottoposto alla Corte 
di giustizia delle Comunit� europe, a norma dell'art. 177 del trattato 
e.E.E., una questione pregiudiziale con cui si chiede se la regola generale 
d'interpretazione n. 3 della tariffa doganale comune (regolamento 

(1) La Corte di giustizia ha avuto gi� pi� volte occasione di interpretare 
voci della tariffa doganale comune (v. sentenze rese nelle cause 98 e 99/75, 
37/75, 35/75, 185/73, 183/73, 149/73, 128/73, 49/73, 80/72, 38/72, 18/72, 92/71, 36/71, 
77/71, 21/71, 30/71, 14/71, 13/71, 12/71, 51/70, 28;70, 74/69, 72/69, 40/69). affermando, 
in via di principio, che gli Stati membri non possono emanare, anche in difetto 
di una formale interpretazione comt,Jnitaria, note esplicative relative alle voci 
tariffarie; che in mancanza di disposizioni comunitare le note esplicative ed 
i pareri contemplati nella Convenzione di Bruxelles sulla nomenclatura per -la 
classificazione delle merci nelle tariffe doganali hanno il valore di mezzo idoneo 
per l'interpretazione delle voci della tariffa doganale comune; che la classificazione 
delle merci prevista nei regolamenti comunitari sulla organizzazione 
comune dei mercati agricoli � tassativa ai fini della riscossione dei dazi doga

34 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

[C.E.E.] del Consiglio 28 giugno 1968, n. 950 [G.U. n. L 172]), modificato 
da successivi regolamenti) vada interpretata nel senso che la voce pi� 
specifica non prevale e la classificazione deve essere effettuata in base 
alle regole generali n. 3 b) o n. 3 e), qualora per la classificazione di 
un miscuglio vengano in considerazione due o pi� voci della tariffa, ciascuna 
delle quali faccia riferimento ad una delle materie di cui � composto 
il miscuglio. 

La questione � stata sollevata nell'ambito d'una controversia relativa 
alla classificazione doganale di piastrelle di fibra legnosa compressa per 
rivestimenti esterni, impregnate d'asfalto e ricoperte, nella parte anteriore, 
da uno strato di asfalto. 

La Oberfinanzdirektion di Colonia, convenuta nella causa principale, 
ha classificato il prodotto sotto la voce tariffaria 48.09 (lastre per costruzioni 
... di legno sfibrato). L'attrice nella causa principale sostiene invece 
che esso andava classificato sotto la voce 68.08 (lavori di asfalto). 

Secondo la regola generale d'interpretazione n. 3, qualora per il disposto 
della regola 2 b) o per qualsiasi altra ragione una merce appaia 
classificabile sotto due o pi� voci della tariffa, la classificazione va effettuata 
in base ai seguenti principi: 

� a) la voce pi� specifica deve avere la priorit� sulle voci di portata 
pi� generale; 
b) i miscugli ed i lavori composti da materie diverse, nonch� i lavori 
costituiti dall'unione di oggetti differenti, che non possono essere 

nati, mentre pu� avere carattete puramente indicativo per �quanto riguarda 
l'eventuale prelievo (principio enuneiato a proposito del regolamento del Consiglio 
28 giugno 1968, n. 865); e che le valutazioni concrete cui pu� dar luogo, 
nelle singole fattispecie, l'applicazione dei criteri stabiliti dalla tariffa doganale 
comune sono di competenza del giudice nazionale. 

La sentenza in rassegna va segnalata in quanto si riferisce alle stesse 
regole di interpretazione previste dalle disposizioni preliminari della tariffa 
doganale comune: regole conformi a quelle di Bruxelles, e gi� a suo tempo 
riprodotte alla lettera nelle disposizioni preliminari delle tariffe approvate con 

d.P.R. 21 dicembre 1961, n.1339 e d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723. 
Altri criteri generali di interpretazione e di classificazione sono stati enunciati, 
in particolare, nelle sentenze 18 febbraio 1970, nella causa 40/69, HAUPrZOL� 
LAMT HAMBURG, Racc., 69; 18 giugno 1970, nella causa 74/69, HAUPrZOLLAMT 
BREMEN�FREIHAFEN, Racc., 451; 14 luglio 1871, nella causa 12/71, HENK, Racc., 743; 
12 dicembre 1973, nella causa 149/73, WITT, Racc., 1587; 8 maggio 1974, nella 
causa 183/73, OsRAM, Racc., 477; 29 maggio 1974, nella causa 185/73, HAUPrZOL� 
LAMT BIELEFELD, Racc. 607; e, da ultimo, 18 febbraio 1975, nelle cause 98 e 99/75, 
CARSTENS. 

Va segnalato, infine, che la tariffa doganale comune allegata al regolamento 
del Consiglio 28 giugno 1968, n. 950 � stata sostituita, con effetto dal 
1� gennaio 1976, con il regolamento del Consiglio 17 dicembre 1975, n. 3000, 
con talune modifiche anche per quanto concerne le regole generali per l'interpretazione 
della nomenclatura. 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

classificati in b�se alla norma di cui alla precedente lettera 3 a), devono 
essere classificati, qualora una tale determinazione sia possibile, secondo 
la materia o secondo l'oggetto che conferisce loro il carattere essenziale; 

e) qualora le n:orme di cui alle lettere 3 a) e 3 b) non consentano 
ancora di effettuarne la classificazione, la merce deve essere classificata 
nella voce che comporta l'applicazione del dazio pi� elevato e, se il dazio 
� lo stesso per pi� voci, in quella fra di esse che figura per ultima nell'ordine 
progressivo della nomenclatura della tariffa�. 

� pacifico che i sovraindicati criteri sub a), sub b) e sub e) entrano 
in gioco nello stesso ordine in cui sono elencati. 

Ci si pu� chiedere allora se la voce 48.09 che, nella fattispecie, individua 
con precisione il prodotto di cui si tratta (lastre per costruzioni) non 
sia pi� specifica della voce 68.08, la cui dizione � assai pi� vaga (Lavori 
...). Se cos� fosse, si potrebbe infatti -anzi si dovrebbe -applicare 
la regola dell'art. 3 a). 

Il giudice nazionale proponente teme per� che una simile interpretazione, 
fondata esclusivamente sulla forma del prodotto. ,e tale da trascurare 
le materie che lo costituiscono, possa portare a risultati arbitrari 
ed i suoi dubbi sembrano condivisi dalla Commissione, a quanto risulta 
dalle osservazioni che quest'ultima ha presentato alla� Corte. 

Tanto il giudice nazionale quanto la Commissione si richiamano in 
proposito alle note esplicative della nomenclatura di Bruxelles, fatte proprie 
dalla tariffa doganale comune. Nelle. predette note si legge che � due 

o pi� voci tariffarie, ciascuna delle quali si riferisca ad una sola delle 
materie che costituiscono un miscuglio od un lavoro composto, vanno considerate, 
per quanto riguarda il suddetto prodotto od articolo, come 
ugualmente specifiche, anche qualora una di esse ne fornisca una descrizione 
pi� precisa o pi� completa �. 
Se, in casi come quello di specie, nei quali una merce pu� essere 

classificata sotto due distinte voci relative a materie diverse, si adottasse 

ai fini della classificazione la voce che meglio descrive la forma del pro


dotto, il risultato dipenderebbe in realt� da circostanze fortuite, estranee 

agli scopi della protezione doganale. 

Dal punto di vista doganale � spesso molto pi� importante la com


posizione del prodotto, che deve perci� essere considerata come un ele


mento essenziale nella classificazione del medsimo. 

La questione va quindi risolta nel senso che, qualora un miscuglio 
sia classificabile sotto due o pi� voci tariffarie, ciascuna delle qu�li si 
riferisca ad una delle materie che lo costituiscono, nessuna di tali voci 
pu� venir ritenuta pi� specifica delle altre per il semplice fatto che essa 
fornisce del prodotto una descrizione pi� precisa o pi� completa. Di conseguenza, 
la classificazione del suddetto prodotto dovr� essere effettuata 
in base alle regole d'interpretazione nn. 3 b) o 3 e). -(Omissis). 


36 'RASSEGNA' DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 gennaio 1976, 
nella causa 60/75 -Pres. Lecom:t -Avv. gen. Reischl -Domanda d� 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Bovino nella causa 
Russo (avv. Cappelli e De Caterini) c. A.I.M.A. -Interv.: Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Marenco) e Governo italiano (avv. Stato 
Marzano). 

Comunit� europee -Agricoltura � Organizzazione comune dei mercati nel 
settore dei cereali �Vendite da parte di uno Stato membro a prezzo 
inferiore al prezzo indicativo � Incompatibilit� con� l'organizzazione 
comune dei mercati. 

(Regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120). 

Comunit� europee � Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel 
settore dei cereali � Situazione giuridica del produttore. 
(Regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120). 

Comunit� europee � Agricoltura . Organizzazione comune dei mercati nel 
settore dei cereali � Attivit� di uno Stato membro in contrasto cori l� 
normativa comunitaria � Responsabilit� nei confronti dei �singoli ~ 
Disciplina applicabile. 
(Regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120). 

L'attivit� di uno Stato membro consistente nell'acquistare grano duro 
sul mercato mondiale e nel r�venderlo poi sul mercato c�munitario a 
prezza inferiore al prezzo indicativo � incompat�ibile con l'organizzazione 
comune dei mercati istituita con il regolamento del Consiglio 13 giugno 
1967, n, 120 (1). 

Il singolo produttore ha diritto, iri forza della disciplina comunitaria, 
a che non vengano frapposti ostacoli alla possibilit� di ricavare un prezzo 
che si avvicini a quello indicativo e che, comunqu�; non sia inferiore 
a quello indicativo (2). 

Nell'ipotesi che il� danno causato al produttore derivi da un intervento 
dello Stato membro in contrasto col diritto comunitario, questo 
dovr� risponderne, nei confronti del soggetto leso, in conformit� alle 
disposizioni di diritto interno relative alla responsabilit� della pubblica 
amministrazione (3). 

(1) Interventi dello Stato sul mercato nazionale e responsabilit� nei 
confronti dei singoli per attivit� in contrasto con la normativa comunitaria. 
1. -La causa alla quale si riferisce la decisione in rassegna (massimata 
nei termini risultanti dal dispositivo) trae origine dalle vendite di grano duro i. 
effettuate dall'A.I.MA., ai sensi dell'art. 7 del dl. 21 luglio 1973, n. 427 (conver-;:' 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS�. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

37 

(Omissis). -5. -Il pretore di Bovino, ritenendo che per la soluzione 
-della controversia sia necessaria un'interpretazione del diritto com:unitaTio, 
con ordinanza 2 maggio 1975 ha sospeso il procedimento ed ha sot


toposto alla Corte di Giustizia, a norma dell'art. 177, le seguenti que:
stioni pregiudiziali: 

� 1) se l'esistenza di un'organizzazione comune del mercato dei cereali 
-consenta agli Stati membri l'adozione di misure unilaterali che, tramite 
nperazioni commerciali effettuate proprio dall'organismo di intervento de;;
ignato ai fini dell'applicazione del regolamento n. 120/67, si traducano 
in un'alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi previsto� dalle 
.1orme comunitarie e in una distorsione del commercio intracomunitario; 

2) se l'acquisto di un quantitativo di grano duro da parte di un organismo 
di intervento di uno Stato membro effettuato sul mercato mon
�diale ad un certo livello di prezzo e la successiva rivendita all'interno di 
�uno Stato membro a un prezzo inferiore a quello di acquisto e addirittura 
inferiore al prezzo di intervento, abbia o meno l'effetto di una sovvenzione 
all'imp9rtazione del prodotto in questione (nella specie grano 
-duro); 

3) se, posto che le disposizioni del regolamento n. 120/67 del Consi
�glio e successive modalit� sono direttamente applicabili nell'ordinamento 

tito, con mod1ficazioni, con legge 4 agosto 1973, n. 496), fo considerazione della 
grave situazione di penuria determinatasi nel mercato interrio, ed in parti
�colare per porre gli operatori interessati in grad� di produrre 1a past� di 
.grano duro destinata al consumo interno; e le vicende relative, negli anni 
1973-1974, a tale prodotto (con speculazioni e accaparramento di prodotti, e 
costi . supplementari non�� suscettibili di compensazione, per quanto disposto 

dell'art. 4-bis del regolamento del Consiglio 12 magg�o 1971, Ii. 974) sono troppo 
:r�ote perch� occorra: ricordarle e commentarle in questa sede' 

Le iniziative dell'A.I.M.A. avevano gi� .indotto una: ditta fr�ricese a prortiuo
�vere azione di responsabilit� nei �confronti della Commissione delle Com1mit� 
europee, per il risarcimento del danno che assumeva derivatole dall'avei' la 
�Commissione omesso di instaurare il procedimento di cui all'art. 93, n. 2, del 

trattato CEE; ma con sentenza 21 gennaio 1976, resa nella causa 40/75, BERTRANo; 
la Corte� di giustizia ha rigettato la domanda di risarcimento, per essere stat� 
evidenziato dalla Commissione CEE, sulla base degli elementi forniti dalle com~ 
petenti autorit� italiane, che le vendite di grano duro a prezzo inferiore a 
.quello delle quotazioni interne non avevano avuto alcuna incidenza negli scambi 
intracomunitari, e comunque per non aver la ricorrente provato il nesso di 
.causalit� tra le iniziative dell'A.I.M.A. ed il dedotto minor prezzo di vendita 
delle paste alimentari italiane ed il calo subito nelle proprie vendite. 

Con la sentenza in rassegna, resa in sede di interpretazione, la Corte di 
giustizia ha invece esaminato la questione sotto il profilo della incidenza delle 
vendite sui prezzi nazionali e del pregiudizio che ne potrebbe essere derivato 
al produttori di grano duro, ed � pervenuta alle conclusioni risultanti dal sopra 
riprodotto dispositivo, con riferimento concreto, peraltro, ad una sola delle 
-Operazioni effettuate dall'A.I.M.A., ed in particolare ad una delle due sole ven




RASSEGNA DELL'AWC><;ATURA DELLO STATO 

,italiano, esse facciano sorgere negli operatori del settore un diritto a che 
tl'On venga turbato il normale gioco dei meccanismi previsti dall'organizzazione 
comune di mercato circa la formazione dei prezzi: diritto suscetti.
bile di immediata tutela da parte dei giudici nazionali; 

4) in caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, stabilire 
se l'intervento dello Stato membro come sopra qualificato sia comportamento 
da considerarsi antigiuridico e, quindi, costituisca una violazione 
della situazione giuridica attribuita dalle norme comuniti;1rie all'operatore 
ec9nomico privato; 

5) se, in ca,so di risposta affermativa al quesito precedente, esiste nel 
diritto c<;>munitario un principio che riconosce ai soggetti pri\Tati -titolari 
delle situazioni giuridiche qualificate dalle norme del regolamento 

n. 120/67 -<J,i andare completamente e in ogni modo' esenti da,lle conseguenze 
patrimoniali pregiudizievoli risultanti dall'illegittimo COJJlportamento 
dello Stato membro, in particolare quando si tratti dell'organismo 
di intervento'" -(Omissis). 
(Omissis). -A.U\u;lienza del 18 novembre 1975, hanno presei;i,tato osservazioni 
orali il Sig. Russo, rappresentato dagl.i avvocati CappelU e 

dite in cui il prezzo � risultato effettivamente inferiore a quello di intervento 
(mentre nelle numerose altre vendite, pure documentate, il �prezzo risuHa~@ 
sempre maggiore sia del prezzo di intervento che del prezzo indicativo),. � � 

2. � La decisione della Cort,e costituisce, evidentemente, espressione dell'orientamento 
gi� ado.ttato con la nota sentenza 23 gennaio 1975, re11a n,ella 
causa 31/74, GALLI (Rac�., 47, e. �t questa Rassegna, 1975, I, 312): e vanno anclw 
in questa occasione ricbiamate, . q~indi, le perplessit� espresse nella nota di 
commento di tale preced'ilnte, pur dovendosi rilevare che le preclusive ~ffermazioni 
di principio contenute nella sentenza Galli appaiono in certa mis.,ra 
�ttenuate, specialmente per quanti> C01lcerne il potere di intervento degli Stati 
mel'.hbri, che veniva esclu~o a priori (1,:fr. punto 29) e che risulta ora riconosciuto 
(come gi� in talune :parti qella precedente sentenza: cfr. punto 15), nei 
limiti in cui non pregiudichi gli obiettM ed il funzionamento delle organizzazioni 
comune dei mercati agricoli: criterio che conferma, necessariamente, la 
titolarit� di un potere di intervento, e ri.solve quindi ogni questione di merito, 
secondo ben diversa prospettiva, in una indagine sul modo legittimo o non 
legittimo con il quale il singolo Stato abbia tale potere esercitato (cfr., per 
utili spunti, artt. 224 e 225 del Trattato). 
Come � noto, l'orientamento d~la Corte di giustizia � fondato sull'affermata 
completezza ed autosufficienza dell'organizzazione comune dei mercati, sulla 
inammissibilit� di interventi nazionali non espressamente consentiti dalla normativa 
comunitaria, ed in particolare sulla idoneit� delle norme di cui agli 
artt. 19, 20 e 27 del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120 (per 
quanto concerne il settore dei cereali) a consentire � alla Comunit� ed agli 
Stati membri di fronteggiare qualsiasi perturbazione � e � ad ogni Stato membro 
di adottare, in collegamento con le istituzioni comunitarie e nel pi� breve 
termine, le iniziative necessarie per il caso in cui il-gioco normale dei sistemi 
di prezzi istituiti dal regolamento non consenta di far fronte a tendenze non 


PARTI: I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 39 

De Caterini, il Governo italiano, rappresentato dall'avvocato Marzano, e 
la Commissione, rappresentata dal Dr, Marenco. 
Gli elementi nuovi messi in luce nei loro interventi si possono riassumere 
come segue: 

Secondo il Governo italiano, la questione essenziale, fra quelle formulate 
dal giudice nazionale, � la terza; la sua soluzione in senso negativo 
potrebbe dispensare la Corte dal risolvere le altre questioni. 

Il problema che viene sollevato consiste nello stabilire se i regola-menti 
comunitari attribuiscano ai singoli il diritto di ottenere un certo� 
livello di prezzi. 

Ora, non sembra possibile riconoscere ai produttori di grano duro� 
un diritto di questa portata. Se si ammette che .J.e norme comunitarie� 
relative all'organizzazione comune dei mercati attribuiscano ai singoli un 
diritto del genere, � necessario andare fino alle estreme conseguenze di. 
tale premessa, il che implica anzitutto che il produttore potrebbe sinda�� 
care, in sede giurisdizionale, l'esercizio dei poteri spettanti alla Commissione; 
ma, considerato che il regolamento comunitario � volto anche alla 
tutela del consumatore, dovrebbe ammettersi la stessa possibilit� a fa. 
vore di quest'ultimo. Il consumatore che si vedesse leso in un diritto� 

auspicabili che si siano manifestate nell'andamento dci prezzi nello Stato� 
stesso � (cfr. sentenza Galli, punti 16 . e 22); ed � appunto sulla validit� di tali 
presupposti che sembra possibile formulare invece riserve, per la ipotesi di 
perturbazioni riferite al territorio (o a parte del territorio) di un solo Stat0> 
membro. 

3. � Al riguardo sembra potersi anzitutto rilevare che l'indagine dovrebbeessere 
condotta secondo una diversa impostazione di principio, considerato che 
gli Stati membri sono per loro natura sovrani (s� che un difetto di potere� 
� ipotizzabile nei limiti in cui tale potere risulti trasferito alla Comunit�: 
v. conclusioni avv. gen. Warner nella causa Galli e sentenza 18 febbraio 1970,. 
nella causa 40/69, HAUPTZOLLAMT HAMBURG, Racc., 69, e Foro it., 1970, IV, 132),. 
mentre ciascuna istituzione comunitaria � tenuta ad agire, a norma dell'art. 4,. 
secondo comma, del trattato CEE (che pur essendo contemplato tra i Principi 
del trattato sembrerebbe del tutto negletto), �nei limiti delle attribuzioni che� 
le sono conferite dal presente Trattato �. 
L'indagine va quindi rivolta ad accertare non tanto se possano gli Stati 
membri adottare determinate iniziative, quanto piuttosto a verificare se per� 
tali iniziative possano assumersi � competenti le istituzioni comunitarie, per 
essere evidente che solo condizionatamente all'esito positivo di tale verifica 
potr� escludersi che il potere di intervento in esame possa essere esercitato� 
dagli Stati membri; ed � sotto questo profilo che sembrano invero quantomeno 
discutibili le preclusive conclusioni alle quali � pervenuta in argomento� 
la Corte di giustizia. 

La lettura degli a,rtt. 19 e 20 del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, 

n. 120 (relativi oltretutto alla ipotesi di eccedenze, pi� che a quella di penurie) 
consente infatti di rilevare che le norme si riferiscono, in coerenza con la. 
ratio e le finalit� del sistema, alle perturbazioni che interessino il territori0> 

40 

RASSEGNA DELL'Av\'OCATURA DELLO STATO 

an�logo a qu�llo del produttore, cio� quello di poter pagare un prezzo 
,giusto, potrebbe chiamare in causa le istituzioni comunitarie. 

Il Governo italiano sostiene che al produttore spetta un solo diritto 
integralmente tutelato dalla normativa comunitaria, e cio� quello di vendere 
i suoi prodotti all'ente d'intervento, al prezzo d'intervento. Al di 
fuori di questo diritto, o si ammette che qualsiasi produttore o consumatore 
possa sindacare l'esercizio clei poteri conferiti alla Commissione, 
-0ppure occorre stabilire quali siano, fra le norme direttamente efficaci di 

�Cui trattasi, quelle che attribuiscono diritti soggettivi. 
Secondo lo stesso Gov~rno, le conseguenze di una soluzione affermativa 
della questione sarebbero inammissibili, tanto da far apparire neces-
saria la soluzione in senso negativo. 

In merito alla quinta questione, il Governo italiano ricorda che l'art. 
.215 del Trattato C.E.E. disciplina unicamente la responsabilit� della Comunit�. 
Nei confronti del cittadino, la responsabilit� dello Stato rimane 
necessariamente disciplinata dagli ordinamenti nazionali. Non basta che 
la Corte affermi la responsabilit� degli Stati, nei confronti dei sirigoli, 
.cos� come pu� dichiarare quella della Comunit�. L'uniformit� cui tenderebbe 
una siffatta pronunzia non potrebbe essere raggiunta. L'obiettivo 

�omunitario nel suo complesso, e precisamente alle perturbazioni nel caso 
in' cui il prezzo cif � superf notevolmente il prezzo d'entrata� (e �per ci� 
.stesso � possibili), ed a quelle suscettibili di compromettere, � a causa delle 
.importazioni o delle esportazioni �, � gli obiettivi dell'articolo 39 del trattato 
negli scambi con i paesi terzi�; e� la limitata operativit� di tali disposizioni � 
�del resto confermata dalle norme emanate, rispettivamente, con i regolamenti 
-0.el Consiglio 19 luglio 1973, n. 1968 (modificato con regolamenti 28 settembre 
1973, n. 2632, 21 marzo 1974, n.. 676, e 13 gem1aio 1975, n. 86) e 18 dicem-. 
�bre,.1969, n. 2591, che ne1 definire le norme generali applicabili nel settore dei 
,cercali in caso di perturbazione e le condizioni di applicazione delle misure 
-O.i. salvaguardia contemplano iniziative e misure riferite all'intero territorio 
della Comunit� (prelievi all'esportazione, sospensione del rilascio dei titoli di 
�esportazione o di importazione, ecc.) e comunque del tutto inidonee a sanare 
.situazioni di penuria localizzate (e dovute a fattori contingenti) ed a garantire 
.gli approvvigionamenti dei quali un solo Stato membro (o parte di esso) avverta 
la necessit�; . ed � sintomatico che il divieto di esportazione del grano duro 
<li origine italiana disposto con decisione della Commissione CEE 20 settem
�bre 1973, n. 292 non altro effetto abbia avuto se non quello di riversare sul 
mercato degli altri Stati membri (che garantiva maggiori profitti agli esportatori 
italiani) il grano duro di norma esportato nei Paesi terzi, senza nessun 
utile riflesso per la grave situazione pi� volte segnalata dalle competenti autorit� 
italiane, e che le iniziative adottate dall'A.I.M.A. erano appunto rivolte a 
fronteggiare. 

4. -� comprensibile, del resto, che una difficolt� di approvvigionamenti 
.che interessi uno solo degli Stati membri (o parte di esso) o relativa ad un 
prodotto il cui consumo abbia particolare rilievo in uno solo degli Stati membri 
(come, nella specie, il grano duro) non trovi adeguata rispondenza a livello 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

della discipl�na uniforme verrebbe di fatto compromesso dalla diversit� 
dei sistemi probatori e delle preclusioni processuali vigenti nei sir�goli 
Stati. 

Sulle questioni di merito, il Governo italiano osserva che � necessario 
accertare quali siano i poteri della Comunit� nel settore in questione, 
specialmente in caso di perturbazione del mercato, prendendo quindi in 
considerazione, in particolare, gli. artt. 19 e 20 del regolamento n. 120/67. 
Dall'esame di questi articoli risulta, a suo avviso, che detti poteri riguardano 
unicamente le perturbazioni del mercato comune, accertate nell'ambito 
della Comunit� e connesse alle importazioni ed alle esportazioni. 
Ora, si dovrebbe tener conto del fatto che una perturbazione pu� 
anche consistere, ad esempio, in una situazione di penuria in un Paese 
.o in una zona determinati. 

Il Governo italiano aggiunge, al riguardo, che non v'� provvedimento 
.che, alla lunga, non influisca sui prezzi, sia esso un aumento degli stipendi 
dei dipendenti statali, un diverso criterio di tassazione, o altro. 
Ma allora, se nell'ambito dell'organizzazione comune del mercato non 
resta alcuna competenza agli Stati membri, si dovr� pervenire alla con


.comunitario; ed � certo singolare (anche a prescindere dal fatto che la stessa 
Commissione C.E.E. aveva dato atto nella gi� segnalata decisione � che le importazioni 
di frumento tenero gi� effettuate in Italia in provenienza dagli altri 
Stati membri e dai paesi terzi non ha portato un miglioraii�ento della situa.
zione �) che l'avv. gen. Reischl, pur espressamente segnalando, nelle conclu' 
sioni presentate nella causa 40/75, che l'impiego del grano tenero' nella produzione 
delle paste alimentari �in Italia � vietato>>, abbia ritenuto di sottolineare, 
nelle conclusioni in pari data presentate per la causa 60/75, che gli enti 
di intervento tedesco, francese e belga avevano messo a disposizione dell'A.
l.M.A., a condizioni particolari, notevoli quantitativi di grano tenero � da 
utilizzarsi esclusivamente per �prodotti alimentari destinati al nutrimento della: 
popolazione�, quasi che la denunciata situazione di penuria potesse costituire 
utile strumento� per il condizionamento dei consumi. 

A parte la difficolt� di ritenere in contrasto �con la normativa comunitaria 
iniziative assunte, come nella Specie, in aderenza ad esplicite� disposizioni 
<lel Consiglio CEE (risoluzioni del 5 dicembre 1972, del 14 settembre 1973, 
e 17 dicembre 1973, con previsione di iniziative nazionali volte, tra l'altro, ad 
� una rigorosa sorveglianza delle condizioni di formazione dei prezzi dei prodotti 
e dei servizi ed eventualmente limitazione dei margini di profitto;>), dcr 
vrebbe in definitiva ammettersi la possibilit�, per uno Stato membro (ed in 
coerenza con la sua competenza in materia monetaria, valutaria e di bilancio), 
di adottare le misure imposte dalla necessit� di porre rimedio ad una situazione 
di pregiudizio limitata al territorio nazionale (o a parte di esso); e la 
legittimit� di tali interventi (che possono essere imposti anche da esigenze 
di ordine pubblico) andrebbe comunque riconosciuta, quanto meno, relativamente 
a perturbazioni dovute a cause diverse da quelle considerate nella normativa 
comunitaria (ed alle quali deve ritenersi limitata, per quanto sopra 
osservato, la competenza delle istituzioni comunitarie), e senza nemmeno ne.
cessit� di ricorrere all'applicazione dell'art. 103 del trattato C.E.E.: applica



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

w. 
elusione che questi non possono pi� adottare alcun provvedimento, nep-


pure di politica congiunturale, nei settori sottoposti ad una siffatta organizzazione. 


Il Governo italiano ritiene necessario osservare che provvedimenti 
di diritto interno i quali non influiscano sulla circolazione delle merci, n� 
sulla formazione dei prezzi sul mercato europeo -ed i provvedimenti 
adottati dall'A.I.M.A. rispettavano tali condizioni, com'� stato ammesso 
dalla Commissione nella causa 40/75 (Bertrand) -non possono essere 
incompatibili coi regolamenti comunitari. Altrimenti, l'autorit� nazionale 
competente dovrebbe rivolgersi agli organi comunitari ogni qualvolta in 
un Paese, una regione, o addirittura una citt�, venisse a mancare un 
prodotto soggetto ad organizzazione di mercato, e ci� anche qualora la 
situazione di penuria non dipendesse da fattori contemplati negli artt. 
19 e 20 del regolamento n. 120/67. Tale conclusione sarebbe assurda, in 
quanto impedirebbe, ad esempio, qualsiasi attivit� di beneficenza, come 
l'acquisto di scorte e la loro distribuzione ai poveri, operazioni eh~ influiscono 
anch'esse sui prezzi. 

zione che la Corte di giustizia ha com'� noto esclusa ,a priori, nonostante le 
contrarie argomentazioni desumibilkdall'art; 21 del 'regolamento del Consiglio 
13 giugno 1967, n. 120 (che vieta espressamente il ricorso all'art. 44 del Trattato) 
e dal richiamo, nelle norme sul mercato comune agricolo, ad altre disposizioni, 
del Trattato, e comunque con criterio diverso da quello adottato, per 
gli artt. 226 e 16 del Trattato, nelle sentenze 11 febbraio 1971, nella causa 
37/70, REWE-ZENTRALE, Racc., 23, e 26 febbraio 1975, nella causa, 63/74 CADSKY, 

Racc., 281. 

Diversamente invero, e per necessaria coerenza con le premesse, dovrebbe 
ritenersi, avuto riguardo anche alla evidente impossibilit� di predeterminare 
limitazioni territoriali, che di qualsiasi perturbazione o penuria che interessasse 
una sola regione o una sola provincia, o anche un solo comune del territorio 
comunitario, e quali che ne fossero le cause, andrebbero comunque interessate 
le istituzioni comunitarie, senza possibilit� per i responsabili di ciascun 
ente territoriale interessato di adottare provvedimenti suscettibili di influire, 
anche a livello locale, sulla formazione dei prezzi; cos� come dovrebbe ritenersi, 
dato che qualsiasi provvedimento pu� avere concreta incidenza sui 
prezzi di mercato, che ogni iniziativa andrebbe adottata con discriminazione 
tra prodotti agricoli e prodotti non agricoli (il che, ovviamente, nemmeno 
basterebbe ad escludere una incidenza riflessa), che nessun provvedimento 
nazionale sarebbe consentito, in contrasto con la normale ed incontestata 
prassi, relativamente agli ingredienti da utilizzare nella preparazione dei prodotti 
o alla forma, peso e caratteristiche delle confezioni (prescrizioni anch'esse 
suscettibili di influire sui prezzi), e che sarebbe �vietato agli Stati membri, 
per l'incidenza che ne potrebbe derivare nella f�rmazione dei prezzi, anche 
l'acquisto di notevoli quantitativi di prodotti o la loro distribuzione gra


tuita a titolo di beneficenza o di soccorso a popolazioni colpite da calamit�. 

N� pu� non essere rilevato, per quanto di utile pu� desumersi dal pa


rallelo, che all'esistenza di una organizzazione comune nazionale dei mercati' 

in un determinato settore non consta sia stata mai attribuita rilevanza pre-

II


~ 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 43 

Il Governo italiano ricorda che la Commissione ha deciso di vietare 
le esportazioni di grano duro, il che non ha certo risolto il prqblema 
in Italia. Esso si chiede se la Commissione non avrebbe potuto ridurre 
il prezzo al consumo, e sostiene, in proposito, che l'art. 103 del Trattato 

C.E.E. conserva la propria utilit� fino a quando non esista una politica 
economica comune in un settore in cui provvedimenti congiunturali siano 
operanti su un piano diverso da quello della produzione o del commercio 
del frumento. Sarebbe assurdo ipotizzare provvedimenti congiunturali 
limitati ai prodotti industriali, e che non abbiano alcuna influenza sul 
mercato dei prodotti agricoli. 
Il Governo italiano conclude che la Comunit� non � competente a 
dettare norme o ad intervenire, qualora si presentino situazioni anomale 
diverse da quelle considerate dai regolamenti comunitari. 

La Commissione ha sottolineato fra l'altro, in udienza, che nella sentenza 
Galli la Corte si � basata sull'esistenza di un'organizzazione comune 
di mercato, non gi� unicamente sul fatto che la fissazione dei prezzi massimi 
potesse costituire un ostacolo per gli scambi. -(Omissis). 

(Omissis). -In diritto. Con ordinanza 2 maggio 1975, pervenuta in 
cancelleria il 7 luglio 1975, il Pretore di Bovino ha sottoposto a questa 

elusiva di iniziative, normative o no, concernenti i prodotti oggetto della 

organizzazione comune. 

Quanto talune affermazioni di principio possano risultare contraddette 

dalla realt� economica e dalla incondizionabile esigenza di fronteggiare con


tingenti situazioni congiunturali rilevanti a livello locale � conferinato, del 

resto, dal fatto che un blocco dei prezzi del tutto analogo a quello censu


rato con la sentenza Galli veniva da altro Stato membro disposto poco dopo 

la pubblicazione della sentenza; cos� come iniziative analoghe a quelle adot


tate dall'A.I.M.A. sono state gi� altre volte assunte, e proprio per il grano 

duro e le paste alimentari, da altri Stati membri delle Comunit� europee. 

5. -Nella sentenza in rassegna non risultano considerate, inoltre, la rilevanza 
della duplice funzione svolta dall'A.I.M.A. (quale si desume dalla legge 
istitutiva e dall'art. 7 del dl. 24 luglio 1973, n. 427), ed in particolare la 
figura di singol� operatore che viene ad assumere quando interviene, all'interno 
del mercato (e non dall'esterno, ed autoritativamente), con attivit� 
obiettivamente imprenditoriali; e tale� prospettiva non sembra invece priva 
di conseguenze, quando si consideri che la impostazione adottata nella sentenza 
in rassegna (nella quale, oltretutto, l'A.I.M.A. sembra identificata con 
lo Stato) dovrebbe condurre ad escludere anche l'acquisto (e non la sola 
vendita) di notevoli quantitativi di prodotti agricoli (che comporterebbe un 
aumento dei prezzi a danno del consumatore, la cui tutela � specifico oggetto 
della normativa comunitaria), e ad affermare inoltre la incompatibilit� con 
il diritto comunitario delle iniziative con le quali un singolo operatore ritenesse 
di vendere in perdita sul mercato interno, per ragioni di concorrenza 
o per qualsiasi altro motivo di suo interesse, prodotti acquistati all'estero: 
iniziative non differenziabili, nell'ambito del mercato e sul piano economico.
commerciale (e quindi indipendentemente dalle diverse finalit� perseguite), 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA lJELl..O STATO 

w 

Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato C.E.E., varie questioni vertenti ~::' 
sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, 
che istituisce un'organizzazione comune di mercato nel settore dei ce~ 


reali (G.U. pag. 2269). 

Le questioni sono state� sollevate nel corso di un procedimento per 
risarcimento di danni, promosso da un produttore italiano di grano duro 
contro l'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (A;I.M.A.). 
L'attore si ritiene leso dall'attivit� di questo ente, consistente nell'acquistare 
ingenti quantitativi di grano duro sul mercato mondiale e nel rivenderli 
ai pastifici italiani a prezzi di gran lunga inferiorLnon solo a quelli 
d'acquisto, ma anche al prezzo d'intervento fissato secondo le norme 
relative all'organizzazione comune del mercato nel settore dei cereali. 

L'attivit� dell'A.I.M.A. era stata autorizzata dal Governo italiano, con 
provvedimento adottato per motivi .di politica antiinflazionistica ed inteso 
a garantire l'approvvigionamento dell'industria pastaria a prezzi che le 
conse:o.tissero di non produrre in perdita, nonostante i prezzi massimi 
imposti per la vendita, all'ingrosso e al minuto, dei prodotti finiti. 

da quelle adottate dall'A.I.M.A., e delle quali, tuttavia, il singolo operatore 
non potrebbe certo essere chiamato a rispondere per il pregiudizio che ne 
dovesse in ipotesi derivare agli altri produttori. 

6. -Quanto alla situazione soggettiva .dei singoli, la .Corte di giustizia, 
condividendo la soluzione proposta dal Governo italiano (diversa da quella 
sostenuta dalla Commissione C.E.E. e dall'avv. gen. Reischl), ha escluso che 
altro diritto possa riconoscersi al singolo produttore se non quello di realizzare 
un prezzo � che si avvicini a quello indicativo e che, comunque, non 
sia inferiore a quello d'intervento �, espressamente precisando che la incompatibilit� 
con la normativa comur:iitaria di determinati interventi nazionali 
� non implica, tuttavia, che sia legittima la pretesa di risarcimento fatta valere 
da un operatore che, avendo venduto i suoi prodotti ad un prezzo superiore 
a quello indicativo, ha fruito dei vantaggi che il regolamento tende a garantire
�, e che �il singolo agricoltore non pu� quindi legittimamente sostenere, 
in base al diritto comunitario, di aver subito un danno, qualora iI 
prezzo da lui ottenuto sul mercato sia superiore al prezzo indicativo �; e la 
preclusiva rilevanza, nella specie, di tale soluzione aveva appunto indotto 
il Governo italiano ad evidenziare che una risposta in tal senso al terzo quesito 
del giudice nazionale avrebbe reso del tutto superfluo (secondo criterio 
gi� pi� volte adottato dalla Corte di giustizia) l'esame delle altre questioni 
proposte, in merito alle quali la Corte 'ha ritenuto invece di doversi ugualmente 
pronunciare. 
7. -La interpretazione in argomento adottata dalla Corte di giustizia (e 
coerente con la impostazione prospettata dall'avv. gen. Warner nelle conclusioni 
presentate per la causa 31/74, gi� sopra richiamate) conferma in effetti 
la necessit� di distinguere, nell'ambito delle norme direttamente applicabili, 
quelle idonee ad attribuire diritti ai singoli e quelle che tali non sono, ed 
integra l'affermazione (contenuta nella sentenza Galli), secondo cui �nei settori 
di mercato considerati detti regolamenti garantiscono, con efficacia di-
I 



PARTE I, SEz. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

All'epoca dell'emanazione del suddetto provvedimento, i prezzi del 
mercato mondiale erano notevolmente superiori a quelli stabiliti in forza 
della disciplina comunitaria, ed il grano duro, la cui produzione nella 
Comunit� � deficitaria, non poteva essere esportato nei Paesi terzi. 

Dal fascicolo risulta, in primo luogo, che il prezzo praticato dal�� 
l'A.I.M.A. nel rivendere il prodotto ai pastifici era di circa 13.000 Lit. il 
quintale (e cio� inferiore al prezzo indicativo, il quale era dell'ordine di 

16.400 Lit., e perfino al prezzo d'intervento, che ammontava press'a poco� 
a 15.000 Lit.); inoltre, che il prezzo ottenuto dall'attore per una partita. 
di grano duro venduta nel gennaio 1975 era stato pari a 17.000 Lit. il 
quintale. 
Con le prime due questioni, il giudice nazionale chiede in sostanza 
se l'attivit� di unq Stato membro, consistente nell'acquistare grano durcr 
sul mercato mm;1diale e nel rivenderlo a prezzi inferiori a quello d'acquisto, 
o addirittura a quello d'intervento, sia compatibile con l'organizzazione 
comune del mercato nel settore dei cere~li. 

Le altre tre questioni riguardano la situazione soggettiva degli operatori 
in caso di illecita ingerenza dello. Stato nel sistema di formazione� 
dei prezzi contemplato dall'organizzazione comune del mercato, e le con-� 

retta a fawore dei singoli, la libera circolazione delle merci, �in particolare 
mediante la soppressione delle restrizioni quantitative e di qualsiasi misura 

d'effetto equivalente� (punto 33). 
Una diversa soluzione del resto, avuto anche riguardo ai meccanismi di 
determinazione dei prezzi indicativo e di intervento ed alle stesse iniziative 

consentite alle istituzioni comunitarie in ipotesi ai perturbazioni, avrebbe 
condotto ad ammettere la possibilit� di iniziative giudiziarie, nei confronti 
della Comunit�, da parte del produttore che deducesse (come nella specie) 
la lesione del suo �diritto di ottenere un certo livello dei prezzi >>, quante� 
volte si assumesse tale lesione causata dai criteri adottati nella determinazione 
dei prezzi comunitari, dalle iniziative assunte in caso di perturbazioni, 
o dalle stesse attivit� degli organismi d'intervento (quali gli acquisti 

o la distribuzione a fini assistenziali o per aiuti ai Paesi terzi); ed una situazione 
di diritto (e quindi la deducibilit� di una sua lesione) si sarebbe di 
conseguenza dovuta riconoscere non al solo produttore, ma anche al con-� 
sumatore, la cui tutela costituisce specifica finalit� della politica agricola 
comune (art. 39, n. 1, lett. d ed e, del trattato e.E.E.). 
8. -Con il principio di cui alla terza massima (in cui coincidono moti-� 
vazione e dispositivo) la Corte di giustizia si � pronuncata, infine, sulla re.� 
sponsabilit� degli Stati membri, nei confronti .dei singoli, per attivit� in con-� 
trasto con la normativa comunitaria, affermando che � nell'ipotesi che il danno 
causato al produttore derivi da un intervento dello Stato membro in contrasto 
col diritto comunitario, questo dovr� risponderne, nei confronti del 
soggetto leso, in conformit� alle disposizioni di diritto interno relative alla 
responsabilit� della pubblica amministrazione�; ed � questa, indubbiamente, 
la parte di maggior rilievo della decisione, specialmente quando si consideri 
che la necessit� di investire della questione la Corte di giustizia era stata 

46 

RASS�GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

seguenze relative al fatto che l'intervento statale si sia eventualmente 
risolto in una lesione dei diritti attribuiti ai singoli operatori dalle nor.
me comunitarie. 

Le questioni di cui sopra sono sorte in ragione del carattere dispositivo 
dei provvedimenti relativi all'intervento statale sul mercato dei 
.cereali, intervento che non aveva lo scopo di influire direttamente sulla 
formazione dei prezzi su detto mercato, bens� di argiaare l'aumento dei 
prezzi al consumo di� taluni generi alimentari a base di grano duro. 

Un intervento del genere, da parte di uno Stato membro, pu� essere 
.compatibile con l'organizzazione comune del mercato nel settore dei 
cereali soltanto qualora non metta in pericolo gli obiettivi o il funzionamento 
di tale organizzazione. 

Ora, uno dei principali obiettivi di quest'ultima, quello di garantire 
ai produttori un prezzo che si avvicini il pi� possibile a quello indicativo, 
viene messo in pericolo in quanto l'attivit� dell'ente statale pu� influire 
.sull'andamento del mercato e provocare una tendenza al ribasso, per cui 
:i prezzi vengano a situarsi al di sotto del livello del prezzo indicativo. 

Si deve perci� concludere che l'attivit� di uno Stato membro consistente 
nell'acquistare grano duro sul mercato mondiale e nel riven


cravvisata dal giudice nazionale nell'espresso rilievo che dalla pronuncia di interPretazione 
dipendesse la soluzione della controversia � anche ai fini della 
giurisdizione �. 

La rilevanza del principio enunciato in argomento dalla Corte di giustizia 
si evidenzia, in particolare, nel raffronto con le varie soluzioni che 
.erano state proposte nel giudizio di inte11Pretazione. 

La parte attrice del giudizio di merito, invero, aveva proposto di rispondere 
ai quesiti al riguardo rivolti dal giudice. nazionale affermandosi che � la 
violazione di situazioni soggettive attive che trovino nel diritto comunitario 
�direttamente applicabile la loro fonte e la loro disciplina, implica in ogni caso 
per i giudici nazionali l'obbligo di reintegrare -facendo ricorso agli strumenti 
loro offerti dai rispettivi ordinamenti interni -le conseguenze patrimoniali 
pregiudizievoli subite dai titolari di dette situazioni soggettive per 
il fatto della violazione >>. 

La Commissione C.E.E., dopo aver richiamato i princ�pi enunciati dalla 

�Corte di giustizia in tema di responsabilit� aquiliana delle Comunit� e le varie 
.sentenze rese anche in tema di responsabilit� per atti normativi, e sostenuto 
.che la questione concernente la responsabilit� degli Stati membri non potesse 
.avere differente soluzione, riteneva che dovesse in argomento affermarsi che 
� spetta agli Stati membri definire le condizioni e gli effetti delle azioni a 
tutela del diritto sub 2 (del diritto del produttore, cio�, a che gli Stati mem.
bri si astengano da interventi quali quello in discussione: diritto che la 

�Commissione aveva ritenuto ravvisabile). Gli Stati membri hanno comunque 
l'obbligo di mettere a disposizione dei privati i mezzi necessari ad assicurare 
una tutela adeguata ed efficace di questo diritto >>. 
L'avv. gen'. Reischl, infine, aveva in argomento concluso proponendo alla 

�Corte di affermare che � l'obbligo di garantire l'effettiva tutela di tali diritti 
<quelli a suo avviso derivanti ai singoli dalle norme in materia di prezzi) 

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 47 

derlo poi sul mercato comunitario a prezzo inferiore al prezzo indicativo 
� incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati nel settore 
dei cereali. 

Ci� non implica, tuttavia, che sia legittima la pretesa di risarcimento 
fatta valere da un operatore che, avendo venduto i suoi prodotti ad un 
prezzo superiore a quello indicativo, ha fruito dei vantaggi che il regolamento 
tende a garantire. 

Il singolo produttore, infatti, ha diritto in forza della disciplina comunitaria, 
a che non vengano frapposti ostacoli alla possibilit� di ricavare 
un prezzo che si avvicini a quello indicativo e che, comunque, non sia 
inferiore a quello d'intervento. 

Il regolamento n. 120/67 � per l'appunto inteso a porre lo sviluppo 
dell'agricoltura comunitaria al riparo dalle variazioni dei prezzi mondiali 
e, in tal modo, a garantire un equo tenore di vita alla popolazione agricola, 
nonch� a stabilizzare i mercati mediante un sistema comunitario 
di prelievi e restituzioni, che costituiscono, per il buon funzionamento 
del mercato comune agricolo, una protezione contro i rischi del mercato 
mondiale. 

Detto regolamento non mira, quindi, a garantire agl'interessati il diritto 
di trarre profitto dalle alee congiunturali, qualora il livello dei 

comporta, in presenza delle altre condizioni richieste al riguardo dal diritto 
interno, la responsabilit� dello Stato membro per i danni causati dalla violazione 
del diritto comunitario �. 

9. -Le varie conclusioni riprodotte, e la motivazione che di esse risulta 
data nelle memorie scritte, consentono di avvertire meglio la effettiva portata 
del principio enunciato dalla Corte di giustizia, per la particolare rilevanza 
che viene ad assumere, nell'ambito della prospettiva discussa tra le 
parti, il riferimento della Corte alle disposizioni di diritto interno � relative 
alla responsabilit� della pubblica amministrazione�; ed � sintomatico, in argomento, 
che anche l'avv. gen. Reischl, dopo aver richiamato la nota sentenza 
19 dicembre 1968, nella causa 13/68, SALGOIL (Racc., 601), sul dovere dei giudici 
nazionali di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dalla normativa comunitaria, 
abbia precisato che, � ove siano presenti anche le altre condizioni 
richieste dal diritto interno, si pu� pensare ad una domanda di risarcimento 
contro lo Stato membro che non abbia rispettato il Trattato�. 
Il Governo italiano del resto, intervenuto nella sola fase orale del giudizio 
di interpretazione, aveva sottolineato la necessit� di considerare ia questione 
sulla responsabilit� degli Stati membri nei confronti dei singoli come 
questione da risolvere sulla sola base del diritto interno, per aver il Trattato 
disciplinato, con l'art. 215, la sola responsabilit� della Comunit�. 

Anche a prescindere da tale preliminare e pur assorbente considerazione 
(gi� sufficiente ad imporre di valutare la responsabilit� degli Stati membri nei 
confronti dei singoli sulla base delle norme di ciascun ordinamento nazionale), 
� comunque evidente che un'affermazione di principio sulla esigenza di 
un uniforme criterio risulterebbe in concreto inoperante, per la contraria incidenza 
che avrebbero, in. ogni caso, la differente normativa sostanziale (deca


.5 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

48 

prezzi mondiali superi quello ritenuto auspicabile per la realizzazione 
degli obiettivi dell'organizzazione comune del mercato. 

Il singolo agricoltore non pu� quindi legittimamente sostenere, in 
base al diritto comunitario, di aver subito un danno, qualora il prezz0> 
da lui ottenuto sul mercato sia superiore al prezzo indicativo. 

Spetta al giudice nazionale, considerate le circostanze del caso, di. 
accertare di volta in volta l'eventuale esistenza di tale danno. 

Nell'ipotesi che il danno derivi dalla violazione di una norma di 
diritto comunitario da parte dello Stato, questo dovr� risponderne, nei 
confronti del soggetto leso, in conformit� alle disposizioni di dirittointerno 
relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione. -� 

(Omissis). 

denza, prescnz1one, preclusioni, sanzioni, ecc.), la diversit� dei sistemi giudiziari, 
le differenti forme e prescrizioni procedimentali, ed in particolare le 
stesse diverse � condizioni � richieste, in ciascun ordinamento nazionale, per 
le iniziative giudiziali in danno della pubblica amministrazione. 

lei. -Certamente, sarebbe auspicabile che tutti gli Stati membri fossero� 
tenuti a rispondere nei confronti dei singoli, nell'ambito dell'ordinamento comunitario, 
e nella ricorrenza di analoghe situazioni, secondo uniformi criteri,. 
perch� solo in tal caso verrebbe ad essere garantita ai cittadini comunitari,. 
indipendentemente dalla loro nazionalit�, la stessa tutela in ipotesi di lesione, 
da parte delle autorit� nazionali, dei diritti attribuiti dalla normativa comunitaria. 


� altrettanto evidente, per�, che tale obiettivo non sarebbe comunque: 
conseguito con una sola affermazione di principio sulla esigenza di garantire� 
in modo uniforme la tutela dei singoli, n� tale uniformit� di tutela sarebbe 
in tal modo di fatto assicurata, fin quando una stessa azione risulter� poi 
in concreto consentita, secondo condizioni e forme proprie di ciascun ordinamento 
interno, entro termini diversi e con differenti conseguenze; e si spiega 
e si giustifica quindi, in difetto di valide ed efficaci alternative, che lo Stato 
membro sia tenuto a rispondere nei confronti dei singoli, secondo il prin 
cipio enunciato dalla Corte di giustizia, �in conformit� alle disposizioni di� 
diritto interno relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione �. 

A. M

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 maggio 1975, n. 2000 -Pres. Mac� 
carone -Rel. Simoncelli -P. M. Berri (conci. conf.) -Ordine Mauriziano 
(avv. Stato Freni) c. Paviolo Marina. 

Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Ente 
pubblico non economico -Licenziamento del dipendente -Richiesta 
di un provvedimento d'urgenza -Giurisdizione amministrativa. 

(I. 5 novembre 1962, n. 1596, art. 12; I. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6; I. 6 dicembre 1971, 
n. 1034, art. 3). 
Se il giudice ordinario difetta di giurisdizione in ordine alla domanda 
principale -illegittimit� del licenziamento -a maggior ragione il giudice 
stesso non pu� avere giurisdizione in ordine alla richiesta di un 
provvedimento di urgenza che tenda a reintegrare, anche in via provvisoria, 
nell'impiego pubblico il dipendente licenziato e che comporti, ovviamente, 
la sostituzione del giudice ordinario alla pubblica amministrazione, 
nella ricostituzione di un rapporto risolto (1). 

(Omissis). -Con la sua istanza, l'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, 
richiamata la propria natura di ente pubblico non economico, ai sensi 
della disposizione finale XIV della Costituzione e della legge 26 ottobre 
1962, n. 1596, ribadisce la tesi prospettata col ricorso per regola


(1) Il caso di specie riguardava un'insegnante straordinaria di ruolo di 
scuola elementare organizzata dall'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. In occasione 
della cessazione del rapporto d'impiego, disposto dall'Ente, l'interessata 
aveva chiesto inizialmente la reintegrazione nel posto di lavoro, previa dichiarazione 
di illegittimit� del licenzh:imento; successivamente, proposto dal predetto 
Ente, istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, il Pretore 
aveva sospeso il processo, ma la Paviolo aveva chiesto, con riferimento all'art. 
700 c.p.c., di essere provvisoriamente reintegrata nel posto di lavoro. 
La coeva sentenza n. 2001, pronunciata tra le stesse parti e con la quale 
si riafferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, nel senso 
che appartiene alla giurisdizione del Giudice amministrativo l'impugnazione 
del licenziamento -assunto come illegittimo -del dipendente di un ente 
pubblico non economico (quale � l'Ordine mauriziano), � pubblicata in Foro 
it. 1975, I, 1954. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mento preventivo del 5 febbraio 1973 -secondo la quale la controversia 

proposta dalla Paviolo, riferendosi ad un rapporto di pubblico impiego, 

rientra nella competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, non 

derogata dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 -ed osserva che 

la ulteriore domanda ex art. 700 cpc. incontra la medesima preclusione 

del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, che si presenta in mi


sura ancora pi� marcata, in quanto la domanda anzidetta tende al con


seguimento di una pronuncia con cui il giudice dovrebbe sostituirsi 

all'ente pubblico nella ricostituzione, sia pure provvisoria, di un rapporto 

cessato. 

L'istanza dell'Ordine mauriziano � fondata. 

Il rapporto dedotto in giudizio dalla Paviolo presenta tutti i carat


teri del tipico rapporto di pubblico impiego, sussistendo sia la natura 

di ente pubblico del datore di lavoro, sia l'atto formale di nomina della 

dipendente, sia l'estremo della prestazione continua, da parte della mede


sima, di un'attivit� lavorativa retribuita e subordinata, correlata ai fini 

istituzionali dell'ente. 

La natura di ente pubblico non economico dell'Ordine dei SS. Mau


rizio e Lazzaro deriva, infatti, oltre che �.alla richiamata disposizione 

finale della Costituzione (che conserva l'Ordine come �ente ospedaliero�) 

dalla legge 26 ottobre 1962 n. 1596, che riconosce all'Ordine mauriziano 

personalit� di diritto pubblico (art. 2), precisando che lo stesso persegue 

fini � di beneficienza, di istruzione e di culto �. L'atto formale di nomina 

� costituito dalla deliberazione del 27 luglio 1968, n. 16/54, con cui la 

Paviolo fu nominata insegnante straordinaria di ruolo della scuola ele


mentare mauriziana di Torre Pellice. La continuit� della prestazione, con 

le modalit� innanzi precisate, risulta dall� prospettazione dei fatti data 

dalla stessa attrice con la citazione del 13 ottobre 1972. 

