ANNO XXVIII -N. 1 GENNAIO-FEBBRAIO 1976 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 1976 ABBONAMENTI ANNO L. 12.750 UN NUMERO SEPARATO .�..���..��..... � 2.250 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a; LIBRERIA DELLO STATO -PIAZZA G. VERDI, 10 -ROMA e/e postale 1/2640 Stampato in Italia � Printed in ltaly Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1960 (6219004) Roma, 1976 -Istituto Poligrafico dello Stato P.V. Da questo numero l'avv. Paolo Vittoria curer� direttamente la parte della settima sezione concernente la materia delle acque pubbliche. LA REDAZIONE CORRISPONDENTI DELLA RASSEGNA DELEGATI PRESSO LE SINGOLE AVVOCATURE Avvocati Glauco NoRI, Ancona; Francesco Cocco, Bari; Michele DIPACE, Bologna; Giovanni CONTU, Cagliari; Americo RALLO, Caltanissetta; Filippo CAPECE MINUTOLO DEL SASSO, Catanzaro; Raffaele TAMIOZZO, Firenze; Francesco GuICCIARDI, Genova; Adriano RossI, L'Aquila; Giuseppe Orazio Russo, Lecce; Giuseppe MINNITI, Messina; Marcello DELLA VALLE, Milano; Aldo ALABiso, Napoli; Nicasio MANcuso, Palermo; Pier Giorgio LIGNANI, Perugia; Rocco BERARDI, Potenza; Umberto GIARDINI, Torino; Maurizio DE FRANCHIS, Trento; Paolo ScoTTI, Trieste; Giancarlo MAND�, Venezia. 2:'..:::::::::::--:.::_::;:;::~.:::::::::::-:::::::::::::::-::;.;.:::,:;.::::::;.: �"�"�".-ff,�����'��ᥥ���,e������������ .-,��-�>X�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�::.�.�!.�:.�.�.�.�.�.�.�.�.��� INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione primo: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dell'avv. Giuseppe Angelini-Rota) (a cura pag. Sezione secondo: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE {a cura del/'avv. Arturo Marzano} � 33 Sezione terzo: GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI SDIZIONE (a cura del/'avv. Benedetto e del/'avv. Carlo Carbone) GIURIBaccari � 49 Sezione quarto: GIURISPRUDENZA CIVILE cato Adriano Rossi} � (a cura dell'avvo � 67 Sezione quinto: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA del/'avv. Ugo Gargiulo) (a cura � 79 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vocato Carlo Bafile} (a cura de/l'av � 90 Sezione settima: GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI (a cura dell'avv. Arturo Marzano, per gli appalti e del/'avv. Paolo Vittoria, per le acque pubbliche) � 124 Sezione ottava: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Paolo Di Tarsia di Be/monte) � I 62 Parte seconda: QUESTIONI -LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO LEGISLAZIONE pag. CONSULTAZIONI � La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI BAFILE C., Considerazioni sulla obbligazione tributaria e la sua trasmissione per causa di morte . . . . . . . . . . I, 90 BAFILE C., Sull'impugnazione delle decisioni parziali delle Commissioni tributarie .................... I, 105 MARZANO A., Interventi dello Stato sul mercato nazionale e responsabilit� nei confronti dei singoli per attivit� in contrasto con la normativa comunitaria . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 36 TAMIOZZO R., Cespite indennizzabile nel risarcimento del danno di guerra . . . . . I, 84 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRICIT� -Acque sotterranee -Pubblicit� -Condizioni -Esistenza in comprensorio soggetto a tutela -Irrilevanza, 158. -competenza e giurisdizione -Tribunali delle acque -Pubblicit� dell'acqua -Accertamento negativo -Deniclaratoria di competenza per le altre questioni, 158. APPALTO -Appalto di opere pubbliche -Maggiori richieste dell'appaltatore -Interessi -Decorrenza, 124. -Appalto di opere pubbliche -Partite di lavoro non contabilizzate e riconosciute in sede giudiziale -Indennizzo per rincaro dei costi -Ammissibilit�, 124. -Appalto di opere pubbliche -Richieste dell'appaltatore relative a partite di lavoro non indicate nel registro di contabilit� -Omessa riserva nei relativi documenti contabili -Dec�denza dell'appaltatore, 124. - Appalto di opere pubbliche -Riserve dell'appaltatore -Contestazione in sede giudiziale -Eccezione di decadenza -Subordinate deduzioni di merito -Effetti -Rinunzia all'eccezione di decadenza -Esclusione, 124. -Appalto di opere pubbliche -Riserve dell'appaltatore -Onere -Carattere generale, 124. -Appalto di opere pubbliche -Riserve dell'appaltatore -Somme riconosciute in sede giudiziale -Rivalutazione -Inammissibilit�, 124. -Appalto di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Facolt� discrezionale dell'amministrazione committente -Esercizio legittimo -Pregiudizio derivante all'appaltatore dalla sospensione dei lavori -Qualificazio ne come danno contrattuale -Esclu sione, 124. -Appalto di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Inclusione fra i cosiddetti fatti continuativi -Esclusione, 124. -Appalto di opere pubbliche -Sospensione dei lavori -Maggiori compensi chiesti dall'appaltatore -Onere della riserva alla firma del verbale di ripresa dei lavori, 124. -Appalto di opere pubbliche -Variazioni ed addizioni -Facolt� dell'amministrazione committente -Limiti, 124. ASSICURAZIONE -Circolazione di veicoli o natanti Procedimento penale -Notifica della costituzione di parte civile -Non � prescritta, 18. ASSOCIAZIONE -Associazioni sindacali -Autorizzazione per organizare gite o viaggi Legittimit� costituzionale, 10. ATTO AMMINISTRATIVO -Attivit� amministrativa vincolata da norme di legge -� Configurabilit� Non sussiste, 80. -Obbligo di motivazione -Provvedimento che costituisce mera attuazione vincolata di una norma di legge Necessit� di specifica motivazi:one Non sussiste, 82. � CACCIA E PESCA -Pesca marittima -Tutela delle risorse biologiche e dell'attivit� di pesca -Immissione di sostanze inquinanti -Scarico di acque reflue di albergo -Sussistenza di reato -Fattispecie, 160. VIII RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO COMPETENZA E GIURISDIZIONE -Espropriazione per pubblico interesse -Dichiarazione di pubblica utilit� -Opere necessarie per l'EUR di Roma: esistenza del potere espropriativo -Difetto di giurisdizione del1' AGO, 56. -�Espropriazione per pubblico interesse -Retrocessione -Diritto soggettivo: limiti, 56. -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa -Ente pubblico non economico -Licenziamento del dipendente -Richiesta di un procedimento d'urgenza -Giurisdizione amministrativa, 49. -Regolamento di giurisdizione -Conflitto di attribuzione -Interferenze reciproche ove i mezzi vengano sollevati nella medesima controversia Efficacia vincolante della decisione emessa dalla Corte costituzionale, con nota di C. CARBONE, 51. -Tribunali Amministrativi Regionali Regolamento di competenza territoriale -Termini ex art. 31, 2� comma, legge 1034/1971 -Decorrenza -Individuazione -Riferibilit� alla data di effettiva costituzione in giudizio Casi di esclusione, 86. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali Attivit� di uno Stato membro in contrasto con la normativa comunitaria -Responsabilit� nei confronti dei singoli -Disciplina applicabile, con nota di A. MARZANO, 36. -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali Situazione giuridica del produttore, con nota di A. MARZANO, 36. -Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali Vendite da parte di uno Stato membro a prezzo inferiore al prezzo indicativo -Incompatibilit� con l'organizzaione comune dei mercati, con nota di A. MARZANO, 36. -Unione doganale -Tariffa doganale comune -Disposizioni preliminari Regole generali per la interpretazione della nomenclatura della tariffa Miscugli classificabili in due o pm voci tariffarie -Criterio di classificazione, 33. CONCORSO -Collocamento obbligatorio ex legge 2 aprile 1968, n. 482 -Possesso dei requisiti -Condizioni -Limiti, con nota di R. TAMIOZZO, 79. CONTABILIT� GENERALE DELLO STATO -Debiti e crediti di amministrazione diverse dallo Stato nei confronti dello stesso soggetto -Compensazione Ammissibilit�, 72. CORTE COSTITUZIONALE -Conflitti di attribuzione -Sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato, 17. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Assicurazione -Associazione -Corte Costituzionale -Enfiteusi -Espropriazione per p.u. -Giustizia Amministrativa -Locazione -Pensioni Procedimento penale -Professioni. DANNI DI GUERRA -Nozione e qualificazione� del ce13pite Incostituzionalit� dell'art. 8 � legge 955/1967 in relazione all'art. 3 Cost. Non sussiste -Fattispecie in tema di unit� navigante, con nota di R. TAMIOZZO, 83. ENFITEUSI -Non assimilabilit� all'affitto di fondi rustici -Mancata distinzione tra enfiteuta coltivatore ed enfiteuta non coltivatore -Legittimit� costituzionale, 1. -Rapporti di natura reale -Inapplicabilit� dell'art. 1467 cod. civ. -Legittimit� costituzionale, 1. ESPROPRIAZIONE PER P.U. -Danno permanente arrecato ad altro fondo -Unit� economica con l'immobile espropriato -Espropriazione parziale, 139. INDICE IX -Espropriazione parziale � Determinazione dell'indennit� � Fondo coltivato come cava -Rilevanza � Pregiudizio dell'azienda estrattiva � Irrilevanza, 139. -Indennizzo -Determinazione secondo la c.d. legge di Napoli -Adeguamento solo parziale al variare dei valori venali -Non contrasta col principio di eguaglianza, 20. - Indennizzo -Determinazione secondo la c. d. legge di Napoli � Aggiornamento degli imponibili solo per i fondi urbani � Non contrasta con il principio di eguaglianza, 20. -Indennizzo -Determinazione secondo la c. d. legge di Napoli -Utilizzazione del parametro dell'imponibile catastale -Ragionevolezza, 20. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA -Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana � Possibilit� di conferma nell'ufficio di componente -Contrasto con l'indipendenza del giudice, 28. -Decisioni del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana -Appello all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato � Legittimit� costituzionale, 28. IMPIEGO PUBBLICO -Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti statali � Disciplina contenuta nell'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 -Incostituzionalit� in relazione all'art. 3 Cost. -Non sussiste, 80. -Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti statali � Disciplina contenuta nell'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno� 1972, numero 748 � Incostituzionalit� in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. � Non sussiste, 80. -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Art. 66 decreto del Presidente della Repubblica 748/ 1972 � Decorrenza della nomina, 80. - Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Disciplina contenuta nell'art. 67 decreto del Presi dente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 -Incostituzionalit� in relazione agli artt. 36 e 97 Cost. � Non sussiste, 80. -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Mancata previsione di retroattivit� -Incostituzionalit� degli artt. 60, 61, 65 e 66 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. � Non sussiste, 80. -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Mancata previsione di retrodatazione -Incostituzionalit� degli artt. 60, 61, 65, e 66 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 in relazione all'art. 3 Cost. -Non sussiste, 80. IMPOSTE E TASSE IN GENERE -Competenza e giurisdizione � Imposte indirette � Ricorso al Tribunale per grave ed evidente errore di apprezzamento � Censura sul merito della valutazione � Difetto di giurisdizione del tribunale, 121. -Condono � Controversia di soli interessi -Esclusione, 116. -Condono di cui al decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660 -Sospensione del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione -Rigetto della istanza in sede amministrativa -Contestazione sul diritto al condono -Decisione da parte del giudice del processo sospeso, 116. -Imposte indirette -Azione in sede ordinaria -Termine -Decorrenza � Decisione della Commissione Centrale che risolve una questione preliminare -Successiva decisione di altra commissione che esaurisce il rapporto tributario -Decorrenza dall'ultima decisione -Decisione definitiva -Nozione -Decisione. che rigetta l'eccezione di prescrizione -Non � tale Successiva pronuncia di merito -Impugnazione di ambedue le decisioni Ammissibilit�, con nota di C. BAFI� LE, 104. -Imposte indirette -Interessi � Condono di cui alla legge 31 ottobre 1963 RASSEGNA DELL'AVVOCAT.URA DELLO STATO X n. 1458 � Pagamento del tributo � Diritto della Finanza al Sl).ccessivo pagamento degli interessi -Sussiste, 116. -Imposte indirette -Interessi -Prescrizione � Termine quinquennale Interruzione � Pagamento dell'imposta � Non interrompe la prescrizione per gli interessi, 116. -Imposte indirette � Solidariet� -Condono � Istanza di una sola parte . Estensione ai condebitori -Esclusione, 115. -Imposte indirette -Solidariet� -Successione ereditaria -Divisione del debito fra eredi, con nota di C. BAFI� LE, 90. -Obbligazione tributaria -Natura Applicabilit� di tutte le regole di diritto civile non espressamente derogate, con nota di C. BAFILE, 90. -Rapporto di esattoria � Titolarit� del credito fiscale � Spetta all'Amministrazione dello Stato, 72. ISTRUZIONE PUBBLICA -Esami� Esami di maturit� -Elementi valutabili dalla Commissione -Criteri di valutazione -Limiti, con nota di R. TAMIOZZO, 88. -Esami � Esami di maturit� tecnica commerciale � Elementi valutabili � Cultura e preparazione tecnica � Rilevanza, con nota di R. TAMIOZZO, 88. -Esami � Risultanze esami di maturit� � Valutazioni di merito -Intervento di fattori estranei ai parametri legali � Sindacato di legittimit� . Ammissibilit� � Sussiste, con nota di R. TAMIOZZO, 88. -Esami � Svolgimento di esami di maturit� � Comportamento del candidato nei confronti della Commissione � Effetti � Rilevanza -Limiti, con nota di R. TAMIOZZO, 88. LAVORO (RAPPORTO DI) -Assunzione in violazione del divieto previsto dalla legge � Conseguenza sulla qualificazione del rapporto e sugli obblighi previdenziali, 75. LEGGE, DECRETI E REGOLAMENTI -Proponibilit� di una questione di incostituzionalit� � Limiti, 82. LOCAZIONE -Abitazioni urbane � Blocco dei fitti � Disciplina differenziata per fitti maggiorati � Legittimit� costituzionale, 3. -Abitazioni urbane � Blocco dei fitti Legittimit� costituzionale. Condizioni, 3. -Abitazioni urbane � Blocco dei fitti Limite della propriet� privata per funzione sociale � Legittimit� costituzionale, 3. -Abitazioni urbane � Blocco dei fitti Limite della propriet� privata per funzione sociale � Legittimit� costituzionale, 4. -Abitazioni urbane � Discipline diffe. renziate succedutesi nel tempo -Legittimit� costituzionale, 4. PARTE CIVILE -Costituzione -Forme e termini -Costituzione predibattimentale -Termine per la notifica all'imputato, 162. PENSIONI -Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. Congiw1ti � Diritti per successione Tassativit� della elencazione degli aventi diritto -Sussiste, 82. -Ricorso alla Corte dei Conti -Termine di novanta giorni -Contrasta con il principio di uguaglianza . Illegittimit� costituzionale, 12. PRESCRIZIONE -Fatto illecito costituente reato -Estinzione per amnistia a seguito di modifica dell'imputazione � Decorrenza del termine di prescrizione, 67. -Illecito costituente reato � Fatto-reato produttivo di evento plurimo Azione penale per un solo reato -Decorrenza della prescrizione anche per l'illecito relativo al reato non perseguito dalla decisione definitiva sul diverso reato perseguito, 67. -Indennit� per danni da atto lecito Prescrizione quinquennale per danni da illecito � Applicabilit� -Esclusione, 140. i i' -. -If: ~,<~#'AW@'A''"''"''""'"'~_,,,,,' __,,,,,,,,,..~-''' . . . .... . ........ ,,,. . I INDICE XI PROCEDIMENTO PENALE -Concorso di reati e concorso di norme � Ammissibilit� di un secondo giudizio nel caso di concorso di reati, 10. -Decreto di citazione � Persone diverse dall'imputato (citazione delle) � Parte civile� Omessa citazione � Nullit� relativa -Deducibilit� da parte del P .M., 162. -Imputato assente -Notifica della sentenza � Non � necessaria, 26. -Responsabile civile � Assicuratore di danni da circolazione di veicoli o natanti � Citazione nel corso della istruzione sommaria, 18. -Riabilitazione -Deposito in cancelleria degli atti della procedura e avviso all'istante � Necessit�, 9. PROFESSIONI -Societ� per l'esercizio di professioni intellettuali � Societ� di progettazione � Disciplina legislativa -Legittimit� costituzionale, 23. RESPONSABILIT� CIVILE -Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti � Danno permanente -Nozione, 140. -Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti � Eliminazione di opera pubblica � Perdita di utilit� connesse alla sua presenza � Danno permanente � Esclusione � Fattispecie, 139. -Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti � Eliminazione di preesistente opera idraulica -Esecuzione di opera pubblica . e tale, 140. -Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti � Liquidazione dell'indennit� � Liquidazione equitativa -Fattispecie, 141. - Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti � Opera idraulica -Maggior pericolo di inondazioni � Danno permanente � Sussiste, 141. RICORSI AMMINISTRATIVI -Termini processuali -Art. 22 L. numero 1034/1971 � Natura del termine � Ordinatorio, 86. INDICE XIII GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. IV, 11 novmebre 1975, n. 971 pag. 79 Sez. IV, 11 novembre 1975, n. 973 � 80 Sez. IV, 14 novembre 1975, n. 1017 � 82 Sez. IV, 2 dicembre 1975, n. 1167 � 83 Sez. VI, 14 novembre 1975, n. 617 � 86 Sez. VI, 28 novembre 1975, n. 622 � 88 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 12 dicembre 1974, n. 1045 pag. 160 Sez. I, 24 aprile 1975, n. 294 . . � 162 Sez. IV, 24 maggio 1975, n. 69 . . � 162 .. ...�. . �I I0 PARTE SECONDA r ;.:.-: INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLE CONSULTAZIONI ACQUE PUBBLICHE -Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o rinuncia della concessione � Opere di raccolta, regolazione e derivazione � Trasferimento allo Stato t. u., 13. -Acque pubbliche � Concessione di grande derivazione � Scadenza, decadenza o rinuncia alla concessione � Opere di raccolta, regolazione o derivazione � Trasferimento all'ENEL, 13. - Acque pubbliche � Concessione di grande derivazione � Scadenza, decadenza o rinuncia � ENEL -Domanda di concessione per scopi idroelettrici � Istruttoria, 13. ANTICHIT� E BELLE ARTI -Edifici d'interesse storico o artistico, biblioteche, archivi � Impianti termici � Norme sull'inquinamento atmosferico, 13. ESECUZIONE FORZATA -Acque pubbliche -Concessione di derivazione a scopo idroelettrico � Immobili e beni inerenti la concessione � Esecuzione forzata a danno del concessionario, 14. �-Acque pubbliche -Concessione di derivazione a scopo idroelettrico Immobili e beni inerenti la concessione � Esecuzione forzata � Vendita all'asta � Acquirente � Trasferimento della concessione -Nulla osta della P.A., 14. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Espropriazione per pubblico interesse � Dichiarazione di pubblica utilit� � Termini -Scadenza � Mancata emanazione decreto di esproprio -Effetti � Opera pubblica eseguita, 14. FALLIMENTO -Concordato fallimentare -Effetti Credito anteriore al fallimento -Riconoscimento integrale in sentenza posteriore, 14. IMPOSTA DI REGISTRO -Imposta di registro -Cessione di quote di societ� di persone -Valutazione base imponibile, 14. IMPOSTE V ARIE -Imposta di registro . Condono Controversia pendente � Giudicato Successiva domanda di condono Effetti, 15. -Tributi in generale -Esenzioni e agevolazioni � Trattamento tributario degli Istituti di credito a medio o lungo termine -Limiti soggettivi, 15. - Tributi in generale � Esenzioni e agevolazioni -Trattamento tributario degli istituti di credito a medio e lungo termine � Limiti soggettivi � Clausola di risoluzione anticipata, 15. RESPONSABILIT� CIVILE -Circolazione stradale � Scontro tra veicoli � Impianti semaforici . Inefficienza � Responsabilit� civile, 15. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Agricoltura e foreste -Violazioni a norme di tutela del patrimonio fo. restale � Depenalizzazione, 15. INDICE xv LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -Norme dichiarate incostituzionali II -Questioni dichiarate non fondate III -Questioni proposte . . pag. )) )) 1 3 5 PARTE PRIMA ......... -----Il X ~ GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (*) CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 2 -Pres. Oggioni -Rel. Volterra -Convitto Naz. Vittorio Emanuele II di Napoli (avv. De Martino) c. Santini (n.c.). Enfiteusi -Non assimilabilit� all'affitto di. fondi rustici -Mancata distinzione tra enfiteuta coltivatore ed enfiteuta non coltivatore � Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; !. 22 luglio 1966, n. 607, art. 1). Enfiteusi -Rapporti di natura reale -Inapplicabilit� dell'art. 1467 cod. civ. -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; 1. 22 luglio 1966, n. 607, art. 18). E arbitraria qualsiasi assimilazione del rapporto enfiteutico al rapporto di affitto di fondi rustici; pertanto non contrasta con l'art. 3 Cost. la mancata distinzione fra enfiteuta coltivatore ed enfiteuta non coltivatore (1). L'art. 1467 cod. civ. � applicabile esclusivamente nel campo dei rap porti obbligatori; pertanto non contrasta con l'art. 3 Cast. la non esten dibilit� di il.etta disposizione ai rapporti di enfiteusi. (Omissis). -La prima censura alle disposizioni denunziate si riallaccia alla sentenza n. 155 del 1972 della Corte costituzionale, con cui appunto venne ritenuta illegittima la parificazione tra affittuari che coltivano il fondo col lavoro proprio e dei propri familiari ed affittuari (1) Nella sentenza n. 155 del 1972 (in questa Rassegna, 1972, I, 1045), la Corte ha sottolineato che � mentre l'affittuario coltivatore gode della situazione privilegiata che gli artt. 35 e segg. Cost. assicurano alla posizione del lavoratore, l'affittuario imprenditore ha a sua tutela solo il principio sancito dall'art. 41 Cost. �. Le parti non riprodotte della sentenza in esame sono sostanzialmente confermative di quanto affermato nella sentenza n. 37 del 1969 (in questa Rassegna, 1969, I, 212) e nella sentenza n. 53 del 1974 (ivi, 1974, I, 542). (*} Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato l'Avv. F. FAVARA. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO imprenditori, ai fini della determinazione del canone nell'affitto dei fondi rustici. La questione � infondata. � infatti arbitraria quaisiasi assimilazione del rapporto enfiteutico a quello preso in considerazione con la pronunzia richiamata, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello economico-sociale. Quanto al primo, � fin troppo noto che, a differenza del contratt� di locazione-conduzione, generatore di rapporti di obbligazione fra i contraenti, la costituzione di enfiteusi fa sorgere un diritto reale sull'immobile altrui che assorbe quasi interamente l'esercizio della propriet� sulla cosa, attribuendo all'enfiteuta oltre al potere di disporre del proprio diritto, anche il godimento del fondo enfiteutico nonch� il diritto di acquistarne la propriet� mediante l'affrancazione, diritto questo considerato un requisito essenziale dell'istituto stesso. Inoltre, � elemento naturale dell'enfiteusi, caratterizzante anche sotto l'aspetto economico e sociale, l'obbligo di migliorare il fondo, da cui si trae l'utilit�,� obbligo non inerente al contratto di affitto di fondi rustici e presidiato, in caso di inosservanza, dall'istituto della devoluzione di cui all'art. 972 cod. civ., rimasto in vigore anche a seguito della legge n. 607 del 1966 (art. 8). Tale obbligo di miglioramento del fondo, che grava in maniera indifferenziata su tutti gli utilisti, conferma la ragionevolezza di non di-� stinguere tra le specifiche posizioni degli utilisti, disponendo l'abrogazione dell'art. 962 cod. civ. -(Omissis). Ancor meno .� sostenibile l'incostituzionalit� dell'art. 18 sotto il profilo che il domino diretto non pu�, a differenza di altri cittadini, far ricorso all'art. 1467 del codice civile. � infatti pacifico in giurisprudenza e dottrina che questa ultima norma � applicabile esclusivamente nel campo di diritti obbligatori e non certo in ordine all'esercizio di diritti reali. Come afferma la Corte di cassazione, l'istituto dell'enfiteusi, �anche quando abbia origine contrattuale e ancorch� possa successivamente risolversi nel trasferimento della propriet� all'enfiteuta mediante l'affrancazione, � pur sempre costitutivo di uno ius in re aliena, con effetto istantaneo, e non pu� equipararsi ad una compravendita sotto condizione potestativa, ad esecuzione differita�. La norma denunziata, abrogando l'art. 962 del codice civile e ripristinando con ci� l'antico regime dell'enfiteusi, non d� luogo ad alcuna situazione di disparit� lesiva dell'art. 3 della Costituzione, essendo del tutto razionale ed anzi consequenziale a basiliari principi giuridici che alla richiesta di risoluzione di un contratto per eccessiva sopravvenura onerosit� siano legittimati i titolari di rapporti obbligatori e non invece i titolari di diritti reali inerenti direttamente sulla cosa. -(Omissis). i' ~~. ~~ 1' !i ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 3 I CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 3 -Pres. Oggioni -Rel. Gionfrida -Frisardi ed altri (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). Locazione � Abitazioni urbane � Blocco dei fitti -Limite della propriet� privata per funzione sociale � Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 42; I. 6 novembre 1963 n. 1444, artt. 1 e 3 e successive modificazioni). Locazione � Abitazioni urbane � Blocco dei fitti -Legittimit� costituzionale -Condizioni. (Cost., art. 42; I. 6 novembre 1963 n. 1444, artt. 1 e 3 e successive modificazioni). Locazione � Abitazioni urbane � Blocco dei fitti � Disciplina differenziata per fitti maggiorati -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; I. 6 novembre 1963 n. 1444, art. 1). Il regime di blocco dei canoni delle locazioni degli immobili urbani adibiti ad uso di abitazione si giustifica alla stregua dell'art. 42 Cost. giacch� tale articolo riserva alla legge ordinaria la determinazione di limiti alla propriet� privata allo scopo di realizzarne la funzione sociale; funzione sociale che si identifica, nella specie, nell'esigenza di assicurare il bene primario dell'abitazione a categorie di soggetti che non superano determinati livelli di reddito (1). I limiti predetti, se possono comprimere le facolt� che formano il contenuto del diritto di propriet� privata, non possono mai pervenire ad annullarle; una definitiva e irreversibile compressione delle facolt� di godimento del proprietario non si verifica se il blocco dei canoni locatizi rimane un mezza straordinario di intervento pubblico, preordinato a fronteggiare crisi congiunturali del settore dell'edilizia abitativa. Se invece tale blocco avesse ad acquisire carattere di ordinariet� (che per il momento non gli si riconosce) dovrebbe riesaminarsene la compatibilit� con le disposizioni costituzionali, con riguardo, tra l'altro, anche all'aspetto della valutazione comparativa delle condizioni economiche del locatore e del conduttore (2). La circostanza che una parte dei locatori abbia richiesto ed ottenuto un aumento del canone � valorizzabile per giustificare una disciplina diffe renziata di tale categoria di locatori rispetto agli altri (3). (1, 2 e 5) Nelle sentenze n. 132 del 1972 (in questa Rassegna, 1972, I, 985 e in Giur. cost., 1970, 1360, con nota di richiami di dottrina) e n. 29 del 1975 (in questa Rassegna, 1975, I, 48), la Corte Costituzionale aveva avuto modo di esaminare questioni relative alla compatibilit� con l'art. 3 Cost. di alcuni aspetti della disciplina legale d'ei rapporti' di locazione degli immobili RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 4 II CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 4 -Pres. Oggioni -Rel. Gionfrida -Rivalta (avv. Celoria) ed altri e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). Locazione -Abitazioni urbane -Discipline differenziate .succedutesi nel tempo -Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; I. 26 novembre 1969 n. 833, art. 1; d.!. 26 ottobre 1970 n. 745, art. 56). Locazione -Abitazioni urbane -Blocco dei fitti -Limite della propriet� privata per funzione sociale � Legittimit� costituzionale. (Cost., art. 42; d.!. 26 ottobre 1970 n. 745, art. 56). Una disciplina differenziata di situazioni simili ma diversamente circostanziate nel tempo � giustificata ove sia diretta al perseguimento di esigenze collettive esse pure circostanziate nel tempo,� il sopravvenire di una legge, che proroga una disciplina differenziata, non � valorizzabile come dato modificativo ex post della valutazione politica fatta dal legislatore ordinario (e delle finalit� dallo stesso perseguite) nel momento in cui � stata dettata la disciplina poi prorogata (4). La funzione sociale della propriet� privata degli immobili urbani destinati ad uso di abitazione, se pu� giustificare un regime di blocco dei canoni come misura contingente, non postula la adozione del regime stesso come misura in ogni caso e in ogni tempo indispensabile all'attuazione dell'art. 42 cpv. Cost. (5). I (Omissis). -4. -� pur vero, d'altra parte, che i �limiti� sopradetti, � se possono comprimere le facolt� che formano la sostanza del diritto di propriet�, non possono mai pervenire ad annullarle� (cfr. sentenza n. 155 del 1972). urbani adibiti ad abitazione (proroga legale e blocco dei canoni). Nelle sen� tenze qui annotate � invece stato affrontato il tema, di pi� ampio respiro, della compatibilit� di detta disciplina legale con l'art. 42 comma secondo Cost. Dopo aver implicitamente condiviso lo spostamento, dal terreno dei rapporti obbligatori a quello del diritto reale di propriet�, della problematica conseguente alla disciplina legale delle locazioni urbane (nel senso che � l'autonomia contrattuale . . . non riceve dalla Costituzione una tutela diretta � ma � la riceve indirettamente da quelle norme della Carta fondamentale, che. come gli artt. 41 e 42 ... si riferiscono ai possibili oggetti di quella autonomia �, la sentenza n. 37 del 1969, in questa Rassegna, 1969, I, 212, e altre in detta sentenza richiamate), la Corte ha potuto affrontare in termini sostan PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Ma tale principio -che, nella sentenza n. 155 del 1972 citata, sorregge la declaratoria di incostituzionalit� dell'art. 1 legge 11 febbraio 1971 n. 11 (� per l'omessa previsione di forme di periodica rivalutazione �del canone in denaro dei fondi rustici�) -non pu�, contrariamente all'assunto del giudice a quo, condurre ad analoga conclusione di illegittimit� nei rispetti della normativa impugnata. E ci� per la fondamentale ragione (posta anche in luce dall'Avvo �catura dello Stato) che -mentre nella materia dell'affitto di fondi rustici, il giudizio di costituzionalit� � stato formulato sul presupposto <lel carattere ordinario della relativa disciplina -nella specie viene, invece, in considerazione una disciplina (quale � appunto quella sul blocco dei canoni locativi), costituente un mezzo straordinario di intervento pubblico, preordinato a fronteggiare crisi congiunturali del settore dell'edilizia abitativa. In altre parole, l'eventuale alterazione dell'equilibrio (il quale deve pur sussistere) tra interessi dei conduttori ed interessi dei proprietari locatori -quale si connetterebbe ad una disciplina che in via normale e permanente riducesse ad irrisoria misura il reddito della propriet� edilizia -non viene qui in rilievo (e la Corte si esime, pertanto, dall'esaminarla) in quanto proprio gli indicati caratteri di straordinariet� e temporaneit� di tale disciplina ne giustificano in ogni caso la legit ziali le questioni ad essa sottoposte, pervenendo ad inquadrare la disciplina predetta tra i limiti della propriet� privi;tta aventi lo scopo di assicurarne la �funzione sociale� (tra tali limiti, nella sentenza n. 73 del 1966, la Corte ha collocato anche la normativa dettata a tutela dell'avviamento commerciale). Per incise;>, si osserva che la funzione sociale della propriet� non � uno scopo obbiettivo che il legislatore sia libero di prefiggersi o meno, ma � uno scopo che il legislatore � tenuto a perseguire, nel senso che non pu� esimersi dall'operare gli interventi necessari a tale fine neppure rinunciando a porre in essere qualsiasi intervento (in tal senso, PUGLIATTI, La propriet� e Je propriet�, in La propriet� nel nuovo diritto, 1954, 277). Merita sottolineare che la Corte si � ritenuta legittimata ad individuare e . a qualificare una specifica esigenza collettiva (assicurare l'abitazione ai meno abbienti) come � funzione sociale �. Peraltro una siffatta individuazione e qualificazione potrebbe essere fatta anche esplicitamente dal legislatore. Sulla compatibilit� tra diritto soggettivo e funzione sociale, cfr. RonOT�, Propriet� -diritto vigente, in N.mo Dig. It., XIV, 1967, 134, e Note critiche in tema di propriet�, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1960, 1299. Lo stesso Autore osserva anche che nella Costituzione il qualificativo � sociale � � utilizzato in tre diverse accezioni: � una descrittiva, tendente cio� ad individuare posizioni o forme di organizzazione all'interno della comunit� statale; un'altra comprensiva del riconoscimento della necessit� (e quindi del diritto) ad una profonda integrazione dell'individuo nella societ�, integrazione da realizzare attraverso misure predisposte a favore di tutti i singoli i quali si trovino in determinate condizioni (artt. 2, 3, 4, 30, 38, 46); una infine, come criterio di valutazione di situazioni giuridiche connesse allo svolgimento di determinate RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO timit�: in funzione dello scopo sociale di intervento in favore delle classi meno abbienti, che si realizza senza una definitiva ed irreversibile compressione delle facolt� di godimento del proprietario. 5. -Non va, a questo punto, per altro trascurata la circostanza della uniforme ripetizio:qe e sovrapposizione nel tempo di normative di blocco. La considerazione di tale circostanza prospetta, infatti, il pericolo che -in dipendenza dell'ulteriore procrastinarsi di tali normative possa di fatto acquisirsi al regime di blocco quel carattere di ordinariet� (che per il momento non gli si riconosce). Ora, tale evenienza -ove in concreto si verificasse -potrebbe indurre la Corte a riformulare, sotto tale diverso presupposto, il giudizio di legittimit� sulla disciplina di blocco, con riferimento ai parametri costituzionali, e con riguardo, tra l'altro, anche all'aspetto della valutazione comparativa delle condizioni economiche del locatore. (Omissis). II (Omissis). -3. -Nel ,merito, la sollevata questione di legittimit� risulta, comunque, gi� esaminata, proprio nelle innanzi indicate decisioni n. 132 del 1972 e n. 29 del 1975. attivit� economiche, delle quali sono indicati l'ambito e le eventuali forme di coordinamento (artt. 41, 42, 44, 45). Quest'ultimo � il significato che ci interessa essendo l'unico compatibile con il concetto di funzioni ed il solo che si presti ad essere univocamente usato nelle espressioni � benessere sociale >>, � utilit� sociale >>, � interesse sociale �: tutte espressioni che si riferiscono ad un � massimo sociale � che � appunto il fine al cui raggiungimento sono coordinati i vari strumenti giuridici presi in considerazione �. (RoooT�, Propriet� -diritto vigente, cit., 137). Dalla segnalata impostazione discende la applicabilit�, anche nella materia della quale si tratta, del principio secondo cui i limiti della propriet� possono comprimerne ma non annullarne il contenuto (cfr. la sentenza n. 155 del 1972 in tema di affitto di fondi rustici, in questa Rassegna, 1972, I, 1045). In questo quadro, di grande importanza si rivela l'affermazione secondo cui il carattere temporaneo e non ordinario di una limitazione, ancorch� consistente, del contenuto della propriet� �, di per s�, sufficiente a qualificare la limitazione stessa come solo compressiva del contenuto del relativo d,iritto. (4) Com'� noto, nel garantire l'osservanza del principio di uguaglianza, la Corte Costituzionale sovente ricerca e valuta l'intenzione del legislatore, lo scopo della disciplina legislativa. L'affermazione di cui alla massima appare precisazione di notevole importanza, in quanto qualifica come utilizzabili per la individuazione dello scopo del legislatore soltanto i dati politici, economici, etici presenti nel momento della legificazione. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Le quali hanno escluso la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, sul rilievo che � la situazione dei conduttori che stipularono il contratto anteriormente al 1� dicembre 1969 � obiettivamente diversa ed � stata diversamente valutata dal legislatore�, ed hanno precisato che, �per i contratti stipulati in epoca successiva la situazione economica e di mercato, profondamente diversa da quella esistente al momento in cui vennero prorogati fitti precedenti, richiedeva una valutazione per sopperire ad altre esigenze, valutazione che implicava una scelta di esclusiva competenza del legislatore �. Le considerazioni svolte nelle ordinanze di rinvio si risolvono, pertanto, in una critica alle sentenze riportate. Tale critica, soprattutto, mette in rilievo: a) la contraddizione, in cui sarebbe incorsa la Corte, ritenendo, da un lato, legittima la limitazione cronologica della proroga al 1� dicembre 1969 ed affermando, dall'altro (con la medesima decisione n. 132 del 1972), l'incostituzionalit�, invece, della limitazione, alla data stessa, dell'indagine in ordine alla capacit� economica del conduttore; b) l'insuperabilit� dell'ostacolo frapposto, dal principio costituzionale dell'eguaglianza, ad una disciplina cronologicamente differenziata delle locazioni, sia pure finalizzata alla realizzazione delle � altre esigenze � (rilancio dell'economia, dell'industria edilizia, ecc.), di cui � cenno nella motivazione delle sentenze criticate; e) l'inesistenza, infine, dell'assunta � diversit� obiettiva� tra le situazioni dei conduttori stipulanti prima o dopo il 1� dicembre 1969; diversit�, del resto, smentita dallo stesso legislatore con il successivo d.l. 24 lu!$lio 1973, n. 426 (convertito in legge 1973 n. 495) di proroga di tutte le locazioni (allora) in corso, anche quindi, di quelle posteriori al 1� dicembre 1969. 4. -Tali nuove addotte argomentazioni non valgono a indurre la Corte a modificare la propria giurisprudenza. Non sussiste, infatti innanzitutto, la denunziata contraddizione, nella motivazione delle sentenze menzionate: giacch� una cosa, evidentemente, � la limitazione cronologica dell'indagine sul reddito del conduttore, ai fini del decidere della permanenza ed attualit� del suo diritto alla proroga (limitazione dichiarata incostituzionale allo scopo, appunto, di � evitare irrazionali differenze qualora le condizioni economiche del conduttore siano mutate al momento in cui si decide della proroga�) ed altra cosa � la limitazione cronologica, invece, del � regime � di proroga; valendo, in questo caso, il termine ad identificare il momento di passaggio tra due diverse discipline delle locazioni. Inconsistente �, d'altra parte, anche l'argomento esposto sub b): poich� la legittimit� di una disciplina cronologicamente differenziata RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di situazioni strutturalmente simili non pu� in assoluto escludersi e tale differenziazione appare anzi giustificata ove, appunto, sia (come - in tesi -nel caso di specie) diretta al perseguimento (a partire da una certa data) di particolari �esigenze� rilevanti per la collettivit�. L'emergenza di tali esigenze diversifica, infatti, gi� sul piano ontologico, le situazioni comparate: consentendone, di conseguenza, una non identica regolamentazione. L'ultima argomentazione dei giudice di rinvio -con cui, in sostanza, si denunzia l'arbitrariet� ed irragionevolezza della diversificazione di disciplina di locazioni obiettivamente identiche, in base al mero dato cronologico (dell'anteriorit� o non al dicembre 1969) -non ha nemmeno consistenza, ove si consideri che, invece, non irrazionalmente - e sicuramente nell'�mbito della sua discrezionalit� -ha operato il legislatore del 1970, ritenendo che la congiuntura economica a lui sottoposta consentisse, in materia di locazioni, una risposta articolata: tradottasi, per un verso, nel prolungamene di durata della proroga per i contratti che a questa gi� fossero soggetti ex legge 1969 n. 833 e, per altro verso, nel mantenimento del regime libero per le locazioni stipulate successivamente all'entrata in vigore della predetta legge 1969. La pretesa irrazionalit� di tale situazione normativa neppure pu�, d'altra parte, essere ex post desunta dal fatto che, con legge n. 426 del 1973, la proroga sia stata -come detto -estesa anche ai contratti (�in corso�) stipulati successivamente al dicembre 1969, inizialmente non prorogati. La legge 1973 n. 426 citata (anteriore alla sentenza 1975 n. 29 della Corte, che ne ha, quindi, implicitamente gi� escluso l'incidenza sulla soggetta questione di costituzionalit�) non contraddice, infatti, la normazione del 1970, ma si limita a esprimere la valutazione di una diversa e successiva congiuntura (cui � stato, evidentemente, ritenuto rispondente un regime pi� generalizzato di blocco delle locazioni). 5. -Resta da esaminare la questione sollevata con l'ordinanza del pretore di Milano. -(Omissis). Nel merito, la questione � infondata. La mancata previsione -nell'art. 56 del d.I. 1970 n. 745 (che ha prorogato il blocco dei canoni gi� stabilito con l'art. 2 della legge 1969 n. 833) -di un nuovo blocco per le locazioni stipulate posteriormente all'entrata in vigore della legge 1969 citata, non contrasta, infatti, con i richiamati parametri costituzionali di cui agli artt. 4, 31 e 42, comma secondo, della Costituzione. A parte le considerazioni sulla razionalit� della normativa impugnata che discendono dalle argomentazioni innanzi svolte sull'analoga questione in tema di proroga (ed a parte il rilievo, altres�, che, comunque, anche relativamente a contratti stipulati dopo il 1� dicembre 1969, il canone ;~~ /;� li !: i' ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE l) resta di fatto bloccato ove trattisi di appartamenti locati non per la prima volta, giacch� il � divieto di aumento �, discendente dal precedente regime di blocco, permane � nei confronti del nuovo conduttore �, ex art. 2 legge 1969 citata) � decisivo invero, osservare che il perseguimento delle finalit� contemplate nei precetti costituzionali qui specificamente invocati (artt. 4, 31 e 42 della Costituzione) non si lega, in termini di necessariet�, allo strumento legislativo del blocco dei canoni locativi. In particolare, la funzione sociale della propriet�, di cui all'art. 42 cpv. della Costituzione -se pu� giustificare un regime di blocco dei canoni (come misura contingente e non come forma di assetto ordi nario della propriet� di immobili urbani destinati ad uso di abitazione: cfr. la sentenza n. 3 del 1976) -non postula, per�, l'adozione del regi me stesso come misura in ogni caso e in ogni tempo indispensabile ,all'attuazione del precetto costituzionale. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 5 -Pres. Oggioni -Rel. De Marco -Gigli (n. c.). Procedimento penale -Riabilitazione -Deposito in cancelleria degli atti della procedura e avviso all'istante -Necessit�. (Cast., art. 24; cod. proc. pen., art. 598). Contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 598 c.p.p. nella parte in cui non prevede che prima della decisione della Corte d'appello si proceda agli adempimenti di cui all'art. 372, primo e secondo comma, dello stesso codice, ai fini dell'esercizio delle facolt� da questa norma previste. (Om.issis). -La dottrina e la giurisprudenza dei giudici ordinari sono concordi nell'interpretare l'art. 598 c.p.p. nel senso che sia consentita all'istante la mera facolt� di presentare memorie, senza prevedere l'instaurazione di un vero e proprio contraddittorio, sia pure nei limiti connaturali ad un procedimento in camera di consiglio. Ma la mera facolt� di presentare memorie -come giustamente rileva l'ordinanza di rimessione -non � �idonea ad assicurare la difesa dell'interessato se non gli � consentito di prendere cognizione delle acquisizioni probatorie e delle conclusioni del pubblico ministero, sulla base delle quali deve essere pronunciata la sentenza ed in relazione alle quali l'istante ha interesse a presentare le proprie deduzioni. Tale interesse appare particolarmente ampio ove si consideri che, se la riabilitazione � negata, l'istanza non pu� essere rinnovata che dopo trascorso, dal giorno in cui la sentenza � divenuta irrevocabile, un nuovo termine uguale a quello stabilito per la presentazione della prima istanza, salvo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che sia negata per difetto o irregolarit� di qualche documento (art. 599 c.p.p.). La disciplina in esame, pertanto, deve ritenersi sicuramente non conforme all'art. 24 della Costituzione, perch� non contempla adempimenti idonei a garantire il contraddittorio, quali quelli previsti dal primo e secondo comma dell'art. 372 c.p.p. a chiusura dell'istruttoria formale. Peve quindi estendersi all'ipotesi esaminata -la normativa di cui al citato art. 372 e conseguentemente ritenersi che, prima della decisione della Corte di appello, debbano depositarsi in cancelleria gli atti e i documenti della procedura, dandosene avviso a chi abbia sottoscritto la domanda di riabilitazione (l'interessato o un suo procuratore speciale, a norma dell'art. 44 disp. att. c.p.p.), ai fini dell'esercizio delle facolt� di cui al secondo comma del su menzionato art. 372 c.p.p. (Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 6 -Pres. Oggioni -Rel. Rocchetti -Manzato (n. c.). Procedimento penale -Concorso di reati e concorso di norme -Ammissibilit� di un secondo giudizio nel caso di concorso di reati. (Cost., artt. 3 e 24; cod. proc. pen., art. 90). La semplice reiterazione del processo in ordine ad uno stesso episodio, ma con riferimento a pi� fatti in cui esso si scinda, non pu� � influire sul diritto di difesa dell'imputato, perch�, nel caso, la tutela che a quel diritto � riservata, non viene limitata od esclusa in alcun modo. D'altro canto, � giustificato e non contrasta con l'art. 3 Cast. il diverso trattamento previsto dall'art. 90 c.p.p. per la sentenza divenuta irrevocabile rispetto a quella che tale ancora non sia divenuta. CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 7 -Pres. Oggioni -Rel. Amadei -Marinello (n. c.) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). Associazione -Associazioni sindacali -Autorizzazione per organizzare gite o viaggi -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 9 e 39; r.d.l. 23 novembre 1936 n. 2523, art. 20; d.P.R. 28 giugno 1955 n. 630, art. 9). L'organizzazione di gite o viaggi a carattere culturale, religioso a patriottico � attivit� estranea alle finalit� istituzionali delle associazioni sindacali, le quali pertanto, per tale attivit�, sono sottoposte alle leggi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 11 ordinarie dello Stato come qualsiasi altro soggetto. Non contrasta quindi con gli articoli 3, 9 e 39 della Costituzione, l'art. 20, secondo e terza comma, del r.d.l. 23 novembre 1936 n. 2523, come modificato dall'art. 9 del d.P.R. 28 giugno 1955 n. 630 (1). (Omissis). -Dal combinato disposto delle norme impugnate � dato rilevare che il legislatore, in tema di attivit� turistica, ha seguito due direttive aventi per oggetto sia la tutela di interessi statali o settoriali, sia l'incremento di attivit� turistiche promosse da privati in relazione ai fini specifici, agevolandole e sottraendole ad ogni legame con gli enti a cui la legge, in via generale riconosce la facolt� di esercitarle nella loro pienezza e, per questo, sottoposte ad un regime di vigilanza e di controllo diretto a garantire un effettivo svolgimento dell'attivit� stessa nello stretto ambito del settore di competenza. Il proponente si duole, come primo punto di contestazione delle nonne, che la formulazione di queste porterebbe ad escludere i sindacati dalla facolt� di organizzare viaggi o gite occasionali, senza scopo di lucro, avvalendosi delle agevolazioni previste dal secondo comma dell'art. 20 del r.d.l. del 1936. Da qui la violazione del principio di eguaglianza. Giustamente l'Avvocatura dello Stato nota, nelle sue deduzioni, che l'art. 20, per effetto della modifica apportata dal d.P.R. 26 giugno 1955, n. 630, non legittima, ai fini della facolt� in esso contemplata, alcuna distinzione tra ente e ente promotore, per cui qualsiasi organizzazione, e quindi anche un sindacato, rimane libera di promuovere e realizzare in proprio gite patriottiche, religiose e culturali senza scopi speculativi, previa concessione, a richiesta, di deroga alle disposizioni di carattere generale. Non sussiste pi�, pertanto, a giudizio della Corte, nessuna differenziazione dei sindacati dai comitati od enti promotori per quanto riguarda il trattamento. ' Non � esatto, altres�, �affermare che comunque anche la normativa relativa alla deroga rappresenterebbe una limitazione al pieno sviluppo della persona umana (art. 3 secondo comma) e una non accettabile compressione allo sviluppo culturale dei lavoratori (art. 9, primo comma). Invero le agevolazioni previste dal legislatore si inquadrano nei fini propri delle norme costituzionali che si assumono violate. L'intervento amministrativo di concessione di deroga assume il concreto valore promozionale e la sua ragione d'essere trova piena giustificazione nella (1) L'ordinanza di rem1ss1one del Pretore di Trieste � pubblicata in Gazz. Utf., 15 gennaio 1974 n. 15. Significativa la distinzione tra attivit� istituzionali delle associazioni sindacali, per le quali � consentito (anzi doveroso) configurare un regime giuridico speciale, e le altre attivit� di dette associazioni, per le quali deve operare il diritto comune. La sentenza appare di notevole importanza anzitutto per una considerazione di metodo. Come � noto, mentre di regola il giudizio di costituzionalit� La sentenza appare di notevole importanza anzitutto per una considerazione di metodo. Come � noto, mentre di regola il giudizio di costituzionalit� 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO necessit� di salvaguardare nei limiti quel complesso di interessi gene rali dello Stato che, in ogni circostanza, devono essere tenuti presenti dai pubblici poteri e con i quali ogni attivit� libera di manifestarsi deve ragionevolmente collimare. In ordine all'asserita violazione dell'art. 39 della Costituzione, la Corte osserva che con esso si garantiscono la libert� dei cittadini di organizzarsi in sindacati e la libert� delle associazioni che ne derivano. Sotto questo profilo sono pertanto da rigettare le censure mosse alla disciplina giuridica impugnata. In questa, invero, difetta qualsiasi negazione o violazione delle libert� sindacali e della conseguente libert� di azione sindacale. L'organizzare gite o viaggi a carattere culturale, religioso e patriot tico se pu� rappresentare un complemento apprezzabile dell'attivit� sin dacale, intesa in senso lato, tuttavia costituisce pur sempre attivit� che rimane al di fuori della istituzione e organizzazione interna dei sindacati stessi e, pertanto, va soggetta all'osservanza delle leggi ordinarie dello Stato cos� come per ogni altro ente, cittadino o raggruppamento di cit tadini. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 15 gennaio 1976, n. 8 -Pres. Oggioni -Rel. Rocchetti -Cervone (avv. Cassandro e Schwarzemberg) e Venturi (n. c.). Pensioni -Ricorso alla Corte dei Conti -Termine di novanta giorni Contrasta con il principio di uguaglianza -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, art. 63; r.d. 13 agosto 1933 n. 1038, art. 72; r.d.l. 3 marzo 1938 n. 680, art. 60). La pensione dei pubblici dipendenti va coUocata tra le prestazioni patrimoniali corrisposte in base alla legge dalla Amministrazione, e forma oggetto di un diritto soggettivo di natura patrimoniale. Considerato che gli atti della amministrazione in materia di diritti soggettivi patrimoniali sono stati qualificati � non autoritativi � ai fini della assenza di termini di decadenza per i ricorsi dinanzi ai giudici amministrativi, � risulta priva di ogni giustificazione sul piano della razionalit� e pertanto contrasta con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) la previsione del termine di novanta giorni per la preposizione dei ricorsi alla Corte dei Conti in materia di pensioni (1). (1) Le ordinanze di rimessione della Corte dei Conti, sez. III, 21 novembre 1972 e 12 aprile 1973, sono pubblicate in Gazz. U[f., rispettivamente del 6 febbraio 1974 n. 35 e del 15 maggio 1974 n. 126. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 13 (Omissis). -3. -La questione � fondata. Occorre premettere che il diritto a pensione dei pubbli�i dipendenti va collocato nel pi� ampio quadro delle prestazioni patrimoniali a carico dell'Amministrazione e da essa corrisposte in base alla legge sia a titolo di remunerazione del servizio prestato dall'impiegato, sia, dopo la cessazione dal servizio, come corresponsione periodica e vitalizia di una somma di danaro. Tali prestazioni, che sono oggetto di un diritto soggettivo di natura patrimoniale, trovano nel nostro ordinamento tutela giurisdizionale dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, (tribunali amministrativi regionali e Consiglio di Stato) per quanto concerne il diritto allo stipendio (ma, in determinati casi, anche alla pensione) e dinanzi alla Corte dei conti, per quanto riguarda il diritto alla pensione e agli altri assegni di quiescenza (art. 103, primo e secondo comma, Cost.). � noto che per i diritti che, come quelli in esame, sono devoluti alla sua giurisdizione esclusiva dall'art. 29 del t.u. approvato con r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, il Consiglio di Stato ha, da tempo, elaborato una giurisprudenza, ormai fermamente consolidata, la quale ha escluso che, per la proposizione di ricorsi contro provvedimenti che non hanno causa nell'esercizio di una potest� autoritativa, possa valere il termine di decadenza di sessanta giorni, stabilito in via generale dall'art. 36 del citato t.u. Il Consiglio di Stato ha motivato il suo orientamento facendo riferimento sia alla natura del provvedimento amministrativo in tema di questioni patrimoniali dei pubblici dipendenti che, essendo di carattere cos� detto paritetico e non autoritativo, ha per oggetto diritti sogget di una disposizione legislativa consiste nel diretto confronto di detta disposiz�one con uno o pi� precetti costituzionali, l'esame di questioni coinvolgenti il principio di uguaglianza include un � momento � di individuazione della norma o del principio che deve essere assunto come termine di raffronto (tertium comparationis), ossia come norma o principio pi� consono con i � valori � politici e giuridici espressi dalla Costituzione. Non di rado l'autonomia di questo � momento � -la cui importanza e delicatezza sono� palesi -non emerge alla luce di una piena consapevolezza, e il � momento � in questione rimane indifferenziato all'interno dello iter logico seguito dapprima dal giudice a quo e poi dalla Corte Costituzionale: ci� avviene soprattutto perch� evidente e non contestata � la maggiore aderenza alla Costituzione (o all'ordinamento nel suo �nsieme) della norma o principio che viene assunto come tertium comparationis (ad esempio, tale norma o principio ha �carattere generale, mentre la disposizione la cui �ragionevolezza� e legittimit� costituzionale � contestata ha carattere particolare). Nella sentenza in rassegna, invece, la Corte ha esplicitamente, seppure marginalmente, motivato sul punto della maggiore aderenza all'ordinamento co stituzionale del principio (affermato dalla giurispmdenza del Consiglio di Stato) della assenza di termini di decadenza per la proposizione di ricorsi avverso i cosidetti ,, atti paritetici � rispetto alle disposizioni le quali, per i giudizi RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14 tivi e non interessi legittimi; sia all'oggetto stesso della controversia in sede giurisdizionale, che non � limitata all'esame della legittimit� del provvedimento amministrativo, ma si estende al rapporto controverso e quindi a tutti i presupposti del diritto soggettivo in questione. 4. -I principi cos� elaborati si attagliano perfettamente alle controversie relative al trattamento di quiescenza, riservate alla giurisdizione della Corte dei conti. Anche in questo caso, oggetto del giudizio � un diritto soggettivo patrimoniale, rispetto al quale il provvedimento amministrativo, che lo riconosce o lo esclude, � privo di ogni carattere autoritativo, perch� si limita ad accertare i presupposti stabiliti dalla legge, in ordine sia alla spettanza del diritto al detto trattamento, sia alla determinazione del suo ammontare. Donde la conseguenza che non esistono, in rapporto a un provvedimento siffatto, quelle esigenze che legittimano la previsione di un breve termine di decadenza per l'impugnazione, invece, dei provvedimenti autoritativi. Nella prassi giurisprudenziale, del resto, il giudizio che si instaura a seguito del ricorso, pur avendo formalmente carattere di giudizio d'impugnazione di un provvedimento amministrativo, sostanzialmente � volto all'accertamento del diritto a pensione attraverso un'indagine che comprende tutti gli elementi del diritto medesimo. 5. -Alla stregua delle considerazioni che precedono, le norme che, nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti in materia di pensione dei pubblici dipendenti, prescrivono, per la presentazione dei ricorsi, il termine di novanta giorni decorrenti dalla data della comunicazione o notificazione del provvedimento di concessione o di rifiuto della pensione, dell'assegno o dell'indennit�, si presentano prive di ogni giustificazione sul piano della razionalit� e, in quanto determinano, con riferimento a situazioni tra loro assimilabili, una rilevante disparit� di trattamento, risultano in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. in materia di pensioni dinanzi alla Corte dei Conti, prevedevano il termine di decadenza di novanta giorni. Ed invero, � auspicabile che, in ogni giudizio in cui si invochi il principio di eguaglianza, l'anzidetto � momento � assuma autonomia e rilievo. Ci�, ovviamente, vale non soltanto in sede di giudizio dinanzi alla Corte Costituzionale, ma anche in sede di prima delibazione delle questioni di legittimit� costituzionale ad opera del giudice a quo: tale giudice, infatti, � tenuto a percepire e a cogliere ogni aspetto delle questioni di legittimit� costituzionale a lui sottoposte ed a vederne tutte le possibili . implicazioni, sia per stabilire se sussistano o meno la rilevanza e non manifesta infondatezza, sia -even� tualmente -per investire la Corte Costituzionale dell'interezza delle questioni, evitando di deviare o condizionare il successivo giudizio mediante un " ritaglio ,, della materia controversa e delle questioni prospettate. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 15 Ed invero, la antica previsione di un breve termine di decadenza (risalente alla legge 26 luglio 1869, n. 4516) per la tutela del diritto a pensione, ritenuto gi� imprescrittibile dalla giurisprudenza della Corte dei conti e oggi espressamente dichiarato tale dalla legge (art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092), se pu� trovare la sua spiegazione nella antica struttura del giudizio pensionistico e nelle concezioni del legislatore dell'epoca, non appare pi� consona al riconoscimento dei diritti che, nell'ambito del pubblico impiego, attraverso una lenta ma sicura evoluzione giurisprudenziale e legislativa dell'istituto, sono stati riconosciuti ai dipendenti della pubblica Amministrazione. D'altra parte, non � chi non veda come non sussista pi� alcuna ragione per differenziare, dal punto di vista della sua tutela, i diritti patrimoniali nascenti in costanza del rapporto di impiego pubblico, da quelli che invece sorgono dalla cessazione dal servizio e che attengono al trattamento di quiescenza del dipendente, specie se si considera che i principi giuridici affermati �con riferimento a tutti i provvedimenti non autoritativi relativi alle situazioni patrimoniali dei dipendenti pubblici non possono trovare una differente applicazione in ragione della di7 stribuzione della giurisdizione tra il tribunale amministrativo regionale e il Consiglio di Stato da una parte e la Corte dei conti dall'altra. Dalla accertata violazione dell'art~ 3, primo comma, della Costituzione, consegue che deve essere dichiarata la illegittimit� costituziona~e degli artt. 63 del r.d. 12 luglio 1934, n.. 1214, 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, e 60 del r.d. 3 marzo 1938, n. 680, nella parte in cui sta7 biliscono il termine perentorio di novanta giorni per la presentazione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al tr.at~ tamento di quiescenza. Ed � appena il caso di precisare che il termine assegnato al Procuratore generale per il deposito del ricorso, quando egli ricorra in via principale, ai sensi dell'art. 76 del r.d. i3 agosto 19331 n. 1038, avendo diverso fondamento e differenti finalit� rispettq a quello denunciato dall'ordinanza di rimessione, non viene travolto dalla pichia~ razione di illegittimit� costituzionale contenuta nella presente decisione. 6. -A seguito della dichiarazione di illegittimit� delle norme impu~ gnate, vengono dichiarati assorbiti gli altri motivi di censura proposti dalle ordinanze di rinvio. 7.� In conseguenza della pronuncia di incostituzionalit� delle norme denunciate, va dichiarata d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la illegittimit� delle seguenti altre disposizioni, nella parte in cui prevedono lo stesso termine di decadenza di novanta giorni per la proposizione dei ricorsi dinanzi alla Corte dei conti, e cio�: 1) l'art. 22, secondo comma, del r.d. 22 aprile 1909, n. 229; l J i I I I ----I RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO 2) l'art. 24, secondo comma, del r.d.l. 27 novembre 1919, n. 2373;, convertito nella legge 7 aprile 1921, n. 369; 3) l'art. 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312; 4) l'art. 54, primo comma, della legge 6 luglio 1939, n. 1035; 5) l'art. 63, primo comma, dell�!. legge 6 febbraio 1941, n. 176, in. quanto richiamata dall'art. 6 della legge l1 aprile 1955, n. 379; 6) l'art. 59, primo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934; 7) l'art. 90, primo comma, del d.P.R. S giugno 1952, n. 656; 8) l'art. 29, secondo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699. per questi motivi a) dichiara l'illegittimit� costituzionale degli artt. 63 del r.d. 12 lu-glio 1934, n. 1214, 72 del r.d. 13 agosto 1933, n. 1038, e 60 del r.d.l. 3� � marzo 1938, n. 680, nella parte in cui prescrivono, per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al trattamento di quiescanza, il termine perentorio di novanta giorni dalla. data di comunicazione e notificazione del provvedimento� impugnato; b) dichiar� altres�, d'ufficio, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 mar-zo 1953, n. 87, e negli stessi limiti, la illegittimit� costituzionale delle� disposizioni di cui ai seguenti artkoli: 1) art. 22, secondo comma, del r.d. 22 �aprile 1909, n. 229, sullepensioni del personale delle ferrovie dello Stato; 2) art. 24, secondo comma, del r.d.l. 27 novembre 1919, n. 2373,. convertito nella legge 7 aprile 1921, n. 369, che migliora il trattamento di quiescenza del personale delle� ferrovie dello Stato; 3) art. 49 del r.d. 12 luglio 1934, n. 2312, sull'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni agli ufficiali giudiziari; 4) art. 54, primo comma, della legge 6 luglio 1939, n. 1035, suE regolamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai sanitari; 5) art. 63, primo comma, della legge 6 febbraio 1941, n. 176, sul" l'ordinamento del Monte-pensioni per gli insegnanti elementari, in quanto richiamata dall'art. 6 della legge 11 aprile 1955, n. 379; 6) art. 59, primo comma, della legge 25 luglio 1941, n. 934, sul-� l'ordinamento della Cassa di previdenza per le pensioni ai salariati. degli Enti locali; 7) art. 90, primo comma, del d.P.R. 5 giugno 1952, n. 656, sulle disposizioni in materia di ricevitorie postali e telegrafiche, agenzie, col-lettorie e servizi di portalettere rurali; 8) art. 29, secondo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699, sulla,. disciplina dell'Ente Fondo trattamento quiescenza al personale del lotto. -(Omissis). PARTE' I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, ordinanza 15 gennaio 1976, n. 13 -Pres. Oggioni -Rel. De Stefano -Regione Sicilia (avv. Aula) c. Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Gozzi). Corte costituzionale � Conflitti di attribuzione � Sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato. (!. 11 marzo 1953, n. 87, art. 40). Il provvedimento amministrativo regionale con il quale viene disposta la disapplicazione nell'ambito del territorio della Regione di un provvedimento amministrativo statale, preclude alla Regione la possibilit� di ottenere dalla Corte costituzionale una ordinanza di sospensione di quest'ultimo provvedimento tempestivamente impugnato per conflitto di attribuzione. (Omissis). -Ritenuto che la Regione siciliana, con il ricorso di cui in epigrafe, ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, chiedendo l'annullamento, previa sospensione della esecuzione, del decreto 23 luglio 1975 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 197 del successivo 25 luglio), emesso dal Ministro per le finanze, di concerto con il Ministro per il tesoro, con il quale sono state dettate, in materia' di rimborso delle eccedenze dell'imposta sul valore aggiunto, � modalit� per l'esecuzione delle disposizioni dell'art. 38, comma quinto del decreto del. Presidente della Repubb�ca 26 ottobre 197i; n:: '633�, e successive 'modificazioni�; ' che, nelle more del presente giudizio, lAssessore per le finanze della Regione siciliana, con suo decreto 29 agosto 1975 (pubblicato nel la Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 42 del successivo 27 settembre), ha disposto che, fino a quando la materie non sar� pun tualmente e definitivamente disciplinata in sede di norme di coordi namento di cui �all'art. 12, n. 4, della legge delega per la riforma tri~ butaria 9 ottobre 1971, n. 825, il decreto ministeriale 23 luglio 1975 'non si applichi nell'ambito del territorio della Regione siciliana, facendosi quindi obbligo agli uffici I.V.A. della Sicilia di continuare a versare le somme riscosse a titolo d'imposta sul valore aggiunto, in conto entrata della Regione (art. 1), e di continuare a provvedere ai rimborsi d'im posta, utilizzando le somme che all'uopo verranno accreditate sui nor mali stanziamenti di spesa del bilancio dello Stato o di quello della Regione, a seconda dell'Ente al cui erario sono affluite le quote d'im posta ammesse a rimborso, salvo conferma da parte del Ministero delle finanze della determinazione, di cui alla nota n. 109691 dell'll novembre 1974, di provvedere, in linea provvisoria, agli accreditamenti in parola a carico del bilancio statale (art. 2). 18 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Considerato che, in disparte ogni altra valutazione, non sussistono, allo stato, per effetto della disposta disapplicazione dell'impugnato provvedimento nell'ambito del territorio della Regione siciliana, le gravi ragioni che, ai sensi dell'art. 40 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e dell'art. 28 delle Norme integrative del 16 marzo 1956 per i giudizi avanti alla Corte costituzionale, possano giustificare la sospensione della sua esecuzione. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 14 -Pres. Oggioni -Rel. Capalozza -Vallone ed altri (n. c.). Procedimento penale -Responsabile civile -Assicuratore di danni da circolazione di veicoli o natanti -Citazione nel corso della istruzione sommaria. (Cost., art. 24; c.p.p., art. 108 primo comma; legge 24 dicembre 1969, n. 990, art. 24). Assicurazione -Circolazione di veicoli o natanti -Procedimento penale Notifica della costituzione di parte civile -Non � prescritta. (Cost., art. 24; c.p.c., art. 95). Alla parte lesa da un evento derivato dalla circolazione di veicoli o natanti e costituitasi parte civile, non pu� rimanere precluso, nel corso della istruzione sommaria, l'esercizio del diritto di azione nei confronti dell'assicuratore del danneggiante, anche per ottenere la provvisionale,� pertanto, contrasta con l'art. 24 Cost. l'art. 108, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non consente, nel corso dell'istruzione sommaria, la citazione del responsabile civile, nei cui confronti si richieda la provvisionale di cui all'art. 