ANNO XXI -N. 5 SETTEMBRE -OTTOBRE 1969 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Pubblicazione bimestrale di servizio ROMA ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 1969 ABBONAMENTI ANNO � � � � . � � � . . . � � � � � � � � � � � � . . � � � � � � � L. 7.500 UN NUMERO SEPARATO � � � . � � � . � � . � � � � . . � � 1.300 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: LIBRERIA DELLO STATO , PIAZZA G. VERDI, 10 , ROMA e/e postale 1/40500 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 .(8213822) Roma, 1969 -Istituto Poligrafico deillo Stato P. V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTER NAZIONALE (a cura del/'avv. Michele Savarese) pag. 783 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA SDIZIONE (a cura SU QUESTIONI DI GIURIdel/' avv. Benedetto Saccari) � 814 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE tro de Francisci) � � (a cura del/'avv. Pie � 826 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/' avv. Ugo Gargiulo) � � )) 856 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura degli avvocati Giuseppe Angelini-Rota e Carlo Bafile) � 869 Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA bi ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE (a cura del/'avv. Franco Carusi) � � � � � 965 Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Antonino Terranova) � � 9 7 6 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNE -CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO RASSEGNA DI DOTTRINA (a cura del/'avv. Luigi Mazze/la) . � � pag. 171 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE (a cura del/'avv. Arturo Marzano) � 173 CONSULTAZIONI � 185 NOTIZIARIO . . � 191 La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI LA REDAZIONE, La composizione qualii.tativa e quantitativa del collegio delle sezioni unite della Commissione centrale delle imposte . . . . . . . . . . . . . . pag. 927 LA REDAZIONE, Il reddito di impresa -tassabile in R.M. cat. B -dei soggetti tassabili in base a bitancio e delle aziende ed istituti di credito: detraibilit� o meno delle somme pagate per R.M. -cat. A -sugli interessi dovuti e per le quali non venga esercitata la rivalsa sui reddituari 927 BAFILE C., Considerazioni sulla connessione strumentale con atti agevolati . . . . . . . . . . . . . . . 900 \ BAFILE C., Ancora sul'l'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale 916 DONADIO G., Parte civile, danni diretti, responsabile civile 984 DONADIO G., Convenzione italo-francese sull'aiuto reciproco giudiziario . . . . . . . . . . . . . . . . > 990 SICONOLFI L., Il giudizio di opposizione alla indennit� di espraprio e natura det relativo termine . . . . . . . . 827 INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRICIT� -Concessione di utenza di acqua pubblica -Decadenza -Natura discrezionale ed efficacia costitutiva della relativa pronunzia della P.A. -Sussistono -Eccezione -Fattispecie, 965. -Concessione di utenza di acqua pubblica -Domanda di variante -Ammissione ad istruttoria Potere discrezionale della P .A. Sussiste, 965. -Concessione di utenza di acqua pubblica -Obbligo del concessionario di iniziare e ultimare i lavori ed utilizzare l'acqua nei termini fissati nel decreto e nel disciplinare di concessione, a pena di decadenza -Domanda di proroga -Accoglimento -Potere discrezionale della P.A. -Sussiste, 965. -Concessione di utenza di acqua pubblica -Obbligo del concessionario di iniziare e ultimare i lavori ed utilizzare l'acqua nei termini fissati dal decreto e nel disciplinare di concessione, a pena di decadenza -Domanda di proroga -Anteriorit� della data di presentazione della domanda di proroga rispetto alla scadenza dei termini, originari o prorogati, per l'inizio e l'ultimazione dei lavori -Necessit� -Sussiste, 965. - Demanio idraulico -Gestione Competenza del Ministero dei lavori pubblici -Sussiste -Applicazione in tema di legittimazione a contraddire in giudiz~o, 974. AMNISTIA - V. Responsabilit� civile. APPALTO -V. Edilizia popolare ed economica, Imposta di registro. APPELLO - V. Procedimento penale. ATTO AMMINISTRATIVO -Eccesso di potere -Regime probatorio dell'eccesso di potere nel procedimento davanti al Consiglio di Stato -Applicabilit� delle norme del processo ordinario -Valore .probatorio delle presunzioni semplici, con nota di A. PALATIELLO, 856. - V. anche Competenza e giurisdizione. BANCA - V. Imposta di registro. CASSAZIONE - V. Procedimento civile. COMPETENZA E GIURISDIZIONE. -Atto amministrativo -Poteri del giudice ordinario -Inammissibilit� della revoca e della modifica -Natura del provvedimento richiesto dal giudice -Irrilevanza, 823. -Cassazione -Ius superveniens Giudicato sulla giurisdizione intervenuto in altro giudizio -Deducibilit� -Esclusione, 814. -Controversie in materia di previdenza ed assistenza a favore di pubblici dipe11denti -Competenza del giudice ordinario -Limiti, 820. -Demanio e patrimonio -Patrimonio indisponibile -Potere di autotutela della P. A. -Ordinanza di rilascio di un bene del patrimonio indisponibile -Opposizione all'esecuzione -Difetto di giurisdizione dell'A.G.O., 814. �� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VI -Patrimonio indisponibile -Case economiche delle F. S. -Assegnazione in uso -Natura del rapporto -Concessione -Diritto soggettivo dell'assegnatario -Esclusione, 823. -Questione di giurisdizione -Poteri della Cassazione -Interpretazione del giudicato -Ammissibilit�, 814. CONCESSIONI AMMINISTRATIVE - V. Acque pubbliche. CONSIGLIO DI STATO. - V. Giustizia amministrativa. COSA GIUDICATA -Limiti oggettivi -Questioni pregiudiziali -Giudicato sull'illegittimit� di un provvedimento di rilascio di un bene della P. A. Estensione alla questione sulla natura patrimoniale disponibile o indisponibile del bene -Esclusione, 814. -V. anche Competenza e giurisdizione. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Decreti legislativi emanati prima della entrata in funzione del primo Parlamento repubblicano Mancanza di delega -Ritardo di conversione -Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 783. - Decreto legge �23 ottobre 1964, n. 989 sulla disciplina fiscale dei prodotti petroliferi -Conversione -Emendamenti abrogativi -Efficacia ex tunc, 843. - V. anche Energia elettrica, Esecuzione fiscale, Imposta di registro, Lavoro, Previdenza ed assistenza, Procedimento penale, Sardegna, Sicilia, Sicurezza pubblica. DANNI -V. Responsabilit� civile, Parte civile. DEMANIO E PATRIMONIO -Beni del disciolto p. n. f. -Destinazione a servizio pubblico Patrimonio indisponibile -Provvisoria destinazione ad altri fini -Irrilevanza, 814 . -V. anche Acque pubbliche, Competenza e giurisdizione, Cosa giudicata. EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Case per lavoratori -Gestione INA-Casa -Incarico ad Amministrazione o ad Enti della costruzione di case 1Per lavoratori Contratti di appalto stipulati in esecuzione di tale incarico -Soggezione alle norme giuridiche di organizzazione della Gestione e di disciplina della sua attivit� Conseguenze sostanziali e processuali in ordine al collaudo delle opere, 970. -V. anche Competenza e giurisdizione. ENERGIA ELETTRICA -Enel -Criteri di determinazione dell'indennizzo alle imprese espropriate -Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 792. ESATTORIA - V. Esecuzione fiscal'e. ES'ECUZIONE FISCALE -Opposizione agli atti esattoriali Limitazione per i beni della moglie non costituiti in dote prima della dichiarazione annuale o dell'avviso di accertamento -Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 790. ESPROPRIAZIONE PER P. U. jJjJ -Bene indiviso -Indennit� di espropriazione -Carattere unitario, con nota di L. SICONOLFI, 827. INDICE VII -Bene indiviso -Opposizione giudiziale all'indennit� -Comunicabilit� degli effetti ai comproprietari tardivi opponenti, con nota di L. SICONOLFI, 827. -Indennit� -Controversie -Competenza dell'A.G.0., 865. Indennit� di esproprio -Liquidazione -Conclusioni del consulente tecnico di Ufficio -Poteri del giudice di merito -Valutazione -Difformit� -Incensurabilit� -Limiti, 848. -Legge regionale siciliana 21 aprile 1953, n. 30 -Indennit� di esproprio -Criteri di determinazione -Deroga al principio generale di riferimento al giusto prezzo dell'immobile alla data del decreto di esproprio -Non sussiste, 848. -Modalit� esecutive dell'opera Censura -Inammissibilit�, 865. -Occupazione preventiva -Delegazione amministrativa intersoggettiva -Concetto -Ente delegato -Legittimazione passiva, 848. Piano di ricostruzione -Variante al piano richiesta del proprietario interessato -Non sospende il procedimento, 865. -Procedura -Autonomia rispetto alla procedura dell'occupazione di urgenza -Incomunicabilit� dei vizi della seconda sulla prima Fattispecie, 864. -Termini -Indicazione nell'atto che dichiara la pubblica utilit� dell'opera -Mancata indicazione -Inammissibilit� dell'impugnativa del decreto prefettizio di espropriazione, 865. -Terrriini di efficacia della dfchiarazione di pubblica utilit� -Piani di ricostruzione -I termini di efficacia della detta dichiarazione sono fissati dalla legge, 865. -V. anche Energia elettrica. FERROVIE -V. Trasporto. GIUNTA PROVINCIALE AMMINISTRATIVA. --V. Giustizia amministrativa. GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. -Consiglio di Stato come giudice dell'appello avverso la decisione delle G.P.A. in s. g. -Incostituzionalit� delle G.P.A. in s. g. Conseguenze sul giudizio di appello, con nota di A. PALATIELLO, 862. -Giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato -Giurisdizione esclusiva attribuita alle G.P.A. in s. g. -Non viene devoluta al Consiglio di Stato, con nota di A. PALATIELLO, 862. -Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Annullamento della decisione straordinaria -Rimessione in termini del controinteressato ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale -� configurabile, 867. -Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Decreto presidenziale che decide il ricorso -Impugnativa -Motivi e legittimazione, 867. -Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Opposizione al ricorso straordinario -Obbligo per il ricorrente di trasferire il ricorso in sede giurisdiziale -Non sussiste, 867. -Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Trasferimento in sede giurisdizionale -Incombenti ed oneri relativi -Sono a carico dell'originario ricorrente, 867. -'-Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Trasferimento in sede giurisdizionale -Interesse al detto trasferimento in ogni controinteressato -Sussiste, 867. -Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Trasferimento in sede giurisdizionale -Legittimazione a chiedere il detto trasferimento -Necessit� di assumere la veste di ricorrente -Non sussiste, 867. vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -Ricorso straordinario al Capo dello Stato -Trasferimento in sede giurisdizionale in opposizione del controinteressato -Rimessione in termini dell'ordinario ricorrente -� configurabile, 867. -Sindacato di legittimit� del Consiglio di Stato -Assorbimento da parte del Consiglio di Stato delle materie attribuite alle G. P. A. in s. g., con nota di A. PALAITIELLO, 862. - Sindacato di merito del Consiglio di Stato -Giurisdizione di merito attribuita alle G. P. A. in s. g. -Non viene devoluta al Consiglio di Stato, con nota di A. PALATIELLO, 862. IMPOSTA DI REGISTRO. -Accessione -Agevolazione ex art. 14 1. 2 luglio 1949, n. 408 Deroga all'art. 47 della legge di .registro, 890. -Accessione -Presunzione ex articolo 47 legge di registro -Deroga prevista dalla 1. 24 gennaio 1962, n. 23 -Presupposti di applicabilit�, 889. -Agevolazioni ex art. 8 1. 24 luglio 1961, n. 729 per la costruzione e l'esercizio delle autostrade -Appalti stipulati dall'A.N. A,S. -Applicabilit� delle agevolazioni, 876. -Agevolazioni per le imprese danneggiate da calamit� pubbliche ex art. 1 1. 13 febbraio 1952, n. 50 -Atti strumentalmente connessi Deposito ibancaxio accessorio a mutuo -Si estende, con nota di C. BAFILE, 900. -Appalto -Appalto di servizi Prestazioni di varia natura -Obbligo di registrazione -Sussiste, 909. -Appalto -'Registrazione a termine fisso -Contratti fra commercianti per lavorazione e riparazione merci, 909. - Atto di sottomissione a garanzia in materia di dilazione del pagamento dell'imposta di successio ne -Garanzie prestate da un ter zo -Imposta fissa di registro, 898. -Benefici fiscali per le case di abitazione non di lusso -Acquisto di area parzialmente inedificabile per vincolo di piano regolatore Applicabilit� dei benefici -Limiti, 869. -Interruzione della prescrizione per effetto del ricorso del condebitore solidale -Violazione del principio di eguaglianza e del diritto di difesa -Esclusione, 801. -Vendita -Pagamento di parte del prezzo mediante consegna al venditore di un libretto di deposito vincolato, quanto all'esigibilit�, ail \benestare del compratore Deposito autonom'.o -Tassabilit� ex art. 38 tari.ff. all. A legge registro, con nota di R. SEMBIANTE, 871. -Vendita -Pagamento di parte del prezzo mediante consegna al venditore di un libretto di deposito vincolato, quanto all'esigibilit�, al benestare del �compratore Oggetto della tassazione -Libretto di deposito -Esclusione, con nota di R. SEMBIANTE, 871. - Vendita fra parenti -Presunzione di liberalit� -Prova della provenienza del prezzo -Riferimento al prezzo pagato e non al valore accertato -Dimostrazione parziale -Dimostrazione presuntiva per la parte residua -Inammissibilit�, 914. -Vendita fra parenti -Presunzione di liberalit� -Valore del bene trasferito eccedente sul p.rezzo convenuto -Negozio misto -Ammissibilit� -Impugnazione di simulazione dell'atto -Necessit�, 917. IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE. -Spese e ipassivit� inerenti alla produzione del reddito -Pagamento da parte dei soggetti tassabili in base al bilancio, delle aziende ed istituti di credito dell'imposta di r. m. cat. A, sugli INDICE IX interessi dovuti ai reddituari e rinuncia all'esercizio dell'azione di rivalsa -Inerenza della rinuncia alla produzione del reddito Detraibilit� dal reddito di r. m., cat. B -Sussiste, 947. ' -Spese inereiliti alla produzione del reddito -Pagamento da parte degli istituti di credito dell'imposta di r. m., Cat. A, sugli interessi dovuti ai depositanti e mancato esercizio dell'azione di rivalsa -Detraibilit� del reddito di r. m., cat. B, degli istituti di credito, 940. IMPOSTA DI SUCCESSIONE. -V. Imposta di registro. IMPOSTA IPOTECARIA. -Contratti ad esecuzione continuata e differita -Adeguamento della prestazione -Non costituisce atto tassabile, 880. IMPOSTE E TASSE IN GENERE. -Commissione centrale delle imposte Sezione Unite� -Composizione del collegio -Presidente commissione centrale -Potere di trasferimento temporaneo da una ad altra sezione di vice presidenti e membri della commissione centrale -Applicabilit� per la composizione del collegio giudicante delle sezioni unite -Non sussiste, 926. -Commissione centrale delle imposte -Sezioni Unite -Costituzione del collegio per materia di imposte -Partecipazione di membri appartenenti a sezioni non aventi la stessa competenza per materia di imposte -Irregolare composizione �qualificativa del collegio -Difetto assoluto di giurisdizione, 926. -Imposte indirette -Ingiunzione Accertamento da parte del giu dice di presupposti diversi da quelli su cui si basa l'ingiunzione -Legittimit�, con nota di C. BAFILE, 917. -Imposte indirette -Ingiunzione Dichiarazione di legittimit� pro parte -Ammissibilit�, con nota di C. BAFILE, 916. -Imposte indirette-Prescrizione Interruzione -Effetti, 883. -Riscossione -Imposta generale sull'entrata -Ingiunzione -Competenza ad emetterla -Ufficio del regitsro -Sussiste, 905. -Concorso -Concorso a cattedra universitaria -Commissione giudicatrice -Membro della commissione che abbia collaborato alla redazione dell'opera� presentata dal candidato -Incompatibilit� -Non sussiste, con nota di A. PALATIELLO, 856. -Concorso -Concorso a cattedra universitaria -Norme consuete nei concorsi -Pubblici impieghi Non si applicano, con nota di A. PALATIELLO, 856. -Concorso -Concorso a cattedra universitaria -Titoli di valutazione -Libera docenza -Non ha valore preminente o assorbente, con nota di A. PALATIELLO, 856. -V. anche Competenza e giurisdizione. INGIUNZIONE. -V. Imposte e tasse in genere. LAVORO. -:QiscLpUrna dei contratti collettivi -Identificazione delle categorie professionali interessate Illegittimit� costituzionale della normativa -Esclusione 788. -Lavoro domestico -Cura ed assistenza medica per i soli lavoratori conviventi -Sperequazione rispetto alle altre categorie di la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO X voratori -Illegittimit� costitu zionale -Esclusione, 811. LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI -V. Sardegna. OCCUPAZIONE. -V. Espropriazione per pubblica utilitd. PARTE CIVILE. Coincidenza della qualit� di responsabile civile -Ammissibilit� -Limiti, con nota di G. DoNAnro, 983. Danni diretti e indiretti -� Provvidenze ex lege 4 novembre 1963, n. 1457, art. 3 bis; e legge integrativa 31 maggio 1964, n. 357, art. 5, per zone devastate dalla catastrofe del Vajont, con nota di G. DONADIO, 984. PIANO DI RICOSTRUZIONE. -Decreto prefettizio che approva il piano di ricostruzione -Equivalenza, ex art. 7 d. 1. lgt. 1 marzo 1945, n. 154, a dichiarazione di .pubblica utilit� -Urgenza e indifferibilit� derivanti dalla legge -Notifica fuori termine del decreto di occupazione -Non � rilevante, 864. -Esecuzione del piano -Impossibilit� del Comune di provvedere -Potere sostitutorio del Ministero dei lavori pubblici, 864. -Termine di efficacia dei piani approvati entro il 31 dicembre 1950 -Provvedimento prefettizio di ccupazione temporanea in via di urgenza per l'attuazione del piano di ricostruzione approvato prima del 31 dicembre 1950 -� legittimo, 864. PIANO REGOLATORE -V. Espropriazione per pubblica utilitd. PRESCRIZIONE -V. Responsabilitd civile, Imposta� di r�gistro, Imposte e tasse. PREVIDENZA ED ASSISTENZA SOCIALE. -Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali -Prescrizione dell'azione contro (li'I.N.A.I.L. Parziale illegittimit� costituzionale della normativa, 797. -V. anche Competenza e giurisdizione. PROCEDIMENTO CIVILE. -Legittimatio ad causam -Nozione -Titolarit� del rapporto dedotto in giudizio -Questione attinente al merito della controversia -Deducibilit� in Cassazione -Limiti, 848. PROCEDIMENTO PENALE. -Accertamento dell'appello -Fondatezza delle censure formulate -Rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado -Illegittimit�, con nota di P. DI TARSIA, 980. -Appello -Dibattimento -Omesso interrogatorio dell'imputato Non � causa di nullit� assoluta, con nota di P. DI TARSIA, 981. -Difensore -Sostituzione del difensore d'ufficio, con nota di P. DI TARSIA, 981. -Giudizio per decreto -Sentenza di condanna nel giudizio di opposizione -Condanna dell'oppo INDICE XI nente nelle spese, anche in caso di reformatio in mefius -Illegittimit� costituzione -Esclusione, 803. Istruzione -Atti istruttori compiuti direttamente nel territorio di uno Stato estero -Nullit� assoluta, con nota di G. DoNADIO, 990. -Istruzione -Libert� personale dell'imputato -Mandato di cattura facoltativo -Difetto di motivazione -Fattispecie, con nota di G. DONADIO, 976. -Istruzione -Libert� personale dell'imputato -Mandato di cattura emesso in esecuzione della sentenza di rinvio a giudizio Previe conclusioni specifiche del P.M. -Mancanza -Irrilevanza, con nota di G. DoNADIO, 976. RAPPORTO DI LAVORO -V. Lavoro. REATO -V. Responsabilit� civile. RESPONSABILIT� CIVILE -Fatto costituente reato -Poteri del giudice civile -Risarcimento danni -Prescrizione -Amnistia Decorrenza, 841. -Passaggi a livello su strade private -Custodia da parte del privato utente -Responsabilit� civile, 826. RICORSI AMMINISTRATIVI -Motivi -Atto non impugnato Inammissibilit�, 865. -V. anche Giustizia amministrativa. SARDEGNA -Provvedimenti per la repressione dell'abigeato e del pascolo abusivo -Delega al Governo di emanare speciali regolamenti Inammissibilit� della questione, 799. SICILIA -Legge regionale recante provvedimenti nel settore agricolo alimentare -Mancata osservanza della procedura del Trattato di Roma -Illegittimit� costituzionale, 805. -Legge regionale sull'elezione degli organi delle amministrazioni comunali -Difformit� tra il testo approvato e quello promulgato -Insussistenza, 808. SICUREZZA PUBBLICA -Alloggio per mercede �e stranieri ed apolidi -Obbligo di denuncia all'autorit� di P.S. -Violazione del diritto alla inviolabilit� di domicilio e del principio di eguaglianza fra cittadini e stranieri Illegittimit� costituzionale -Esclusione, 783. SOCIET� -V. Imposta di ricchezza mobile. STRADE -V. Responsabilit� civile, Imposta di registro. TRASPORTO -Trasporto di persone sulle ferrovie dello Stato -Danni al viaggiatore -Responsabilit� -Anormalit� del servizio ferroviario Concetto, 838. xn RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO VENDITA -V. Imposta di registro. VIOLAZIONE DELLE LEGGI FINANZIARIE E VALUTARIE Pagamento di non residenti e residenti in Italia per cessione di beni d'uso e prestazioni di servizi in relazione al soggiorno in Italia -Pagamento eseguito da un terzo per conto dei debitori Legittimit�, 886. Procedimento -Notifica del verbale di contestazione -Non � richiesta, 897. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 26 giugno 1969, n. 104 pag. 783 26 giugno 1969, n. 105 788 26 giugno 1969, n. 107 790 8 luglio 1969, n. 115 792 8 luglio 1969, n. 116 797 8 luglio 1969, n. 117 799 8 luglio 1969, n. 118 801 8 luglio 1969, n. 119 803 8 luglio 1969, n. 120 805 15 luglio 1969, n. 134 808 15 luglio 1969, n. 135 811 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 29 marzo 1969, n. 1029 pag. 869 Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1296 871 Sez. I, 13 maggio 1969, n. 1638 876 Sez. Un., 9 giugno 1969, n. 2008 814 Sez. I, 13 giugno 1969, n. 2091 .. 880 S~z. I, 21 giugno 1969, n. 2204 883 Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2209 886 Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2213 889 Sez. I, 22 giugno 1969, n. 2223 897 S'ez. I, 22 giugno 1969, n. 2404 890 Sez. I, 26 giugno 1969, n. 2296 898 Sez. I, 30 giugno 1969, n. 2397 900 Sez. I, 1� luglio 1969, n. 2409 905 Sez. III, 7 luglio 1969, n. 2507 826 Sez. Un., 15 luglio 1969, n. 2604 820 Sez. Un., 17 luglio 1969, n. 2645 827 Sez. I, 22 luglio 1969, n. 2749 909 Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2775 917 Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2777 914 Sez. Un., 24 luglio 1969, n. 2796 823 Sez. I, 19 agosto 1969, n. 3010 . 916 S'ez. III, 27 agosto 1969, n. 3047 838 Sez. III, 27 agosto 1969, n. 3049 , 841 Sez. Un., 7 ottobre 1969, n. 3194 965 Sez. I, 8 ottobre 1969, n. 3211 .. 843 XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sez. Un., 9 ottobre 1969, n. 3235 Sez. I, 14 ottobre 1969, n. 3296 Sez. I, 22 ottobre 1969, n. 3452 l~:.~...._. !~'":i~~---, TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE pag. 926 970 848 23 ottobre 1969, n. 27 . . ........ pag. 974 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 9 maggio 1969, n. 17 pag. 862 Ad. Plen., 21 maggio 1969, n. 20 864 Ad. Plen., 10 giugno 1969, n. 21 867 Sez. VI, 18 marzo 1969, n. 348 . 856 COMMISSIONI TRIBUTARIE COMMISS:IONE CENTRALE S'ez. Un., 2 dicembre 1968, n. 99776 . . . . . . . . . . . . pag. 947 COMMISSIONE PROVINCIALE Novara, 22 novembre 1967 ............. pag. 940 GIURISDIZIONI PENALI CORTE DI CASSAZIONE Sez. IV, 22 maggio 1968 pag. 976 Sez. VI, 16 ottobre 1969, n. 1313 980 Sez. II, 20 ottobre 1969, n. 1215 981 TRIBUNALE PENALE L'Aquila, 20 gennaio 1969 pag. 983 L'Aquila, 5 febbraio 1969 990 SOMMARIO DELLA PARTE SECONDA RASSEGNA DI DOTTRINA HoHFELD W. N., Concetti giuridici fondamentali, Einaudi, Torino, 1969 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 171 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Leggi e decreti (segnalazioni) . . pag. 173 NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE -Norme delle quali � stato promosso giudizio di legittimit� costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . 173 INDICE DELLE CONSULTAZIONI (secondo l'ordine di materia) Appalto pag. 185 Imposta di bollo pag. 188 Assicurazione 185 Imposta di registro . 188 Contributi 185 Imposta di successione 188 Cooperative 185 Imposte e tasse 188 Costituzione 186 Impiego pubblico 189 Donazione 186 Imposte varie 190 Edilizia economica e Occupazione 190 popolare . 186 Previdenza ed assi- Espropriazione per p.u. 187 stenza 190 Farmacie 187 Regioni 190 NOTIZIARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 191 ! ! �. , IF&r�f.Ifl�t�ill�ilifilftfilltrf&fffilfft.filFBf:lftr�&rrnr11&r&&&mmmflili1fff�iJ111ra-awMrtfm GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE ' CORTE COSTITUZIONALE, 26 giugno 1969, n. 104 -Pres. Branca - ReZ. Roechetti -Leoni ed altri (n.c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. dello Stato Foligno). Costituzione della Repubblica -Decreti legislativi emanati prima della entrata in funzione del primo Parlamento repubblicano -Mancanza di delega -Ritardo di conversione -Illegittimit� costituzionale -Esclusione. (Cost., artt. 76, 77, XV disp. trans.; d.1.1. 25 giugno 1944, n. 151; d.I. 11 febbraio 1948, n. 50). Sicurezza pubblica -Alloggio per mercede a stranieri ed apolidi Obbligo di denuncia all'autorit� di P. S. -Violazione del diritto alla inviolabilit� di domicilio e del principio di eguaglianza fra cittadini e stranieri -Illegittimit� costituzionale -Esclusione. (Cost., artt. 14, 3, 2, 10; d.l. 11 febbraio 1948, n. 50, art. 1 e 2). Anteriormente ait'entrata in funzione del primo Parlamento repubblicano, il potere legislativo era legittimamente esercitato dal Governo, non in virt� di delega del Parlamento, ma in base ai poteri conferitigli dal d.U. 25 giugno 1944, n. 151, convertito in le�gge dalla XV disposizione transitaria della Costituzione; per la successiva ratifica dei decreti cosi emanati dal Governo era: sufficiente la loro presentazione al Parlamento entro il termine del 9 maggio 1949, non anche la loro ratifica entro tale data (1). Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale del d.l. 11 febbraio 1948, n. 50 che fa obbligo � chiunque dia alloggio per mercede a stranieri ad apolidi di farne denuncia all'autorit� di P.S., n� (1-2) La questione era stata proposta con varie ordinanze emesse da giudici di merito. Sulla prima massima, l'insegnamento della Corte � consolidato; cfr. le precedenti sentenze 7 luglio 1962, n. 85, Giur. Cost., 1962, 917, e nota di GROSSI, In tema di legislazione delegata di decreti legislativi posteriori ai 25 giugno 1944; ord. 29 marzo 1961, n. 14, Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, 1143, con nota di DE FRANCO, Sui poteri legislativi conferiti al Gover 784 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO con riferimento alla inviolabilit� di domicilio, n� con riferimento al principio di eguaglianza ed alle norme di diritto internazionale relative alla tutela dei diritti dell'uomo (2). (Omissis). -2. -Pregiudiziale si presenta l'esame delle censure contenute nelle ordinanze dei pretori di Bolzano e di Chiusa, perch� esse investono l'intero d.l. 11 febbraio 1948, n. 50, che si assume emanate in violazione dei principi di cui agli artt. 76 e 77 della Costituzione. Tale decreto risale ad epoca anteriore alla ricostituzione delle Assemblee parlamentari e fu emesso in forza delle disposizioni del d.1.1. 25 giugno 1944, n. 151, che conferi al Governo la facolt� di emanare norme giuridiche, nonch� in forza di quelle del successivo d.1.1. 16 marzo 1946, n. 48, che prescrisse, per tutti i provvedimenti legislativi in tal modo emanati, l'obbligo della loro sottoposizione a ratifica del nuovo Parlamento, entro un anno dalla sua entrata in funzione. Ora, secondo i pretori di Bolzano e di Chiusa, il d.1. n. 50 del 1948 sarebbe da ritenersi costituzionalmente illegittimo, sia perch� mancherebbe per esso una legge di delegazione, stante che la delega al Governo fu conferita non con legge, ma con decreto legislativo; e sia perch� la ratifica cui il decreto doveva essere, per la gi� richiamata norma speciale, sottoposto entro un anno, sarebbe intervei;mta fuori del termine anzidetto, a mezzo della legge 22 aprile 1953, n. {~42. Entrambe le questioni sono infondate. Quanto alla prima, � da rilevare che questa Corte ha gi� ritenuto pi� volte (sentenze 46 del 1960, 85 del 1962, 27 e 95 del 1964) che la facolt� di emanare provvedimenti aventi forza di legge, concessa al Governo a mezzo dei due d.1.1. 151 del 1944 e 98 del 1946 sull'ordinamento provvisorio dello Stato, non pu� inquadrarsi nei principi della delega legislativa, dovendo essere considerata come attribuzione allo stesso Governo del potere di legiferare in sostituzione degli organi legislativi mancanti, e salvo ratifica da parte di essi dopo la loro intervenuta ricostituzione. Alla struttura di questo sistema straordinario e provvisorio, come ai provvedimenti in forza di esso emanati, sono da ritenersi estranee, e perci� inapplicabili, le norme degli artt. 76 e 77 della Costituzione. Questa, per altro, avendo, nella disposizione XV transitoria, disposto la conversione in legge del d.1.1. 25 giugno 1944, n. 151, sull'ordina no, ecc...; ord. 23 marzo 1964, n. 27 e 26 novembre 1964, n. 95, in Giur. Cast., 1964, rispettivamente, 233 e 1030. Sulla se,conda massima, per la configurazione del reato anche per assunzioni saltuarie dello straniero al lavoro, Cass., 26 gennaio 1968, rie. Dogliotti, Mass. Cass. pen., 1968, 509. In dottrina, PACE, Sull'onere dei clienti di dare le proprie generalitd all'albergatore, ecc., Giur. Cast., 1966, 1890. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 785 mento provvisorio dello Stato, ha reso con ci� impossibile ogni riferimento a disposizioni diverse da quelle di cui al detto decreto per quanto attiene al riscontro della validit� dei provvedimenti in base allo stesso emanati. Anche l'altra censura sul preteso superamento dei termini stabiliti per la rati.fica � poi da ritenersi priva di fondamento, giacch� nulla rileva che tale ratifica � intervenuta soltanto con la legge n. 342 del 1953, dal momento che la sottoposizione a ratifica da parte del Governo venne effettuata nei termini dell'anno dalla entrata in funzione del nuovo Parlamento, cos� come disposto dall'art. 6 del d.1.1. n. 98 del 1946, il cui precetto aveva come destinatario il primo e non il secondo dei detti due poteri dello Stato (sentenze 46 del 1960, 27 e 95 del 1964). La richiesta di ratifica da parte del Governo avvenne infatti alla Camera dei Deputati il 4 maggio del 1949, e quindi prima che scadesse l'anno dalla entrata in funzione del nuovo Parlamento, la cui seduta inaugurale aveva avuto luogo il 9 maggio 1948. Ed � appena il caso di rilevare, giacch� la formula del citato art. 6 ( � i provvedimenti... devono essere sottoposti a ratifica �) non ammette equivoci, che nell'anno doveva avvenire la sottoposizi�me a ratifica, e cio� la presentazione per la ratifica, e non gi� la ratifica stessa, per provvedere alla quale il Parlamento non aveva avuto assegnato alcun termine. 3. -Passando all'esame delle censure che attengono al merito della causa, si rileva innanzi tutto la infondatezza di quella dedotta dal tribunale di Rovereto relativamente all'art. 2 del d.l. n. 50 del 1948 che, si sostiene, con l'imporre la denuncia alla autorit� di P .S. della ospitalit� concessa nella propria abitazione a stranieri o apolidi, anche se parenti, violerebbe l'art. 14, primo comma, della Costituzione, il quale proclama che il domicilio � inviolabile. Ora la tutela garantita dall'art. 14, come � chiaramente rivelato dai tipi di immissione consentiti alla pubblica autorit� con le forme e� nei casi nei due commi successivi dello stesso art. 14 (ispezioni, perquisizioni, sequestri ed accertamenti), non copre la sfera di quegli obblighi personali di informazione e comunicazione che la legge pu� imporre al cittadino, anche se connessi all'uso che egli fa del luogo da lui adibito a suo domicilio. � pertanto da escludersi che sia violato, nel caso, il diritto di libert� garantito dall'art. 14 della Costituzione. 4. -Lo stesso tribunale di Rovereto, e successivamente il pretore di San Don� di Piave, hanno poi dedotto la illegittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 del d.l. n. 50 del 1948 con riferimento all'art. 3 della Costituzione ed in relazione agli artt. 2 e 10 della stessa. A loro dire, le norme del decreto legislativo in esame avrebbero irrazionalmente riservato un trattamento differenziato a due situazioni 786 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO da ritenersi equivalenti, com'� quella di colui che alloggia od ospita un cittadino, di fronte a quella di colui che alloggia od ospita uno straniero od un apolide. Presupposto di tale ritenuta eguaglianza, delle due situazioni � ovviamente la eguaglianza parimenti ritenuta nel~e ordinanze di rimessione, fra il cittadino e lo straniero nella tutela dei diritti inviolabili dell'uomo (art. 2 Cost.) e nei diritti allo straniero riconosciuti dalla legge in conformit� delle norme e dei trattati internazionali nell'ordinamento giuridico italiano che si conforma alle norme del diritto internazionale generalmnete riconosciute (art. 10, secondo e primo comma della Costituzione). La Corte ha accolto, nella sentenza 120 del 1962, il punto di vista che il principio di eguaglianza, pur essendo nell'art. 3 della Costituzione riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri allorch� si tratti della tutela dei diritti inviolabil dell'uomo, garantiti allo straniero anche in conformit� dell'ordinamento internazionale. E da tale affermazione ,relativa alla parificazione dello straniero al cittadino, la Corte non ha motivo di discostarsi, essendo ovvio che, per quanto attiene ai diritti� inviolabili della personalit�, che rappres�ntano un minus rispetto alla somma dei diritti di libert� riconosciuti al cttadino, la ttolarit� di quei diritti, comune al cittadino e allo straniero nell'ambito di quella sfera, non pu� non importare, entro la stessa, una loro posizione �di eguaglianza. Ma la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo della titolarit� dei diritti di libert� non esclude affatto che, nelle situazioni concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze di fatto che il legislatore pu� apprezzare e regolare nella sua discrezionalit�, la quale non trova altro limite se� non nella razionalit� del suo apprezzamento. Ora, nel caso, non pu� escludersi che, tra cittadino e straniero, bench� uguali nella titolarit� di certi diritti di libert�, esistano differenze di fatto che possano giustificare un loro diverso trattamento nel godimento di quegli stessi diritti. Il cittadino ha nel territorio un suo domicilio stabile, noto e dichiarato, che lo straniero ordinariamente non ha; il cittadino ha diritto di risiedere ovunque nel territorio della Repubblica ed, ovviamente, senza limiti di tempo, mentre lo straniero pu� recarsi a vivere nel territorio del nostro, come di altri Stati, solo con determinate autorizzazioni e per un periodo di tempo che � in genere limitato, salvo che egli non ottenga il cosiddetto diritto di stabilimento o di incolato che gli assicuri un soggiorno di durata prolungata o indeterminata; infine il cittadino non pu� essere allontanato per nessun motivo dal territorio dello Stato, mentre lo straniero ne pu� essere espulso, ove si renda indesiderabile, specie per commessi reati. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 787 Questa differenza di situazioni di fatto e di connesse valutazioni giuridiche, la cui elencazione � superfluo continuare, sono rilevabili in ogni ordinamento e si fondano tutte sulla basilare differenza esistente tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanza che, mentre il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo. Ne deriva che ogni indagine diretta ad accertare ove egli si trovi nel territorio dello Stato, sia che si consegua con l'obbligo a lui imposto di denunciare ogni suo spostamento da Comune a Comune (art. 142, t.u. legge di P.S.) o con l'obbligo concorrente, ed eventualmente sostitutivo, imposto a chi lo alloggia o lo ospita di segnalare la sua presenza (artt. 1 e 2 d.1. n. 50 del 1948) � legittima, perch� fondata sulla necessit� razionale di poter raggiungere lo straniero ovunque si trovi; e ci� non solo allo scopo di sottoporlo a controllo, ma anche di assicurargli quelle forme di assistenza che gli sono dovute, partecipandogli, ad esempio, informazioni e notizie urgenti con le quali le sue autorit� consolari intendano raggiungerlo. Per tutte queste ragioni devono essere ritenute infondate anche le censure attinenti a pretese violazioni dei principi relativi alla eguaglianza di cui agli artt. 3, 2 e 10 della Costituzione. 5. -Ma il discorso su questo punto non pu� ritenersi concluso perch�, a sostegno della tesi della violazione di quei principi, il tribunale di Rovereto e il pretore di San Don� di Piave hanno dedotto, come norme di riferimento, egualmente volte alla loro tutela, anche le disposizioni degli artt. 8, 14 e 16 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, stipulata il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con la legge 4 agosto i955, n. 848. Tale convenzione dispone all'art. 8 il diritto al rispetto della vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza e afferma, all'art. 14, che il godimento di tali diritti, come di ogni altro contemplato nell'intero testo della convenzione, deve .essere assicurato a tutti senza distinzione alcuna, salvo (art. 16) le limitazioni all'attivit� politica degli stranieri. Il pretore di San Don� di Piave si pone per altro il quesito della forza di resistenza attribuibile a tale norma della convenzione sul piano del nostro diritto pubblico interno, nel quale quelle norme potrebbero inserirsi per il tramite degli artt. 2 e 10 della Costituzione. La Corte, che nella sentenza n. 32 del 1960 ebbe a ritenere che la disposizione dell'art. 10 si riferisce alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e non ai singoli impegni assunti nel campo internazionale dallo Stato, nel riportarsi a tale suo avviso, non ritiene necessario, ai fini della risoluzione dei problemi formanti oggetto di questo giudizio, ogni ulteriore indagine sull'argomento. E ci� perch�, anche se le citate norme della Convenzione Europea�dei diritti dell'uomo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 788 avessero quella forza di resistenza che il pretore di San Dona di Piave mostra di ritenere, la soluzione del caso non cambierebbe, non essendo dubitabile che, anche in presenza dei diritti garantiti dai richiamati articoli di detta Convenzione, abbiano rilevanza le differenze di fatto esistenti fra soggetti tutelati, con le conseguenze di cui si � innanzi discusso. Inoltre, il secondo comma dell'art. 8 della Convenzione, che ha, nei confronti delle correlative norme della Costituzione, qualche sfumatura di migliore precisazione della tutela della riservatezza, non esclude che possa nella vita privata e familiare, nel domicilio e nella corrispondenza, aversi ingerenza della pubblica autorit�, � nei limiti in cui tale ingerenza � prevista dalla legge e costituisce una misura che, in una societ� democratica, � necessaria per la sicurezza nazionale, la sicurezza pubblica, il benessere economico del paese, la difesa dell'ordine e la prevenzione delle infrazioni penali, la protezione della salute e della morale, la protezione dei diritti e delle libert� altrui �. Tenuto conto di ci�, deve affermarsi che le norme dei due articoli di cui si compon~ il d.l. n. 50 del 1948, e che tendono ad accertare soltanto la notizia del luogo ove lo straniero si trovi nel nostro Paese e cio� ad averne in ogni momento il recapito, non possono violare il disposto dell'art. 8 della Convenzione, perch� l'ingerenza della nostra autorit�, cui dalla legge � consentito di procurarsi quelle notizie, non pu� non trovare giustificazione in una o pi� delle molteplici ragioni contemplate da quell'articolo e ritenute valide a giustificare quella ingerenza. Anche quest'ultima censura di cui alle richiamate ordinanze deve pertanto dichiararsi infondata. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 26 giugno 1969, n. 105 -Pres. Branca - Rel. Reale -Callegher (n.c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). Lavoro -Disciplina dei contratti collettivi -Identificazione delle ca tegorie professionali interessate -Illegittimit� costituzionale della normativa -Esclusione. (Cast., art. 39; e.e. art. 2070, commi primo e secondo). Non �' in contrasto con il principio dell'autonomia sindacale sancito dall'art. 39 della CosiJituzione la disposizione dei primi due commi dell'art. 2070 e.e., che dettano norme generali per l'individuazione delle PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 789 categorie professionali nei cui confronti devono applicarsi i contratti coUettivi di lavoro (1). (Omissis). -4. -Come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 70 dell'8 maggio 1963, nell'ordinamento attuale, che garantisce la libert� e l'autonomia sindacale, le categorie professionali hanno rilevanza giuridica non gi� in base ad astratti concetti di classificazione delle attivit� produttive o come qualificazioni settoriali dei lavoratori autoritativamente prestabilite secondo il sistema corporativo, ma in quanto costituiscono entit� economico-sociali risultanti dalla spontanea organizzazione sindacale e dalla autonomia collettiva. A questo nuovo significato delle dette categorie, rispondente al principio costituzionale della libert� sindacale, ha sicuro riferimento la ricordata legge del 14 luglio 1959, n. 741, e non � dubbio che la nozione di categoria, cosi intesa, costituisce, come criterio per determinare la sfera di applicazione del contratto collettivo, una componente normativa del sistema, dalla quale non si possa prescindere. Con i principi sopra enunciati non risulta incompatibile l'art. 2070 del codice civile. L'applicabilit� dei contratti collettivi dichiarati obbligatori erga omnes, secondo lo spirito e le finalit� della legge sopra menzionata, importa che di tali contratti (come questa Corte ha affermato con le sentenze nn. 106, del 1962 e 70 del 1963) si � inteso sostanzialmente estendere la efficacia a quanti, imprese e lavoratori, in difetto di iscrizione alle rispettive organizzazioni sindacali e pur rientrando per l'attivit� espletata nella medesima categoria professionale indicata dal contratto collettivo, non avrebbero potuto invocarne l'attuazione in base alle norme di diritto comune. E, come ha osservato l'Avvocatura, con la estensione dell'efficacia del contratto collettivo ad opera della legge predetta, la delimitazione dei destinatari del contratto collettivo, che in origine ha costituito libera espressione della volont� sindacale, acquista vigore di determinazione legislativa anche circa la categoria professionale, alla quale le norme del contratto sono obbligatoriamente applicabili. Nell'ambito dei summenzionati principi, certamente non contrastanti, per le suddette ragioni,. con la libert� sindacale garantita dalla Costituzione, le disposizioni impugnate dell'art. 2070 rimangono dirette (1) La questione era stata proposta con due ordinanze del 20 novembre 1967 del Pretore di Napoli (Gazzetta Ufficiale 30 marzo 1968, n. 84). Sostanzialmente conforme al principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza in rassegna � la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. da ul:timo, sent. 26 febbraio 1969, n. 630, Giust. civ., 1969, I, 1505 e nota di richiami). 790 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO a dirimere gli eventuali conflitti tra difformi normative collettive, di cui sia invocata l'applicazione ad un rapporto individuale di lavoro. Non � da escludere, ovviamente, che il futuro legislatore, in attuazione dell'art. 39, ultimo comma, della Costituzione, possa provvedere a dirimere tali conflitti anche secondo criteri diversi. Ma, allo stato, le disposizioni di cui sopra adempiono ad una funzione necessaria e non appaiono prive di razionalit�. N� manca di rilievo la circostanza che le disposizioni stesse furono tenute presenti nel corso della elaborazione della ricordata legge n. 741 del 1959. � posta, anzitutto, nel primo comma, la regola che �l'appartenenza alla categoria professionale ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l'attivit� effettivamente esercitata dall'imprenditore ., e che, cio�, nell'effettiva . qualificazione economica dell'impresa deve essere ricercato il criterio per determinare il contratto �' collettivo applicabile. Il secondo comma, nel caso che l'imprenditore eserciti distinte attivit� aventi carattere autonomo, dichiara applicabili � ai rispettivi rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi .corrispondenti alle singole attivit� �. E consente implicitamente all'interprete di adottare diversa soluzione quando si tratti di attivit� connesse dirette al raggiungimento di una stessa finalit� produttiva. In una visione completa dei problemi attinenti all'applicazione dei contratti collettivi non va poi trascurata (ancorch� non sia oggetto espresso della questione proposta) la disposizione del terzo comma dell'art. 2070. In essa � stabilito che quando il datore di lavoro esercita non professionalmente una attivit� organizzata, sono applicabili al rapporto le norme collegate alla effettiva natura dell'attivit� espletata: ipotesi il cui accertamento nella specie �, ovviamente, demandato al giudice di merito. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 26 giugno 1969, n. 107 -Pres. Branca Rei. Capalozza -Pastorini ed altri (n.c.). Esecuzione fiscale -Opposizione agli atti esattoriali -Limitazione per i beni della moglie non costituiti in dote prima della dichiara zione annuale o dell'avviso di accertamento -Illegittimit� costi tuzionale -Esclusione. (Cost., artt. 3, 24, 29, 30, 42; d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 207, lett. b). Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 207 lett. b del t.u. sulle imposte dirette, che limita L'opposizione della PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 789 categorie professionali nei cui confronti devono applicursi i contratti collettivi di lavoro (1). (Omissis). -4. -Come questa Corte ha ritenuto con la sentenza n. 70 dell'8 maggio 1963, nell'ordinamento attuale, che garantisce la libert� e l'autonomia sindacale, le categorie professionali hanno rilevanza giuridica non gi� in base ad astratti concetti di classificazione delle attivit� produttive o come quali.ficazioni settoriali dei lavoratori autoritativamente prestabilite secondo il sistema corporativo, ma in quanto costituiscono entit� economico-sociali risultanti dalla spontanea organizzazione sindacale e dalla autonomia collettiva. A. questo nuovo significato delle dette categorie, rispondente al principio costit.zionale della libert� sindacale, ha sicuro riferimento la ricordata legge del 14 luglio 1959, n. 741, e non � dubbio che la nozione di categoria, cosi intesa, costituisce, come criterio per determinare la sfera di applicazione del contratto collettivo, una componente normativa del sistema, dalla quale non si possa prescindere. Con i principi sopra enunciati non risulta incompatibile l'art. 2070 del codice civile. L'applicabilit� dei contratti collettivi dichiarati obbligatori erga omnes, secondo lo spirito e le finalit� della legge sopra menzionata, importa che di tali contratti (come questa Corte ha affermato con le sentenze nn. 106� del 1962 e 70 del 1963) si � inteso sostanzialmente estendere la efficacia a quanti, imprese e lavoratori, in difetto di iscrizione alle rispettive organizzazioni sindacali e pur rientrando per l'attivit� espletata nella medesima categoria professionale indicata dal contratto collettivo, non avrebbero potuto invocarne l'attuazione in base alle norme di diritto comune. E, come ha osservato l'Avvocatura, con la estensione dell'efficacia del contratto collettivo ad opera della legge predetta, la delimitazione dei destinatari del contratto collettivo, che in origine ha costituito libera espressione della volont� sindacale, acquista vigore di determinazione legislativa anche circa la categoria professionale, alla quale le norme del contratto sono obbligatoriamente applicabili. Nell'ambito dei summenzionati principi, certamente non contrastanti, per le suddette ragioni,. con la libert� sindacale garantita dalla Costituzione, le disposizioni impugnate dell'art. 2070 rimangono dirette (1) La questione era stata proposta con due ordinanze del 20 novembre 1967 del Pretore di Napoli (Gazzetta Ufficiale 30 marzo 1968, n. 84). Sostanzialmente conforme al principio espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza in rassegna � la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. da ultimo, sent. 26 febbraio 1969, n. 630, Giust. civ., 1969, I, 1505 e nota di richiami). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 792 c) Quanto all'art. 29, primo comma. L'unit� familiare non si consolida con la dote e ci� anche a tacere che il e.e. (art. 202) disciplina l'istituto della ,separazione della dote, cui la mogli~ pu� ricorrere tra le altre ipotesi -quando sia in pericolo di perderla ovvero quando il disordine degli affari del marito lasci temere che i frutti della dote siano distratti dalla loro destinazione. d) Quanto all'art. 30, primo comma. Non � invocabile il dovere e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, attenendo quelli ad una sfera ben diversa e pi� alta, il cui rispetto non pu� essere collegato all'intangibilit� dei mobili dotali. e) Quanto all'art. 42, secondo comma. La norma costituzionale, nel riconoscere e garantire la propriet� ,privata, attribuisce alla legge ordinaria la determinazione dei modi (di acquisto e) di godimento di essa e dei suoi limiti: ed il codice civile, pi� volte, ai fini della tutela dei diritti di credito, conferisce rilevanza alla localizzazione della cosa mobile, anche in pregiudizio dei diritti dei terzi su di essa (artt. 2756, 2760, 2761, 2764 e.e.). Gi� con sentenza n. 4 del 1960, questa Corte ha negato che l'assoggettabilit� di beni (mobili) ad esecuzione forzata annulli la tutela del diritto di propriet�, non escludendo l'art. 42, secondo comma, � che tale difesa, in certe situazioni, sia subordinata a condizioni o a presupposti o ad un particolare comportamento dello stesso proprietario �. ( Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 115 -Pres. Branca -Rel. De Marco -Soc. Casauria (avv. Jemolo, Passeri), Enel (avv. Nigro) e Presidente del Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Tracanna). Energia elettrica -Enel -Criteri di determinazione dell'indennizzo alle imprese espropriate -Illegittimit;� costituzionale -Esclusione. (Cost. art. 3, 42; I. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 5, n. 2; p. P. R. 25 febbraio 1963, n. 138, art. 2). Non � fondata, con riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, la q,uestione di legittimit� costituzionale delle norme delle leggi istitutive dell'Enel re,lative alla liquidazione alle imprese espropriate non quotate in borsa e tenute alla formazione' dei bilanci (1). (1) La questione era stata proposta con ordinanza 14 aprile 1967 del Tribunale di Roma (Gazzetta Ufficiale 2 settembre 1967, n. 221). In dottrina, cfr. D'AMELIO, Giurisprudenza e dottrina sull'Enel, Riv. trim. dir. pubb., 1968 678; CARNACINI, Un'altra delle tante leggi mal formulate, Riv. trim. dir. civile, 1968, 684. (Omissis). -3. -Ricondotta cosi la questione nei suoi termini giuridici, resta da accertare se la normativa, contenuta nell'art. 5 della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e nell'art. 2 d.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138, violi il principio di eguaglianza (art. 3, comma primo, della Costituzione) e quello di indennizzo (art. 42, comma terzo, della Costituzione), avvertendo che, pur essendo stato denunziato con l'ordinanza di rinvio il solo n. 2 dell'art. 5 della legge n. 1643 del 1962, � tutto il sistema della leggl che, in sostanza, viene messo in discussione e che, in conseguenza, tale sistema va esaminato nel suo insieme, al quale fine appare opportuno iniziare resame dal profilo della violazione del principio di eguaglianza, in quanto tale profilo, come si vedr�, finisce con l'assorbire quello della. violazione del prin cipio di indennizzo, anzi, addirittura ad identificarsi con esso. 4. -Il sistema adottato dal legislatore, con l'art. 5 della legge n. 1643 del 1962, per determinare l'indennizzo da corrispondere dall'Enel agli aventi diritto, nelle sue linee generali � il seguente: a) Per le imprese assoggettate a trasferimento, appartenenti a societ� con azioni ammesse alle quotazioni in borsa, l'indennizzo � determinato in misura pari alla media dei valori del capitale della societ�, quale risulta dai prezzi' di compenso delle azioni nella borsa di Milano, oppure, se ivi non sono quotati, nella borsa pi� vicina alla sede della societ� emittente, nel periodo dal 1�0 gennaio 1959 al 31 dicembre 1961 (art. 5, n. 1); b) Per le imprese assoggettate a trasferimento, che non abbiano azioni quotate in borsa, ma siano tenute alla formazione del bilancio, ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, l'indennizzo � determinato in misura pari all'importo del capitale netto risultante dai bilanci al 31 dicembre 1960, rettificato in base ai coefficienti dedotti dalle valutazioni dei capitali delle societ� con azioni quotate in borsa (art. 5, n. 2); c) Per le imprese assoggettate a trasferimento, diverse da quelle sub a) e sub b) l'indennizzo � determinato in base al valore di stima (art. 5, n. 4). Questo sistema �, poi, integrato dal d.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138, con il quale si statuisce: a) che la media del valore del capitale delle societ� con azioni quotate in borsa, di cui all'art. 5, n. 1, della legge n. 1643 del 1962, si determina tenendo conto delle rettifiche per operazioni di aumento di capitale a pagamento e di rimborso di capitale od altre operazioni che possano avere avuto incidenza sul valore del capitale stesso, intervenute nel periodo 1� gennaio 1959-31 dicembre 1961 (art. 1); b) che, per le imprese assoggettate a trasferimento di cui all'art. 5, n. 2, della legge n. 1643 del 1962 il coefficiente di rettificazione del capitale netto ai sensi di detto art. 5, n. 2, risulta dal rapporto tra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 794 la somma dei valori dei capitali delle imprese determinati come sub a) e la somma dei capitali netti delle imprese stesse quali si rilevano dai bilanci al 31 dicembre 1961, redatti in conformit� con la legge 4 marzo 1958, n. 191 (art. 2); e) che per le imprese ed i beni non contemplati sub a) e sub b) l'indennizzo � liquidato in relazione al valore di stima determinato dagli uffici tecnici erariali, competenti per territorio, che debbono tener conto dei valori desumibili dalle scritture contabili al 31 dicembre 1960, regolarmente tenute, n conformit� con le vigenti disposizioni legislative nonch� dei criteri adottati per le imprese di cui al n. 2 dell'art. 5 della legge n. 1643 del 1962 e che, in mancanza di scritture contabili si tiene conto di ogni altro elemento di valutazione (art. 3). Dall'insieme delle riportate norme si pu� ben ritenere che risuti, con sufficiente certezza, come il legislatore, distinti, con criteri obiettivi, che non lasciano alcun margine di dubbio, in quanto ne riflettono le caratteristiche giuridche ed organiche, in tre categore i soggetti aventi diritto ad indennizzo, abbia avuto cura di adottare un criterio di liquidazione di tale indennizzo che, sia pure con opportuni adattamenti, assicurasse, nei limiti del possibile, un trattamento uniforme alle tre suddette categorie di soggetti. Poich� di queste categorie, due, che sono poi le pi� importanti e numerose, hanno l'obbligo di redigere il bilancio annuale, bilancio in base al quale, si noti bene, sono effettuati gli accertamenti fiscali, e la terza ha, quanto meno, l'obbligo di regolare ten�ta dei libri e deUe relative scritture contabili, appare evidente come il criterio, che, prima facie, si presentava quale il pi� adatto e razionale, fosse proprio quello di porre a base, per la determinazione degli indennizzi, appunto le risul tanze dei bilanci e, comunque, delle scritture contabili. D'altra �parte, poich� � innegabile la differenza giuridica ed econo mica tra societ� con azioni quotate in borsa, societ� con azioni non quotate in b0orsa ed altri soggetti diversi dai precedenti e, comunque, non aventi obbligo di redigere il bilancio, per meglio assicurare la uni formit� di trattamento tra le suddette categorie di aventi �diritto all'in dennizzo si � adottato quel coefficiente di rettificazione di cui all'art. 2 d.P.R. n. 138 dei' 1963, applicabile ai sensi dell'art. 3 dello stesso d.l. anche ai soggetti per i quali 1a determinazione dell'indennizw � effettuata attraverso Stima da parte dell'ufficfo tecnico erariale. Che, in astratto, il sistema adottato dal legislatore risulti idoneo ad assicurare uniformit� .di criterio di liquidazione dell'indennizzo e, in conseguenza, parit� d trattamento per tutti i soggetti che vi abbiano diritto, a qualunque delle tre categorie sopra distinte essi appartengano, non pu� seriamente e�ssere contestato. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 795 Non �, al riguardo, fuor di luogo rilevare che, in sostanza, quel sistema non � nuovo nella nostra legislazione in quanto risulta gi� adottato dall'art. 2437 e.e. del 1942, che, disciplinando l'esercizio del diritto di recesso da parte dei soci, contempla le due ipotesi di societ� con azioni quotate in borse e societ� con azioni non quotate, disponendo, per questa seconda ipotesi, che al socio recedente compete il. rimborso delle proprie azioni, in proporzione al patrimonio sciale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio. 1~� si opponga che la regola dell'art. 2437 ha un suo particolal'f fine di compromesso e non � applicabile come regola generale, argomentando l'art. 11 della legge n. 1643 del 1962, che disciplina l'esercizio del diritto di recesso del socio di una societ� assoggettata a tras: Jlerimento, per la quale entro il 30 giugno 1964 l'assemblea straordinaria dei soci abbia deliberato il cambiamento dell'oggetto. Proprio l'art. 11 sopracitato, infatti, conferma la persistente validit� di quella regola, essendo manifestamente diretto ad evitare soltanto la immediata ed integrale esigibilit� di un credito, che per l'avvenuto trasferimento, � condizionato al pagamento dell'indennizzo da parte dell'Enel alla societ� espropriata. D'altra parte, sempre in astratto, ammesso e non concesso che po tesse concepirsi, nonostante il coefficiente di rettificazione di cui sopra si � detto, una disparit� di trattamento tra le tre diverse categorie di aventi diritto all'indennizzo, non � concepibile -e l'ordinanza di rin vio non lo spiega -che tale disparit� possa verificarsi tra grandi e piccole imprese, appartenenti alla stessa categoria, per le quali assolu tamente identici sono i criteri di liqiudazione; in tal �aso infatti -e ci� va detto con particolare riguardo alle imprese di cui all'art. 5, n. 2, della legge del 1962, n. 1643 -propro applicando un unico criterio si attua la parit� giuridica di trattamento, giacch� l'ammontare dell'indennizzo verr� a determinarsi, in concreto, sulla base delle risultanze di ogni singolo bilancio, nel senso che variando queste, varier�, di conseguenza, quello. Pu�, dunque, escludersi che nel sistema sopra descritto ed esaminato possa ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. 5. -Resta, quindi, da accertare se nell'applicazione concreta di quel sistema si possa pervenire alla determinazione di indennizzi .talmente esigui da risultare addirittura irrisori o simbolici; comunque tali da risultare in contrasto con il terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, in forza del quale � La propriet� privata pu� essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale�. Che l'indennizzo debba essere effettivo e non meramente simbolico � chiaro, ma � chiaro altresi, che, specie quando ci si trova di fronte 796 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ad espropriazioni di vasta portata e che riguardano numerosi soggetti, il legislatore debba fare ricorso a criteri di valutazione generali ed obiettivi, dai quali esula, bensi, ogni discrezionalit�, ma che, per la stessa loro natura, non possono condurre alla determinazione di un indennizzo che rispecchi integralmente il valore del bene espropriato (vedi: legge 15 gennaio 1885, n. 2892 sul risanamento della citt� di Napoli; legge 12 maggio 1950, n. 230: Provvedimenti per la colonizzazione dell'Altopiano della Sila e dei territori j onici contermini; legge 18 aprile 1962, n. 167: Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree fabbricabili per l'edilizia economica e popolare, quale risulta modificata dalla legge 21 luglio 1965, n. 904). Il concetto di indennizzo in tali ipotesi, alle quali quella in esame ben pu� essere parificata, � venuto, quindi, a qualificarsi con le espressioni di � congruo �, � equo � e simili, che stanno a significare come non debba essere tale da reintegrare completamente il patrimonio dell'espropriato, al quale, nell'interesse generale, ben pu� essere imposto .n certo sacrificio, ma non rappresenti, d'altra parte, una mera lustra. Chiarito, in tal modo, quale debba essere il concetto di indennizzo conforme al precetto costituzionale, deve escludersi che, nonostante le contrarie e contrastanti opinioni di tecnici della materia, un bilancio, compilato con la esatta osservanza delle norme di legge, non possa consentire una valutazione della consistenza patrimoniale dell'ente, cui si riferisce, che rientri in quei limiti di 'congruit� o di equit�, cui sopra si � accennato. D'altra parte tutti gli enti aventi l'obbligo di bilancio, in base al bilancio stesso sono soggetti all'accertamento del reddito da sottoporre alle imposte dirette. Imputet sibi, quindi, chi avendo compilato un bilancio non veritiero ed avendo, in base a quel bilancio, subito l'accertamento fiscale, si vede, poi, sempre in base a quello stesso documento, da lui proveniente, valutare, eventualmente ad altri fini, il suo patrimonio in misura inferiore a quella da lui ritenuta esattamente rimunerativa. A ci� aggiungasi che nella specie la determinazione dell'indennizzo non � stata effettuata sulla base dei bilanci presentati ai fini fiscali, ma di quelli compilati ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, nei quali le imprese potevano contabilizzare plusvalenze di capitale anche oltre i limiti di quelle ammesse agli effetti fiscali a titoli di riserva per conguaglio monetario (vedi prospetto �Stato patrimoniale al 31 dicembre 19 ... � allegato alla citata legge n. 191). E se � vero che la contabilizzazione di quelle plusvalenze non era obbligatoria � altrettanto vero che essa non era vietata: con il che si vuole dire, in sostanza, che gli effetti derivanti e derivati dalla compilazione dei bilanci osno imputabili, se non favorevoli, esclusivamente alle imprese interessate. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 797 Le considerazioni che precedono circa il concetto di congruo indennizzo bastano anche a dimostrare l'inconsistenza delle critiche mosse al coefficiente di integrazione ed alla sua effettiva capacit� di raggiungere, in misura eguale per tutti, lo scopo voluto dal legislatore. Si tratta, invero, di un coefficiente desunto da una media, come tale insuscettibile di fornire una integrazione completa ma non perci� inidoneo alla funzione perequativa, per la quale � stato istituito. Comunque, in concreto, tale coefficiente � valso a fare aumentare di un terzo l'indennizzo liquidato, in base al suo bilancio, alla Casauria. Anche sotto il profilo del contrasto con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, la sollevata questione risulta, quindi, infondata. ( Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 116 -Pres. Branca -Rel. Trimarchi -Viavattene (n. c.), INAIL (avv. Flamini) e Presidente Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Tracanna). Previdenza ed assistenza sociale -Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali -Prescrizione dell'azione contro l'I.N.A.I.L. -Parziale illegittimit� costituzio nale della normativa. (Cost., art. 38; r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 67, comma primo; I. 19 gennaio 1963, n. 15, art. 16; p. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, comma primo). Sono viziate da illegittimit� co�sti(uzionale, per contrasto con l'articolo 38 della Costituzione, l'art. 67 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, �he stabiliva in un anno -nonch� le analoghe norme dell'art. 16 della legge 19 gennaio 1963, n. 15 e dell'art. 112 del decreto del Presidente della Re.pubblica 30 giugno 19651 n. 1124, che stabiliscono in tre anni -il termine della prescrizione dell'azione contro l'INAIL per la. rendita di inabilit� permanente an�he nel caso che, entro gli stessi termini, tale inabilit� non abbia ridotto l'attitudine al lavoro in misura superiore al minimo indennizzabile (1). (1) La questione era stata sollevata con ordinanza 28 dicembre 1967 del Tribunale di Enna (Gazzetta Ufficiale 30 marzo 1968, n. 84). La giurisprudenza era oscillante sull'applicabilit� del termine di prescrizione triennale introdotto dalla legge del 1963. Cosi, per l'applicabilit� del nuovo termine anche ai rapporti gi� colpiti dalla precedente prescrizione annuale, Cass. 2 ottobre 1968, n. 3061, Mass. Foro it., 1968; in senso contrario, invece, Cass., 12 ottobre 1967, n. 2422, Foro it., 1968, I, 758. In dottrina, cfr. Rossi, Il termine prescrizionale dell'azione, ecc. in Riv. it. prev. sociale, 1968, 763. 3 798 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -3. -L'ipotesi che il tribunale di Enna si � prospettata e nella quale rientrerebbe il caso del Viavattene, � caratterizzata da una denuncia effettuata (il 20 gennaio 1959) tosto che si era avuta (alla fine del 1958 o ai primi del 1959) la manifestazione (in concreto) della malattia professionale, e dall'insorgenza dell'inabilit� permanente di grado indennizzabile (che si sarebbe avuta solo nel dicembre del 1961) ben oltre il termine di prescrizione dell'azione. L'art. 67, comma primo, dettato per tutte le ipotesi di prima liquidazione della rendita e quindi anche per l'ipotesi sopra prospettata, viene sostanzialmente, come osserva il tribunale di Enna, a frustrare il diritto dell'assicurato alla rendita per inabilit� permanente. Nonostante il venir a desistenza dei presupposti di legge, il diritto dell'assicurato si estinguerebbe per prescrizione e l'azione verrebbe ad essere paralizzata dalla proposizione della relativa eccezione da parte dell'Istituto. Messa a raffronto tale normativa con il dettato dell'art. 38, comma secondo, della Costituzione, come ha fatto il giudice a quo, si rende evidente un sicuro contrasto. Il diritto dei lavoratori acch� siano garantiti mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia, certamente assicurato dalle norme vigenti in materia, non lo � pi�, in termini concreti, nell'ipotesi a riferimento. E l'art. 38, comma secondo, in questa ipotesi, pertanto si viene a vanificare. Non pu�, perci�, non riconoscersi la fondatezza della sollevata questione di legittimit� costituzionale, con la conseguenza che debba essere dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 67, comma primo, del decreto n. 1765 del 1935 nella parte in cui � prevista la prescrittibilit� dell'azione per il conseguimento della rendita per inabilit� permanente derivante da malattia professionale nonostante che,� entro il relativo termine, l'inabilit� permanente non abbia raggiunto il grado minimo per l'indennizzabilit�. Dalla dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma in parte qua discende che, verificandosi in concreto un fatto capace di rientrare in quella previsione normativa, il diritto alla rendita pu� essere fatto valere nei modi o termini previsti per la revisione. Di questa ci si pu� servire non solo nel caso di modifica da apportare ad un precedente provvedimento (per lo pi� positivo) emesso. dall'Istituto, ma anche nel caso di costituzione della rendita e cio� di prima liquidazione della stessa, dovendosi considerare come posti sullo stesso piano e l'aggravamento dei postumi (gi� ritenuti indennizabili) ed il raggiungimento del grado minimo indennizzabile e dovendosi, correlativamente, secondo la pi� recente giurisprudenza, considerare sullo stesso piano il titolare effettivo e quello potenziale della rendita. 4. -Le ragioni che inducono a considerare illegittimo costituzionalmente l'art. 67, comma primo, del citato decreto n. 1765 del 1935, ricorrono anche a proposito dell'art. 16, comma primo, della legge 19 PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 799 gennaio 1963, n. 15 (riprodotto nell'art. 112, comma primo, t.u. 30 giugno t965, n. 1124) che ha portato da un anno a tre anni il termine prescrizionale in oggetto. Nonostante che in base a tali disposizioni l'effetto estintivo della prescrizione consegua al mancato esercizio del diritto protratto per un periodo di tempo molto pi� lungo del precedente e quindi si presenti ben pi� difficile a verificarsi l'eventualit� che il minimo sufficiente di inabilit� permanente sia raggiunto al di l� della scadenza del termine prescrizionale, la ricorrente comunanza di ragioni comporta, a sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione di illegittimit� costituzionale. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 117 -Pres. Branca -Rel. Benedetti -Pirastru (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). Sardegna -Provvedimenti per la repressione dell'abigeato e del pa scolo abusivo -Delega al Governo di emanare speciali re.gola menti -Inammissibilit� della questione~ (Cost. art. 25, secondo comma; 1. 2 agosto 1897, n. 382, art. 3, n. 3). � inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell'articolo 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, che demandava al Governo di emanare speciali regolamemti per la repressione dell'abigeato e del pascolo abusivo, in quanto si tratta di norma anteriore alla Costituzione ed il giudizio sulla questione non potrebbe avere alcuna rilevanza sulla validit� e legittimit� degli atti 1�egolamentari che siano stati emanati in ottemperanza a detta delega (1). (Omissis). -1. -Con l'ordinanza in epigrafe viene sollevata, in riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione, la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, portante provvedimenti per la Sardegna, con il quale fu �data facolt� al Governo di provvedere con speciali regolamenti alla repressione dell'abigeato, del pascolo abusivo e dei danneggiamenti alle pri( 1) La .questione era stata proposta con ordinanza 1� febbraio 1968 del Pretore di Sassari (Gazzetta Ufficiale 11 maggio 1968, n. 120). La sentenza 27 giugno 1968, n. 73, ricordata in motivazione, � pubblicata in questa Rassegna, 1968, 696. 800 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vate propriet�, con facolt� di comminare sia la confisca degli animali trovati in contravvenzione, come le pene stabilite dagli artt. 424 e 426 del codice penale �. Secondo il giudice a quo la norma impugnata avrebbe violato il principio della riserva di legge in materia penale per aver lasciato all'esecutivo larghi poteri, sia in ordine alla configurazione dei singoli reati, sia in ordine alla scelta e determinazione delle pene che avrebbero dovuto essere comminate per le trasgressioni delle norme regolamentari emanande. E, in conseguenza di ci�, il Governo, con il regolamento approvato con il r.d. 14 luglio 1898, n. 404, pot� arbitrariamente scegliere, per quanto attiene ai delitti, tra le sanzioni previste dagli artt. 424 e 426 del codice del 1889 e far ricorso, per ipotesi di reati contravvenzionali, alla pena stabilita dall'art. 434 non citato nella legge di autorizzazione. In punto di rilevanza dell'indicata questione il pretore di Sassari osserva che nel giudizio dinanzi ad esso pendente deve stabilirsi se l'imputato debba o meno rispondere della contravvenzione prevista e punita dagli artt. 10 15 del regolamento del 1898, emanato in forza della ripetuta delega, e pertanto l'applicabilit� di dette norme dipende 'dalla legittimit� costituzionale della legge autorizzativa. 2. -La questione sottoposta all'esame della Corte � analoga a quella decisa con sentenza n. 73 del 1968 sicch� i motivi esposti in quella occasione valgono a risolvere puntualmente l'attuale giudizio. ,!\nche nel presente caso sia la legge impugnata, sia il regolamento che da essa ha tratto origine sono stati emanati in epoca anteriC?re all'entrata in vigore della vigente Carta costituzionale, e la questione non verte sul punto se la norma denunciata, in quanto attribuisce all'esecutivo un potere normativo in materia penale, abbia o non violato il sistema di competenze previsto dall'ordinamento costituzionale del tempo, ma se possa o meno considerarsi conforme al precetto della riserva di legge sancito dalla nuova Costituzione. Nei termini indicati, e in relazione allo scopo per il quale figura proposta, la questione � manifestamente irrilevante. Quand'anche la Corte ritenesse che la norma autorizzante contenuta nella legge n. 382 del 1897, avuto riguardo all'ampiezza dei poteri conferiti all'esecutivo, sia in contrasto con l'art. 25, comma secondo, della Costituzione, la dichiarazione d'illegittimit� costituzionale non produrrebbe quegli effetti in considerazione dei quali la questione � stata proposta. Si tratterebbe invero d'illegittimit� sopravvenuta e per conseguenza la pronuncia d'incostituzionalit� non potrebbe avere alcuna incidenza sulla validit� o legittimit� di atti che siano stati emanati -e tale � il caso del regolamento n. 404 del 1898 -nell'esercizio del potere conferito dalla norma autorizzante in epoca anteriore all'entrata in vigore della Costituzione. -(Omissis). PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 801 CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 118 -Pres. Branca -Rel. Fragali -Roma (avv. Leati), Presidente del Consiglio dei Ministri e Amministrazione Finanze dello Stato (sost. avv. gen. dello Stato Coronas). Imposta di regist_rg -Interruzione della prescrizion~ per effetto del ricorso del condebitore solidale -Violazione del principio di egua glianza e del diritto di difesa -Esclusione. (Cost., art. 3, 24, 113; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 141). NO'n � fondata, sia con riferimento al principio di eguaglianza, sia con riferimento al diritto di difesa contro la P. A., la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 141 della legge di registro, in quanto l'effetto interruttivo della prescrizione ivi previsto, analo�go a quello previsto dall'art. 1310 e.e., � conservativo del di�ritto sostanziale cui si riferisce (1). (Omissis). -2. -La norma denunziata, nel punto discusso, corrisponde a quanto prescrive l'art. 1310 e.e., il quale infatti, come fa la legge di registro, estende agli altri condebitori in solido l'effetto di ogni atto interruttivo della prescrizione compiuto da uno solo di essi. In modo che non � sostenibile che, in ordine alla diffusione di quell'effetto, la legge predetta abbia disposto a solo favore dell'amministrazione finanziaria. Ma la disposizione in esame non determina disparit� di trattamento giuridico nemmeno fra gli stessi condebitori dell'imposta, perch�, ammesso che non vi sia mutua rappresentanza fra i soggetti legati da solidariet�, � altresi vero che la pluralit� di rapporti ai quali tale solidariet� d� origine non esclude del tutto che l'attivit� svolta nell'�mbito di uno di essi abbia ad interferire nella sfera degli altri. Gli artt. 1300 e seguenti del codice civile valutano discrezionalmente tale attivit� con riguardo alle singole ipotesi, e per ognuna tengono presente la sostanza degli interessi in giuoco e il collegamento interno che esiste tra i rapporti singoli. A questo collegamento nell'art. 1310 suddetto si d� rilevanza esterna con riguardo all'atto interruttivo, nel presupposto (1) La questione era ,stata sollevata con ordinanza della Corte di Appello di Bologna 14 novembre 1967 (Gazzetta Ufficiale 11 maggio 1968, n. 120). La sentenza 30 aprile 1968, n. 48, richiamata in motivazione, leggesi in questa Rivista, 1968, 859. Come si �rilevava nella nota a commento di detta decisione, il principio della solidariet� sostanziale in materia tributaria, conforme a quello di diritto comune, resta integro, e la sentenza in esame ne fa esplicito riconoscimento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 802 che l'interruzione incide sull'obbligazione solidale nella sua unitariet� e non nello specifico rapporto di cui � parte colui che ha compiuto l'atto. La diffusione dell'effetto interruttivo prevista nell'art. 141 della legge sul registro si fonda su un analogo apprezzamento oggettivo dell'atto compiuto da uno dei condebitori dell'imposta; e non ne risulta pregiudizio sostanziale per gli altri in base ad un doppio ordine di considerazioni. L'atto � conservativo del diritto cui si riferisce, del diritto cio� alla restituzione dell'imposta e all'accertamento negativo delrobbligazione tributaria, e quindi giova a tutti i condebitori dato che, in proporzione dell'interesse di ciascuno, ex art. 1299, la obbligazione incider� in modo definitivo su tutti; il rapporto fondamentale che sta a base della solidariet�, a causa del nesso interno che mantiene fra i rapporti singoli e del quale si � fatta parola, pu� dar fondamento a responsabilit� dell'autore dell'atto e quindi ad esonero dal debito di regresso. 3. -Non ha fondamento nemmeno l'assunto per cui dalla norma sottoposta al controllo di questa Corte derivi una menomazione del diritto di difesa o di quello alla tutela giurisdizionale. Il modo di essere e il modo di operare della prescrizione, del quale l'interruzione � una delle manifestazioni, attiene alla vicenda estintiva del diritto soggettivo, quindi alla sorte di una situazione caratteristicamente materiale, non alla tutela giurisdizionale: la prescrizione infatti, prima che l'azione, estingue il diritto soggettivo (art. 2934, comma primo); fa perdere cio� al diritto soggettivo la sua forza sul terreno della sua sostanza (sentenza 7 giugno 1962, n. 57), non su quello della sua protezione processuale. E questa Corte ha deciso che la garanzia della difesa e della tutela giurisdizionale prende in considerazione i diritti soggettivi nella configurazione e nei .limiti che ad essi derivano dalla legge sostanziale (sentenze 4 giugno 1964, n. 42, 4 dicembre 1964, n. 111 e 8 aprile 1965, n. 30); di modo che quella garanzia trova confini nel contenuto del diritto al quale serve e si modella sui concreti lineamenti che il diritto riceve dall'ordinamento. Se all'atto di un componente del gruppo solidale � conferita una efficacia che si espande nella sfera di tutti gli altri, nessuno di costoro pu� vantare posizioni autonome riguardo alla consistenza, alla misura o alla durata dell'ob�� bligazione, salve le circostanze o le modalit� a ciascuno personali. Nella sentenza del 30 aprile 1968, n. 48, questa Corte ha, � vero, riconosciuto a ogni condebitore solidale il potere di proprie azioni e difese processualmente indipendenti dall'analogo potere spettante agli altri condebitori; ma codesto riconoscimento non legittima diversit� di ripercussioni soggettive di un effetto sostanziale che l'ordinamento invece ha determinato o valutato in modo eguale per tutti i coobbligati, cos� negando o restringendo, come si � detto, prima che la tutela giurisdi PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 803 zionale o la difesa giudiziaria, il diritto che questa tutela o questa difesa dovrebbe assumere a proprio oggetto. L'art. 141 della legge di registro, che per il giudice a quo � sospetto di incostituzionalit�, non nega ai condebitori dell'imposta il potere di far valere il decorso del tempo stabilito per l'estinzione del diritto, ove sia maturato, ma impedisce che questo tempo maturi per ,tutta la durata dell'effetto interruttivo; e ci� vuol dire soltanto che il rapporto d'imposta permane perch� l'obbligazione acquista un nuovo termine di durata. Lo acquista con riguardo alll:\ sua integralit�, quindi rispetto a tutti i rapporti che la contengono. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 119 -Pres. Branca -Rel. Rocchetti -Sottini (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). Procedimento penale -Giudizio per decreto ..; Sentenza di condanna nel giudizio di opposizione -Condanna dell'opponente nelle spese, anche in caso di � reformatio in melius� -Illegittimit� costituzionale -Esclusione. (Cost., art. 3, 24; c.p.c. art. 510, comma secondo, ultima parte). Non � fondata, sia con riferimento al principio di eguaglianza, sia con riferimento al diritto di difesa, la questione di legittimitd costituzionale dell'art. 510, secondo comma, codice di procedura penale, nella parte in cui pone a carico del condannato, opponente a decreto penale, parte delle spese del procedimento, anche se la sentenza contenga disposizioni pi� favorevoli rispetto al decreto penale (1). (Omissis). -Secondo il pretore di Livorno, la norma contenuta -nell'art. 510, comma secondo, ultima parte, del codice di procedura penale sarebbe costituzionalmente illegittima perch� pone a carico dell'opponente a decreto penale le spese del giudizio di opposizione anche quando la sentenza che conclude quel giudizio con la condanna dell'imputato, contenga statuizioni per lui pi� favorevoli di quelle del decreto opposto. In particolare, per quanto attiene al contrasto con l'art. 24 (1) La questione era stata proposta con ordinanza 18 aprile 1968 del Pretore di Livorno (Gazzetta Ufficiale 13 luglio 1968, n. 177). Sui precedenti della Corte in tema di decreto penale cfr. la sentenza 15 dicembre 1967, n. 136, in questa Rassegna, 1967, 942, e nota di richiami. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 804 della Costituzione, la certezza della condanna alle spese determinerebbe � un'ingiustificata compressione del diritto di difesa dell'imputato ., il quale ritenga di opporsi solo parzialmente alle sanzioni comminate nel decreto penale; questa situazione violerebbe altresi il principio costituzionale di eguaglianza, in quanto porrebbe in evidenza la disparit� di trattamento cui, per la norma impugnata, � sottoposto l'opponente, rispetto a quello riservato all'imputato che propone impugnazione il quale, invece, ai sensi dell'art. 213 c.p.p., .� esonerato dal pagamento delle spese nel caso di parziale accoglimento di essa. Tutto il ragionamento del pretore di Livorno si fon.da sulla ritenuta equivalenza tra l'opposizione al decreto e le impugnazioni in genere � stante la eadem legis ratio ., secondo si legge nell'ordinanza. Per giungere a quelle conclusioni, il giudice a quo si ispira evidentemente a una delle teoriche espresse dalla dottrina sulla natura giuridica dell'opposizione a decreto penale, che si discute se sia mezzo d'impugnazione o di gravame, o sia mezzo volto soltanto alla ricusazione di un giudizio sommario. La Corte considera invece irrilevante, ai fini della risoluzione della questione di legittimit� proposta dal pretore di Livorno, ogni indagine volta ad accertare la natura giuridica dell'opposizione a decreto penale, ritenendo del tutto sufficiente (per concludere in merito ad essa) l'esame delle disposizioni del codice di procedura penale relative alla struttura del giudizio di opposizione. Risulta dagli artt. ,509 e 510 del codice di procedura penale che l'opposizione, seguita dalla comparizione dell'imputato, produce la � revoca � del decreto. Dal che risulta altresi, secondo la Corte ebbe gi� a rilevare nelle sentenze n. 170 del 1963 e 27 del 1966, che il giudizio che segue all'opposizione � giudizio che si svolge in primo grado di giurisdizione. E sembra ovvio alla Corte che, se il giudizio di opposizione, revocato che sia il decreto, si svolge in primo grado, debbano ad esso applicarsi tutte le regole proprie di quel grado, compresa quella sulla condanna nelle spese che, per l'art. 488, comma primo, del codice di procedura penale, consegue in ogni caso alla condanna dell'imputato. Perci� la sentenza in giudizio di opposizione a decreto penale, anche se contiene statuizioni pi� favorevoli di qu�lle del decreto revocato, ma al quale ogni riferimento, stante l'avvenuta revoca, non pu� aver pi� luogo, purch� non termini con la totale assoluzione dell'imputato, � sentenza di condanna che, ai sensi del gi� citato art. 488, primo comma, importa appunto la condanna alle spese. Queste considerazioni risolvono entrambe le questioni proposte nell'ordinanza, senza che occorra aggiungere altro, almeno per quanto riguarda il secondo motivo, che solleva l'eccezione di incostituzionalit�, con riferimento all'art. 3 della Costituzione, bastando per esso osser PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 805 vare che il giudizio sulla situazione di equivalenza circa le norme sulle spese, va effettuato raffrontando l'art. 510, comma secondo, ultima parte, con l'art. 488, comma primo, e non gi�, come nell'ordinanza, con l'art. 213, comma primo, del codice di procedura penai~. Quanto all'altra questione, sollevata con riferimento all'art. 24, comma secondo, della Costituzione, alla considerazione, gi� di per s� rilevante, attinente al grado del giudizio, pu� aggiungersi che la previsione della condanna nelle spese non pu� per l'opponente rappresentare una forma di coercizione che renda per lui oltremodo gravoso l'esercizio di quel diritto. Egli sa che, come penalmente responsabile, una condanna nelle spese� dovr� pur sopportare, perch� essa consegue naturalmente alla condanna cui d� luogo il suo illecito comportamento. E se � vero che la legge (arg. art. 510, comma secondo, ultima parte, c.p.p.) addossa a lui, oltre a quelle del giudizio di opposizione, anche (in parte) le spese del decreto revocato, eliminata la tassa di decreto non pi� percepibile a causa della revoca .di esso; � altresi vero che nel complesso trattasi di oneri la cui modestia non pu� incidere sulle decisioni che egli intenda assumere in merito alla sua difesa pi� di quanto, almeno, ci� non accada in ogni altro tipo di giudizio. E va ricordato che la Corte, nelle sentenze 113 del 1963 e 80 del 1966, sul problema delle spese giudiziali in rapporto al diritto di difesa, ha escluso che tali oneri possano rappresentare un ostacolo all'esercizio di quel diritto, ove essi siano, come nel caso, razionalmente collegati al processo e siano di tale misura da non rendere oltremodo gravoso lo svolgersi delle attivit� processuali. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 120 -Pres. Branca -Rel. Rocchetti -Commissario dello Stato per la Regione siciliana (sost. avv. gen. dello Stato Savarese) c. Presidente Regione siciliana (avv. Orlando-Cascio, Silvestri). Sicilia -Legge regionale recante provvedimenti nel settore agricolo alimentare -Mancata osservanza della procedura del Trattato di Roma -Illegittimit� costituzionale. (St. Reg. Sic., art. 1; Trattato di Roma, art. 93; l. reg. 11 giugno 1969). � costituzionalmente illegittima per violazione del principio dell'unit� politica dello Stato italiano, fissato dall'art. 1 dello Statuto della Regione Siciliana, e per l'inosservanza della procedura comunitaria imposta dall'art. 93 del Trattato di Roma, istitutivo della Comunit� 806 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO economica europea, la legge regionale 11 giugno 1969, recante provvedimenti per l'intervento nel settore agricolo alimentare (1). (Omissis). -Il Commissario dello Stato ha impugnato la legge dell'Assemblea regionale siciliana di cui in atti per un vizio di carattere procedurale, e �io� per la mancata preventiva notificazione del relativo progetto alla Comunit� economica europea, cui, ai sensi dell'art. 93 paragrafo terzo del Trattato di Roma, il progetto stesso avrebbe dovuto essere comunicato, perch� disponeva � aiuti � diretti a sostenere il prezzo del mercato degli agrumi. L'impugnazione del Commissario dello 'Stato � fondata. Le norme del trattato istitutivo della Comunit� economica europea (reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203), al fine di assicurare libert� di circolazione dei beni e parit� di accesso ai mercati agli Stati membri, impongono a ciascuno di essi obblighi ed oneri che, in parte derivano dalle norme stesse del Trattato, ed in parte dalle norme emanate dalle istituzioni comunitarie sotto forma di � regolamento �, � obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile � in ciascuno dei detti Stati (art. 189, comma secondo, del Trattato). Non pu� esser dubbio, e non � contestato dalla Regione, che tali obblighi ed oneri, derivanti dalle disposizioni del Trattato e dai regolamenti comunitari, vincolino anche l'esercizio dell'attivit� legislativa delle Regioni a statuto speciale. Le ragioni, attinenti alla posizione sovrana dello Stato nei confronti delle Regioni, fruenti di autonomia � entro l'unit� politica dello Stato italiano � (art. 1 Statuto speciale per la Sicilia) il quale � � uno e indivisibile � (art. 5 Costituzione) ed � fornito di personalit� internazionale, sono state ampiamente svolte dalla Corte nella sentenza n. 49 del 1963. Tra gli obblighi nascenti dal Trattato vi � appunto quello dell'art. 93, paragrafo terzo, di cui si � detto, e che impone agli Stati membri di comunicare � i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti �. Tali aiuti comprendono tutti gli interventi che la mano pubblica pu� effettuare per modificare la formazione dei prezzi in regime di concorrenza: regime che il Trattato intende sostanzialmente tutelare, pur non disconoscendo la possibilit� di legittimare tali interventi nell'interesse sociale, ma a condizione di parit� di tutti gli Stati membri, (1) La precedente sentenza della Corte 9 aprile 1963, n. 49 � pubblicata in Giur. it., 1963, I, 1359, �con nota di GAIA, Legislazione siciliana e obblighi internazionali. In dottrina, PIERANDREI, Sui rapporti fra ordinamenti statali e ordinamento internazionale, Giur. it., 1949, II, 281; LA PERGOLA, Note sull'esecuzione degli obblighi internazionali, Giur. cost., 1960, 1051. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 807 e quindi ordinariamente sotto il controllo e con l'autorizzazione degli organi comunitari. Non � qui il caso di esaminare quali e quante specie di tali � aiuti � il Trattato contempli come compatibili direttamente o a seguito di autorizzazione, bastando, per quanto attiene alla risoluzione del problema proposto in causa, rilevare che gli aiuti consistenti in � interventi sul mercato � nel campo dei prodotti ortofrutticoli sono considerati tra quelli compatibili solo mediante autorizzazione degli organi della Comunit�, perch� minutamente disciplinati dai due � regolamenti � nn. 23 del 1965 e 159 del 1966 e segnatamente da questo ultimo che dedica alla materia l'intero titolo secondo. Ed a riprova della incidenza di quelle disposizioni nella materia e nel caso in esame, sta la circostanza che lo ,Stato italiano, per intervenire con acquisti di arance a mezzo dell'AIMA, nel febbraio di quest'anno in Sicilia, e cio� nello stesso periodo in cui ha spiegato i suoi interventi anche la Regione, ha dovuto chiedere ed ottenere l'autorizzazione della Comunit� economica europea, che ha espresso il consenso e dettato le condizioni nei due regolamenti, del Consiglio n. 324/69 e della Commissione n. 332/69. Oppone la difesa della Regione che tale procedura lo Stato ha seguito ed ha dovuto seguire perch� ha chiesto ed ottenuto, a sostegno della operazione, l'intervento finanziario dello speciale fondo della Comunit� economica europea, mentre la Regione, che ha agito con fondi propri o di suoi organismi, e non chiede rimborsi, non sarebbe tenuta al rispetto di quelle procedure. Ma tale giustificazione non pu� essere accolta,� perch� la struttura del Trattato, volto ad assicurare libert� e parit� di accesso e di condizioni a tutti gli Stati membri sui mercati nazionali di ciascuno, non consente discriminazioni nelle operazioni di sostegno dei prezzi che, siano effettuati o no con l'apporto finanziario degli organi comunitari, rappresentano sempre attivit� dirette a modificare le condizioni di concorrenza e soggetti perci� al vaglio di merito della loro opportunit�, ai fini della possibile autorizzazione. Egualmente infondato � poi da ritenersi l'altro rilievo della Regione, che intenderebbe sottrarre la legge impugnata alle censure di illegittimit� sotto il profilo che essa provve.derebbe soltanto a reintegrare le perdite subite dagli organismi regionali ESPI e SACOS, che hanno poi effettuato l'intervento di mercato per incarico della stessa Regione, conferito loro in forma amministrativa. � ovvio che non pu� accettarsi, n� ha rilievo ai fini della valutazione delle condizioni di legittimit� della legge regionale, la tesi secondo la quale, una volta comunque effettuato l'intervento, gli oneri di esso, facenti carico agli organismi incaricati di compierlo, devono essere RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 808 rifusi d�lla Regione che ha conferito l'incarico e che, in ogni caso, intenda addossarseli. � ovvio invece che, se la Regione non poteva intervenire, o non poteva farlo senza autorizzazione di altri organi, nel caso quelli comunitari, nulla rileva che, precorrendo i tempi e trascurando adempimenti, essa sia gi� intervenuta, perch� il fatto compiuto non pu� servire, sul �piano del diritto, a legittimare il suo operato. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1969, n. 134 -Pres. Branca - Rel. Crisafulli -Giuliano (avv. Carpaci). Sicilia -Legge regionale sull'elezione degli organi delle amministra zioni comunali -Difformit� fra il testo approvato e quello pro mulgato -. Insussistenza. (St. Reg. siciliana, art. ~3; I. reg. 9 marzo 1959 n. 3, art. 5, n. 3). Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale della legge regionale sicilU�na recante norme sult'elezione degLi organi amministrativi comunali, per la difformit� della dizione usata nell'art. 5 n. 3 della legge: �istituti dipendenti, sovvenzionati "o" sottoposti a vigilanza del Comune stesso �, rispetto a quella approvata dall'Assemblea, che recava invece, la congiunzione "e", in quanto, dall'esame di tutti gli elementi di prova acquisiti nel giudizio, � risultato che la difformit� fu dovuta a mero errore materiale (1). (Omissis). -1. -La questione di legittimit� costituzionale sollevata dal tribunale di Siracusa si accentra sulla difformit� tra il testo dell'art. 5, n. 3 della legge regionale siciliana 9 marzo 1959, n. 3, cos� come promulgato dal Presidente della Regione e pubblicato in Gazzetta, e il testo che, stando alle risultanze del resoconto stenografico, sarebbe stato in realt� approvato dall'Assemblea regionale nella seduta pomeridiana n. CDLXXXIV del 21 febbraio 1959. La disposizione in oggetto, relativa alle cause di ineleggibilit� a consigliere comunale, si riferisce -nel testo promulgato e pubblicato -a � coloro che ricevono uno stipendio o salario dal comune o da enti o istituti dipendenti, (1) La questione era st�ta sollevata con ordinanza 22 luglio 1967 del Tribunale di Siracusa (Gazzetta Ufficiale 9 dicembre 1967, n. 307). La Corte riafferma la sua giurisprudenza a sindacar� gli interna c01�poris parlamentari (sent. 3 marzo 1959, n. 9, Giur. cost., 1959). In dottrina, SPATARO, Sulla sindacabilit� della legge per difformit� del. testo promulgato da quello approvato dall'organo legislativo, Giur. sic., 1967, 740. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 809 sovvenzionati o sottoposti a vigilanza del comune stesso � nonch� ai � loro amministratori �; si rileva che tale formulazione trae origine da un emendamento, presentato da cinque deputati regionali a norma dell'art. 102, .terzo comma, del regolamento interno dell'Assemblea regionale siciliana ed approvato senza discussione, il quale peraltro, nel resoconto medesimo, � riprodotto -per la parte che qui interessa con la diversa dizione: � ... dipendenti sovvenzionati e sottoposti a vigilanza del comune �. Secondo l'assunto, il testo promulgato non corrisponderebbe pertanto a quello approvato (per la sostituzione della particella � o � alla � e � dopo la parola � sovvenzionati �) con conseguente violazione dell'art. 13 dello Statuto della R�gione siciliana. � da osservare preliminarmene che, come rammentato nella motivazione dell'ordinanza e come risulta dagli atti di causa, in seguito a richiesta del tribunale, il vice Segretario generale dell'Assemblea regionale, in una comunicazione scritta diretta allo stesso tribunale, aveva precisato che l'emendamento approvato recava originariamente la dizione � dipendenti sovvenzionati o sottoposti a vigilanza �. Successivamente questa Corte ha provveduto ad acquisire dal Segretario generale dell'Assemblea copia fotostatica dell'emendamento (dove effettivamente la formula adoperata risulta �con la particella � o �) come pure del messaggio con il quale il Presidente dell'Assemblea aveva trasmesso al Presidente della Regione, per la promulgazione di sua competenza, il testo della legge approvata in una redazione perfettamente conforme a quella risultante poi dalla promulgazione. Lo stesso Segretario generale confermava altres� la rispondenza del resoconto stenografico al processo verbale della seduta assembleare: ci� che pu� ritenersi sufficiente ai fini dell'attuale giudizio. 2. -La questione non � fondata. Per accertare la regolarit� del procedimento di formazione delle leggi ed in particolare, come si rende necessario nel caso presente, la conformit� del testo promulgato rispetto a quello approvato, questa Corte pu� e deve valersi di tutti gli elementi utili per ricostruire la realt� di quanto avvenuto nel corso del procedimento, ed in primo luogo, perci�, delle varie pubblicazioni (parzialmente e lacunosamente disciplinate nei regolamenti assembleari) destinate a dare pubblica notizia dei lavori legislativi, interpretandone secondo i comuni canoni logici il significato e l'esatta portata. Processi verbali, resoconti sommari e stenografici, messaggi dei presidenti delle assemblee legislative, sono altrettanti mezzi di prova, particolarmente autorevoli, a nessuno dei quali per� � riconosciuta efficacia privilegia.ta. Giacch�, se cosi fosse, la garanzia del rispetto delle norme costituzionali sarebbe concretamente rimessa all'organo attestante una � verit� legale � incontrovertibile, anzich� al giudice della costituzionalit� delle leggi. 810 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO N� rileva in contrario la provenienza di tali atti, o di alcuni tra essi, da pubblici ufficiali, quali sono i Presidenti delle Camere e delle Assemblee regionali, essendo risaputo che non tutti gli atti formati da pubblici ufficiali sono atti pubblici facenti fede fino a querela di falso. Pi� particolarmente, d'altro:n,de, e ferme restando le considerazioni sopra esposte, il messaggio presidenziale, come questa Corte ha gi� avuto occasione di affermare (sentenza 3 marzo 1959, n. 9), � istituzionalmente rivolto ad attivare l'organo cui spetta porre in essere la fase successiva del procedimento �legislativo (sia esso la seconda Camera, come nel Parlamento nazionale dopo la prima approvazione, sia il Presidente competente a promulgare, come nel caso delle leggi regionali e delle leggi statali dopo intervenuta la seconda approvazione): l'efficacia delle attestazioni in detto messaggio contenute, �, dunque, circoscritta -al pi� -all'ambito dei rapporti tra gli organi concorrenti a vario titolo al procedimento predetto. Quanto poi al processo verbale delle sedute, � sufficiente osservare che esso si considera formato con l'approvazione nella seduta successiva e che � sottoscritto dal Presidente e dal Segretario funzionanti in tale seduta, e non gi� in quella cui esso ha riferimento: di guisa che, a tutto concedere, esso non potrebbe far fede, in ipotesi, che dell'avvenuta approvazione, e cio� del consenso dei presenti al momento della lettura. 