Non pu� sussistere dubbio, pertanto, circa la competenza giurisdi. 
zionale del giudice amministrativo a conoscere della controversia relativa 

alla pretesa illegittimit� del licenziamento, essendo demandato al �detto 

giudice, in via esclusiva, ai sensi dell'art. 29 n. 1, t.u. 26 giugno 1924, 

n. 1054 e dell'art. 7 1. 6 dicembre 1971, n. 1654, il contenzioso in tema 
di pubblico impiego. N� pu� ritenersi che la detta competenza giurisdizionale 
trovi alcuna deroga nell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, 
poich� -come � stato pi� volte affermato da queste Sezioni Unite (v. le 
�sentenze 13 luglio 1974, n. 2115, 7 maggio 1973, n. 1199 e 22 agosto 1972, 

n. 2702) -la competenza funzionale attribuita dall'ultimo comma del 
menzionato articolo al pretore, in tema di licenziamenti individuali, non 
incide sui principi generali in materia di delimitazione della giurisdizione, 
e lascia quindi inalterati i criteri della ripartizione della giurisdizione 
stessa tra l'autorit� giurisdizione stessa tra l'autorit� giudiziaria ordinaria 
e quella amministrativa. 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 51 

Se il giudice ordinario, pertanto, difetta di giurisdizione in ordine 
alla domanda di illegittimit� del licenziamento intimato dall'Ordine mau� 
riziano alla Paviolo, a maggior ragione il giudice stesso non pu� avere 
giurisdizione in ordine alla richiesta di un provvedimento di urgenza che 
tenda a reintegrare, anche in via provvisoria, nell'impiego pubblico il 
dipendente licenziato, e che comporti, ovviamente, la sostituzione del 
giudice ordinario alla P.A. (ovvero all'ente pubblico non economico) nella 
ricostituzione di un rapporto risolto. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 ottobre 1975, n. 3163 e Pres. Stella 
Richter -Rel. Persico -Est. Zucconi Galli Fonseca -P. M. Di Majo 
(concl. diff.) -Viola ed altri (avv. Varvesi) e Consiglio Regionale 
Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Varvesi, Pacia) c. Procura Generale Corte 
dei Conti (avv. Stato Savarese). 

Competenza e giurisdizione � Regolamento di giurisdizione � Conflitto di 
attribuzione � Interferenze reciproche ove i mezzi vengano sollevati 
nella medesima controversia -Efficacia vincolante della decisione 

� emessa dalla Corte costituzionale. 
(Cost. art. 134; cod. proc. civ., art. 41). 


La decisione della Corte costituzionale che risolvendo il conflitto di 
attribuzione sollevato dalla Regione contro lo Stato affermi la competenza 
della Corte dei conti a decidere dell'azione di responsabilit� proposta 
dal procuratore generale nei confronti di componenti della giunta 
regionale fa stato nel giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione 
autonomamente proposto dagli intimati (1). 

(Omissis). -1. -Con atto di citazione del 24 settembre 1971 il 
procuratore generale della Corte dei conti convenne davanti alla corte 

(1) Come � noto, con sentenza 30 dicembre 1972, n. 211 -in questa Rassegna 
1973, 1, 96 -la Corte costituzionale, decidendo un conflitto d'attribuzione 
proposto dalla regione Friuli-Venezia Giulia contro lo Stato, stabil� che 
spettasse alla Procura Generale della Corte dei conti promuovere l'azione di 
responsabilit� sia nei confronti dei dipendenti della regione che a questa 
avessero causato danni nell'esercizio delle loro attribuzioni, sia nei confronti 
dei componenti la giunta della regione medesima per omissione della denuncia 
di tali danni (cfr. per i precedenti della citata decisione n. 211 del 1972, 
Corte cost. 26 giugno 1970 n. 110 e 5 aprile 1971 n. 68 pubblicate oltre che 
in questa Rassegna, 1970, I, 723 e 1971, I, 526 in Giur. cast., 1970, 1203; 1971, 
627 con note di richiami; in dottrina, CAPOTOSTO, Giurisdizione della Corte dei 
conti e autonomia regionale, in Giur. it., 1971, IV, 163). 
L'attuale decisione delle Sezioni Unite, risolve il problema delle � interferenze
� fra il pregresso giudizio costituzionale e la questione di giurisdi




52 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

un dipendente della regione Friuli-Venezia Giulia (Tarsilio Viola) insieme 
col presidente ed otto componenti della giunta regionale (Alfredo Berzanti, 
Enzo Moro, Antonio Comelli, Francesco De Carli, Cesare Devetag, 
Bruno Giust, Giovanni Vicario, Vittorio D'Antony e Salvatore Varisco), 
chiedendo che fossero condannati in solido a pagare alla regione le spese 
di riparazione di un'autovettura, il primo per averla danneggiata, gli 
altri per aver omesso di denunciare il fatto dannoso alla procura generale 
della Corte dei conti, in conformit� alla deliberazione di massima 
n. 2861 da essi approvata il 6 agosto 1969, con la quale si era disposto 
che per i danni provocati dai dipendenti regionali addetti alla conduzione 
di veicoli non si dovesse presentare denuncia al procuratore generale 
della Corte dei conti, perch� la competenza in materia spettava al 
giudice ordinario. 
In pendenza del giudizio, gli intimati hanno proposto (con atto notificato 
il 5 febbraio 1972) istanza di regolamento preventivo della giurisdizione, 
sostenendo che la competenza giurisdizionale della Corte dei 
conti non si estende alla responsabilit� civile degli amministratori e dei 
dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato, anche perch� ne risulterebbero 
compromessi il diritto d'azione e l'autonomia degli enti stessi 
(primo motivo), e che essa comunque non pu� riguardare i componenti 
delle giunte regionali, non esistendo alcuna norma che li assoggetti alla 
responsabilit� prevista per i funzionari dello Stato dall'art. 52 del r.d. 
12 luglio 1934, n. 1214 e per i direttori generali e i ministri tenuti ad 
zione preventivamente proposta dagli intimati nel processo di responsabilit�. 
� di tutta evidenza che si tratti di una fattispecie del tutto peculiare e 
di ci� � stato posto l'accento nella motivazione: infatti la Corte costituzionale 
nell'affermare la giurisdizione della Corte dei conti sulla causa oggetto 
del regolamento preventivo, aveva pronunciato -risolvendole -sulle stesse 
questioni sottoposte, poi, all'esame delle Sezioni Unite. 
Da ci� deriva, inevitabilmente, sia una certa difficolt� di sistemazione dei 
principii, sia una generale perplessit� di ordine teorico e di inquadramento 
concettuale, inerente alle enunciazioni contenute in sentenza e suscettibili di 
ultedore generalizzazione. 
Serrate critiche vengono rivolte a questa decisione da M. R. MORELLI, 
In margine ad un interessante caso di �interferenza� fra regolamento di giurisdizione 
e confiitto costituzionale di attribuzione, in Giust. civ. 1975, I, 1810. 
I dubbi sussisterebbero, secondo l'A., soprattutto per non essere ipotizzabile 
l'identit� dell'oggetto e delle questioni nei due giudizi. E cio� � pur se � 
venuta, in entrambi i .casi, in discussione la competenza della Corte dei conti 
a conoscere dell'identica vicenda sostanziale, la differenza (dell'oggetto-e delle 
questioni dibattute) nei due giudizi sembra ineliminabile (e tale da mantenere 
i giudizi stessi su piani paralleli e non di interferenza); risiedendo, in 
particolare, in ci� che della detta competenza � stato, nel primo caso, esaminato 
l'aspetto esterno della legittimit� (sotto il profilo della eventuale inva,.,.. 
sione della sfera di autonomia, costituzionalmente garantita, di soggetto concettualmente 
distinto dallo Stato, quale la Regione); e, nel secondo caso, 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 53 

-obbligo di denuncia dall'art. 53 dello stesso decreto, dall'art. 83 del r.d. 
18 novembre 1923, n. 2440 e dall'art. 20 del d.p. 10 gennaio 1957, n. 3, e 
non potendo le giunte regionali, che svolgono attivit� politica e di alta 
amministrazione, sanzionata soltanto con una responsabilit� collegiale di 
.natura politica, essere equiparate agli organi collegiali di cui all'art. 24 
<lei d.p. n. 3 del 1957 (secondo motivo). 

La procura generale della Corte dei conti, rappresentata dall'avvocatura 
dello Stato, ha resistito all'istanza con controricorso. 

2. -Nel frattempo la Corte costituzionale ha pronunciato la sentenza 
�n. 211 del 1972, con la quale ha risolto il conflitto di attribuzioni sollevato 
dalla regione Friuli-Venezia Giulia contro il presidente del consiglio 
.(lei ministri, proprio in riferimento all'atto di citazione del procuratore 
:generale della Corte dei conti in data 24 settembre 1971, introduttivo del 
giudizio in cui � stato ora chiesto il regolamento di giurisdizione. 
La Corte costituzionale, dopo aver precisato che la regione aveva 
.contestato sia la competenza giurisdizionale della Corte dei conti a pro.
nunciarsi nei confronti dei titolari degli uffici regionali, sia il potere del 
procuratore generale di promuovere d'ufficio l'azione a tutela di un diritto 
patrimoniale della stessa regione, ha affermato che la competenza della 
Corte dei conti a decidere in proposito non pu� essere posta in dubbio 
e ha dichiarato che spettava alla procura generale promuovere l'azione 
<li responsabilit�. 

l'aspetto, invece, dell'attribuzione alternativa -all'interno della funzione stessa 
(statuale) di giurisdizfone -al magistrato ordinario piuttosto che a quello 
speciale�. 

Lo stesso A. verificando la consistenza di tale perplessit�, conclude che, 
:accettando i presupposti posti a base della decisione dalle Sezioni Unite, il 
sistema non troverebbe �in s� meccanismi (di automatico funzionamento) in 
:grado di espungere le contraddizioni del tipo esaminato �. 

Da ci�, il predetto A., pur concordando sulla sostanziale � opp.ortunit� � 
e � saggezza � delle soluzioni adottate, adduce numerose perplessit� che il tipo 
:anomalo deciso ha indotto sulla formulazione dei principi generali. 

Certamente la citata riota ha il merito di evidenziare chiaramente -con ci� 
fornendo un approfondito materiale ricostruttivo -le note dissonanti. E peraltro 
deve altres� riconoscersi che il punto di partenza delle Sezioni Unite identit� 
di questioni sollevate nel medesimo rapporto processuale -apre 
l'unico spiraglio concettuale possibile per conciliare casi -si ripete del tutto 
:atipici -nei quali il conflitto di costituzionalit� fra Stato e Regone si ponga, 
in realt� -con identico contenuto rispetto al regolamento preventivo di giurisdizione 
-come conflitto fra Regione e potere giurisdizionale dello Stato. 

Da ci� deriva inevitabilmente la conseguenza -anche se claudicante che 
la decisione della questione di costituzionalit� � implichi la decisione del 
riparto della giudisdizione fra giudice ordinario e specale �, nonostante la diversit� 
di parti. 

c. c. 

54 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

OSSERVA: 

1. -Nel risolvere il conflitto di attribuzioni sollevato dalla regione 
Friuli-Venezia Giulia la Corte costituzionale ha affermato la competenza 
della Corte dei conti sulla causa che � oggetto del presente regolamento 
di giurisdizione, pronunciandosi sulle questioni che queste sezioni unite 
sono chiamate a decidere. 
L'impugnazione della citazione del procuratore generale della Corte 
dei conti era stata infatti fondata, in primo luogo, sulla negazione della 
competenza della Corte dei conti a conoscere della responsabilit� civile 
del presidente e dei membri della giunta regionale, adducendosi dalla 
regione, come ora dagli attuali ricorrenti, la mancanza di norme attributive 
della competenza stessa. In altri termini, l'atto del procuratore 
generale era stato bens� impugnato come di per s� lesivo dell'autonomia 
dell'ente (in quanto sostitutivo dell'iniziativa di questo nella tutela di 
un proprio diritto), ma sopratutto come diretto alla esplicazione della 
giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei titolari degli uffici 
regionali. 

Il potere di iniziativa del procuratore generale nei confronti degli 
amministratori della regione, del resto, non avrebbe potuto essere dichiarato 
esistente se non subordinatamente al riconoscimento che i giudizi 
di responsabilit� degli amministratori e degli agenti regionali appartengono 
alla competenza della Corte dei conti in virt� d'una norma costituzionale, 
ravvisata dalla Corte, a conferma della sua giurisprudenza pi� 
recente e della giurisprudenza di queste sezioni unite, nell'art. 103, secondo 
comma, della Costituzione. 

Nella sostanza, dunque, anche se proposto mediante l'impugnazione 
dell'atto di impulso processuale, il conflitto risolto dalla Corte costituzionale 
si poneva come conflitto fra la regione e il potere giurisdizionale 
della Corte dei conti (e avrebbe potuto essere sollevato, invece che prima 
del giudizio, dopo la pronuncia della Corte e contro di essa, ovvero contro 
la sentenza di queste sezioni unite che avesse affermato la giurisdizione 
della Corte). La decisione della questione di competenza costituzionale 
ha perci� implicato la decisione del riparto della giurisdizione fra giudice 
ordinario e giudice speciale. 

Correlativamente, quantunque queste sezioni unite non siano chiamate 
a decidere di un difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica 
amministrazione (o di altro potere), ma del difetto di competenza 
giurisdizionale del giudice speciale nei confronti del giudice ordinario, la 
peculiarit� della specie fa s� che la loro decisione investa il conflitto 
esterno fra Corte dei conti e regione, nei termini in cui esso � stato 
conosciuto dalla Corte costituzionale. 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 5S 

2. -In tale situazione, dev'essere affermata l'efficacia vii1colante della. 
pronuncia della Corte costituzionale ai fini del presente regolamento: 
poich� ammettere la possibilit� che sia negato, in ipotesi, il potere della 
Corte dei conti di conoscere della causa promossa contro gli istanti, riconosciutole 
invece dalla Corte costituzionale, sarebbe ammettere una contraddizione-
che -non potendo postularsi l'incoerenza del sistema richiederebbe 
d'essere risolta. 
Nel caso di specie, come s'� visto, oggetto del conflitto di attribuzioni 
� stata l'attivit� giurisdizionale, in relazione alla quale -come la 
Corte costituzionale ha riconosciuto nelle sentenze n. 110170 e 289174 possono 
sorgere conflitti non soltanto fra i poteri dello Stato, ma anche' 
fra Stato e regioni, se queste adducono che l'esercizio della giurisdizione 
viola la loro sfera di competenza costituzionalmente garantita. 

Orbene, in tutti i casi in cui il dubbio sulla competenza costituzio-� 
nale riguarda l'esercizio della giurisdizione (diversi dai casi riguardanti 
il riparto di attribuzioni amministrative fra Stato e regioni, in rapporto 
ai quali la questione di competenza costituzionale pu� venire solo indi-� 
rettamente in considerazione nei giudizi ordinari o amministrativi in cui 
sia dedotto il vizio d'incompetenza di un atto d'amministrazione: ed � a 
questi diversi casi che si riferisce la precedente sentenza di queste sezioni 
unite n. 2966/73, relativa alla deducibilit� dell'incompetenza derivante 
da norme costituzionali ai fini dell'annullamento giurisdizionale di 
atti amministrativi, le affermazioni della quale sulla impossibilit� di. 
interferenze fra i detti giudizi e il giudizio di competenza costituzionale 
non toccano, pertanto, il problema in esame) si deve ammettere -come: 
ammette la prevalente dottrina -che pu� essere elevato conflitto anche 
nei confronti delle sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione, 
le quali, pronunciando nell'esercizio dei poteri tenuti fermi dall'art. 37,. 
secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, abbiano negato il difetto 
assoluto di giurisdizione rispetto all'oggetto del giudizio. In altri 
termini, l'esclusiva e illimitata competenza della Corte costituzionale in 
materia di conflitti di attribuzione, deferitale dall'art. 134 della Costituzione, 
comporta l'impugnabilit� delle dette sentenze delle sezioni unite� 
davanti ad un organo super partes: il che significa che l'unit� dell'ordinamento, 
nella materia di cui trattasi, � assicurata dalla prevalenza delle 
decisioni della Corte costituzionale su quelle della Corte di cassazione. 

Ci� posto, se tale prevalenza pu� attuarsi, attraverso il conflitto,. 
successivamente alla pronuncia delle sezioni unite, pare logico dedurne 
che essa debba essere riconosciuta, quale dato costante del nostro assetto 
costituzionale, anche nei casi in cui la decisione del conflitto di attribuzioni 
abbia per avventura preceduto la decisione della questione di giu



56 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

risdizione. La sentenza delle sezioni unite che in tali casi si ponesse in 
.contrasto con la sentenza risolutiva del conflitto non sarebbe conforme 
all'ordinamento costituzionale, qual � stato dichiarato dalla pronuncia 
-della Corte costituzionale, e, come s'� detto, potrebbe essere eliminata, 
.quando abbia affermato esistente il potere giurisdizionale negato dalla 

�Corte, attraverso la proposizione di un nuovo conflitto: il che dimostra 
che non avrebbe dovuto essere emanata. 
Da ci�, peraltro, certamente non � consentito dedurre che nel caso 
inverso, vale a dire quando la Corte costituzionale abbia riconosciuto 
la competenza dell'ordine giurisdizionale (comprensivo dei giudici ordinari 
e speciali e facente capo alla Corte di cassazione), le sezioni unite 
potrebbero invece negarla:. poich� se � vero che in questo caso nessuno 
:potrebbe chiedere l'intervento della Corte costituzionale, non � men vero 
�Che si determinerebbe un conflitto negativo, pregiudizievole per il corretto 
svolgimento di funzioni di rilevanza costitu~ionale, e comunque un 
�contrasto ai vertici dell'ordinamento che non potrebbe essere sciolto, 
per le cose dette, facendo prevalere la sentenza della cassazione su quella 
.della Corte costituzionale, ossia privando la pronuncia di quest'ultima 
�della sua efficacia. 

In definitiva, trattandosi di rapporti fra organi giurisdizionali, senza 
:giungere all'estremo di negare la proponibilit� stessa della questione di 
giurisdizione quando essa sia stata pregiudicata da una precedente deci'
8ione della Corte costituzionale su una questione di competenza costitu_
zionale (ci� che significherebbe disconoscere la distinzione concettuale 
fra l'una e l'altra questione, e sarebbe in contrasto col citato art. 37 
della legge n. 87 del 1953), si deve concludere con l'affermare che in tale 
,.caso la sentenza della Corte costituzionale fa stato -a nulla rilevando 
la non identit� delle parti -nel giudizio sulla questione di giurisdizione. 

L'istanza di regolamento deve pertanto essere decisa dichiarandosi, 
in conformit� alla sentenza n. 211 del 1972 della Corte costituzionale, la 
_.giurisdizione della Corte dei conti sulle domande di cui trattasi. 


(Omissis). 

<CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 novembre 1975, n. 3851 -Pres. 
Caporaso � Rel. Corasaniti -P. M. Berri (conci. conf.) . Bonini ed altri 
(avv. Pallottino) c. Comune di Roma (avv. Lombardi) ed Ente Autonomo 
Esposizi�ne Universale di Roma (Avv. Stato Carafa). 

�Competenza e giurisdizione � Espropriazione per pubblico interesse: dichia� 
razione di pubblica utilit� � Opere necessarie per l'EUR di Roma: 
esistenza del potere espropriativo � Difetto di giurisdizione dell'AGO. 
(r. d. I. 14 gennaio 1937, n. 1567). 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 57 

Competenza e giurisdizione � Espropriazione per pubblico interesse � 

Retrocessione � Diritto soggettivo: limiti. 

(!. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 63). 

La dichiarazione di pubblica utilit� prevista dalla legge per la realizzazione 
delle opere necessarie all'EUR di Roma non � limitata all'astratta 
previsione di opere attuative di un programma, ma invece 
riguarda opere composite e concrete per la cui individuazione non � 
necessario alcun ulteriore atto da parte della pubblica Amministrazione; 
pertanto in ordine alle questioni relative al suo esercizio, deve ritenersi 
.esistente il potere espropriativo, con conseguente difetto di giurisdizione 
dell'AGO (1). 

Il diritto soggettivo alla retrocessione per mancata esecuzione dell'opera 
pubblica � configurabile soltanto se l'opera eseguita sia tale da 
non potersi identificare con quella prevista nella dichiarazione di pubblica 
utilit� (2). 

(Omissis). -Arturo, Adelina e Domenica Bonini, eredi di Angelo 
Bonini, convennero in giudizio davanti al Tribunale di Roma l'Ente 
EUR ed il Comune di Roma. 

Esposero che con decreto prefettizio 16 ottobre 1939 era stato espropriato 
in base al regio decreto-legge 14 gennaio 1937, n. 1567 dichiarativo 
della pubblica utilit� delle opere necessarie per l'Esposizione Universale 
di Roma, un ter~eno di propriet� del loro dante causa, compreso nel 
perimetro indicato dal decreto-legge suindicato. Soggiunsero che, peraltro, 
con r.d. 28 maggio 1942, era stato approvato il piano particolareggiato 
di esecuzione in cui era stato inclusa sola una parte del terreno espropriato, 
mentre altra parte ne era stata stralciata, tanto �he l'EUR non 
ne aveva mai preso possesso. 

Chiesero pertanto, in via principale, che l'espropriazione, essendo con


dizionata all'inclusione dell'intero terreno nel piano particolareggiato, fos


se dichiarata inefficace per la porzione che ne era rimasta esclusa e che 

tale porzione fosse dichiarata di loro propriet�. In via subordinata chie


sero che ne fosse ordinata la retrocessione a loro favore. 

L'Ente EUR ed il Comune di Roma resistettero alla domanda. 

(1-2) La decisione � importante soprattutto perch� coglie pienamente le 
�correlazioni fra dichiarazione di pubblica utilit� e potere espropriativo: nel 
senso, cio�, di individuare il presupposto di quest'ultimo nel primo concetto 
�e di avvertire nel predetto potere espropriativo -a fini di discriminazione 
delle competenze giurisdizionali -la corrispondenza fra � opera dichiarata � 
�ed � opera eseguita �. 

In dottrina cfr. G. DE FINA, Il rapporto tra procedimento dichiarativo 
della pubblica utilit� dell'opera, potere espropriativo e retrocessione, in Giust. 

civ. 1976, I, 24. 
, � -���--------------.�� ��.�.�.�.�:.�.�r.�.�.�.-.�.-:.�.�,�,�.�.�.1,�,�.�,�,�.�,� ,-,.�,,-,,�,-.�,�c(.r.�.�rr.�.� 


58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO 

Il Tribunale dichiar� improponibile per difetto di giurisdizione il 
capo di domanda relativo alla dichiarazione di inefficacia del decreto di 
espropriazione, e rigett� la domanda di retrocessione. 

La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza ora impugnata per cassazione, 
rigett� l'appello dei Bonini, dichiarando, in ordine alla domanda 
principale, che, poich� sussisteva il potere di espropriazione, non era 
configurabile' e comunque era escluso il vantato diritto soggettivo perfetto 
di propriet� e, in ordine alla domanda subordinata, che il diritto 
alla retrocessione era estinto per prescrizione (decennale). 

I Bonini hanno proposto ricorso per cassazione illustrata da memoria, 
cui ha resistito il Comune di Roma con controricorso illustrato anche 
esso da memoria. 

L'Ente EUR ha resistito a sua volta al ricorso principale con controricorso, 
aon cui ha proposto ricorso incidentale. A tale ricorso in� 
cidentale hanno resistito, i Bonini con controricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Vanno anzitutto riuniti, a norma dell'art. 335 c.p.c., il ricorso princi� 
pale dei Bonini ed il ricorso incidentale dell'Ente Eur. 

Va prelimin�rmente esaminato l'ultimo motivo del ricorso princi


pale, con cui i ricorrenti Bonini si dolgono che la Corte del merito 

abbia omesso di dichiarare che lo appellato Comune di Roma (odierno 

resistente) si era costituito irritualmente in appello perch� aveva riser


vato le proprie difese alla comparsa conclusionale. 

La censura � infondata. Il Comune, essendo appellato, poteva limi


tarsi all'atto della costituzione, a chiedere il rigetto del gravame, cos� 

come fece con la comparsa di costituzione. 

Vanno poi esaminati congiuntamente, per la reciproca connessione, 

i primi quattro motivi del ricorso principale. 

Con tali motivi i Bonini si dolgono che la Corte del merito abbia 

disatteso la loro domanda principale, volta a far dichiarare che la espro


priazione del loro terreno (disposta con decreto prefettizio 16 ottobre 

1939 a favore dell'EUR) era, almeno per una parte del terreno stesso, 

affetta da inefficacia originaria o sopravvenuta per difetto assoluto di 

potere espropriativo e come tale non idonea a degradare ad interesse 

legittimo il loro diritto di propriet� ed anzi lesiva di questo. 

In sintesi, i ricorrenti principali sostengono: contrariamente a quan


to ritenuto dalla sentenza impugnata, l'art. 1 del r.d.l. 14 gennaio 1937, 

n. 1567 non contiene una dichiarazione di pubblica utilit� � generale ed 
immediata � estesa all'intero territorio racchiuso nel perimetro in esso 
indicato e pertanto senz'altro attributiva di potere espropriativo in ordine 
all'intero territorio. medesimo ed idonea ex se a servire di base 

PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 59 

alla espropriazione di qualsiasi porzione di esso; ci si trova invece in 
presenza di una dichiarazione di pubblica utilit� ex lege �diffusa�, o 
�per categoria� o �di genere�, astrattamente riferita alle sole opere 
necessarie all'Esposizione (il carattere eccezionale della norma non ne 
consente' l'applicazione analogica: art. 14 disp. prel. e.e.); 

conseguentemente in questo, come in simili casi di dichiarazione di 
pubblica utilit� per categoria (cfr. Leggi sull'industrializzazione del mezz�giorno, 
ed altre) rispetto ai singoli beni compresi nel perimetro il 
potere espropriativo era suscettivo di sorgere e il diritto di propriet� 
di affievolirsi solo se e quando, in un momento successivo, fossero state 
concretamente individuate, attraverso un reciproco riferimento, la singola 
opera destinata ad essere collocata su una data porzione di terreno espropriando 
e tale stessa porzione di terreno esproprianda, con la contemporanea 
fissazione dei termini per il compimento della procedura (fissazione 
che � prescritta dall'art. 13 della legge generale sulle espropriazioni per 
causa di pubblica utilit� n. 2359 del 1865 e che non era contenuta nell'art. 
1 del decreto legge n. 1567 del 1937); 

nel caso particolare, poich� l'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 

1937, prevedeva due diverse utilizzazioni del terreno, e cio� le ((opere 

necessarie alla Esposizione� e �l'ampliamento edilizio�, strumento di 

individuazione doveva ritenersi, a norma degli artt. 1 e 2 del r.d.l. 7 

marzo 1938, n. 465, il provvedimento di approvazione del progetto della 

singola opera ovvero il piano particolareggiato di zona; 

e nella specie non .vi era stato alcun provvedimento di approvazione 

del progetto di opera che si riferisce al terreno controverso mentre col 

r.d. 18 maggio 1942, con �ui era stato approvato il piano particolar~ggiato 
di zona, il terreno controverso non solo non era stato riservato 
ad alcuna opera, ma era stato addirittura stralciato dal piano; 
non era dunque intervenuta nessuna causa di affievolimento del di


ritto di propriet� di essi ricorrenti, che veva conservato la consistenza 

di diritto soggettivo, al pi� condizionato e la contraria affermazione im


portava la violazione o la falsa applicazione di tutte le norme suindicate 

(primo motivo); 

al fine di ravvisare nell'art. 1 del decreto-legge n. 1567 del 1937 

una dichiarazione di pubblica utilit� �totalitaria ed immediata� -an� 

zicch� �diffusa� o di �onere� -l'impugnata sentenza trasse argo


mento da una asserita diversit� di natura fra i piani particolareggiati 

previsti per l'ampliamento edilizio ricadente all'interno della zona peri


metrata (art. 1, secondo comma, del decreto-legge n. 1567 del 1937), e 

quelli previsti per la diversa ed �stranea zona di espansione verso 

il mare (art. 1, terzo comma ed art. 2 dello stesso decreto-legge); 

ma a parte che la legge non consentiva di affermare l'asserita diversit� 
-consistente in ci�, che i primi sarebbero stati uno strumento 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di semplice assetto urbanistico senza possibilit� di contemplare � espropri 
� e solo i secondi sarebbero stati invece uno strumento espropriativo 
-tale diversit� era irrilevante, perch� per individuare nell'ambito 
del perimetro le aree espropriabili ai fini dell'esecuzione delle opere 
necessarie all'Esposizione era sufficiente uno strumento di semplice assetto 
urbanistico, cio� un piano particolareggiato che localizzasse, entro 
il perimetro, la parte destinata ad ampliamento edilizio, cio� ad insediamento 
abitativo e quindi, per esclusione, le aree predette (secondo 
motivo); 

anche ad ammettere, in via di subordine, che l'art. 1 del decreto 
legge contenesse una dichiarazione di pubblica utilit� estesa all'intero 
territorio e cio� preordinata alla espropriazione di ogni parte di esso 
(espropriazione generalizzata), l'impugnata sentenza incorse in violazio-� 
ne del combinato disposto del detto art. 1, comma secondo e dell'art. 
4 successivo, che sancisce la applicabilit�, per le espropriazioni relative 
all'Esposizione Universale, delle norme dettate per le espropriazioni inerenti 
al Piano regolatore di Roma dalla legge 24 marzo 1932, n. 355; 

ci� in quanto, secondo la detta legge, l'efficacia della espropriazione 
generalizzata -prevista questa dall'art. 10, comma secondo -era subordinata 
alla emanazione, entro il quinquennio, di piani particolareggiati 
che specificassero le destinazioni che le aree espropriate_ avrebbero 
dovuto ricevere; 

e nella specie, nei cinque anni dall'espropriazione del 16 ottobre� 
1939, non vi era stato alcun piano particolareggiato che avesse compreso 
il terreno controverso ed anzi il piano particolareggiato approvato iI 
18 maggio 1942 aveva �stralciato� la zona comprendente il terreno stesso; 

sicch� anche sotto tale aspetto il potere espropriativo era venuto 
meno ex tunc e l'espropriazione e comunque la detenzione del bene 
era lesiva del diritto soggettivo di essi espropriati con conseguente 
giurisdizione del giudice ordinario (terzo motivo); 

la pubblica autorit� aveva in varie occasioni mostrato di interpretare 
e di applicare il sistema della legge secondo la ricostruzione come� 
sopra prospettata, e di comportarsi in conseguenza; in particolare dopo 
lo stralcio della zona da quella disciplinata col piano particolareggiato 
del 18 maggio 1942 -stralcio voluto dalla EUR che aveva predisposto� 
il piano --il Prefetto aveva revocato altri decreti di espropriazione 
anticipata ammessi per la zona (motivi prima e quarto). 

Le esposte censure non sono fondate. 

Come hanno esattamente affermato i giudici del merito, la dichiarazione 
di pubblica utilit� delle opere concernenti l'Esposizione universale 
di Roma contenuta nell'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 1937 
deve ritenersi non gi� �per categoria� o �di genere�, bens� �generalizzata 
,, o � totale ,, secondo la terminologia adoperata e con le con



PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 6t 

seguenze avvertite dagli stessi ricorrenti quanto alla immediata insorgenza 
del potere di espropriazione ed alla partkolarit� di disciplina del 
procedimento espropriativo. 

Le cosiddette dichiarazioni (di regola ex lege) di pubblica utilit�. 
per categoria di opere, sono normalmente collegate con indirizzi o con 
programmi di politica economica, la cui attuazione assume necessariamente 
ampie proporzioni sia nello spazio (trattandosi di previsioni spessointeressanti 
l'intero territorio nazionale o vaste porzioni di esso) sia 
nel tempo (trattandosi spesso di previsioni a lunga scadenza o addirittura 
a scadenza indeterminata). 

Sicch� alla opportunit� di una previsione legislativa che fissi in 
astratto i caratteri delle opere di attuazione del programma dichiarandone 
la-pubblica utilit� e privilegiandone l'esecuzione, si accompagna la 
opportunit� che la valutazione in concreto della rispondenza delle singole 
opere alla pubblica utilit�, cio� della ricorrenza nelle singole opere 
dei caratteri astrattamente stabiliti dalla legge, e la valutazione della 
indispensabilit� dei beni da espropriare per la realizzazione delle opere 
stesse, avvenga in momenti successivi pi� prossimi e mediante provvedimenti 
concreti pi� strettamente com1essi alle singole espropriazioni.. 
Di qui la frequenza di determinazioni spaziali (perimetri, zone coincidenti 
o no con circoscrizioni amministrative) che hanno soltanto la funzione 
di delimitare l'ambito spaziale di applicabilit� della normativa 
fissandone la confinazione esterna (cfr. art. 1 t.u. legge sul mezzogiornoapprovato 
con d.P.R. n. 1523 del 1967), non gi� quella di provvedere 
sulla ubicazione delle opere, n�, quindi, quella di individuare i beni 
la cui espropriazione � indispensabile per la realizzazione di esse. E correlativamente 
la mancanza di prefissione di termini per la realizzazione 
delle opere e per le espropriazioni, prefissione la quale -essend0< 
prescritta a garanzia che l'espropriazione sia riconosciuta indispensabile 
per la realizzazione attuale di quel certo interesse pubblico -viene 
implicitamente rimessa al momento in cui e al provvedimento (di so-� 
lito l'approvazione del piano particolareggiato di esecuzione) con cui il 
bene da espropriare � individuato e si compiono le valutazioni concrete� 
dinanzi descritte. 

Tutto ci� non ricorre nel caso della dichiarazione di pubblica utilit� 
contenuta nell'art. 1 del decreto-legge n. 1567 del 1937. Questa presuppone 
due finalit� di interesse pubblico; quella attinente all'allestimento di 
una sede per l'Esposizione universale indetta in Roma per il 1941 con 
la legge n. 2174 del 1936 e quella attinente alla opportunit� di promuovere 
e di regolare l'espansione della citt� verso il mare. 

Tali finalit�, peraltro, nel preambolo del r. decreto-legge n. 1578' 
del 1937, oltre che qualificate da pari intensit� di interesse,. appaiono 
strettamente associate fra loro dalla predisposizione di un unico mezzo 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

idoneo� a soddisfarle entrambe. Con la conseguenza, tradotta nelle disposizioni 
della legge (particolarmente nell'art. 1) che questa non si limita 
a prevedere astrattamente una pluralit� indefinita di opere necessarie 
alla attuazione di un programma, ma concerne una opera concreta, in
�dividuata nel tempo e nello spazio ed un'unica opera composta, destinata 
sia ad ospitare l'Esposizione sia .lo\ costituire, almeno nelle sue linee 
.essenziali, un nuovo nucleo edilizio ed urbanistico, di elevato coerente 
decoro, per l'espansione della citt� nella direzione voluta. 

L'individuazione dell'opera (e quindi delle espropriazioni) nel tempo 
risultava dall'implicito riferimento al tempo dell'Esposizione, fissati con 
la legge n. 2174 del 1936 nell'anno 1941 (poi spostati dal r. decreto-legge 

n. 1033 del 1938 al 1942). L'individuazione dell'opera stessa (e correlativamente 
dei singoli beni espropriati) nello spazio risultava dal piano 
parcellare descrittivo ed annesso disegno con elenco dei beni (mezzo 
di individuazione in base ai dati catastali che di solito accompagna i 
piani particolareggiati di esecuzione). 
L'unicit� dell'opera, poi, rendeva superflua una pi� precisa individuazione 
delle opere specificamente destinate all'Esposizione rispetto a 
quelle di urbanizzazione e di edilizia abitativa e viceversa, e correlativamente 
delle aree da espropriare, a favore dell'Ente EUR, per le une 
rispetto a quelle da espropriare, sempre a favore dell'Ente EUR per 
le altre, e viceversa. Si intendeva lasciare una relativa libert� nell'esecuzione 
dell'opera composta e d'altronde era ovvio che le esigenze non 
esattamente valutabili ex ante di una Esposizione avel}te carattere internazionale 
potevano condizionare, nella previsione della legge, anche 
la progettazione e la realizzazione di opere urbanistiche e di edilizia 
abitativa, e cio� influire sulla strutturazione urbanistica della zona. 

Tutto ci� p�sto, appaiono vani gli sforzi dei ricorrenti principali 

tesi a sostenere (soprattutto col primo mezzo) la insostituibile funzione 

individuante dei piani particolareggiati di esecuzione e dei progetti di 

approvazione delle singole opere. Essendo l'opera ed i beni da espro


priare per compierle gi� individuati dalla legge in misura e forme ade


guate alla natura e destinazione dell'opera stessa, il potere espropria


tivo nasceva per effetto della legge senza necessit� di ulteriori indivi


duazioni mediante atti successivi. 

Al riguardo non � inutile, anche se va accompagnato da alcune 
precisazioni e cos� si risponde alla seconda censura -il raffronto istituito 
dai giudici del merito fra i piani particolareggiati previsti dall'art. 
1, capoverso 1� del decreto-legge n. 1567 del 1937 per l'ampliamento 
edilizio interno al perimetro della Esposizione (approvato con la prima 
parte dello stesso art. 1) ed i piani particolareggiati di esecuzione previsti 
dall'art. 2 comma primo dello stesso decreto-legge per il diverso 
perimetro delle aree di espansione della citt� di Roma verso il mare, 


PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 

perimetro da approvare a norma del capoverso 2� del detto art. 1 con 
successivo decreto reale. Solo a questi piani particolareggiati la legge 
(art. 2, prima parte, del decreto-legge n. 1567) sembra attribuire, almeno 
di regola, funzione individuante dei beni da espropriare e costitutiva 
del potere di espropriazione allorch� dice che � in base � �ad 
essi saranno effettuate le espropriazioni di cui alla seconda parte, cio� 
al secondo capoverso dell'art. 1, che sono peraltro le espropriazioni da 
operare nel diverso perimetro di 'espansione ai fini dell'attuazione dei 
piani particolareggiati stessi (e cio� a fini di sistemazione urbanstica 
di zona). Mentre per le espropriazioni di cui qui si discute, il primo 
capoverso dell'art. 1, (oltre a sancire la applicabilit� delle norme di cui 
agli articoli seguenti :..... vale a dire quelle degli artt. 3 e 4 -che poi, 
si richiamano, ovviamente per le formalit� procedimentali alle norme 
per l'esecuzione del Piano regolatore di Roma) si liinita a porre l'�bbligo, 
per di pi� senza termine, di presentare i piani particolareggiati, 
senza subordinare le espropriazioni (non solo alla approvazione ma) neppure 
alla presentazione di essi. 

La verit� � che i piani particolareggiati di cui all'art. 1 del decretolegge 
n. 1567 del 1937, non si inserivano nel procedimento espropriativo 
concernente l'opera di cui si tratta, ma, in relazione alla natura del. 
l'opera stessa -la quale comprendeva, come si � detto, un nucleo edilizio 
ed urbanistico nelle sue linee essenziali, l'� ossatura di una futura 
citt�� (cfr. preambolo del r. decreto n. 1225 del 938) -er�no destinati 
a dare alle zone interne al perimetro dell'Esposizione un assetto urbanistico 
dettagliato. Ci� ai fini del coordinamento con la disciplina del 
Piano regolatore di Roma (art. 1 cpv. stesso decreto n. 1567 del 1937, 

r. decreto-legge n. 465 del 1938, r. decreto n. 1225 del 1938) e in vista 
della ricomprensione delle dette zone nel Piano stesso, ma indipendentemente 
dall'assoggettamento delle aree in esse comprese all'espropriazione 
ai fini dell'opera dichiarata di pubblica utilit�, opera che sarebbe 
potuta essere gi� compiuta al momento sia della presentazione che della 
approvazione dei piani. 
Se cos� �, appaiono chiare le ragioni per le quali neppure l'argomento 
di cui si sostanzia la terza censura pu� essere condiviso. Anzitutto, 
come si � detto, le disposizioni della legge sul Piano regolatore 
di Roma richiamate dal combinato disposto degli artt. 1 cpv. 3 e 4 
del decreto-legge n. 1567 del 1937 sono quelle concernenti formalit� procedimentali 
(cfr. anche r. decreto-legge n. 465 del 1938). In secondo luogo 
le dette disposizioni 'sono richiamate in quanto non contrastanti con 
le norme del decreto n. 1567 del 1937. In terzo luogo la �espropriazione 
generalizzata� che trova il suo modello nell'art. 10 della legge sul piano 
regolatore di Roma �, semmai, quella prevista dall'art. 2 del r. decreto



64 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge n. 1567 del 1937 e non quella prevista dall'art. 1 dello stess0> 
decreto. 

Pu� dunque concludersi che n� la mancanza di approvazione di 
un progetto di opera singola o semplice che dovesse sorgere sul terreno 
controverso, n� la mancanza di approvazione di un piano particolareggiato 
che lo comprendesse, n� la approvazione di un piano particolareggiato 
-quella appunto avvenuta con r. decreto 28 maggio, 
1942 con stralcio, cio� con esclusione dal piano approvato, del terreno 
stesso -importava difetto di potere espropriativo, non essendo questo 
condizionato positivamente ad uno dei due primi provvedimenti n� negativamente 
ad un provvedimento come l'ultimo sopra indicato. � 

Ed � appena il caso di aggiungere -in riferimento all'ultima cen-sura 
del ricorrente principale -che � irrilevante ai fini dell'interpretazione 
delle norme di cui trattasi il comportamento posto in esseredalla 
Pubblica Amministrazione e l'interpretazione delle norme implicate. 
in tale comportamento, considerato questo sia nel suo insieme sia nell'emanazione 
di specifici provvedimenti. 

Con un secondo gruppo di censure (due) i ricorrenti principali si 
dolgono che la Corte del merito abbia disatteso la loro domanda subordinata, 
diretta alla retrocessione del terreno (ovviamente in relazione 
ad una ipotesi riconducibile alla previsione dell'art. 63 della legge sulle 
espropriazioni per causa di pubblica utilit� n. 2539 del 1865) per avere 
ritenuto il diritto alla retrocessione estinto per prescrizione decennale. 

Sostengono in particolare i ricorrenti principali con la prima di queste 
censure: 

La Corte del merito err� per avere fissato il termine iniziale di decorrenza 
della prescrizione alla data -28 maggio 1942 -del decreto 
di approvazione del piano particolareggiato con cui il terreno era stato� 
stralciato dalla zona regolata dal piano stesso. 

In tal modo la Corte del merito -oltre a non tener conto che un 
piano particolareggiato non avrebbe potuto, senza incorrere in illegit-timit� 
e quindi in disapplicazione ex art. 5 legge abolitiva del contenzioso 
amministrativo, innovare rispetto alla legge (r. decreto-legge numero 
1567 del 1937) che aveva fissato il perimetro dell'opera, dichiarandone 
la pubblica utilit� -insorse in contraddizione con le proprie affermazioni 
circa il carattere generalizzato e l'efficacia immediata della 
detta dichiarazione, circa la inettitudine dei piani particolareggiati ad 
influire sull'insorgenza del potere espropriativo, circa la funzione me-ramente 
urbanistica dei piani particolareggiati; 

la Corte del merito non consider� che il piano particolareggiato 

del 1942 non aveva assegnato al terreno una destinazione diversa 
da quella impressagli, secondo la stessa Corte del merito dalla dichiarazione 
di pubblica utilit� ma si era limitato a stralciarla, cio� a 

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PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 65 

non regolarne la destinazione mentre l'unica modifica al regime e al 
contenuto della dichiarazione di pubblica utilit� era potuta avvenire ed 
era avvenuta col nuovo Piano regolatore generale, che aveva conferito 
alla zona ed all'area una destinazione nuova ed incompatibile con quella 
prevista dalla cennata dichiarazione: dalla data di adozione (1962) o 
di approvazione (1965) del detto nuovo Piano avrebbe potuto decorrere 
la prescrizione e da tale data il decennio non era decorso. 

Con la seconda delle dette censure i ricorrenti principali deducono 
che la Corte del merito err� per avere ritenuto la applicabilit� della 
prescrizione decennale, laddove, essendo il diritto alla retrocessione un 
diritto reale o almeno ad rem, trova applicazione la prescrizione ventennale 
(nella specie non decorsa neppure a partire dal 1942). 

Dal canto suo la Amministrazione ricorrente incidentale, con l'unico 
motivo di ricorso, sostiene che la Corte del merito, in luogo di dichiarare 
prescritto il diritto dei Bonini alla retrocessione avrebbe dovuto 
radicalmente escludere tale diritto in quanto non si versava nell'ipotesi 
di cui all'art. 63 della legge generale sulle espropriazioni per causa di 
pubblica utilit�. 

In realt� le ragioni esposte a proposito del primo gruppo di censure 
dei ricorrenti principali inducono a ritenere che, come i piani particolareggiati 
previsti dall'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 1937 per 
il perimetro dell'Esposizione -e qu,indi quello approvato con decreto 
28 maggio 1942 -non avevano alcuna influenza sul potere espropriativo 
attribuito per la realizzazione dell'opera pubblica di cui si tratta, 
cos� essi non potevano dar luogo, 'rispetto ad una area compresa nel 
perimetro ed espropriata ai fini dell'opera predetta (quale che fosse il 
loro contenuto e sia che considerassero sia che stralciassero l'area 
stessa), ad una situazione riconducibile a quella prevista dall'art. 63 della 
legge n. 2539 del 1865 come ipotesi di mancata esecuzione dell'opera 
in vista della quale fu disposta l'espropriazione. 

Ma se ci� � vero per i piani particolareggiati -in quanto la loro 

funzione non ineriva al procedimento espropriativo preordinato all'ope


ra dichiarata di pubblica utilit� del decreto legge n. 1567 del 1937, ed 

atteneva al coordinamento dell'assetto urbanistico del perimetro col 

Piano Regolatore di Roma, all'anticipato assetto urbanistico del perime


tro in vista della sua ricomprensione del detto Piano regolatore -ci� 

� egualmente vero per il provvedimento (comunque questo considerasse 

l'area compresa nel perimetro ed espropriata ai fini dell'opera predetta) 

con cui tale ricomprensione fu attuata, e cio� per l'approvazione del 

Nuovo Piano Regolatore di Roma, intervenuta soltanto nel 1965. 

Il contrario assunto, in riferimento all'approvazione del nuovo Piano 

regolatore di Roma 1962-1965, non meno che in riferimento alla approva



66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione del piano particolareggiato 28 maggio 1942, potrebbe reggersi soltanto 
a condizione di ammettere alternativamente: 

a) in astratto, che la previsione dell'art. 63 della legge generale 
sulle espropriazioni si estende ad ipotesi diverse da quella di mancata 
esecuzione (o di mancata esecuzione entro il termine) dell'opera 
pubblica in vista della quale il bene � stato espropriato; 

b) in concreto che l'opera per cui il terreno controverso fu espropriato 
non fosse stata eseguita o possa considerarsi come non eseguita. � 

Ora il primo dei due presupposti si concreta in una interpretazione 
dell'art. 63 della legge generale sulle espropriazioni che � nettamente 
da respingere. Per quanto si voglia estendere la portata della norm� che 
sancisce il diritto soggettivo alla retrocessione in caso di mancata � 
esecuzione dell'opera pubblica -non � consentito andare oltre l'ipotesi 
che l'opera eseguita sia per le sue caratteristiche talmente diverse dall'opera 
prevista dalla dichiarazione di pubblica utilit� da non potersi 
identificare con essa. N� basta che ricorra l'impossibilit� materiale o 
giuridica di impiegare il bene espropriato per l'opera pubblica per la 
quale � stato espropriato: occorre che tale impossibilit� risalga o si 
accompagni alla mancata esecuzione di quella opera pubblica. 

Il secondo presupposto, a ben vedere, si sostanzia dell'avviso che 
oggetto della dichiarazione di pubblica utilit� contenuta nell'art. 1 del 
decreto-legge n. 1567 del 1937 fossero i singoli edifici destinati ad accogliere 
le singole manifestazioni della Esposizione, e che, non essendosi 
potuta realizzare l'Esposizione a causa della guerra, l'9pera fosse divenuta 
impossibile. 

Ma, una volta stabilito che oggetto della dichiarazione di pubblica 
utilit� era un'opera composta, destinata in pari tempo a costituire la 
sede dell'Esposizione e la struttura essenziale di un nuovo nucleo edilizio 
ed urbanistico per l'espansione della citt� verso il mare, non pu� 
dubitarsi che l'opera sia stata realizzata, a nulla rilevando che la Esposizione 
non abbia avuto luogo. 

Non ricorreva dunque, in base agli atti e ai fatti dedotti, alcuna 
ipotesi costitutiva del diritto alla retrocessione, riconducibile alla previsione 
dell'art. 63 legge generale sulla espropriazione. 

Ci� importa che la statuizione di rigetto della domanda subordinata, 
contro cui � diretto il secondo gruppo di censure del ricorso principale 
� conforme a diritto dovendosi solo rettificare nei sensi suesposti, 
ex art. 384 cpv. c.p.c., la motivazione posta a base di essa. Sicch�, da 
un lato anche le dette censure vanno dj.sattese, dall'altro lato il ricorso 
incidentale, esaurendosi nel sollecitare l'esercizio del cennato potere-do;
vere di rettificazione, potere-dovere che va esercitato ex officio, � ca


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rente di interesse. -(Omissis). 

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SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 2 dicembre 1974, n. 3925 -Pres. 
Salemi -Est. Miani -P. M. Caccioppoli (diff.) -Sammartino (avv. 
Leone) c. Ministero dei trasporti (avv. Stato Ricci). 

Prescrizione -Illecito costituente reato -Fatto-reato produttivo di evento 

plurimo -Azione penale per un solo reato -Decorrenza della prescri� 

zione anche per l'illecito relativo al reato non perseguito dalla 

decisione definitiva sul diverso reato perseguito. 

(cod. civ., art. 2947, comma terzo). 

Prescrizione -Fatto illecito costituente reato -Estinzione per amnistia 
a seguito di modifica dell'imputazione -Decorrenza del termine di 
prescrizione. 
(cod. civ., art. 2947, comma terzo). 

Se con un unico fatto che costituisce reato si violano pi� disposizioni 
della legge penale (concorso formale di reato) agli effetti della 
prescrizione del diritto al risarcimento derivante dall'unica condotta occorre 
aver riguardo al fatto reato in s�, indipendentemente dalla circostanza 
che da esso derivino eventi diversi, onde la prescrizione decorre 
dalla data della sentenza irrevocabile che definisce il procedimento penale 
e non ha rilievo, a tale scopo, la estinzione in precedenza verificatasi 
di taluno dei reati concorrenti (1). 

Qualora l'illecito costituente reato sia stato dichiarato estinto per 

amnistia, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione 

risarcitoria civile occorre distinguere tra il caso che il reato sia sen


z'altro compreso tra quelli previsti nell'atto di clemenza, nel quale il 

termine decorre dal decreto di amnistia, e quello in cui il reato indi


cato nel capo di imputazione non risulti direttamente nelle previsioni 

del decreto di amnistia. In quest'ultima ipotesi la prescrizione decorre 

dalla data in cui � divenuta irrevocabile la sentenza che, degradando 

l'originaria imputazione, dichiara l'estinzione del reato per amnistia (2). 

(1-2) La prima massima ribadisce un princ1p10 che gi� affenilato nella giurisprudenza 
della S.C. (v. sent. 27 giugno 1972, n. 2195; Cass. 14 aprile 1972, 

n. 1193, in questa Rassegna 1972, I, 403; Cass. 6 �settembre 1966, n. 2326, in 
questa Rassegna 1966, I, 1036; Cass. 23 giugno 1964, n. 1640, in Giust. civ. 1964, 
I, 2254) anche se non pacificamente (contra infatti Cass. 3 novembre 1961, numero 
1961, n. 2544, in Resp. civ. e prev. 1962, 76 in fattispecie del tutto analoga 
a quella decisa nella sentenza che si annota). Malgrado il consolidarsi dell'in

68 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Col primo motivo, il ricorrente, denunziando la violazione 
dell'art. 2947 comma terzo cod. civ., lamenta che la sentenza 
impugnata, mantenendo ferma la statuizione emessa, sul punto, dal Tribunale, 
abbia ritenuto che il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento 
del danno causato dal sinistro ferroviario di cui trattasi fosse 
quello biennale di cui al secondo comma del predetto articolo, con decorrenza 
dalla data dell'evento dannoso, mentre, poich� questo era stato 
causato da un fatto considerato dalla legge come reato, per il quale era 
stata iniziata azione penale con l'imputazione di disastro ferroviario colposo, 
e poich� per tale reato era stabilita una prescrizione pi� lunga 
di quella stabilita dall'art. 2947 comma secondo cod. civ., il termine biennale 
di prescrizione dell'azione civile decorreva dalla data in cui era 
divenuta irrevocabile la sentenza penale che, degradando l'anzidetta originaria 
imputazione in quella di pericolo colposo di disastro ferroviario, 
aveva dichiarato estinto tale reato per amnistia. 

Il motivo � fondato. 

Non vale ad escluderne l'ammissibilit� la obiezione della resistente, 
che, cio�, il motivo non investe l'affermazione della sentenza impugnata 
circa il passaggio in giudicato del punto della sentenza di primo grado 
che aveva ritenuto che la prescrizione era quella biennale decorrente dalla 
data del sinistro. La motivazione della sentenza impugnata, invero, non 
contiene tale affermazione, ma si limita a far proprie, perch� non specificamente 
censurate dall'appellante, le considerazioni sulle quali principalmente 
si basava la decisione di primo grado, e cio� che la prescri


dirizzo debbonsi ribadire le perplessit� che tale pronunzia suscita .e gi� esternate 
in questa Rassegna in nota alle sentenze n. 1193 del 1972 e n. 2326 del 1966. 

Si pu� qui aggiungere .che una conferma della esattezza di quelle critiche 
viene da una recente decisione dello stesso S.C. nella quale si insegna che 
� il giudice, al fine di accertare se sia applicabile o meno la pi� lunga prescrizione 
penale, deve operare un raffronto tra due termini necessariamente 
omogenei. Omogeneit�,. questa, che � evidenziata dall'operazione di raffronto 
richiesta dalla norma in esame. Se i due termini vanno posti a raffronto, e 
se il risultato deve essere, al fine dell'applicabilit� della norma in esame (art. 
2947, terzo comma), che l'uno rientri nell'altro, cio� che vi sia coincidenza fra 
loro, � necessario che essi abbiano la stessa natura, siano appunto omogenei; 
anche se poi siano assunti nelle fattispecie di due norme distinte rispettivamente 
per finalit� diverse, ricollegandosi all'uno e all'altro diverse qualificazioni 
e �conseguenze giuridiche in relazione alle diverse finalit� che le due 
norme distinte si propongono di raggiungere. 

Il raffronto va operato, al fine suddetto, tra il fatto illecito dedotto in 

giudizio e la fattispecie ipotizzata in una norma penale incriminatrice. 

Il fatto illecito civile � costituito da un comportamento, commissivo od 

omissivo, e da un evento, che sia in rapporto di causalit� con quel comporta


mento, dal quale evento deriva il danno di cui si chiede il risarcimento. 

La fattispecie ipotizzata in una norma penale incriminatrice consiste nel


l'oggettivit� materiale del reato; oggettivit� materiale che al fine suddetto, 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 69 

:zione applicabile era quella di cui sopra in quanto per le lesioni sofferte 
,dal Sammartino non era stata iniziata l'azione penale. Il ricorrente, dolendosi, 
col motivo in esame, della violazione dell'art. 2947 comma terzo 
�cod. civ., e indicando la soluzione che secondo lui doveva esser adottata 
in luogo di quella di cui ha denunziato l'erroneit�, ha sufficientemente 
:Specificato le ragioni per le quali chiede la cassazione della sentenza 
impugnata e le tesi da lui sostenute: e tanto basta perch� il sindacato 
-O.i legittimit� debba esercitarsi sulla soluzione data dalla Corte di me


rito alla questione di cui sopra, esaminando se tale soluzione sia o meno 
.conforme al diritto e rilevando a tal fine, anche in difetto di adeguate 
.censure del ricorrente, l'inesattezza delle argomentazioni giuridiche ad.
dotte, per motivarla, d!J.lla sentenza impugnata. 