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 (1). Non contrasta con l'art. 24 Cast. l'art. 95 c.p.p. il quale prescrive che la costituzione di parte civile sia notificata al pubblico ministero e all'imputato, e non anche all'assicuratore quale responsabile civile (2). (Omissis). -5. -� da tener fermo che l'assicuratore, obbligato civilmente al risarcimento, � abilitato ad intervenire come responsabile civile nell'istruttoria anche sommaria (vedasi la sentenza n. 172 del 1974). (1-2) La prima massima si collega a quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza 10 luglio 1975, n. 198 (in Giur. cost. 1975, I, 1546, ove sono anche alcune indicazioni di dottrina sulla pr�vvisionale di cui all'art. 24 della legge n. 990 del 1969). La sentenza Corte cost. 19 giugno 1974, n. 172 richiamata nella motivazione � pubblicata in Foro lt., 1974, I, 2598. Sulla legge n. 990 del 1969, cfr. anche Corte cost., 12 marzo 1975, n. 55 (in questa Rassegna, 1975, 283) e n. 56 (ivi, 1975, 285). � PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Del che si ha riprova testuale nell'art. 95, secondo comma, cod. proc. pen., per il quale �le istanze proposte (dalla parte civile) dopo la cita~ zione o l'intervento del responsabile civile devono prima del dibattimento essere notificate anche al responsabile civile �. Tuttavia, il 'problema sorge rispetto all'ipotesi in cui il danneggiato intenda chiedere la provvisionale di cui all'art. 24 legge 24 dicembre 1969, n. 990, nei confronti dell'assicuratore, il quale non sia intervenuto nella istruzione. Risulta dai principii -ed � pacificamente riconosciuto che l'istanza ex art. 24, presuppone la costituzione di parte civile; ed � ovvio che in tanto l'istanza medesima pu� essere rivolta nei confronti dell'assicuratore, in quanto l'azione civile nel procedimento penale sia esercitata anche contro quest'ultimo. Ora, mentre ci� � possibile nella istruzione formale, �, invece, precluso nell'istruzione sommaria, alla stregua del disposto dell'art. 108 cod. proc. pen., il quale -con riguardo a tale tipo di procedimento __; non consente la citazione del responsabile civile se non per il dibattimento. Ne consegue che durante il corso dell'istruzione sommaria il danneggiato non potrebbe chiedere la provvisionale contro l'assicuratore; il che, oltre a creare una disparit� di trattamento rispetto all'ipotesi in cui si proceda con istruzione formale (durante la quale la predetta richiesta del danneggiato � ammissibile), si risolve in una violazione dell'art. 24 Cost., rimanendo, durante tutto il corso dell'istruzione sommaria, privo di tutela il diritto del danneggiato ad ottenere la pronunzia di cui all'art. 24 della citata legge del 1969. Ricorrono, cio�, riguardo alla pretesa del danneggiato contro il responsabile civile, quelle stesse ragioni che, con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., hanno indotto questa Corte a ritenere illegittima la normativa che, durante l'istruzione sommaria condotta dal P.M., rendeva impossibile (per difetto dei poteri decisori del P.M.) la proponibilit� dell'istanza di provvisionale nei confronti dell'imputato (sentenza n. 198 del 1975). Nella specie, alla proponibilit� della richiesta di provvisionale contro l'assicuratore durante il corso dell'istruzione sommaria, osta -come si � detto -l'art. 108 del codice di procedura penale. Del quale, pertanto, va dichiarata l'illegittimit� costituzionale nella parte, appunto, in cui non consente, nel corso dell'istruzione sommaria, la citazione del responsabile civile, nei cui confronti si chieda la provvisionale di cui all'art. 24 della legge n. 990 del 1969. 6. -La questione dell'illegittimit� dell'art. 95, primo comma, cod. proc. pen. -formulata dal pretore di Napoli sotto il profilo che la mancata prescrizione di notificazione, prima del dibattimento, della dichiarazione RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di costituzione di parte civile anche all'assicuratore quale responsabile civile, violi, in danno del medesimo, l'art. 24 della Costituzione -� .manifestamente infondata. Questa Corte, invero, con decisione n. 172 del 1974, ha gi� dichiarato non fondata la predetta questione di legittimit� costituzionale dell'art. 95 ~od. proc. pen. -sotto l'identico profilo ora nuovamente prospettato rilevando che �ai sensi dell'art. 3 della legge 15 dicembre 1972, n. 773, portante modifiche al codice di procedura penale al fine di accelerare � semplificare i procedimenti, applicabile anche ai procedimenti con istruzione sommaria, sin dal primo atto di istruzione, il giudice istrut� tore � obbligato ad inviare a coloro che vi possono avere interesse, come parti private, una comunicazione giudiziaria con indicazione delle norme di legge violate e della data del fatto addebitato con invito ad esercitare la facolt� di nominare un difensore, il che, per quanto attiene al responsabile civile va evidentemente inteso nel senso che la comunicazione debba a questo esser fatta non appena avvenuta la costituzione di parte civile nei confronti dell'imputato�. -(Omi-ssis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 15 � Pres. e Rel. Oggioni. � Cane ed altri (n.c.) c. Comune di Taggia (avv. Contaldi), e Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Albisinni). Espropriazione per p.u. � Indennizzo -Determinazione secondo la c.d. legge di Napoli -Adeguamento solo parziale al variare dei valori venali -Non contrasta col principio di eguaglianza. (Cost., art. 3; I. 15 gennaio 1885, n. 2892, artt. 12 e 13; I. 28 luglio 1967, n. 641, art. 14). Espropriazione per p;u, -Indennizzo -Determinazione secondo la c. d. legge di Napoli -Utilizzazione del parametro dell'imponibile cata� stale � Ragionevolezza. (Cost., art. 3; I. 15 gennaio 1885, n. 2892, artt. 12 e 13; I. 28 luglio 1967, n. 641, art. 14). Espropriazione per p.u. -Indennizzo � Determinazione secondo la c. d. legge di Napoli -Aggiornamento degli imponibili solo per i fondi urbani � Non contrasta con il principio di eguaglianza. (Cost., art. 3; I. 15 gennaio 1885, n. 2892, artt. 12 e 13). La circostanza che -applicandosi la c. d. legge di Napoli -l'indennizzo per l'esproprio venga determinato per met� secondo il valore venale del bene espropriato � sufficiente ad escludere che, pur nella costanza di un imponibile non aggiornato, la differenza di indennizzo tra proprietari espropriati in epoche diverse per beni in astratto di eguale valore, dia luogo a violazione del principio di eguaglianza, dovendosi ricono PARTE l, SEZ. 'I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 21 :scere che diseguaglianze sono cdnnaturate all'attuazione, necessariamente graduale, di interventi urbanistici di ampio raggio (1). , E rispondente a criteri di ragionevolezza, il cui riconoscimento � sufficiente ad escludere ogni sindacato in questa sede circa l'uso del potere discrezionale del legislatore, il ricorso al parametro dell'imponibile catastale in mancanza del dato offerto da un canone di locazione (2). Non d� luogo a violazione del principio di eguaglianza la circostanza .che per i fondi urbani, e non anche per i fondi rustici, siano stati stabiJiti coefficienti annui di aggiornamento degli imponibili presi a base per la determinazione della indennit� di esproprio, posto che superiore � la capacit� di incremento di valore dei fondi urbani (3). (Omissis). -Occorre aggiungere che il sistema di determinazione dell'indennizzo non prescinde affatto, come sembra ritenere il giudice a quo, da un certo adeguamento alla realt� economica, giacch�, anche nell'ipotesi in cui non risultino canoni di locazione, entra sempre a far parte del calcolo relativo, come dato componente alla media, il valore venale dell'immobile, il che contribuisce in modo determinante ad adeguare, sia pure entro certi limiti, l'ammontare dell'indennizzo alla realt� dei valori economici. Alla quale finalit� di adeguamento � anche diretta la legge 22 dicembre 1969, n. 952, che, appW�to in tema di edilizia scolastica e universitaria, ha stabi�ito una� maggiorazione pari al 2 per cento annuo degli indennizzi dovuti al proprietario espropriato. N� d'altra parte, secondo la giurisprudenza della Corte, l'indennizzo per esproprio deve puntualmente corrispondere alla: consistenz� economica del bene -espropriato, essendo stifficiente che ess� costituisca un � ristoro � anche parz�ale, purch� non meramente 'sirhbolico, il che, appunto, si verifica neila specie. � certo,� che il sisteina 'in �san�e garantisce, anche nella pi� ristretta ipotesi,' un indennizzo pari �lla media fra valore venale e (1-3) L'ordinanza di rimessione � pubblicata nella Gazz. Uff. del 18 luglio 1973, � n, 183. La sentenza n. 155� del 1972 richiamata in motivazione � pubbli. cata in questa Rassegna 1972, 1, 1045; La Corte costituzionale aveva avuto modo di pronunciarsi in ordine alla �Compatibilit�, con l'art. 42, comma terzo, Cost.; di disposizioni che prevedono una determinazione dell'indennizzo . con riferimento al valore del bene espropriato in epoca anteriore a quella dell'espropriazione (sentenze n. 67 del 1959, n. 22 del 1965, in questa Rassegna 1965, 1, 426 con nota di TRACANNA, La legge 18 aprile 1962, n. 167; carattere, sistema e finalit�, n. 37 del 1969, ivi, 1969, 1, 212; n. 63 del 1970, ivi, 1970, l, 365). In questa sentenza la differenza tra la data di riferimento del valore del bene espropriato e la data dell'espropria� zione viene esaminata in relazione al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.): e la Corte perviene alla soluzione di cui alla prima massima facendo ricorso al principio, pi� volte affermato, secondo cui l'indennizzo per esproprio non 22 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO reddito imponibile catastale, cio� pari ad una somma superiore, nella generalit� dei casi, alla met� del valore venale. In base a queste considerazioni, emerge la garanzia di continuit�, in un certo adeguamento della consistenza dell'indennizzo alla progressiva svalutazione monetaria, e si deve, quindi, escludere che, pur nella costanza dell'elemento di valutazione costituito dell'imponibile non aggiornato, la differenza di indennizzo fra proprietari espropriati in epoche diverse per beni in astratto di eguale valore, assuma la portata generale del prospettato vizio invalidante della norma impugnata, dovendosi altres� riconoscere che, entro l'ambito di una ineliminabile variabilit� di casi singoli, disparit� di trattamento siano connaturate all'attuazione, necessariamente graduale, di interventi urbanistici di ampio raggio, come quello in esame. Le osservazioni sopra svolte circa la razionalit� del sistema di determinazione dell'ammontare dell'indennizzo, contribuiscono anche ad escludere la fondatezza della censura concernente la pretesa disparit� di trattamento a danno dei proprietari conduttori in proprio. Invero, la finalit� del sistema stesso postula il ricorso a parametri di certa identificazione, ed il riferimento all'imponibile catastale, praticato in numerosi provvedimenti legislativi in materia analoga (e gi� riconosciuto utilizzabile, in via di principio, con sentenza di questa Corte n. 155 del 1972) rappresenta una delle soluzioni pi� conducenti ai fini perseguiti, in mancanza del dato costituito dal canone di locazione, e tale, quindi, da non potersi ritenere in contrasto con quei criteri di ragionevolezza, il cui riconoscimento � sufficiente ad escludere ogni . sindacato in questa sede circa l'uso del potere discrezio;nale del legislatore. Il che, d'altro canto, non esclude ed anzi, in certo senso, sollecita un auspicabile intervento del legislatore per un graduale aggiornamento, nella materia in esame, dei dati catastali, onde accostarli, il pi� possibile, alla realt� economica. Anche per quanto riguarda la pretesa illegittimit� della norma impugnata, conseguente alla situazione di privilegio che si sarebbe creata deve � puntualmente corrispondere alla consistenza economica del bene espropriato �. La seconda massima, integrata dalla terza, conferma la legittimit� costituzionale di leggi (l'affermazione difatti trascende il riferimento specifico alla legge c. d. di Napoli) le quali faceiano ricorso ail'imponibile catastale per determinare, a fini diversi da quello tributario, il valore e il reddito di un immobile rustico o urbano. In proposito va ricordato che l'art. 16 della legge n. 865 del 1971 (reso applicabile a tutte le espropriazioni per opere o interventi dello Stato o degli altri enti pubblici anche non territoriali dall'art. 4 del d.l. n. 115 del 1974 come modificato dalla legge di conversione 27 giugno 1974, n. 347) ha introdotto un altro sistema di valori � legali >>, diverso e per certi aspetti concorrente con il sistema dei valori accertati mediante il catasto. Su tale punto cfr. Dr CIOMMO, Il provvedimento di espropriazione della legge sulla casa, in questa Rassegna 1973, 2, 137 e quindi note aggiunte in questa Rassegna 1975, 2, 25. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 23 a favore di proprietari dei fondi urbani, i quali riceverebbero un indennizzo pi� adeguato alla svalutazione monetaria di quello liquidato ai proprietari dei fondi rustici, deve escludersi la sussistenza del lamen-� tato vizio di illegittimit�. I fondi urbani e quelli rustici, invero, ai fini della determinazione del rispettivo indennizzo, presentano caratteri sostanzialmente diversi,. nel senso che la loro situazione economico-sociale si presenta con note differenziali evidenti, ove si tenga presente che, a prescindere dalla incidenza dei fenomeni monetari, il variare del valore dei fondi rustici � essenzialmente legato, di regola, al mutare della qualit� di coltura e� cl�sse di produttivit� dei fondi stessi, mentre quello dei fondi urbani. � determinato dall'imponente e preponderante fenomeno del variare del valore dei fondi urbani e da una molteplicit� di fattori, tra cui la va-� riet� delle possibili destinazioni per fini economici. Ed appunto in relazione a tali caratteristiche sono stati stabiliti (legge 23 febbraio 1960,. n. 131) coefficienti di aggiornamento annuale dell'imponibile dei fondi urbani, aggiornamento la cui funzione si svolge nel senso dell'incremento�� dei tributi cui i fondi sono sottoposti, oltre che nel senso dell'incremento dell'indennizzo spettante ai proprietari nel caso di espropriazione in. forza della norma impugnata. L'aggiornamento in parola, pertanto, si armonizza con il sistema di calcolo del valore ai fini dell'indennizzo, e� risponde al fine di accostarne il contenuto al valore reale. Indubbiamente,. ci� rappresenta un meccanismo di aggiornamento pi� aderente di quello� per i fondi rustici, in cui l'elemento variabile � il valore venale da mediare con� quello dell'imponibile netto agli effetti dell'imposta terreni,. imponibile da calcolare, tenuto conto della rivalutazione degli estimi catastali, risalente alla data del decreto legislativo C.P.S. 12 maggio 1947,. n. 356. Ma tale differenza di disciplina, come si � detto, trova una razionale giustificazione nella superiore capacit� di incremento del valore deii fondi urbani, e tanto pu� bastare per escludere la violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo prospettato nell'ordinanza di rinvio~ -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 17 -Pres. Oggioni -ReL Astuti. Puri. (n.c.). Professioni -Societ� per l'esercizio di professioni intellettuali -Societ� di progettazione -Disciplina legislativa -Legittimit� costituzionale. (Cast., art. 41; I. 23 novembre 1939, n. 1815, artt. 1, 2, 3 e 7). Anche l'esercizio delle professioni intellettuali per cui la legge richiede la necessaria iscrizione in albi o elenchi � garantito, in quanto, iniziativa economica privata, dall'art. 41 Cast.; detto esercizio deve pe RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO StAtO 24 .raltro essere disciplinato e controllato dalla legge. Il riconoscimento .dell'ammissibilit� della costituzione di societ� per l'esercizio associato di professioni intellettuali appartiene alla discrezionalit� di valutazione del legislatore, fermo restando che una congrua normativa � necessaria per evitare la possibilit� dell'esercizio abusivo e il pericolo dello sfrutta-. mento dell'opera intellettuale, nonch� per regolare le responsabilit� nei confronti dei clienti, di terzi, dello Stato e delle organizzazioni professio nali e sindacali. Ci� vale anche per le attivit� tecniche proprie dell'ingegneria industriale, che sono pur sempre attivit� professionali (1). (Omissis). -3. -Ci� premesso, a giudizio di questa Corte non sussiste nella disposizione denunciata alcun vizio di incostituzionalit�, per contrasto con il principio della libert� dell'iniziativa economica privata. Invero, la questione, prospettata dall'ordinanza di rimessione con spe. ciale riferimento alle attivit� di progettazione industriale, deve essere �considerata sotto due profili distinti, anche se connessi: e precisamente, con riguardo alla ammissibilit� della costituzione di societ� per l'eser.. cizio .delle professioni intellettuali, in genere, ai sensi degli artt. 2247 e seguenti del codice civile, e con riguardo alla asserita esigenza tecnica .�he determinate attivit� professionali, come la progettazione industriale, richiedano oggi un'organizzazione a base imprenditoriale, realizzabile tipicamente nella forma giuridica della societ� per azioni. Per quanto concerne le societ� di professionisti in genere, sarebbe fuori luogo esaminare in questa sede le questioni largamente discusse (1) L'ordinanza di rimessione � pubblicata in Ga�,. Uff. 3 aprile 1974, n. 89. . Nel senso della inapplicabilit� dell'art. 41 della Cost. alle professioni cosidette liberali, 'SPAGNUOLO, VIGORITA e PALMA, Professione e lavoro (libert� di), in Nuov.mo Dig. It., 14�, 17. lvi. � anche osservato, in relazione all'art. 4 della -Costituzione, che �la garanzia costituzionale della libert� di scelta dell'occupazione ha valore e significato soltanto sotto un profilo negativo, in quanto -cio� equivale ad escludere che i cittadini possano essere costretti a svolgere �professionalmente� (ovvero fuori di eccezionali e contingenti casi di necessit�) uno specifico lavoro da essi non prescelto; quella garanzia non vale invece in nessun modo ad assicurare al cittadino (sotto il profilo, per cos� dire, positivo) il diritto di volgersi a suo piacimento verso un qualsiasi settore .di attivit� al di fuori di preclusioni, limitazioni e controlli statali. � vero, al .contrario, che lo Stato pu� proprio al fine di assicurare il progresso mate� riale e spirituale della societ�, impedire ai privati certe attivit�, pubblicizzare .delle professioni, sopprimerne altre, vietare determinate forme di lavoro o regolarne i modi di prestazione, disciplinare quantitativamente l'afflusso a .�erti settori lavorativi, ecc.; oltre a fissare comunque i presupposti e i re. quisiti per lo svolgimento delle varie attivit� �. In merito alle specifica questione decisa, si osserva come la disciplina .dell'esercizio associato di professioni � protette � costituisce un necessario .completamento delle normative regolanti l'esercizio di dette professioni. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALl! 25 in dottrina circa la possibilit� di configurare l'esercizio delle professioni -intellettuali sotto l'aspetto esclusivo o prevalente dell'attivit� economica :a scopo di lucro, e di riferire l'attivit� personale dei professionisti, eserdtata in forme di collaborazione associativa, ad un ente giuridico astratto -0 ad un gruppo unificato. Sarebbe del pari superfluo ricordare prece- denti legislativi forniti da ordinamenti stranieri ed anche da quello italiano, come la legge 23 novembre 1939, n. 1966 sulla disciplina delle sodet� fiduciarie e di revisione, per tacer dei disegni di legge sottoposti .all'esame del Parlamento. Ci� che qui unicamente importa accertare � l'eventuale conflitto della normativa vigente con l'art. 41, primo comma, della Costituzione: e tale conflitto sicuramente non sussiste, dati i limiti che lo stesso art. 41 �prevede nel secondo e terzo comma, riservando alla legge ogni opportuno controllo delle iniziative ed attivit� economiche. In particolare, l'esercizio delle professioni intellettuali � stato sempre oggetto di speciale disciplina, pur con forme, modalit� e limitazioni diverse nei tempi e nel vario regolamento delle singole professioni. Le osservazioni svolte nell'ordinanza di rimessione prospettano l'opportunit� di una eventuale riforma legislativa, non l'esistenza di una questione di legittimit� costituzionale. � infatti chiaro che il riconoscimento dell'ammissibilit� della costituzione di societ� per l'esercizio delle .attivit� professionali protette appartiene alla discrezionalit� di valutazione del legislatore, al quale soltanto spetta di stabilire se, e a quali condizioni, possa consentirsi l'adozione di forme societarie. In questa materia, la necessit� di una congrua normativa appare evidente, per evitare la possibilit� dell'esercizio abusivo da parte di sog getti non abilitati o autorizzati, ed il pericolo dello sfruttamento dell'o pera intellettuale in forme non computabili con la dignit� e autonomia -dei singoli professionisti; mentre occorre, d'altro canto, con riguardo alla -diversa qualit� delle prestazioni professionali, un preciso regolamento .delle responsabilit� sociali e personali, sia nei confronti dei clienti e dei terzi, sia anche nei confronti dello Stato e delle organizzazioni profes sionali o sindacali. 4. -Non � possibile ravvisare l'ipotizzato conflitto con l'art. 41 nemmeno per quanto concerne le attivit� di progettazione industriale che, secondo il giudice a quo, richiederebbero oggi una complessa organizzazione di uomini e di mezzi, talch� il divieto di costituire societ� per azioni, che si prefiggano, nell'oggetto sociale, anche l'espletamento di dette .attivit�, determinerebbe una inammissibile preclusione, riguardante � tanto l'attivit� di pura progettazione in se stessa, quanto le attivit� industriali direttamente produttive di beni e servizi a cui la prima assicura 26 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO le indispensabili basi tecnologiche, l'una e le altre concretando tipiche manifestazioni della iniziativa economica �. Si prospetta qui l'esigenza di forme associative di attivit� professionale organizzate come vere e proprie imprese, con apprestamento di un complesso di beni e mezzi strumentali necessari per il loro esercizio. Occorre ricordare, al riguardo, che l'art. 2238 del codice civile prevede� bens� che l'esercizio d'una professione possa costituire elemento di un'at-� tivit� organizzata in forma d'impresa (nel qual caso debbono applicarsi anche le disposizioni degli artt. 2082 e seguenti che disciplinano il lavoro� nell'impresa, e vige l'esclusione sancita dall'art. 3 della legge 23 novembre 1939, n. 1815); ma non si pu� evidentemente sostenere che il principio� della libert� di iniziativa economica postuli senz'altro l'ammissibilit� d'una diversa fattispecie, in cui un professionista, o un gruppo .di professionisti, costituiscano una impresa, con riferimento ed organizzazione di mezzi strumentali e beni aziendali, per svolgere attivit� di progettazione industriale, connesse o non alla diretta produzione di beni o servizi (non professionali). Per siffatte forme complesse di attivit� imprenditoriale, l'esigenza sopra illustrata di una speciale disciplina normativa appare ancor pi� palese, trattandosi di regolare la costituzione e l'esercizio non solo di una societ� tra professionisti, ma di una societ� professionale organizzata in forma di impresa, ci� che comporta la soluzione di particolari e gravi problemi giuridici. Le esigenze prospettate dal giudice a quo concernono pur sempre una questione di politica legislativa, non di legittimit� costituzionale, perch� il parametro offerto dal primo comma dell'art. 41 della Costituzione non comporta, nemmeno sotto questo speciale� profilo, l'ammissibilit� di una piena � liberalizzazione � quanto all'esercizio delle attivit� tecniche proprie dell'ingegneria industriale, che sono pur sempre attivit� professionali, soggette alla discrezionale disciplina del legislatore, sindacabile in questa sede soltanto con riguardo alla ragionevolezza dei limiti imposti al loro esercizio. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 18 � Pres. Oggioni . Rel. Reale � Sapia (n.c.). Procedimento penale � Imputato assente � Notifica della sentenza . Non � necessaria. (Cost. artt. 3 e 24; c.p.p., art. 500). L'imputato assente � nella condizione di poter assumere informazioni, sol che lo voglia, intorno a tutte le vicende del processo, e di apprendere ;:: il contenuto della sentenza allorch� verr� emanata; deve pertanto esclu-\: !: 1; l1 ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Z7 .dersi che la mancata notifica della sentenza menomi in modo apprez. zabile il diritto di difesa dell'imputato assente, tanto pi� se si considera che egli � rappresentato per tutti gli effetti (artt. 427 e 428 c.p.p.) dal difensore che ha il potere di interporre impugnazione (art~ 192, u.c., c.p.p.~, anche con riserva di motivi, da depositarsi entro venti giorni dall'avviso .di cui agli artt. 151 e 201 del codice di procedura penale (1). (Omissis). -La questione, come sopra identificata, non � fondata. Per vero, come questa Corte ha gi� affermato nell'affrontare analoga ,questione prospettata in riferimento all'art. 472, u.c., c.p.p. (il quale .dispone che la lettura del dispositivo sostituisce la notificazione della .sentenza per tutte le parti che sono state o che debbono considerarsi presenti nel dibattimento, anche se non sono presenti alla lettura), in tutti i casi di �assenza� contemplati dal codice di procedura penale ricorre, quale dato costante, la sicura conoscenza, da parte dell'imputato, .dell'esistenza del giudizio e della data, almeno iniziale, di esso (sent. n. 136 del 1971, e ord. n. 76 del 1973). Sicch� l'imputato � assente � � nella .condizione di poter assumere informazioni, sol che lo voglia, intorno .a tutte le vicende del processo e di apprendere il contenuto della sentenza .allorch� verr� emanata. Deve pertanto escludersi che la mancata notifica .della sentenza menomi in modo apprezzabile il diritto di difesa dell'imputato assente, tanto pi� se si considera che egli � rappresentato per tutti ,gli effetti (artt. 427 e 428 c.p.p.) dal difensore che ha il potere di interporre impugnazione (art. 192, u.c., c.p.p.), anche con riserva di motivi, da depositarsi entro venti giorni dall'avviso di cui agli artt. 151 e 201 del ,codice. di procedura penale. N� priva di giustificazione �, poi, la disparit� di trattamento tra imputato assente e imputato contumace per ci� che concerne la notifica della .sentenza, che, come si � gi� accennato, � prevista soltanto per l'imputato <:ontumace. Tale disparit� di trattamento � infatti pienamente giustificata dalla .diversit� delle situazioni. Invero, stando alle gi� ricordate decisioni, il contumace, a differenza dell'assente, non ha manifestato alcuna volont� negativa in ordine alla comparizione e alla presenza in udienza e potrebbe, in caso estremo, anche ignorare l'esistenza del giudizio o la data del dibattimento. Il che, per le ragioni esposte, non pu� mai verificarsi per l'imputato che sia rimasto assente, ricorrendo l'ipotesi di cui all'ordinanza. -(Omissis). (1) La sentenza 22 giugno 1971, n. 136 richiamata in motivazione � pubbli. cata in questa Rassegna 1971, 1, 960. 28 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 22 gennaio 1976, n. 25 -Pres. Oggioni -Rel. Astuti -Fortino e Ventura (avv. Lubrano) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. Stato Giorgio Azzariti). Giustizia amministrativa -Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana -Possibilit� di conferma nell'ufficio di componente � Contrasto con l'indipendenza del giudice. (Cost., artt. 101 e 108; d.l. 6 maggio 1948, n. 654, art. 3). Giustizia amministrativa -Decisioni del Consiglio di giustizia anummstrativa per la Regione siciliana � Appello all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato -Legittimit� costituzionale. (Cost., artt. 3, 24, 113 e 125; statuto Sicilia, art. 23, d.I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 5). Il carattere temporaneo della nomina a componente di un organogiurisdizionale non contrasta, di per s�, con i principi costituzionali che garantiscono l'indipendenza, e con essa l'imparzialit�, dei giudici. Contrasta, invece, con tali principi la possibilit� di conferma o meno nel-� l'incarico secondo un discrezionale apprezzamento; peraltro, tale profilO' di incostituzionalit� conduce non alla esclusione dall'organo giurisdizionale dei componenti sottoposti alla potest� di conferma o meno nell'ufficio, bens� alla eliminazione della disposizione legislativa che attribuisce detta potest�. Da ci� consegue che � illegittimo, per violazione� degli artt. 100, 101 e 108 Cast., l'art. 3, secondo comma, del d.l. 6 maggio 1948, n. 654, nella parte in cui dispone. che i membri del Consiglio� di giustizia amministrativa d�lla Regione siciliana "in sede giurisdizionale, designati dalla Giunta regionale, possono essere confermati (1). (1-2) Le due ordinanze di rimessione del Consiglio di Stato, IV, 18 ottobre 1974, e Ad. plen., 6 marzo 1975, sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, rispettivamente 23 luglio 1975, n. 195 e 22 ottobre 1975, n. 281 �(cfr. anche Foro it., 1975, III, 379, con nota di richiami). Nella motivazione si allude alle sentenze Cass. S.U. 11 ottobre 1955, n. 2994( in Giust. civ., 1955, I, 1584, COI). nota di A. SANDULLI), e Cons. Stato, Ad. plen., 29 ottobre 1956, n. 16 e 2 maggio 1960, n. 5 (in Cons. St., rispettivamente, 1956, I, 1122 e 1960, I, 818). In precedenti pronuncie della Corte Costituzionale (cos� le sentenze 27" dicembre 1965, n. 93, in questa Rassegna, 1965, 1112, sui consigli comunali e provinciali in sede di giurisdizione elettorale, 3 giugno 1966 n. 55, ivi, 1966,. 538, sui Consigli di Prefettura, 22 marzo 1967, n. 30, ivi, 1967, 214, sulla G.P.A. in sede giurisdizionale, 27 maggio 1968, n. 49, ivi, 1968, 365, sulle sezioni per il contenzioso elettorale dei non ancora istituiti T.A.R.) alla constatazione della insufficiente � indipendenza � di taluno dei componenti l'organismo giurisdizionale sub judice � seguita la declaratoria di incostituzionalit�, e quindi la eliminazione, delle norme concernenti la composizione di detti organismi, e, nella sostanza, la loro sparizione come organismi giurisdizionali. Con la sen-� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Mentre l'art. 23 dello Statuto della Regione "siciliana prevede semplicemente l'istituzione in Sicilia di una sezione del Consiglio di Stator con il d.l. n. 654 del 1948 � stato istituito un organo di giustizia ammi~� nistrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e composizione; essendo il C.G.A. investito delle stesse attribuzioni che sono proprie del Consiglio di Stato, vengono meno le ragioni per cui gli era stata conferita quella particolare composizione. Deve pertanto auspicarsi" che il legislatore provveda rapidamente alla revisione dell'attuale sistema di giustizia amministrativa nella Regione siciliana, eliminando ogni residua anomalia e disarmonia, nel rispetto dei principi sanciti dall'art. 23� dello Statuto speciale. Nel frattempo, non contrasta con gli articoli 3, 24, 113, secondo comma, 125, secondo comnia, della Costituzione, e con: l'art. 23, primo comma, dello Statuto della Regione siciliana, l'art. 5, terzo comma, del d.l. 6 maggio 1948, n. 654, per il quale � ammesso ricorso all'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato avverso le decisioni' del C.G.A. emesse sulle impugnative di atti delle autorit� amministrative dello Stato, e che non siano pronunciate in grado di appello (2). (Omissis). -4. -Nel merito, la prima questione di legittimit� costituzionale risulta fondata. �Il carattere temporaneo della nomina, per i membri del C.G.A. in sede giurisdizionale designati dalla Giunta regionale, ed estranei ai ruoli organici del Consiglio di Stato, non contrasta,. di per s�, con i princ�pi costituzionali che garantiscono l'indipendenza,.. e con essa la imparzialit�, dei giudici, siano essi ordinari o estranei alle� magistrature: a tal fine, infatti, non appare necessaria una inamovibilit�. assoluta, specie per i cosiddetti membri laici o estranei, che ben posson0o tenza in esame, invece, la Corte ha preso un'altra strada, ed ha eliminat0> una disposizione incompatibile con la indipendenza del singolo componente; un approccio analogo si � avuto nella sentenza 19 dicembre 1973, n. 177 (iru Foro it., 1974, I, 1), nella quale peraltro � stato espresso un giudizio di in-� fondatezza -sia pure per una sorta di � fatto normativo sopravvenuto � -� della questione di incostituzionalit� che era stata prospettata. Deve ritenersi che la rilevata diversit� di reazione alla illegittimit� costi tuzionale sottintende una inespressa valutazione d'insieme sulla coerenza o� meno, dell'organismo giurisdizionale di volta in volta sub judice, con l'ordi namento costituzionale. L'orientamento di cui alla prima massima merita, co munque, consenso, e trascende il caso deciso. Qualsiasi discorso in terna di" � indipendenza� o meno di giudici estratti da categorie diverse da quelle dei magistrati per professione e anche di � estranei all'amministrazione della giustizia � pu� e -ove possibile -deve essere affrontato e risolto non �il! termini di chiusura e di esclusione, bens� in termini opposti e cio� in termine di estensione delle guarantigie o di .alcune di esse a favore di detti giudici' non professionali: in tal senso una indicazione si deve trarre dallo stesso art. 108, comma secondo, Cost. ove si dispone che anche agli � estranei� deve: RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 30 essere nominati per un determinato e congruo periodo di tempo, senza �che perci� venga meno l'indipendenza dell'organo, o del singolo giudice. Ma l'indipendenza dei membri del C.G.A. designati dalla Giunta regionale � sicuramente compromessa per effetto della disposizione che pre �vede, al termine del quadriennio, la possibilit� di riconferma nell'incarico, secondo il discrezionale apprezzamento del Governo regionale. Questa Corte ha gi� avuto occasione di affermare, a proposito dei compo: nenti della G.P.A. estranei all'amministrazione, che �la sola prospettiva .del reincarico basta ad escludere l'indipendenza di costoro dai consigli provinciali o regionali� (sentenza n. 49 del 1968); e ci� appare ancor pi� evidente nel caso di specie, trattandosi di membri designati dalla �Giunta regionale, e la cui nomina o conferma (ancorch� con decreto presidenziale) avviene, come per gli altri componenti dell'organo, su proposta del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei -ministri, sentito il Presidente della Regione: talch�, proprio in rapporto .alla prospettiva d'una eventuale conferma, l'indipendenza di questi giu �dici non pu� ritenersi assicurata dalla legge, sia nei confronti del Go �verno centrale sia soprattutto di quello regionale, con aperta violazione dei precetti contenuti negli artt. 100, 101 e 108 della Costituzione. E non '�ccorre avvertire che di fronte ai principi della indipendenza ed imparzialit� dei giudici, ordinari, amministrativi o speciali, cede il prin. cipio generale della ammissibilit� agli incarichi ed uffici pubblici, che �essere assicurata la possibilit� di partecipare all'amministrazione della giustizia in una situazione giuridica (e di fatto) tale da garantire libert� e sopratutto �<mest�. In questo quadro appare, tra l'altro, evidente che la tematica della com �patibilit� di una funzione giurisdizionale con altra pubblica funzione non si .esaurisce nella considerazione dei requisiti per l'esercizio della funzione rite- nuta giurisdizionale, ma necessariamente coinvolge anche disposizioni legisla �tive che regolano il diverso rapporto di servizio nel cui ambito � svolta l'altra pubblica funzione; con la conseguenza che la compatibilit� in questione pu� essere assicurata, anzich� con esclusioni dalla funzione giurisdizionale che �contrastano con una riconosciuta � idoneit� � alla funzione stessa, con corret �tivi o � manipolazioni � che operino sul cennato diverso rapporto con il rendere ancor pi� garantito lo stato giuridico di provenienza della persona am �messa anche alla funzione giurisdizionale. Con le affermazioni di cui alla seconda massima, la Corte costituzionale ha lanciato un invito che suona quasi come un avvertimento. La menzionata "ordinanza (di rimessione) dell'Adunanza plenaria aveva posto l'accento sulla asimmetria costituita dall'appello ad essa Adunanza proponibile avverso le de �:isioni del C.G.A.; la Corte costituzionale, forse anche perch� costretta entro i limiti dell'ordinanza predetta, non� ha mancato di rilevare come siffatta :asimmetria possa essere rimossa attraverso una fedele applicazione dell'art. 23, �>dello Statuto siciliano. ~ ~ I; - PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE comport� di regola anche la possibilit� di riconferma o rielezione: possibilit� che deve essere fermamente esclusa per i membri laici del C.G.A. quale organo di tutela della giustizia nell'amministrazione, a cui l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana attribuisce le stesse funzioni spettanti alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato. 5. � Non vi sono, invece, motivi sufficienti a giustificare una pronuncia di accoglimento in ordine alla seconda questione di costituzionalit�, concernente il terzo comma dell'art. 5 del d.Igs. 6 maggio 1948, n. 654. Certamente l'art. 23 dello Statuto della Regione siciliana prevedeva semplicemente l'istituzione in Sicilia di una sezione giurisdizionale del Co.nsiglio di Stato, ed � innegabile che con il d.Igs. n. 654 del 1948 � stato invece istituito un organo di giustizia amministrativa caratterizzato da una propria particolare fisionomia e struttura, investito peraltro dell'esercizio delle stesse funzioni attribuite dalla legge alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, giusta il disposto dei primi due commi dell'art. 5. � del pari innegabile che una anomalia rispetto al regime ordinario della giustizia amministrativa fu allora introdotta con il disposto del terzo comma del medesimo art. 5, in base al quale veniva ammesso il ricorso all'adunanza plenaria delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato avverso le decisioni del C.G.A. sulle impugnative di atti e provvedimenti delle autorit� amministrative dello Stato, non pronunciate in grado di appello. Ma la legittimit� costituzionale del provvedimento istitutivo del C.G.A. della Regione siciliana nel suo complesso, ed in specie della disposizione contenuta nell'art. 5, terzo comma, del d.Igs. 6 maggio 1948, n. 654, riconosciuta vent'anni or sono da una nota decisione delle sezioni unite della Corte di cassazione, e dalla stessa adunanza plenaria del Consiglio di Stato, non pu� non essere qui confermata, anche sotto il particolare profilo ora prospettato, della diversit� di regime verificatasi medio tempore, -e precisamente nel periodo intercorso tra l'istituzione del C.G.A. in Sicilia e quella dei T.A.R. nell'intero territorio dello Stato -, quanto alla tutela giurisdizionale in grado di appello, nei confronti dei provvedimenti di cui al citato art. 5, ammessa soltanto per la Sicilia, mentre in ogni altra parte dello Stato esisteva per gli stessi provvedimenti un solo grado di giurisdizione. Questo regime eccezionale, (non contrastante peraltro con la previsione dell'art. 125_, secondo comma, della Costituzione), trova giustificazione nella speciale competenza giurisdizionale attribuita dal d.lgs. 654 del 1948 al C.G.A. nei riguardi degli atti e provvedimenti definitivi sia dell'amministrazione regionale, sia delle altre autorit� amministrative aventi sede nel territorio della Regione siciliana. Tale competenza giurisdizionale giustifica l'introduzione della possibilit� di impugnazione delle sue decisioni concernenti atti RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO delle amministrazioni statali davanti all'adunanza plenaria del Consiglicr di Stato. Invero, essendo il C.G.A. investito nei confronti di quegli atti delle stesse attribuzioni che sono proprie del Consiglio di Stato, venivano meno le ragioni per cui gli era stata conferita quella particolare composizione caratterizzata dalla presenza di due giuristi designati dalla Giunta regionale, e poteva a ci� costituire opportuno rimedio la previsione dell'impugnabilit� delle sue decisioni, cos� circoscritta ratione� materiae, non nel fine di attribuire ai ricorrenti davanti al C.G.A. una tutela giurisdizionale maggiore di quella riconosciuta alla generalit� dei' cittadini davanti al Consiglio di Stato, quanto piuttosto per assicurare una definitiva uniformit� di controllo sugli atti delle amministrazioni' dello Stato. Come fu gi� riconosciuto proprio dall'adunanza plenaria, � nessun: ostacolo costituzionale impediva che, entro lo stesso ambito della giurisdizione del Consiglio di Stato, fosse previsto il ricorso alla adunanza plenaria per determinate pronunzie del C.G.A. �. E poich� la particola-� rit� del regime dianzi ricordato non pu� dirsi irrazionale, n� tale da integrare ingiustificata disparit� di trattamento ai sensi dell'art. 3 della Costituzione, non � nemmeno possibile ravvisare contrasto con le disposizioni degli artt. 24 e 113 della Costituzione, che, di per s�, non garantiscono n� il doppio grado di giurisdizione n� una completa uniformit� di tutela giurisdizionale amministrativa. 6. -Se per le suesposte considerazioni deve dichiararsi l'infondatezza della questione, questa Corte non pu� tuttavia esimersi dal segnalare� le ulteriori anomalie risultanti nel vigente sistema della giustizia ammi-� n�strativa dopo la istituzione dei tribunali amministrativi regionali, at-� tuata con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034. Queste anomalie non sono� sfuggite al legislatore che ha provveduto a dettare con l'art. 40 di tale legge speciali disposizioni transitorie per la Sicilia, peraltro inadeguate rispetto all'esigenza di una piena ed unifonne attuazione dei precetti del-� l'art. 125 della Costituzione; e anche la sentenza pronunciata da questa Corte il 5 marzo 1975, n. 61, ha potuto eliminare solo parzialmente dette anomalie, con il riconoscimento al T.A.R. istituito nella Regione siciliana della stessa competenza propria degli altri tribunali amministrativi regionali, e con la conseguente assunzione da parte del C.G.A. delle stesse� funzioni di giudice di appello attribuite dalla medesima legge al Consiglio di Stato. Deve pertanto auspicarsi che il legislatore provveda rapidamente alla gi� prevista revisione dell'attuale sistema di giustizia amministrativa nel-la Regione siciliana, eliminando ogni residua anomalia e disarmonia, nel rispetto dei princ�pi sanciti dall'art. 23 dello Statuto speciale. -(Omissis)~ 'i: ~~ SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 25 settembre 1975, nella causa 28/75 -Pres. Lecourt -Avv. gen. Reischl -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesfinanzhof nella causa Baupla (avv. Scheidemandel) c. Oberfinanzdirektion di Colonia -Interv.: Commissione delle Comunit� europee (ag. Amphoux e Kalbe). Comunit� europee -Unione doganale -Tariffa doganale comune -Disposioni preliminari -Regole generali per la interpretazione della nomenclatura della tariffa -Miscugli classificabili in due o pi� voci tariffarie Criterio di classificazione. (Regolamento de.I Consiglio 28 giugno 1968, n. 950, relativo alla tariffa doganale comune). Qualora un miscuglio sia classificabile sotto due o pi� voci tariffarie, ciascuna delle quali si riferisca ad una delle materie che lo costituiscono, nessuna di tali voci pu� essere ritenuta pi� specifica delle altre per il semplice fatto che essa fornisca del prodotto una descrizione pi� precisa o pi� completa, e la classificazione dovr� essere quindi effettuata in base alle regole di interpretazione di cui al n. 3, lett. b o lett. e, delle regole generali per l'interpretazione della nomenclatura della tariffa (1). (Omissis). -In diritto. Con ordinanza 12 febbraio 1975, pervenuta in cancelleria il 12 marzo 1975, il Bundesfinanzhof ha sottoposto alla Corte di giustizia delle Comunit� europe, a norma dell'art. 177 del trattato e.E.E., una questione pregiudiziale con cui si chiede se la regola generale d'interpretazione n. 3 della tariffa doganale comune (regolamento (1) La Corte di giustizia ha avuto gi� pi� volte occasione di interpretare voci della tariffa doganale comune (v. sentenze rese nelle cause 98 e 99/75, 37/75, 35/75, 185/73, 183/73, 149/73, 128/73, 49/73, 80/72, 38/72, 18/72, 92/71, 36/71, 77/71, 21/71, 30/71, 14/71, 13/71, 12/71, 51/70, 28;70, 74/69, 72/69, 40/69). affermando, in via di principio, che gli Stati membri non possono emanare, anche in difetto di una formale interpretazione comt,Jnitaria, note esplicative relative alle voci tariffarie; che in mancanza di disposizioni comunitare le note esplicative ed i pareri contemplati nella Convenzione di Bruxelles sulla nomenclatura per -la classificazione delle merci nelle tariffe doganali hanno il valore di mezzo idoneo per l'interpretazione delle voci della tariffa doganale comune; che la classificazione delle merci prevista nei regolamenti comunitari sulla organizzazione comune dei mercati agricoli � tassativa ai fini della riscossione dei dazi doga 34 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO [C.E.E.] del Consiglio 28 giugno 1968, n. 950 [G.U. n. L 172]), modificato da successivi regolamenti) vada interpretata nel senso che la voce pi� specifica non prevale e la classificazione deve essere effettuata in base alle regole generali n. 3 b) o n. 3 e), qualora per la classificazione di un miscuglio vengano in considerazione due o pi� voci della tariffa, ciascuna delle quali faccia riferimento ad una delle materie di cui � composto il miscuglio. La questione � stata sollevata nell'ambito d'una controversia relativa alla classificazione doganale di piastrelle di fibra legnosa compressa per rivestimenti esterni, impregnate d'asfalto e ricoperte, nella parte anteriore, da uno strato di asfalto. La Oberfinanzdirektion di Colonia, convenuta nella causa principale, ha classificato il prodotto sotto la voce tariffaria 48.09 (lastre per costruzioni ... di legno sfibrato). L'attrice nella causa principale sostiene invece che esso andava classificato sotto la voce 68.08 (lavori di asfalto). Secondo la regola generale d'interpretazione n. 3, qualora per il disposto della regola 2 b) o per qualsiasi altra ragione una merce appaia classificabile sotto due o pi� voci della tariffa, la classificazione va effettuata in base ai seguenti principi: � a) la voce pi� specifica deve avere la priorit� sulle voci di portata pi� generale; b) i miscugli ed i lavori composti da materie diverse, nonch� i lavori costituiti dall'unione di oggetti differenti, che non possono essere nati, mentre pu� avere carattete puramente indicativo per �quanto riguarda l'eventuale prelievo (principio enuneiato a proposito del regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 865); e che le valutazioni concrete cui pu� dar luogo, nelle singole fattispecie, l'applicazione dei criteri stabiliti dalla tariffa doganale comune sono di competenza del giudice nazionale. La sentenza in rassegna va segnalata in quanto si riferisce alle stesse regole di interpretazione previste dalle disposizioni preliminari della tariffa doganale comune: regole conformi a quelle di Bruxelles, e gi� a suo tempo riprodotte alla lettera nelle disposizioni preliminari delle tariffe approvate con d.P.R. 21 dicembre 1961, n.1339 e d.P.R. 26 giugno 1965, n. 723. Altri criteri generali di interpretazione e di classificazione sono stati enunciati, in particolare, nelle sentenze 18 febbraio 1970, nella causa 40/69, HAUPrZOL� LAMT HAMBURG, Racc., 69; 18 giugno 1970, nella causa 74/69, HAUPrZOLLAMT BREMEN�FREIHAFEN, Racc., 451; 14 luglio 1871, nella causa 12/71, HENK, Racc., 743; 12 dicembre 1973, nella causa 149/73, WITT, Racc., 1587; 8 maggio 1974, nella causa 183/73, OsRAM, Racc., 477; 29 maggio 1974, nella causa 185/73, HAUPrZOL� LAMT BIELEFELD, Racc. 607; e, da ultimo, 18 febbraio 1975, nelle cause 98 e 99/75, CARSTENS. Va segnalato, infine, che la tariffa doganale comune allegata al regolamento del Consiglio 28 giugno 1968, n. 950 � stata sostituita, con effetto dal 1� gennaio 1976, con il regolamento del Consiglio 17 dicembre 1975, n. 3000, con talune modifiche anche per quanto concerne le regole generali per l'interpretazione della nomenclatura. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE classificati in b�se alla norma di cui alla precedente lettera 3 a), devono essere classificati, qualora una tale determinazione sia possibile, secondo la materia o secondo l'oggetto che conferisce loro il carattere essenziale; e) qualora le n:orme di cui alle lettere 3 a) e 3 b) non consentano ancora di effettuarne la classificazione, la merce deve essere classificata nella voce che comporta l'applicazione del dazio pi� elevato e, se il dazio � lo stesso per pi� voci, in quella fra di esse che figura per ultima nell'ordine progressivo della nomenclatura della tariffa�. � pacifico che i sovraindicati criteri sub a), sub b) e sub e) entrano in gioco nello stesso ordine in cui sono elencati. Ci si pu� chiedere allora se la voce 48.09 che, nella fattispecie, individua con precisione il prodotto di cui si tratta (lastre per costruzioni) non sia pi� specifica della voce 68.08, la cui dizione � assai pi� vaga (Lavori ...). Se cos� fosse, si potrebbe infatti -anzi si dovrebbe -applicare la regola dell'art. 3 a). Il giudice nazionale proponente teme per� che una simile interpretazione, fondata esclusivamente sulla forma del prodotto. ,e tale da trascurare le materie che lo costituiscono, possa portare a risultati arbitrari ed i suoi dubbi sembrano condivisi dalla Commissione, a quanto risulta dalle osservazioni che quest'ultima ha presentato alla� Corte. Tanto il giudice nazionale quanto la Commissione si richiamano in proposito alle note esplicative della nomenclatura di Bruxelles, fatte proprie dalla tariffa doganale comune. Nelle. predette note si legge che � due o pi� voci tariffarie, ciascuna delle quali si riferisca ad una sola delle materie che costituiscono un miscuglio od un lavoro composto, vanno considerate, per quanto riguarda il suddetto prodotto od articolo, come ugualmente specifiche, anche qualora una di esse ne fornisca una descrizione pi� precisa o pi� completa �. Se, in casi come quello di specie, nei quali una merce pu� essere classificata sotto due distinte voci relative a materie diverse, si adottasse ai fini della classificazione la voce che meglio descrive la forma del pro dotto, il risultato dipenderebbe in realt� da circostanze fortuite, estranee agli scopi della protezione doganale. Dal punto di vista doganale � spesso molto pi� importante la com posizione del prodotto, che deve perci� essere considerata come un ele mento essenziale nella classificazione del medsimo. La questione va quindi risolta nel senso che, qualora un miscuglio sia classificabile sotto due o pi� voci tariffarie, ciascuna delle qu�li si riferisca ad una delle materie che lo costituiscono, nessuna di tali voci pu� venir ritenuta pi� specifica delle altre per il semplice fatto che essa fornisce del prodotto una descrizione pi� precisa o pi� completa. Di conseguenza, la classificazione del suddetto prodotto dovr� essere effettuata in base alle regole d'interpretazione nn. 3 b) o 3 e). -(Omissis). 36 'RASSEGNA' DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 22 gennaio 1976, nella causa 60/75 -Pres. Lecom:t -Avv. gen. Reischl -Domanda d� pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Bovino nella causa Russo (avv. Cappelli e De Caterini) c. A.I.M.A. -Interv.: Commissione delle Comunit� europee (ag. Marenco) e Governo italiano (avv. Stato Marzano). Comunit� europee -Agricoltura � Organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali �Vendite da parte di uno Stato membro a prezzo inferiore al prezzo indicativo � Incompatibilit� con� l'organizzazione comune dei mercati. (Regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120). Comunit� europee � Agricoltura -Organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali � Situazione giuridica del produttore. (Regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120). Comunit� europee � Agricoltura . Organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali � Attivit� di uno Stato membro in contrasto cori l� normativa comunitaria � Responsabilit� nei confronti dei �singoli ~ Disciplina applicabile. (Regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120). L'attivit� di uno Stato membro consistente nell'acquistare grano duro sul mercato mondiale e nel r�venderlo poi sul mercato c�munitario a prezza inferiore al prezzo indicativo � incompat�ibile con l'organizzazione comune dei mercati istituita con il regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n, 120 (1). Il singolo produttore ha diritto, iri forza della disciplina comunitaria, a che non vengano frapposti ostacoli alla possibilit� di ricavare un prezzo che si avvicini a quello indicativo e che, comunqu�; non sia inferiore a quello indicativo (2). Nell'ipotesi che il� danno causato al produttore derivi da un intervento dello Stato membro in contrasto col diritto comunitario, questo dovr� risponderne, nei confronti del soggetto leso, in conformit� alle disposizioni di diritto interno relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione (3). (1) Interventi dello Stato sul mercato nazionale e responsabilit� nei confronti dei singoli per attivit� in contrasto con la normativa comunitaria. 1. -La causa alla quale si riferisce la decisione in rassegna (massimata nei termini risultanti dal dispositivo) trae origine dalle vendite di grano duro i. effettuate dall'A.I.MA., ai sensi dell'art. 7 del dl. 21 luglio 1973, n. 427 (conver-;:' � t ! f I "'""""""������m.�W��.�W�.�w�mm�.��ǥ����� �� ,., ��� ����'"��'"���������������� ���c����������ǥ�'��c�.�ǥ�. ,, ������ , ����� ����� �������� ������������������ᥥ� i PARTE I, SEZ. II, GIURIS�. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 37 (Omissis). -5. -Il pretore di Bovino, ritenendo che per la soluzione -della controversia sia necessaria un'interpretazione del diritto com:unitaTio, con ordinanza 2 maggio 1975 ha sospeso il procedimento ed ha sot toposto alla Corte di Giustizia, a norma dell'art. 177, le seguenti que: stioni pregiudiziali: � 1) se l'esistenza di un'organizzazione comune del mercato dei cereali -consenta agli Stati membri l'adozione di misure unilaterali che, tramite nperazioni commerciali effettuate proprio dall'organismo di intervento de;; ignato ai fini dell'applicazione del regolamento n. 120/67, si traducano in un'alterazione del meccanismo di formazione dei prezzi previsto� dalle .1orme comunitarie e in una distorsione del commercio intracomunitario; 2) se l'acquisto di un quantitativo di grano duro da parte di un organismo di intervento di uno Stato membro effettuato sul mercato mon �diale ad un certo livello di prezzo e la successiva rivendita all'interno di �uno Stato membro a un prezzo inferiore a quello di acquisto e addirittura inferiore al prezzo di intervento, abbia o meno l'effetto di una sovvenzione all'imp9rtazione del prodotto in questione (nella specie grano -duro); 3) se, posto che le disposizioni del regolamento n. 120/67 del Consi �glio e successive modalit� sono direttamente applicabili nell'ordinamento tito, con mod1ficazioni, con legge 4 agosto 1973, n. 496), fo considerazione della grave situazione di penuria determinatasi nel mercato interrio, ed in parti �colare per porre gli operatori interessati in grad� di produrre 1a past� di .grano duro destinata al consumo interno; e le vicende relative, negli anni 1973-1974, a tale prodotto (con speculazioni e accaparramento di prodotti, e costi . supplementari non�� suscettibili di compensazione, per quanto disposto dell'art. 4-bis del regolamento del Consiglio 12 magg�o 1971, Ii. 974) sono troppo :r�ote perch� occorra: ricordarle e commentarle in questa sede' Le iniziative dell'A.I.M.A. avevano gi� .indotto una: ditta fr�ricese a prortiuo �vere azione di responsabilit� nei �confronti della Commissione delle Com1mit� europee, per il risarcimento del danno che assumeva derivatole dall'avei' la �Commissione omesso di instaurare il procedimento di cui all'art. 93, n. 2, del trattato CEE; ma con sentenza 21 gennaio 1976, resa nella causa 40/75, BERTRANo; la Corte� di giustizia ha rigettato la domanda di risarcimento, per essere stat� evidenziato dalla Commissione CEE, sulla base degli elementi forniti dalle com~ petenti autorit� italiane, che le vendite di grano duro a prezzo inferiore a .quello delle quotazioni interne non avevano avuto alcuna incidenza negli scambi intracomunitari, e comunque per non aver la ricorrente provato il nesso di .causalit� tra le iniziative dell'A.I.M.A. ed il dedotto minor prezzo di vendita delle paste alimentari italiane ed il calo subito nelle proprie vendite. Con la sentenza in rassegna, resa in sede di interpretazione, la Corte di giustizia ha invece esaminato la questione sotto il profilo della incidenza delle vendite sui prezzi nazionali e del pregiudizio che ne potrebbe essere derivato al produttori di grano duro, ed � pervenuta alle conclusioni risultanti dal sopra riprodotto dispositivo, con riferimento concreto, peraltro, ad una sola delle -Operazioni effettuate dall'A.I.M.A., ed in particolare ad una delle due sole ven RASSEGNA DELL'AWC><;ATURA DELLO STATO ,italiano, esse facciano sorgere negli operatori del settore un diritto a che tl'On venga turbato il normale gioco dei meccanismi previsti dall'organizzazione comune di mercato circa la formazione dei prezzi: diritto suscetti. bile di immediata tutela da parte dei giudici nazionali; 4) in caso di risposta affermativa alle precedenti questioni, stabilire se l'intervento dello Stato membro come sopra qualificato sia comportamento da considerarsi antigiuridico e, quindi, costituisca una violazione della situazione giuridica attribuita dalle norme comuniti;1rie all'operatore ec9nomico privato; 5) se, in ca,so di risposta affermativa al quesito precedente, esiste nel diritto c<;>munitario un principio che riconosce ai soggetti pri\Tati -titolari delle situazioni giuridiche qualificate dalle norme del regolamento n. 120/67 -<J,i andare completamente e in ogni modo' esenti da,lle conseguenze patrimoniali pregiudizievoli risultanti dall'illegittimo COJJlportamento dello Stato membro, in particolare quando si tratti dell'organismo di intervento'" -(Omissis). (Omissis). -A.U\u;lienza del 18 novembre 1975, hanno presei;i,tato osservazioni orali il Sig. Russo, rappresentato dagl.i avvocati CappelU e dite in cui il prezzo � risultato effettivamente inferiore a quello di intervento (mentre nelle numerose altre vendite, pure documentate, il �prezzo risuHa~@ sempre maggiore sia del prezzo di intervento che del prezzo indicativo),. � � 2. � La decisione della Cort,e costituisce, evidentemente, espressione dell'orientamento gi� ado.ttato con la nota sentenza 23 gennaio 1975, re11a n,ella causa 31/74, GALLI (Rac�., 47, e. �t questa Rassegna, 1975, I, 312): e vanno anclw in questa occasione ricbiamate, . q~indi, le perplessit� espresse nella nota di commento di tale preced'ilnte, pur dovendosi rilevare che le preclusive ~ffermazioni di principio contenute nella sentenza Galli appaiono in certa mis.,ra �ttenuate, specialmente per quanti> C01lcerne il potere di intervento degli Stati mel'.hbri, che veniva esclu~o a priori (1,:fr. punto 29) e che risulta ora riconosciuto (come gi� in talune :parti qella precedente sentenza: cfr. punto 15), nei limiti in cui non pregiudichi gli obiettM ed il funzionamento delle organizzazioni comune dei mercati agricoli: criterio che conferma, necessariamente, la titolarit� di un potere di intervento, e ri.solve quindi ogni questione di merito, secondo ben diversa prospettiva, in una indagine sul modo legittimo o non legittimo con il quale il singolo Stato abbia tale potere esercitato (cfr., per utili spunti, artt. 224 e 225 del Trattato). Come � noto, l'orientamento d~la Corte di giustizia � fondato sull'affermata completezza ed autosufficienza dell'organizzazione comune dei mercati, sulla inammissibilit� di interventi nazionali non espressamente consentiti dalla normativa comunitaria, ed in particolare sulla idoneit� delle norme di cui agli artt. 19, 20 e 27 del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120 (per quanto concerne il settore dei cereali) a consentire � alla Comunit� ed agli Stati membri di fronteggiare qualsiasi perturbazione � e � ad ogni Stato membro di adottare, in collegamento con le istituzioni comunitarie e nel pi� breve termine, le iniziative necessarie per il caso in cui il-gioco normale dei sistemi di prezzi istituiti dal regolamento non consenta di far fronte a tendenze non PARTI: I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 39 De Caterini, il Governo italiano, rappresentato dall'avvocato Marzano, e la Commissione, rappresentata dal Dr, Marenco. Gli elementi nuovi messi in luce nei loro interventi si possono riassumere come segue: Secondo il Governo italiano, la questione essenziale, fra quelle formulate dal giudice nazionale, � la terza; la sua soluzione in senso negativo potrebbe dispensare la Corte dal risolvere le altre questioni. Il problema che viene sollevato consiste nello stabilire se i regola-menti comunitari attribuiscano ai singoli il diritto di ottenere un certo� livello di prezzi. Ora, non sembra possibile riconoscere ai produttori di grano duro� un diritto di questa portata. Se si ammette che .J.e norme comunitarie� relative all'organizzazione comune dei mercati attribuiscano ai singoli un diritto del genere, � necessario andare fino alle estreme conseguenze di. tale premessa, il che implica anzitutto che il produttore potrebbe sinda�� care, in sede giurisdizionale, l'esercizio dei poteri spettanti alla Commissione; ma, considerato che il regolamento comunitario � volto anche alla tutela del consumatore, dovrebbe ammettersi la stessa possibilit� a fa. vore di quest'ultimo. Il consumatore che si vedesse leso in un diritto� auspicabili che si siano manifestate nell'andamento dci prezzi nello Stato� stesso � (cfr. sentenza Galli, punti 16 . e 22); ed � appunto sulla validit� di tali presupposti che sembra possibile formulare invece riserve, per la ipotesi di perturbazioni riferite al territorio (o a parte del territorio) di un solo Stat0> membro. 3. � Al riguardo sembra potersi anzitutto rilevare che l'indagine dovrebbeessere condotta secondo una diversa impostazione di principio, considerato che gli Stati membri sono per loro natura sovrani (s� che un difetto di potere� � ipotizzabile nei limiti in cui tale potere risulti trasferito alla Comunit�: v. conclusioni avv. gen. Warner nella causa Galli e sentenza 18 febbraio 1970,. nella causa 40/69, HAUPTZOLLAMT HAMBURG, Racc., 69, e Foro it., 1970, IV, 132),. mentre ciascuna istituzione comunitaria � tenuta ad agire, a norma dell'art. 4,. secondo comma, del trattato CEE (che pur essendo contemplato tra i Principi del trattato sembrerebbe del tutto negletto), �nei limiti delle attribuzioni che� le sono conferite dal presente Trattato �. L'indagine va quindi rivolta ad accertare non tanto se possano gli Stati membri adottare determinate iniziative, quanto piuttosto a verificare se per� tali iniziative possano assumersi � competenti le istituzioni comunitarie, per essere evidente che solo condizionatamente all'esito positivo di tale verifica potr� escludersi che il potere di intervento in esame possa essere esercitato� dagli Stati membri; ed � sotto questo profilo che sembrano invero quantomeno discutibili le preclusive conclusioni alle quali � pervenuta in argomento� la Corte di giustizia. La lettura degli a,rtt. 19 e 20 del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120 (relativi oltretutto alla ipotesi di eccedenze, pi� che a quella di penurie) consente infatti di rilevare che le norme si riferiscono, in coerenza con la. ratio e le finalit� del sistema, alle perturbazioni che interessino il territori0> 40 RASSEGNA DELL'Av\'OCATURA DELLO STATO an�logo a qu�llo del produttore, cio� quello di poter pagare un prezzo ,giusto, potrebbe chiamare in causa le istituzioni comunitarie. Il Governo italiano sostiene che al produttore spetta un solo diritto integralmente tutelato dalla normativa comunitaria, e cio� quello di vendere i suoi prodotti all'ente d'intervento, al prezzo d'intervento. Al di fuori di questo diritto, o si ammette che qualsiasi produttore o consumatore possa sindacare l'esercizio clei poteri conferiti alla Commissione, -0ppure occorre stabilire quali siano, fra le norme direttamente efficaci di �Cui trattasi, quelle che attribuiscono diritti soggettivi. Secondo lo stesso Gov~rno, le conseguenze di una soluzione affermativa della questione sarebbero inammissibili, tanto da far apparire neces- saria la soluzione in senso negativo. In merito alla quinta questione, il Governo italiano ricorda che l'art. .215 del Trattato C.E.E. disciplina unicamente la responsabilit� della Comunit�. Nei confronti del cittadino, la responsabilit� dello Stato rimane necessariamente disciplinata dagli ordinamenti nazionali. Non basta che la Corte affermi la responsabilit� degli Stati, nei confronti dei sirigoli, .cos� come pu� dichiarare quella della Comunit�. L'uniformit� cui tenderebbe una siffatta pronunzia non potrebbe essere raggiunta. L'obiettivo �omunitario nel suo complesso, e precisamente alle perturbazioni nel caso in' cui il prezzo cif � superf notevolmente il prezzo d'entrata� (e �per ci� .stesso � possibili), ed a quelle suscettibili di compromettere, � a causa delle .importazioni o delle esportazioni �, � gli obiettivi dell'articolo 39 del trattato negli scambi con i paesi terzi�; e� la limitata operativit� di tali disposizioni � �del resto confermata dalle norme emanate, rispettivamente, con i regolamenti -0.el Consiglio 19 luglio 1973, n. 1968 (modificato con regolamenti 28 settembre 1973, n. 2632, 21 marzo 1974, n.. 676, e 13 gem1aio 1975, n. 86) e 18 dicem-. �bre,.1969, n. 2591, che ne1 definire le norme generali applicabili nel settore dei ,cercali in caso di perturbazione e le condizioni di applicazione delle misure -O.i. salvaguardia contemplano iniziative e misure riferite all'intero territorio della Comunit� (prelievi all'esportazione, sospensione del rilascio dei titoli di �esportazione o di importazione, ecc.) e comunque del tutto inidonee a sanare .situazioni di penuria localizzate (e dovute a fattori contingenti) ed a garantire .gli approvvigionamenti dei quali un solo Stato membro (o parte di esso) avverta la necessit�; . ed � sintomatico che il divieto di esportazione del grano duro <li origine italiana disposto con decisione della Commissione CEE 20 settem �bre 1973, n. 292 non altro effetto abbia avuto se non quello di riversare sul mercato degli altri Stati membri (che garantiva maggiori profitti agli esportatori italiani) il grano duro di norma esportato nei Paesi terzi, senza nessun utile riflesso per la grave situazione pi� volte segnalata dalle competenti autorit� italiane, e che le iniziative adottate dall'A.I.M.A. erano appunto rivolte a fronteggiare. 