3. -Pertanto, nella specie, come non sarebbe sufficiente ad escludere la sussistenza del vizio denunciato dal tribunale di Siracusa la circostanza che il testo trasmesso dal Presidente dell'Assemblea regionale al Presidente della Regione � identico a quello successivamente promulgato, cos� all'opposto non pu� essere argomento decisivo per una declaratoria di illegittimit� costituzionale la circostanza (che pu� considerarsi pacifica) che tanto il resoconto stenografico quanto il processo verbale della seduta dell'Assemblea in cui la legge venne approvata rechino una diversa dizione. Una serie di univocj indizi concorre viceversa a far concludere che la formula risultante dal verbale e dal resoconto ( � dipendenti sovvenzionati e vigilati �) � dovuta a mero errore materiale, ed � appena il caso di avvertire che un errore di verbalizzazione o di trascrizione non pu� determinare un vizio di costituzionalit� delle leggi. Si evince, infatti, dalla documentazione in atti che il testo dell'emendamento presentato adoperava la particella � o �, e non la � e �, che appare in verbale e nel resoconto; che nell'indire la votazione il Presidente chiari all'Assemblea che l'emendamento stesso riproduceva testualmente l'art. 15, n. 3 della corrispondente legge statale (t.u. per la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali 16 maggio 1960, n. 570, che reca infatti la disgiuntiva � o � e che in base ai comuni princ�pi sull'efficacia delle leggi era pienamente PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE SU conoscibile nel suo tenore letterale); che nessuno ebbe a muovere rilievi di sorta n� furono presentati emendamenti diversi o controemendamenti; che prima della votazione finale, il Presidente chiese ed ottenne all'unanimit� di essere autorizzato a procedere a coordinamento, in considerazione -tra l'altro -degli � emendamenti aggiuntivi � che erano stati approvati (tra i quali era quello trasfuso nella disposizione denunciata). 4. -Alla correzione dell'errore materiale non essendosi proceduto in sede di lettura del verbale (seduta CDLXXXV del 27 febbraio 1959), ha successivamente provveduto il Presidente dell'Assemblea all'atto di trasmettere la legge al Presidente della Regione. Non � necessario attardarsi sui limiti entro i quali la facolt� di coordinamento pu� legittimamente essere concessa ed esercitata, poich� certamente la correzione di errori materiali rientra nella nozione la pi� restrittiva che si voglia darne, cos� come vi rientra anche la eventuale correzione lessicale dei testi per conformarne la dizione alla sostanza. Ripristinando il tenore letterale della disposizione che era stata proposto al voto dell'Assemblea, il Presidente ne ha al tempo stesso ripristinato il proprio significato: il solo, d'altronde, che la formula potesse correttamente voler esprimere, sia per lo specifico riferimento, che precedette la votazione, alla corrispondente legge statale, sia anche alla stregua di considerazioni di ordine logico pi� generali, trattandosi di una elencazione di situazioni di ineleggibilit� che l'uso erroneo della particella � e �, in luogo della � o �, non vale a trasformare, da ipotesi alternativamente previste, in elementi integranti di una sola ed unica ipotesi, e perci� tali da dover necessariamente ricorrere congiuntamente. -(Omissis). CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1969, n. 135 -Pres. Branca - Rel. Chiarelli -Saba (n.c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri (vice avvocato generale dello Stato Foligno). Lavoro -Lavoro domestico -Cura ed assistenza medica per i soli lavoratori conviventi -Sperequazione rispetto alle altre categorie di lavoratori -Illegittimit� costituzionale -Esclusione. (Cost., art. 3, 38; e.e., art. 2242, primo comma). Non � fondata, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, la questione di legittimitd costituzionale dell'art. 2242, primo comma, e.e., che, per le inferinitd di breve durata, prevede la cura e l'assistenza medica del lavoratore domestico nel nucleo familiare in cui egli convive, perch� tale normativa non esclude i maggiori presid� a cui il 812 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO lavoratore, anche :non convivente, abbia diritto, in conformit� delle leggi che regolano la materia (1). (Omissis). -L'ordinanza di rimessione a questa Corte prospetta la questione della legittimit� costituzionale dell'art. 2242 e.e., limitatamente alla parte in cui dispone che il prestatore di lavoro domestico, ammesso alla convivenza familiare, ha diritto, per le infermit� di breve durata, alla cura e all'assistenza medica. Si assume nell'ordinanza che tale norma contrasta con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, perch� pone una ingiustificata discriminazione tra lavoratori ammessi e lav.oratori non ammessi alla convivenza familiare, e perch� offre ai lavoratori domestici, rispetto all'evento di malattia, una tutela assai minore di quella assicurata agli altri lavoratori dall'art. 2110 dello stesso codice civile. La questione � infondata sotto entrambi i profili. La norma impugnata riguarda le malattie che, per la loro breve durata, esauriscono il loro corso nell'ambito familiare, e la cui cura presuppone la continua presenza in casa de!l'infermo. In �Considerazione di tale situazione, differente da quella del prestatore di lavoro che non partecipa alla convivenza, sono assicurate al lavoratore, oltre la prestazione in danaro, le cure e l'assistenza che sono proprie della vita familiare. La norma non pone, pertanto, data l'obbiettiva diversit� delle situazioni, una ingiustificata discriminazione, all'interno della categoria dei prestatori di lavoro domestico, tra conviventi e non conviventi in famiglia. N�, d'altra parte, � esatto che, per effetto della disposizione impugnata, restino privi di qualsiasi tutela, per il caso di malattia, i lavoratori non ammessi alla convivenza. Infatti, indipendentemente dall'obbligo di prestare le cure fami liari ai conviventi, previsto dal primo,comma dell'art. 2242, il secondo comma dello stesso articolo dispone che le parti debbono contribuire alle istituzioni di previdenza e di assistenza, nei casi e nei modi stabiliti dalla legge, ed � noto che la legge 18 gennaio 1952, n. 3�5, diretta all'attuazione dei principi di cui all'art. 38 della Costituzione, ha esteso l'assicurazione obbligatoria di malattia a tutti i lavoratori addetti ai servizi personali e domestici, indipendentemente dalla convivenza, e con la sola condizione che prestino la loro opera almeno per quattro ore giornaliere. PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 813 La censura di incostituzionalit� della norma impugnata non ha pertanto fondamento, sia in riferimento all'art. 3 che all'art. 38 della Costituzione. 2. -Egualmente infondato � il motivo con cui si deduce l'illegittimit� costituzionale della norma perch� da essa deriverebbe ai prestatori di lavoro domestico una tutela limitatissima, come si esprime l'ordinanza, e assai minore di quella assicurata per l'evento d.ella malattia agli altri lavoratori dall'art. 2110 del codice civile. A parte la genericit� con cui la censura � formulata, va notato che anch'essa si basa sul presupposto che la disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 2242 racchiuda tutto il trattamento di malattia che il legislatore ha voluto assicurare ai prestatori di lavoro domestico, escludendo ogni altro trattamento per i casi dLversi da quello in essa considerato. Se non che tale presupposto � inesatto, sia per la ragione gi� detta che lo stesso art. 2242 contempla forme di previdenza e assistenza, che hanno compreso, nella legislazione successiva, l'assistenza per il caso di malattia, sia perch� la norma impugnata non preclude l'eventuale applicazione, al rapporto di lavoro domestico, di norme relative al rapporto di lavoro inerente all'esercizio di un'impresa. Va considerato in proposito che le peculiari caratteristiche che distinguono il rapporto di lavoro domestico dal rapporto di lavoro che si svolge nell'organizzazione di un'impresa costituiscono la ragione della speciale disciplina del rapporto, contenuta, oltre che nelle norme del codice civile, nella ricordata legge 18 gennaio 1952, n. 35, e nella legge 2 aprile 1958, n. 339. Tale disciplina trova la sua integrazione negli usi e nelle convenzioni, in quanto pi� favorevoli al lavoratore (art. 2240 e.e.), ma non esclude, per quanto non sia da essa regolato, il ricorso alle norme relative al rapporto di lavoro in impresa, in quanto compatibili con la specialit� del rapporto di lavoro domestico, ai sensi dell'art. 2239 del codice civile. � competenza del giudice di merito valutare, tenuta presente l'intera legislazione regolatrice della materia, se nella specie vi � ragione di ricorrere all'art. 2110 e.e. e se le disposizioni ivi contenute siano compatibili con la disciplina del rapporto di lavoro domestico. Tale indagine non trova ostacolo nella norma di cui �al primo comma dell'art. 2242, la quale non ha il contenuto negativo che l'ordinanza le attribuisce. Non deriva pertanto da essa n� una ingiustificata discriminazione, a danno della categoria dei prestatori di lavoro domestico, n� un ostacolo all'attuazione, a favore di essa, dei princ�pi di cui all'art. 38 della Costituzione. Non sussistendo il denunciato contrasto della norma impugnata con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, va dichiarata l'infondatezza della proposta questione. -(Omissis). 4 SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 giugno 1969, n. 2008 -Pres. Scarpello -Est. Sbrocca -P. M. Tavolaro �I. (conf.). Lagan� (avv. Sorrentino) c. Ministero delle Finanze (avv'. Stato Terranova). Competenza e giurisdizione -Demanio e patrimonio -Patrimonio indisponibile -Potere di autotutela della P. A. -Ordinanza di �' rilascio di un bene del patrimonio indisponibile -Opposizione all'esecuzione -Difetto di giurisdizione dell'A.G.O. (e.e., artt. 823, 826, 828; e.p.e., art. 615; 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 4). Competenza e giurisdizione -Questione di gturisdizione -Poteri della Cassazione -Interpretazione del giudicato -Ammissibilit�. (e.p.e., art. 37) Cosa giudicata -Limiti oggettivi -Questioni pregiudiziali -Giudicato sull'illegittimit� di un provvedimento di rilascio di un bene della P. A. -Estensione alla questione sulla natura patrimoniale disponibile o indisponibile del bene -Esclusione. (e.e., art. 2909). Competenza e giurisdizione -Cassazione -Ius superveniens -Giudicato sulla giurisdizione intervenuto in altro giudizio -Deducibilit� -Esclusione. (e.e., art. 2909; e.p.e., artt. 37, 360). Demanio e patrimonio -Beni del disciolto p. n. f. -Destinazione a servizio pubblico -Patrimonio indisponibile -Provvisoria destinazione ad altri fini -Irrilevanza. (e.e., art. 826; d.1.1., 28 luglio 1944, n. 159, art. 38). � improponibile, per difetto di giurisdizione del giudice ordinario, l'opposizione, proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c., avverso un'ordinanza di rilascio di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato (1). (1-2) I principi di cui alle prime due massime sono del tutto pacifici in giurisprudenza. V., per tutte, Cass., Sez. Un., 4 ottobre 1955, n. 2790, PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 815 Il potere di autotutela deUa P. A. riguarda sia i beni demaniali, che queUi patrimoniali indispo1iibili (2). Ove l'identificazione dei limiti oggettivi del giudicato incida su una questione di giurisdizione, � consentita alla Suprema Corte l'interpretazione diretta della sentenza, al fine di risolvere la questione anzidetta (3). Il giudicato con il quale sia stata dichiarata l'illegittimit� di un provvedimento di rilascio, di un bene appartenente alla� P. A., s~l presupposto della natura privata del rapporto controverso, non si estende alla questione pregiudiziale sulla natura patrimoniale disponibile del bene, risolta incidenter tantum, per mancanza di diversa richiesta e di un interesse trascendente la causa (4). Non � invocabile in cassazione, come ius superveniens, un giudicato sulla giurisdizione che si assume provenire da sentenza intervenuta in un altro giudizio (5). I beni appartenenti al disciolto partito nazionale fascista entrano a far parte del patrimonio indisponibile in virt� della destinazione impressavi con il decreto previsto dall'art. 38 del d.Zgt. 28 Zuglio 1944, n. 159 (6). L'eventuale assegnazione provvisoria ad altri fini, anche con contratti di diritto privato che non importino il trasferimento della propriet�, non contraddice a quella destinazione, n� limita i po,teri di autotutela della P. A. (7). (Omissis). -La sentenza impugnata ha dichiarato improponibile per difetto di giurisdizione del giudice ordinario l'opposizione proposta dal Lagan� all'ordinanza 26 settembre 1965, con cui l'Intendente di finanza di Reggio Calabria gli aveva intimato di lasciar libero l'immobile occupato sotto comminatoria, in difetto, di procedere allo sgombero in via autoritaria coattiva. Ha osservato al riguardo la sentenza che l'ordinanza si concretava in un atto amministrativo, con il quale era stato esercitato il potere in Foro pad., 1955, I, 1113. In dottrina, cfr. SANDULLI, Beni pubblici, in Enc. diritto, vol. V, n. 29. (3) Giurisprudenza costante. V., ad es., Cass., Sez. Un., 9 novembre 1967, n. 2705, in Foro it., 1968, I, 1608. (4) Esatta applicazione dei principi in tema di limiti oggettivi del giudicato. Cfr., in argomento, Cass., 22 gennaio 1966, n. 268, in questa Rassegna, 1966, I, 115, con nota di richiami; id., 21 aprile 1961, n. 891 (ined.). (5) Lo ius superveniens, com'� pacifico, non � invocabile in Cassazione se non quando incida direttamente sulla decisione impugnata. Pu� essere invocato, perci�, soltanto -un giudicato formatosi nello stesso giudizio. (6-7) Sul regime dei beni del disciolto partito fascista, cfr., I giudizi di costituzionalit� e H contenzioso deUo Stato negli anni 1956-1960, vol. II, 292 e segg. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 816 di autotutela di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato, e che di fronte a questo potere l'eventuale diritto del privato all'uso del bene si affievoliva ad interesse legittimo, che trovava la sua protezione soltanto dinanzi agli organi di giustizia amministrativa. N�, ad avviso del Tribunale, il Lagan� poteva opporre all'Amministrazione finanziaria il giudicato costituito dalla sentenza 6 settembre 1962 del Pretore di Reggio Calabria, che, nei rapporti tra le medesime parti, aveva ritenuta l'esistenza di un contratto di locazione, relativamente all'immobile de quo, sul presupposto che esso fosse compreso nel patrimonio disponibile, e ci� per un duplice ordine di ragioni: anzitutto perch� la sentenza del Pretore si fondava sulla situazione esistente al momento della sua pronuncia, e successivamente non era stato stipulato, nelle debite forme, alcun nuovo contratto, n� era stato rinnovato, sempre nelle forme richieste per i contratti dello Stato, il precedente, di guisa che, quando fu emanata l'ordinanza intendentizia, non si profilava, in favore dell'opponente, alcun titolo suscettibile di -�~ tutela giudiziaria contro l'iniziativa dell'Amministrazione; ed inoltre perch� il giudicato non avrebbe potuto mai precludere l'emanazione di un ulteriore atto amministrativo diretto ad attuare la destinazione concreta del bene al pubblico servizio. Contro queste statuizioni si rivolge il motivo di ricorso, con il quale, denunciandosi la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 e 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, la violazione degli articoli 826, terzo comma, e 2909 e.e., ed il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, si assume: I. -� stato violato il giudicato, risultante dalla sentenza del Pretore di Reggio Calabria, che si era costituito anche riguardo alla natura dell'immobile come facente parte del patrimonio disponibile dello Stato, e che era stato gi� invocato nel giudizio di merito per dimostrare l'inesistenza del potere. ,di autotutela dell'Amministrazione, ed il conseguente non affievolimento del diritto del detentore in interesse legittimo. In altri termini, per negare la legittimit� dell'esercizio del potere di autotutela doveva escludersene il presupposto, consistente nell'appartenenza del bene al patrimonio indisponibile, e a questo fine era stato opposto il giudicato. Il Tribunale -si aggiunge -ha frainteso il problema che doveva risolvere, motivando contraddittoriamente e comunque in modo insufficiente, perch� la mancanza di ulteriori titoli in favore del detentore ed il rilievo che all'Amministrazione non era preclusa l'emanazione di un atto per rendere concreta la destinazione del bene al pubblico servizio attenevano al merito della controversia, e cio� al diritto del Lagan� a resistere fondatamente ad una azione di rilascio, ma non incidevano sulla questione di giurisdizione connessa alla legittimit� del potere di autotutela, il cui presupposto PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 817 era la natura del bene come parte del patrimonio indisponibile, presupposto escluso in forza del giudicato. II. -L'immobile, di cui l'Intendente di finanza aveva disposto il rilascio con esecuzione forzata in via amministrativa, gi� appartenente al disciolto partito nazionale fascista e devoluto allo Stato per essere destinato a servizi pubblici o a scopi di interesse generale, era stato assegnato a sede di uffid finanziari con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 giugno 1954, ai sensi dell'art. 38 del d.1.1. 27 luglio 1944, n. 159. Tale assegnazione, contrariamente all'opinione seguita dal Tribunale, non aveva implicato l'appartenenza del bene al patrimonio indisponibile dello Stato, perch� non era concreta ed attuale, bens� astratta e potenziale, tanto che, successivamente, il bene era stato dato in locazione al Lagan�, il quale era subentrato ad un precedente conduttore. L'ordinanza intimata al Lagan� presupponeva che la destinazione del bene ad un pubblico servizio fosse ancora da attuarsi. III. -Con citazione 16 settembre 1965 l'Amministrazione finanziaria convenne il Lagan� dinanzi al Conciliatore di Reggio Calabria per sentire dichiarare che il contratto di locazione, riguardante l'immobile, aveva avuto termine il 30 giugno 1959, e condannare il conduttore all'immediato rilascio. Il convenuto si oppose all'accoglimento della domanda, eccependo in via principale che aveva diritto ad acquistare la propriet� dell'immobile in base alla legge 30 marzo 1965, n. 225, con la quale � stata disposta la cessione in propriet� di alloggi costruiti, �Come quello in questione, a carico dello Stato in conseguenza di terremoti. Con sentenza 6 settembre 1965 il Conciliatore dichiar� risolto il contratto di locazione e ordin� il rilascio dell'immobile; ma il Pretore, adito in sede di appello, con sentenza 4 agosto 1966, respinse la domanda dell'Amministrazione finanziaria, osservando, tra l'altro, che nella specie ricorrevano le condizioni richieste dalla legge del 1965, perch� l'ente gestore avesse l'obbligo di cedere in propriet� l'alloggio e in favore dell'occupante sorgesse il diritto di acquistarlo, e che medio tempo1�e (e questo era il punto controverso), cio� sino alla conclusione del procedimento amministrativo di cessione di propriet�, l'occupante era legittimato a continuare nel godimento dell'immobile. Contro la decisione di appello propose ricorso per cassazione l'Amministrazione, e queste Sezioni Unite, con sentenza 13 ottobre 1967, n. 2442, ritennero che la posizione giuridica dei soggetti, a favore dei quali la legge del 1965 dispone la cessione degli alloggi, avesse la consistenza di un diritto soggettivo perfetto, azionabile, in caso di contestazione, davanti al giudice ordinario, ma che l'azione di rilascio per finita locazione non potesse essere neutralizzata dall'eccezione, con la quale l'occupante adduce di aver diritto alla cessione in propriet� 818 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dell'alloggio. In relazione a quest'ultima statuizione e all'affermazione del correlativo principio di diritto, le Sezioni Unite cassarono con rinvio la pronuncia impugnata. Ora, secondo il ricorrente la sentenza di cassazione avrebbe costituito giudicato sulla giurisdizione anche in riferimento alla questione prospettata che l'im~obile de quo non facesse parte del patrimonio indisponibile dello Stato, e quale ius superveniens sarebbe invocabile anche in questa sede. Le censure esposte non �possono essere condivise. La prima attiene ai limiti oggettivi del giudicato risultante dalla sentenza pretorile del 1962, e involge una questione di giurisdizione, in ordine alla quale � consentito alla Corte Suprema di procedere ad indagini di fatto, interpretando la sentenza al fine di risolvere la questione anzidetta. Ed invero, se il giudicato si estendeva anche alla natura del bene come appartenente al patrimonio disponibile dello Stato, in quanto costituiva un antecedente logico controverso, che il giudice doveva accertare allo scopo di pervenire all'esame dell'oggetto della domanda in quel giudizio proposta, vertente sull'esistenza di un contratto di locazione relativamente al bene e sul diritto del conduttore di goderne, l'autotutela da parte dell'Amministrazione non era ammissibile, e l'ordinanza intendentizia, con cui il potere di autotutela era stato esercitato, costituiva un atto amministrativo illegittimo, lesivo di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario. Se, viceversa, il giudicato non aveva siffatta estensione, nel giudizio successivamente instaurato la natura del bene era liberamente apprezzabile dal giudice, ed esso poteva essere ritenuto appartenente al patrimonio indisponibile, cosi come ha fatto la sentenza denunciata, con la conseguenza che l'autotutela era ammissibile .e, di fronte al suo esercizio, le posizioni soggettive private assumevano la consistenza dell'interesse legittimo, suscettibile di ricorso, in caso di lesione, davanti al giudice amministrativo. In proposito � opportuno ricordare che la regola, con cui si concede all'Amministrazione il potere di autotutela, � enunciata dall'art. 823 e.e. soltanto per i beni demaniali, e che, mentre in dottrina esistono �ontrasti sulla sua por.tata, la giurisprudenza di questa Corte, che si intende ancora una volta ribadire, � orientata nel senso di applicarla a tutti i beni pubblici, cio� ai beni di propriet� della P. A., in ordine ai quali essa �dispone di particolari poteri pubblici, comprendendovi, oltre ai beni demaniali, anche i beni patrimoniali indisponibili. L'espressa enunciazione della regola nell'art. 823 in relazione ai beni demaniali � stata voluta per affermare non tanto la possibilit� dell'esercizio dell'aut_otutela nei loro confronti, quanto la possibilit� per l'Amministrazione di avvalersi anche � dei mezzi ordinari a difesa della PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 819 propriet� e del possesso regolati dal presente codice �, possibilit� della quale in passato si dubitava; mentre per i beni patrimoniali indisponibili un'eguale affermazione non era necessaria, perch� l'art. 828 contiene il principio che tutti i beni patrimoniali, in gem'!re, sono soggetti � in quanto non � diversamente disposto, alle regole del presente codice �. Ora, il giudicato non si estendeva alla qualifica del bene come patrimoniale disponibile, perch�, anche prescindendo dalle ragioni addotte dalla sentenza impugnata, l'antecedente logico controverso (cio� la natura del bene), che il giudice doveva accertare per giungere ad accordare il bene richiesto dall'attore (il godimento dell'immobile a titolo di locazione), si inquadrava, secondo la distinzione operata dall'art. 34 , c.p.c. (che, pur esaminando il problema nei riguardi dello spostamento di competenza, ha una portata pi� vasta e sotto il profilo sistematico avrebbe dovuto essere inserito nella Sezione dedicata all'esercizio dell'azione), tra le questioni pregiudiziali, che vengono decise in via puramente strumentale e incidentale (incidenter tantum), senza alcuna efficacia autonoma di giudicato al di fuori della causa in cui l'accertamento avviene. Perch� l'antecedente controverso avesse potuto tras~ormarsi da questione in .causa pregiudiziale, da accertarsi con sentenza assistita dall'autorit� di cosa giudicata, sarebbero state nella specie necessarie l'esplicita richiesta di almeno una delle parti, ed inoltre l'esistenza di un interesse trascendente q.ello immediato alla risoluzione della causa in corso, cio� l'idoneit� della questione, che in ipotesi avrebbe formato oggetto della ,richiesta, ad influire su liti diverse da quella per comporre la quale la questione era sorta. E ci� � escluso dall'esame della sentenza del 1962, perch� l'oggetto della domanda � circoscritto nel senso pi� sopra precisato, senza che esista una diversa richiesta, n� sia prospettato un pi� ampio e trascendente interesse. Con la seconda censura si contesta che l'immobile appartenga al patrimonio indisponibile dello Stato, perch� il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 giugno 1954 non gli avrebbe impresso un'effettiva ed attuale destinazine ad un servizio pubblico. Ma in contrario deve osservarsi che con il decreto previsto dall'art. 38 del d.1.1. n. 159 del 1944 l'immobile ricevette quella concreta destinazione al servizio pubblico, che lo stesso art. 38 contemplava per tutti i beni gi� appartenenti al partito fascista; �e con ci� esso entr� a far parte del patrimonio indisponibile dello Stato. La provvisoria assegnazione del bene ad altri fini non contraddiceva a quella destinazione, perch� anche i beni indisponibili possono formare oggetto di contratti di diritto privato, che non ne comportino il trasferimento di propriet� e, con questo, la definitiva sottrazione alla loro destinazione, restando tuttavia soggetti ai particolari poteri che su essi esercita la P. A., incluso il potere di autotutela. La terza censura � inammissibile e in ogni caso infondata. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 820 � inammissibile perch� il giudicato sulla giurisdizione, che si assume promanare dalla sentenza n. 2442 del 1967 delle Sezioni Unite, sarebbe intervenuto in un altro giudizio, e I'ius superveniens non � invocabile in sede di cassazione se non quando incida direttamente sulla decisione, che viene impugnata, cio�, per quanto riguarda il giudicato, attenga al giudizio in corso. � in ogni caso infondata, perch� le Sezioni Unite, da un lato, risolsero una questione astratta di giurisdizione estranea all'attuale thema decidendi, lasciando impregiudicate le questioni di merito, comprese quelle riflettenti la sussistenza in concreto delle condizioni richieste per ottenere la cessione dell'immobile in base alla legge n. 225 del 1965, in relazione anche alla natura (patrimoniale disponibile o indisponibile) dell'immobile stesso; e, dall'altro, affermarono un principio (cio� che l'azione di rilascio non pu� essere neutralizzata dall'eccezione di chi adduce di aver diritto alla cessione), che prescinde dall'accertamento dell'esistenza in. concreto di tale diritto e quindi anche dalla natura del bene che pu� costituirne l'oggetto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 luglio 1969, n. 2604 -Pres. Flore -Est. Iannuzzi -P. M. Di Majo (conf.). Ministero della Difesa (avv. Stato Freni) c. Cava (avv. Lombardi) e I.N.P.S. (avv. Cannella e Giorgi). Competenza e giurisdizione -Controversie in materia di previdenza ed assistenza a favore di pubblici dipendenti -Competenza del giudice ordinario -Limiti. (c.p.c., art. 459; t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 29). Le controversie relative al rapporto assicurativo previdenziale dei dipendenti dello Stato o degli Enti pubblici spettano alla competenza del giudice ordinario qualora non sorga contestazione intorno alla costituzione del rapporto di pubblico impiego, n� circa la legittimit.� del comportamento della Pubblica Amministrazione relativamente all'assolvimento dell'obbligo assicurativo a favore del dipendente (1). (Omissis). -Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia il difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziara ordinaria e la violazione degli artt. 29 e 30 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e successive (1) La decisione in rassegna � conforme all'indirizzo assunto dalla giurisprudenza ordinaria dopo la sentenza 3 febbraio 1967, n. 305 delle Sez. Un. (in questa Rassegna, 1967, I, 61, con nota di richiami). V., contra, Cons. Stato, Ad. Plen., 21 giugno 1968, n. 15, in questa Rassegna, 1968, I, 436. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 821 modifiche, nonch� degli artt. 1, 5, 37, 429 e 459 c.p.c. e dell'art. 2116 e.e.; denuncia inoltre l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c. Deduce .che la Corte d'appello ha erroneamente affermato la giurisdizione dell'A.G.0. relativamente alle controversie derivanti dalla mancata applicazione delle provvidenze assicurative a favore dei pubblici dipendenti. Osserva che, a norma dell'art. 29, n. 1 del citato t.u. n. 1054 del 1924 e successive modifiche, le controversie relative al rapporto di impiego pubblico sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, il quale, a norma del successivo art. 30, conosce altresi di tutte le questioni relative a diritti, con la sola eccezione delle controversie attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia di legittimit� dell'atto o del procedimento impugnato. Ora le questioni patrimoniali conseguenziali in tema di mancata applic�zione delle provvidenze assicurative a favore �di pubblici dipendenti sarebbero solo quelle inerenti alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla pronuncia del giudice amministrativo; mentre, invece, permane la giurisdizione dello stesso giudice amministratiyo quando la controversia riguarda diritti patrimoniali direttamente compenetrati nel rapporto di impiego, anche se manchi un provvedimento formale che neghi il diritto vantato, perch� oggetto dell'impugnativa sarebbe un comportamento dell'amministrazione importante la lesione di un diritto soggettivo. Inoltre, aggiunge il ricorrente, il difetto di giurisdizione del giudice ordinario risulta dal combinato disposto degli artt. 459 e 429 c.p.c. Invero l'art. 459 fa espresso riferimento, per determinare le controversie alle quali si applica il procedimento in materia di previdenza ed assistenza davanti il giudice ordinario, ai rapporti indicati nell'art. 429, dai quali sono espressamente esclusi i rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici, che dalla legge sono devoluti ad altro giudice. La censura non � fondata. Il rapporto assicurativo previdenziale, qual'� quello relativo all'assicurazione obbligatoria per l'invalidit� e la vecchiaia, � diverso, per la fonte, la causa, i soggetti ed il contenuto, dal rapporto di prestazione di opera, rispetto al quale mantiene la sua autonomia, anche se il prestatore d'opera sia un dipendente dello Stato o di altro1 ente pubblico; ma non si pu� disconoscere che il rapporto assicurativo sorge ex lege in correlazione alla costituzione del rapporto di lavoro, il quale �, quindi, il presupposto necessario ed indefettibile del rapporto di assicurazione sociale, salvi i casi in cui la iegge lo ricolleghi a situa zioni di carattere diverso. Ora il collegamento genetico dei due rapporti importa che necessariamente si debba discutere del rapporto di prestazione d'opera quante volte il riconoscimento del diritto dell'assicurato dipenda dal 822 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO l'accertamento dell'esistenza o dello svolgimento del rapporto di lavoro o dell'assolvimento dell'obbligo assicurativo previdenziale che stia a carico del datore di lavoro, ope legis, o per patto contrattuale. Ci� � vero anche quando il rapporto assicurativo sia collegato a quello di impiego pubblico, con la conseguenza che sussiste in tali casi la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dei citati artt. 29, n. 1 e 30 commi 1 e 2 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, trattandosi di questioni relative a diritti patrimoniali che� trovano fondamento e causa di giustificazione nel rapporto d'impiego pubblico. Qualora, invece, nella controversia in materia di previdenza ed assistenza non sorga contestazione intorno alla costituzione del rapporto di pubblico impiego n� circa la legittimit� del comportamento della pubblica amministrazione relativamente all'assolvimento dell'obbligo assicurativo a favore del dipendente, ma tutto ci� sia dato come pacifico, in tal caso risorge la giurisdizione, che ha carattere generale, I ~ del giudice ordinario e viene meno quella, di natura speciale, del :~ giudice amministrativo, in quanto il rapporto di pubblico impiego funziona, nelle premesse dell'istanza, solo come un precedente storico e non � necessario indagare, per la risoluzione della controversia assicurativa, circa i diritti e gli obblighi scaturenti dal rapporto d'impiego I pubblico. Tal'� nella specie, la situazione dedotta in causa dall'istante e non controversa, essendo circostanze pacifiche la preesistenza e la cessa I zione del rapporto d'impiego pubblico, il versamento dei contributi assicurativi da parte del Ministero all'Istituto di previdenza sociale e la dispersione dei documenti relativi, nonch� la richiesta del Cava e del Ministero rivolta all'Istituto di rinnovare il pagamento dei contributi medesimi ed il rifiuto dell'Istituto stesso di riceverli. La domand;:t Iaveva per oggetto la dichiarazione dell'obbligo dell'Istituto di riceversi contributi assicurativi da parte del Ministero che aveva fatto istanza e si dichiarava ancora pronto a versarli e, in mancanza, la condanna f degli enti convenuti al risarcimento dei danni. Non pare dubbio, perJ tanto, alla stregua di quanto si � premesso, che la giurisdizione appar I tenesse all'autorit� giudiziaria ordinaria trattandosi di giudicare, in principalit�, se fosse stato legittimo o meno il comportamento del I Iw l'I.N.P.S. -e non del Ministero -a rifiutare il nuovo versamento dei contributi da parte del Ministero stesso, al fine di regolarizzare la posizione assicurativa dell'istante ed, in mancanza, di stabilire quale dei due enti, ovvero se entrambi, fossero tenuti al �risarcimento dei i danni. In tal senso s'� ulteriormente chiarita e definitivamente fissata la posizione delle parti rispetto all'oggetto della lite anche nel corso ulteriore del giudizio, avendo il Ministero dedotto, nell'atto di appello, f che l'I.N.P.S. fosse ritenuto obbligato a riceversi i contributi e comunr I kf que tenuto al risarcimento dei danni verso l'istante, per non averlo PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 823 informato della facolt� di chiedere la regolarizzazione della pratica assicurativa. Lo stesso Ministero, quindi, prospettava in giudizio una situazione per nulla afferente al rapporto d'impiego ed all'accertamento o all'osservanza dei diritti e degli obblighi inerenti al rapporto stesso; pertanto il primo motivo dev'essere respinto. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 luglio 1969, n. 2796 -Pres. Stella Richter -Est. Berri -P. M. Di Majo (conf.) -Nardi (avv. Galluzzi) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Ricci). Competenza e giurisdizione� -Patrimonio indisponibile -Case economiche delle F. S. -Assegnazione in uso -Natura d~l rapporto Concessione -Diritto soggettivo dell'assegnatario -Esclusione. (t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, artt. 308-322). Competenza e giurisdizione -Atto amministrativo -Poteri del giudice ordinario -Inammissibilit� della revoca e della modifica Natura del provvedimento richiesto al giudice -Irrilevanza. (1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 4). Gli immobili destinati ad alloggi di servizio per i dipendenti della Pubblica Amministrazione fanno parte del patrimonio indisponibile (1). L'assegnazione dell'alloggio di servizio ha natura di concessione amministrativa (2). Da tale assegnazione non sorge alcun diritto soggettivo a favore dell'assegnatario, il quale, pertanto, non ha azione dinanzi al giudice ordinario per opporsi alla cessazione del rapporto disposta dall'Amministrazione (3). Il divieto, per il giudice ordinario, di revocare o modificare gli atti amministrativi vale in ogni caso, qualunque sia la natura -giurisdizionale o amministrativa -del provvedimento che gli viene richiesto (4). (Omissis). -Il ricorrente deduce violazione dell'art. 360 c.p.c. in relazione agli artt. 362 c.p.c.; 3, comma 2�, legge 20 marzo 1865, n. 2248, (1-3) Le prime tre massime sono conformi al costante orientamento del Supremo Collegio in materia: cfr. Cass., Sez. Un., 21 giugno 1967, n. 1473, in questa Rassegna, 1967, I, 600; id., 20 gennaio 1965, n. 115, ivi, 1965, I, 66, con nota di P. G. FERRI. V., inoltre, le note di F. 0ARUSI, in questa Rassegna, 1964, I, 1066; e 1965, I, 321. (4) La quarta massima costituisce ineccepibile applicazione del fondamentale principio della separazione dei poteri. Invero, ci� che rileva, al fine del rispetto di ta.Ie principio, � solo la natura dell'organo che agisce, e non gi� quella dei provvedimenti in concreto emessi. 824 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO all. E e n. 5, ultimo comma, legge 1� maggio 1955, n. 368, nonch� all'art. 1 e segg. legge 30 settembre 1963, n. 1307. Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato la legge 30 settembre 1963, n. 1507, per non aver tenuto conto che in rapporto alla stessa il pretore agisce in via meramente amministrativa e con provvedimenti di squisito carattere amministrativo: in una situazione che la stessa sentenza ritiene essere amministrativa (costituita dal provvedimento di rilascio dell'Amministrazione delle FF.SS.) il pretore � intervenuto in via amministrativa e con un provvedimento amministrativo. Consegue che il predetto giudice non era privo di giurisdizione e che la sospensione era legittima. Sostiene poi il ricorrente che il Tribunale ha dato del rapporto � intercorrente tra il Nardi e l'Amministrazione delle FF.SS., 'relativamente all'immobile in questione, una interpretazione contorta ed errata. Il fabbricato del quale fa parte l'alloggio in oggetto era di propriet� privata, fu acquistato dalle FF.SS. e gli appartamenti di esso sono stati affittati ai dipendenti dalle ferrovie dietro corresponsione di un canone di affitto; d'altro canto, per la categoria di dipendenti cui il ricorrente apparteneva, non � mai stata prescritta la concessione di un alloggio di servizio. Il rapporto non pu� pertanto essere qualificato concessione per motivi di servizio. Sostiene, infine; il ricorrente che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che l'alloggio in questione appartenga al patrimonio indisponibile. Manca, infatti, nella specie la legge od un atto amministrativo che destini il bene de quo ad un pubblico servizio (il decreto del 1948 citato dal Tribunale si riferisce ad un fabbricato nel quale non furono costruiti uffici, ma solo alloggi). D'altro canto, osserva alla fine il ricorrente, anche i beni patrimoniali indisponibili possono formare oggetto idoneo di contratto, ivi compreso quello di locazione. Osservano le Sezioni Unite che il motivo di ricorso, cosi riassunto, non � fondato alla stregua della costante giurisprudenza di questa Suprema Corte. I criteri a cui le Sezioni Unite si sono informate nella soggetta materia possono riassumersi nei termini che seguono. L'assegnazione, da parte dell'Amministrazione delle Ferrovie dello Stato, di alloggi per ferrovieri a favore di determinati soggetti particolarmente qualificati in relazione alla loro posizione in servizio attivo e secondo le norme speciali che regolano la materia della concessione degli alloggi al personale, ha natura di concessione amministrativa con corrispettivo, anche quando assuma la forma estrinseca di una locazione, o se la Pubblica Amministrazione, per mera tolleranza, per PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU 'QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 825 metta che il funzionario occupi, ancora per qualche tempo, l'alloggio di servizio a lui concesso, dopo il suo collocamento a riposo. Da tale assegnazione non sorge alcun diritto soggettivo a favore dell'assegnatario dell'alloggio medesimo ed �, pertanto, improponibile qualsiasi azione giudiziaria diretta ad opporsi al diritto dell'Amministrazione di fare cessare il rapporto, ove concorrano le condizioni previste dalle norme da cui il rapporto stesso � regolato; il giudice ordinario �, quindi, privo di giurisdizione a conoscere delle controversie, a cui l'applicazione stessa possa dar luogo. Devono considerarsi destinati ad un pubblico servizio e rientr�nti, come tali, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 826 e.e., nel patrimonio indisponibile degli enti pubblici, gli immobili concessi in uso ai dipendenti dell'Amministrazione pubblica allo scopo di facilitar loro l'espletamento delle proprie pubbliche funzioni presso l'Amministrazione medesima ed in relazione alla posizione di servizio che il concessionario riveste, a nulla rilevando che l'immobile, di cui fa parte l'alloggio concesso, sia stato costruito direttamente a cura e spese dell'Amministrazione concedente o che l'appartamento dato come alloggio faccia, invece, parte <ii un fabbricato acquistato dall'Amministrazione, dopo che era gi� stato costruito dall'industria privata, ove, peraltro, il fabbricato medesimo venga acquistato per essere destinato ad alloggi di servizio e destinato, poi, concretamente, a tale fine dall'Amministrazione stessa (vedi sentenze Sez. Un. 21 giugno 1967, n. 1473; 20 gennaio 1965, n. 115; 28 luglio 1962, n. 2215; 20 maggio 1955, n. 1473; cfr. anche, in fattispecie processualmente diversa, 4 aprile 1969, n. 1102). In particolare assumere che l'intervento del pretore in materia di proroga dell'esecuzione degli sfratti si estrinseca in provvedimento amministrativo e non giurisdizionale, posta la verit� dell'assunto, non sarebbe aggiungere un nuovo argomento atto a modificare la giurisprudenza sopra richiamata, perch� ci� che rileva, al fine del rispetto del principio della separazione dei poteri, � il carattere giudiziario dell'organo che agisce, non la natura dei provvedimenti in concreto emessi. Si avrebbe sempre, in effetto, la revoca di un atto della P. A. da parte del giudice ordinario in violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865 n. 2248 all. E. Ma va rilevato che i provvedimenti adottati dal pretore ai sensi dell'art. 1 della legge 30 settembre 1963, n. 1307 in materia di esecuzione di sfratti sono posti in essere nell'esercizio di una potest� squisitamente giurisdizionale, nel contraddittorio delle parti ed hanno quindi natura giurisdizionale e non amministrativa. -(Omissis). SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 7 luglio 1969, n. 2507 -Pres. Albanese -Est. Aliotta -P. M. Caristo (conf.) -Ascenza e Ortesi (avv. Piarulli) c. Ferrovie dello Stato (avv. Stato Gentile). Responsabilit� civile -Passaggi a livello su strade private -Custodia da parte del privato utente -Responsabilit� civile. (1. 30 giugno 1906, n. 272, art. 10). Allorquando l'Amminist�razione delle FF.SS. abbia affidato la custodia di passaggi a livello su strq.de private agli utenti, a norma dell'art. 10 le�gge 30 giugno 1906, n. 272, incombe su costoro la conseguente responsabiiit� sia nei confronti dei terzi che della stessa Amministrazione, la quale re�sta esonerata da ogni obbligo al riguardo (1). (Omissis). -Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando la violazione dell'art. 2 r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687 sostengono che, anche ammesso che la convenzione fosse ancora operante al momento del sinistro, l'Amministrazione delle FF.SS. sarebbe responsabile egualmente per non avere adottato le misure atte a prevenire i sinistri e per non avere imposto all'impresa l'obbligo di una vigilanza qualificata del passaggio a livello. Senonch�, com'� chiaro, l'indicata norma � applicabile soltanto quando non vi sia stato affidamento della custodia del passaggio a livello a privati, come si � invece nella specie verificata ai sensi dell'art. 10 legge 30 giugno 1906, n. 272. In proposito si rileva che tale disposizione, com'� stato gi� ritenuto da questa Corte (sentenze 9 luglio 1957, n. 2725 e 15 febbraio 1952, n. 398), avendo dato facolt� alla Amministrazione delle FF.SS. di affidare ai privati utenti la custodia dei passaggi a livello su strade private, ne ha attribuito la relativa responsabilit� agli stessi, esonerando con ci� l'Amministra (1) Cfr. Cass. 15 marzo 1952, n. 398, Giur. Cass. civ., 1952, I, 222 con nota di AL10TTA; cfr. altresl Cass. 1966, n. 1176, Foro it., 1966, I, 1018, con la quale � stato ribadito il concetto che quando l'Amministrazione faccia uso del suo potere discrezionale ed affidi la custodia del p.l. con chiusura di chiavi al privato utente, si determina in costui l'obbligo giuridico di farne uso e di custodire la chiave con la dovuta diligenza, per impedirne che altri ne facciano uso. In dottrina, per un profilo penale della responsabilit� conseguente all'omessa custodia cfr. GIANCASPRO, In tema di responsabilit� dell'utente d�i un p.l. privato, Giust. pen., 1954, II, 456; ZuccARINI, Attraversamento di p.l. privato e responsabilit� del concessionario, Riv. pen., 1955, II, 182. ~ �LlfflH@flli'MMMrfifa{fffllifftlilli!ftfif;fffffM~ITffi@NmrnmrnITfffilillrfillffifilllmf:iffmfmffllitill!fffif@ffffffi&Effi@i[�~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 827 zione. Dispone infatti l'art. 10 succitato che � i passaggi a livello privati possono essere muniti di chiusura con chiave, da tenersi in consegna dall'utente sotto sua responsabilit� �. Orbene deve ritenersi che con tale norma non si.sia voluto soltanto affermare la responsabilit� dell'utente per la custodia del pass;:iggio a livello nei confronti dell'Amministrazione delle FF.SS., ma anche e soprattutto di fronte ai terzi, restandone quest'ultima in conseguenza esonerata. Al che non osta la lettera della legge che non distingue tra responsabilit� nei confronti dell'Amministrazione delle FF.SS. e di fronte ai terzi, poich� la ratio cui si � ispirato il Legislatore � quella di liberare I'Amministrazione stessa da un obbligo di custodia che diverrebbe altrimenti oltremodo gravoso e difficile. In sostanza l'Amministrazione delle FF.SS., anche in relazione all'obbligo impostole dall'art. 229 legge 30 marzo 1865, all. F, n. 2248 di � ristabilire in convenienti condizioni di comodit� e sicur�zza, a proprie spese, tutte le comunicazioni pubbliche e private, che dalle opere della sua impresa rimanessero interrotte �, nonch� dal citato art. 2 r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687, ha avvertito l'estrema difficolt� di _organizzare la custodia dei passaggi a livello su strade private a mezzo del personale dipendente, e perci� il Legislatore le ha attribuito la facolt� di affidarne la custodia ai privati utenti, con il correlativo esonero di responsabilit� dell'Amministrazione stessa. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 luglio 1969, n. 2645 -Pres. Stella Richter -Est. Iannuzzi -P. M. Cutrupia (conf.) -Cassa per il Mezzogiorno (avv. Stato Tracanna) c. Servillo Luigi ed aitri (avv. Corrias). Espropriazione per p. u. -Bene indiviso -Indennit� di espropriazione -Carattere unitario. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51 comma 2� Espropriazione per p. u. -Bene indiviso -Opposizione giudiziale all'indennit� -Comunicabilit� degli effetti ai comproprietari tardivi opponenti. (1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51 comma 3�). Attesa la sua natura unitaria, l'indennit� di espropriazione, relativa a bene in�liviso, non � suscettibile di due autonome valutazioni, entrambe a carattere definitivo (1). (1-2) Il giudizio di opposizione alla indennit� di esproprio e natura del relativo termine. La natura perentoria del termine di gg. 30, successivi alla notifica del decreto di espropriazione, previsto dall'art. 51 della relativa legge 828 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'opposizione aUa stima dei periti, proposta nei termini di legge solo da taluno dei comproprietari di un bene indiviso dispiega i suoi effetti anche nei confronti degli altri, tardivi opponenti (2). (Omissis). -Con il primo mezzo i ricorrenti, lamentando la vio lazione e falsa applicazione dell'art. 51 della legge 2�5 giugno 1865, n. 2359 e dell'art. 102 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., nonch� all'art. 360, n. 5 .cod. proc. civ. per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, si dolgono che la Corte d'appello abbia ritenuto inammissibile l'opposizione alla stima da loro proposta oltre il termine di trenta giorni dalla notifica del decreto di espropriazione, nonostante che altri comproprietari avessero impugnato nei termini il decreto medesimo. Trattandosi di fondo comune ed indiviso, per la cui espropriazione era stata offerta e depositata un'unica indennit�, la tempestiva opposizione proposta da alcuni comproprietari avrebbe prodotto i suoi effetti anche nei confronti degli altri. ;:: Inoltre, dovendosi il decreto del Prefetto equiparare ad una sentenza, l'impugnazione proposta da taluno degli interessati legittimerebbe all'impugnazione anche le parti per le quali il termine sia decorso. Infine l'unicit� dell'indennit� di espropriazione per uno stesso fondo, farebbe sussistere un'ipotesi di litinsconsorzio necessario. Il mezzo � fondato. organica -desumibile peraltro dallo stesso testo legisl!'