Nel caso concreto va rilevata anzitutto l'erroneit� del criterio seguito 
.dalla Corte d'appello nel decidere il punto devoluto al suo riesame,. 
.criterio consistente nel confermare senz'altro la statuizione impugnata 
.solo perch� le censure formulate contro di essa dall'appellante investivano 
una parte della motivazione della sentenza di primo grado e non 
.anche � le considerazioni � sulle quali sostanzialmente riposava la sta


tuizione stessa. Infatti, una volta che questa era stata specificamente impugnata, 
non era a parlarsi di acquiescenza, giacch� l'acquiescenza pu� 
riguardare soltanto i punti di fatto o di diritto che hanno formato oggetto 
di decisione, e non anche le considerazioni giuridiche addotte a 
.sostegno delle relative pronunzie. La manchevolezza delle argomentazioni 
con cui l'appellante aveva illustrato il proprio motivo di gravame non 
.esentava, perci�, la Corte d'appello dal dovere di esaminare se esso 
fosse fondato, e se le considerazioni del Tribunale non confutate dall'appellante 
fossero esatte in diritto: dovere al quale la detta Corte si 
� sottratta, facendo propria, senza alcun riesame, l'affermazione del Tri


<lovendo il raffronto essere operato tra fatti omogenei; va ristretta al fatto 
reato, del quale fatto reato sono elementi costitutivi un comportamento, comn1issivo 
od omissivo, ed un evento, consistente in una modificazione della 
realt� esteriore, che sia in rapporto di causalit� con quel comportamento, 
nonch� i presupposti di fatto, cio� le situazioni e le circostanze di diritto e 
di fatto, antecedenti al comportamento, delle quali la norma penale incriminatrice 
richiede l'esistenza per la configurabilit� del fatto (comportamento ed 
�evento) come reato. 

Risulta, poi, estraneo alla presente fattispecie il problema se, nella nozione 
<li fatto reato, rientrino le condizioni di punibilit� eventualmente richieste nella 
norma penale incriminatrice o in altra norma penale, nonch� le circostanze 
:aggravanti e attenuanti. 

Sono questi i termini del raffronto: da un lato, il fatto illecito dedotto in 
giudizio, costituito da un concreto comportamento, commissivo ed omissivo, 
e da un concreto evento in rapporto di causalit� con quel comportamento; 
e, dall'altro, il fatto reato ipotizzato in una norma penale incriminatrice, 
oeostituito da un comportamento commissivo ed omissivo, da un evento in 



RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

70 

bunale che la prescrizione del diritto al risarcimento fatto valere dal 
Sammartino era quella biennale di cui al secondo comma dell'art. 2947 
cod. civ., decorrente dalla data del sinistro. 

Tale affermazione era peraltro giuridicamente erronea. La norma 
del secondo comma dell'art. 2947 cod. civ. riguarda, infatti, l'ipotesi in 
cui il fatto produttivo del danno di cui si chiede il risarcimento non 
sia considerato dalla legge come reato; e nella fattispecie il fatto (e cio� 
la collisione tra l'autocorriera e il trend sul quale viaggiava il Sammartino, 
in conseguenza del comportamento colposo dell'autista e della 
casellante dipendente dall'Amministrazione delle FF.SS.) era previsto 
dalla legge come delitto colposo di comune pericolo, e relativamente 
ad esso era stata instaurata l'azione penale, con l'imputazione, anche a 
carico della dipendente ferroviaria, di disastro ferroviario colposo. Le 
norme applicabili erano, perci�, quelle del terzo comma dell'art. 2947; 
n� tale applicabilit� era esclusa dalla circostanza che l'azione penale 
non era stata iniziata anche per il delitto di lesioni colpose in danno 
del Sammartino, giacch�, come � stato pi� volte affermato dalla giurisprudenza 
di questa� Suprema Corte, la disposizione contenuta nel predetto 
comma si riferisce non gi� all'evento, ma al fatto-reato in s�, 
indipendentemente dalla circostanza che lo stesso sia produttivo di un 
evento plurimo e dia pertanto luogo ad un, concorso formale di reati 
(Cass. Sez. Un. 23 giugno 1964, n. 1640; Cass. 6 settembre 1966, n. 2326; 
27 giugno 1972, n. 2195): cosicch�, essendosi proceduto in via penale per 

rapporto di causalit� con quel comportamento e dagli eventuali presupposti 
del fatto. Quando il raffronto accerti la coincidenza tra il fatto illecito dedotto 
in giudizio ed il fatto reato ipotizzato in una norma penale incriminatrice, si 
verifica l'ipotesi di cui alla prima parte del comma terzo dell'art. 2947 e.e., 
cio� (( il fatto � considerato dalla legge come reato �, e perci� il diritto al 
risarcimento del danno prodotto dal fatto illecito �� soggetto al termine di 
prescrizione stabilito dalla legge penale per il reato� (cos� sent. 28 luglio 
1975, n. 2918, in Giust. civ. 1975, I, 1607). 

Emerge chiaramente dalle trascritte preposizioni che il �fatto� conside


rato dall'art. 2947, comma terzo, � costituito non dal solo comportamento 

(commissivo od omissivo), ma anche dall'evento che sia in rapporto di cau


salit� con il comportamento. 

Solo quando ci sia � omogeneit� � tra il � fatto � rilevante penalmente e quello 

civile pu�, quindi, applicarsi la prescrizione pi� lunga prevista dalla norma penale. 

In mancanza di tale � omogeneit� >>, quando, cio�, come nella specie, il reato 

perseguito penalmente sia diverso da quello che fa sorgere il diritto al risarci


mento del -danno (perch� diversi sono gli eventi presi in considerazione dalle 

norme penali) non pu� applicarsi la prescrizione relativa al reato penalmente 

perseguito, ma esclusivamente quella relativa al reato lesivo dell'interesse del 

danneggiato. 

Il principio contenuto nella seconda massima �, invece, pacifico; v. oltre la 

citata sent. 14 aprile 1972, n. 1193 (in motivazione) le altre decisioni richiamate 

in quella annotata. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

quel medesimo fatto-reato di cui il danno lamentato dal Sammartino 
era una diretta conseguenza, l'ipotesi prevista dall'anzidetto terzo comma 
dell'art. 2947 si era verificato, anche se l'azione penale non era stata 
promossa per il reato di lesioni colpose in danno del Sammartino stesso; 
e perci�, qualora non si fosse� verificata l'ipotesi pure prevista dal 
comma anzidetto, dell'estinzione del reato per una causa diversa dalla 
prescrizione, si sarebbe dovuta applicare anche all'azione civile il pi� 
lungo termine di prescrizione stabilito per il reato di disastro ferroviario 
colposo, il che escludeva l'applicabilit� di quello biennale decorrente 
dalla data dell'evento dannoso. 

Tuttavia, nel caso concreto, l'imputazione era stata, con sentenza 
del 2 marzo 1963 del Tribunale di �Roma, degradata in quella di pericolo 
colposo di disastro ferroviario, e tale reato era stato dichiarato 
estinto in virt� dell'amnistia concessa con decreto presidenziale 24 gennaio 
1963, n. S. Si era cos� avverata una delle ipotesi previste nella seconda 
parte del terzo comma dell'art. 2947, le cui disposizioni erano, 
pertanto, quelle che si dovevano applicare nel caso concreto. 

Tali disposizioni sono state, dalla giurisprudenza di questa Suprema 
Corte, interpretate nel senso che qualora l'illecito costituente reato sia 
stato dichiarato estinto per amnistia, si deve distinguere, ai fini della 
decorrenza del termine di prescrizione dell'azione civile risarcitoria, tra 
l'ipotesi di un reato che, per il suo titolo e per la pena edittale comminata, 
sia senz'altro compreso nel novero di quelli previsti nell'atto 
di clemenza, per modo che immediatamente e direttamente da questo 
derivi la sua estinzione, e la diversa ipotesi in cui, restando originariamente 
il reato, nell'ipotizzazione fissata dal capo d'imputazione, al di 
fuori delle previsioni del decreto di amnistia, l'estinzione del reato stesso 
trovi la sua ragion d'essere e la sua base nella sentenza del giudice 
penale che, immutando o degradando il titolo del reato, lo abbia ricondotto 
nell'ambito dell'anzidetto beneficio. Mentre nella prima ipotesi deve 
applicarsi il principio generale per cui la prescrizione dell'azione civile 
decorre d�lla data di entrata in vigore del decreto di amnistia, nella 
seconda ipotesi, invece,� torna applicabile l'ultima delle disposizioni delanzidetta 
seconda parte del comma terzo dell'art. 2947, quella, cio�, che 
stabilisce che il diritto al risarcimento del danno causato da un fatto 
costituente reato si prescrive, in tal caso, nei termini indicati nei primi 
due commi dell'articolo stesso, ma che la prescrizione decorre soltanto 
dalla data in cui � divenuta irrevocabile la sentenza che, degradando 
l'imputazione originaria e dichiarando estinto il reato, ha definito iI 
procedimento penale (Cass. 5 ottobre 1957, n. 3607; 16 maggio 1958,. 

n. 1586; 10 ottobre 1967, n. 273; 14 aprile 1972, n. 1193). 
Dall'applicazione al caso concreto del principio sopra enunciato, consegue 
che, al momento in cui il Sammartino, con la citazione del 22 gi�gn<> 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

1965, fece valere nei confronti dell'Amministrazione delle Ferrovie il suo 
-diritto al risarcimento del danno cagionatogli dal fatto illecito, costituente 
reato, della dipendente dell'Amministrazione stessa, non si era ancora 
-compiuta la prescrizione del diritto medesimo. Infatti, poich� in ordine a 
.quel fatto-reato si era proceduto penalmente, e poich� l'estinzione del 
reato stesso trovava la sua ragion d'essere nella sentenza che, degradando 
1'originaria imputazione, lo aveva ricondotto nell'ambito dell'amnistia, il 
termine della prescrizione della azione civile tornava bens� ad essere quello 
biennale di cui al secondo comma dell'art. 2947, ma esso decorreva soltanto 
<I.alla data in cui l'anzidetta sentenza sarebbe divenuta irrevocabile: il che 
.avvenne quando, esauriti i gravami che ostavano al suo passaggio in giudi
�cato, venne rigettato, con sentenza del 28 gennaio 1967 di questa Suprema 
Corte, il ricorso proposto contro la sentenza di secondo grado, che aveva 

�Confermato quella del Tribunale. La prescrizione si sarebbe perci� compiuta 
soltanto nel gennaio 1969; e prima di allora il diritto era gi� stato 
fatto valere, mediante l'anzidetta citazione del 1965. 
Il motivo test� esaminato deve, perci�, essere accolto. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 dicembre 1974, n. 4035 -Pres. Giannattasio 
-Est. Mazzacane -P. M. Martinelli (conf.). -Ministero Trasporti 
e Finanze (aw. Stato Angelini-Rota) c. Fall. Mazzacurati (avv. Manzella). 


Imposte e tasse in gene:re -Rapporto di esattoria -Titolarit� del credito 
fiscale -Spetta all'Amministrazione dello Stato. 

(d.P.R. 15 maggio 1963, n. 838, art. 77). 
Contabilit� generale dello Stato -Debiti e crediti di amministrazione diverse 
dallo Stato nei confronti dello stesso soggetto -Compensazione -Ammissibilit�. 


(r. d. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69; r. d. 25 maggio 1924, n. 827, art. 225). 
Creditore d'imposta � l'ente impositore anche quando, iscritta a ruolo 
l'imposta, ne sia affidata all'esattore la riscossione e questi abbia concretamente 
iniziata l'esecuzione (1). 

(1-2) L'affermazione contenuta nella prima massima costituisce giurisprudenza 
ormai costante nell'insegnamento del S.C.: v. infatti sent. 15 aprile 1971, 

n. 1061; in questa Rassegna 1971, I, 863; Cass. 16 giugno 1967, n. 1379; in Foro it. 
mass. 1967, 392; Cass. 18 giugno 1964, n. 1588, in questa Rassegna 1964, I, 939; 
Cass. 31 ottobre 1960, n. 2962. 
Anche il principio affermato nella seconda massima della unicit� della 
personalit� giuridica dello Stato costituisce ius recoeptum: v. da ultimo sent. 
19 settembre 1970, n. 1594, in questa Rassegna 1970, I, 807 ove ulteriori richiami. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 

73 

Mentre � escluso che un credito verso lo Stato possa essere estinto 
mediante compensazione con un debito nei confronti dello Stato medesimo, 
tranne speciale autorizzazione del Ministro del Tesoro, per il principio 
dell'unicit� della personalit� dello Stato � ammessa la compensazione di 
debito e credito di diverse Amm.ni dello Stato nei confronti dei privati ad 
iniziativa dell'Amm.ne interessata (2). 

(Omissis). -Le Amministrazioni ricorrenti, con il primo motivo del 
ricorso, denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e ss. 
-cc., 56 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, 69 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, delle norme 
sull'accertamento e la riscossione delle imposte dirette e dell'art. 548 c.p.c., 
in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Sostengono che l'Amministrazione finan� 
ziaria, anche dopo la trasmissione dei ruoli all'esattore, � titolare del ere� 
dito tributario; che pertanto, nella specie l'Amministrazione finanziaria 
poteva opporre in compensazione -contrariamente a quanto ritenuto 
dalla Corte del merito -il proprio credito rispetto al debito della Am� 
ministrazione poich� l'azione esecutiva, per quanto promossa dall'esattore, 
-concerneva pur sempre un credito della stessa Amministrazione finanziaria; 
di qui la incongruenza del richiamo della Corte di appello nel principio 

di cui all'art. 548 c.p.c. 

Il motivo � fondato. 

Il riconoscimento del diritto dell'esattore ad ottenere il rimborso delle 
somme versate per le quali � tenuto all'obbligo del non riscosso come 
riscosso, quando dimostri nei modi e nei termini di legge di non averle 
potuto riscuotere (art. 87 t.u. 17 ottobre 1922, n. 1401, e, poi, art. 82 decreto 
del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858); la devoluzione dei 
beni non venduti all'asta per la soddisfazione del debito di imposta al� 
l'ente impositore (art. 238 t.u. 29 febbraio 1958, n. 645); il principio che, 
anche dopo la trasmissione dei ruoli, ove sia contestata la legittimit� del 
.credito di imposta, deve essere chiamato in giudizio l'ente impositore 
(art. 77 decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 838); il 
divieto di imputazione delle somme riscosse a titolo di imposta a crediti 
.dell'esattore (art. 142 decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 
1963, n. 858) concorrono a far ritenere che l'esattore non � un concessio� 

Una particolare notazione merita, invece, il principio, che il S.C. ha voluto 
.sottolineare, secondo cui in base all'art. 225 del regolamento sulla contabilit� 
generale il creditore di un'Amm.ne dello Stato, non solo non pu� pretendere 
di compensare il proprio credito con un debito verso altra Amm.ne, ma neppure 
far valere la compensazione quanto il credito e il debito riflettono una stessa 
Amm.ne, a meno che non vi sia formale autorizzazione da parte del Ministero 
del Tesoro (che ha sostituito quello delle Finanze in tale competenza). Sul 
punto in senso conf. BENNATI, Manuale di contabilit� di Stato, Napoli, 1967, 

p. 264 ss. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

74 

nario del credito tributario, ma soltanto un agente al quale con l'atto cli 
concessione (c.d. contratto ~sattoriale) � trasferito il solo esercizio della 
riscossione, mentre il titolare del rapporto tributario, e quindi creditore 
del debito di imposta, resta pur sempre l'ente impositore il quale, pertanto, 
nel concorso delle necessarie condizioni, ha diritto di eccepire la 
compensazione (v. Cass. n. 1379/67; n. 1061/71). 

Ci� stante, � inconferente il richiamo della Corte di Appello all'art. 548


c.p.c. per dedurne l'impossibilit� di riconoscere come creditore del debito 
esecutato persona diversa dal creditore pignorante o dai creditori intervenuti. 
Infatti ,come gi� si � detto esaminando l'eccezione di inammissibilit� 
del ricorso, l'ipotizzata impossibilit� non ricorre nella specie, in considerazione 
dei rapporti, ora delineati, che intercorrono fra esattore e Amministrazione 
finanziaria ed in considerazione del contenuto e dei limiti della 
controversia, quale si � sviluppata fra le parti. 
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione delle 
disposizioni di legge che disciplinano l'istituto della compensazione e di 
quelle sulla unicit� della personalit� giuridica dello Stato e sulla rilevanza 
della sua organizzazione, nonch� manifesta illogicit� ed erroneit� della 
motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Si sostiene che la Corte 
di appello ha escluso la possibilit� di compensazione fra un debito delle 
Ferrovie dello Stato ed un credito di imposta della Amministrazione finanziaria, 
erroneamente affermando che la capacit� giuridica dello Stato, e� 
cio� la sua idoneit� ad essete soggetto di diritti, nel campo dell'amministrazione, 
non � unitaria, ma frazionata, per effetto di norma costituzionale, 
fra vari dicasteri che hanno rilevanza esterna. 

Anche tale censura � fondata. 

L'autonomia amministrativa e contabile dei vari rami dell'amministrazione 
non elimina il carattere unitario fondamentale della personalit� dello� 
Stato, che � unico soggetto titolare dei diritti che in esso s'incentrano, in 
quanto l'organizzazione amministrativa non determina un frazionamento� 
della titolarit� fra "i vari rami ed i vari organi dell'Amministrazione statale,. 
ma soltanto una ripartizione tra gli stessi delle relative competenze ad 
attuare e a far valere nei confronti dei terzi i diritti dello Stato. In tale 
principio trova giustificazione la regolamentazione giuridica dell'istituto� 
della compensazione fra le Amministrazioni pubbliche ed i privati. Infatti, 
mentre per ragioni contabili � escluso che un titolo di credito verso lo 
Stato possa essere ricevuto in conto di debito verl�o lo stesso, tranne che 
non intervenga una speciale autorizzazione del Ministero delle Finanze 
(art. 225 r.d. 23 maggio 1924, n. 827) � ammessa invece, in applicazione 
del principio della unicit� della personalit� dello Stato, la compensazione 
legale di crediti e debiti di diverse Amministrazioni dello Stato nei confronti 
dei privati, ad iniziativa della Amministrazione interessata, a norma 
dell'art. 69 r.d. 23 maggo 1924, n. 827 (cfr. Cass. n. 1594/1970). 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 75 

Discende da ci� la infondatezza della equiparazione, affermata dalla 
Corte di Appello quanto all'istituto della compensazione, tra la posizione 
dello Stato e quella dei privati; e discende, altres�, la infondatezza dell'assunto, 
enunciato dalla stessa Corte, in ordine alla impossibilit�, per lo 
Stato, di far valere la compensazione fra debiti e crediti delle sue amministrazioni 
nei confronti dello stesso soggetto. 

Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 
1246 e.e., sostenendosi che non pu� considerarsi ostacolo alla compensazione 
la impignorabilit� delle somme dovute a titolo di imposta, in 
quanto, nel caso, la compensazione � stata richiesta appunto dal titolare 
del credito impignorabile. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 31 gennaio 1976, n. 294 -Pres. Bonomo -
Rel. Persico � P. M. Caristo (conf.)� � Assessorato LL.PP. della Regione 
Siciliana (avv. Stato Freni) c. Asturi (avv. Sciortino). 

Lavoro (rapporto di) � Assunzione in violazione del divieto previsto dalla 
legge � Conseguel\Za sulla qualificazione del rapporto e sugli obblighi 
previdenziali. 

Nel caso di assunzione di dipendenti, nonostante il divieto previsto 
da particolari leggi (nella specie dalle leggi regionali n. 14 del 1958 e n. 15 
del 1959 della Regione Siciliana), il rapporto (di lavoro) venuto in essere, 
se non pu� inquadrarsi nella categoria di rapporti pubblicistici, d� origine 
ad un rapporto di natura privata, che non realizza alcuna delle ipotesi 
eccettuate dal II comma dell'art. 2126 e.e. (non quella dell'atto in frode 
della legge, non l'altra della causa illecita, n� infine quella del contrasto con 
norme e principi fondamentali dell'ordinamento) e, tuttavia, sussistono, 
durante l'avvenuta esecuzione del rapporto, le obbligazioni, attive e passive, 
previdenziali ed assicurative (1). 

(Omissisi). -Col primo motivo del ricorso l'Assessorato, denunziando 
violazione dell'art. 6 della legge regionale siciliana 2 maggio 1958, n. 14 
e art. 13 l.r. 13 aprile 1959, n. 15 nonch� degli art. 1343, 1345, 1416, 1418, 
2126, 2129, 2033, 2041 e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., lamenta che i 
giudici di merito, dopo aver riconosciuto la nullit� delle assunzioni operate 
in violazione di legge, abbiano erroneamente ritenuto che le situazioni 
potessero ricondursi alla c.d. prestazione di fatto di lavoro e cio� al paradigma 
connesso con un contratto di lavoro nullo, al quale si applica 
l'art. 2126 e.e., senza considerare che essa era connessa con una assunzione 

(1) In termini cfr. Cass. 11 gennaio 1967, n. 108, Foro amm. 1967, I. 1, 277. 

76 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

nulla a pubblico impiego; che la questione coinvolgeva non la sola nullit� 
bens� la stessa possibilit� di costituzione di un qualsiasi rapporto con la 
Amministrazione, salvo che sul piano dell'arricchimento o dell'indebito, 
piano che incontra la responsabilit� del funzionario responsabile della 
spesa; e che, esulando ogni autonomia privata, le residue tutele incontrano 
i noti limiti delle azioni di arricchimento verso la pubblica amministrazione. 


Il motivo non � fondato. 

Anzitutto, e con riguardo alla qualificazione del rapporto, non � condivisa 
della giurisprudenza pi� recente e costante di questa Corte l'assunto 
(al quale le censure sembrano ricondursi) che dell'attivit� coessenziale ai 
fini istituzionali sia necessario predicato la natura pubblica del rapporto 
di lavoro o di impiego, sicch� in mancanza dell'atto formale di nomina 
(ove non si intendano ammettere come possibili forme anomale di esteriorizzazione 
della volont� autoritativa della pubblica amministrazione) 
od in caso di sua illegittimit�, nessuna altra tutela sarebbe configurabile 
per le prestazioni lavorative intanto erogate se non quella coperta della 
azione generale di arricchimento, entro i limiti ad essa propri ove proposta 
nei confronti dell'Ente pubblico. 

In realt�, poich� � lo stesso ordinamento a consentire che prestazioni 
di quel tipo siano acquisite attraverso contratti di impiego o di lavoro 
privati (anche a tempo determinato, risolubili ad nutum, senza inserimento 
nei ruoli) tramite personale estraneo ai quadri dell'organizzazione dell'Ente 
pubblico, non si comprende perch� il tipo di relazione tra le parti 
dovrebbe essere diverso a seconda che sia stato fatto diretto uso di tale 
potere da parte dell'Amministrazione, ovvero abbia essa tenuto un comportamento 
inidoneo a costituire lo status di pubblico dipendente, od infine 
l'atto (di nomina) bench� tipico, non sia riconducibile all'esercizio deI 
potere autoritativo, com'� nelle situazioni per le quali sussiste, per legge, 
divieto di nuove assunzioni (sent. n. 2887/69). 

In tale ultimo caso -al quale aderisce la fattispecie in esame -una 
volta accertata la violazione del divieto, la relazione che ne emerge non 
pu� che inquadrarsi tra quelle (di natura privata) alle quali � coerente, 
tenuto conto che la retroattivit� degli effetti di tale accertamento incontra 
un rapporto privo, nel suo momento genetico, di un requisito essenziale 
a qualificarlo come pubblico. 

Tanto rilevato in relazione alle censure di ordine generale, deve subito 

dirsi che tutte le altre questioni hanno trovato puntuale ed appagante 

risposta nella sentenza delle Sezioni Unite n. 63 del 1973, con l'affermazione 

del seguente principio di diritto: La violazione delle leggi regionali n. 14 

del 1958 e n. 15 del 1959 che vietano alla Regione siciliana di assumere 

dipendenti senza concorso, produce la nullit� del provvedimento di assun


zione e la responsabilit� degli amministratori che l'hanno adottato, ma 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 7T 

non impedisce che al rapporto d'impiego privato che di fatto deriva dalla 
attivit� prestata dal dipendente cos� assunto sia applicabile la prima parte� 
dell'art. 2126 e.e. e quindi non esclude che le prestazioni eseguite dal dipendente 
stesso siano retribuite dalla Regione (v. sent. n. 1934/59; v. 108/67).. 

E poich� non risultano sottoposti a censura sotto profili nuovi, pos-� 
sono sinteticamente richiamarsi i principi in quella pronunzia affermati e 
cio�: 

-che la previsione, accanto alla nullit� del provvedimento di assunzione, 
anche di una responsabilit� personale degli Amministratori, attiene� 
al rapporto interno all'Amministrazione e non tocca il principio generalissimo 
della riferibilit� ad essa delle obbligazioni assunte in violazione del 
divieto dai funzionari per motivi non esclusivamente personali, specie se� 
vi � stato anche riconoscimento ed utilizzazione del servizio di fattoprestato; 


-che l'art. 2126 e.e. si inquadra nel sistema generale di cui agli. 
ast. 1343 sgg., 1346 sgg. e 1448 e.e., solo differenziando, quanto ai rapporti� 
di lavoro, la disciplina del contratto illecito (nullit� radicale ex tunc) da 
quella del contratto illegale (nullit� priva di effetti per il periodo in cui 
il rapporto. ha avuto esecuzione; 

-che l'assunzione in violazione del divieto non realizza alcuna delle� 
ipotesi eccettuate di cui al co. 2 dell'art. 2126 e.e.: non quella del contratto�. 
in frode alla legge (che presuppone l'uso di un mezzo tipico astrattamente' 
lecito per realizzare un risultato diverso da quello tipico, in elusione indiretta 
di norma imperativa); non quella della causa illecita -da ammettersi 
anche per i contratti tipici, operando il raffronto tra la funzione ,del 
negozio concretamente creata con la funzione astratta stabilita per quel 
tipo e che � pur sempre funzione obiettiva, indipendentemente dai motivi 
che hanno determinato la contrattazione, in adozione di una concezione non 
rigorosamente obiettivistica della causa, in consonanza col sistema positivo 
e specificatamente con l'art. 2126 e.e. -(poich� il contratto tendeva alla. 
assunzione di forze lavorative necessarie per il funzionamento dell'Ente e� 
che furono lecitamente utilizzate allo scopo); non quella del contrasto con 
norme e principi fondamentali dell'ordinamento (perch� l'irregolarit� della 
assunzione tocca la sfera dell'illegittimit� e non dell'illecito, non impedendo� 
l'esercizio di fatto dell'attivit� lavorativa e l'utilizzazione di essa). 

Col secondo motivo del ricorso, denunziando violazione delle disposizioni 
del r.d. 4 ottobre 1935 n. 1827 e successive modifiche nonch� dell'art. 
2126 e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente si duole che 
gli sia stato fatto carico del versamento dei contributi previdenziali quale 
effetto ulteriore dell'operativit� dell'art. 2126 e.e. e sostiene che non si sia 
sufficientemente considerata la distinzione ed autonomia del rapporto previdenziale 
rispetto al contratto di lavoro al quale soltanto sarebbe limitato' 
l'ambito della norma in esame. 

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:78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Neppure tale motivo � fondato. 

Per il nesso di occasionalit� necessaria che corre tra il contratto di 
lavoro e quello assicurativo previdenziale -pur nell'autonom.ia dei rap� 
porti dai medesimi instaurati (genetica, funzionale, oggettiva, soggettiva) 
-le vicende del rapporto (bilaterale) di lavoro influenzano i diritti ed 
�.obblighi di ciascuno dei soggetti rispetto al coevo rapporto (plurilaterale) 

.assicurativo previdenziale. 

E poich� per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, 

l'art. 2126 e.e. lascia sussistere (salve le ipotesi eccettuate) le obbligazioni 

.derivanti dal contratto di lavoro nonostante l'accertata sussistenza di un 

vizio invalidante (nullit�, annullabilit�) ed, in particolare (co. 2), il diritto 

.alla retribuzione per il lavoro prestato in violazione di norme poste a tutela 

del prestatore d'opera, inerisce a tale assetto che per il medesimo periodo 

�necessariamente debba coesistere il rapporto assicurativo e con esso le 

�obbligazioni attive e passive per ciascuna delle parti dal medesimo 

.scaturenti. 

Se cos� non fosse, gli effetti del contratto ed il regolamento del rap� 

porto disciplinati dall'esaminata norma risulterebbero claudicanti, rima� 

dendo, senza plausibile motivo, il datore di lavoro parzialmente esonerato 

.dal carico delle conseguenze patrimoniali impostegli a preservazione dei 

rapporti di lavoro d.d. di fatto ed il lavoratore privato, per il periodo 

.considerato, della corrispondente copertura assicurativo-previdenziale, ed 

.emergendo, per giunta, un caso di prestazione sicuramente retributiva 

(per dettato normativo) esente da contribuzione assicurativo-previdenziale. 

-(Omissis). 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (*) 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 11 novembre 1975, n. 971 -Pres. De Capua" 
Est. Giovannini -Vecchia (avv. Prosperetti W.) c. Ministero sanit� 
(avv. Stato Gargiulo) e Bosi (n.c.). 

Concorso -Collocamento obJJllgatorio ex legge 2 aprile 1968, n. 482 -Possesso 
dei requisiti -Condizioni -Limiti. 

Per poter usufruire della particolare normativa sul collocamento obbligatorio, 
contenuta nella legge 2 aprile 1968, n. 482, � necessario il possesso 
dei seguenti requisiti: a) appartenenza a taluna delle categorie privilegiate 
elencate nell'art. 1 della legge medesima; b) stato di disoccupazione attuale 
del candidato, risultante dalla iscrizione negli speciali elenchi tenuti presso 
gli uffici provinciali del lavoro. Dette condizioni sono necessarie anche 
nelle ipotesi di collocamento obbligatorio presso pubbliche amministrazioni, 
effettuato ad esito di procedure concorsuali. 

� conseguentemente illegittima la nomina a vincitore, a seguito di 
procedura concorsuale, di un candidato orfano di guerra che segue in 
graduatoria il primo classificato e che risulti mancare di iscrizione nelle 
liste dei disoccupati al momento della pubblicazione del bando di concorso, 
dell'espletamento delle prove di concorso, della scadenza del termine 
di presentazione dei documenti di precedenza e della emanazione, infine, 
del decreto di approvazione della graduatoria e di declaratoria del vincitore, 
a nulla rilevando che nel bando di concorso non risulti prescritta la 
presentazione di alcun documento ai fini della dimostrazione dello stato 
di disoccupazione (1). 

(1) La giurisprudenza ha costantemente ritenuto indispensabile il possesso 
anche del requisito di cui alla lettera b) della decisione massimata (cfr. Sez. 
V 20 aprile 1971, n. 358 in Il Consiglio di Stato 1971, I, 789; Sez. V 29 febbraio 
1972, n. 114 ivi 1972, I, 181); il mancato possesso di detto requisito viene 
cos� a privare l'invalido, risultato idoneo nel concorso, del beneficio dell'as 
sunzione a preferenza di altri candidati che lo precedano a parit� di punteggio 
ex art. 5 T.U. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. 
Si ricordi che l'art. 43 del regolamento approvato con d.P.R. 18 giugno 1952, 

n. 1176 (che esplicitamente negava rilevanza allo stato di occupazione riguardo 
al diritto di fruire, da parte dell'invalido, dei benefici previsti dalla L. 3 giugno 
1950, n. 375 e dal regolamento stesso) � stato ritenuto norma introdotta in un 
regolamento di esecuzione in dubbia aderenza alla legge dalla quale scaturiva 
il potere regolamentare medesimo; detto articolo, pertanto, � da ritenersi 
abrogato tacitamente per effetto dell'art. 31 cpv della legge 2 aprile 1968, n. 482 
(*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato 
l'Avv. R. TAMIOZZO. 

7 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

in quanto incompatibile con le disposizioni di tale testo legislativo, che hannonuovamente 
e interamente disciplinato la materia delle assunzioni obbligatorie� 
(cfr. Sez. II par. 10 giugno 1969, n. 486 ivi 1970, I, 793). 

Sui limiti di applicabilit� della L. 2 aprile 1968, n. 482 si segnala anche la 
dee. Sez. IV 23 marzo 1971, n. 318 (ivi 1971, I, 413), la quale, fra l'altro, ha chiarito� 
che il beneficio della riserva del 15% dei posti nei conocrsi a posti delle carriere 
direttive e di concetto degli Enti pubblici a favore dei soggetti elencati nel~ 
l'art. 1 di detta legge si riferisce solo ai concorsi pubblici di ammissione a tali 
carriere, non anche ai concorsi interni relativi alla progressione di carriera. 

R. T. 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11novembre1975, n. 973 -Pres. De Capua Est. 
Schinaia -Biagioli ed altri (avv. Guarino), Billia (avv.ti Varvesi e� 
Bellini) e Russo ed altri (avv.ti Sorrentino e Casini) c. Ministeri Fi-� 
nanze e Tesoro (avv. Stato Ferri). 

Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad 
esaurimento di ispettore generale -Art. 66 decreto del Presidente della 
Repubblica 748/1972 -Decorrenza della nomina. 

Atto amministrativo -Attivit� amministrativa vincolata da norme di legge Configurabilit� 
-Non sussiste. 

Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad 
esaurimento di ispettore generale � Mancata previsione di retroattivit� Incostituzionalit� 
degli artt. 60, 61, 65 e 66 decreto del Presidente della 
Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. Non 
s�ssiste. 

Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad 
esaurimento di ispettore generale � Mancata previsione di retrodatazione 
-Incostituzionalit� degli artt. 60, 61, 65 e 66 decreto del Presi-� 
dente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 in relazione all'art. 3" 
Cost. � Non sussiste. 

Impiego pubblico -Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti statali -Disciplina 
contenuta nell'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 
30 giugno 1972, n. 748 � Incostituzionalit� in relazione agli artt. 76 e 77 
Cost. � Non sussiste. � 

Impiego pubblico � Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti statali -Disci-� 
plina contenuta nell'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 
30 giugno 1972, n. 748 � Incostituzionalit� in relazione all'art. 3 Cost. -Non 
sussiste. 

Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad 
esaurimento di ispettore generale � Disciplina contenuta nell'art. 67' 
decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 -Incostituzionalit� 
in relazione agli artt. 36 e 97 Cost. � Non sussiste. 

Ai sensi del 10 co. art. 66 decreto del Presidente della Repubblica: 
30 giugno 1972, n. 748, fino al 30 giugno 1975 si prescinde -per le promozioni 
alle qualifiche superiori a direttore di sezione -dall'osservanza dei 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 81 

termini indicati dall'art. 40 decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 
1970, n. 1077 e dall'art. 24 decreto del Presidente della Repubblica 

n. 74811972; tale normativa, peraltro, non comporta retroattivit� delle 
promozioni, ma semplice reviviscenza del principio generale secondo cui 
non � possibile far retroagire le promozioni per scrutinio ad un momento 
anteriore a quello in cui furono deliberate dal Consiglio di amministrazione, 
in mancanza di espressa disposizione in contrario (1). 
Per le qualifiche dei dirigenti l'art. 59, 1a co., in relazione all'art. 1 
decreto del Presidente della Repubblica 748/1972, prevede l'istituzione con 
effetto dal la gennaio 1971 delle qualifiche ad esaurimento, mentre analogo 
effetto non � previsto per le promozioni di direttori di divisione alla 
qualifica ad esaurimento di ispettore generale, la cui decorrenza � pertanto 
fissata alla data in cui gli scrutinati per la promozione sono stati designati 
dal Consiglio di amministrazione (2). 

Qualora non sussista alcun margine di discrezionalit� per la p.a., 
tenuta allo svolgimento di una attivit� amministrativa vincolata ex lege, 
non � configurabile il vizio di eccesso di potere per manifesta ingiustizia(3). 

E manifestamente infondata la questione di costituzionalit� degli 
artt. 60, 61, 65 e 66 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, in relazione agli articoli 
76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non viene prevista la retroattivit� 
delle promozioni dei direttori di divisione alla qualifica -nel ruolo 
ad esaurimento -di ispettore generale (4). 

L'art. 59 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 si � limitato a disporre un mero 
inquadramento in una corrispondente qualifica di dirigente di soggetti gi� 
in possesso di una determinata qualifica direttiva, laddove la promozione 
del direttore di divisione ad ispettore generale ad esaurimento comporta 
il passaggio da una qualifica inferiore ad una superiore: ne consegue la 
manifesta infondatezza della questione di costituzionalit�, rispetto all'art. 3 
della Costituzione, degli artt. 60, 61, 65 e 66 d.P.R. 74811972, sotto il profilo 
che in essi non sarebbe prevista la retroattivit� della promozione ad ispettore 
generale (5). 

L'art. 16 L. 28 ottobre 1970, n. 775, che ha sostituito l'art. 12 L. 18 marza 
1968, n. 249, ha attribuito alla normativa delegata il potere di graduare gli 

(1-7) La impossib'ilit� di far retroagire le promozioni per scrutinio ad un 
momento anteriore a quello in ct� furono deliberate dal Consiglio di Amministrazione 
� stata altre volte confermata in giurisprudenza (cfr. Sez. IV 21 aprile' 
1970, n. 309 in Il Consiglio di Stato 1970, I, 613; Sez. IV 6 aprile 1970 n. 229 ivi 
1970, I, 575). 

Sulla assimilazione -all'atto del collocamento a riposo -dei direttori di 

divisione ad esaurimento ai primi dirigenti cfr. T.A.R. Lazio I Sez. 5 marzo 1975, 

n. 138 (in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 751). 
In tema di promozione alla qualifica di direttore di divisione del ruolo ad 
esaurimento ai fini dell'applicazione dell'art. 65 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 
cfr. T.A.R. Lazio III Sez. 14 luglio 1975, n. 297 (ivi 1975, I, 1983). 



82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
incentivi per l'esodo volontario; ne consegue la manifesta infondatezza 
della questione di costituzionalit� -in relazione agli artt. 3, 76 e 77 della 
Costituzione -dell'art. 67, 3� co., d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, il quale 1-'.� t 
prevede una diversa disciplina dei direttori di divisione e degli ispettori 
generali che gi� rivestivano dette qualifiche al momento dell'entrata in �Il 
vigore del d.P.R. 748 rispetto ai funzionari che invece avevano conseguito 
tali qualifiche per effetto di promozioni conseguite dopo la entrata in vigore 
dello stesso provvedimento presidenziale; tale diversa disciplina si ricollega 
alla sostanziale diversit� di situazioni: da un lato soggetti che da tempo ed 
effettivamente avevano prestato servizio con una determinata qualifica, 
dall'altro soggetti che avevano prestato servizio in una qualifica inferiore 
(6). 
La manifesta infondatezza della questione di costituzionalit� dell'art. 
67, 3� co., d.P.R. n. 748/1972 in relazione agli artt. 36 e 97 della Costituzione 
si basa sulla ratio intrinseca della diversit� di disciplina prevista 
da getto art. 67 e volta ad evitare che, mentre i direttori di divisione pi� 
meritevoli e capaci, e perci� inquadrati nella qualifica di primo dirigente, 
secondo il disposto del 3o e 5" co. dell'art. 59 d.P.R. 748/1972 avrebbero 
conseguito agli effetti dell'esodo la qualifica di dirigente superiore, viceversa 
gli impiegati, che rivestivano la stessa qualifica di direttori di 
divisione, ma ritenuti meno capaci e quindi esclusi, almeno temporaneamente, 
dall'inquadramento a dirigente .superiore, una volta conseguita 
retroattivamente la promozione ad ispettore generale, avrebbero goduto, 
in sede di esodo volontario, non gi� della qualifica di dirigente superiore 
(come i loro colleghi ritenuti maggiormente capaci), ma della superiore 
qualifica di dirigente generale (7). 
CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 14 novembre 1975, n. 1017 -Pres. (ff.) 
Benvenuto � Est. Pignataro � Napoli ed altri (avv.ti Di Stefano e Salerno) 
c. E.N.P.A.S. (avv. Stato Siconolfi) e Ministero. grazia e giustizia 
(avv. Stato Siconolfi). 
Pensioni � Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. � Congiunti � Diritti per successione 
� Tassativit� della elencazione degli aventi diritto � Sussiste. 
Atto amministrativo � Obbligo di motivazione � Provvedimento che costi� 
tuisce mera attuazione vincolata di una norma di legge � Necessit� di 
specifica motivazione � Non sussiste. 
Legge, decreti e regolamenti � Proponibilit� di una questione di incostituzionalit� 
� Limiti. 
Poich� l'indennit� di buonuscita � volta a soddisfare una funzione 
previdenziale e assistenziale e poich� nella sfera dei rapporti di tal genere 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 83 

ogni elencazione di aventi diritto a determinate prestazioni � da considrare 
a carattere tassativo ed esclusivo, l'art. 48 del t.u. 26 febbraio 1928, 

n. 619, integrato dall'art. 3 della l. 27 novembre 1956, n. 1407, va interpretato 
nel senso ristretto di indicare i casi in cui l'indennit� di buonuscita � 
dovuta al prestatore d'opera, mentre l'art. 52 del citato t.u., sostituito dall'art. 
5 l. 140711956, indica quali congiunti (orfani minorenni, orfani maggiorenni 
inabili, orfane maggiorenni nubili) hanno titolo alla buonuscita 
quando l'iscritto all'opera di previdenza da almeno sei anni muoia prima 
del collocamento a riposo, dopo aver maturato il periodo minimo per il 
diritto alla normale pensione, oppure muoia per causa di servizio ordinario 
(1). 
E sufficiente l'enunciazione delle norme applicate in sede di motivazione 
di un provvedimento amministrativo che rappresenti una mera attuazione 
vincolata di una norma di legge .(2). 

Una questione di costituzionalit� gi� proposta alla Corte Costituzionale 
non pu� essere nuovamente sollevata -ancorch� con diversa formula~ 
zione -nel medesimo giudizio, e ci� in quanto -diversamente -verrebbe 
violato il principio fissato dall'art. 137 della Costituzione, che preclude la 
possibilit� di impugnazione delle decisioni della Corte Costituzionale (3). 

(1-3) La Corte Costituzionale con la sentenza 18 febbraio 1970 n. 19 (in Il 
Consiglio di Stato 1970, II, 205) ebbe a chiarire la natura della indennit� di 
buonuscita, accordata al personale statale dapprima con il r.d. n. 2480 del 1923 
e disciplinata poi dal T.U. n. 619 del 1928 e successive modificazioni, qualificandola 
come parte integrante del trattamento di quiescenza, anche se erogata 
a cura di una apposita opera di previdenza, e come vero. e proprio diritto 
patrimoniale connesso con lo status di dipendente di ruolo che abbia maturato 
il diritto a pensione; n� su tale natura e qualificazione pu� influire la circostanza 
che per la sua determinazione e liquidazione valgano norme non in tutto 
coincidenti con quelle regolative della pensione. 

La stessa Corte Costituzionale si � gi� pronunciata per la infondatezza della 
questione di costituzionalit� dell'art. 5 della L. n. 1407/1956 (cfr. dee. 12 giugno 
1973, n. 82 ivi 1973, II, 688). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 2 dicembre 1975, n. 1167 -Pres. Uccellatore 
-Est. Carbone -Soc. Navigazione Alta Italia (avv. Sorrentino) c. 
Ministero tesoro (avv. Stato Sernicola). 

Danni di guerra -Nozione e qualificazione del cespite -Incostituzionalit� 

dell'art. 8 legge 955/1967 in relazione all'art. 3 Cost. -Non sussiste 


Fattispecie in tema di unit� navigante. 

Posto che il legislatore ha individuato in ogni singolo natante un 
unico e indivisibile cespite, ne discende che i beni assemblati nel natante 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

medesimo non sono produttivi di redditi autonomi e distinguibili una volta 
uniti nella singola nave, ma concorrono insieme alla produzione del servizio 
di trasporto marittimo e del connesso reddito: ci� in relazione sia alla 
unit� funzionale e strutturale dei beni in questione (scafo, macchine, attrezzature 
fisse e mobili, ecc.), sia al concetto di nave sotto il profilo strettamente 
giuridico di cosa o bene composto e non di universalit�, e quindi 
non suscettibile di formare oggetto di diversi rapporti giuridici; pertanto, 
non sussistendo alcuna disparit� di trattamento normativo tra navi ed 
altri beni industriali o commerciali o agricoli, � manifestamente infondata 
la censura di incostituzionalit�, rispetto all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 
8 della l. 29 settembre 1967 n. 955 che considera ogni singolo natante 
come unico cespite ai fini dell'indennizzo per danni di guerra (1). 

(1) Cespite indennizzabile nel risarcimento del danno di guerra. 
La decisione che si annota ha fatto, con esatta motivazione, puntuale applicazione 
dei principi che informano il concetto di cespite unico, .quale si � venuto 
configurando in sede amministrativa e giurisprudenziale, con specifico riferimento 
alle attivit� industriali e commerciali. 
Il ricorrente aveva dedotto una censura di illegittimit� costituzionale peraltro 
rettamente ritenuta manifestamente infondata dalla Sezione sotto il 
profilo della insussistenza di disparit� di trattamento normativo fra navi e altri 
beni industriali o commerciali o agricoli -della norma formulata con l'art. 8 
della legge 29 settembre 1967, n. 955, il quale recita testualmente al 1� comma: 
� Le disposizioni della legge 27 dicembre 1953, n. 968, si applicano anche ai danni 
sub�ti dalle navi e dai galleggianti requisiti in uso o noleggiati con assunzione 
dei rischi di guerra da parte dello Stato o, comunque, assicurati contro i detti 
rischi, nonch� alle navi requisite per acquisto, ai sensi del quinto comma dell'art. 
1 del regio decreto 2 febbraio 1943, n. 127. Le indennit� gi� percepite sono 
detraibili ai sensi dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1953 n. 968, dall'indennizzo 

o dal contributo, da liquidare per ogni singolo natante da considerarsi unico� 
cespite�. 
Con decisione 21 marzo 1969 n. 84 (in questa Rassegna 1969, I, 482) la Sez. 
IV fiss� il principio che per stabilire i singoli cespiti occorre esaminare se 
esistano effettivamente i requisiti dell'autonomia economica, dell'unit� organica 
e della efficiente destinazione funzionale per un solo bene o per un complesso 
di beni del danneggiato, considerando l'azienda �in modo dinamico e non nella 
statica rappresentazione dei vari elementi costitutivi�. 

E proprio in relazione a detto principio la Sezione nell'occasione escluse 
la possibilit� di operare distinzioni, nell'ambito dell'azienda danneggiata, fra 
costruzioni murarie e attrezzature produttive, considerata la impossibilit� di 
separare beni legati da un nesso di interdipendenza funzionale, i quali, per 
volont� del titolare o per ragioni giuridiche ed economiche, concorrono nella 
produzione di un reddito o comunque nel soddisfacimento di altre esigenze 

sociali. 
In buona sostanza, il �cespite� contemplato dalla L. 27 dicembre 1953 

n. 968, consiste essenzialmente in un bene singolo o in un insieme di beni, 
destinati ad una funzione specifica e unitaria (cfr. Parere III Sez. 30 marzo 1954, 
n. 32; Ad. Pl. 4 febbraio 1964 n. 4 in Il Consiglio di Stato 1964, I, 213; Ad. Pl. 
8 aprile 1964 n. 9 in Foro Amm.vo 1964, I, 2, 425), cosicch�, qualora risulti che 
i beni, al momento in cui ebbe a verificarsi la loro perdita o distruzione, man-
f 

~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

-cavano di ogni autonomia dal punto di vista sia organizzativo che economico 
�e funzionale va negata l'esistenza di cespiti separati e distinti e siffatta valutazione 
che venga compiuta dall'Amministrazione rientra nel campo della discre:
zionalit� tecnica (cfr. Sez. IV 18 giugno 1969 n. 284 in Il Consiglio di Stato 1969, 
I, 846), che non � sindacabile in sede di legittimit� se non sotto il limitato 
profilo del grave vizio logico (incongruit� della motivazione) che solo potrebbe 
�configurare l'eccesso di potere; la stessa individuazione dei beni indennizza


�bili e la loro suddivisione in cespiti costituiscono apprezzamento di merito non 
-censurabile in sede di legittimit� (cfr. Sez. IV 7 aprile 1970 n. 241, ivi 1970, I, 
.578). ) 
Ferma, dunque, la necessit� della congrua motivazione, essa peraltro si 
.riferisce pur sempre e soltanto alla prima fase dell'istruttoria volta alla determinazione 
e liquidazione del risarcimento e cio� alla fase di accertamento dei 
�danni e alla relativa quantificazione: � in questa fase, infatti, che l'operato 
dell'Amministrazione si concreta in una attivit� di squisita natura tecnico-discre:
zionale, nella quale il criterio di individuazione dei vari cespiti di reddito si 
basa sul principio fondamentale dell'unit� organica di beni collegati da una 
autonomia funzionale e da una potenzialit� di reddito autonomo, valutazioni 
-che poggiano su risultanze acquisite con il criterio strutturale e funzionale, 
indipendentemente dalla situazione contrattuale esistente all'epoca del sopravvenuto 
danno che non necessariamente pu� e deve coincidere con le predette 
risultanze. 

Si tenga al riguardo presente che � cespite � pu� non essere necessaria


mente un insieme di beni e che la produzione del reddito o la capacit� di 

produrre reddito � elemento secondario -anche se normalmente esistente 

di fronte alla destinazione del cespite, come bene singolo o come complesso di 

beni, ad una funzione unitaria.. 

Cos� si spiega anche l'esclusione dell'avviamento dalla categoria dei danni 
di guerra indennizzabili, e con essa l'esclusione anche dei beni futuri, fra i 
.quali rientra anche il lucro cessante: l'indennizzo, infatti, non pu� avere riferimento 
ad una siffatta entit� (l'avviamento) non tanto perch� esso non costituisce 
elemento � patrimoniale� dell'azienda, quanto piuttosto perch� il legislatore, 
ai fini della determinazione del cespite, non ha considerato l'azienda 
-come entit� distinta dalle singole cose che la compongono, ma come oggetto 
essa stessa, nella sua unit�, di diritti e atti giuridici (cfr. Sez. IV, 6 marzo 1968 

n. 135 ivi 1968, I, 375). 
Altro � invece il criterio collegato alla successiva fase, cio� a quella ulte


riore di applicazione ai risultati ottenuti di taluni criteri obiettivi predeter


minati per legge, applicazione che si risolve in una attivit� meramente vin


-colata all'attuazione del dettato normativo, nella quale l'Amministrazione -a 

differenza della prima fase di attivit� tecnico-discrezionale che, per incidere 

direttamente sulla legittima aspettativa del soggetto danneggiato a vedersi rico


noscere un giusto risarcimento, necessit� di una congrua motivazione del prov� 

vedimento concessorio -ben pu� far semplice richiamo alla legge applicata 

(cfr. in termini Sez. IV 30 maggio 1972 n. 478 ivi 1972, I, 866; Sez. IV 8 luglio 

1975 n. 663 ivi 1975, I, 766). 

Che il concetto di � cespite sia comunque un concetto non strettamente 
giuridico e perci� stesso fonte di costante perplessit� � stato ripetutamente 
affermato anche in dottrina (cfr. DANESE, Raccolta di leggi e disposizioni regolatrici 
del risarcimento del danno di guerra, Roma 1958; CARLETTI, La cognizione 
dei cespiti secondo la legge riparatrice dei danni di guerra, in Riv. Amm. 1961, 
313; DALLARI, Danni di guerra, Enc. Dir. Giuffr� 1970 voce Guerra [danni di], 914); 
nel recepire la definizione accolta dall'ultimo degli autori citati, il Dallari, si 


86 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pu� in sintesi affermare che la definizione di cespite usata dal legislatore, e che 
risulta accolta -come si � visto -anche in sede giurisprudenziale, deve essere 
riferita � ��: a quei complessi di beni (o anche un bene singolo), che per destinazione 
del titolare o per il regime giuridico da cui sono regolati assolvono a 
una funzione unitaria sia per la produzione di un reddito, che di beni, ecc. 
Esempi tipici di tali entit� sono il fondo rustico, l'azienda industriale o commerciale, 
la propriet� edilizia, le singole navi di una flotta �. 

La decisione che si annota arreca un indubbio contributo chiarificatore in 
ordine alla qualificazione del criterio (solidaristico e non proporzionalistico) 
seguito dal legislatore con riferimento non direttamente al soggetto proprietario 
del bene danneggiato ma al bene oggetto del danno, individuando cos� nel 
cespite un criterio � aggregativo dei beni da considerare unitariamente ai fini 
della concessione di indennizzo e della applicazione dei limiti per scaglioni di 
valore�. 

Detto criterio aggregativo fa cos� riferimento non solo e non tanto ad una 
connessione strutturale e funzionale di una pluralit� di beni, � ma anche e necessariamente 
ad una loro connessione economica nel senso precipuo di beni destinati 
tutti alla produzione di un unico reddito � complessivo e non scindibile: 
trova cos� giustificazione piena la caratterizzazione della nave come unico e 
indivisibile cespite nel quale i beni assemblati, pur potendo avere un valore economico 
autonomo se collocati in un diverso contesto ovvero se realizzati sul 
mercato per il loro valore-capitale, non possono considerarsi suscettibili di redditi 
separati una volta uniti nella singola nave in quanto insieme, e inscindibilmente, 
concorrono a prestare il � servizio di trasporto marittimo � e a � produrre 
il reddito conseguente �: affermazione che sembra invero ben difficilmente 
confutabile (per altri aspetti peculiari in materia di risarcimento dei danni di 
guerra in relazione all'affondamento di motonavi e navi mercantili -estensione 
dei contributi e indennizzo anche alle attrezzature di bordo, detrazione delle 
provvidenze per recupero e ripristino del bene e degli indennizzi liquidati da 
societ� assicuratrici -si segnalano anche Sez. II parere 10 novembre 1970 

n. 1281 in Il Consiglio di Stato 1971, I, 2033; Sez. IV 26 settembre 1975 n. 778 
ivi 1975, I, 1002). 
RAFFAELE TAMIOZZO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 14 novembre 1975, n. 617 -Pres. Cesareo, 
-Est. Coraggio -I.N.P.S. (avv. Sacerdoti) c. Gori ed altri (avv. Mangia) 
-Regolamento di competenza. 

Ricorsi amministrativi � Termini processuali � Art. 22 L. n. 1034/1971 Natura 
del termine � Ordinatorio. 

Competenza e giurisdizione -Tribunali Amministrativi Regionali -Regolamento 
di competenza territoriale � Termini ex art. 31, 2� comma, legge 
1034/1971 � Decorrenza � Individuazione -Riferibillt� alla data di effettiva 
costituzione in giudizio -Casi di esclusione. 

E da considerare puramente ordinatorio il termine di 20 giorni fissato 
dall'art. 22 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, analogamente a quello del corrispon-

I 
I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 87 

dente art. 37 t.u. 1054/1924 sul Consiglio di Stato; pertanto la costituzione 
in giudizio pu� ben avvenire in un momento successivo alla scadenza di 
detto termine (1). 