4. -� comprensibile, del resto, che una difficolt� di approvvigionamenti .che interessi uno solo degli Stati membri (o parte di esso) o relativa ad un prodotto il cui consumo abbia particolare rilievo in uno solo degli Stati membri (come, nella specie, il grano duro) non trovi adeguata rispondenza a livello PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE della discipl�na uniforme verrebbe di fatto compromesso dalla diversit� dei sistemi probatori e delle preclusioni processuali vigenti nei sir�goli Stati. Sulle questioni di merito, il Governo italiano osserva che � necessario accertare quali siano i poteri della Comunit� nel settore in questione, specialmente in caso di perturbazione del mercato, prendendo quindi in considerazione, in particolare, gli. artt. 19 e 20 del regolamento n. 120/67. Dall'esame di questi articoli risulta, a suo avviso, che detti poteri riguardano unicamente le perturbazioni del mercato comune, accertate nell'ambito della Comunit� e connesse alle importazioni ed alle esportazioni. Ora, si dovrebbe tener conto del fatto che una perturbazione pu� anche consistere, ad esempio, in una situazione di penuria in un Paese .o in una zona determinati. Il Governo italiano aggiunge, al riguardo, che non v'� provvedimento .che, alla lunga, non influisca sui prezzi, sia esso un aumento degli stipendi dei dipendenti statali, un diverso criterio di tassazione, o altro. Ma allora, se nell'ambito dell'organizzazione comune del mercato non resta alcuna competenza agli Stati membri, si dovr� pervenire alla con .comunitario; ed � certo singolare (anche a prescindere dal fatto che la stessa Commissione C.E.E. aveva dato atto nella gi� segnalata decisione � che le importazioni di frumento tenero gi� effettuate in Italia in provenienza dagli altri Stati membri e dai paesi terzi non ha portato un miglioraii�ento della situa. zione �) che l'avv. gen. Reischl, pur espressamente segnalando, nelle conclu' sioni presentate nella causa 40/75, che l'impiego del grano tenero' nella produzione delle paste alimentari �in Italia � vietato>>, abbia ritenuto di sottolineare, nelle conclusioni in pari data presentate per la causa 60/75, che gli enti di intervento tedesco, francese e belga avevano messo a disposizione dell'A. l.M.A., a condizioni particolari, notevoli quantitativi di grano tenero � da utilizzarsi esclusivamente per �prodotti alimentari destinati al nutrimento della: popolazione�, quasi che la denunciata situazione di penuria potesse costituire utile strumento� per il condizionamento dei consumi. A parte la difficolt� di ritenere in contrasto �con la normativa comunitaria iniziative assunte, come nella Specie, in aderenza ad esplicite� disposizioni <lel Consiglio CEE (risoluzioni del 5 dicembre 1972, del 14 settembre 1973, e 17 dicembre 1973, con previsione di iniziative nazionali volte, tra l'altro, ad � una rigorosa sorveglianza delle condizioni di formazione dei prezzi dei prodotti e dei servizi ed eventualmente limitazione dei margini di profitto;>), dcr vrebbe in definitiva ammettersi la possibilit�, per uno Stato membro (ed in coerenza con la sua competenza in materia monetaria, valutaria e di bilancio), di adottare le misure imposte dalla necessit� di porre rimedio ad una situazione di pregiudizio limitata al territorio nazionale (o a parte di esso); e la legittimit� di tali interventi (che possono essere imposti anche da esigenze di ordine pubblico) andrebbe comunque riconosciuta, quanto meno, relativamente a perturbazioni dovute a cause diverse da quelle considerate nella normativa comunitaria (ed alle quali deve ritenersi limitata, per quanto sopra osservato, la competenza delle istituzioni comunitarie), e senza nemmeno ne. cessit� di ricorrere all'applicazione dell'art. 103 del trattato C.E.E.: applica RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO w. elusione che questi non possono pi� adottare alcun provvedimento, nep- pure di politica congiunturale, nei settori sottoposti ad una siffatta organizzazione. Il Governo italiano ritiene necessario osservare che provvedimenti di diritto interno i quali non influiscano sulla circolazione delle merci, n� sulla formazione dei prezzi sul mercato europeo -ed i provvedimenti adottati dall'A.I.M.A. rispettavano tali condizioni, com'� stato ammesso dalla Commissione nella causa 40/75 (Bertrand) -non possono essere incompatibili coi regolamenti comunitari. Altrimenti, l'autorit� nazionale competente dovrebbe rivolgersi agli organi comunitari ogni qualvolta in un Paese, una regione, o addirittura una citt�, venisse a mancare un prodotto soggetto ad organizzazione di mercato, e ci� anche qualora la situazione di penuria non dipendesse da fattori contemplati negli artt. 19 e 20 del regolamento n. 120/67. Tale conclusione sarebbe assurda, in quanto impedirebbe, ad esempio, qualsiasi attivit� di beneficenza, come l'acquisto di scorte e la loro distribuzione ai poveri, operazioni eh~ influiscono anch'esse sui prezzi. zione che la Corte di giustizia ha com'� noto esclusa ,a priori, nonostante le contrarie argomentazioni desumibilkdall'art; 21 del 'regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120 (che vieta espressamente il ricorso all'art. 44 del Trattato) e dal richiamo, nelle norme sul mercato comune agricolo, ad altre disposizioni, del Trattato, e comunque con criterio diverso da quello adottato, per gli artt. 226 e 16 del Trattato, nelle sentenze 11 febbraio 1971, nella causa 37/70, REWE-ZENTRALE, Racc., 23, e 26 febbraio 1975, nella causa, 63/74 CADSKY, Racc., 281. Diversamente invero, e per necessaria coerenza con le premesse, dovrebbe ritenersi, avuto riguardo anche alla evidente impossibilit� di predeterminare limitazioni territoriali, che di qualsiasi perturbazione o penuria che interessasse una sola regione o una sola provincia, o anche un solo comune del territorio comunitario, e quali che ne fossero le cause, andrebbero comunque interessate le istituzioni comunitarie, senza possibilit� per i responsabili di ciascun ente territoriale interessato di adottare provvedimenti suscettibili di influire, anche a livello locale, sulla formazione dei prezzi; cos� come dovrebbe ritenersi, dato che qualsiasi provvedimento pu� avere concreta incidenza sui prezzi di mercato, che ogni iniziativa andrebbe adottata con discriminazione tra prodotti agricoli e prodotti non agricoli (il che, ovviamente, nemmeno basterebbe ad escludere una incidenza riflessa), che nessun provvedimento nazionale sarebbe consentito, in contrasto con la normale ed incontestata prassi, relativamente agli ingredienti da utilizzare nella preparazione dei prodotti o alla forma, peso e caratteristiche delle confezioni (prescrizioni anch'esse suscettibili di influire sui prezzi), e che sarebbe �vietato agli Stati membri, per l'incidenza che ne potrebbe derivare nella f�rmazione dei prezzi, anche l'acquisto di notevoli quantitativi di prodotti o la loro distribuzione gra tuita a titolo di beneficenza o di soccorso a popolazioni colpite da calamit�. N� pu� non essere rilevato, per quanto di utile pu� desumersi dal pa rallelo, che all'esistenza di una organizzazione comune nazionale dei mercati' in un determinato settore non consta sia stata mai attribuita rilevanza pre- II ~ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 43 Il Governo italiano ricorda che la Commissione ha deciso di vietare le esportazioni di grano duro, il che non ha certo risolto il prqblema in Italia. Esso si chiede se la Commissione non avrebbe potuto ridurre il prezzo al consumo, e sostiene, in proposito, che l'art. 103 del Trattato C.E.E. conserva la propria utilit� fino a quando non esista una politica economica comune in un settore in cui provvedimenti congiunturali siano operanti su un piano diverso da quello della produzione o del commercio del frumento. Sarebbe assurdo ipotizzare provvedimenti congiunturali limitati ai prodotti industriali, e che non abbiano alcuna influenza sul mercato dei prodotti agricoli. Il Governo italiano conclude che la Comunit� non � competente a dettare norme o ad intervenire, qualora si presentino situazioni anomale diverse da quelle considerate dai regolamenti comunitari. La Commissione ha sottolineato fra l'altro, in udienza, che nella sentenza Galli la Corte si � basata sull'esistenza di un'organizzazione comune di mercato, non gi� unicamente sul fatto che la fissazione dei prezzi massimi potesse costituire un ostacolo per gli scambi. -(Omissis). (Omissis). -In diritto. Con ordinanza 2 maggio 1975, pervenuta in cancelleria il 7 luglio 1975, il Pretore di Bovino ha sottoposto a questa elusiva di iniziative, normative o no, concernenti i prodotti oggetto della organizzazione comune. Quanto talune affermazioni di principio possano risultare contraddette dalla realt� economica e dalla incondizionabile esigenza di fronteggiare con tingenti situazioni congiunturali rilevanti a livello locale � conferinato, del resto, dal fatto che un blocco dei prezzi del tutto analogo a quello censu rato con la sentenza Galli veniva da altro Stato membro disposto poco dopo la pubblicazione della sentenza; cos� come iniziative analoghe a quelle adot tate dall'A.I.M.A. sono state gi� altre volte assunte, e proprio per il grano duro e le paste alimentari, da altri Stati membri delle Comunit� europee. 5. -Nella sentenza in rassegna non risultano considerate, inoltre, la rilevanza della duplice funzione svolta dall'A.I.M.A. (quale si desume dalla legge istitutiva e dall'art. 7 del dl. 24 luglio 1973, n. 427), ed in particolare la figura di singol� operatore che viene ad assumere quando interviene, all'interno del mercato (e non dall'esterno, ed autoritativamente), con attivit� obiettivamente imprenditoriali; e tale� prospettiva non sembra invece priva di conseguenze, quando si consideri che la impostazione adottata nella sentenza in rassegna (nella quale, oltretutto, l'A.I.M.A. sembra identificata con lo Stato) dovrebbe condurre ad escludere anche l'acquisto (e non la sola vendita) di notevoli quantitativi di prodotti agricoli (che comporterebbe un aumento dei prezzi a danno del consumatore, la cui tutela � specifico oggetto della normativa comunitaria), e ad affermare inoltre la incompatibilit� con il diritto comunitario delle iniziative con le quali un singolo operatore ritenesse di vendere in perdita sul mercato interno, per ragioni di concorrenza o per qualsiasi altro motivo di suo interesse, prodotti acquistati all'estero: iniziative non differenziabili, nell'ambito del mercato e sul piano economico. commerciale (e quindi indipendentemente dalle diverse finalit� perseguite), RASSEGNA DELL'AVVOCATURA lJELl..O STATO w Corte, in forza dell'art. 177 del Trattato C.E.E., varie questioni vertenti ~::' sull'interpretazione del regolamento del Consiglio 13 giugno 1967, n. 120, che istituisce un'organizzazione comune di mercato nel settore dei ce~ reali (G.U. pag. 2269). Le questioni sono state� sollevate nel corso di un procedimento per risarcimento di danni, promosso da un produttore italiano di grano duro contro l'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (A;I.M.A.). L'attore si ritiene leso dall'attivit� di questo ente, consistente nell'acquistare ingenti quantitativi di grano duro sul mercato mondiale e nel rivenderli ai pastifici italiani a prezzi di gran lunga inferiorLnon solo a quelli d'acquisto, ma anche al prezzo d'intervento fissato secondo le norme relative all'organizzazione comune del mercato nel settore dei cereali. L'attivit� dell'A.I.M.A. era stata autorizzata dal Governo italiano, con provvedimento adottato per motivi .di politica antiinflazionistica ed inteso a garantire l'approvvigionamento dell'industria pastaria a prezzi che le conse:o.tissero di non produrre in perdita, nonostante i prezzi massimi imposti per la vendita, all'ingrosso e al minuto, dei prodotti finiti. da quelle adottate dall'A.I.M.A., e delle quali, tuttavia, il singolo operatore non potrebbe certo essere chiamato a rispondere per il pregiudizio che ne dovesse in ipotesi derivare agli altri produttori. 6. -Quanto alla situazione soggettiva .dei singoli, la .Corte di giustizia, condividendo la soluzione proposta dal Governo italiano (diversa da quella sostenuta dalla Commissione C.E.E. e dall'avv. gen. Reischl), ha escluso che altro diritto possa riconoscersi al singolo produttore se non quello di realizzare un prezzo � che si avvicini a quello indicativo e che, comunque, non sia inferiore a quello d'intervento �, espressamente precisando che la incompatibilit� con la normativa comur:iitaria di determinati interventi nazionali � non implica, tuttavia, che sia legittima la pretesa di risarcimento fatta valere da un operatore che, avendo venduto i suoi prodotti ad un prezzo superiore a quello indicativo, ha fruito dei vantaggi che il regolamento tende a garantire �, e che �il singolo agricoltore non pu� quindi legittimamente sostenere, in base al diritto comunitario, di aver subito un danno, qualora iI prezzo da lui ottenuto sul mercato sia superiore al prezzo indicativo �; e la preclusiva rilevanza, nella specie, di tale soluzione aveva appunto indotto il Governo italiano ad evidenziare che una risposta in tal senso al terzo quesito del giudice nazionale avrebbe reso del tutto superfluo (secondo criterio gi� pi� volte adottato dalla Corte di giustizia) l'esame delle altre questioni proposte, in merito alle quali la Corte 'ha ritenuto invece di doversi ugualmente pronunciare. 7. -La interpretazione in argomento adottata dalla Corte di giustizia (e coerente con la impostazione prospettata dall'avv. gen. Warner nelle conclusioni presentate per la causa 31/74, gi� sopra richiamate) conferma in effetti la necessit� di distinguere, nell'ambito delle norme direttamente applicabili, quelle idonee ad attribuire diritti ai singoli e quelle che tali non sono, ed integra l'affermazione (contenuta nella sentenza Galli), secondo cui �nei settori di mercato considerati detti regolamenti garantiscono, con efficacia di- I PARTE I, SEz. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE All'epoca dell'emanazione del suddetto provvedimento, i prezzi del mercato mondiale erano notevolmente superiori a quelli stabiliti in forza della disciplina comunitaria, ed il grano duro, la cui produzione nella Comunit� � deficitaria, non poteva essere esportato nei Paesi terzi. Dal fascicolo risulta, in primo luogo, che il prezzo praticato dal�� l'A.I.M.A. nel rivendere il prodotto ai pastifici era di circa 13.000 Lit. il quintale (e cio� inferiore al prezzo indicativo, il quale era dell'ordine di 16.400 Lit., e perfino al prezzo d'intervento, che ammontava press'a poco� a 15.000 Lit.); inoltre, che il prezzo ottenuto dall'attore per una partita. di grano duro venduta nel gennaio 1975 era stato pari a 17.000 Lit. il quintale. Con le prime due questioni, il giudice nazionale chiede in sostanza se l'attivit� di unq Stato membro, consistente nell'acquistare grano durcr sul mercato mm;1diale e nel rivenderlo a prezzi inferiori a quello d'acquisto, o addirittura a quello d'intervento, sia compatibile con l'organizzazione comune del mercato nel settore dei cere~li. Le altre tre questioni riguardano la situazione soggettiva degli operatori in caso di illecita ingerenza dello. Stato nel sistema di formazione� dei prezzi contemplato dall'organizzazione comune del mercato, e le con-� retta a fawore dei singoli, la libera circolazione delle merci, �in particolare mediante la soppressione delle restrizioni quantitative e di qualsiasi misura d'effetto equivalente� (punto 33). Una diversa soluzione del resto, avuto anche riguardo ai meccanismi di determinazione dei prezzi indicativo e di intervento ed alle stesse iniziative consentite alle istituzioni comunitarie in ipotesi ai perturbazioni, avrebbe condotto ad ammettere la possibilit� di iniziative giudiziarie, nei confronti della Comunit�, da parte del produttore che deducesse (come nella specie) la lesione del suo �diritto di ottenere un certo livello dei prezzi >>, quante� volte si assumesse tale lesione causata dai criteri adottati nella determinazione dei prezzi comunitari, dalle iniziative assunte in caso di perturbazioni, o dalle stesse attivit� degli organismi d'intervento (quali gli acquisti o la distribuzione a fini assistenziali o per aiuti ai Paesi terzi); ed una situazione di diritto (e quindi la deducibilit� di una sua lesione) si sarebbe di conseguenza dovuta riconoscere non al solo produttore, ma anche al con-� sumatore, la cui tutela costituisce specifica finalit� della politica agricola comune (art. 39, n. 1, lett. d ed e, del trattato e.E.E.). 8. -Con il principio di cui alla terza massima (in cui coincidono moti-� vazione e dispositivo) la Corte di giustizia si � pronuncata, infine, sulla re.� sponsabilit� degli Stati membri, nei confronti .dei singoli, per attivit� in con-� trasto con la normativa comunitaria, affermando che � nell'ipotesi che il danno causato al produttore derivi da un intervento dello Stato membro in contrasto col diritto comunitario, questo dovr� risponderne, nei confronti del soggetto leso, in conformit� alle disposizioni di diritto interno relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione�; ed � questa, indubbiamente, la parte di maggior rilievo della decisione, specialmente quando si consideri che la necessit� di investire della questione la Corte di giustizia era stata 46 RASS�GNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO seguenze relative al fatto che l'intervento statale si sia eventualmente risolto in una lesione dei diritti attribuiti ai singoli operatori dalle nor. me comunitarie. Le questioni di cui sopra sono sorte in ragione del carattere dispositivo dei provvedimenti relativi all'intervento statale sul mercato dei .cereali, intervento che non aveva lo scopo di influire direttamente sulla formazione dei prezzi su detto mercato, bens� di argiaare l'aumento dei prezzi al consumo di� taluni generi alimentari a base di grano duro. Un intervento del genere, da parte di uno Stato membro, pu� essere .compatibile con l'organizzazione comune del mercato nel settore dei cereali soltanto qualora non metta in pericolo gli obiettivi o il funzionamento di tale organizzazione. Ora, uno dei principali obiettivi di quest'ultima, quello di garantire ai produttori un prezzo che si avvicini il pi� possibile a quello indicativo, viene messo in pericolo in quanto l'attivit� dell'ente statale pu� influire .sull'andamento del mercato e provocare una tendenza al ribasso, per cui :i prezzi vengano a situarsi al di sotto del livello del prezzo indicativo. Si deve perci� concludere che l'attivit� di uno Stato membro consistente nell'acquistare grano duro sul mercato mondiale e nel riven cravvisata dal giudice nazionale nell'espresso rilievo che dalla pronuncia di interPretazione dipendesse la soluzione della controversia � anche ai fini della giurisdizione �. La rilevanza del principio enunciato in argomento dalla Corte di giustizia si evidenzia, in particolare, nel raffronto con le varie soluzioni che .erano state proposte nel giudizio di inte11Pretazione. La parte attrice del giudizio di merito, invero, aveva proposto di rispondere ai quesiti al riguardo rivolti dal giudice. nazionale affermandosi che � la violazione di situazioni soggettive attive che trovino nel diritto comunitario �direttamente applicabile la loro fonte e la loro disciplina, implica in ogni caso per i giudici nazionali l'obbligo di reintegrare -facendo ricorso agli strumenti loro offerti dai rispettivi ordinamenti interni -le conseguenze patrimoniali pregiudizievoli subite dai titolari di dette situazioni soggettive per il fatto della violazione >>. La Commissione C.E.E., dopo aver richiamato i princ�pi enunciati dalla �Corte di giustizia in tema di responsabilit� aquiliana delle Comunit� e le varie .sentenze rese anche in tema di responsabilit� per atti normativi, e sostenuto .che la questione concernente la responsabilit� degli Stati membri non potesse .avere differente soluzione, riteneva che dovesse in argomento affermarsi che � spetta agli Stati membri definire le condizioni e gli effetti delle azioni a tutela del diritto sub 2 (del diritto del produttore, cio�, a che gli Stati mem. bri si astengano da interventi quali quello in discussione: diritto che la �Commissione aveva ritenuto ravvisabile). Gli Stati membri hanno comunque l'obbligo di mettere a disposizione dei privati i mezzi necessari ad assicurare una tutela adeguata ed efficace di questo diritto >>. L'avv. gen'. Reischl, infine, aveva in argomento concluso proponendo alla �Corte di affermare che � l'obbligo di garantire l'effettiva tutela di tali diritti <quelli a suo avviso derivanti ai singoli dalle norme in materia di prezzi) PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 47 derlo poi sul mercato comunitario a prezzo inferiore al prezzo indicativo � incompatibile con l'organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali. Ci� non implica, tuttavia, che sia legittima la pretesa di risarcimento fatta valere da un operatore che, avendo venduto i suoi prodotti ad un prezzo superiore a quello indicativo, ha fruito dei vantaggi che il regolamento tende a garantire. Il singolo produttore, infatti, ha diritto in forza della disciplina comunitaria, a che non vengano frapposti ostacoli alla possibilit� di ricavare un prezzo che si avvicini a quello indicativo e che, comunque, non sia inferiore a quello d'intervento. Il regolamento n. 120/67 � per l'appunto inteso a porre lo sviluppo dell'agricoltura comunitaria al riparo dalle variazioni dei prezzi mondiali e, in tal modo, a garantire un equo tenore di vita alla popolazione agricola, nonch� a stabilizzare i mercati mediante un sistema comunitario di prelievi e restituzioni, che costituiscono, per il buon funzionamento del mercato comune agricolo, una protezione contro i rischi del mercato mondiale. Detto regolamento non mira, quindi, a garantire agl'interessati il diritto di trarre profitto dalle alee congiunturali, qualora il livello dei comporta, in presenza delle altre condizioni richieste al riguardo dal diritto interno, la responsabilit� dello Stato membro per i danni causati dalla violazione del diritto comunitario �. 9. -Le varie conclusioni riprodotte, e la motivazione che di esse risulta data nelle memorie scritte, consentono di avvertire meglio la effettiva portata del principio enunciato dalla Corte di giustizia, per la particolare rilevanza che viene ad assumere, nell'ambito della prospettiva discussa tra le parti, il riferimento della Corte alle disposizioni di diritto interno � relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione�; ed � sintomatico, in argomento, che anche l'avv. gen. Reischl, dopo aver richiamato la nota sentenza 19 dicembre 1968, nella causa 13/68, SALGOIL (Racc., 601), sul dovere dei giudici nazionali di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dalla normativa comunitaria, abbia precisato che, � ove siano presenti anche le altre condizioni richieste dal diritto interno, si pu� pensare ad una domanda di risarcimento contro lo Stato membro che non abbia rispettato il Trattato�. Il Governo italiano del resto, intervenuto nella sola fase orale del giudizio di interpretazione, aveva sottolineato la necessit� di considerare ia questione sulla responsabilit� degli Stati membri nei confronti dei singoli come questione da risolvere sulla sola base del diritto interno, per aver il Trattato disciplinato, con l'art. 215, la sola responsabilit� della Comunit�. Anche a prescindere da tale preliminare e pur assorbente considerazione (gi� sufficiente ad imporre di valutare la responsabilit� degli Stati membri nei confronti dei singoli sulla base delle norme di ciascun ordinamento nazionale), � comunque evidente che un'affermazione di principio sulla esigenza di un uniforme criterio risulterebbe in concreto inoperante, per la contraria incidenza che avrebbero, in. ogni caso, la differente normativa sostanziale (deca .5 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 48 prezzi mondiali superi quello ritenuto auspicabile per la realizzazione degli obiettivi dell'organizzazione comune del mercato. Il singolo agricoltore non pu� quindi legittimamente sostenere, in base al diritto comunitario, di aver subito un danno, qualora il prezz0> da lui ottenuto sul mercato sia superiore al prezzo indicativo. Spetta al giudice nazionale, considerate le circostanze del caso, di. accertare di volta in volta l'eventuale esistenza di tale danno. Nell'ipotesi che il danno derivi dalla violazione di una norma di diritto comunitario da parte dello Stato, questo dovr� risponderne, nei confronti del soggetto leso, in conformit� alle disposizioni di dirittointerno relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione. -� (Omissis). denza, prescnz1one, preclusioni, sanzioni, ecc.), la diversit� dei sistemi giudiziari, le differenti forme e prescrizioni procedimentali, ed in particolare le stesse diverse � condizioni � richieste, in ciascun ordinamento nazionale, per le iniziative giudiziali in danno della pubblica amministrazione. lei. -Certamente, sarebbe auspicabile che tutti gli Stati membri fossero� tenuti a rispondere nei confronti dei singoli, nell'ambito dell'ordinamento comunitario, e nella ricorrenza di analoghe situazioni, secondo uniformi criteri,. perch� solo in tal caso verrebbe ad essere garantita ai cittadini comunitari,. indipendentemente dalla loro nazionalit�, la stessa tutela in ipotesi di lesione, da parte delle autorit� nazionali, dei diritti attribuiti dalla normativa comunitaria. � altrettanto evidente, per�, che tale obiettivo non sarebbe comunque: conseguito con una sola affermazione di principio sulla esigenza di garantire� in modo uniforme la tutela dei singoli, n� tale uniformit� di tutela sarebbe in tal modo di fatto assicurata, fin quando una stessa azione risulter� poi in concreto consentita, secondo condizioni e forme proprie di ciascun ordinamento interno, entro termini diversi e con differenti conseguenze; e si spiega e si giustifica quindi, in difetto di valide ed efficaci alternative, che lo Stato membro sia tenuto a rispondere nei confronti dei singoli, secondo il prin cipio enunciato dalla Corte di giustizia, �in conformit� alle disposizioni di� diritto interno relative alla responsabilit� della pubblica amministrazione �. A. M SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 21 maggio 1975, n. 2000 -Pres. Mac� carone -Rel. Simoncelli -P. M. Berri (conci. conf.) -Ordine Mauriziano (avv. Stato Freni) c. Paviolo Marina. Competenza e giurisdizione -Giurisdizione ordinaria ed amministrativa Ente pubblico non economico -Licenziamento del dipendente -Richiesta di un provvedimento d'urgenza -Giurisdizione amministrativa. (I. 5 novembre 1962, n. 1596, art. 12; I. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6; I. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 3). Se il giudice ordinario difetta di giurisdizione in ordine alla domanda principale -illegittimit� del licenziamento -a maggior ragione il giudice stesso non pu� avere giurisdizione in ordine alla richiesta di un provvedimento di urgenza che tenda a reintegrare, anche in via provvisoria, nell'impiego pubblico il dipendente licenziato e che comporti, ovviamente, la sostituzione del giudice ordinario alla pubblica amministrazione, nella ricostituzione di un rapporto risolto (1). (Omissis). -Con la sua istanza, l'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, richiamata la propria natura di ente pubblico non economico, ai sensi della disposizione finale XIV della Costituzione e della legge 26 ottobre 1962, n. 1596, ribadisce la tesi prospettata col ricorso per regola (1) Il caso di specie riguardava un'insegnante straordinaria di ruolo di scuola elementare organizzata dall'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro. In occasione della cessazione del rapporto d'impiego, disposto dall'Ente, l'interessata aveva chiesto inizialmente la reintegrazione nel posto di lavoro, previa dichiarazione di illegittimit� del licenzh:imento; successivamente, proposto dal predetto Ente, istanza di regolamento preventivo di giurisdizione, il Pretore aveva sospeso il processo, ma la Paviolo aveva chiesto, con riferimento all'art. 700 c.p.c., di essere provvisoriamente reintegrata nel posto di lavoro. La coeva sentenza n. 2001, pronunciata tra le stesse parti e con la quale si riafferma un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, nel senso che appartiene alla giurisdizione del Giudice amministrativo l'impugnazione del licenziamento -assunto come illegittimo -del dipendente di un ente pubblico non economico (quale � l'Ordine mauriziano), � pubblicata in Foro it. 1975, I, 1954. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mento preventivo del 5 febbraio 1973 -secondo la quale la controversia proposta dalla Paviolo, riferendosi ad un rapporto di pubblico impiego, rientra nella competenza giurisdizionale del giudice amministrativo, non derogata dall'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604 -ed osserva che la ulteriore domanda ex art. 700 cpc. incontra la medesima preclusione del difetto di giurisdizione del giudice ordinario, che si presenta in mi sura ancora pi� marcata, in quanto la domanda anzidetta tende al con seguimento di una pronuncia con cui il giudice dovrebbe sostituirsi all'ente pubblico nella ricostituzione, sia pure provvisoria, di un rapporto cessato. L'istanza dell'Ordine mauriziano � fondata. Il rapporto dedotto in giudizio dalla Paviolo presenta tutti i carat teri del tipico rapporto di pubblico impiego, sussistendo sia la natura di ente pubblico del datore di lavoro, sia l'atto formale di nomina della dipendente, sia l'estremo della prestazione continua, da parte della mede sima, di un'attivit� lavorativa retribuita e subordinata, correlata ai fini istituzionali dell'ente. La natura di ente pubblico non economico dell'Ordine dei SS. Mau rizio e Lazzaro deriva, infatti, oltre che �.alla richiamata disposizione finale della Costituzione (che conserva l'Ordine come �ente ospedaliero�) dalla legge 26 ottobre 1962 n. 1596, che riconosce all'Ordine mauriziano personalit� di diritto pubblico (art. 2), precisando che lo stesso persegue fini � di beneficienza, di istruzione e di culto �. L'atto formale di nomina � costituito dalla deliberazione del 27 luglio 1968, n. 16/54, con cui la Paviolo fu nominata insegnante straordinaria di ruolo della scuola ele mentare mauriziana di Torre Pellice. La continuit� della prestazione, con le modalit� innanzi precisate, risulta dall� prospettazione dei fatti data dalla stessa attrice con la citazione del 13 ottobre 1972. Non pu� sussistere dubbio, pertanto, circa la competenza giurisdi. zionale del giudice amministrativo a conoscere della controversia relativa alla pretesa illegittimit� del licenziamento, essendo demandato al �detto giudice, in via esclusiva, ai sensi dell'art. 29 n. 1, t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e dell'art. 7 1. 6 dicembre 1971, n. 1654, il contenzioso in tema di pubblico impiego. N� pu� ritenersi che la detta competenza giurisdizionale trovi alcuna deroga nell'art. 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, poich� -come � stato pi� volte affermato da queste Sezioni Unite (v. le �sentenze 13 luglio 1974, n. 2115, 7 maggio 1973, n. 1199 e 22 agosto 1972, n. 2702) -la competenza funzionale attribuita dall'ultimo comma del menzionato articolo al pretore, in tema di licenziamenti individuali, non incide sui principi generali in materia di delimitazione della giurisdizione, e lascia quindi inalterati i criteri della ripartizione della giurisdizione stessa tra l'autorit� giurisdizione stessa tra l'autorit� giudiziaria ordinaria e quella amministrativa. PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 51 Se il giudice ordinario, pertanto, difetta di giurisdizione in ordine alla domanda di illegittimit� del licenziamento intimato dall'Ordine mau� riziano alla Paviolo, a maggior ragione il giudice stesso non pu� avere giurisdizione in ordine alla richiesta di un provvedimento di urgenza che tenda a reintegrare, anche in via provvisoria, nell'impiego pubblico il dipendente licenziato, e che comporti, ovviamente, la sostituzione del giudice ordinario alla P.A. (ovvero all'ente pubblico non economico) nella ricostituzione di un rapporto risolto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 6 ottobre 1975, n. 3163 e Pres. Stella Richter -Rel. Persico -Est. Zucconi Galli Fonseca -P. M. Di Majo (concl. diff.) -Viola ed altri (avv. Varvesi) e Consiglio Regionale Friuli-Venezia Giulia (avv.ti Varvesi, Pacia) c. Procura Generale Corte dei Conti (avv. Stato Savarese). Competenza e giurisdizione � Regolamento di giurisdizione � Conflitto di attribuzione � Interferenze reciproche ove i mezzi vengano sollevati nella medesima controversia -Efficacia vincolante della decisione � emessa dalla Corte costituzionale. (Cost. art. 134; cod. proc. civ., art. 41). La decisione della Corte costituzionale che risolvendo il conflitto di attribuzione sollevato dalla Regione contro lo Stato affermi la competenza della Corte dei conti a decidere dell'azione di responsabilit� proposta dal procuratore generale nei confronti di componenti della giunta regionale fa stato nel giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione autonomamente proposto dagli intimati (1). (Omissis). -1. -Con atto di citazione del 24 settembre 1971 il procuratore generale della Corte dei conti convenne davanti alla corte (1) Come � noto, con sentenza 30 dicembre 1972, n. 211 -in questa Rassegna 1973, 1, 96 -la Corte costituzionale, decidendo un conflitto d'attribuzione proposto dalla regione Friuli-Venezia Giulia contro lo Stato, stabil� che spettasse alla Procura Generale della Corte dei conti promuovere l'azione di responsabilit� sia nei confronti dei dipendenti della regione che a questa avessero causato danni nell'esercizio delle loro attribuzioni, sia nei confronti dei componenti la giunta della regione medesima per omissione della denuncia di tali danni (cfr. per i precedenti della citata decisione n. 211 del 1972, Corte cost. 26 giugno 1970 n. 110 e 5 aprile 1971 n. 68 pubblicate oltre che in questa Rassegna, 1970, I, 723 e 1971, I, 526 in Giur. cast., 1970, 1203; 1971, 627 con note di richiami; in dottrina, CAPOTOSTO, Giurisdizione della Corte dei conti e autonomia regionale, in Giur. it., 1971, IV, 163). L'attuale decisione delle Sezioni Unite, risolve il problema delle � interferenze � fra il pregresso giudizio costituzionale e la questione di giurisdi 52 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO un dipendente della regione Friuli-Venezia Giulia (Tarsilio Viola) insieme col presidente ed otto componenti della giunta regionale (Alfredo Berzanti, Enzo Moro, Antonio Comelli, Francesco De Carli, Cesare Devetag, Bruno Giust, Giovanni Vicario, Vittorio D'Antony e Salvatore Varisco), chiedendo che fossero condannati in solido a pagare alla regione le spese di riparazione di un'autovettura, il primo per averla danneggiata, gli altri per aver omesso di denunciare il fatto dannoso alla procura generale della Corte dei conti, in conformit� alla deliberazione di massima n. 2861 da essi approvata il 6 agosto 1969, con la quale si era disposto che per i danni provocati dai dipendenti regionali addetti alla conduzione di veicoli non si dovesse presentare denuncia al procuratore generale della Corte dei conti, perch� la competenza in materia spettava al giudice ordinario. In pendenza del giudizio, gli intimati hanno proposto (con atto notificato il 5 febbraio 1972) istanza di regolamento preventivo della giurisdizione, sostenendo che la competenza giurisdizionale della Corte dei conti non si estende alla responsabilit� civile degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici diversi dallo Stato, anche perch� ne risulterebbero compromessi il diritto d'azione e l'autonomia degli enti stessi (primo motivo), e che essa comunque non pu� riguardare i componenti delle giunte regionali, non esistendo alcuna norma che li assoggetti alla responsabilit� prevista per i funzionari dello Stato dall'art. 52 del r.d. 12 luglio 1934, n. 1214 e per i direttori generali e i ministri tenuti ad zione preventivamente proposta dagli intimati nel processo di responsabilit�. � di tutta evidenza che si tratti di una fattispecie del tutto peculiare e di ci� � stato posto l'accento nella motivazione: infatti la Corte costituzionale nell'affermare la giurisdizione della Corte dei conti sulla causa oggetto del regolamento preventivo, aveva pronunciato -risolvendole -sulle stesse questioni sottoposte, poi, all'esame delle Sezioni Unite. Da ci� deriva, inevitabilmente, sia una certa difficolt� di sistemazione dei principii, sia una generale perplessit� di ordine teorico e di inquadramento concettuale, inerente alle enunciazioni contenute in sentenza e suscettibili di ultedore generalizzazione. Serrate critiche vengono rivolte a questa decisione da M. R. MORELLI, In margine ad un interessante caso di �interferenza� fra regolamento di giurisdizione e confiitto costituzionale di attribuzione, in Giust. civ. 1975, I, 1810. I dubbi sussisterebbero, secondo l'A., soprattutto per non essere ipotizzabile l'identit� dell'oggetto e delle questioni nei due giudizi. E cio� � pur se � venuta, in entrambi i .casi, in discussione la competenza della Corte dei conti a conoscere dell'identica vicenda sostanziale, la differenza (dell'oggetto-e delle questioni dibattute) nei due giudizi sembra ineliminabile (e tale da mantenere i giudizi stessi su piani paralleli e non di interferenza); risiedendo, in particolare, in ci� che della detta competenza � stato, nel primo caso, esaminato l'aspetto esterno della legittimit� (sotto il profilo della eventuale inva,.,.. sione della sfera di autonomia, costituzionalmente garantita, di soggetto concettualmente distinto dallo Stato, quale la Regione); e, nel secondo caso, ~ f: ~� \: 11~111rllfwl#Jl#?Jilfltiwri!i&;;11r?i.flffifllltli:flN1iff1ili!:ir;11r;111i!rt:*r�1�rr11~1:r11t~mr&��rlwlf:r1ill�:�:�,.:�r:rr@mmrrn1w11:�:~r0Iet1~ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 53 -obbligo di denuncia dall'art. 53 dello stesso decreto, dall'art. 83 del r.d. 18 novembre 1923, n. 2440 e dall'art. 20 del d.p. 10 gennaio 1957, n. 3, e non potendo le giunte regionali, che svolgono attivit� politica e di alta amministrazione, sanzionata soltanto con una responsabilit� collegiale di .natura politica, essere equiparate agli organi collegiali di cui all'art. 24 <lei d.p. n. 3 del 1957 (secondo motivo). La procura generale della Corte dei conti, rappresentata dall'avvocatura dello Stato, ha resistito all'istanza con controricorso. 2. -Nel frattempo la Corte costituzionale ha pronunciato la sentenza �n. 211 del 1972, con la quale ha risolto il conflitto di attribuzioni sollevato dalla regione Friuli-Venezia Giulia contro il presidente del consiglio .(lei ministri, proprio in riferimento all'atto di citazione del procuratore :generale della Corte dei conti in data 24 settembre 1971, introduttivo del giudizio in cui � stato ora chiesto il regolamento di giurisdizione. La Corte costituzionale, dopo aver precisato che la regione aveva .contestato sia la competenza giurisdizionale della Corte dei conti a pro. nunciarsi nei confronti dei titolari degli uffici regionali, sia il potere del procuratore generale di promuovere d'ufficio l'azione a tutela di un diritto patrimoniale della stessa regione, ha affermato che la competenza della Corte dei conti a decidere in proposito non pu� essere posta in dubbio e ha dichiarato che spettava alla procura generale promuovere l'azione <li responsabilit�. l'aspetto, invece, dell'attribuzione alternativa -all'interno della funzione stessa (statuale) di giurisdizfone -al magistrato ordinario piuttosto che a quello speciale�. Lo stesso A. verificando la consistenza di tale perplessit�, conclude che, :accettando i presupposti posti a base della decisione dalle Sezioni Unite, il sistema non troverebbe �in s� meccanismi (di automatico funzionamento) in :grado di espungere le contraddizioni del tipo esaminato �. Da ci�, il predetto A., pur concordando sulla sostanziale � opp.ortunit� � e � saggezza � delle soluzioni adottate, adduce numerose perplessit� che il tipo :anomalo deciso ha indotto sulla formulazione dei principi generali. Certamente la citata riota ha il merito di evidenziare chiaramente -con ci� fornendo un approfondito materiale ricostruttivo -le note dissonanti. E peraltro deve altres� riconoscersi che il punto di partenza delle Sezioni Unite identit� di questioni sollevate nel medesimo rapporto processuale -apre l'unico spiraglio concettuale possibile per conciliare casi -si ripete del tutto :atipici -nei quali il conflitto di costituzionalit� fra Stato e Regone si ponga, in realt� -con identico contenuto rispetto al regolamento preventivo di giurisdizione -come conflitto fra Regione e potere giurisdizionale dello Stato. Da ci� deriva inevitabilmente la conseguenza -anche se claudicante che la decisione della questione di costituzionalit� � implichi la decisione del riparto della giudisdizione fra giudice ordinario e specale �, nonostante la diversit� di parti. c. c. 54 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO OSSERVA: 1. -Nel risolvere il conflitto di attribuzioni sollevato dalla regione Friuli-Venezia Giulia la Corte costituzionale ha affermato la competenza della Corte dei conti sulla causa che � oggetto del presente regolamento di giurisdizione, pronunciandosi sulle questioni che queste sezioni unite sono chiamate a decidere. L'impugnazione della citazione del procuratore generale della Corte dei conti era stata infatti fondata, in primo luogo, sulla negazione della competenza della Corte dei conti a conoscere della responsabilit� civile del presidente e dei membri della giunta regionale, adducendosi dalla regione, come ora dagli attuali ricorrenti, la mancanza di norme attributive della competenza stessa. In altri termini, l'atto del procuratore generale era stato bens� impugnato come di per s� lesivo dell'autonomia dell'ente (in quanto sostitutivo dell'iniziativa di questo nella tutela di un proprio diritto), ma sopratutto come diretto alla esplicazione della giurisdizione della Corte dei conti nei confronti dei titolari degli uffici regionali. Il potere di iniziativa del procuratore generale nei confronti degli amministratori della regione, del resto, non avrebbe potuto essere dichiarato esistente se non subordinatamente al riconoscimento che i giudizi di responsabilit� degli amministratori e degli agenti regionali appartengono alla competenza della Corte dei conti in virt� d'una norma costituzionale, ravvisata dalla Corte, a conferma della sua giurisprudenza pi� recente e della giurisprudenza di queste sezioni unite, nell'art. 103, secondo comma, della Costituzione. Nella sostanza, dunque, anche se proposto mediante l'impugnazione dell'atto di impulso processuale, il conflitto risolto dalla Corte costituzionale si poneva come conflitto fra la regione e il potere giurisdizionale della Corte dei conti (e avrebbe potuto essere sollevato, invece che prima del giudizio, dopo la pronuncia della Corte e contro di essa, ovvero contro la sentenza di queste sezioni unite che avesse affermato la giurisdizione della Corte). La decisione della questione di competenza costituzionale ha perci� implicato la decisione del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice speciale. Correlativamente, quantunque queste sezioni unite non siano chiamate a decidere di un difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione (o di altro potere), ma del difetto di competenza giurisdizionale del giudice speciale nei confronti del giudice ordinario, la peculiarit� della specie fa s� che la loro decisione investa il conflitto esterno fra Corte dei conti e regione, nei termini in cui esso � stato conosciuto dalla Corte costituzionale. f: i~ fo I. 'e<e<e<e<�,<Ce<�Zc<C�'�o�,�o�o�.�.�.�.�.�O�.�.�.�.-.-.-.�.-.�.-.-...-.-.-.�.-.�.-.-.�.�� �����������a.�.�.�.�c.�.�.�.,,..., .. �� ....... �� .� , .� , �..�.�...... . ................... �ᥥ�� �ᥥ ................. 1~ PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 5S 2. -In tale situazione, dev'essere affermata l'efficacia vii1colante della. pronuncia della Corte costituzionale ai fini del presente regolamento: poich� ammettere la possibilit� che sia negato, in ipotesi, il potere della Corte dei conti di conoscere della causa promossa contro gli istanti, riconosciutole invece dalla Corte costituzionale, sarebbe ammettere una contraddizione- che -non potendo postularsi l'incoerenza del sistema richiederebbe d'essere risolta. Nel caso di specie, come s'� visto, oggetto del conflitto di attribuzioni � stata l'attivit� giurisdizionale, in relazione alla quale -come la Corte costituzionale ha riconosciuto nelle sentenze n. 110170 e 289174 possono sorgere conflitti non soltanto fra i poteri dello Stato, ma anche' fra Stato e regioni, se queste adducono che l'esercizio della giurisdizione viola la loro sfera di competenza costituzionalmente garantita. Orbene, in tutti i casi in cui il dubbio sulla competenza costituzio-� nale riguarda l'esercizio della giurisdizione (diversi dai casi riguardanti il riparto di attribuzioni amministrative fra Stato e regioni, in rapporto ai quali la questione di competenza costituzionale pu� venire solo indi-� rettamente in considerazione nei giudizi ordinari o amministrativi in cui sia dedotto il vizio d'incompetenza di un atto d'amministrazione: ed � a questi diversi casi che si riferisce la precedente sentenza di queste sezioni unite n. 2966/73, relativa alla deducibilit� dell'incompetenza derivante da norme costituzionali ai fini dell'annullamento giurisdizionale di atti amministrativi, le affermazioni della quale sulla impossibilit� di. interferenze fra i detti giudizi e il giudizio di competenza costituzionale non toccano, pertanto, il problema in esame) si deve ammettere -come: ammette la prevalente dottrina -che pu� essere elevato conflitto anche nei confronti delle sentenze delle sezioni unite della Corte di cassazione, le quali, pronunciando nell'esercizio dei poteri tenuti fermi dall'art. 37,. secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, abbiano negato il difetto assoluto di giurisdizione rispetto all'oggetto del giudizio. In altri termini, l'esclusiva e illimitata competenza della Corte costituzionale in materia di conflitti di attribuzione, deferitale dall'art. 134 della Costituzione, comporta l'impugnabilit� delle dette sentenze delle sezioni unite� davanti ad un organo super partes: il che significa che l'unit� dell'ordinamento, nella materia di cui trattasi, � assicurata dalla prevalenza delle decisioni della Corte costituzionale su quelle della Corte di cassazione. Ci� posto, se tale prevalenza pu� attuarsi, attraverso il conflitto,. successivamente alla pronuncia delle sezioni unite, pare logico dedurne che essa debba essere riconosciuta, quale dato costante del nostro assetto costituzionale, anche nei casi in cui la decisione del conflitto di attribuzioni abbia per avventura preceduto la decisione della questione di giu 56 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO risdizione. La sentenza delle sezioni unite che in tali casi si ponesse in .contrasto con la sentenza risolutiva del conflitto non sarebbe conforme all'ordinamento costituzionale, qual � stato dichiarato dalla pronuncia -della Corte costituzionale, e, come s'� detto, potrebbe essere eliminata, .quando abbia affermato esistente il potere giurisdizionale negato dalla �Corte, attraverso la proposizione di un nuovo conflitto: il che dimostra che non avrebbe dovuto essere emanata. Da ci�, peraltro, certamente non � consentito dedurre che nel caso inverso, vale a dire quando la Corte costituzionale abbia riconosciuto la competenza dell'ordine giurisdizionale (comprensivo dei giudici ordinari e speciali e facente capo alla Corte di cassazione), le sezioni unite potrebbero invece negarla:. poich� se � vero che in questo caso nessuno :potrebbe chiedere l'intervento della Corte costituzionale, non � men vero �Che si determinerebbe un conflitto negativo, pregiudizievole per il corretto svolgimento di funzioni di rilevanza costitu~ionale, e comunque un �contrasto ai vertici dell'ordinamento che non potrebbe essere sciolto, per le cose dette, facendo prevalere la sentenza della cassazione su quella .della Corte costituzionale, ossia privando la pronuncia di quest'ultima �della sua efficacia. In definitiva, trattandosi di rapporti fra organi giurisdizionali, senza :giungere all'estremo di negare la proponibilit� stessa della questione di giurisdizione quando essa sia stata pregiudicata da una precedente deci' 8ione della Corte costituzionale su una questione di competenza costitu_ zionale (ci� che significherebbe disconoscere la distinzione concettuale fra l'una e l'altra questione, e sarebbe in contrasto col citato art. 37 della legge n. 87 del 1953), si deve concludere con l'affermare che in tale ,.caso la sentenza della Corte costituzionale fa stato -a nulla rilevando la non identit� delle parti -nel giudizio sulla questione di giurisdizione. L'istanza di regolamento deve pertanto essere decisa dichiarandosi, in conformit� alla sentenza n. 211 del 1972 della Corte costituzionale, la _.giurisdizione della Corte dei conti sulle domande di cui trattasi. (Omissis). <CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 novembre 1975, n. 3851 -Pres. Caporaso � Rel. Corasaniti -P. M. Berri (conci. conf.) . Bonini ed altri (avv. Pallottino) c. Comune di Roma (avv. Lombardi) ed Ente Autonomo Esposizi�ne Universale di Roma (Avv. Stato Carafa). �Competenza e giurisdizione � Espropriazione per pubblico interesse: dichia� razione di pubblica utilit� � Opere necessarie per l'EUR di Roma: esistenza del potere espropriativo � Difetto di giurisdizione dell'AGO. (r. d. I. 14 gennaio 1937, n. 1567). PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 57 Competenza e giurisdizione � Espropriazione per pubblico interesse � Retrocessione � Diritto soggettivo: limiti. (!. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 63). La dichiarazione di pubblica utilit� prevista dalla legge per la realizzazione delle opere necessarie all'EUR di Roma non � limitata all'astratta previsione di opere attuative di un programma, ma invece riguarda opere composite e concrete per la cui individuazione non � necessario alcun ulteriore atto da parte della pubblica Amministrazione; pertanto in ordine alle questioni relative al suo esercizio, deve ritenersi .esistente il potere espropriativo, con conseguente difetto di giurisdizione dell'AGO (1). Il diritto soggettivo alla retrocessione per mancata esecuzione dell'opera pubblica � configurabile soltanto se l'opera eseguita sia tale da non potersi identificare con quella prevista nella dichiarazione di pubblica utilit� (2). (Omissis). -Arturo, Adelina e Domenica Bonini, eredi di Angelo Bonini, convennero in giudizio davanti al Tribunale di Roma l'Ente EUR ed il Comune di Roma. Esposero che con decreto prefettizio 16 ottobre 1939 era stato espropriato in base al regio decreto-legge 14 gennaio 1937, n. 1567 dichiarativo della pubblica utilit� delle opere necessarie per l'Esposizione Universale di Roma, un ter~eno di propriet� del loro dante causa, compreso nel perimetro indicato dal decreto-legge suindicato. Soggiunsero che, peraltro, con r.d. 28 maggio 1942, era stato approvato il piano particolareggiato di esecuzione in cui era stato inclusa sola una parte del terreno espropriato, mentre altra parte ne era stata stralciata, tanto �he l'EUR non ne aveva mai preso possesso. Chiesero pertanto, in via principale, che l'espropriazione, essendo con dizionata all'inclusione dell'intero terreno nel piano particolareggiato, fos se dichiarata inefficace per la porzione che ne era rimasta esclusa e che tale porzione fosse dichiarata di loro propriet�. In via subordinata chie sero che ne fosse ordinata la retrocessione a loro favore. L'Ente EUR ed il Comune di Roma resistettero alla domanda. (1-2) La decisione � importante soprattutto perch� coglie pienamente le �correlazioni fra dichiarazione di pubblica utilit� e potere espropriativo: nel senso, cio�, di individuare il presupposto di quest'ultimo nel primo concetto �e di avvertire nel predetto potere espropriativo -a fini di discriminazione delle competenze giurisdizionali -la corrispondenza fra � opera dichiarata � �ed � opera eseguita �. In dottrina cfr. G. DE FINA, Il rapporto tra procedimento dichiarativo della pubblica utilit� dell'opera, potere espropriativo e retrocessione, in Giust. civ. 1976, I, 24. , � -���--------------.�� ��.�.�.�.�:.�.�r.�.�.�.-.�.-:.�.�,�,�.�.�.1,�,�.�,�,�.�,� ,-,.�,,-,,�,-.�,�c(.r.�.�rr.�.� 58 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEllO STATO Il Tribunale dichiar� improponibile per difetto di giurisdizione il capo di domanda relativo alla dichiarazione di inefficacia del decreto di espropriazione, e rigett� la domanda di retrocessione. La Corte d'Appello di Roma, con la sentenza ora impugnata per cassazione, rigett� l'appello dei Bonini, dichiarando, in ordine alla domanda principale, che, poich� sussisteva il potere di espropriazione, non era configurabile' e comunque era escluso il vantato diritto soggettivo perfetto di propriet� e, in ordine alla domanda subordinata, che il diritto alla retrocessione era estinto per prescrizione (decennale). I Bonini hanno proposto ricorso per cassazione illustrata da memoria, cui ha resistito il Comune di Roma con controricorso illustrato anche esso da memoria. L'Ente EUR ha resistito a sua volta al ricorso principale con controricorso, aon cui ha proposto ricorso incidentale. A tale ricorso in� cidentale hanno resistito, i Bonini con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Vanno anzitutto riuniti, a norma dell'art. 335 c.p.c., il ricorso princi� pale dei Bonini ed il ricorso incidentale dell'Ente Eur. Va prelimin�rmente esaminato l'ultimo motivo del ricorso princi pale, con cui i ricorrenti Bonini si dolgono che la Corte del merito abbia omesso di dichiarare che lo appellato Comune di Roma (odierno resistente) si era costituito irritualmente in appello perch� aveva riser vato le proprie difese alla comparsa conclusionale. La censura � infondata. Il Comune, essendo appellato, poteva limi tarsi all'atto della costituzione, a chiedere il rigetto del gravame, cos� come fece con la comparsa di costituzione. Vanno poi esaminati congiuntamente, per la reciproca connessione, i primi quattro motivi del ricorso principale. Con tali motivi i Bonini si dolgono che la Corte del merito abbia disatteso la loro domanda principale, volta a far dichiarare che la espro priazione del loro terreno (disposta con decreto prefettizio 16 ottobre 1939 a favore dell'EUR) era, almeno per una parte del terreno stesso, affetta da inefficacia originaria o sopravvenuta per difetto assoluto di potere espropriativo e come tale non idonea a degradare ad interesse legittimo il loro diritto di propriet� ed anzi lesiva di questo. In sintesi, i ricorrenti principali sostengono: contrariamente a quan to ritenuto dalla sentenza impugnata, l'art. 1 del r.d.l. 14 gennaio 1937, n. 1567 non contiene una dichiarazione di pubblica utilit� � generale ed immediata � estesa all'intero territorio racchiuso nel perimetro in esso indicato e pertanto senz'altro attributiva di potere espropriativo in ordine all'intero territorio. medesimo ed idonea ex se a servire di base PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 59 alla espropriazione di qualsiasi porzione di esso; ci si trova invece in presenza di una dichiarazione di pubblica utilit� ex lege �diffusa�, o �per categoria� o �di genere�, astrattamente riferita alle sole opere necessarie all'Esposizione (il carattere eccezionale della norma non ne consente' l'applicazione analogica: art. 14 disp. prel. e.e.); conseguentemente in questo, come in simili casi di dichiarazione di pubblica utilit� per categoria (cfr. Leggi sull'industrializzazione del mezz�giorno, ed altre) rispetto ai singoli beni compresi nel perimetro il potere espropriativo era suscettivo di sorgere e il diritto di propriet� di affievolirsi solo se e quando, in un momento successivo, fossero state concretamente individuate, attraverso un reciproco riferimento, la singola opera destinata ad essere collocata su una data porzione di terreno espropriando e tale stessa porzione di terreno esproprianda, con la contemporanea fissazione dei termini per il compimento della procedura (fissazione che � prescritta dall'art. 13 della legge generale sulle espropriazioni per causa di pubblica utilit� n. 2359 del 1865 e che non era contenuta nell'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 1937); nel caso particolare, poich� l'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 1937, prevedeva due diverse utilizzazioni del terreno, e cio� le ((opere necessarie alla Esposizione� e �l'ampliamento edilizio�, strumento di individuazione doveva ritenersi, a norma degli artt. 1 e 2 del r.d.l. 7 marzo 1938, n. 465, il provvedimento di approvazione del progetto della singola opera ovvero il piano particolareggiato di zona; e nella specie non .vi era stato alcun provvedimento di approvazione del progetto di opera che si riferisce al terreno controverso mentre col r.d. 18 maggio 1942, con �ui era stato approvato il piano particolar~ggiato di zona, il terreno controverso non solo non era stato riservato ad alcuna opera, ma era stato addirittura stralciato dal piano; non era dunque intervenuta nessuna causa di affievolimento del di ritto di propriet� di essi ricorrenti, che veva conservato la consistenza di diritto soggettivo, al pi� condizionato e la contraria affermazione im portava la violazione o la falsa applicazione di tutte le norme suindicate (primo motivo); al fine di ravvisare nell'art. 1 del decreto-legge n. 1567 del 1937 una dichiarazione di pubblica utilit� �totalitaria ed immediata� -an� zicch� �diffusa� o di �onere� -l'impugnata sentenza trasse argo mento da una asserita diversit� di natura fra i piani particolareggiati previsti per l'ampliamento edilizio ricadente all'interno della zona peri metrata (art. 1, secondo comma, del decreto-legge n. 1567 del 1937), e quelli previsti per la diversa ed �stranea zona di espansione verso il mare (art. 1, terzo comma ed art. 2 dello stesso decreto-legge); ma a parte che la legge non consentiva di affermare l'asserita diversit� -consistente in ci�, che i primi sarebbero stati uno strumento RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di semplice assetto urbanistico senza possibilit� di contemplare � espropri � e solo i secondi sarebbero stati invece uno strumento espropriativo -tale diversit� era irrilevante, perch� per individuare nell'ambito del perimetro le aree espropriabili ai fini dell'esecuzione delle opere necessarie all'Esposizione era sufficiente uno strumento di semplice assetto urbanistico, cio� un piano particolareggiato che localizzasse, entro il perimetro, la parte destinata ad ampliamento edilizio, cio� ad insediamento abitativo e quindi, per esclusione, le aree predette (secondo motivo); anche ad ammettere, in via di subordine, che l'art. 1 del decreto legge contenesse una dichiarazione di pubblica utilit� estesa all'intero territorio e cio� preordinata alla espropriazione di ogni parte di esso (espropriazione generalizzata), l'impugnata sentenza incorse in violazio-� ne del combinato disposto del detto art. 1, comma secondo e dell'art. 4 successivo, che sancisce la applicabilit�, per le espropriazioni relative all'Esposizione Universale, delle norme dettate per le espropriazioni inerenti al Piano regolatore di Roma dalla legge 24 marzo 1932, n. 355; ci� in quanto, secondo la detta legge, l'efficacia della espropriazione generalizzata -prevista questa dall'art. 10, comma secondo -era subordinata alla emanazione, entro il quinquennio, di piani particolareggiati che specificassero le destinazioni che le aree espropriate_ avrebbero dovuto ricevere; e nella specie, nei cinque anni dall'espropriazione del 16 ottobre� 1939, non vi era stato alcun piano particolareggiato che avesse compreso il terreno controverso ed anzi il piano particolareggiato approvato iI 18 maggio 1942 aveva �stralciato� la zona comprendente il terreno stesso; sicch� anche sotto tale aspetto il potere espropriativo era venuto meno ex tunc e l'espropriazione e comunque la detenzione del bene era lesiva del diritto soggettivo di essi espropriati con conseguente giurisdizione del giudice ordinario (terzo motivo); la pubblica autorit� aveva in varie occasioni mostrato di interpretare e di applicare il sistema della legge secondo la ricostruzione come� sopra prospettata, e di comportarsi in conseguenza; in particolare dopo lo stralcio della zona da quella disciplinata col piano particolareggiato del 18 maggio 1942 -stralcio voluto dalla EUR che aveva predisposto� il piano --il Prefetto aveva revocato altri decreti di espropriazione anticipata ammessi per la zona (motivi prima e quarto). Le esposte censure non sono fondate. Come hanno esattamente affermato i giudici del merito, la dichiarazione di pubblica utilit� delle opere concernenti l'Esposizione universale di Roma contenuta nell'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 1937 deve ritenersi non gi� �per categoria� o �di genere�, bens� �generalizzata ,, o � totale ,, secondo la terminologia adoperata e con le con PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 6t seguenze avvertite dagli stessi ricorrenti quanto alla immediata insorgenza del potere di espropriazione ed alla partkolarit� di disciplina del procedimento espropriativo. Le cosiddette dichiarazioni (di regola ex lege) di pubblica utilit�. per categoria di opere, sono normalmente collegate con indirizzi o con programmi di politica economica, la cui attuazione assume necessariamente ampie proporzioni sia nello spazio (trattandosi di previsioni spessointeressanti l'intero territorio nazionale o vaste porzioni di esso) sia nel tempo (trattandosi spesso di previsioni a lunga scadenza o addirittura a scadenza indeterminata). Sicch� alla opportunit� di una previsione legislativa che fissi in astratto i caratteri delle opere di attuazione del programma dichiarandone la-pubblica utilit� e privilegiandone l'esecuzione, si accompagna la opportunit� che la valutazione in concreto della rispondenza delle singole opere alla pubblica utilit�, cio� della ricorrenza nelle singole opere dei caratteri astrattamente stabiliti dalla legge, e la valutazione della indispensabilit� dei beni da espropriare per la realizzazione delle opere stesse, avvenga in momenti successivi pi� prossimi e mediante provvedimenti concreti pi� strettamente com1essi alle singole espropriazioni.. Di qui la frequenza di determinazioni spaziali (perimetri, zone coincidenti o no con circoscrizioni amministrative) che hanno soltanto la funzione di delimitare l'ambito spaziale di applicabilit� della normativa fissandone la confinazione esterna (cfr. art. 1 t.u. legge sul mezzogiornoapprovato con d.P.R. n. 1523 del 1967), non gi� quella di provvedere sulla ubicazione delle opere, n�, quindi, quella di individuare i beni la cui espropriazione � indispensabile per la realizzazione di esse. E correlativamente la mancanza di prefissione di termini per la realizzazione delle opere e per le espropriazioni, prefissione la quale -essend0< prescritta a garanzia che l'espropriazione sia riconosciuta indispensabile per la realizzazione attuale di quel certo interesse pubblico -viene implicitamente rimessa al momento in cui e al provvedimento (di so-� lito l'approvazione del piano particolareggiato di esecuzione) con cui il bene da espropriare � individuato e si compiono le valutazioni concrete� dinanzi descritte. Tutto ci� non ricorre nel caso della dichiarazione di pubblica utilit� contenuta nell'art. 1 del decreto-legge n. 1567 del 1937. Questa presuppone due finalit� di interesse pubblico; quella attinente all'allestimento di una sede per l'Esposizione universale indetta in Roma per il 1941 con la legge n. 2174 del 1936 e quella attinente alla opportunit� di promuovere e di regolare l'espansione della citt� verso il mare. Tali finalit�, peraltro, nel preambolo del r. decreto-legge n. 1578' del 1937, oltre che qualificate da pari intensit� di interesse,. appaiono strettamente associate fra loro dalla predisposizione di un unico mezzo RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO idoneo� a soddisfarle entrambe. Con la conseguenza, tradotta nelle disposizioni della legge (particolarmente nell'art. 1) che questa non si limita a prevedere astrattamente una pluralit� indefinita di opere necessarie alla attuazione di un programma, ma concerne una opera concreta, in �dividuata nel tempo e nello spazio ed un'unica opera composta, destinata sia ad ospitare l'Esposizione sia .lo\ costituire, almeno nelle sue linee .essenziali, un nuovo nucleo edilizio ed urbanistico, di elevato coerente decoro, per l'espansione della citt� nella direzione voluta. L'individuazione dell'opera (e quindi delle espropriazioni) nel tempo risultava dall'implicito riferimento al tempo dell'Esposizione, fissati con la legge n. 2174 del 1936 nell'anno 1941 (poi spostati dal r. decreto-legge n. 1033 del 1938 al 1942). L'individuazione dell'opera stessa (e correlativamente dei singoli beni espropriati) nello spazio risultava dal piano parcellare descrittivo ed annesso disegno con elenco dei beni (mezzo di individuazione in base ai dati catastali che di solito accompagna i piani particolareggiati di esecuzione). L'unicit� dell'opera, poi, rendeva superflua una pi� precisa individuazione delle opere specificamente destinate all'Esposizione rispetto a quelle di urbanizzazione e di edilizia abitativa e viceversa, e correlativamente delle aree da espropriare, a favore dell'Ente EUR, per le une rispetto a quelle da espropriare, sempre a favore dell'Ente EUR per le altre, e viceversa. Si intendeva lasciare una relativa libert� nell'esecuzione dell'opera composta e d'altronde era ovvio che le esigenze non esattamente valutabili ex ante di una Esposizione avel}te carattere internazionale potevano condizionare, nella previsione della legge, anche la progettazione e la realizzazione di opere urbanistiche e di edilizia abitativa, e cio� influire sulla strutturazione urbanistica della zona. Tutto ci� p�sto, appaiono vani gli sforzi dei ricorrenti principali tesi a sostenere (soprattutto col primo mezzo) la insostituibile funzione individuante dei piani particolareggiati di esecuzione e dei progetti di approvazione delle singole opere. Essendo l'opera ed i beni da espro priare per compierle gi� individuati dalla legge in misura e forme ade guate alla natura e destinazione dell'opera stessa, il potere espropria tivo nasceva per effetto della legge senza necessit� di ulteriori indivi duazioni mediante atti successivi. Al riguardo non � inutile, anche se va accompagnato da alcune precisazioni e cos� si risponde alla seconda censura -il raffronto istituito dai giudici del merito fra i piani particolareggiati previsti dall'art. 1, capoverso 1� del decreto-legge n. 1567 del 1937 per l'ampliamento edilizio interno al perimetro della Esposizione (approvato con la prima parte dello stesso art. 1) ed i piani particolareggiati di esecuzione previsti dall'art. 2 comma primo dello stesso decreto-legge per il diverso perimetro delle aree di espansione della citt� di Roma verso il mare, PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE perimetro da approvare a norma del capoverso 2� del detto art. 1 con successivo decreto reale. Solo a questi piani particolareggiati la legge (art. 2, prima parte, del decreto-legge n. 1567) sembra attribuire, almeno di regola, funzione individuante dei beni da espropriare e costitutiva del potere di espropriazione allorch� dice che � in base � �ad essi saranno effettuate le espropriazioni di cui alla seconda parte, cio� al secondo capoverso dell'art. 1, che sono peraltro le espropriazioni da operare nel diverso perimetro di 'espansione ai fini dell'attuazione dei piani particolareggiati stessi (e cio� a fini di sistemazione urbanstica di zona). Mentre per le espropriazioni di cui qui si discute, il primo capoverso dell'art. 1, (oltre a sancire la applicabilit� delle norme di cui agli articoli seguenti :..... vale a dire quelle degli artt. 3 e 4 -che poi, si richiamano, ovviamente per le formalit� procedimentali alle norme per l'esecuzione del Piano regolatore di Roma) si liinita a porre l'�bbligo, per di pi� senza termine, di presentare i piani particolareggiati, senza subordinare le espropriazioni (non solo alla approvazione ma) neppure alla presentazione di essi. La verit� � che i piani particolareggiati di cui all'art. 1 del decretolegge n. 1567 del 1937, non si inserivano nel procedimento espropriativo concernente l'opera di cui si tratta, ma, in relazione alla natura del. l'opera stessa -la quale comprendeva, come si � detto, un nucleo edilizio ed urbanistico nelle sue linee essenziali, l'� ossatura di una futura citt�� (cfr. preambolo del r. decreto n. 1225 del 938) -er�no destinati a dare alle zone interne al perimetro dell'Esposizione un assetto urbanistico dettagliato. Ci� ai fini del coordinamento con la disciplina del Piano regolatore di Roma (art. 1 cpv. stesso decreto n. 1567 del 1937, r. decreto-legge n. 465 del 1938, r. decreto n. 1225 del 1938) e in vista della ricomprensione delle dette zone nel Piano stesso, ma indipendentemente dall'assoggettamento delle aree in esse comprese all'espropriazione ai fini dell'opera dichiarata di pubblica utilit�, opera che sarebbe potuta essere gi� compiuta al momento sia della presentazione che della approvazione dei piani. Se cos� �, appaiono chiare le ragioni per le quali neppure l'argomento di cui si sostanzia la terza censura pu� essere condiviso. Anzitutto, come si � detto, le disposizioni della legge sul Piano regolatore di Roma richiamate dal combinato disposto degli artt. 1 cpv. 3 e 4 del decreto-legge n. 1567 del 1937 sono quelle concernenti formalit� procedimentali (cfr. anche r. decreto-legge n. 465 del 1938). In secondo luogo le dette disposizioni 'sono richiamate in quanto non contrastanti con le norme del decreto n. 1567 del 1937. In terzo luogo la �espropriazione generalizzata� che trova il suo modello nell'art. 10 della legge sul piano regolatore di Roma �, semmai, quella prevista dall'art. 2 del r. decreto 64 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge n. 1567 del 1937 e non quella prevista dall'art. 1 dello stess0> decreto. Pu� dunque concludersi che n� la mancanza di approvazione di un progetto di opera singola o semplice che dovesse sorgere sul terreno controverso, n� la mancanza di approvazione di un piano particolareggiato che lo comprendesse, n� la approvazione di un piano particolareggiato -quella appunto avvenuta con r. decreto 28 maggio, 1942 con stralcio, cio� con esclusione dal piano approvato, del terreno stesso -importava difetto di potere espropriativo, non essendo questo condizionato positivamente ad uno dei due primi provvedimenti n� negativamente ad un provvedimento come l'ultimo sopra indicato. � Ed � appena il caso di aggiungere -in riferimento all'ultima cen-sura del ricorrente principale -che � irrilevante ai fini dell'interpretazione delle norme di cui trattasi il comportamento posto in esseredalla Pubblica Amministrazione e l'interpretazione delle norme implicate. in tale comportamento, considerato questo sia nel suo insieme sia nell'emanazione di specifici provvedimenti. Con un secondo gruppo di censure (due) i ricorrenti principali si dolgono che la Corte del merito abbia disatteso la loro domanda subordinata, diretta alla retrocessione del terreno (ovviamente in relazione ad una ipotesi riconducibile alla previsione dell'art. 63 della legge sulle espropriazioni per causa di pubblica utilit� n. 2539 del 1865) per avere ritenuto il diritto alla retrocessione estinto per prescrizione decennale. Sostengono in particolare i ricorrenti principali con la prima di queste censure: La Corte del merito err� per avere fissato il termine iniziale di decorrenza della prescrizione alla data -28 maggio 1942 -del decreto di approvazione del piano particolareggiato con cui il terreno era stato� stralciato dalla zona regolata dal piano stesso. In tal modo la Corte del merito -oltre a non tener conto che un piano particolareggiato non avrebbe potuto, senza incorrere in illegit-timit� e quindi in disapplicazione ex art. 5 legge abolitiva del contenzioso amministrativo, innovare rispetto alla legge (r. decreto-legge numero 1567 del 1937) che aveva fissato il perimetro dell'opera, dichiarandone la pubblica utilit� -insorse in contraddizione con le proprie affermazioni circa il carattere generalizzato e l'efficacia immediata della detta dichiarazione, circa la inettitudine dei piani particolareggiati ad influire sull'insorgenza del potere espropriativo, circa la funzione me-ramente urbanistica dei piani particolareggiati; la Corte del merito non consider� che il piano particolareggiato del 1942 non aveva assegnato al terreno una destinazione diversa da quella impressagli, secondo la stessa Corte del merito dalla dichiarazione di pubblica utilit� ma si era limitato a stralciarla, cio� a i:' ii. ~~~ --I, -1:� -: ~ 1�.��:.l':.�:-':.�:1:.-:-�.�.-.�.�.�.�.�.�.�...�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.�.� .-.-.-.-.�.��:�z~-:-:�:�z�:-:�.�:�.�.�~�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.-.�.-.�.-.-.-.�.-.�.�.�.�.�.�.-.�.�.�.�.�.�.� �������������.-��r��-,---,.--.,.,.,..., .� -.-�.---.. ............. ��� ��� -� PARTE I, SEZ. III, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 65 non regolarne la destinazione mentre l'unica modifica al regime e al contenuto della dichiarazione di pubblica utilit� era potuta avvenire ed era avvenuta col nuovo Piano regolatore generale, che aveva conferito alla zona ed all'area una destinazione nuova ed incompatibile con quella prevista dalla cennata dichiarazione: dalla data di adozione (1962) o di approvazione (1965) del detto nuovo Piano avrebbe potuto decorrere la prescrizione e da tale data il decennio non era decorso. Con la seconda delle dette censure i ricorrenti principali deducono che la Corte del merito err� per avere ritenuto la applicabilit� della prescrizione decennale, laddove, essendo il diritto alla retrocessione un diritto reale o almeno ad rem, trova applicazione la prescrizione ventennale (nella specie non decorsa neppure a partire dal 1942). Dal canto suo la Amministrazione ricorrente incidentale, con l'unico motivo di ricorso, sostiene che la Corte del merito, in luogo di dichiarare prescritto il diritto dei Bonini alla retrocessione avrebbe dovuto radicalmente escludere tale diritto in quanto non si versava nell'ipotesi di cui all'art. 63 della legge generale sulle espropriazioni per causa di pubblica utilit�. In realt� le ragioni esposte a proposito del primo gruppo di censure dei ricorrenti principali inducono a ritenere che, come i piani particolareggiati previsti dall'art. 1 del decreto legge n. 1567 del 1937 per il perimetro dell'Esposizione -e qu,indi quello approvato con decreto 28 maggio 1942 -non avevano alcuna influenza sul potere espropriativo attribuito per la realizzazione dell'opera pubblica di cui si tratta, cos� essi non potevano dar luogo, 'rispetto ad una area compresa nel perimetro ed espropriata ai fini dell'opera predetta (quale che fosse il loro contenuto e sia che considerassero sia che stralciassero l'area stessa), ad una situazione riconducibile a quella prevista dall'art. 63 della legge n. 2539 del 1865 come ipotesi di mancata esecuzione dell'opera in vista della quale fu disposta l'espropriazione. Ma se ci� � vero per i piani particolareggiati -in quanto la loro funzione non ineriva al procedimento espropriativo preordinato all'ope ra dichiarata di pubblica utilit� del decreto legge n. 1567 del 1937, ed atteneva al coordinamento dell'assetto urbanistico del perimetro col Piano Regolatore di Roma, all'anticipato assetto urbanistico del perime tro in vista della sua ricomprensione del detto Piano regolatore -ci� � egualmente vero per il provvedimento (comunque questo considerasse l'area compresa nel perimetro ed espropriata ai fini dell'opera predetta) con cui tale ricomprensione fu attuata, e cio� per l'approvazione del Nuovo Piano Regolatore di Roma, intervenuta soltanto nel 1965. Il contrario assunto, in riferimento all'approvazione del nuovo Piano regolatore di Roma 1962-1965, non meno che in riferimento alla approva 66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione del piano particolareggiato 28 maggio 1942, potrebbe reggersi soltanto a condizione di ammettere alternativamente: a) in astratto, che la previsione dell'art. 63 della legge generale sulle espropriazioni si estende ad ipotesi diverse da quella di mancata esecuzione (o di mancata esecuzione entro il termine) dell'opera pubblica in vista della quale il bene � stato espropriato; b) in concreto che l'opera per cui il terreno controverso fu espropriato non fosse stata eseguita o possa considerarsi come non eseguita. � Ora il primo dei due presupposti si concreta in una interpretazione dell'art. 63 della legge generale sulle espropriazioni che � nettamente da respingere. Per quanto si voglia estendere la portata della norm� che sancisce il diritto soggettivo alla retrocessione in caso di mancata � esecuzione dell'opera pubblica -non � consentito andare oltre l'ipotesi che l'opera eseguita sia per le sue caratteristiche talmente diverse dall'opera prevista dalla dichiarazione di pubblica utilit� da non potersi identificare con essa. N� basta che ricorra l'impossibilit� materiale o giuridica di impiegare il bene espropriato per l'opera pubblica per la quale � stato espropriato: occorre che tale impossibilit� risalga o si accompagni alla mancata esecuzione di quella opera pubblica. Il secondo presupposto, a ben vedere, si sostanzia dell'avviso che oggetto della dichiarazione di pubblica utilit� contenuta nell'art. 1 del decreto-legge n. 1567 del 1937 fossero i singoli edifici destinati ad accogliere le singole manifestazioni della Esposizione, e che, non essendosi potuta realizzare l'Esposizione a causa della guerra, l'9pera fosse divenuta impossibile. Ma, una volta stabilito che oggetto della dichiarazione di pubblica utilit� era un'opera composta, destinata in pari tempo a costituire la sede dell'Esposizione e la struttura essenziale di un nuovo nucleo edilizio ed urbanistico per l'espansione della citt� verso il mare, non pu� dubitarsi che l'opera sia stata realizzata, a nulla rilevando che la Esposizione non abbia avuto luogo. Non ricorreva dunque, in base agli atti e ai fatti dedotti, alcuna ipotesi costitutiva del diritto alla retrocessione, riconducibile alla previsione dell'art. 63 legge generale sulla espropriazione. Ci� importa che la statuizione di rigetto della domanda subordinata, contro cui � diretto il secondo gruppo di censure del ricorso principale � conforme a diritto dovendosi solo rettificare nei sensi suesposti, ex art. 384 cpv. c.p.c., la motivazione posta a base di essa. Sicch�, da un lato anche le dette censure vanno dj.sattese, dall'altro lato il ricorso incidentale, esaurendosi nel sollecitare l'esercizio del cennato potere-do; vere di rettificazione, potere-dovere che va esercitato ex officio, � ca ~: rente di interesse. -(Omissis). i= !' li I .........,~ SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 2 dicembre 1974, n. 3925 -Pres. Salemi -Est. Miani -P. M. Caccioppoli (diff.) -Sammartino (avv. Leone) c. Ministero dei trasporti (avv. Stato Ricci). Prescrizione -Illecito costituente reato -Fatto-reato produttivo di evento plurimo -Azione penale per un solo reato -Decorrenza della prescri� zione anche per l'illecito relativo al reato non perseguito dalla decisione definitiva sul diverso reato perseguito. (cod. civ., art. 2947, comma terzo). Prescrizione -Fatto illecito costituente reato -Estinzione per amnistia a seguito di modifica dell'imputazione -Decorrenza del termine di prescrizione. (cod. civ., art. 2947, comma terzo). Se con un unico fatto che costituisce reato si violano pi� disposizioni della legge penale (concorso formale di reato) agli effetti della prescrizione del diritto al risarcimento derivante dall'unica condotta occorre aver riguardo al fatto reato in s�, indipendentemente dalla circostanza che da esso derivino eventi diversi, onde la prescrizione decorre dalla data della sentenza irrevocabile che definisce il procedimento penale e non ha rilievo, a tale scopo, la estinzione in precedenza verificatasi di taluno dei reati concorrenti (1). Qualora l'illecito costituente reato sia stato dichiarato estinto per amnistia, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione risarcitoria civile occorre distinguere tra il caso che il reato sia sen z'altro compreso tra quelli previsti nell'atto di clemenza, nel quale il termine decorre dal decreto di amnistia, e quello in cui il reato indi cato nel capo di imputazione non risulti direttamente nelle previsioni del decreto di amnistia. In quest'ultima ipotesi la prescrizione decorre dalla data in cui � divenuta irrevocabile la sentenza che, degradando l'originaria imputazione, dichiara l'estinzione del reato per amnistia (2). (1-2) La prima massima ribadisce un princ1p10 che gi� affenilato nella giurisprudenza della S.C. (v. sent. 27 giugno 1972, n. 2195; Cass. 14 aprile 1972, n. 1193, in questa Rassegna 1972, I, 403; Cass. 6 �settembre 1966, n. 2326, in questa Rassegna 1966, I, 1036; Cass. 23 giugno 1964, n. 1640, in Giust. civ. 1964, I, 2254) anche se non pacificamente (contra infatti Cass. 3 novembre 1961, numero 1961, n. 2544, in Resp. civ. e prev. 1962, 76 in fattispecie del tutto analoga a quella decisa nella sentenza che si annota). Malgrado il consolidarsi dell'in 68 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Col primo motivo, il ricorrente, denunziando la violazione dell'art. 2947 comma terzo cod. civ., lamenta che la sentenza impugnata, mantenendo ferma la statuizione emessa, sul punto, dal Tribunale, abbia ritenuto che il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento del danno causato dal sinistro ferroviario di cui trattasi fosse quello biennale di cui al secondo comma del predetto articolo, con decorrenza dalla data dell'evento dannoso, mentre, poich� questo era stato causato da un fatto considerato dalla legge come reato, per il quale era stata iniziata azione penale con l'imputazione di disastro ferroviario colposo, e poich� per tale reato era stabilita una prescrizione pi� lunga di quella stabilita dall'art. 2947 comma secondo cod. civ., il termine biennale di prescrizione dell'azione civile decorreva dalla data in cui era divenuta irrevocabile la sentenza penale che, degradando l'anzidetta originaria imputazione in quella di pericolo colposo di disastro ferroviario, aveva dichiarato estinto tale reato per amnistia. Il motivo � fondato. Non vale ad escluderne l'ammissibilit� la obiezione della resistente, che, cio�, il motivo non investe l'affermazione della sentenza impugnata circa il passaggio in giudicato del punto della sentenza di primo grado che aveva ritenuto che la prescrizione era quella biennale decorrente dalla data del sinistro. La motivazione della sentenza impugnata, invero, non contiene tale affermazione, ma si limita a far proprie, perch� non specificamente censurate dall'appellante, le considerazioni sulle quali principalmente si basava la decisione di primo grado, e cio� che la prescri dirizzo debbonsi ribadire le perplessit� che tale pronunzia suscita .e gi� esternate in questa Rassegna in nota alle sentenze n. 1193 del 1972 e n. 2326 del 1966. Si pu� qui aggiungere .che una conferma della esattezza di quelle critiche viene da una recente decisione dello stesso S.C. nella quale si insegna che � il giudice, al fine di accertare se sia applicabile o meno la pi� lunga prescrizione penale, deve operare un raffronto tra due termini necessariamente omogenei. Omogeneit�,. questa, che � evidenziata dall'operazione di raffronto richiesta dalla norma in esame. Se i due termini vanno posti a raffronto, e se il risultato deve essere, al fine dell'applicabilit� della norma in esame (art. 2947, terzo comma), che l'uno rientri nell'altro, cio� che vi sia coincidenza fra loro, � necessario che essi abbiano la stessa natura, siano appunto omogenei; anche se poi siano assunti nelle fattispecie di due norme distinte rispettivamente per finalit� diverse, ricollegandosi all'uno e all'altro diverse qualificazioni e �conseguenze giuridiche in relazione alle diverse finalit� che le due norme distinte si propongono di raggiungere. Il raffronto va operato, al fine suddetto, tra il fatto illecito dedotto in giudizio e la fattispecie ipotizzata in una norma penale incriminatrice. Il fatto illecito civile � costituito da un comportamento, commissivo od omissivo, e da un evento, che sia in rapporto di causalit� con quel comporta mento, dal quale evento deriva il danno di cui si chiede il risarcimento. La fattispecie ipotizzata in una norma penale incriminatrice consiste nel l'oggettivit� materiale del reato; oggettivit� materiale che al fine suddetto, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 69 :zione applicabile era quella di cui sopra in quanto per le lesioni sofferte ,dal Sammartino non era stata iniziata l'azione penale. Il ricorrente, dolendosi, col motivo in esame, della violazione dell'art. 2947 comma terzo �cod. civ., e indicando la soluzione che secondo lui doveva esser adottata in luogo di quella di cui ha denunziato l'erroneit�, ha sufficientemente :Specificato le ragioni per le quali chiede la cassazione della sentenza impugnata e le tesi da lui sostenute: e tanto basta perch� il sindacato -O.i legittimit� debba esercitarsi sulla soluzione data dalla Corte di me rito alla questione di cui sopra, esaminando se tale soluzione sia o meno .conforme al diritto e rilevando a tal fine, anche in difetto di adeguate .censure del ricorrente, l'inesattezza delle argomentazioni giuridiche ad. dotte, per motivarla, d!J.lla sentenza impugnata. Nel caso concreto va rilevata anzitutto l'erroneit� del criterio seguito .dalla Corte d'appello nel decidere il punto devoluto al suo riesame,. .criterio consistente nel confermare senz'altro la statuizione impugnata .solo perch� le censure formulate contro di essa dall'appellante investivano una parte della motivazione della sentenza di primo grado e non .anche � le considerazioni � sulle quali sostanzialmente riposava la sta tuizione stessa. Infatti, una volta che questa era stata specificamente impugnata, non era a parlarsi di acquiescenza, giacch� l'acquiescenza pu� riguardare soltanto i punti di fatto o di diritto che hanno formato oggetto di decisione, e non anche le considerazioni giuridiche addotte a .sostegno delle relative pronunzie. La manchevolezza delle argomentazioni con cui l'appellante aveva illustrato il proprio motivo di gravame non .esentava, perci�, la Corte d'appello dal dovere di esaminare se esso fosse fondato, e se le considerazioni del Tribunale non confutate dall'appellante fossero esatte in diritto: dovere al quale la detta Corte si � sottratta, facendo propria, senza alcun riesame, l'affermazione del Tri <lovendo il raffronto essere operato tra fatti omogenei; va ristretta al fatto reato, del quale fatto reato sono elementi costitutivi un comportamento, comn1issivo od omissivo, ed un evento, consistente in una modificazione della realt� esteriore, che sia in rapporto di causalit� con quel comportamento, nonch� i presupposti di fatto, cio� le situazioni e le circostanze di diritto e di fatto, antecedenti al comportamento, delle quali la norma penale incriminatrice richiede l'esistenza per la configurabilit� del fatto (comportamento ed �evento) come reato. Risulta, poi, estraneo alla presente fattispecie il problema se, nella nozione <li fatto reato, rientrino le condizioni di punibilit� eventualmente richieste nella norma penale incriminatrice o in altra norma penale, nonch� le circostanze :aggravanti e attenuanti. Sono questi i termini del raffronto: da un lato, il fatto illecito dedotto in giudizio, costituito da un concreto comportamento, commissivo ed omissivo, e da un concreto evento in rapporto di causalit� con quel comportamento; e, dall'altro, il fatto reato ipotizzato in una norma penale incriminatrice, oeostituito da un comportamento commissivo ed omissivo, da un evento in RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 70 bunale che la prescrizione del diritto al risarcimento fatto valere dal Sammartino era quella biennale di cui al secondo comma dell'art. 2947 cod. civ., decorrente dalla data del sinistro. Tale affermazione era peraltro giuridicamente erronea. La norma del secondo comma dell'art. 2947 cod. civ. riguarda, infatti, l'ipotesi in cui il fatto produttivo del danno di cui si chiede il risarcimento non sia considerato dalla legge come reato; e nella fattispecie il fatto (e cio� la collisione tra l'autocorriera e il trend sul quale viaggiava il Sammartino, in conseguenza del comportamento colposo dell'autista e della casellante dipendente dall'Amministrazione delle FF.SS.) era previsto dalla legge come delitto colposo di comune pericolo, e relativamente ad esso era stata instaurata l'azione penale, con l'imputazione, anche a carico della dipendente ferroviaria, di disastro ferroviario colposo. Le norme applicabili erano, perci�, quelle del terzo comma dell'art. 2947; n� tale applicabilit� era esclusa dalla circostanza che l'azione penale non era stata iniziata anche per il delitto di lesioni colpose in danno del Sammartino, giacch�, come � stato pi� volte affermato dalla giurisprudenza di questa� Suprema Corte, la disposizione contenuta nel predetto comma si riferisce non gi� all'evento, ma al fatto-reato in s�, indipendentemente dalla circostanza che lo stesso sia produttivo di un evento plurimo e dia pertanto luogo ad un, concorso formale di reati (Cass. Sez. Un. 23 giugno 1964, n. 1640; Cass. 6 settembre 1966, n. 2326; 27 giugno 1972, n. 2195): cosicch�, essendosi proceduto in via penale per rapporto di causalit� con quel comportamento e dagli eventuali presupposti del fatto. Quando il raffronto accerti la coincidenza tra il fatto illecito dedotto in giudizio ed il fatto reato ipotizzato in una norma penale incriminatrice, si verifica l'ipotesi di cui alla prima parte del comma terzo dell'art. 2947 e.e., cio� (( il fatto � considerato dalla legge come reato �, e perci� il diritto al risarcimento del danno prodotto dal fatto illecito �� soggetto al termine di prescrizione stabilito dalla legge penale per il reato� (cos� sent. 28 luglio 1975, n. 2918, in Giust. civ. 1975, I, 1607). Emerge chiaramente dalle trascritte preposizioni che il �fatto� conside rato dall'art. 2947, comma terzo, � costituito non dal solo comportamento (commissivo od omissivo), ma anche dall'evento che sia in rapporto di cau salit� con il comportamento. Solo quando ci sia � omogeneit� � tra il � fatto � rilevante penalmente e quello civile pu�, quindi, applicarsi la prescrizione pi� lunga prevista dalla norma penale. In mancanza di tale � omogeneit� >>, quando, cio�, come nella specie, il reato perseguito penalmente sia diverso da quello che fa sorgere il diritto al risarci mento del -danno (perch� diversi sono gli eventi presi in considerazione dalle norme penali) non pu� applicarsi la prescrizione relativa al reato penalmente perseguito, ma esclusivamente quella relativa al reato lesivo dell'interesse del danneggiato. Il principio contenuto nella seconda massima �, invece, pacifico; v. oltre la citata sent. 14 aprile 1972, n. 1193 (in motivazione) le altre decisioni richiamate in quella annotata. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE quel medesimo fatto-reato di cui il danno lamentato dal Sammartino era una diretta conseguenza, l'ipotesi prevista dall'anzidetto terzo comma dell'art. 2947 si era verificato, anche se l'azione penale non era stata promossa per il reato di lesioni colpose in danno del Sammartino stesso; e perci�, qualora non si fosse� verificata l'ipotesi pure prevista dal comma anzidetto, dell'estinzione del reato per una causa diversa dalla prescrizione, si sarebbe dovuta applicare anche all'azione civile il pi� lungo termine di prescrizione stabilito per il reato di disastro ferroviario colposo, il che escludeva l'applicabilit� di quello biennale decorrente dalla data dell'evento dannoso. Tuttavia, nel caso concreto, l'imputazione era stata, con sentenza del 2 marzo 1963 del Tribunale di �Roma, degradata in quella di pericolo colposo di disastro ferroviario, e tale reato era stato dichiarato estinto in virt� dell'amnistia concessa con decreto presidenziale 24 gennaio 1963, n. S. Si era cos� avverata una delle ipotesi previste nella seconda parte del terzo comma dell'art. 2947, le cui disposizioni erano, pertanto, quelle che si dovevano applicare nel caso concreto. Tali disposizioni sono state, dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, interpretate nel senso che qualora l'illecito costituente reato sia stato dichiarato estinto per amnistia, si deve distinguere, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione dell'azione civile risarcitoria, tra l'ipotesi di un reato che, per il suo titolo e per la pena edittale comminata, sia senz'altro compreso nel novero di quelli previsti nell'atto di clemenza, per modo che immediatamente e direttamente da questo derivi la sua estinzione, e la diversa ipotesi in cui, restando originariamente il reato, nell'ipotizzazione fissata dal capo d'imputazione, al di fuori delle previsioni del decreto di amnistia, l'estinzione del reato stesso trovi la sua ragion d'essere e la sua base nella sentenza del giudice penale che, immutando o degradando il titolo del reato, lo abbia ricondotto nell'ambito dell'anzidetto beneficio. Mentre nella prima ipotesi deve applicarsi il principio generale per cui la prescrizione dell'azione civile decorre d�lla data di entrata in vigore del decreto di amnistia, nella seconda ipotesi, invece,� torna applicabile l'ultima delle disposizioni delanzidetta seconda parte del comma terzo dell'art. 2947, quella, cio�, che stabilisce che il diritto al risarcimento del danno causato da un fatto costituente reato si prescrive, in tal caso, nei termini indicati nei primi due commi dell'articolo stesso, ma che la prescrizione decorre soltanto dalla data in cui � divenuta irrevocabile la sentenza che, degradando l'imputazione originaria e dichiarando estinto il reato, ha definito iI procedimento penale (Cass. 5 ottobre 1957, n. 3607; 16 maggio 1958,. n. 1586; 10 ottobre 1967, n. 273; 14 aprile 1972, n. 1193). Dall'applicazione al caso concreto del principio sopra enunciato, consegue che, al momento in cui il Sammartino, con la citazione del 22 gi�gn<> RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 1965, fece valere nei confronti dell'Amministrazione delle Ferrovie il suo -diritto al risarcimento del danno cagionatogli dal fatto illecito, costituente reato, della dipendente dell'Amministrazione stessa, non si era ancora -compiuta la prescrizione del diritto medesimo. Infatti, poich� in ordine a .quel fatto-reato si era proceduto penalmente, e poich� l'estinzione del reato stesso trovava la sua ragion d'essere nella sentenza che, degradando 1'originaria imputazione, lo aveva ricondotto nell'ambito dell'amnistia, il termine della prescrizione della azione civile tornava bens� ad essere quello biennale di cui al secondo comma dell'art. 2947, ma esso decorreva soltanto <I.alla data in cui l'anzidetta sentenza sarebbe divenuta irrevocabile: il che .avvenne quando, esauriti i gravami che ostavano al suo passaggio in giudi �cato, venne rigettato, con sentenza del 28 gennaio 1967 di questa Suprema Corte, il ricorso proposto contro la sentenza di secondo grado, che aveva �Confermato quella del Tribunale. La prescrizione si sarebbe perci� compiuta soltanto nel gennaio 1969; e prima di allora il diritto era gi� stato fatto valere, mediante l'anzidetta citazione del 1965. Il motivo test� esaminato deve, perci�, essere accolto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 6 dicembre 1974, n. 4035 -Pres. Giannattasio -Est. Mazzacane -P. M. Martinelli (conf.). -Ministero Trasporti e Finanze (aw. Stato Angelini-Rota) c. Fall. Mazzacurati (avv. Manzella). Imposte e tasse in gene:re -Rapporto di esattoria -Titolarit� del credito fiscale -Spetta all'Amministrazione dello Stato. (d.P.R. 15 maggio 1963, n. 838, art. 77). Contabilit� generale dello Stato -Debiti e crediti di amministrazione diverse dallo Stato nei confronti dello stesso soggetto -Compensazione -Ammissibilit�. (r. d. 18 novembre 1923, n. 2440, art. 69; r. d. 25 maggio 1924, n. 827, art. 225). Creditore d'imposta � l'ente impositore anche quando, iscritta a ruolo l'imposta, ne sia affidata all'esattore la riscossione e questi abbia concretamente iniziata l'esecuzione (1). (1-2) L'affermazione contenuta nella prima massima costituisce giurisprudenza ormai costante nell'insegnamento del S.C.: v. infatti sent. 15 aprile 1971, n. 1061; in questa Rassegna 1971, I, 863; Cass. 16 giugno 1967, n. 1379; in Foro it. mass. 1967, 392; Cass. 18 giugno 1964, n. 1588, in questa Rassegna 1964, I, 939; Cass. 31 ottobre 1960, n. 2962. Anche il principio affermato nella seconda massima della unicit� della personalit� giuridica dello Stato costituisce ius recoeptum: v. da ultimo sent. 19 settembre 1970, n. 1594, in questa Rassegna 1970, I, 807 ove ulteriori richiami. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 73 Mentre � escluso che un credito verso lo Stato possa essere estinto mediante compensazione con un debito nei confronti dello Stato medesimo, tranne speciale autorizzazione del Ministro del Tesoro, per il principio dell'unicit� della personalit� dello Stato � ammessa la compensazione di debito e credito di diverse Amm.ni dello Stato nei confronti dei privati ad iniziativa dell'Amm.ne interessata (2). (Omissis). -Le Amministrazioni ricorrenti, con il primo motivo del ricorso, denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e ss. -cc., 56 r.d. 16 marzo 1942 n. 267, 69 r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, delle norme sull'accertamento e la riscossione delle imposte dirette e dell'art. 548 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Sostengono che l'Amministrazione finan� ziaria, anche dopo la trasmissione dei ruoli all'esattore, � titolare del ere� dito tributario; che pertanto, nella specie l'Amministrazione finanziaria poteva opporre in compensazione -contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte del merito -il proprio credito rispetto al debito della Am� ministrazione poich� l'azione esecutiva, per quanto promossa dall'esattore, -concerneva pur sempre un credito della stessa Amministrazione finanziaria; di qui la incongruenza del richiamo della Corte di appello nel principio di cui all'art. 548 c.p.c. Il motivo � fondato. Il riconoscimento del diritto dell'esattore ad ottenere il rimborso delle somme versate per le quali � tenuto all'obbligo del non riscosso come riscosso, quando dimostri nei modi e nei termini di legge di non averle potuto riscuotere (art. 87 t.u. 17 ottobre 1922, n. 1401, e, poi, art. 82 decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858); la devoluzione dei beni non venduti all'asta per la soddisfazione del debito di imposta al� l'ente impositore (art. 238 t.u. 29 febbraio 1958, n. 645); il principio che, anche dopo la trasmissione dei ruoli, ove sia contestata la legittimit� del .credito di imposta, deve essere chiamato in giudizio l'ente impositore (art. 77 decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 838); il divieto di imputazione delle somme riscosse a titolo di imposta a crediti .dell'esattore (art. 142 decreto del Presidente della Repubblica 15 maggio 1963, n. 858) concorrono a far ritenere che l'esattore non � un concessio� Una particolare notazione merita, invece, il principio, che il S.C. ha voluto .sottolineare, secondo cui in base all'art. 225 del regolamento sulla contabilit� generale il creditore di un'Amm.ne dello Stato, non solo non pu� pretendere di compensare il proprio credito con un debito verso altra Amm.ne, ma neppure far valere la compensazione quanto il credito e il debito riflettono una stessa Amm.ne, a meno che non vi sia formale autorizzazione da parte del Ministero del Tesoro (che ha sostituito quello delle Finanze in tale competenza). Sul punto in senso conf. BENNATI, Manuale di contabilit� di Stato, Napoli, 1967, p. 264 ss. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 74 nario del credito tributario, ma soltanto un agente al quale con l'atto cli concessione (c.d. contratto ~sattoriale) � trasferito il solo esercizio della riscossione, mentre il titolare del rapporto tributario, e quindi creditore del debito di imposta, resta pur sempre l'ente impositore il quale, pertanto, nel concorso delle necessarie condizioni, ha diritto di eccepire la compensazione (v. Cass. n. 1379/67; n. 1061/71). Ci� stante, � inconferente il richiamo della Corte di Appello all'art. 548 c.p.c. per dedurne l'impossibilit� di riconoscere come creditore del debito esecutato persona diversa dal creditore pignorante o dai creditori intervenuti. Infatti ,come gi� si � detto esaminando l'eccezione di inammissibilit� del ricorso, l'ipotizzata impossibilit� non ricorre nella specie, in considerazione dei rapporti, ora delineati, che intercorrono fra esattore e Amministrazione finanziaria ed in considerazione del contenuto e dei limiti della controversia, quale si � sviluppata fra le parti. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione delle disposizioni di legge che disciplinano l'istituto della compensazione e di quelle sulla unicit� della personalit� giuridica dello Stato e sulla rilevanza della sua organizzazione, nonch� manifesta illogicit� ed erroneit� della motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. Si sostiene che la Corte di appello ha escluso la possibilit� di compensazione fra un debito delle Ferrovie dello Stato ed un credito di imposta della Amministrazione finanziaria, erroneamente affermando che la capacit� giuridica dello Stato, e� cio� la sua idoneit� ad essete soggetto di diritti, nel campo dell'amministrazione, non � unitaria, ma frazionata, per effetto di norma costituzionale, fra vari dicasteri che hanno rilevanza esterna. Anche tale censura � fondata. L'autonomia amministrativa e contabile dei vari rami dell'amministrazione non elimina il carattere unitario fondamentale della personalit� dello� Stato, che � unico soggetto titolare dei diritti che in esso s'incentrano, in quanto l'organizzazione amministrativa non determina un frazionamento� della titolarit� fra "i vari rami ed i vari organi dell'Amministrazione statale,. ma soltanto una ripartizione tra gli stessi delle relative competenze ad attuare e a far valere nei confronti dei terzi i diritti dello Stato. In tale principio trova giustificazione la regolamentazione giuridica dell'istituto� della compensazione fra le Amministrazioni pubbliche ed i privati. Infatti, mentre per ragioni contabili � escluso che un titolo di credito verso lo Stato possa essere ricevuto in conto di debito verl�o lo stesso, tranne che non intervenga una speciale autorizzazione del Ministero delle Finanze (art. 225 r.d. 23 maggio 1924, n. 827) � ammessa invece, in applicazione del principio della unicit� della personalit� dello Stato, la compensazione legale di crediti e debiti di diverse Amministrazioni dello Stato nei confronti dei privati, ad iniziativa della Amministrazione interessata, a norma dell'art. 69 r.d. 23 maggo 1924, n. 827 (cfr. Cass. n. 1594/1970). PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 75 Discende da ci� la infondatezza della equiparazione, affermata dalla Corte di Appello quanto all'istituto della compensazione, tra la posizione dello Stato e quella dei privati; e discende, altres�, la infondatezza dell'assunto, enunciato dalla stessa Corte, in ordine alla impossibilit�, per lo Stato, di far valere la compensazione fra debiti e crediti delle sue amministrazioni nei confronti dello stesso soggetto. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 1246 e.e., sostenendosi che non pu� considerarsi ostacolo alla compensazione la impignorabilit� delle somme dovute a titolo di imposta, in quanto, nel caso, la compensazione � stata richiesta appunto dal titolare del credito impignorabile. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 31 gennaio 1976, n. 294 -Pres. Bonomo - Rel. Persico � P. M. Caristo (conf.)� � Assessorato LL.PP. della Regione Siciliana (avv. Stato Freni) c. Asturi (avv. Sciortino). Lavoro (rapporto di) � Assunzione in violazione del divieto previsto dalla legge � Conseguel\Za sulla qualificazione del rapporto e sugli obblighi previdenziali. Nel caso di assunzione di dipendenti, nonostante il divieto previsto da particolari leggi (nella specie dalle leggi regionali n. 14 del 1958 e n. 15 del 1959 della Regione Siciliana), il rapporto (di lavoro) venuto in essere, se non pu� inquadrarsi nella categoria di rapporti pubblicistici, d� origine ad un rapporto di natura privata, che non realizza alcuna delle ipotesi eccettuate dal II comma dell'art. 2126 e.e. (non quella dell'atto in frode della legge, non l'altra della causa illecita, n� infine quella del contrasto con norme e principi fondamentali dell'ordinamento) e, tuttavia, sussistono, durante l'avvenuta esecuzione del rapporto, le obbligazioni, attive e passive, previdenziali ed assicurative (1). (Omissisi). -Col primo motivo del ricorso l'Assessorato, denunziando violazione dell'art. 6 della legge regionale siciliana 2 maggio 1958, n. 14 e art. 13 l.r. 13 aprile 1959, n. 15 nonch� degli art. 1343, 1345, 1416, 1418, 2126, 2129, 2033, 2041 e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., lamenta che i giudici di merito, dopo aver riconosciuto la nullit� delle assunzioni operate in violazione di legge, abbiano erroneamente ritenuto che le situazioni potessero ricondursi alla c.d. prestazione di fatto di lavoro e cio� al paradigma connesso con un contratto di lavoro nullo, al quale si applica l'art. 2126 e.e., senza considerare che essa era connessa con una assunzione (1) In termini cfr. Cass. 11 gennaio 1967, n. 108, Foro amm. 1967, I. 1, 277. 76 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO nulla a pubblico impiego; che la questione coinvolgeva non la sola nullit� bens� la stessa possibilit� di costituzione di un qualsiasi rapporto con la Amministrazione, salvo che sul piano dell'arricchimento o dell'indebito, piano che incontra la responsabilit� del funzionario responsabile della spesa; e che, esulando ogni autonomia privata, le residue tutele incontrano i noti limiti delle azioni di arricchimento verso la pubblica amministrazione. Il motivo non � fondato. Anzitutto, e con riguardo alla qualificazione del rapporto, non � condivisa della giurisprudenza pi� recente e costante di questa Corte l'assunto (al quale le censure sembrano ricondursi) che dell'attivit� coessenziale ai fini istituzionali sia necessario predicato la natura pubblica del rapporto di lavoro o di impiego, sicch� in mancanza dell'atto formale di nomina (ove non si intendano ammettere come possibili forme anomale di esteriorizzazione della volont� autoritativa della pubblica amministrazione) od in caso di sua illegittimit�, nessuna altra tutela sarebbe configurabile per le prestazioni lavorative intanto erogate se non quella coperta della azione generale di arricchimento, entro i limiti ad essa propri ove proposta nei confronti dell'Ente pubblico. In realt�, poich� � lo stesso ordinamento a consentire che prestazioni di quel tipo siano acquisite attraverso contratti di impiego o di lavoro privati (anche a tempo determinato, risolubili ad nutum, senza inserimento nei ruoli) tramite personale estraneo ai quadri dell'organizzazione dell'Ente pubblico, non si comprende perch� il tipo di relazione tra le parti dovrebbe essere diverso a seconda che sia stato fatto diretto uso di tale potere da parte dell'Amministrazione, ovvero abbia essa tenuto un comportamento inidoneo a costituire lo status di pubblico dipendente, od infine l'atto (di nomina) bench� tipico, non sia riconducibile all'esercizio deI potere autoritativo, com'� nelle situazioni per le quali sussiste, per legge, divieto di nuove assunzioni (sent. n. 2887/69). In tale ultimo caso -al quale aderisce la fattispecie in esame -una volta accertata la violazione del divieto, la relazione che ne emerge non pu� che inquadrarsi tra quelle (di natura privata) alle quali � coerente, tenuto conto che la retroattivit� degli effetti di tale accertamento incontra un rapporto privo, nel suo momento genetico, di un requisito essenziale a qualificarlo come pubblico. Tanto rilevato in relazione alle censure di ordine generale, deve subito dirsi che tutte le altre questioni hanno trovato puntuale ed appagante risposta nella sentenza delle Sezioni Unite n. 63 del 1973, con l'affermazione del seguente principio di diritto: La violazione delle leggi regionali n. 14 del 1958 e n. 15 del 1959 che vietano alla Regione siciliana di assumere dipendenti senza concorso, produce la nullit� del provvedimento di assun zione e la responsabilit� degli amministratori che l'hanno adottato, ma PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA CIVILE 7T non impedisce che al rapporto d'impiego privato che di fatto deriva dalla attivit� prestata dal dipendente cos� assunto sia applicabile la prima parte� dell'art. 2126 e.e. e quindi non esclude che le prestazioni eseguite dal dipendente stesso siano retribuite dalla Regione (v. sent. n. 1934/59; v. 108/67).. E poich� non risultano sottoposti a censura sotto profili nuovi, pos-� sono sinteticamente richiamarsi i principi in quella pronunzia affermati e cio�: -che la previsione, accanto alla nullit� del provvedimento di assunzione, anche di una responsabilit� personale degli Amministratori, attiene� al rapporto interno all'Amministrazione e non tocca il principio generalissimo della riferibilit� ad essa delle obbligazioni assunte in violazione del divieto dai funzionari per motivi non esclusivamente personali, specie se� vi � stato anche riconoscimento ed utilizzazione del servizio di fattoprestato; -che l'art. 2126 e.e. si inquadra nel sistema generale di cui agli. ast. 1343 sgg., 1346 sgg. e 1448 e.e., solo differenziando, quanto ai rapporti� di lavoro, la disciplina del contratto illecito (nullit� radicale ex tunc) da quella del contratto illegale (nullit� priva di effetti per il periodo in cui il rapporto. ha avuto esecuzione; -che l'assunzione in violazione del divieto non realizza alcuna delle� ipotesi eccettuate di cui al co. 2 dell'art. 2126 e.e.: non quella del contratto�. in frode alla legge (che presuppone l'uso di un mezzo tipico astrattamente' lecito per realizzare un risultato diverso da quello tipico, in elusione indiretta di norma imperativa); non quella della causa illecita -da ammettersi anche per i contratti tipici, operando il raffronto tra la funzione ,del negozio concretamente creata con la funzione astratta stabilita per quel tipo e che � pur sempre funzione obiettiva, indipendentemente dai motivi che hanno determinato la contrattazione, in adozione di una concezione non rigorosamente obiettivistica della causa, in consonanza col sistema positivo e specificatamente con l'art. 2126 e.e. -(poich� il contratto tendeva alla. assunzione di forze lavorative necessarie per il funzionamento dell'Ente e� che furono lecitamente utilizzate allo scopo); non quella del contrasto con norme e principi fondamentali dell'ordinamento (perch� l'irregolarit� della assunzione tocca la sfera dell'illegittimit� e non dell'illecito, non impedendo� l'esercizio di fatto dell'attivit� lavorativa e l'utilizzazione di essa). Col secondo motivo del ricorso, denunziando violazione delle disposizioni del r.d. 4 ottobre 1935 n. 1827 e successive modifiche nonch� dell'art. 2126 e.e. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente si duole che gli sia stato fatto carico del versamento dei contributi previdenziali quale effetto ulteriore dell'operativit� dell'art. 2126 e.e. e sostiene che non si sia sufficientemente considerata la distinzione ed autonomia del rapporto previdenziale rispetto al contratto di lavoro al quale soltanto sarebbe limitato' l'ambito della norma in esame. ,. --.--------.. -�������������----.�.�.�.�.-.-.�.�.�.�:.�.�.�.�.�.�:.�.�.�.�-�.-.�.'.�.�-�.� :78 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Neppure tale motivo � fondato. Per il nesso di occasionalit� necessaria che corre tra il contratto di lavoro e quello assicurativo previdenziale -pur nell'autonom.ia dei rap� porti dai medesimi instaurati (genetica, funzionale, oggettiva, soggettiva) -le vicende del rapporto (bilaterale) di lavoro influenzano i diritti ed �.obblighi di ciascuno dei soggetti rispetto al coevo rapporto (plurilaterale) .assicurativo previdenziale. E poich� per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, l'art. 2126 e.e. lascia sussistere (salve le ipotesi eccettuate) le obbligazioni .derivanti dal contratto di lavoro nonostante l'accertata sussistenza di un vizio invalidante (nullit�, annullabilit�) ed, in particolare (co. 2), il diritto .alla retribuzione per il lavoro prestato in violazione di norme poste a tutela del prestatore d'opera, inerisce a tale assetto che per il medesimo periodo �necessariamente debba coesistere il rapporto assicurativo e con esso le �obbligazioni attive e passive per ciascuna delle parti dal medesimo .scaturenti. Se cos� non fosse, gli effetti del contratto ed il regolamento del rap� porto disciplinati dall'esaminata norma risulterebbero claudicanti, rima� dendo, senza plausibile motivo, il datore di lavoro parzialmente esonerato .dal carico delle conseguenze patrimoniali impostegli a preservazione dei rapporti di lavoro d.d. di fatto ed il lavoratore privato, per il periodo .considerato, della corrispondente copertura assicurativo-previdenziale, ed .emergendo, per giunta, un caso di prestazione sicuramente retributiva (per dettato normativo) esente da contribuzione assicurativo-previdenziale. -(Omissis). SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (*) CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 11 novembre 1975, n. 971 -Pres. De Capua" Est. Giovannini -Vecchia (avv. Prosperetti W.) c. Ministero sanit� (avv. Stato Gargiulo) e Bosi (n.c.). Concorso -Collocamento obJJllgatorio ex legge 2 aprile 1968, n. 482 -Possesso dei requisiti -Condizioni -Limiti. Per poter usufruire della particolare normativa sul collocamento obbligatorio, contenuta nella legge 2 aprile 1968, n. 482, � necessario il possesso dei seguenti requisiti: a) appartenenza a taluna delle categorie privilegiate elencate nell'art. 1 della legge medesima; b) stato di disoccupazione attuale del candidato, risultante dalla iscrizione negli speciali elenchi tenuti presso gli uffici provinciali del lavoro. Dette condizioni sono necessarie anche nelle ipotesi di collocamento obbligatorio presso pubbliche amministrazioni, effettuato ad esito di procedure concorsuali. � conseguentemente illegittima la nomina a vincitore, a seguito di procedura concorsuale, di un candidato orfano di guerra che segue in graduatoria il primo classificato e che risulti mancare di iscrizione nelle liste dei disoccupati al momento della pubblicazione del bando di concorso, dell'espletamento delle prove di concorso, della scadenza del termine di presentazione dei documenti di precedenza e della emanazione, infine, del decreto di approvazione della graduatoria e di declaratoria del vincitore, a nulla rilevando che nel bando di concorso non risulti prescritta la presentazione di alcun documento ai fini della dimostrazione dello stato di disoccupazione (1). (1) La giurisprudenza ha costantemente ritenuto indispensabile il possesso anche del requisito di cui alla lettera b) della decisione massimata (cfr. Sez. V 20 aprile 1971, n. 358 in Il Consiglio di Stato 1971, I, 789; Sez. V 29 febbraio 1972, n. 114 ivi 1972, I, 181); il mancato possesso di detto requisito viene cos� a privare l'invalido, risultato idoneo nel concorso, del beneficio dell'as sunzione a preferenza di altri candidati che lo precedano a parit� di punteggio ex art. 5 T.U. approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Si ricordi che l'art. 43 del regolamento approvato con d.P.R. 18 giugno 1952, n. 1176 (che esplicitamente negava rilevanza allo stato di occupazione riguardo al diritto di fruire, da parte dell'invalido, dei benefici previsti dalla L. 3 giugno 1950, n. 375 e dal regolamento stesso) � stato ritenuto norma introdotta in un regolamento di esecuzione in dubbia aderenza alla legge dalla quale scaturiva il potere regolamentare medesimo; detto articolo, pertanto, � da ritenersi abrogato tacitamente per effetto dell'art. 31 cpv della legge 2 aprile 1968, n. 482 (*) Alla redazione delle massime e delle note di questa sezione ha collaborato l'Avv. R. TAMIOZZO. 7 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in quanto incompatibile con le disposizioni di tale testo legislativo, che hannonuovamente e interamente disciplinato la materia delle assunzioni obbligatorie� (cfr. Sez. II par. 10 giugno 1969, n. 486 ivi 1970, I, 793). Sui limiti di applicabilit� della L. 2 aprile 1968, n. 482 si segnala anche la dee. Sez. IV 23 marzo 1971, n. 318 (ivi 1971, I, 413), la quale, fra l'altro, ha chiarito� che il beneficio della riserva del 15% dei posti nei conocrsi a posti delle carriere direttive e di concetto degli Enti pubblici a favore dei soggetti elencati nel~ l'art. 1 di detta legge si riferisce solo ai concorsi pubblici di ammissione a tali carriere, non anche ai concorsi interni relativi alla progressione di carriera. R. T. CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 11novembre1975, n. 973 -Pres. De Capua Est. Schinaia -Biagioli ed altri (avv. Guarino), Billia (avv.ti Varvesi e� Bellini) e Russo ed altri (avv.ti Sorrentino e Casini) c. Ministeri Fi-� nanze e Tesoro (avv. Stato Ferri). Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale -Art. 66 decreto del Presidente della Repubblica 748/1972 -Decorrenza della nomina. Atto amministrativo -Attivit� amministrativa vincolata da norme di legge Configurabilit� -Non sussiste. Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Mancata previsione di retroattivit� Incostituzionalit� degli artt. 60, 61, 65 e 66 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. Non s�ssiste. Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Mancata previsione di retrodatazione -Incostituzionalit� degli artt. 60, 61, 65 e 66 decreto del Presi-� dente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 in relazione all'art. 3" Cost. � Non sussiste. Impiego pubblico -Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti statali -Disciplina contenuta nell'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 � Incostituzionalit� in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. � Non sussiste. � Impiego pubblico � Benefici per l'esodo volontario -Dirigenti statali -Disci-� plina contenuta nell'art. 67 decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 � Incostituzionalit� in relazione all'art. 3 Cost. -Non sussiste. Impiego pubblico -Promozione di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale � Disciplina contenuta nell'art. 67' decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748 -Incostituzionalit� in relazione agli artt. 36 e 97 Cost. � Non sussiste. Ai sensi del 10 co. art. 66 decreto del Presidente della Repubblica: 30 giugno 1972, n. 748, fino al 30 giugno 1975 si prescinde -per le promozioni alle qualifiche superiori a direttore di sezione -dall'osservanza dei PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 81 termini indicati dall'art. 40 decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 1970, n. 1077 e dall'art. 24 decreto del Presidente della Repubblica n. 74811972; tale normativa, peraltro, non comporta retroattivit� delle promozioni, ma semplice reviviscenza del principio generale secondo cui non � possibile far retroagire le promozioni per scrutinio ad un momento anteriore a quello in cui furono deliberate dal Consiglio di amministrazione, in mancanza di espressa disposizione in contrario (1). Per le qualifiche dei dirigenti l'art. 59, 1a co., in relazione all'art. 1 decreto del Presidente della Repubblica 748/1972, prevede l'istituzione con effetto dal la gennaio 1971 delle qualifiche ad esaurimento, mentre analogo effetto non � previsto per le promozioni di direttori di divisione alla qualifica ad esaurimento di ispettore generale, la cui decorrenza � pertanto fissata alla data in cui gli scrutinati per la promozione sono stati designati dal Consiglio di amministrazione (2). Qualora non sussista alcun margine di discrezionalit� per la p.a., tenuta allo svolgimento di una attivit� amministrativa vincolata ex lege, non � configurabile il vizio di eccesso di potere per manifesta ingiustizia(3). E manifestamente infondata la questione di costituzionalit� degli artt. 60, 61, 65 e 66 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, in relazione agli articoli 76 e 77 della Costituzione, nella parte in cui non viene prevista la retroattivit� delle promozioni dei direttori di divisione alla qualifica -nel ruolo ad esaurimento -di ispettore generale (4). L'art. 59 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 si � limitato a disporre un mero inquadramento in una corrispondente qualifica di dirigente di soggetti gi� in possesso di una determinata qualifica direttiva, laddove la promozione del direttore di divisione ad ispettore generale ad esaurimento comporta il passaggio da una qualifica inferiore ad una superiore: ne consegue la manifesta infondatezza della questione di costituzionalit�, rispetto all'art. 3 della Costituzione, degli artt. 60, 61, 65 e 66 d.P.R. 74811972, sotto il profilo che in essi non sarebbe prevista la retroattivit� della promozione ad ispettore generale (5). L'art. 16 L. 28 ottobre 1970, n. 775, che ha sostituito l'art. 12 L. 18 marza 1968, n. 249, ha attribuito alla normativa delegata il potere di graduare gli (1-7) La impossib'ilit� di far retroagire le promozioni per scrutinio ad un momento anteriore a quello in ct� furono deliberate dal Consiglio di Amministrazione � stata altre volte confermata in giurisprudenza (cfr. Sez. IV 21 aprile' 1970, n. 309 in Il Consiglio di Stato 1970, I, 613; Sez. IV 6 aprile 1970 n. 229 ivi 1970, I, 575). Sulla assimilazione -all'atto del collocamento a riposo -dei direttori di divisione ad esaurimento ai primi dirigenti cfr. T.A.R. Lazio I Sez. 5 marzo 1975, n. 138 (in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 751). In tema di promozione alla qualifica di direttore di divisione del ruolo ad esaurimento ai fini dell'applicazione dell'art. 65 d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748 cfr. T.A.R. Lazio III Sez. 14 luglio 1975, n. 297 (ivi 1975, I, 1983). 82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO incentivi per l'esodo volontario; ne consegue la manifesta infondatezza della questione di costituzionalit� -in relazione agli artt. 3, 76 e 77 della Costituzione -dell'art. 67, 3� co., d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, il quale 1-'.� t prevede una diversa disciplina dei direttori di divisione e degli ispettori generali che gi� rivestivano dette qualifiche al momento dell'entrata in �Il vigore del d.P.R. 748 rispetto ai funzionari che invece avevano conseguito tali qualifiche per effetto di promozioni conseguite dopo la entrata in vigore dello stesso provvedimento presidenziale; tale diversa disciplina si ricollega alla sostanziale diversit� di situazioni: da un lato soggetti che da tempo ed effettivamente avevano prestato servizio con una determinata qualifica, dall'altro soggetti che avevano prestato servizio in una qualifica inferiore (6). La manifesta infondatezza della questione di costituzionalit� dell'art. 67, 3� co., d.P.R. n. 748/1972 in relazione agli artt. 36 e 97 della Costituzione si basa sulla ratio intrinseca della diversit� di disciplina prevista da getto art. 67 e volta ad evitare che, mentre i direttori di divisione pi� meritevoli e capaci, e perci� inquadrati nella qualifica di primo dirigente, secondo il disposto del 3o e 5" co. dell'art. 59 d.P.R. 748/1972 avrebbero conseguito agli effetti dell'esodo la qualifica di dirigente superiore, viceversa gli impiegati, che rivestivano la stessa qualifica di direttori di divisione, ma ritenuti meno capaci e quindi esclusi, almeno temporaneamente, dall'inquadramento a dirigente .superiore, una volta conseguita retroattivamente la promozione ad ispettore generale, avrebbero goduto, in sede di esodo volontario, non gi� della qualifica di dirigente superiore (come i loro colleghi ritenuti maggiormente capaci), ma della superiore qualifica di dirigente generale (7). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 14 novembre 1975, n. 1017 -Pres. (ff.) Benvenuto � Est. Pignataro � Napoli ed altri (avv.ti Di Stefano e Salerno) c. E.N.P.A.S. (avv. Stato Siconolfi) e Ministero. grazia e giustizia (avv. Stato Siconolfi). Pensioni � Indennit� di buonuscita E.N.P.A.S. � Congiunti � Diritti per successione � Tassativit� della elencazione degli aventi diritto � Sussiste. Atto amministrativo � Obbligo di motivazione � Provvedimento che costi� tuisce mera attuazione vincolata di una norma di legge � Necessit� di specifica motivazione � Non sussiste. Legge, decreti e regolamenti � Proponibilit� di una questione di incostituzionalit� � Limiti. Poich� l'indennit� di buonuscita � volta a soddisfare una funzione previdenziale e assistenziale e poich� nella sfera dei rapporti di tal genere PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 83 ogni elencazione di aventi diritto a determinate prestazioni � da considrare a carattere tassativo ed esclusivo, l'art. 48 del t.u. 26 febbraio 1928, n. 619, integrato dall'art. 3 della l. 27 novembre 1956, n. 1407, va interpretato nel senso ristretto di indicare i casi in cui l'indennit� di buonuscita � dovuta al prestatore d'opera, mentre l'art. 52 del citato t.u., sostituito dall'art. 5 l. 140711956, indica quali congiunti (orfani minorenni, orfani maggiorenni inabili, orfane maggiorenni nubili) hanno titolo alla buonuscita quando l'iscritto all'opera di previdenza da almeno sei anni muoia prima del collocamento a riposo, dopo aver maturato il periodo minimo per il diritto alla normale pensione, oppure muoia per causa di servizio ordinario (1). E sufficiente l'enunciazione delle norme applicate in sede di motivazione di un provvedimento amministrativo che rappresenti una mera attuazione vincolata di una norma di legge .(2). Una questione di costituzionalit� gi� proposta alla Corte Costituzionale non pu� essere nuovamente sollevata -ancorch� con diversa formula~ zione -nel medesimo giudizio, e ci� in quanto -diversamente -verrebbe violato il principio fissato dall'art. 137 della Costituzione, che preclude la possibilit� di impugnazione delle decisioni della Corte Costituzionale (3). (1-3) La Corte Costituzionale con la sentenza 18 febbraio 1970 n. 19 (in Il Consiglio di Stato 1970, II, 205) ebbe a chiarire la natura della indennit� di buonuscita, accordata al personale statale dapprima con il r.d. n. 2480 del 1923 e disciplinata poi dal T.U. n. 619 del 1928 e successive modificazioni, qualificandola come parte integrante del trattamento di quiescenza, anche se erogata a cura di una apposita opera di previdenza, e come vero. e proprio diritto patrimoniale connesso con lo status di dipendente di ruolo che abbia maturato il diritto a pensione; n� su tale natura e qualificazione pu� influire la circostanza che per la sua determinazione e liquidazione valgano norme non in tutto coincidenti con quelle regolative della pensione. La stessa Corte Costituzionale si � gi� pronunciata per la infondatezza della questione di costituzionalit� dell'art. 5 della L. n. 1407/1956 (cfr. dee. 12 giugno 1973, n. 82 ivi 1973, II, 688). CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 2 dicembre 1975, n. 1167 -Pres. Uccellatore -Est. Carbone -Soc. Navigazione Alta Italia (avv. Sorrentino) c. Ministero tesoro (avv. Stato Sernicola). Danni di guerra -Nozione e qualificazione del cespite -Incostituzionalit� dell'art. 8 legge 955/1967 in relazione all'art. 3 Cost. -Non sussiste Fattispecie in tema di unit� navigante. Posto che il legislatore ha individuato in ogni singolo natante un unico e indivisibile cespite, ne discende che i beni assemblati nel natante RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO medesimo non sono produttivi di redditi autonomi e distinguibili una volta uniti nella singola nave, ma concorrono insieme alla produzione del servizio di trasporto marittimo e del connesso reddito: ci� in relazione sia alla unit� funzionale e strutturale dei beni in questione (scafo, macchine, attrezzature fisse e mobili, ecc.), sia al concetto di nave sotto il profilo strettamente giuridico di cosa o bene composto e non di universalit�, e quindi non suscettibile di formare oggetto di diversi rapporti giuridici; pertanto, non sussistendo alcuna disparit� di trattamento normativo tra navi ed altri beni industriali o commerciali o agricoli, � manifestamente infondata la censura di incostituzionalit�, rispetto all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 8 della l. 29 settembre 1967 n. 955 che considera ogni singolo natante come unico cespite ai fini dell'indennizzo per danni di guerra (1). (1) Cespite indennizzabile nel risarcimento del danno di guerra. La decisione che si annota ha fatto, con esatta motivazione, puntuale applicazione dei principi che informano il concetto di cespite unico, .quale si � venuto configurando in sede amministrativa e giurisprudenziale, con specifico riferimento alle attivit� industriali e commerciali. Il ricorrente aveva dedotto una censura di illegittimit� costituzionale peraltro rettamente ritenuta manifestamente infondata dalla Sezione sotto il profilo della insussistenza di disparit� di trattamento normativo fra navi e altri beni industriali o commerciali o agricoli -della norma formulata con l'art. 8 della legge 29 settembre 1967, n. 955, il quale recita testualmente al 1� comma: � Le disposizioni della legge 27 dicembre 1953, n. 968, si applicano anche ai danni sub�ti dalle navi e dai galleggianti requisiti in uso o noleggiati con assunzione dei rischi di guerra da parte dello Stato o, comunque, assicurati contro i detti rischi, nonch� alle navi requisite per acquisto, ai sensi del quinto comma dell'art. 1 del regio decreto 2 febbraio 1943, n. 127. Le indennit� gi� percepite sono detraibili ai sensi dell'art. 11 della legge 27 dicembre 1953 n. 968, dall'indennizzo o dal contributo, da liquidare per ogni singolo natante da considerarsi unico� cespite�. Con decisione 21 marzo 1969 n. 84 (in questa Rassegna 1969, I, 482) la Sez. IV fiss� il principio che per stabilire i singoli cespiti occorre esaminare se esistano effettivamente i requisiti dell'autonomia economica, dell'unit� organica e della efficiente destinazione funzionale per un solo bene o per un complesso di beni del danneggiato, considerando l'azienda �in modo dinamico e non nella statica rappresentazione dei vari elementi costitutivi�. E proprio in relazione a detto principio la Sezione nell'occasione escluse la possibilit� di operare distinzioni, nell'ambito dell'azienda danneggiata, fra costruzioni murarie e attrezzature produttive, considerata la impossibilit� di separare beni legati da un nesso di interdipendenza funzionale, i quali, per volont� del titolare o per ragioni giuridiche ed economiche, concorrono nella produzione di un reddito o comunque nel soddisfacimento di altre esigenze sociali. In buona sostanza, il �cespite� contemplato dalla L. 27 dicembre 1953 n. 968, consiste essenzialmente in un bene singolo o in un insieme di beni, destinati ad una funzione specifica e unitaria (cfr. Parere III Sez. 30 marzo 1954, n. 32; Ad. Pl. 4 febbraio 1964 n. 4 in Il Consiglio di Stato 1964, I, 213; Ad. Pl. 8 aprile 1964 n. 9 in Foro Amm.vo 1964, I, 2, 425), cosicch�, qualora risulti che i beni, al momento in cui ebbe a verificarsi la loro perdita o distruzione, man- f ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA -cavano di ogni autonomia dal punto di vista sia organizzativo che economico �e funzionale va negata l'esistenza di cespiti separati e distinti e siffatta valutazione che venga compiuta dall'Amministrazione rientra nel campo della discre: zionalit� tecnica (cfr. Sez. IV 18 giugno 1969 n. 284 in Il Consiglio di Stato 1969, I, 846), che non � sindacabile in sede di legittimit� se non sotto il limitato profilo del grave vizio logico (incongruit� della motivazione) che solo potrebbe �configurare l'eccesso di potere; la stessa individuazione dei beni indennizza �bili e la loro suddivisione in cespiti costituiscono apprezzamento di merito non -censurabile in sede di legittimit� (cfr. Sez. IV 7 aprile 1970 n. 241, ivi 1970, I, .578). ) Ferma, dunque, la necessit� della congrua motivazione, essa peraltro si .riferisce pur sempre e soltanto alla prima fase dell'istruttoria volta alla determinazione e liquidazione del risarcimento e cio� alla fase di accertamento dei �danni e alla relativa quantificazione: � in questa fase, infatti, che l'operato dell'Amministrazione si concreta in una attivit� di squisita natura tecnico-discre: zionale, nella quale il criterio di individuazione dei vari cespiti di reddito si basa sul principio fondamentale dell'unit� organica di beni collegati da una autonomia funzionale e da una potenzialit� di reddito autonomo, valutazioni -che poggiano su risultanze acquisite con il criterio strutturale e funzionale, indipendentemente dalla situazione contrattuale esistente all'epoca del sopravvenuto danno che non necessariamente pu� e deve coincidere con le predette risultanze. Si tenga al riguardo presente che � cespite � pu� non essere necessaria mente un insieme di beni e che la produzione del reddito o la capacit� di produrre reddito � elemento secondario -anche se normalmente esistente di fronte alla destinazione del cespite, come bene singolo o come complesso di beni, ad una funzione unitaria.. Cos� si spiega anche l'esclusione dell'avviamento dalla categoria dei danni di guerra indennizzabili, e con essa l'esclusione anche dei beni futuri, fra i .quali rientra anche il lucro cessante: l'indennizzo, infatti, non pu� avere riferimento ad una siffatta entit� (l'avviamento) non tanto perch� esso non costituisce elemento � patrimoniale� dell'azienda, quanto piuttosto perch� il legislatore, ai fini della determinazione del cespite, non ha considerato l'azienda -come entit� distinta dalle singole cose che la compongono, ma come oggetto essa stessa, nella sua unit�, di diritti e atti giuridici (cfr. Sez. IV, 6 marzo 1968 n. 135 ivi 1968, I, 375). Altro � invece il criterio collegato alla successiva fase, cio� a quella ulte riore di applicazione ai risultati ottenuti di taluni criteri obiettivi predeter minati per legge, applicazione che si risolve in una attivit� meramente vin -colata all'attuazione del dettato normativo, nella quale l'Amministrazione -a differenza della prima fase di attivit� tecnico-discrezionale che, per incidere direttamente sulla legittima aspettativa del soggetto danneggiato a vedersi rico noscere un giusto risarcimento, necessit� di una congrua motivazione del prov� vedimento concessorio -ben pu� far semplice richiamo alla legge applicata (cfr. in termini Sez. IV 30 maggio 1972 n. 478 ivi 1972, I, 866; Sez. IV 8 luglio 1975 n. 663 ivi 1975, I, 766). Che il concetto di � cespite sia comunque un concetto non strettamente giuridico e perci� stesso fonte di costante perplessit� � stato ripetutamente affermato anche in dottrina (cfr. DANESE, Raccolta di leggi e disposizioni regolatrici del risarcimento del danno di guerra, Roma 1958; CARLETTI, La cognizione dei cespiti secondo la legge riparatrice dei danni di guerra, in Riv. Amm. 1961, 313; DALLARI, Danni di guerra, Enc. Dir. Giuffr� 1970 voce Guerra [danni di], 914); nel recepire la definizione accolta dall'ultimo degli autori citati, il Dallari, si 86 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pu� in sintesi affermare che la definizione di cespite usata dal legislatore, e che risulta accolta -come si � visto -anche in sede giurisprudenziale, deve essere riferita � ��: a quei complessi di beni (o anche un bene singolo), che per destinazione del titolare o per il regime giuridico da cui sono regolati assolvono a una funzione unitaria sia per la produzione di un reddito, che di beni, ecc. Esempi tipici di tali entit� sono il fondo rustico, l'azienda industriale o commerciale, la propriet� edilizia, le singole navi di una flotta �. La decisione che si annota arreca un indubbio contributo chiarificatore in ordine alla qualificazione del criterio (solidaristico e non proporzionalistico) seguito dal legislatore con riferimento non direttamente al soggetto proprietario del bene danneggiato ma al bene oggetto del danno, individuando cos� nel cespite un criterio � aggregativo dei beni da considerare unitariamente ai fini della concessione di indennizzo e della applicazione dei limiti per scaglioni di valore�. Detto criterio aggregativo fa cos� riferimento non solo e non tanto ad una connessione strutturale e funzionale di una pluralit� di beni, � ma anche e necessariamente ad una loro connessione economica nel senso precipuo di beni destinati tutti alla produzione di un unico reddito � complessivo e non scindibile: trova cos� giustificazione piena la caratterizzazione della nave come unico e indivisibile cespite nel quale i beni assemblati, pur potendo avere un valore economico autonomo se collocati in un diverso contesto ovvero se realizzati sul mercato per il loro valore-capitale, non possono considerarsi suscettibili di redditi separati una volta uniti nella singola nave in quanto insieme, e inscindibilmente, concorrono a prestare il � servizio di trasporto marittimo � e a � produrre il reddito conseguente �: affermazione che sembra invero ben difficilmente confutabile (per altri aspetti peculiari in materia di risarcimento dei danni di guerra in relazione all'affondamento di motonavi e navi mercantili -estensione dei contributi e indennizzo anche alle attrezzature di bordo, detrazione delle provvidenze per recupero e ripristino del bene e degli indennizzi liquidati da societ� assicuratrici -si segnalano anche Sez. II parere 10 novembre 1970 n. 1281 in Il Consiglio di Stato 1971, I, 2033; Sez. IV 26 settembre 1975 n. 778 ivi 1975, I, 1002). RAFFAELE TAMIOZZO CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 14 novembre 1975, n. 617 -Pres. Cesareo, -Est. Coraggio -I.N.P.S. (avv. Sacerdoti) c. Gori ed altri (avv. Mangia) -Regolamento di competenza. Ricorsi amministrativi � Termini processuali � Art. 22 L. n. 1034/1971 Natura del termine � Ordinatorio. Competenza e giurisdizione -Tribunali Amministrativi Regionali -Regolamento di competenza territoriale � Termini ex art. 31, 2� comma, legge 1034/1971 � Decorrenza � Individuazione -Riferibillt� alla data di effettiva costituzione in giudizio -Casi di esclusione. E da considerare puramente ordinatorio il termine di 20 giorni fissato dall'art. 22 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, analogamente a quello del corrispon- I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 87 dente art. 37 t.u. 1054/1924 sul Consiglio di Stato; pertanto la costituzione in giudizio pu� ben avvenire in un momento successivo alla scadenza di detto termine (1). In relazione alla rigorosa previsione legislativa dei tempi di esercizi<> dell'azione nell'ambito del sistema processuale amministrativo, per poter individuare il momento iniziale del termine fissato dal 2� co. dell'art. 31 l. 1034/1971 per la proposizione della istanza diretta a far preventivamente decidere dal Consiglio di Stato la questione relativa alla competenza territoriale del Tribunale Amministrativo Regionale adita, occorre partire dalla data di effettiva costituzione in giudizio: in particolare, se la costituzione in giudizio � avvenuta prima della scadenza dei termini di cui all'art. 22' l. 1034/1971, dovr� farsi riferimento alla data di effettiva costituzione in giudizio; nel caso, invece, di costituzione in giudizio dopo la scadenza di detti ultimi termini, dovr� farsi riferimento esclusivamente allo scadere dei termini in parola, senza alcuna considerazione della data di effettiva: costituzione in giudizio (2). (1-2) L'Amministrazione resistente e gli eventuali controinteressati possonocostituirsi in giudizio con presentazione di memorie e documenti fino alla scadenza del ventunesimo giorno anteriore alla udienza, con presentazione di sola memoria, e senza documenti fino alla scadenza dell'udicesimo giorno anteriore alla udienza; infine, fino alla data fissata per l'udienza di discussione � possibile la costituzione col solo deposito, da parte del difensore, della procura e, nei casi in cui sia richiesta, della autorizzazione a stare in giudizio (cfr. i111 termini T.A.R. Veneto 25 febbraio 1975 n. 39 in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 577). La decisione della VI Sez. che si annota � esatta e pienamente da condividere. In relazione alla natura ordinatoria del termine per la costituzione in giudizio ricordiamo che l'art. 37 T.U. 26 giugno 1924 n. 1054 sul procedimento avanti il Consiglio di Stato fissa i termini per la presentazione di istanze, memorie e documenti ad opera delle parti destinatarie del ricorso; peraltro, poich� nessun termine � fissato per la costituzione in giudizio, il Consiglio di Stato ha ritenuto non perentorio il termine assegnato alle parti, beninte�O qualora esse� non debbano procedere alla notifica e al deposito di ricorso incidentale; cosicch� le parti possono liberamente costituirsi in giudizio fino alla udienz:l cli assegnazione della causa a decisione, sia pure con salvezza dei termini per la presentazione di memorie e documenti che il Presidente del Consiglio di Stato assegner� con decreto (cfr. IV Sez. 1� �dicembre 1965 ,n. 744 in Consiglio di Stato 1965, I, 2063; V Sez. 14 maggio 1965 n. 519 ivi 1965, I, 932). Per il giudizio in Cassazione, come � noto, se la parte alla quale � notificato� il ricorso intende contraddire, dovr� farlo con controricorso, da notificarsi aI ricorrente entro 20 giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. Ove difetti tale notificazione, la parte non potr� presentare memo rie, ma soltanto partecipare alla discussione orale (art. 370 1� co. c.p.c.). Il controricorso, inoltre, deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilit�, da un avvocato iscritto nell'apposito albo e munito di procura speciale (art. 370, 2� co., c.p.c) (cfr. in termini Cass. 16 marzo 1964 n. 600 e 15 marzo 1965 n. 428 in Il Consiglio di Stato 1964, II, 295; 1965, II, 222). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 28 novembre 1975, n. 622 -Pres. Aru Est. Buscema -Simioni (avv. Bonaventura) c. Commissione giudicatrice esami di maturit� tecnica anno scolastico 1972-73 presso Istituto tecnico commerciale � L. Einaudi� di Bassano del Grappa ed altri (avv. Stato Lancia). Istruzione pubblica -Esami � Risultanze esami di maturit� � Valutazioni di merito � Intervento di fattori estranei ai parametri legali � Sindacato di legittimit� � Ammissibilit� � Sussiste. Istruzione pubblica � Esami � Svolgimento di esami di maturit� � Comportamento del candidato nei confronti della Commissione � Effetti � Rile� vanza � Limiti. Istruzione pubblica � Esami � Esami di maturit� � Elementi valutabili dalla Commissione � Criteri di valutazione � Limiti. Istruzione pubblica � Esami � Esami di maturit� tecnica commerciale � Elementi valutabili � Cultura e preparazione tecnica � Rilevanza. Le valutazioni della Commissione di maturit� costituiscono apprezzamento tecnico-discrezionale e rappresentano una delle basi insindacabili del giudizio finale; esse, peraltro, si pongono pur sempre come un posterius rispetto ad eventuali, anomale circostanze di fatto, alle medesime estranee, che ne possono aver alterato il contenuto; ne consegue che, se, ad esempio, alcune prove orali hanno sub�to un inquinamento per effetto di componenti perturbatrici estranee ai criteri legali di valutazione, non sussister� alcuna preclusione, per il giudice di legittimit�, alla indagine circa l'incidenza di dette componenti sullo sfavorevole esito dell'intero esame di maturit�, indagine che dovr� comunque limitarsi agli eventuali aspetti patologici del� l'iter formativo degli apprezzamenti espressi (1). (1-4) Sugli elementi valutabili dal Consiglio di classe per l'ammissione agli esami di maturit� cfr. Sez. VI 31 ottobre 1975, n. 601 (in Il Consiglio di Stato 1975, I, 1156). Sulla natura degli atti del Consiglio di classe e delle Commissioni esaminatrici nelle scuole medie e in ispecie della Commissione per gli esami di licenza media, configurati come valutazioni discrezionali di carattere tecnico-didattico non sindacabili nel merito ma solo sotto il profilo della legittimit� cfr. Sez. VI 24 giugno 1975, n. 199 (ivi 1975, I, 935); T.A.R. Veneto 16 gennaio 1975, n. 5 (in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I; 554). Sui limiti di censura della valutazione del candidato ad esami di maturit� in relazione al curriculum, agli atti dello scrutinio di ammissione, alle prove e alla personalit� del candidato, nonch� sul giudizio finale di maturit� si sono gi� pronunciati molti T.A.R. (cfr., ad esempio, T.A.R. Umbria 24 gennaio 1975, n. 33 in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 372; T A.R. Umbria 7 febbraio b ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 89 In sede di svolgimento di esami di maturit� al rispetto della personalit� del candidato si contrappone costantemente, in forza del medesimo principio e su un piano di parit�, il rispetto, da parte dell'esaminato, della .dignit� dei commissari, sia come persone umane, sia come organi investiti .dell'esercizio di una pubblica funzione (2). A conclusione dell'esame di maturit� il giudizio motivato va formulato, rispettivamente per ciascun candidato, sulla base dei seguenti elementi: a) risultanze tratte dall'esito dell'esame; b) curriculum degli studi; e) ogni altro elemento posto a disposizione della commissione (cfr. art. 8 .d.l. 15 febbraio 1969 n. 9, convertito, con modificazioni, nella l. 5 aprile 1969 n. 119, le cui disposizioni risultano prorogate ai sensi della l. 15 aprile 1971 n. 146 fino all'entrata in vigore della legge di riforma della scuola .secondaria),� ne consegue che i soli precedenti scolastici non possono mai portare automaticamente ad un giudizio di maturit� perch� -diversamente -l'esame di Stato diverrebbe del tutto superfluo (3). In sede di maturit� tecnica commerciale la Commissione esaminatrice .deve accertare non solo e non tanto il grado di cultura quanto piuttosto la preparazione tecnica del candidato, considerato che il titolo di studio non solo d� accesso all'Universit�, ma abilita altres� all'esercizio professionale; ne consegue che la valutazione di � non tecnicamente maturo �, formulata dalla Commissione di maturit� con congrua motivazione ex art. 8 d.l. 15 febbraio 1969 n. 9, non genera alcuna perplessit� e risulta priva di vizi Jogici e pertanto esente da censure (4). ' 1975, n. 48 ivi 1975, I, 375; T .A.R. Molise 12 dicembre 1974 n. 1$ ivi 1975, I, 393; T.A.R. Liguria 13 febbraio 1975 n. 20 ivi 1975, I, 584; T.A.R. Toscana 27 maggio 1975 n. 206 ivi 1975, I, 2353; T.A.R. Lazio III Sez. 10 febbraio 1975 n. 77 ivi 1975, I, 499; T.A.R. Lazio III Sez. 24 febbraio 1975 n. 85 ivi 1975, I, 508; T.A.R. Toscana 26 marzo 1975 n. 105 ivi 1975, I, 967; T.A.R. Emilia Romagna 19 giugno 1975 n. 299 .ivi 1975, I, 2176; T.A.R. Puglia 25 febbraio 1975 n. 11 ivi 1975, I, 736; T .A.R. Veneto 19 dicembre 1974 n. 96 ivi 1975, I, 86; T.A.R. Campania 18 giugno 1975 n. 81 ivi 1975, I, 2396; T.A.R. Puglia 8 luglio 1975 n. 100 ivi 1975, I, 2429; T.A.R. Puglia 11 giugno 1975 n. 86 ivi 1975, I, 2412: le ultime due sanciscono l'insussistenza dell'obbligo di un giudizio complessivo sulla personalit� del candidato). Sul criterio di prevalenza dell'esito negativo delle prove di esame rispetto al giudizio positivo di ammissione cfr. Consiglio di Stato VI Sez. 21 giugno 1974 n. 218 (in Il Consiglio di Stato 1974, I, 976); T.A.R. Veneto 17 dicembre 1974 n. 66 e T.A.R. Umbria 17 dicembre 1974 n. 84 (rispettivamente in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 69 e 198). . Sulla decorrenza del termine per impugnare il provvedimento di ammissione .all'esame di maturit� (che decorre non dal giorno di pubblicazione nell'albo dell'Istituto, ma dal momento in cui l'interessato ha avuto conoscenza anche della motivazione del giudizio del Consiglio di Classe) cfr. T.A.R. Puglia 17 dicembre 1974 n. 45 (in I Tribunali Amministrativi Regionali 1975, I, 211). R. T. SEZIONE SESTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 ottobre 1975, n. 3277 -Pres. Rossi Est. Carnevale -P. M. Serio (conf.) -Ministero delle Finanze (Avv. Stato Arnone) c. Cal�. Imposte e tasse in genere � Obbligazione tributaria � Natura � Applicabilit� di tutte le regole di diritto civile non espressamente derogate. Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Solidariet� � Successione ereditaria � Divisione del debito fra eredi. (c. c. 752, 754, 1294, 1295, 1318; t. u. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 65). L'obbligazione tributaria, quale sottospecie delle obbligazioni pubbliche, non si differenzia nella sua struttura, una volta venuta od esistenza, dalla obbligazione di diritto privato, si che, in mancanza di specifiche deroghe stabilite dalle leggi tributarie, la disciplina dettata dal cod. civ. in materia di obbligazioni � direttamente applicabile anche ad essa (1). Poich� l'obbligazione tributaria non � una obbligazione indivisibile, e poich� la norma eccezionale dell'art. 16 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 ha una portata che non si estende oltre la materia delle imposte dirette, nelle imposte indirette deve valere la regola di diritto comune che l'obbligazione tributaria a seguito della morte del contribuente si divide fra gli eredi in proporzione delle rispettive quote (2). (1-2) Considerazioni sulla obbligazione tributaria e la sua trasmissione per causa di morte. Con questa l'approfondita pronuncia, per la risoluzione di una questione alquanto limitata, � stato ridiscusso sotto numerosi profili il problema della obbligazione tributaria nei suoi fondamentali caratteri; ci� offre l'occasione per alcune considerazioni sia d'ordine generale che specifiche del tema controverso. Sulla prima grande questione della obbligazione pubblica, della quale quella tributaria � una sottospecie, si deve sicuramente condividere l'affermazione che la nozione essenziale di obbligazione � unica per tutto l'ordinamento giuridico; non si saprebbe nemmeno,immaginare una obbligazione che, nel suo elementare concetto, sia diversa da quella di diritto privato; la nozione di obbligazione, piuttosto supposta che definita nel cod. civ., � talmente elementare e connaturale alla vita del diritto che la nostra fantasia non riuscirebbe mai a concepirla diversamente. Pertanto le questioni un tempo sollevate sulla specialit� della obbl�gazione pubblica e della obbligazione tributaria in specie (GIANNINI A. D., I concetti fondamentali del diritto tributario, Torino, 1956, 144; GIANNINI M. S.; Diritto amministrativo, Milano 1970, I, 739) possono considerarsi ormai spente. Si deve pure nella sostanza condividere l'affermazione che, sotto l'aspetto� sostanziale, i soggetti del rapporto obbligatorio di imposta si trovano, come in un'obbligazione di diritto privato, in posizione di eguaglianza nel senso che le \ ~= f: ?: i~ I f: ' �-.~ i . I i PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 91 (Omissis). -Con l'unico motivo -denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ. e la violazione dell'art. 16 del t.u. sulle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ. -l'Amministrazione ricorrente si duole che la Corte del merito abbia ritenuto che il principio fissato dall'art. 16 del citato t.u. n. 645 del 1958, secondo cui gli eredi rispondono solidalmente delle obbligazioni tributarie del loro dante causa, non abbia applicazione generale nell'ordinamento tributario, che, avendo la legge di registro disciplinato in modo autonomo i casi di solidariet� tributaria, configurare altre ipotesi di solidariet� equivarrebbe ad una non consentita modifica del sistema; che, conseguentemente, gli eredi del soggetto passivo dell'imposta di registro sarebbero tenuti al pagamento del tributo soltanto in proporzione della loro quota, in conformit� al disposto dell'art. 752 cod. civ., e non solidalmente. Deduce, in contrario che le disposizioni contenute negli articoli da 1 a 16 del t.u. sulle imposte dirette, ed altre del medesimo testo unico, prevedendo principi di carattere generale in materia di diritto tributario, sono applicabili anche ai tributi indiretti, salvo che nelle singole leggi disciplinanti questi ultimi non si rinvengano deroghe espresse; che qualora il principio della solidariet� tra gli eredi per le obbligazioni tributarie del de cuius trovasse appli potest� conferite all'Amministrazione, quale soggetto di diritto pubblico, attengono all'aspetto formale (procedimento di accertamento, liquidazione e riscossione e, eventualmente, sansionatorio), riguardano cio� il modo dell'adempimento di un'obbligazione precostituita per legge e, all'inverso, il contribuente, che si trova in una condizione di soggezione rispetto ai poteri formali volti alla realizzazione del credito, � invece in posizione di diritto soggettivo riguardo al contenuto sostanziale dell'obbligazione. Tuttavia, almeno per l'obbligazione tributaria, la � fase procedimentale � caratterizzata dall'esercizio dei poteri autoritativi, non riguarda la nascita dell'obbligazione (da un provvedimento amministrativo) ma, al contrario, soltanto il suo adempimento. Non � quindi esatto ritenere che una volta nata, l'obbligazione tributaria si comporta come una obbligazione privatistica, perch� vengono meno i poteri autoritativi della P .A.; � invece vero il contratio, perch� l'obbligazione tributaria e il prius e le potest� amministrative prendono avvio successivamente, o contestualmente, alla sua nascita e ne caratterizzano il suo svolgimento fino all'esaurimento del rapporto. Da ci� consegue che pressoch� tutte le vicende dell'obbligazione si svolgono nell'ambito del procedimento amministrativo autoritativo, ed assumono quindi un'impronta assai caratterizzata. Se dunque � sicuramente una obbligazione comune (nella sua unica possibile concezione) quella che nasce, direttamente dalla legge, definita nel suo essenziale contenuto sostanziale, ben differenziati e peculiari sono i caratteri della sua vita ulteriore. Non sembra pertanto che si possa ritenere che la intera disciplina dettada dal cod. civ. in materia di obbligazioni sia interamente applicabile all'obbligazione tributaria ogni volta che non si rinvengono specifiche deroghe stabilite dalle leggi tributarie. Ci� pu� valere per talune regole fondamentali, ma l'obbligazione tributaria � tanto evidentemente caratterizzata, sia per la sua origine rigorosamente legale sia per il modo della sua realizzazione, che d'un canto numerose RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cazione soltanto rispetto alle imposte dirette, la disparit� di trattamento nei confronti degli eredi del soggetto passivo di un'imposta indiretta non avrebbe la bench� minima giustificazione, laddove il detto principio risponde alla ratio, comune a numerose norme di diritto tributario, di assicurare una rapida e sicura esazione dei tributi; che la norma contenuta nell'art. 16 del t.u. sulle imposte dirette, per il suo carattere di precetto generale, deve prevalere su quelle, avente natura di norme eccezionali, di cui agli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ.; che comunque, avuto riguardo alla autonomia strutturale e funzionale del diritto tributario, in caso di difformit�, la norma di diritto tributario deve prevalere su quella di diritto privato; che, infine, anche sotto il profilo privatistico, la norma contenuta nell'art. 1295 cod. civ. presenta carattere di eccezionalit�, derogando alla disciplina generale della solidariet�, la quale risponde alla fondamentale esigenza di rafforzare il vincolo obbligatorio. Il motivo non � fondato. � opportuno premettere che l'obbligazione tributaria, quale sottospecie delle obbligazioni pubbliche, non si differenzia nella sua struttura,. regole del cod. civ., non espressamente derogate, non sono ad essa riferibili, d'altro canto essa obbedisce a principi generali del diritto pubblico e del diritto tributario autonomi dal diritto privato. Non si pu� quindi impostare . problema della obbligazione tributaria partendo dalla sua normale sottoposizione alle regole del cod. civ. limitatamente (art. 4 preleggi) derogabili. � superfluo menzionare, a riprova di ci�, le numerosissime norme del cod. civ. non applicabili alla obbligazione tributaria in quanto tale, pur in mancanza di deroghe espresse. In via meramente esemplificativa si pu� ricordare che l'obbligazione tributaria � priva di causa (o, se si vuole, non ha altra causa che quella di far conseguire un'entrata allo Stato) e quindi non deve corrispondere ad un interesse anche non patrimoniale del creditore (art. 1174) e non si estingue quando il creditore non ha pi� interesse a conseguirla (art. 1256); essa � sottratta a qualunque potere di autonomia negoziale (art. 1322) e perfino ad ogni effetto riconducibile a manifestazioni di volont�, si che non sono con essa conciliabili tutti i mezzi di trasmissione dell'obbligazione sia dal lato attivo (art. 1260 e segg.) che dal lato passivo (art. 1268 e segg.) e non pu� darsi alcun altro modo di estinzione che non sia l'adempimento o la prescrizione (oggi anche la decadenza) per l'incompatibilit� con gli istituti della novazione, della transazione, della remissione, della compensazione, della confuzione e dell'impossibilit� sopravvenuta. La disciplina dell'obbligazione tributaria trova nelle norme speciali la sua fonte primaria. La stessa solidariet� � sempre dettata da norme specifiche e non discende dall'applicazione diretta dell'art. 1292. Lo stesso � a dirsi della prescrizione che ha nel corpus delle leggi tributarie una regolamentazione completa (sono note le dispute sorte riguardo alla applicabilit� del termine di prescrizione ordinaria e della prescrizione di giudicato dell'art. 2953 all'imposta di registro risolte negativamente sulla base della completezza della legislazione speciale in materia di registro, v. Relazione Avv. Stato, 1966-70, Il, 446). Ancor pi� evidente � l'autonomia di disciplina per quanto concerne i termini e i modi dell'adempimento, l'adempimento in via sostitutiva (sostituto di imposta), la mora del debitore (legge particolare sugli interessi), nonch� le responsabilit� sussidiarie ed i privilegi. Pi� ancora caratterizza l'obbligazione tributaria la non vincolativit� ~ I Il ~= PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 93 una volta venuta ad esistenza, dalla obbligazione di diritto privato, con la conseguenza che, in mancanza di specifiche deroghe stabilite dalle leggi tributarie, la disciplina dettata dal codice civile in materia di obbligazioni � direttamente applicabile anche ad essa. L'assimilazione dell'obbligazione tributaria a quella di diritto privato dipende dal fatto che, in base all'ordinamento vigente, non � possibile costruire due tipi diversi di obbligazione -quella di diritto privato e quella di diritto pubblico -aventi in comune uno schema generale, con la conseguente inapplicabilit� alla obbligazione di diritto pubblico della disciplina prevista dal codice civile per le obbligazioni di diritto privato. Come � stato posto in luce dalla prevalente dottrina, l'obbligazione costituisce, invece, un istituto generale che si attua e si manifesta in forme diverse in diritto pubblico e in diritto privato ed � soggetto alle stesse regole che, formulate tradizionalmente con riferimento alle obbligazioni di diritto privato, valgono per tutto il genus obbligazione, in entrambe le sue specie fondamentali di obbligazione privata ed obbligazione pubblica. degli atti compiuti dal creditore che normalmente ha il potere di modificare, correggere o rinnovare i provvedimenti adottati in merito all'accertamento e alla liquidazione del tributo (supplemento, rinnovazione dell'accertamento, modifica del concordato), indipendentemente da una ragione qualificata che giustifichi la liberazione del precedente vincolo. Tutto questo autorizza a porre il problema della correlazione tra le fonti in modo diverso: l'obbligazione tributaria � regolata in via primaria dalle norme specifiche tributarie e da principi generali desunti dal sistema tributario; rispetto ad essi le norme del cod. civ. hanno una funzione suppletoria, in quanto compatibili. Si deve cio� rovesciare la premessa, da cui parte la sentenza in esame, che le regole del cod. civ. siano sempre direttamente applicabili in mancanza di specifiche deroghe. � appena il caso di precisare che la differenza tra l'obbligazione tributaria e quella civile non si rinviene soltanto nella �fase genetica�, ma anche o soprattutto nella fase attuativa oltre che nel contenuto strutturale; non ha quindi rilevanza il problema, accennato ma non risolto (di cui omettiamo. ogni discussione in questa sede), del tempo della nascita della obbligazione nel momento del verificarsi del presupposto o a seguito, in uno stadio pi� o meno. avanzato, del procedimento di accertamento, perch� in ogni caso l'obbligazione tributaria, pur dopo la nascita, conserva la sua peculiarit�. In questo quadro va affrontato il non facile problema della trasmissione mortis causa del debito tributario nelle imposte indirette. Sul valore della norma dell'art. 16 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 sulle imposte dirette (cui corrisponde l'rat. 65 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) la disamina non pu� essere formalistica. Per buona parte le norme del primo titolo del t.u. del 1958 sono di portata generale almeno nei limiti della compatibilit� con altre imposte (anche perch� non esiste nessuna altra legge tributaria che contenga norme di questo tipo); il domicilio fiscale, la rappresentanza e assistenza del contribuente, le forme delle dichiarazioni, la definizione dell'accertamento e del concordato, le notificazioni, il computo dei termini, sono. '94 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'appartenenza di ambedue le specie ad un unico genus non toglie, _peraltro, che tra esse si riscontri una differenza fondamentale costituita dalla diversa posizione in cui le parti si trovano nella fase genetica del rapporto obbligatorio: di sostanziale eguaglianza in quelle di diritto privato (tanto che l'ordinamento prevede, per garantirla, norme volte alla tutela della parte economicamente pi� debole); di sostanziale diseguaglianza nelle obbligazioni di diritto pubblico, essendo uno dei soggetti del rapporto, la P.A., titolare di poteri autoritativi. Una volta, per�, che si sia esaurita la fase procedimentale, il cui atto conclusivo, costituente un provvedimento amministrativo, comporta la nascita o l'accertamento o la liquidazione della obbligazione di diritto pubblico, i poteri autoritativi della P.A. cessano e i soggetti del rapporto obbligatorio si trovano, come nel rapporto relativo ad un'obbligazione di diritto privato, in una posizione di uguaglianza. La richiamata differenza tra fase procedimentale e rapporto obbligatorio pu� assumere rilevanza o meno anche in tema di successione mortis causa al soggetto nei cui confronti si � verificato il presupposto tutti istituiti riferibili, con qualche adattamento, ad ogni specie di imposta, e d� non tanto per espresso riferimento legislativo (che non era possibile perch� le altre leggi tributarie erano in generale anteriori al t.u. del 1958) ma perch� �enunciano principi, da tempo riconosciuti, oggettivamente generali. Pertanto non ha valore la considerazione che il t.u., come legge delegata, non poteva dettare una nuova disciplina per imposte diverse da quelle dirette, perch� ben poteva, senza innovare, dare una definizione pi� precisa di principi preesistenti. Lo stesso art. 16, comma secondo e terzo, stabilisce delle regole, rapportabili a quelle del processo civile, di evideQ.tissima portata generale. Di conseguenza quando, in vista della stessa ratio di assicurare una rapida e sicura esazione dei tributi, si pone il problema se anche il primo comma dell'art. 16 .abbia portata generale e sia come tale applicabile alle imposte indirette non si fa minimamente una interpretazione analogica. 1'!. vero peraltro che non si pu� conferire all'art. 16 una validit� per le imposte indirette in modo acritico; � necessario verificare, cosa che la sentenza in rassegna non ha tentato, se dalle leggi che queste disciplinano emergano elementi di aggancio per giustificare la validit� della regola della solidariet� fra eredi per tutte le imposte. A tal fine bisogna preliminarmente considerare che, nei rapporti di diritto .comune, se pure per l'obbligazione semplice (art. 754) vale la regola della divisione del debito in ragione delle quote, per l'obbligazione solidale (quale � quella tributaria) la regola � ben diversa, perch� (art. 1295) la divisione ha luogo salvo patto contrario, il che per l'obbligazione tributaria che nasce dalla legge deve intendersi come salvezza di una diversa natura dell'obbligazione. Si � gi� visto che non pu� parlarsi rispetto all'art. 1295 e.e. di norma di diretta applicazione all'obbligazione tributaria che non possa essere derogata senza una disposizione espressa; bisogna ora aggiungere che la derogabilit� � un'ipotesi normale che non crea problemi di analogia. Per le imposte indirette se non esiste una norma simile a quella dell'art. 16 del t.u. delle imposte dirette, � perch� essa appare meno necessaria. Infatti PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 95 al quale la legge tributaria ricollega l'imposta, a seconda che si ritenga che l'obbligazione tributaria abbia come fatto costitutivo tale presupposto, riservandosi alla successiva fase procedimentale una funzione meramente determinativa o liquidativa, ovvero sorga solo per effetto dell'atto di accertamento, o, infine, venga ad esistenza solo nel momento terminale della fase procedimentale; e cio� quando essa sia esigibile o sia suscettibile di esecuzione forzata o sia idonea alla circolazione. Ove si ritenga, infatti, che l'obbligazione tributaria sia sorta gi� nel momento del verificarsi del presupposto del tributo, la disciplina della successione nel debito d'imposta deve essere ricavata, salvo espresse deroghe, da quella dettata dal codice civile per le obbligazioni di diritto privato, qualunque sia il momento, purch� ovviamente successivo alla realizzazione del presupposto di imposta, in cui il fatto costitutivo della successione si sia attuato. Qualora si ritenga, invece, che l'obbligazione tributaria nasca soltanto dopo l'inizio della fase procedimentale, in uno stadio pi� o meno avanzato di questa, di successione nel debito d'imposta, salvo deroghe espresse alla disciplina prevista dal codice civile, potr� parlarsi solo quando la successione ereditaria si sia aperta dopo la nascita dell'obbligazione tributaria. Se l'apertura della successione interviene prima di tale momento, mentre per le imposte dirette l'obbligazione tributaria si concreta in un puro e semplice debito pecuniario, per la maggior parte delle imposte indirette l'obbligazione svolge una funzione anche diversa da quella di procurare una entrata ovvero si affianca a fenomeni giuridici che la caratterizzano in modo diverso. Nelle imposte indirette, cio�, l'obbligazione, pur non potendo essere considerata indivisibile agli effetti dell'art. 1316, ha un carattere di unit�, varia� bile da tributo a tributo; che la differenzia dalla obbligazione del tributo diretto. i!. di tutta evidenza l'impossibilit� di adempimento parziale o frazionato delle imposte di bollo e di quelle ad esso assimilabili (tasse automobilistiche). I dazi doganali, le imposte di fabbricazione non possono essere mai divise e adempiute per quota, se si vuole realizzare il risultato di introdurre una merce nel territorio doganale o immettere in commercio un prodotto. Per le stesse sulle concessioni governative, il cui adempimento � condizione di efficacia degli atti cui sono riferite (art. 2 d.P.R. 1� marzo 1961 n. 121 ed oggi art. 8 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 641) non avrebbe senso il pagamento per quota. Per eseguire iscrizioni e trascrizioni sui registri immobiliari � necessario pagare per intero l'imposta dovuta per il titolo e non � configurabile una formalit� fatta per quota dietro adempimento per quota del tributo. Simili considerazioni valgono per le imposte sulle assicurazioni, per la tassa sulle radioaudizioni circolari, per i diritti erariali sugli spettacoli. In tutti questi casi una norma espressa sulla solidariet� fra eredi sarebbe inutile e ben pu� dirsi che nel sistema delle norme che disciplinano questi tributi � ins�to il principio contrario all'art. 1295. Meno evidente si presenta la� necessit� strutturale della solidariet� per l'imposta sull'entrata e oggi per l'imposta sul valore aggiunto. Per queste im� poste, per� l'adempimento, in via normale, ha luogo, specialmente per l'I.G.E., 8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 96 I si verifica soltanto la successione nel procedimento, alfine di evitare l'interruzione della sequenza procedimentale, e nelle conseguenti soggettive,. regolate dalle norme� tributarie. Posto, dunque, che l'obbligabione tributaria, una volta nata, deve ritenersi disciplinata, in linea di principio, anche per quanto riguarda la successione mortis causa nella posizione di debitore, dalle norme del codice civile, occorre prima di accertare se esistano norme di diritte> tributario che disciplinano in modo autonomo e diverso la vicenda della. successione nel debito d'imposta, far capo alle disposizioni contenute negli artt. 754, 1295 e 1318 cod. civ., le quali regolano la successione mortis causa nel lato passivo del rapporto obbligatorio con riferimento,. rispettivamente, all'obbligazione semplice, alla obbligazione solidale e alla obbligazione indivisibile. La prima di tali norme -applicabile alla obbligazione semplice ricollegandosi al principio romanistico nomina et debita hereditaria ipso� jure diciduntur, prevede, in deroga alla regola generale della solidariet�. tra condebitori posta dall'art. 1294 cod. civ., il frazionamento dei debiti del de cuius tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote anche; nei rapporti esterni con i creditori, i quali, perci�, possano pretendere immediatamente al verificarsi dell'atto economico, cosicch� un debito degli eredi pu� profilarsi solo sotto forma di repressione delle violazioni. In tal caso� la regola della solidariet� dovrebbe individuarsi in altre norme: l'obbligo di formare e conservare per cinque anni libri, j'egistri, bollettari ecc. e di esibirli ad ogni momento e l'obbligo di dimostrare con documenti l'assolvimento della. imposta su tutte le merci che si detengono e di essere in ogni momento in grado di giustificare la quadratura fra �gli acquisti fatti e le merci vendute o giacenti in magazzino (artt. 26 e 27 della legge 19 giugno 1940 n. 762), cio� gli obblighi fondamentali sui quali si impernia l'accertamento in via di repressione, si trasmettono sicuramente agli eredi i quali, oltre a rispondere delle relative pene pecuniarie, vengono ad essere addirittura coinvolti come contribuenti; e non sembra che in tale situazione possa pensarsi ad una responsabilit� per quota. Veniamo infine all'imposta di registro e all'imposta di successione che pi� direttamente interessano anche in relazione al caso deciso. Per l'imposta di successione si ragiona evidentemente non gi� dell'obbligazione che sorge a seguito dell'apertura della successione rispetto alla quale gli eredi sono i contribuenti sicuramente coobbligati, ma dell'obbligazione gi� sorta che si tra-� smette a seguito di una ulteriore successione. Anche per questi tributi si pone la stessa considerazione gi� fatta relativamente ai vari altri tributi, almeno rispetto all'imposta principale che � unica. Se l'imposta principale non � stata assolta in vita dal suo debitore, non sar� sicuramente possibile registrare un atto o una sentenza o soddisfare, con le connesse conseguenze vantaggiose, l'imposta di successione per quota; se si paga una sola quota l'atto non pu� essere registrato, perch� non � concepibile una registrazione parziale come non � possibile una regolarizzazione parziale dell'imposta sulla successione. Di conseguenza non solo non sar� possibile per nessuno degli eredi conseguire quegli effetti che la registrazione opera, ma PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 97 da ogni singolo erede non gi� l'intera prestazione, ma soltanto quella parte di essa corrispondente alla sua quota di eredit�. La seconda norma, derogando anch'essa alla citata regola generale stabilita dall'art. 1294 cod. civ., contiene una disciplina analoga con riferimento all'obbligazione solidale, disponendo che, salvo patto contrario, quest'ultima si divide tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote; con la conseguenza che -sia che si ritenga che, per effetto della morte di uno dei. condebitori solidali, si verifichi, sia pure limitatamente a costui, l'estinzione della solidariet�, la quale permane soltanto nei rapporti con i de.bitori originari, sia che pi� esattamente si ritenga che la solidariet� non cessa con la morte di uno dei debitori in solido, ma si modifica soltanto quantitativamente nei rapporti con i suoi eredi, nel senso che, pur permanendo il vincolo solidale, nei confronti di costoro si ha una limitazione quantitativa, per cui ciascun coerede rimane obbligato solidalmente con i condebitori originari solo fino alla concorrenza della propria quota ereditaria -il creditore pu� esigere dal singolo erede del condebitore solidale soltanto quella parte dell'intera prestazione che corrisponda alla quota ereditaria di costui. L'ultima norma, dettata in relazione alle obbligazioni indivisibili, dispone, infine, che l'indivisibilit� opera anche nei confronti degli eredi, per cui, essendo applicabile (art. 1317 cod. civ.) alle obbligazioni indivi saranno tutti soggetti al dovere di adempiere l'intera obbligazione. Ci� del resto ben si spiega perch� della registrazione come del pagamento dell'imposta di successione profittano tutti e tutti vi hanno interesse. Se, nel caso di un atto pubblico, magari soggetto ad approvazione od omologazione, sopravviene la morte del contraente dopo la stipulazione e prima della registrazione, la registrazione sar� richiesta dall'Ufficiale rogante nell'interesse degli eredi, i quali saranno responsabili in solido ex art. 93 n. 1 dell'abrogata legge di registro; e se, caso che pu� pi� frequentemente verificarsi, negli atti sottoposti a condizione sospensiva sopravviene la morte del contraente si che dell'avveramento della condizione profittano gli eredi, questi sono obbligati in solido per l'espressa norma dell'art. 93 n. 4. Per le scritture private e le sentenze non ancora registrate al momento della morte dell'autore, parti interessate (art. 82 primo comma) e parti istanti -o che fanno uso della sentenza (art. 93 n. 2) sono evidentemente tutti gli eredi. La solidariet� anche fra eredi � dunque una necessit� pratica espressamente disciplinata ,almeno relativamente all'imposta principale. Ma se cos� �, non pu� essere diversa la soluzione da dare per l'imposta complementare che ha la stessa identica natura; non potrebbe seriamente giustificarsi un pi� favorevole trattamento del debitore come premio per non aver fatto una denuncia fedele dei valori. Ma la conclusione non potrebbe essere diversa anche per l'imposta suppletiva che, se pur soggetta ad un diverso regime per taluni effetti, � pur sempre una parte dell'unico tributo; la solidariet� � una caratteristica struttu rale della obbligazione e non dipende mai dai modi in cui si realizza l'adempi� mento. Del resto nei casi esaminati dagli artt. 80 e 93 n. l, n. 2 e n. 4 (oggi art. 54 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634) la solidariet� riguarda l'imposta di registro in qualunque modo riscossa. Pertanto poich� � incontestabile che in varie 98 RASSEGNA DELI..'AVVOCATURA DEILO STATO sibili la disciplina delle obbligazioni solidali, il creditore pu� pretendere da ciascuno degli eredi del debitore originario l'intera prestazione con l'effetto che l'adempimento di costui determina la liberazione degli altri eredi del vincolo obbligatorio. Quest'ultima norma � certamente inapplicabile all'obbligazione tributaria, dovendo escludersi che questa possa essere classificata tra le. obbligazioni indivisibili. Sono tali, secondo la definizione che di questo tipo di obbligazioni detta l'art. 1315 cod. civ., quelle obbligazioni nelle quali la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto non suscettibile di divisione per sua natura o per il modo in cui � considerata dalle parti, nelle ipotesi di obbligazioni nascenti da contratto -o dal giudice nelle ipotesi di obbligazioni aventi la loro fonte in un procedimento giurisdizionale -o dalla legge, nelle ipotesi di obbligazioni legali. L'obbligazione tributaria, ayendo per oggetto una somma di danaro, �, invece, una obbligazione pecuniaria e, come tale, ha come contenuto una prestazione per sua natura divisibile. Quale tipica obbligazione nascente dalla legge, essa non � poi considerata da alcuna norma come indivisibile, mancando nelle leggi tributarie una disposizione che la qua- ipotesi, e soprattutto per l'imposta principale, la solidariet� caratterizza anche l'obbligazione degli eredi, si deve concludere che essa vale in ogni caso ed � connaturale al tributo, si che opera in tutta l'ampiezza per queste imposte come per le altre imposte indirette la regola dell'art. 16 del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645. Un ultimo argomento a riprova di quanto esposto si pu� desumere dall'art. 19 della legge 7 gennaio 1929 n. 4. In base a questa norma il successore a titolo particolare in una azienda industriale o commerciale � obbligato in solido con il suo autore al pagamento dei tributi e degli accessori relativi all'azienda entro determinati limiti di tempo; ed � evidente che se i successori per atto tra vivi nell'azienda sono pi� di uno essi rispondono in solido fra loro, se non altro a norma dell'art. 1294 e.e. Questa regola vale per tutte le imposte ma soprattutto per le imposte indirette sia perch� una norma simile si trova nel t.u. sulle imposte dirette (art. 197 trasformato nel d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 -artt. 66 e 80 -nella pignorabilit� presso l'azienda ceduta dei beni mobili ed immobili), sia perch� la repressione delle violazi�ni e l'applicazione delle pene pecuniarie concerne principalmente le imposte indirette. Ora se una norma di simile natura non si rinviene specificamente per l'ipotesi di successione nell'azienda a titolo universale, ci� � perch� gi� esiste una regola che prevede una pi� ampia e non limitata successione. Non si pu� pensare che quando due o pi� estranei subentrano nell'azienda per atto tra vivi debbano rispondere dei debiti tributari in solido fra loro e con l'autore, mentre quando due o pi� eredi subentrano nell'azienda mortis causa siano esenti da solidariet� e rispondono dei debiti solo nei limiti della quota. La norma dell'art. 19 evidentemente presuppone per la successione mortis causa una responsabilit� degli eredi non minore di quella attribuita ai cessionari, cos� come l'art. 197 del t.u. sulle imposte dirette presuppone l'art. 16. C. BAFILE !, 11 f: ~ ~ <�'.�'.�'.�:�'.�'."�:�:�:�:~-:�:�:�'�:�:�:�:�:�:�:�:�:�:�z�z�z�zc�:�z�zc�:�z�z�z�:w.�.�.-.�.�.�.�.�.-.-.�.�.�.�.-.-.-.-.-.-.-.-.�,.,,.�.�.�.�.�.�.�.-.�.-.�.�. �I PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA lifichi tale ed esistendo anzi alcune disposizioni -come quelle che, sia, come regola generale, in materia di imposte dirette, sia, con carattere facoltativo, in materia di imposte indirette, prevedono il pagamento rateale del tributo o consentono al debitore di una imposta diretta di estinguere parzialmente l'obbligazione, le quali confermano il caratter(;! di obbligazione divisibile che le � proprio per la natura della sua prestazione. II contrario, com'� noto, fu sostenuto in passato da autorevole dottrina con riferimento alla disposizione contenuta nel penultimo comma dell'art. 24 del t.u. 17 ottobre 1922, n. 1401, sulla riscossione delle imposte dirette; a norma della quale ciascuna partita di ruolo faceva carico non solo al soggetto cui era intestata, ma a ciascuno dei suoi eredi a' termini del n. 3 dell'art. 1305 cod. civ. del 1865 (corrispondente all'art. 1315 del codice vigente), salvo il regresso contro i coobbligati giusta l'ultimo comma dello stesso articolo. Dall'anzidetta disposizione si ritenne di poter desumere il principio di ordine generale, applicabile a tutta la materia tributaria, che l'obbligazione d'imposta dovesse considerarsi, riguardo agli eredi, come un'obbligazione non suscettibile di divisione, con la conseguenza che ciascun coerede doveva ritenersi tenuto al pagamento dell'intera imposta. A tale tesi, la quale era gi� opinabile anche con riferimento al citato art. 24 del t.u. n. 1401 del 1922, � ora, comunque, venuto meno il rapporto di una norma di diritto positivo, giacch� la norma citata � stata abrogata in virt� dell'art. 288 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, ed � stata sostituita dall'art. 16 del medesimo testo unico del 1958 e, in seguito alla recente riforma tributaria, dall'art. 65 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 600, contenente le disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi. Con queste norme, le quali non hanno riscontro in alcuna altra disposizione delle vigenti leggi tributarie, l'esigenza di assicurare la garanzia del fisco in caso di morte. del contribuente � stata assicurata, invece che attraverso una finzione di indivisibilit� dell'obbligazione tributaria sia pure soltanto nei rapporti con gli eredi del soggetto passivo, mediante la previsione di una responsabilit� solidale tra i medesimi eredi. N� il fatto che le dette norme deroghino alla gi� ricordata regola di diritto comune -secondo cui l'obbligazione, sia essa originariamente semplice, sia essa originariamente solidale, si fraziona tra gli eredi del debitore in proporzione delle rispettive quote anche nei rapporti con il creditore, pu� essere interpretato, come pure � stato sostenuto in dottrina in epoca pi� recente, come espressione della volont� del legislatore di considerare l'obbligazione tributaria come indivisibile, dal momento che, in base all'ordinamento vigente, quella che tra le obbligazioni solidali, che, per principio generale, � tale anche nei confronti degli eredi � proprio l'obbligazione av~nte il carattere dell'indivisibilit� (art. 1318 cod. civ.). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A prescindere dalla considerazione che quello della solidariet� non � un carattere costante dell'obbligazione tributaria, sembra decisivo il rilievo che l'identit� dL disciplina cui le obbligazioni solidali e quelle indivisibili sono soggette (nel senso peraltro che la disciplina propria delle prime si estende, in conformit� a quanto dispone l'art. 1317 cod. civ., alle seconde, nei limiti della compatibilit� e salve le disposizioni contenute negli artt. 1318, 1319 e 1320 cod. civ.) non pu� far venir meno le peculiari differenze esistenti, sul piano strutturale e su quello funzionale, tra le due categorie di obbligazioni. Conseguentemente, come l'estensione della disciplina delle obbligazioni solidali alle obbligazioni indivisibili non trasforma queste ultime in obbligazioni solidali, cos� l'applicabilit�, disposta da una norma concernente l'obbligazione tributaria solidale, di una norma, come quella contenuta nell'art. 1318 cod. civ. dettata in materia di obbligazioni indivisibili in deroga alla disciplina propria delle obbligazioni indivisibili a convertire in obbligazione indivisibile un'obbligazione che, per la sua struttura e la sua funzione, � un'obbligazione solidale. D'altra parte, non sembra inopportuno ricordare che la giurisprudenza di questa Corte Suprema, formatasi in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale 16 maggio 1968, n. 48, � ormai costante nel ritenere che, in mancanza di una espressa norma di diritto positivo che sancisca l'unitariet� e l'inscindibilit� dell'obbligazione solidale tributaria, anche per questo valga il principio generale cui nell'obbligazione assunta da pi� soggetti in solido si ha una pluralit� di obbligazioni aventi un'unica causa. Alla norma anzidetta, in quanto derogatoria .della disciplina generale delle obbligazioni solidali,_ non pu� non attribuirsi, perci�, la qualificazione di norma eccezionale, con la conseguente inapplicabilit� di essa, per il divieto dell'analogia sancito dall'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, al di fuori dei casi in essa previsti. Accertato che, ove non esistessero disposizioni diverse nelle leggi tributarie, la disciplina della successione ereditaria nel debito d'imposta dovrebbe ricavarsi, in relazione alla natura dell'obbligazione tributaria, dalle disposizioni contenute negli artt. 754 e 1295 cod. civ., con la conseguenza che il debito d'imposta dovrebbe frazionarsi tra i coeredi in proporzione delle rispettive quote anche nei confronti della P.A. creditrice, deve stabilirsi se l'art. 16, primo comma del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, secondo cui gli eredi rispondono in solido delle obbligazioni tributarie del soggetto, contenga o meno un principio generale applicabile, in deroga alla disciplina� dettata per le obbligazioni a tutte le obbligazioni tributarie. Ora, � da osservare -anzitutto -che la norma in esame si trova inserita nel titolo I del testo unico avanti citato, le cui disposizioni, come espressamente stabilisce l'art. 1 del medesimo testo unico, si applicano PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA alle imposte dirette regolate da quest'ultimo (imposte sul reddito dominicale dei terreni, sul reddito agrario, sul reddito dei fabbricati, sul red �dito di ricchezza mobile, complementare progressiva sul reddito complessivo, sulle societ� e sulle obbligazioni); nonch�, in forza del richiamo �contenuto nell'art. 271 del testo unico, anche all'avocazione dei profitti eccezionali di contingenza di cui all'art. 1 della legge 23 dicembre 1948, n. 1451. In base alla surriferita disposizione della'rt. 1 del testo unico n. 645 del 1958 l'ambito di applicazione del principio in questione risulta, perci�, espressamente circoscritto alle imposte dirette sopraindicate e alla avocazione dei profitti eccezionali di contingenza, per cui deve escludersi che di tale principio possa farsi applicazione diretta e immediata rispetto .ad imposte diverse e, in particolare, alle imposte indirette. In aggiunta al suesposto argomento -di per s� decisivo -fondato sulla disposizione dell'art. 1 del testo unico pi� volte citato, pu� rilevarsi <:he la norma del primo comma dell'art. 16 � compresa in un testo unico di leggi sulle imposte dirette, emanato in base alla norma di delega contenuta nell'art. 63 della legge 5 gennaio 1956 n. 1, in virt� della quale il Governo della Repubblica fu autorizzato ad emanare testi unici concernenti le diverse imposte dirette, le relative disposizioni generali e le norme sulla riscossione delle medesime imposte, liminando le disposizioni in <:ontrasto con i principi contenenti nella legge 11 gennaio 1951, n. 25, e nella stessa legge n. 1 del 1956 ed apportando, oltre alle modifiche utili per un miglior coordinamento, quelle necessarie per l'attuazione dei seguenti criteri: 1) adattamento delle disposizioni all'esigenza di semplifi�azione nell'applicazione dei tributi ed a quella di una razim1ale organizzazione dei servizi; 2) perfezionamento delle norme concernenti l'attivit� dell'Amministrazione finanziaria ai fini dell'accertamento dei redditi. Il testo unico emanato in base a tale norma di delega -pur non .appartenendo alla categoria dei testi unici di mera compilazione (nei quali com'� noto, la forza di legge delle singole norme in essi raccolte resta ancorata alle leggi dalle quali le norme stesse sono state tratte), ma a quelle dei testi unici innovativi, aventi natura di leggi delegate, pu� quindi, legittimamente contenere norme non esistenti nelle leggi o negli atti aventi efficacia di legge in vigore prima della sua emanazione, ma le nuove norme da esso introdotto (tra le quali quella di cui al dtato art. 16) dovevano essere mantenute nell'ambito dell'oggetto e dei principi e criteri direttivi fissati nella norma di delega. Ora, � evidente che esulava in modo assoluto dai poteri attribuiti al legislatore delegato l'emanazione di norme contenenti principi di applicazione generale a tutta la materia tributaria i quali non fossero gi� desumibili dal sistema delle leggi fiscali allora vigenti. RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Ci� che pu� dirsi per tutte quelle disposizioni del titolo I del testo unico delle leggi sulle imposte dirette che enunciano principi come quello della territorialit� dell'imposta (art. 6) o come il divieto della doppia imposizione, ritenuti dalla dottrina e dalla giurisprudenza gi� immanenti nell'ordinamento previgente. Per altre disposizioni, come quelle in materia di notificazione di avvisi e di altri atti del procedimento tributario o. di quello dinanzi alle commissioni contenute nell'art. 38, il carattere di principi generali � stato riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema (v. tra le altre, sent. 13 febbraio 1969, n. 490; sent. 16 dicembre 1966, n. 2947, 2948 e 2949; sent. 25 maggio 1966, n. 1352 e 1360) in base al richiamo all'art. 89 del r.d. 11 luglio 1907, n. 560, sull'imposta di ricchezza mobile -avente un contenuto sostanzialmente analogo a quello del citato art. 38 -fatto dagli artt. 97, 99, 102 e 105 dello stesso r.d. n. 560 del 1907 per le imposte dirette diverse da quella ricchezza mobile nonch� al rinvio al medesimo articolo disposto, per le imposte indirette, dal r.d. 7 agosto 1936, n. 1639. Se deve ritenersi, quindi, che le disposizioni contenute nel titolo I del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, non hanno, di per s�, carattere di principi generali applicabili in via diretta e immediata a tutta la materia tribu taria, non pu� escludersi, tuttavia, che le stesse disposizioni possano essere applicate in via analogica anche rispetto ad imposte diverse da quelle dirette previste dal medesimo testo unico, nei limiti -ben s'in tende -in cui l'analogia � consentita dall'ordinamento. L'analogia, quale procedimento di autointegrazione dell'ordinamento giuridico, presuppone -come � noto -da un lato, una lacuna, cio� la mancanza di una norma della diretta applicazione della quale possa ricavarsi la disciplina del caso concreto, e, dall'altro, che tra quest'ultimo e il caso direttamente disciplinato dalla norma vi sia un rapporto di somiglianza giuridica fondato sull'identit� della ratio, vale a dire della situazione di fatto decisiva per il trattamento giuridico. L'applicazione analogica � poi vietata rispetto alle norme eccezio nali, cio� a quelle norme che derogano ad una norma generale appli cabile alle generalit� dei casi, disciplinando un caso in modo diverso da quello in cui sarebbe regolato se la norma eccezionale non esistesse. In base, appunto, all'analogia, anche se impropriamente si � affermato trattarsi di interpretazione estensiva, questa Corte Suprema ha, recentemente, ritenuto (sent. 10 settembre 1974, n. 1451) applicabile anche alle imposte indirette la norma, contenuta nell'art. 35 del testo unico� delle leggi sulle imposte dirette, sulla modificabilit� del concordato tributario per sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, avendo riguardo sia alla ricorrenza, anche rispetto alle imposte indirette, dell'esigenza, costituente la ratio della norma, che l'accertamento dell'imposta corrisponda all'effettiva entit� della base imponibile, sia alla natura del concordato PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tributario, identica per qualunque categoria di imposta, di atto unilaterale dell'Amministrazione con il quale, con l'adesione del contribuente, si provv~de alla determinazione della base imponibile. L'applicazione analogica della norma contenuta nell'art. 16, primo comma, del testo unico pi� volte citato, ad imposte diverse da quelle disciplinate dal medesimo testo unico, ed, in particolare, alle imposte indirette, � invece, impedita sia dalla mancanza di una lacuna normativa, sia dal carattere di norma eccezionale che � stato riconosciuto alla stessa norma. Sotto il primo profilo, richiamandosi quanto si � gi� avuto occasione di rilevare in ordine alla disciplina dell'obbligazione tributaria, quale particolare species del genus obbligazione regolata dalle norme dettate da codice civile, in relazione alle obbligazioni di diritto privato, va osservato che la successione ereditaria nel debito d'imposta trova la sua diretta disciplina, salve espresse disposizioni difformi contenute in specifiche norme tributarie, nelle disposizioni di cui agli artt. 754 e 1295 cod. civ. L'esistenza di disposizioni di legge che regolano direttamente la vicenda della successione ereditaria nel debito di imposta fa venir meno, perci�, uno dei presupposti essenziali dell'analogia. N� rileva che le anzidette disposizioni, derogando al principio fondamentale sancito dall'art. 1294 cod. civ. in tema di obbligazioni solidali passive, abbiano carattere ecc~zionale, giacch� tale carattere � di ostacolo alla sua applicazione analogica, ma non ne pu� evidentemente impedire l'applicazione diretta. N� � pertinente il richiamo fatto in proposito dall'Amministrazione ricorrente alla autonomia strutturale e funzionale del diritto tributario. Le leggi tributarie invero, possono forgiare in modo autonomo, per finalit� loro proprie, istituti peculiari di altri rami del diritto come nel caso in cui, ponendo a base dell'imposta un negozio di diritto privato, ne determinano la struttura e ne qualifichino gli effetti in difformit�, dai principi del diritto privato. Ed � evidente che, in ogni caso di difformit� tra le norme tributarie e quelle di diritto privato, le prime debbano avere prevalenza sulle seconde. Tutto ci� ha, per�, come indefettibile presupposto che la norma tributaria detti una propria disciplina difforme da quella del diritto privato o dell'altro ramo del diritto cui l'istituto richiamato appa~tiene. Presupposto che, per quanto riguarda la successione ereditaria nel debito, ricorre come si � dimostrato pi� sopra, sol� tanto per le imposte dirette disciplinate dal t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, ed �, invece, da escludere, in particolare, in relazione alle imposte indirette. Sotto il secondo profilo, � da rilevare che la norma in esame deroga al principio generale accolto dal vigente ordinamento in materia di successione ereditaria nel debito, del frazionamento di quest'ultimo tra gli eredi del debitore originario in proporzione delle rispettive quote anche RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nel rapporto con il creditore, sicch� trattandosi di una norma eccezionale, alla sua applicazione analogica oltre l'ambito delle imposte dirette regolate dal t.u. n. 645 del 1958, osta il divieto di cui all'art. 14 delle preleggi. A conclusioni diverse da quelle avanti indicate non possano indurre infine, le considerazioni, prospettate dall'Amministrazione ricorrente, che anche rispetto alle imposte indirette ricorre l'esigenza, che costituisce la ratio della disposizione di cui al pi� volte citato primo comma dell'art. 16 del testo unico delle leggi sulle imposte indirette, di assicurare una rapida e sicura esazione dei tributi anche nei confronti degli eredi del contribuente e che la disparit� di trattamento tra gli eredi dei soggetti passivi delle due categorie di imposte non non avrebbe alcuna giustificazione razionale. Riguardo alla prima � sufficiente osservare che la sussistenza di una identit� di ratio avrebbe potuto assumere rilevanza qualora fosse stata ammissibile -il che si � invece escluso -l'applicazione analogica della disposizione richiamata anche alle imposte indirette. Quando alla dedotta disparit� di trattamento derivante dall'applicazione delle diverse discipline della successione nel debito d'imposta in relazione alle due categorie di imposte non deve rilevarsi altro che tale disparit� di trattamento -qualora, come sembra, non possa essere razionalmente giustificata con riferimento alle peculiari caratteristiche di ciascuna delle anzidette categorie d'imposta, potrebbe dar luogo al sospetto dell'illegittimit� costituzionale dell'art. 16, primo comma, del t.u. 29 gennaio 1958 n. 645 per contrasto con il principio d'eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, ma non potrebbe certamente rendere applicabile la medesima disposizione anche sulle imposte indirette. In conclusione, il ricorso, essendo infondato, deve essere rigettato. {Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 ottobre 1975, n. 3493 -Pres. Rossi . Est. Sandulli -P. M. Gentile (conf.) -Cordopatri (avv. Mazzei) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salto). Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Azione in sede ordinarla . Termine � Decorrenza � Decisione della Commissione Centrale che risolve una questione preliminare � Successiva decisione di altra commissione che esaurisce il rapporto tributario � Decorrenza dall'ultima decisione � Decisione definitiva � Nozione � Decisione che rigetta l'eccezione di prescrizione � Non � tale � Successiva pronuncia di merito � Impugnazione di ambedue le decisioni -Ammissibilit�. (d. I. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 22 e 31; r. d. 30 dicmbre 1923, n. 3269, art. 136; r. d. 30 dkembre 1923, n. 3270, art. 94). Il principio stabilito nell'art. 22 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 per le imposte dirette � di portata generale ed applicabile anche alle in;iposte PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 105 indirette, s� che il termine semestrale per la proposizione dell'azione ordinaria decorre solo in relazione alla decisione definitiva che esaurisce il rapporto tributario; conseguentemente la decisione della Commissione Centrale che risolve una questione preliminare (nella specie di prescrizione) e rimette per il merito alla Commissione provinciale pu� essere impugnata unitamente alla decisione di quest'ultima Commissione nel termine semestrale rispetto a questa decorrente (1). (Omissis). -Con il primo motivo, il ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione dell'art.. 94 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, in relazione agli .artt. 53 del r.d. 24 agosto 1877, n. 4021, 22 e 29 del r.d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, convertito in legge 7 giugno 1937, n. 1016, �e la violazione degli artt. 31, comma quarto, del r.d.l. n. 1639 del 1936 ed 86, comma secondo, del r.d. n. 3270 del 1923 -sostiene che l'azione giudiziaria da lui promossa non fosse inammissibile, riguardo alla questione della prescrizione della pretesa tributaria (fatta valere oltre tre anni dopo la denuncia di successione), per decorrenza del termine decadenziale di sei mesi dalla notifica della decisione della Commissione �Centrale delle imposte, previsto dall'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923, trovando applicazione anche in materia di imposte indirette il principio (fissato per le imposte dirette) della impugnabilit� delle decisioni parziali .congiuntamente con quelle definitive. (1) Sull'impugnazione delle decisioni parziali delle Commissioni tributarle. La decisione ha risolto, in modo che desta serie perplessit�, una questione -che pu� presentarsi anche nel nuovo ordinamento del contenzioso. Innanzi tutto si deve precisare che non � stata esattamente determinata la questione da decidere; meglio enunciando i termini della controversia forse il problema affrontato non potrebbe presentarsi. Il problema era se una decisione della Commissione Centrale che rigetta una eccezione di prescrizione, in materia di imposte indirette, potesse passare in giudicato mentre sullo stesso rapporto di imposta pendeva per la decisione �di merito altro giudizio innanzi alla Commissione provinciale e quindi se la parte per evitare il giudicato dovesse subito proporre nel termine semestrale l'azione in sede ordinaria ovvero (il problema dovrebbe presentarsi negli stessi termini) il ricorso per cassazione nel termine di 60 giorni; o potesse (o dovesse) attendere la decisione ulteriore di merito della Commissione provinciale (ulteriormente impugnabile) s� da svolgere con un unico atto i rimedi contro tutte le decisioni pronunciate nel medesimo rapporto. Ora bisogna rilevare che, in materia di imposte indirette, la Commissione �centrale, nell'ormai abrogato ordinamento, era giudice di appello; non poteva quindi darsi il caso di una decisione della Commissione .centrale che risolvesse una questione preliminare senza definire il giudizio e che sulla questione di merito dovesse pronunziarsi la Commissione provinciale in sede di rinvio. Evidentemente non � a parlarsi di rinvio rispetto alla decisione di appello, ed � <lei pari evidente che il giudice di appello, dopo la risoluzione della questione 106 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO La tesi merita adesione. Il problema che si pone � se sia (o meno) ammissibile l'azione giudiziaria proposta in ordine ad una questione preliminare di merito (prescrizione della pretesa tributaria), decisa, in materia di imposte indirette (nella specie, imposta di successione), da una pronuncia del�a Commissione centrale delle imposte, dopo il decorso del termine di sei mesi dalla notifica di questa, di cui all'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923 (legge tributaria sulle successioni), e successivamente alla definizione del rapporto tributario, e cio� delle questioni sostanziali di merito (nella specie, estraneit� alla massa ereditaria del cespite controverso -suolo edificatorio -per simulazione del negozio di trasferimento), da parte della Commissione Provinciale delle imposte in sede di rinvio. In base all'indirizzo seguito dalla Corte del merito -potendo l'azione giudiziaria essere promossa, in tema di imposte indirette, indipendentemente dal preventivo esperimento dei ricorsi amministrativi fino alla decisione definitiva che condiziona il promoviment� dell'azione giudiziaria esclusivamente in materia di imposte dirette -la domanda giudiziale, proposta, in ordine ad una questione preliminare di merito (prescrizione della pretesa) decisa da una pronuncia della Commissione centrale delle imposte, dopo la definizione del rapporto tributario da parte della Commissione provinciale in sede di rinvio, e, quindi, successiva- preliminare, decide anche il merito definendo sempre il giudizio s� che non pu� ipotizzarsi uno sdoppiamento in due diverse sedi dell'unico giudizio. Nel caso di specie la pronuncia della Commissione provinciale dopo quella della Commissione centraie si � avuta o perch� le due questioni di prescrizione e di merito erano state oggetto di due diversi ricorsi o perch�, in modo evidentemente errato, la Commissione centrale (di appello) P.a in effetti annullato con rinvio (al che si sarebbe dovuto rimediare con il ricorso per Cassazione). Nella situazione normale, per�, non si poteva verificare, per le imposte indirette, una possibilit� di annullamento con rinvio. Tuttavia il problema, anche se non in riferimento all'annullamento con rinvio, esiste egualmente, sia in relazione a pi� decisioni dello stesso giudice, sia in relazione alle ipotesi di remissione al primo giudice (art. 353 e 354 c.p.c.). La norma contenuta nell'art. 22 del d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 per le imposte dirette non pu� essere invocata per risolvere il problema. Questa norma infatti � diretta non a consentire la procrastinazione della proposizione della domanda in sede ordinaria, ma al contrario a vietarne la proposizione (giurisdizione condizionata) prima che sia intervenuta una decisione definitiva almeno in un grado; in mancanza di questo divieto, per le imposte indirette, non pu� trasportarsi tal quale questa norma per trarne l'effetto opposto. Per le imposte dirette nel precedente ordinamento si realizzava il principio della concentrazione del procedimento, giacch� entro il termine di decadenza dovevano essere proposte contro l'accertamento (o eventualmente contro il ruolo) tutte le questioni possibili s� che con una sola decisione doveva necessariamente attuarsi la definizione dell'obbligazione di imposta; di conseguenza una volta stabilito che l'azione in sede ordinaria non poteva proporsi prima che intervenisse una - PARTE I, SBZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 107 mente alla decorrenza del termine decadenziale fissato dall'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923, dovrebbe considerarsi inammissibile. Secondo la tesi del ricorrente -valendo anche in materia di imposte indirette (nel cui ambito rientra l'imposta di successione) il principio generale fondamentale dell'ammissibilit� dell'impugnativa soltanto contro le decisioni definitive, stabilito dall'art. 22, comma secondo (rectius: comma quarto), del r.d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 -le decisioni delle commissioni tributarie, emesse, in materia di imposte indirette, su singole questioni di merito e non espressamente assoggettate ad onere di gravame immediato, possono essere legittimamente impugnate congiuntamente (e, quindi, successivamente) alla decisione definitiva della commissione amministrativa che esaurisce il rapporto tributario. Fra le due antitetiche proposizioni del dilemma, questa Corte ritiene di doversi orientare nel senso della soluzione profilata dal ricorrente. I giudici del merito -pur muovendo dall'esatto principio giuridico della possibilit� per l'autorit� giudiziaria di giudicare su controversie in materia di imposte indirette anche in difetto di previo esperimento di ricorso alle Commissioni tributarie -sono pervenuti, attraver~o un non conseguente processo logico-giuridico, alla conclusione che, in or<lipe alle controversie in materia di imposte indirette, le decisioni su singole que tale definizione dell'obbligazione, era di tutta coerenza prevedere che occorresse una decisione definitiva (nel senso che contiene il regolamento conclusivo del rapporto sostanziale tributario), essendo evidente l'insufficienza ai fini della giurisdizione condizionata di una decisione preliminare, di rito o di merito, che postula la prosecuzione del processo nello stesso o in altro grado. Per questa ragione l'art. 22 condizionava la proponibilit� della azione ordinaria anche alla iscrizione a ruolb dell'imposta (un tempo l'iscrizione a ruolo era il necessario presupposto della domanda, successivamente, dopo la parziale dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma, la proposizione poteva essere differita fino alla iscrizione a ruolo definitiva senza essere ad essa condizionata. -Cass. 18 aprile 1974, n. 1054, in questa Rassegna 1974, I, 1232), sulla premessa che la decisione definitiva dovesse consentire l'iscrizione a ruolo; non avrebbe avuto nessun significato il considerare. rilevante ai fini della proponibilit� della domanda una decisione preliminare che non consentisse l'iscrizione a ruolo. La ratio dell'art. 22 era anche quella di impedire la contemporanea pendenza della stessa controversia innanzi alle Commissioni e .innanzi all'A.G.O. a causa della diversit� di materia che i due giudizi potevano avere (estimazione semplice) e dell'impossibilit� di considerare assorbito nel giudizio ordinario il procedimento innanzi alle Commissioni. Ma rispetto alle imposte indirette per le quali non vale la regola della giurisdizione condizionata, non si verifica il principio della concentrazione (sia a causa della separazione tra controversia di valutazione e controversie di imponibilit� sia causa della inesistenza per queste ultime di un termine di decadenza, � del tutto normale che sullo stesso rapporto di imposta si instaurino