In relazione alla rigorosa previsione legislativa dei tempi di esercizi<> 
dell'azione nell'ambito del sistema processuale amministrativo, per poter 
individuare il momento iniziale del termine fissato dal 2� co. dell'art. 31 

l. 1034/1971 per la proposizione della istanza diretta a far preventivamente 
decidere dal Consiglio di Stato la questione relativa alla competenza territoriale 
del Tribunale Amministrativo Regionale adita, occorre partire dalla 
data di effettiva costituzione in giudizio: in particolare, se la costituzione 
in giudizio � avvenuta prima della scadenza dei termini di cui all'art. 22' 
l. 1034/1971, dovr� farsi riferimento alla data di effettiva costituzione in 
giudizio; nel caso, invece, di costituzione in giudizio dopo la scadenza di 
detti ultimi termini, dovr� farsi riferimento esclusivamente allo scadere 
dei termini in parola, senza alcuna considerazione della data di effettiva: 
costituzione in giudizio (2). 
(1-2) L'Amministrazione resistente e gli eventuali controinteressati possonocostituirsi 
in giudizio con presentazione di memorie e documenti fino alla scadenza 
del ventunesimo giorno anteriore alla udienza, con presentazione di sola 
memoria, e senza documenti fino alla scadenza dell'udicesimo giorno anteriore 
alla udienza; infine, fino alla data fissata per l'udienza di discussione � possibile 
la costituzione col solo deposito, da parte del difensore, della procura e, 
nei casi in cui sia richiesta, della autorizzazione a stare in giudizio (cfr. i111 
termini T.A.R. Veneto 25 febbraio 1975 n. 39 in I Tribunali Amministrativi Regionali 
1975, I, 577). 

La decisione della VI Sez. che si annota � esatta e pienamente da condividere. 

In relazione alla natura ordinatoria del termine per la costituzione in 
giudizio ricordiamo che l'art. 37 T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 sul procedimento 
avanti il Consiglio di Stato fissa i termini per la presentazione di istanze, memorie 
e documenti ad opera delle parti destinatarie del ricorso; peraltro, poich� 
nessun termine � fissato per la costituzione in giudizio, il Consiglio di Stato ha 
ritenuto non perentorio il termine assegnato alle parti, beninte�O qualora esse� 
non debbano procedere alla notifica e al deposito di ricorso incidentale; 
cosicch� le parti possono liberamente costituirsi in giudizio fino alla udienz:l cli 
assegnazione della causa a decisione, sia pure con salvezza dei termini per la 
presentazione di memorie e documenti che il Presidente del Consiglio di Stato 
assegner� con decreto (cfr. IV Sez. 1� �dicembre 1965 ,n. 744 in Consiglio di 
Stato 1965, I, 2063; V Sez. 14 maggio 1965 n. 519 ivi 1965, I, 932). 

Per il giudizio in Cassazione, come � noto, se la parte alla quale � notificato� 

il ricorso intende contraddire, dovr� farlo con controricorso, da notificarsi aI 

ricorrente entro 20 giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito 

del ricorso. Ove difetti tale notificazione, la parte non potr� presentare memo


rie, ma soltanto partecipare alla discussione orale (art. 370 1� co. c.p.c.). Il 

controricorso, inoltre, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilit�, da 

un avvocato iscritto nell'apposito albo e munito di procura speciale (art. 370, 

2� co., c.p.c) (cfr. in termini Cass. 16 marzo 1964 n. 600 e 15 marzo 1965 n. 428 in 

Il Consiglio di Stato 1964, II, 295; 1965, II, 222). 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 28 novembre 1975, n. 622 -Pres. Aru Est. 
Buscema -Simioni (avv. Bonaventura) c. Commissione giudicatrice 
esami di maturit� tecnica anno scolastico 1972-73 presso Istituto tecnico 
commerciale � L. Einaudi� di Bassano del Grappa ed altri (avv. Stato 
Lancia). 

Istruzione pubblica -Esami � Risultanze esami di maturit� � Valutazioni 
di merito � Intervento di fattori estranei ai parametri legali � Sindacato 
di legittimit� � Ammissibilit� � Sussiste. 

Istruzione pubblica � Esami � Svolgimento di esami di maturit� � Comportamento 
del candidato nei confronti della Commissione � Effetti � Rile� 
vanza � Limiti. 

Istruzione pubblica � Esami � Esami di maturit� � Elementi valutabili dalla 
Commissione � Criteri di valutazione � Limiti. 

Istruzione pubblica � Esami � Esami di maturit� tecnica commerciale � 
Elementi valutabili � Cultura e preparazione tecnica � Rilevanza. 

Le valutazioni della Commissione di maturit� costituiscono apprezzamento 
tecnico-discrezionale e rappresentano una delle basi insindacabili del 
giudizio finale; esse, peraltro, si pongono pur sempre come un posterius 
rispetto ad eventuali, anomale circostanze di fatto, alle medesime estranee, 
che ne possono aver alterato il contenuto; ne consegue che, se, ad esempio, 
alcune prove orali hanno sub�to un inquinamento per effetto di componenti 
perturbatrici estranee ai criteri legali di valutazione, non sussister� alcuna 
preclusione, per il giudice di legittimit�, alla indagine circa l'incidenza di 
dette componenti sullo sfavorevole esito dell'intero esame di maturit�, indagine 
che dovr� comunque limitarsi agli eventuali aspetti patologici del� 
l'iter formativo degli apprezzamenti espressi (1). 

(1-4) Sugli elementi valutabili dal Consiglio di classe per l'ammissione agli 
esami di maturit� cfr. Sez. VI 31 ottobre 1975, n. 601 (in Il Consiglio di Stato 
1975, I, 1156). 

Sulla natura degli atti del Consiglio di classe e delle Commissioni esaminatrici 
nelle scuole medie e in ispecie della Commissione per gli esami di licenza 
media, configurati come valutazioni discrezionali di carattere tecnico-didattico 
non sindacabili nel merito ma solo sotto il profilo della legittimit� cfr. Sez. VI 
24 giugno 1975, n. 199 (ivi 1975, I, 935); T.A.R. Veneto 16 gennaio 1975, n. 5 (in 
I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I; 554). 

Sui limiti di censura della valutazione del candidato ad esami di maturit� 
in relazione al curriculum, agli atti dello scrutinio di ammissione, alle prove e 
alla personalit� del candidato, nonch� sul giudizio finale di maturit� si sono gi� 
pronunciati molti T.A.R. (cfr., ad esempio, T.A.R. Umbria 24 gennaio 1975, n. 33 
in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 372; T A.R. Umbria 7 febbraio b 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

89 

In sede di svolgimento di esami di maturit� al rispetto della personalit� 
del candidato si contrappone costantemente, in forza del medesimo 
principio e su un piano di parit�, il rispetto, da parte dell'esaminato, della 
.dignit� dei commissari, sia come persone umane, sia come organi investiti 
.dell'esercizio di una pubblica funzione (2). 

A conclusione dell'esame di maturit� il giudizio motivato va formulato, 
rispettivamente per ciascun candidato, sulla base dei seguenti elementi: 
a) risultanze tratte dall'esito dell'esame; b) curriculum degli studi; 
e) ogni altro elemento posto a disposizione della commissione (cfr. art. 8 
.d.l. 15 febbraio 1969 n. 9, convertito, con modificazioni, nella l. 5 aprile 
1969 n. 119, le cui disposizioni risultano prorogate ai sensi della l. 15 aprile 
1971 n. 146 fino all'entrata in vigore della legge di riforma della scuola 
.secondaria),� ne consegue che i soli precedenti scolastici non possono mai 
portare automaticamente ad un giudizio di maturit� perch� -diversamente 
-l'esame di Stato diverrebbe del tutto superfluo (3). 

In sede di maturit� tecnica commerciale la Commissione esaminatrice 
.deve accertare non solo e non tanto il grado di cultura quanto piuttosto la 
preparazione tecnica del candidato, considerato che il titolo di studio non 
solo d� accesso all'Universit�, ma abilita altres� all'esercizio professionale; 
ne consegue che la valutazione di � non tecnicamente maturo �, formulata 
dalla Commissione di maturit� con congrua motivazione ex art. 8 d.l. 
15 febbraio 1969 n. 9, non genera alcuna perplessit� e risulta priva di vizi 
Jogici e pertanto esente da censure (4). ' 

1975, n. 48 ivi 1975, I, 375; T .A.R. Molise 12 dicembre 1974 n. 1$ ivi 1975, I, 393; 

T.A.R. Liguria 13 febbraio 1975 n. 20 ivi 1975, I, 584; T.A.R. Toscana 27 maggio 1975 
n. 206 ivi 1975, I, 2353; T.A.R. Lazio III Sez. 10 febbraio 1975 n. 77 ivi 1975, I, 499; 
T.A.R. Lazio III Sez. 24 febbraio 1975 n. 85 ivi 1975, I, 508; T.A.R. Toscana 
26 marzo 1975 n. 105 ivi 1975, I, 967; T.A.R. Emilia Romagna 19 giugno 1975 n. 299 
.ivi 1975, I, 2176; T.A.R. Puglia 25 febbraio 1975 n. 11 ivi 1975, I, 736; T .A.R. 
Veneto 19 dicembre 1974 n. 96 ivi 1975, I, 86; T.A.R. Campania 18 giugno 1975 n. 81 
ivi 1975, I, 2396; T.A.R. Puglia 8 luglio 1975 n. 100 ivi 1975, I, 2429; T.A.R. Puglia 
11 giugno 1975 n. 86 ivi 1975, I, 2412: le ultime due sanciscono l'insussistenza dell'obbligo 
di un giudizio complessivo sulla personalit� del candidato). 
Sul criterio di prevalenza dell'esito negativo delle prove di esame rispetto al 
giudizio positivo di ammissione cfr. Consiglio di Stato VI Sez. 21 giugno 1974 

n. 218 (in Il Consiglio di Stato 1974, I, 976); T.A.R. Veneto 17 dicembre 1974 n. 66 
e T.A.R. Umbria 17 dicembre 1974 n. 84 (rispettivamente in I Tribunali Amministrativi 
Regionali 1975, I, 69 e 198). . 
Sulla decorrenza del termine per impugnare il provvedimento di ammissione 
.all'esame di maturit� (che decorre non dal giorno di pubblicazione nell'albo dell'Istituto, 
ma dal momento in cui l'interessato ha avuto conoscenza anche della 
motivazione del giudizio del Consiglio di Classe) cfr. T.A.R. Puglia 17 dicembre 
1974 n. 45 (in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 211). 

R. T. 

SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 ottobre 1975, n. 3277 -Pres. Rossi Est. 
Carnevale -P. M. Serio (conf.) -Ministero delle Finanze (Avv. 
Stato Arnone) c. Cal�. 

Imposte e tasse in genere � Obbligazione tributaria � Natura � Applicabilit� 
di tutte le regole di diritto civile non espressamente derogate. 

Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Solidariet� � Successione 
ereditaria � Divisione del debito fra eredi. 

(c. c. 752, 754, 1294, 1295, 1318; t. u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 16; d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600, art. 65). 
L'obbligazione tributaria, quale sottospecie delle obbligazioni pubbliche, 
non si differenzia nella sua struttura, una volta venuta od esistenza, 
dalla obbligazione di diritto privato, si che, in mancanza di specifiche 
deroghe stabilite dalle leggi tributarie, la disciplina dettata dal cod. civ. 
in materia di obbligazioni � direttamente applicabile anche ad essa (1). 

Poich� l'obbligazione tributaria non � una obbligazione indivisibile, 
e poich� la norma eccezionale dell'art. 16 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 
ha una portata che non si estende oltre la materia delle imposte dirette, 
nelle imposte indirette deve valere la regola di diritto comune che l'obbligazione 
tributaria a seguito della morte del contribuente si divide fra 
gli eredi in proporzione delle rispettive quote (2). 

(1-2) Considerazioni sulla obbligazione tributaria e la sua trasmissione 
per causa di morte. 
Con questa l'approfondita pronuncia, per la risoluzione di una questione 

alquanto limitata, � stato ridiscusso sotto numerosi profili il problema della 
obbligazione tributaria nei suoi fondamentali caratteri; ci� offre l'occasione per 
alcune considerazioni sia d'ordine generale che specifiche del tema controverso. 

Sulla prima grande questione della obbligazione pubblica, della quale quella 
tributaria � una sottospecie, si deve sicuramente condividere l'affermazione che 
la nozione essenziale di obbligazione � unica per tutto l'ordinamento giuridico; 
non si saprebbe nemmeno,immaginare una obbligazione che, nel suo elementare 
concetto, sia diversa da quella di diritto privato; la nozione di obbligazione, 
piuttosto supposta che definita nel cod. civ., � talmente elementare e connaturale 
alla vita del diritto che la nostra fantasia non riuscirebbe mai a concepirla diversamente. 
Pertanto le questioni un tempo sollevate sulla specialit� della obbl�gazione 
pubblica e della obbligazione tributaria in specie (GIANNINI A. D., I 
concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, 144; GIANNINI M. S.; 
Diritto amministrativo, Milano 1970, I, 739) possono considerarsi ormai spente. 

Si deve pure nella sostanza condividere l'affermazione che, sotto l'aspetto� 
sostanziale, i soggetti del rapporto obbligatorio di imposta si trovano, come in 
un'obbligazione di diritto privato, in posizione di eguaglianza nel senso che le \ 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 91 

(Omissis). -Con l'unico motivo -denunciando la violazione e la 
falsa applicazione degli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ. e la violazione dell'art. 
16 del t.u. sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione 
all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. -l'Amministrazione ricorrente si duole 
che la Corte del merito abbia ritenuto che il principio fissato dall'art. 16 
del citato t.u. n. 645 del 1958, secondo cui gli eredi rispondono solidalmente 
delle obbligazioni tributarie del loro dante causa, non abbia applicazione 
generale nell'ordinamento tributario, che, avendo la legge di registro 
disciplinato in modo autonomo i casi di solidariet� tributaria, configurare 
altre ipotesi di solidariet� equivarrebbe ad una non consentita 
modifica del sistema; che, conseguentemente, gli eredi del soggetto passivo 
dell'imposta di registro sarebbero tenuti al pagamento del tributo soltanto 
in proporzione della loro quota, in conformit� al disposto dell'art. 
752 cod. civ., e non solidalmente. Deduce, in contrario che le disposizioni 
contenute negli articoli da 1 a 16 del t.u. sulle imposte dirette, 
ed altre del medesimo testo unico, prevedendo principi di carattere generale 
in materia di diritto tributario, sono applicabili anche ai tributi 
indiretti, salvo che nelle singole leggi disciplinanti questi ultimi non si 
rinvengano deroghe espresse; che qualora il principio della solidariet� 
tra gli eredi per le obbligazioni tributarie del de cuius trovasse appli


potest� conferite all'Amministrazione, quale soggetto di diritto pubblico, attengono 
all'aspetto formale (procedimento di accertamento, liquidazione e riscossione 
e, eventualmente, sansionatorio), riguardano cio� il modo dell'adempimento 
di un'obbligazione precostituita per legge e, all'inverso, il contribuente, che si 
trova in una condizione di soggezione rispetto ai poteri formali volti alla realizzazione 
del credito, � invece in posizione di diritto soggettivo riguardo al contenuto 
sostanziale dell'obbligazione. Tuttavia, almeno per l'obbligazione tributaria, 
la � fase procedimentale � caratterizzata dall'esercizio dei poteri autoritativi, non 
riguarda la nascita dell'obbligazione (da un provvedimento amministrativo) ma, al 
contrario, soltanto il suo adempimento. Non � quindi esatto ritenere che una volta 
nata, l'obbligazione tributaria si comporta come una obbligazione privatistica, 
perch� vengono meno i poteri autoritativi della P .A.; � invece vero il contratio, 
perch� l'obbligazione tributaria e il prius e le potest� amministrative prendono 
avvio successivamente, o contestualmente, alla sua nascita e ne caratterizzano 
il suo svolgimento fino all'esaurimento del rapporto. Da ci� consegue che pressoch� 
tutte le vicende dell'obbligazione si svolgono nell'ambito del procedimento 
amministrativo autoritativo, ed assumono quindi un'impronta assai caratterizzata. 
Se dunque � sicuramente una obbligazione comune (nella sua unica possibile 
concezione) quella che nasce, direttamente dalla legge, definita nel suo essenziale 
contenuto sostanziale, ben differenziati e peculiari sono i caratteri della sua 
vita ulteriore. 

Non sembra pertanto che si possa ritenere che la intera disciplina dettada 
dal cod. civ. in materia di obbligazioni sia interamente applicabile all'obbligazione 
tributaria ogni volta che non si rinvengono specifiche deroghe stabilite dalle 
leggi tributarie. Ci� pu� valere per talune regole fondamentali, ma l'obbligazione 
tributaria � tanto evidentemente caratterizzata, sia per la sua origine rigorosamente 
legale sia per il modo della sua realizzazione, che d'un canto numerose 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cazione soltanto rispetto alle imposte dirette, la disparit� di trattamento 
nei confronti degli eredi del soggetto passivo di un'imposta indiretta 
non avrebbe la bench� minima giustificazione, laddove il detto principio 
risponde alla ratio, comune a numerose norme di diritto tributario, di 
assicurare una rapida e sicura esazione dei tributi; che la norma contenuta 
nell'art. 16 del t.u. sulle imposte dirette, per il suo carattere di 
precetto generale, deve prevalere su quelle, avente natura di norme eccezionali, 
di cui agli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ.; che comunque, avuto 
riguardo alla autonomia strutturale e funzionale del diritto tributario, 
in caso di difformit�, la norma di diritto tributario deve prevalere su 
quella di diritto privato; che, infine, anche sotto il profilo privatistico, 
la norma contenuta nell'art. 1295 cod. civ. presenta carattere di eccezionalit�, 
derogando alla disciplina generale della solidariet�, la quale risponde 
alla fondamentale esigenza di rafforzare il vincolo obbligatorio. 

Il motivo non � fondato. 
� opportuno premettere che l'obbligazione tributaria, quale sottospecie 
delle obbligazioni pubbliche, non si differenzia nella sua struttura,. 

regole del cod. civ., non espressamente derogate, non sono ad essa riferibili, 
d'altro canto essa obbedisce a principi generali del diritto pubblico e del diritto 
tributario autonomi dal diritto privato. Non si pu� quindi impostare . problema 
della obbligazione tributaria partendo dalla sua normale sottoposizione alle 
regole del cod. civ. limitatamente (art. 4 preleggi) derogabili. 

� superfluo menzionare, a riprova di ci�, le numerosissime norme del cod. 

civ. non applicabili alla obbligazione tributaria in quanto tale, pur in mancanza 
di deroghe espresse. In via meramente esemplificativa si pu� ricordare che l'obbligazione 
tributaria � priva di causa (o, se si vuole, non ha altra causa che quella 
di far conseguire un'entrata allo Stato) e quindi non deve corrispondere ad un 
interesse anche non patrimoniale del creditore (art. 1174) e non si estingue quando 
il creditore non ha pi� interesse a conseguirla (art. 1256); essa � sottratta a 
qualunque potere di autonomia negoziale (art. 1322) e perfino ad ogni effetto 
riconducibile a manifestazioni di volont�, si che non sono con essa conciliabili 
tutti i mezzi di trasmissione dell'obbligazione sia dal lato attivo (art. 1260 e segg.) 
che dal lato passivo (art. 1268 e segg.) e non pu� darsi alcun altro modo di 
estinzione che non sia l'adempimento o la prescrizione (oggi anche la decadenza) 
per l'incompatibilit� con gli istituti della novazione, della transazione, della remissione, 
della compensazione, della confuzione e dell'impossibilit� sopravvenuta. 
La disciplina dell'obbligazione tributaria trova nelle norme speciali la sua 
fonte primaria. La stessa solidariet� � sempre dettata da norme specifiche e non 
discende dall'applicazione diretta dell'art. 1292. Lo stesso � a dirsi della prescrizione 
che ha nel corpus delle leggi tributarie una regolamentazione completa 
(sono note le dispute sorte riguardo alla applicabilit� del termine di prescrizione 
ordinaria e della prescrizione di giudicato dell'art. 2953 all'imposta di registro 
risolte negativamente sulla base della completezza della legislazione speciale 
in materia di registro, v. Relazione Avv. Stato, 1966-70, Il, 446). Ancor pi� evidente 
� l'autonomia di disciplina per quanto concerne i termini e i modi dell'adempimento, 
l'adempimento in via sostitutiva (sostituto di imposta), la mora del debitore 
(legge particolare sugli interessi), nonch� le responsabilit� sussidiarie ed i 
privilegi. Pi� ancora caratterizza l'obbligazione tributaria la non vincolativit� 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 93 

una volta venuta ad esistenza, dalla obbligazione di diritto privato, con 
la conseguenza che, in mancanza di specifiche deroghe stabilite dalle 
leggi tributarie, la disciplina dettata dal codice civile in materia di obbligazioni 
� direttamente applicabile anche ad essa. 

L'assimilazione dell'obbligazione tributaria a quella di diritto privato 
dipende dal fatto che, in base all'ordinamento vigente, non � possibile 
costruire due tipi diversi di obbligazione -quella di diritto privato e 
quella di diritto pubblico -aventi in comune uno schema generale, 
con la conseguente inapplicabilit� alla obbligazione di diritto pubblico 
della disciplina prevista dal codice civile per le obbligazioni di diritto 
privato. 

Come � stato posto in luce dalla prevalente dottrina, l'obbligazione 
costituisce, invece, un istituto generale che si attua e si manifesta in 
forme diverse in diritto pubblico e in diritto privato ed � soggetto alle 
stesse regole che, formulate tradizionalmente con riferimento alle obbligazioni 
di diritto privato, valgono per tutto il genus obbligazione, in 
entrambe le sue specie fondamentali di obbligazione privata ed obbligazione 
pubblica. 

degli atti compiuti dal creditore che normalmente ha il potere di modificare, 
correggere o rinnovare i provvedimenti adottati in merito all'accertamento e alla 
liquidazione del tributo (supplemento, rinnovazione dell'accertamento, modifica 
del concordato), indipendentemente da una ragione qualificata che giustifichi la 
liberazione del precedente vincolo. 

Tutto questo autorizza a porre il problema della correlazione tra le fonti in 
modo diverso: l'obbligazione tributaria � regolata in via primaria dalle norme 
specifiche tributarie e da principi generali desunti dal sistema tributario; rispetto 
ad essi le norme del cod. civ. hanno una funzione suppletoria, in quanto compatibili. 
Si deve cio� rovesciare la premessa, da cui parte la sentenza in esame, che 
le regole del cod. civ. siano sempre direttamente applicabili in mancanza di 
specifiche deroghe. � appena il caso di precisare che la differenza tra l'obbligazione 
tributaria e quella civile non si rinviene soltanto nella �fase genetica�, 
ma anche o soprattutto nella fase attuativa oltre che nel contenuto strutturale; 
non ha quindi rilevanza il problema, accennato ma non risolto (di cui omettiamo. 
ogni discussione in questa sede), del tempo della nascita della obbligazione nel 
momento del verificarsi del presupposto o a seguito, in uno stadio pi� o meno. 
avanzato, del procedimento di accertamento, perch� in ogni caso l'obbligazione 
tributaria, pur dopo la nascita, conserva la sua peculiarit�. 

In questo quadro va affrontato il non facile problema della trasmissione 

mortis causa del debito tributario nelle imposte indirette. 

Sul valore della norma dell'art. 16 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 sulle 
imposte dirette (cui corrisponde l'rat. 65 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) la 
disamina non pu� essere formalistica. Per buona parte le norme del primo 
titolo del t.u. del 1958 sono di portata generale almeno nei limiti della compatibilit� 
con altre imposte (anche perch� non esiste nessuna altra legge tributaria 
che contenga norme di questo tipo); il domicilio fiscale, la rappresentanza 
e assistenza del contribuente, le forme delle dichiarazioni, la definizione dell'accertamento 
e del concordato, le notificazioni, il computo dei termini, sono. 



'94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'appartenenza di ambedue le specie ad un unico genus non toglie, 
_peraltro, che tra esse si riscontri una differenza fondamentale costituita 
dalla diversa posizione in cui le parti si trovano nella fase genetica del 
rapporto obbligatorio: di sostanziale eguaglianza in quelle di diritto privato 
(tanto che l'ordinamento prevede, per garantirla, norme volte alla 
tutela della parte economicamente pi� debole); di sostanziale diseguaglianza 
nelle obbligazioni di diritto pubblico, essendo uno dei soggetti 

del rapporto, la P.A., titolare di poteri autoritativi. 

Una volta, per�, che si sia esaurita la fase procedimentale, il cui 
atto conclusivo, costituente un provvedimento amministrativo, comporta 
la nascita o l'accertamento o la liquidazione della obbligazione di diritto 
pubblico, i poteri autoritativi della P.A. cessano e i soggetti del rapporto 
obbligatorio si trovano, come nel rapporto relativo ad un'obbligazione 
di diritto privato, in una posizione di uguaglianza. 

La richiamata differenza tra fase procedimentale e rapporto obbligatorio 
pu� assumere rilevanza o meno anche in tema di successione 
mortis causa al soggetto nei cui confronti si � verificato il presupposto 

tutti istituiti riferibili, con qualche adattamento, ad ogni specie di imposta, e 
d� non tanto per espresso riferimento legislativo (che non era possibile perch� 
le altre leggi tributarie erano in generale anteriori al t.u. del 1958) ma perch� 
�enunciano principi, da tempo riconosciuti, oggettivamente generali. Pertanto 
non ha valore la considerazione che il t.u., come legge delegata, non poteva 
dettare una nuova disciplina per imposte diverse da quelle dirette, perch� 
ben poteva, senza innovare, dare una definizione pi� precisa di principi preesistenti. 


Lo stesso art. 16, comma secondo e terzo, stabilisce delle regole, rapportabili 
a quelle del processo civile, di evideQ.tissima portata generale. Di conseguenza 
quando, in vista della stessa ratio di assicurare una rapida e sicura 
esazione dei tributi, si pone il problema se anche il primo comma dell'art. 16 
.abbia portata generale e sia come tale applicabile alle imposte indirette non 
si fa minimamente una interpretazione analogica. 

1'!. vero peraltro che non si pu� conferire all'art. 16 una validit� per le 
imposte indirette in modo acritico; � necessario verificare, cosa che la sentenza 
in rassegna non ha tentato, se dalle leggi che queste disciplinano emergano 
elementi di aggancio per giustificare la validit� della regola della solidariet� 
fra eredi per tutte le imposte. 

A tal fine bisogna preliminarmente considerare che, nei rapporti di diritto 
.comune, se pure per l'obbligazione semplice (art. 754) vale la regola della divisione 
del debito in ragione delle quote, per l'obbligazione solidale (quale � 
quella tributaria) la regola � ben diversa, perch� (art. 1295) la divisione ha 
luogo salvo patto contrario, il che per l'obbligazione tributaria che nasce dalla 
legge deve intendersi come salvezza di una diversa natura dell'obbligazione. 

Si � gi� visto che non pu� parlarsi rispetto all'art. 1295 e.e. di norma di 
diretta applicazione all'obbligazione tributaria che non possa essere derogata 
senza una disposizione espressa; bisogna ora aggiungere che la derogabilit� 
� un'ipotesi normale che non crea problemi di analogia. 

Per le imposte indirette se non esiste una norma simile a quella dell'art. 16 
del t.u. delle imposte dirette, � perch� essa appare meno necessaria. Infatti 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 95 

al quale la legge tributaria ricollega l'imposta, a seconda che si ritenga 
che l'obbligazione tributaria abbia come fatto costitutivo tale presupposto, 
riservandosi alla successiva fase procedimentale una funzione meramente 
determinativa o liquidativa, ovvero sorga solo per effetto dell'atto 
di accertamento, o, infine, venga ad esistenza solo nel momento 
terminale della fase procedimentale; e cio� quando essa sia esigibile o 
sia suscettibile di esecuzione forzata o sia idonea alla circolazione. 

Ove si ritenga, infatti, che l'obbligazione tributaria sia sorta gi� nel 
momento del verificarsi del presupposto del tributo, la disciplina della 
successione nel debito d'imposta deve essere ricavata, salvo espresse 
deroghe, da quella dettata dal codice civile per le obbligazioni di diritto 
privato, qualunque sia il momento, purch� ovviamente successivo alla 
realizzazione del presupposto di imposta, in cui il fatto costitutivo della 
successione si sia attuato. 

Qualora si ritenga, invece, che l'obbligazione tributaria nasca soltanto 
dopo l'inizio della fase procedimentale, in uno stadio pi� o meno avanzato 
di questa, di successione nel debito d'imposta, salvo deroghe espresse 
alla disciplina prevista dal codice civile, potr� parlarsi solo quando la 
successione ereditaria si sia aperta dopo la nascita dell'obbligazione tributaria. 
Se l'apertura della successione interviene prima di tale momento, 

mentre per le imposte dirette l'obbligazione tributaria si concreta in un puro 
e semplice debito pecuniario, per la maggior parte delle imposte indirette 
l'obbligazione svolge una funzione anche diversa da quella di procurare una 
entrata ovvero si affianca a fenomeni giuridici che la caratterizzano in modo 
diverso. Nelle imposte indirette, cio�, l'obbligazione, pur non potendo essere 
considerata indivisibile agli effetti dell'art. 1316, ha un carattere di unit�, varia� 
bile da tributo a tributo; che la differenzia dalla obbligazione del tributo 
diretto. 

i!. di tutta evidenza l'impossibilit� di adempimento parziale o frazionato 
delle imposte di bollo e di quelle ad esso assimilabili (tasse automobilistiche). 
I dazi doganali, le imposte di fabbricazione non possono essere mai divise e 
adempiute per quota, se si vuole realizzare il risultato di introdurre una merce 
nel territorio doganale o immettere in commercio un prodotto. Per le stesse 
sulle concessioni governative, il cui adempimento � condizione di efficacia degli 
atti cui sono riferite (art. 2 d.P.R. 1� marzo 1961 n. 121 ed oggi art. 8 d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 641) non avrebbe senso il pagamento per quota. Per eseguire 
iscrizioni e trascrizioni sui registri immobiliari � necessario pagare per intero 
l'imposta dovuta per il titolo e non � configurabile una formalit� fatta per 
quota dietro adempimento per quota del tributo. Simili considerazioni valgono 
per le imposte sulle assicurazioni, per la tassa sulle radioaudizioni circolari, 
per i diritti erariali sugli spettacoli. 

In tutti questi casi una norma espressa sulla solidariet� fra eredi sarebbe 
inutile e ben pu� dirsi che nel sistema delle norme che disciplinano questi 
tributi � ins�to il principio contrario all'art. 1295. 

Meno evidente si presenta la� necessit� strutturale della solidariet� per 
l'imposta sull'entrata e oggi per l'imposta sul valore aggiunto. Per queste im� 
poste, per� l'adempimento, in via normale, ha luogo, specialmente per l'I.G.E., 

8 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

96 

I 

si verifica soltanto la successione nel procedimento, alfine di evitare l'interruzione 
della sequenza procedimentale, e nelle conseguenti soggettive,. 
regolate dalle norme� tributarie. 

Posto, dunque, che l'obbligabione tributaria, una volta nata, deve 
ritenersi disciplinata, in linea di principio, anche per quanto riguarda 
la successione mortis causa nella posizione di debitore, dalle norme del 
codice civile, occorre prima di accertare se esistano norme di diritte> 
tributario che disciplinano in modo autonomo e diverso la vicenda della. 
successione nel debito d'imposta, far capo alle disposizioni contenute 
negli artt. 754, 1295 e 1318 cod. civ., le quali regolano la successione 
mortis causa nel lato passivo del rapporto obbligatorio con riferimento,. 
rispettivamente, all'obbligazione semplice, alla obbligazione solidale e alla 
obbligazione indivisibile. 

La prima di tali norme -applicabile alla obbligazione semplice ricollegandosi 
al principio romanistico nomina et debita hereditaria ipso� 
jure diciduntur, prevede, in deroga alla regola generale della solidariet�. 
tra condebitori posta dall'art. 1294 cod. civ., il frazionamento dei debiti 
del de cuius tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote anche; 
nei rapporti esterni con i creditori, i quali, perci�, possano pretendere 

immediatamente al verificarsi dell'atto economico, cosicch� un debito degli 
eredi pu� profilarsi solo sotto forma di repressione delle violazioni. In tal caso� 
la regola della solidariet� dovrebbe individuarsi in altre norme: l'obbligo di 
formare e conservare per cinque anni libri, j'egistri, bollettari ecc. e di esibirli 
ad ogni momento e l'obbligo di dimostrare con documenti l'assolvimento della. 
imposta su tutte le merci che si detengono e di essere in ogni momento in 
grado di giustificare la quadratura fra �gli acquisti fatti e le merci vendute o 
giacenti in magazzino (artt. 26 e 27 della legge 19 giugno 1940 n. 762), cio� gli 
obblighi fondamentali sui quali si impernia l'accertamento in via di repressione, 
si trasmettono sicuramente agli eredi i quali, oltre a rispondere delle 
relative pene pecuniarie, vengono ad essere addirittura coinvolti come contribuenti; 
e non sembra che in tale situazione possa pensarsi ad una responsabilit� 
per quota. 

Veniamo infine all'imposta di registro e all'imposta di successione che pi� 
direttamente interessano anche in relazione al caso deciso. Per l'imposta di 
successione si ragiona evidentemente non gi� dell'obbligazione che sorge a 
seguito dell'apertura della successione rispetto alla quale gli eredi sono i contribuenti 
sicuramente coobbligati, ma dell'obbligazione gi� sorta che si tra-� 
smette a seguito di una ulteriore successione. 

Anche per questi tributi si pone la stessa considerazione gi� fatta relativamente 
ai vari altri tributi, almeno rispetto all'imposta principale che � unica. 
Se l'imposta principale non � stata assolta in vita dal suo debitore, non sar� 
sicuramente possibile registrare un atto o una sentenza o soddisfare, con le 
connesse conseguenze vantaggiose, l'imposta di successione per quota; se si 
paga una sola quota l'atto non pu� essere registrato, perch� non � concepibile 
una registrazione parziale come non � possibile una regolarizzazione parziale 
dell'imposta sulla successione. Di conseguenza non solo non sar� possibile per 
nessuno degli eredi conseguire quegli effetti che la registrazione opera, ma 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 97 

da ogni singolo erede non gi� l'intera prestazione, ma soltanto quella 
parte di essa corrispondente alla sua quota di eredit�. 

La seconda norma, derogando anch'essa alla citata regola generale 
stabilita dall'art. 1294 cod. civ., contiene una disciplina analoga con riferimento 
all'obbligazione solidale, disponendo che, salvo patto contrario, 
quest'ultima si divide tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote; 
con la conseguenza che -sia che si ritenga che, per effetto della morte 
di uno dei. condebitori solidali, si verifichi, sia pure limitatamente a 
costui, l'estinzione della solidariet�, la quale permane soltanto nei rapporti 
con i de.bitori originari, sia che pi� esattamente si ritenga che la 
solidariet� non cessa con la morte di uno dei debitori in solido, ma si 
modifica soltanto quantitativamente nei rapporti con i suoi eredi, nel 
senso che, pur permanendo il vincolo solidale, nei confronti di costoro 
si ha una limitazione quantitativa, per cui ciascun coerede rimane obbligato 
solidalmente con i condebitori originari solo fino alla concorrenza 
della propria quota ereditaria -il creditore pu� esigere dal singolo 
erede del condebitore solidale soltanto quella parte dell'intera prestazione 
che corrisponda alla quota ereditaria di costui. 

L'ultima norma, dettata in relazione alle obbligazioni indivisibili, dispone, 
infine, che l'indivisibilit� opera anche nei confronti degli eredi, 
per cui, essendo applicabile (art. 1317 cod. civ.) alle obbligazioni indivi


saranno tutti soggetti al dovere di adempiere l'intera obbligazione. Ci� del 
resto ben si spiega perch� della registrazione come del pagamento dell'imposta 
di successione profittano tutti e tutti vi hanno interesse. Se, nel caso di un 
atto pubblico, magari soggetto ad approvazione od omologazione, sopravviene 
la morte del contraente dopo la stipulazione e prima della registrazione, la 
registrazione sar� richiesta dall'Ufficiale rogante nell'interesse degli eredi, i 
quali saranno responsabili in solido ex art. 93 n. 1 dell'abrogata legge di registro; 
e se, caso che pu� pi� frequentemente verificarsi, negli atti sottoposti a 
condizione sospensiva sopravviene la morte del contraente si che dell'avveramento 
della condizione profittano gli eredi, questi sono obbligati in solido per 
l'espressa norma dell'art. 93 n. 4. Per le scritture private e le sentenze non 
ancora registrate al momento della morte dell'autore, parti interessate (art. 82 
primo comma) e parti istanti -o che fanno uso della sentenza (art. 93 n. 2) 
sono evidentemente tutti gli eredi. 

La solidariet� anche fra eredi � dunque una necessit� pratica espressamente 
disciplinata ,almeno relativamente all'imposta principale. Ma se cos� �, non pu� 
essere diversa la soluzione da dare per l'imposta complementare che ha la 
stessa identica natura; non potrebbe seriamente giustificarsi un pi� favorevole 
trattamento del debitore come premio per non aver fatto una denuncia fedele 
dei valori. Ma la conclusione non potrebbe essere diversa anche per l'imposta 
suppletiva che, se pur soggetta ad un diverso regime per taluni effetti, � pur 
sempre una parte dell'unico tributo; la solidariet� � una caratteristica struttu 
rale della obbligazione e non dipende mai dai modi in cui si realizza l'adempi� 
mento. Del resto nei casi esaminati dagli artt. 80 e 93 n. l, n. 2 e n. 4 (oggi 
art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634) la solidariet� riguarda l'imposta di registro 
in qualunque modo riscossa. Pertanto poich� � incontestabile che in varie 



98 RASSEGNA DELI..'AVVOCATURA DEILO STATO 
sibili la disciplina delle obbligazioni solidali, il creditore pu� pretendere 
da ciascuno degli eredi del debitore originario l'intera prestazione con 
l'effetto che l'adempimento di costui determina la liberazione degli altri 
eredi del vincolo obbligatorio. 
Quest'ultima norma � certamente inapplicabile all'obbligazione tributaria, 
dovendo escludersi che questa possa essere classificata tra le. obbligazioni 
indivisibili. 
Sono tali, secondo la definizione che di questo tipo di obbligazioni 
detta l'art. 1315 cod. civ., quelle obbligazioni nelle quali la prestazione 
ha per oggetto una cosa o un fatto non suscettibile di divisione per sua 
natura o per il modo in cui � considerata dalle parti, nelle ipotesi di 
obbligazioni nascenti da contratto -o dal giudice nelle ipotesi di obbligazioni 
aventi la loro fonte in un procedimento giurisdizionale -o dalla 
legge, nelle ipotesi di obbligazioni legali. 
L'obbligazione tributaria, ayendo per oggetto una somma di danaro, 
�, invece, una obbligazione pecuniaria e, come tale, ha come contenuto 
una prestazione per sua natura divisibile. Quale tipica obbligazione nascente 
dalla legge, essa non � poi considerata da alcuna norma come 
indivisibile, mancando nelle leggi tributarie una disposizione che la qua-
ipotesi, e soprattutto per l'imposta principale, la solidariet� caratterizza anche 
l'obbligazione degli eredi, si deve concludere che essa vale in ogni caso ed � 
connaturale al tributo, si che opera in tutta l'ampiezza per queste imposte 
come per le altre imposte indirette la regola dell'art. 16 del t.u. 29 gennaio 1958 
n. 645. 
Un ultimo argomento a riprova di quanto esposto si pu� desumere dall'art. 
19 della legge 7 gennaio 1929 n. 4. In base a questa norma il successore 
a titolo particolare in una azienda industriale o commerciale � obbligato in 
solido con il suo autore al pagamento dei tributi e degli accessori relativi 
all'azienda entro determinati limiti di tempo; ed � evidente che se i successori 
per atto tra vivi nell'azienda sono pi� di uno essi rispondono in solido fra 
loro, se non altro a norma dell'art. 1294 e.e. Questa regola vale per tutte le 
imposte ma soprattutto per le imposte indirette sia perch� una norma simile 
si trova nel t.u. sulle imposte dirette (art. 197 trasformato nel d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602 -artt. 66 e 80 -nella pignorabilit� presso l'azienda ceduta 
dei beni mobili ed immobili), sia perch� la repressione delle violazi�ni e l'applicazione 
delle pene pecuniarie concerne principalmente le imposte indirette. 
Ora se una norma di simile natura non si rinviene specificamente per l'ipotesi 
di successione nell'azienda a titolo universale, ci� � perch� gi� esiste una regola 
che prevede una pi� ampia e non limitata successione. Non si pu� pensare 
che quando due o pi� estranei subentrano nell'azienda per atto tra vivi debbano 
rispondere dei debiti tributari in solido fra loro e con l'autore, mentre quando 
due o pi� eredi subentrano nell'azienda mortis causa siano esenti da solidariet� 
e rispondono dei debiti solo nei limiti della quota. 
La norma dell'art. 19 evidentemente presuppone per la successione mortis 
causa una responsabilit� degli eredi non minore di quella attribuita ai cessionari, 
cos� come l'art. 197 del t.u. sulle imposte dirette presuppone l'art. 16. 
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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

lifichi tale ed esistendo anzi alcune disposizioni -come quelle che, sia, 
come regola generale, in materia di imposte dirette, sia, con carattere 
facoltativo, in materia di imposte indirette, prevedono il pagamento 
rateale del tributo o consentono al debitore di una imposta diretta di 
estinguere parzialmente l'obbligazione, le quali confermano il caratter(;! 
di obbligazione divisibile che le � proprio per la natura della sua prestazione. 


II contrario, com'� noto, fu sostenuto in passato da autorevole dottrina 
con riferimento alla disposizione contenuta nel penultimo comma 
dell'art. 24 del t.u. 17 ottobre 1922, n. 1401, sulla riscossione delle imposte 
dirette; a norma della quale ciascuna partita di ruolo faceva carico non 
solo al soggetto cui era intestata, ma a ciascuno dei suoi eredi a' termini 
del n. 3 dell'art. 1305 cod. civ. del 1865 (corrispondente all'art. 1315 
del codice vigente), salvo il regresso contro i coobbligati giusta l'ultimo 
comma dello stesso articolo. Dall'anzidetta disposizione si ritenne di 
poter desumere il principio di ordine generale, applicabile a tutta la 
materia tributaria, che l'obbligazione d'imposta dovesse considerarsi, riguardo 
agli eredi, come un'obbligazione non suscettibile di divisione, con 
la conseguenza che ciascun coerede doveva ritenersi tenuto al pagamento 
dell'intera imposta. 

A tale tesi, la quale era gi� opinabile anche con riferimento al citato 
art. 24 del t.u. n. 1401 del 1922, � ora, comunque, venuto meno il rapporto 
di una norma di diritto positivo, giacch� la norma citata � stata abrogata 
in virt� dell'art. 288 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, ed � stata sostituita 
dall'art. 16 del medesimo testo unico del 1958 e, in seguito alla recente 
riforma tributaria, dall'art. 65 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 600, contenente 
le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte 
sui redditi. Con queste norme, le quali non hanno riscontro in alcuna 
altra disposizione delle vigenti leggi tributarie, l'esigenza di assicurare 
la garanzia del fisco in caso di morte. del contribuente � stata assicurata, 
invece che attraverso una finzione di indivisibilit� dell'obbligazione tributaria 
sia pure soltanto nei rapporti con gli eredi del soggetto passivo, 
mediante la previsione di una responsabilit� solidale tra i medesimi eredi. 

N� il fatto che le dette norme deroghino alla gi� ricordata regola 
di diritto comune -secondo cui l'obbligazione, sia essa originariamente 
semplice, sia essa originariamente solidale, si fraziona tra gli eredi del 
debitore in proporzione delle rispettive quote anche nei rapporti con il 
creditore, pu� essere interpretato, come pure � stato sostenuto in dottrina 
in epoca pi� recente, come espressione della volont� del legislatore di 
considerare l'obbligazione tributaria come indivisibile, dal momento che, 
in base all'ordinamento vigente, quella che tra le obbligazioni solidali, 
che, per principio generale, � tale anche nei confronti degli eredi � proprio 
l'obbligazione av~nte il carattere dell'indivisibilit� (art. 1318 cod. civ.). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A prescindere dalla considerazione che quello della solidariet� non � 
un carattere costante dell'obbligazione tributaria, sembra decisivo il rilievo 
che l'identit� dL disciplina cui le obbligazioni solidali e quelle indivisibili 
sono soggette (nel senso peraltro che la disciplina propria delle 
prime si estende, in conformit� a quanto dispone l'art. 1317 cod. civ., 
alle seconde, nei limiti della compatibilit� e salve le disposizioni contenute 
negli artt. 1318, 1319 e 1320 cod. civ.) non pu� far venir meno le 
peculiari differenze esistenti, sul piano strutturale e su quello funzionale, 
tra le due categorie di obbligazioni. Conseguentemente, come l'estensione 
della disciplina delle obbligazioni solidali alle obbligazioni indivisibili 
non trasforma queste ultime in obbligazioni solidali, cos� l'applicabilit�, 
disposta da una norma concernente l'obbligazione tributaria solidale, di 
una norma, come quella contenuta nell'art. 1318 cod. civ. dettata in materia 
di obbligazioni indivisibili in deroga alla disciplina propria delle 
obbligazioni indivisibili a convertire in obbligazione indivisibile un'obbligazione 
che, per la sua struttura e la sua funzione, � un'obbligazione 
solidale. D'altra parte, non sembra inopportuno ricordare che la giurisprudenza 
di questa Corte Suprema, formatasi in seguito alla sentenza 
della Corte Costituzionale 16 maggio 1968, n. 48, � ormai costante nel 
ritenere che, in mancanza di una espressa norma di diritto positivo che 
sancisca l'unitariet� e l'inscindibilit� dell'obbligazione solidale tributaria, 
anche per questo valga il principio generale cui nell'obbligazione assunta 
da pi� soggetti in solido si ha una pluralit� di obbligazioni aventi un'unica 
causa. 

Alla norma anzidetta, in quanto derogatoria .della disciplina generale 
delle obbligazioni solidali,_ non pu� non attribuirsi, perci�, la qualificazione 
di norma eccezionale, con la conseguente inapplicabilit� di essa, 
per il divieto dell'analogia sancito dall'art. 14 delle disposizioni sulla 
legge in generale, al di fuori dei casi in essa previsti. 

Accertato che, ove non esistessero disposizioni diverse nelle leggi 
tributarie, la disciplina della successione ereditaria nel debito d'imposta 
dovrebbe ricavarsi, in relazione alla natura dell'obbligazione tributaria, 
dalle disposizioni contenute negli artt. 754 e 1295 cod. civ., con la conseguenza 
che il debito d'imposta dovrebbe frazionarsi tra i coeredi in 
proporzione delle rispettive quote anche nei confronti della P.A. creditrice, 
deve stabilirsi se l'art. 16, primo comma del t.u. 29 gennaio 1958, 

n. 645, secondo cui gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie 
del soggetto, contenga o meno un principio generale applicabile, 
in deroga alla disciplina� dettata per le obbligazioni a tutte le obbligazioni 
tributarie. 
Ora, � da osservare -anzitutto -che la norma in esame si trova 
inserita nel titolo I del testo unico avanti citato, le cui disposizioni, come 
espressamente stabilisce l'art. 1 del medesimo testo unico, si applicano 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

alle imposte dirette regolate da quest'ultimo (imposte sul reddito dominicale 
dei terreni, sul reddito agrario, sul reddito dei fabbricati, sul red
�dito di ricchezza mobile, complementare progressiva sul reddito complessivo, 
sulle societ� e sulle obbligazioni); nonch�, in forza del richiamo 
�contenuto nell'art. 271 del testo unico, anche all'avocazione dei profitti 
eccezionali di contingenza di cui all'art. 1 della legge 23 dicembre 1948, 

n. 1451. 
In base alla surriferita disposizione della'rt. 1 del testo unico n. 645 
del 1958 l'ambito di applicazione del principio in questione risulta, perci�, 
espressamente circoscritto alle imposte dirette sopraindicate e alla avocazione 
dei profitti eccezionali di contingenza, per cui deve escludersi che 
di tale principio possa farsi applicazione diretta e immediata rispetto 
.ad imposte diverse e, in particolare, alle imposte indirette. 

In aggiunta al suesposto argomento -di per s� decisivo -fondato 
sulla disposizione dell'art. 1 del testo unico pi� volte citato, pu� rilevarsi 
<:he la norma del primo comma dell'art. 16 � compresa in un testo unico 
di leggi sulle imposte dirette, emanato in base alla norma di delega contenuta 
nell'art. 63 della legge 5 gennaio 1956 n. 1, in virt� della quale il 
Governo della Repubblica fu autorizzato ad emanare testi unici concernenti 
le diverse imposte dirette, le relative disposizioni generali e le norme 
sulla riscossione delle medesime imposte, liminando le disposizioni in 
<:ontrasto con i principi contenenti nella legge 11 gennaio 1951, n. 25, e 
nella stessa legge n. 1 del 1956 ed apportando, oltre alle modifiche utili 
per un miglior coordinamento, quelle necessarie per l'attuazione dei 
seguenti criteri: 1) adattamento delle disposizioni all'esigenza di semplifi�azione 
nell'applicazione dei tributi ed a quella di una razim1ale organizzazione 
dei servizi; 2) perfezionamento delle norme concernenti l'attivit� 
dell'Amministrazione finanziaria ai fini dell'accertamento dei redditi. 

Il testo unico emanato in base a tale norma di delega -pur non 
.appartenendo alla categoria dei testi unici di mera compilazione (nei 
quali com'� noto, la forza di legge delle singole norme in essi raccolte 
resta ancorata alle leggi dalle quali le norme stesse sono state tratte), 
ma a quelle dei testi unici innovativi, aventi natura di leggi delegate, 
pu� quindi, legittimamente contenere norme non esistenti nelle leggi o 
negli atti aventi efficacia di legge in vigore prima della sua emanazione, 
ma le nuove norme da esso introdotto (tra le quali quella di cui al 
dtato art. 16) dovevano essere mantenute nell'ambito dell'oggetto e dei 
principi e criteri direttivi fissati nella norma di delega. 

Ora, � evidente che esulava in modo assoluto dai poteri attribuiti 
al legislatore delegato l'emanazione di norme contenenti principi di applicazione 
generale a tutta la materia tributaria i quali non fossero gi� 
desumibili dal sistema delle leggi fiscali allora vigenti. 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ci� che pu� dirsi per tutte quelle disposizioni del titolo I del testo 
unico delle leggi sulle imposte dirette che enunciano principi come quello 
della territorialit� dell'imposta (art. 6) o come il divieto della doppia 
imposizione, ritenuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza gi� immanenti 
nell'ordinamento previgente. Per altre disposizioni, come quelle in materia 
di notificazione di avvisi e di altri atti del procedimento tributario o. di 
quello dinanzi alle commissioni contenute nell'art. 38, il carattere di principi 
generali � stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte 
Suprema (v. tra le altre, sent. 13 febbraio 1969, n. 490; sent. 16 dicembre 
1966, n. 2947, 2948 e 2949; sent. 25 maggio 1966, n. 1352 e 1360) in base 
al richiamo all'art. 89 del r.d. 11 luglio 1907, n. 560, sull'imposta di ricchezza 
mobile -avente un contenuto sostanzialmente analogo a quello 
del citato art. 38 -fatto dagli artt. 97, 99, 102 e 105 dello stesso r.d. n. 560 
del 1907 per le imposte dirette diverse da quella ricchezza mobile nonch� 
al rinvio al medesimo articolo disposto, per le imposte indirette, dal 

r.d. 7 agosto 1936, n. 1639. 
Se deve ritenersi, quindi, che le disposizioni contenute nel titolo I 

del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, non hanno, di per s�, carattere di principi 

generali applicabili in via diretta e immediata a tutta la materia tribu


taria, non pu� escludersi, tuttavia, che le stesse disposizioni possano 

essere applicate in via analogica anche rispetto ad imposte diverse da 

quelle dirette previste dal medesimo testo unico, nei limiti -ben s'in


tende -in cui l'analogia � consentita dall'ordinamento. 

L'analogia, quale procedimento di autointegrazione dell'ordinamento 
giuridico, presuppone -come � noto -da un lato, una lacuna, cio� la 
mancanza di una norma della diretta applicazione della quale possa 
ricavarsi la disciplina del caso concreto, e, dall'altro, che tra quest'ultimo 
e il caso direttamente disciplinato dalla norma vi sia un rapporto di 
somiglianza giuridica fondato sull'identit� della ratio, vale a dire della 
situazione di fatto decisiva per il trattamento giuridico. 

L'applicazione analogica � poi vietata rispetto alle norme eccezio


nali, cio� a quelle norme che derogano ad una norma generale appli


cabile alle generalit� dei casi, disciplinando un caso in modo diverso da 

quello in cui sarebbe regolato se la norma eccezionale non esistesse. 

In base, appunto, all'analogia, anche se impropriamente si � affermato 
trattarsi di interpretazione estensiva, questa Corte Suprema ha, 
recentemente, ritenuto (sent. 10 settembre 1974, n. 1451) applicabile anche 
alle imposte indirette la norma, contenuta nell'art. 35 del testo unico� 
delle leggi sulle imposte dirette, sulla modificabilit� del concordato tributario 
per sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, avendo riguardo sia 
alla ricorrenza, anche rispetto alle imposte indirette, dell'esigenza, costituente 
la ratio della norma, che l'accertamento dell'imposta corrisponda 
all'effettiva entit� della base imponibile, sia alla natura del concordato 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tributario, identica per qualunque categoria di imposta, di atto unilaterale 
dell'Amministrazione con il quale, con l'adesione del contribuente, 
si provv~de alla determinazione della base imponibile. 

L'applicazione analogica della norma contenuta nell'art. 16, primo 
comma, del testo unico pi� volte citato, ad imposte diverse da quelle 
disciplinate dal medesimo testo unico, ed, in particolare, alle imposte 
indirette, � invece, impedita sia dalla mancanza di una lacuna normativa, 
sia dal carattere di norma eccezionale che � stato riconosciuto alla 
stessa norma. 

Sotto il primo profilo, richiamandosi quanto si � gi� avuto occasione 
di rilevare in ordine alla disciplina dell'obbligazione tributaria, quale 
particolare species del genus obbligazione regolata dalle norme dettate 
da codice civile, in relazione alle obbligazioni di diritto privato, va osservato 
che la successione ereditaria nel debito d'imposta trova la sua 
diretta disciplina, salve espresse disposizioni difformi contenute in specifiche 
norme tributarie, nelle disposizioni di cui agli artt. 754 e 1295 
cod. civ. L'esistenza di disposizioni di legge che regolano direttamente 
la vicenda della successione ereditaria nel debito di imposta fa venir 
meno, perci�, uno dei presupposti essenziali dell'analogia. 

N� rileva che le anzidette disposizioni, derogando al principio fondamentale 
sancito dall'art. 1294 cod. civ. in tema di obbligazioni solidali 
passive, abbiano carattere ecc~zionale, giacch� tale carattere � di ostacolo 
alla sua applicazione analogica, ma non ne pu� evidentemente impedire 
l'applicazione diretta. 