pi� procedimenti contenziosi in tempi diversi e in sedi diverse), e 108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stioni di merito, debbano, per evitare di divenire irretrattabili, essere impugnate immediatamente e non gi� dopo la decisione definitiva della Commissione amministrativa esaurente il rapporto tributario, con l'implicazione della necessit� di una duplice impugnazione, riguardo alla stessa controversia, dovendosi ex necessitate adire l'autorit� giudiziaria una prima volta per la singola questione (preliminare) decisa ed una seconda volta per le questioni sostanziali di merito, e con l'ulteriore conseguenza che la prima di tali impugnative debba svolgersi innanzi al giudice ordinario in pendenza della controversia, afferente alla questione di diritto sostanziale, innanzi alla commissione tributaria in sede di rinvio. Ai fini della disamina del problema delineato, le questioni da affrontare sono, quindi, quelle relative ai connotati, formali e sostanziali, della decisione definitiva nel procedimento tributario ed alla necessit� della impugnazione immediata delle decisioni parziali, emesse in controversie insorte in materia di imposte indirette. Per ragioni di priorit� logica, va esaminata, in via preliminare, la seconda. In ordine al tema relativo alla disciplina unitaria (o meno) del procedimento di formazione del giudicato riguardo alle decisioni delle comnon vi � ragione per impedire la simultanea pendenza della stessa controversia innanzi alle Commissioni e innanzi all'A.G.O. (che si risolve nell'assorbimento nel giudizio ordinario del procedimento innanzi alle Commissioni: Cass. 21 febbraio � 1973 n. 515, Rass. Avv. Stato, 1973, I, 274; 17 ottobre 1973, n. 2609, Riv. Leg. Fisc., 1974, 604), non pu� essere invocata, la norma dell'art. 22 per la radicale diversit� di struttura del processo. N� vale il richiamo all'art. 31 del d.l. n. 1639 del 1936 che estende alle imposte indirette soltanto le norme relative al procedimento innanzi alle Commissioni, perch� sono invece regolati in modo completo ed autonomo i rapporti tra giudizio innanzi alle Commissioni a azione in sede ordinaria dall'art. 22 per le imposte dirette e dall'art. 29 per quelle indirette. E se ai fini della notificazione della decisione della Commissione Centrale si � potuta stabilire una omogeneit� di disciplina (Cass. 7 aprile 1972, n. 1041 e 25 gennaio 1975, n. 278, in questa Rassegna, 1973, I, 193 e 1975, I, 557), ci� non autorizza una generalizzazione estesa anche a situazioni profondamente diverse. Ma sopratutto l'art. 22 �, come si � visto, inteso a condizionare l'azione in sede ordinaria s� che � evidentemente necessario che finch� l'azione � temporaneamente improponibile non possa essere soggetta a decadenza; questo non avviene di certo per le imposte indirette per le quali l'azione ordinaria pu�� essere sempre proposta in quaiunque momento, prima o in pendenza del procedimento innanzi alle Commissioni fino a quanto non si � formato il giu108 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO stioni di merito, debbano, per evitare di divenire irretrattabili, essere impugnate immediatamente e non gi� dopo la decisione definitiva della Commissione amministrativa esaurente il rapporto tributario, con l'implicazione della necessit� di una duplice impugnazione, riguardo alla stessa controversia, dovendosi ex necessitate adire l'autorit� giudiziaria una prima volta per la singola questione (preliminare) decisa ed una seconda volta per le questioni sostanziali di merito, e con l'ulteriore conseguenza che la prima di tali impugnative debba svolgersi innanzi al giudice ordinario in pendenza della controversia, afferente alla questione di diritto sostanziale, innanzi alla commissione tributaria in sede di rinvio. Ai fini della disamina del problema delineato, le questioni da affrontare sono, quindi, quelle relative ai connotati, formali e sostanziali, della decisione definitiva nel procedimento tributario ed alla necessit� della impugnazione immediata delle decisioni parziali, emesse in controversie insorte in materia di imposte indirette. Per ragioni di priorit� logica, va esaminata, in via preliminare, la seconda. In ordine al tema relativo alla disciplina unitaria (o meno) del procedimento di formazione del giudicato riguardo alle decisioni delle comnon vi � ragione per impedire la simultanea pendenza della stessa controversia innanzi alle Commissioni e innanzi all'A.G.O. (che si risolve nell'assorbimento nel giudizio ordinario del procedimento innanzi alle Commissioni: Cass. 21 febbraio � 1973 n. 515, Rass. Avv. Stato, 1973, I, 274; 17 ottobre 1973, n. 2609, Riv. Leg. Fisc., 1974, 604), non pu� essere invocata, la norma dell'art. 22 per la radicale diversit� di struttura del processo. N� vale il richiamo all'art. 31 del d.l. n. 1639 del 1936 che estende alle imposte indirette soltanto le norme relative al procedimento innanzi alle Commissioni, perch� sono invece regolati in modo completo ed autonomo i rapporti tra giudizio innanzi alle Commissioni a azione in sede ordinaria dall'art. 22 per le imposte dirette e dall'art. 29 per quelle indirette. E se ai fini della notificazione della decisione della Commissione Centrale si � potuta stabilire una omogeneit� di disciplina (Cass. 7 aprile 1972, n. 1041 e 25 gennaio 1975, n. 278, in questa Rassegna, 1973, I, 193 e 1975, I, 557), ci� non autorizza una generalizzazione estesa anche a situazioni profondamente diverse. Ma sopratutto l'art. 22 �, come si � visto, inteso a condizionare l'azione in sede ordinaria s� che � evidentemente necessario che finch� l'azione � temporaneamente improponibile non possa essere soggetta a decadenza; questo non avviene di certo per le imposte indirette per le quali l'azione ordinaria pu�� essere sempre proposta in quaiunque momento, prima o in pendenza del procedimento innanzi alle Commissioni fino a quanto non si � formato il giudicato; se allora dopo la d�cisione che risolve una questione preliminare l'azione ordinaria pu� essere proposta, essa non potr� essere differita in applicazione di una norma ispirata ad un fine del tutto diverso. La giurisprudenza della S.C. ha ripetutamente sottolineato la diversit� del � concetto di decisione definitiva al fine della giurisdizione condizionata per le PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 109' missioni tributarie, va considerato -ai fini dell'accertamento della ricorrenza (o meno) della decadenza giudiziaria del contribuente dell'azionabilit� innanzi al giudice ordinario di una pretesa relativa ad imposte indirette, successivamente alla decisione della Commissione centrale -se l'art. 22, comma quarto, del r.d.l. 7 agosto 1936 n. 1639 (il quale stabilisce che �l'autorit� giudiziaria pu� essere adita dal contribuente anche dopo che sia intervenuta la decisione definitiva della 'Commissione tributaria �) contenga una disposizione eccezionale dettata esclusivamente per la materia delle imposte dirette, unica disciplinata nella legge a cui essa appartiene, e, pertanto, non estensibile, in applicazione dell'art. 14 delle disposizioni sulla legge in generale, oltre il caso espressamente previsto, ovvero se la norma, statuita in detto articolo, sancisca un principio generale fondamentale riferibile alle decisioni pronunciate in entrambi i settori tributari oggetto del presente dibattito giudiziale. Fra i due orientamenti delineati, questa Corte ritiene che il secondo sia meritevole di consenso. Il carattere generale della statuizione legislativa, dettata nell'art. 22, comma quarto, del r.d.l. n. 1639 del 1936, e l'estensione della disciplina,. in questo contenuta, alla materia delle imposte indirette si desumono da un decisivo argomento testuale fornito dall'art. 31, comma quarto,. dello stesso r.d.l. n. 1636, il quale, al termine di una serie di disposizioni imposte dirette ed ai fini degli altri rimedi. Sotto il primo profilo � decisione definitiva quella che risolvendo tutte le questioni insorte sia in fatto che in diritto, esaurisce il processo tributario nella sede adita e contro la quale non � ammesso altro ricorso o il ricorso non � stato proposto nel termine o ha � perduto efficacia il ricorso ammissibile proposto (Cass. 5 luglio 1971, n. 2082,. Rass. Avv. Stato, 1971, I, 1216); non � quindi definitiva la decisione che decidendo parzialmente le questioni sollevate comporta il proseguimento del processo innanzi alla stessa o ad altra Commissione e la decisione della Commissione centrale che annulla con rinvio (Cass. 22 settembre 1970, n. 1670, ivi 1970, I, 1083). Ma, al contrario, con riferimento al ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost., proponibile contro la pronunzia decisoria e definitiva, si � invece precisato che � decisoria la pronunzia che contiene, anche solo parzialmente, H regolamento del rapporto dedotto in giudizio, anche se su una questione di rito, ed � definitiva la decisione contro la quale non � ammessa ulteriore impugnazione in sede di giurisdizione speciale (Cass. 21 giugno 1972, n. 1981, Rass. Avv. Stato, 1972, I, 824). Conseguentemente, mentre non sono impugnabili le decisioni ordinatorie, possono e debbono essere impugnate nel termine stabilito le decisioni che abbiano definito in tutto o in parte, e anche soltanto in rito, la materia controversa (Cass. 9 ottobre 1972 n. 2953, Riv. leg. fisc., 1972, 2754) ed anche quella che rimanda ad un secondo momento un'ulteriore pronunzia (21 giugno 1972, n. 1981 gi� citata) e quella che annulla con rinvi<> (21 giugno 1974, n. 1839, ivi, 1974, 1920). Quanto statuito dalla S.C. per il ricorso per Cassazione deve valere anche per l'azione ordinaria, una volta esclusa l'estensibilit� dell'art. 22, e per le impugnazioni nell'ambito del contenzioso speciale; la decisione � sempre capace di diventare irretrattabile, sia pure per una parte soltanto d�l rapporto contro 110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che prevedono assimilazioni nei procedimenti relativi alle controversie in materia di imposte dirette ed indirette, stabilisce: �Sono estese alle controversie riguardanti le imposte di trasferimento dei beni tutte le altre p.orme relative al procedimento davanti alle Commissioni amministrative delle imposte dirette �. Tale norma contempla, quindi, una clausola generale di unificazione della disciplina giuridica del contenzioso nelle materie delle imposte dirette ed indirette innanzi alle Commissioni amministrative. Ed in tal senso si � gi� espressa la Corte Suprema (cfr. sent. 7 apri110 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO che prevedono assimilazioni nei procedimenti relativi alle controversie in materia di imposte dirette ed indirette, stabilisce: �Sono estese alle controversie riguardanti le imposte di trasferimento dei beni tutte le altre p.orme relative al procedimento davanti alle Commissioni amministrative delle imposte dirette �. Tale norma contempla, quindi, una clausola generale di unificazione della disciplina giuridica del contenzioso nelle materie delle imposte dirette ed indirette innanzi alle Commissioni amministrative. Ed in tal senso si � gi� espressa la Corte Suprema (cfr. sent. 7 aprile 1972, n. 1041), la quale ha tratto dalla disposizione contenuta nel quarto comma dell'art. 31 un argomento risolutivo per l'affermazione di un regime giuridico, comune ai due tipi di controversie (in materia d'imposte dirette ed indirette), riguardo alla notifica (da parte dell'Amministrazione Finanziaria) della decisione .della Commissione centrale, costituente presupposto necessario per la conclusione del procedimento in sede di giurisdizione amministrativa e per l'operativit� dell'effetto tipico dell'atto definitivo dell'attivit� giurisdizionale cognitiva, e cio� della formazione del giudicato. E le ragioni addotte dalla citata decisione del Supremo Collegio a supporto della cennata soluzione che risolve un problema analogo a verso, e passa in giudicato con il decorso del termine precludendo l'esperibilit� dei rimedi alternativamente possibili. Il problema che pone la sentenza in esame si riduce allora a quelle della .ammissibilit� della impugnazione (o della proposizione dell'azione ordinaria) differita rispetto alle decisioni non definitive, problema che resta sostanzialmente immutato anche nel nuovo ordinamento del contenzioso tributario. Per quanto concerne l'abrogato sistema del contenzioso, la sola data della sua emanazione (1936) basta ad escludere ogni posi;ibilit� di applicazione del mezzo, al t�mpo del tutto sconosciuto, della riserva (facoltativa o necessaria) di impugnazione differita contro la decisione parziale (o non definitiva). N� successivamente gli artt. 340 e 361 c.p.c. hanno modificato su questo punto il procedimento speciale. 1'. infatti del tutto pacifico che l'impugnazione differita � un istituto tipico esclusivo del processo civile ordinario e non se ne � mai nemmeno tentata l'estensione ai procedimenti speciali regolati da norme anteriori al cod. proc. civ. N� per l'appello contro le decisioni della Giunta provinciale amministrativa e del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana, n� per l'appello contro le decisioni del Consiglio di prefettura e della Sezione semplice della Corte dei Conti si � mai pensato di estendere la regola della riserva di impugnazione differita; solo per il Tribunale regionale delle acque, che � per� un organo specializzato della giurisdizione ordinaria, l'espressa norma dell'art. 189 del t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775 impone il differimento dell'impugnazione. In ogni modo il problema della impugnazione differita non si pone affatto, nemmeno per il processo ordinario, per la pronuncia che, definendo il processo in quel grado, rinvia ad altro giudice di grado diverso; sia la decisione rescin dente (della Commissione centrale) sia quella del giudice di appello che rinvia .al primo giudice (art. 353 e 354) � sempre definitiva e non pu� consentire l'im -f -f PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 111 quello oggetto di disputa, ben possono essere utilizzate al fine di estendere l'ambito di riferimento e di applicazione della norma contenuta nell'art. 22, comma quarto, del r.d.l. n. 1639 del 1936, oltre il procedimento innanzi alle Commissioni tributarie in materia di imposte dirette, in quanto siffatta espansione della statuizione legislativa � perfettamente aderente alla ragione giustificativa della disposizione dell'art. 31, comma quarto, la quale va individuata in una esegenza di disciplina unitaria del contenzioso tributario innanzi alle Commissioni, determinata dagli aspetti sostanziali di analogia degli interessi oggetto di contesa nei due tipi di controversia relativi alle imposte dirette ed a quelle indirette, non tollerando tale disciplina unitaria una diversit� di trattamento del procedimento di formazione del giudicato relativamente alle decisioni delle commissioni e, per necessaria applicazione logica, della conseguenziale preclusione dell'azione giudiziaria. N� valido motivo di distinzione tra i regimi giuridici pu� trarsi dal rilievo che il legislatore mostra di intendere diversamente le tutele relative alle due categorie di imposte, allorch� condiziona la proponibilit� dell'azione giudiziaria al preventivo esperimento innanzi alle commissioni pugnazione differita a seguito della pronuncia del giudice inferiore. Lo stesso � a dirsi per le decisioni che dichiarano l'incompetenza designando quella di altro giudice di eguale grado. La sentenza parziale (o non definitiva) che nel processo ordinario consente il differimento della impugnazione � soltanto quella che, decidendo alcune questioni preliminari di rito o di merito, impartisce distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione e dispone la prosecuzione del processo innanzi allo stesso giudice (art. 278 e 279, in relazione agli art. 340 e 361 c.p.c.). Il nuovo ordinamento del contenzioso tributario (come anche la legge istitutiva dei T.A.R.) non recepisce per� l'istituto della impugnazione (facoltativa) differita e non prevede affatto la relativa riserva. La decisione, anche se parziale, viene notificata al contribuente e comunicata all'Amministrazione (art. 38 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636) il che fa decorrere il termine per l'impugnazione (art. 22, 25 e 40); nessuna distinzione pu� farsi fra decisione parziale e definitiva. La sola distinzione rilevante � quella fra decisione e ordinanza (art. 35); l'ordinanza non � mai impugnabile (a meno che non abbia contenuto sostanziale di decisione) mentre la decisione, definitiva o parziale (a meno che non abbia contenuto sostanziale di ordinanza), � sempre suscettibile di giudicato ove non sia immediatamente impugnata. A maggiore ragione dovr� essere immediatamente impugnata la decisione della Commissione di secondo grado che rinvia a quella di primo grado (art. 24), quella della Commissione Centrale che annulla con rinvio al primo o al secondo grado a(rt. 29) e quella della Corte di Appello che egualmente rinvia alla Commissione di primo o secondo grado (art. 40). Invece per la sentenza della Corte di Appello che non definisce il giudizio e dispone la prosecuzione del processo innanzi a se stessa, valgono le regole del processo ordinario. Senza dubbio ci� pu� dar luogo a complicazioni perch� la impugnazione non sospende l'ulteriore corso del procedimento innanzi al giudice a quo mentre 9 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tributarie soltanto quando si tratti di imposte dirette e non anche quando. si controverta in tema di imposte indirette, giacch� la diversit� di disciplina delle due tutele trova un limite nella ricezione del principio della stabi� lit� del giudicato amministrativo, del quale il legislatore mostra chiaramente di volere il rispetto con riguardo ad entrambe (ispirandosi a tale� principio l'art. 34 della legge 8 giugno 1936, n. 1231, applicabile alle controversie in materia di imposte dirette, e l'art. 146 della legge di registro,. approvata dal r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, modificato dall'art. 1 del r.d. 13 gennaio 1936, n. 2313, riguardante le vertenze tributarie in materia di imposte indirette). Per modo che, deve ritenersi che il precetto sancito nel quarto comma dell'art. 22 del r.d.l. n. 1639 del 1936, costituendo un principio fondamentale di portata generale, sia riferibile alle decisioni emesse dalle� commissioni tributarie sia in materia di imposte dirette che in tema di imposte indirette, cor� l'implicazione che la disciplina giuridica in esso contenuta debba trovare� applicazione anche in ordine alle controversie� afferenti alle imposte indirette. Ed a conforto della validit� di una siffatta soluzione, sotto il profilo� della mens legis, pu� richiamarsi l'art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636� a seguito di essa il fascicolo di ufficio deve essere trasmesso al giudice del grado superiore (art. 22, 25, 29 e 40). :E!. questo un inconveniente pratico, non ignoto al processo ordinario anche� se regolato in modo diverso, che per� non modifica il regime sostanziale delle impugnazioni. :E!. da rilevare tuttavia che la questione un tempo dibattuta della impugna�� bilit� delle decisioni interlocutorie (di contenuto ordinatorio) non si pone pi�,. essendo stata introdotta nel contenzioso tributario la stessa distinzione, elaborata nel processo ordinario, tra decisione e ordinanza, precisandosi che l'o'rdi-� nanza non pu� essere impugnata separatamente dalla decisione (art. 35). Pertanto unico elemento importante � la distinzione fra decisione, in senso� formale e sostanziale, e ordinanza. La prima deve sempre essere impugnata. senza possibilit� di riserva di impugnazione differita, la seconda non � mai impugnabile. Si deve peraltro osservare che, non esistendo affatto l'onere della riserva,. l'impugnazione resta preclusa solo dal decorso del termine rispetto alla notifi-� cazione o comunicazione. Ove queste non siano state eseguite, la �decisione� parziale potrebbe essere impugnata anche unitamente alla decisione definitiva (salva l'eventuale necessit�, specie per il ricorso per Cassazione e quello alla. Corte di Appello, di introdurre l'impugnazione con separati atti), non valendo come decadenza dall'impugnazione la piena conoscenza. Ci� poteva verificarsi in via normale nell'abrogato ordinamento nel quale la notificazione aveva luogo� ad istanza di parte; oggi non dovrebbe pi� accadere perch� la notificazione e la comunicazione sono eseguite d'ufficio dalla segreteria entro dieci giorni dal deposito della decisione (art. 38). Non si pu� escludere tuttavia che, in modo anomalo, la notificazione o la comunicazione non siano est1guite o che queste: siano nulle. C. BAFILE PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (revisione della disciplina del contenzioso tributario), secondo la cui statuizione normativa � previsto, in ordine ad entrambe le categorie di imposte (dirette ed indirette), un unico procedimento per la fase d'impugnazione, innanzi al giudice ordinario, avverso le decisioni delle commissioni tributarie. Va, quindi, esaminata la questione relativa ai requisiti, formali e sostanziali, delle decisioni definitive nel procedimento contenzioso tributario. Con sentenza del 21 giugno 1968 n. 2063, la Corte Suprema ha statuito che per aversi decisione definitiva nel procedimento tributario non � sufficiente che sia stata emessa una pronuncia, il cui contenuto non possa formare oggetto di gravame se non dinanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria, ma � necessario che con tale pronuncia sia anche esaurito il procedimento di accertamento dell'imposta ed il regolamento conclusivo del rapporto sostanziale tributario; e che, pertanto, non pu� essere considerata definitiva ed autonomamente impugnabile innanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria la decisione della Commissione centrale che, ritenendo tassabile, in punto di diritto, un certo cespite o reddito, rimetta gli atti alle commissioni competenti per il giudizio di merito, perch� accertino, in fatto, la sussistenza dei presupposti e degli elementi della imposizione, giacch� soltanto attraverso la pronuncia sulle questioni di merito (e la decisione degli eventuali gravami su tali questioni) viene a formarsi la definizione del rapporto tributario che possa costituire oggetto di giudizio dinanzi al giudice ordinario. Inoltre, si � escluso che la decisione della Commissione centrale sul punto di diritto sia suscettibile di passaggio in, giudicato, restando precluso l'esame del giudice ordinario, in difetto di immediato e diretto gravame, in quanto, per lo specifico contenuto di tale pronuncia, che, non esaurendo il procedimento contenzioso tributario, non assume carattere di definitivit�, le questioni cos� risolte possono sempre essere sollevate nuovamente con la domanda giudiziale, che sia proposta avverso la decisione che concluda e definisca tale procedimento. E, sulla base di tali postulati giuridici, non pu� non ritenersi non definitiva la decisione della Commissione centrale che neghi l'esistenza della prescrizione della pretesa tributaria, eccepita dal contribuente, e rimetta le p~rti innanzi alla Commissione Provinciale per il giudizio di merito, non potendo considerarsi la statuizione giudiziale della Commissione centrale come un regolamento conclusivo del rapporto tributario, giacch� se non pu� ritenersi -in applicazione della richiamata pronuncia del Supremo Collegio -definitiva una decisione della Commissione Centrale che dichiari, in punto di diritto, tassabile un certo cespite o reddito, non pu�, a maggior ragione, considerarsi tale una decisione della Commissione Centrale che (come quella intervenuta nel caso di specie) si limiti a dichiarare l'inesistenza della prescrizione (senza neppure pronun 114 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ciare sulla tassabilit� in punto di diritto del cespite controverso), rinviando la vertenza alla Commissione Provinciale anche per l'accertamento dell'appartenenza o meno del cespite alla massa ereditaria e, quindi, per l'accertamento dell'an debeatur. E che occorra aver riguardo al contenuto sostanziale delle decisioni amministrative per stabilire se esse possano ritenersi definitive ed autonomamente impugnabili, s� da dar luogo al decorso del termine seme� strale per l'eventuale impugnativa avanti l'autorit� giudiziaria ordinaria, � stato pi� volte affermato dalla Corte Suprema, la quale ha posto sempre in rilievo che rivestano carattere di definitivit� soltanto le decisioni emesse in ordine alla sussistenza del debito d'imposta e della misura del tributo (cfr. sent. 26 ottobre 1955, n. 3493, in materia d'imposta di successione; sent. 12 luglio 1951, n. 1501, in materia d'imposta di registro). Riscontro di ci�, si ritrova nello stesso tenore dell'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923, secondo cui il termine di decadenza per ricorrere alla autorit� giudiziaria decorre dalle decisioni amministrative che abbiano concretamente giudicato sulle tasse, sopratasse e pene pecuniarie, in quanto, in base al contenuto normativo di esso, � evidente che, per aversi definitivit� della decisione amministrativa, occorre che non l'astratta possibilit� di una pretesa d'imposta da parte dei competenti uffici abbia formato oggetto della decisione (come quando sia stato deciso soltanto se non siasi verificata la prescrizione della pretesa tributaria), bens� la esistenza di un concreto debito per tasse, sopratasse e pene pecuniarie. E -poich� la decisione della Commissione Centrale che si limiti a dichiarare non verificatasi la prescrizione del diritto dell'Amministrazione finanziaria a chiedere il pagamento dell'imposta di successione su un bene non figurante nella denunzia, rinviando alla Commissione Provinciale per l'accertamento dei presupposti sostanziali di fatto e di diritto per l'applicazione dell'imposta, non pu� considerarsi esaustiva del procedimento e conclusiva del rapporto tributario sostanziale e, quindi, per il suo contenuto, definitiva -deve concludersi nel senso che debba ritenersi ammissibile l'azione giudiziaria proposta -in ordine alla questione preliminare di merito della prescrizion~ della pretesa tributaria, decisa, in materia di imposte indirette (nella specie, imposte di successione), dalla decisione della Commissione Centrale delle imposte -dopo il decorso, dalla notifica di questa, del termine di sei mesi di cui all'art. 94 del r.d. n. 3270 del 1923 e successivamente alla definizione del rapporto tributario, e cio� delle questioni sostanziali di merito, da parte della Commissione Provinciale in sede di rinvio, potendo, anche in detta materia, la decisione amministrativa parziale essere impugnata innanzi al giudice ordinario congiuntamente a quella definitiva, esaurente il rapporto sostanziale. Il primo motivo di ricorso �, quindi, da accogliere. -(Omissis). PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 115 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 gennaio 1976, n. 147 -Pres. Mirabelli -Est. Borruso -P. M. Cutrupia (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Baccari) c. Soc. Ferrovia Alto Pistoiese. Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Solidariet� � Condono � Istanza di una sola parte � Estensione ai condebitori � Esclusione. (c. c. art. 1309; d. I. 5 novembre 1973, n. 660). Quando uno soltanto dei debitori solidali di imposta abbia fruito, a domanda, del condono, gli altri condebitori che non ne abbiano fatto istanza non possono giovarsi degli effetti del condono, s� che nei loro confronti il giudizio deve proseguire nei modi normali (1). (Omissis). -Innanzitutto devesi affermare che non risultando avere la societ� � Ferroviaria Alto Pistoiese � domandato l'applicazione del condono fiscale (ai sensi e nel termine di cui al d.I. 5 novembre 1973, n. 660, convertito nella I. 19 dicembre 1973, n. 823) analogamente a quanto invece richiesto ed ottenuto dalla Cassa Rurale (condebitrice solidale dell'imposta in contestazione) gli effetti di detto condono non possono essere estesi alla predetta societ�. E ci� perch�: 1) l'applicazione del condono fiscale comporta il riconoscimento del debito da parte del contribuente nei confronti della Finanza, cos� come da essa determinato, anche se ne consente l'estinzione con un pagamento parziale e, secondo l'art. 1309 e.e., il riconoscimento del debito fatto da uno dei debitori in solido non ha effetto riguardo agli altri; 2) la solidariet� fra coobbligati in materia tributaria non assume una configurazione diversa da quella che l'istituto presenta in base alla disciplina contenuta nel codice civile e cio�, di una pluralit� di rapporti (sia pure di identica natura ed aventi una causa unica), sicch� non v'� alcuna ragione per ritenere giustificata tra contribuenti condebitori in solido d'un medesimo tributo anche una mutua rappresentanza che valga ad estendere, in deroga al citato art. 1309, a tutti i coobbligati gli effetti del riconoscimento del debito compiuto da uno solo di essi (cfr. da (1) Decisione interessante ed indubbiamente esatta. Applicando le regole della solidariet� di diritto comune, si deve necessariamente ritenere che quello dei condebitori che non ha presentato la domanda di condono, dimostrando con ci� di voler affrontare l'alea del giudizio, non pu� giovarsi degli effetti del condono conseguiti, a domanda, da altro condebitore; ci� non solo perch� il condono � da considerare come un riconoscimento ex art. 1309 e.e., ma anche perch� l'intervenuta decadenza non consentirebbe mai al debitore, nemmeno se dichiara di volerne profittare, di giovarsi degli effetti di qualunque atto vantaggioso riferibile al coobbligato. Il contribuente � libero di scegliere tra la prosecuzione del giudizio e il condono e non pu� di certo ritenersi vincolato alla scelta fatta da altri; ma una volta decorso il termine per la presentazione della domanda di condono, la scelta non pu� pi� essere revocata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ultimo in tal senso Cass. sent. n. 768 del 1975, 4041 del 1974, 832 del 1973, 311 del 1970). Ritenuto, pertanto, che l'applicazione del condono fiscale, di cui alla legge sopracitata, nei confronti di un condebitore in solido del tributo (che, nella specie, peraltro non � parte in giudizio) non comporta la estinzione della causa, promossa nei confronti della Finanza da altro coobligato al pagamento del tributo stesso per contestarne la debenza il pr�>cesso deve proseguire e, conseguentemente, deve essere deciso il ricorso per cassazione proposto dalla Finanza avverso la summenzionata sentenza .della Corte di Appello di Firenze. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 gennaio 1976, n. 159 -Pres. Caporaso -Est. Virgilio -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cavalli) c. I.N.A. (avv. Formai). Imposte e tasse in genere � Condono di cui al decreto-legge 5 novembre 1973, n. 660 � Sospensione del giudizio innanzi alla Corte di Cassazione � Rigetto della istanza in sede amministrativa � Contestazione sul diritto al condono -Decisione da parte del giudice del processo sospeso. (d. I. S novembre 1973, n. 660, art. 11). Imposte e tasse in genere � Condono � Controversia di soli interessi � Esclusione. (d. I. S novembre 1973, n. 660, convertito con legge 19 dicembre 1973, n. 123). Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Interessi � Condono di cui alla legge 31 ottobre 1963 n. 1458 � Pagamento del tributo � Diritto della Finanza al successivo pagamento degli interessi � Sussiste. (I. 31 ottobre 1963, n. 1458, art. 1 e 3). Imposte e tasse in genere � Imposte indirette � Interessi � Prescrizione � Termine quinquennale � Interruzione -Pagamento dell'imposta -Non interrompe la prescrizione per gli interessi. (I. 26 gennaio 1961, n. 29; I. 28 marzo 1962, n. 147). Quando, in applicazione dell'art. 11 del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, a seguito della presentazione della domanda di condono il giudizio pendente innanzi alla Corte di Cassazione sia stato sospeso e la domanda sia stata rigettata in sede amministrativa, spetta alla stessa Corte decidere sull'applicabilit� del condono al quale il contribuente sostiene di aver diritto (1). (1-4) La prima massima � di molto interesse. Bench� la motivazione sia molto ridotta, si afferma senza equivoci che dopo il rigetto in sede amministrativa della domanda di condono, spetta alla Corte di Cassazione (o al giu PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 117 Le norme per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria (c.d. condono), di cui al d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito con .la legge 19 dicembre 1973, n. 823, presuppongono la pendenza di una controversia sulla dovutezza del tributo e quindi non si applicano alle controversie concernenti soltanto interessi (2). L'Amministrazione finanziaria che, in applicazione del condono di cui .alla legge 31 ottobre 1963, n. 1468, abbia percepito soltanto il tributo, non .� decaduta dal diritto di domandare successivamente gli interessi che erano dovuti in base a quelle norme .(3). L'obbligazione per interessi � autonoma rispetto a quella per il tributo ed � sempre soggetta alla prescrizione quinquennale, quale che sia il termine, maggiore o minore, stabilito per la prescrizione del tributo. Il pagamento del tributo in applicazione di norma di condono non interrompe la prescrizione, come atto di riconoscimento, per il debito di interessi (4). -O.ice innanzi al quale pende il giudizio che era stato sospeso) decidere sulla :applicabilit� del condono ove il contribuente insista nel sostenere di averne -diritto. In tal modo la questione viene decisa in unica istanza dalla Corte di �Cassazione, ma questa appare indubbiamente la soluzione pi� corretta, non sembrando possibile che la questione, dalla quale dipende la cessazione della sospensione ovvero l'estinzione del giudizio, possa essere portata innanzi alla �Commissione tributaria e che di conseguenza lo stato di sospensione possa essere protratto oltre il termine della definizione amministrativa dell'istanza -O.i condono. Sull'argomento della seconda massima le pronuncie conformi sono ormai numerose anche con riferimento alle controversie di sole sopratasse (15 marw 1975, n. 1015; 13 ottobre 1975, n. 3276, in questa Rassegna, 1975, I, 379 e...). Esattissima � la terza massima. La definizione della pendenza per condono � sempre regolata rigidamente dalla legge e all'Amministrazione non � mai �concessa una discrezionalit� transattiva; se pertanto essa ha omesso di richiedere il pagamento di somme che a qualsiasi titolo erano dovute esse possono (e debbono) essere pretese successivamente. Anche l'ultimo condono regolato -O.al d.l. 5 novembre 1973, n. 660 prevede espressamente (art. 11) che siano corrette le definizioni intervenute in violazione delle norme del decreto di -condono. :t<: ormai definitiV'.amente chiarito che l'obbligazione di interessi � soggetta in via autonoma alla prescrizione quinquennale (Cass. 29 ottobre 1973, n. 2805 e 2 ottobre 1975, n. 3110, in questa Rassegna, 1974, I, 235 e 1975, I...). Riguardo :alla interruzione della prescrizione se non pu� contestarsi l'esattezza della affermazione che il riconoscimento di un debito non implica necessariamente interruzione della prescrizione per un maggiore e diverso debito, si deve per� rilevare che l'interruzione della prescrizione per il tributo produce effetto anche per gli interessi e tutti gli altri accessori inerenti al rapporto di imposta (v. nota a Cass. 2 ottobre 1975, n. 3110 cit.). Pertanto fino alla data del pagamento del tributo, eseguito per fruire del condono, la prescrizione non era compiuta n� per il tributo n� per gli interessi e solo da questa data � cominciato a decorrere un nuovo termine. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Durante la fase di legittimit� l'Istituto ha presentato domanda di condono ai sensi del d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito in legge 19 dicembre 1973, n. 823, ed il giudizio di cassazione � stato sospeso con ordinanza del 4 marzo 1974 ai sensi de~l'art. 11 del citato decreto. Con lettera del 30 aprile 1975 l'Ufficio del Registro di Roma ha comunicato a questa Corte Suprema che la domanda di condono degli interessi per cui � causa fu accettata con riserva e che, anche in conformit� del parere espresso dall'Avvocatura dello Stato, essa non pu� essere accolta, in quanto le disposizioni della legge 19 dicembre 1973, n. 823, non contemplano -per l'applicazione del condono -anche gli interessi. A seguito di tale lettera � stata nuovamente fissata, per la odierna udienza, la discussione del ricorso incidentale. Poich� il ricorrente in via incidentale insiste, pur dopo la lettera sopra menzionata dell'Ufficio del Registro, nella tesi della applicabilit� del condono anche al caso in esame tale questione va esaminata preliminarmente. La Corte Suprema ha gi� avuto occasione di pronunciarsi sullo specifico problema (da ultimo, sent. n. 3276 del 13 ottobre 1975), ritenendo che nella particolare disciplina dettata dal d.l. 5 novembre 1973, n. 660, convertito in legge 19 dicembre 1973, n; 823, per agevolare la definizione delle pendenze in materia tributaria, non rientrano le controversie che riguardano, non l'applicazione del tributo, la natura o la configurazione di esso, ma solo aspetti collaterali derivanti dalla nascita del rapporto tributario, come avviene per le controversie che concernono gli interessi moratori previsti dalle leggi 26 gennaio 1961, n. 29, e 28 marzo 1962, n. 147. � � stato al riguardo precisato che la suddetta esclusione emerge chiaramente dalla lettera stessa del provvedimento legislativo e, precisamente, quanto alla imposizione indiretta, dall'art. 6 del provvedimento stesso, il cui primo comma subordina la possibilit� di usufruire del condono alla circostanza di una controversia pendente riguardante � l'applicazione � del tributo nonch� dal quarto comma dell'art. 10, il quale esonera il contribuente dal pagamento degli interessi moratori solamente �per le imposte dovute in applicazione delle disposizioni del presente decreto �. Alla stregua di tali principi, rispetto ai quali non sono stati addotti validi motivi in senso contrario, deve ritenersi assorbita la richiesta, contenuta nella memoria dell'I.N.A., tendente ad ottenere la conferma della sospensione del presente giudizio, giacch� nell'ambito di applicabilit� del condono di cui al decreto n. 660 del 1973 non rientrano come si � precisato, anche gl'interessi moratori e difetta conseguentemente la ragione della sospensione del giudizio prevista dall'art. 11 del decreto medesimo. Ci� considerato, pu� passarsi all'esame dei ricorsi. f. I m f:: li I\ PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ha carattere pregiudiziale l'esame del ricorso incidentale perch� il suo accoglimento -di carattere assorbente -renderebbe superflua l'indagine sulle censure prospettate con il ricorso principale dell'amministrazione finanziaria. Con unico motivo l'I.N.A. denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1 e 3 della legge 31 ottobre 1963, n. 1458, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., e sostiene che dopo l'applicazione del condono concesso con la indicata legge n. 1458 del 1963, non possono sopravvivere pretese del fisco relative ad accessori del tributo, come gli interessi di mora, per cui la finanza -non avendo richiesto tali interessi all'atto del pagamento della sorte, pur condonando penalit� e soprattasse --non potrebbe come erroneamente ritenuto dalla Corte del merito pretendere gl'interessi di mora allora non riscossi. La censura non ha fondamento. Ha esattamente sottolineato la Corte del merito che per l'articolo 3 della citata legge -la quale reca gi� nella intestazione ( � Condono in materia tributaria delle sanzioni non aventi natura penale�) la limitazione del suo ambito di applicabilit� -il pagamento degli interessi non � posto come condizione per la concessione del condono, per cui l'omessa percezione di essi sul contributo evaso non preclude il diritto della finanza, in epoca successiva all'applicazione del condono stesso, di pretendere ci� che � dovuto per legge. Questa conclusione non solo � conforme alla lettera della legge, ma si inquadra nel principio generale pi� volte affermato da questa Corte Suprema (da ultimo, sentenze 29 ottobre 1973; n. 2805 26 marzo 1973, n. 831) secondo il quale il debito d'interessi moratori ed il correlativo credito hanno carattere autonomo rispetto all'obbligazione tributaria principale e, pur partecipando della natura di tale obbligazione, non sono a questa assimilabili n� collegati in modo indissolubile. Ne consegue che giustamente � stata ritenuta ammissibile l'azione della finanza, pur dopo la concessione del condono previsto dal citato art. 3, diretta alla riscossione degli interessi moratori sul tributo in contestazione, in base all'autonomo titolo che la legittimava a pretenderne il pagamento. Nella memoria, l'I.N.A. ha in subordine accennato al profilo di inco stituzionalit� dell'art. 5 della legge n. 1458 del 1963, il quale dichiara �in nessun caso ripetibili � i tributi e i diritti corrisposti per beneficiare delle disposizioni di cui alla legge stessa, mentre non contiene alcun divieto, per la finanza, di riaprire il conto tributario, sia pure al fine della percezione degl'interessi moratori, ponendo cos� in evidenza una disparit� di trattamento tra finanza e contribuente. La questione non ha rilevanza nel caso concreto, nel quale non si verte nella materia disciplinata dall'art. 5 (ripetibilit� o meno dei tri 120 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO buti e degli altri diritti al cui pagamento � subordinato il condono previsto dall'art. 3), discutendosi invece del diverso problema della riscossione degli interessi moratori, dovuti per legge sul tributo evaso. Con il primo motivo del ricorso principale l'amministrazione delle .finanze denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2944 e 2948 �e.e., dell'art. 45 della legge 19 giugno 1940, n. 762, in relazione agli arti �coli 132, n. 4, e 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., e censura la sentenza impugnata sotto questi profili: a) per avere erroneamente ritenuto la Corte del merito che gl'interessi accessori non siano soggetti, anche ai fini della prescrizione, alla disciplina del tributo cui si riferiscono, mentre avrebbe dovuto ritenere applicabile al caso la prescrizione decennale prevista dall'art. 45, primo comma, del r.d. 9 gennaio 1940, n. 2, conver tito nella legge 19 giugno 1940, n. 762; b) per non avere, comunque, considerato la Corte stessa che -pur ritenendosi applicabile agl'interessi .moratori in materia tributaria la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 -nella specie si era verificata interruzione del termine per effetto del pagamento, da parte del co.11tribuente, del tributo prin<: ipale. La censura � inconsistente. Essa � fondata su un'interpretazione non consentita dalla lettera della norma invocata, in quanto il citato art. 45 della legge n. 762 del 1940 prevede la durata decennale della prescrizione soltanto per le � imposte e soprattasse � stabilite dalla legge stessa, facendo altres� salvo .quanto disposto dal successivo art. 47, ultimo comma, per l'imposta riscossa dalle dogane. Gi� da tale formulazione della norma si evince che gli interessi moratori non sono compresi nell'ambito della disposizione suddetta; ma la �conclusione cui � pervenuta la Corte del merito sul punto controverso trova fondamento anche nel principio (Cass. 29 ttobre 1973, n. 2805 e 14 luglio 1972, n. 2394) secondo cui -data un'autonomia del credito d'interessi moratori rispetto all'obbligazione tributaria principale -esso � soggetto alla prescrizione (quinquennale) stabilita dall'art. 2948 n. 4, e.e., ove difettino specifiche disposizioni per i debiti d'interessi derivanti <I.alle singole obbligazioni tributarie. Poich� tali specifiche disposizioni nella specie non esistono � evi �dente che deve trovare applicazione la norma generale sopra richiamata. Quanto, poi, all'asserita efficacia interruttiva che il pagamento del tributo avrebbe comportato -quale tacito riconoscimento del debito relativamente agli interessi .moratori, � sufficiente ricordare che l'accertamento se una data manifestazione di volont� contenga il riconoscimento dell'altrui diritto, con conseguente effetto di interrompere il corso �della prescrizione, costituisce apprezzamento di fatto di competenza del giudice di merito, e quindi, non censurabile in sede di legittimit�, ove PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 121 sia sorretto da adeguata motivazione, priva di errori logico-giuridici (Cass. 6 luglio 1972, n. 2241)? Nella fattispecie concreta non pu� dubitarsi della correttezza del ragionamento della Corte del merito, la quale ha osservato che il riconoscimento del debito di un capitale non pu� implicare nel medesimo tempo riconoscimento del debito anche degli interessi, ove non sia a .questi chiaramente riferito, a causa dell'autonomia che contraddistingue la sorte capitale e i relativi interessi. D'altronde, il riferito ragionamento � conforme alla giurisprudenza di questa Corte Suprema (sent. 23 aprile 1969, n. 1309) secondo cui il pagamento di una somma in acconto di un debito maggiore, non portando, di per se, neppure implicitamente riconoscimento dell'entit� del debito residuo, non pu� produrre l'interruzione della prescrizione. Ed � appena il caso di precisare che tale regola vale a fortiori in materia .di interessi, che hanno un titolo autonomo rispetto al debito principale. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 febbraio 1976, n. 621 -Pres. Stella� Richter -Est. Milano -P. M. Berri (conf.) -Soc. Automare c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Tomasicchio). lmposte e tasse in genere � Competenza e giurisdizione -Imposte indirette Ricorso al Tribunale per grave ed evidente errore di apprezzamento Censura sul merito della valutazione � Difetto di giurisdizione del tribunale. (d. I. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 29). Il ricorso al tribunale ex art. 29 terzo comma del d.l. 7 agosto 1936, n. 1639 per difetto di calcolo o errore di apprezzamento � una impugnazione di legittimit� della decisione della commissione provinciale di . valutazione che concerne non la valutazione in s� ma il procedimento logico-giuridico seguito dalla Commissione quale emerge esclusivamente .dalla decisione impugnata. Difetta quindi di giurisdizione il tribunale per conoscere una censura sostanziale di valutazione riferita all'accertamento dell'Ufficio fatto proprio dalla commissione, che non venga dedotta come vizio formale della decisione (1). (1) � pacifico che l'impugnazione ex art. 29 terzo comma del d.l. 7 ago: sto 1936, n. 1639 concerne solo la legittimit� della decisione (Cass. 21 giugno 1971, n. 1926, in questa Rassegna, 1971, I, 1184), non pu� riguardare la sostanza �della valutazione e non pu� quindi essere diretta contro l'atto di accertamento (12 febbraio 1973, n. 406, ivi, 1973, I, 424). Perspicua ed esattissima � quindi l'affermazione che la domanda rivolta contro la sostanza della valutazione, �esulando dall'impugnazione di legittimit� e risolvendosi in una questione di :semplice estimazione, urta contro il difetto di giurisdizione del tribunale. 122 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Con il primo motivo del ricorso principale la societ� Automare denuncia la violazione degli artt. 145 della le~ge organica di registro del 1923 e 29 r.d. 7 agosto 1936, n. 1639 per aver la Corte del merito negato la giurisdizione del giudice ordinario, erroneamente rite nendo che non fosse stato dedotto contro la decisione della Commissione centrale di valutazione uno dei vizi previsti dal terzo comma dell'art. 29 del citato decreto n. 1639 del 1936, mentre essa ricorrente, con chiaro riferimento alla suddetta disposizione, aveva in realt� dedotto il macro scopico errore di apprezzamento in cui era incorsa la Commissione pro vinciale con il valutare come edificatorio un terreno, che, prima facie, risultava agricolo. Il motivo � infondato. Come ha ripetutamente affermato questa Corte Suprema il ricorso al giudice ordinario, previsto dall'art. 29, terzo comma, r.d. n. 1639 del 1936, per grave ed evidente errore di apprezzamento, ovvero per mancanza od insufficienza di calcolo nella determinazione del valore del bene oggetto dell'imposizione, costituisce un'impugnazione di mera legittimit�, ,il cui oggetto � limitato all'accertamento dei suddetti vizi. II giudice ordinario deve, pertanto, unicamente accertare se la motivazione addotta dalla Commissione provinciale di valutazione, a sostegno della sua definitiva decisione, sia una motivazione qualificata, e cio� basata su un calcolo di dati aritmetici, ovviamente desunti dai parametri fissati dall'art. 16 dello stesso decreto, ed inoltre se il detto calcolo e la raccolta dei dati o termini relativi non siano affetti da gravi ed evidenti errori di apprezzamento. Il sindacato, quindi, del giudice ordinario si risolve in un controllo che investe, non la. valutazione in s�, ma il procedimento logico-giuridico seguito in tale operazione. Ora non vi � dubbio che nell'ambito di tale sindacato rientri anche la denuncia di un vizio che, sia con riferimento alla modalit� del calcolo, sia con riferimento al criterio di valutazione, venga ad appuntarsi sulla determinazione giuridica ed obiettiva della natura pertinente ad un fondo, se agricolo od edificatorio. Senonch� l'esame degli atti processuali -alla cui autonoma e diretta valutazione pu� procedersi, essendo in materia di giurisdizione questa Corte giudice anche del fatto -consente di escludere, come giustamente � stato escluso dai giudici di merito, che la richiesta di nullit� della decisione della Commissione provinciale sia stata fondata su quel particolare difetto di motivazione previsto dalla pi� volte citata disposizione_ Nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado la odierna ricorrente, infatti, genericamente affermando la erroneit� dell'adottata decisione, testualmente asser� che la valutazione: � andava fatta secondo i coefficienti di legge, trattandosi di terreni agricoli, che nel 1964 non avevano i valori accertati dall'Ufficio �, mentre nell'atto di appello ribad� PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tale concetto affermando: �abbiamo denunciato la valutazione degli uffici finanziari per un grave ed evidente errore di apprezzamento: terreni agricoli valutati come aree fabbricabili �. La denuncia di illegittimit� formulata dalla societ� Automare riguard�, quindi, unicamente il giudizio conclusivo espresso dalla Commissione provinciale sulla natura del bene soggetto a valutazione; e non gi� i presupposti oggettivi ed il procedi� mento logico-giuridico della pronunzia. Non si �, invece, dedotto che la motivazione della impugnata sentenza fosse priva di calcoli estimativi oppure che i detti calcoli fossero affetti da gnwe ed evidente errore di apprezzamento, ma si � lamentato unicamente che i terreni, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione provinciale, dovevano considerarsi agricoli e, quindi, valutati con il sistema tabellare. Ma, come dianzi detto, tale censura non pu� essere dedotta dinanzi al giudice ordinario di prima istanza ai sensi del terzo comma dell'art. 29 del citato decreto in quanto, riguardando il merito della valutazione, non � riconducibile in uno dei vizi espressamente previsti dalla suddetta disposizione. -(Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 1976, n. 8 -Pres. Rossi � Rel. Sandulli -P. M. Serio (parz. conf.) -Ministero delle poste e delle telecomunicazioni (avv. dello Stato Del Greco) c. Impresa Zamboni (avv. Pasquale e Ciccolo). ' Appalto -Appalto di opere pubbliche -Riserve dell'appaltatore � Onere Carattere generale. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 36 e segg., 89, primo ed ultimo comma, 64, secondo� comma, e 54, quinto comma). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Sospensione dei lavori -Facolt� discrezionale dell'amministrazione committente � Esercizio legittimo � Pregiudizio derivante all'appaltatore dalla sospensione dei lavori Qualificazione come danno contrattuale � Esclusione. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16; d. m. 28 maggio 1895, art. 35; d.P.R. 16 luglio 1962,. n. 1063, art. 30). � Appalto � Appalto di opere pubbliche � Sospensione dei lavori � Inclusione fra i cosiddetti fatti continuativi � Esclusione. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, art. 16; d. m. 28 maggio 1895, art. 35; d.P.R. 16 luglio 1962,. n. 1063, art. 30). Appalto � Appalto di opere pubbliche -Sospensione dei lavori . Maggiori compensi chiesti dall'appaltatore � Onere della riserva alla firma del verbale di ripresa dei lavori. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 54, 64 e 89; d. m. 28 maggio 1895, art. 35; d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserve dell'appaltatore � Conte�� stazione in. sede giudiziale � Eccezione di decadenza � Subordinate deduzioni di merito � Effetti � Rinunzia all'eccezione di decadenza Esclusione. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54, 64 e 89; cod. civ., artt. 2964 e segg.). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Maggiori richieste d�ll'appaltatore �� Interessi � Decorrenza. (D. m. 28 maggio 1895, art. 40). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Variazioni ed addizioni � Facolt� dell'amministrazione committente � Limiti. (Legge 20 marzo 1865, n. 2248, ali. F, art. 344; d. m. 28 maggio 1895, artt. 17 e 19). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 12S Appalto � Appalto di opere pubbliche � Richieste dell'appaltatore relative a partite di lavoro non indicate nel registro di contabilit� � Omessa riserva nei relativi documenti contabili � Decadenza dell'appaltatore�. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54, 64 e 89). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Partite di lavoro non contabiliz�� zate e riconosciute in sede giudiziale � Indennizzo per rincaro dei costi � Ammissibilit�. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 21 e 22; d.l.C.p.S. 6 dicembre 1947, n. 1501; cod. civ., art. 1223). Appalto � Appalto di opere pubbliche � Riserve dell'appaltatore . Somme: riconosciute in sede giudiziale � Rivalutazione � Inammissibilit�. (R. d. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 54, 64 e 89; cod. civ., art. 1277). A norma degli artt. 89, primo ed ultimo comma, 64, secondo comma,. e 54, quinto comma, del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, l'appaltatore di opere pubbliche, ove intenda contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuati dall'Amministrazione committente, � tenuto ad iscrivere apposita riserva nei documenti contabili (o nel registro di contabilit�) ed a produrre ed esporre nel registro di contabilit�, nei modi e nei terminf indicati dalla legge, gli elementi atti ad individuare la sua pretesa, nel titolo e nella somma, nonch� a confermare la riserva all'atto della sottoscrizione del conto finale (1). I maggiori oneri conseguenti alla sospensione dei lavori, disposta dall'Amministrazione committente nell'esercizio di un potere discrezionale,. non sono configurabili (nella normalit� dei casi) come danni contrattuali da colpa grave della stazione appaltante (2). Deve escludersi che l'ipotesi della sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione committente rientri nell'ambito della categoria dogmatica dei cosiddetti fatti a carattere continuativo (3). La riserva dell'appaltatore di opere pubbliche per i maggiori oneri che si assumano subiti in conseguenza della sospensione dei lavori di� sposta dall'Amministrazione committente deve essere iscritta nel verbale� di ripresa dei lavori e quindi riprodotta ed .esplicata nel registro di con� tabilit� in occasione della presentazione e sottoscrizione immediatamente� successiva (4). (1) Principio consolidato. Da ultimo, cfr.: Cass., 18 luglio 1975, n. 2841, in questa Rassegna, 1975, I, 911; amplius, in argomento, cfr. Rel. Avv. Stato, 19711975, voi. Ili, n. 385. (2-4) In tema di fatti cosiddetti continuativi cfr., da ultimo: Cass., 17 ottobre 1975, n. 3374, in questa Rassegna, 1975, I, ~12, con nota di commento. Sulla facolt� dell'Amministrazione di disporre la sospensione dei lavori e sull'onere della tempestiva riserva per i maggiori oneri che si assumano subiti in conseguenza della sospensione, cfr.: Rel. Avv. Stato, 1971-1975, voi. III, rispettivamente n. 379 e n. 385. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Quando in sede giudiziale sia preliminarmente eccepita la improponibilit� delle domande dell'appaltatore per la tardivit� delle riserve, non pu� dalle subordinate deduzioni svolte quanto al merito delle richieste attrici e dalla indicazione delle minori somme che si sarebbero potute ex adverso pretendere desumersi una implicita rinunzia all'eccezione di decadenza (5). In tema di appalto di opere pubbliche, gli interessi legali sulle somme riconosciute all'appaltatore in sede giudiziaria sono dovuti con decorrenza dalla data della domanda giudiziale, essendo il particolare termine di decorrenza previsto dall'art. 40 del capitolato generale approvato con. d.m. 28 maggio 1895 applicabile nel solo caso di controversie definite in via amministrativa o arbitrale (6). Nell'appalto di opere pubbliche l'Amministrazione committente ha la facolt� di chiedere che l'appaltatore esegua tutte le variazioni e le addizioni ritenute opportune per la esecuzione dell'opera valutando le une e le altre ai prezzi unitari del contratto, con il solo limite che le stesse non mutino essenzialmente la natura delle opere comprese nella convenzioni! contrattuale e non superino un quinto dell'importo dell'appalto (5) Principio di ovvia esattezza, per la cui assorbente rilevanza la Corte di cassazione ha escluso la necessit� di valutare il secondo profilo di contestazione dedotto nel motivo di ricorso, sulla inammissibilit� stessa di una rinuncia alla decadenza i.n cui sia incorso l'appaltatore. Cfr.: MARZANO, Sulla rinuncia a valersi della decadenza in tema di pubblici appalti, in questa Rassegna, 1973, I, 1191. Da ultimo, per l'implicita ammissibilit� di tale rinuncia (ma anche in questo caso escludendosene i presupposti di fatto), cfr.: Cass., 17 ottobre 1975, n. 3374, in questa Rassegna, 1975, I, 912. (6) Con tale principio � stato negato che gli interessi possano farsi decorrere, come avevano invece ritenuto i giudici di appello, dalla data di formulazione delle riserve, escludendosi espressamente che alla riserva possa attribuirsi l'effetto di una costituzione in mora. Non pu� condividersi, peraltro, l'affermazione secondo cui gli interessi sulle somme riconosciute in sede giudiziaria decorrerebbero dalla data della domanda giudiziale, per essere l'applicabilit� dell'art. 40, ultimo comma, del capitolato generale di appalto del 1895 limitata alle sole controversie definite in sede � amministrativa o arbitrale �; ed � stato invero gi� altre volte espressamente precisato che il termine stabilito dalla indicata norma esclude � ogni altro dies a quo, incluso quello che coincide con la proposizione della domanda giudiziale� (Cass., 21 giugno 1974, n. 1830, in questa Rassegna, 1974, I, 1021; contra, nel senso della sentenza in rassegna: Cass., 28 gennaio 1974, n. 218; in argomento v. pure: Cass., sez. un., 23 novembre 1974, n. 3800). Anche a prescindere dalle argomentazioni in contrario desumibili dalla stessa originaria natura dell'arbitrato obbligatorio previsto dal capitolato generale di appalto del 1895 (ed in particolare dalla ravvisata necessit� di un provvedimento amministrativo anche per la � esecuzione � della pronuncia arbitrale), va infatti rilevato che il limitato riferimento della norma ad una soluzione delle controversie � in sede amministrativa o arbitrale � 'deve essere inteso e giustificato, senza possibilit� di desumersene ulteriori e pregiudizievoli conseguenze, in relazione alla espressa precisazione, contenuta al secondo comma I I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 127 (nella specie il superamento di tale limite � stato escluso, sotto il duplice profilo in argomento rilevante, nella esecuzione di edificio con due piani in pi� di quelli inizialmente previsti) (7). Poich� sede delle riserve dell'appaltatore di opere pubbliche sono tutti i documenti contabili, e non il solo registro di contabilit�, e nessuna rilevanza giuridica pu� attribuirsi alla mancata riproduzione nel registro di contabilit� di voci di partite di lavoro gi� indicate nei documenti contabili ad esse relativi, � inammissibile per decadenza la riserva formulata in sede di conto finale relativamente a partite di lavoro non indicate nel registro di contabilit�, quando nessuna riserva sia stata formulata dall'appaltatore in merito ai documenti contabili relativi a tali partite di lavoro (8). E ammissibile la richiesta di un indennizzo per il rincaro dei costi relativamente alle partite di lavoro non contabilizzate, e riconosciute soltanto in sede giudiziale, trattandosi di maggiorazione non considerata nel procedimento di revisione dei prezzi (9). del successivo art. 49, secondo cui � la sentenza arbitrale non sar� soggetta n� ad appello, n� a cassazione�; e la validit� di tale considerazione � confermata, evidentemente, dall'art. 36, ultimo comma, del vigente capitolato generale di appalto, nel quale la decorrenza degli interessi risulta espressamente stabilita, con formula sostanzialmente interpretativa (o comunque utile ad intendere l'effettiva portata della previgente disposizione), con riferimento a controversie � risolte � in sede amministrativa � o contenziosa �. Sugli effetti del ritardo nei pagamenti dovuti all'appaltatore cfr., per le varie questioni, Rel. Avv. Stato, 1971-1975, voi. III, n. 381. (7) Affermazione di principio derivante da specifiche disposizioni, ma che si � ritenuto di dover tuttavia massimare in ragione della particolare situazione di fatto alla quale � stata nella specie applicata, quale risulta segnalata nel testo stesso della massima. Sulla facolt� dell'amministrazione committente di ordinare variazioni e addizioni ai lavori appaltati, e sulle varie questioni in argomento discusse, cfr.: Rel. Avv. Stato, 1971-1975, voi. III, n. 377. (8) Ulteriore conferma della necessit� di aver riguardo, nel valutare la tempestivit� delle riserve dell'appaltatore, a tutti i documenti contabili, e non al solo registro di contabilit�, e di escludere comunque l'ammissibilit� di riserve formulate solo in sede di conto finale. In particolare, sull'onere dell'appaltatore di formulare tempestiva riserva anche relativamente a partite di lavoro non contabilizzate, cfr.: Cass., 5 maggio 1972, n. 1355, in questa Rassegna, 1972, I, 508; 29 dicembre 1969, n. 4046, Giust. civ., 1970, I, 1246. (9) L'affermazione di principio, della quale non constano precedenti, appare prima facie convincente, per essere ovvio che nella revisione dei prezzi non si � tenuto conto delle partite di lavoro non contabilizzate, e per le quali il riconoscimento del compenso dovuto sia solo di seguito intervenuto in sede giudiziale. In effetti per�, e proprio per essere l'importo da calcolare per il rincaro dei costi corrispondente a quello che sarebbe stato concesso in sede di revisione dei prezzi se le partite di lavoro fossero state regolarmente contabiliz 10 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le somme riconosciute all'appaltatore ad integrazione dei compensi: contrattuali e per riaccreditamento di somme indebitamente trattenute� non sono suscettibili di rivalutazione monetaria (10). (Omissis). -Il ricorso principale e quello incidentale, promossi' contro la medesima sentenza, vanno riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ. Per ragioni di priorit� logica va esaminato in precedenza il primo motivo del ricorso incidentale. Con esso, il ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 16, 89 e 5.4 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la col~audazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici) approvato con r.d. 25 maggio 1895,. n. 350 e dell'art. 35 del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 1895, nonch� il travisamento dei fatti e la contraddittoriet� della motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. -sostiene che: a) la Corte del merito -dopo aver ritenuto che le tre sospensioni dei lavori disposte dall'Amministrazione appaltante costituissero fatti continuativi -non avrebbe potuto dichiarare l'appaltatore decaduto� dalle pretese relative ai pregiudizi conseguenti alla prima sospensione dei lavori disposta dal Ministero, per la tardivit� delle riserve formulate non nel verbale di ripresa dei lavori, ma alla chiusura del conto finale; zate (e quindi, non discutendosi di risarcimento di danni ma solo di lavori da pagare, anche con la detrazione della percentuale d'alea), la decisione � invece a tale proposito censurabile, sia perch� consente al giudice ordinario. di procedere alla revisione dei prezzi (per la quale invece difetta di giurisdizione), sia perch� la maggiorazione a tale titolo calcolata viene ad essere con tale criterio riconosciuta indipendentemente dalle determinazioni riservate in argomento alla valutazione discrezionale dell'amministrazione committente, senza che risulti se la revisione dei prezzi sia stata o no domandata e se sia stata o no concessa, e senza considerazione della incidenza che i maggiori compensi contrattuali riconosciuti in sede giudiziale possono determinare nel calcolo dell'importo revisionale complessivo; ed � certo pi� valida soluzione quella di ammettere, in coerenza con il sistema, e senza pregiudizio dei principi applicabili nella materia, che l'appaltatore al quale siano stati riconosciuti in sede contenziosa maggiori compensi contrattuali (e che abbia gi� chiesto ed ottenuto, s'intende, la revisione dei prezzi) possa chiedere un supplemento dell'importo revisionale, secondo calcolo complessivo nel quale sia tenuto conto. del maggior corrispettivo in suo favore determinato dal giudice. (10) Nel senso che l'appaltatore non possa pretendere il risarcimento del danno da svalutazione monetaria per il ritardo nella corresponsione delle somme dovutegli cfr.: Cass., 26 ottobre 1970, n. 2168. La possibilit� di una rivalutazione 128 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le somme riconosciute all'appaltatore ad integrazione dei compensi: contrattuali e per riaccreditamento di somme indebitamente trattenute� non sono suscettibili di rivalutazione monetaria (10). (Omissis). -Il ricorso principale e quello incidentale, promossi' contro la medesima sentenza, vanno riuniti, a norma dell'art. 335 cod. proc. civ. Per ragioni di priorit� logica va esaminato in precedenza il primo motivo del ricorso incidentale. Con esso, il ricorrente -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 16, 89 e 5.4 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la col~audazione dei lavori dello Stato che sono nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici) approvato con r.d. 25 maggio 1895,. n. 350 e dell'art. 35 del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 1895, nonch� il travisamento dei fatti e la contraddittoriet� della motivazione, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. -sostiene che: a) la Corte del merito -dopo aver ritenuto che le tre sospensioni dei lavori disposte dall'Amministrazione appaltante costituissero fatti continuativi -non avrebbe potuto dichiarare l'appaltatore decaduto� dalle pretese relative ai pregiudizi conseguenti alla prima sospensione dei lavori disposta dal Ministero, per la tardivit� delle riserve formulate non nel verbale di ripresa dei lavori, ma alla chiusura del conto finale; zate (e quindi, non discutendosi di risarcimento di danni ma solo di lavori da pagare, anche con la detrazione della percentuale d'alea), la decisione � invece a tale proposito censurabile, sia perch� consente al giudice ordinario. di procedere alla revisione dei prezzi (per la quale invece difetta di giurisdizione), sia perch� la maggiorazione a tale titolo calcolata viene ad essere con tale criterio riconosciuta indipendentemente dalle determinazioni riservate in argomento alla valutazione discrezionale dell'amministrazione committente, senza che risulti se la revisione dei prezzi sia stata o no domandata e se sia stata o no concessa, e senza considerazione della incidenza che i maggiori compensi contrattuali riconosciuti in sede giudiziale possono determinare nel calcolo dell'importo revisionale complessivo; ed � certo pi� valida soluzione quella di ammettere, in coerenza con il sistema, e senza pregiudizio dei principi applicabili nella materia, che l'appaltatore al quale siano stati riconosciuti in sede contenziosa maggiori compensi contrattuali (e che abbia gi� chiesto ed ottenuto, s'intende, la revisione dei prezzi) possa chiedere un supplemento dell'importo revisionale, secondo calcolo complessivo nel quale sia tenuto conto. del maggior corrispettivo in suo favore determinato dal giudice. (10) Nel senso che l'appaltatore non possa pretendere il risarcimento del danno da svalutazione monetaria per il ritardo nella corresponsione delle somme dovutegli cfr.: Cass., 26 ottobre 1970, n. 2168. La possibilit� di una rivalutazione � stata invece talora ammessa, ma per l'ipotesi di somme riconosciute per danni determinati da comportamento colposo dell'amministrazione committente, in sede arbitrale. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI b) le sospensioni dei lavori, disposte dall'Amministrazione committente, fossero illegittime, in quanto determinate non da ragioni tecniche, ma da esigenze particolari di questa. La censura, articolata nei riassunti profili, � infondata. Secondo la tesi del ricorrente, nell'ipotesi di sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione appaltante -costituendo questa un fatto �a carattere continuativo�, e cio� in via di svolgimento -l'onere della formulazione (ed esplicazione) della riserva sorgerebbe soltanto al momento in cui si renda manifesta la rilevanza causale del fatto generatore della situazione onerosa e si disponga di ogni elemento necessario per indicare l'i,mporto del compenso richiesto, e cio� al momento del compimento dell'opera e della chiusura della contabilit�. Invece, secondo l'opinione dei giudici del merito, nel sistema normativo vigente in materia di pubblici appalti, dalla inosservanza dell'onere della formulazione immediata della riserva (contenente la richiesta dell'impresa appaltatrice intesa ad ottenere un maggior compenso) nel verbale della ripresa dei lavori e della riproduzione ed esplicazione di essa nel registro di contabilit� presentato per la sottoscrizione ai fini dell'emissione dello stato di avanzamento immediatamente successivo conseguirebbe l'effetto preclusivo della richiesta dell'impresa appaltatrice, riguardante gli indennizzi per le maggiori spese sostenute in conseguenza della sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione. E tale orientamento -ad avviso di questa Corte -� esatto. Il problema che si pone � se, in caso di sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione appaltante, la riserva (generica) relativa al maggior compenso spettante per le ulteriori spese sostenute in conseguenza del provvedimento di sospensione debba (o meno) essere formulata (a pena di decadenza) nel verbale di ripresa dei lavori (e riprodotta ed esplicata nel registro di contabilit� al momento della presentazione e sottoscrizione di questa al fine dell'emissione dello stato di avanzamento immediatamente successivo). Intimamente collegato ad esso � il quesito se la sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione integri (o meno) un fatto cosiddetto a carattere continuativo. Ai fini della disamina delle questioni delineate, occorre muovere dai dati normativi (di diritto obiettivo), posti a disciplina della materia dei pubblici appalti, nonch� dal presupposto giuridico che i maggiori oneri, sostenuti dall'appaltante in conseguenza della disposta sospensione dei lavori (normalmente) non siano inquadrabili nello schema concettuale dei danni contrattuali, derivanti da un fatto imputabile (per la sua illi ceit�) alla stazione appaltante a titolo di colpa gr�ive. � noto che, in tema di pubblici appalti, il compenso complessivo, dovuto all'appaltatore, viene determinato attraverso un procedimento di ' 130 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO accertamento e di registrazione, nei documenti contabili, di tutti i fatti generatori di spese per !;esecuzione dell'opera. Ed ai fini di tale determinazione non pu� non riconoscersi particolare rilevanza giuridica alle norme specifiche sulla contabilit� dei lavori (compiuta a cura esclusiva dell'amministrazione: artt. 36 e segg. del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, che approva il regolamento sulla direzione, contabilizzazione e collaudazione dei lavori dello Stato), nonch� alle disposizioni che stabiliscono le modalit� per la proposizione di eventuali pretese dell'appaltatore nei confronti dell'amministrazione, riferentisi ai fatti registrati e risolventisi, comunque, in richieste di ulteriori compensi o indennizzi (artt. 89, primo ed ultimo comma; 64, secondo comma; 54, quinto comma, del citato regolamento n. 350 del 1895. In base a tali norme l'appaltatore, ove intenda contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuati dall'Amministrazione, � tenuto ad iscrivere apposita riserva nei documenti contabili (o nel registro di contabilit�) ed a produrre ed esporre nel registro di contabilit� nei modi e nei termini indicati dalla legge, gli elementi atti a individuare la sua pretesa, nel titolo e nella somma, nonch� a confermare la riserva all'atto della sottoscrizione del conto finale. Invero, l'attuazione dell'opera pubblica -dalla gara .di appalto e consegna dei lavori alla esecuzione e collaudo di essi -si articola in fasi successive attraverso un procedimento formale e vincolato, che si svolge in una serie di registrazioni e certificazioni alla cui formazione l'appaltatore � chiamato a partecipare; e, perci�, gli � imposto l'onere di contestare immediatamente le circostanze riguardanti le sue prestazioni e suscettibili di produrre un incremento delle spese originariamente previste. Dalla dottrina pi� autorevole e dalla giurisprudenza prevalente (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., sent. 20 luglio 1972, n. 1960) � costantemente riconosciuto il carattere generale della prescrizione relativa alla formulazione (e successiva quantificazione) nei documenti contabili (e nel registro di contabilit�) di tutte le richieste incidenti sul compenso spettante all'appaltatore. Le riserve e le eccezioni formulabili dall'appaltatore trovano -come si � visto -la loro disciplina negli artt. 89, 64 e 54 del regolamento. L'art. 89 dispone che l'appaltatore, all'atto della firma, iscrive nei documenti contabili le riserve e le domande che ritiene di proprio interesse (primo comma) e che queste non hanno efficacia, e sono considerate non avvenute, ove non siano ripetute nel registro di contabilit�, nei termini e modi indicati negli artt. 53 e 54 (quarto comma). L'art. 64, secondo comma, vieta, poi, all'appaltatore di iscrivere nel conto finale domande per oggetto e per importo diverse da quelle for� PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 131 mulate (o esplicate) nel registro di contabilit� durante lo svolgimento dei lavori. L'art. 54, quinto comma, stabilisce, infine, che l'appaltatore, il quale non abbia esplicato le sue riserve nel registro di contabilit�, decade dal diritto di far valere (in qualunque tempo e modo) riserve e domande (formulate nei documenti contabili) riferentisi ai fatti registrati. La ragione fondamentale giustificatrice di tali preclusioni (esplicite ed implicite nel sistema) va ritrovata -secondo la dottrina e la giurispmdenza -nella necessit� -nel quadro generale delle esigenze del bilancio pubblico -della continua evidenza delle spese dell'opera, in relazione sia alla corretta utilizzazione ed eventuale tempestiva integrazione (art. 37, lett. e, del regolamento) dei mezzi finanziari all'uopo predisposti, sia alle altre eventuali determinazioni dell'Amministrazione di fronte ad un notevole superamento delle previsioni originarie di spesa, rendente l'onere della costruzione eccessivamente rilevante rispetto alla utilit� conseguibile dal corpo sociale. Delineato cos� il quadro normativo, alla luce delle cui statuizioni legislative vanno risolti i problemi, oggetto del presente dibattito giudiziale, va precisato il presupposto giuridico della non configurabilit� (nella normalit� dei casi) dei maggiori oneri conseguenti alla sospensione dei lavori, disposta dall'Amministrazione, come danni contrattuali da colpa. grave della stazione appaltante. Invero, la pubblica Amministrazione, nel disporre la sospensione dei lavori, esercita, di regola (nei limiti della discrezionalit� assegnatale), legittimamente una potest� attribuitale ex lege. Infatti, l'istituto della sospensione dei lavori � previsto come un potere (discrezionale) accordato all'Amministrazione, in caso di concorso di speciali circostanze, dagli artt. 16 del regolamento n. 350 del 1895 e 35 del Capitolato generale per le spese di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 1895. (Anche il nuovo Capitolato generale di cui al d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 ribadisce la legittimit� della sospensione dei lavori, sia che questa venga originata da ragioni obiettive -art. 30, primo comma, esemplificate in cause di forza maggiore, condizioni climatologiche ed altre circostanze speciali impedenti in via temporanea la prosecuzione dei lavori a regola d'arte -sia che venga determinata da motivi d'interesse pubblico, discrezionalmente apprezzabili dalla pubblica Amministrazione). E, sulla base di tali disposizioni normative, i pregiudizi conseguenti all'esercizio (legittimo) di siffatto potere (discrezionale) non possono (normalmente) inquadrarsi nello schema paradigmatico dei danni contrattuali. Ci� posto va esaminato il quesito preliminare se la sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione rientri (o meno) fra i cosiddetti fatti continuativi, per i quali -secondo la giurisprudenza di questa RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Corte (cfr. sent. 25 luglio 1973, n. 2168; sent. 20 marzo 1972, n. 830; sent. 30 giugno 1969, n. 2393) -l'esigenza di un accertamento sicuro e completo si ritiene soddisfatta con l'iscrizione delle riserve al tempo della cessazione della continuazione, sorgendo l'onere della formulazione delle riserve, in ordine ad essi, soltanto nel momento in cui si renda manifesta la rilevanza causale del fatto generatore della situazione onerosa e si disponga di ogni elemento necessario per l'indicazione dell'importo del compenso richiesto. Invero, l'incidenza di fatti cosiddetti continuativi sul prezzo dell'opera, ai fini delle attivit� e degli interventi della pubblica Amministrazione (reperimento di ulteriori fondi, ecc.) viene ad assumere rilevanza soltanto a causa della loro ripetizione, mentre i singoli episodi costituenti la serie di essi importerebbero, ai detti fini, oneri di entit� meramente trascurabile. E -poich�, in conseguenza di ci�, n� l'appaltatore sarebbe in grado, prima della cessazione della continuazione, d'indicare, con la precisione richiesta dai regolamenti e dai capitolati, i compensi ai quali ritiene di avere diritto, n� l'ufficio sarebbe in grado di emettere gli opportuni provvedimenti, presupponendo anche questi una conoscenza precisa e, in cifre, delle somme residuali ancora dovute -la riserva iscritta riguardo ai singoli episodi sarebbe sempre inutile e, per certi aspetti, impossibile (cfr., in tal senso: Cass., sent. 20 marzo 1972, n. 830). Cos� precisate le connotazioni formali e sostanziali dei fatti continuativi, pu� senz'altro escludersi che l'ipotesi di sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione rientri nell'ambito della categoria dogmatica dei cosiddetti fatti a carattere continuativo. Invero, a far considerare non sussumibile in tale categoria l'ipotesi della sospensione dei lavori � sufficiente osservare come la serie delle partite di oneri, derivate a carico dell'impresa appaltatrice in conse~ guenza del periodo di forzata sospensione, imposta dall'Amministrazione, venga a cessare al momento della ripresa dei lavori. E non v'� dubbio che ci� basta ad escludere che, in ordine ai fatti verificatisi in detta ipotesi, possa trovare giustificazione una deroga cos� lata al principio della decadenza per mancata riserva, da permettere, sino al compimento dell'opera, la denuncia dei fatti, che, ancorch� non istantanei, ma protratti e ripetuti, siano ormai cessati -anche se' tali da ripercuotersi (di riflesso) sul costo globale complessivo dell'opera. E -poich�, al momento della ripresa dei lavori, l'impresa appaltatrice, adottando il parametro (ritenuto adeguato dalla giurisprudenza) della media diligenza e della buona fede, � in grado di percepire e denunciare una situazione ormai esaurita (generatrice di un pregiudizio ontologicamente apprezzabile e gi� realizzatosi), nonch� di definire contemporaneamente (o a breve scadenza successiva) in una somma determinata il pregiudizio medesimo -deve escludersi che, riguardo all'ipotesi PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI -considerata della sospensione dei lavori, possa derogarsi in tal senso alle forme ed ai termini previsti ex lege per la proposizione e l'esplicazione della riserva, non potendo la dispensa dall'onere della tempestiva riserva trascendere dalla ragione giustificativa di essa. E -poich�, nel caso di specie, l'impresa appaltatrice non si � data carico di dimostrare che, per la determinazione della sospensione o per la necessaria protrazione di essa, ricorresse l'ipotesi di un comportamento dell'Amministrazione appaltante tale da superare i limiti della discrezionalit� concessale in materia -deve ritenersi che le pretese dell'appaltatore ai maggiori compensi, spettanti per le ulteriori spese conseguenti al provvedimento di sospensione dei lavori, non possano sfuggire all'onere della tempestiva riserva. Circa, poi, la identificazione del limite temporale per la formulazione delle riserve, deve affermarsi che, in caso di cessazione del periodo di sospensione dei lavori, esse debbano essere formulate nel verbale di ripresa dei lavori (costituente sede adatta per la formulazione di riserve circa oneri e pregiudizi derivati dalla cessata sospensione), e che quelle che siano state espresse in tale sede debbano essere ex necessitate riprodotte ed esplicate nel registro di contabilit�, presentato per la sottoscrizione e l'approvazione dello stato di avanzamento immediatamente successivo. In tema di sospensione dei lavori disposta dalla pubblica Amministrazione, la riserva generica va, quindi, formulata nel verbale di ripresa dei lavori, e quella, in tale sede espressa, va riprodotta ed esplicata, a pena di decadenza, nel registro di contabilit�, presentato e sottoscritto ai fini della emissione ed approvazione dello stato di avanzamento successivo. Per modo che, pu� concludersi che, quando l'impresa appaltatrice non abbia formulato la riserva nel verbale di ripresa dei lavori, interrotti a seguito �li provvedimento di sospensione, disposto dall'Amministrazione (ovvero non abbia esplicato la stessa nel registro di contabilit� alla presentazione e sottoscrizione immediatamente successiva di esso, al fine dell'emissione dello stato di avanzamento), le sue pretese, correlate al pregiudizio derivatole dalla sospensione dei lavori, debbano considerarsi precluse per l'intervenuta decadenza in conseguenza della intempestivit� delle riserve. Il primo mezzo del ricorso incidentale �, quindi, da disattendere. Va quindi, esaminato il primo motivo del ricorso principale. Con esso, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 2966, 2968 e 2969 cod. civ., in relazione agli artt. 23, 35, 37, 53, 54, 64 e 89 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la collaudazione dei lavori dello Stato rientranti nelle attribuzioni del Ministero dei lavori pubblici), approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350 e 30 e 41 del Capitolato generale RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, approvato con d.m. 28 maggio 1895, nonch� il difetto e l'illogicit� della motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ.) -si duole che la Corte del merito: a) abbia desunto -dalla dichiarazione dell'Amministrazione, contenuta nella comparsa di costituzione in giudizio, che all'impresa appaltatrice � si sarebbe potuto corrispondere il compenso di L. 1.914.490 limitatamente alla (prima) sospensione dei lavori, disposta per l'esecuzione delle varianti� -la preclusione della verificatasi (ed eccepita) decadenza per rinunzia (implicita) ad essa e per (presunto) riconoscimento del debito; b) abbia ritenuto la validit� di una (implicita) rinunzia all'eccezione di decadenza e di un (presunto) riconoscimento del debito, in quanto la rinuncia (espressa e implicita) sarebbe inammissibile in materia di pubblici appalti ed il riconoscimento del debito dovrebbe essere anteriore al verificarsi della decadenza. La censura, articolata nei riassunti profili, � meritevole di accoglimento. La pubblica Amministrazione, nel costituirsi in giudizio con la comparsa di risposta, prima di contestare la fondatezza delle pretese vantate dall'appaltatore, ha eccepito, in via principale, l'improponibilit� delle domande, per l'intempestivit� delle riserve � la decadenza dal diritto di un maggior compenso per i pregiudizi economici conseguenti alla sospensione dei lavori disposta dall'Amministrazione, e, soltanto in via subordinata, ha prospettato la tesi che le richieste attrici non avrebbero potuto superare, in ogni caso, la somma di lire 1.914.490. La Corte del merito, nell'interpretare le deduzioni difensive profilate dall'Amministrazione, � pervenuta alla conclusione che questa -dichiarandosi disposta a corrispondere all'impresa appaltatrice la somma di L. 1.914.490 -abbia implicitamente rinunciato all'eccezione di decadenza, delineata in via principale. E tale interpretazione, avente a supporto una motivazione illogica e viziata da errore giuridico -non potendo una deduzione difensiva addotta in via subordinata, svolgere alcuna incidenza effettuale rispetto alla eccezione di decadenza dal diritto prospettata in via principale non pu� essere considerata esatta da questa Corte. Per modo che, deve concludersi che la Corte del merito -ove avesse correttamente interpretato le deduzioni difensive dell'Amministrazione, assegnando ad esse l'esatta portata giuridica -avrebbe dovuto dichia� rare l'appaltatore decaduto -in conseguenza della intempestivit� delle riserve (non proposte nei termini e nei modi innanzi indicati) -dal diritto di ottenere un maggior compenso per gli oneri ed i pregiudizi, conseguenti alla prima sospensione dei lavori, disposta dall'Amministra-� zione. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI Il primo profilo di censura �, quindi, da accogliere. E l'accoglimento di esso comporta l'assorbimento del secondo, con il quale si denuncia l'invalidit� della rinuncia implicita alla eccezione di decadenza e de} presunto riconoscimento del debito. Con il secondo motivo del ricorso principale, il ricorrente -denunciata la violazione degli artt. 40 del Capitolato generale d'appalto delle opere pubbliche, approvato con d.m. 28 maggio 1895; 53 e 54 del Regolamento sulla contabilit� e collaudazione dei lavori dello Stato, approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in relazione all'art. 1219 cod. civ. -si duole che la Corte del merito -ritenendo che le riserve formulate dall'appaltatore valessero a costituire in mora l'Amministrazione -abbia stabilito la decorrenza degli interessi legali, sulle somme liquidate in. favore dell'impresa appaltatrice, dalla data di chiusura del registro di contabilit� (riguardo alla somma di L. 7.103.615) e da quella di sottoscrizione del verbale di collaudo (riguardo alla somma di L. 298.585), e non dalla data prevista dall'art. 40 del Capitolato generale d'appalto delle� opere pubbliche. La censura merita accoglimento, per ragioni diverse da quelle delineate dal ricorrente. Il problema che si agita � se gli interessi legali, sulle somme dovute all'appaltatore a titolo di maggior compenso, debbano decorrere dalla data delle riserve o da quella stabilita dall'art. 40 del Capitolato generale delle opere pubbliche, approvato con d.m. 28 maggio 1895. Per la soluzione di esso occorre porsi anzitutto il quesito (prelimi nare) se le riserve valgano (o meno) a costituire in mora l'Amministra zione appaltante. � noto che le riserve, formulate dall'appaltatore nei documenti con tabili, sono intese ad evitare che il credito dell'impresa appaltatrice si consolidi nelle somme contabilizzate dall'Amministrazione in suo favore. E poich� esse integrano una forma di contestazione che investe l'accertamento e la liquidazione del corrispettivo complessivamente con siderato, mirando ad affermare la necessit� della sua integrazione con ulteriori somme, non pu� assegnarsi alla riserva (il cui onere � opera tivo in ordine alle pretese connesse al modo di rilevamento e di regi strazione dei lavori) l'effetto della costituzione in mora dell'Amministra zione (possibile, mediante l'assegnazione di un termine, soltanto quando, approvato il collaudo, l'Amministrazione ritardi la propria decisione sulle riserve). Esclusa, quindi, la possibilit� di una decorrenza degli interessi legali dalla data delle riserve, va esaminato se questi debbano decorrere, nelle controversie definite in sede giudiziaria, dalla data prevista dall'art. 4() del Capitolato generale d'appalto. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Di recente, la Corte Suprema (sent. 28 gennaio 1974, n. 218), nel pro cedere all'interpretazione della disposizione normativa contenuta nell'ul timo comma dell'art. 40 (secondo cui sulle somme contestate l'interesse annuo del cinque per cento comincia a decorrere due mesi dopo la data della registrai;ione alla Corte dei conti del decreto emesso in esecuzione dell'atto con cui sono state risolute le controversie) -in base al prin cipio fondamentale (di portata generale) che, in ordine alle norme di carattere eccezionale, sia ammissibile soltanto un'interpretazione restrit tiva, che non consente alcuna espansione della loro sfera applicativa ha ritenuto che, in tema di appalto di opere pubbliche di pertinenza dell'Amministrazione dello Stato, il particolare termine di decorrenza degli interessi legali previsto dall'art. 40 del Capitolato generale si rife risce unicamente aqle somme, in relazione alle quali le controversie siano state definite in via amministrativa e arbitrale (cfr. in tale senso, anche sent. 9 novembre 1971, n. 3161), mentre, nelle controversie definite in sede giudiziaria, va applicato il principio generale di diritto comune, secondo cui gli int�ressi legali decorrono dalla data della domanda giudiziale. E -non ravvisandosi alcuna nuova valida ragione per discostarsi dalla linea direttrice della giurisprudenza di questa Corte -deve confermarsi l'indirizzo, secondo cui, in tema di appalto di opere pubbliche, nelle controversie definite in sede giudiziaria deve applicarsi la regola generale della decorrenza degli interessi legali dalla data della domanda giudiziale. Anche il secondo mezzo del ricorso principale �, quindi, da accogliere. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, il ricorrent� -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1661 cod. civ. e 17 del Capitolato generale per le opere pubbliche, approvato con d.m. 28 maggio 1895, in relazione all'art. 360; nn. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito abbia respinto la sua richiesta di maggior compenso per la edificazione del quinto e del sesto piano del fabbricato (non previsti nel progetto allegato al contratto), costituente una variazione della costruzione ed importante un mutamento essenziale della natura e delle caratteristiche tecnico-strutturali dell'opera. La censura � infondata. Invero, la Corte del merito -facendo corretta applicazione degli artt. 17 e 19 del Capitolato generale per le opere pubbliche del 1895, in base alle cui norme la pubblica Amministrazione ha la facolt� di richiedere che l'appaltatore esegua tutte le variazioni e le addizioni ritenute opportune per l'esecuzione dell'opera valutando le une e le altre ai prezzi unitari del contratto, con il solo limite che le stesse non mutino essenzialmente la natura delle opere comprese nella convenzione contrat� tuale e non superino un quinto dell'importo dell'appalto -ha esatta PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 137 mente escluso, con motivazione congrua e corretta, che all'impresa appaltatrice spettasse, in aggiunta al corrispettivo convenuto, un maggior compenso, in quanto -trattandosi della costruzione di un'unica entit� edilizia -la edificazione del quinto e del sesto piano non avrebbe comportato al prezzo d'appalto un aumento superiore al quinto complessivo, considerato come limite dall'art. 344 del t.u. delle leggi sui lavori pubblici 20 marzo 1865, n. 2248, all. F. Il secondo mezzo del ricorso incidentale �, quindi, da disattendere. Con il terzo motivo, il ricorrente incidentale -denunciata la violazione e la falsa applicazione dell'art. 54 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la collaudazione dei lavori pubblici), approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, nonch� la contraddittoriet� della motivazione ed il travisamento dei fatti, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito abbia ritenuto tardive le riserve, formulate per i sovraccarichi dei solai, per le opere di calcestruzzo e le casseforme relative. La doglianza � infondata. La Corte del merito -con un accertamento di fatto, insindacabile in questa sede, per avere a supporto uno svolgimento motivazionale adeguato ed immune da vizi logici e da errori giuridici -ha esattamente ritenuto la tardivit� delle riserve formulate dall'appaltatore in ordine ai sovraccarichi dei solai, alle opere di calcestruzzo ed alle casseforme relative, con la conseguente implicazione della decadenza dalle pretese a maggiori compensi per l'esecuzione di detti lavori. Anche il .terzo motivo �, perci�, da respingere. Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale -denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 36 e 37 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la collaudazione dei lavori pubblici), approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in relazione agli artt. 54 dello stesso Regolamento e 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito, nel dichiarare la tardivit� delle riserve, formulate (al momento della chiusura del conto finale) in ordine ai ganci ed ai drenaggi, non abbia considerato che tali lavori non fossero stati indicati nel registro di c�ntabilit�. La censura � infondata. Come si � visto nell'esame del primo motivo del ricorso incidentale, le riserve riguardanti i cennati lavori, avrebbero dovuto essere formulate nei documenti contabili, ad essi correlativi, e riprodotte ed esplicate nel registro di contabilit� immediatamente successivo. Ed, in presenza dell'inosservanza dell'onere della tempestiva espressione delle riserve nei documenti contabili (accertata, in linea di fatto, �con valutazione insindacabile in questa sede), la Corte del merito ha RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 138 correttamente ritenuto la tardivit� di esse, con la conseguente implicazione della decadenza dell'appaltatore delle pretese -non avendo a tal fine alcuna rilevanza giuridica la mancata riproduzione nel registro c;li contabilit� di voci di partite di lavoro gi� indicate nei documenti contabili ad esse relativi. Pure il quarto mezzo �, quindi,. da disattendere. Con il quinto motivo, il ricorrente -denunciata la violazione e l.a falsa applicazione delle norme che regolano la revisione dei prezzi dei pubblici appalti, degli artt. 21 e 22 del Regolamento (per la direzione, la contabilit� e la collaudazione dei lavori pubblici) approvato con r.d. 25 maggio 1895, n. 350, e 1223 cod. civ., nonch� il travisamento dei fatti, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito gli abbia negato, in ordine ai maggiori lavori non contabilizzati, il diritto ad un indennizzo per il rincaro dei prezzi,. sul riflesso che i maggiori costi fossero stati valutati in sede di revisione dei prezzi. La censura � fondata. � indubbio che i giudici del merito -ritenendo che dell'aumento dei costi si fosse tenuto conto in sede di revisione dei prezzi d'appalto siano incorsi in un errore logico e giuridico, in quanto -riguardando i maggiori costi voci di partite di lavoro non contabilizzate e riconosciute soltanto in sede giudiziale -il rincaro dei costi non avrebbe potuto essere considerato e valutato nel procedimento revisionale dei prezzi. E -dovendo procedersi, quindi, alla valutazione e determinazione dell'aumento dei costi (riguardo ai maggiori lavori), ai fini dell'attribuzione del preteso indennizzo all'appaltatore -non pu� prescindersi da un riesame, nella sede competente, degli elementi di fatto emergenti dalla realt� processuale. Il quinto mezzo �, quindi, da accogliere. Con il sesto motivo, il ricorrente incidentale -denunciata la vio� lazione e la falsa interpretazione dei principi generali in materia di risarcimento del danno da illecito, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. -si duole che la Corte del merito abbia negato la rivalutazione monetaria del suo credito, consistente nel risarcimento di danni contrattuali. La censura � priva di fondamento. La Corte di merito -dopo avere correttamente attribuito nat1..-a giuridica di valuta ai crediti vantati dall'appaltatore, consistenti nell'in tegrazione dei compensi contrattuali e nel riaccreditamento di una somma indebitamente trattenuta dall'Amministrazione appaltante -ha esatta mente escluso che essi dovessero essere assoggettati alla pretesa rivalu tazione. Anche il sesto mezzo �, per ci�, da disattendere. -(Omissis). PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 139 I TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 30 dicembre 1974, n. 30 � Pres. Colli . Rel. Moscone -Cocini e altri (avv. Celona, Volpi e Manzi) c. Ministero delle finanze (avv. Stato Albisinni) e Comune di Abbiategrasso (avv. Mazzullo e Setti). Responsabilit� civile � Responsabilit� della P .A. � Per atti leciti � Elimi� nazione di opera pubblica � Perdita di utilit� connesse alla sua presenza � Danno permanente � Esclusione � Fattispecie. (L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). � improponibile la domanda con cui il proprietario di un fondo chieda la condanna dell'amministrazione al pagamento di un'indennit�, a norma dell'art. 46 l. espr., per il pregiudizio risentito in conseguenza dell'eliminazione di un'opera pubblica, dalla cui esistenza derivavano al fondo, per il puro fatto della vicinanza o contiguit�, amenit�, isolamento dalle esalazioni o dai rumori normalmente prodotti dalla circolazione dei veicoli negli spazi pubblici, e riparo da vicinanze molestie introspezioni o introduzioni di estranei. In mancanza di un titolo specifico non � infatti ipotizzabile un diritto a godere di tali utilit� e perci� un diritto a che l'opera pubblica sia mantenuta e non trasformata (1). ' II TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 12 novembre 1975, n. 26 -Pres. Danzi � Rel. Sgroi -Ente acquedotti siciliani -E.A.S. (avv. Stato Albisinni) c. Bagnasco (avv. Corrao e Pomar). Espropriazione per p.u. � Danno permanente arrecato ad altro fondo � Unit� economica con l'immobile espropriato � Espropriazione parziale. (L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 40 e 46). Espropriazione per p.u. � Espropriazione parziale � Determinazione del� l'indennit� � Fondo coltivato come cava � Rilevanza � Pregiudizio del� l'azienda estrattiva � Irrilevanza. (L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 40). Il pregiudizio subito da un'immobile diverso da quello espropriato ma formante con questo per ubicazione e destinazione economica una (1) La massima si fonda sulla distinzione tra perdita e diminuzione di un diritto da un lato (art. 46, comma primo, I. espr.) e privazione di un utile cui non si abbia diritto dall'altro (art. 46 comma secondo): sul punto, cfr., 140 AASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO unica entit� va indennizzato a norma dell'art. 40 l. espr., dettato per le ipotesi di espropriazione parziale, e non a norma dell'art. 46 della stessa legge (2). Se l'espropriazione incide su un immobile coltivato a cava in modo da rendere di fatto impossibile la prosecuzione dello sfruttamento della parte non espropriata, nel determinare l'indennit� secondo le regole sull'espropriazione parziale non deve tenersi conto del mancato guadagno conseguente alla interruzione dell'esercizio dell'azienda installata nell'immobile, ma nello stabilire il valore dell'immobile prima e dopo l'espropriazione deve tenersi conto della oggettiva preesistente e poi perduta idoneit� del bene ad essere coltivato come cava (3). III TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 9 dicembre 1975, n. 28 -Pres. Danzi - Rel. Granata -Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Albisinni) c. Soc. r. 1. Ricerche metano e minerarie Graziani (avv. Martini). Responsabilit� civile � Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti -Elimi nazione di preesistente opera idraulica -Esecuzione di opera pubblica � tale. (L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46; r. d. 25 luglio 1904, n. 523, art. 2). Prescrizione -Indennit� per danni da atto lecito -Prescrizione quinquennale per danni da illecito -Applicabilit� -Esclusione. (Cod. civ., art. 2947). Responsabilit� civile -Responsa~ilit� della P.A. -Per atti leciti -Danno permanente -Nozione. (L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). Costituisce esecuzione di opera pubblica, ai fini dell'applicazione dell'art. 46 l. espr., non solo la realizzazione o la modificazione di un nuovo manufatto, ma anche la eliminazione di un manufatto esistente; in materia di opere idrauliche � perci� proponibile la domanda di condanna Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481, Giust. civ., 1961, I, 1712; Trib. Napoli 23 settembre 1971, Giur. merito, 1973, III, 175. Nel senso che non sia equiparabile ad una servit� e non sia perci� indennizzabile la limitazione legale che si rende operante in ragione dell'opera costruita sul fondo espropriato, cfr., Cass. 26 aprile 1974 n. 1195, Giust. civ. Mass., 1974, 555; Cass. 9 ottobre 1972 n. 2936, Giur. agr., 1974, 228; Cass. 24 ottobre 1968 n. 3458, Giur. it., 1968, I, 1, 1509; Cass. 15 novembre 1967 n. 2739, Foro amm., 1968, I, l, J.71; nonch� Corte cost. 22 giugno 1971 n. 133, Giur. cast., 1971, I, 1519 con nota di MoRBIDELLI, Contenuto � essenziale� del diritto di propriet� sul suolo, strade, fasce di rispetto. (2) La giurisprudenza � pacifica nell'individuare il presupposto dell'applicazione delle norme sull'espropriazione parziale in ci�, che la parte di PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 141 al pagamento di una indennit� per il danno arrecato dall'allagamento di un fondo, verificatosi in conseguenza del taglio di un argine, che l'Amministrazione abbia ritenuto di dover ordinare per evitare l'inondazione di un centro abitato e favorire il deflusso di acque di piena verso il mare (4). Il diritto alla indennit� per il danno sofferto in conseguenza di atto legittimo non � soggetto alla prescrizione 'quinquennale prevista dall'art. 2947 cod. civ. per il risarcimento del danno da fatto illecito (5). Costituisce danno permanente, ai sensi dell'art. 46 l. espr., quello concretatosi nella distruzione o nel grave deterioramento fisico dei beni presi in considerazione ai fini della determinazione dell'indennit� (6). IV CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 dicembre 1975, n. 4161 -Pres. Laporta -Est. Miele -P. M. Del Grosso (conf.) -Ministero dell'agricoltura e delle foreste (avv. Stato Albisinni) c. Schoemburg -Waldemburg (avv. Menghini e Ramalli) e Di Giusto e altri (n.c.). Responsabilit� civile -R�sponsabilit� della P.A. -Per atti leciti -Opera idraulica -Maggior pericolo di inondazioni -Danno permanente Sussiste. (L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 46). Responsabilit� civile -Responsabilit� della P.A. -Per atti leciti -Liquidazione dell'indennit� -Liquidazione equitativa -Fattispecie. (Cod. civ., art. 1226). Il danno permanente previsto dall'art. 46 l. espr. pu� essere rappresentato dal fatto che l'esecuzione di un'opera pubblica importi un maggior pericolo di inondazioni per un fondo che pur vi sia naturalmente esposto, perch� ci� determina un'incidenza negativa sulle possibilit� di immobile non espropriata sia unita a quella espropriata da un vincolo obiettivo tale da attribuire all'intero immobile un carattere di unicit� economica: cfr. sul punto, Cass. 12 dicembre 1972 n. 3566, Giust. civ. Mass., 1972, 1932; Cass. 21 novembre 1969 n. 3794, Riv. giur. edil., 1970, I, 557; Cass. 18 giugno� 1968 n. 2001, Giust. civ. Mass., 1968, 1016; Cass. 29 luglio 1965 n. 1820, ivi, 1965, 936; Cass. 18 maggio 1964 n. 1213, ibidem, 1964, 552; Cass. 15 maggio 1964 n. 1184, Riv. giur. edil., 1964, I, 1061; Trib. sup. acque 12 ottobre 1965 n. 21, Giust. civ., 1965, I, 2111. Sulla diversit� delle situazioni di fatto riconducibili agli artt. 40 e 46 I. espr., cfr. Trib. sup. acque 28 aprile 1971 n. 7, Cons. Stato, 1971, II, 408. (3) Sulla prima parte della massima (non indennizzabilit� del pregiudizio� arrecato al soggetto nel diritto personale di utilizzare l'immobile come ele�� ,,,�..�.�...-.�.-.�.�--�� �����.-.�.�.�:.�.�:.�.�.-:.�:.�.-.�:.�:.�.�.�.�).� ....�.-�.-.-.-.�.-.----:-z-:��� .-.-.-.-..-.�.��'.c:��-�.�.-.-.-.-.�.�.�.�.--�.�.�-�.�.�.�.'.�'.�"�'�:� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sfruttamento agricolo del terreno e perci� una diminuzione di valore dell'immobile (7). Non � illogico e non � quindi censurabile in sede di legittimit� il criterio di liquidazione equitativa dell'indennit� ex art. 46 l. espr., consistente nel considerare quale indice del deprezzamento di un fondo agricolo per la maggior esposizione al pericolo di inondazioni la natura dei danni cagionati da una concreta inondazione che il fondo abbia subito (8). (Omissis). -Con atto notificato il 5-6 luglio 1968 Giuseppina, Costantino e Luigi Cocini convennero in giudizio davanti al Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche di Milano, ai sensi della lett. d) dell'art. 140 T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, l'Amministrazione Comunale di Abbiategrasso e l'Amministrazione Finanziaria dello Stato, esponendo: � -che essi erano proprietari di una casa di abitazione con annesso giardino nel Comune di Abbiategrasso, prospiciente fino a poco tempo prima uno specchio d'acqua formato da una darsena e da un tratto del vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo; -che, per conservare il valore derivante alla loro casa da una tale situazione, essi nel 1933, quando il vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo era stato spostato per esigenze stradali, avevano fatto eseguire a proprie cure e spese, previ accordi con l'Amministrazione Provinciale di Milano, il Corpo del Genio Civile e l'Ospedale Maggiore di Milano, cinque bocche di presa d'acqua dalla Roggia Schiaffinata alla seconda conca, coi relativi ponticelli in cemento armato e il bacino di calma per la bocca a stramazzo, acquistando il terreno all'uopo occorrente, e la chiusura delle cinque vecchie bocche di presa in localit� Poscallo; mento di un'azienda in esso installata), cfr., citate in motivazione, Cass. 7 luglio 1960 n. 1810, Foro pad., 1960, I, 1075, e Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481, Giust. civ., 1961, I, 1712, cui adde Cass. 13 novembre 1974 n. 3596, Giust. civ., 1975, I, 410 con nota di TABET, Espropriazione per pubblico interesse e perdita dell'avviamento commerciale. Il principio, per cui non spetta indennizzo per la mancata realizzazione del guadagno, che avrebbe potuto ritrarsi dall'esercizio dell'industria installata sull'immobile, da un lato non esclude che nella determinazione dell'indennit� dovuta debba tenersi conto della destinazione che l'immobile presentava (cfr., in tema di cave, Cass. 7 agosto 1962 n. 2431, Giust. civ. Mass., 1962, 1158, cit. in motivazione, e Trib. Napoli 23 settembre 1971, Giur. merito, 1973, III, 175; in un caso di espropriazione caduta su area destinata a distributore di benzina, Trib. Napoli 31 marzo 1973, Giust. civ. Rep., 1974, espropr. p.u., 234; nel senso della rilevanza del mancato reddito, come elemento di valutazione, quando sia conseguenza di una perdita di valore, Cass. 30 aprile 1969 n. 1393, Rass. giur. Enel, 1969, 820; Cass. 16 ottobre 1962 n. 2997, Temi nap., 1963, I, 350; Cass. 12 settembre 1968 n. �2920, Giust. civ., 1968, I, 1747 e Foro it., 1969, I, 66) dall'altro importa che debba ricomprendervisi il costo di adattamento dell'immobile per consentire la continuazione dell'esercizio dell'azienda PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 143 -che, essendo venuta meno la navigazione nel Naviglio di Bereguardo, la Direzione Generale del Demanio lo aveva declassificato, escludendone la navigazione e assoggettandolo alla competenza dell'Ufficio Tecnico Erariale; -che questo Ufficio, sollecitato dal Comune di Abbiategrasso, aveva consentito a imprese private d'interrare il vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo con la relativa darsena, per trasformarli in sede viaria e per servire a un'area fabbricabile, che un gruppo di speculatori intendeva lottizzare; -che ne era derivato un indiscutibile danno patrimoniale alla loro propriet�, poich� la presenza dello specchio d'acqua, oltre a fungere da recinzione e a consentire l'approdo di natanti da diporto, conferiva allo immobile un eccezionale pregio estetico e ambientale, toglieva ogni possibilit� d'immissione di fumi e rumori e d'introspezione di passanti da breve distanza; -che, inoltre, avendo l'interramento privato di sbocco la Roggia Cagnola, corrente nel loro giardino e adibita a irrigazione, oltre che di piacevole aspetto, si era reso necessario il prosciugamento di tale Roggia e occorreva provvedere ulteriormente a interrarla per trecento metri e (Trib. sup. acque 16 giugno 1971 n. 13, Cons. Stato, 1971, II, 605) o quello di disinvestimenti (Cass. 3 marzo 1962 n. 396, Giust. civ., 1962, I, 1496; Trib. acque Roma 25 gennaio 1970, Riv. giur. edil., 1970, I, 312). (4) L'interpretazione dell'art. 46 L espr. ha ormai da tempo condotto a svincolarne l'applicazione dal presupposto della esecuzione di un'opera, per la cui realizzazione sia stato necessario procedere ad un'espropriazione per pubblica utilit�. La norma ha cos� trovato applicazione anche nel caso di destinazione di immobili a determinati usi di pubblico interesse (Cass. 28 aprile 1961 n. 976, Giust. civ., 1961, I, 1160: destinazione di un immobile del patrimonio indisponibile a caserma per i gruppi squadroni di polizia a cavallo e pregiudizio arrecato alle propriet� limitrofe dalle esalazioni nocive che ne provenivano) ed in quello analogo di danni derivanti dal funzionamento del� l'opera (Cass. 26 ottobre 1970 n. 2157, Giust. civ. Mass., 1970, 1134: vibrazioni indotte in un fabbricato sovrastante dal passaggio in galleria di convogli ferroviari), come anche in quello di eliminazione di un'opera preesistente (cfr. la prima delle sentenze in rassegna, nonch� la giurisprudenza in tema di soppressione di strade pubbliche: Cass. 6 maggio 1971 n. 1281, Giur. it., 1972, I, 1, 150; Cass. 30 aprile .1969 n. 1393, Foro pad., 1971, I, 375). (5) Non constano precedenti in termini. (6) In tema di qualificazione del danno come permanente la giurisprudenza si � in prevalenza soffermata sul punto della configurabilit� come permanente di un pregiudizio non gi� irreversibile, come nel caso in rassegna, ma stabilmente connesso alla permanenza dell'opera, pervenendo ad af� fermare che � permanente non solo il danno perpetuo e irreparabile, ma anche quello che si verifica ininterrottamente per tutta la durata del fatto lesivo che, protraendosi nel tempo, determini il mancato o diminuito godi- H RASSEGNA DELl..'AVVOCATURA DELLO STATO 144 a costruire numerosi pozzi perdenti, per smaltire le acque piovane, dii scarico dell'irrigazione e di uso domestico, le quali prima vi defluivano; -che si doveva anche provvedere, con notevole spesa, alla sistemazione di una cancellata lunga centocinquanta metri sul lato della casa e del giardino prospiciente il bacino d'acqua interrato; -che essi avevano diritto al risarcimento dei danni predetti e di' ogni altro conseguente all'interramento del vecchio tronco del Naviglio� di Bereguardo e della relativa darsena, ai sensi dell'art. 46 della legge� 25 giugno 1865, n. 2359, e che responsabili di tali danni erano l'Ufficio, Tecnico Erariale di Milano, da cui era stato autorizzato l'interramento' del corso d'acqua, e il Comune di Abbiategrasso, da cui tale opera era stata richiesta per acquistare poi a titolo gratuito l'area e adibirla a sede stradale. Tutto ci� premesso, gli attori domandarono che il Tribunale, dato� atto che essi avevano acquistato il diritto alla conservazione dello stato, dei luoghi esistente nel 1933, per le opere eseguite a proprie cure e spese, e accertato che le opere d'interramento e di adibizione a sede stradale�: avevano avuto come diretta conseguenza una cospicua diminuzione di valore del loro immobile, da accertarsi con consulenza tecnica, e li aveva. mento del diritto di propriet�: cfr. Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481, Giust. civ.,. 1961, I, 1712. � � (7) Trib. sup. acque 5 dicembre 1972 n. 45, confermata dalla corte, �� pubblicata in questa Rassegna, 1973, I, 280. Va posto in risalto che, in una situaziohe caratterizzata da una pree-� sistente soggezione dell'immobile al pericolo di inondazioni, il danno � stato� individuato nella aumentata esposizione a tale pericolo, indotta dall'opera pubblica. L'affermazione, in quanto esclude esplicitamente che possa instaurarsi' una relazione di causa ed effetto tra costruzione dell'opera pubblica e mancata eliminazione di una preesistente situazione di pericolo, assume rilievoin rapporto alla giurisprudenza che fa carico alla amministrazione delle conseguenze derivanti dalla difettosa progettazione di opere pubbliche in genere e di opere di bonifica in particolare (giurisprudenza per cui si rinvia alla� annotazione a Cass. 9 gennaio 1974 n. 62 in questa Rassegna, 1974, I, 721). Se ne trae la esigenza di distinguere tra pretese che tendono a desumere da concrete manifestazioni di danno indizi per l'affermazione di un danno� permanente, rispetto alle quali assume rilievo la situazione preesistente e la oggettiva idoneit� dell'opera a migliorarla o quantomeno a non pregiudicarla,. e pretese al risarcimento dei danni cagionati dall'evento lesivo a s� considerato, rispetto alle quali rileva invece la successiva situazione di fatto determinata dall'opera una volta realizzata e il danno che essa, perch� erronea-� mente progettata o difettosamente mantenuta, arreca al privato che abbiai. fatto affidamento sulla idoneit� dell'opera e sulla apparente eliminazione della preesistente situazione di pericolo. (8) Cfr. la giurisprudenza richiamata sub 3, seconda parte. I I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 145 costretti a opere d'interramento e di recinzione, il cui costo avrebbero provato in corso di causa, dichiarasse l'obbligo solidale delle Amministrazioni convenute di risarcire integralmente tali danni e le condannasse a versare a loro la somma pi� conforme a giustizia, secondo le risultanze di causa, con il rimborso delle spese processuali. -(Omissis). (Omissis). -Nel merito, a torto gli appellanti lamentano che il Tribunale Regionale abbia respinto la domanda sotto il primo dei profili anzidetti e che abbia disapplicato l'art. 46 della legge n. 2359 del 1865 affermando, con un ragionamento illogico ed erroneo, che non rientravano nel contenuto del diritto di propriet� quei vantaggi che pur ammise che il fondo degli attori aveva perduto a causa dell'interramento del vecchio tronco del Naviglio di Bereguardo e della relativa darsena. Infatti, sotto un tale profilo, la domanda appariva improponibile per insussistenza del presupposto richiesto dal cit. art. 46. Con riferimento all'ipotesi della legittima � lecita esecuzione di una opera di pubblica utilit�, questa norma stabilisce nel primo comma che � dovuta un'indennit� ai proprietari dei fondi, i quali dall'esecuzione stessa. vengano a s9ff;rire un panno permanente, derivante dalla perdita o dalla diminuzione di un diritto, e precisa nel secondo comma che la privazione di un utile, al quale il proprietario non avesse diritto, non pu� mai essere tenuta a calcolo per determinare l'indennit�. Ora, in un caso come quello qui prospettato, non � ipotizzabile l'esistenza di un diritto di mantenere gli utili dei quali si lamenta il venir meno. Invero non pu� esservi dubbio che, in mancanza di un qualsiasi titolo specifico, il proprietario di un fondo non pu� vantare un diritto soggettivo (ma, se del caso, soltanto un interesse legittimo) a che su un fondo altrui sia mantenuta o non trasformata un'opera pubblica, dalla cui esistenza derivino al suo fondo, per il puro e semplice fatto della vicinanza o contiguit�, amenit�, isolamento dalle esalazioni e dai rumori prodotti normalmente dalla circolazione dei veicoli negli spazi pubblici, e riparo da vicinanze molestie e da introspezioni o introduzioni di estranei. Anche nei rapporti fra privati, utili di tal genere non posso;no mai considerarsi inerenti al diritto di propriet�, quantunque di fatto possano, finch� durano, risolversi in un effettivo vantaggio economicamente apprezzabile, giacch� il proprietario pu� usare e godere in modo pieno ed esclusivo della cosa sua, ma non pu� pretendere di restringere l'uguale uso e godimento di quella altrui, se non nei casi ed entro i limiti tassativamente previsti da norme di legge, come quelle, per esempio, in materia di atti di emulazione, d'immissioni intollerabili e di limitazioni per i rapporti di vicinato. N�, ovviamente, la situazione pu� essere diversa quando l'utilizzazione del fondo vicino spetti a una pubblica amministrazione: tanto � vero che la giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo 146 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tribunale Superiore invocata dagli appellanti si riferisce esclusivamente a casi di applicazione dell'art. 844 cod. civ. sulle immissioni eccedenti la normale tollerabilit�, di esistenza di un diritto d'uso sui beni demaniali, e cos� via. Va quindi confermato il rigetto della domanda sotto il profilo del venir meno della posizione privilegiata del fondo Cocini in riva al Naviglio e alla darsena, non potendosi considerare daIT.ni in senso giuridico (oltre che economico), vale a dire pregiudizi indennizzabili o risarcibili, n� l'asserita perdita di valore del fondo, n� l'asserita necessit� di affrontare le spese occorrenti per recingerlo. -(Omissis). II (Omissis). -Con il primo motivo dell'appello principale si giudica eccessivo l'ammontare dell'indennit� di espropriazione determinata in L. 88.456.812 dalla sentenza impugnata. Questa, secondo l'E.A.S., nel valutare il danno che sarebbe stato arre-� cato alla parte non espropriata del fondo, ha applicato l'art. 116 del regolamento di polizia mineraria 15 luglio 1958, n. 7 (il quale prescrive la distanza di 50 me,tri dagli acquedotti per eseguire scavi per ricerca ed utilizzazione di sostanze minerali) senza considerare che la citata �norma, riguardante le miniere, non pu� essere estesa alle cave, che �diversamente dalle miniere vengono coltivate in superficie, mentre la �prescrizione della distanza orizzontale di 50 metri si giustifica in relazione agli scavi eseguiti nel sottosuolo. I coltivatori di cave -prosegue l'appellante principale -devono rispettare le cautele indispensabili per evitare danni a terzi, previste in via generale dagli artt. 120 e seguenti e, per l'impiego di esplosivi, dagli artt. 153 e seguenti del regolamento: si aggiunga che lo stesso divieto dettato dall'art. 116 non � assoluto, essendo previste possibilit� di deroghe dagli artt. 118 e 119. A ragione l'appellante incidentale replica che la questione dell'applicabilit� dell'art. 116 del regolamento di polizia mineraria �, nella specie, �priva di rilievo. Il Tribunale regionale ha affermato che l'esercizio della cava venne �sospeso in via definitiva nella terza decade del mese di novembre del 1966 (il fatto e l'epoca in cui si verific� devono ritenersi, ormai, circostanze pacificamente acquisite, non essendo state svolte contestazioni sul punto) e ha addebitato tale sospensione (seguita ad un periodo di gestione condotta con estrema difficolt� a causa dei .lavori intrapresi il 24 apri; fo 1966, per la posa in opera della condotta idrica, dalla soc. I.C.O.R.I.) alla presenza di tale condotta realizzata dall'E.A.S.; e ci� per la duplice �ragione che essa sbarrava l'avanzamento del fronte principale della cava ! i I ������������-����������,-.. � � � �� ......................................... '""''"'""'"" F ..I PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 147 e imponeva l'obbligo del rispetto della distanza legale tra la condotta ed il fronte di coltivazione. Ora l'indicazione del primo fattore rende irrilevante il riferimento all'obbligo della distanza. Va ricordato -in base alla descrizione dell'immobile contenuta nella consulenza tecnica d'ufficio e alla documentazione fotografica in atti che il terreno, a forma di triangolo isoscele, del quale fa parte la striscia di mq. 1300 espropriata per la posa in opera della condotta idrica, esteso ha. 2,78 nella sua interezza, � costituito da roccia (e precisamente da calcare dolomitico di ottime caratteristiche fisiche che giustificano il suo largo impiego nelle costruzioni edili e stradali), confina con una strada provinciale, � sito a breve distanza da una stazione ferroviaria, ha facile collegamento con la vicinissima citt� di Palermo. Su tale terreno veniva coltivata nel 1966 una cava, con un fronte di avanzamento di circa 70 metri ed un dislivello di circa 80 metri fra il piazzale di lavorazione del materiale e il limite superiore di coltivazione. L'occupazione della striscia di terreno, successivamente espropriata, ha praticamente tagliato in due parti il terreno del Bagnasco, impedendo l'avanzamento delle pareti centrali del fronte della cava -poste a distanza minima, computabile in pochissimi metri, dalla predetta striscia -mentre nel versante della parete ovest esistono edifici (fra i quali una Chiesa) che non consentono un avanzamento e la parete est presenta una roccia meno compatta e non convenientemente sfruttabile. In questa situazione, discutere intorno all'obbligo di osservare la di� stanza di 50 metri significa non tener conto del fatto che il fronte di avanzamento della cava era venuto a trovarsi ad immediato confine con la striscia espropriata e quindi con l'opera pubblica ivi costruita, sicch� non l'esistenza di quell'obbligo ma lo stato dei luoghi, quale si era venuto a determinare, paralizzava l'esercizio della cava, materialmente non pi� possibile. N� occorre qui darsi carico del quesito relativo alla indennizzabilit� del danno derivato da una limitazione legale del diritto di propriet� in dipendenza della destinazione di pubblico interesse attribuita al terreno espropriato -quesito cui viene data risposta negativa (cfr. Cass. 28 aprile 1974, n. 1195; Cass. 24 ottobre 1968 n. 3458; Cass. 15 novembre 1967 n. 2739) -perch�, anche a voler ammettere che la questione si ponga nei termini in cui � stata ripetutamente esaminata e risolta dalla giurisprudenza quando il diritto di propriet� venga non gi� limitato, ma sostanzialmente svuotato di qualsiasi contenuto, � decisivo il rilievo che si tratta di questione non rientrante nel thema dectdendum, in quanto fra le parti si discute non gi� della spettanza dell'indennizzo, ma escusivamente della sua determinazione e dei criteri che debbono presiedervi. Con il secondo motivo l'appellante principale sostiene che ai fini della liquidazione della indennit� prevista dalla legge n. 2359 del 1865, non 148 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO possono venire in considerazione i danni personali indiretti, quali la perdita e la riduzione della possibilit� di esercitare attivit� industriali o commerciali. In particolare -versandosi nel caso di espropriazione parziale sicch� inopportunatamente, ad avviso dell'E.A.S., la sentenza impugnata ha richiamato l'art. 46 della legge citata -occorre tener conto del valore venale dell'area espropriata e della diminuzione di valore della parte non espropriata, diminuzione nella quale non vanne ricompresi il lucro cessante, il valore dei beni mobili asportabili e simili, ma che -conclude l'E.A.S. -pu� essere, al pi�, pari alla capitalizzazione del reddito annuo netto (pari a L. 1.800.000) derivante al proprietario della locazione della cava e perduto per effetto dell'espropriazione. Taluni dei rilievi critici or ora riassunti sono esatti, ma ci� non giustifica l'accoglimento integrale delle conclusioni dell'E.A.S. Anche se la precisazione pu� spiegare soltanto limitati riflessi sul piano della determinazione concreta dell'indennit�, la fattispecie in esame va inquadrata sotto il profilo dell'espropriazione parziale, laddove il Tribunale regionale ha ritenuto di dover applicare l'art. 46 della legge sulle espropriazioni. Le considerazioni prima svolte circa le caratteristiche geologiche dell'intera particella n. 56 di propriet� del Bagnasco rendono, per vero, evidente che la parte non espropriata e quella espropriata dell'immobile erano legate da un vero e �proprio vincolo obiettivo (cfr. Cass. 18 giugno 1968, n. 2001; Cass. 11 marz.o 1966 n. 688; Cass. 29 luglio 1965 n. 1820), che ne determinava l'unitaria destinazione allo sfruttamento come cava. La porzione residuata dopo l'espropriazione non solo non era provvista di autonomia rispetto alla zona espropriata, con la quale al contrario, formava una entit� economica unica; ma, per la giacitura di quest'ultima zona, era venuta a perdere l'unica possibilit� di effettiva utilizzazione. Si re!ha, perci� al di fuori dell'ipotesi di pregiudizio subito da un fondo diverso, anche se contiguo a quello espropriato, che viene in rilievo ai fini dell'art. 46 citato (cfr. Cass. 21 novembre 1969 n. 3794; Trib. Sup. 28 aprile 1971 n. 7); mentre, nella specie, la limitata estensione del terreno nel suo complesso (ha 2,78), la posizione della striscia espropriata all'interno di esso, l'assoluta identit� di destinazione economica, l'influenza negativa dell'espropriazione sulla utilizzazione della parte non espropriata (cfr. Cass. 12 dicembre 1972 n. 3566; Cass. 18 maggio 1964 n. 1213) sono elementi pi� che sufficienti a rilevare l'appartenenza di tale striscia e del terreno ad una stessa unit� produttiva. Nella determinazione della differenza tra il prezzo che avrebbe avuto l'intero immobile prima dell'espropriazione parziale e il giusto prezzo che potr� avere la residua parte di esso dopo tale espropriazione (art. 40 della legge n. 2359 del 1865), si deve tener conto -come in tema di liquidazione della indennit� per espropriazione totale e in tema di indennizzo PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI ;per danno permanente ex art. 46 legge citata -del diritto di propriet� nel suo contenuto oggettivo, mentre resta al di fuori della previsione legi :Slativa il pregiudizio subito dalle diverse situazioni soggettive di attivit� industriali (cfr. Cass. 28 ottobre 1961 n. 2481), cosicch� � irrilevante il man .cato guadagno conseguente alla interruzione dell'esercizio dell'azienda installata nell'immobile (cfr.� Cass. 7 luglio 1960 n. 1810). Non si pu�, invero, dimenticare che siamo in tema di determinazione di indennizzo, .e non di integrale ristoro del danno. L'irrilevanza del lucro cessante non esclude, peraltro, che il mancato reddito possa valutarsi nella determinazione della indennit�, allorch� l'immobile espropriato o residuato abbia sub�to una reale perdita o di minuzione di valore (cfr. Cass. 16 ottobre 1962 n. 2997, che si riferisce al perduto o diminuito valore locativo dell'immobile), dovendo la redditivit� .del fondo ritenersi compresa nel contenuto economico del diritto di pro priet� (cfr. Cass. 30 aprile 1969 n. 1393). Questi principi vanno rapportati all'ipotesi che �indubbiamente pre� senta aspetti anormali, di immobile coltivato a cava. Bisogna precisare �Che la disponibilit� di cui parla l'art. 826 e.e. a proposito delle cave corri sponde al diritto di propriet� (cfr. Cass. 23 gennaio 1962 n. 95); e che, non potendosi prescindere da tutti gli elementi costitutivi del valore venale .del terreno espropriato in una libera contrattazione, non si pu� consi derare come terreno esclusivamente agricolo (o, peggio, incolto impr6 -0uttivo) quello in cui sia compresa una cava attualmente co'ltivata o si .curamente sfruttabile in futuro, dato che l'esistenza di tale cava incide su quel valore (cfr. Cass. 7 agosto 1962 n. 2431). Peraltro, non si pu� aver riguardo al valore di una azienda estrattiva .del materiale di cava, intesa come complesso organismo comprensivo di tutti i fattori della produzione collegati per l'esercizio dell'impresa; non si pu�, cio�, considerare il reddito di tale azienda, individuato mediante il calcolo della differenza tra i ricavi annui della vendita dei prodotti lapidei estratti (granulati e pietrame) moltiplicati per i ventidue anni di ..durata della cava (presunta con riferimento al volume complessivo della roccia del bacino) da una parte e, dall'altra parte, i costi, consistenti negli impianti (macchine e attrezzature) e nelle spese di esercizio (per manodopera, materiali di consumo ed energia elettrica, riparazioni e ma nutenzione, ammortamenti tecnici, spese generali). L'azienda come universitas facti non solo non costituisce il bene espropriato, ma non pu� essere valutata in quanto tale ai fini della de terminazione della perdita di valore subita dall'immobile residuato dalla espropriazione. Bisogna, invece, aver riguardo all'immobile nella sua -oggettiva consistenza, vale a dire in quanto costituito da una roccia che ne consente lo sfruttamento come bacino di cava, facendo astrazione del l'esistenza attuale di un'azienda estrattiva in esercizio. Occorre, insomma, RASSEGNA DELl.'AVVOCATURA DELLO STATO considerare il diritto di propriet� dell'immobile sia pure caratterizzato da quel peculiare contenuto che � dato dalla disponibilit� della cava; e� non invece il complesso dei mezzi organizzati per l'esercizio dell'attivit� estrattiva, della quale l'immobile costituisce uno (e certo il principale) dei fattori. Cos� rettificata l'indagine rispetto all'impostazione seguita dal consulente tecnico d'ufficio in base alle direttive impartitegli dal Tribunale regionale, non si pu� negare che le argomentazioni e le risultanze delle relazioni peritali redatte dall'Ing. Adragna (cos� come le valutazioni dei periti di parte) non siano direttamente utilizzabili. Neppure risulta convincente il riferimento al presumibile reddito netto della locazione del terreno come cava indicato dall'E.A.S. in L. 1.800.000 annue; e ci� non tanto perch�, in mancanza di un diverso criterio, non possa essere utilizzato qmi!llo cos� suggerito, quanto perch� la cifra esposta � priva di qualsiasi attendibile giustificazione. In proposito si pu�, anzi, osservare che di fronte ad un ricavo lordo annuo calcolato dal consulente tecnico d'ufficio in circa 49 milioni di lire e ad un reddito netto annuo dell'azienda calcolato in oltre L. 10 milioni (e pure dovendosi calcolare i capitali investiti nell'azienda stessa e il compenso agli altri fattori della produzione), la ritenuta rimunerazione del capitale immobiliare, che nella attivit� di coltivazione e gestione della cava assume un rilievo assolutamente preminente, va giudicata del tutto irrisoria. La valutazione dell'immobile nella somma di L. 21.607.200 che, secondo l'E.A.S., risulta della capitalizzazione del presumibile canone annuo� di locazione appare ancor meno attendibile se confrontata con le conclusioni del consulente di parte Bagnasco che ha indicato in L. 52 milioni il ricavo lordo annuo e in L. 21.595.000 il reddito netto annuo dell'azienda estrattiva. Ma se queste conclusioni sono da leggere con la dovuta cautela e richiedono un riesame critico (come ha fatto il consulente tecnico di ufficio), non si possono trascurare i dati ricavabili dalla relazione ufficiale sulla determinazione dell'indennit� di espropriazione. In questa relazione, calcolandosi separatamente dall'indennizzo da corrispondente all'esercente della cava l'indennizzo' da corrispondere� al proprietario si determina in L. 3.600.000 la rendita annua che, capitalizzata all'interesse del 6 per cento annuo, d� luogo ad un valore di lire 40.168.800 (e di L. 36.270.000 scontato al novembre 1966 e comprensivo dell'indennizzo per mancata miglioria della superficie coltivata). Considerando che il consulente tecnico di ufficio ha fissato in 107 milioni circa il valore della cava come azienda, poich� una valutazione dell<i. cava come immobile non � stata specificamente compiuta, in mancanza di pi� certi dati -che, del resto, a distanza di quasi nove anni: dall'interruzione dell'esercizio della cava non sarebbero agevolmente ac i i i ~ PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI quisibili, sicch� una indagine tecnica, che fosse per essere disposta ora per allora lascerebbe pur sempre margini di dubbio -questo Tribunale� Superiore, tenuto conto di tutte le risultanze peritali in atti, avvalendosi della competenza del suo componente tecnico e operando anche alla stregua dell'art. 1226 e.e., ritiene che il valore del bacino di cava, andate> totalmente perduto per effetto della costruzione dell'opera pubblica, debba essere, alla data del decreto di esproprio, determinato in una somma pari all'incirca ai 5/7 del valore dell'azienda indicato dal consulente di ufficio e, perci�, in Lire 75 milioni (comprensive, per arrotondamento, della somma di L. 79.860, e cio� dell'indennizzo per la striscia espropriata, sulla quale non vi � controversia fra le parti), calcolando� in ventidue anni la durata dell'esercizio della cava (che invece l'ufficio deI Genio civile di Palermo ha erroneamente ridotto a 19 anni). Questa valutazione potrebbe sembrare eccessiva se rapportata alla: esigua superficie espropriata: va, tuttavia, considerato che essa � la conseguenza della scelta operata (assai infelicemente, secondo l'appellante incidentale) per il tracciato dell'opera pubblica che non tocca un qualsiasi immobile, ma un immobile qualificato come � una cava: su tale scelta questo Tribunale Superiore non pu� interloquire, dovendosi limitare alla valutazione delle sue conseguenze sotto il profilo d�lla determinazione dell'indennit� di espropriazione ex art. 39 e 40 della legge n. 2359 del 1865. Resta in tal modo superata l'esigenza di prendere partitamente in esame le varie censure dell'appello ~cidentale del Bagnasco, che sono tutte volte a mettere in luce come l'effettivo valore della cava e degli impianti che con l'espropriazione sono andati definitivamente perduti sarebbe di gran lunga superiore a quello determinato dal Tribunale regionale sulla scorta delle valutazioni effettuate dal consulente di ufficio. Tali censure si riferiscono, infatti, all'individuazione dei costi di esercizio� dell'azienda (compensi al proprietario e al gestore, spese generali in rapporto al costo della manodopera, percentuale per riparazioni e manutenzione) e alla denuncia del danno derivante dalla immediata chiusura della cava in attesa del decreto di espropriazione (con logorio delle macchine e degli attrezzi, con spese di guardiania, di energia elettrica, dr sgombero del materiale, di procedimento per danno temuto). Risulta' evidente che si tratta di voci tutte attinenti al calcolo del valore dell'azienda di estrazione; e, dunque, si inquadrano in una logica che resta estranea all'impostazione qui accolta. Perde, inoltre, ogni rilievo l'errore di calcolo in cui � incorso il Tribunale nel sommare i vari addendi. Nel terzo motivo dell'appello principale si denuncia l'errore in cui sarebbe incorso il Tribunale regionale per non aver tenuto conto che, una volta effettuato (in data 10 dicembre 1968) il deposito presso la Cassa DD.PP. della somma di L. 76.065.948, su tale somma non potevan0> pi� decorrere interessi a carico dell'espropriante. 'l.52 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO In realt�, le espressioni usate dal Tribunale regionale a proposito della indennit� di occupazione legittima -determinata in ragione degli in� teressi legali sulla indennit� di espropriazione (criterio che � conforme ai principi enunciati dalla Suprema Corte e che non viene criticato) non appaiono perspicue, potendo alimentare il dubbio che la sentenza impugnata abbia inteso accordare gli interessi sull'intera somma liquidata con decorrenza dal 20 novembre 1966 (data di cessazione della attivit� della cava) e fino alla data della integrazione del deposito, mentre non si dubita che dal 10 dicembre 1968 gli interessi legali sarebbero stati da computare soltanto sulla somma liquidata in pi� rispetto a quella gi� depositata (cfr. Cass. 7 dicembre 1970 n. '2583; Cass. 18 dicembre 1968 n. 4020). Ad ogni modo, anche questa doglianza resta assorbita di fronte al rilievo che l'indennit� liquidata da questo Tribunale � (di poco) inferiore .a quella gi� depositata. In definitiva, l'indennit� di espropriazione va calcolata in 75 milioni .e quella di occupazione (legittima) nella misura degli interessi legali su lire _79.860 dal 20 aprile 1966 alla data del deposito e sulla differenza tra L. 75.000.000 e L. 79.860 dal 20 novembre 1966 sino alla predetta data .