N� � pertinente il richiamo fatto in proposito dall'Amministrazione 
ricorrente alla autonomia strutturale e funzionale del diritto tributario. 
Le leggi tributarie invero, possono forgiare in modo autonomo, per finalit� 
loro proprie, istituti peculiari di altri rami del diritto come nel caso 
in cui, ponendo a base dell'imposta un negozio di diritto privato, ne 
determinano la struttura e ne qualifichino gli effetti in difformit�, dai 
principi del diritto privato. Ed � evidente che, in ogni caso di difformit� 
tra le norme tributarie e quelle di diritto privato, le prime debbano 
avere prevalenza sulle seconde. Tutto ci� ha, per�, come indefettibile 
presupposto che la norma tributaria detti una propria disciplina difforme 
da quella del diritto privato o dell'altro ramo del diritto cui l'istituto 
richiamato appa~tiene. Presupposto che, per quanto riguarda la successione 
ereditaria nel debito, ricorre come si � dimostrato pi� sopra, sol� 
tanto per le imposte dirette disciplinate dal t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, 
ed �, invece, da escludere, in particolare, in relazione alle imposte indirette. 

Sotto il secondo profilo, � da rilevare che la norma in esame deroga 
al principio generale accolto dal vigente ordinamento in materia di successione 
ereditaria nel debito, del frazionamento di quest'ultimo tra gli 
eredi del debitore originario in proporzione delle rispettive quote anche 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nel rapporto con il creditore, sicch� trattandosi di una norma eccezionale, 
alla sua applicazione analogica oltre l'ambito delle imposte dirette 
regolate dal t.u. n. 645 del 1958, osta il divieto di cui all'art. 14 delle 
preleggi. 

A conclusioni diverse da quelle avanti indicate non possano indurre 
infine, le considerazioni, prospettate dall'Amministrazione ricorrente, che 
anche rispetto alle imposte indirette ricorre l'esigenza, che costituisce 
la ratio della disposizione di cui al pi� volte citato primo comma dell'art. 
16 del testo unico delle leggi sulle imposte indirette, di assicurare 
una rapida e sicura esazione dei tributi anche nei confronti degli eredi 
del contribuente e che la disparit� di trattamento tra gli eredi dei soggetti 
passivi delle due categorie di imposte non non avrebbe alcuna giustificazione 
razionale. 

Riguardo alla prima � sufficiente osservare che la sussistenza di una 
identit� di ratio avrebbe potuto assumere rilevanza qualora fosse stata 
ammissibile -il che si � invece escluso -l'applicazione analogica della 
disposizione richiamata anche alle imposte indirette. 

Quando alla dedotta disparit� di trattamento derivante dall'applicazione 
delle diverse discipline della successione nel debito d'imposta in 
relazione alle due categorie di imposte non deve rilevarsi altro che tale 
disparit� di trattamento -qualora, come sembra, non possa essere razionalmente 
giustificata con riferimento alle peculiari caratteristiche di ciascuna 
delle anzidette categorie d'imposta, potrebbe dar luogo al sospetto 
dell'illegittimit� costituzionale dell'art. 16, primo comma, del t.u. 29 gennaio 
1958 n. 645 per contrasto con il principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 
della Costituzione, ma non potrebbe certamente rendere applicabile la 
medesima disposizione anche sulle imposte indirette. 

In conclusione, il ricorso, essendo infondato, deve essere rigettato. 

{Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 ottobre 1975, n. 3493 -Pres. Rossi . 
Est. Sandulli -P. M. Gentile (conf.) -Cordopatri (avv. Mazzei) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Salto). 

Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Azione in sede ordinarla . 
Termine � Decorrenza � Decisione della Commissione Centrale che 
risolve una questione preliminare � Successiva decisione di altra commissione 
che esaurisce il rapporto tributario � Decorrenza dall'ultima 
decisione � Decisione definitiva � Nozione � Decisione che rigetta l'eccezione 
di prescrizione � Non � tale � Successiva pronuncia di merito � 
Impugnazione di ambedue le decisioni -Ammissibilit�. 

(d. I. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 22 e 31; r. d. 30 dicmbre 1923, n. 3269, art. 136; r. d. 
30 dkembre 1923, n. 3270, art. 94). 
Il principio stabilito nell'art. 22 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 per le 
imposte dirette � di portata generale ed applicabile anche alle in;iposte 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 105 

indirette, s� che il termine semestrale per la proposizione dell'azione ordinaria 
decorre solo in relazione alla decisione definitiva che esaurisce 
il rapporto tributario; conseguentemente la decisione della Commissione 
Centrale che risolve una questione preliminare (nella specie di prescrizione) 
e rimette per il merito alla Commissione provinciale pu� essere 
impugnata unitamente alla decisione di quest'ultima Commissione nel 
termine semestrale rispetto a questa decorrente (1). 

(Omissis). -Con il primo motivo, il ricorrente -denunciata la 
violazione e la falsa applicazione dell'art.. 94 del r.d. 30 dicembre 1923, 

n. 3270, in relazione agli .artt. 53 del r.d. 24 agosto 1877, n. 4021, 22 e 29 
del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, convertito in legge 7 giugno 1937, n. 1016, 
�e la violazione degli artt. 31, comma quarto, del r.d.l. n. 1639 del 1936 
ed 86, comma secondo, del r.d. n. 3270 del 1923 -sostiene che l'azione 
giudiziaria da lui promossa non fosse inammissibile, riguardo alla questione 
della prescrizione della pretesa tributaria (fatta valere oltre tre 
anni dopo la denuncia di successione), per decorrenza del termine decadenziale 
di sei mesi dalla notifica della decisione della Commissione 
�Centrale delle imposte, previsto dall'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923, trovando 
applicazione anche in materia di imposte indirette il principio (fissato 
per le imposte dirette) della impugnabilit� delle decisioni parziali 
.congiuntamente con quelle definitive. 
(1) Sull'impugnazione delle decisioni parziali delle Commissioni tributarle. 
La decisione ha risolto, in modo che desta serie perplessit�, una questione 
-che pu� presentarsi anche nel nuovo ordinamento del contenzioso. 

Innanzi tutto si deve precisare che non � stata esattamente determinata 
la questione da decidere; meglio enunciando i termini della controversia forse 
il problema affrontato non potrebbe presentarsi. 

Il problema era se una decisione della Commissione Centrale che rigetta 
una eccezione di prescrizione, in materia di imposte indirette, potesse passare 
in giudicato mentre sullo stesso rapporto di imposta pendeva per la decisione 
�di merito altro giudizio innanzi alla Commissione provinciale e quindi se la 
parte per evitare il giudicato dovesse subito proporre nel termine semestrale 
l'azione in sede ordinaria ovvero (il problema dovrebbe presentarsi negli stessi 
termini) il ricorso per cassazione nel termine di 60 giorni; o potesse (o dovesse) 
attendere la decisione ulteriore di merito della Commissione provinciale 
(ulteriormente impugnabile) s� da svolgere con un unico atto i rimedi contro 
tutte le decisioni pronunciate nel medesimo rapporto. 

Ora bisogna rilevare che, in materia di imposte indirette, la Commissione 
�centrale, nell'ormai abrogato ordinamento, era giudice di appello; non poteva 
quindi darsi il caso di una decisione della Commissione .centrale che risolvesse 
una questione preliminare senza definire il giudizio e che sulla questione di 
merito dovesse pronunziarsi la Commissione provinciale in sede di rinvio. Evidentemente 
non � a parlarsi di rinvio rispetto alla decisione di appello, ed � 
<lei pari evidente che il giudice di appello, dopo la risoluzione della questione 



106 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

La tesi merita adesione. 

Il problema che si pone � se sia (o meno) ammissibile l'azione giudiziaria 
proposta in ordine ad una questione preliminare di merito (prescrizione 
della pretesa tributaria), decisa, in materia di imposte indirette 
(nella specie, imposta di successione), da una pronuncia del�a Commissione 
centrale delle imposte, dopo il decorso del termine di sei mesi 
dalla notifica di questa, di cui all'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923 (legge 
tributaria sulle successioni), e successivamente alla definizione del rapporto 
tributario, e cio� delle questioni sostanziali di merito (nella specie, 
estraneit� alla massa ereditaria del cespite controverso -suolo edificatorio 
-per simulazione del negozio di trasferimento), da parte della 
Commissione Provinciale delle imposte in sede di rinvio. 

In base all'indirizzo seguito dalla Corte del merito -potendo l'azione 
giudiziaria essere promossa, in tema di imposte indirette, indipendentemente 
dal preventivo esperimento dei ricorsi amministrativi fino alla 
decisione definitiva che condiziona il promoviment� dell'azione giudiziaria 
esclusivamente in materia di imposte dirette -la domanda giudiziale, 
proposta, in ordine ad una questione preliminare di merito (prescrizione 
della pretesa) decisa da una pronuncia della Commissione centrale 
delle imposte, dopo la definizione del rapporto tributario da parte 
della Commissione provinciale in sede di rinvio, e, quindi, successiva-

preliminare, decide anche il merito definendo sempre il giudizio s� che non 
pu� ipotizzarsi uno sdoppiamento in due diverse sedi dell'unico giudizio. 

Nel caso di specie la pronuncia della Commissione provinciale dopo quella 
della Commissione centraie si � avuta o perch� le due questioni di prescrizione 
e di merito erano state oggetto di due diversi ricorsi o perch�, in modo evidentemente 
errato, la Commissione centrale (di appello) P.a in effetti annullato 
con rinvio (al che si sarebbe dovuto rimediare con il ricorso per Cassazione). 
Nella situazione normale, per�, non si poteva verificare, per le imposte indirette, 
una possibilit� di annullamento con rinvio. 

Tuttavia il problema, anche se non in riferimento all'annullamento con 
rinvio, esiste egualmente, sia in relazione a pi� decisioni dello stesso giudice, 
sia in relazione alle ipotesi di remissione al primo giudice (art. 353 e 354 c.p.c.). 

La norma contenuta nell'art. 22 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 per le imposte 
dirette non pu� essere invocata per risolvere il problema. Questa norma infatti 
� diretta non a consentire la procrastinazione della proposizione della domanda 
in sede ordinaria, ma al contrario a vietarne la proposizione (giurisdizione 
condizionata) prima che sia intervenuta una decisione definitiva almeno in un 
grado; in mancanza di questo divieto, per le imposte indirette, non pu� trasportarsi 
tal quale questa norma per trarne l'effetto opposto. Per le imposte 
dirette nel precedente ordinamento si realizzava il principio della concentrazione 
del procedimento, giacch� entro il termine di decadenza dovevano essere 
proposte contro l'accertamento (o eventualmente contro il ruolo) tutte le questioni 
possibili s� che con una sola decisione doveva necessariamente attuarsi 
la definizione dell'obbligazione di imposta; di conseguenza una volta stabilito 
che l'azione in sede ordinaria non poteva proporsi prima che intervenisse una 

-



PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 107 

mente alla decorrenza del termine decadenziale fissato dall'art. 94 del 

r.d. n. 3270 del 1923, dovrebbe considerarsi inammissibile. 
Secondo la tesi del ricorrente -valendo anche in materia di imposte 
indirette (nel cui ambito rientra l'imposta di successione) il principio 
generale fondamentale dell'ammissibilit� dell'impugnativa soltanto contro 
le decisioni definitive, stabilito dall'art. 22, comma secondo (rectius: 
comma quarto), del r.d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 -le decisioni delle commissioni 
tributarie, emesse, in materia di imposte indirette, su singole 
questioni di merito e non espressamente assoggettate ad onere di gravame 
immediato, possono essere legittimamente impugnate congiuntamente 
(e, quindi, successivamente) alla decisione definitiva della commissione 
amministrativa che esaurisce il rapporto tributario. 

Fra le due antitetiche proposizioni del dilemma, questa Corte ritiene 
di doversi orientare nel senso della soluzione profilata dal ricorrente. 

I giudici del merito -pur muovendo dall'esatto principio giuridico 
della possibilit� per l'autorit� giudiziaria di giudicare su controversie in 
materia di imposte indirette anche in difetto di previo esperimento di 
ricorso alle Commissioni tributarie -sono pervenuti, attraver~o un non 
conseguente processo logico-giuridico, alla conclusione che, in or<lipe alle 
controversie in materia di imposte indirette, le decisioni su singole que


tale definizione dell'obbligazione, era di tutta coerenza prevedere che occorresse 
una decisione definitiva (nel senso che contiene il regolamento conclusivo del 
rapporto sostanziale tributario), essendo evidente l'insufficienza ai fini della giurisdizione 
condizionata di una decisione preliminare, di rito o di merito, che 
postula la prosecuzione del processo nello stesso o in altro grado. Per questa 
ragione l'art. 22 condizionava la proponibilit� della azione ordinaria anche 
alla iscrizione a ruolb dell'imposta (un tempo l'iscrizione a ruolo era il necessario 
presupposto della domanda, successivamente, dopo la parziale dichiarazione 
di illegittimit� costituzionale della norma, la proposizione poteva essere 
differita fino alla iscrizione a ruolo definitiva senza essere ad essa condizionata. 
-Cass. 18 aprile 1974, n. 1054, in questa Rassegna 1974, I, 1232), sulla 
premessa che la decisione definitiva dovesse consentire l'iscrizione a ruolo; 
non avrebbe avuto nessun significato il considerare. rilevante ai fini della 
proponibilit� della domanda una decisione preliminare che non consentisse 
l'iscrizione a ruolo. 

La ratio dell'art. 22 era anche quella di impedire la contemporanea pendenza 
della stessa controversia innanzi alle Commissioni e .innanzi all'A.G.O. 
a causa della diversit� di materia che i due giudizi potevano avere (estimazione 
semplice) e dell'impossibilit� di considerare assorbito nel giudizio ordinario 
il procedimento innanzi alle Commissioni. 

Ma rispetto alle imposte indirette per le quali non vale la regola della 
giurisdizione condizionata, non si verifica il principio della concentrazione 
(sia a causa della separazione tra controversia di valutazione e controversie 
di imponibilit� sia causa della inesistenza per queste ultime di un termine 
di decadenza, � del tutto normale che sullo stesso rapporto di imposta si 
instaurino pi� procedimenti contenziosi in tempi diversi e in sedi diverse), e 



108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
stioni di merito, debbano, per evitare di divenire irretrattabili, essere 
impugnate immediatamente e non gi� dopo la decisione definitiva della 
Commissione amministrativa esaurente il rapporto tributario, con l'implicazione 
della necessit� di una duplice impugnazione, riguardo alla 
stessa controversia, dovendosi ex necessitate adire l'autorit� giudiziaria 
una prima volta per la singola questione (preliminare) decisa ed una 
seconda volta per le questioni sostanziali di merito, e con l'ulteriore 
conseguenza che la prima di tali impugnative debba svolgersi innanzi al 
giudice ordinario in pendenza della controversia, afferente alla questione 
di diritto sostanziale, innanzi alla commissione tributaria in sede di 
rinvio. 
Ai fini della disamina del problema delineato, le questioni da affrontare 
sono, quindi, quelle relative ai connotati, formali e sostanziali, della 
decisione definitiva nel procedimento tributario ed alla necessit� della 
impugnazione immediata delle decisioni parziali, emesse in controversie 
insorte in materia di imposte indirette. 
Per ragioni di priorit� logica, va esaminata, in via preliminare, la 
seconda. 
In ordine al tema relativo alla disciplina unitaria (o meno) del procedimento 
di formazione del giudicato riguardo alle decisioni delle comnon 
vi � ragione per impedire la simultanea pendenza della stessa controversia 
innanzi alle Commissioni e innanzi all'A.G.O. (che si risolve nell'assorbimento 
nel giudizio ordinario del procedimento innanzi alle Commissioni: Cass. 21 febbraio
� 1973 n. 515, Rass. Avv. Stato, 1973, I, 274; 17 ottobre 1973, n. 2609, Riv. 
Leg. Fisc., 1974, 604), non pu� essere invocata, la norma dell'art. 22 per la 
radicale diversit� di struttura del processo. 
N� vale il richiamo all'art. 31 del d.l. n. 1639 del 1936 che estende alle 
imposte indirette soltanto le norme relative al procedimento innanzi alle Commissioni, 
perch� sono invece regolati in modo completo ed autonomo i rapporti 
tra giudizio innanzi alle Commissioni a azione in sede ordinaria dall'art. 
22 per le imposte dirette e dall'art. 29 per quelle indirette. 
E se ai fini della notificazione della decisione della Commissione Centrale 
si � potuta stabilire una omogeneit� di disciplina (Cass. 7 aprile 1972, n. 1041 
e 25 gennaio 1975, n. 278, in questa Rassegna, 1973, I, 193 e 1975, I, 557), ci� non 
autorizza una generalizzazione estesa anche a situazioni profondamente diverse. 
Ma sopratutto l'art. 22 �, come si � visto, inteso a condizionare l'azione in 
sede ordinaria s� che � evidentemente necessario che finch� l'azione � temporaneamente 
improponibile non possa essere soggetta a decadenza; questo non 
avviene di certo per le imposte indirette per le quali l'azione ordinaria pu�� 
essere sempre proposta in quaiunque momento, prima o in pendenza del 
procedimento innanzi alle Commissioni fino a quanto non si � formato il giu108 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
stioni di merito, debbano, per evitare di divenire irretrattabili, essere 
impugnate immediatamente e non gi� dopo la decisione definitiva della 
Commissione amministrativa esaurente il rapporto tributario, con l'implicazione 
della necessit� di una duplice impugnazione, riguardo alla 
stessa controversia, dovendosi ex necessitate adire l'autorit� giudiziaria 
una prima volta per la singola questione (preliminare) decisa ed una 
seconda volta per le questioni sostanziali di merito, e con l'ulteriore 
conseguenza che la prima di tali impugnative debba svolgersi innanzi al 
giudice ordinario in pendenza della controversia, afferente alla questione 
di diritto sostanziale, innanzi alla commissione tributaria in sede di 
rinvio. 
Ai fini della disamina del problema delineato, le questioni da affrontare 
sono, quindi, quelle relative ai connotati, formali e sostanziali, della 
decisione definitiva nel procedimento tributario ed alla necessit� della 
impugnazione immediata delle decisioni parziali, emesse in controversie 
insorte in materia di imposte indirette. 
Per ragioni di priorit� logica, va esaminata, in via preliminare, la 
seconda. 
In ordine al tema relativo alla disciplina unitaria (o meno) del procedimento 
di formazione del giudicato riguardo alle decisioni delle comnon 
vi � ragione per impedire la simultanea pendenza della stessa controversia 
innanzi alle Commissioni e innanzi all'A.G.O. (che si risolve nell'assorbimento 
nel giudizio ordinario del procedimento innanzi alle Commissioni: Cass. 21 febbraio
� 1973 n. 515, Rass. Avv. Stato, 1973, I, 274; 17 ottobre 1973, n. 2609, Riv. 
Leg. Fisc., 1974, 604), non pu� essere invocata, la norma dell'art. 22 per la 
radicale diversit� di struttura del processo. 
N� vale il richiamo all'art. 31 del d.l. n. 1639 del 1936 che estende alle 
imposte indirette soltanto le norme relative al procedimento innanzi alle Commissioni, 
perch� sono invece regolati in modo completo ed autonomo i rapporti 
tra giudizio innanzi alle Commissioni a azione in sede ordinaria dall'art. 
22 per le imposte dirette e dall'art. 29 per quelle indirette. 
E se ai fini della notificazione della decisione della Commissione Centrale 
si � potuta stabilire una omogeneit� di disciplina (Cass. 7 aprile 1972, n. 1041 
e 25 gennaio 1975, n. 278, in questa Rassegna, 1973, I, 193 e 1975, I, 557), ci� non 
autorizza una generalizzazione estesa anche a situazioni profondamente diverse. 
Ma sopratutto l'art. 22 �, come si � visto, inteso a condizionare l'azione in 
sede ordinaria s� che � evidentemente necessario che finch� l'azione � temporaneamente 
improponibile non possa essere soggetta a decadenza; questo non 
avviene di certo per le imposte indirette per le quali l'azione ordinaria pu�� 
essere sempre proposta in quaiunque momento, prima o in pendenza del 
procedimento innanzi alle Commissioni fino a quanto non si � formato il giudicato; 
se allora dopo la d�cisione che risolve una questione preliminare l'azione 
ordinaria pu� essere proposta, essa non potr� essere differita in applicazione 
di una norma ispirata ad un fine del tutto diverso. 

La giurisprudenza della S.C. ha ripetutamente sottolineato la diversit� del � 
concetto di decisione definitiva al fine della giurisdizione condizionata per le 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 109' 

missioni tributarie, va considerato -ai fini dell'accertamento della ricorrenza 
(o meno) della decadenza giudiziaria del contribuente dell'azionabilit� 
innanzi al giudice ordinario di una pretesa relativa ad imposte 
indirette, successivamente alla decisione della Commissione centrale -se 
l'art. 22, comma quarto, del r.d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 (il quale stabilisce 
che �l'autorit� giudiziaria pu� essere adita dal contribuente anche dopo 
che sia intervenuta la decisione definitiva della 'Commissione tributaria �) 
contenga una disposizione eccezionale dettata esclusivamente per la materia 
delle imposte dirette, unica disciplinata nella legge a cui essa appartiene, 
e, pertanto, non estensibile, in applicazione dell'art. 14 delle disposizioni 
sulla legge in generale, oltre il caso espressamente previsto, ovvero 
se la norma, statuita in detto articolo, sancisca un principio generale 
fondamentale riferibile alle decisioni pronunciate in entrambi i settori 
tributari oggetto del presente dibattito giudiziale. 

Fra i due orientamenti delineati, questa Corte ritiene che il secondo 
sia meritevole di consenso. 

Il carattere generale della statuizione legislativa, dettata nell'art. 22, 
comma quarto, del r.d.l. n. 1639 del 1936, e l'estensione della disciplina,. 
in questo contenuta, alla materia delle imposte indirette si desumono 
da un decisivo argomento testuale fornito dall'art. 31, comma quarto,. 
dello stesso r.d.l. n. 1636, il quale, al termine di una serie di disposizioni 

imposte dirette ed ai fini degli altri rimedi. Sotto il primo profilo � decisione 
definitiva quella che risolvendo tutte le questioni insorte sia in fatto che in 
diritto, esaurisce il processo tributario nella sede adita e contro la quale non 
� ammesso altro ricorso o il ricorso non � stato proposto nel termine o ha � 
perduto efficacia il ricorso ammissibile proposto (Cass. 5 luglio 1971, n. 2082,. 
Rass. Avv. Stato, 1971, I, 1216); non � quindi definitiva la decisione che decidendo 
parzialmente le questioni sollevate comporta il proseguimento del processo 
innanzi alla stessa o ad altra Commissione e la decisione della Commissione 
centrale che annulla con rinvio (Cass. 22 settembre 1970, n. 1670, ivi 1970, 
I, 1083). Ma, al contrario, con riferimento al ricorso per Cassazione ex art. 111 
Cost., proponibile contro la pronunzia decisoria e definitiva, si � invece precisato 
che � decisoria la pronunzia che contiene, anche solo parzialmente, H 
regolamento del rapporto dedotto in giudizio, anche se su una questione di 
rito, ed � definitiva la decisione contro la quale non � ammessa ulteriore 
impugnazione in sede di giurisdizione speciale (Cass. 21 giugno 1972, n. 1981, 
Rass. Avv. Stato, 1972, I, 824). Conseguentemente, mentre non sono impugnabili 
le decisioni ordinatorie, possono e debbono essere impugnate nel termine stabilito 
le decisioni che abbiano definito in tutto o in parte, e anche soltanto in 
rito, la materia controversa (Cass. 9 ottobre 1972 n. 2953, Riv. leg. fisc., 1972, 
2754) ed anche quella che rimanda ad un secondo momento un'ulteriore pronunzia 
(21 giugno 1972, n. 1981 gi� citata) e quella che annulla con rinvi<> 

(21 giugno 1974, n. 1839, ivi, 1974, 1920). 

Quanto statuito dalla S.C. per il ricorso per Cassazione deve valere anche 
per l'azione ordinaria, una volta esclusa l'estensibilit� dell'art. 22, e per le 
impugnazioni nell'ambito del contenzioso speciale; la decisione � sempre capace 
di diventare irretrattabile, sia pure per una parte soltanto d�l rapporto contro




110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
che prevedono assimilazioni nei procedimenti relativi alle controversie 
in materia di imposte dirette ed indirette, stabilisce: �Sono estese alle 
controversie riguardanti le imposte di trasferimento dei beni tutte le 
altre p.orme relative al procedimento davanti alle Commissioni amministrative 
delle imposte dirette �. 
Tale norma contempla, quindi, una clausola generale di unificazione 
della disciplina giuridica del contenzioso nelle materie delle imposte dirette 
ed indirette innanzi alle Commissioni amministrative. 
Ed in tal senso si � gi� espressa la Corte Suprema (cfr. sent. 7 apri110 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
che prevedono assimilazioni nei procedimenti relativi alle controversie 
in materia di imposte dirette ed indirette, stabilisce: �Sono estese alle 
controversie riguardanti le imposte di trasferimento dei beni tutte le 
altre p.orme relative al procedimento davanti alle Commissioni amministrative 
delle imposte dirette �. 
Tale norma contempla, quindi, una clausola generale di unificazione 
della disciplina giuridica del contenzioso nelle materie delle imposte dirette 
ed indirette innanzi alle Commissioni amministrative. 
Ed in tal senso si � gi� espressa la Corte Suprema (cfr. sent. 7 aprile 
1972, n. 1041), la quale ha tratto dalla disposizione contenuta nel quarto 
comma dell'art. 31 un argomento risolutivo per l'affermazione di un 
regime giuridico, comune ai due tipi di controversie (in materia d'imposte 
dirette ed indirette), riguardo alla notifica (da parte dell'Amministrazione 
Finanziaria) della decisione .della Commissione centrale, costituente 
presupposto necessario per la conclusione del procedimento in 
sede di giurisdizione amministrativa e per l'operativit� dell'effetto tipico 
dell'atto definitivo dell'attivit� giurisdizionale cognitiva, e cio� della formazione 
del giudicato. 

E le ragioni addotte dalla citata decisione del Supremo Collegio a 
supporto della cennata soluzione che risolve un problema analogo a 

verso, e passa in giudicato con il decorso del termine precludendo l'esperibilit� 
dei rimedi alternativamente possibili. 

Il problema che pone la sentenza in esame si riduce allora a quelle della 
.ammissibilit� della impugnazione (o della proposizione dell'azione ordinaria) 
differita rispetto alle decisioni non definitive, problema che resta sostanzialmente 
immutato anche nel nuovo ordinamento del contenzioso tributario. 

Per quanto concerne l'abrogato sistema del contenzioso, la sola data della 
sua emanazione (1936) basta ad escludere ogni posi;ibilit� di applicazione del 
mezzo, al t�mpo del tutto sconosciuto, della riserva (facoltativa o necessaria) 
di impugnazione differita contro la decisione parziale (o non definitiva). N� 
successivamente gli artt. 340 e 361 c.p.c. hanno modificato su questo punto il 
procedimento speciale. 1'. infatti del tutto pacifico che l'impugnazione differita 
� un istituto tipico esclusivo del processo civile ordinario e non se ne � mai 
nemmeno tentata l'estensione ai procedimenti speciali regolati da norme anteriori 
al cod. proc. civ. N� per l'appello contro le decisioni della Giunta provinciale 
amministrativa e del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione 
siciliana, n� per l'appello contro le decisioni del Consiglio di prefettura 
e della Sezione semplice della Corte dei Conti si � mai pensato di estendere 
la regola della riserva di impugnazione differita; solo per il Tribunale regionale 
delle acque, che � per� un organo specializzato della giurisdizione ordinaria, 
l'espressa norma dell'art. 189 del t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 impone il differimento 
dell'impugnazione. 

In ogni modo il problema della impugnazione differita non si pone affatto, 
nemmeno per il processo ordinario, per la pronuncia che, definendo il processo 
in quel grado, rinvia ad altro giudice di grado diverso; sia la decisione rescin


dente (della Commissione centrale) sia quella del giudice di appello che rinvia 
.al primo giudice (art. 353 e 354) � sempre definitiva e non pu� consentire l'im

-f -f 
PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 111 

quello oggetto di disputa, ben possono essere utilizzate al fine di estendere 
l'ambito di riferimento e di applicazione della norma contenuta 
nell'art. 22, comma quarto, del r.d.l. n. 1639 del 1936, oltre il procedimento 
innanzi alle Commissioni tributarie in materia di imposte dirette, 
in quanto siffatta espansione della statuizione legislativa � perfettamente 
aderente alla ragione giustificativa della disposizione dell'art. 31, comma 
quarto, la quale va individuata in una esegenza di disciplina unitaria 
del contenzioso tributario innanzi alle Commissioni, determinata dagli 
aspetti sostanziali di analogia degli interessi oggetto di contesa nei due 
tipi di controversia relativi alle imposte dirette ed a quelle indirette, 
non tollerando tale disciplina unitaria una diversit� di trattamento del 
procedimento di formazione del giudicato relativamente alle decisioni 
delle commissioni e, per necessaria applicazione logica, della conseguenziale 
preclusione dell'azione giudiziaria. 

N� valido motivo di distinzione tra i regimi giuridici pu� trarsi dal 
rilievo che il legislatore mostra di intendere diversamente le tutele relative 
alle due categorie di imposte, allorch� condiziona la proponibilit� 
dell'azione giudiziaria al preventivo esperimento innanzi alle commissioni 

pugnazione differita a seguito della pronuncia del giudice inferiore. Lo stesso 
� a dirsi per le decisioni che dichiarano l'incompetenza designando quella di 
altro giudice di eguale grado. 

La sentenza parziale (o non definitiva) che nel processo ordinario consente 
il differimento della impugnazione � soltanto quella che, decidendo alcune questioni 
preliminari di rito o di merito, impartisce distinti provvedimenti per 
l'ulteriore istruzione e dispone la prosecuzione del processo innanzi allo stesso 
giudice (art. 278 e 279, in relazione agli art. 340 e 361 c.p.c.). 

Il nuovo ordinamento del contenzioso tributario (come anche la legge 
istitutiva dei T.A.R.) non recepisce per� l'istituto della impugnazione (facoltativa) 
differita e non prevede affatto la relativa riserva. 

La decisione, anche se parziale, viene notificata al contribuente e comunicata 
all'Amministrazione (art. 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) il che fa decorrere 
il termine per l'impugnazione (art. 22, 25 e 40); nessuna distinzione pu� 
farsi fra decisione parziale e definitiva. 

La sola distinzione rilevante � quella fra decisione e ordinanza (art. 35); 
l'ordinanza non � mai impugnabile (a meno che non abbia contenuto sostanziale 
di decisione) mentre la decisione, definitiva o parziale (a meno che non 
abbia contenuto sostanziale di ordinanza), � sempre suscettibile di giudicato 
ove non sia immediatamente impugnata. A maggiore ragione dovr� essere immediatamente 
impugnata la decisione della Commissione di secondo grado che 
rinvia a quella di primo grado (art. 24), quella della Commissione Centrale 
che annulla con rinvio al primo o al secondo grado a(rt. 29) e quella della 
Corte di Appello che egualmente rinvia alla Commissione di primo o secondo 
grado (art. 40). Invece per la sentenza della Corte di Appello che non definisce 
il giudizio e dispone la prosecuzione del processo innanzi a se stessa, valgono 
le regole del processo ordinario. 

Senza dubbio ci� pu� dar luogo a complicazioni perch� la impugnazione 

non sospende l'ulteriore corso del procedimento innanzi al giudice a quo mentre 

9 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tributarie soltanto quando si tratti di imposte dirette e non anche quando. 
si controverta in tema di imposte indirette, giacch� la diversit� di disciplina 
delle due tutele trova un limite nella ricezione del principio della stabi� 
lit� del giudicato amministrativo, del quale il legislatore mostra chiaramente 
di volere il rispetto con riguardo ad entrambe (ispirandosi a tale� 
principio l'art. 34 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, applicabile alle controversie 
in materia di imposte dirette, e l'art. 146 della legge di registro,. 
approvata dal r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, modificato dall'art. 1 del 

r.d. 13 gennaio 1936, n. 2313, riguardante le vertenze tributarie in materia 
di imposte indirette). 
Per modo che, deve ritenersi che il precetto sancito nel quarto comma 
dell'art. 22 del r.d.l. n. 1639 del 1936, costituendo un principio fondamentale 
di portata generale, sia riferibile alle decisioni emesse dalle� 
commissioni tributarie sia in materia di imposte dirette che in tema di 
imposte indirette, cor� l'implicazione che la disciplina giuridica in esso 
contenuta debba trovare� applicazione anche in ordine alle controversie� 
afferenti alle imposte indirette. 

Ed a conforto della validit� di una siffatta soluzione, sotto il profilo� 
della mens legis, pu� richiamarsi l'art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636� 

a seguito di essa il fascicolo di ufficio deve essere trasmesso al giudice del 
grado superiore (art. 22, 25, 29 e 40). 

:E!. questo un inconveniente pratico, non ignoto al processo ordinario anche� 
se regolato in modo diverso, che per� non modifica il regime sostanziale delle 
impugnazioni. 

:E!. da rilevare tuttavia che la questione un tempo dibattuta della impugna�� 
bilit� delle decisioni interlocutorie (di contenuto ordinatorio) non si pone pi�,. 
essendo stata introdotta nel contenzioso tributario la stessa distinzione, elaborata 
nel processo ordinario, tra decisione e ordinanza, precisandosi che l'o'rdi-� 
nanza non pu� essere impugnata separatamente dalla decisione (art. 35). 

Pertanto unico elemento importante � la distinzione fra decisione, in senso� 
formale e sostanziale, e ordinanza. La prima deve sempre essere impugnata. 
senza possibilit� di riserva di impugnazione differita, la seconda non � mai 
impugnabile. 

Si deve peraltro osservare che, non esistendo affatto l'onere della riserva,. 
l'impugnazione resta preclusa solo dal decorso del termine rispetto alla notifi-� 
cazione o comunicazione. Ove queste non siano state eseguite, la �decisione� 
parziale potrebbe essere impugnata anche unitamente alla decisione definitiva 
(salva l'eventuale necessit�, specie per il ricorso per Cassazione e quello alla. 
Corte di Appello, di introdurre l'impugnazione con separati atti), non valendo 
come decadenza dall'impugnazione la piena conoscenza. Ci� poteva verificarsi 
in via normale nell'abrogato ordinamento nel quale la notificazione aveva luogo� 
ad istanza di parte; oggi non dovrebbe pi� accadere perch� la notificazione e 
la comunicazione sono eseguite d'ufficio dalla segreteria entro dieci giorni dal 
deposito della decisione (art. 38). Non si pu� escludere tuttavia che, in modo 
anomalo, la notificazione o la comunicazione non siano est1guite o che queste: 
siano nulle. 

C. BAFILE 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(revisione della disciplina del contenzioso tributario), secondo la cui statuizione 
normativa � previsto, in ordine ad entrambe le categorie di 
imposte (dirette ed indirette), un unico procedimento per la fase d'impugnazione, 
innanzi al giudice ordinario, avverso le decisioni delle commissioni 
tributarie. 

Va, quindi, esaminata la questione relativa ai requisiti, formali e sostanziali, 
delle decisioni definitive nel procedimento contenzioso tributario. 

Con sentenza del 21 giugno 1968 n. 2063, la Corte Suprema ha statuito 
che per aversi decisione definitiva nel procedimento tributario non 
� sufficiente che sia stata emessa una pronuncia, il cui contenuto non 
possa formare oggetto di gravame se non dinanzi all'autorit� giudiziaria 
ordinaria, ma � necessario che con tale pronuncia sia anche esaurito il 
procedimento di accertamento dell'imposta ed il regolamento conclusivo 
del rapporto sostanziale tributario; e che, pertanto, non pu� essere considerata 
definitiva ed autonomamente impugnabile innanzi all'autorit� 
giudiziaria ordinaria la decisione della Commissione centrale che, ritenendo 
tassabile, in punto di diritto, un certo cespite o reddito, rimetta 
gli atti alle commissioni competenti per il giudizio di merito, perch� 
accertino, in fatto, la sussistenza dei presupposti e degli elementi della 
imposizione, giacch� soltanto attraverso la pronuncia sulle questioni di 
merito (e la decisione degli eventuali gravami su tali questioni) viene 
a formarsi la definizione del rapporto tributario che possa costituire 
oggetto di giudizio dinanzi al giudice ordinario. 

Inoltre, si � escluso che la decisione della Commissione centrale sul 
punto di diritto sia suscettibile di passaggio in, giudicato, restando precluso 
l'esame del giudice ordinario, in difetto di immediato e diretto 
gravame, in quanto, per lo specifico contenuto di tale pronuncia, che, 
non esaurendo il procedimento contenzioso tributario, non assume carattere 
di definitivit�, le questioni cos� risolte possono sempre essere sollevate 
nuovamente con la domanda giudiziale, che sia proposta avverso 
la decisione che concluda e definisca tale procedimento. 

E, sulla base di tali postulati giuridici, non pu� non ritenersi non 
definitiva la decisione della Commissione centrale che neghi l'esistenza 
della prescrizione della pretesa tributaria, eccepita dal contribuente, e 
rimetta le p~rti innanzi alla Commissione Provinciale per il giudizio di 
merito, non potendo considerarsi la statuizione giudiziale della Commissione 
centrale come un regolamento conclusivo del rapporto tributario, 
giacch� se non pu� ritenersi -in applicazione della richiamata pronuncia 
del Supremo Collegio -definitiva una decisione della Commissione Centrale 
che dichiari, in punto di diritto, tassabile un certo cespite o reddito, 
non pu�, a maggior ragione, considerarsi tale una decisione della Commissione 
Centrale che (come quella intervenuta nel caso di specie) si 
limiti a dichiarare l'inesistenza della prescrizione (senza neppure pronun



114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ciare sulla tassabilit� in punto di diritto del cespite controverso), rinviando 
la vertenza alla Commissione Provinciale anche per l'accertamento 
dell'appartenenza o meno del cespite alla massa ereditaria e, 
quindi, per l'accertamento dell'an debeatur. 

E che occorra aver riguardo al contenuto sostanziale delle decisioni 
amministrative per stabilire se esse possano ritenersi definitive ed autonomamente 
impugnabili, s� da dar luogo al decorso del termine seme� 
strale per l'eventuale impugnativa avanti l'autorit� giudiziaria ordinaria, 
� stato pi� volte affermato dalla Corte Suprema, la quale ha posto sempre 
in rilievo che rivestano carattere di definitivit� soltanto le decisioni 
emesse in ordine alla sussistenza del debito d'imposta e della misura 
del tributo (cfr. sent. 26 ottobre 1955, n. 3493, in materia d'imposta di 
successione; sent. 12 luglio 1951, n. 1501, in materia d'imposta di registro). 

Riscontro di ci�, si ritrova nello stesso tenore dell'art. 94 del r.d. 

n. 3270 del 1923, secondo cui il termine di decadenza per ricorrere alla 
autorit� giudiziaria decorre dalle decisioni amministrative che abbiano 
concretamente giudicato sulle tasse, sopratasse e pene pecuniarie, in 
quanto, in base al contenuto normativo di esso, � evidente che, per 
aversi definitivit� della decisione amministrativa, occorre che non l'astratta 
possibilit� di una pretesa d'imposta da parte dei competenti uffici abbia 
formato oggetto della decisione (come quando sia stato deciso soltanto 
se non siasi verificata la prescrizione della pretesa tributaria), bens� la 
esistenza di un concreto debito per tasse, sopratasse e pene pecuniarie. 
E -poich� la decisione della Commissione Centrale che si limiti a 
dichiarare non verificatasi la prescrizione del diritto dell'Amministrazione 
finanziaria a chiedere il pagamento dell'imposta di successione su un 
bene non figurante nella denunzia, rinviando alla Commissione Provinciale 
per l'accertamento dei presupposti sostanziali di fatto e di diritto 
per l'applicazione dell'imposta, non pu� considerarsi esaustiva del procedimento 
e conclusiva del rapporto tributario sostanziale e, quindi, per 
il suo contenuto, definitiva -deve concludersi nel senso che debba ritenersi 
ammissibile l'azione giudiziaria proposta -in ordine alla questione 
preliminare di merito della prescrizion~ della pretesa tributaria, decisa, 
in materia di imposte indirette (nella specie, imposte di successione), 
dalla decisione della Commissione Centrale delle imposte -dopo il decorso, 
dalla notifica di questa, del termine di sei mesi di cui all'art. 94 
del r.d. n. 3270 del 1923 e successivamente alla definizione del rapporto 
tributario, e cio� delle questioni sostanziali di merito, da parte della 
Commissione Provinciale in sede di rinvio, potendo, anche in detta materia, 
la decisione amministrativa parziale essere impugnata innanzi al 
giudice ordinario congiuntamente a quella definitiva, esaurente il rapporto 
sostanziale. 

Il primo motivo di ricorso �, quindi, da accogliere. -(Omissis). 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 115 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 gennaio 1976, n. 147 -Pres. Mirabelli 
-Est. Borruso -P. M. Cutrupia (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Baccari) c. Soc. Ferrovia Alto Pistoiese. 

Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Solidariet� � Condono � 
Istanza di una sola parte � Estensione ai condebitori � Esclusione. 

(c. c. art. 1309; d. I. 5 novembre 1973, n. 660). 
Quando uno soltanto dei debitori solidali di imposta abbia fruito, 
a domanda, del condono, gli altri condebitori che non ne abbiano fatto 
istanza non possono giovarsi degli effetti del condono, s� che nei loro 
confronti il giudizio deve proseguire nei modi normali (1). 

(Omissis). -Innanzitutto devesi affermare che non risultando avere 
la societ� � Ferroviaria Alto Pistoiese � domandato l'applicazione del condono 
fiscale (ai sensi e nel termine di cui al d.I. 5 novembre 1973, n. 660, 
convertito nella I. 19 dicembre 1973, n. 823) analogamente a quanto invece 
richiesto ed ottenuto dalla Cassa Rurale (condebitrice solidale dell'imposta 
in contestazione) gli effetti di detto condono non possono essere 
estesi alla predetta societ�. E ci� perch�: 

1) l'applicazione del condono fiscale comporta il riconoscimento del 
debito da parte del contribuente nei confronti della Finanza, cos� come 
da essa determinato, anche se ne consente l'estinzione con un pagamento 
parziale e, secondo l'art. 1309 e.e., il riconoscimento del debito fatto da 
uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; 

2) la solidariet� fra coobbligati in materia tributaria non assume 
una configurazione diversa da quella che l'istituto presenta in base alla 
disciplina contenuta nel codice civile e cio�, di una pluralit� di rapporti 
(sia pure di identica natura ed aventi una causa unica), sicch� non v'� 
alcuna ragione per ritenere giustificata tra contribuenti condebitori in 
solido d'un medesimo tributo anche una mutua rappresentanza che valga 
ad estendere, in deroga al citato art. 1309, a tutti i coobbligati gli effetti 
del riconoscimento del debito compiuto da uno solo di essi (cfr. da 

(1) Decisione interessante ed indubbiamente esatta. Applicando le regole 
della solidariet� di diritto comune, si deve necessariamente ritenere che quello 
dei condebitori che non ha presentato la domanda di condono, dimostrando 
con ci� di voler affrontare l'alea del giudizio, non pu� giovarsi degli effetti 
del condono conseguiti, a domanda, da altro condebitore; ci� non solo perch� 
il condono � da considerare come un riconoscimento ex art. 1309 e.e., ma anche 
perch� l'intervenuta decadenza non consentirebbe mai al debitore, nemmeno 
se dichiara di volerne profittare, di giovarsi degli effetti di qualunque atto 
vantaggioso riferibile al coobbligato. Il contribuente � libero di scegliere tra 
la prosecuzione del giudizio e il condono e non pu� di certo ritenersi vincolato 
alla scelta fatta da altri; ma una volta decorso il termine per la presentazione 
della domanda di condono, la scelta non pu� pi� essere revocata. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ultimo in tal senso Cass. sent. n. 768 del 1975, 4041 del 1974, 832 del 1973, 
311 del 1970). 

Ritenuto, pertanto, che l'applicazione del condono fiscale, di cui alla 
legge sopracitata, nei confronti di un condebitore in solido del tributo 
(che, nella specie, peraltro non � parte in giudizio) non comporta la 
estinzione della causa, promossa nei confronti della Finanza da altro 
coobligato al pagamento del tributo stesso per contestarne la debenza 
il pr�>cesso deve proseguire e, conseguentemente, deve essere deciso il 
ricorso per cassazione proposto dalla Finanza avverso la summenzionata 
sentenza .della Corte di Appello di Firenze. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1976, n. 159 -Pres. Caporaso 
-Est. Virgilio -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Cavalli) c. I.N.A. (avv. Formai). 

Imposte e tasse in genere � Condono di cui al decreto-legge 5 novembre 
1973, n. 660 � Sospensione del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione � 
Rigetto della istanza in sede amministrativa � Contestazione sul diritto 
al condono -Decisione da parte del giudice del processo sospeso. 

(d. I. S novembre 1973, n. 660, art. 11). 
Imposte e tasse in genere � Condono � Controversia di soli interessi � 
Esclusione. 

(d. I. S novembre 1973, n. 660, convertito con legge 19 dicembre 1973, n. 123). 
Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Interessi � Condono di cui 
alla legge 31 ottobre 1963 n. 1458 � Pagamento del tributo � Diritto della 
Finanza al successivo pagamento degli interessi � Sussiste. 

(I. 31 ottobre 1963, n. 1458, art. 1 e 3). 
Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Interessi � Prescrizione � 
Termine quinquennale � Interruzione -Pagamento dell'imposta -Non 
interrompe la prescrizione per gli interessi. 

(I. 26 gennaio 1961, n. 29; I. 28 marzo 1962, n. 147). 
Quando, in applicazione dell'art. 11 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, 
a seguito della presentazione della domanda di condono il giudizio pendente 
innanzi alla Corte di Cassazione sia stato sospeso e la domanda 
sia stata rigettata in sede amministrativa, spetta alla stessa Corte decidere 
sull'applicabilit� del condono al quale il contribuente sostiene di 
aver diritto (1). 

(1-4) La prima massima � di molto interesse. Bench� la motivazione sia 
molto ridotta, si afferma senza equivoci che dopo il rigetto in sede amministrativa 
della domanda di condono, spetta alla Corte di Cassazione (o al giu



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 117 

Le norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria 
(c.d. condono), di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con 
.la legge 19 dicembre 1973, n. 823, presuppongono la pendenza di una controversia 
sulla dovutezza del tributo e quindi non si applicano alle controversie 
concernenti soltanto interessi (2). 

L'Amministrazione finanziaria che, in applicazione del condono di cui 
.alla legge 31 ottobre 1963, n. 1468, abbia percepito soltanto il tributo, non 
.� decaduta dal diritto di domandare successivamente gli interessi che 
erano dovuti in base a quelle norme .(3). 

L'obbligazione per interessi � autonoma rispetto a quella per il tributo 
ed � sempre soggetta alla prescrizione quinquennale, quale che sia 
il termine, maggiore o minore, stabilito per la prescrizione del tributo. 
Il pagamento del tributo in applicazione di norma di condono non interrompe 
la prescrizione, come atto di riconoscimento, per il debito di 
interessi (4). 

-O.ice innanzi al quale pende il giudizio che era stato sospeso) decidere sulla 
:applicabilit� del condono ove il contribuente insista nel sostenere di averne 
-diritto. In tal modo la questione viene decisa in unica istanza dalla Corte di 
�Cassazione, ma questa appare indubbiamente la soluzione pi� corretta, non 
sembrando possibile che la questione, dalla quale dipende la cessazione della 
sospensione ovvero l'estinzione del giudizio, possa essere portata innanzi alla 
�Commissione tributaria e che di conseguenza lo stato di sospensione possa 
essere protratto oltre il termine della definizione amministrativa dell'istanza 
-O.i condono. 

Sull'argomento della seconda massima le pronuncie conformi sono ormai 
numerose anche con riferimento alle controversie di sole sopratasse (15 marw 
1975, n. 1015; 13 ottobre 1975, n. 3276, in questa Rassegna, 1975, I, 379 e...). 

Esattissima � la terza massima. La definizione della pendenza per condono 
� sempre regolata rigidamente dalla legge e all'Amministrazione non � mai 
�concessa una discrezionalit� transattiva; se pertanto essa ha omesso di richiedere 
il pagamento di somme che a qualsiasi titolo erano dovute esse possono 
(e debbono) essere pretese successivamente. Anche l'ultimo condono regolato 
-O.al d.l. 5 novembre 1973, n. 660 prevede espressamente (art. 11) che siano 
corrette le definizioni intervenute in violazione delle norme del decreto di 
-condono. 

:t<: ormai definitiV'.amente chiarito che l'obbligazione di interessi � soggetta 
in via autonoma alla prescrizione quinquennale (Cass. 29 ottobre 1973, n. 2805 
e 2 ottobre 1975, n. 3110, in questa Rassegna, 1974, I, 235 e 1975, I...). Riguardo 
:alla interruzione della prescrizione se non pu� contestarsi l'esattezza della 
affermazione che il riconoscimento di un debito non implica necessariamente 
interruzione della prescrizione per un maggiore e diverso debito, si deve per� 
rilevare che l'interruzione della prescrizione per il tributo produce effetto anche 
per gli interessi e tutti gli altri accessori inerenti al rapporto di imposta (v. 
nota a Cass. 2 ottobre 1975, n. 3110 cit.). Pertanto fino alla data del pagamento 
del tributo, eseguito per fruire del condono, la prescrizione non era compiuta 
n� per il tributo n� per gli interessi e solo da questa data � cominciato a 
decorrere un nuovo termine. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Durante la fase di legittimit� l'Istituto ha presentato 
domanda di condono ai sensi del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito 
in legge 19 dicembre 1973, n. 823, ed il giudizio di cassazione � stato 
sospeso con ordinanza del 4 marzo 1974 ai sensi de~l'art. 11 del citato 
decreto. 

Con lettera del 30 aprile 1975 l'Ufficio del Registro di Roma ha comunicato 
a questa Corte Suprema che la domanda di condono degli interessi 
per cui � causa fu accettata con riserva e che, anche in conformit� del 
parere espresso dall'Avvocatura dello Stato, essa non pu� essere accolta, 
in quanto le disposizioni della legge 19 dicembre 1973, n. 823, non contemplano 
-per l'applicazione del condono -anche gli interessi. 

A seguito di tale lettera � stata nuovamente fissata, per la odierna 
udienza, la discussione del ricorso incidentale. 

Poich� il ricorrente in via incidentale insiste, pur dopo la lettera sopra 
menzionata dell'Ufficio del Registro, nella tesi della applicabilit� del condono 
anche al caso in esame tale questione va esaminata preliminarmente. 

La Corte Suprema ha gi� avuto occasione di pronunciarsi sullo specifico 
problema (da ultimo, sent. n. 3276 del 13 ottobre 1975), ritenendo 
che nella particolare disciplina dettata dal d.l. 5 novembre 1973, n. 660, 
convertito in legge 19 dicembre 1973, n; 823, per agevolare la definizione 
delle pendenze in materia tributaria, non rientrano le controversie che 
riguardano, non l'applicazione del tributo, la natura o la configurazione 
di esso, ma solo aspetti collaterali derivanti dalla nascita del rapporto 
tributario, come avviene per le controversie che concernono gli interessi 
moratori previsti dalle leggi 26 gennaio 1961, n. 29, e 28 marzo 1962, n. 147. � 

� stato al riguardo precisato che la suddetta esclusione emerge chiaramente 
dalla lettera stessa del provvedimento legislativo e, precisamente, 
quanto alla imposizione indiretta, dall'art. 6 del provvedimento stesso, 
il cui primo comma subordina la possibilit� di usufruire del condono 
alla circostanza di una controversia pendente riguardante � l'applicazione � 
del tributo nonch� dal quarto comma dell'art. 10, il quale esonera il 
contribuente dal pagamento degli interessi moratori solamente �per le 
imposte dovute in applicazione delle disposizioni del presente decreto �. 

Alla stregua di tali principi, rispetto ai quali non sono stati addotti 
validi motivi in senso contrario, deve ritenersi assorbita la richiesta, 
contenuta nella memoria dell'I.N.A., tendente ad ottenere la conferma 
della sospensione del presente giudizio, giacch� nell'ambito di applicabilit� 
del condono di cui al decreto n. 660 del 1973 non rientrano come 
si � precisato, anche gl'interessi moratori e difetta conseguentemente 
la ragione della sospensione del giudizio prevista dall'art. 11 del decreto 
medesimo. 

Ci� considerato, pu� passarsi all'esame dei ricorsi. f. 

I m

f:: 

li 

I\ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ha carattere pregiudiziale l'esame del ricorso incidentale perch� il 
suo accoglimento -di carattere assorbente -renderebbe superflua 
l'indagine sulle censure prospettate con il ricorso principale dell'amministrazione 
finanziaria. 

Con unico motivo l'I.N.A. denuncia violazione e falsa applicazione 
degli articoli 1 e 3 della legge 31 ottobre 1963, n. 1458, in relazione 
all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e sostiene che dopo l'applicazione del 
condono concesso con la indicata legge n. 1458 del 1963, non possono 
sopravvivere pretese del fisco relative ad accessori del tributo, come gli 
interessi di mora, per cui la finanza -non avendo richiesto tali interessi 
all'atto del pagamento della sorte, pur condonando penalit� e soprattasse 
--non potrebbe come erroneamente ritenuto dalla Corte del merito 
pretendere gl'interessi di mora allora non riscossi. 

La censura non ha fondamento. 

Ha esattamente sottolineato la Corte del merito che per l'articolo 3 
della citata legge -la quale reca gi� nella intestazione ( � Condono in 
materia tributaria delle sanzioni non aventi natura penale�) la limitazione 
del suo ambito di applicabilit� -il pagamento degli interessi non 
� posto come condizione per la concessione del condono, per cui l'omessa 
percezione di essi sul contributo evaso non preclude il diritto della finanza, 
in epoca successiva all'applicazione del condono stesso, di pretendere 
ci� che � dovuto per legge. 

Questa conclusione non solo � conforme alla lettera della legge, 
ma si inquadra nel principio generale pi� volte affermato da questa 
Corte Suprema (da ultimo, sentenze 29 ottobre 1973; n. 2805 26 marzo 
1973, n. 831) secondo il quale il debito d'interessi moratori ed il correlativo 
credito hanno carattere autonomo rispetto all'obbligazione tributaria 
principale e, pur partecipando della natura di tale obbligazione, 
non sono a questa assimilabili n� collegati in modo indissolubile. 

Ne consegue che giustamente � stata ritenuta ammissibile l'azione 
della finanza, pur dopo la concessione del condono previsto dal citato 
art. 3, diretta alla riscossione degli interessi moratori sul tributo in contestazione, 
in base all'autonomo titolo che la legittimava a pretenderne 
il pagamento. 

Nella memoria, l'I.N.A. ha in subordine accennato al profilo di inco


stituzionalit� dell'art. 5 della legge n. 1458 del 1963, il quale dichiara �in 

nessun caso ripetibili � i tributi e i diritti corrisposti per beneficiare 

delle disposizioni di cui alla legge stessa, mentre non contiene alcun 

divieto, per la finanza, di riaprire il conto tributario, sia pure al fine 

della percezione degl'interessi moratori, ponendo cos� in evidenza una 

disparit� di trattamento tra finanza e contribuente. 

La questione non ha rilevanza nel caso concreto, nel quale non si 

verte nella materia disciplinata dall'art. 5 (ripetibilit� o meno dei tri



120 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

buti e degli altri diritti al cui pagamento � subordinato il condono previsto 
dall'art. 3), discutendosi invece del diverso problema della riscossione 
degli interessi moratori, dovuti per legge sul tributo evaso. 

Con il primo motivo del ricorso principale l'amministrazione delle 
.finanze denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2948 
�e.e., dell'art. 45 della legge 19 giugno 1940, n. 762, in relazione agli arti
�coli 132, n. 4, e 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., e censura la sentenza impugnata 
sotto questi profili: a) per avere erroneamente ritenuto la Corte 
del merito che gl'interessi accessori non siano soggetti, anche ai fini 
della prescrizione, alla disciplina del tributo cui si riferiscono, mentre 
avrebbe dovuto ritenere applicabile al caso la prescrizione decennale 
prevista dall'art. 45, primo comma, del r.d. 9 gennaio 1940, n. 2, conver


tito nella legge 19 giugno 1940, n. 762; b) per non avere, comunque, considerato 
la Corte stessa che -pur ritenendosi applicabile agl'interessi 
.moratori in materia tributaria la prescrizione quinquennale di cui all'art. 
2948 n. 4 -nella specie si era verificata interruzione del termine 
per effetto del pagamento, da parte del co.11tribuente, del tributo prin<:
ipale. 

La censura � inconsistente. 

Essa � fondata su un'interpretazione non consentita dalla lettera 
della norma invocata, in quanto il citato art. 45 della legge n. 762 del 
1940 prevede la durata decennale della prescrizione soltanto per le � imposte 
e soprattasse � stabilite dalla legge stessa, facendo altres� salvo 
.quanto disposto dal successivo art. 47, ultimo comma, per l'imposta 
riscossa dalle dogane. 

Gi� da tale formulazione della norma si evince che gli interessi moratori 
non sono compresi nell'ambito della disposizione suddetta; ma la 
�conclusione cui � pervenuta la Corte del merito sul punto controverso 
trova fondamento anche nel principio (Cass. 29 ttobre 1973, n. 2805 e 
14 luglio 1972, n. 2394) secondo cui -data un'autonomia del credito 
d'interessi moratori rispetto all'obbligazione tributaria principale -esso 
� soggetto alla prescrizione (quinquennale) stabilita dall'art. 2948 n. 4, 
e.e., ove difettino specifiche disposizioni per i debiti d'interessi derivanti 
<I.alle singole obbligazioni tributarie. 

Poich� tali specifiche disposizioni nella specie non esistono � evi
�dente che deve trovare applicazione la norma generale sopra richiamata. 

Quanto, poi, all'asserita efficacia interruttiva che il pagamento del 
tributo avrebbe comportato -quale tacito riconoscimento del debito relativamente 
agli interessi .moratori, � sufficiente ricordare che l'accertamento 
se una data manifestazione di volont� contenga il riconoscimento 
dell'altrui diritto, con conseguente effetto di interrompere il corso 
�della prescrizione, costituisce apprezzamento di fatto di competenza del 
giudice di merito, e quindi, non censurabile in sede di legittimit�, ove 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 121 

sia sorretto da adeguata motivazione, priva di errori logico-giuridici 
(Cass. 6 luglio 1972, n. 2241)? 

Nella fattispecie concreta non pu� dubitarsi della correttezza del 
ragionamento della Corte del merito, la quale ha osservato che il riconoscimento 
del debito di un capitale non pu� implicare nel medesimo 
tempo riconoscimento del debito anche degli interessi, ove non sia a 
.questi chiaramente riferito, a causa dell'autonomia che contraddistingue 
la sorte capitale e i relativi interessi. 

D'altronde, il riferito ragionamento � conforme alla giurisprudenza 
di questa Corte Suprema (sent. 23 aprile 1969, n. 1309) secondo cui il 
pagamento di una somma in acconto di un debito maggiore, non portando, 
di per se, neppure implicitamente riconoscimento dell'entit� del 
debito residuo, non pu� produrre l'interruzione della prescrizione. Ed � 
appena il caso di precisare che tale regola vale a fortiori in materia 
.di interessi, che hanno un titolo autonomo rispetto al debito principale. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 febbraio 1976, n. 621 -Pres. Stella� 
Richter -Est. Milano -P. M. Berri (conf.) -Soc. Automare c. Ministero 
delle Finanze (Avv. Stato Tomasicchio). 

lmposte e tasse in genere � Competenza e giurisdizione -Imposte indirette Ricorso 
al Tribunale per grave ed evidente errore di apprezzamento Censura 
sul merito della valutazione � Difetto di giurisdizione del 
tribunale. 

(d. I. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 29). 
Il ricorso al tribunale ex art. 29 terzo comma del d.l. 7 agosto 1936, 

n. 1639 per difetto di calcolo o errore di apprezzamento � una impugnazione 
di legittimit� della decisione della commissione provinciale di 
. valutazione che concerne non la valutazione in s� ma il procedimento 
logico-giuridico seguito dalla Commissione quale emerge esclusivamente 
.dalla decisione impugnata. Difetta quindi di giurisdizione il tribunale 
per conoscere una censura sostanziale di valutazione riferita all'accertamento 
dell'Ufficio fatto proprio dalla commissione, che non venga dedotta 
come vizio formale della decisione (1). 

(1) � pacifico che l'impugnazione ex art. 29 terzo comma del d.l. 7 ago:
sto 1936, n. 1639 concerne solo la legittimit� della decisione (Cass. 21 giugno 
1971, n. 1926, in questa Rassegna, 1971, I, 1184), non pu� riguardare la sostanza 
�della valutazione e non pu� quindi essere diretta contro l'atto di accertamento 
(12 febbraio 1973, n. 406, ivi, 1973, I, 424). Perspicua ed esattissima � quindi 
l'affermazione che la domanda rivolta contro la sostanza della valutazione, 
�esulando dall'impugnazione di legittimit� e risolvendosi in una questione di 
:semplice estimazione, urta contro il difetto di giurisdizione del tribunale. 



122 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Con il primo motivo del ricorso principale la societ� 

Automare denuncia la violazione degli artt. 145 della le~ge organica di 

registro del 1923 e 29 r.d. 7 agosto 1936, n. 1639 per aver la Corte del 

merito negato la giurisdizione del giudice ordinario, erroneamente rite


nendo che non fosse stato dedotto contro la decisione della Commissione 

centrale di valutazione uno dei vizi previsti dal terzo comma dell'art. 29 

del citato decreto n. 1639 del 1936, mentre essa ricorrente, con chiaro 

riferimento alla suddetta disposizione, aveva in realt� dedotto il macro


scopico errore di apprezzamento in cui era incorsa la Commissione pro


vinciale con il valutare come edificatorio un terreno, che, prima facie, 

risultava agricolo. 

Il motivo � infondato. 

Come ha ripetutamente affermato questa Corte Suprema il ricorso 
al giudice ordinario, previsto dall'art. 29, terzo comma, r.d. n. 1639 del 
1936, per grave ed evidente errore di apprezzamento, ovvero per mancanza 
od insufficienza di calcolo nella determinazione del valore del bene 
oggetto dell'imposizione, costituisce un'impugnazione di mera legittimit�, 

,il cui oggetto � limitato all'accertamento dei suddetti vizi. II giudice 
ordinario deve, pertanto, unicamente accertare se la motivazione addotta 
dalla Commissione provinciale di valutazione, a sostegno della sua definitiva 
decisione, sia una motivazione qualificata, e cio� basata su un 
calcolo di dati aritmetici, ovviamente desunti dai parametri fissati dall'art. 
16 dello stesso decreto, ed inoltre se il detto calcolo e la raccolta 
dei dati o termini relativi non siano affetti da gravi ed evidenti errori 
di apprezzamento. 

Il sindacato, quindi, del giudice ordinario si risolve in un controllo 
che investe, non la. valutazione in s�, ma il procedimento logico-giuridico 
seguito in tale operazione. Ora non vi � dubbio che nell'ambito di tale 
sindacato rientri anche la denuncia di un vizio che, sia con riferimento 
alla modalit� del calcolo, sia con riferimento al criterio di valutazione, 
venga ad appuntarsi sulla determinazione giuridica ed obiettiva della 
natura pertinente ad un fondo, se agricolo od edificatorio. 

Senonch� l'esame degli atti processuali -alla cui autonoma e diretta 
valutazione pu� procedersi, essendo in materia di giurisdizione questa 
Corte giudice anche del fatto -consente di escludere, come giustamente 
� stato escluso dai giudici di merito, che la richiesta di nullit� della 
decisione della Commissione provinciale sia stata fondata su quel particolare 
difetto di motivazione previsto dalla pi� volte citata disposizione_ 

Nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado la odierna ricorrente, 
infatti, genericamente affermando la erroneit� dell'adottata decisione, 
testualmente asser� che la valutazione: � andava fatta secondo i 
coefficienti di legge, trattandosi di terreni agricoli, che nel 1964 non 
avevano i valori accertati dall'Ufficio �, mentre nell'atto di appello ribad� 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tale concetto affermando: �abbiamo denunciato la valutazione degli uffici 
finanziari per un grave ed evidente errore di apprezzamento: terreni 
agricoli valutati come aree fabbricabili �. La denuncia di illegittimit� 
formulata dalla societ� Automare riguard�, quindi, unicamente il giudizio 
conclusivo espresso dalla Commissione provinciale sulla natura del bene 
soggetto a valutazione; e non gi� i presupposti oggettivi ed il procedi� 
mento logico-giuridico della pronunzia. 

Non si �, invece, dedotto che la motivazione della impugnata sentenza 
fosse priva di calcoli estimativi oppure che i detti calcoli fossero 
affetti da gnwe ed evidente errore di apprezzamento, ma si � lamentato 
unicamente che i terreni, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione 
provinciale, dovevano considerarsi agricoli e, quindi, valutati 
con il sistema tabellare. 

Ma, come dianzi detto, tale censura non pu� essere dedotta dinanzi 
al giudice ordinario di prima istanza ai sensi del terzo comma dell'art. 29 
del citato decreto in quanto, riguardando il merito della valutazione, non 
� riconducibile in uno dei vizi espressamente previsti dalla suddetta 
disposizione. -(Omissis). 


SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA 
DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1976, n. 8 -Pres. Rossi � 
Rel. Sandulli -P. M. Serio (parz. conf.) -Ministero delle poste e delle 
telecomunicazioni (avv. dello Stato Del Greco) c. Impresa Zamboni 
(avv. Pasquale e Ciccolo). ' 

Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve dell'appaltatore � Onere Carattere 
generale. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36 e segg., 89, primo ed ultimo comma, 64, secondo� 
comma, e 54, quinto comma). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Sospensione dei lavori -Facolt� 
discrezionale dell'amministrazione committente � Esercizio legittimo � 
Pregiudizio derivante all'appaltatore dalla sospensione dei lavori Qualificazione 
come danno contrattuale � Esclusione. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16; d. m. 28 maggio 1895, art. 35; d.P.R. 16 luglio 1962,. 
n. 1063, art. 30). � 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Sospensione dei lavori � Inclusione 
fra i cosiddetti fatti continuativi � Esclusione. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16; d. m. 28 maggio 1895, art. 35; d.P.R. 16 luglio 1962,. 
n. 1063, art. 30). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche -Sospensione dei lavori . Maggiori 
compensi chiesti dall'appaltatore � Onere della riserva alla firma del 
verbale di ripresa dei lavori. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 54, 64 e 89; d. m. 28 maggio 1895, art. 35; d.P.R. 
16 luglio 1962, n. 1063, art. 30). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserve dell'appaltatore � Conte�� 
stazione in. sede giudiziale � Eccezione di decadenza � Subordinate 
deduzioni di merito � Effetti � Rinunzia all'eccezione di decadenza Esclusione. 


(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54, 64 e 89; cod. civ., artt. 2964 e segg.). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Maggiori richieste d�ll'appaltatore �� 
Interessi � Decorrenza. 

(D. m. 28 maggio 1895, art. 40). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Variazioni ed addizioni � Facolt� 
dell'amministrazione committente � Limiti. 
(Legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 344; d. m. 28 maggio 1895, artt. 17 e 19). 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 12S 

Appalto � Appalto di opere pubbliche � Richieste dell'appaltatore relative 

a partite di lavoro non indicate nel registro di contabilit� � Omessa 

riserva nei relativi documenti contabili � Decadenza dell'appaltatore�. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54, 64 e 89). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Partite di lavoro non contabiliz�� 
zate e riconosciute in sede giudiziale � Indennizzo per rincaro dei 
costi � Ammissibilit�. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 21 e 22; d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501; cod. civ., 
art. 1223). 
Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserve dell'appaltatore . Somme: 
riconosciute in sede giudiziale � Rivalutazione � Inammissibilit�. 

(R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54, 64 e 89; cod. civ., art. 1277). 
A norma degli artt. 89, primo ed ultimo comma, 64, secondo comma,. 
e 54, quinto comma, del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, l'appaltatore di opere 
pubbliche, ove intenda contestare la contabilizzazione dei corrispettivi 
effettuati dall'Amministrazione committente, � tenuto ad iscrivere apposita 
riserva nei documenti contabili (o nel registro di contabilit�) ed a 
produrre ed esporre nel registro di contabilit�, nei modi e nei terminf 
indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare la sua pretesa, nel 
titolo e nella somma, nonch� a confermare la riserva all'atto della sottoscrizione 
del conto finale (1). 

I maggiori oneri conseguenti alla sospensione dei lavori, disposta 
dall'Amministrazione committente nell'esercizio di un potere discrezionale,. 
non sono configurabili (nella normalit� dei casi) come danni contrattuali 
da colpa grave della stazione appaltante (2). 

Deve escludersi che l'ipotesi della sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione 
committente rientri nell'ambito della categoria dogmatica 
dei cosiddetti fatti a carattere continuativo (3). 

La riserva dell'appaltatore di opere pubbliche per i maggiori oneri 
che si assumano subiti in conseguenza della sospensione dei lavori di� 
sposta dall'Amministrazione committente deve essere iscritta nel verbale� 
di ripresa dei lavori e quindi riprodotta ed .esplicata nel registro di con� 
tabilit� in occasione della presentazione e sottoscrizione immediatamente� 
successiva (4). 

(1) Principio consolidato. Da ultimo, cfr.: Cass., 18 luglio 1975, n. 2841, in 
questa Rassegna, 1975, I, 911; amplius, in argomento, cfr. Rel. Avv. Stato, 19711975, 
voi. Ili, n. 385. 
(2-4) In tema di fatti cosiddetti continuativi cfr., da ultimo: Cass., 17 ottobre 
1975, n. 3374, in questa Rassegna, 1975, I, ~12, con nota di commento. 

Sulla facolt� dell'Amministrazione di disporre la sospensione dei lavori e 
sull'onere della tempestiva riserva per i maggiori oneri che si assumano subiti 
in conseguenza della sospensione, cfr.: Rel. Avv. Stato, 1971-1975, voi. III, rispettivamente 
n. 379 e n. 385. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Quando in sede giudiziale sia preliminarmente eccepita la improponibilit� 
delle domande dell'appaltatore per la tardivit� delle riserve, non 
pu� dalle subordinate deduzioni svolte quanto al merito delle richieste 
attrici e dalla indicazione delle minori somme che si sarebbero potute 
ex adverso pretendere desumersi una implicita rinunzia all'eccezione di 
decadenza (5). 

In tema di appalto di opere pubbliche, gli interessi legali sulle somme 
riconosciute all'appaltatore in sede giudiziaria sono dovuti con decorrenza 
dalla data della domanda giudiziale, essendo il particolare termine 
di decorrenza previsto dall'art. 40 del capitolato generale approvato con. 

d.m. 28 maggio 1895 applicabile nel solo caso di controversie definite in 
via amministrativa o arbitrale (6). 
Nell'appalto di opere pubbliche l'Amministrazione committente ha la 
facolt� di chiedere che l'appaltatore esegua tutte le variazioni e le addizioni 
ritenute opportune per la esecuzione dell'opera valutando le une 
e le altre ai prezzi unitari del contratto, con il solo limite che le stesse 
non mutino essenzialmente la natura delle opere comprese nella convenzioni! 
contrattuale e non superino un quinto dell'importo dell'appalto 

(5) Principio di ovvia esattezza, per la cui assorbente rilevanza la Corte 
di cassazione ha escluso la necessit� di valutare il secondo profilo di contestazione 
dedotto nel motivo di ricorso, sulla inammissibilit� stessa di una 
rinuncia alla decadenza i.n cui sia incorso l'appaltatore. Cfr.: MARZANO, Sulla 
rinuncia a valersi della decadenza in tema di pubblici appalti, in questa Rassegna, 
1973, I, 1191. Da ultimo, per l'implicita ammissibilit� di tale rinuncia 
(ma anche in questo caso escludendosene i presupposti di fatto), cfr.: Cass., 
17 ottobre 1975, n. 3374, in questa Rassegna, 1975, I, 912. 
(6) Con tale principio � stato negato che gli interessi possano farsi decorrere, 
come avevano invece ritenuto i giudici di appello, dalla data di formulazione 
delle riserve, escludendosi espressamente che alla riserva possa attribuirsi 
l'effetto di una costituzione in mora. 
Non pu� condividersi, peraltro, l'affermazione secondo cui gli interessi sulle 
somme riconosciute in sede giudiziaria decorrerebbero dalla data della domanda 
giudiziale, per essere l'applicabilit� dell'art. 40, ultimo comma, del capitolato 
generale di appalto del 1895 limitata alle sole controversie definite in sede 
� amministrativa o arbitrale �; ed � stato invero gi� altre volte espressamente 
precisato che il termine stabilito dalla indicata norma esclude � ogni altro 
dies a quo, incluso quello che coincide con la proposizione della domanda 
giudiziale� (Cass., 21 giugno 1974, n. 1830, in questa Rassegna, 1974, I, 1021; 
contra, nel senso della sentenza in rassegna: Cass., 28 gennaio 1974, n. 218; in 
argomento v. pure: Cass., sez. un., 23 novembre 1974, n. 3800). 

Anche a prescindere dalle argomentazioni in contrario desumibili dalla 
stessa originaria natura dell'arbitrato obbligatorio previsto dal capitolato generale 
di appalto del 1895 (ed in particolare dalla ravvisata necessit� di un provvedimento 
amministrativo anche per la � esecuzione � della pronuncia arbitrale), 
va infatti rilevato che il limitato riferimento della norma ad una soluzione 
delle controversie � in sede amministrativa o arbitrale � 'deve essere inteso 
e giustificato, senza possibilit� di desumersene ulteriori e pregiudizievoli conseguenze, 
in relazione alla espressa precisazione, contenuta al secondo comma 

I 


I 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 127 

(nella specie il superamento di tale limite � stato escluso, sotto il duplice 
profilo in argomento rilevante, nella esecuzione di edificio con due piani 
in pi� di quelli inizialmente previsti) (7). 

Poich� sede delle riserve dell'appaltatore di opere pubbliche sono 
tutti i documenti contabili, e non il solo registro di contabilit�, e nessuna 
rilevanza giuridica pu� attribuirsi alla mancata riproduzione nel 
registro di contabilit� di voci di partite di lavoro gi� indicate nei documenti 
contabili ad esse relativi, � inammissibile per decadenza la riserva 
formulata in sede di conto finale relativamente a partite di lavoro non 
indicate nel registro di contabilit�, quando nessuna riserva sia stata 
formulata dall'appaltatore in merito ai documenti contabili relativi a 
tali partite di lavoro (8). 

E ammissibile la richiesta di un indennizzo per il rincaro dei costi 
relativamente alle partite di lavoro non contabilizzate, e riconosciute 
soltanto in sede giudiziale, trattandosi di maggiorazione non considerata 
nel procedimento di revisione dei prezzi (9). 

del successivo art. 49, secondo cui � la sentenza arbitrale non sar� soggetta 
n� ad appello, n� a cassazione�; e la validit� di tale considerazione � confermata, 
evidentemente, dall'art. 36, ultimo comma, del vigente capitolato generale 
di appalto, nel quale la decorrenza degli interessi risulta espressamente 
stabilita, con formula sostanzialmente interpretativa (o comunque utile ad 
intendere l'effettiva portata della previgente disposizione), con riferimento a controversie 
� risolte � in sede amministrativa � o contenziosa �. 

Sugli effetti del ritardo nei pagamenti dovuti all'appaltatore cfr., per le 
varie questioni, Rel. Avv. Stato, 1971-1975, voi. III, n. 381. 

(7) Affermazione di principio derivante da specifiche disposizioni, ma che 
si � ritenuto di dover tuttavia massimare in ragione della particolare situazione 
di fatto alla quale � stata nella specie applicata, quale risulta segnalata 
nel testo stesso della massima. 
Sulla facolt� dell'amministrazione committente di ordinare variazioni e 
addizioni ai lavori appaltati, e sulle varie questioni in argomento discusse, 
cfr.: Rel. Avv. Stato, 1971-1975, voi. III, n. 377. 

(8) Ulteriore conferma della necessit� di aver riguardo, nel valutare la 
tempestivit� delle riserve dell'appaltatore, a tutti i documenti contabili, e non 
al solo registro di contabilit�, e di escludere comunque l'ammissibilit� di 
riserve formulate solo in sede di conto finale. 
In particolare, sull'onere dell'appaltatore di formulare tempestiva riserva 
anche relativamente a partite di lavoro non contabilizzate, cfr.: Cass., 5 maggio 
1972, n. 1355, in questa Rassegna, 1972, I, 508; 29 dicembre 1969, n. 4046, 
Giust. civ., 1970, I, 1246. 

(9) L'affermazione di principio, della quale non constano precedenti, appare 
prima facie convincente, per essere ovvio che nella revisione dei prezzi non si 
� tenuto conto delle partite di lavoro non contabilizzate, e per le quali il 
riconoscimento del compenso dovuto sia solo di seguito intervenuto in sede 
giudiziale. 
In effetti per�, e proprio per essere l'importo da calcolare per il rincaro 
dei costi corrispondente a quello che sarebbe stato concesso in sede di revisione 
dei prezzi se le partite di lavoro fossero state regolarmente contabiliz


10 



128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Le somme riconosciute all'appaltatore ad integrazione dei compensi: 
contrattuali e per riaccreditamento di somme indebitamente trattenute� 
non sono suscettibili di rivalutazione monetaria (10). 
(Omissis). -Il ricorso principale e quello incidentale, promossi' 
contro la medesima sentenza, vanno riuniti, a norma dell'art. 335 cod. 
proc. civ. 
Per ragioni di priorit� logica va esaminato in precedenza il primo 
motivo del ricorso incidentale. 
Con esso, il ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione 
degli artt. 16, 89 e 5.4 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� 
e la col~audazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni 
del Ministero dei lavori pubblici) approvato con r.d. 25 maggio 1895,. 
n. 350 e dell'art. 35 del capitolato generale d'appalto per le opere di 
competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 
1895, nonch� il travisamento dei fatti e la contraddittoriet� della 
motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. -sostiene 
che: a) la Corte del merito -dopo aver ritenuto che le tre sospensioni 
dei lavori disposte dall'Amministrazione appaltante costituissero fatti 
continuativi -non avrebbe potuto dichiarare l'appaltatore decaduto� 
dalle pretese relative ai pregiudizi conseguenti alla prima sospensione 
dei lavori disposta dal Ministero, per la tardivit� delle riserve formulate 
non nel verbale di ripresa dei lavori, ma alla chiusura del conto finale; 
zate (e quindi, non discutendosi di risarcimento di danni ma solo di lavori 
da pagare, anche con la detrazione della percentuale d'alea), la decisione � 
invece a tale proposito censurabile, sia perch� consente al giudice ordinario. 
di procedere alla revisione dei prezzi (per la quale invece difetta di giurisdizione), 
sia perch� la maggiorazione a tale titolo calcolata viene ad essere con 
tale criterio riconosciuta indipendentemente dalle determinazioni riservate in 
argomento alla valutazione discrezionale dell'amministrazione committente, senza 
che risulti se la revisione dei prezzi sia stata o no domandata e se sia stata 
o no concessa, e senza considerazione della incidenza che i maggiori compensi 
contrattuali riconosciuti in sede giudiziale possono determinare nel calcolo 
dell'importo revisionale complessivo; ed � certo pi� valida soluzione quella 
di ammettere, in coerenza con il sistema, e senza pregiudizio dei principi applicabili 
nella materia, che l'appaltatore al quale siano stati riconosciuti in sede 
contenziosa maggiori compensi contrattuali (e che abbia gi� chiesto ed ottenuto, 
s'intende, la revisione dei prezzi) possa chiedere un supplemento dell'importo 
revisionale, secondo calcolo complessivo nel quale sia tenuto conto. 
del maggior corrispettivo in suo favore determinato dal giudice. 
(10) Nel senso che l'appaltatore non possa pretendere il risarcimento del 
danno da svalutazione monetaria per il ritardo nella corresponsione delle somme 
dovutegli cfr.: Cass., 26 ottobre 1970, n. 2168. La possibilit� di una rivalutazione 
128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Le somme riconosciute all'appaltatore ad integrazione dei compensi: 
contrattuali e per riaccreditamento di somme indebitamente trattenute� 
non sono suscettibili di rivalutazione monetaria (10). 
(Omissis). -Il ricorso principale e quello incidentale, promossi' 
contro la medesima sentenza, vanno riuniti, a norma dell'art. 335 cod. 
proc. civ. 
Per ragioni di priorit� logica va esaminato in precedenza il primo 
motivo del ricorso incidentale. 
Con esso, il ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione 
degli artt. 16, 89 e 5.4 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� 
e la col~audazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni 
del Ministero dei lavori pubblici) approvato con r.d. 25 maggio 1895,. 
n. 350 e dell'art. 35 del capitolato generale d'appalto per le opere di 
competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 
1895, nonch� il travisamento dei fatti e la contraddittoriet� della 
motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. -sostiene 
che: a) la Corte del merito -dopo aver ritenuto che le tre sospensioni 
dei lavori disposte dall'Amministrazione appaltante costituissero fatti 
continuativi -non avrebbe potuto dichiarare l'appaltatore decaduto� 
dalle pretese relative ai pregiudizi conseguenti alla prima sospensione 
dei lavori disposta dal Ministero, per la tardivit� delle riserve formulate 
non nel verbale di ripresa dei lavori, ma alla chiusura del conto finale; 
zate (e quindi, non discutendosi di risarcimento di danni ma solo di lavori 
da pagare, anche con la detrazione della percentuale d'alea), la decisione � 
invece a tale proposito censurabile, sia perch� consente al giudice ordinario. 
di procedere alla revisione dei prezzi (per la quale invece difetta di giurisdizione), 
sia perch� la maggiorazione a tale titolo calcolata viene ad essere con 
tale criterio riconosciuta indipendentemente dalle determinazioni riservate in 
argomento alla valutazione discrezionale dell'amministrazione committente, senza 
che risulti se la revisione dei prezzi sia stata o no domandata e se sia stata 
o no concessa, e senza considerazione della incidenza che i maggiori compensi 
contrattuali riconosciuti in sede giudiziale possono determinare nel calcolo 
dell'importo revisionale complessivo; ed � certo pi� valida soluzione quella 
di ammettere, in coerenza con il sistema, e senza pregiudizio dei principi applicabili 
nella materia, che l'appaltatore al quale siano stati riconosciuti in sede 
contenziosa maggiori compensi contrattuali (e che abbia gi� chiesto ed ottenuto, 
s'intende, la revisione dei prezzi) possa chiedere un supplemento dell'importo 
revisionale, secondo calcolo complessivo nel quale sia tenuto conto. 
del maggior corrispettivo in suo favore determinato dal giudice. 
(10) Nel senso che l'appaltatore non possa pretendere il risarcimento del 
danno da svalutazione monetaria per il ritardo nella corresponsione delle somme 
dovutegli cfr.: Cass., 26 ottobre 1970, n. 2168. La possibilit� di una rivalutazione 
� stata invece talora ammessa, ma per l'ipotesi di somme riconosciute per 

danni determinati da comportamento colposo dell'amministrazione committente, 
in sede arbitrale. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

b) le sospensioni dei lavori, disposte dall'Amministrazione committente, 
fossero illegittime, in quanto determinate non da ragioni tecniche, ma 
da esigenze particolari di questa. 

La censura, articolata nei riassunti profili, � infondata. 

Secondo la tesi del ricorrente, nell'ipotesi di sospensione dei lavori 
disposta dall'Amministrazione appaltante -costituendo questa un fatto 
�a carattere continuativo�, e cio� in via di svolgimento -l'onere della 
formulazione (ed esplicazione) della riserva sorgerebbe soltanto al momento 
in cui si renda manifesta la rilevanza causale del fatto generatore 
della situazione onerosa e si disponga di ogni elemento necessario per 
indicare l'i,mporto del compenso richiesto, e cio� al momento del compimento 
dell'opera e della chiusura della contabilit�. 

Invece, secondo l'opinione dei giudici del merito, nel sistema normativo 
vigente in materia di pubblici appalti, dalla inosservanza dell'onere 
della formulazione immediata della riserva (contenente la richiesta 
dell'impresa appaltatrice intesa ad ottenere un maggior compenso) 
nel verbale della ripresa dei lavori e della riproduzione ed esplicazione 
di essa nel registro di contabilit� presentato per la sottoscrizione ai fini 
dell'emissione dello stato di avanzamento immediatamente successivo conseguirebbe 
l'effetto preclusivo della richiesta dell'impresa appaltatrice, 
riguardante gli indennizzi per le maggiori spese sostenute in conseguenza 
della sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione. 

E tale orientamento -ad avviso di questa Corte -� esatto. 

Il problema che si pone � se, in caso di sospensione dei lavori disposta 
dall'Amministrazione appaltante, la riserva (generica) relativa al 
maggior compenso spettante per le ulteriori spese sostenute in conseguenza 
del provvedimento di sospensione debba (o meno) essere formulata 
(a pena di decadenza) nel verbale di ripresa dei lavori (e riprodotta 
ed esplicata nel registro di contabilit� al momento della presentazione 
e sottoscrizione di questa al fine dell'emissione dello stato di avanzamento 
immediatamente successivo). 

Intimamente collegato ad esso � il quesito se la sospensione dei 

lavori disposta dall'Amministrazione integri (o meno) un fatto cosiddetto 

a carattere continuativo. 

Ai fini della disamina delle questioni delineate, occorre muovere dai 

dati normativi (di diritto obiettivo), posti a disciplina della materia dei 

pubblici appalti, nonch� dal presupposto giuridico che i maggiori oneri, 

sostenuti dall'appaltante in conseguenza della disposta sospensione dei 

lavori (normalmente) non siano inquadrabili nello schema concettuale 

dei danni contrattuali, derivanti da un fatto imputabile (per la sua illi


ceit�) alla stazione appaltante a titolo di colpa gr�ive. 

� noto che, in tema di pubblici appalti, il compenso complessivo, 

dovuto all'appaltatore, viene determinato attraverso un procedimento di 


' 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

accertamento e di registrazione, nei documenti contabili, di tutti i fatti 
generatori di spese per !;esecuzione dell'opera. 

Ed ai fini di tale determinazione non pu� non riconoscersi particolare 
rilevanza giuridica alle norme specifiche sulla contabilit� dei lavori 
(compiuta a cura esclusiva dell'amministrazione: artt. 36 e segg. del 

r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che approva il regolamento sulla direzione, 
contabilizzazione e collaudazione dei lavori dello Stato), nonch� alle disposizioni 
che stabiliscono le modalit� per la proposizione di eventuali 
pretese dell'appaltatore nei confronti dell'amministrazione, riferentisi ai 
fatti registrati e risolventisi, comunque, in richieste di ulteriori compensi 
o indennizzi (artt. 89, primo ed ultimo comma; 64, secondo comma; 54, 
quinto comma, del citato regolamento n. 350 del 1895. 
In base a tali norme l'appaltatore, ove intenda contestare la contabilizzazione 
dei corrispettivi effettuati dall'Amministrazione, � tenuto ad 
iscrivere apposita riserva nei documenti contabili (o nel registro di contabilit�) 
ed a produrre ed esporre nel registro di contabilit� nei modi e 
nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti a individuare la sua 
pretesa, nel titolo e nella somma, nonch� a confermare la riserva all'atto 
della sottoscrizione del conto finale. 

Invero, l'attuazione dell'opera pubblica -dalla gara .di appalto e 
consegna dei lavori alla esecuzione e collaudo di essi -si articola in 
fasi successive attraverso un procedimento formale e vincolato, che si 
svolge in una serie di registrazioni e certificazioni alla cui formazione 
l'appaltatore � chiamato a partecipare; e, perci�, gli � imposto l'onere 
di contestare immediatamente le circostanze riguardanti le sue prestazioni 
e suscettibili di produrre un incremento delle spese originariamente 
previste. 

Dalla dottrina pi� autorevole e dalla giurisprudenza prevalente (cfr., 
da ultimo, Cass., Sez. Un., sent. 20 luglio 1972, n. 1960) � costantemente 
riconosciuto il carattere generale della prescrizione relativa alla formulazione 
(e successiva quantificazione) nei documenti contabili (e nel registro 
di contabilit�) di tutte le richieste incidenti sul compenso spettante 
all'appaltatore. 

Le riserve e le eccezioni formulabili dall'appaltatore trovano -come 
si � visto -la loro disciplina negli artt. 89, 64 e 54 del regolamento. 

L'art. 89 dispone che l'appaltatore, all'atto della firma, iscrive nei 
documenti contabili le riserve e le domande che ritiene di proprio interesse 
(primo comma) e che queste non hanno efficacia, e sono considerate 
non avvenute, ove non siano ripetute nel registro di contabilit�, nei 
termini e modi indicati negli artt. 53 e 54 (quarto comma). 

L'art. 64, secondo comma, vieta, poi, all'appaltatore di iscrivere nel 
conto finale domande per oggetto e per importo diverse da quelle for� 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 131 

mulate (o esplicate) nel registro di contabilit� durante lo svolgimento 
dei lavori. 

L'art. 54, quinto comma, stabilisce, infine, che l'appaltatore, il quale 
non abbia esplicato le sue riserve nel registro di contabilit�, decade dal 
diritto di far valere (in qualunque tempo e modo) riserve e domande 
(formulate nei documenti contabili) riferentisi ai fatti registrati. 

La ragione fondamentale giustificatrice di tali preclusioni (esplicite 
ed implicite nel sistema) va ritrovata -secondo la dottrina e la giurispmdenza 
-nella necessit� -nel quadro generale delle esigenze del 
bilancio pubblico -della continua evidenza delle spese dell'opera, in 
relazione sia alla corretta utilizzazione ed eventuale tempestiva integrazione 
(art. 37, lett. e, del regolamento) dei mezzi finanziari all'uopo predisposti, 
sia alle altre eventuali determinazioni dell'Amministrazione di 
fronte ad un notevole superamento delle previsioni originarie di spesa, 
rendente l'onere della costruzione eccessivamente rilevante rispetto alla 
utilit� conseguibile dal corpo sociale. 

Delineato cos� il quadro normativo, alla luce delle cui statuizioni 
legislative vanno risolti i problemi, oggetto del presente dibattito giudiziale, 
va precisato il presupposto giuridico della non configurabilit� (nella 
normalit� dei casi) dei maggiori oneri conseguenti alla sospensione dei 
lavori, disposta dall'Amministrazione, come danni contrattuali da colpa. 
grave della stazione appaltante. 

Invero, la pubblica Amministrazione, nel disporre la sospensione dei 
lavori, esercita, di regola (nei limiti della discrezionalit� assegnatale), 
legittimamente una potest� attribuitale ex lege. 

Infatti, l'istituto della sospensione dei lavori � previsto come un 
potere (discrezionale) accordato all'Amministrazione, in caso di concorso 
di speciali circostanze, dagli artt. 16 del regolamento n. 350 del 1895 e 
35 del Capitolato generale per le spese di competenza del Ministero 
dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 1895. 

(Anche il nuovo Capitolato generale di cui al d.P.R. 16 luglio 1962, 

n. 1063 ribadisce la legittimit� della sospensione dei lavori, sia che questa 
venga originata da ragioni obiettive -art. 30, primo comma, esemplificate 
in cause di forza maggiore, condizioni climatologiche ed altre circostanze 
speciali impedenti in via temporanea la prosecuzione dei lavori 
a regola d'arte -sia che venga determinata da motivi d'interesse pubblico, 
discrezionalmente apprezzabili dalla pubblica Amministrazione). 
E, sulla base di tali disposizioni normative, i pregiudizi conseguenti 
all'esercizio (legittimo) di siffatto potere (discrezionale) non possono (normalmente) 
inquadrarsi nello schema paradigmatico dei danni contrattuali. 

Ci� posto va esaminato il quesito preliminare se la sospensione dei 
lavori disposta dall'Amministrazione rientri (o meno) fra i cosiddetti 
fatti continuativi, per i quali -secondo la giurisprudenza di questa 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Corte (cfr. sent. 25 luglio 1973, n. 2168; sent. 20 marzo 1972, n. 830; sent. 
30 giugno 1969, n. 2393) -l'esigenza di un accertamento sicuro e completo 
si ritiene soddisfatta con l'iscrizione delle riserve al tempo della 
cessazione della continuazione, sorgendo l'onere della formulazione delle 
riserve, in ordine ad essi, soltanto nel momento in cui si renda manifesta 
la rilevanza causale del fatto generatore della situazione onerosa 
e si disponga di ogni elemento necessario per l'indicazione dell'importo 
del compenso richiesto. 

Invero, l'incidenza di fatti cosiddetti continuativi sul prezzo dell'opera, 
ai fini delle attivit� e degli interventi della pubblica Amministrazione 
(reperimento di ulteriori fondi, ecc.) viene ad assumere rilevanza soltanto 
a causa della loro ripetizione, mentre i singoli episodi costituenti la serie 
di essi importerebbero, ai detti fini, oneri di entit� meramente trascurabile. 
E -poich�, in conseguenza di ci�, n� l'appaltatore sarebbe in grado, 
prima della cessazione della continuazione, d'indicare, con la precisione 
richiesta dai regolamenti e dai capitolati, i compensi ai quali ritiene di 
avere diritto, n� l'ufficio sarebbe in grado di emettere gli opportuni provvedimenti, 
presupponendo anche questi una conoscenza precisa e, in 
cifre, delle somme residuali ancora dovute -la riserva iscritta riguardo 
ai singoli episodi sarebbe sempre inutile e, per certi aspetti, impossibile 
(cfr., in tal senso: Cass., sent. 20 marzo 1972, n. 830). 

Cos� precisate le connotazioni formali e sostanziali dei fatti continuativi, 
pu� senz'altro escludersi che l'ipotesi di sospensione dei lavori 
disposta dall'Amministrazione rientri nell'ambito della categoria dogmatica 
dei cosiddetti fatti a carattere continuativo. 

Invero, a far considerare non sussumibile in tale categoria l'ipotesi 
della sospensione dei lavori � sufficiente osservare come la serie delle 
partite di oneri, derivate a carico dell'impresa appaltatrice in conse~ 
guenza del periodo di forzata sospensione, imposta dall'Amministrazione, 
venga a cessare al momento della ripresa dei lavori. 

E non v'� dubbio che ci� basta ad escludere che, in ordine ai fatti 
verificatisi in detta ipotesi, possa trovare giustificazione una deroga cos� 
lata al principio della decadenza per mancata riserva, da permettere, 
sino al compimento dell'opera, la denuncia dei fatti, che, ancorch� non 
istantanei, ma protratti e ripetuti, siano ormai cessati -anche se' tali 
da ripercuotersi (di riflesso) sul costo globale complessivo dell'opera. 

E -poich�, al momento della ripresa dei lavori, l'impresa appaltatrice, 
adottando il parametro (ritenuto adeguato dalla giurisprudenza) 
della media diligenza e della buona fede, � in grado di percepire e denunciare 
una situazione ormai esaurita (generatrice di un pregiudizio ontologicamente 
apprezzabile e gi� realizzatosi), nonch� di definire contemporaneamente 
(o a breve scadenza successiva) in una somma determinata 
il pregiudizio medesimo -deve escludersi che, riguardo all'ipotesi 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

-considerata della sospensione dei lavori, possa derogarsi in tal senso 
alle forme ed ai termini previsti ex lege per la proposizione e l'esplicazione 
della riserva, non potendo la dispensa dall'onere della tempestiva 
riserva trascendere dalla ragione giustificativa di essa. 

E -poich�, nel caso di specie, l'impresa appaltatrice non si � data 
carico di dimostrare che, per la determinazione della sospensione o per 
la necessaria protrazione di essa, ricorresse l'ipotesi di un comportamento 
dell'Amministrazione appaltante tale da superare i limiti della 
discrezionalit� concessale in materia -deve ritenersi che le pretese 
dell'appaltatore ai maggiori compensi, spettanti per le ulteriori spese 
conseguenti al provvedimento di sospensione dei lavori, non possano 
sfuggire all'onere della tempestiva riserva. 

Circa, poi, la identificazione del limite temporale per la formulazione 
delle riserve, deve affermarsi che, in caso di cessazione del periodo di 
sospensione dei lavori, esse debbano essere formulate nel verbale di 
ripresa dei lavori (costituente sede adatta per la formulazione di riserve 
circa oneri e pregiudizi derivati dalla cessata sospensione), e che quelle 
che siano state espresse in tale sede debbano essere ex necessitate riprodotte 
ed esplicate nel registro di contabilit�, presentato per la sottoscrizione 
e l'approvazione dello stato di avanzamento immediatamente successivo. 


In tema di sospensione dei lavori disposta dalla pubblica Amministrazione, 
la riserva generica va, quindi, formulata nel verbale di ripresa 
dei lavori, e quella, in tale sede espressa, va riprodotta ed esplicata, a 
pena di decadenza, nel registro di contabilit�, presentato e sottoscritto 
ai fini della emissione ed approvazione dello stato di avanzamento 
successivo. 

Per modo che, pu� concludersi che, quando l'impresa appaltatrice 
non abbia formulato la riserva nel verbale di ripresa dei lavori, interrotti 
a seguito �li provvedimento di sospensione, disposto dall'Amministrazione 
(ovvero non abbia esplicato la stessa nel registro di contabilit� 
alla presentazione e sottoscrizione immediatamente successiva di esso, 
al fine dell'emissione dello stato di avanzamento), le sue pretese, correlate 
al pregiudizio derivatole dalla sospensione dei lavori, debbano considerarsi 
precluse per l'intervenuta decadenza in conseguenza della intempestivit� 
delle riserve. 

Il primo mezzo del ricorso incidentale �, quindi, da disattendere. 

Va quindi, esaminato il primo motivo del ricorso principale. 

Con esso, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 2966, 
2968 e 2969 cod. civ., in relazione agli artt. 23, 35, 37, 53, 54, 64 e 89 del 
Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la collaudazione dei lavori 
dello Stato rientranti nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici), 
approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e 30 e 41 del Capitolato generale 


RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, 
approvato con d.m. 28 maggio 1895, nonch� il difetto e l'illogicit� della 
motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 
cod. proc. civ.) -si duole che la Corte del merito: a) abbia desunto 
-dalla dichiarazione dell'Amministrazione, contenuta nella comparsa di 
costituzione in giudizio, che all'impresa appaltatrice � si sarebbe potuto 
corrispondere il compenso di L. 1.914.490 limitatamente alla (prima) sospensione 
dei lavori, disposta per l'esecuzione delle varianti� -la preclusione 
della verificatasi (ed eccepita) decadenza per rinunzia (implicita) 
ad essa e per (presunto) riconoscimento del debito; b) abbia ritenuto 
la validit� di una (implicita) rinunzia all'eccezione di decadenza e 
di un (presunto) riconoscimento del debito, in quanto la rinuncia (espressa 
e implicita) sarebbe inammissibile in materia di pubblici appalti ed il 
riconoscimento del debito dovrebbe essere anteriore al verificarsi della 
decadenza. 

La censura, articolata nei riassunti profili, � meritevole di accoglimento. 


La pubblica Amministrazione, nel costituirsi in giudizio con la comparsa 
di risposta, prima di contestare la fondatezza delle pretese vantate 
dall'appaltatore, ha eccepito, in via principale, l'improponibilit� delle 
domande, per l'intempestivit� delle riserve � la decadenza dal diritto di 
un maggior compenso per i pregiudizi economici conseguenti alla sospensione 
dei lavori disposta dall'Amministrazione, e, soltanto in via subordinata, 
ha prospettato la tesi che le richieste attrici non avrebbero potuto 
superare, in ogni caso, la somma di lire 1.914.490. La Corte del merito, 
nell'interpretare le deduzioni difensive profilate dall'Amministrazione, � 
pervenuta alla conclusione che questa -dichiarandosi disposta a corrispondere 
all'impresa appaltatrice la somma di L. 1.914.490 -abbia implicitamente 
rinunciato all'eccezione di decadenza, delineata in via principale. 
E tale interpretazione, avente a supporto una motivazione illogica 
e viziata da errore giuridico -non potendo una deduzione difensiva 
addotta in via subordinata, svolgere alcuna incidenza effettuale rispetto 
alla eccezione di decadenza dal diritto prospettata in via principale non 
pu� essere considerata esatta da questa Corte. 

Per modo che, deve concludersi che la Corte del merito -ove avesse 
correttamente interpretato le deduzioni difensive dell'Amministrazione, 
assegnando ad esse l'esatta portata giuridica -avrebbe dovuto dichia� 
rare l'appaltatore decaduto -in conseguenza della intempestivit� delle 
riserve (non proposte nei termini e nei modi innanzi indicati) -dal 
diritto di ottenere un maggior compenso per gli oneri ed i pregiudizi, 
conseguenti alla prima sospensione dei lavori, disposta dall'Amministra-� 
zione. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

Il primo profilo di censura �, quindi, da accogliere. E l'accoglimento 
di esso comporta l'assorbimento del secondo, con il quale si denuncia 
l'invalidit� della rinuncia implicita alla eccezione di decadenza e de} 
presunto riconoscimento del debito. 

Con il secondo motivo del ricorso principale, il ricorrente -denunciata 
la violazione degli artt. 40 del Capitolato generale d'appalto delle 
opere pubbliche, approvato con d.m. 28 maggio 1895; 53 e 54 del Regolamento 
sulla contabilit� e collaudazione dei lavori dello Stato, approvato 
con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in relazione all'art. 1219 cod. civ. -si 
duole che la Corte del merito -ritenendo che le riserve formulate dall'appaltatore 
valessero a costituire in mora l'Amministrazione -abbia 
stabilito la decorrenza degli interessi legali, sulle somme liquidate in. 
favore dell'impresa appaltatrice, dalla data di chiusura del registro di 
contabilit� (riguardo alla somma di L. 7.103.615) e da quella di sottoscrizione 
del verbale di collaudo (riguardo alla somma di L. 298.585), e non 
dalla data prevista dall'art. 40 del Capitolato generale d'appalto delle� 
opere pubbliche. 

La censura merita accoglimento, per ragioni diverse da quelle delineate 
dal ricorrente. 

Il problema che si agita � se gli interessi legali, sulle somme dovute 
all'appaltatore a titolo di maggior compenso, debbano decorrere dalla 
data delle riserve o da quella stabilita dall'art. 40 del Capitolato generale 
delle opere pubbliche, approvato con d.m. 28 maggio 1895. 

Per la soluzione di esso occorre porsi anzitutto il quesito (prelimi


nare) se le riserve valgano (o meno) a costituire in mora l'Amministra


zione appaltante. 

� noto che le riserve, formulate dall'appaltatore nei documenti con


tabili, sono intese ad evitare che il credito dell'impresa appaltatrice si 

consolidi nelle somme contabilizzate dall'Amministrazione in suo favore. 

E poich� esse integrano una forma di contestazione che investe 

l'accertamento e la liquidazione del corrispettivo complessivamente con


siderato, mirando ad affermare la necessit� della sua integrazione con 

ulteriori somme, non pu� assegnarsi alla riserva (il cui onere � opera


tivo in ordine alle pretese connesse al modo di rilevamento e di regi


strazione dei lavori) l'effetto della costituzione in mora dell'Amministra


zione (possibile, mediante l'assegnazione di un termine, soltanto quando, 

approvato il collaudo, l'Amministrazione ritardi la propria decisione sulle 

riserve). 

Esclusa, quindi, la possibilit� di una decorrenza degli interessi legali 

dalla data delle riserve, va esaminato se questi debbano decorrere, nelle 

controversie definite in sede giudiziaria, dalla data prevista dall'art. 4() 

del Capitolato generale d'appalto. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Di recente, la Corte Suprema (sent. 28 gennaio 1974, n. 218), nel pro


cedere all'interpretazione della disposizione normativa contenuta nell'ul


timo comma dell'art. 40 (secondo cui sulle somme contestate l'interesse 

annuo del cinque per cento comincia a decorrere due mesi dopo la data 

della registrai;ione alla Corte dei conti del decreto emesso in esecuzione 

dell'atto con cui sono state risolute le controversie) -in base al prin


cipio fondamentale (di portata generale) che, in ordine alle norme di 

carattere eccezionale, sia ammissibile soltanto un'interpretazione restrit


tiva, che non consente alcuna espansione della loro sfera applicativa 


ha ritenuto che, in tema di appalto di opere pubbliche di pertinenza 

dell'Amministrazione dello Stato, il particolare termine di decorrenza 

degli interessi legali previsto dall'art. 40 del Capitolato generale si rife


risce unicamente aqle somme, in relazione alle quali le controversie siano 

state definite in via amministrativa e arbitrale (cfr. in tale senso, anche 

sent. 9 novembre 1971, n. 3161), mentre, nelle controversie definite in sede 

giudiziaria, va applicato il principio generale di diritto comune, secondo 

cui gli int�ressi legali decorrono dalla data della domanda giudiziale. 

E -non ravvisandosi alcuna nuova valida ragione per discostarsi 
dalla linea direttrice della giurisprudenza di questa Corte -deve confermarsi 
l'indirizzo, secondo cui, in tema di appalto di opere pubbliche, 
nelle controversie definite in sede giudiziaria deve applicarsi la regola 
generale della decorrenza degli interessi legali dalla data della domanda 
giudiziale. Anche il secondo mezzo del ricorso principale �, quindi, da 
accogliere. 

Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il ricorrent� -denunciata 
la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1661 cod. civ. e 17 
del Capitolato generale per le opere pubbliche, approvato con d.m. 28 maggio 
1895, in relazione all'art. 360; nn. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che 
la Corte del merito abbia respinto la sua richiesta di maggior compenso 
per la edificazione del quinto e del sesto piano del fabbricato (non previsti 
nel progetto allegato al contratto), costituente una variazione della 
costruzione ed importante un mutamento essenziale della natura e delle 
caratteristiche tecnico-strutturali dell'opera. 

La censura � infondata. 

Invero, la Corte del merito -facendo corretta applicazione degli 
artt. 17 e 19 del Capitolato generale per le opere pubbliche del 1895, in 
base alle cui norme la pubblica Amministrazione ha la facolt� di richiedere 
che l'appaltatore esegua tutte le variazioni e le addizioni ritenute 
opportune per l'esecuzione dell'opera valutando le une e le altre ai 
prezzi unitari del contratto, con il solo limite che le stesse non mutino 
essenzialmente la natura delle opere comprese nella convenzione contrat� 
tuale e non superino un quinto dell'importo dell'appalto -ha esatta



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 137 

mente escluso, con motivazione congrua e corretta, che all'impresa appaltatrice 
spettasse, in aggiunta al corrispettivo convenuto, un maggior 
compenso, in quanto -trattandosi della costruzione di un'unica entit� 
edilizia -la edificazione del quinto e del sesto piano non avrebbe comportato 
al prezzo d'appalto un aumento superiore al quinto complessivo, 
considerato come limite dall'art. 344 del t.u. delle leggi sui lavori pubblici 
20 marzo 1865, n. 2248, all. F. 

Il secondo mezzo del ricorso incidentale �, quindi, da disattendere. 

Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale -denunciata la violazione 
e la falsa applicazione dell'art. 54 del Regolamento (per la direzione, 
la contabilit� e la collaudazione dei lavori pubblici), approvato 
con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, nonch� la contraddittoriet� della motivazione 
ed il travisamento dei fatti, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 
cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito abbia ritenuto tardive 
le riserve, formulate per i sovraccarichi dei solai, per le opere di calcestruzzo 
e le casseforme relative. 

La doglianza � infondata. 

La Corte del merito -con un accertamento di fatto, insindacabile 
in questa sede, per avere a supporto uno svolgimento motivazionale adeguato 
ed immune da vizi logici e da errori giuridici -ha esattamente 
ritenuto la tardivit� delle riserve formulate dall'appaltatore in ordine 
ai sovraccarichi dei solai, alle opere di calcestruzzo ed alle casseforme 
relative, con la conseguente implicazione della decadenza dalle pretese a 
maggiori compensi per l'esecuzione di detti lavori. 

Anche il .terzo motivo �, perci�, da respingere. 

Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale -denunciata la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del Regolamento (per 
la direzione, la contabilit� e la collaudazione dei lavori pubblici), approvato 
con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in relazione agli artt. 54 dello stesso 
Regolamento e 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che la Corte del 
merito, nel dichiarare la tardivit� delle riserve, formulate (al momento 
della chiusura del conto finale) in ordine ai ganci ed ai drenaggi, non 
abbia considerato che tali lavori non fossero stati indicati nel registro 
di c�ntabilit�. 

La censura � infondata. 

Come si � visto nell'esame del primo motivo del ricorso incidentale, 
le riserve riguardanti i cennati lavori, avrebbero dovuto essere formulate 
nei documenti contabili, ad essi correlativi, e riprodotte ed esplicate 
nel registro di contabilit� immediatamente successivo. 

Ed, in presenza dell'inosservanza dell'onere della tempestiva espressione 
delle riserve nei documenti contabili (accertata, in linea di fatto, 
�con valutazione insindacabile in questa sede), la Corte del merito ha 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

138 

correttamente ritenuto la tardivit� di esse, con la conseguente implicazione 
della decadenza dell'appaltatore delle pretese -non avendo a tal 
fine alcuna rilevanza giuridica la mancata riproduzione nel registro c;li 
contabilit� di voci di partite di lavoro gi� indicate nei documenti contabili 
ad esse relativi. 

Pure il quarto mezzo �, quindi,. da disattendere. 

Con il quinto motivo, il ricorrente -denunciata la violazione e l.a 
falsa applicazione delle norme che regolano la revisione dei prezzi dei 
pubblici appalti, degli artt. 21 e 22 del Regolamento (per la direzione, 
la contabilit� e la collaudazione dei lavori pubblici) approvato con r.d. 
25 maggio 1895, n. 350, e 1223 cod. civ., nonch� il travisamento dei fatti, 
in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. -si duole che la Corte del 
merito gli abbia negato, in ordine ai maggiori lavori non contabilizzati, 
il diritto ad un indennizzo per il rincaro dei prezzi,. sul riflesso che i 
maggiori costi fossero stati valutati in sede di revisione dei prezzi. 

La censura � fondata. 

� indubbio che i giudici del merito -ritenendo che dell'aumento 
dei costi si fosse tenuto conto in sede di revisione dei prezzi d'appalto siano 
incorsi in un errore logico e giuridico, in quanto -riguardando 
i maggiori costi voci di partite di lavoro non contabilizzate e riconosciute 
soltanto in sede giudiziale -il rincaro dei costi non avrebbe potuto 
essere considerato e valutato nel procedimento revisionale dei prezzi. 

E -dovendo procedersi, quindi, alla valutazione e determinazione 
dell'aumento dei costi (riguardo ai maggiori lavori), ai fini dell'attribuzione 
del preteso indennizzo all'appaltatore -non pu� prescindersi da 
un riesame, nella sede competente, degli elementi di fatto emergenti dalla 
realt� processuale. 

Il quinto mezzo �, quindi, da accogliere. 