(10 dicembre 1968). In considerazione dell'esito globale della lite, si ritiene di dovere confermare la condanna� dell'E.A.S. al pagamento delle spese del giudizio di primo grado, mentre quelle del giudizio di secondo grado possono essere totalmente compensate. -(Omissis). III (Omissis). -La eccezione pregiudiziale della societ�, volta a far di. chiarire il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva sull'an debeatur per essere l'appello dell'Amministrazione rivolto soltanto contro fa sentenza definitiva sul quantum, � manifestamente destituita di fondamento, entrambe le sentenze avendo formato oggetto sia dei motivi di gravame, sia di espressa dichiarazione di impugnazione nell'atto di appello (cfr. p. 7), sicch� la forma singolare (�impugnata sentenza�) che ieggesi nelle conclusioni risulta chiaramente frutto di un mero refuso. Con precedenza su tutte le altre censure, per ragioni di priorit� lo �gico-giuridica, va esaminato il secondo motivo dell'appello principale .della stessa Amministrazione, nel quale si critica la decisione dei primi giudici per avere ritenuto applicabile alla specie la responsabilit� da atti llegittimi, sancita dall'art. 46 della legge sull'espropriazione per p.u. in relazione a danni sofferti dalle propriet� private in dipendenza dei lavori di esecuzione di un'opera pubblica. In primo luogo, secondo l'appellante, nel concetto di � esecuzione di opera pubblica � non pu� ricomprendersi anche il taglio di un argine disposto, come nella specie, dall'Amministra PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 153 zione dei LL.PP. nell'ambito dei poteri di tutela sulle acque pubbliche, nell'ambito cio� di poteri-doveri di difesa del territorio e delle persone, non potendo ritenersi che di fronte a provvedimenti cos� latamente discrezionali permanga nel privato un diritto subiettivo perfetto, in quanto i provvedimenti stessi valgono ad affievolire il diritto di propriet�. A parte, poi, il rilievo che, a ben considerare, il -diritto subiettivo assertivamente leso non presentava tale ampiezza da ricomprendere anche il diritto al mantenimento e alla conservazione dell'argine, alla cui costruzione i proprietari finitimi non avevano mai vantato un diritto. La censura � poi precisata nei successivi scritti difensivi nel senso che il taglio per necessit� di ordine e di incolumit� pubblica degli argini di un corso d'acqua giammai pu� rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 46 .citato, trattandosi di una situazione puntualmente prevista e disciplinata dall'art. 2 del t.u. sulle opere idrauliche, di cui al r.d. 25 luglio 1904, n. 523, che in via assoluta esclude la configurabilit� in materia di una responsabilit� per atti legittimi: di qui il difetto di giurisdizione per improponibilit� assoluta della domanda. La censura, contrariamente all'assunto della societ�, � ammissibile in rito anche in quest'ultima prospettazione, che costituisce una mera esplicazione della tesi di fondo circa la inapplicabilit�, in principio, dell'art. 46 citato in tema di esecuzione di opere aventi relazione con il buon regime delle acque pubbliche e, comunque, si risolve nella denunzia di un difetto assoluto di giurisdizione, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio e non precluso, nella specie, dalla precedente dichiarazione di competenz;:t del giudice specializzato. La censura stessa, per�, � infondata nel merito. E' esecuzione di opera pubblica, ai sensi dell'art. 46 della legge sulla �espropriazione per p.u., non solo la realizzazione o la modificazione di un nuovo manufatto, ma anche la eliminazione di un manufatto esistente, avendo la norma riguardo a tutte le variazioni apportate alla situazione di fatto con risultati pregiudizievoli per i beni dei privati rimasti coinvolti nel compimento dei relativi lavori. In particolare, poi, per le opere idrauliche, pur esse pubbliche per eccellenza, la legge stessa annovera .come tali anche la � distruzione � di quelle esistenti (art. 2, comma secondo, r.d. del 1904 n. 523). N� pu� convenirsi con l'Amministrazione appellante sulla estraneit� di siffatte categorie di opere allo schema legale dell'art. 46 citato, giacch� testualmente dall'art. 140, lett. d, del t.u. sulle acque e sugli impianti elettrici risultano contemplate �le controversie... riguardanti... le indennit� previste dall'art. 46 ...in conseguenza della esecuzione o manutenzione di opere idrauliche�. E quale che debba essere, in generale, l'esatto coordinamento di tale disposizione con quella successiva, di cui .alla lettera e dello stesso art. 140, concernente �le controversie per risar RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 154 cimenti di danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla P.A. e da qualunque provvedimento emesso dalla autorit� amministrativa a ter� mini dell'art. 2 del t.u. delle leggi 25 luglio 1904 n. 523 � (cfr. Cass. 19 novembre 1964 n. 2760; Cass. 11 novembre 1959 n. 3341; Cass. 11 aprile 1958 n. 2248), � recepito nella giurisprudenza della Corte Suprema l'insegnamento che l'azione per l'indennit� prevista dall'art. 46 in caso di danni sofferti dalle propriet� private in dipendenza della esecuzione di opere idrauliche rientra fra le ipotesi di cui alla citata lettera d (Cass. n. 2248 del 1958), ed � sempre proponibile senza alcuna necessit� di previe indagini in sede amministrativa (Cass. n. 3341 del 1959). Ed � infine sufficiente appena un cenno per rilevare che il �diritto�, della cui menomazione la societ� ha chiesto di essere indennizzata � non gi� quello alla conservazione degli argini, ma il diritto di propriet� sui beni rimasti danneggiati a seguito -in tesi -dell'alterazione provocata sul normale deflusso delle acque di piena dal taglio degli argini della Fossa di Polasella. Parimenti infondato � il primo motivo, non applicandosi all'azione per indennizzo ex art. 46 citato, fondato su una responsabilit� per atto legittimo della P.A., la prescrizione quinquennale prevista dall'art. 2947 e.e. per l'azione di risarcimento danni da fatto illecito. Con il terzo motivo l'Amministrazione contesta l'accertamento com� piuto dal giudice di primo grado circa l'esistenza, in concreto, del nesso di causalit� fra la rottura artificiale degli argini ed i danni sofferti dai beni di propriet� dela societ� attrice, ed afferma che mancherebbe la prova che �la totalit� e larga parte dei danni lamentati� sia stata cagionata dall'acqua della seconda ondata, conseguente alla predetta apertura artificiale degli argini della Fossa di Polasella, e non, invece, dalla inondazione delle acque naturalmente straripanti, che gi� in precedenza avevano largamente invaso la zona interessata. Ma l'analitica ed approfondita valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal Tribunale regionale regge alle critiche, peraltro non molto specifiche, dell'appellante. La circostanza, tanto insistentemente sottolineata nel motivo di gravame, che gi� prima della apertura degli argini il comprensorio in cui sorgeva lo stabilimento della societ� era stato raggiunto ed invaso dalle acque di piena, � stata ben tenuta presente dalla sentenza impugnata, che ha correttamente visto in essa il presupposto di fatto sul quale si innesta la questione in esame, consistente appunto nello stabilire in qual misura si sia ripartita fra la prima e la seconda ondata di piena la eziologia dei danni sofferti dalla societ�. Orbene, sia le deposizioni dei testi escussi (Brusaferro, Breggiato, Albreschi, Cappellato, Cibin, Braggiotto), sia gli accertamenti compiuti dai consulenti di ufficio, ed analiticamente illustrati nelle rispettive relazioni, � - PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI con riferimenti anche alle considerazioni dei periti della stessa parte convenuta, dimostrano quale maggiore violenza ed altezza raggiunse l'afflusso delle acque di piena con la seconda ondata. N� vale opporre che tale conclusione troverebbe conforto soltanto nelle �generiche affermazioni di alcuni testimoni, tutti dipendenti � della societ�, essendo sufficiente replicare come essa, invece, trovi conferma, oltre che nelle relazioni di diversi consulenti di ufficio succedutisi in causa, nella deposizione precisa e circostanziata di un teste, della cui indipendenza ed obiettivit�, in relazione alla sua professione non � dato di dubitare (n� dubita l'appellante), cio� del medico condotto Brusaferro, dalle cui dichiarazioni, come opportunamente ha gi� ricordato il Tribunale regionale, risulta che la primitiva massa di acqua, che aveva invaso � la zona di Bosaro, compresa quella in cui si travavano i pozzi delle centrali metanifere di Graziani� era �calma� e �defluiva molto lentamente verso oriente�, ed alla fine raggiunse una �altezza ove pi� ove meno... di mezzo metro�, mentre, dopo l'apertura degli argini ordinata dalle autorit�, si crearono delle � brecce attraverso le quali irruppe una seconda ondata molto pi� grave dell'altra, avente forte impeto con conseguente elevazione del livello dell'inondazione a circa un metro, un metro e mezzo � anche nella localit� delle dette centrali. Da tanto risulta pienamente giustificata la valutazione in termini percentuali della rilevanza causale attribuibile ai due diversi momenti della inondazione, valutazione che non rimane scalfita neppure dalla contrapposta censura -che si esamina qui per evidenti ragioni di connessione -mossa dalla societ�, in forma peraltro affatto immotivata e generica, coli il primo motivo dell'appello incidentale in ordine alla riduzione dell'indennit� liquidata ai 3/4 dell'intero: tale riduzione trova appunto ragione nella attribuzione causale del 25% alla inondazione naturale e del 75% a quella artificialmente provocata con l'abbattimento degli argini della Fossa di Polasella. Ancora al quantum dell'indennit� liquidata dal Tribunale regionale si riferiscono il quarto ed il quinto motivo dell'appello principale, con i quali l'Amministrazione deduce, rispettivamente, che � mancava comunque il carattere della permanenza dei danni � e che � i danni sono stati, in ogni caso, liquidati in misura eccessiva, tenendosi peraltro conto anche di quei danni che non avevano il carattere della permanenza �. Nessuna delle due censure pu� essere accolta. Premesso che la appellante non formula alcuna critica in ordine sia al criterio di massima adottato dalla sentenza non definitiva per determinare l'indennit�, rapportandola ad una misura �pari all'importo dei dan ni... subiti � dalla societ�, sia alla natura, anche mobiliare, dei beni ritenuti indennizzabili dalla sentenza definitiva, � agevole rilevare, da un lato, come -a parte la mancata indicazione delle voci che sarebbero RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO state computate sebbene prive del predicato necessario -non possono non qualificarsi �permanenti� danni concretatisi nella distruzione o nel grave deterioramento fisico dei beni presi in considerazione, e, dall'altro, come -a parte anche qui la mancata specificazione di quale sarebbe dovuta essere la stima -i valori di indennizzo calcolati dal primo giudice siano perfettamente corrispondenti a quelli analiticamente e motivatamente indicati dai consulenti di ufficio. -(Omissis). IV (Omissis). -Con il primo motivo la Amministrazione ricorrente afferma che il Tribunale superiore ha erroneamente ravvisato il danno permanente derivante dalle opere di bonifica in questione nel maggior pericolo di esondazioni e inondazioni del fondo stesso nel mentre tale preteso maggior pericolo, a causa della sua incerta determinazione, non pu� costituire il danno permanente, che deve essere caratterizzato da una effettiva, emergente ed obbiettivamente determinabile menomazione� dell'immobile nelle sue qualit� �naturali e nelle possibilit� strumentali di esso. Inoltre la ricorrente amministrazione afferma che la sentenza non ha motivato sufficientemente sul punto del rapporto causale tra opera pubblica e tale preteso maggior pericolo, non dando poi neppur peso al fatto accertato che, nonostante le modificazioni apportate alla opera di bonifica nel 1965, si era verificato egualmente il pericolo di tracimazione, il che comproverebbe che � proprio la naturale giacitura dei terreni priva di un sistema naturale di scoli a dar luogo alle inondazioni in occasione di piogge pi� intense. La censura non ha fondamento. Quanto alla individuazione del pregiudizio da tenere a base dell'indennizzo, il Tribunale superiore ha cl�a-� ramente esposto che il pregiudizio � costituito dal maggior pericolo di inondazioni conseguente alle opere costruite. Il che appunto importa quella diminuzione delle qualit� naturali e delle possibilit� strumentali del fondo giacch� o costringe ad attuare culture meno sensibili agli effetti delle inondazioni o pu� portare a spese per contenere o per ovviare a tale pericolo. Soprattutto tale sopraggiunta qualit� negativa ha effetto sul valore commerciale del bene nel comune commercio, in quanto essa (maggiore esposizione ad inondazioni) � un fattore che incide, come �� nozione di comune conoscenza, sulla appetibilit� del fondo stesso. Quindi non � l'astratto pericolo il pregiudizio indennizzabile ma l'effetto di que-� sto sulle qualit� agricole del suolo nel senso specificato. Il Tribunale si; � fermato alla causa senza specificare l'effetto di tale maggiore pericolo,. in quanto ha certamente ritenuto superfluo, essendo questo una conse-� PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 157' guenza evidente, specificare che tale maggior pericolo aveva influenz~ negativa sul valore di uso e di commercio del suolo. Quanto al pret~so� difetto di motivazione sul nesso di causalit� tra le opere di bonifica ed il preteso pericolo il Tribunale ha spiegato che questo si verificava per effetto del contrasto di correnti che si determina nel nuovo canale trasversale ed inoltre a causa del maggior convogliamento di acque dal canale� Tazzera al canale Rapecchio, fatti questi che determinavano una minore resistenza degli argini con conseguente possibilit� di crolli o comunque di tracimazioni. Anche l'argomentazione della sentenza tratta dalla circostanza che. gli inconvenienti accennati erano cessati per effetto delle nuove opere effettuate dall'Amministrazione ricorrente, � logico e coere:p.te, costituendo la riprova che, prima di tali modifiche, sussisteva un rapporto di causa ad effetto tra dette opere e l'accresciuta possibilit� di inon dazioni. Con il secondo motivo l'Amministrazione ricorrente afferma che,. erroneamente, anche ai fini della valutazione equitativa dell'indennizzo, il Tribunale superiore ha tenuto conto esclusivamente di danni occasionali ai fondi, trascurando altri elementi utili alla valutazione stessa e quindi :il Tribunale avrebbe in definitiva ancorata la valutazione di un danno� permanente alla verificazione di danni puramente occasionali. La censura non � fondata. Invero l'adozione del criterio equitativo� nella liquidazione di un pregiudizio economico presuppone l'impossibilit� di determinare nella sua precisa entit� il danno, onde la determinazione del danno � rimessa al prudente arbitrio del giudice, il quale prescieglie-r� il modo di determinarlo. E' chiaro, pertanto, che non potrebbe preten-dersi dal giudice in tale. caso la dimostrazione rigorosa e matematica della validit� dei criteri adottati proprio per la natura della valutazioneed il giudice � solo tenuto ad esporre il procedimento logico attraverso� il quale perviene alla liquidazione stessa. Solo se appaia chiaramente illogico (e quindi iniquo) il criterio adottato, la valutazione non si sottrarebbe al controllo di legittimit� di questa Corte di legittimit� alla stregua dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. Tale vizio non � per� riscontrabile�: nel caso di specie. E' pur vero che il Tribunale superiore ha fatto riferimento ai danni effettivi del fondo, ma, come emerge dalla motivazione� complessiva, questi sono stati riguardati solo come indice del deprezzamento del fondo, giacch� di essi il Tribunale ha tenuto conto in misura percentuale come criterio di valutazione equitativa. Per quanto pi� sopra si � esposto, non potrebbe pretedersi che il' giudice dica perch� si � basato su una misura percentuale piuttosto che� su un'altra, ci� rientrando nel suo prudente arbitrio. Pertanto il ricorso, essendo infondato, va rigettato con la conseguen-� te condanna dall'Amministrazione ricorrente alle spese. -(Omissis). 158 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 10 novembre 1975, n. 25 -Pres. Danzi -Rel. Granata -S.T.A.N.I.C. -Industria petrolifera -S.p.A. (avv. Guidi) c. Petruzzelli e altro (avv. Ciancola e Parrelli) e Ministero dei lavori pubblici (avv. Stato Albisinni). Acque pubbliche ed elettricit� -Acque sotterranee -Pubblicit� -Condizioni -Esistenza in comprensorio soggetto a tutela -Irrilevanza. (T. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 103, 104 e 105). Acque pubbliche ed elettricit� -Competenza e giurisdizione -Tribunali delle acque -Pubblicit� dell'acqua -Accertamento negativo -Declinatoria di competenza per le altre questioni. (T. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140). Le acque sotterranee, ancorch� ricomprese in comprensori soggetti .a tutela, sono pubbliche solo in quanto presentino in concreto attitudine .ad usi di pubblico generale interesse (1). Il tribunale delle acque, che esclude la natura pubblica di una acqua, legittimamente declina la propria competenza in ordine agli ulteriori .aspetti d'una controversia avente ad oggetto diritti relativi all'uso della .medesima acqua (2). (Omissis). -Con i quattro punti, in cui � articolato l'atto di appello, la Stanic -Industria Petrolifera s.p.a. propone sostanzialmente una duplice censura contro la sentenza impugnata: a) per avere il Tribunale regionale escluso la natura pubblica dell'acqua, edotta dal pozzo aperto nel fondo condotto in affitto dai Petruz. zelli, sulla base di un accertamento del Genio civile eseguito � dopo � l'abbandono del pozzo stesso da parte degli utenti, laddove, secondo l'ap- pellante, l'indagine circa l'attitudine dell'acqua predetta ad un uso pubblico doveva effettuarsi con riferimento alla situazione precedente e comunque in relazione all'intero bacino imbrifero; b) per avere, comunque, il Tribunale regionale omesso di esaminare l'altro profilo della questione, da essa Stanic sollevata, circa la illegittimit� dell'uso, dai Petruzzelli fatto di tali acque, perch� in eccesso ai limiti fissati dagli artt. 92 e ss. t.u. del 1933 n. 1775, che invece si sarebbero dovuti osservare trattandosi di acque sotterranee appartenenti ad (1) La massima costituisce una puntuale applicazione della disciplina des:umibile dalle disposizioni speciali sulle acque sotterranee, dettate nel titolo II del t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775. Il decreto previsto dall'art. 94 t.u., con -cui � individuato il comprensorio soggetto a tutela, attribuisce a questo una qualit� che rileva per l'attribuzione all'autorit� amministrativa di poteri di autorizzazione (art. 95) e di polizia (art. 105) in ordine alla ricerca estrazione .e utilizzazione delle acque sotterranee. La natura pubblica o privata delle .acque sotterranee scoperte in tali comprensori dipende invece pur sempre PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 159 un comprensorio dichiarato soggetto a tutela, ai sensi delle medesime di� sposizioni. Entrambe le censure sono prive di fondamento. E' infondata la prima, perch� dalla nota 23 giugno 1972 del Genio civile di Bari risulta che la valutazione, circa la mancanza nell'acqua in questione delle � caratteristiche... per essere considerata ad uso pubblico di generale interesse >>, ha avuto riguardo al modo di essere dell'acqua in s�, indipendentemente dall'abbandono in atto della presa, come � fatto palese dagli espressi riferimenti alle caratteristiche del pozzo " comparate con quelle degli altri pozzi esistenti nella zona, alla �profondit�" di esso e, soprattutto, alla � limitata quantit� di acqua rinvenuta �, elementi tutti, questi, non influenzati e non influenzabili dall'attualit�, o meno, dell'attingimento. N� la pubblicit� pu� discendere ex se, come giustamente ha osservato il giudice di primo grado, dalla circostanza che trat� tasi di acque sotterranee facenti parte di un comprensorio soggetto a tutela, la legge stessa prevedendo la duplice ipotesi che acque siffatte abbiano, oppur no, i caratteri per essere considerate pubbliche (cfr. art. 103, comma secondo, e art.104, comm� primo, t.u. citato). Parimenti infondata � la seconda censura, perch� il Tribunale regio� nale non ha ignorato la questione circa la legittimit�, o meno, dell'uso fatto dai Petruzzelli dell'acqua edotta dal pozzo prima del suo abbandono, ma si � dichiarato incompetente a conoscerne. E tale pronunzia � affatto corretta, in quanto presupposto della competenza del giudice specializzato nella ipotesi dell'art. 140, lett. e, invocata dall'appellante, � la natura pubblica dell'acqua, onde, una volta accertato, come nella specie, che la controversia ha ad oggetto diritti relativi alla utilizzazione di acque private, il giudice stesso non pu� non declinare la propria competenza al riguardo. -(Omissis). dalla loro attitudine ad usi di pubblico generale interesse (art. 103, commi primo e secondo). In termini, cfr., Cass., 3 ottobre 1970 n. 1782, Foro it., 1971, I, 2652; Cass., 12 marzo 1960 n. 497, Giust. civ., 1960, I, 669 e Foro it., 1960, I, 360. Tra le pi� recenti decisioni in materia di acque sotterranee, cfr., Cass., 7 dicembre 1974 n. 4088, in questa Rassegna, 1974, I, 424; Trib. sup. acque, 5 giugno 1974 n. 13, ivi, 1975, I, 257; Trib. sup. acque, 15 ottobre 1973 n. 29, ibideni, 1974, I, 494. (2) La pronunzia con cui il tribunale delle acque, adito in una controversia ex art. 140 del t.u. 11 dicembre 1933 n. 1775, dichiara che l'acqua non ha natura di acqua pubblica viene a porsi come pronunzia .di accertamento incidentale su questione pregiudiziale emergente in causa non appartenente alla propria competenza per materia, in relazione alla quale correttamente il tribunale declina la propria competenza. Per riferimenti cfr. Cass., 5 settembre 1974 n. 2417, in questa Rassegna, 1974, I, 1477, relativa ai rapporti tra causa di competenza dei tribunali ord�� nari e questione pregiudiziale di competenza dei tribunali delle acque. SEZIONE OTTAVA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 12 dicembre 1974, n. 1045 -Pres. Bonomo -Rel. Marcarino -P. M. Moscarini (conf.) -Rie. P.M. in proc. Marinussi. Caccia pesca -Pesca marittima -Tutela delle risorse biologiche e della attivit� di pesca -Immissione di sostanze inquinanti -Scarico di acque reflue di albergo -Sussistenza di reato -Fattispecie� . Lo scarico in mare di acque reflue di un albergo integra il reato� di cui a.ll'art. 51 lettera e) legge 14 luglio 1965, n. 963 sulla disciplina� della pesca marittima che vieta di immettere in mare sostanze inquinanti. (Nella specie era risultata da perizia la nocivit� delle immissioni e la Suprema Corte ha ritenuto irrilevante la quantit� di tali immissioni non facendo la legge ad essa riferimento) (1). (1) Un problema, che ricorre sovente nei processi per inquinamento, �quello della costituzione di parte civile del Ministero della Marina Mercantile, quando vengono contestati i soli reati previsti !:! puniti dagli art. 1174 (inosservanza delle norme di polizia portuale) e 1166 (getto di materiali e� interramento dei fondali) del codice della navigazione, contestazioni ricorrenti nelle ipotesi di inquinamento degli specchi d'acqua portuali. :I:!. un problema peraltro di facile soluzione e risolvibile in senso positivo. La contestazione infatti del solo reato contravvenzionale p. e p. dell'art. 1174 cod. nov. non esclude la legittimazione e l'interesse alla costituzione di parte civile del Ministero della Marina Mercantile, ben potendo i danni essere derivati in via diretta ed immediata dalla commissione del reato contravvenzionale specialmente quando esso realizza la stessa condotta materiale prevista dall'art. 15 lettera e) della legge 14 luglio 1965 n. 963. Tali ipotesi ricorrono, ad esempio, nei casi, frequentissimi, di dispersione di petrolio e prodotti derivati dalle navi cisterna durante le operazioni di carico e di scarico. I danni in tal caso non consistono soltanto, in quelli,. facilmente accertabili nella loro entit�, rappresentati dalla spesa per il recupero degli idrocarburi galleggianti, ma in quelli, difficilmente quantificabili~ eppure potenzialmente pi� gravi, di inquinamento delle acque, di nocumento per la fauna ittica e di alterazioni chimiche o fisiche dell'ambiente, che possono essere provocati dalla immissione di notevoli quantit� di idrocarburi negli specchi d'acqua e che possono verificarsi anche se le sostanze inquinanti o tossiche, dopo un periodo pi� o meno lungo di permanenza in mare, vengono recuperate. PARTE I, SEZ. VII, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE ED APPALTI PUBBLICI 161 I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 24 aprile 1975, n. 294 -Pres. Rosso - Rel. Angioni -P. M. De Gennaro (parz. diff.) -Rie. Piscopo. Parte civile -Costituzione -Forme e termini -Costituzione predibattimentale -Termine per la notifica all'imputato. L'art. 95 cod. proc. pen. non dispone espressamente un termine per la notifica all'imputato della costituzione di parte civile avvenuta prima del dibattimento, limitandosi a precisare che la costituzione pro� duce effetto dal giorno nel quale venne eseguita l'ultima notificazione,' fino a tale momento non si ha, quindi, perfezionamento del rapporto In altri termini, pu� ben accettarsi l'affermazione implicita nella collocazione delle norme e nell'intento del legislatore, che i beni protetti rispettivamente dall'art. 15 lettera e) della L. 963 del 1965 e dall'art. 1174 cod. nav. siano dh:ersi, tutelando la prima norma le risorse biologiche dell'acqua marina e la seconda l'ordinamento e il traffico portuale (v. in questo senso e per un'ipotesi di concorso di reati, la . sentenza della Cassazione 26 ottobre 1972, n. 1614 rie. P.M. e Xenos mass. 123.895 in Massimario delle Decisioni penali, 1973, p. 488 che questa affermazione ha avuto occasione di effettuare in ordine al reato contravvenzionale analogo di cui all'art. 71 cod. nav.), ma da ci� non discende la conseguenza che la costituzione di parte civile del Ministero della Marina Mercantile non si possa effettuare per quei danni che nella pi� grave ipotesi dolosa prevista dall'art. 15 della legge n. 963 del 1965 costituiscono il danno criminale vero e proprio. Come � noto infatti, il danno criminale, individuato, quanto meno nella terminologia adottata dall'Antolisei nel suo Manuale di dir. pen., nella lesione del bene protetto, pu� non coincidere con il danno risarcibile, che pur tuttavia legittima alla costituzione di parte civile, quando sia conseguenza diretta ed immediata dell'azione criminosa (tipico l'esempio del danno risarcibile nell'omicidio). Non occorre quindi che i danni da reato ex art. 1174 cod. nav. siano diversi da quelli di cui all'art. 15 lettera e) della 1. n. 963 del 1965 perch� possa provvedersi alla costituzione di parte civile, n� ci� � imposto dall'ordinamento, il quale anzi consente, con la previsione specifica di un delitto (art. 15) e con quella, generica, di una contravvenzione, (art. 1174) di colpire ogni tipo di condotta, sia essa dolosa o colposa, che leda il bene protetto dalla legge del 1965. � opportuno invece rilevare che il confronto fra la norma di cui all'art. 1174 e quella di cui all'art. 71 induce a ritenere che il getto colposo �'Cii materiali (i quali, non distinguendo la lettera della legge, possono essere sia inquinanti, sia non inquinanti) integra il reato previsto dal secondo arti colo, reato che pu� concorrere con quello di cui all'art. 1174. Non pu� dubitarsi infatti che i due reati possono concorrere material mente, apparendo diversi i beni protetti: pur se compresi entrambi nello stesso capo concernente le disposizioni sull'ordinamento e sulla polizia dei porti, il reato previsto dall'art. 1166 con riferimento all'art. 71 tutela il bene della pulizia delle acque, mentre quello previsto dall'art. 1174 tutela sopra� tutto la sicurezza nei porti. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO processuale relativo alla costituzione di parte civile. Circa il termine entro cui ci� pu� avvenire, deve coordinarsi l'art. 95 cod. proc. pen. con l'art. 93 che stabilisce in generale il principio inderogabile secondo il quale la costituzione di parte civile pu� avvenire solo prima delle formalit� di apertura del dibattimento. Dopo tale momento per il combinamento disposto degli artt. 93 e 95 citati, non vi pu� essere costituzione dibattimentale, ma, neanche potrebbe essere perfezionata quella eseguita prima del dibattimento, divenuta definitivamente inefficace, in quanto i suoi effetti erano sospesi in attesa del perfezionamento delle parziali notifiche gi� compiute (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 24 maggio 1975, n. 69 -Pres. Leone - Rel. Faccini -P. M. Suriana (conf.) -Rie. P.M. in proc. Giannattasio. Procedimento penale � Decreto di citazione � Persone diverse dall'imputato (citazione delle) � Parte civile -Omessa citazione � Nullit� relativa � Deducibilit� da parte del P .M. (cod. proc. pen. artt. 408, 412, 422, 517). La parte civile, una volta ritualmente costituita, ha diritto alla noti� fica del decreto di citazione nei vari gradi del giudizio. L'omessa citazione per il giudizio determina una nullit� relativa, rilevabile in ogni momento (a seguito della sentenza della Corte Costituzfonale 20 dicem~ bre 1968, n. 132 che ha dichiarato illegittima la norma dell'art. 422 cod. proc. pen.) e deducibile dal P.M., cui incombe di curare l'osservanza della legge processuale (2). Occorre poi tener presente, per quanto concerne l'art. 71, che la Suprema Corte, che aveva ritenuto che il reato p. e p. della suddetta norma fosse a carattere doloso (cass. Sez. III 26 ottobre 1972, n. 1615, rie. PM e Xenos mass. 123.894 in Massimario dee. penali 1973 p. 488) ha successivamente mutato radicalmente il iProprio avvtiso, al�fermando che l'immissione colposa, diretta o indiretta di sostanze inquinanti nelle acque marine, � punibile ai sensi dell'art. 71, affermazione questa che appare molto pi� accettabile e conforme ai principi generali, alia dizione letterale usata dal legislatore a alle stesse indicazioni della dottrina. Quest'ultima infatti esclude il reato solo in presenza di un evento di forza maggiore (V. P. MANCA, Studi di dir. della nav., Giuffr� 1963, IV p. 214; Cass. III Sez. 24 maggio 1973 n. 1109 rie. Pappalardo mass. 125362 in Massimario dee. penali 1973, p. 1179). (1-2) La. prima massima � conforme alla normativa in vigore. Sulla seconda v. nello stesso senso, Cass. 7 giugno 1972 in Cass. Pen. Mass. Annotato 1973, p. 1300, m. 1751. PARTE I, SEZ. VIII, GIURISPRUDENZA PENALE La costituzione di parte civile in grado d'appello. Come � noto, la Corte Costituzionale con sentenza n. 132 del 1968 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 24, I e II comma della Costituzione, l'art. 422 c.p.p. nella parte in cui consente la sanatoria della nullit� per omessa citazione della parte civile, dell'offeso dal reato o dal querelante, se non dedotta immediatamente dopo compiute le formalit� d'apertura del dibattimento, nullit� sancita dall'art. 412 in relazione all'art. 408 c.p.p. Prescindendo dal considerare se la sentenza surrichiamata abbia natura di sentenza interpretativa di accoglimento (dato che buona parte della dottrina aveva sostenuto che l'art. 422 c.p.p. non era applicabile a chi, per omissione della citazione, non aveva avuto notizia del processo) � determinante rilevare quali effetti la dichiarazione di incostituzionalit� abbia avuto e quale sia la natura della nullit�, ora non pi� sanabile per la decorrenza del termine di cui all'art. 422. Gi� prima della sentenza dell� Corte Costituzionale la dottrina e qualche decisione giurisprudenziale riconoscevano che -nonostante la norma di cui all'art. 93 c.p.p. la quale consente la costituzione di parte civile fino a quando non siano compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento -era ammissibile la costituzione nel nuovo giudizio che venisse celebrato con nuove valide formalit� di apertura del dibattimento (Cass. 21 aprile 1964 in Cass. Pen. Mass. Annotato 1964, p. 822, n. 1467) poich� si riteneva, esattamente, che non potesse costituire un precedente ostativo un'.dienza nella quale fosse stato dichiarato nullo il decreto di citazione: � l'effetto preclusivo � ricollegato al compito delle formalit� di apertura di un dibattimento valido: un atto processuale nullo, la cui nullit� non sia stata sanata, nullum producit effectum � (cos� il CORDERO, Proc. pen., 1971 p. 255 v. anche LEONE, Sulla nullit� per omessa o irregolare citazione della parte civile in Riv. It. dir.1 e proc. pen. 1961, p. 562). Tale possibilit� peraltro sussisteva -secondo la pi� diffusa interpretazione dell'art. 422 -soltanto se la nullit� veniva sollevata entro il termine previsto da questa norma (la quale fra l'altro, per una incongruenza legislativa gi� rilevata in dottrina, poneva il termine utile per dedurre la nullit� in un momento successivo a quello in cui l'art. 93 fissa la decadenza dal diritto di costituirsi parte civile). La dichiarazione di incostituzionalit� che ha travolto l'art. 422 ha rimosso l'ostacolo temporale alla rilevabilit� della nullit�, proprio in considerazione della violazione del diritto della difesa che la sanatoria comportava e perch� altrimenti, si legge nella sentenza della Corte Costituzionale, � all'offeso del reato non era consentito, in dipendenza di fatti a lui non imputabili, di deter minarsi e di procedere alla costituzione di parte civile per e in tutto il tempo ammesso dalla. legge �. Appare quindi chiaro, sia per questa motivazione sia per l'incongruenza legislativa sopra accennata, che la costituzione di parte civile possa avvenire, nel caso di omessa citazione dell'offeso dal reato o del querelante, anche dopo che siano compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibatti mento e proprio a causa della nullit�, non pi� sanabile, che lo inficiava. Nonostante che la Corte Costituzionale non abbia dichiarato l'illegittimit� costituzionale derivata, a norma dell'art. 27 I. 11 marzo 1953 n. 87 di altre norme del codice di procedura penale, queste devono essere interpretate in coordinamento fra di loro e tenendo conto degli effetti conseguenti alla dichia rata insanabilit� della nullit�: ch� anzi, a ben vedere, non v'era ragione di dichiarare l'illegittimit� derivata di altre norme in conseguenza della dichiara RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 164 zione di illegittimit� dell'art. 422. �: infatti conseguenza della nullit� dei precedenti atti che la costituzione di parte civile possa avvenire anche dopo compiute per la prima volta le formalit� di apertura del dibattimento (art. 93 c.p.p.), che quindi l'opposizione alla costituzione possa avvenire anche successivamente al termine previsto dall'art. 98 secondo comma e immediatamente dopo l'avvenuta costituzione e che, infine, l'esclusione della parte civile ad opera del giudice possa avvenire in ogni stato e grado del procedimento (art. 99), La costituzione di parte civile invero -che gi� sotto il vigore dell'art. 422 era stata ritenuta ammissibile in appello quando il giudice di secondo grado avesse dichiarato la nullit� del giudizio di primo grado per la mancata citazione della persona offesa (Cass. 10 luglio 1951 in Giust. pen. 1951, III, 643, m. 552; 4 giugno 1952, ivi 1952, III, 746, m. 702) deve a maggior ragione ritenersi ammissibile adesso. La costituzione di parte civile in grado di appello comporta peraltro altri problemi di non facile soluzione: la disciplina della materia va, nel codice di rito, ricercata nella norma di cui all'art. 522 il quale, nei suoi primi tre commi, dispone diversamente a seconda dei tipi di nullit� riscontrate. Le nullit� assolute ex art. 185 e quelle di cui al II comma dell'art. 445 comportano rispettivamente, previa declaratoria della nullit� con sentenza, la trasmissione degli atti .al giudice di primo grado o al pubblico ministero. Quelle relative, che non siano state sanate, comportano o la rinnovazfone degli atti nulli o la mera declaratoria di nullit�, qualora il giudice riconosca che l'atto nullo non fornisce elementi necessati al giudizio. Questa normativa va integrata con quella di cui agli artt. 34 e 36 c.p.p. che prevedono in ordine alla competenza per materia, nullit� insanabili e rilevabili in ogni stato e grado del processo. Di tutte queste forme di nullit�, quella che pi� si avvicina a quella conseguente all'omessa citazione della parte lesa, � quella disciplinata dal III comma dell'art. 522. La soluzione per� che questa norma impone (costituzione innanzi al giudice d'appello, che pu� ordinare la rinnovazione del dibattimento, non conoscendo il nostro sistema processuale penale altra ipotesi di rinnovazione obbligatoria del dibattimento che non sia quella dell'art. 565 ultimo comma) � criticata in dottrina, in quanto non attua effettivamente il diritto di difesa garantito dalla Costituzione in ogni stato e grado del procedimento, tanto che altri autori propendono per una interpretazione analogica dell'art. 522 II comma, traendo argomenti dal comune carattere di insanabilit� delle nullit� previste dall'art. 185 e dall'art. 412 e dalla comune predisposizione per la tutela del pieno espletamento del diritto della difesa rispettivamente dell'imputato e della persona offesa dal reato ed affermano conseguentemente che il� giudice di secondo grado deve rinviare gli atti al primo giudice per il giudizio. PAOLO DI TARSIA di BELMONTE PARTE SECONDA LEGISLAZIONE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice d.i procedura penale, art. 108, .primo comma, nella parte in cui noni consente, nel corso dell'istruzione sommaria, la citazione del responsabile civile, 'nei cui confronti si richieda la provvisionale di cui all'art. 24 della legge 24 dicembre 1969, n. 990. Sentenza 22 gennaio 1976, n. 14, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. codice di procedura penale, art. 598, nella parte in cui non prevede che prima della decisione della corte d'appello si proceda agli adempimenti di cui all'art. 372, primo e secondo comma, dello stesso codice, ai fini dell'esercizi0> delle facolt� di questa norma previsti. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 5, G. U. 21 gennaio 1976, r> 18. r.d. 22 aprile 1909, n. 229, art. 22, secondo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. r.d.I. 27 novembre 19119, n. 2373, art. 24, secondo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. r.d. 13 agosto 1933, n. 103�8, art. 72, nella parte in cui prescrive per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi dirittO' al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. r.d. 12 luglio 1934, n. 12141 art. 63, nella parte in cui prescrive, per la proposizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto� al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. r.d. 12 luglio 1934, n. 2312, art. 49. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. .2 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO r.d.I. 3 marzo 1938, n. 680, art. 60, nella parte in cui prescrive, per la pro� posizione dei ricorsi in materia di pensione da parte degli aventi diritto al trattamento di quiescenza, il termine perentorio di novanta giorni dalla data ,di comunicazione e notificazione del provvedimento impugnato. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge 6 luglio 1939, n. 1035, art. 54, primo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge 6 febbra-io 1941, n. 1'76, art. 63, .primo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge 25 luglio 1941, n. 934, art. 59, primo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 3, secondo comma, nella parte in cui �.dispone che i membri del consiglio di giustizia amministrativa della regione siciliana in sede giurisdizionale, designati dalla giunta regionale, possono essere ,riconfermati. Sentenza 22 gennaio 1976, n. 25, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.P.R. 5 giugno 1952, n. 656, art. 90, primo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.P.R. 2 gennaio 1962, n. 538, articolo unico. Sentenza 22 gennaio 1976, n. 19, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. legge 6 agosto 1967, n. 699, art. 29, secondo comma. Sentenza 15 gennaio 1976, n. 8, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge 28 luglio 1971, n. 585, art. 19, primo comma, nella parte in cui �dispone che il termine per la riasswizione del processo, interrotto a seguito �della morte del ricorrente, decorre dall'interruzione anzich� dalla data in cui ;gli eredi del ricorrente ne abbiano avuto conoscenza. Sentenza 19 febbraio 1976, n. 36, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 28 luglio 197'1, n. 585, art. 19, primo comma, art. 19, terzo comma, nella parte in cui non prevede che l'istanza del Procuratore generale debba .essere notificata agli eredi del ricorrente. Sentenza 19 febbraio 1976, n. 36, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. PARTE IJ, LEGISLAZIONE II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 2941, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 35, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. codice di procedura civile, art. 409 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 29, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. codice di procedura civile, art. 409, n. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 33, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. codice di procedura penale, art. 90 (artt. 24, secondo comma, e 3 della Costituzione). Sentenza 15 gennaio 1976, Ii. 6, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. codice di procedura penale, art. 500 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 22 gennaio J976, n. 18, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. r.d.I. 23 novembre 1936, n. 2523, art. 20, secondo e terzo comma (artt. 3, primo e secondo comma, 9, primo comma, e 39 della Costituzione). Sentenza 15 gennaio 1976, n. 7, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge 23 novembre 1939, n. 1815, art. 2 (a:rt. 41, primo comma, della Costituzione). Sentenza 22 gennaio 1976, n. 17, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.l.. 14 febbraio 1948, n. 43, art+. 2 e 3 (artt. 2, secondo comma e 5, numeri 3 e 4, 51 della legge costituzionale 10 novembre 1971, n. 1, e art. 2 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 26, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. d.I. 6 maggio 1948, n. 654, art. 5, terzo comma (art. 3, 24, 113, secondo .comma, 125, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 22 gennaio 1976, n. 25, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. l~e 2 aprile 1958, .n. 339, arlt. 1 e 17, lettera b (artt. 3, primo comma, -e 36, primo comma, della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 27, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 6 novembre 1963, nr 1444, artt. 1 e 3 e successive norme di proro_ga della le9ge (artt. 3 e 42, secondo comma). Sentenza 15 gennaio 1976, n. 3,�G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. 4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO legge 22 luglio 1966, n. 607, arff. 1 e 18 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 gennaio 1976, n. 2, G. U. 21 gennaio 1976. legge 28 luglio 1967, n. 641, art. 14, ultimo comma (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 22 gennaio 1976, n. 15, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 20 (artt. 3, 4, 35, 36 e 38 delfa Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 30, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 26 novembre 1969, n. 833, arff. 1, secondo comma, e 2, primo comma (artt. 3, 4, 31 e 42 della Costituzione). Sentenza 15 gennaio 1976, n. 4, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.I. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 56 (artt. 3, 4, 31 e 42 della Costituzione). Sentenza 15 gennaio 1976, n. 4, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge 30 dicem~re 1971, n. 1204, art. 1, terzo comma (artt. 4, 31 e 35 della Costituzione). Sentenza 15 gennaio 1976, n. 9, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 3, n. 2, lettere b e c (artt. 2 dello statuto della regione del Trentino-Alto Adige e 6 della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 34, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 20 dicembre 1973, n. 830, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 32, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, art. 1, primo e secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 febbraio 1976, n. 32, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. legge reg. Lombardia approv. 26 marzo 1975 e ria.ppr. 20 novembre 1975. Presidente del Consiglio dei� Ministri, ricorso depositato 16 dicembre 1975, n. 23, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. legge reg. Umbria approv, 1 O aprile 1975 e r:appr. 20 novembre 1975. Presidente del Consiglio dei Ministri ricorso depositato 19 dicembre 1975, n. 24, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18.. PARTE II, LEGISLAZIONE� J legge reg. Lombardia approv. 30 aprile 1975 e riappr. 4 dicembre 1975. Presidente del Consiglio dei Ministri, ricorso depositato il 3 gennaio 1976, n~ 1. G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. III � QUESTIONI PROPOSTE Codice civile, art+. 565 e 578 (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione) Corte d'appello dell'Aquila, ordinanze 9 ottobre 1974, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. , codice civile, artt. 826, ultimo comma, 828, ultimo comma, e 830, ultimo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanza 8 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. codice civile, art. 2948, n. 4 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Roma, ordinanze 22 e 29 settembre 1975 (dieci), G. U. 7 gen� naio 1975, n. 5. cod�ice di procedura civile, artt. 151 e 274 (artt. 25 e 101 della Costi� tuzione). Pretore di Milano, ordinanza 23 giugno 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. codice di procedura civile, art. 429 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Giudice conciliatore di Cagliari, ordinanza 24 ottobre 1975, G. U. 25 feb� braio 1976, n. 51. codice penale, artt. 89 e 169 (artt. 3 e 27 della Costituzione). Pretore di Genova, ordinanza 17 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. codice penale, art. 266 (art. 21 p.p. e 25, della Costituzione). Corte di assise di Bolzano, ordinanza 13 novembre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. codice penale, art. 604, n. 1 (art. 3 della Costituzione). Pretore di Vittorio Veneto, ordinanza 7 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. codice di procedura .penale, artt. 23 e 489 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Orvieto, ordinanza 14 novembre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO codice di procedura penole, art. 169, secondo comma, 173 e 268, prim0> comma (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Torino, ordinanza 31 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976,. Il. 51. codice di procedura penale, art. 436, ultima parte (artt. 3, 24, 25 e 111 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 16 settembre 1975, G. U. 11 feb-� braio 1976, n. 38. codice di procedura penale, art. 544, terzo comma (art. 24, secondo comma,. della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 23 settembre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 7 luglio 1901, n. 283, artt. 6, 7, 8 e 9 (artt. 33, quinto comma, e 24,. secondo comma, della Costituzione). r.d.I. 13 agosto 11976, n. 1459 (artt. 33, quinto comma, e 24, secondo� comma, della Costituzione). Pretore di Breno, ordinanza 23 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. legge 28 giugno 19'28, n. 1415 (artt. 33, quinto comma, e 24, secondo� comma, della Costituzione). Pretore di Breno, ordinanza 23 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25.. legge 22 febbraio 1934, n. 370, art. 1, secondo comma, n. 5 (art. 36, ultimo�� comma, della Costituzione). Pretore di Messina, ordinanza 28 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. r.d.I. 4 ottobre 1935, n. 182-7, art. 41 (artt. 3, 45 e 38, secondo commar della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976,. Il. 18. r.d. 5 giug�no 1939, n. 1016, art. 8 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 13 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976,. n. 38. r.d. 5 giugno 1939, n. 1016, art. 32, quinto e sesto comma (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 10 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976,. n. 38. i I ! 1 > PARTE II, LEGISLAZIONE r.d. '29 giugno 1939, n. 1127, art. 14 (artt. 3, 9, 41, 42 e 43 della Costituzione). Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'ufficio centrale brevetti,. ordinanze 11 aprile 1975, (diciotto), G. V. 28 gennaio 1976, n. 25. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276, (art. 101, secondo comma, 104, primo� comma, 107, primo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 novembre 1975, G. V. 28 gennaio 1976, n. 25. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 26 (art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Firenze, ordinanza 30 luglio 1975, G. V. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 17 luglio 1942, n. 907 (art. 43 della Costituzione). Corte d'appello di Venezia, ordinanza 28 giugno 1975, G. V. 25 febbraio' 1976, n. 51. legge 17 luglio '1942, n. 907, artt. 45 e seguenti (art. 32, 41 e 43 della. Costituzione). Corte d'appello di Bologna, ordinanza 31 maggio 1975, G. V. 21 gennaio�� 1976, n. 25. Corte d'appello di Palermo, ordinanza 23 ottobre 1975, G. V. 28 gennaio" 1976, n. 25. Tribunale di Benevento, ordinanze 29 ottobre e 3 dicembre 1975, G. U.. 11 febbraio 1976, n. 38 e 28 gennaio 1976, n. 25. legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e 47 (art. 41 e 43 della Costituzione) .. Corte d'appello di Venezia, ordinanze 17, 24 e 27 settembre 1975, G. U�. 25 febbraio 1976, n. 51. legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 45 e seguenti, 65 e 75, n. 2 (artt. 41 e 43� della Costituzione). Corte d'appello di Potenza, ordinanza 31 ottobre 1975, G. V. 11 febbraio" 1976, n. 38. legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 45 e 73 (art. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze 15 settembre, 24 e 29 settembre, 17 e 31 ottobre, 7 e 8 novembre 1975, G. V. 11 febbraio 1976, n. 38. Begge 17 luglio 1942, n. 907, art. 66, n. 5 (artt. 41 e 43 della Costituzione) �. Tribunale di Rieti, ordinanza 10 ottobre 1975, G. V. 28 gennaio 1976, n. 25~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 17 luglio 1942, n. 907, artt. 66, n. 5, 73, 75, 87 e 103 (artt. 41 e 43 .della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze 2 ottobre 1975 (due), G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. d.I. l1 febbraio 1948, 11. 50, art. 2 (artt. 2, 3, 10, 14, 23 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza Jl giugno 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. legge 29 arprile 1949, 11. 264, art. H, quarto comma, n. 5 (artt. 3, 4, 35 e .36 della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 19 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. legge 3 gennaio 1951, n. 27 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Benevento, ordinanza 29 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. legge 3 gennaio 1'951, n. 27, art. 1 e 4 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze 15 settembre, 24 e 29 settembre, 17 e 31 -Ottobre, 7 e 8 novembre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. Corte d'appello di Potenza, ordinanza 31 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. legge 3 gennaio 1951, n. 27, artt. 1, 4 e l2 (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze 2 ottobre 1975 (due), G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. d.P.R. �10 gennaio '1957, n. 3, art. 384 (art. 101, secondo comma, 104, primo .comma, 107, primo comma, della Costituzione). Corte di cassazione, ordinanza 6 novembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 119 (art. 36, ultima parte, della Co. stituzione). Pretore di Borgonovo Val Tidone, ordinanza 24 ottobre 1975, G. U. 11 feb� braio 1976, n. 38. d.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 131 (artt. 3, 15, 24, 27, 29, 31 e 53 della �Costituzione). Commiss.ione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 7 aprile 1975, �G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.P.R. 29 gennG.io 1958, n. 645, artt. 131 e 139 (artt. 3, 29, 31 e S3 della Costituzione). Commissione tributaria di primo grado di Milano, ordinanza 17 marzo 1975, ,c. U. 28 gennaio 1976, n. 25. PARTE II, LEGISLAZIONE legge 15 febbraio 1958, n. 46, art. :11, sesto comma (artl. 3 e 29, primo comma, 36 e 38 della costituzione). Corte dei conti, terza sessione pensioni civili, ordinanza 7 febbraio 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. legge 15 febbraio 1963, n. 151, art. 3 (artt. 3, 5 e 128 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, ordinanze 22, 23 e 29 aprile 1975 (sette), G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.P.R. 16 aprile 1964, n. 480, articolo unico (artt. 3, 45 e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 ottobre 1'975, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. d.P.R. 30, giugno 1965, n. 1'123, art. 74, capoverso (art. 3 della Costituzione). Giudice del lavoro del tribunale di Pistoia, ordinanza 29 gennaio 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1'124, art. 85 (art. 3 della Costituzione). Tribunale di Pistoia, oroinanza 12 marzo 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ort. H2 (art. 38, primo e secondo comma, della Costituzione). Giudice del lavoro del tribunale di Roma, ordinanza 11 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976. legge Il mano 1968, n. 152, artt. 12, 13, 14, 16 e 17 (art. 3 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionule per la Lombardia, ordinanza 12 febbraio 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. �legge 7 ottobre 1969, n. 742, artt. 1 e 2, primo comma (art. 3, primo comma, e all'art. 24, secondo comma, della Costituzione). Giudice istruttore del Tribunale di Roma, ordinanza 8 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.P.R. 30 aprile 1970, n. 602, art. 1 (artt. 3, 45 e 38, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Caltanissetta, ordinanza 16 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. RASSEGNA DELL'iWVOCATlJRA DELLO STATO �legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 35 (artt. 3 e 35 della Costituzione). Pretore di Naro, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5.' � � legge 24 maggl�o 1970, n. 336, art. 4 (artt. 3, primo comma, e� 35, primo comma, della Costituzione). Pretore di Orbetello, ordinanza 14 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio� 1976, n. 25. d.I. 26 ottobre 1970, n. 745, art. 31 (art. 3 p.p. della Costituzione). Tribunale di Macerata, ordinanza 1� ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, .... 51. . . Jegge 22 ottobre 1971., n, 86.5. art. 16 (artt. 3. e 42, terzo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Trieste, ordinanza 27 giugno 1975, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18.. . , legge, 22 ottobre 19711, n. 865, art. 16, terzo comma (artt. 3 e 42, t.erzo c~m~a.�...della' costituzion�). ' Corte d'appello di Bologna, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n, 51. . I � I.' legge 6 die�mbr~ 1971, n. 1304, art. 40 (artt. 3, �primo comma; 125, secondo comma 24, primo e secondo comma, e 113, primo comma, della Costituzione). " '� Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanze 5 novembre 1974 (due), G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. d.P.R. 23 giugno 1972, n. 749, artt. 21 e 23 (artt. 3 e 76 della Costituziop.e). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 5 marzo 1975, G. U. 28 gennaio 1976,, n, 25. d.P.R. 26 ottobre, 1972, n. 643, art. 6 (art. 53, primo comma, della Costituzione).. �. . ��� Commissione tributaria di primo grado di Avezzano, ordinanza 13 novembre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. I ' ~ d.P.R. 23 gennaio 1973, ri. 43, artt. 34, 282, 292 e 30�1 (artt. 41 e 43 della Costituzione). � Tribunale di Roma, ordinanze 2 ottobre 1975 (due), G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 195, primo e ultimo comma (artt. 41 e 43 della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 21 ottobre 1975, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51, PARTI! Ii,� LEGISLAZIONE. d.P.R. 29 �marzo 1973, n. 1~. art. 304 (artt. 23; 41,' secondo e terzo comma, e 53, primo comma, della Costituzione). Pretore di Sampierdarena, ordinanze 12 e 21 �ttobre 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5 e 11 febbraio 1976, n. 38; d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 304 (artt. 3, 23 e 53 della Costituzione). Pretore di Ivrea, ordinanza 11 novembre 1975, G. U. 11 febbn;�o 1976, n. 38. legge 24 luglio 1973, n. 42�6, art. 1 (artt. 42 e 3 delT� Costituzione).' Tribunale di Rovereto, ordinanza 25 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. legge 30 luglio 1973, n. 477, artt. 3, 11 e 16 (art. 81, tert10 e quarto c0mina, e 76 della Costituzione). Corte dei conti, sezione di controllo, orqinanza. 20 novembre 1975, G.. g.. 21 gennaio 1976. legge 11 agosto 1973, n. 533, art: 409, n. s (artt. 3 e102 ciella Costituzione). Pretore di Milano, ordinan2:a 8 gennai� 1975, e> U. 28"g�nnaio 1976, �n. 25. d.P.R. 22 dicembre 1973, n. 834, art. 1 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Corte d'appello di Roma, ordinanza 3 ottobre 1975, G. U. 21 gennaio 1976, n. 18. leggEt 22 dicembre 1973, n. 841, art. 1 (artt. 42 e 3 della Costituzione). �r. Tribunale �di 'Rovereto, ordinanza �25 ottobre �1975, G,� U: 28 gemnaio. 1976; n. 25. d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 69, prirrt0 c:o;..ma (art. 3 dell':l Costituzione). Corte dei conti, quarta sezione pensioni militari, ordinanza 4 marzo 1975, G. V. 28 genn"io 1976, n. 25. 1 d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 129, second� e terzo comma (art 3 della Costituzione). Giudice del lavoro del tribunale di La Spezia, ordinanza 12 � agosto 1975, I . . . . G. li. 21 gennaio 1976, n. 18. d.I. 19 giugno 1974, n. 236, art. 1 (artt. 42 e 3 della Costituzione). Tribunale di Rovereto, ordinanza 25 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n; 25. d.I. 8 luglio 1974, n. 261, art. 6, secondo e terz!> comma (artt. 4 . e 13 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale del Lazio, ordinanza 21 maggio 1975 (due), G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. 12 RASSEGNA DELL'AVVOCATVRA DEJ.,LO STATO let,n1e 14 ottobre 1974, n. 497, arH. 1 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5. Tribunale di Udine, ordinanza 24 settembre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 15 ottobre 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5. d.I. 10 get1naio 1975, n. 2, artt. 1, 2 e 3 (art. 25 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 4 giugno 1975, G. U. 7 gennaio 1976, n. 5. legge reg. Lombardia 15 oprile 197'5, n. 5'1, art. 14, ultimo comma, e 48 (art. 117 della Costituzione). Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, ordinanza 21 maggio 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. legge 18 aprUe 1975, n. UO, art. 36 {art. 3 della Costituzione). Tribunale di Roma, ordinanze 29 e 30 ottobre 1975, G. U. 11 febbraio 1976, n. 38. d.I. 25 giufJllo 1975, n. 255, art. 1 (artt. 42 e 3 della Costituzione). Tribunale di Rovereto, ordinanza 25 ottobre 1975, G. U. 28 gennaio 1976, n. 25. legge 18 novembre 1975, n. 764 (artt. 3, 5, 116, e disp. VIII della Costituzione, e artt. 14, lettere n, p e q, lettere e e x; 32, 33, 43, dello statuto della Regione siciliana). Regione siciliana, ricorso depositato 1'11 febbraio 1976, n. 4, G. U. 25 febbraio 1'976, n. 51. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 1, 2, 8, 10, 13, 39, 84, 90, 91, 92, 94, 103 e 107 (artt. 9, n. 10, 8, n. 25), e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670). Provincia di Bolzano, ricorso depositato il 5 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. Provincia di Trento, ricorso depositato il 5 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. �legge 23 dicembre 1975, n. 745, artt. 2, primo e secondo comma, 3, 4, se� condo c�omma, 5, secondo e qui�nto comma, 6, 10, 1,1 e 12 (artt. 8, n. 21, 9, n. 10, e 16 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670). Provincia di Trento, ricorso depositato il 16 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. Provincia di Trento, ricorso depositato il 26 febbraio 1976, G. U. 25 febbraio 1976, n. 51. CONSULTAZIONI ACQUE PUBBLICHE Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o rinuncia della concessione -Opere di raccolta, regolazione e derivazione Trasferimento allo Stato (t. u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 25). Se, nel caso di scadenza decadenza o rinuncia ad una concessione di grande .derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta, regolazione o derivazione passino automaticamente in propriet� dello Stato, ovvero lo Stato l;tll!desimo abbia.la scelta tra.l'acquisizione in .propriet� ed il disporre la demolizione (n. 112). Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o rinuncia alla concessione -Opere di raccolta, regolazione e derivazione Trasferimento all'ENEL. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 25; d.P.R. 18 marzo 1965, n. 342 art. 9, 5� comma). Se, nel caso di scadenza decadenza o rinunzia ad una concessione di grande .derivazione di acque pubbliche, le opere di raccolta regolazione o derivazione passino automaticamente in propriet� dell'ENEL -in virt� del subentro disposto .dall'art. 9, 5� comma d.P.R. 18 marzo 1965 n. 342 -ovvero se tale trasferimento si operi solo ed in quanto l'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica decida di �Continuare a produrre energia da quel determinato impianto (n. 112). Acque pubbliche -Concessione di grande derivazione -Scadenza, decadenza o rinunzia -ENEL -Domanda di concessione per scopi idroelettrici -Istruttoria. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 7 e 25; d.P.R. 18 marzo 965 n. 342, art. 9, 2� comma). Se sulla domanda dell'ENEL diretta ad ottenere la concessione di derivazione �di acque per scopi idroelettrici, oggetto di precedente concessione scaduta decaduta o rinunciata, debbasi disporre la prevista istruttoria qualora, con detta .domanda, concorrano altre domande per scopi idroelettrici o per altri scopi (n. 112). ANTICHITA E BELLE ARTI Edifici d'interesse storico o artistico, biblioteche, archivi -Impianti termici Norme sull'inquinamento atmosferico. (l. 5 gennaio 1939, n. 338 -r.d. 7 novembre 1942, n. 1564.-l. 13 luglio�1966, n. 615 -d.P.R. 22 dicembre 1970, n. 1391). Se la parte del r. d. 7 novembre 1942, n. 1564, che riguarda la disciplina degli impianti termie'i negli edifici pregevoli per arte o storia e in quelli destinati a �contenere biblioteche, archivi, ecc., sopravviva alla legge 13 luglio 1966, n. 615 e al relativo regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 22 dicembre 1970, n. 1391, i quali recano provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico (n. 74). 14 RASSEGNA DEI.L'AVVOCATURA. DEI.LO STATO ESECUZIONE FORZATA Acque pubbliche -Concessione di derivazione a scopo idroelettrico -Immobili e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata a danno del concessionario. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 20 e 25). Se siano soggetti ad esecuzione forzata gli immobili e beni costituenti i mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque pubbliche a scopo idroelettrico (n. 58). Acque pubbliche -Concessione� di derivazione a scopo idroelettrico -Immobili e beni inerenti la concessione -Esecuzione forzata -Vendita all'asta -Acquirente -Trasferimento della concessione -Nulla osta della P.A. (t.u. 11 dicembre 1953, n. 1775, artt. 20 e 25). , Se, nel caso di vendita all'asta a seguito di esec�zione forzata di immobili e� beni costituenti i mezzi per l'esercizio della concessione di derivazione di acque pubbliche a scopo idroelettrico, il trasferimento della concessione in favore dell'acquirente sia condizionato al nulla osta dell'Amministrazione (n. 58). . ' ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� Espropriazione per pubblico interesse -Dichiarazfone di pubblica utilit� -Ter. mini ~ Scadenza -Mancata emanazione� de�reto di esproprio -Effetti -�Opera pubblica eseguita. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13). Se la mancata emanazione del decreto di espropriazione nel termine fissatonella dichiarazione cli pubblica utilit� determini !'.inefficacia di tale dichiarazione anche nel caso in cui l'opera pubblica sia stata portata a compimento nei termini sta])iliti (n. 348). FALLIMENTO Concordato fallimentare -Effetti -Credito anteriore al fallimento -Riconoscimento integrale in sentenza posteriore. (r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 135). Se,� il concordato fallimentare divenga obbligatorio per tutti i creditori anteriori all'apertura del fallimento e in particolare se un credito sorto in epoca anteriore al concordato vada ridotto alla percentuale concordataria anc~rch� sia stato concretizzato nell'importo originario da una sentenza successiva al concordato e che abbia acquistata efficacia esecutiva (n. 147). IMPOSTA DI REGISTRO Imposta di registro -Cessione di quote di societ� di persone -Valutazione base imponibile. (r.d.l. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 43). Se nella cessione di quote di societ� di persone l'imposta proporzionale di registro si applichi sul valore netto o sul valore lordo della quota di patrimonio sociale ceduta (n. 417). PARTE II, CONSULTAZIONI IMPOSTE V ARIE Imposta di registro � Condono -Controversia pendente � Giudicato � Successiva domanda di condono � Effetti. (d.l. 5 novembre 1973, n. 660, art. 6; l. 19 dicembre 1973, n. 823 art. 6). Se o in quali limiti sia ammissibile la definizione di controversia tributaria in ordine alla applicazione dell'imposta di registro, ai sensi della legge 19 dicembre 1973, n. 823, nel caso in cui, nella controversia pendente al 31 ottobre 1973, la domanda di condono sia presentata prima del 28 febbraio 1974 ma dopo che si sia resa definitiva sentenza dell'autorit� giudiziaria (n. 87). Tributi in generale � Esenzioni e agevolazioni � Trattamento tributario degli Istituti di credito a medio o lungo, termine � Limiti soggettivi. (l. 27 luglio 1962, n. 1228, art. 1). Se il trattamento tributario degli istituti di credito a medio o lungo termine, che l'art. 1 della legge 27 luglio 1962 n. 1228 prevede che un'imposta in abbonamento sostitutiva di ogni altra imposta, si applichi soltanto agli istituti di credito speciale di cui all'art. 41 e successive modifiche delle leggi bancarie 7 marzo 1938 n. 141 e 7 aprile 1938 n. 636, ovvero anche alle aziende di credito ordinario quando operino finanziamenti a medio e lungo termine (n. 86). Tributi in generale � Esenzioni e agevolazioni � Trattamento tributario degli istituti di credito a medio e lungo termine � Limiti soggettivi � Clausola di risoluzione anticipata. (l. 27 luglio 1962, n. 1228, art. 1). Se il trattamento tributario degli istituti di credito a medio o lungo termine, che l'art. 1 della legge 27 luglio 1962 n. 1228 prevede in un'imposta in abbonamento sostitutiva di ogni altra imposta, si applichi ad atto di finanziamento a medio o lungo termine nei quali peraltro l'istituto mutuante si riservi la facolt� di risoluzione anticipata del mutuo ove si verifichi un'anormale ritiro dei depositi (n. 86). RESPONSABILIT� CIVILE Circolazione stradale � Scontro tra veicoli -Impianti Semaforici � Inefficienza Responsabilit� civile. (cod. civ. artt. 2043, 2054). Se la responsabilit� negli incidenti stradali causati da inefficienza di impianti semaforici nei quali siano coinvolti automezzi della P.A., possa essere attribuita al Comune (n. 275). SANZIONI AMMINISTRATIVE Agricoltura e foreste � Violazioni a norme di tutela del patrimonio forestale Depenalizzazione. (r.d.l. 30 dicembre 1923 n. 3267, artt. 24 e segg.; l. 9 ottobre 1967, n. 950). Se tutte le violazioni, di qualsiasi tipo, previste dal r.d.I. 30 dicembre 1923, n. 3267, contenente norme a tutela del patrimonio forestale, siano state depenalizzate a seguito dell'entrata in Vigore della legge 9 ottobre 1967 n. 950 (n. 8).