Con il sesto motivo, il ricorrente incidentale -denunciata la vio� 
lazione e la falsa interpretazione dei principi generali in materia di 
risarcimento del danno da illecito, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 cod. 
proc. civ. -si duole che la Corte del merito abbia negato la rivalutazione 
monetaria del suo credito, consistente nel risarcimento di danni 
contrattuali. 

La censura � priva di fondamento. 

La Corte di merito -dopo avere correttamente attribuito nat1..-a 

giuridica di valuta ai crediti vantati dall'appaltatore, consistenti nell'in


tegrazione dei compensi contrattuali e nel riaccreditamento di una somma 

indebitamente trattenuta dall'Amministrazione appaltante -ha esatta


mente escluso che essi dovessero essere assoggettati alla pretesa rivalu


tazione. 

Anche il sesto mezzo �, per ci�, da disattendere. -(Omissis). 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 139 

I 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 30 dicembre 1974, n. 30 � Pres. Colli . 
Rel. Moscone -Cocini e altri (avv. Celona, Volpi e Manzi) c. Ministero 
delle finanze (avv. Stato Albisinni) e Comune di Abbiategrasso 
(avv. Mazzullo e Setti). 

Responsabilit� civile � Responsabilit� della P .A. � Per atti leciti � Elimi� 
nazione di opera pubblica � Perdita di utilit� connesse alla sua presenza 
� Danno permanente � Esclusione � Fattispecie. 

(L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). 
� improponibile la domanda con cui il proprietario di un fondo 
chieda la condanna dell'amministrazione al pagamento di un'indennit�, 
a norma dell'art. 46 l. espr., per il pregiudizio risentito in conseguenza 
dell'eliminazione di un'opera pubblica, dalla cui esistenza derivavano al 
fondo, per il puro fatto della vicinanza o contiguit�, amenit�, isolamento 
dalle esalazioni o dai rumori normalmente prodotti dalla circolazione 
dei veicoli negli spazi pubblici, e riparo da vicinanze molestie introspezioni 
o introduzioni di estranei. In mancanza di un titolo specifico non 
� infatti ipotizzabile un diritto a godere di tali utilit� e perci� un diritto 
a che l'opera pubblica sia mantenuta e non trasformata (1). ' 

II 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 12 novembre 1975, n. 26 -Pres. Danzi � 
Rel. Sgroi -Ente acquedotti siciliani -E.A.S. (avv. Stato Albisinni) 

c. Bagnasco (avv. Corrao e Pomar). 
Espropriazione per p.u. � Danno permanente arrecato ad altro fondo � 
Unit� economica con l'immobile espropriato � Espropriazione parziale. 

(L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 40 e 46). 
Espropriazione per p.u. � Espropriazione parziale � Determinazione del� 
l'indennit� � Fondo coltivato come cava � Rilevanza � Pregiudizio del� 
l'azienda estrattiva � Irrilevanza. 

(L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40). 
Il pregiudizio subito da un'immobile diverso da quello espropriato 
ma formante con questo per ubicazione e destinazione economica una 

(1) La massima si fonda sulla distinzione tra perdita e diminuzione di 
un diritto da un lato (art. 46, comma primo, I. espr.) e privazione di un utile 
cui non si abbia diritto dall'altro (art. 46 comma secondo): sul punto, cfr., 

140 AASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

unica entit� va indennizzato a norma dell'art. 40 l. espr., dettato per le 
ipotesi di espropriazione parziale, e non a norma dell'art. 46 della stessa 
legge (2). 

Se l'espropriazione incide su un immobile coltivato a cava in modo 
da rendere di fatto impossibile la prosecuzione dello sfruttamento della 
parte non espropriata, nel determinare l'indennit� secondo le regole sull'espropriazione 
parziale non deve tenersi conto del mancato guadagno 
conseguente alla interruzione dell'esercizio dell'azienda installata nell'immobile, 
ma nello stabilire il valore dell'immobile prima e dopo l'espropriazione 
deve tenersi conto della oggettiva preesistente e poi perduta 
idoneit� del bene ad essere coltivato come cava (3). 

III 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 9 dicembre 1975, n. 28 -Pres. Danzi -
Rel. Granata -Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Albisinni) c. 
Soc. r. 1. Ricerche metano e minerarie Graziani (avv. Martini). 

Responsabilit� civile � Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti -Elimi


nazione di preesistente opera idraulica -Esecuzione di opera pubblica 


� tale. 

(L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46; r. d. 25 luglio 1904, n. 523, art. 2). 
Prescrizione -Indennit� per danni da atto lecito -Prescrizione quinquennale 
per danni da illecito -Applicabilit� -Esclusione. 
(Cod. civ., art. 2947). 

Responsabilit� civile -Responsa~ilit� della P.A. -Per atti leciti -Danno 
permanente -Nozione. 

(L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). 
Costituisce esecuzione di opera pubblica, ai fini dell'applicazione dell'art. 
46 l. espr., non solo la realizzazione o la modificazione di un nuovo 
manufatto, ma anche la eliminazione di un manufatto esistente; in materia 
di opere idrauliche � perci� proponibile la domanda di condanna 

Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481, Giust. civ., 1961, I, 1712; Trib. Napoli 23 settembre 
1971, Giur. merito, 1973, III, 175. 

Nel senso che non sia equiparabile ad una servit� e non sia perci� indennizzabile 
la limitazione legale che si rende operante in ragione dell'opera costruita 
sul fondo espropriato, cfr., Cass. 26 aprile 1974 n. 1195, Giust. civ. Mass., 
1974, 555; Cass. 9 ottobre 1972 n. 2936, Giur. agr., 1974, 228; Cass. 24 ottobre 
1968 n. 3458, Giur. it., 1968, I, 1, 1509; Cass. 15 novembre 1967 n. 2739, Foro 
amm., 1968, I, l, J.71; nonch� Corte cost. 22 giugno 1971 n. 133, Giur. cast., 
1971, I, 1519 con nota di MoRBIDELLI, Contenuto � essenziale� del diritto di propriet� 
sul suolo, strade, fasce di rispetto. 

(2) La giurisprudenza � pacifica nell'individuare il presupposto dell'applicazione 
delle norme sull'espropriazione parziale in ci�, che la parte di 

PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 141 

al pagamento di una indennit� per il danno arrecato dall'allagamento di 
un fondo, verificatosi in conseguenza del taglio di un argine, che l'Amministrazione 
abbia ritenuto di dover ordinare per evitare l'inondazione 
di un centro abitato e favorire il deflusso di acque di piena verso il 
mare (4). 

Il diritto alla indennit� per il danno sofferto in conseguenza di atto 
legittimo non � soggetto alla prescrizione 'quinquennale prevista dall'art. 
2947 cod. civ. per il risarcimento del danno da fatto illecito (5). 

Costituisce danno permanente, ai sensi dell'art. 46 l. espr., quello 
concretatosi nella distruzione o nel grave deterioramento fisico dei beni 
presi in considerazione ai fini della determinazione dell'indennit� (6). 

IV 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4161 -Pres. 
Laporta -Est. Miele -P. M. Del Grosso (conf.) -Ministero dell'agricoltura 
e delle foreste (avv. Stato Albisinni) c. Schoemburg -Waldemburg 
(avv. Menghini e Ramalli) e Di Giusto e altri (n.c.). 

Responsabilit� civile -R�sponsabilit� della P.A. -Per atti leciti -Opera 
idraulica -Maggior pericolo di inondazioni -Danno permanente Sussiste. 


(L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). 
Responsabilit� civile -Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti -Liquidazione 
dell'indennit� -Liquidazione equitativa -Fattispecie. 

(Cod. civ., art. 1226). 

Il danno permanente previsto dall'art. 46 l. espr. pu� essere rappresentato 
dal fatto che l'esecuzione di un'opera pubblica importi un maggior 
pericolo di inondazioni per un fondo che pur vi sia naturalmente 
esposto, perch� ci� determina un'incidenza negativa sulle possibilit� di 

immobile non espropriata sia unita a quella espropriata da un vincolo obiettivo 
tale da attribuire all'intero immobile un carattere di unicit� economica: 
cfr. sul punto, Cass. 12 dicembre 1972 n. 3566, Giust. civ. Mass., 1972, 1932; 
Cass. 21 novembre 1969 n. 3794, Riv. giur. edil., 1970, I, 557; Cass. 18 giugno� 
1968 n. 2001, Giust. civ. Mass., 1968, 1016; Cass. 29 luglio 1965 n. 1820, ivi, 1965, 
936; Cass. 18 maggio 1964 n. 1213, ibidem, 1964, 552; Cass. 15 maggio 1964 

n. 1184, Riv. giur. edil., 1964, I, 1061; Trib. sup. acque 12 ottobre 1965 n. 21, 
Giust. civ., 1965, I, 2111. 
Sulla diversit� delle situazioni di fatto riconducibili agli artt. 40 e 46 I. 
espr., cfr. Trib. sup. acque 28 aprile 1971 n. 7, Cons. Stato, 1971, II, 408. 

(3) Sulla prima parte della massima (non indennizzabilit� del pregiudizio� 
arrecato al soggetto nel diritto personale di utilizzare l'immobile come ele�� 
,,,�..�.�...-.�.-.�.�--�� �����.-.�.�.�:.�.�:.�.�.-:.�:.�.-.�:.�:.�.�.�.�).� ....�.-�.-.-.-.�.-.----:-z-:��� .-.-.-.-..-.�.��'.c:��-�.�.-.-.-.-.�.�.�.�.--�.�.�-�.�.�.�.'.�'.�"�'�:� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sfruttamento agricolo del terreno e perci� una diminuzione di valore 
dell'immobile (7). 

Non � illogico e non � quindi censurabile in sede di legittimit� il 
criterio di liquidazione equitativa dell'indennit� ex art. 46 l. espr., consistente 
nel considerare quale indice del deprezzamento di un fondo agricolo 
per la maggior esposizione al pericolo di inondazioni la natura dei 
danni cagionati da una concreta inondazione che il fondo abbia subito (8). 

(Omissis). -Con atto notificato il 5-6 luglio 1968 Giuseppina, Costantino 
e Luigi Cocini convennero in giudizio davanti al Tribunale Regionale 
delle Acque Pubbliche di Milano, ai sensi della lett. d) dell'art. 140 T.U. 
11 dicembre 1933, n. 1775, l'Amministrazione Comunale di Abbiategrasso 
e l'Amministrazione Finanziaria dello Stato, esponendo: 

� -che essi erano proprietari di una casa di abitazione con annesso 
giardino nel Comune di Abbiategrasso, prospiciente fino a poco tempo 
prima uno specchio d'acqua formato da una darsena e da un tratto del 
vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo; 

-che, per conservare il valore derivante alla loro casa da una tale 
situazione, essi nel 1933, quando il vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo 
era stato spostato per esigenze stradali, avevano fatto eseguire 
a proprie cure e spese, previ accordi con l'Amministrazione Provinciale 
di Milano, il Corpo del Genio Civile e l'Ospedale Maggiore di Milano, 
cinque bocche di presa d'acqua dalla Roggia Schiaffinata alla seconda 
conca, coi relativi ponticelli in cemento armato e il bacino di calma per 
la bocca a stramazzo, acquistando il terreno all'uopo occorrente, e la 
chiusura delle cinque vecchie bocche di presa in localit� Poscallo; 

mento di un'azienda in esso installata), cfr., citate in motivazione, Cass. 7 
luglio 1960 n. 1810, Foro pad., 1960, I, 1075, e Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481, 
Giust. civ., 1961, I, 1712, cui adde Cass. 13 novembre 1974 n. 3596, Giust. civ., 
1975, I, 410 con nota di TABET, Espropriazione per pubblico interesse e perdita 
dell'avviamento commerciale. 

Il principio, per cui non spetta indennizzo per la mancata realizzazione 
del guadagno, che avrebbe potuto ritrarsi dall'esercizio dell'industria installata 
sull'immobile, da un lato non esclude che nella determinazione dell'indennit� 
dovuta debba tenersi conto della destinazione che l'immobile presentava (cfr., 
in tema di cave, Cass. 7 agosto 1962 n. 2431, Giust. civ. Mass., 1962, 1158, cit. 
in motivazione, e Trib. Napoli 23 settembre 1971, Giur. merito, 1973, III, 175; 
in un caso di espropriazione caduta su area destinata a distributore di benzina, 
Trib. Napoli 31 marzo 1973, Giust. civ. Rep., 1974, espropr. p.u., 234; nel 
senso della rilevanza del mancato reddito, come elemento di valutazione, quando 
sia conseguenza di una perdita di valore, Cass. 30 aprile 1969 n. 1393, 
Rass. giur. Enel, 1969, 820; Cass. 16 ottobre 1962 n. 2997, Temi nap., 1963, 
I, 350; Cass. 12 settembre 1968 n. �2920, Giust. civ., 1968, I, 1747 e Foro it., 
1969, I, 66) dall'altro importa che debba ricomprendervisi il costo di adattamento 
dell'immobile per consentire la continuazione dell'esercizio dell'azienda 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 143 

-che, essendo venuta meno la navigazione nel Naviglio di Bereguardo, 
la Direzione Generale del Demanio lo aveva declassificato, escludendone 
la navigazione e assoggettandolo alla competenza dell'Ufficio 
Tecnico Erariale; 

-che questo Ufficio, sollecitato dal Comune di Abbiategrasso, aveva 
consentito a imprese private d'interrare il vecchio tronco del Naviglio 
di Bereguardo con la relativa darsena, per trasformarli in sede viaria e 
per servire a un'area fabbricabile, che un gruppo di speculatori intendeva 
lottizzare; 

-che ne era derivato un indiscutibile danno patrimoniale alla loro 
propriet�, poich� la presenza dello specchio d'acqua, oltre a fungere da 
recinzione e a consentire l'approdo di natanti da diporto, conferiva allo 
immobile un eccezionale pregio estetico e ambientale, toglieva ogni possibilit� 
d'immissione di fumi e rumori e d'introspezione di passanti da 
breve distanza; 

-che, inoltre, avendo l'interramento privato di sbocco la Roggia 
Cagnola, corrente nel loro giardino e adibita a irrigazione, oltre che di 
piacevole aspetto, si era reso necessario il prosciugamento di tale Roggia 
e occorreva provvedere ulteriormente a interrarla per trecento metri e 

(Trib. sup. acque 16 giugno 1971 n. 13, Cons. Stato, 1971, II, 605) o quello 
di disinvestimenti (Cass. 3 marzo 1962 n. 396, Giust. civ., 1962, I, 1496; Trib. 
acque Roma 25 gennaio 1970, Riv. giur. edil., 1970, I, 312). 

(4) L'interpretazione dell'art. 46 L espr. ha ormai da tempo condotto a 
svincolarne l'applicazione dal presupposto della esecuzione di un'opera, per 
la cui realizzazione sia stato necessario procedere ad un'espropriazione per 
pubblica utilit�. 
La norma ha cos� trovato applicazione anche nel caso di destinazione 
di immobili a determinati usi di pubblico interesse (Cass. 28 aprile 1961 

n. 976, Giust. civ., 1961, I, 1160: destinazione di un immobile del patrimonio 
indisponibile a caserma per i gruppi squadroni di polizia a cavallo e pregiudizio 
arrecato alle propriet� limitrofe dalle esalazioni nocive che ne provenivano) 
ed in quello analogo di danni derivanti dal funzionamento del� 
l'opera (Cass. 26 ottobre 1970 n. 2157, Giust. civ. Mass., 1970, 1134: vibrazioni 
indotte in un fabbricato sovrastante dal passaggio in galleria di convogli ferroviari), 
come anche in quello di eliminazione di un'opera preesistente (cfr. 
la prima delle sentenze in rassegna, nonch� la giurisprudenza in tema di 
soppressione di strade pubbliche: Cass. 6 maggio 1971 n. 1281, Giur. it., 1972, I, 1, 
150; Cass. 30 aprile .1969 n. 1393, Foro pad., 1971, I, 375). 
(5) Non constano precedenti in termini. 
(6) In tema di qualificazione del danno come permanente la giurisprudenza 
si � in prevalenza soffermata sul punto della configurabilit� come 
permanente di un pregiudizio non gi� irreversibile, come nel caso in rassegna, 
ma stabilmente connesso alla permanenza dell'opera, pervenendo ad af� 
fermare che � permanente non solo il danno perpetuo e irreparabile, ma 
anche quello che si verifica ininterrottamente per tutta la durata del fatto 
lesivo che, protraendosi nel tempo, determini il mancato o diminuito godi-
H 



RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 

144 

a costruire numerosi pozzi perdenti, per smaltire le acque piovane, dii 
scarico dell'irrigazione e di uso domestico, le quali prima vi defluivano; 

-che si doveva anche provvedere, con notevole spesa, alla sistemazione 
di una cancellata lunga centocinquanta metri sul lato della casa 
e del giardino prospiciente il bacino d'acqua interrato; 

-che essi avevano diritto al risarcimento dei danni predetti e di' 
ogni altro conseguente all'interramento del vecchio tronco del Naviglio� 
di Bereguardo e della relativa darsena, ai sensi dell'art. 46 della legge� 
25 giugno 1865, n. 2359, e che responsabili di tali danni erano l'Ufficio, 
Tecnico Erariale di Milano, da cui era stato autorizzato l'interramento' 
del corso d'acqua, e il Comune di Abbiategrasso, da cui tale opera era 
stata richiesta per acquistare poi a titolo gratuito l'area e adibirla a 
sede stradale. 

Tutto ci� premesso, gli attori domandarono che il Tribunale, dato� 
atto che essi avevano acquistato il diritto alla conservazione dello stato, 
dei luoghi esistente nel 1933, per le opere eseguite a proprie cure e spese, 
e accertato che le opere d'interramento e di adibizione a sede stradale�: 
avevano avuto come diretta conseguenza una cospicua diminuzione di 
valore del loro immobile, da accertarsi con consulenza tecnica, e li aveva. 

mento del diritto di propriet�: cfr. Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481, Giust. civ.,. 
1961, I, 1712. � � 

(7) Trib. sup. acque 5 dicembre 1972 n. 45, confermata dalla corte, �� 
pubblicata in questa Rassegna, 1973, I, 280. 
Va posto in risalto che, in una situaziohe caratterizzata da una pree-� 
sistente soggezione dell'immobile al pericolo di inondazioni, il danno � stato� 
individuato nella aumentata esposizione a tale pericolo, indotta dall'opera 
pubblica. 

L'affermazione, in quanto esclude esplicitamente che possa instaurarsi' 
una relazione di causa ed effetto tra costruzione dell'opera pubblica e mancata 
eliminazione di una preesistente situazione di pericolo, assume rilievoin 
rapporto alla giurisprudenza che fa carico alla amministrazione delle conseguenze 
derivanti dalla difettosa progettazione di opere pubbliche in genere 
e di opere di bonifica in particolare (giurisprudenza per cui si rinvia alla� 
annotazione a Cass. 9 gennaio 1974 n. 62 in questa Rassegna, 1974, I, 721). 
Se ne trae la esigenza di distinguere tra pretese che tendono a desumere 
da concrete manifestazioni di danno indizi per l'affermazione di un danno� 
permanente, rispetto alle quali assume rilievo la situazione preesistente e la 
oggettiva idoneit� dell'opera a migliorarla o quantomeno a non pregiudicarla,. 
e pretese al risarcimento dei danni cagionati dall'evento lesivo a s� considerato, 
rispetto alle quali rileva invece la successiva situazione di fatto determinata 
dall'opera una volta realizzata e il danno che essa, perch� erronea-� 
mente progettata o difettosamente mantenuta, arreca al privato che abbiai. 
fatto affidamento sulla idoneit� dell'opera e sulla apparente eliminazione della 
preesistente situazione di pericolo. 

(8) Cfr. la giurisprudenza richiamata sub 3, seconda parte. 
I 


I 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 145 

costretti a opere d'interramento e di recinzione, il cui costo avrebbero 
provato in corso di causa, dichiarasse l'obbligo solidale delle Amministrazioni 
convenute di risarcire integralmente tali danni e le condannasse 
a versare a loro la somma pi� conforme a giustizia, secondo le risultanze 
di causa, con il rimborso delle spese processuali. -(Omissis). 

(Omissis). -Nel merito, a torto gli appellanti lamentano che il 
Tribunale Regionale abbia respinto la domanda sotto il primo dei profili 
anzidetti e che abbia disapplicato l'art. 46 della legge n. 2359 del 1865 
affermando, con un ragionamento illogico ed erroneo, che non rientravano 
nel contenuto del diritto di propriet� quei vantaggi che pur ammise 
che il fondo degli attori aveva perduto a causa dell'interramento 
del vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo e della relativa darsena. 
Infatti, sotto un tale profilo, la domanda appariva improponibile per 
insussistenza del presupposto richiesto dal cit. art. 46. 

Con riferimento all'ipotesi della legittima � lecita esecuzione di una 
opera di pubblica utilit�, questa norma stabilisce nel primo comma che 
� dovuta un'indennit� ai proprietari dei fondi, i quali dall'esecuzione 
stessa. vengano a s9ff;rire un panno permanente, derivante dalla perdita 

o dalla diminuzione di un diritto, e precisa nel secondo comma che la 
privazione di un utile, al quale il proprietario non avesse diritto, non 
pu� mai essere tenuta a calcolo per determinare l'indennit�. Ora, in un 
caso come quello qui prospettato, non � ipotizzabile l'esistenza di un 
diritto di mantenere gli utili dei quali si lamenta il venir meno. Invero 
non pu� esservi dubbio che, in mancanza di un qualsiasi titolo specifico, 
il proprietario di un fondo non pu� vantare un diritto soggettivo (ma, 
se del caso, soltanto un interesse legittimo) a che su un fondo altrui sia 
mantenuta o non trasformata un'opera pubblica, dalla cui esistenza derivino 
al suo fondo, per il puro e semplice fatto della vicinanza o contiguit�, 
amenit�, isolamento dalle esalazioni e dai rumori prodotti normalmente 
dalla circolazione dei veicoli negli spazi pubblici, e riparo da 
vicinanze molestie e da introspezioni o introduzioni di estranei. Anche 
nei rapporti fra privati, utili di tal genere non posso;no mai considerarsi 
inerenti al diritto di propriet�, quantunque di fatto possano, finch� durano, 
risolversi in un effettivo vantaggio economicamente apprezzabile, 
giacch� il proprietario pu� usare e godere in modo pieno ed esclusivo 
della cosa sua, ma non pu� pretendere di restringere l'uguale uso e godimento 
di quella altrui, se non nei casi ed entro i limiti tassativamente 
previsti da norme di legge, come quelle, per esempio, in materia di atti 
di emulazione, d'immissioni intollerabili e di limitazioni per i rapporti 
di vicinato. N�, ovviamente, la situazione pu� essere diversa quando 
l'utilizzazione del fondo vicino spetti a una pubblica amministrazione: 
tanto � vero che la giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo 

146 
RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tribunale Superiore invocata dagli appellanti si riferisce esclusivamente 
a casi di applicazione dell'art. 844 cod. civ. sulle immissioni eccedenti 
la normale tollerabilit�, di esistenza di un diritto d'uso sui beni demaniali, 
e cos� via. 

Va quindi confermato il rigetto della domanda sotto il profilo del 
venir meno della posizione privilegiata del fondo Cocini in riva al Naviglio 
e alla darsena, non potendosi considerare daIT.ni in senso giuridico 
(oltre che economico), vale a dire pregiudizi indennizzabili o risarcibili, 
n� l'asserita perdita di valore del fondo, n� l'asserita necessit� di affrontare 
le spese occorrenti per recingerlo. -(Omissis). 

II 

(Omissis). -Con il primo motivo dell'appello principale si giudica 
eccessivo l'ammontare dell'indennit� di espropriazione determinata in 

L. 88.456.812 dalla sentenza impugnata. 
Questa, secondo l'E.A.S., nel valutare il danno che sarebbe stato arre-� 
cato alla parte non espropriata del fondo, ha applicato l'art. 116 del 
regolamento di polizia mineraria 15 luglio 1958, n. 7 (il quale prescrive 
la distanza di 50 me,tri dagli acquedotti per eseguire scavi per ricerca 
ed utilizzazione di sostanze minerali) senza considerare che la citata 
�norma, riguardante le miniere, non pu� essere estesa alle cave, che 
�diversamente dalle miniere vengono coltivate in superficie, mentre la 
�prescrizione della distanza orizzontale di 50 metri si giustifica in relazione 
agli scavi eseguiti nel sottosuolo. 

I coltivatori di cave -prosegue l'appellante principale -devono 
rispettare le cautele indispensabili per evitare danni a terzi, previste in 
via generale dagli artt. 120 e seguenti e, per l'impiego di esplosivi, dagli 
artt. 153 e seguenti del regolamento: si aggiunga che lo stesso divieto 
dettato dall'art. 116 non � assoluto, essendo previste possibilit� di deroghe 
dagli artt. 118 e 119. 

A ragione l'appellante incidentale replica che la questione dell'applicabilit� 
dell'art. 116 del regolamento di polizia mineraria �, nella specie, 
�priva di rilievo. 

Il Tribunale regionale ha affermato che l'esercizio della cava venne 

�sospeso 
in via definitiva nella terza decade del mese di novembre del 
1966 (il fatto e l'epoca in cui si verific� devono ritenersi, ormai, circostanze 
pacificamente acquisite, non essendo state svolte contestazioni sul 
punto) e ha addebitato tale sospensione (seguita ad un periodo di gestione 
condotta con estrema difficolt� a causa dei .lavori intrapresi il 24 apri;
fo 1966, per la posa in opera della condotta idrica, dalla soc. I.C.O.R.I.) 
alla presenza di tale condotta realizzata dall'E.A.S.; e ci� per la duplice 
�ragione che essa sbarrava l'avanzamento del fronte principale della cava 

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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 147 

e imponeva l'obbligo del rispetto della distanza legale tra la condotta 
ed il fronte di coltivazione. Ora l'indicazione del primo fattore rende 
irrilevante il riferimento all'obbligo della distanza. 

Va ricordato -in base alla descrizione dell'immobile contenuta nella 
consulenza tecnica d'ufficio e alla documentazione fotografica in atti che 
il terreno, a forma di triangolo isoscele, del quale fa parte la striscia 
di mq. 1300 espropriata per la posa in opera della condotta idrica, esteso 
ha. 2,78 nella sua interezza, � costituito da roccia (e precisamente da calcare 
dolomitico di ottime caratteristiche fisiche che giustificano il suo 
largo impiego nelle costruzioni edili e stradali), confina con una strada 
provinciale, � sito a breve distanza da una stazione ferroviaria, ha facile 
collegamento con la vicinissima citt� di Palermo. Su tale terreno veniva 
coltivata nel 1966 una cava, con un fronte di avanzamento di circa 70 metri 
ed un dislivello di circa 80 metri fra il piazzale di lavorazione del materiale 
e il limite superiore di coltivazione. L'occupazione della striscia 
di terreno, successivamente espropriata, ha praticamente tagliato in due 
parti il terreno del Bagnasco, impedendo l'avanzamento delle pareti centrali 
del fronte della cava -poste a distanza minima, computabile in 
pochissimi metri, dalla predetta striscia -mentre nel versante della 
parete ovest esistono edifici (fra i quali una Chiesa) che non consentono 
un avanzamento e la parete est presenta una roccia meno compatta e 
non convenientemente sfruttabile. 

In questa situazione, discutere intorno all'obbligo di osservare la di� 
stanza di 50 metri significa non tener conto del fatto che il fronte di 
avanzamento della cava era venuto a trovarsi ad immediato confine 
con la striscia espropriata e quindi con l'opera pubblica ivi costruita, sicch� 
non l'esistenza di quell'obbligo ma lo stato dei luoghi, quale si era 
venuto a determinare, paralizzava l'esercizio della cava, materialmente 
non pi� possibile. N� occorre qui darsi carico del quesito relativo alla 
indennizzabilit� del danno derivato da una limitazione legale del diritto 
di propriet� in dipendenza della destinazione di pubblico interesse attribuita 
al terreno espropriato -quesito cui viene data risposta negativa 
(cfr. Cass. 28 aprile 1974, n. 1195; Cass. 24 ottobre 1968 n. 3458; Cass. 
15 novembre 1967 n. 2739) -perch�, anche a voler ammettere che la 
questione si ponga nei termini in cui � stata ripetutamente esaminata 
e risolta dalla giurisprudenza quando il diritto di propriet� venga non 
gi� limitato, ma sostanzialmente svuotato di qualsiasi contenuto, � decisivo 
il rilievo che si tratta di questione non rientrante nel thema dectdendum, 
in quanto fra le parti si discute non gi� della spettanza dell'indennizzo, 
ma escusivamente della sua determinazione e dei criteri che 
debbono presiedervi. 

Con il secondo motivo l'appellante principale sostiene che ai fini della 
liquidazione della indennit� prevista dalla legge n. 2359 del 1865, non 


148 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

possono venire in considerazione i danni personali indiretti, quali la perdita 
e la riduzione della possibilit� di esercitare attivit� industriali o commerciali. 
In particolare -versandosi nel caso di espropriazione parziale 
sicch� inopportunatamente, ad avviso dell'E.A.S., la sentenza impugnata 
ha richiamato l'art. 46 della legge citata -occorre tener conto del valore 
venale dell'area espropriata e della diminuzione di valore della parte non 
espropriata, diminuzione nella quale non vanne ricompresi il lucro cessante, 
il valore dei beni mobili asportabili e simili, ma che -conclude 
l'E.A.S. -pu� essere, al pi�, pari alla capitalizzazione del reddito annuo 
netto (pari a L. 1.800.000) derivante al proprietario della locazione della 
cava e perduto per effetto dell'espropriazione. 

Taluni dei rilievi critici or ora riassunti sono esatti, ma ci� non 
giustifica l'accoglimento integrale delle conclusioni dell'E.A.S. 

Anche se la precisazione pu� spiegare soltanto limitati riflessi sul 
piano della determinazione concreta dell'indennit�, la fattispecie in esame 
va inquadrata sotto il profilo dell'espropriazione parziale, laddove il 
Tribunale regionale ha ritenuto di dover applicare l'art. 46 della legge 
sulle espropriazioni. Le considerazioni prima svolte circa le caratteristiche 
geologiche dell'intera particella n. 56 di propriet� del Bagnasco 
rendono, per vero, evidente che la parte non espropriata e quella espropriata 
dell'immobile erano legate da un vero e �proprio vincolo obiettivo 
(cfr. Cass. 18 giugno 1968, n. 2001; Cass. 11 marz.o 1966 n. 688; Cass. 29 luglio 
1965 n. 1820), che ne determinava l'unitaria destinazione allo sfruttamento 
come cava. La porzione residuata dopo l'espropriazione non solo 
non era provvista di autonomia rispetto alla zona espropriata, con la 
quale al contrario, formava una entit� economica unica; ma, per la giacitura 
di quest'ultima zona, era venuta a perdere l'unica possibilit� di 
effettiva utilizzazione. 

Si re!ha, perci� al di fuori dell'ipotesi di pregiudizio subito da un 
fondo diverso, anche se contiguo a quello espropriato, che viene in rilievo 
ai fini dell'art. 46 citato (cfr. Cass. 21 novembre 1969 n. 3794; Trib. 
Sup. 28 aprile 1971 n. 7); mentre, nella specie, la limitata estensione del 
terreno nel suo complesso (ha 2,78), la posizione della striscia espropriata 
all'interno di esso, l'assoluta identit� di destinazione economica, l'influenza 
negativa dell'espropriazione sulla utilizzazione della parte non 
espropriata (cfr. Cass. 12 dicembre 1972 n. 3566; Cass. 18 maggio 1964 

n. 1213) sono elementi pi� che sufficienti a rilevare l'appartenenza di 
tale striscia e del terreno ad una stessa unit� produttiva. 
Nella determinazione della differenza tra il prezzo che avrebbe avuto 
l'intero immobile prima dell'espropriazione parziale e il giusto prezzo 
che potr� avere la residua parte di esso dopo tale espropriazione (art. 40 
della legge n. 2359 del 1865), si deve tener conto -come in tema di liquidazione 
della indennit� per espropriazione totale e in tema di indennizzo 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

;per danno permanente ex art. 46 legge citata -del diritto di propriet� nel 

suo contenuto oggettivo, mentre resta al di fuori della previsione legi


:Slativa il pregiudizio subito dalle diverse situazioni soggettive di attivit� 

industriali (cfr. Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481), cosicch� � irrilevante il man


.cato guadagno conseguente alla interruzione dell'esercizio dell'azienda 

installata nell'immobile (cfr.� Cass. 7 luglio 1960 n. 1810). Non si pu�, 

invero, dimenticare che siamo in tema di determinazione di indennizzo, 

.e non di integrale ristoro del danno. 

L'irrilevanza del lucro cessante non esclude, peraltro, che il mancato 

reddito possa valutarsi nella determinazione della indennit�, allorch� 

l'immobile espropriato o residuato abbia sub�to una reale perdita o di


minuzione di valore (cfr. Cass. 16 ottobre 1962 n. 2997, che si riferisce al 

perduto o diminuito valore locativo dell'immobile), dovendo la redditivit� 

.del fondo ritenersi compresa nel contenuto economico del diritto di pro


priet� (cfr. Cass. 30 aprile 1969 n. 1393). 

Questi principi vanno rapportati all'ipotesi che �indubbiamente pre� 

senta aspetti anormali, di immobile coltivato a cava. Bisogna precisare 

�Che la disponibilit� di cui parla l'art. 826 e.e. a proposito delle cave corri


sponde al diritto di propriet� (cfr. Cass. 23 gennaio 1962 n. 95); e che, non 

potendosi prescindere da tutti gli elementi costitutivi del valore venale 

.del terreno espropriato in una libera contrattazione, non si pu� consi


derare come terreno esclusivamente agricolo (o, peggio, incolto impr6


-0uttivo) quello in cui sia compresa una cava attualmente co'ltivata o si


.curamente sfruttabile in futuro, dato che l'esistenza di tale cava incide 

su quel valore (cfr. Cass. 7 agosto 1962 n. 2431). 

Peraltro, non si pu� aver riguardo al valore di una azienda estrattiva 
.del materiale di cava, intesa come complesso organismo comprensivo di 
tutti i fattori della produzione collegati per l'esercizio dell'impresa; non 
si pu�, cio�, considerare il reddito di tale azienda, individuato mediante 
il calcolo della differenza tra i ricavi annui della vendita dei prodotti 
lapidei estratti (granulati e pietrame) moltiplicati per i ventidue anni di 
..durata della cava (presunta con riferimento al volume complessivo della 
roccia del bacino) da una parte e, dall'altra parte, i costi, consistenti 
negli impianti (macchine e attrezzature) e nelle spese di esercizio (per 
manodopera, materiali di consumo ed energia elettrica, riparazioni e ma


nutenzione, ammortamenti tecnici, spese generali). 

L'azienda come universitas facti non solo non costituisce il bene 

espropriato, ma non pu� essere valutata in quanto tale ai fini della de


terminazione della perdita di valore subita dall'immobile residuato dalla 

espropriazione. Bisogna, invece, aver riguardo all'immobile nella sua 

-oggettiva consistenza, vale a dire in quanto costituito da una roccia che 

ne consente lo sfruttamento come bacino di cava, facendo astrazione del


l'esistenza attuale di un'azienda estrattiva in esercizio. Occorre, insomma, 


RASSEGNA DELl.'AVVOCATURA DELLO STATO 

considerare il diritto di propriet� dell'immobile sia pure caratterizzato 
da quel peculiare contenuto che � dato dalla disponibilit� della cava; e� 
non invece il complesso dei mezzi organizzati per l'esercizio dell'attivit� 
estrattiva, della quale l'immobile costituisce uno (e certo il principale) dei 
fattori. 

Cos� rettificata l'indagine rispetto all'impostazione seguita dal consulente 
tecnico d'ufficio in base alle direttive impartitegli dal Tribunale 
regionale, non si pu� negare che le argomentazioni e le risultanze delle 
relazioni peritali redatte dall'Ing. Adragna (cos� come le valutazioni dei 
periti di parte) non siano direttamente utilizzabili. Neppure risulta convincente 
il riferimento al presumibile reddito netto della locazione del 
terreno come cava indicato dall'E.A.S. in L. 1.800.000 annue; e ci� non 
tanto perch�, in mancanza di un diverso criterio, non possa essere utilizzato 
qmi!llo cos� suggerito, quanto perch� la cifra esposta � priva di qualsiasi 
attendibile giustificazione. In proposito si pu�, anzi, osservare che di 
fronte ad un ricavo lordo annuo calcolato dal consulente tecnico d'ufficio 
in circa 49 milioni di lire e ad un reddito netto annuo dell'azienda 
calcolato in oltre L. 10 milioni (e pure dovendosi calcolare i capitali investiti 
nell'azienda stessa e il compenso agli altri fattori della produzione), 
la ritenuta rimunerazione del capitale immobiliare, che nella attivit� di 
coltivazione e gestione della cava assume un rilievo assolutamente preminente, 
va giudicata del tutto irrisoria. 

La valutazione dell'immobile nella somma di L. 21.607.200 che, secondo 
l'E.A.S., risulta della capitalizzazione del presumibile canone annuo� 
di locazione appare ancor meno attendibile se confrontata con le conclusioni 
del consulente di parte Bagnasco che ha indicato in L. 52 milioni 
il ricavo lordo annuo e in L. 21.595.000 il reddito netto annuo dell'azienda 
estrattiva. 

Ma se queste conclusioni sono da leggere con la dovuta cautela e richiedono 
un riesame critico (come ha fatto il consulente tecnico di ufficio), 
non si possono trascurare i dati ricavabili dalla relazione ufficiale 
sulla determinazione dell'indennit� di espropriazione. 

In questa relazione, calcolandosi separatamente dall'indennizzo da 
corrispondente all'esercente della cava l'indennizzo' da corrispondere� 
al proprietario si determina in L. 3.600.000 la rendita annua che, capitalizzata 
all'interesse del 6 per cento annuo, d� luogo ad un valore di lire 

40.168.800 (e di L. 36.270.000 scontato al novembre 1966 e comprensivo dell'indennizzo 
per mancata miglioria della superficie coltivata). 
Considerando che il consulente tecnico di ufficio ha fissato in 107 
milioni circa il valore della cava come azienda, poich� una valutazione 
dell<i. cava come immobile non � stata specificamente compiuta, in mancanza 
di pi� certi dati -che, del resto, a distanza di quasi nove anni: 
dall'interruzione dell'esercizio della cava non sarebbero agevolmente ac


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PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

quisibili, sicch� una indagine tecnica, che fosse per essere disposta ora 
per allora lascerebbe pur sempre margini di dubbio -questo Tribunale� 
Superiore, tenuto conto di tutte le risultanze peritali in atti, avvalendosi 
della competenza del suo componente tecnico e operando anche alla stregua 
dell'art. 1226 e.e., ritiene che il valore del bacino di cava, andate> 
totalmente perduto per effetto della costruzione dell'opera pubblica, 
debba essere, alla data del decreto di esproprio, determinato in una 
somma pari all'incirca ai 5/7 del valore dell'azienda indicato dal consulente 
di ufficio e, perci�, in Lire 75 milioni (comprensive, per arrotondamento, 
della somma di L. 79.860, e cio� dell'indennizzo per la striscia 
espropriata, sulla quale non vi � controversia fra le parti), calcolando� 
in ventidue anni la durata dell'esercizio della cava (che invece l'ufficio deI 
Genio civile di Palermo ha erroneamente ridotto a 19 anni). 

Questa valutazione potrebbe sembrare eccessiva se rapportata alla: 
esigua superficie espropriata: va, tuttavia, considerato che essa � la conseguenza 
della scelta operata (assai infelicemente, secondo l'appellante 
incidentale) per il tracciato dell'opera pubblica che non tocca un qualsiasi 
immobile, ma un immobile qualificato come � una cava: su tale scelta 
questo Tribunale Superiore non pu� interloquire, dovendosi limitare alla 
valutazione delle sue conseguenze sotto il profilo d�lla determinazione 
dell'indennit� di espropriazione ex art. 39 e 40 della legge n. 2359 del 1865. 

Resta in tal modo superata l'esigenza di prendere partitamente in 
esame le varie censure dell'appello ~cidentale del Bagnasco, che sono 
tutte volte a mettere in luce come l'effettivo valore della cava e degli 
impianti che con l'espropriazione sono andati definitivamente perduti 
sarebbe di gran lunga superiore a quello determinato dal Tribunale regionale 
sulla scorta delle valutazioni effettuate dal consulente di ufficio. 
Tali censure si riferiscono, infatti, all'individuazione dei costi di esercizio� 
dell'azienda (compensi al proprietario e al gestore, spese generali in rapporto 
al costo della manodopera, percentuale per riparazioni e manutenzione) 
e alla denuncia del danno derivante dalla immediata chiusura 
della cava in attesa del decreto di espropriazione (con logorio delle macchine 
e degli attrezzi, con spese di guardiania, di energia elettrica, dr 
sgombero del materiale, di procedimento per danno temuto). Risulta' 
evidente che si tratta di voci tutte attinenti al calcolo del valore dell'azienda 
di estrazione; e, dunque, si inquadrano in una logica che resta 
estranea all'impostazione qui accolta. Perde, inoltre, ogni rilievo l'errore 
di calcolo in cui � incorso il Tribunale nel sommare i vari addendi. 

Nel terzo motivo dell'appello principale si denuncia l'errore in cui 
sarebbe incorso il Tribunale regionale per non aver tenuto conto che, 
una volta effettuato (in data 10 dicembre 1968) il deposito presso la 
Cassa DD.PP. della somma di L. 76.065.948, su tale somma non potevan0> 
pi� decorrere interessi a carico dell'espropriante. 


'l.52 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In realt�, le espressioni usate dal Tribunale regionale a proposito della 
indennit� di occupazione legittima -determinata in ragione degli in� 
teressi legali sulla indennit� di espropriazione (criterio che � conforme 
ai principi enunciati dalla Suprema Corte e che non viene criticato) non 
appaiono perspicue, potendo alimentare il dubbio che la sentenza impugnata 
abbia inteso accordare gli interessi sull'intera somma liquidata con 
decorrenza dal 20 novembre 1966 (data di cessazione della attivit� della 
cava) e fino alla data della integrazione del deposito, mentre non si dubita 
che dal 10 dicembre 1968 gli interessi legali sarebbero stati da computare 
soltanto sulla somma liquidata in pi� rispetto a quella gi� depositata 
(cfr. Cass. 7 dicembre 1970 n. '2583; Cass. 18 dicembre 1968 n. 4020). 

Ad ogni modo, anche questa doglianza resta assorbita di fronte al 
rilievo che l'indennit� liquidata da questo Tribunale � (di poco) inferiore 
.a quella gi� depositata. 

In definitiva, l'indennit� di espropriazione va calcolata in 75 milioni 
.e quella di occupazione (legittima) nella misura degli interessi legali 
su lire _79.860 dal 20 aprile 1966 alla data del deposito e sulla differenza 
tra L. 75.000.000 e L. 79.860 dal 20 novembre 1966 sino alla predetta data 
.(10 dicembre 1968). 

In considerazione dell'esito globale della lite, si ritiene di dovere confermare 
la condanna� dell'E.A.S. al pagamento delle spese del giudizio di 
primo grado, mentre quelle del giudizio di secondo grado possono essere 
totalmente compensate. -(Omissis). 

III 

(Omissis). -La eccezione pregiudiziale della societ�, volta a far di.
chiarire il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva sull'an debeatur 
per essere l'appello dell'Amministrazione rivolto soltanto contro 
fa sentenza definitiva sul quantum, � manifestamente destituita di fondamento, 
entrambe le sentenze avendo formato oggetto sia dei motivi di 
gravame, sia di espressa dichiarazione di impugnazione nell'atto di appello 
(cfr. p. 7), sicch� la forma singolare (�impugnata sentenza�) che 
ieggesi nelle conclusioni risulta chiaramente frutto di un mero refuso. 
Con precedenza su tutte le altre censure, per ragioni di priorit� lo
�gico-giuridica, va esaminato il secondo motivo dell'appello principale 
.della stessa Amministrazione, nel quale si critica la decisione dei primi 
giudici per avere ritenuto applicabile alla specie la responsabilit� da atti 
llegittimi, sancita dall'art. 46 della legge sull'espropriazione per p.u. in 
relazione a danni sofferti dalle propriet� private in dipendenza dei lavori 
di esecuzione di un'opera pubblica. In primo luogo, secondo l'appellante, 
nel concetto di � esecuzione di opera pubblica � non pu� ricomprendersi 
anche il taglio di un argine disposto, come nella specie, dall'Amministra



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 153 

zione dei LL.PP. nell'ambito dei poteri di tutela sulle acque pubbliche, 
nell'ambito cio� di poteri-doveri di difesa del territorio e delle persone, 
non potendo ritenersi che di fronte a provvedimenti cos� latamente discrezionali 
permanga nel privato un diritto subiettivo perfetto, in quanto 
i provvedimenti stessi valgono ad affievolire il diritto di propriet�. A 
parte, poi, il rilievo che, a ben considerare, il -diritto subiettivo assertivamente 
leso non presentava tale ampiezza da ricomprendere anche il 
diritto al mantenimento e alla conservazione dell'argine, alla cui costruzione 
i proprietari finitimi non avevano mai vantato un diritto. La censura 
� poi precisata nei successivi scritti difensivi nel senso che il taglio 
per necessit� di ordine e di incolumit� pubblica degli argini di un corso 
d'acqua giammai pu� rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 46 
.citato, trattandosi di una situazione puntualmente prevista e disciplinata 
dall'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche, di cui al r.d. 25 luglio 1904, 

n. 523, che in via assoluta esclude la configurabilit� in materia di una 
responsabilit� per atti legittimi: di qui il difetto di giurisdizione per improponibilit� 
assoluta della domanda. 
La censura, contrariamente all'assunto della societ�, � ammissibile in 
rito anche in quest'ultima prospettazione, che costituisce una mera esplicazione 
della tesi di fondo circa la inapplicabilit�, in principio, dell'art. 46 
citato in tema di esecuzione di opere aventi relazione con il buon regime 
delle acque pubbliche e, comunque, si risolve nella denunzia di un difetto 

assoluto di giurisdizione, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del 
giudizio e non precluso, nella specie, dalla precedente dichiarazione di 
competenz;:t del giudice specializzato. 

La censura stessa, per�, � infondata nel merito. 

E' esecuzione di opera pubblica, ai sensi dell'art. 46 della legge sulla 
�espropriazione per p.u., non solo la realizzazione o la modificazione di un 
nuovo manufatto, ma anche la eliminazione di un manufatto esistente, 
avendo la norma riguardo a tutte le variazioni apportate alla situazione 
di fatto con risultati pregiudizievoli per i beni dei privati rimasti coinvolti 
nel compimento dei relativi lavori. In particolare, poi, per le opere 
idrauliche, pur esse pubbliche per eccellenza, la legge stessa annovera 
.come tali anche la � distruzione � di quelle esistenti (art. 2, comma secondo, 
r.d. del 1904 n. 523). 

N� pu� convenirsi con l'Amministrazione appellante sulla estraneit� 
di siffatte categorie di opere allo schema legale dell'art. 46 citato, 
giacch� testualmente dall'art. 140, lett. d, del t.u. sulle acque e sugli impianti 
elettrici risultano contemplate �le controversie... riguardanti... le 
indennit� previste dall'art. 46 ...in conseguenza della esecuzione o manutenzione 
di opere idrauliche�. E quale che debba essere, in generale, 
l'esatto coordinamento di tale disposizione con quella successiva, di cui 
.alla lettera e dello stesso art. 140, concernente �le controversie per risar



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

154 

cimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla P.A. e da 
qualunque provvedimento emesso dalla autorit� amministrativa a ter� 
mini dell'art. 2 del t.u. delle leggi 25 luglio 1904 n. 523 � (cfr. Cass. 19 novembre 
1964 n. 2760; Cass. 11 novembre 1959 n. 3341; Cass. 11 aprile 1958 

n. 2248), � recepito nella giurisprudenza della Corte Suprema l'insegnamento 
che l'azione per l'indennit� prevista dall'art. 46 in caso di danni 
sofferti dalle propriet� private in dipendenza della esecuzione di opere 
idrauliche rientra fra le ipotesi di cui alla citata lettera d (Cass. n. 2248 
del 1958), ed � sempre proponibile senza alcuna necessit� di previe indagini 
in sede amministrativa (Cass. n. 3341 del 1959). 
Ed � infine sufficiente appena un cenno per rilevare che il �diritto�, 
della cui menomazione la societ� ha chiesto di essere indennizzata � non 
gi� quello alla conservazione degli argini, ma il diritto di propriet� sui 
beni rimasti danneggiati a seguito -in tesi -dell'alterazione provocata 
sul normale deflusso delle acque di piena dal taglio degli argini della Fossa 
di Polasella. 

Parimenti infondato � il primo motivo, non applicandosi all'azione per 
indennizzo ex art. 46 citato, fondato su una responsabilit� per atto legittimo 
della P.A., la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2947 e.e. 
per l'azione di risarcimento danni da fatto illecito. 

Con il terzo motivo l'Amministrazione contesta l'accertamento com� 
piuto dal giudice di primo grado circa l'esistenza, in concreto, del nesso 
di causalit� fra la rottura artificiale degli argini ed i danni sofferti dai 
beni di propriet� dela societ� attrice, ed afferma che mancherebbe la 
prova che �la totalit� e larga parte dei danni lamentati� sia stata cagionata 
dall'acqua della seconda ondata, conseguente alla predetta apertura 
artificiale degli argini della Fossa di Polasella, e non, invece, dalla 
inondazione delle acque naturalmente straripanti, che gi� in precedenza 
avevano largamente invaso la zona interessata. 

Ma l'analitica ed approfondita valutazione delle risultanze istruttorie 

compiuta dal Tribunale regionale regge alle critiche, peraltro non molto 

specifiche, dell'appellante. 

La circostanza, tanto insistentemente sottolineata nel motivo di gravame, 
che gi� prima della apertura degli argini il comprensorio in cui 
sorgeva lo stabilimento della societ� era stato raggiunto ed invaso dalle 
acque di piena, � stata ben tenuta presente dalla sentenza impugnata, 
che ha correttamente visto in essa il presupposto di fatto sul quale 
si innesta la questione in esame, consistente appunto nello stabilire in 
qual misura si sia ripartita fra la prima e la seconda ondata di piena la 
eziologia dei danni sofferti dalla societ�. 

Orbene, sia le deposizioni dei testi escussi (Brusaferro, Breggiato, Albreschi, 
Cappellato, Cibin, Braggiotto), sia gli accertamenti compiuti dai 
consulenti di ufficio, ed analiticamente illustrati nelle rispettive relazioni, 

� 

-



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 

con riferimenti anche alle considerazioni dei periti della stessa parte 
convenuta, dimostrano quale maggiore violenza ed altezza raggiunse l'afflusso 
delle acque di piena con la seconda ondata. N� vale opporre che 
tale conclusione troverebbe conforto soltanto nelle �generiche affermazioni 
di alcuni testimoni, tutti dipendenti � della societ�, essendo sufficiente 
replicare come essa, invece, trovi conferma, oltre che nelle relazioni 
di diversi consulenti di ufficio succedutisi in causa, nella deposizione 
precisa e circostanziata di un teste, della cui indipendenza ed obiettivit�, 
in relazione alla sua professione non � dato di dubitare (n� dubita 
l'appellante), cio� del medico condotto Brusaferro, dalle cui dichiarazioni, 
come opportunamente ha gi� ricordato il Tribunale regionale, risulta 
che la primitiva massa di acqua, che aveva invaso � la zona di Bosaro, 
compresa quella in cui si travavano i pozzi delle centrali metanifere di 
Graziani� era �calma� e �defluiva molto lentamente verso oriente�, 
ed alla fine raggiunse una �altezza ove pi� ove meno... di mezzo metro�, 
mentre, dopo l'apertura degli argini ordinata dalle autorit�, si crearono 
delle � brecce attraverso le quali irruppe una seconda ondata molto pi� 
grave dell'altra, avente forte impeto con conseguente elevazione del livello 
dell'inondazione a circa un metro, un metro e mezzo � anche nella localit� 
delle dette centrali. 

Da tanto risulta pienamente giustificata la valutazione in termini 
percentuali della rilevanza causale attribuibile ai due diversi momenti 
della inondazione, valutazione che non rimane scalfita neppure dalla 
contrapposta censura -che si esamina qui per evidenti ragioni di connessione 
-mossa dalla societ�, in forma peraltro affatto immotivata e 
generica, coli il primo motivo dell'appello incidentale in ordine alla riduzione 
dell'indennit� liquidata ai 3/4 dell'intero: tale riduzione trova appunto 
ragione nella attribuzione causale del 25% alla inondazione naturale 
e del 75% a quella artificialmente provocata con l'abbattimento degli 
argini della Fossa di Polasella. 

Ancora al quantum dell'indennit� liquidata dal Tribunale regionale 
si riferiscono il quarto ed il quinto motivo dell'appello principale, con i 
quali l'Amministrazione deduce, rispettivamente, che � mancava comunque 
il carattere della permanenza dei danni � e che � i danni sono stati, 
in ogni caso, liquidati in misura eccessiva, tenendosi peraltro conto anche 
di quei danni che non avevano il carattere della permanenza �. 

Nessuna delle due censure pu� essere accolta. 

Premesso che la appellante non formula alcuna critica in ordine sia 
al criterio di massima adottato dalla sentenza non definitiva per determinare 
l'indennit�, rapportandola ad una misura �pari all'importo dei dan


ni... subiti � dalla societ�, sia alla natura, anche mobiliare, dei beni ritenuti 
indennizzabili dalla sentenza definitiva, � agevole rilevare, da un 
lato, come -a parte la mancata indicazione delle voci che sarebbero 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

state computate sebbene prive del predicato necessario -non possono 
non qualificarsi �permanenti� danni concretatisi nella distruzione o nel 
grave deterioramento fisico dei beni presi in considerazione, e, dall'altro, 
come -a parte anche qui la mancata specificazione di quale sarebbe 
dovuta essere la stima -i valori di indennizzo calcolati dal primo 
giudice siano perfettamente corrispondenti a quelli analiticamente e motivatamente 
indicati dai consulenti di ufficio. -(Omissis). 

IV 

(Omissis). -Con il primo motivo la Amministrazione ricorrente afferma 
che il Tribunale superiore ha erroneamente ravvisato il danno 
permanente derivante dalle opere di bonifica in questione nel maggior 
pericolo di esondazioni e inondazioni del fondo stesso nel mentre tale 
preteso maggior pericolo, a causa della sua incerta determinazione, non 
pu� costituire il danno permanente, che deve essere caratterizzato da 
una effettiva, emergente ed obbiettivamente determinabile menomazione� 
dell'immobile nelle sue qualit� �naturali e nelle possibilit� strumentali di 
esso. Inoltre la ricorrente amministrazione afferma che la sentenza non 
ha motivato sufficientemente sul punto del rapporto causale tra opera 
pubblica e tale preteso maggior pericolo, non dando poi neppur peso al 
fatto accertato che, nonostante le modificazioni apportate alla opera 
di bonifica nel 1965, si era verificato egualmente il pericolo di tracimazione, 
il che comproverebbe che � proprio la naturale giacitura dei terreni 
priva di un sistema naturale di scoli a dar luogo alle inondazioni in 
occasione di piogge pi� intense. 

La censura non ha fondamento. Quanto alla individuazione del pregiudizio 
da tenere a base dell'indennizzo, il Tribunale superiore ha cl�a-� 
ramente esposto che il pregiudizio � costituito dal maggior pericolo di 
inondazioni conseguente alle opere costruite. Il che appunto importa 
quella diminuzione delle qualit� naturali e delle possibilit� strumentali 
del fondo giacch� o costringe ad attuare culture meno sensibili agli effetti 
delle inondazioni o pu� portare a spese per contenere o per ovviare a 
tale pericolo. Soprattutto tale sopraggiunta qualit� negativa ha effetto 
sul valore commerciale del bene nel comune commercio, in quanto essa 
(maggiore esposizione ad inondazioni) � un fattore che incide, come �� 
nozione di comune conoscenza, sulla appetibilit� del fondo stesso. Quindi 
non � l'astratto pericolo il pregiudizio indennizzabile ma l'effetto di que-� 
sto sulle qualit� agricole del suolo nel senso specificato. Il Tribunale si; 
� fermato alla causa senza specificare l'effetto di tale maggiore pericolo,. 
in quanto ha certamente ritenuto superfluo, essendo questo una conse-� 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 157' 

guenza evidente, specificare che tale maggior pericolo aveva influenz~ 
negativa sul valore di uso e di commercio del suolo. Quanto al pret~so� 
difetto di motivazione sul nesso di causalit� tra le opere di bonifica ed il 
preteso pericolo il Tribunale ha spiegato che questo si verificava per 
effetto del contrasto di correnti che si determina nel nuovo canale trasversale 
ed inoltre a causa del maggior convogliamento di acque dal canale� 
Tazzera al canale Rapecchio, fatti questi che determinavano una minore 
resistenza degli argini con conseguente possibilit� di crolli o comunque 
di tracimazioni. Anche l'argomentazione della sentenza tratta dalla circostanza 
che. gli inconvenienti accennati erano cessati per effetto delle nuove 
opere effettuate dall'Amministrazione ricorrente, � logico e coere:p.te, 
costituendo la riprova che, prima di tali modifiche, sussisteva un rapporto 
di causa ad effetto tra dette opere e l'accresciuta possibilit� di inon


dazioni. 

Con il secondo motivo l'Amministrazione ricorrente afferma che,. 
erroneamente, anche ai fini della valutazione equitativa dell'indennizzo, il 
Tribunale superiore ha tenuto conto esclusivamente di danni occasionali 
ai fondi, trascurando altri elementi utili alla valutazione stessa e quindi 
:il Tribunale avrebbe in definitiva ancorata la valutazione di un danno� 
permanente alla verificazione di danni puramente occasionali. 

La censura non � fondata. Invero l'adozione del criterio equitativo� 
nella liquidazione di un pregiudizio economico presuppone l'impossibilit� 
di determinare nella sua precisa entit� il danno, onde la determinazione 
del danno � rimessa al prudente arbitrio del giudice, il quale prescieglie-r� 
il modo di determinarlo. E' chiaro, pertanto, che non potrebbe preten-dersi 
dal giudice in tale. caso la dimostrazione rigorosa e matematica 
della validit� dei criteri adottati proprio per la natura della valutazioneed 
il giudice � solo tenuto ad esporre il procedimento logico attraverso� 
il quale perviene alla liquidazione stessa. Solo se appaia chiaramente illogico 
(e quindi iniquo) il criterio adottato, la valutazione non si sottrarebbe 
al controllo di legittimit� di questa Corte di legittimit� alla 
stregua dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. Tale vizio non � per� riscontrabile�: 
nel caso di specie. E' pur vero che il Tribunale superiore ha fatto riferimento 
ai danni effettivi del fondo, ma, come emerge dalla motivazione� 
complessiva, questi sono stati riguardati solo come indice del deprezzamento 
del fondo, giacch� di essi il Tribunale ha tenuto conto in misura 
percentuale come criterio di valutazione equitativa. 

Per quanto pi� sopra si � esposto, non potrebbe pretedersi che il' 
giudice dica perch� si � basato su una misura percentuale piuttosto che� 
su un'altra, ci� rientrando nel suo prudente arbitrio. 

Pertanto il ricorso, essendo infondato, va rigettato con la conseguen-� 
te condanna dall'Amministrazione ricorrente alle spese. -(Omissis). 


158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 10 novembre 1975, n. 25 -Pres. Danzi 
-Rel. Granata -S.T.A.N.I.C. -Industria petrolifera -S.p.A. (avv. Guidi) 

c. Petruzzelli e altro (avv. Ciancola e Parrelli) e Ministero dei lavori 
pubblici (avv. Stato Albisinni). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Acque sotterranee -Pubblicit� -Condizioni 
-Esistenza in comprensorio soggetto a tutela -Irrilevanza. 

(T. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 103, 104 e 105). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Competenza e giurisdizione -Tribunali 
delle acque -Pubblicit� dell'acqua -Accertamento negativo -Declinatoria 
di competenza per le altre questioni. 

(T. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140). 
Le acque sotterranee, ancorch� ricomprese in comprensori soggetti 
.a tutela, sono pubbliche solo in quanto presentino in concreto attitudine 
.ad usi di pubblico generale interesse (1). 

Il tribunale delle acque, che esclude la natura pubblica di una acqua, 
legittimamente declina la propria competenza in ordine agli ulteriori 
.aspetti d'una controversia avente ad oggetto diritti relativi all'uso della 
.medesima acqua (2). 

(Omissis). -Con i quattro punti, in cui � articolato l'atto di appello, 
la Stanic -Industria Petrolifera s.p.a. propone sostanzialmente una duplice 
censura contro la sentenza impugnata: 

a) per avere il Tribunale regionale escluso la natura pubblica dell'acqua, 
edotta dal pozzo aperto nel fondo condotto in affitto dai Petruz.
zelli, sulla base di un accertamento del Genio civile eseguito � dopo � 
l'abbandono del pozzo stesso da parte degli utenti, laddove, secondo l'ap-
pellante, l'indagine circa l'attitudine dell'acqua predetta ad un uso 
pubblico doveva effettuarsi con riferimento alla situazione precedente e 
comunque in relazione all'intero bacino imbrifero; 

b) per avere, comunque, il Tribunale regionale omesso di esaminare 

l'altro profilo della questione, da essa Stanic sollevata, circa la illegittimit� 
dell'uso, dai Petruzzelli fatto di tali acque, perch� in eccesso ai 
limiti fissati dagli artt. 92 e ss. t.u. del 1933 n. 1775, che invece si sarebbero 
dovuti osservare trattandosi di acque sotterranee appartenenti ad 

(1) La massima costituisce una puntuale applicazione della disciplina 
des:umibile dalle disposizioni speciali sulle acque sotterranee, dettate nel titolo 
II del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775. Il decreto previsto dall'art. 94 t.u., con 
-cui � individuato il comprensorio soggetto a tutela, attribuisce a questo una 
qualit� che rileva per l'attribuzione all'autorit� amministrativa di poteri di 
autorizzazione (art. 95) e di polizia (art. 105) in ordine alla ricerca estrazione 

.e utilizzazione delle acque sotterranee. La natura pubblica o privata delle 
.acque sotterranee scoperte in tali comprensori dipende invece pur sempre 



PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 159 

un comprensorio dichiarato soggetto a tutela, ai sensi delle medesime di� 

sposizioni. 

Entrambe le censure sono prive di fondamento. 

E' infondata la prima, perch� dalla nota 23 giugno 1972 del Genio 
civile di Bari risulta che la valutazione, circa la mancanza nell'acqua 
in questione delle � caratteristiche... per essere considerata ad uso pubblico 
di generale interesse >>, ha avuto riguardo al modo di essere dell'acqua 
in s�, indipendentemente dall'abbandono in atto della presa, come � 

fatto palese dagli espressi riferimenti alle caratteristiche del pozzo " comparate 
con quelle degli altri pozzi esistenti nella zona, alla �profondit�" 
di esso e, soprattutto, alla � limitata quantit� di acqua rinvenuta �, elementi 
tutti, questi, non influenzati e non influenzabili dall'attualit�, o meno, 
dell'attingimento. N� la pubblicit� pu� discendere ex se, come giustamente 
ha osservato il giudice di primo grado, dalla circostanza che trat� 

tasi di acque sotterranee facenti parte di un comprensorio soggetto a 
tutela, la legge stessa prevedendo la duplice ipotesi che acque siffatte abbiano, 
oppur no, i caratteri per essere considerate pubbliche (cfr. art. 103, 
comma secondo, e art.104, comm� primo, t.u. citato). 

Parimenti infondata � la seconda censura, perch� il Tribunale regio� 
nale non ha ignorato la questione circa la legittimit�, o meno, dell'uso 
fatto dai Petruzzelli dell'acqua edotta dal pozzo prima del suo abbandono, 
ma si � dichiarato incompetente a conoscerne. E tale pronunzia � affatto 
corretta, in quanto presupposto della competenza del giudice specializzato 
nella ipotesi dell'art. 140, lett. e, invocata dall'appellante, � la natura pubblica 
dell'acqua, onde, una volta accertato, come nella specie, che la controversia 
ha ad oggetto diritti relativi alla utilizzazione di acque private, 
il giudice stesso non pu� non declinare la propria competenza al riguardo. 
-(Omissis). 

dalla loro attitudine ad usi di pubblico generale interesse (art. 103, commi 
primo e secondo). 
In termini, cfr., Cass., 3 ottobre 1970 n. 1782, Foro it., 1971, I, 2652; Cass., 
12 marzo 1960 n. 497, Giust. civ., 1960, I, 669 e Foro it., 1960, I, 360. 

Tra le pi� recenti decisioni in materia di acque sotterranee, cfr., Cass., 
7 dicembre 1974 n. 4088, in questa Rassegna, 1974, I, 424; Trib. sup. acque, 5 
giugno 1974 n. 13, ivi, 1975, I, 257; Trib. sup. acque, 15 ottobre 1973 n. 29, 
ibideni, 1974, I, 494. 

(2) La pronunzia con cui il tribunale delle acque, adito in una controversia 
ex art. 140 del t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, dichiara che l'acqua non 
ha natura di acqua pubblica viene a porsi come pronunzia .di accertamento 
incidentale su questione pregiudiziale emergente in causa non appartenente 
alla propria competenza per materia, in relazione alla quale correttamente 
il tribunale declina la propria competenza. 
Per riferimenti cfr. Cass., 5 settembre 1974 n. 2417, in questa Rassegna, 
1974, I, 1477, relativa ai rapporti tra causa di competenza dei tribunali ord�� 
nari e questione pregiudiziale di competenza dei tribunali delle acque. 



SEZIONE OTTAVA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 12 dicembre 1974, n. 1045 -Pres. 
Bonomo -Rel. Marcarino -P. M. Moscarini (conf.) -Rie. P.M. in 
proc. Marinussi. 

Caccia pesca -Pesca marittima -Tutela delle risorse biologiche e della 
attivit� di pesca -Immissione di sostanze inquinanti -Scarico di 
acque reflue di albergo -Sussistenza di reato -Fattispecie� 

. Lo scarico in mare di acque reflue di un albergo integra il reato� 
di cui a.ll'art. 51 lettera e) legge 14 luglio 1965, n. 963 sulla disciplina� 
della pesca marittima che vieta di immettere in mare sostanze inquinanti. 


(Nella specie era risultata da perizia la nocivit� delle immissioni 
e la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante la quantit� di tali immissioni 
non facendo la legge ad essa riferimento) (1). 

(1) Un problema, che ricorre sovente nei processi per inquinamento, �quello 
della costituzione di parte civile del Ministero della Marina Mercantile, 
quando vengono contestati i soli reati previsti !:! puniti dagli art. 1174 
(inosservanza delle norme di polizia portuale) e 1166 (getto di materiali e� 
interramento dei fondali) del codice della navigazione, contestazioni ricorrenti 
nelle ipotesi di inquinamento degli specchi d'acqua portuali. :I:!. un problema 
peraltro di facile soluzione e risolvibile in senso positivo. 
La contestazione infatti del solo reato contravvenzionale p. e p. dell'art. 1174 
cod. nov. non esclude la legittimazione e l'interesse alla costituzione di parte civile 
del Ministero della Marina Mercantile, ben potendo i danni essere derivati in 
via diretta ed immediata dalla commissione del reato contravvenzionale specialmente 
quando esso realizza la stessa condotta materiale prevista dall'art. 15 lettera 
e) della legge 14 luglio 1965 n. 963. 

Tali ipotesi ricorrono, ad esempio, nei casi, frequentissimi, di dispersione 
di petrolio e prodotti derivati dalle navi cisterna durante le operazioni di 
carico e di scarico. I danni in tal caso non consistono soltanto, in quelli,. 
facilmente accertabili nella loro entit�, rappresentati dalla spesa per il recupero 
degli idrocarburi galleggianti, ma in quelli, difficilmente quantificabili~ 
eppure potenzialmente pi� gravi, di inquinamento delle acque, di nocumento 
per la fauna ittica e di alterazioni chimiche o fisiche dell'ambiente, che possono 
essere provocati dalla immissione di notevoli quantit� di idrocarburi 
negli specchi d'acqua e che possono verificarsi anche se le sostanze inquinanti 
o tossiche, dopo un periodo pi� o meno lungo di permanenza in 
mare, vengono recuperate. 


PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 161 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 aprile 1975, n. 294 -Pres. Rosso -
Rel. Angioni -P. M. De Gennaro (parz. diff.) -Rie. Piscopo. 

Parte civile -Costituzione -Forme e termini -Costituzione predibattimentale 
-Termine per la notifica all'imputato. 

L'art. 95 cod. proc. pen. non dispone espressamente un termine 
per la notifica all'imputato della costituzione di parte civile avvenuta 
prima del dibattimento, limitandosi a precisare che la costituzione pro� 
duce effetto dal giorno nel quale venne eseguita l'ultima notificazione,' 
fino a tale momento non si ha, quindi, perfezionamento del rapporto 

In altri termini, pu� ben accettarsi l'affermazione implicita nella collocazione 
delle norme e nell'intento del legislatore, che i beni protetti rispettivamente 
dall'art. 15 lettera e) della L. 963 del 1965 e dall'art. 1174 cod. nav. 
siano dh:ersi, tutelando la prima norma le risorse biologiche dell'acqua marina 
e la seconda l'ordinamento e il traffico portuale (v. in questo senso 
e per un'ipotesi di concorso di reati, la . sentenza della Cassazione 26 ottobre 
1972, n. 1614 rie. P.M. e Xenos mass. 123.895 in Massimario delle Decisioni 
penali, 1973, p. 488 che questa affermazione ha avuto occasione di effettuare 
in ordine al reato contravvenzionale analogo di cui all'art. 71 cod. nav.), ma 
da ci� non discende la conseguenza che la costituzione di parte civile del 
Ministero della Marina Mercantile non si possa effettuare per quei danni che 
nella pi� grave ipotesi dolosa prevista dall'art. 15 della legge n. 963 del 
1965 costituiscono il danno criminale vero e proprio. 

Come � noto infatti, il danno criminale, individuato, quanto meno nella 
terminologia adottata dall'Antolisei nel suo Manuale di dir. pen., nella lesione 
del bene protetto, pu� non coincidere con il danno risarcibile, che pur 
tuttavia legittima alla costituzione di parte civile, quando sia conseguenza 
diretta ed immediata dell'azione criminosa (tipico l'esempio del danno risarcibile 
nell'omicidio). Non occorre quindi che i danni da reato ex art. 1174 
cod. nav. siano diversi da quelli di cui all'art. 15 lettera e) della 1. n. 963 
del 1965 perch� possa provvedersi alla costituzione di parte civile, n� ci� � 
imposto dall'ordinamento, il quale anzi consente, con la previsione specifica 
di un delitto (art. 15) e con quella, generica, di una contravvenzione, (art. 
1174) di colpire ogni tipo di condotta, sia essa dolosa o colposa, che leda 
il bene protetto dalla legge del 1965. 

� opportuno invece rilevare che il confronto fra la norma di cui all'art. 

1174 e quella di cui all'art. 71 induce a ritenere che il getto colposo �'Cii 

materiali (i quali, non distinguendo la lettera della legge, possono essere 

sia inquinanti, sia non inquinanti) integra il reato previsto dal secondo arti


colo, reato che pu� concorrere con quello di cui all'art. 1174. 

Non pu� dubitarsi infatti che i due reati possono concorrere material


mente, apparendo diversi i beni protetti: pur se compresi entrambi nello 

stesso capo concernente le disposizioni sull'ordinamento e sulla polizia dei 

porti, il reato previsto dall'art. 1166 con riferimento all'art. 71 tutela il bene 

della pulizia delle acque, mentre quello previsto dall'art. 1174 tutela sopra� 

tutto la sicurezza nei porti. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

processuale relativo alla costituzione di parte civile. Circa il termine 
entro cui ci� pu� avvenire, deve coordinarsi l'art. 95 cod. proc. pen. 
con l'art. 93 che stabilisce in generale il principio inderogabile secondo 
il quale la costituzione di parte civile pu� avvenire solo prima delle 
formalit� di apertura del dibattimento. Dopo tale momento per il combinamento 
disposto degli artt. 93 e 95 citati, non vi pu� essere costituzione 
dibattimentale, ma, neanche potrebbe essere perfezionata quella 
eseguita prima del dibattimento, divenuta definitivamente inefficace, in 
quanto i suoi effetti erano sospesi in attesa del perfezionamento delle 
parziali notifiche gi� compiute (1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 24 maggio 1975, n. 69 -Pres. Leone -
Rel. Faccini -P. M. Suriana (conf.) -Rie. P.M. in proc. Giannattasio. 

Procedimento penale � Decreto di citazione � Persone diverse dall'imputato 
(citazione delle) � Parte civile -Omessa citazione � Nullit� relativa 
� Deducibilit� da parte del P .M. 
(cod. proc. pen. artt. 408, 412, 422, 517). 

La parte civile, una volta ritualmente costituita, ha diritto alla noti� 
fica del decreto di citazione nei vari gradi del giudizio. L'omessa citazione 
per il giudizio determina una nullit� relativa, rilevabile in ogni 
momento (a seguito della sentenza della Corte Costituzfonale 20 dicem~ 
bre 1968, n. 132 che ha dichiarato illegittima la norma dell'art. 422 cod. 
proc. pen.) e deducibile dal P.M., cui incombe di curare l'osservanza della 
legge processuale (2). 

Occorre poi tener presente, per quanto concerne l'art. 71, che la Suprema 
Corte, che aveva ritenuto che il reato p. e p. della suddetta norma 
fosse a carattere doloso (cass. Sez. III 26 ottobre 1972, n. 1615, rie. PM e 
Xenos mass. 123.894 in Massimario dee. penali 1973 p. 488) ha successivamente 
mutato radicalmente il iProprio avvtiso, al�fermando che l'immissione 
colposa, diretta o indiretta di sostanze inquinanti nelle acque marine, 
� punibile ai sensi dell'art. 71, affermazione questa che appare molto 
pi� accettabile e conforme ai principi generali, alia dizione letterale usata 
dal legislatore a alle stesse indicazioni della dottrina. Quest'ultima infatti 
esclude il reato solo in presenza di un evento di forza maggiore (V. P. MANCA, 
Studi di dir. della nav., Giuffr� 1963, IV p. 214; Cass. III Sez. 24 maggio 
1973 n. 1109 rie. Pappalardo mass. 125362 in Massimario dee. penali 1973, 

p. 1179). 
(1-2) La. prima massima � conforme alla normativa in vigore. Sulla seconda 
v. nello stesso senso, Cass. 7 giugno 1972 in Cass. Pen. Mass. Annotato 
1973, p. 1300, m. 1751. 


PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE 

La costituzione di parte civile in grado d'appello. 

Come � noto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 132 del 1968 ha dichiarato 
costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 24, I e II comma della 
Costituzione, l'art. 422 c.p.p. nella parte in cui consente la sanatoria della nullit� 
per omessa citazione della parte civile, dell'offeso dal reato o dal querelante, se 
non dedotta immediatamente dopo compiute le formalit� d'apertura del dibattimento, 
nullit� sancita dall'art. 412 in relazione all'art. 408 c.p.p. 

Prescindendo dal considerare se la sentenza surrichiamata abbia natura di 
sentenza interpretativa di accoglimento (dato che buona parte della dottrina 
aveva sostenuto che l'art. 422 c.p.p. non era applicabile a chi, per omissione 
della citazione, non aveva avuto notizia del processo) � determinante rilevare 
quali effetti la dichiarazione di incostituzionalit� abbia avuto e quale sia la 
natura della nullit�, ora non pi� sanabile per la decorrenza del termine di 
cui all'art. 422. 

Gi� prima della sentenza dell� Corte Costituzionale la dottrina e qualche 
decisione giurisprudenziale riconoscevano che -nonostante la norma di cui 
all'art. 93 c.p.p. la quale consente la costituzione di parte civile fino a quando 
non siano compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento 
-era ammissibile la costituzione nel nuovo giudizio che venisse 
celebrato con nuove valide formalit� di apertura del dibattimento (Cass. 21 
aprile 1964 in Cass. Pen. Mass. Annotato 1964, p. 822, n. 1467) poich� si riteneva, 
esattamente, che non potesse costituire un precedente ostativo un'.dienza 
nella quale fosse stato dichiarato nullo il decreto di citazione: � l'effetto preclusivo 
� ricollegato al compito delle formalit� di apertura di un dibattimento 
valido: un atto processuale nullo, la cui nullit� non sia stata sanata, nullum 
producit effectum � (cos� il CORDERO, Proc. pen., 1971 p. 255 v. anche LEONE, 
Sulla nullit� per omessa o irregolare citazione della parte civile in Riv. It. dir.1 
e proc. pen. 1961, p. 562). 

Tale possibilit� peraltro sussisteva -secondo la pi� diffusa interpretazione 
dell'art. 422 -soltanto se la nullit� veniva sollevata entro il termine 
previsto da questa norma (la quale fra l'altro, per una incongruenza legislativa 
gi� rilevata in dottrina, poneva il termine utile per dedurre la nullit� in 
un momento successivo a quello in cui l'art. 93 fissa la decadenza dal diritto 
di costituirsi parte civile). 

La dichiarazione di incostituzionalit� che ha travolto l'art. 422 ha rimosso 

l'ostacolo temporale alla rilevabilit� della nullit�, proprio in considerazione 

della violazione del diritto della difesa che la sanatoria comportava e perch� 

altrimenti, si legge nella sentenza della Corte Costituzionale, � all'offeso del 

reato non era consentito, in dipendenza di fatti a lui non imputabili, di deter


minarsi e di procedere alla costituzione di parte civile per e in tutto il tempo 

ammesso dalla. legge �. 

Appare quindi chiaro, sia per questa motivazione sia per l'incongruenza 

legislativa sopra accennata, che la costituzione di parte civile possa avvenire, 

nel caso di omessa citazione dell'offeso dal reato o del querelante, anche dopo 

che siano compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibatti


mento e proprio a causa della nullit�, non pi� sanabile, che lo inficiava. 

Nonostante che la Corte Costituzionale non abbia dichiarato l'illegittimit� 

costituzionale derivata, a norma dell'art. 27 I. 11 marzo 1953 n. 87 di altre 

norme del codice di procedura penale, queste devono essere interpretate in 

coordinamento fra di loro e tenendo conto degli effetti conseguenti alla dichia


rata insanabilit� della nullit�: ch� anzi, a ben vedere, non v'era ragione di 

dichiarare l'illegittimit� derivata di altre norme in conseguenza della dichiara



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

164 

zione di illegittimit� dell'art. 422. �: infatti conseguenza della nullit� dei precedenti 
atti che la costituzione di parte civile possa avvenire anche dopo compiute 
per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento (art. 93 
c.p.p.), che quindi l'opposizione alla costituzione possa avvenire anche successivamente 
al termine previsto dall'art. 98 secondo comma e immediatamente 
dopo l'avvenuta costituzione e che, infine, l'esclusione della parte civile ad opera 
del giudice possa avvenire in ogni stato e grado del procedimento (art. 99), 

La costituzione di parte civile invero -che gi� sotto il vigore dell'art. 422 
era stata ritenuta ammissibile in appello quando il giudice di secondo grado 
avesse dichiarato la nullit� del giudizio di primo grado per la mancata citazione 
della persona offesa (Cass. 10 luglio 1951 in Giust. pen. 1951, III, 643, m. 
552; 4 giugno 1952, ivi 1952, III, 746, m. 702) deve a maggior ragione ritenersi 
ammissibile adesso. 

La costituzione di parte civile in grado di appello comporta peraltro altri 
problemi di non facile soluzione: la disciplina della materia va, nel codice di 
rito, ricercata nella norma di cui all'art. 522 il quale, nei suoi primi tre commi, 
dispone diversamente a seconda dei tipi di nullit� riscontrate. 

Le nullit� assolute ex art. 185 e quelle di cui al II comma dell'art. 445 comportano 
rispettivamente, previa declaratoria della nullit� con sentenza, la trasmissione 
degli atti .al giudice di primo grado o al pubblico ministero. Quelle 
relative, che non siano state sanate, comportano o la rinnovazfone degli atti nulli 

o la mera declaratoria di nullit�, qualora il giudice riconosca che l'atto nullo non 
fornisce elementi necessati al giudizio. 
Questa normativa va integrata con quella di cui agli artt. 34 e 36 c.p.p. che 
prevedono in ordine alla competenza per materia, nullit� insanabili e rilevabili 
in ogni stato e grado del processo. 

Di tutte queste forme di nullit�, quella che pi� si avvicina a quella conseguente 
all'omessa citazione della parte lesa, � quella disciplinata dal III comma 
dell'art. 522. La soluzione per� che questa norma impone (costituzione innanzi 
al giudice d'appello, che pu� ordinare la rinnovazione del dibattimento, non 
conoscendo il nostro sistema processuale penale altra ipotesi di rinnovazione 
obbligatoria del dibattimento che non sia quella dell'art. 565 ultimo comma) � 
criticata in dottrina, in quanto non attua effettivamente il diritto di difesa 
garantito dalla Costituzione in ogni stato e grado del procedimento, tanto che altri 
autori propendono per una interpretazione analogica dell'art. 522 II comma, 
traendo argomenti dal comune carattere di insanabilit� delle nullit� previste 
dall'art. 185 e dall'art. 412 e dalla comune predisposizione per la tutela del pieno 
espletamento del diritto della difesa rispettivamente dell'imputato e della persona 
offesa dal reato ed affermano conseguentemente che il� giudice di secondo grado 
deve rinviare gli atti al primo giudice per il giudizio. 

PAOLO DI TARSIA di BELMONTE 



PARTE SECONDA 



LEGISLAZIONE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice d.i procedura penale, art. 108, .primo comma, nella parte in cui noni 
consente, nel corso dell'istruzione sommaria, la citazione del responsabile civile, 
'nei cui confronti si richieda la provvisionale di cui all'art. 24 della legge 
24 dicembre 1969, n. 990. 

Sentenza 22 gennaio 1976, n. 14, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

codice di procedura penale, art. 598, nella parte in cui non prevede che 
prima della decisione della corte d'appello si proceda agli adempimenti di cui 
all'art. 372, primo e secondo comma, dello stesso codice, ai fini dell'esercizi0> 
delle facolt� di questa norma previsti. 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 5, G. U. 21 gennaio 1976, r> 18. 

r.d. 22 aprile 1909, n. 229, art. 22, secondo comma. 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

r.d.I. 27 novembre 19119, n. 2373, art. 24, secondo comma. 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

r.d. 13 agosto 1933, n. 103�8, art. 72, nella parte in cui prescrive per la 
proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi dirittO' 
al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla 
data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato. 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

r.d. 12 luglio 1934, n. 12141 art. 63, nella parte in cui prescrive, per la 
proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto� 
al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla 
data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato. 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

r.d. 12 luglio 1934, n. 2312, art. 49. 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

.2 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 60, nella parte in cui prescrive, per la pro� 
posizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al 
trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data 
,di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato. 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

legge 6 luglio 1939, n. 1035, art. 54, primo comma. 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

legge 6 febbra-io 1941, n. 1'76, art. 63, .primo comma. 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

legge 25 luglio 1941, n. 934, art. 59, primo comma. 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 3, secondo comma, nella parte in cui 
�.dispone che i membri del consiglio di giustizia amministrativa della regione 
siciliana in sede giurisdizionale, designati dalla giunta regionale, possono essere 
,riconfermati. 
Sentenza 22 gennaio 1976, n. 25, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

d.P.R. 5 giugno 1952, n. 656, art. 90, primo comma. 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 538, articolo unico. 
Sentenza 22 gennaio 1976, n. 19, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

legge 6 agosto 1967, n. 699, art. 29, secondo comma. 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

legge 28 luglio 1971, n. 585, art. 19, primo comma, nella parte in cui 
�dispone che il termine per la riasswizione del processo, interrotto a seguito 
�della morte del ricorrente, decorre dall'interruzione anzich� dalla data in cui 
;gli eredi del ricorrente ne abbiano avuto conoscenza. 

Sentenza 19 febbraio 1976, n. 36, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

legge 28 luglio 197'1, n. 585, art. 19, primo comma, art. 19, terzo comma, 

nella parte in cui non prevede che l'istanza del Procuratore generale debba 
.essere notificata agli eredi del ricorrente. 

Sentenza 19 febbraio 1976, n. 36, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 



PARTE IJ, LEGISLAZIONE 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 2941, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 19 febbraio 1976, n. 35, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 


codice di procedura civile, art. 409 (art. 3, primo comma, della Costituzione). 


Sentenza 19 febbraio 1976, n. 29, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

codice di procedura civile, art. 409, n. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 19 febbraio 1976, n. 33, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

codice di procedura penale, art. 90 (artt. 24, secondo comma, e 3 della 
Costituzione). 

Sentenza 15 gennaio 1976, Ii. 6, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

codice di procedura penale, art. 500 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 22 gennaio J976, n. 18, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

r.d.I. 23 novembre 1936, n. 2523, art. 20, secondo e terzo comma (artt. 3, 
primo e secondo comma, 9, primo comma, e 39 della Costituzione). 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 7, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

legge 23 novembre 1939, n. 1815, art. 2 (a:rt. 41, primo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 22 gennaio 1976, n. 17, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

d.l.. 14 febbraio 1948, n. 43, art+. 2 e 3 (artt. 2, secondo comma e 5, numeri 
3 e 4, 51 della legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, e art. 2 della legge 
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5). 
Sentenza 19 febbraio 1976, n. 26, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

d.I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 5, terzo comma (art. 3, 24, 113, secondo 
.comma, 125, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 22 gennaio 1976, n. 25, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

l~e 2 aprile 1958, .n. 339, arlt. 1 e 17, lettera b (artt. 3, primo comma, 
-e 36, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 19 febbraio 1976, n. 27, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

legge 6 novembre 1963, nr 1444, artt. 1 e 3 e successive norme di proro_ga 
della le9ge (artt. 3 e 42, secondo comma). 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 3,�G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 


4 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge 22 luglio 1966, n. 607, arff. 1 e 18 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 2, G. U. 21 gennaio 1976. 


legge 28 luglio 1967, n. 641, art. 14, ultimo comma (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 22 gennaio 1976, n. 15, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 20 (artt. 3, 4, 35, 36 e 38 delfa Costituzione). 


Sentenza 19 febbraio 1976, n. 30, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

legge 26 novembre 1969, n. 833, arff. 1, secondo comma, e 2, primo comma 
(artt. 3, 4, 31 e 42 della Costituzione). 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 4, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.I. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 56 (artt. 3, 4, 31 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 15 gennaio 1976, n. 4, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 
legge 30 dicem~re 1971, n. 1204, art. 1, terzo comma (artt. 4, 31 e 35 
della Costituzione). 

Sentenza 15 gennaio 1976, n. 9, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3, n. 2, lettere b e c (artt. 2 dello statuto 
della regione del Trentino-Alto Adige e 6 della Costituzione). 
Sentenza 19 febbraio 1976, n. 34, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

legge 20 dicembre 1973, n. 830, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 19 febbraio 1976, n. 32, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, art. 1, primo e secondo comma (art. 3 
della Costituzione). 
Sentenza 19 febbraio 1976, n. 32, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

legge reg. Lombardia approv. 26 marzo 1975 e ria.ppr. 20 novembre 1975. 
Presidente del Consiglio dei� Ministri, ricorso depositato 16 dicembre 1975, 

n. 23, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 
legge reg. Umbria approv, 1 O aprile 1975 e r:appr. 20 novembre 1975. 
Presidente del Consiglio dei Ministri ricorso depositato 19 dicembre 1975, 

n. 24, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18.. 

PARTE II, LEGISLAZIONE� J 

legge reg. Lombardia approv. 30 aprile 1975 e riappr. 4 dicembre 1975. 

Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 3 gennaio 1976, 
n~ 1. G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

III � QUESTIONI PROPOSTE 

Codice civile, art+. 565 e 578 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione) 
Corte d'appello dell'Aquila, ordinanze 9 ottobre 1974, G. U. 11 febbraio 1976, 

n. 38. 
, codice civile, artt. 826, ultimo comma, 828, ultimo comma, e 830, ultimo 
comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanza 8 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

codice civile, art. 2948, n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Roma, ordinanze 22 e 29 settembre 1975 (dieci), G. U. 7 gen� 
naio 1975, n. 5. 

cod�ice di procedura civile, artt. 151 e 274 (artt. 25 e 101 della Costi� 
tuzione). 

Pretore di Milano, ordinanza 23 giugno 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 

codice di procedura civile, art. 429 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 

Giudice conciliatore di Cagliari, ordinanza 24 ottobre 1975, G. U. 25 feb� 
braio 1976, n. 51. 

codice penale, artt. 89 e 169 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 
Pretore di Genova, ordinanza 17 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 


codice penale, art. 266 (art. 21 p.p. e 25, della Costituzione). 


Corte di assise di Bolzano, ordinanza 13 novembre 1975, G. U. 11 febbraio 
1976, n. 38. 

codice penale, art. 604, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Pretore di Vittorio Veneto, ordinanza 7 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, 


n. 51. 
codice di procedura .penale, artt. 23 e 489 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Pretore di Orvieto, ordinanza 14 novembre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, 

n. 51. 

6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penole, art. 169, secondo comma, 173 e 268, prim0> 
comma (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Torino, ordinanza 31 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976,. 
Il. 51. 

codice di procedura penale, art. 436, ultima parte (artt. 3, 24, 25 e 111 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Venezia, ordinanza 16 settembre 1975, G. U. 11 feb-� 
braio 1976, n. 38. 

codice di procedura penale, art. 544, terzo comma (art. 24, secondo comma,. 
della Costituzione). 

Tribunale di Firenze, ordinanza 23 settembre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, 

n. 51. 
legge 7 luglio 1901, n. 283, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 33, quinto comma, e 24,. 
secondo comma, della Costituzione). 

r.d.I. 13 agosto 11976, n. 1459 (artt. 33, quinto comma, e 24, secondo� 
comma, della Costituzione). 
Pretore di Breno, ordinanza 23 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

legge 28 giugno 19'28, n. 1415 (artt. 33, quinto comma, e 24, secondo� 
comma, della Costituzione). 
Pretore di Breno, ordinanza 23 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25.. 

legge 22 febbraio 1934, n. 370, art. 1, secondo comma, n. 5 (art. 36, ultimo�� 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Messina, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 

r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 182-7, art. 41 (artt. 3, 45 e 38, secondo commar 
della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976,. 
Il. 18. 

r.d. 5 giug�no 1939, n. 1016, art. 8 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Macerata, ordinanza 13 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976,. 
n. 38. 
r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 32, quinto e sesto comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Tribunale di Macerata, ordinanza 10 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976,. 

n. 38. 
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I 

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1 
> 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

r.d. '29 giugno 1939, n. 1127, art. 14 (artt. 3, 9, 41, 42 e 43 della Costituzione). 
Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'ufficio centrale brevetti,. 
ordinanze 11 aprile 1975, (diciotto), G. V. 28 gennaio 1976, n. 25. 

r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276, (art. 101, secondo comma, 104, primo� 
comma, 107, primo comma, della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 6 novembre 1975, G. V. 28 gennaio 1976, n. 25. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26 (art. 24, primo e secondo comma, della 
Costituzione). 
Tribunale di Firenze, ordinanza 30 luglio 1975, G. V. 25 febbraio 1976, n. 51. 

legge 17 luglio 1942, n. 907 (art. 43 della Costituzione). 
Corte d'appello di Venezia, ordinanza 28 giugno 1975, G. V. 25 febbraio' 
1976, n. 51. 

legge 17 luglio '1942, n. 907, artt. 45 e seguenti (art. 32, 41 e 43 della. 
Costituzione). 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 31 maggio 1975, G. V. 21 gennaio�� 
1976, n. 25. 
Corte d'appello di Palermo, ordinanza 23 ottobre 1975, G. V. 28 gennaio" 
1976, n. 25. 
Tribunale di Benevento, ordinanze 29 ottobre e 3 dicembre 1975, G. U.. 
11 febbraio 1976, n. 38 e 28 gennaio 1976, n. 25. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e 47 (art. 41 e 43 della Costituzione) .. 

Corte d'appello di Venezia, ordinanze 17, 24 e 27 settembre 1975, G. U�. 
25 febbraio 1976, n. 51. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 45 e seguenti, 65 e 75, n. 2 (artt. 41 e 43� 
della Costituzione). 

Corte d'appello di Potenza, ordinanza 31 ottobre 1975, G. V. 11 febbraio" 
1976, n. 38. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e 73 (art. 41 e 43 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze 15 settembre, 24 e 29 settembre, 17 e 31 
ottobre, 7 e 8 novembre 1975, G. V. 11 febbraio 1976, n. 38. 

Begge 17 luglio 1942, n. 907, art. 66, n. 5 (artt. 41 e 43 della Costituzione) �. 
Tribunale di Rieti, ordinanza 10 ottobre 1975, G. V. 28 gennaio 1976, n. 25~ 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 66, n. 5, 73, 75, 87 e 103 (artt. 41 e 43 
.della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze 2 ottobre 1975 (due), G. U. 11 febbraio 1976, 

n. 38. 
d.I. l1 febbraio 1948, 11. 50, art. 2 (artt. 2, 3, 10, 14, 23 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza Jl giugno 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 
legge 29 arprile 1949, 11. 264, art. H, quarto comma, n. 5 (artt. 3, 4, 35 e 
.36 della Costituzione). 

Corte d'appello di Roma, ordinanza 19 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 
1976, n. 25. 

legge 3 gennaio 1951, n. 27 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 
Tribunale di Benevento, ordinanza 29 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, 


n. 38. 
legge 3 gennaio 1'951, n. 27, art. 1 e 4 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze 15 settembre, 24 e 29 settembre, 17 e 31 
-Ottobre, 7 e 8 novembre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 
Corte d'appello di Potenza, ordinanza 31 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 
1976, n. 38. 

legge 3 gennaio 1951, n. 27, artt. 1, 4 e l2 (artt. 41 e 43 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze 2 ottobre 1975 (due), G. U. 11 febbraio 
1976, n. 38. 

d.P.R. �10 gennaio '1957, n. 3, art. 384 (art. 101, secondo comma, 104, primo 
.comma, 107, primo comma, della Costituzione). 
Corte di cassazione, ordinanza 6 novembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 36, ultima parte, della Co.
stituzione). 
Pretore di Borgonovo Val Tidone, ordinanza 24 ottobre 1975, G. U. 11 feb� 
braio 1976, n. 38. 

d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 131 (artt. 3, 15, 24, 27, 29, 31 e 53 della 
�Costituzione). 
Commiss.ione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 7 aprile 1975, 
�G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.P.R. 29 gennG.io 1958, n. 645, artt. 131 e 139 (artt. 3, 29, 31 e S3 della 
Costituzione). 
Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 17 marzo 1975, 
,c. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 


PARTE II, LEGISLAZIONE 

legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. :11, sesto comma (artl. 3 e 29, primo 
comma, 36 e 38 della costituzione). 

Corte dei conti, terza sessione pensioni civili, ordinanza 7 febbraio 1975, 

G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 
legge 15 febbraio 1963, n. 151, art. 3 (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze 22, 23 e 29 
aprile 1975 (sette), G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.P.R. 16 aprile 1964, n. 480, articolo unico (artt. 3, 45 e 38, secondo comma, 
della Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 ottobre 1'975, G. U. 21 gennaio 1976, 

n. 18. 
d.P.R. 30, giugno 1965, n. 1'123, art. 74, capoverso (art. 3 della Costituzione). 
Giudice del lavoro del tribunale di Pistoia, ordinanza 29 gennaio 1975, G. U. 
28 gennaio 1976, n. 25. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1'124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). 
Tribunale di Pistoia, oroinanza 12 marzo 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 
d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ort. H2 (art. 38, primo e secondo comma, 
della Costituzione). 
Giudice del lavoro del tribunale di Roma, ordinanza 11 ottobre 1975, G. U. 
21 gennaio 1976. 

legge Il mano 1968, n. 152, artt. 12, 13, 14, 16 e 17 (art. 3 della Costituzione). 


Tribunale amministrativo regionule per la Lombardia, ordinanza 12 febbraio 
1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

�legge 7 ottobre 1969, n. 742, artt. 1 e 2, primo comma (art. 3, primo 
comma, e all'art. 24, secondo comma, della Costituzione). 

Giudice istruttore del Tribunale di Roma, ordinanza 8 settembre 1975, 

G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 
d.P.R. 30 aprile 1970, n. 602, art. 1 (artt. 3, 45 e 38, secondo comma, della 
Costituzione). 
Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976, 

n. 18. 

RASSEGNA DELL'iWVOCATlJRA DELLO STATO 

�legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 35 (artt. 3 e 35 della Costituzione). 

Pretore di Naro, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5.' � � 

legge 24 maggl�o 1970, n. 336, art. 4 (artt. 3, primo comma, e� 35, primo 
comma, della Costituzione). 

Pretore di Orbetello, ordinanza 14 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio� 1976, n. 25. 

d.I. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 31 (art. 3 p.p. della Costituzione). 
Tribunale di Macerata, ordinanza 1� ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, 
.... 51. 

. . Jegge 22 ottobre 1971., n, 86.5. art. 16 (artt. 3. e 42, terzo comma, della 
Costituzione). 

Corte d'appello di Trieste, ordinanza 27 giugno 1975, G. U. 21 gennaio 
1976, n. 18.. 

. , legge, 22 ottobre 19711, n. 865, art. 16, terzo comma (artt. 3 e 42, t.erzo 
c~m~a.�...della' costituzion�). ' 

Corte d'appello di Bologna, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 

1976, n, 51. . I � 

I.' 

legge 6 die�mbr~ 1971, n. 1304, art. 40 (artt. 3, �primo comma; 125, secondo 
comma 24, primo e secondo comma, e 113, primo comma, della Costituzione). 

" '� Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanze 5 novembre 1974 (due), G. U. 
28 gennaio 1976, n. 25. 

d.P.R. 23 giugno 1972, n. 749, artt. 21 e 23 (artt. 3 e 76 della Costituziop.e). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 marzo 1975, G. U. 
28 gennaio 1976,, n, 25. 

d.P.R. 26 ottobre, 1972, n. 643, art. 6 (art. 53, primo comma, della Costituzione).. 
�. . ��� 
Commissione tributaria di primo grado di Avezzano, ordinanza 13 novembre 
1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 

I ' ~ 

d.P.R. 23 gennaio 1973, ri. 43, artt. 34, 282, 292 e 30�1 (artt. 41 e 43 della 
Costituzione). � 
Tribunale di Roma, ordinanze 2 ottobre 1975 (due), G. U. 11 febbraio 1976, 

n. 38. 
d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, primo e ultimo comma (artt. 41 e 
43 della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 21 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51, 


PARTI! Ii,� LEGISLAZIONE. 

d.P.R. 29 �marzo 1973, n. 1~. art. 304 (artt. 23; 41,' secondo e terzo comma, 
e 53, primo comma, della Costituzione). 
Pretore di Sampierdarena, ordinanze 12 e 21 �ttobre 1975, G. U. 7 gennaio 
1976, n. 5 e 11 febbraio 1976, n. 38; 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). 
Pretore di Ivrea, ordinanza 11 novembre 1975, G. U. 11 febbn;�o 1976, n. 38. 
legge 24 luglio 1973, n. 42�6, art. 1 (artt. 42 e 3 delT� Costituzione).' 
Tribunale di Rovereto, ordinanza 25 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

legge 30 luglio 1973, n. 477, artt. 3, 11 e 16 (art. 81, tert10 e quarto c0mina, 
e 76 della Costituzione). 
Corte dei conti, sezione di controllo, orqinanza. 20 novembre 1975, G.. g.. 
21 gennaio 1976. 

legge 11 agosto 1973, n. 533, art: 409, n. s (artt. 3 e102 ciella Costituzione). 
Pretore di Milano, ordinan2:a 8 gennai� 1975, e> U. 28"g�nnaio 1976, �n. 25. 

d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, art. 1 (art. 3, primo comma, della Costituzione). 
Corte d'appello di Roma, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976, 

n. 18. 
leggEt 22 dicembre 1973, n. 841, art. 1 (artt. 42 e 3 della Costituzione). 
�r. Tribunale �di 'Rovereto, ordinanza �25 ottobre �1975, G,� U: 28 gemnaio. 1976; 

n. 25. 
d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 69, prirrt0 c:o;..ma (art. 3 dell':l 
Costituzione). 
Corte dei conti, quarta sezione pensioni militari, ordinanza 4 marzo 1975, 

G. V. 28 genn"io 1976, n. 25. 
1

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 129, second� e terzo comma (art 3 
della Costituzione). 
Giudice del lavoro del tribunale di La Spezia, ordinanza 12 � agosto 1975,

I . . . 
. G. li. 21 gennaio 1976, n. 18. 

d.I. 19 giugno 1974, n. 236, art. 1 (artt. 42 e 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rovereto, ordinanza 25 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, 
n; 25. 

d.I. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6, secondo e terz!> comma (artt. 4 . e 13 
della Costituzione). 
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 maggio 1975 
(due), G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 


12 

RASSEGNA DELL'AVVOCATVRA DEJ.,LO STATO 

let,n1e 14 ottobre 1974, n. 497, arH. 1 (art. 25 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5. 

Tribunale di Udine, ordinanza 24 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 15 ottobre 1975, G. U. 7 gennaio 
1976, n. 5. 

d.I. 10 get1naio 1975, n. 2, artt. 1, 2 e 3 (art. 25 della Costituzione). 
Tribunale di Milano, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5. 

legge reg. Lombardia 15 oprile 197'5, n. 5'1, art. 14, ultimo comma, e 48 

(art. 117 della Costituzione). 

Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 21 maggio 
1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 

legge 18 aprUe 1975, n. UO, art. 36 {art. 3 della Costituzione). 

Tribunale di Roma, ordinanze 29 e 30 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, 

n. 38. 
d.I. 25 giufJllo 1975, n. 255, art. 1 (artt. 42 e 3 della Costituzione). 
Tribunale di Rovereto, ordinanza 25 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. 

legge 18 novembre 1975, n. 764 (artt. 3, 5, 116, e disp. VIII della Costituzione, 
e artt. 14, lettere n, p e q, lettere e e x; 32, 33, 43, dello statuto della 
Regione siciliana). 

Regione siciliana, ricorso depositato 1'11 febbraio 1976, n. 4, G. U. 25 febbraio 
1'976, n. 51. 

legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 1, 2, 8, 10, 13, 39, 84, 90, 91, 92, 
94, 103 e 107 (artt. 9, n. 10, 8, n. 25), e 16 del decreto del Presidente della 
Repubblica 31 agosto 1972, n. 670). 

Provincia di Bolzano, ricorso depositato il 5 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 
1976, n. 51. 
Provincia di Trento, ricorso depositato il 5 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 
1976, n. 51. 

�legge 23 dicembre 1975, n. 745, artt. 2, primo e secondo comma, 3, 4, se� 
condo c�omma, 5, secondo e qui�nto comma, 6, 10, 1,1 e 12 (artt. 8, n. 21, 9, n. 10, 
e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670). 

Provincia di Trento, ricorso depositato il 16 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 
1976, n. 51. 
Provincia di Trento, ricorso depositato il 26 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 
1976, n. 51. 



CONSULTAZIONI 


ACQUE PUBBLICHE 

Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o 
rinuncia della concessione -Opere di raccolta, regolazione e derivazione Trasferimento 
allo Stato (t. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 25). 

Se, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia ad una concessione di grande 
.derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta, regolazione o derivazione 
passino automaticamente in propriet� dello Stato, ovvero lo Stato l;tll!desimo 
abbia.la scelta tra.l'acquisizione in .propriet� ed il disporre la demolizione (n. 112). 

Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza 

o rinuncia alla concessione -Opere di raccolta, regolazione e derivazione Trasferimento 
all'ENEL. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 25; d.P.R. 18 marzo 
1965, n. 342 art. 9, 5� comma). 
Se, nel caso di scadenza decadenza o rinunzia ad una concessione di grande 

.derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta regolazione o derivazione 
passino automaticamente in propriet� dell'ENEL -in virt� del subentro disposto 
.dall'art. 9, 5� comma d.P.R. 18 marzo 1965 n. 342 -ovvero se tale trasferimento 
si operi solo ed in quanto l'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica decida di 
�Continuare a produrre energia da quel determinato impianto (n. 112). 

Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza 

o rinunzia -ENEL -Domanda di concessione per scopi idroelettrici -Istruttoria. 
(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 7 e 25; d.P.R. 18 marzo 965 n. 342, 
art. 9, 2� comma). 
Se sulla domanda dell'ENEL diretta ad ottenere la concessione di derivazione 
�di acque per scopi idroelettrici, oggetto di precedente concessione scaduta decaduta 
o rinunciata, debbasi disporre la prevista istruttoria qualora, con detta 
.domanda, concorrano altre domande per scopi idroelettrici o per altri scopi 

(n. 112). 
ANTICHITA E BELLE ARTI 

Edifici d'interesse storico o artistico, biblioteche, archivi -Impianti termici Norme 
sull'inquinamento atmosferico. (l. 5 gennaio 1939, n. 338 -r.d. 7 novembre 
1942, n. 1564.-l. 13 luglio�1966, n. 615 -d.P.R. 22 dicembre 1970, n. 1391). 

Se la parte del r. d. 7 novembre 1942, n. 1564, che riguarda la disciplina degli 
impianti termie'i negli edifici pregevoli per arte o storia e in quelli destinati a 
�contenere biblioteche, archivi, ecc., sopravviva alla legge 13 luglio 1966, n. 615 e al 
relativo regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 22 dicembre 1970, n. 1391, 
i quali recano provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico (n. 74). 



14 

RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA. DEI.LO STATO 

ESECUZIONE FORZATA 

Acque pubbliche -Concessione di derivazione a scopo idroelettrico -Immobili 
e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata a danno del concessionario. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 20 e 25). 
Se siano soggetti ad esecuzione forzata gli immobili e beni costituenti i 
mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque pubbliche a scopo 
idroelettrico (n. 58). 

Acque pubbliche -Concessione� di derivazione a scopo idroelettrico -Immobili 
e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata -Vendita all'asta -Acquirente 
-Trasferimento della concessione -Nulla osta della P.A. (t.u. 11 dicembre 
1953, n. 1775, artt. 20 e 25). 

, Se, nel caso di vendita all'asta a seguito di esec�zione forzata di immobili e� 
beni costituenti i mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque 
pubbliche a scopo idroelettrico, il trasferimento della concessione in favore dell'acquirente 
sia condizionato al nulla osta dell'Amministrazione (n. 58). 

. ' 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� 

Espropriazione per pubblico interesse -Dichiarazfone di pubblica utilit� -Ter. 
mini ~ Scadenza -Mancata emanazione� de�reto di esproprio -Effetti -�Opera 
pubblica eseguita. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13). 

Se la mancata emanazione del decreto di espropriazione nel termine fissatonella 
dichiarazione cli pubblica utilit� determini !'.inefficacia di tale dichiarazione 
anche nel caso in cui l'opera pubblica sia stata portata a compimento nei termini 
sta])iliti (n. 348). 

FALLIMENTO 

Concordato fallimentare -Effetti -Credito anteriore al fallimento -Riconoscimento 
integrale in sentenza posteriore. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 135). 

Se,� il concordato fallimentare divenga obbligatorio per tutti i creditori anteriori 
all'apertura del fallimento e in particolare se un credito sorto in epoca 
anteriore al concordato vada ridotto alla percentuale concordataria anc~rch� sia 
stato concretizzato nell'importo originario da una sentenza successiva al concordato 
e che abbia acquistata efficacia esecutiva (n. 147). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

Imposta di registro -Cessione di quote di societ� di persone -Valutazione base 
imponibile. (r.d.l. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 43). 

Se nella cessione di quote di societ� di persone l'imposta proporzionale di 
registro si applichi sul valore netto o sul valore lordo della quota di patrimonio 
sociale ceduta (n. 417). 



PARTE II, CONSULTAZIONI 

IMPOSTE V ARIE 

Imposta di registro � Condono -Controversia pendente � Giudicato � Successiva 
domanda di condono � Effetti. (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6; l. 19 dicembre 
1973, n. 823 art. 6). 

Se o in quali limiti sia ammissibile la definizione di controversia tributaria 
in ordine alla applicazione dell'imposta di registro, ai sensi della legge 19 dicembre 
1973, n. 823, nel caso in cui, nella controversia pendente al 31 ottobre 
1973, la domanda di condono sia presentata prima del 28 febbraio 1974 ma 
dopo che si sia resa definitiva sentenza dell'autorit� giudiziaria (n. 87). 

Tributi in generale � Esenzioni e agevolazioni � Trattamento tributario degli Istituti 
di credito a medio o lungo, termine � Limiti soggettivi. (l. 27 luglio 1962, 

n. 1228, art. 1). 
Se il trattamento tributario degli istituti di credito a medio o lungo termine, 
che l'art. 1 della legge 27 luglio 1962 n. 1228 prevede che un'imposta in abbonamento 
sostitutiva di ogni altra imposta, si applichi soltanto agli istituti di credito 
speciale di cui all'art. 41 e successive modifiche delle leggi bancarie 7 marzo 1938 

n. 141 e 7 aprile 1938 n. 636, ovvero anche alle aziende di credito ordinario quando 
operino finanziamenti a medio e lungo termine (n. 86). 
Tributi in generale � Esenzioni e agevolazioni � Trattamento tributario degli istituti 
di credito a medio e lungo termine � Limiti soggettivi � Clausola di risoluzione 
anticipata. (l. 27 luglio 1962, n. 1228, art. 1). 

Se il trattamento tributario degli istituti di credito a medio o lungo termine, 
che l'art. 1 della legge 27 luglio 1962 n. 1228 prevede in un'imposta in abbonamento 
sostitutiva di ogni altra imposta, si applichi ad atto di finanziamento a medio o 
lungo termine nei quali peraltro l'istituto mutuante si riservi la facolt� di risoluzione 
anticipata del mutuo ove si verifichi un'anormale ritiro dei depositi (n. 86). 

RESPONSABILIT� CIVILE 

Circolazione stradale � Scontro tra veicoli -Impianti Semaforici � Inefficienza Responsabilit� 
civile. (cod. civ. artt. 2043, 2054). 

Se la responsabilit� negli incidenti stradali causati da inefficienza di impianti 
semaforici nei quali siano coinvolti automezzi della P.A., possa essere attribuita 
al Comune (n. 275). 

SANZIONI AMMINISTRATIVE 

Agricoltura e foreste � Violazioni a norme di tutela del patrimonio forestale Depenalizzazione. 
(r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267, artt. 24 e segg.; l. 9 ottobre 
1967, n. 950). 

Se tutte le violazioni, di qualsiasi tipo, previste dal r.d.I. 30 dicembre 1923, 

n. 3267, contenente norme a tutela del patrimonio forestale, siano state depenalizzate 
a seguito dell'entrata in Vigore della legge 9 ottobre 1967 n. 950 (n. 8).