!tivo (v., art. 54, comma ultimo) -ha avuto, come � noto, il riconoscimento pacifico della giurisprudenza (v. tra l'altro: Tribunale Messina 25 febbraio 1963, Giur. sic., 1965, 235; App. Bari, 18 giugno 1958, Corte Bari, Lecce e Potenza, 1958, 225 e, incidentalmente Cass., 24 giugno 1959, Riv. giur. ed., 1959, 1, 540). La dottrina ne ha identificato la ratio nel proposito del legislatore di non lasciare a :lungo incerto l'ammontare �dell'indennit� di esproprio (v. P. CARUGNO, L'espropriazione per p.u., VI ed., 366). Situazioni peculiari peraltro, hanno esercitato come una funzione di ,spinta sull'enunciato principio, anche se in via indiretta. � recepito, ormai pacificamente dalla giurisprudenza, che tutti, ancorch� tardivamente, possono far valere in via riconvenzionale le proprie istanze in ordine alla determinazione dell'indennit� con l'unico limite temporale imposto dalla legge processuale all'introduzione, nel processo, di domande riconvenizonali (v. Cass., 20 gennaio 1965, n. 111 e per ultimo Corte Cass., Sez. I, 20 luglio 1968, n. 2402, in questa Rassegna, 1968, I, 592). � .parso, cio�, �che non possa esservi '1a preclusione del termine nell'ambito di una lite che, pur nella contrapposizione delle richieste, � sostanzialmente unica, in quanto tendente alla determinazione del � giusto indennizzo� (v. RossANO, L'espropriazione per p.u., 298). � stato evidenziato anche come sia principio essenziale nella subietta materia, sotto il profilo processuale, che l'impugnativa proposta da uno dei soggetti del rapporto faccia venir meno il carattere vincolante della PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 829 La Corte del merito, partendo dalla premessa che il decreto di espropriazione produce il trasferimento della propriet� del bene espropriato, indipendentemente dalla sua notificazione e la conversione del diritto di propriet� dell'espropriato in un diritto di credito, ha ritenuto che, nel caso in cui il bene espropriando appartenga in regime di comunione a pi� persone, il decreto di espropriazione abbia anche l'effetto di far cessare il regime di c.omunione, attribuendo a ciascun partecipante alla comunione medesima, il diritto di credito ad una corrispondente quota di indennit�. Da ci� deriverebbe � la non comunicabilit� dell'opposizione alla stima validamente proposta da uno dei co;munisti, agli altri�. La questione che viene sottoposta all'esame di questa Corte, consiste, adunque, nello stabilire, se, nel caso di espropriazione di un bene indiviso, l'opposizione alla stima proposta da taluno dei partecipanti alla comunione spieghi i suoi effetti anche nei confronti de,i comunisti non opponenti, oppure se per questi ultimi, limitatamente alle loro quote di compropriet�, diventi definitiva la proporzionale parte dell'indennit� determinata dai periti. La questione non � stata prima d'ora decisa da questa Corte e su di essa la dottrina � divisa; ma questa Corte ritiene che si debba seguire la tesi pi� favorevole ai comproprietari espropriati. � noto che la legge fondamentale sulle espropriazioni (legge 25 giugno 1865, n. 2359) prevede un complesso procedimento articolantesi stima fiscale, onde non � a parlarsi di decadenza nei confronti del convenuto che agisca in via riconvenzionale (v. P. CARUGNO, Op. cit., 371; SABBATINI, Commento alla legge espropriaziome per p.u., vol. II, 88, 109, 115). Sulla scia delle rpronunzie riportate, oltre che dalla mentovata dottrina, il Supremo Collegio, con la sentenza che si annota, supera da altra via la pur conclamata anelasticit� dell'indkato termine affermando in sostanza che l'opposizione alla ,stima, pr0<posta tempestivamente da alcuni soltanto dei comproprietari di un bene indiviso, dispiega i suoi effetti anche a favore degli altri, dal momento che la richiesta perequazione del pretium va valutata in rapporto alfintero bene ablato, ivi comprendendo quindi anche le quote dei comunisti, tardivi opponenti. La ;pronunzia, ancorch� �caratterizzata dalle esigenze della specie sottoposta all'esame del Supremo Collegio, in cui l'elemento termine assurgeva a posizione di rilievo, incide su tutta una problematica attinente alla configurazione del diritto all'indennit� ed � suscettibile di implicazioni ulteriori in relazione all'imprevedibile variet� del commercio giuridico, sia in terxnini processuali che sostanziali. Il convincimento dei giudicanti � sorretto da ampia disaxnina che, come dkevasi, attiene alla caratterizzazione dell'indennit�, con riferimento altresi ai vari momenti del procedimento espropriativo. Presi in considerazione i diversi sistexni adottati dalla legge organica per il conseguimento della stima definitiva dell'immobile -accettazione dell'indennit� offerta (art. 25 e segg.), o, gradatamente, acquiescenza alla stima giudiziale (art. 31 ss.) o infine deterxninazione giudiziaria ex art. 51 5 .> .> 830 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I I @in varie fasi e, in sostanza, tre successivi modi di determinazione dell'indennit�. Il primo � rimesso alla libera valutazione dell'espropriante, il quale (art. 24), unitamente al piano particolareggiato d'esecuzione dell'opera, deve far compilare l'elenco dei proprietari dei beni da espropriare, con l'indicazione del prezzo offerto. In questo caso la legge (art. 25) richiede per l'accettazione dei proprietari, che essi ne abbiano fatto espressa dichiarazione per iscritto. Nel caso�.di mancata accettazione, la legge -ispirata al principio dell'indennit� preventiva -prescrive una determinazione di questa a carattere provvisorio, in una maniera pi� obiettiva, corrispondente del resto al suo sistema di consentire l'espropriazione del bene dietro pagamento del suo valore venale. E questo nuovo accertamento � demandato ai periti nominati dal Tribunale -come si legge nella relazione alla legge -e affinch� la perizia che determinava l'indennit� dovuta, prima ,di procedere all'occupazione dei beni caduti in esproprio, abbia per tutti valore <fi perizia giudiziale e siano cosi rese di pi� facile risoluzione le future contestazioni �. Sul suo valore di perizia giudiziale �, del resto, concorde anche la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 3 giugno 1963, n. 1483; 18 aprile 1962, n. 753; 14 luglio 1941, n. 2140; 9 luglio 1935, n. 2399). La stima dei periti, quindi, � priva di un proprio valore imperativo, n� lo acquista per effetto del decreto del prefetto, che pronuncia l'espropriazione e che non ha alcun potere dispositivo in ordine alla -le Sez,. Un. hanno attribuito valore basilare al princ1:p10 della definitivit� -oggettiva (dell'intero pretium), in contrapposto alla definitivit� soggettiva (limitata ad alcuni proprietari soltanto e segnatamente ai non opponenti). � sembrato, cio�, che non si potesse ipotizzare, perch� incompatibile, una difforme valutazione -pro quota -deHo stesso bene, in dipendenza del diverso comportamento dei comunisti nell'ambito del :procedimento espropriativo. A �conforto dell'enunciato principio, come si vede nella motivazione sopra riportata, si � richiamato il testo dell'art. 51, comma ultimo, l� dove detta: �l'indennit� (non le indennit�) si avr� definitivamente �stabilita ... , ecc; l'art. 39 che fa riferimento al valore venale del bene, unitariamente inteso; l'art. 834 e.e. che parla di indennit� giusta (id est uguale); gli ultimi portati della giurisprudenza costituzionale inconciliabili, secondo l'assunto dei giudicanti, con la valutazione errata della quota del solo non opponente; le .caratteristiche della procedura di svincolo dell'indennit� che, non consentendone J.a riscossione � pro quota � ne postula l'uguaglianza nei confronti dei comproprietari singoli �. Pare, peraltro, che l'esattezza delle singole proposizioni nella loro enunciazione di base non esima da un riscontro ed anzi lo renda necessario, al fine di acclarare se o fino a quale punto esse siano conciliabili con disuguaglianze retributive nell'ambito del gruppo dei contitolari del diritto di propriet�, come pur si � sostenuto in sentenza. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 831 .indennit�. La detta stima, adunque, d� una valutazione provvisoria del valore oggettivo del bene; ma, appunto per il carattere di provvisoriet�, essa non pone necessariamente termine al procedimento espropriativo; ma rappresenta solo la parte terminale della fase che si conclude con il decreto di espropriazione e con il trasferimento all'espropriante della propriet� del bene espropriato. Questo principio di determinazione provvisoria fu ben chiaro fin dalle prime applicazioni della legge ed � alla base dell'indirizzo giurisprudenziale divenuto costante, che, pur nel silenzio della legge, riconosce anche all'espropriante la facolt� di non accettare la stima (Cass. 29 gennaio 1966, n. 346; 9 luglio 1965, n. 1427; 7 maggio 1935, n. 1660; 30 luglio 1931, n. 3393). Perch� venga emesso il decreto di espropriazione � indispensabile che sia effettuato il deposito della somma indicata dai periti, perch� sulla somma si trasferisce il diritto reale degli espropriati, ai quali -contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza impugnata -non residue un diritto di credito al pagamento dell'indennit�, beni;;i un diritto reale. Il decreto di espropriazione, infatti, incide sull'oggetto, ma non sulla natura del diritto. Nel caso di compropriet� indivisa del bene, la comunione permane sull'indennit� fino al momento in cui questa sar� divenuta definitiva e Una valutazione critka della pronunzia non pu� prescindere dall'identificazione delle strutture portanti della costruzione, che sembra debbano ravvisarsi nei punti che seguono: A) Unicit� o indivisibilit� dell'indennizzo. -L'accezione di tale fenomeno nella sentenza esula per eccesso da quella, recepita in dottrina, di trasferimento delle ragioni di terzi -gi� titolari di iura in re aliena sul valore sostitutivo della cosa, rappresentato dall'indennit� (art. 52) (v. RossANO, op. cit., 170, e, per quanto utile, Cass., 30 settembre 1955, n. 2734). Si � cio� al di l� della peculiarit� del ,fenomeno che, in relazione alle esigenze pubblicistiche in giuoco, ha di mira soltanto fa confluenza sul prezzo dei vari diritti ,che gi� ,esistevano sulla cosa, onde la medesima possa pervenire nel patrimonio dell'espropriante libera da ogni peso, vincolo o limitazione e possa adempiere cosi con speditezza alle finalit� che ne imposero la sottrazione ai privati. Il punto fatto proprio dal Supremo Collegio va per� valutato in chiave critica: � bene infatti indagare se e fino a qual punto, pur nell'indiscriminazione ed unitariet� di fondo, il sistema normativo della legge organica non abbia inteso enucleare e tutelare autonomamente rapporti ed interessi specifici. E poich� in ogni costruzione dommatica l'eccezione ne evidenzia la caducit�, va pur ricordato che il combinato disposto degli artt. 51 e 54 postula, per espresso dettato legislativo, la possibilit� di una diversa determinazione dell'indennizzo rispetto ai singoli interessati: ipotizza, invero, 832 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ne sar� stato disposto lo svincolo dall'Autorit� giudiziaria sulla base dell'accordo delle parti o in ragione dei diritti degli espropriati. E :t;>er il carattere dell'unicit� dell'indennit� le quote dei singoli comproprietari sono soggette a variare col variare della misura dell'indennit�, dovendo essere commisurate all'indennit� definitiva e non a quella provvisoria. La legge prevede, adunque, che l'indennit� debba essere definitiva e ci� pu� avvenire o con la mancata impugnazione della stima da parte di tutti i soggetti del procedimento espropriativo (nel qual caso diventa .�' definitiva proprio l'indennit� indicata dai periti) o con la sentenza det giudice ed � questo il terzo modo d determinazione dell'indennit� e l'unico che abbia valore imperativo per essere contenuto in un prov vedimento del giudice. La tesi della resistente che per taluno dei comproprietari l'inden nit� provvisoria diventi definitiva, mentre per altri cada di fronte alla nuova valutazione fatta dal Tribunale, di guisa che lo stesso bene, in relazione al medesimo diritto sia oggetto di due diverse valutazioni, entrambe a carattere definitivo, non pu� essere condivisa. Essa contrasta innanzi tutto con la lettera della legge. Infatti, l'ultimo comma dell'art. 51, prevedendo che �l'indennit� si avr� definitivamente stabilita nella somma risultante dalla perizia > trascorso il termine di trenta giorni �senza che sia stato proposto reclamo dinanzi ai Tribunali contro la stima� non prevede una defi che il valore in esame rpossa avere assunto carattere di definitivit� e sia quindi insuscettibile di maggiorazioni per il proprietario espropriato, che non abbia proposto orpposizione, e non anche per i titolari di diritti reali sull'immobile, cui compete, a tal uopo, un'iniziativa processuale che ha un diverso termine di decorrenza. Pu� naturalmente verificarsi anche il contrario. Gi� il Supremo Collegio ebbe, sul punto, a statuire nei seguenti termini: � N� si dica che, divenuta definitiva l'indennit� nei confronti degli aventi diritto di cui all'art. 54, non sia possibile, per l'unicit� e l'indivisibilit� del diritto su cui � basata la facolt� dell'espropriante di promuovere l'orpposizione, che l'indennit� sia stabilita in misura diversa nei confronti dell'espropriato. � Gi� innanzitutto la possibilit� di una diversa determinazione della indennit� risulta evidente sia dalla formulazione dell'art. 54, in cui � detto che, decorso il termine senza che gli aventi diritto abbiano proposto richiamo, l'indennit� si avr� anche rispetto ad essi, definitivamente stabilita nella somma derpositata, sia e molto pi� dal fatto che l'eventuale acquiescenza di questi non vincola l'espropriato� (v. Cass., 30 luglio 1930, n ..... in Nuova riv., Appalti, 1931, I, 443; v. altres� CARUGNO, op. cit. 360). Ora, la Suprema Corte regolatrice non pare abbia trovato agevole sistemazione dell'ipotesi prospettata nell'ambito della costruzione adottata nella sentenza in esame: ci si trova indubbiamente in presenza di un dato considerato anomalo, che per�, come dicevasi, rappresenta in terminj razionali, una smentita della tesi riportata in sentenza. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 833 nitivit� soggettiva (limitata ai soli proprietari non opponenti); ma una definitivit� oggettiva (dell'indennit� come tale), per cui il reclamo di uno dei comproprietari impedisce alla stima provvisoria di diventare definitiva e riporta in discussione il tutto. Ad una definitivit� dell'indennit� solo per alcuni comunisti e non per altri � di ostacolo anche il concetto di unicit� e indivisibilit� dell'indennit�, la quale sostituisce il bene con l'equivalente pecuniario (secondo la legge fondamentale) e deve essere unica per tutti, di guisa che su di essa -come gi� detto -si trasferiscono per legge tutti i diritti reali e le azioni relative al bene espropriato. La tradizionale ratio della legge, la quale tende a consentire la espropriazione con il minor danno poss:ibile dell'espropriato, ed ha fissato l'indennit� nel valore venale del bene, cio� nel suo equivalente economico, non consente certo che il bene possa aver per alcuni compropritari espropriati un valore economico inferiore, a tutto vantaggio dell'espropriante; e ad analoga considerazione si perviene se anzich� la legge fondamentale si tenga presente il codice civile, .il quale, nell'art. 834, ripetendo sostanzialmente il contenuto dell'art. 438 cod. civ. del 1865, consente l'espropriazione dei beni dei privati per ragioni di pubblico interesse dietro pagamento di una giusta indennit�, dato che nel concetto di giustizia � insito quello di uguaglianza. E la con-. elusione non pu� essere diversa neppure alla luce dell'interpretazione pi� evoluta attribuita all'istituto dalla giurisprudenza costituzionale, B) Il secondo punto che va vaiutato in chiave critica e che si presenta strettamente correlato al primo dianzi delucidato, � �costituito dalla affermazione delle Sez. Un., secondo cui agli espropriati non residua un diritto di credito al pagamento dell'indennit�, bensi un diritto reale, si che il decreto di esproprio inciderebbe sull'oggetto e non sulla natura del diritto. Nel caso di compropriet� indivisa del bene, viene poi raffigurata l'esistenza di� uno stato di comunione che si protrae fino al conseguimento dell'indennit� definitiva e che si presenta inconciliabile con un trattamento differenziato degli interessati quoad pretium. Tale proposizione non appare del tutto esatta. Invero l'aspetto pi� appariscente dell'intera questione � il seguente: in virt� della pronunzia del decreto di esproprio, ed indipendentemente dalla sua notifica, il diritto dominicale ed i diritti parziali si convertono � ipso iure � nel diritto sull'indennit�, onde la riparazione si attua non con la reintegrazione in forma specifica, ma con la prestazione dell'equivalente (Cass., 5 agosto 1963, n. 2195; Cass., 7 maggio 1965, n. 836; Cass., 26 giugno 1963, n. 1735; Cass., 7 maggio 1965, n. 836). Ci 1si trova cio� innanzi ad un'immutazione nell'oggetto del rapporto -sostituzione di un valore alla cosa -che postma il sorgere di una realt� fenomenica diversa (v. SANTORO PASSARELLI, Dottrina generale del� diritto civile, 80). Sorge invero un rapporto giuridico nuovo che si diversifica dal precedente da cui deriva, ancorch� adempia in forma sostitutiva alla funzione 834 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la quale, pur ammettendo che non sempre � possibile riconoscere allo espropriato il valore commerciale del bene, ha ritenuto la possibilit� di valutazioni inferiori solo per motivi di interesse pubblico. Allorch�, quindi, l'interesse pubblico non sia pi� in discussione e, trattandosi di esproprazione di un bene indiviso, a seguito dell'opposizione di uno dei comunisti, venga riconosciuto dal giudice che l'indennit�, unica per tutti, indicata dai periti in via provvisoria, non corrisponde al valore del bene, cosi come previsto dalla legge, il voler far sussistere la valutazione errata nei confronti del non opponente, non trova alcuna giustificazione nell'interesse pubblico. Il principio che ciascun comunista ha, in definitiva, diritto ad una quota dell'indennit� � esatto, ma deve essere rapportato all'indennit� definitiva e il sistema della legge, anche in base alle modalit� di pagamento, che non consentono, di regola, una riscossione pro quota dell'indennit� � tale da escludere che nei confronti dei contitolari del medesimo diritto dominicale, possano essere liquidate indennit� calcolate su valori diversi. Impropriamente, inoltre, anche nei confronti dell'unico proprietario opponente si parla di � supplemento � di indennit�, in quanto specifica del primo. Fenomeno questo definito dalla dottrina oltre che come derivazione di un rapporto da un altro, � lato sensu ., come surrogazione reale o successione (vedansi le fattiSPecie legali di cui agli artt. 535, com.ma secondo, 170 comma primo, 183, 187, 189, 1017 e.e.) (SANTORO PAsSARELLI, op. cit., 89). Occorre tuttavia non discostarsi dalla regolamentazione concreta degli istituti. Come � noto, il nostro sistema � caratterizzato dall'indennit� preventiva, il �Che vuol dire che solo la sua legale predeterminazione integra uno degl iestremi della fattiSPecie legale �che sono indiSPensabili affinch� possa diSPorsi il 1sacrificio del diritto di propriet� (v. Cass., 25 febbraio 1967, n. 431). Il provvedimento ablativo determina cio� un'immutazione nell'oggetto del diritto -pretium succedit in locum rei -quindi gli interessati continuano a vantare nei confronti dei consociati indistintamente considerati un diritto assoluto, in quanto il pretium~ ancorch� depositato e soggetto alla nota disciplina di svincolo, appartiene a loro al di fuori dell'intermediazione dei terzi. Vi � cio� un r�apporto di inerenza tra valore depositato e soggetti. Recita, infatti, l'art. 49 legge organica: �il deposito della indennit� si considera fatto � per conto � dei proprietari espropriati ., ergo, si appartiene a �Costoro dallo stesso momento in cui l'espropriante perde la diSPonibilit� della somma depositata (v. Cass., 27 maggio 1963, n. 1389). La situazione si mantiene conforme nell'alternativa prevista dallo stesso articolo, caratterizzata dall'autorizzazione al pagamento diretto dell'indennizzo, atteso che la pronunzia del decreto di eSProprio � legittima solo previa presentazione al prefetto dei titoli giustificanti �l'avvenuto pagamento. PARTE J, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 835 PARTE J, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 835 l'indennit� stabilita in via definitiva dal giudice prende il posto di quella in,dicata dai periti in via provvisoria nella sua interezza e non per la sola differenza, si da far nascere l'illazione che si tratti di due indennit�, laddove l'indennit� � unica. La difesa della resistente, specialmente nella discussione orale, ha particolarmente insistito sul richiamo all'art. 54 della legge per in ferirne la possibilit� di una diversit� dell'indennit� definitiva nei con fronti dei vari comunisti; ma il richiamo non � decisivo. L'art. 54, com'� noto, consente anche ai soggetti che e hanno ra gione da esperire sull'indennit� � e che non essendo proprietari sono rimasti estranei al processo espropriativo, di proporre �reclamo � av verso l'indennit� liquidata dai periti e siccome a tali soggetti non viene notificato il decreto di espropriazione, il termine decorre dalla pub blicazione del decreto medesimo nel giornale degli avvisi giudiziari della provincia. Dal contenuto dell'ultimo comma dell'articolo, secondo cui � scorso .il suddetto termine senza che siasi proposto reclamo l'indennit~ si avr� anche rispetto ad essi definitivamente stabilita nella somma depo sitata � si � arguito da alcuni che vi possa essere un'indennit� defini- Sostanzialmente difforme � invece quando, come nel caso di specie, � stata proposta 'l'opposizione ex art. 51, in quanto l'interessato o gli interessati, in termini ,concreti, mirano alla consecuzione di un supplemento di valore, intendono ottenere un quid pluris. , Ci� :per� si concretizza e attualizza soltanto tramite un fatto imprescindibile: la dazione dell'utilit� residua da parte dell'espropriante obbligato, ancorch� ci� avvenga -per esigenza di sistema -in seguito ed a mezzo della pronunzia del magistrato. In altri termini, la soddisfazione che l'ordinamento attribuisce all'opponente non � pi� conseguibile per atto proprio, in dipendenza dell'effettiva disponibilit� dell'oggetto del proprio diritto, ma tramite la prestazione del soggetto passivo, ancorch� necessitata da pronunzia giudiziale (v. BARBERO, Sistema istituzionale di diritto privato italiano, 3� ed., vol. II, 9). Pare quindi che, contrariamente al convincimento dei giudicanti, si versi squisitamente nell'ipotesi di un diritto personale o di credito, strut turalmente difforme dal diritto reale. Se le cose, come a noi sembra, sono nei termini dianzi prospettati, riteniamo che venga a mancare la ragione prima della comunicabilit� degli effetti in capo aU'intero gruppo dei proprietari pro quota. Vi �, in altri termini, un limite al regime comunitario, avente a suo oggetto originariamente un bene e successivamente un valore. Tale tl.imite vien posto in essere nel momento in cui, avanzandosi la richiesta di un'utilit� maggiore in termini economici, si postula di necessit� il ocrrelato comportamento del soggetto passivo, atto a soddisfare tale pretesa. � solo nell'ambito di tale configurazione che va indagato se esista oppure no un vincolo che, nell'accomunare tutti gli aventi diritto in un, unico trattamento, estenda indifferenziatamente all'intero gruppo gli effetti 836 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tiva per il proprietario e non per coloro che vantino altri diritti sul bene e viceversa. Da autorevole dottrina si � peraltro giustamente posto l'accento sulla portata della congiunzione e anche �, la quale presuppone necessariamente che l'indennit� sia gi� diventata definitiva per il proprietario espropriato, laddove non autorizza a ritenere che in mancanza di tale definitivit� per la tempestiva opposizione proposta dal proprietario o da taluno dei comproprietari interessati, l'indennit� provvisoria possa diventare definitiva per gli altri aventi diritto, se nel frattempo sia avvenuta la pubblicazione ed essi non abbiano fatto separata opposizione. Qualunque sia, comunque, la soluzione che voglia darsi alla questione -che � diversa da quella in esame -� evidente che la soluzione prospettata dalla difesa della resistente, in quanto costituente sostanzialmente eccezione alla regola fondamentale dell'indennit� unica -perch� comportante le possibilit� di corrispondere un'indennit� suppletiva al titolare di altro diritto, indennit� su cui nessun altro potrebbe accampare pretese nella divisione finale -non pu� assurgere a regola generale per risolvere il diverso caso di pi� compropritari del bene indiviso, rientranti tutti, come tali, nella previsione dell'art. 51 e aventi ciascuno il medesimo diritto degli altri pro quota. di una statuizione favorevole, H che vuol dire che, in caso affermativo, la posizione autonoma di ogni concreditore verrebbe ad essere influenzata e condizionata in senso positivo dalle iniziative di uno dei proprietari comunisti. ' Va a questo punto rilevato che costituisce principio dei diritti di credito che ognuno ne possa disporre nei limiti dell'appartenenza (argomentato dagli artt. 1173 e segg. cod. civ.). Dalla rigorosit� di tale enunciazione pu� decamparsi soltanto quando sia dato ravvisare un'obbligazione solidale dal lato attivo o un'obbligazione indivisibile. Alla configurazione del secondo tipo di obbligazione costituisce ostacolo insuperabile il considerare che nella fattispecie legale in esame, la prestazione ha a suo oggetto cosa squisitamente suscettibile di divisione come � l'obbligazione di corrispondere una somma di denaro. N�, in un campo sottratto alla determinazione dei soggetti interessati quale � un trasferimento coattivo, � lecita la supposizione di un'intenzione delle parti in un senso invece che in un altro (art. 1316 e.e.) Cass., 18 maggio 1954, n. 1588; Cass., 31 ottobre 1957, n. 4224). N�, avendo presente il procedimento di svincolo dell'indennizzo, alcuno degli aventi diritto pu� agire da solo per il soddisfacimento dell'intero credito (artt. 55 e 56). E ci� � p'feclusivo del pari dell'esistenza di un'obbligazione sia indivisibile (art. 1319 e.e.) che solidale dal lato attivo (art. 1292 e.e.). N�, infine, difformemente dalla disctplina di queste ultime, � conferita 1:::1j al debitore la facolt� di pagare, a sua scelta, l'intero all'uno o all'altro (art. 1292 e.e.), con efficacia. liberatoria. r'' ,I:~:~ -< �: j j <:' ~t?L~1Et5E'42".'iPJl'ffZ'2i7'".:C::S:42".'.l't~;1'.'42".Jlf'.~0;~~ dei creditori in oslido PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 837 Questo principio del carattere provvisorio dell'indennit� e della sua non vincolativit� per nessuno, allorch� sia impugnata da talilno degli espropriati od anche dell'espropriante � del resto, presente nella costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ha sempre riconosciuto a ciascun soggetto del rapporto espropriativo la possibilit� di impugnare la liquidazione, anche dopo la decorrenza del termine, qualora l'altra parte abbia proposto tempestiva impugnazione (Cass. 10 luglio 1968, n. 2402; 15 maggio 1940, n. 1580). La circostanza, poi, che � da respingere ogni equiparazione tra decreto. di espropriazione e sentenza e l'assenza di valore imperativo nella stima dei periti, non consentono di riportare il suddetto principio dell'opposizione tardiva al regime delle impugnazioni tardive. Si rende necessario, pertanto, procedere a nuovo esame della causa e la Corte d'appello di rinvio, che si determina nella Corte d'appello di Roma, alla luce di quanto sopra esposto, si atterr� al seguente principio di diritto: � Allorch� nell'espropriazione di un bene indiviso solo taluno dei comproprietari faccia opposizione alla stima dei periti nel termine di legge, gli altri comproprietari -ancorch� per essi sia decorso il termine -possono impugnare a loro volta la stima, la quale sar� determinata dal �giudice in rapporto al bene e non alla singola quota del comunista, che abbia proposto impugnazione nel� termine �. -(Omissis). In definitiva, quindi, anche se yi sono pi� soggetti dal lato attivo, il credito � ripartito tra i medesimi in ragion.e della quota che compete ad ognuno di essi (obbligazione parziaria, v. BARBERO, op. cit., vol. II 13). Tale proposizione, trasfusa in termini processuali, sta ad indicare che non � configurabile, nell'economia di ogni soggetto singolo, il conseguimento dell'utilit� -rappresentata nella specie dalla perequazione del corrispettivo -se non per il mezzo del rimedio ad hoc approntato dalla leg.ge: occorre pertanto rimenarsi alla previsione della fattispecie legale che, in sede di regolamentazione dell'opposizione ex art. 51, pone come elemento imprescindibile l'osservanza del noto termine. (Precedenti molto scarsi: nel senso qui esposto, vedasi in giurisprudenza: Appello Messina, 9 novembre 1957, Giur. sic., 1958, 232; Trib. Napoli, 8 luglio 1967, Arch. resp. civ., 1968, 611; in dottrina, RossANo, op. cit., 298; contra: Tribunale Messina, 18 giugno 1962, Giur. sic., 1963, 245). La mancata osservanza di esso trae seco, ineluttabilmente la decadenza che non pu� trovare indiretta sanatoria nelle tempestive iniziative processuali prese da altro cointeressato. Sembra quindi che la ocstruzione dommatica adottata dal Supremo Colilegio consegua ad una visione del fenomeno che non tiene conto della configurazione positiva dell'istituto. Ci si augura qu�ndi che un ulteriore, pi� profondo esame della materia affronti compiutamente le questioni dibattute nella presente nota le quali, allo stato, non pare abbiano trovato tranquillate soluzione. :,. SICONOLFI RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 27 agosto 1969, n. 3047 -Pres. Laporta -Est. Gabrieli -P. M. Caristo (diff.) -D'Agostino (avv. Inganci) c. Ferrovie dello Stato (avv. Stato Gentile). Trasporto -Trasporto di persone sulle ferrovie dello Stato -Danni al via~~iatore -Responsabilit� -Anormalit� del servizio ferro viario -Concetto. (Condizioni e tariffe per il trasporto di persone sulle F.S. approvate con d.1. 11 ottobre 1934, n. 1948, art. 11, par. 4�; r.d.1. 31 gennaio 1873, n. 1687, art. 2). Il concetto di anormalitd del servizio ferroviario, da cui discende la responsabilitd dell'Amm.ne delle Ferrovie dello Stato per i danni alla persona del viaggiatore, le quante volte vi sia un nesso eziologico tra danno ed anormalitd e quest'ultima non sia cagionata da fortuito o -da causa estranea all'Amministrazione, si identifica in una deviazione all'ordinato' e regolare svolgimento del servizio stesso ricollegabile ad un fatto concernente, nella sua obbiettivitd lo stato del materiale o il funzionamento dei mezzi ovvero l'attivitd del personale in contrasto con norme regolamentari o di comune prudenza (1). (Omissis). -Dispone l'art. 11, ricordato dal ricorrente, delle Con dizioni e tariffe per i trasporti delle persone ne�le ferrovie che, se il viaggiatore subisca un danno nella persona in conseguenza di anorma lit� verificatesi nell'esercizio ferroviario, l'Amministrazione ne risponde, a meno che provi che l'anormalit� � avvenuta per caso fortuito o forza maggiore. Discende da tale norma il principio, sul quale la giurisprudenza di questa Corte � consolidata, che I'Amministrazione ferroviaria ri sponde dei danni alla persona del viaggiatore, qualora questi dimostri (1) Il princLpio enunciato in sentenza � conforme ad una giurisprudenza che rpu� considerarsi ormai pacifica. Cfr. Cass. 22 maggio 1959, numero 1549; 13 maggio 1964, n. 1145, in questa Rassegna, 1964, I, 718: 18 maggio 1966, n. 1279; 18 ottobre 1966, n. 2503, ivi, 1961, I, 67. Nelle singole fattispecie tuttavia non sempre risulta rettamente appli cato e bene spesso si pongono a carico dell'Amministrazione anche le con seguenze di mere accidentalit� del trasporto, che non attengono a devia zioni dal regolare svolgimento di esso ma discendono piuttosto da~la na tura stessa del complesso servizio, in cui � insita una obbiettiva perico losit�, in vista della quale � fatto appunto specifico obbligo al viaggiatore (art. 2 lett. b delle Condizioni e Tariffe) di adoperare tutte le necessarie precauzioni ed a vigilare alla sicurezza ed incolumit� della sua persona. Di contro, nello stabilire il fondamento ed i limiti della colpa dell'Amministrazione, nel suo peculiare aspetto di anormalit� dell'esercizio ferroviario, non pu� prescindersi dal considerare che costituendo l'attivit� mm1ii1111\!!!illi!!'ll!"~!:1:11�r::�!:;:~::~~1'~~~ ~. . ~ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 839 l'anormalit� del servizio ed il nesso di causalit� tra detta anormalit� e l'evento dannoso; in conseguenza di che diviene operativa la presunzione di colpa stabilita a carico dell'azienda vettrice, la quale, per liberarsene, deve provare che l'anormalit� sia dipesa da fortuito o da colpa esclusiva �del danneggiato o di un terzo, o che comunque non possa esserle imputata. Giova anche ricordare che il concetto di anormalit� del servizio si concreta in un fatto costituente una deviazione rispetto all'ordinato e regolare svolgimento del servizio stesso; e tale fatto, pur essendo ricollegabile a cause varie, quali lo stato del materiale, il funzionamento dei mezzi adoperati e l'attivit� del personale addetto, contraria alle norme regolamentari o alle regole di comune prudenza, ai fini dell'applicazione della norma sopra citata, deve essere considerato unicamente nella sua obiettivit�. I predetti principi risultano nella specie esattamente osservati, e il ricorrente non pu� certo dolersi in questa sede se il giudice del merito, raffrontando alla stregua di essi la fattispecie concreta di danno con la fattispecie legale della responsabilit� del vettore ferroviario, ha escluso la presenza nella materialit� dei fatti accertati, di quella anormalit� del servizio che costituisce, come dianzi si � ricordato, l'elemento caratterizzante della responsabilit� delle Ferrovie. Codesto accertamento, essendo il concreto risultato della valutazione delle prove, sulla quale il giudice ha adeguatamente motivato~ con piena osservanza delle regole della logica e del diritto, si sottrae al sindacato di legittimit�, che a questa Suprema Corte � riservato. Esclusa, secondo quanto li giudice del merito ha stabilito, la esistenza, come anormalit� del servizio, del fatto che il danneggiato imputava alle Ferrovie, senza per� darne dimostrazione, di essersi cio� il treno �rimesso improvvisamente in movimento, con le porte aperte, dopo che gi� si era fermato, il ricorrente non pu� neppure fondata- dei trasporti l'adempimento di un pubblico servizio, la condotta delle Ferrovie � informata a criteri obbiettivi, come risultano da leggi, regolamenti, ordini di servizio, istruzioni ecc., mediante i quali essa viene disciplinata in vista del generale interesse che impone, nell'ambito dei mezzi a disposizione, che i trasporti a mezzo ferroviario siano assicurati, con la maggiore estensione consentita, attraverso una discrezionale valutazione delle mutevoli esigenze. Del pari sotto il profilo dell'art. 2 del regolamento di polizia e sicurezza di cui al r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687, che contiene uno specifico richiamo al pi� generale principio del neminem laedere, la anormalit� del servizio, come violazione delle cautele suggerite dalla scienza e della pratica, postula che sia identificata la specifica imprudenza o negligenza nella condotta dell'Amministrazione, da vagliarsi in presenza del dovere istituzionale di assicurare l'espletamento del servizio. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente sostenere che ad escludere l'anormalit� del servizio abbia influito nella specie la mancata osservanza da parte del giudice delle istruzioni impartite dalla stessa Amministrazione per il servizio del personale di scorta ai treni. In particolare, il ricorrente lamenta che il giudice non abbia riconosciuto alle dette istruzioni valore di norme giuridiche, e che comunque non abbia egli motivato nell'affermare che esse non avevano alcuna rilevanza ai fini della questione controversa. La doglianza, anche in questo suo specifico contenuto, non pu� essere accolta. Se � vero, infatti, che nel negare valore alle dette norme interne, che sono espressione del potere regolamentare di autorganizzazione spettante alla Amministrazione, il giudice ne abbia indiscriminatamente escluso la efficacia -ed omesso quindi di considerare che quanto meno esse valevano come norme giuridiche nei confronti del personale cui erano dirette, e che pur avrebbero potuto� essere utilizzate ai fini di qualificare le inosservanze di esse nelle quali il personale fosse incorso -, � per� certo che egli ha esattamente deciso per la parte nella quale ha escluso che esse costituissero fonte di diritti subiettivi per il viaggiatore, mentre ha del pari rettamente giustificato il rilievo che esse non avevano importanza ai fini del decidere, quando, con motivazione che a torto il ricorrente lamenta come inadeguata, si � richiamato alla mancata prova, da parte del ricorrente, della circostanza, che sola avrebbe potuto condurre alla questione, della improvvisa ripresa del movimento del treno, dopo la fermata. Pertanto, pur dovendosi riconoscere che le dette istruziol}.i derivano la propria ragion di essere dalla norma generale dettata dall'art. 2 del regolamento approvato con r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687, la quale stabilendo che nell'esercizio delle ferrovie si debbono prendere tutte le misure ed usare tutte le cautele suggerite dalla scienza e dalla pratica per prevenire ed evitare qualunque sinistro -fissa un limite al potere discrezionale dell'Amministrazione ferroviaria, e cosi le impone, in applicazione del pi� generale principio del neminem laedere, di uniformarsi nell'esercizio delle linee ferrate alla comune prudenza, al fine di evitare danni alla persona del viaggiatore, -� per� certo che, nella specie, degli effetti che da codeste J!Orme potevano discendere, non era a farsi questione, dal momento che non si era verificato il prsupposto di fatto che, in relazione alle ragioni addotte dal viaggiatore infortunato, ne avrebbe giustificato l'applicazione. Pu� anzi soggiungersi che, dovendosi, secondo l'incensurabile accer tamento del giudice del merito, l'evento attribuire unicamente all'im prudenza del viaggiatore, che distrattamente e con errato movimento, scese dal treno non ancora fermo, vale in favore dell'Amministrazione la norma che ne tutela la irresponsabilit� per i casi in cui il viaggia PARTE I, SEZ. Il!, GIURISPRUDENZA CIVILE 841 tore, omettendo di vigilare, per quanto da lui dipende, alla sicurezza ed incolumit� della sua persona, salga o scenda dalla vettura, o ne apra le porte, quando il treno � in moto (d.d. 13 dicembre 1956, n. 2171; 7 dicembre 1929, n. 1366; 31 ottobre 1873, n. 1687). -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, ~ez. III, 27 agosto 1969, n. 3049 -Pres. De Santis -Est. Russo -P. M. Gentile (conf.) -Cositore (avv. Tirelli) c. Ministero Difesa-Esercito (avv. Stato Gargiulo). Responsabilit� civile -Fatto costituente reato -Poteri del giudice civile -Risarcimento danni -Prescrizione -Amnistia. -Decorren~a. (e.e., art. 2947, comma 3�). Rientra nei poteri del giudice civile, al fine di determinare il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito, di dichiarare se questo � in astratto � costituisca reato nonch� di individuarne le eventuali cause estintive, attesa la logica correlazione tra i due accertamenti. Pertanto, nell'ipotesi di reato amnistiabile, il termine di prescrizione di tale diritto decorre dalla data di entrata in vigore del decreto di amnistia e non da quella del provvedimento giudiziario, che ha natura ed efficacia di accertamento con effetti ex tunc (1). (1) Il princ1p10 affermato � conforme ad una giurisprudenza ormai costante, per la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da reato estinto per amnistia, o per altra causa diversa dalla prescrizione penale, decorre dalla data di estinzione del reato e non da quella della declaratoria giudiziale; da ultimo cfr. Cass., 10 ottobre 1967, n. 2373. Tale principio non trova invece applicazione allorch� vi sia stata costituzione di parte civile, alla quale si riconosce efficacia di atto con cui ha inizio un giudizio di cognizione, perocch� in tal caso 'l'efficacia interruttiva dell'atto di costituzione di p.c. permane fino al passaggio in giudicato della sentenza, a norma degli artt. 2943, 2945 e.e.; cfr. Oass., 10 giugno 1968, n. 1829; 29 luglio 19tl5, n. 2401; contra tuttavia Cass., 21 ottobre 1954, n. 3979. Per la pi� specifica ipotesi in cui, successivamente alla costituzione di p.c., il procedimento penale sia definito mediante decreto, cfr. Cass., 6 agosto 1965, n. 1880, Foro it., 1966, I, 310. Per l'altra, relativa a reato perseguibile a querela di parte, cfr. Cass., 8 novembre 1965, n. 2329 con nota di MAND�, in questa Rassegna, 1966, I, 89. Ove il reato sia dichiarato estinto per amni,stia a seguito di modifica di rubrica, il decorso della pre,scrizione ha inizio dalla data della sentenza irrevocabile in quanto, in tal caso, la estinzione trova la sua ragione e la sua base nena sentenza, .che ha ricondotto il reato nell'ambito del beneficio di clemenza. Cfr. Cass., 10 ottobre 1967, n. 2373, Giust. civ., 1968, I, 902; Cass., 16 maggio 1958, n. 1586. 842 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso il Cositore, denunzlando Ja violazione degli artt. 2947, secondo comma, 2697, e.e. e 115 c.p.c., deduce che non essendo stata mai iniziata azione penale nei confronti del responsabile delle lesioni e non essendo stato mai pronunziato provvedimento di estinzione del reato per amnistia, doveva applicarsi, nella specie, non la prescrizione biennale, ma quella quinquennale prevista per il reato di lesioni colpose, e che, in ogni caso, quando per l'accertamento dell'estinzione del reato, al giudice penale si sostituisce il giudice civile, questo deve conoscere del rapporto processuale penale in tutta la sua totalit� e quindi deve anche indagare di ufficio sull'applicabilit� o meno in concreto dell'amnistia. Il motivo � infondato. La sentenza impugnata, dopo avere affermato che il fatto illecito posto a base della responsabilit� dell'amministrazione convenuta integrava gli estremi del reato di lesioni colpose previsto dall'art. 590 c.p., per il quale era applicabile, ai sensi dell'art. 157 stesso codice, la prescrizione invocata dall'attore di cinque anni, rilevava che successivamente al fatto era intervenuto il decreto 5 aprile 1944, n. 96, col quale era stata concessa una amnistia che comprendeva il reato in discussione e che, in conseguenza, estintosi il reato, la prescrizione applicabile al diritto al risarcimento era quella biennale, ai sensi del combinato disposto del secondo e terzo comma dell'art. 2947 e.e., decorrente dalla data del provvedimento di clemenza, anche se l'estinzione del reato non era stata pronunziata dal giudice penale per non essere mai stata iniziata la relativa azione, ma era stata accertata dal giudice civile nel giudizio di risarcimento del danno. Aggiungeva che la detta prescrizione, nella specie, era largamente trascorsa, e che in ogni caso incombeva al Cositore di fornire la prova di un fatto impeditivo, in virt� del quale la normale esplicazione dell'atto, normalmente idoneo a produrre l'estinzione del reato, non si fosse verificata nel caso concreto. Orbene, cosi giudicando, la Corte di merito ha esattamente appli cato il principio costantemente affermato da questo S.C. (da ultimo Cass. 27 maggio 1964, n. 1302), secondo il quale, ove il fatto illecito generatore del danno sia considerato dalla legge come reato, la pre scrizione del diritto al risarcimento decorre, in caso di estinzione del reato per amnistia, dal giorno di entrata in vigore del decreto con il quale l'amnistia � stata concessa e non dal provvedimento giudiziario di applicazione del beneficio, e ci� anche quando, alla data di pubbli cazione del decreto di concessione dell'amnistia, l'azione penale non sia stata iniziata. Infatti, la sussistenza del provvedimento di applica zione dell'amnistia non ha alcuna influenza sull'estinzione del reato, perch� questa consegue unicamente ed immediatamente dalla causa li~ . r wvz~z�rtVffiYTm��:ttt?"l'�'~;;:;::;ga7;m.$iBWW~.�J PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 843 estintiva (art. 183 c.p.) ed il provvedimento del giudke ha natura ed efficacia di accertamento con effetti ex tunc. N� � esatt'o l'assunto del ricorrente che il giudice civile, per accertare l'estinzione del reato per amnistia, debba esaminare di ufficio se ricorrano le condizioni subbietive richieste dalla legge affinch� la causa estintiva operi in concreto, perch�, come � stato gi� ritenuto (Cass. 12 febbraio 1960, n. 219), se il giudice civile, al fine specifico della determinazione del termine di prescrizione ai sensi dell'art. 2947 e.e., pu� dichiarare che il fatto generatore del danno costituisce � in astratto > reato, � evidente che deve adeguarsi al medesimo criterio nell'individu�zione ed applicazione delle cause estintive del reato, attesa la correlazione logica dei due accertamenti, senza richiedere la prova concreta dell'applicazione del beneficio, ove l'estinzione siasi verificata per intervenuta amnistia. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 ottobre 1969, n. 3211 -Pres. Stella Richter -Est. Geri -P. M. Pascalini (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Savarese) c. Societ� Industrie Vernici Italiane (avv.ti Biamonti e De Dominicis). Costituzione della Repubblica -Decreto legge 23 ottobre 1964, n. 989 sulla disciplina fiscale dei prodotti petroliferi -Conversione Emendamenti abrogativi -Efficacia ex tunc. (Cost., art. 77; l. 18 dicembre 1964, n. 1350). GZi emendamenti abrogativi contenuti nella legge di conversione hanno, al pari del rifiuto di conversione in legge del provvedimento governativo, efficacia retroattiva alla data di emanazione del decreto legge, onde non � dovuta l'imposta di fabbricazione sulle miscele di idrocarburi stabilita dalla disposizione di cui all'art. 1, comma terzo, lett. e) del d.Z. 23 ottobre 1964, n. 989, soppressa in sede di conversione dalla legge 16 dicembre 1964, n. 1350 (1). (Omissis). -L'Amministrazione finanziaria ricorrente sostiene, nel primo mezzo, che mentre la mancata conversione � in toto > del decreto legge ha affetto � ex tunc � quella relativa -ad una singola dispo (1) Questione di indubbia rilevanza, la cui soluzione � fonte di notevoli contrasti in dottrina e giuri.sprudenza. In senso contrario alla sentenza che si annota cfr. Appello Venezia, 28 marzo 1969, Finanze c. Soc. Vetrocoke, retro, I, 256. In dottrina cfr. CRISAFULLI, In tema di legge di conversione, in Foro it., 1942, III, 5; ESPOSITO, Emendamenti ai decreti legge, Giur. cost., 1956, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO s1z10ne, la quale ne risulti quindi soppressa, ha efficacia � ex nunc �. Ne conseguirebbe, con specifico riferimento alla fattispecie, che il tributo riscosso � medio tempore � sarebbe stato regolarmente percepito e non potrebbe quindi essere rimborsato al contribuente. La .ragione di ci� dovrebbe essere ricercata nel concetto che soltanto l'integrale rifiuto di conversione comporterebbe la perdita di efficacia fin dall'origine dell'atto non convertito, in quanto l'introduzione di emendamento modificativi . o soppressivi sarebbe ricollegabile con la volont� di conversione dell'atto, comportando l'operativit� della norma modificativa o abrogativa soltanto dalla entrata in vigore della legge di conversione cio� � ex nunc �. Il mezzo � destituito di fondamento. Sebbene l'Amministrazione ricorrente riconosca che il rifiuto di conversione in toto del decreto ha efficacia retroattiva, travolgente l'atto fin dall'origine, � il caso di individuarne l'intima ragione giustificativa, dalla quale si possa poi trarre validi argomenti sul problema specifico che si agita in causa, quello cio� relativo al momento di operativit� degli emendamenti soppressivi. L'art. 77 della Costituzione � stato formulato pur dopo una sua travagliata gestazione, in manifesta antitesi al precedente sistema incardinato sul r.d. 3 gennaio 1926, n. 100, che, attribuendo al Governo il potere di emanare norme giuridic;he aventi forza di legge, conferiva alla mancata conversione integrale o parziale del d.l. effetti ex mmc. Non avrebbe potuto essere altrimenti, nel soppresso sistema, nel quale l'atto del governo si formava fin dall'origine, come un provvedimento legislativo fornito d'efficacia normativa al pari delle leggi emanate dal Parlamento. Conferire, in detto sistema, al rifiuto di conversione efficacia abrogativa ex tunc sarebbe apparso intimamente con 189; VIRGA, Diritto costituzionale, 1961; PALADIN, Fatti e questioni relativi alla conversione di decreti-legge, Giur. cost., 1960. Al riguardo vale ricordare che se il progetto della Commissione dei 75 taceva del tutto dei decreti-legge, l'Assemblea ritenne invece che la Costituzione non potesse ignorarli in quanto, in casi straordtnari ed eccezionali, ben potevano rispondere ad una inderogabile necessit�. Sicch� accolti nel nostro sistema Costituzionale, che ne detta una compiuta disciplina �con l'art. 77, sembrerebbe logico doversene inferire, ove i presupposti della necessit� ed urgenza per una tale straordinaria assunzione di potest� .legislativa da parte del Governo siano stati riconosciuti sussistenti dal Parlamento, la piena �efficacia legislativa delle disposizioni adottate dal momento della emanazione del provvedimento a quello della decisione delle Camere. Cfr. altres� CERETI, Diritto costituzionale, 1966, 510. Sulla nozione di necessit�, come fonte autonoma di diritto cfr. MoRTATI, Ist. di diritto pubblico, 1967, voi. I, 279; voi. II, 591 e segg. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 845 traddittorio, una volta riconosciuta una pari dignit� legislativa alle leggi ed al decreto-legge. La Costituzione vigente, pur ammettendo che in casi straordinari di necessit� e di urgenza il Governo �possa adottare� (non gi� � emanare �) sotto la sua responsabilit�, provvedimenti provvisori con forza di legge, ha chiaramente negato all'esecutivo ogni potere legiferante, rigorosamente riservandolo alle due camere quale loro tipica ed insostituibile funzione. Ecco perch� detti provvedimenti sono qualificati come provvisori, del tutto subordinati alla volont� degli organi legislativi. La provvisoriet� implica un concetto di ripristino della situazione quo ante, se l'atto non venga convertito, cio� se il �provvisorio � non si trasformi, mediante il suo assorbimento nella legge di conversione, in definitivo. La diversa disciplina appena illustrata dell'uno e dell'altro sistema I investe ovviamente sia l'atto, inteso nella sua unitariet�, sia il suo contenuto, cosicch� mentre il decreto -legge secondo il precedente I ordinamento, aveva nel suo insieme ed in ogni singola sua disposizione un valore normativo tendenzialmente permanente e stabile, mal I Ii grado la sua subordinazione alla conversione parlamentare, appunto perch� nasceva come legge originariamente perfetta, lo stesso invece, nell'ordinamento vigente, ha carattere provvisorio e precario, non ha la dignit� di una fonte normativa, ed acquista valore giuridico nel suo insieme ed in ogni sua particolare disposizione soltanto se venga convertito, perch� soltanto la conversione � idonea a conferirgli la dignit� ed il valore di un atto legislativo. Nel primo sistema il Governo era investito del potere di emanare norme giuridiche, nel secondo invece ne � del tutto privo, nel primo per conseguenza il decreto corrisponde ad una legge, nel secondo invece ad un provvedimento di fatto originariamente viziato, finch� non sia stato legittixnato dall'organo investito del potere legislativo mediante la legge di conversione. Queste generali considerazioni, rigorosamente� aderenti alla mens costituzionale secondo l'esegesi storica e letterale della norma (art. 77 della Costituzione), consentono di cogliere l'inconsistenza del rilievo, peraltro assai acuto dell'Amministrazione, secondo cui l'emendamento soppressivo, essendo pur sempre ricollegabile alla volont� di conversione da parte del legislatore, dovrebbe necessariamente avere un effetto ex nunc postoch� il decreto nel suo insieme sopravvive in virt� della legge di conversione. Se, al contrario, si consideri che l'atto, in ogni sua norma, nasce provvisorio, precario e viziato, finch� il potere legislativo non Io faccia in tutto in parte proprio, conferendogli carattere di legalit� retroattivamente cio� fin dall'origine mediante una specie di sanatoria e quindi 6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO trasformandolo in atto validamente normativo, consegue che le parti non convertite restano invalide fin dalla prima adozione dell'atto stesso, non avendo potuto conseguire il crisma della legittimit�. Diversa era invece la situazione secondo il precedente ordinamento, appunto perch�, come gi� si � detto, il decreto nella sua interezza e quindi ogni sua disposizione, singolarmente considerata, aveva di fatto e di diritto indole legislativa, che restava ferma finch� in sede di conversione non fosse intervenuto un emendamento abrogativo. Data la diversa natura del provvedimento, nei due ordinamenti, e quindi di ogni singola sua disposizione, l'emendamento abrogativo non pu� non avere, nei riguardi della disposizione medesima che lo stesso effetto proprio del totale rifiuto di converione nei riguardi del decreto complessivamente ed unitariamnte considerato. E come prima la conversione o la mancata conversione totale o parziale avevano sempre effetto ex nunc cosi ora le stesse hanno effetto ex tunc non consentendo la nascita, sul piano legislativo costituzionale, di una norma giuridica. Peraltro nessuna ragione logica consente una valida distinzione fra mancata conversione in toto del provvedimento, e mancata conversione di una qualche sua parte, postoch� le disposizioni non convertite, sia nell'un caso che nell'altro, si trovano su una base di assoluta parit� quanto al loro provvisorio valore originario. Anzi da tale punto di vista questo primo motivo del ricorso si rivela intimamente contraddittorio, ammettendo da un lato l'efficacia ex tunc del rifiuto integrale di conversione e negandola al rifiuto parziale che pure sono concettualmente e qualitativamente identici, anche se quantitativamente diversi. Si pu� dunque concludere che l'emendamento soppressivo di un decreto -il quale ai sensi dell'art. 77 della Costituzione non � e legge � in senso tecnico finch� non venga convertito appunto perch� adottato da un organo del tutto privo del potere iegislativo -toglie alle disposizioni soppresse ogni ragione di sussistenza fin dall'origine, non avendo le stesse acquistato quel crisma di legalit� suscettibile di conferire loro valore di legge. Una indiretta, ma significativa conferma di questa opinione, proviene proprio dall'ultima parte del terzo comma dell'art. 77 della Costituzione, dove � previsto che le Camere hanno il potere di regolare con leggi i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Poich� ben possono sorgere rapporti giuridici anche in base a singole disposizioni non convertite di un decreto-legge nel resto convertito, � ovvio che pure in detta ipotesi le Camere abbiano il potere di regolare, in modo autonomo, detti rapporti. Ci� per� denunzia l'inidoneit� medio tempore, delle disposizioni non convertite a disciplinare i rapporti stessi. Il che non, dovrebbe in linea di massima e di norma PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 847 lit�, verificarsi, se il decreto, provenendo da un organo munito di potere legislativo, avesse carattere (e non solo forza) di legge fin dall'origine. Nel secondo mezzo si censura, in via subordinata, la denunziata sentenza per aver escluso che il legislatore, in sede di conversione, siasi avvalso della possibilit� di regolare i rapporti sorti sulla base della parte non convertita del decreto. In altri termini la Corte di merito avrebbe dovuto ritenere che la mancata soppressione degli art. 7 ed 8 del decreto, i quali contenevano disposizioni regolamentari procedurali ed accertative esclusivamente riguardanti il tributo soppresso, non costituiva una svista del legislatore, ma realizzava la disciplina intertemporale dei rapporti di cui sopra, implicando anche in base al senso dei lavori preparatori, l'efficacia -medio tempore della norma non convertita. Anche questo motivo, che pure trova appiglio nei lavori parlamentari, � destituito di fondamento. Gli artt. 7 ed 8 del d.1. 23 ottobre 1964, n. 989 stabilivano l'obbligo di denunzia entro certi termini da parte dei detentori del prodotto, che alla lett. e del III comma dell'art. 1 era stato assoggettato al tributo soppresso in sede di conversione, e prevedevano quindi una pena _pecuniaria a carico degli inadempienti. Al momento della conversione, che era stata negata per il tributo di cui alla predetta lett. e), venne proposto anche il rifiuto di conversione o la soppressione di detti articoli ma il rappresentante del governo vi si oppose, considerando che la norma non convertita fosse rimasta valida medio tempore, e quindi le disposizioni da sopprimere conservassero una loro utile funzione. In base a queste osservazioni l'emendamento fu ritirato e gli artt. 7 ed 8 del decreto risultarono quindi convertiti, pur non essendo stata convertita l'espressa previsione del tributo (lett. e, III comma, art. 1). Tutto ci�, secondo l'Amministrazione ricorrente, starebbe a dimostrare la sopravvivenza intertemporale della norma soppressa per espressa volont� del legislatore. In contrario si osserva invece che l'esercizio da parte delle Camere, del potere di regolare i rapporti sorti in base alla disposizione non convertita, si da poterne ritenere -medio tempore -la sopravvivenza, deve essere esplicito e non opinabile e dar vita a positive e precise norme regolatrici, dalle quali la volont� legislativa circa l'efficacia intertemporale della norma non convertita risulti chiara e non equivoca. Non gi� che essa possa desumersi indirettamente dalla mancata soppressione di norme divenute superflue. Ci� postulano la ratio e la stessa lettera della norma costituzionale (ultima parte del III comma dell'art. 77) e soprattutto l'esigenza logica di una autonoma disciplina di rapporti ormai rimasti privi di ogni particolare e specifica loro regolamentazione. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 848 Per quanto riguarda i lavori parlamentari, si deve osservare che la sopravvivenza degli artt. 7 ed 8 del d.l. meramente strumentali rispetto al tributo soppresso, non pu� essere interpretata in senso anticostituzionale. E tale sicuramente sarebbe quello di conferire, senza altre precisazioni l~gislative, efficacia ex nunc ad un emendamento meramente soppressivo. Ci� in base alle considerazioni gi� illustrate a proposito del primo motivo del ricorso. Non essendo dunque certamente valida la personale manifestazione di volont� di taluni rappresentanti del potere legislativo di mantenere in vigore gli artt. 7 ed 8 del d.l. in contrario manifesto con gli effetti retroattivi della mancata conversione parziale del decreto stesso, secondo il dettao costituzionale, anche questo secondo mezzo deve essere rigettato. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 ottobre 1969, n. 3452 -Pres. Rossano -Est. Alibrandi -P. M. Pedace (conf.) -Assessorato LL.PP. della Regione Siciliana (avv. Stato Gargiulo) c. Comune di Messina (avv. Silvestri) e D'Andrea (avv. Nicol�). Procedimento civile -Legitimatio ad causam -Nozione -Titolarit� del rapporto dedotto in giudizio -Questione attinente a~ merito della controversia -Deducibilit� in Cassazione -Limiti. (c.p.c., artt. 81, 99, 100). Espropriazione per p. u. -Legge regionale siciliana 21 aprile 1953, n. 30 -Indennit� di esproprio -Criteri di determinazione -Deroga al principio generale di riferimento al giusto prezzo dell'immobile alla data del decreto di esproprio -Non sussiste. (1. reg. sic. 21 aprile 1953, n. 30, artt. 10, 26, 29; L. 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 39, 49). Espropriazione per p. u. -Occupazione preventiva -Delegazione amministrativa intersoggettiva -Concetto -Ente delegato -Legittimazione passiva. Epropriazione per p. u. -Indennit� di esproprio -Liquidazione -Conclusioni del consulente tecnico di Ufficio -Poteri del giudice di merito -Valutazione -Difformit� -Incensurabilit� -Limiti. (c.p.c., artt. 116, 195). La legittimatio ad causam, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del �processo, si risolve nella titolarit� del potere-dovere (rispettivamente per la legittimazione attiva e passiva) di promuovere o di subire il giudizio concernente il rapporto giuridico sostanziale dedotto PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 849 e si distingue dalla effettiva titolarit� del diritto controverso, che, costituendo una questione di merito, non pu� formare oggetto di esame in Cassazione ove non sia stata formulata specifica impugnativa in appello (1). La determinazione dell'indennit� di espropriazione in base alla disciplina della legge regionale siciliana 21 aprile 1953, n. 30 non deroga al criterio generale stabilito dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359 sull'espropriazione per p.u. e pertanto la relativa liquidazione va ragguagliata, sulla base del valore venale dell'immobile alla data di approvazione del progetto e senza tener conto degli incrementi di valore specificati dalla legge, al giusto prezzo del medesimo alla data del decreto di esproprio (2). La delegazione amministrativa intersoggettiva costituisce un pecu. liare istituto di diritto pubblico per il quale l'Ente delegante, competente in via primaria a provvedere su di una determinata materia, conferisce in via autoritativa ed unilaterale all'Ente delegato una competenza de1�ivata in ordine alla medesima materia. In conseguenza, nei limiti della d�legazione quest'ultimo resta -investito del relativo potere a provvedere ed � pertanto direttamente responsabile nei confronti dei terzi per i relativi atti di esecuzione, a prescindere dall'eventuale ripercussione dei medesimi nella sfera, giuridica del delegante, cui sono riservate funzioni di controllo. (Fattispecie in tema di legittimazione passiva dell'ente delegato, nel giudizio concernente le obbligazioni derivanti dalla effettuata occupazione preventiva dell'immobile da espropriare nell'interesse del delegante (3). Rientra nei poteri del giudice di merito, d�ndo ragione delle fonti del suo convincimento, di discostarsi dalle conclusioni del consulente tecnico di ufficio, e la relativa pronuncia in ordine alla misura del (1) Sulla nozione di legittimazione ad agire, distinta dalla titolarit� del rapporto sostanziale dedotto in giudizio cfr. Sez. Un., 29 ottobre 1968, n. 3607 in questa Rassegna, 1968, I, 974; Cass., 11 aprile 1968, n. 1171 e 25 gennaio 1968, n. 233, in Foro it., 1968, I, 2950 con nota di richiami e riferimento di V. ANDRIOLI. In dottrina, �Cfr. altres� SATTA, Variazioni sulla legittimazione ad causam, Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, 638; GARBAGNATI, In tema di legittimazione ad agire, nota a Cass., 5 aprile 1966, n. 896, in Foro pad., 1966, I, 643. (2) Giurisprudenza pacifica, da ultimo cfr. Cass., 8 novembre 1968, n. 3702, in questa Rassegna, 1968, I, 986, con nota di richiami. (3) Cfr. Cass., 25 marzo 1966, n. 807, Foro it., 1966, I, 1906, con nota di riferimenti. In tema di delegazione amministrativa e sul problema della imputazione giuridica degli effetti dell'attivit� compiuta dal delegato cfr. altres� Cass., 31 gennaio 1968, n. 313, in �questa Rassegna 1968, I, 419 con nota di richiami. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 850 L'indennit� di esproprio � incensurabiie in Cassazione �ve ia Liquidazione sia conforme a Legge e sorretta da motivazione immune da vizi logici (4). (Omissis). -Con il primo motivo del ricorso principale, l'Assessorato ai lavori pubblici della R~gione siciliana denuncia la violazione della legge reg. sic. 21 aprile 1953, n. 30, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., per avere la Corte d'appello condannato l'Assessorato al pagamento della differenza dell'indennit� di espropriazione giudizialmente liquidata, nonch� all'indennit� di occupazione legittima ed illegittima, mentre obbligato a questi pagamenti � il Comune di Messina che aveva proceduto �all'occupazione dell'immobile e al quale era destinata l'opera pubblica. Sostiene, che legittimato passivamente rispetto alle domande dei D'Andrea � soltanto il Comun.e di Messina, onde � incorsa in errore la Corte del merito la quale, nel pronunciare la condanna di cui sopra, ha esteso la legittimazione passiva ad esso ricorrente. La censura � inammissibile. Invero, � da considerare preliminarmente che il Tribunale di Messina, disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, aveva condannato l'Assessorato, ente espropriante, al pagamento delle indennit� di espropriazione e pose solidalmente a carico dell'Assessorato e del Comune di Messina il pagamento delle indennit� relative all'occupazione temporanea. Contro tale statuizione l'Assessorato, con l'appello incidentale, impugn� la determinazione della misura dell'indennit� di espropriazione, di cui chiedeva una congrua riduzione, senza muovere alcuna doglianza in ordine alla ritenuta legittimazione passiva dell'Assessorato rispetto alle domande dei D'Andrea. Ora, poich� l'eccezione in� proposit� sollevata deve intendersi rinunziata da parte dell'Assessorato, non essendo stata riproposta espressamente in grado �di appello (art. 346 c.p.c.), essa non pu� formare oggetto di censura in questo giudizio di cassazione, secondo un principio pi� volte affermato da questa Corte Suprema (cfr. da ultimo sent. 14 dicembre 1968, n. 3982). La difesa del ricorrente principale, ha nella discussione orale, sostenuto che la censura non � tardiva perch� le questioni relative alla legittimazione ad causam sia attiva, sia passiva, possono essere rilevate, (4) Giurisprudenza pacifica. La valutazione da parte del giudice di merito delle risultanze della consulenza tecnica di Ufficio, non � suscettibile di sindacato in Cassazione, cfr. Cass., 27 luglio 1967, n. 1955, fermo tuttavia l'obbligo di motivare adeguatamente le ragioni del dissenso dalle risultanze della perizia di Ufficio; (cfr. Cass., 28 luglio 1967, n. 2008, Riv. dir. lav., 1968, II, 252), pur senz�a dover necessariamente confutarne tutte le argomentazioni, cfr. Cass., 21 febbraio 1968, n. 592. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 851 anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo. Ma tale assunto non pu� essere condiviso, perch� muove da una non esatta nozione della legitimatio a� causam. Questa, secondo un indirizzo accolto della Corte Suprema di recente ribadito in decisione adottata a Sezioni Unite (sent. 29 ottobre 1968, n. 3607), costituisce una condizione dell'azione intesa questa come il diritto potestativo non ad ottenere una sentenza favorevole, bensi come il diritto ad ottenere dal giudice una qualsiasi decisione di merito, sia essa favorevole o contraria. Essa, cio�, si risolve nella titolarit� del potere o del dovere (rispettivamente, per la legittimazione attiva e per quella passiva) di promuovere o di subire un giudizio, diretto alla pronuncia di una sentenza dichiarativa, costitutiva o di condanna su un rapporto giuridico di diritto sostanziale dedotto ad oggetto di controversia, indipendentemente dalla sussistenza e dalla titolarit� effettiva, attiva o passiva, del rapporto stesso (c.d. legittimazione in concreto). Devono, pertanto, ritenersi questioni di legittimazione a� causam soltanto quelle attinenti alla sussistenza di tale potere o dovere, distinte in quanto tali dalle questioni circa� la reale titolarit�, attiva o passiva, del rapporto sostanziale che forma oggetto della controversia, vale a dire dalla questione che concerne l'identificazione dei soggetti attivi o passivi del rapporto contenzfoso. In altri termini, l'esistenza dell'azione, intesa come diritto potestativo ad ottenere una qualsiasi decisione di merito, trovasi su un piano diverso da quello del diritto dedotto in giudizio, diversit� che viene in luce anche sotto ii profilo della pertinenza del diritto stesso ad un determinato soggettq. Nel caso di specie, la questione sollevata dalla ricorrente in prime cure e non riproposta in grado di appello, non concerne il diritto ad ottenere una qualsiasi sentenza di merito nei confronti dell'Assessorato ma riguarda invece l'individuazione in concreto nel suo aspetto soggettivo del rapporto contenzioso dedotto in giudizio, se, cio�, l'Assessorato sia titolare, in senso passivo, dell'accennato. rapporto. E quindi, questione che esula dalla categoria concettuale della legittimazione a� causam ma di questione attinente alla titolarit� passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, questione che concorre a fermare il merito della controversia. ! Ora, come ha di recente pronunciato questa Corte Suprema, proprio in materia di espropriazione per pubblica utilit�, la questione rela I tiva alla identificazione dei soggetti del rapporto sostanziale contro-i ! verso non costituisce questione di legittimit�, ma di merito, con la conseguenza che in ordine a tale questione ogni possibile riesame sul I i giudizio di cassazione resta precluso quando non sia stata: dedotta specifica doglianza in appello (sent. 6 novembre 1967, n. 2687). Con il secondo motivo, il ricorrente principale denuncia viola I zione e falsa applicazione degli artt. 10 e 26 della legge reg. sic. 21 I ! ! ' ' i 1 I 852 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO aprile 1953, n. 30, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. per avere la Corte d'appello ritenuto che l'indennit� di espropriazione debba essere liquidata con riferimento al giusto prezzo che l'immobile aveva alla data del decreto di espropriazione (20 giugno 1959) mentre l'indennit� deve liquidarsi con riguardo al valore che l'immobile aveva alla data del decreto di approvazione del piano per la costruzione della zona industriale di Messina (30 giugno 1955) a norma degli artt. 10 e 26 della legge reg. sic. n. 30 del 1953. Il motivo non � fondato. Questa Corte ha gi� avuto occasione pi� volte di affermare che la legge reg. sic. del 1953 soprarichiamata, non deroga al criterio fondamentale accolto, in tema di determinazione dell'indennit� di espropriazione della legge generale del 1865 (sent. 10 ottobre 1963, n. 2918; sent. 19 aprile 1966, n. 986 e sent. 3 marzo 1967, n. 492) e tuttora validi si ravvisano i motivi che presidiano il gi� affermato orientamento. Le disposizioni degli artt. 10, comma 2, e 26, comma 2, della legge reg. sic. n. 30 del 1953 sono del seguente tenore: art. 10 �Il prezzo di esproprio � calcolato in base al valore venale degli immobili da espropriare alla data del decreto di approvazione del progetto senza tener conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che indirettamente ai programmi di cui all'art. 3, alla previsione dei pro� getti e alla esecuzione delle opere �; il successivo art. 26: e Per le espropriazioni previste dai precedenti artt. 20 e 22 il prezzo di esproprio � calcolato in base alle norme di cui al secondo comma dell'art. 10 della presente legge � (l'art. 22 concerne le espropriazioni per la realizzazione delle zone industriali e, quindi, attiene alla fattispecie). Il contenuto dell'art. 10 non giustifica l'interpretazione prospettata dalla ricorrente, perch� occorre considerare il significato delle espressioni in relazione con quelle proprie del principio generale di cui all'art. 39 della legge fondamentale del 1865. L'art. 10 sopra riportato non ha affatto il significato sostenuto dal ricorrente, poich� l'espressione �valore venale degli immobili da espropriare alla data del decreto di approvazione del progetto senza tenere conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che indirettamente ai programmi di cui all'art. 3 alle previsioni dei progetti e alla esecuzione delle opere �, significa soltanto che a quella data deve valutarsi il valore venale dell'immobile, fatta astrazione da detti incrementi, ma non anche che alla data medesima deve calcolarsi l'indennit� di espropriazione. Il valore venale �; in tale espressione, considerato come base per calcolare l'indennit�, ma non come criterio legale di liquidazione. Che ci� sia esatto si desume dall'art. 42 della legge del 1865 il quale, nell'escludere dal calcolo della indennit� gli incrementi derivati dall'esecuzione dell'opera, del pari prevede la distinzione tra valore PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 853 del bene e calcolo dell'indennit�. Esso stabilisce infatti che � l'aumento di valore che dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilit� sarebbe derivato dalla parte del fondo compresa nella espropriazione, non pu� tenersi a calcolo per aumentare la indennit� dovuta al proprietario �. Sulla base di tale distinzione, che ha il suo razionale fondamento nella funzione stessa dell'indennit�, di corrispondere al valore del fondo nei limiti di legge, l'art. 39 della legge medesima stabilisce il criterio legale di liquidazione del valore venale. Ci� si ricollega al principio secondo cui la data del decreto prefettizio .di espropriazione, dalla quale la propriet� dei beni espropriati si trasferisce all'espropriazione (art. 50 legge n. 2359 del 1865), � il momento giuridico di determinazione dell'indennit�, mentre tutti gli atti anteriori hanno carattere preparatorio, costituendo altrettante fasi di un procedimento che va gradatamente completandosi e che si perfeziona solo al momento in cui si opera il trapasso della propriet� del bene oggetto di espropriazione. Osservasi, da ultimo, che per escludere la prospettata deroga a tale principio da parte della legislazione regionale siciliana, ulteriore conferma � dato trarre dall'art. 29 della legge del 1953, il quale dispone che per � La misura dell'indennit� si applica la legge 25 giugno 1865, n. 2359 e successive modificazioni �. Ora, secondo il significato proprio delle parole (art. 12 disp. sulla legge in generale) per misura dell'indennit� di espropriazione non pu� che intendersi il quantum dell'indennit� e i criteri per la sua determinazione, non certo il procedimento da seguire per tale determinazione. Il Comune di Messina con l'unico mezzo del suo ricorso incidentale, denunciando violazione e falsa applicazione dei principi relativi alla delegazione amministrativa, si duole che la Corte . d'appello lo abbia condannato, solidalmente con l'Assessorato ai lavori pubblici, al pagamento dell'indennit� per la occupazione biennale dell'immobile ed al risarcimento dei danni per l'ulteriore illegittima occupazione dello stesso immobile. Deduce il ricorrente incidenta~e che la Corte del merito, una volta riconosciuto che il Comune aveva agito in forza di delegazione amministrativa da parte della Regione, doveva porre a carico dell'Ente delegante le conseguenze dell'occupazione temporanea del fondo dei D'Andrea. La censura non � fondata. Il problema della natura del rapporto pubblicistico intercorso tra il Comune di Messina e la Regione, tramite l'Assessorato ai lavori pubblici, in riferimento all'occupazione temporanea del fondo poi espropriato, � stato ampliamente esaminato dalla Corte d'appello la quale ha tenuto presente l'attivit� svolta dal Comune che chiese ed ottenne a proprio nome sia il decreto prefettizio del 27 febbraio 1956 di occupazione temporanea, sia quello successivo di proroga del 5 febbraio 854 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1958, considerando altres� che il progetto era stato redatto in data 23 gennaio 1956 dall'Ufficio tecnico comunale ?i Messina e che con il decreto del 30 giugno 1956 l'Assessorato aveva approvato detto progetto ed aveva affidato la direzione dei lavori all'Ufficio tecnico comunale di Messina, sotto la vigilanza dell'Assessorato. In base a tale esame delle prove documentali la Corte del merito ha accertato che la situazione giuridica venuta a crearsi fra i due Enti � quella della delegazione amministrativa intersoggettiva, giudizio che si fonda su un apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimit�, perch� sorretto da adeguata motivazione, immune da errori logici e giuridici. N�, contrariamente a quanto assume il ricorrente incidentale, erro~ nee sono le conseguenze giuridiche ch,e la Corte d'appello ha tratto dall'accennato accertamento. Invece secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema (sent. 11 ottobre 1963, n. 2711; sent. 13 agosto 1964, n. 2307 e sent. 25 marzo 1966, n. 807) la delegazione amministrativa intersoggettiva costituisce un istituto peculiare del diritto pubblico, non assimilabile al mandato, con il quale un ente, investito in via primaria della competenza a provvedere in una determinata materia, conferisce, autoritativamente ed unilateralmente, ad altro ente una competenza derivata in ordine alla stessa materia e, di conseguenza, attribuisce a questo la legittimazione all'esercizio, entro i limiti fissati nell'atto di conferimento, di poteri e funzioni spettanti al delegante, si che l'ente delegato non opera come un organo, sa pure straordinario dell'ente delegante, ma � investito del potere di provvedere rispetto all'oggetto della delega in nome proprio, e non in veste di rappresentante dell'altro, pur se per conto e nell'interesse di questo. E in relazione alla delegazione � stato ritenuto che l'ente delegato � direttamente responsabile nei confronti dei terzi, degli atti posti in essere in esecuzione della delega, senza che possano avere rilevanza le eventuali ripercussioni degli atti stessi nel rapporto interno con il delegante e l'incidenza di questi nella sfera giuridica del medesimo. La Corte del merito, in conformit� a tale indirizzo, ha correttamente ritenuto che il Comune di Messina abbia agito in veste di soggetto attivo del rapporto di occupazione temporaneo eseguito a proprio nome anche se per conto e nell'interesse della Regione. E in proposito va ancora rilevato che nella delegazione intersoggettiva in particolare (che, a differenza di quella interorganica, la quale opera nell'ambito di uno stesso ente pubblico, interviene invece tra enti diversi) la legittimazione attribuita al delegato, all'esercizio di funzioni e poteri spettanti al delegante, deve essere giuridicamente qualificata in base alle nozioni pubblicistiche proprie della delegazione amministrativa. In realt�, detta� delegazione, importando una deroga (preventivamente consentita dalla legge) alle norme sulla competenza amministrativa, pone il delegato, nei limiti della delega e per la durata di essa, in una PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 855 condizione pari a quella del delegante, mentre, questi, a sua volta, viene a trovarsi rispetto agli atti di esecuzione della delega, nella posizione di soggetto investito di funzioni di controllo. Ci� importa che, di regola, salvo che l'atto di conferimento non disponga diversamente (circostanza esclusa, nel caso di specie, dalla Corte del merito con accertamento di fatto), il delegante � investito dei poteri di provvedere, rispetto all'oggetto della delega, in nome proprio. Da ci� consegue che l'ente delegato � direttamente responsabile nei confronti dei terzi (inclusi, tra questi, i proprietari dei fondi temporaneamente occupati in bas a delegazione amministrativa). Ci� posto niun dubbio pu� sorgere in ordine alla legittimazione passiva del comune di Messina, quale soggetto titolare dell'obbligo derivante dal rapporto di occupazione temporanea. I D'Andrea con i due mezzi del loro ricorso incidentale -i quali vanno esaminati congiuntamente, svolgendo censure connesse -denunziando omessa valutazione di circostanze decisive in ordine alla determinazione dell'indennit� di espropriazione, nonch� motivazione erronea, insufficiente e contraddittoria in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c. I ricorrenti incidentali lamentano, anzitutto, che la Corte del merito, abbia attribuito unico valore unitario al fondo espropriato, sebbene alcune parti fossero vicine a strada pubblica (via Taormina) e, quindi di valore pi� elevato rispetto a parti lontane dalla strada stessa. Deducono i D'Andrea che,, sul punto, la sentenza denunziata presenta difetto di motivazione, non essendo stata chiarita sufficientemente la ragione che ha indotto la Corte di appello ad allontanarsi dal criterio formulato dal consulente tecnico. Aggiungono che i giudici di merito, nel ridurre del dieci per cento il valore unitario attribuito al terreno, non hanno adeguatamente motivato in ordine al supposto incremento di valore dell'immobile espropriato che si sarebbe verificato tra la data del decreto di espropriazione (20 giugno 1959) e l'epoca in cui era stata redatta la relazione di consulenza tecnica (novembre 1961). Le censure non sono fondate. Esse devono essere esaminate in base alla premessa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema (sent. 14 dicembre 1962, n. 3352 e sent. 4 gennaio 1964, n. 6) la pronuncia del giudice di merito in ordine alla misura dell'indennit� di espropriazione � incensurabile in cassazione, se la liquidazione � compiuta in base a criteri conformi alla legge e se la pronuncia � sorretta da motivazione esente da vizi logici. Va anche premesso che il giudice del merito ben pu� distocarsi dalle conclusioni del consulente tecnico d'ufficio, dopo avere chiarito le ragioni de suo diverso convincimento con l'indicare, cio� gli errori che viziano il parere espresso dalla cons.lenza (Cass. 10 febbraio 1968, n. 333 e Cass. 21 febbraio 1968, n. 592). -(Omissis). SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 18 marzo 1969, n. 348 -Pres. Uccellatore -Est. Cuonzo -Montagnani (avv. Lessona) c. Ministero della pubblica istruzione (avv. Stato Gentile). Atto amministrativo -Eccesso di potere -Reghne probatorio dell'eccesso di potere nel procedhnento davanti al Consiglio di Stato Applicabilit� delle norme del processo ordinario -Valore probatorio delle presunzioni semplici. Impiego pubblico -Concorso -Concorso a cattedra universitaria Commissione giudicatrice -Membro della commissione che abbia collaborato alla redazione dell'opera presentata dal candidato - Incompabilit� -Non sussiste. Impiego pubblico -Concorso -Concorso a cattedra universitaria Norme consuete nei concorsi -Pubblico impiego -Non si applicano. Impiego pubblico -Concorso a cattedra universitaria -Titoli di va �:., lutazione -Libera docenza -Non ha valore preminente o assorbente. Nel processo amministrativo devono ritenersi applicabili, di regola, le norme proprie del processo ordinario, onde i fatti denunciati dal ricorrente come determinanti il vizio di eccesso di potere dell'atto ben possono essere riconosciuti esistenti quando ricorrano indizi gravi, precisi e concordanti (art. 2729 e.e.) (1). (1) La massima appare, concettualmente, in contrasto con la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato, la quale ritiene inammissibile, nel processo amministrativo, la prova testimoniale: cfr. ad esempio Sez. V, 13 giugno 1967, n. 654, Foro amm., 1967, I, 2, 862. Infatti, come � noto, nel processo civile, le presunzioni sempUci non possono essere ammesse nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni (art. 2729 e.e.): di qui l'una: o �la decisione che si annota ha implicitamente voluto riconoscere l'ammissibilit� della prova testimoniale, ed allora �, concettualmente, in contrasto con la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato; oppure ha ritenuto inapplicabile J.a norma di cui al citato art. 2729 e.e., ed allora si pone in contraddizione con il presupposto del ragionamento, e cio� con J.a riconosciuta applicabilit�, salvo eccezioni, delle norme proprie del processo ordinario anche di fronte al giudice amministrativo. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 857 La particolare natura del concorso universitario e la stessa dignit� della commissione giudicatrice permettono di consentire che di questa possano essere chiamati a far parte docenti che abbiano collaborato con candidati nella redazione di alcune delle pubblicazioni presentate da questi ultimi, senza che tale fatto, di pe'I' s�, determini una situazione di incompatibilit� dei componenti della commissione stessa, ovvero la illegittimit� del giudizio per la sua presunta mancanza di obbiettivit� (2). Nei concorsi universitari la natura del giudizio, ampiamente discrezionale, rimesso alla commissione giudicatrice non consente l'applicazione della maggior parte delle prescrizioni formali consuete nei concorsi per l'assunzione a pubblici impieghi, quali la predeterminazione dei criteri di massima, la suddivisione dei titoli in categorie e l'attribuzione dei coefficienti numerici a ciascuna di esse (3). Nei concorsi a cattedre universitarie il possesso della libera docenza, pur costituendo titolo di valutazione dei candidati, nessun valore preminente o assorbente, nei confronti degli altri titoli, assume, ai fini del giudizio finale e conclusivo della commissione giudicatrice (4). (Omissis). -Col primo motivo, si lamenta eccesso di potere, per sviamento, assumendo che, secondo quanto risulta negli ambienti accademici, uno dei ternati, nel concorso in questione, dovrebbe il suo successo alla minaccia di produrre, in sede di ricorsi giurisdizionali, dinanzi questo Consiglio, avverso altri tre concorsi universitari -(ricorsi, successivamente, rinunziati) -documenti compromettenti per i commissari, e, precisamente, preventivi accordi scritti, dei commissari stessi, sui candidati da ternare. All'uopo il Collegio osserva. Se, in astratto, non pu� contestarsi che le cause perturbatrici della libera determinazione di volont� degli organi amministrativi (e tra esse le ingiuste minacce possono acquistare rilievo, in questa sede, sotto il profilo dell'eccesso di potere per sviamento; se, del pari, quanto alla prova dei fatti, deve ammettersi, anche nel processo amministrativo, il valore probatorio riconosciuto dalle norme del processo ordinario (art. 2729 e.e.) alle presunzioni semplici, se � gravi, precise e concor (2-4) Su tali questioni, si veda, in senso conforme, Sez. VI, 22 novembre 1966, n. 889, Foro amm., 1966, I, 2, 1931, dove si afferma che nei concorsi a cattedre universitarie non occorre l'elencazione e l'esame particolareggiato dei titoli; Sez. VI, 22 giugno 1965, n. 474, ivi, 1965, I, 2, 909, secondo la quale in detti concorsi non occorre l'indicazione dei criteri di valutazione; Sez. VI, 28 luglio 1962, n. 539, ivi, I, 2, 243, che ha ritenuto non necessaria la predeterminazione dei criteri di massima. A. PALATIELLO 858 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO danti �; deve tuttavia subito aggiungersi che, nella specie, manca ogni elemento di prova, sia pure in via presuntiva, dei fatti costitutivi del- l'assunto sviamento di potere. Pur comprendendosi agevolmente le ragioni del riserbo, tuttavia questo Collegio, per la determi:Qazione dei limiti del suo potere deciso�'io, non pu� non premettere il rilievo che, a rigore, nella specie non il � fatto ., ma la mera � notizia � dello stesso (quale circolerebbe negli ambienti accademici) � l'effettivo oggetto della � alligazione � del ricorrente. Se si aggiunge il rilievo che, comunque, la notizia di fatto � singolarmente generica e reticente, sia in ordine alle modalit� di svolgimento dello stesso, sia circa la esatta identit� dei suoi principali protagonisti, si pu� agevolmente intendere come manchino, nella specie, tutte le condizioni per la instaurazione di quel processo di deduzione logica, le cui risultanze, solo se � gravi, precise e concordanti �, sono ammesse come vere, in via presuntiva nel processo in base alle citate norme di diritto comune. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la relazione del concorso, nel punto in cui la stessa realizza -a suo dire -una � stroncatura � nei suoi confronti, assumendo che questa � stata determinata dalla finalit� di due membri della commissione giudicatrice (presidente e segretario della stessa), di togliere, al ricorrente, l'incarico di chirurgia pediatrica presso la facolt� medica di Firenze. Precisa, il ricorrente, che l'interesse del presidente della Commissione consisteva nell'intento di conferire, il detto incarico, al suo allievo prof. Monaci, e che, a tal fine, quegli aveva ottenuto che il Consiglio della Facolt� di medicina di Firenze, nella seduta del 18 maggio 1965, sospendesse l'attribuzione dell'incarico stesso (per il quale avevano presentato domanda sia esso ricorrente, per la conferma, sia il prof. Monaci) in considerazione dell'avvenuto bando del concorso a cattedre di chirurgia pediatri�a ed in attesa dell'esito di tale concorso. A riprova dell'interesse del segretario della commissione giudica trice, il ricorrente deduce il fatto che, in effetti, a questi sarebbe poi stato conferito il detto incarico, nella primavera del 1966. Il Collegio non pu� non premettere la osservazione che ambedue le dedotte circostanze mancano di un significato � univoco �, idoneo a fare loro assumere -sia pure in via sintomatica -quell'effetto inva lidante del provvedimento impugnato, che il ricorrente vorrebbe loro assegnare. Ed invero, sia la sospensione della assegnazione dell'incarico, nella imminenza dell'espletamento del concorso per la stessa cattedra, sia la preferenza concessa -nel conferimento dello stesso incarico -ad un titolare di cattedra, piuttosto che al precedente incaricato, non ternatosi n� dichiarato nel concorso a cattedra, relativo alla sua ma PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA teria, sono provvedimenti che ampiamente si giustificano, di per s�, sul piano della legittimit�, alla luce dei principi che regolano la suddetta materia e attesa l'ampia discrezionalit� di cui il Consiglio di Facolt� gode nella stessa. Ogni ulteriore indagine sulla legittimit� delle deliberazioni in questione � preclusa dagli evidenti limiti del presente giudizio, in relazione al preciso oggetto della impugnativa del ri�corrente. N� maggior rilievo.invalidante hanno, sul giudizio negativo, oggetto del presente ricorso, le innanzi indicate circostanze, sotto il profilo teleologico, e, cio�, in quanto finalit� che si assumono determinanti del giudizio stesso. Sotto tale profilo, � assorbente la considerazione che, attesa la equivalenza dei giudizi espressi -nei confronti del ricorrente -da tutti e cinque i membri della Commissione giudicatrice, -equivalenza di giudizi che, di per s�, ben si giustifica, sul piano logico, come spontanea convergenza di una pluralit� di obiettive valutazioni -il ricorrente non prospetta (n� al Collegio � dato cogliere) alcun elemento che spieghi in qual maniera, e perch�, le assunte particolari finalit� di due membri abbiano -per cosi dire -� strumentalizzato > le volont� degli altri tre colleghi, inducendoli ad aderire ad un giudizio (che si lamenta, negativo sul ricorrente) che non corrispondeva, viceversa, al loro intimo convincimento. In mancanza di qualsiasi luce su tale nesso, la presunzione logicogiuridica di legittimit� dell'operato della Commissione resiste alle dedotte censure, che, pertanto, vanno respinte. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che illegittimamente si sia tenuto conto di lavori scientifici, di vincitori del concorso o di concorrenti dichiarati maturi, che risultano effettuati in collaborazione con i rispettivi maestri, peraltro componenti della commissione giudicatrice. Neppure tale censura ha pregio. � noto che nella universit�, specialmente quando la cattedra � retta da un insigne studioso, si formano vere e proprie scuole scientifiche, che seguono determinati indirizzi, nelle quali il titolare della cattedra assume la posizione di capo-scuola, e, di guida, non soltanto per gli studenti, ma anche per coloro che, terminati i corsi accademici, intendono proseguire negli studi con aspirazioni scientifiche. � in tali scuole che si formano e vengon sc~lti prima gli assistenti volontari ordinari, quindi i liberi docenti e, infine, i titolari delle cattedre, attraverso i quali le scuole stesse progrediscono e si evolvono. �, cosi, abbastanza comune -come pu� agevolmente constatarsi nella attuale realt� -che vengano redatti pubblicazioni e lavori come frutto della collaborazione fra pi� cultori della stessa materia, o tra docenti ed allievi, nell'ambito del gruppo o della scuola, in modo che 860 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dai singoli apporti personali di ciascuno scaturisce l'approfondimento di particolari aspetti della materia, oggetto di studio, e di problemi attinenti alla disciplina, di cui � titolare il capo-scuola. Particolarmente, poi, nel campo della ricerca scientifica sperimen tale o di laboratorio, l'orientamento, che, nei tempi attuali, pu� rite nersi ormai prevalente e fecondo di utili risultati, � quello della ricerca e degli studi compiuti in �quipes, e cio� in gruppi formati da pi� cultori della stessa materia ed anche d,i materia affini, in collabora zione, cui consegue una sempre pi� approfondita conoscenza del parti colare campo oggetto della ricerca. Tale approfondimento -infatti -costituisce la 'risultante del l'apporto di studi, di conoscenza, di esperienze, di ricerche personali dei singoli collaboratori. � naturale che della collaborazione, cosi instauratasi nel gruppo o fra i singoli cultori, scaturisca, il pi� delle volte, una pubblicazione unitaria, che costituisce la sintesi degli sforzi e delle ricerche di ciascuno degli studiosi. Non pu� negarsi che particolare valore scientifico e didattico as suma, inoltre, la predetta collaborazione allorch� � svolta tra docenti ad allievi in quanto costituisce oltre che un valido strumento per l'ulteriore conoscenza della materia, anche il mezzo per valorizzare la capacit� degli allievi, alcuni dei quali saranno, poi, chiamati ad assu mere, a loro volta, il ruolo dei docenti e continuare l'opera dei loro maestri, assicurando, cosi la continuit� della ricerca scientifica. � in tale prospettiva -ad avviso del Collegio -che deve esaminarsi la questione relativa alla legittimit� della valutazione, da parte delle Commissioni giudicatrici dei concorsi a cattedre universitarie, dei lavori presentati dai concorrenti che risultano dalla collaborazione tra candidati e membri della Commissione giudicatrice, normalmente scelti tra i pi� eminenti cultori della disciplina,. per la quale � bandito il concorso. Non sembra che possa applicarsi, per tali concorsi, nella sua assolutezza, i principi affermati dalla quinta sezione di questo Consiglio e diligentemente citati dalla difesa del ricorrente -per i concorsi ospedalieri, in relazione ai quali non possono prospettarsi -ovviamente -le considerazioni fin qui svolte. Non sembra, cio�, che possa precludersi ai candidati, dei concorsi universitari, di presentare alcune delle loro pubblicazioni scientifiche redatte in collaborazione con altri studiosi, specialmente nel campo della ricerca sperimentai, tenuto conto dl fatto che talvolta esse rap presentano la migliore e pi� apprezzata parte della loro produzione scientifica; n� pu� -d'altra parte -precludersi ai docenti, i quali normalmente, sono i pi� eminenti cultori della materia, di far parte ,delle commissioni giudicatrici che hanno il delicato compito di valutare PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 861 l'opera e la personalit� scientifica dei singoli candidati per individuare e designare, tra essi, quelli che hanno migliore idoneit� a ricoprire la cattedra messa a concorso. Va, altres�, osservato che questo Consiglio, sia pure con giurisprudenza di antica data (IV Sez. 20 gi�gno 1945, n. 93; IV Sez. 22 ottobre 9141; IV Sez. 8 ottobre 1942, n. 320); ha pi� volte affermato che, nei concorsi universitari, la natura del giudizio rimesso alla Commissione giudicatrice non consente che si applicano la maggior parte delle prescrizioni normali, consuete nei concorsi per la assunzione a pubblici impieghi, quali la predeterminazione di criteri di massma, la suddivisione di titoli in categoria e l'attribuzione di coefficienti numerici a ciascuna di esse, ed ha riconosciuto, quindi, alle predette commissioni, ampi poteri discrezionali, in considerazione del fatto che appare necessario e sufficient� che risulti quell'esame comparativo, fra i singoli candidati, dal quale soltanto possono essere giustificate le risultanze cui parvengono le commissioni stesse. Questa Sezione ha, inoltre, con decisione n. 667 del 9 dicembre 1953, affermato che non costituisce causa di incompatibilit�, dei membri della Commissione giudicatrice di un concorso universitario, il fatto che essi abbiano espresso giudizi sui singoli candidati. Ed, infine, la stessa V Sezione, con la recente decisione n. 1335 del 2 novembre 1966, ha ritenuto che i rapporti di dipendenza e di collaborazione non sono ~tati dal legislatore considerati come cause di incompatibilit� nella composizione dei collegi amministrativi, trattandosi di evenienza che, spesso, non possono, in pratica, neanche evitarsi, .cosicch� � irrilevante la .circostanza che taluni candidati in un concorso ospedaliero siano stati allievi o assistenti di taluni esaminatori, il giudizio i;ulla opportunit� o meno di partecipare alla commissione. Ad avviso del Collegio, pertanto, la particolare natura del concorso universitario e la stessa dignit� della commissione giudicatrice permettono di consentire che di questa possano essere chiamati a far parte docenti che abbiano collaborato con candidati, nella redazione di alcune delle pubblicazioni presentate da questi ultimi, senza che tale fatto, per s� solo considerato, determini una situazione di incompatibilit� dei componenti della commissione stessa, ovvero la illegittimit� del giudizio per la sua presunta mancanza di obiettivit�, in radice, sui candidati interessati. Ovviamente, in tale ipotesi, la valutazione dei lavori in collaborazione deve avvenire nei limiti in cui sia possibile individuare l'effettivo apporto dei singoli coautori. Ma da tale ulteriore indagine ritiene il Collegio di poter prescindere, esulando essa dai limiti della censura proposta. 7 862 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con l'ultimo motivo il ricorrente prospetta, in sostanza, tre profili di censura. Col primo profilo lamenta che, illegittimamente, siano stati ternati candidati, sprovvisti della libera docenza nella materia, .oggetto della cattedra a concorso, ed escluso il ricorrente fornito, invece, di tale libera docenza. Neppure tale censura ha pregio. � esatto, invero, il rilievo, svolto dalla difesa dell'Amministrazione, secondo cui, nei concorsi a cattedre universitarie, il possesso della libera docenza, pur costituendo titolo di valutazione dei candidati, nessun valore perminente o assorbente, nei confronti degli altri titoli, assume, ai fini del giudizio finale e conclusivo della Commissione giudicatrice. La preferenza concessa, nella specie, dalla commissione giudicatrice a candidati sforniti di libera docenza specifica, di fronte ad altri forniti invece di tale libera docenza,~si sottrae, pertanto, sotto il profilo in esame, alla dedotta censura. -(Omissis). CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 9 maggio 1969, n. 17 -Pres. Papaldo -Est. Battara -Giorgi (avv. Lodi e Magri) c. Amministrazione provinciale di Mantova (avv. Amorth e Gianolio). Giustizia amminist:J:'ativa -Sindacato di legittimit� del Consiglio di Stato -Assorbimento da parte del Consiglio di Stato delle materie attribuite alle G.P.A. in s. g. Giustizia amministrativa -Sindacato di merito del Consiglio di Stato Giurisdizione di merito attribuita alle G.P.A. in s. g. -Non viene devoluta al Consiglio di Stato. Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva del Consiglio:di Stato -Giurisdizione esclusiva attribuita alle G.P.A. in s. g. Non viene devoluta al Consiglio di Stato. Giustizia amministrativa -Consiglio di Stato come giudice dell'appello avverso la decisione delle G. P. A. in s. g. -Incostituzionalit� delle G.P.A. in s. g. -Conseguenze sul giudizio d'appello. Ai sensi dell'art. 26 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 il Consiglio di Stato � il giudice generale della legittimit� in materia di interessi legittimi, onde, dichiarate incostituzionali le G.P.A. in s.g., la loro compe PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 863 tenza di mera legittimitd deve ritenersi assorbita da quella generale del Consiglio di Stato (1). Poich� le materie sulle quali il Consiglio di Stato ha competenza estesa al merito sono tassativamente stabilite dalla legge, non pu� ritenersi esistente, nell'ordinamento positivo, un principio di competenza generale di merito del Consiglio di Stato, per cui le materie gid attribuite alla G.P.A. con competenza estesa al merito, non potendo essere assorbite dalla competenza del detto organo, restano, limitatamente al merito, sine iudice (2). Con la dichiarata incostituzionalitd delle G.P.A. in s.g. sono rimaste sine iudice le questioini d.i competenza esclusiva gid spettanti alle� G.P.A., potendo ritenersi assorbite nella competenza del Consiglio di Stato limitatamente alla parte della controversia relativa agli interessi legittimi (3). (1-4) Come � noto, attraverso una serie di decisioni emesse nel giro di un biennio, la Corte costituzionale, adeguando al precetto della Carta la struttura del giudice amministrativo, ha determinato la caducazione, oltre che dei Consigli di Prefettura, anche delle Giunte Provinciali Amministrative, della Giunta Giurisdizionale Armministrativa della Val d'Aosta e delle norme sul contenzioso elettorale amministrativo, di cui all'art. 2 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, con le sentenze, rispettivamente, n. 30 del 1967 e nn. 33 e 49 del 1968. Sui problemi di diritto transitorio aperti dalle ricordate declaratorie 4i illegittimit� costituzionale cfr. Corte dei Conti, Sez. II, 21 gennaio 1967, n. 7, che ha affermato la giurisdizione generale della Corte in materia contabile; Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 marzo 1969, Il Consiglio di Stato, 1969, I, 245, che ha risolto il problema deHa sorte delle materie devolute alle G.P.A. nei stessi termini della decisione che si annota, e Cass., Sez. Un., 28 settembre 1968, n. 2992, Sett. Giur. 1969, II, 398, che ha, viceversa, ritenuto �elle, dichiarate incostituzionali le norme relative �alle G.P.A., il Consiglio di Stato mediante una interpretazione estensiva della norma e rilevato che questa minus voluit quam dixit, possa conoscere nella loro interezza, e quindi anche per gli aspetti concernenti i diritti soggettivi perfetti, delle questioni devolute alle G.P.A. in giurisdizione esclusiva. Per quanto riguarda le conseguenza della dichiarata incostituzionalit� delle G.P.A. sul giudizio di aprpello, in un primo tempo il Consiglio di Stato, Ad. Plen., 24 novembre 1967, n. 15, Giust. Civ. 1968, II, 149, aveva ritenuto che, interposto il gravame avverso la decisione della Giunta, si fosse consumata la giurisdizione di rprimo grado, onde il Consiglio di Stato, in sede d'appello, avrebbe dovuto annullare la decisione impugnata e ritenere la controversia per giudicarla nella sua integrit�: proprio come avviene quando il giudice di primo grado abbia, per esempio, ritenuto irricevibile o inammissibile il ricorso: cfr., negli stessi termini, Sez. V, 2 aprile 1968, n. 381; Ad. Plen. 25 maggio 1968, n. 10, Giust. civ. �1968, II, 317; Sez. V, 10 gennaio 1969, n. 15, Il Consiglio di Stato, 1969, I, 26. Il vuoto determinato dalle citate .sentenze della Corte Costituzionale sar� colmato con l'istituzione dei Tribunali Regionali Amministrativi: si 864 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il ricorso proposto alla G.P.A. in s.g. prima della dichiarata incostituzionalit� pu� essere considerato, dal Consiglio di Stato, come ricorso proposto al Consiglio stesso, essendo evidente la scusabiiit� dell'errore, quando il detto atto abbia, o possa acquistare, tutti i requisiti formali e sostanziali che la legge richiede nel ricorso al Consiglio di Stato; se tale conversione immediata non � possibile, il Consiglio, adito come giudice d'appello, assegna un termine all'appellante, affinch� questi possa presentare istanza di conversione del ricorso alla Giunta in ricorso al Consiglio (4). veda in proposito il disegno di legge 438/68 e il progetto Luzzatto, Foro amm., 1968, III, 1005 e 1155. Sui vari problemi sorti con J.a caducazione degli organi di giustizia amministrativa locale ,si veda, in dottrina: P. GASPARRI, La giustizia amministrativa locale nel momento attuale, Il Consiglio di Stato, 1968, II, 344; F. LUBRANO, Ancora in tema di giurisdizione delle Giunte Provinciali Amministrative, Riv. Amm., 1968, 773; A. PIZZI, Esistono ancora le G.P.A. in sede giurisdiziooale?, Foro amm., 1968, II, 96; F. LA VALLE, Il principio della giurisdizione amministrativa unica, Giur. it., 1969, I, 1, 787. A. PALATIELLO CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 21 maggio 1969, n. 20 -Pres. Papaldo -Est. Bartolotta -Arcuri ed altri (avv. Lepocare e Mazzei) c. Prefetto di Cosenza, Ufficio Genio Civile di Cosenza e Ministero 'lavori pubblici (avv. Stato Lancia) e Comune di Cosenza (avv. Loris e Giorgianni). Piano di ricostruzione -Esecuzione del piano -Impossibilit� del Comune di provvedere -Potere sostitutorio del Ministero dei lavori pubblici. Piano di ricostruzione -Decreto prefettizio che approva il piano di ricostruzione -Equivalenza, ex art. 7 d. 1. lgt. 1 marzo 1945, n. 154, a dichiarazione di pubblica utilit� -Urgenza e indifferibilit� derivanti dalla legge -Notifica fuori termine del decreto di occupazione -Non � rilevante. Piano di ricostruzione -Termine di efficacia dei piani approvati entro il 31 dicembre 1950 -Provvedimento prefettizio di occupazione temporanea in via di urgenza per l'attuazione del piano di ricostruzione approvato prima del 31 dicembre 1950 -� legittimo. Espropriazione per pubblica utilit� -Procedura -Autonomia rispetto alla procedura dell'occupazione di urgenza -Incomunicabilit� dei vizi della seconda sulla prima -Fattispecie. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA� AMMINISTRATIVA 865 Espropriazione per pubblica utilit� -Termini -Indicazione nell'atto che dichiara la pubblica utilit�: dell'opera -Mancata indicazione Inammissibilit� dell'impugnativa del decreto prefettizio di espropriazione. Espropriazione per pubblica utilit� -Termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit� -Piani di ricostruzione -I termini di efficacia della detta dichiarazione sono fissati dalla legge. Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� -Controversie -Competenza dell'A.G.O. Espropriazione per pubblica utilit� -Piano di ricostruzione -Variante al piano richiesta dal proprietario interessato -Non sospende il procedimento. Espropriazione per pubblica utilit� -Modalit� esecutive dell'opera Censure -Inammissibilit�. Ricorsi amministrativi -Motivi -Atto non impugnato -Inammissibilit�. In virt� dell'art. 58 d.l. 10 aprile 1947, n. 261, riprodotto in sostanza nell'art. 15 legge 27 ottobre 1951, n. 1402, il Ministero dei lavori pubblici poteva sostituirsi al Comune provvedendo direttamente all'attuazione dei piani di ricostruzione, quando fosse risultata l'impossibilit� del Comune di provvedere a ci� direttamente, onde, in detta ipotesi, i necessari p1�ovvedimenti erano legittimamente promossi dallo stesso Ministero o dall'Ente concessionario dell'esecuzione dei menzionati lavori (1). Ai sensi deU'art. 7 d.l.lgt. 10 marzo 1945, n. 154 il decreto prefettizio che approvava il piano di ricostruzione equivaleva a dichiarazione di pubblica utilit� e le opere in esso decreto indicate erano dichiarate urgenti e indifferibili; pertanto non costituisce eccesso di potere la circostanza della notifica del decreto di occupazione a distanza di circa un anno dalla data della sua emanazione (2). Ai sensi dell'art. 17 legge 13 luglio 1966, n. 610, i piani di ricostruzione approvati entro il-31 dicembre 1950 hanno efficacia fino al 31 dicembre 1970: pertanto � legittimo, ai fini dell'attuazione del piano approvatl! anteriormente alla detta data, il provvedimento prefettizio di occupazione temporanea in via di urgenza delle aree private (3). (1-3) Sulla :proroga ope legis dei piani di costruzione si veda Sez. IV, 28 giugno 1966, n. 561, Il Consiglio di Stato, 1966, I, 1184; Sez. V, 7 aprile 1967, n. 240, ivi, 1967, I, 673; idem, 10 ottobre 1967, n. 1088, ivi, 1967, T, 1805. Sulla durata in genere dei piani di ricostruzione e sulla proroga x-.�~ix� .. .... ..... I 866 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I *1 ;:-:� IZ procedimento di espropriazione � autonomo rispetto a quello M dell'occupazione di urgenza, onde i vizi di questo non possono influire F' in alcun modo sul primo: pertanto la mancata o irregolare redazione dello stato di consistenza, pur inficiando il procedimento dell'occupa t zione di urgenza, non rende illegittima la procedura espropriativa (4). Poich� i termini previsti dall'art. 13 legge 25 giugno 1865, n. 2359 devono essere indicati nella dichiarazione di pubblica utilit�, la mancata prefissione pu� esser fatta valere unicamente attraverso l'impugnativa del detto atto; in difetto, il detto vizio non pu� essere fatto valere mediante l'impugnativa del decreto prefettizio di espro'Pria I zione (5). Poich� i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�, per quanto attiene alle opere relative ai piani di ricostruzione, sono determinati dalla legge, nessuna ulteriore fissazione di termini � ri I chiesta negli atti del procedimento (6). Le controversie relative all'ammontare dell'indennizzo di esproprio I sono di competenza del G.O., perch� attengono a diritti soggettivi per fetti (7). I@ Nella esecuzione del piano di ricostruzione, il procedimento non f~ � SOS'lJeso dalla semplice richiesta di variante al detto piano formulata M dal proprietario interessato; onde � legittimo il decreto prefettizio di esproprio, emanato in pendenza dell'esame di detta richiesta da parte del Consiglio comunale (8). Non � ammissibile la censura riguardante le modalit� esecutive dell'opera dichiarata di pubblica utilit�, in quanto la detta censura attiene al merito (9). . I I motivi di ricorso amministrativo concernenti un atto non impu ~~ gnato non possono essere fatti valere nella impugnativa di un altro N provvedimento (10). ope legis in ispecie, cfr. Sez. V, 9 dicembre 1967, n. 1842, Foro amm., 1967, I' ~ I, 2, 1838; idem 29 novembre 1966, n. 1527, ivi, 1966, I, 2, 1885; e, da ultimo, Sez. V, 28 febbraio 1969, n. 145, ivi 1969, I, 2, 121. I (4) Sull'autonomia del procedimento di espropriazione rispetto a quello II dell'occupazione di urgenza, con la conseguente incomunicabilit� dei rispettivi vizi dall'uno al-l'altro, -si veda Ad. pl. 12 luglio 1965, n. 18, Il Consiglio di Stato, 1965, I, 1063; Sez. IV, 8 novembre 1952, n. 1327, Raccolta della giurisprudenza del Cons. di St., 1952, 1542; Ad. pl. 30 gennaio 1954, n. 3, Il Consiglio di Stato, 1954, I, 19. (5-6) Cfr. Sez. IV, 23 g-ennaio 1962, n. 73, Il Consiglio di Stato, 1962, I, 1929. (7) Tale giurisprudenza � costante: si veda, ad esempio, Sez. IV, 19 ottobre 1966, n. 675, ivi, 1966, I, 1643; Ad. pl. 30 ottobre 1961, n. 20, ivi, 1961, I, 1532; Sez. IV, 29 aprile 1964, n. 352, ivi, 1964, I, 69. (8-10) Anche tale !Principio � pacifico: cfr. tra J.e pi� recenti, Sez. IV, 25 settembre 1968, n. 506, Il Consiglio di Stato, 1968, I, 1332. .�:., :~~ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 867 CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 10 giugno 1969, n. 21 -Pres. Papaldo -Est. Granito -Salvioni ed altro (avv. Nigro e Montesano L. e G.) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Ricci), Comune di Rimini ed altri (n.c.). Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento in sede giurisdizionale -Legittimazione a chiedere il detto trasferimento -Necessit� di assumere la veste di ricorrente -Non sussiste. Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento in sede giurisdizionale -Interesse al detto trasferimento in ogni controinteressato -Sussiste. Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento in sede giurisdizionale -Incombenti ed oneri relativi -Sono a carico dell'originario ricorrente. Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento in sede giurisdizionale in opposizione del controinteressato -Rimessione in termini dell'originario ricorrente � configurabile. Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato .., Decreto presidenziale che decide il ricorso -Impugnativa -Motivi e legittimazione. Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Opposizione al ricorso straordinario -Obbligo per il ricorrente di trasferire il ricorso in sede giurisdizionale -Non sussiste. f"<�il.(<r~ Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Annullamento della decisione straordinaria -Rimessione in termini del controinteressato ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale -� configurabile. L'opposizione al ricorso straordinario al Capo dello Stato pu� essere proposta, ex art. 34, u.c. T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, anche dai controinteressati, e a nulla rileva la circostanza che questi non abbiano n� l'inte1�esse n� la legittimazione a ricorrere contro il provvedimento impugnata dal terzo in sede strao1�dinaria (1). (1-7) Cfr. Sez. V ord. 29 ottobre 1968, n. 1328, Foro amm., 1968, I, 2, 1294, che ha rimesso all'esame de1l'Adunanza plenaria, per un possibile contrasto di giurisprudenza, varie questioni relative al trasferimento in sede ~~~~�-,����*�:_x,_.,,.. x,~~ . . . ... .. ~.. .. ..';!'-m;,,,;w .-~ ,, 868 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ogni cont1�ointeressato pu� proporre l'opposi?ione al ricorso straordinario al Capo dello Stato chiedendo il trasferimento di questo in sede giurisdizionale, perch� in tale sede il procedimento si svolge attraverso un pi� co'Tlipiuto contraddittorio, che assicura pi� concretamente la possibilit� di spiegare una utile e sostanziale difesa (1). Intervenuta l'opposizione al ricorso straordinario, spetta all'originario ricorrente di riproporre l'impugnativa in sede giurisdizionale, onde non subisce modifiche la originaria posizione processuale delle parti, conservando il ricorrente tale veste e rimanendo, l'opponente al ricorso straordinario, controinteressato (3). La riproposizione del ricorso in sede giurisdizionale pu� avvenire. anche quando sarebbero scaduti i termini per il ricorso al Consiglio di Stato, in quanto, nella specie, nessun errore � imputabile al ricorrente, essendo dichiarato improcedibile il ricorso straordinario unicamente per la opposizione dei controinteressati o dei cointeressati (4). Il decreto presidenziale con il quale � deciso il ricorso straordinario al Capo dello Stato � impugnabile, da tutti gli interessati, per vizi che attengono alla tutela giurisdizionale; legittimato alla impugnativa �, perci�, anche il controinteressato che non abbia potuto opporsi alla trattazione del ricorso in sede straordinaria (5). Proposta la opposizione al. ricorso da parte del controinteressato, il ricorrente non � obbligato a trasferire la propria impugnativa in sede giurisdizionale (6. Annullata la decisione presidenziale per violazione della tutela giurisdizionale, il Consiglio di Stato non pu� procedere senz'altro ad un riesame ex novo dell'originario gravame straordinario, ma deve concedere alt'evente diritto il beneficio della rimessione in termini, ai fini della proposizione del ricorso giurisdizionale (7). giurisdizionale del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Con ordinanza del 12 luglio 1968, n. 1124, Foro Amm., 1968, I, 2, 1030, la stessa V Sezione ha altres� rimesso all'esame dell'Adunanza plenaria il problema relativo alla amrnissibHit� dell'impugnativa, della decisione emessa su ricorso straordinario al Capo dello Stato per motivi che attengono al contenuto della decisione,stessa (errores in iudicando). Sulle questioni affrontate dalla decisione che si annota si veda pure Corte Cost. 2 luglio 1966, n. 78, Foro amm., 1966, I, 1, 429 e 1� febbraio 1964, n. 1, ivi, 1964, I, 1, 9, con note di richiami. m ~:-: SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1969, n. 1029 -Pres. Favara -Est. Miele -P. M. Pedote (conf.) -Testa (avv. Pacifici) c. Ministero delle Finanze (avv: Stato Angelini Rota). Imposta di registro -Benefici fiscali per le case di abitazione non di lusso -Acquisto di area parzialmente inedificabile per vincolo di piano regolatore -Applicabilit� dei benefici -Lhlliti. (1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). La edificabilit� deU'intera area acquistata costituisce il presupposto per la concessione dei benefici fiscali di cui all'art. 14 legge 2 luglio 1949, n. 408. La norma contenuta nel capoverso dello stesso articolo non costituisce integrazione della nozione di edificabilit� ai fini della concessione dei benefici stessi, ma contiene solo le condizioni per la conservazione di tali benefici, nel senso che, a costruzione ultimata, tale area deve risultare edificata per almeno un terzo. Pertanto, se l'area � solo in parte edificabile a causa di vincoli creati dal piano regolatore, i quali prevedono la destinazione di parte del suolo a strada pubblica, il beneficio � dovuto solo limitatamente alla parte del' suolo non soggetta al vincolo di piano regolatore ed in quant�, inoltre, tale porzione di suolo sia stata coperta da costruzioni nella misura richiesta dal capoverso dell'articolo in questione (1). (Omissis). -Con il primo motivo il ricorrente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 e dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., sostiene che la Corte di merito ha erronea (1) La presente sentenza � particolarmente interessante, dato il grande numero di controversie che si agitano in materia, per due diversi motivi. Innanzitutto perch� ha precisato, con estrema chiarezza, la diversit� di piani concettuali su cui sono destinate ad operare le norme del primo e del secondo comma dell'art. 14 della l. n. 408 del 1949; la :prima, nel prescrivere il requisito della edificabilit�, riguarda un :presupposto per la concessione del beneficio fiscale, la seconda, invece, stabilendo i limiti minimi della concreta edificazione, attiene alla decadenza da tale beneficio. In secondo luogo poi l'interesse della presente sentenza sta nell'aver ritenuto che il vincolo di inedificabilit� stabilito da piano r.egolatore, quando preesiste all'acquisto dell'area, priva questa del requisito della RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO mente ritenuto che fosse necessario che tutta l'area acquistata avesse possibilit� edificatorie, giacch�, invece, in relazione al secondo comma dell'articolo stesso, basta che si tratti genericamente di aree edificabili ovvero parzialmente edificabili, non facendosi nella legge distinzione tra aree strettamente edificabili ed aree di contorno, destinate allo sfogo ed ai servizi dell'edificio, purch� queste siano nella prescritta proporzione con l'area edificata. La censura � infondata. Invero la edificabilit� dell'intera area acquistata costituisce il presupposto �per la concessione dei ben~ci fiscali, mentre la norma contenuta nel capoverso dello stesso articolo non costituisce integrazione della nozione di edificabilit� ai fini della concessione dei benefici stessi, ma contiene solo le condizioni per la conservazione dei benefici stessi, nel senso che, a costruzione ultimata, tale area deve risultare edificata per almeno un terzo. Pertanto, se l'area � solo in parte edificabile a causa di vincoli creati dal piano regolatore, i quali prevedano, come nel caso in esame, la destinazione di parte del suolo acquistato a strada pubblica, il beneficio � dovuto solo limitatamente alla parte del suolo non soggetto al vincolo di piano regolatore ed in quanto, inoltre, tale porzione di suolo sia stata coperta da costruzioni nella misura richiesta dal capoverso dell'articolo in questione. D'altronde, non � inutile osservare che, adottandosi la interpretazione sostenuta dal ricorrente, la prima parte dell'articolo, laddove richiede un'area edificabile, diverrebbe inutile perch� il precetto in tal senso verrebbe sufficientemente espresso dalla norma contenuta nel capoverso. Con il secondo motivo si sostiene la violazione e la falsa applica zione degli artt. 1362 e 1363 e.e., dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, edificabilit� relativamente alla parte vincolata, ed esclude pertanto, in tali limiti, la possibilit� di applicazione del beneficio. Su tale punto deve ricordarsi che in precedenza la Cassazione, con la sentenza 3 luglio 1968, n. 2222 (in Riv. leg. fisc., 1969, 246) aveva affermato che �la eventuale esistenza di vincoli amministrativi e giuridici, specie se di carattere non assoluto ed inderogabile, alla edificabilit� dell'area, non costituisce ostacolo alla concessione del beneficio di cui all'art. 14 della I. n. 408 del 1949, perch�, essendo prevista dalla norma l'altra condizione relativa alla effettiva ,edificazione dello speciale tipo di abitazioni previsto dalla legge, rimane a cura di chi ha interesse a conseguire il beneficio il far rimuovere, se possibile, i vincoli e gli impedimenti esistenti entro il termine di legge, decorso il quale verr� meno, per inosservanza del medesimo, il beneficio �. � � per� da ritenere che tale affermazione trovi esclusiva giustificazione nella particolarit� della fattispecie allora decisa e in cui, nonostante il vincolo di piano regolator,e, di carattere non assoluto e inderogabile, l'area di cui all'atto tassato era stata effettivamente edificata dal compratore in conformit� delle prescrizioni di cui alla 1. n. 408 del 1949. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 871 n. 408, nonch� delll'art. 360, n. 5 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 4 c.p.c., deducendosi che la Corte di merito ha erroneamente escluso che la parte del suolo destinata dal piano regolatore a strada pubblica costituisse, pure in tale situazione giuridica, un accessorio in senso lato del suolo edificato. Inoltre la Corte non aveva considerato che, al momento della compravendita, tale suolo vincolato era ancora di propriet� privata e come tale era stato considerato dalle parti nella contrattazione, stabilendo un unico prezzo complessivo per tutto il suolo. La censura � infondata. Invero, costituendo l'edificabilit� del suolo acquistato il presupposto per la concessione dei benefici previsti dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, essa deve sussistere al momento della stipulazione del contratto e tale presupposto essendo stabilito dalla legge va valutato obbiettivamente, indipendentemente dal modo come le parti hanno considerato il suolo. Pertanto, esclusa la edificabilit� di parte del suolo per l'esistenza di vincoli di piano regolatore, � superfluo esaminare se il suolo stesso nella previsione delle parti sia considerato accessorio o pertinenza del restante suolo o se, comunque, non si sia tenuto conto, ai fini del prezzo, della sua inedificabilit�. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1296 -Pres. Pece Est. Falletti -P. M. Caccioppoli (conf.) -Banca Nazionale del Lavoro (avv. Scandale) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salvatori). Imposta di registro -Vendita -Pagamento di parte del prezzo mediante consegna al venditore di un libretto di deposito vincolato, quanto all'esigibilit�, al benestare del compratore -Desposito autonomo -Tassabilit� ex art. 38 tariff all. A legge registro. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 8; tariffa all. A, art. 38). Imposta di registro -Vendita -Pagamento di parte del prezzo mediante consegna al venditore di un libretto di deposito vincolato, quanto all'esigibilit�, al benestare del compratore -Oggetto della tassazione -Libretto di deposito -Esclusione. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tabella ali. D, art. 27). n pagamento di parte del prezzo deHa compravendita mediante consegna di un Libretto di risparmio vincolato, quanto all'esigibilit�, al benestare del compratore e con rilascio da parte del venditore di ampia 872 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO e formale quietanza a saldo, equivale alla materiale consegna della somma corrispettiva. Tale clausola rivela un duplice contenuto dell'atto: stipulazione di una compravendita ed autonoma, seppur connessa, pattuizione di deposito tassabile ai sensi dell'art. 38 tariffa all. A alla legge di registro. Poich� il punto saliente della fattispecie non consiste nel deposito detla somma sul libretto, ma nel deposito e� nella consegna della somma stessa dall'uno all'altro contraente, la convenzione di deposito non pu� ritenersi meramente enunciata dall'atto, ma risulta direttamenbe dal contesto di questo ultimo (1).� In tale ipotesi oggetto della tassazione non � gi� il libretto, nella sua propria essenza e funzione, quale documento e strumento di un deposito a risparmio (art. 27 della tabella all. D), bens� il contratto riguardante il deposito della somma lasciata presso la banca, e cio� una diversa ed autonoma convenzione in rapporto alla quale il libretto non � che la forma ed il mezzo onde la convenzione stessa viene attuata (2). (Omissis). -Le censure proposte dalla ricorrente, con cui � denunciata la violazione degli artt. 1362, 1766 e segg. e.e., 8 della legge di registro; 28 e 38 della relativa tariffa all. A; 27 della tabella ali. D; 346 c.p.c. si articoano in quattro punti: 1) La Corte d'appello, ravvisando nelle semplici modalit� di un pagamento condizionato l'ipotesi di una somma data in deposito, non soltanto ha frainteso la relativa clausola contrattuale, ma non ha pure avvertito che del deposito mancano nella specie i requisiti sostanziali (1-2) Non constano precedenti in termini. Per riferimenti possono consultarsi le sentenze della Cassazione 2 agosto 19.68, n. 2752 (in Riv. leg. fisc. 1969, 648) e 17 febbraio 1969, n. 558 (ivi, 1969, 1166). In ambedue i casi decisi con le �citate .sentenze si prevedeva la possibilit� per la banca finanziatrice o mutuante di trattenere in deposito infruttifero tutta o parte della somma oggetto del finanziamento o del mutuo a garanzia di propri crediti e con facolt� od obbligo di erogarla a determinate condizioni. Pe raltro in tali ipotesi la questione discussa riguardava la sussistenza o meno di pi� disposizioni necessariamente connesse e derivanti, per l'intrinseca loro natura, le une dalle altre, mentre nella specie la controversia si � incentrata in via principale sul punto se l'atto contenesse od enunciasse un contratto di deposito autonomamente tassabile ed, in via subordinata, se oggetto di tassazione non dovesse essere il libretto ai sensi dell'art. 27 tabella D. La Corte ha risolto in senso favorevole alla finanza entrambi i quesiti, affermando alcuni principi di indubbio interesse. In primo luogo � �Stato ritenuto che, laddove il venditore rilasci ampia e finale quietanza della somma pattuita a titolo di prezzo, non ha rilievo lo strumento tecnico impiegato per effettuare la relativa consegna, onde, anche se questa avvenga tramite un libretto di risparmio nel quale la t'ARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA, 873 e giuridici: le situazioni stesse del depositante e del depositario, la consegna della cosa, l'obbligo di custodire e restituire. Non si � inoltre limitata a vagliare l'atto nel suo proprio e testuale contenuto, ma ha desunto il criterio della sua tassabilit� da circostanze estranee e arbitrariamente supposte. 2) Poich� il deposito e il vincolo della somma sul libretto di risparmio erano avvenuti prima che fosse stipulata la compravendita e prima che il libretto fosse consegnato alla venditrice, l'atto notarile non poteva contenere anche un negozio di deposito: la Corte perci� ha contraddittoriamente fondato il suo giudizio non sull'oggetto ma su un'enunciazione dell'atto, un'enunciazione riguardante un libretto di risparmio e non tassabile quindi se non nei limiti dell'art. 27 tab. D. 3) La Oorte ha negato l'applicabilit� dell'art. 27 cit. perch� nella specie il libretto non avrebbe una funzione di risparmio; ma l'art. 27, che comprende numerose e non congeneri ipotesi, non richiede n� presuppone una simile finalit�. 4) L'art. 28 della tariffa ali. A esclude un'autonoma ed ulteriore imponibilit� nel caso in cui l'obbligazione pecuniaria sia il corrispettivo di una trasmissione mobiliare o immobiliare registrata. La Corte di merito non ha esaminato questo argomento, ritenendone erroneamente l'inammissibilit� alla stregua di una domanda o di un'eccezione non riproposta in grado di appello. Nessuna di queste censure � fondata. La Corte d'appello ha osservato, con �n rilievo testualmente de sunto dal rogito notarile, che la venditrice, avendo ricevuto in con- somma stessa si trovi depositata, deve pur sempre ammettersi clre sia intervenuto �1 pagamento del corrispettivo della compravendita. II meccanismo escogitato dalle part� contraenti non pu� che essere interpretato, in virt� del principio sancito dall'art. 8 della legge di registro, nel senso di un successivo deposito della somma da parte del venditore presso il compratore, a nulla rilevando che lo strumento relativo sia stato gi� predisposto. Ci� importa come conseguenza che nessun rilievo assume il criterio temporale delle operazioni strumentali relative alla stipulazione dei negozi contenuti nell'unico atto, dovendosi invece aver riguardo alla funzione delle operazioni stesse nell'ambito dell'assetto dei contrapposti interessi scelto dai contraenti. Donde la giusta prevalenza attribuita al nesso logico tra le diverse pattuizioni e la sottolineata rilevanza del criterio di obbietiva interpretazione delle clausole contrattuali in relazione agli scopi desumibili dalla loro formulazione. In particolare la Corte ha dissipato ogni equivoco fondato sulla con segna del libretto dall'acquirente al venditore la cui duplice funzione � stata chiaramente individuata nella consegna della somma dal secondo al primo e nella documentazione formale del successivo deposito effettuato nelle mani di quest'ultimo. A ragione pertanto -e l'importanza della affermazione non pu� sfuggire -1a sentenza ribadisce che l'operazione ' ' riff1%Wf:f:iffiffifiW'.ff%1'%1ffffatif@Jfi'Wiiffff@%fffit%1:%ffilfffiliiif%infiffitfi@ffaffiN%Mi@fSK@IffffMKifi@E%ff@I~~ 874 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tanti la somma di L. 10 milioni e ricevendo inoltre la somma di L. 66 milioni depositata su un libretto di risparmio, rilasci� alla compratrice �ampia e finale .quietanza a saldo�. Ed ha quindi ritenuto, con un giudizio di evidente coerenza e ragione, che in tal modo i contraenti avevano attribuito efficacia liberatoria alla consegna del libretto, come equivalente alla materiale consegna della somma corrispettiva, e che avevano inteso come definitivamente avvenuto il pagamento del residuo prezzo della compravendita. E questo d'altronde, identicamente espresso, era anche il pensiero dell'appellante, la quale appunto scriveva nelle sue difese che � la venditrice ha accettato questa forma di pagamento, ritenendo con ci� adempiuta l'obbligazione della compratrice, ed ha quindi rilasciato ampia e finale quietanza a saldo, con esonero del conservatore dei registri immobiliari dall'obbligo di iscrivere ipoteche legali, assumendo pertanto a proprio esclusivo carico il rischio dello scioglimento del vincolo e della effettiva esazione della somma portata dal libretto �. Non si giustifica dunque, a questo punto, n� la tesi di un pagamento condizionale (la cui sussistenza e non la disponibilit� consecutiva d'una somma ormai pagata e quietanzata fosse soggetta alla prevista condizione ed al vincolo corrispondente), n� l'alterazione dell'oggetto del deposito e l'incongruenza (o l'inesistenza addirittura) dei soggetti di un simile negozio: come se la Corte d'appello avesse inteso che il deposito riguardasse il libretto anzich� la somma in esso rappresentata, che depositaria ne risultasse assurdamente la venditrice e depositante viceversa la_ banca compratrice. materiale del deposito della somma nel libretto da parte della banca acqUirente non ha alcuna rilevanza giuridica nel contesto della fattispecie contrattuale caratterizzata, invece, mediante il rilascio di quietanza a saldo da parte del venditore ed il vincolo di indisponibilit� della somma pattuito a favore dell'acquirente, e cio� da due negozi distinti ed autonomi: compravendita e deposito. La sentenza annotata contribuisce altresi, sia pure implicitamente, a delineare i connotati dell'enunciazione prevista dall'art. 62 1.o.r.: questa infatti ricorre quando l'atto non ponga in essere esso stesso il negozio della cui tassazione si discute: l'enunciazione, cio�, pr�esuppone un negozio gi� stipulato e semplicemente richiamato dall'atto �enunciante, il che ovviamente non si verifica quando il rapporto trovi la sua fonte nelle pattuizioni dell'atto tassato. ln tale ipotesi si � totalmente al di fuori della fattispecie dell'enunciazione perch� non sussiste quel nesso di mero riferimento estrinseco tra negozio e negozio che giustifica l'appli�azione dell'art. 62. La Corte ha infine chiarito il rapporto tra la previsione dell'art. 38 tariffa all. A e quella dell'art. 27 tabella all. D. Il primo si riferisce al contratto di deposito, il secondo alla relativa documentazione. E poich� nella specie la tassazione riguardava il primo e non il documento (libretto), la sentenza annotata, con perfetta coerenza alla normativa citata, ha escluso l'ipplicabilit� dell'art. 27 tabella D. R. SEMBIANTE I ! l I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 875 l l Oggetto del deposito, come chiaramente si legge nella sentenza I I impugnata, fu invece la somma di L. 66 milioni, che la banca pag� e I la venditrice ricevette a saldo del prezzo, e cio� la medesima somma t che, mediante il meccanismo del libretto e del suo vincolo, la vendiI I trice contestualmente rilasci� nella disponibilit� della banca e che questa si obblig� a restituire (e frattanto a custodire) quando si fosse verificata la condizione pattuita. Queste circostanze, nei momenti e negli elementi costitutivi del negozio, la Corte d'appello ha immediatamente desunto dal contenuto proprio dell'atto, secondo gli effetti giuridici e l'intrinseca portata delle sue stesse clausole. E cosi, non solo il titolo, le persone e l'oggetto sono stati correttamente individuati, nella precipua inerenza delle rispettive qualificazioni, ma anche il requisito costitutivo della consegna ha trovato riscontro e ineccepibile dimostrazione nel fatto di una somma rimasta presso la banca, vincolata per l'esigibilit� al suo "benestare, nel momento medesimo in cui la propriet� ne passava all'acquirente; una tradizione, ripetesi, che riguardava la somma, non il libretto, il quale ultimo non andava consegnato al depositario, come cosa da custodire e restituire, ma spettava al depositante, come documento e titolo formale del deposito. Proprio guardando alla � realt� sostanziale � del complessivo rapporto, quale emergeva dalle clausole documentate nell'atto, la Corte d'appello ne ha dimostrato il duplice contenuto�; la stipulazione di una compravendita e un'autonoma, sep~ur connessa, pattuizione di deposito, in virt� della quale la venditrice si impegnava a lasciare la somma di L. 66 milioni nella disponibilit� della banca, fin quando non si fosse verificata la condizione a cui era subordinato lo svincolo, e da parte sua la banca assumeva l'obbligo di pagare o di rendere comunque esigibile la somma a favore della venditrice al verificarsi della medesima condizione. Esattamente la Corte d'appello ha negato rilevanza al particolare che la compilazione del libretto e l'annotazione del Vincolo fossero state predisposte dalla banca prima che le parti si incontrassero davanti al notaio per la stipulazione del rogito: quelle non erano che operazioni materiali, eseguite per accordo fra le parti e gi� pronte per essere sanzionate nell'atto pubblico, temporalmente rapportate al medesimo. Dalla stipulazione perci� del menzionato contratto e dal suo proprio contenuto si poteva e doveva desumere il fondamento dell'obbligazione tributaria, non dalle modalit� meramente tecniche e strumentali dell'affare n� dal ripetuto equivoco degli oggetti: perch� il punto saliente e la ragione imprescindibile della fattispecie non consistevano nel deposito della somma sul libretto, ma erano il deposito e la consegna della somma, comunque formata o rappresentata, dall'uno all'altro contraente. E correttamente dunque, sulla base di queste premesse, la Corte d'appello ha ritenuto che la convenzione di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO deposito risultava dal contesto del rogito direttamente e non poteva quindi ritenersi meramente enunciata dall'atto stesso. Ed era chiara altres� e soltanto conseguenziale la constatazione, gi� espressa nella sentenza di primo grado e ripetuta dalla Corte d'appello, che oggetto della tassazione non era gi� il libretto, nella sua propria essenza e funzione, quale documento e strumento di un deposito a risparmio (art. 27 della tabella ali. D), ma bens� il contratto riguardante il deposito della somma lasciata presso la banca, e una diversa ed autonoma convenzione in rapporto alla quale il libretto non era che la forma e il mezzo (fra altre forme e mezzi parimenti adottabili) onde la convenzione stessa (unica, invece, e determinante) veniva attuata. Per quanto attiene, poi, al richiamo all'art. 28 all. A, a torto la Corte d'appello lo ha pregiudizialmente disatteso ritenendolo quale eccezione che non fosse stata tempestivamente riproposta. Trattavasi, infatti, non gi� di eccezione ma di semplice argomento difensivo, insuscettibile quindi di preclusione. Tuttavia il mancato esame di tale argomentazione nel merito non importa perch� le ragioni positivamente addotte dalla impugnata sentenza a sostegno della pronuncia bastavano, anche per implicita contraddizione, a dimostrare l'inconsistenza giuridica di detta argomentazione. Invero, poich� nel rapporto de quo la Corte ha specificamente ed esattamente individuato l'ipotesi prevista dall'art. 38 all. A, gli elementi di codesta verifica non potevano che escludere, nella propria ed esauriente peculiarit�, l'applicabilit� dell'art. 28 della stessa tariffa, postoch� detto art. 28 postula pur sempre, sotto pena di una inammissibile duplicazione di imposta, un titolo di obbligazione autonomo ed autosufficiente. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 maggio 1969, n. 1638 -Pres. Favara -Est. Berarducci -P. M. Pedote (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cavalli) c. Palmieri (avv. Mariano. e Tolli). Imposta di registro -Agevolazioni ex art. 8 1. 24 luglio 1961, n. 729 per la costruzione e l'esercizio delle autostrade -Appalti stipulati dall'A.N.A.S. -Applicabilit� delle agevolazioni. (1. 24 luglio 1961, n. 729, art. 8). La norma del primo comma dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729 si riferisce non solo alle autostrade da costruirsi e gestirsi dalle societ� concessionarie, ma anche alle autostrade e strade da co�struirsi direttamente dall'A.N.A.S. Pertanto gli appalti stipulati fra l'A.N.A.S. e i terzi appaltatori per la costruzione delle dette autostrade e strade I I ~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 877 sono soggetti alla esenzione tributaria di cui alla suddetta dispooizione (1). (Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso, denunciandosi violazione dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, e dell'art. 360, nn. 3 e 4, c.p.c., si lamenta che la Corte del merito abbia escluso la sussistenza di un collegamento necessario fra le norme del primo e dell'ottavo comma dell'art. 8 della citata legge n. 729 del 1961. Si assume che la dizione della norma dell'ottavo comma, e in luogo delle imposte, tasse e tributi di cui ai commi precedenti le societ� concessionarie corrisponderanno all'Erario dello Stato una quota fissa di abbonamento annuo... ., comporta, necessariamente, il collegamento di tale norma a quella del primo comma dello stesso articolo, di modo che� tutte le disposizioni di detto articolo, relative alla esenzione, si riferiscono, in via generale, soltanto alle societ� concessionarie, per le quali � previsto il regime dell'abbonamento tributario. Si aggiunge che non � stato considerato che tutte le norme della legge n: 729 del 1961, che precedono l'art. 8, e alle quali questo intende riferirsi, si richiamano, manifestamente e simultaneamente, all'attivit� di costruzione e di esercizio delle autostrade. Il motivo � infondato. La tesi della ricorrente, secondo cui la norma dell'ottavo comma dell'art. 8 della legge n. 729 del 1961, sarebbe collegata alla norma del primo comma dello stesso articolo, onde tutte le disposizioni relative alla esenzione tributaria in detta ultima norma contenute si riferirebbero unicamente alle societ� concessionarie indicate nella norma dell'ottavo comma, trova, invero, un insormontabile ostacolo nel testo letterale della norma di cui al predetto primo comma. Dispone, infatti, letteralmente, tale norma che e tutti gli atti e contratti occorrenti per l'attuazione della presente legge ivi compresi le convenzioni per le concessioni, i contratti relativi alle costruzioni ed all'esercizio delle autostrade previste dalla stessa legge; i contratti di appalto e di fornitura per la costruzione, manutenzione e gestione delle strade di cui sopra... sono esenti da tasse, imposte e tributi... �. Ora, se si considera che la legge in cui la norma sopra riportata � inserita, ha ad oggetto un piano di nuove costruzioni stradali ed (1) Con la presente sentenza e con altre undici identiche e coeve la Cassazione ha deciso in senso sfavorevole alla Amministrazione la nota ,questione relativa alla applicabilit� dell'art. 8, primo comma, 1. 24 luglio 1961, n. 729 agli appalti per la sola costruzione di autostrade stipulati dall'Anas. Diverso avviso aveva manifestato la Corte di Appello di Roma con la sentenza 21 giugno 1966, in questa Rassegna, 1966, 1, 1371. Al principio ora affermato � stata prestata acquiscenza per le considerazioni di cui alla circolare 13 novembre 1969, n. 21. 8 - 878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO autostradali, nel quale, diversamente dall'opinione dell'Amministrazione ricorrente, sono comprese, come risulta dalla stessa legge, oltre che le costruzioni autostradali da effettuarsi, con il sistema della concessione, da parte degli enti o societ� concessionari, anche le costruzioni stradali ed autostradali da effettuarsi direttamente dall'A.N .A.S., quali la costruzione dei raccordi, definiti dalla stessa legge � autostrade senza pedaggio > (art. 13, 1<> comma), la costruzione delle autostrade, in genere, e delle strade di grande comunicazione (art. 13, 4<> comma), la costruzione dell'autostrada Genova-Savona (art. 17, 2� comma) e la costruzione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria (art. 15), e se si considera, altresi, che, in tal modo, dette ultime autostrade e strade figurano tra quelle espressamente � previste � dalla legge medesima, la conseguenza logica ed inconfutabile che ne discende � che, se le parole dal legislatore adoperate nella formulazione della norma in questione hanno un significato, questo non pu� essere se non nel senso che, nell'ampia accezione della locuzione � tutti gli atti e contratti occorrenti per l'attuazione della presente legge ., come nell'accezione della locuzione, esemplificativa, � ivi compresi i contratti relativi alle costruzioni ed all'esercizio delle autostrade previste dalla stessa legge., ed in quella, infine della locuzione del pari esemplificativa � i contratti di appalto per la costruzione... delle strade di cui sopra ., sono compresi anche gli atti ed i contratti relativi alle costruzioni delle anzidette auto-, strade da effettuarsi direttamente dall'A.N.A.S. e, quindi, anche i contratti di appalto per la costruzione di tali autostrade stipulati fra la medesima A.N.A.S. ed i terzi appaltatori. Ma, oltre che dal chiaro, preciso significato della norma sopra esaminata, la tesi dell'Amministrazione ricorrente � contrastata anche dalla ratio della norma stessa, che, essendo volta ad agevolare lo sviluppo del piano di costruzioni autostradali nel Paese, rende privo di qualsiasi giustificazione un trattamento differenziato, ossia un trattamento di favore esclusivamente nei riguardi degli atti e contratti relativi alla costruzione delle autostrade con il sistema della concessione e non anche nei riguardi degli atti e contratti relativi alla costruzione delle autostrade effettuata direttamente dall'A.N.A.S. a mezzo di appalti, in particolar modo considerando che, in quest'ultimo caso, il beneficio fiscale, incidendo sull'ammontare del corrispettivo dell'appalto, e, quindi, sul costo della costruzione, si risolve per l'A.N.A.S. in una economia di spesa e, conseguentemente, in una agevolazione dello sviluppo del piano di costruzioni autostradali, non meno, ed anzi ancor pi� -avendo in tal caso, il beneficio efficacia immediata nei confronti dell'A.N.A.S. -di quanto accade nella ipotesi delle costruzioni autostra� dali effettuate dalle societ� concessionarie, a mezzo di appalti privati. N�, infine, � superfluo rilevare che la conferma della volont� del legislatore, nel senso sopra esposto, � fornita dal legislatore medesimo -:: �:~ W�l~l~f�FJIJrf�FJIJYJIJYJIJY~~f&rf�FJ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 879 con la legge 28 marzo 1968, n. 360, con la quale, dopo avere, nell'art. 1, disposto l'integrazione dei fondi per il completamento del programma di costruzione e sistemazione dei raccordi autostradali e delle strade di grande comunicazione -,-che, rispettivamente, dal primo e dal quarto comma dell'art. 13 della legge n. 729 del 1961, sono previsti come opere da compiersi direttamente dall'A.N.A.S. -nel successivo art. 3 letteralmente dispone che e ai lavori di cui ai precedenti articoli si applicano tutte le disposizioni �Contenute nella suindicata� 1egge n. 729 ed in particolare quelle degli artt. 8, 9, 11 e 13 comma terzo �. Tale disposizione, invero, ha ca:rattere estensivo, nel senso che, con essa, si estendono agli ulteriori e lavori � previsti per il completamento del piano di costruzione e sistemazione dei raccordi autostradali e delle strade di grande comunicazione, i benefici fiscali gi� per l'attuazione di tale piano concessi con la legge n. 729 del 1961. Il che sta a significare che, per lo stesso legislatore, nella previsione della norma del primo comma dell'art. 8 di detta ultima legge non rientrano solo gli atti ed i contratti relativi alla costruzione di autostrade da effettuarsi con il sistema della concessione, ma rientrano anche gli atti ed i contratti relativi alla costruzione delle autostrade e strade di grande comunicazione da effettuarsi direttamente dall'A.N.A.S. a mezzo di appalti. . Ci� posto, non gi�va opporre il preteso collegamento della norma dell'ottavo comma alla norma del primo comma dello stesso art. 8 della legge n. 72.9 del 1961, per desumerne, addirittura, una limitazione all'ambito di q�est'ultima norma, in contrasto, con la lettera e con la ratio della norma stessa. Tra l'altro, non si considera che il trattamento ,fatto dalla norma dell'ottavo comma sopra citata esclusivamente alle societ� concessionarie, con l'imporre loro di corrispondere all'Erario dello Stato, e in luogo delle imposte, tasse e tributi di �CUi ai commi precedenti ., una quota fissa di abbonamento annuo, in ragione di centesimi cinque per ogni mille lire dei costi delle costruzioni, trova giustificazione, da un lato, nel fatto che alle societ� predette, oltre che il beneficio di cui alla norma del primo comma, sono concessi ulteriori, particolari benefici tributari, quali quelli, a carattere continuativo, previsti nei commi quarto, quinto, sesto e settimo dello stesso art. 8, ai quali, pertanto, l'ottavo comma va collegato, e dall'altro lato, nel fatto che le stesse societ� godono del diritto di pedaggio sulle autostrade da esse costruite e gestite; e, quindi, non si considera che tale giustificazione � sufficiente, di per s�, ad escludere che il legislatore, con la norma del predetto ottavo comma, abbia inteso limitare l'ambito di applicazione della norma di cui al primo comma dello stesso articolo. E neppure giova opporre che le norme della legge n. 729, le quali precedono l'art. 8, si richiamano simultaneamente all'attivit� di costruzione e di esercizio delle autostrade. La particella � e� fra i due termini � costruzione � ed e esercizio ., quanto meno nella norma del primo RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 880 comma dell'art. 8 -che � quella che qui interessa -� stata, invero, usata non in senso cumulativo, ma in senso disgiuntivo, come risulta dal testo della norma stessa, il cui significato, come si � visto, � chiaramente nel senso che essa si riferiva non solo alle autostrade da costruirsi e gestirsi dalle societ� concessionarie, ma anche alle autostrade e strade da costruirsi direttamente dall'A.N.A.S. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 giugno 1969, n. 2091 -Pres. Malfitano -Est. Alibrandi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cavalli) c. Soc. Italiana Produzione Calce e Cementi Di Segni (avv. Pieroni). Imposta ipotecaria -Contratti ad esecuzione continuata e differita Adeguamento della prestazione -Non costituisce atto tassabile. (1. 25 giugno 1943, n. 540, art. 1 e tariffa A art. 5; e.e. art. 1467), Nei contratti ad esecuzione continuata o differita, l'adeguamento della prestazione determinato per ristabilire l'equilibrio a seguito della svalutazione monetaria non d� luogo alla costituzione di un nuovo negozio soggetto all'imposta ipotecaria (n� a quella di registro), e ci� sia che l'adeguamento discenda dalla legge sia che sia pronunziato con sentenza a norma del terzo comma dell'art. 1467 e.e. (1). (Omissis). -Con i tre motivi del ricorso -da esaminarsi congiuntamente, in quanto svolgono censure strettamente connesse -la Amministrazione delle finanze denunzia falsa applicazione dell'art. 1467, comma 3, e.e.; in relazione all'art. 1230 stesso codice; contraddittoriet� o, quanto meno, insufficienza �di motivazione su punto decisivo della controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 3, 4, 10, e n. 5 tabella, all. A, legge 25 giugno 1943, n. 540 delle imposte ipotecarie, con riferimento all'art. 72 e agli artt. 1, comma 2, 54 e n. 1 tariffa A r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, il tutto in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Deduce la ricorrente che a torto la Corte del merito, per negare il fondamento alla pretesa fiscale, si ~ limitata ad escludere una novazione, mentre era sufficiente una semplice modificazione delle originarie condizioni del contratto, come prevista dall'art. 1467, comma 3 e.e., a giustificare la pretesa dell'Amministrazione. N�, secondo la ricorrente, � corretto equiparare, agli effetti fiscali, l'adeguamento dei canoni disposto dalla legge mediante criteri prestabiliti, a quello (1) La sent. 15 febbraio 1965, n. 234, citata nel testo, � pubblicata in questa Rassegna, 1965, I, 548 con nota critica di G . .ANGELINI ROTA, alla quale si rinvia. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 881 operato in sede arbitrale ai fini della riduzione ad equit� di un contratto per evitarne la risoluzione per eccessiva onerosit�. Assume, poi la ricorrente che � contraddittoria la motivazione della sentenza l� dove la Corte esclude che si sia verificata alcuna variazione dell'originaria prestazione contrattuale e riconosce, poi, che � intervenuta la determinazione del nuovo canone. Lamenta, ancora, la ricorrente che la Oorte si � limitata a considerare la legge n. 540 del 1943 senza tener presente il collegamento esistente tra le norme della legge sulle imposte ipotecarie e quelle della legge sull'imposta di registro, incorrendo I peraltro nell'errore di attribuire al lodo arbitrale efficacia puramente dichiarativa, mentre esso ha effetti costitutivi di un titolo che, sostanzialmente, tiene luogo di un nuovo contratto intervenuto tra le parti. Le riassunte censure non sono fondate. Gi� questa Corte suprema ha preso in considerazione il problema del trattamento fiscale dell'adeguamento dei canoni, relativi ad una prestazione contrattuale di contenuto pecuniario, che periodicamente, si ripete nel tempo, al mutato potere di acquisto della moneta, verificatosi nel corso del rapporto, ed ha affermato che l'adeguamento non comporta una modificazione del contratto e, quindi, non � soggetto all'applicazione <li una nuova imposta di registro (sent. 15 febbraio 1965, n. 234). Tale precedente decisione, anche se adottata con riferimento all'imposta di registro ed in relazione ad aumenti di canoni disposti per legge (d. I. 7 gennaio 1947, n. 24 e legge 21 gennaio' 1949, n. 8), applica tuttavia principi di carattere generale sulla natura e sugli effetti dell'adeguamento dei canoni, principi operanti anche nel caso in esame, in cui viene in considerazione una non diversa situazione economico giuridica delle parti contraenti, pure determinatasi per il fenomeno della svalutazione della moneta, che aveva sovvertito l'equilibrio delle prestazioni corrispettive originariamente stabilito dalle parti. La Corte del merito, dopo aver rilevato che la determinazione del nuovo canone, operata attraverso l'intervento degli arbitri e agli effetti di quanto dispone l'art. 1467 e.e., costituisce soltanto una diversa espressione numerica della originaria prestazione, avendo la funzione di ristabilire l'iniziale equilibrio economico, ha conseguentemente escluso non solo la novazione oggettiva della obbligazione contrattuale dell'odierna resistente, ma anche una modificazione dell'oggetto del contratto, in quanto la pronuncia degli arbitri non ha altra portata che quella di ricondurre il contratto alla sua originaria funzione di regolamento di interessi delle parti, in guisa che la prestazione dovuta dall'una torni a bilanciarsi con quella dovuta dall'altra. Tale pronuncia � da ritenere esatta e le argomentazioni svolte a suo sostegno costituiscono una congrua motivazione, informata a cor retti criteri logico-giuridici. . ' 882 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Invero, la � reductio ad aequitatem � del contratto offerta qalla societ� locataria e accolta dagli arbitri, non ha fatto che ripristinare l'equilibrio contrattuale venuto ad alterarsi nel corso del rapporto per effetto del fenomeno economico-finanziario del diminuito potere di acquisto della moneta. E dalla funzione di mero adeguamento monetario ravvisata dalla Corte del merito agli aumenti di canoni, detti aumenti, solo nominali, non posson dar luogo alla costituzione di un nuovo contratto, diverso oggettivamente da quello precedente e, quindi, assoggettabile all'imposta ipotecaria di trascrizione di cui al n. 5 della Tabella A, allegata alla legge n. 540 del 1943. Solo in apparenza pu� sembrare modificata la prestazione dovuta dalla societ� Produzione Calce e Cementi di Segni, ma, in effetti, essa era stata modifica.ta solo nella sua espressione numerica (ammontare dei canoni) per renderla aderente al mutato livello del valore della moneta e, quindi, non per innovare o modificare il regolamento contrattuale, ma per restaurare l'originario equilibrio delle prestazioni, cosi come voluto dalle parti contraenti. raie Ultimo rilievo in ordine ad una soltanto apparente modificazione della prestazione dovuta dalla locataria chiarisce, sul punto, la . � ratio decidendi � della sentenza denunziata e priva di ogni efficacia critica la censura della ricorrente che con il secondo mezzo lamenta contraddittoriet� di motivazione. N� a diverso avvis<> pu� indurre l'argomento svolto dalla difesa ricorrente che richiama, a sostegno della sua tesi, la necessit� di discri minare tra aumenti dei canoni disposti per legge (come nel caso di cui alla pre.cedente sentenza di questa Corte n. 234 del 1965) ed aumenti disposti con sentenza (o con lodo arbitrale) in applicazione �di quanto prevede l'art. 1467, comma terzo, cod. civ.. Invero, agli effetti del pro blema di diritto tributario che occorre risolvere, la distinzione sud detta si ravvisa priva di rilevanza. Infatti, sia nel �caso di adeguamento dei canoni � ope legis �, sia in quello di adeguamento � ope iudicis �, non diverso � il risultato economico-giuridico e i suoi effetti sul con tratto commutativo, che resta, nella sua sostanza, inalterato, perch� ricondotto alla sua funzione di strumento destinato a regolare un rap porto patrimoniale, mediante valutazi.one del rispettivo sacrificio e van taggio, fatto da ciascuna delle parti al momento della conclusione del negozio. Sempre a proposito d�ll'accennata discriminazione, sulla quale fa in particolar modo leva la ricorrente, non sembra inutile ricordare che gi� questa Corte suprema ha ritenuto che l'istituto della perequazione dei canoni d'affitto dei fondi rustici (art. 5 d.l.C.P.S. 1� aprile 1947, n. 277) altro non costituisce se non un'applicazione, sia pure con particolari adattamenti alla speciale materia, del principio di cui all'articolo 1467 cod. civ. il quale. stabilisce che, se la prestazione di una delle PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA parti � divenuta eccessivamente onerosa, per il verificarsi di avvenimenti straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione pu� domandare la risoluzione del contratto (sent. 26 luglio 1961, n. 1815 e sent. 9 maggio 1962, n. 219). E a ulteriore conferma di quanto si � detto, pu� anche richiamarsi il fondamento tecnico della risoluzione per eccessiva onerosit� e del suo rimedio (riduzione del contratto ad equit�) individuato dalla dottrina pi� autorevole non gi� in una presunta volont� delle parti, ma in un difetto della causa del contratto, in quanto l'eccessiva onerosit�, alterando il rapporto commutativo, fondato sull'a,deguatezza dei reciproci sacrifici delle parti contraenti, si risolve in un vizio funzionale della causa del negozio. Non miglior fondamento assiste le censure svolte nel terzo mezzo. Ben vero che tra le norme della legge sulle imposte ipotecarie e quelle della legge sull'imposta di registro esiste un collegamento, richiamando la legge n. 540 del 1943 quella del registro sia per quanto concerne il �valore su cui si applica l'imposta di registro� (art. 4), sia per quanto riguarda � la riscossione delle imposte e sopratasse� (art. 10), ma � anche vero che l'argomento non � rilevante ai fini della soluzione del caso in esame. Infatti, la deduzione difensiva, considerata in riferimento alla concreta fattispecie di causa, si ravvisa viziata da petizione di principio..Con essa, si d� come postulato l'affermazione per cui l'adeguamento dei canoni al diminuito potere di acquisto della moneta importi modifica del contenuto del contratto, mentre tale proposizione, lungi dal presentare carattere assiomatico, � invece quella che si deve dimostrare, imperniandosi appunto su di essa la questione giuridica centrale della controversia, come le considerazioni �dianzi svolte mettono in luce. Pertanto, i conseguenziali argomenti svolti dalla ricorrente sono privi di pregio muovendo da falsa premessa, perch� viziata da � petitio principii �. Consegue che si deve rigettare il ricorso e condannare l'Amministrazione ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione a favore della Soc. It. Produzione Calce e Cementi di Segni. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2204 -Pres. Favara -Est. Usai -P. M. Raja (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Alibrandi) c. Soc. Incas. Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Prescrizione -Interruzione -Effetti. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 140 e 141). La prescrizione � interrotta a favore di entrambe le parti non limitatamente alla pretesa o all'accertamento specifico che forma oggetto dell'atto interruttivo bens� in relazione all'intero rapporto tributario 884 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO inerente all'atto sottoposto a registrazi01J,e; conseguentemente tanto il contribuente quanto la Finanza possono rimettere in discussione� e rie�saminare senza limitazioni tutta la materia tassabile, e la Finanza pu� anche aggravare la misura della tassazione o assoggettare l'atto ad un'aliquota diversa, qualunque sia stato il motivo della domanda o detz'opposizione del contribuente (1). (Omissis). -Con l'unico mezzo la ricorrente, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 136, 140 e 141 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 (legge di registro) e dei principi che regolano la prescrizione in materia tributaria, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., ha rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver ammesso, in linea di principio e di diritto, che il corso della prescrizione era stato interrotto ed era rimasto sospeso in favore di entrambe le parti ai sensi degli artt. 140 e 141 della legge di registro, aveva poi disapplicato in concreto tale principio osservando che l'interruzione e la sospensione potevano valere soltanto nell'ambito oggettivo in cui la interruzione si era verificata (sussistenza o meno di un contratto di appalto) e non potevano essere spostate fuori di tale ambito, come invece era avvenuto nella .specie pretendendo, poi, la Finanza di tassare l'atto Malaguti come se contenesse una permuta. Ci� premesso, la ricorrente ha osservato che ci� contrastava coi principi fissati da questa Corte suprema, la quale aveva ripetutamente chiarito che l'effetto interruttivo non era limitato alla pretesa o all'accertamento specifico oggetto dell'atto interruttivo, ma si estendeva a tutta la materia tassabile, che di conseguenza poteva essere rimessa tutta in discussione sia dal contribuente che dalla Amministrazione. Nella specie, ha precisato la ricorrente, la materia tassabile era data dal contenuto intrinseco dell'atto Malaguti 10 novembre 1950, il quale conteneva il trasferimento di un'area fabbricabile dietro corrispettivo della consegna di alcuni locali, gi� individuati, dell'edificio che. sarebbe stato costruito: questo era l'atto da tassare e, ai fini della tassazione si ,imponeva la individuazione del rapporto o dei rapporti giuridici che le parti avevano inteso di porre in essere. La Finanza (1) Giunge opportuna una nuova precisazione del particolare effetto che l'atto interruttivo produce su tutto ci� che � controvertibile intorno alla registrazione di un atto. Viene anche ulteriormente confermata la motivazione di tale concetto sul principio che l'obbligazione tributaria di registro nasce dalla legge e deve essere attuata in conformit� della norma mediante correzioni, anche ripetute, di eventuali �errori al fine di eliminare il di'V'ario tra l'obbligazione quale � secondo la legge e quella in concreto accertata. Vedi in argomento la nota di C. BAFILE, Considerazioni sull'interruzione deila prescrizione delle imposte indirette, in questa Rassegna, 1969, I, 280. :-.�. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 885 vi aveva ravvisato, in aggiunta alla compravendita, un contratto di appato; interrotta la prescrizione in seguito alla pretesa tributaria diretta a percepire l'imposta di registro sull'atto di appalto, l'effetto interruttivo non restava limitato a tale specifica pretesa, ma valeva a rimettere in discussione tutta la materia tassabile costituita dalla esatta qualificazione, agli effetti tributari, dell'atto Malaguti e quindi ben poteva la Finanza, successivamente, quando il nuovo periodo di prescrizione non si era ancora compiuto, avanzare la pretesa che l'atto Malaguti contenesse invece una permuta di cosa presente (area fabbricabile) contro cosa futura (locali da costruire) perch� si trattava sempre di individuare l'intrinseca natura dell'atto, se, .eio�, con esso si fosse posta in essere una compravendita ed un appalto ovvero una permuta. Il motivo � fondato. La Corte del merito ha, invero, enunciato e applicato il seguente principio: la materia tassabile a cui si estende la efficacia interruttiva di un atto promosso dal contribuente o dalla Finanza ha una limitazione implicitamente necessaria con riferimento al contratto rispetto al quale � sorta la contestazione tributaria. Tale limitazione oggettiva dell'efficacia dell'atto interruttivo della prescrizione, se non pu� essere intesa nel senso rigoroso con cui tale principio trova applicazione nel diritto comune, � pur tuttavia sempre condizionata alla materia tassabile in ordine alla quale � sorta la controversia tra il Fisco e il contribuente e sono stati compiuti gli atti aventi efficacia interruttiva. Tale principio � errato perch�, come ha ripetutamente affermato questa Corte Suprema (Cass. 21 ottobre 1�967, n. 2565, 28 giugno 1963, n. 1769, 18 febbraio 1963, n. 393), sia nel caso di domanda in via amministrativa per rimborso o per opposizione, sia in quello di ricorso alle commissioni tributarie, la prescrizione triennale � interrotta a favore di entrambe le parti non limitatamente alla pretesa od all'accertamento specifico che forma oggetto dell'atto, bens� in relazione all'intero rapporto tributario inerente all'atto sottoposto a registrazione; conseguentemente tanto il contribuente quanto la Finanza possono rimettere in discussione e riesaminare senza limitazioni tutta la materia tassabile, e la Finanza pu� anche aggravare la misura richiesta della tassazione o assoggettare l'atto ad una aliquota diversa, qualunque sia il motivo della domanda o �dell'opposizione del contribuente. E dell'esattezza di tali principi non pu� dubitarsi se si considera quanto segue. L'obbligazione di pagare l'imposta di registro nasce per l'effetto della registrazione dell'atto. Per rendere concreta tale obbligazione occorre liquidare la tassa, ossia accertare il tributo e ci� comporta anzitutto la determinazione, alla stregua dei criteri propri della legge di registro, del contenuto dell'atto presentato alla registrazione. Tutte le volte che l'ufficio erra nell'eseguire tale determinazione e, quindi, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 886 .anche se l'atto registrato contiene pi� convenzioni e l'ufficio accerti il tributo in relazione ad una sola di esse, sorge un divario tra l'obbligazione dovuta secondo la legge e quella accertata dall'ufficio; divario che deve essere eliminato con la richiesta dell'imposta suppletiva, la quale, per la stessa definizione che ne d� la legge del registro (art. 7) � diretta appunto a riparare gli errori o le omissioni in cui sia incorso l'ufficio, ossia a sostituire all'accertamento viziato quello esatto, in quanto conforme alla legge, nell'ambito dell'unica obbligazione tributaria sorta con la registrazione. In conseguenza, quando l'ufficio esegue, come ha fatto nel caso in esame, un accertamento suppletivo, manifesta la volont� di sostituire all'imposta erroneamente accertata quella realmente dovuta a tenore di legge per l'eseguita registrazione e quindi la relativa interruzione della prescrizione non pu� ritenersi circoscritta alla sola pretesa in concreto fatta valere con J'atto di accertamento suppletivo, ma deve essere estesa all'intero rapporto tributario inerente all'atto sottoposto a registrazione, senza alcuna limitazione, e, se tale atto contenga pi� convenzioni, anche ad un negozio diverso da quello fatto oggetto dell'iniziale accertamento suppletivo. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2209 -Pres. Rossano -Est. Falletti -P. M. Pedace (conf.) -Ministero de1 Tesoro (avv. Stato Coronas) c. Guetta (avv. Selvaggi). Violazione delle leggi finanziarie e valutarie -Pagamento di non residenti a residenti in Italia per cessioni di beni d'uso. e prestazioni di servizi in relazione al soggiorno in Italia -Pagamento eseguito da un terzo per conto dei debitori -Legittimit�. (d.1. 6 giugno 1956, n. 476, art. 2, 3 e 4). La deroga prevista dall'art. 3 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476 alle restrizioni stabilite sulla circolazione di valuta tra residenti e non residenti in Italia, si riferisce all'ipotesi che il pagamento di debiti di non 1�esidenti sia oggettivamente in relazione a cessioni di beni d'uso e a prestazioni di servizi connesse al soggiorno dei non residenti in Italia; il pagamento pu� quindi essere eseguito anche da un terzo per conto dei debitori non richiedendosi dalla legge che l'adempimento sia eseguito personalmente. Non incorre pertanto nelle sanzioni di legge il residente che, ricevendo moneta italiana da banche italiane per conto di turisti stranieri, abbia provveduto a saldare i conti di alberghi. Cip non esclude che l'interferenza di un terzo che si pone in rapporti di intermediazione tra turisti stranieri, agenzie di viaggio e albergatori PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 887 possa dar luogo a violazione di norme valutarie; ma tali possibili vioPARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 887 possa dar luogo a violazione di norme valutarie; ma tali possibili violazioni debbono essere nelle singole ipotesi accertate e dimostrate se non discendono dal sol fatto che il terzo abbia eseguito l'adempimento per conto di non residenti senza un espresso mandato (1). (Omissis). -Con decreto 23 maggio 1960 il Ministero del Tesoro infliggeva a Benedetto Guetta la pena pecuniaria di L. 7 milioni, di cui L. 5 milioni condonate, contestandogli di aver effettuato pagamenti in Italia per conto di debitori residenti all'estero, in violazione delle norme valutarie contenute nel decreto legge 6 giugno 1956, n. 476. Il Guetta, secondo il rapporto della polizia tributaria, si era interposto tra agenzie di viaggio straniere ed albergatori italiani, pagando a questi ultimi per conto delle prime il prezzo delle prestazioni eseguite a favore di turisti stranieri in Italia, e utilizzando all'uopo gli importi di assegni circolari, emessi da banche italiane, in Italia, su richiesta di persone rimaste sconosciute e spediti al Guetta. L'opposizione del Guetta, proposta contro il Ministero del Tesoro e contro il Ministero delle Finanze, veniva respinta dal Tribunale di Venezia, con sentenza 25 marzo 1964, per difetto di legittimazione nei riguardi del primo.. e per ragioni di merito nei riguardi del secondo. Ma la Corte d appello di Venezia, accogliendo con sentenza 5 aprile 1966 il .gravame proposto dal Guetta contro il Ministero delle Finanze, riteneva che non sussistessero nella specie le violazioni contestate, e dichiarava pertanto non dovuta la pena pecuniaria come sopra inflitta. L'Amministrazione delle finanze ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di due mezzi: resiste con controricorso Giuliana Guetta, succeduta quale erede del padre Benedetto Guetta, frattanto defunto. La ricorrente ha inoltre presentato una memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE Col primo mezzo, denunciando la violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 7 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476 e il difetto di motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) la ricorrente lamenta che la Corte di appello, per escludere l'illegittimit� delle operazioni valutarie imputate al Guetta, abbia soltanto considerato che i pagamenti da lui eseguiti corrispondevano alle prestazioni alberghiere ricevute in Italia da turisti stranieri. Secondo invece il ricorrente le norme citate limiterebbero entro l'ambito di pi� specifici requisiti le ipotesi di deroga ai propri divieti, e il loro carattere eccezional� imporrebbe un'interpretazione restrittiva. (1) Non constano precedenti. 888 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le censure non sono fondate. Basta rapportare le circostanze della fattispecie, come insindacabilmente ritenute dalla sentenza impugnata e come pacificamente ammesse da entrambe le parti, agli artt. 3 e 4 del d.1. 6 giugno 1956, n. 476 per constatare che corretta e giustificata ne risulta la negazione di illegittimit� degli atti contestata al Guetta. La Corte d'appello ha invero premesso che il Guetta e si limit� � a saldare i conti delle prestazioni alberghiere usufruite in Italia da turisti stranieri: che egli esegui tali pagamenti per incarico ricevuto da agenzie straniere di viaggio, con le quali era abitualmente in rapporto di affari; che gli importi da pagare e i nomi dei creditori relativi gli venivano indicati dai dipendenti delle agenzie, i quali accompagnavano in Italia le comitive turistiche: che all'uopo il Guetta riceveva degli assegni circolari, emessi a suo favore in Italia da banche italiane e spediti a lui da persone per lo pi� rimaste sconosciute. Il d.l. n. 476 ( � nuove norme valutarie e istituzione di un mercato libero di biglietti di stato e di banca esteri �) dispone nell'art. 2 che � ai residenti � fatto divieto di compiere qualsisi atto idoneo a produrre obbligazioni fra essi e non residenti... se non in base ad autorizzazioni ministeriali. I crediti dei residenti verso non residenti devono essere dichiarati dai titolari con le modalit� ed entro i termini stabiliti dal ministro per il commercio con l'estero. I residenti che siano creditori o debitori, a qualunque titolo, verso non residenti hanno l'obbligo di riscuotere i loro crediti o di pagare i loro debiti con le modalit� ed entro i termini... (id) �. Ma l'�rt. 3 ammette che � i residenti possono compiere atti idonei a produrre obbligazioni fra essi e non residenti, in deroga al disposto dell'art. 2, quando tali obbligazioni abbiano per oggetto cessioni di beni d'uso e prestazioni di servizi ai non residenti stessi, in relazione al loro soggiorno in Italia. I residenti che siano creditori verso non residenti in dipendenza degli atti previsti dal precedente comma sono autorizzati a ricevere in pagamento biglietti di stato e di banca esteri o assegnati in moneta estera �. L'art. 4 dispone che � i residenti non possono ricevere pagamenti da non residenti o effettuare pagamenti a non residenti, direttamente o per conto di medesimi, se non in conformit� al disposto degli artt. 2 e 3 �. Da tali norme, si desume che nella specie i residenti (cio� gli albergatori italiani) poterono legittimamente ricevere i pagamenti ad essi dovuti da non residenti (i turisti stranieri), e che il versamento delle somme relative (in moneta italiana) pot� legittimamente essere eseguito per il tramite del Guetta, come persona all'uopo incaricata e munita della provvista corrispettiva. I pagamenti riguardavano le prestazioni di servizi alberghieri e il Guetta li effettu� � per conto � dei turisti medesimi; nei limiti quindi e secondo i requisiti, oggettivi e soggettivi, stabiliti dagli artt. 3 e 4. La Corte di appello non si � fermata al requisito oggettivo,� non contestato nei limiti del pagamento, ma ha dimostrato la sussistenza PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA del requisito soggettivo, respingendo bensi la tesi erronea seguita dal primo giudice, secondo cui il pagamento delle prestazioni in oggetto avrebbe dovuto essere effettuato �personalmente� dai turisti agli albergatori, ma ritenendo, come la legge ammette, che il pagamento potesse avvenire mediante delega di un terzo; se cosi non fosse, si legge nella sentenza impugnata, bisognerebbe ritenere illecito fin anche il pagamento del conto alberghiero effettuato da chi sia compagno di viaggio dell'utente. Non importa che gli assegni pervenissero al Guetta da persone sconosciute; n� codesta circostanza, che piuttosto avvalora il convincimento espresso nella sentenza impugnata, secondo cui non le agenzie di viaggio ma i turisti personalmente provvedevano ad inviare le somme necessarie per il pagamento dei conti alberghieri, consentiva per s� di affermare nei confronti del Guetta la presunzione di un'interfei: rtenza estranea e illecita da parte sua nei rapporti fra i turisti e le agenzie e gli albergatori, quasi che egli avesse l'onere di provare, come argomenta la difesa erariale, ?-i aver ricevuto formali e singolari mandati da ciascuno dei turisti (dovendo quindi conoscere il nome dei suoi mandanti), e non bastasse il fatto di aver eseguito i pagamenti � per conto dei medesimi �. La responsabilit�, viceversa, e le sanzioni intimate al Guetta non potevano desumersi dal sospetto, per quanto possibile e verosimile, di eventuali irregolarit�, ma doveva intrinsecamente giustificarsi su rilievi di positiva consistenza e dimostrazione. -(Omissis). I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2213 -Pres. Stella Richter. -Est. Alibrandi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Tracanna) c. Soc. Aurora. Imposta di registro -Accessione -Presunzione ex art. 47 legge di re gistro -Deroga prevista dalla 1. 24 gennaio 1962, n. 23 -Presupposti di applicabilit�. (r.d. 30 dicembre 192.3, n. 3269, art. 47; 1. 24 gennaio 1962, n .23). La presunzione dell'art. 47 della legge di registro (in forza della quale si considerano trasferite le accessioni unitamente al suolo, anche se nell'atto � diversamente disposto) pu� esser vinta soltanto con atto scritto che abbia acquistato data certa, col mezzo della registrazione, anteriore al trasferimento. Per poter derogare a tale rigoroso principio a 11:orma deUa legge 24 gennaio 1962, n. 23, che ritiene idonee a vincere la presunzione le deliberazioni con cui comuni e province abbiano 890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO autorizzato la edificazione su terreni ine.dificati a coloro che successivamente hanno stipulato il contratto di acquisto, � necessario che si tratti di deliberazioni anteriori all'entrata in vigore della legge, che gli enti locali abbiano espresso il loro consenso alla edificazione, che la vendita abbia per oggetto terreni non edificati. L'ultimo requisito della ined'ificazione deve essere specificamente dimostrato e non � implico nel s~l fatto che con la deliberazione sia stato dato il consenso alla costruzione (1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 giugno 1969, n. 2404 -Pres. Pece -Est. Pascasio -P. M. Chiron (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Romani (avv. Zito). Imposta di registro -Accessione -Agevolazione ex art. 14 I. ~ luglio 1949, n. 408 -Deroga all'art. 47 della legge di registro. (1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14; r.d. 30 dicembre 11!23, n. 3269, art. 47). La costruzione eseguita dal futuro acquirente dell'area cui la costruzione inerisce, seguita dal trasferimento dell'm�ea al medesimo costruttore, esP'rime un risultato identico a quello che si produce con l'acquisto dell'area e la successiva costruzione su di esso. Pertanto non possono essere esclusi dai benefici fiscali previsti dall'art. 14 della legge (1-2) Con la prima sentenza si � ribadito il rigore della presunzione dell'art. 47 della legge di registro esponendo le ragioni che la giustificano anche in riferimento (cfr. Cass., 29 ottobre 1966, n. 2713 in questa Rassegna, 1966, I, 1354) al suo carattere di sanzione contro l'omessa registrazione dell'atto di costituzione del diritto di .superficie, e si � sottolineata l'eccezionalit� e la temporaneit� della 1. 24 gennaio 1962, n. 23. Con la seconda sentenza, per�, si � affermato che quest'ultima legge, emanata precipuamente al fine di estendere l'agevolazione della elgge Tupini a talune particolari situazioni, era in sostanza inutile perch� l'art. 14 della 1. 2 luglio 1949, n. 408 contiene gi� una deroga al principio di presunzione di accesisone di portata ben pi� ampia di quella introdotta con la norma eccezionale del 1962. Quest'ultimo orientamento giurisprudenziale apertosi con la decisione delle Sez. Un. n. 383 del 1963 (Foro it., 1963, I, 710) pu� ritenersi ormai consolidato, anche se per nulla convincente (cfr. la nota critica alla sentenza 25 ottobre 1966, n. 2581 in que.sta Rassegna, 1966, I, 1107). Resta tuttavia ancora incerta la questione in ordine alla dimostrazione del fatto che la costruzione sia stata eseguita dallo stesso acquirente, cosa che ovviamente non pu� presumersi e che non pu� dirsi dimostrata da quanto le parti dichiarano nell'atto di acquisto. Anche escludendo la presunzione dell'art. 47 legge di registro, resta sempre '1a presunzione del PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 891 2 luglio 1949, n. 408 gli acquisti di aree su cui gli acquirenti abbiano gi� costruito case di abitazione; n� pu� ammettersi la separazione, agli effetti tributari, del trasferimento dell'area (ammissibile al beneficio) dal trasferimento della costruzione (soggetta alle normali impost~) in quanto a norma dell'art. 47 della legge di registro, deve escludersi che si sia verificato il trasferimento delle costruzioni. Neppure pu� ritenersi che siffatta interpretazione si risolva nella dilatazione deil'art. 17 della stessa legge n. 408, riferito al trasferimento di case gi� dichiarate abitabili, perch� per la medesima ragione il trasferimento a favore dell'acquirente concerne soltanto il suolo (2). I (Omissis). -Con l'unico-mezzo d'impugnazione, la ricorrente Amministrazione delle finanze denunzia violazione e falsa applicazione della legge 24 gennaio 1962, n. 23, in relazione all'art. 47 della legge di registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269); violazione e falsa applicazione degli artt. 934 e segg. e.e. -e degli artt. 952-956 e.e.; violazione delle norme e dei principi in materia di valutazione delle prove (art. 116 c.p.c.) e, in particolare, della prova documentale (artt. 2699 e segg. e.e.); omesso esame e conseguente difetto assoluto di motivazione in ordine a documenti relativi a punti decisivi della controversia, nonch�, infine, violazione delle norme e dei principi in tema di manifestazione del consenso da parte di ente pubblico. Deduce la ricorrente che se la Corte del merito avesse preso in esame i documenti prodotti in appello l'art. 934 e.e. e sar� sempre necessario dimostrare che la costruzione non sia stata eseguita dal proprietario o da un terzo (ip9tesi quest'ultima che pu� verificarsi frequentemente quando un'impresa edilizia attraverso com promessi acquista l'area e rivende le case facendo per� figurare nell'unico atto che si sottopone a registrazione l'acquisto diretto dal proprietario dell'area). Riguardo alla prima sentenza � da condividere pienamente sia la pre messa della rigorosa interpretazione dell'art. 47 della legge di registro, sia la sottile precisazione che la prova dell'inesistenza di costruzioni non � implicita nella deliberazione che autorizza la costruzione, ben potendosi dare il consenso successivamente all'inizio delle opere. Non pu� invece condividersi l'ultima affermazione riguardante l'onere della prova della preesistenza della costruzione che graverebbe sulla finanza in quanto essa si avvale di una presunzione. Poich� le deliberazioni degli enti locali sono riconosciute come mezzi idonei a dare la prova contraria alla presunzione dell'art. 47, spetta al contribuente dimostrare il fatto che vince la presunzione, cio� sia !',esistenza del consenso degli enti alla co struzione sul proprio suolo sia l'inesistenza di una cotsruzione anteriore. Appunto perci� la presunzione ,giova alla Finanza, e spetta per intero al contribuente la prova contraria. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 892 e, soprattutto, il verbale dell'eseguito sopralluogo in data 30 gennaio 1948, avrebbe accertato che la costruzione .del cinema-teatro era avvenuta in epoca anteriore alle delibere del 27 aprile 1948 e del 13 gennaio 1949, onde manca il requisito della vendita di terreni non edificati, di cui alla legge n. 23 del 1962. Si duole, inoltre, l'Amministrazione delle finanze che la Corte d'appello abbia ritenuto che il comune di Alfonsine avesse espresso il proprio consenso alla edificazione, consenso che, trattandosi di ente pubblico, doveva essere manifestato in modo formale. Deduce infine la ricorrente, sempre per negare l'applicabilit� della legge n. 23 del 1962, che manca l'identit� tra il soggetto autorizzato ad edificare (Gessi) e il soggetto che ha acquistato il terreno (Soc. Aurora). Le riassunte censure si ravvisano in parte fondate, nei limiti che sono chiariti nelle considerazioni che seguono, onde il ricorso va accolto per quanto di ragione. Va premesso che l'art. 47 della legge organica di registro, nel logico collegamento dei suoi primi tre comma, stabilisce, da un canto, con presunzione � juris tantum ., che le accessioni sono considerate trasferite all'acquirente del suolo, sebbene nell'atto si dichiarino escluse, e, da un altro, ammette l'acquirente del suolo ad esperire la prova contraria, la quale, per�, pu� essere fornita soltanto con atto scritto che abbia acquistato data certa anteriore con il mezzo della registrazione. Ci� a differenza di quanto dispone il diritto comune nel quale, ai fini d'impedire che il proprietario �del suolo acquisti per accessione la propriet� della costruzione da altri eretta sul suo terreno (art. 934 e.e.), � sufficiente che la concessione � ad aedificandum � risulti da atto scritto di data certa anteriore alla costruzione, certezza della data che anche la scrittura privata consegue nei modi di cui all'art. 2704 e.e., oltre, ovviamente, l'atto pubblico (art. 2700 e.e.). La legge tributaria -va sottolineato -disciplina la materia con particola,re rigore, perch� la presunzione di trasferimento della costruzione unitamente al suolo su cui insiste, prevista dal citato art. 47, oltre a presidiare le ragioni del fisco nei riguar!}i di eventuali evasori, riveste anche carattere di sanzione per l'omessa tempestiva registrazione dell'atto di trapasso del diritto di superficie (Cass. 29 ottobre 1966, n. 2713). Il rigore di quanto dispone l'art. 47 legge di registro � attenuato con ~'articolo unico della legge 24 gennaio 1962, n. 23, il cui primo comma � cosi formulato: � In deroga all'art. 47 del regio decreto 30 dicembre 1923, n. 3269 e successive modificazioni, sono idonee a vincere la presunzione di accessione le deliberazioni adottate prima dell'entrata in vigore della presente legge, con le quali le Provincie e i Comuni abbiano autorizzato la vendita di terreni non edificati a coloro che successivamente hanno stipulato il �Contratto di acquisto, consen PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 893 tendo nel frattempo alla edificazione, nonch� i contratti di appalto stiPARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 893 tendo nel frattempo alla edificazione, nonch� i contratti di appalto stipulati da~li Istituti autonomi per le case popolari per costruzioni su terreni successivamente acquistati �. Tale disposizione, di natura innovativa e di carattere temporaneo, opera in un ambito oggettivamente e soggettivamente limitato, richiedendo quali requisiti, concorrenti ed autonomi, per la sua applicabilit� che a) si tratti di deliberazioni anteriori all'entrata in vigore della legge stessa; b) che le provincie ed i comuni abbiano espresso il loro �Consenso all'edificazione; c) che, infine, la vendita abbia per oggetto terreni non edificati al momento in cui sono state prese le delibera2; ioni che ne autorizzano la vendita. Mentre a proposito del primo requiI .sito non sorge questione alcuna, le ragioni del decidere s'incontrano I sulla sussistenza dei due ultimi requisiti. l Ci� premesso, la Corte, esaminando le questioni della controversia I nello stesso ordine di trattazione seguito dalla sentenza denunziata, l I rileva che priva di fondamento � la censura della ricorrente che si i .appunta sull'apprezzamento espresso dal giudice del merito in ordine ~ al consenso alla edificazione, richiesto dal trascritto articolo unico della I legge n. 23 del 1962. Sul punto, la Corte d'appello ha ritenuto, attraverso l'esame degli atti, che, in un primo tempo, il comune aveva deliI berato in data 27 aprile 1948 di vendere ad Ottorino Gessi il terreno 1 " de quo � per la costruzione di un teatro e che, successivamente, il ! I 23 gennaio 1949, essendo stata costituita la soc. r. 1. Aurora, con sede \ :in Alfonsine, lo stesso comune aveva deliberato, revocando la prece! i dente delibera, di vendere il medesimo terreno alla soc. Aurora. La Corte poi, dal compiuto esame dei due provvedimenti e dalla necessaria I !integrazione del contenuto della delibera del 13 gennaio 1949 con quello della deliberazione precedente, riportata per esteso quale parte inteI I _grante del testo del provvedimento, ha tratto la convinzione che il I .comune aveva autorizzato la soc. Aurora a costruire sull'immobile veni I dutole ritenendo, quindi,. che il comune di Alfonsine aveva dato il I proprio consenso, nelle debite forme, all'edificazione del cinema-teatro. Tale apprezzamento delle due deliberazioni, correttamente coordinate dalla Corte d'appello per valutarne il loro contenuto, si risolve in un accertamento di . fatto, non censurabile in questa sede, perch� sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi �logici e giuridici. I Va, invero, tenuto presente che l'interpretazione degli atti amministra �i tivi deve essere condotta con l'osservanza delle regole di ermeneutica .dettate per i contratti (Cass. 13 luglio 1964, n. 1883 e Cass. 20 luglio I 1968, n. 2614) e che il risultato del procedimento interpretativo, quale I :accertamento di fatto, � sindacabile in sede di legittimit� solo sotto il 1 : profilo del vizio di motivazione. N� vale obiettare -come sostiene la ricorrente con la censura che si ricollega a quella ora esaminata -che il soggetto autorizzato ------.r~ij~i RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO ST~~ , ad edificare (Gessi) � diverso da quello che ha acquistato il terreno (soc. Aurora). Infatti, la Corte del merito ha accertato con apprezzamento -ripetesi -non sindacabile in questa sede che il comune di Alfonsine, revocata la precedente deliberazione a favore del Gessi, con la successiva delibera del 13 gennaio 1949, relativa alla sostituzione del soggetto acquirente dell'area, non soltanto autorizz� la vendita di questa alla soc. Aurora, ma prest� anche il proprio consenso alla edificazione a favore della societ� medesima. Quest'ultima pertanto, contrariamente all'assunto della ricorrente, assomma la qualit� di soggetto autorizzato ad edificare e di compratrice dell'area di cui trattasi. Fondata �, invece, la censura di omesso esame di documenti, con conseguente difetto di motivazione, che � I'Amministr�zione ricorrente muove alla sentenza denunziata per ci� che attiene all'ulteriore requisito di cui alla legge n. 23 del 1962 quello, cio�, che la vendita abbia per oggetto terreni non edificati al momento delle deliberazioni degli enti pubblici territoriali (Provincie e Comuni) che ne abbiano autorizzato la vendita. Sul punto, la Corte del merito ha motivato il proprio convincimento limitandosi ad osservare che risultava � dallo stesso testo della delibera 13 gennaio 1949 che la costruzione del teatro non era stata ancora eseguita a tale data, una volta che si deliberava di vendere H terreno appunto per eseguire la costruzione del teatro �. Ha, poi, aggiunto che non erano da ritenere rilevanti le circostanze che il Gessi aveva provveduto a richiedere l'autorizzazione alla costruzione il 13 gennaio 1948 alla Presidenza del Consiglio dei ministri e in data 11 febbraio 1948 alla Questura di Ravenna. Ma tale motivazione � palesemente erronea ed insufficiente. La legge del 1962, riferendosi a � terreni non edificati ., richiede il fatto obiettivo che sul terreno venduto, al momento della deliberazione che ne autorizza la vendita, non siano state eseguite costruzioni, requisito negativo che la Corte del merito ha ritenuto di poter desumere dal contenuto della stessa deliberazione del 13 gennaio 1949, incorrendo in. evidente errore logico, sotto il profilo della petizione di principio. D'altro lato, il giudice d'appello non ha preso in esame i documenti prodotti dall'Amministrazione delle finanze in sede di gravame� ed, in particolare, il verbale redatto in data 30 gennaio 1948 relativo. all'eseguito sopralluogo nei locali del cinema-teatro da parte della Commissione permanente di vigilanza la quale, a norma dell'art. 142 del. Regolamento di P.S. (r.d. 6 maggio 1940, n. 635) ha il compito di verificare le condizioni di solidit�, di sicurezza e di igiene dei locali desti-� nati a pubblici gpettacoli. Ora, considerato che secondo l'indirizzo giurisprudenziale di questa Corte suprema, l'omesso esame di documenti pu� essere denunziata. ~ ~ rn I ~~j~ i==> PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA quale motivo di ricorso per cassazione quando si tratti di documenti idonei a provare un fatto non preso in considerazione dal giudice del merito e che avrebbe potuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata (sent. 28 luglio 1965, n. 1812 e sent. 23 maggio 1967, n. 1127), rilevasi che la Corte d'appello non ha considerato il fatto dell'avvenuto sopralluogo, comprovato dal prodotto verbale, e, tenuto presente il momento in cui fu eseguito (30 gennaio 1948), trattasi di fatto che doveva essere preso in esame dal giudice del merito perch� tale da condurre ad una decisione diversa da quella cui � pervenuta la sentenza denunziata. Invero, la circostanza n<m presa in esame dalla Corte del merito � indubbiamente decisiva, come pu� rilevare questo supremo Collegio giudicando in astratto (Cass. 28 settembre 1968, n. 3005). � Basti considerare che il fatto obiettivo della preesistenza della costruzione sul terreno venduto dal comune, da un lato, esclude se provato, l'applicazione della legge di agevolazione fiscale diretta ad incentivare le nuove costruzioni, e, da un altro, realizza la condizione necessaria perch� possa farsi valere la presunzione di cui al citato art. 47 della legge di registro. Ben vero che l'onere della prova di tale fatto (preesistenza della costruzione sul suolo venduto) grava sull'Amministrazione delle finanze che si avvale della presunzione, ma � anche vero che, nella specie, tale prova � stata offerta, in via documentale, dalla ricorrente e non poteva non essere presa in esame. Pertanto, in accoglimento della censura di omesso esame, la sentenza denunziata deve essere cassata con rinvio ad altra Corte d'appello, per nuovo esame sul punto investito dalla censura accolta, in conformit� ai principi di legge dianzi richiamati. -(Omissis). II (Omissis). -Col primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 934 e.e., dell'art. 47 della legge di registro 30 dicembre 1923, n. 3269 e dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., l'Amministrazione lamenta che la Corte abbia escluso la configurabilit� dell'accessione della costruzione all'area con la conseguente soggezione al tributo anche della prima e l'ingiustificata estensione del beneficio fiscale concesso dalla legge del 1949 al trasferimento della sola area edificabile. La censura � infondata. Questa Corte suprema infatti gi� in pi� occasioni ha affermato che i benefici fiscali dell'imposta fissa di registro e della riduzione al quarto dell'imposta ipotecaria, previsti dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, sono applicabili anche agli acquisti di aree su cui gli acquirenti, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO prima di perfezionare l'acquisto, abbiano gi� edificato una costruzione per conto proprio. Ha in conseguenza ritenuto che il citato art. 14 deroghi all'art. 47 della legge di registro, che non trova applicazione rispetto alle costruzioni per cui opera la predetta norma agevolativa. Ne � ammissibile 1a separazione, agli effetti tributari, del trasferimento dell'area da quello delle accessioni, per assoggettare il primo al trattamento privilegiato previsto dall'art. 14 ed il secondo alla normale imposta di trasferimento di cui alla legge di registro. Infatti, poich� l'applicazione dell'art. 14 della legge n. 408 del 1949 all'acquisto di aree gi� edificate ad opera dell'acquirente, muove dal presupposto che oggetto del trasferimento sia stata la sola area in quanto la costruzione � stata fatta per anticipazione per proprio conto dall'acquirente dell'a,rea, con ci� stesso resta escluso che la predetta costruzione possa aver formato oggetto di trasferimento. Una simile giurisprudenza pu� ormai ritenersi consolidata (sent. n. 393 del 1963, n. 198 del 1964, n. 2581 del 1966 e n. 1460 del 1968) n� sono stati addotti argomenti tali che possano determinare ad una diversa decisione. Del pari infondati sono il secondo ed il terzo motivo con i quali si deduce che, in tal modo, si attuerebbe una interpretazione analogica dell'art. 14 della legge n. 408 del 1949, inammissibile in materia fiscale; e che il beneficio, previsto pel trasferimento dell'area, non pu� essere applicato alla costruzione, prevista soltanto dall'art. 17 della stessa legge n. 408, il quale (art. 17) richiede per la propria applicabilit� il presupposto della dichiarazione di abitabilit� della costruzione, dichiarazione che nella specie non � stata prodotta ed alla quale il contribuente non ha fatto richiamo. Anche queste censure sono infondate. Infatti, l'applicazione al trasferimento dell'area del beneficio previsto dall'art. 14 della legge Tupini nonostante la gi� avvenuta edificazione ad opera e per conto dell'acquirente dell'area implica una interpretazione estensiva della norma cosi come ripetl,ltamente � stato posto in evidenza dalle gi� menzionate decisioni di questa Corte. E tale interpretazione estensiva � ammissibile anche in materia tributaria ed � ben diversa dalla interpretazione analogica. Infine, quanto all'art. 17 della legge 408 del 1949 che prevede il trasferimento con diverse particolari agevolazioni, delle case costruite in applicazione della su indicata legge, esso non riguarda la fattispecie in esame in cui -come si � detto -� escluso che le costruzioni elevate ad opera dell'acquirente abbiano formato oggetto di trasferimento, sicch� manca il presupposto necessario all'applicazione del tributo di trasferimento preteso dall'Amministrazione. -(Omissis). _ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 897 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2223 -Pres. Pece -Est. Milano -P. M. Gedda (conf.) -Picciulin ed altri c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Angelini Rota). Violazione delle leggi finanziarie e valutarie -Procedimento -Notifica del verbale di contestazione -Non � richiesta. (r.d.I. 12 maggio 1938, n. 794, art. 3). Poich� la legge non prescrive la notifica, la contestazione deile infrazioni valutarie � regolare se i trasgressori siano stati invitati a sottoscrivere il verbale o se il verbale stesso sia stato ad essi consegnato (1). (Omissis). -L'inconsistenza del primo e del secondo motivo si evince dalla osservazione che la Corte di merito, con incensurab�le apprezzamento, adeguatamente motivato e compiutamente aderente alle risultanze processuali, ha ritenuto che il processo verbale di cui al quarto comma dell'art. 3 del decreto n. 794, relativo all'accertamento dei fatti, alla convocazione degli incolpati ed alla contestazione degli addebiti, non soltanto fu regolarmente redatto dai funzionari dell'amministrazione doganale, ma venne anche comunicato al Viale~ all'Erba ed al Picciulin mediante consegna di una copia, ed al Bottino a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, consegnata a persona addetta all'Ufficio presso il quale il Bottino espletava in quel tempo mansioni impiegatizie. E, come esattamente si � rilevato dalla sentenza impugnata, la suaccennata disposizione di legge, perch� sia raggiunto lo scopo di far conoscere agli incolpati la esistenza del procedimento amministrativo e la natura degli addebiti elevati a loro carico, si accontenta che gli stessi siano invitati a firmare il processo verbale di accertamento, (1) La decisione � da condividere pienamente. L'art. 3 del r.d.1. 12 maggio 1938, n. 794 prescrive �espressamente che i trasgressori siano invitati a firmare il verbale di cui hanno diritto di ottenere copia. Nel procedimento amministrativo, in via generale, la notifica non pu� mai ritenersi necessaria quando non sia espressamente ricl�esta, essendo pacifi.co che qualunque mezzo idoneo a portare a conoscenza dell'interessato l'atto amministrativo pu� sostituire la notifica. Ma vi � di pi�. Nell'accertamento di violazioni che comportano l'applicazione di sanzioni (penali o amministrative) la contestazione diretta (invito a sottoscrivere il verbale ed a fare eventuali dichiarazioni) vale ancor pi� della notifica del verbale a cui si ricorre quando non sia stata possibile la contestazione alla parte presente. Ed � evidente che, in mancanza di precise disposizioni, la consegna del verbale che non abbia potuto farsi direttamente possa eseguirsi con spedizione in plico raccomandato. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 898 oppure, come nella fattispecie era avvenuto, che ad essi sia consegnata una copia dell'atto, senza prescrivere che, a questo fine, sia adottato il s,istema proprio della notificazione degli atti giudiziari. � noto, infatti, che nell'ambito amministrativo solo in caso eccezionale � richiesta la adozione delle norme del codice di procedura civile in tema di notificazioni, bastando comunque la conoscenza dell'atto amministrativo per l'inizio della decorrenza dei termini di impugnativa (Cass., Sez. Un., 11 dicembre 1963, n. 3132; 3 maggio 1953, n. 1462). -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1969, n. 2296 -Pres. Stella Richter -Est. Falletti -P. M. Gentile (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Soprano) c. Aleo e Papale. Imposta di registro -Atto di sottomissione a garanzia in materia di dilazione del pagamento dell'imposta di successione -Garanzie prestate da un terzo -Imposta fissa di registro. (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 65; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa A, art. 55). L'atto di sottomissione e garanzia� che accede alla concessione di dilazione del pagamento dell'imposta di successione �, a norma dell'art. 65 della le�gge organica sulle successioni, in ogni caso soggetto alla tassa fissa di registro di cui all'art. 55 tariffa A, anche quando la garanzia, reale o personale, sia prestata da terzi (1). (Omissis). -La ricorrente ,sostiene che l'art. 65 della legge sulle imposte di successione non concede alle garanzie prestate da un terzo il medesimo trattamento riservato alle garanzie prestate dall'obbli gato: la sentenza impugnata, avendo accolto la tesi contraria, ha vio tato gli artt. 54 e 55 ali. A del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 e l'arti colo 65, appunto del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270. Il ricorso non � fondato. Secondo l'art. 65, primo comma, i debi tori delle imposte di successione possono eseguirne il pagamento con dilazione rateale. � A tutela del credito dilazionato -si legge nei comma seguenti -dovr� essere iscritta ipoteca sugli immobili eredi tari, nonch� assunta ogni altra idonea garanzia a giudizio dell'ammi nistrazione... La dilazione dovr� risultare da atto scritto... Tutte le spese per l'atto, compresa l'imposta fissa a cui esso � soggetto, sono La sentenza segue la precedente pronuncia 29 ottobre 1968, n. 3611, citata nel testo, pubblicata in questa Rassegna, 1968, I, 835, con osservazioni critiche ,che restano tuttora valide. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 899 a carico dei debitori �. E l'ultimo comma cosi .conclude: � L'atto di sottomissione e di garanzia � soggetto alla tassa fissa di cui all'art. 55 della tariffa all. A della legge di registro ed � esente dalle tasse di bollo e ipotecarie �. Come si vede, queste disposizioni riguardano l'atto di garanzia in senso autonomo ed assoluto, riguardano anzi �l'atto scritto di dilazione � che tutte comprende le possibili garanzie, senza distinzione tra le garanzie prestate dall'obbligato e le garanzie eventualmente prestate da terzi ( � ogni idonea garanzia � ). All'atto come tale, nell'obiettivit� unica ed unitaria della sua propria natura e funzione, senza altri requisiti o eccezioni d'ordine soggettivo, deve applicarsi il trattamento fiscale della tassa fissa, come quello stabilito dall'art. 55 della tariffa all. A. L'art. 55 concerne bensi gli � atti di cauzione o di sottomissione prestati dall'obbligato principale ., mentre le cauzioni e fidejussioni prestate da terzi sono separatamente previste dall'art. 54 e soggette a imposta graduale; proprio perch� l'art. 65 della legge sulle imposte di successione richiama soltanto l'art. 55, non anche l'art. 54, della tariffa all. A della legge sull'imposta di registro, si deve intendere che relativamente all'ipotesi regolata dall'art. 65 � sempre e soltanto la tassa fissa che deve applicarsi, non importa se la garanzia sia prestata dall'obbligato o da un terzo. Ed anzi, considerando che per le garanzie dell'obbligato non sarebbe occorsa una particolare e ripetuta disposizione oltre quella dell'art. 55, l'inserimento specifico e la portata dell'art. 65 potrebbero meglio accentuarsi nel proposito appunto, precipuo e cumulativo, di sancire anche per le garanzie prestate da un terzo (nel caso dell'imposta di. successione e del suo pagamento rateale) il medesimo trattamento gi� pertinente .alle garanzie prestate dell'obbligato: nel proposito, insomma, di derogare per le garanzie del terzo al trattamento normale, escludendo a loro riguardo l'imponibilit� altrimenti applicabile della tassa graduale. Il rinvio dall'art. 65 all'art. 55 non � prescritto affinch� si ricerchi nella norma richiamata il presupposto e l'obiettiva corrispondenza della situazione imponibile (poich� questa si trova gi� descritta ed esaurita nelle disposizioni dell'art. 65), ma � rivolto a individuare, nell'ambito della tariffa, entro la categoria delle � fidejussioni, garanzie in genere, e assicurazioni � (artt. 54-59 bis), la misura dell'imposta dovuta e a collocarvi la sua propria, inerente, fattispecie. E tale fattispecie rivela altres�, obiettivamente, e razionalmente giustifica nell'analogia dei presupposti il criterio sistematico del proprio collocamento tra gli � atti di cauzione o di sottomissione prestati dall'obbligato principale, imposti dalle leggi per l'esercizio di un diritto... � (art. 55), se si osserva che le garanzie prescritte dall'art. 65 sono anche esse obbligatorie, prestate per l'esercizio di una facolt� (pagamento rateale dell'imposta) e prestate nell'interesse e � a giudizio � dell'amministrazione. Senza dire 900 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO -come ha gi� osservato una precedente pronuncia di questa Corte (Cass. 1968, n. 3611) -che una diversa interpretazione contrasterebbe pure con lo scopo della norma e con l'equit�. Da una parte i terzi si sentirebbero dissuasi dal farsi garanti dell'altrui debito d'imposta, e cos� si renderebbe pi� difficile l'ottenimento di quella duplice garanzia che costituisce per l'erario una miglior tutela del proprio credito: dall'altra parte, si verrebbe a negare il beneficio dell'imposizione minima, come quella dell'imposta fissa, proprio .a coloro che, per il fatto stesso di rendersi responsabili verso l'erario di un'obbligazione non propria, ne appaiono viceversa maggiormente meritevoli. Il giudizio della sentenza impugnata merita quindi approvazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 giugno 1969, n. 2397 -Pres. Pece -Est. Pascasio -P. M. Gedda (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Freni) c. Cassa di Risparmio di Ancona (avv. D'Alessio). Imposta di registro -Agevolazioni per le imprese danneggiate da calamit� pubbliche ex art. 1 I. 13 febbraio 1952, n. 50 -Atti strumentalmente connessi -Deposito bancario accessorio a mutuo Estensione delle agevolazioni. (I. 13 febbraio 1952, n. 50, art. l; d.l.l. l� novembre 1944, n. 367, art. 12). Il contratto di deposito bancario connesso con funzione strumentale ad un contratto di mutuo gode della stessa agevolazione prevista per il mutuo dall'art. 1 della legge 13 febbraio 1952, n. 50 (1). (Omissis). -Con l'unico motivo la ricorrente, deducendo la violazione degli artt. 1 della legge 13 febbraio 1952, n. 50, 2 della legge 21 agosto 1949, n. 638, 12 del d.1.1. 1� novembre 1944, n. 367, 9 e 37 del r.d. 30 dicembre 1923 in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. (1) Considerazioni sulla connessione strumentale con atti agevolati. La sentenza sopra pubblicata, �che si aggiunge alla serie ormai lunga delle pronunce che hanno esteso le agevolazioni agli atti collegati con quello espressamente agevolato, autorizza a pensare che ormai la S.C. abbia elevato a principio generale del diritto tributario il concetto di connessione strumentale o di mezzo al fine. Infatti nelle pi� diverse materie e indipendentemente da un'analisi specifica della natura e delle finalit� del[' agevolazione considerata, si afferma ormai con costanza l'est�nsione dell'agevolazione agli atti collegati, ricorrendo perfino, quando � necessario, ad applicare l'art. 9 della legge di registro in ipotesi di semplice connessione economica. Si fa in sostanza applicazione, indipendentemente dalle PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 901 lamenta che erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto applicabile al deposito il trattameno di favore stabilito dall'art. 12 del d.1.1. 1<> novembre 1944, n. 367, in considerazione di un supposto collegamento funzionale di detto negozio con quello di mutuo, collegamento, comunque, estraneo alla previsione della norma indicata. La censura non � fondata. Infatti l'art. 1 della citata legge 13 febbraio 1952, relativa a provvidenze a favore delle imprese danneggiate a seguito di calamit� pubbliche, richiama il d.l. 15 dicembre 1951, n. 1334, che, a sua volta, richiama la legge 21 agosto 1949, n. 638, il cui art. 2, ultimo comma,. precisa: e ai finanziamenti stessi si estendono, in quanto applicabili, le esenzioni fiscali, condizioni e modalit� di cui al d.1.1. 1o novembre 1944, n. 367 e successive modificazioni ed aggiunte, concernenti provvidenze per agevolare il riassetto della vita civile e la ripresa economica della Nazione �. norme specifiche di agevolazione o contro di esse, di un principio generalesupposto pi� elle dimostrato. � appena necessario rilevare che un tale principio generale non solo, non .risulta dalle norme o dal sistema, ma � invece in netto contra.sto con l'altro indiscusso principio generale dell'applicazione restrittiva della norma eccezionale tributaria. Non occorre quindi alcuno sforzo per dimostrare� l'insostenibilit� di un principio generale di dilatazione dei benefici agli atti collegati. Se si vuole, pertanto, tentar di dare una giustificazione logica dell'in-dirizzo giurisprudenziale ormai corrente, il solo mezzo pu� esser quello dell'interpretazione estensiva, intesa come determinazione precisa del contenuto reale della norma, in conformit� della ratio legis, ad un numerodi casi pi� ampio di quanto la dizione letterale consente, quando risulti evidente che il legislatore minus dixtis quam voluit (Cass. 13 febbraio1969, n. 847, in questa Rassegna, 1969, I, 124; 26 aprile 1968, n. 1283, ivi,. 1969, 82). Conseguentemente solo dalla specifica norma di agevolazione, e� non mai da principi generali, possono prendersi le mosse per stabilire se e in quali limiti sia consentita un'interpretazione estensiva. Nelle norme tributarie di agevolazione (o di incentivazione), che per\ seguono evidentemente una funzione economico ,sociale riferita ad un de-~ rminato tipo di attivit� la cui definizione si concreta in una scelta poli>: a voluta dal legislatore e sottratta ad ogni valutazione dell'interprete, �';: ti diversa l'ampiezza dei benefici tributari; a volte si usano espressioni -~tosto elastiche (atti diretti a...), altre volte si d� invece una enumerazione completa degli atti ritenuti meritevoli di incentivazione. Ma nell'uno e nell'altro caso l'agevolazione delimita un tipo di attivit� o una categoria di destinatari che si � inteso favorire, sempre entro confini pi� o meno estesi. Le esclusioni dall'agevolazione hanno quindi una loro ragione, peculiare proprio della funzione di incentivazione e riconducibilead u,na valutazione politica, che deve essere rispettata dall'interprete, a '.902 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DALLO STATO L'art. 12 di detto d.1.1. del 1� novembre 1944, dispone: � salvo le maggiori agevolazioni previste dalle vigenti disposizioni a favore dei singoli istituti ed enti finanziatori, gli atti e contratti con i quali vengono concesse le anticipazioni di cui al presente decreto, la garanzia statale ed il concorso dello Stato nel pagamento degli interessi come pure gli atti e contratti di consolidamento, estinzione e revoca del finanziamento, sono esenti dalle tasse di bollo e di concessione governativa. Le relative formalit� sono altresi esenti dalle Imposte di registro ed ipotecarie, salvo gli emolumenti spettanti ai conservatori dei registri immobiliari �. meno �Che l'esclusione non sia il risultato di una incompleta dichiarazione letterale della norma suscettibile di interpretazione estensiva. Nel caso di specie le provvidenze pr�eviste nel d.l. 1 novembre 1944, n. 367, e nelle foggi del 21 agosto 1949, n. 638, 15 dicembre 1951, n. 1334 e 13 febbraio 1952, n. 50 che vi fanno richiamo, si concretano nello stanziamento di un fondo da parte del Ministero del Tesoro destinato alla garanzia sussidiaria sulle anticipazioni che !istituti di credito concedono, con particolari privilegi, ad imprese industriali danneggiate. Solo in vista di �un tale congegno di operazioni, le � formalit� � relative alle anticipazioni, alla garanzia statale, al consolidamento, all'estinzione e alla revoca del finanziamento sono esenti dalle imposte di registro e ipotecarie. L'agevolazione considerata nella legge riguarda dunque non le comuni operazioni bancarie o il credito in genere, ma semplicemente quel particolare sistema -di anticipazione con garanzia statale. Ne consegue che esulano dal beneficio quegli atti che non sono necessari (anche se utili) per la realizzazione del previsto congegno di anticipazione e che le parti abbiano per proprio vantaggio ritenuto di stipulare in difformit� dalla tipologia legale. Se � pos: sibile (ma nel caso concreto sembra da escludere) individuare nel testo della norma le eventuali lacune nella dichiarazione nella mens legis, non � per� lecito trasformare la funzione della norma ovvero far diventare una �comune operazione di cr�edito un sistema particolarissimo di anticipazione. Un contratto di deposito, che non � connaturale al sistema ma anzi, come meglio si vedr�, � contro di esso, non pu� inserirsi nell'agevolazione perch� non � previsto nella norma specifica e non pu� rientrarvi in forza di un inesistente principio generale. Ancor pi� limitata sar� la possibilit� di estensione delle agevolazioni .agli atti collegati, quando la norma tributaria identifica direttamente ed �enumera gli atti favoriti. In questi casi 1si deve presumere che l'esclusione dall'agevolazione di determinati atti abbia una sua ragione politico sociale -che non pu� essere ignorata dall'interprete. Cosi, ad esempio il beneficio dell'art. 5 del d.l. 14 dicembre 1947, n. 1548 per il primo trasferimento di terreni e fabbricati occorrenti per l'attuazione di iniziative industriali nel mezzogiorno, esteso con l'art. 37 della legge 29 luglio 1957, n. 634 alle ipoteche contestualmente conv-enute a garanzia del prezzo insoluto o dei debiti contratti per il pagamento, non comprende gli atti di mutuo (e meno che mai gli atti connessi al mutuo) che pure sono l'antecedente log.ico dell'iscrizione ipotecaria a garanzia di essi; evidentemente il legislatore ha .inteso escludere il mutuo, perch� l'attivit� creditizia per l'industrializza PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 903 Dal testo delle riferite disposizioni si trae dunque, con sufficiente chiarezza, che l'agevolazione tributaria riguarda non soltanto il mutuo ma tutti � gli atti e contratti con i quali vengono concesse le anticipazioni � comunque siano collegati col mutuo. La conferma di una simile interpretazione si trae dall'art. 2 dello stesso d.l. del 1� novembre 1944 il quale dichiara che i successivi articoli (e quindi anche il citato art. 12) costituiscono l'unificazione delle disposizioni del r.d.l. 13 dicembre 1943, n. 26/B e di quelle del r.d.l. 29 maggio 1944, n. 138, che dichiarava esenti (art. 2) da ogni tassa o imposta i finanziamenti di cui al r.d.l. 13 dicembre 1943, n. 26/B ag zione del me2zogiorno gode di altre provvidenze, tributarie e non, ritenute sufficienti. In altri casi, all'opposto, � accordata l'agevolazione per le operazioni di credito e non per l'iscrizione ipotecaria che potrebbe costituirne il mezzo ,concreto di ottenimento. Le due diverse ipotesi legislative non possono unificarsi includendo nell'agevolazione gli atti che le norme hanno lasciato esclusi. Soltanto rimanendo nell'interpretazione della specifica norma tributaria � possibile �stabilire i limiti della estensione dei benefici, mentre col ricorso al supposto principio generale di connessione strumentale diventa impossibile individuare i confini dell'applicazione dilatata delle norme di agevolazione. Se si accoglie il principio della connessione del mezzo al fine, nulla pi� soccorre per distinguere un collegamento pratico o funzionale di atti da una connessione giuridicamente rilevante e si rischia di allargare all'infinito la portata dei benefici. Se, come nel caso deciso, riguardo ad un'ipotesi tipica di :finanziamento, si iitengono inclusi nel beneficio gli atti diretti a rendere pi� facile la realizzazione dell'operazione bancaria, non soltanto il temporaneo deposito con funzione di garanzia delle ,somme finanziate, ma tutti i possibili mezzi di �garanzia potrebbero rientrare nel trattamento di favore; e quindi anche la garanzia reale e personale del terzo potrebbe dirsi esente dall'imposta dell'art. 54 tab. A della legge di registro, la cessione di crediti da quella dell'art. 4, il mandato irrevocabile da quella degli art. 15, e magari la vendita con patto di riscatto o altri simili contratti, in quanto possono giovare alla stipulazione dell'atto espressamente agevolato, potrebbero ambire di essere inclusi nella catena, teoricamente estensibile all'infinito, degli atti in rapporto di con nessione di mezzo al fine. Questa � evidentemente un'argomentazione per assurdo; ma se � evidente la necessit� di porre un limite all'applicazione del concetto di connessione strumentale, bisogna riconoscere che non � data alcuna possibilit� di fissare limiti, che non siano di mero buonsenso, partendo da un concetto generalizzato di connessione. � quindi necessario mantenersi nell'ambito dell'interpretazione esten �siva della norma specifica; a questo proposito bisogna soggiungere che la possibilit� di un'interpretazione estensiva va riguardata sempre con stretta aderenza alla funzione di incentivazione che l'agevolazione persegue nella :specifica materia regolata. Sg;>esso, al contrario, le applicazioni dilatate delle agevolazioni rischiano di risolversi contro il fine della norma; e ne abbiamo un esempio nel caso deciso. La legge ha previsto, per facilitare le imprese danneggiate dal).a guerra e da calamit� pubbliche, un mecca nismo particolare di finanziamento con garanzia s�ssidiaria dello Stato 904 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO giungendo � tutti gli atti e contratti relativi o conseguenziali a detti finanziamenti sono esenti da ogni tassa di bollo, registro ed ipotecaria,. mentre per detti atti e contratti gli onorari e I.e tasse notarili sono� ridotti alla misura di un. decimo �. Ora, non pu� dubitarsi che il deposito di cui trattasi, stipulato contestualmente al mutuo e per attuare una forma di garanzia a favore dell'Ente mutuante sia da comprendere fra i contratti che godonodell'agevolazione come innanzi concessa. Peraltro, la finalit� perseguita dal legislatore � quella di facilitare� la riparazione dei danni cagionati dalle calamit� diminuendo il costo� dell'attivit� occorrente, in vista di una finalit� di pubblico interesse. Il beneficio perci� spetta a tutti gli atti che concorrono -con funzione strumentale -alla attuazione della finalit� anzidetta. E la Corte di merito, con apprezzamento di fatto e perci� incensurabile in questa sede, ha accertato che la pattuizione relativa al deposito altro non. costituiva che una� modalit� per la realizzazione del mutuo. da realizzare ,con l'intervento di enti di diritto pubblico ai quali sono riser-vati speciali mezzi e procedimenti di garanzia delle somme mutate (pri-vilegio di primo grado sugli immobili, sugli impianti e sui crediti realizzabile con il procedimento <;li riscossione delle imposte dirette). Se in tale meccanismo, completo e suffici,ente, si inserisce un contratto di deposito delle somme finanziate (che avrebbero dovuto essere erogate all'impresa danneggiata) avente lo scopo di tutelare l'ente mutuante gi� sufficientemente cautelato, ci� significa che l'ente ha esercitato una pressione verso il su�" cliente per costringerlo ad accettar�e una garanzia supplementare in aggiunta a quelle previste dalla legge; se quindi, senza una esatta valutazione della specifica materia, si dichiara estesa l'agevolazione ad un tale contratto di deposito, nell'intento generico di alleggerire la pressione fi-� scale, in definitiva si incoraggia la banca a vessare i v�eri destinatari della agevolazione e si persegue un fine perfettamente opposto a quello della ilegge che intende beneficiare le imprese danneggiate e non gli istituti di credito. Considerazioni di questo genere potrebbero farsi in numerosi casi m cui si forza la portata della norma nel senso di un indiscriminato ampliamento delle agevolazioni senza tener conto dei reali e dichiarati fini, sempre operanti in un settor�e limitato, che la norma persegue e che non consistono soltanto nel puro e semplice alleggerimento fiscale; si rischia cos� di trasformare le ipotesi di legge e di ridurre ad omogeneit� . materie� diversissime. Sembra quindi necessario sottoporre a verifica critica il concetto di. connessione strumentale ormai entrato nell'uso corrente. Di certo non � facile prevedere che la giurisprudenza possa ripercorrere a ritroso tutto il cammino fatto nella direzione dell'ampliamento delle agevolazioni; ma � pur necessario stabilire un fondamento giuridico del concetto e i limiti della sua applicabilit�. Ma non sembra che sia sufficiente a questo fine il supporre un principio generale insostenibile. C. BAFILE PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 905 La Corte d'appello ha, infatti, motivatamente ritenuto che il cosiddetto temporaneo deposito della somma oggetto del mutuo presso la Banca mutuante si risolveva, in concreto, nella mancata temporanea disponibilit�, da parte dei mutuatari, della somma mutuata; e ci� al :fine di permettere, ai mutuatari ed alla Banca di predisporre ed attuare le garanzie (iscrizioni ipotecarie ecc.), alle quali la concessione ed operativit� del mutuo erano state condizionate. � chiaro, quindi, che la motivata ricostruzione ed interpretazione che i giudici del merito hanno effettuato del contenuto obiettivo dell'atto di mutuo, a temperanea ritenzione, presso la Banca, della somma mutuata, avendo la finalit� di permettere ai mutuatari di acquisire la effettiva disponibilit� della somma oggetto del mutuo, non si presentava antitetica -come inesa_ttamente protestato dalle Finanze -con la funzione del mutuo. Inoltre tale ritenzione temporanea non dava vita ad un negozio autonomo e separato rispetto a quello del mutuo. E ci� vale anche ad assorbire l'ulteriore rilievo del1' Amministrazione delle Finanze, secondo cui il cosiddetto deposito temporaneo si presenterebbe non necessariamente connesso, ex art. 9 della legge di Registro, con l'atto di mutuo e non avrebbe quindi potuto godere del beneficio fiscale di cui si discute. Non senza rilevare, .sotto quest'ultimo profilo, che giusta la giurisprudenza di questa Corte Suprema (sent. n. 1379 del. 1963; sent. n. 416 del 1965) il diritto al trattameno tributario speciale riguarda anche gli atti .che, come mezzo al fine, siano in correlazione con l'atto che gode dell'agevolazione fiscale, anche se non fossero con esso necessariamente connessi e da esso necessariamente derivanti. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� luglio 1969, n. 2409 -Pres. Favara Est. Geri -P. M. De Marco (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Abignente) c. Manzo. Imposte e tasse in genere -Riscossione -Imposta generale sull'entrata -Ingiunzione -Competenza ad emetterla -Ufficio del registro -Sussiste. (I. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 58; I. 19 giugno 1940, n. 762, artt. 8 e 52; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 144). A norma dell'art. 58 della legge� 7 gennaio 1929, n. 4, l'esecuzione del decreto con il quale il Ministro delle Finanze determina la pena pecuniaria per evasione all'imposta generale sull'entrata, � � pl/'omossa � dalZ'Intendente di Finanza, ma ci� non comporla che gli atti del pro 906 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cedimento coattivo debbano essere emessi dallo stesso Intendente in quanto alla riscossione dei crediti tributari legittimamente provvedono dipendenti uffici del registro (1). (Omissis). -Nell'unico motivo proposto l'Amministrazione finanziaria, denunziando la violazione e falsa applicazione di varie norme di legge, dagli artt. 56 e 58 legge 7 gennaio 1929, n. 4 all'art. 52 legge 19 giugno 1940, n. 762, art. 31 r.d. 14 aprile 1910, n. 639, art. 144 legge organica di registro e delle norme e principi sulla contabilit� generale dello Stato, censura la denunziata sentenza per avere escluso che l'ingiunzione di cui si tratta possa essere emessa dal procuratore del registro e debba invece esserlo dall'Intendente di Finanza. L'espressione contenuta nell'art. 58 della legge n. 4 del 1929, nel quale si�stabilisce che l'esecuzione del decr~to ministeriale determinativo dell'ammontare della pena pecuniaria � � promossa � dall'Intendente di Finanza, deve essere intesa nel senso che l'Intendente stesso possa e debba disporre ed ordinare ai competenti uffici esecutivi, una volta notificato il decreto medesimo, di dare inizio alla procedura di esecuzione nei modi e nelle forme di cui al t.u. 14 aprile 1910, n. 639. L'intendente non avrebbe il potere di emettere le ingiunzioni coat tive, come sarebbe dimostrato dall'art. 144 legge organica di registro, di generale applicazione, secondo cui per le pene pecuniarie l'ingiun zione � emessa in seguito alla di lui richiesta. (1) Massima di evidente esattezza. Non soltanto i vari uffici preposti alla riscossione delle singole imposte (Uffici di registro, Conservatorie dei registri immobiliari, Uffici di dogana, ecc.) sono secondo le specifiche competenze abilitati ad emettere l'ingiunz�one prevista nel t.u. 14 aprile 1910, n. 639 su richiesta dell'Intendente di Finanza, ma � norma generale che i predetti uffici di cassa siano preposti in via principale alla riscossione, anche coattiva, dei crediti tributari (art. 45 ,e 46 della legge di Contabilit� di Stato), mentre ai capi degli uffici compartimentali e provinciali � demandata la sola vigilanza (art. 44). Per questa ragione gli Uffici del registro, quali tesorieri dello Stato, assai spesso provvedono alla riscossione, anche coattiva, di crediti di Amministrazioni diverse da quella Finanziaria sprovviste di un ufficio di cassa, ed esercitano tutti i poteri inerenti alla riscossione anche quando sono del tutto estranei all'accertamento o alla liquidazione del credito. Talvolta, per singole materi�e, la legge prevede che l'esecuzione sia promossa da altri uffici e che agli Uffici del registro spetti soltanto di incassare la somma dovuta (come ad esempio per i campioni giudiziari alla cui riscossione provvedono le Cancellerie, quali organi dell'Amministrazione Finanziaria, che per� per l'incasso emettono mandato sull'Ufficiodel registro); ma, ove no-n sia diversamente disposto, sia per i crediti tributari che per quelli di altra natura l'ufficio di �cassa che ha in carico la riscossione � sempre abilitato a promuovere gli atti coattivi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 90'� Le norme sulla contabilit� dello Stato confermano questa opinione, attribuendo al contabile competente, e non gi� all'intendente, l'emissione dell'ingiunzione, ai fini del controllo e del rendimento dei conti. Se ne evince che il potere di procedere in via coattiva spetta ai soli uffici finanziari destinati alla riscossione delle entrate tributarie. Pertanto, tenuto conto che ai sensi degli artt. 8 ed 11 della legge n. 762 del 1940 sull'IGE la riscossione di detta imposta � affidata all'amministrazione del registro, alla stessa va attribuita la potest� di emettere l'ingiunzione, intesa quale strumento legale, ai sensi del t.u. 14 aprile 1910, n. 639, per detta riscossione coattiva e per quella della relativa pena pecuniaria. Il ricorso � fondato e merita accoglimento. L'errore nel quale � caduta la Corte di merito � quello di avere interpretato in senso eccessivamente ristretto e letterale la norma (art. 58 legge 7 gennaio 1929, n. 4), senza collocarla adeguatamente nel. contesto del sistema, con l'attribuire al potere-dovere dell'Intendente di �promuovere� l'esecuzione fiscale il significato ridotto (non consentito peraltro dalla stessa espressione verbale predetta) di procedere direttamente e materialmente, e quindi con esclusione di organi dipendenti anche se meglio attrezzati all'uopo, al compimento di tutti gU atti necessari per realizzare esecutivamente la pretesa fiscale. In ogni caso, l'incompetenza, posta a base della denunziata deci- sione, non � certamente assoluta e tale che avrebbe importato la nullit� dell'atto, ma, caso mai, quella di carattere relativo, perch� come � noto i vizi degli atti amministrativi, riguardanti i soggetti da cui provengono, configurano, nell'ambito delle funzioni loro demandate come organi di amministrazione attiva, una incompetenza per materia, una incompetenza per territorio ed una incompetenza per grado. Non rientrando la fattispecie nelle prime due, postoch� tanto l'Ufficio del registro competente per territorio che l'Intendente appartengono alla Amministrazione finanziaria, l'unica ipotesi configurabile in astratto,. sarebbe soltant~, di una incompetenza relativa per grado. L'ingiunzione, cio�, avrebbe dovuto, in tesi, essere emessa dall'In- tendente anzich� dall'Ufficio del registro, da un organo superiore ri- spetto ad un organo dipendente. Per ravvisare per� un siffatto caso di incompetenza �per grado > � necessario, trattandosi di uffici appartenenti alla stessa amministra zione muniti di funzioni affini e comunque concernenti materie si:�:�lari, che l'indicazione legislativa circa l'organo, al quale � attribuito il potere di emettere l'atto, sia specifica e rigorosa e risponda ad una non dubbia esigenza di individuazione dell'organo stesso, come quello pi� idoneo, in relazione alla natura del provvedimento, ad adottarlo. In tal caso, per� la lettera della legge non deve prestarsi ad interpretazioni equivoche od estensive, altrimenti bene sarebbe attribuita Ia, RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 908 competenza ad uno qualsiasi degli organi dello stesso settore dell'Amministrazione, non opponendosi specifiche diversificazioni di compiti, funzioni o poteri. Applicando le osservazioni di cui sopra al caso di specie � facile rilevare anzitutto come l'indicazione legislativa circa l'organo competente non � affatto rigorosa ed inequivocabile, ove si consideri che il -potere di � promuovere � l'esecuzione fiscale pu� indifferentemente comprendere quello di emanare direttamente e materialmente i relativi atti, -come quello di ordinare, disporre o richiedere che ad essi provveda un organo dipendente meglio attrezzato, per la sua struttura ed i compiti comunemente assegnatigli, a curarne l'emanazione. In secondo luogo, accanto all'ampio significato esegetico della lettera della legge or ora fatto presente, ricorre in pieno la fungibilit�, nello specifico settore, delle funzioni dell'intendente e di quelle dell'ufficio del registro, nulla ostando in base alle .rispettive attribuzioni, �che sia l'uno che l'altro organo possano emettere una ingiunzione di natlj.ra fiscale. Ma vi ha di pi�, perch� proprio sulla materia controversa, d'imposta sulla entrata, lo specifico compito d'organo riscuotitore appartiene proprio all'ufficio del registro, al quale infatti sono espressamente demandate dalla legge (art. 8 ed 11 legge n. 762 del 1940) le funzioni di riscossione anche dell'IGE oltrech� di altre imposte indirette prima fra tutte quella di registro (art. 144 legge organica, e per le pene pecuniarie art. 1 d.1. 13 gennaio 1936, n. 2313), consente di ritenere come pi� idoneo.allo scopo proprio detto ufficio e di interpretare quindi l'art. 58 legge n. 4 del 1929 nel senso che l'Intendente si limita ad ordinare o richiedere ad esso l'emissione del provvedimento ingiuntivo, "che � il primo atto dell'esecuzione fiscale. Ci�, oltretutto, risponde ad una logica e ordinata distribuzione dei -compiti fra organi periferici della stessa amministrazione finanziaria, poich� mentre l'Intendente esercita funzioni di vigilanza e coordina. mento su tutti gli uffici finanziari della propria circoscrizione territoriale, l'ufficio del registro rappresenta un organo esecutivo, specifica_ mente addetto all'esecuzione coattiva ed alla riscossione (art. 144 legge organica di registro). Pertanto in accoglimento del ricorso, deve essere cassata la denun_ ziata sentenza, limitatamente alla statuizione impugnata, con rinvio ad altra Corte, che provveder� anche sulle spese di qu,esto grado. Il giudice di rinvio si atterr� al seguente principio di diritto: � Ai sensi dell'art. 58 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 l'esecu.. zione del decreto, con il quale il Ministro delle Finanze ha determinato la pena pecuniaria per evasione all'IGE, deve essere promossa dall'Intendente di Finanza. A tal fine l'Intendente medesimo, trattandosi di PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 909 imposta la cui riscossione � affidata all'Ufficio del registro, ai sensi dell'art. 8 ed 11 legge 19 giugno 1940, n. 762 e 66 e seguenti del relativo regolamento, richiede al predetto Ufficio di emettere la relativa ingiunzione, secondo il disposto dell'art. 144 della legge di registro e dell'art. 1 d.l. 13 gennaio 1936, n. 2313 con la corrispondente procedura di riscossione ivi prevista �. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 luglio 1969, n. 2749 -Pres. Favara -Est. Ferrone Capano -P. M. Pedote (diff.) -Soc. Lavanderia Marittima (avv. Caranci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Sorce). Imposta di registro -Appalto -Registrazione a termine fisso -Contratti fra commercianti per lavorazione e riparazione di merci. (1. 19 luglio 1941, n. 771, art. 3; d.l. 5 aprile 1945, n. 141, art. 5). Imposta di registro -Appalto -Appalto di servizi -Prestazioni di varia natura -Obbligo di registrazione -Sussiste. (1. 19 luglio 1941, n. 771, art. 1 e 3). Il secondo comma dell'art. 3 della legge 19 luglio 1941, n. 771 non esclude dalla nozione di appalto i contratti tra commercianti per la lavorazione o riparazione di materie, merci o prodotti eseguiti dalla ditta assuntrice nell'ambito della sua ordinaria attivit�, ma semplicemente dichiara i menzionati atti soggetti alla sola registrazione in caso d'uso. Sono pertanto da tassare come regolari appalti i contratti del genere quando manchi alcuno dei presupposti previsti per l'esclusione della registrazione a termine fisso (1). Costituiscono appalto di servizio, come tale soggetto alla registrazione con obbligo di denunzia del contratto anche verbale, i contratti cosiddetti di risultato aventi per oggetto prestazioni di varia na (1-2) La prima massima � di evidente esattezza. L'aver sottoposto un determinato tipo di contratto alla sola registrazione in caso d'uso non significa escludere dalla nozione tributaria d'appalto quel determinato contratto che dell'appalto ha tutti i requisiti. Basta al riguardo considerare che l'imposta dovuta in caso d'uso � per l'appunto quella prevista per l'appalto. Di maggiore interesse � la seconda massima che, argomentando a contrariis dall'art. 1 quinto comma della legge 19 luglio 1941, n. 771, riconduce alla nozione di appalto tutte l.e assunzioni continuative di servizi di vario genere che non possono assimilarsi alla vendita, sottolineando anche 10 -~FW��1=1 - ~ �� RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO tura, ogni volta che sia esclusa la configurabilit� del contratto miste> 910 ~ ~ riconducibile a quello di vendita a norma dell'art. 1 della legge 19' m luglio 1941, n. 771 (2). !] (Omissis). -Col primo motivo, dopo aver ricordato che l'art. 3~ secondo comma, della legge 19 luglio 1941, n. 771, recante provvedimenti in materia di imposta di registro sugli appalti, dispone che � qualunque sia il prezzo o valore globale, i contratti conclusi tra commercianti, verbalmente o mediante corrispondenza, per la riparazione o lavorazione di materie, merci e prodotti, affidati dalla ditta committente per essere riparati, trasformati o perfezionati, sono soggetti a registrazione soltanto in caso d'uso, quando la riparazione o lavora-zione costituisce l'oggetto della ordinaria attivit� della ditta assuntrice �, la ricorrente afferma che � poich� il principio fondamentale in funzione del quale � stata elaborata la citata legge (del 19 luglio 1941) � che� i contratti di appalto sono sempre soggetti a registrazione in termine fisso, anche se stipulati verbalmente o per corrispondenza commerciale, la ricordata norma (dell'art. 3) significa che i contratti di lavo razione, di trasformazione e di riparazione, tipici contratti di risultato aventi per oggetto un opus, non sono, ai fini dell'imposta di registro,. considerati appalti, quando le operazioni di riparazione, di trasfor- mazione o di perfezionamento rientrino nell'ordinaria attivit� della ditta assuntrice �. L'affermazione � infondata, in quanto il secondo comma del citato art. 3 � collegato col primo comma dello stesso articolo, il quale contempla unicamente i � contratti d'appaio �. Fra i contratti di appalto, sia a norma delle disposizioni di diritto comune (artt. 1655 e segg. e.e.} sia a norma delle disposizioni speciali tributarie, contenute nell'art. 1 d~lla stessa legge del 1941, rientrano senza dubbio, purch� ricorrano gli altri estremi richiesti dalla legge, anche i contratti aventi per oggetto la riparazione o la trasformazione, o il perfezionamento di materie, merci e prodotti. La differenza fra il primo e il secondo comma del predetto art. 3 non sta nella natura giuridica dei contratti in essi considerati, che tanto nell'uno quanto nell'altro sono contratti di appalto, sibbene nel diverso ambito di applicazione delle due norme, ci�. che per la sussistenza dell'appalto non si richiede n� una particolare assunzione di rischio n~ una organizzazione di mezzi predisposta specificamente per l'�ppalto in cohsiderazione. Altro problema � quello della dimostrazione dell'esistenza di un appalto di servizi (e ci� particolarmente nel caso in cui in mancanza di atto. scritto o di denunzia debba procedersi per presunzione ex art. 6 d.I. 15novembre 1937, n. 1924) come rapporto distinto dalle singole unit� di prestazione ciascuna esente da imposta (caso tipico quelle del trasporto);. cfr. in �argomento Cass. 1� febbraio 1962, n. 186 in Riv. leg. fisc., 1962, 1308'. e 23 marzo 1963, n. 724, ivi, 1963, 1537. -------1!i :;: PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 911 che si risolve in una distinzione fra regola ed eccezione. La regola � che i contratti d'appalto conclusi verbalmente o per corrispondenza commerciale non sono soggetti a registrazione, salvo il caso d'uso, quando il prezzo, o valore globale, non superi le lire 250.000 (primo comma). Ma allorch� trattasi di contratti conclusi fra commercianti, verbalmente o mediante corrispondenza, aventi per oggetto la suindicate riparazioni, o lavorazioni, rientranti nell'ordinaria attivit� della ditta ass~trice, l'esenzione dalla registrazione resta operante, salvo il caso d'uso, qualunque sia il prezzo, o valore globale (secondo comma). In altri termini, � l'oggetto del contratto fra commercianti, concluso verbalmente o mediante corrispondenza, che, quando � costituito da riparazioni o lavorazioni rientranti nell'ordinaria attivit� della ditta assuntrice, importa l'esenzione dalla registrazione, salvo il caso di uso, anche se il p:i:;ezzo o valore globale superi la somma (lire 250.000) che normalmente determina l'obbligo della r�gistrazione. Non � esatto, quindi, che a differenza del primo comma, il quale prevede i contratti di appalto, il secondo comma escluda, con implicita qualificazione negativa, che possano considerarsi appalti anche quei contratti che hanno tutti i requisiti dell'appalto, relativi a riparazioni, trasformazioni o perfezionamenti di materie, merci o prodotti. L'altra censura formulata nel primo motivo di ricorso riguarda l'applicabilit� alla fattispecie della disposizione dell'art. 1, quarto comma, della citata legge del 1941, per la quale sono considerati a,J( palti, agli effetti dell'imposta di registro, i contratti � che hanno per oggetto la prestazione dell'attivit� lavorativa di persone diverse da quella che ha contratto l'obbligazione, comunque sia determinato il corrispettivo �. La censura � irril~vante, in quanto investe un'argomentazione sus sidiaria della impugnata sentenza, che non ne costituisce la ratio' d,e:ci dendi. Anche se la Corte di appello �avesse errato nella interpretazione della detta norma, non per questo potrebe addivenirsi alla cassazione della denunciata sentenza, che di quella norma non ha fatto concreta e determinante applicazione alla fattispecie. Col secondo motivo si deduce che nel contratto intercorso fra le parti si sarebbe dovuto ravvisare e un contratto di risultato innomi nato ., non gi� un appalto. In particolare, nel denunciare la viola zione dell'art. 1655 e.e., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la ricor rente addebita alla Corte di merito di avere confuso il rischio in senso tecnico-giuridico (che, secondo le norme di diritto comune, non sa rebbe sufficiente per la configurazione del contratto d'appalto) col rischio in�senso economico (rischio del lavoro). In altri termini, nella specie si sarebbe dovuto escludere il rischio (e, quindi, il contratto di appalto), in quanto �la Lavanderia sa esattamente qual'� il costo di ogni unit� di prodotto, e perci� sa bene quanto guadagna per ogni sua RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLCl STATO prestazione; quello che non sa, ed in ci� solo risiede il rischio dell'impresa, � quante prestazioni dovr� effettuare, in modo da poter realizzare un dato guadagno �. iSi de~uce, inoltre, che per la sussistenza del contratto d'appalto non � sufficiente una semplice organizzazione di beni strumentali, senza dei quali il lavoro non potrebbe compiersi n� il servizio prestarsi, ma occorre � una organizzazione di mezzi compiuta in vista del singolo lavoro e del singolo servizio, che costituisce l'oggetto dell'appalto �. Senza una siffatta organizzazione, appositamente predisposta per un determinato lavoro e per un determinato servizio, non sarebbero configurabili contratti di appalto, ma altri tipi di contratto, alcuni nominati (trasporto, noleggio) ed altri innominati, tutti rientranti nell'ampia categoria dei contratti di risultato. Entrambe le censure sono infondate. Quanto al rischio, la stessa ricorrente riconosce che �nell'appalto l'appaltatore non sa con certezza se da quel singolo contratto ricever� una perdita o un utile; l'appaltatore, cio�, esegue l'opera per un dato prezzo, ed � a suo rischio se in realt� l'opera gli viene a costare pi� del prezzo convenuto, o comunque pi� di quanto prevedeva � . Un siffatto rischio, che la stessa ricorrente ammette essere sufficiente per la configurazione del contratto di appalto, ricorreva senza dubbio nel caso in esame, dove � chiaro, giusta gli accertamenti compiuti dai giudici di merito, che la Lavanderia non sapeva in anticipo, con assoluta certezza, se e quale utile avrebbe ritratto dalle prestazioni che si era obbligata ad eseguire (lavature, stirature e rammendi) per un determinato periodo di tempo. Il rischio della gestione era rappresentato non solo e non tanto dal numero delle prestazioni che sarebbero state richieste (quantit� delle cose da sottoporre a lavorazione), quanto dal costo delle prestazioni medesime, che, per fattori imprevedibili o sopravvenuti, poteva risultare diverso da quello preventivato. Giuridicamente inesatti, poi, sono i concetti che la ricorrente propugna in ordine alla � organizzazione dei mezzi necessari � per l'esecuzione dell'appalto. Ai sensi dell'art. 1655 cod. civ., occQrre un'organizzazione di mezzi necessari (ossia idonei ed adeguati) per il compimento dell'opera o per la prestazione del servizio, ma non � certo necessario che tali mezzi siano predisposti di volta in volta, appositamente e specificamente per una determinata opera o per un determinato servizio. Anzi, -� proprio l'imprenditore professionale quello che assume normalmente gli appalti. Esattamente, dunque, il Tribunale ha ritenuto che nella specie ricorressero tutti gli estremi del contratto di appalto (appalto ad esecuzione periodica di servizi), essendo rimasto accertato in punto di fatto: a) che la Lavanderia Marittima era fornita di un'attrezzatura tecnico-� industriale, organizzata ed operante nel suo laboratorio di Civitavecchia (con macchinari, mano d'opera, ecc.), idonea e sufficiente per il com PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA pimento dei servizi in questione; b) che le prestazioni ad essa richieste dalla societ� di navigazione Tirrenia (committente) erano costituite non solo dalla lavatura, stiratura e rammendo delle anzidette telerie, ma anche dal ritiro e dalla riconsegna a bordo delle navi, nonch� dall'assunzione degli oneri doganali, il tutto a cura e rischio della stessa Lavanderia; c) che anche la determinazione del corrispettivo (un tanto a capo) dimostrava che la gestione d�l servizio era a completo rischio dell'assuntrice. Tali accertamenti, dalla ricorrente non impugnati, giustificano appieno la qualificazione giuridica che � stata data al contratto dai giudici di merito, quale contratto d'appalto per la prestazione di servizi, soggetto ad imposta di registro. � N� a diversa soluzione potrebbero condurre le norme speciali di c;l.iritto tributario. Basta osservare che la citata legge 19 luglio 1941, n. 771, contiene disposizioni particolari per i contratti misti di dare e di fare, limitatamente alla distinzione, agli effetti dell'imposta di registro, fra contratti di appalto e contratti di vendita. Ma, quando non si verta in tema di contratti misti di dare e di fare, o quando (come nella specie) sia senz'altro da escludere la figura della vendita, rimangono fermi, relativamente all'appalto, i principi ed i concetti di diritto comune, non derogati dalle norme tributarie se non nei ristretti limiti innanzi indicati. Tutto ci� dimostra che infondato � non solo il secondo motivo di ricorso (oltre che il primo), ma anche il terzo, col quale si deduce che il contratto in questione rientrava � nella categoria delle prestazioni al dettaglio ., a norma delle leggi concernenti l'imposta generale sull'entrata. Una volta accertato, invece, che nella specie fu concluso un vero e proprio contratto d'appalto, come tale soggetto ad imposta di registro, non possono trovare applicazione istituti e principi valevoli per una diversa imposta (ed a questa limitati), quale l'imposta sull'entrata, che trova fondamento in presupposti e finalit� di altra natura. Infondato, infine, � anche il quarto ed ultimo motivo, col quale si denuncia la violazione dell'art. 1362 e.e., per avere la Corte di merito utilizzato, ai fini della interpretazione del contratto, il comportamento tenuto da una delle due parti, in sede stragiudiziale, posteriormente alla conclusione del contratto medesimo. Sostiene la ricorrente che � il comportamento delle parti, che il giudice pu� utilizzare per l'interpretazione del negozio, � quello complessivo della totalit� dei contraenti, non gi� quello adottato da uno o pi� di costoro �. � principio gi� affermato, invece, che il giudice pu� trarre argomento, ai fini della interpretazione del contratto, anche dal comportamento complessivo di una sola delle parti, tanto pi� quando esso appaia (come nella specie), contrastante con la pretesa che la stessa parte faccia valere in giudizio. 914 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il ricorso, pertanto, � infondato in tutti i suoi motivi e deve essere rigettato, senza che possano prendersi in esame le ulteriori censure formulate per la prima volta nella memoria illustrativa, non potendo le memorie, come � noto, contenere nuovi motivi di impugnazione, non specificati nel ricorso. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2777 -Pres. Rossano -Est. Elia -P. M. Trotta (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Salvatori) c. Vigo. Imposta di registro -Vendita fra parenti -Presunzione di liberalit� Prova della provenienza del prezzo -Riferimento al prezzo pagato e non al valore accertato -Dimostrazione parziale -Dimo.. strazione presuntiva per la parte residua -Inammissibilit�. (d.1. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5). Nella vendita fra parenti entro il terzo grado la prova contraria alla p1�esunzione di liberalit� (che non deve essere riferita al valore successivamente accertato del bene trasferito, ma al prezzo realmente pagato che, in mancanza di prova contraria, � quello risultante dall'atto da tassare) pu� esser data esclusivamente con i mezzi stabiliti neti'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90. Conseguentemente nel caso in cui l'idonea dimostrazione sia stata fornita soltanto per una parte del prezzo pagato, non pu� presumersi la provenienza della parte del prezzo residuo, non potendosi opporre una presunzione semplice ad una presunzione legale (1). (Omissis). -Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2697, 2729 e.e., 5 d.l. 8 marzo 1945, n. 90 �e 360 nn. 3 e 5, c.p.c., anche per contraddittoriet� di motivazione sul punto decisivo del pagamento del prezzo. Deduce che erroneamente la Corte di me (1) Per giurisprudenza costante la prova contraria alla presunzione dell'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90 deve aver riguardo al prezzo pagato che, in mancanza di prova contraria a carico della finanza, � quello risultante dall'atto (Cass. 23 luglio 1969, n. 2775 in questo stesso fascicolo pag. 971; 23 aprile 1969, n. 1276, Riv. leg. fisc., 1969, 1276; 8 novembre 1967, n. 2698, ivi, 1968, 291, 7 gennaio 1967, n. 65, in questa Ra.~segna, 1967, I, 291). Nelle predette sentenze � istato per� affermato che la Finanza pu� impugnare di simulazione l'atto per far affermare che esso contiene un negotium mixtum cum donatione (cfr. in proposito fa nota alla citata sent. n. 2775 del 1969). Esattissima si rivela l'affermazione sull'impossibilit� di ricorrere alla presunzione semplice per la parte del prezzo di cui non � dimostrata la provenienza con mezzi idonei. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 915 rito, dopo aver dato atto che, sul prezzo dichiarato nel rogito di acquisto dell'immobile, di complessive lire sei milioni, risultava la prova piena ed ineccepibile di un pagamento di lire 4.400.000, mediante assegno per pari somma, ritenne di potere, per la residua somma, di lire 1.600.000, .presumere il pagamento, bench� mancasse la prova che anche tale residuo prezzo fosse stato effettivamente corrisposto, un titolo di data certa idoneo a vincere la presunzione di gratuit� di cui all'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90, citato. La censura � fondata. L'art. 5 richiamato dispone che le trasmissioni di immobili tra parenti fino al terzo grado si presumono liberalit� e sono soggette alla relativa imposta, se la provenienza del prezzo pagato non risulti da titolo avente data certa. Pertanto il prezzo del cui ammontare deve essere provata la provenienza � quello effettivamente pagato, risultante, fino a prova contraria, dal rogito presentato per la registrazione (Cass. 8 novembre 1967, n. 2698); e la prova della provenienza dell'intiero prezzo, idonea a vincere la presunzione legale di liberalit�, deve esser fornita mediante un titolo la cui data deve risultare certa soltanto nei limiti previsti dall'art. 2704 e.e. che omette qualsiasi mezzo di prova e quindi le presunzioni nel caso previsto dal secondo comma (dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata) e dal terzo comma (accertamento della data nelle quietanze). Non poteva dunque la Corte di merito, in base a presunzioni ritenere la disponibilit� ed il pagamento della parte di prezzo per la quale nessun titolo di data certa dimostrava la provenienza e l'effettivo versamento al parente venditore dell'immobile, cui si riferiva l'atto di trasferimento oggetto dell'imposizione. Essa, invero ammise che, per la somma di L. 1.600.000, parte residua del prezzo di L. 6.000.000, del quale erano stati pagati, mediante assegno, L. 4.400.000 non c'era alcun titolo di data certa che dimostrasse l'avvenuto pagamento; e tuttavia nonostante l'accertata mancanza di un titolo probatorio del pagamento, ritenne che anche la detta residua somma di L. 1.600.000 fosse stata pagata, contro la opposta presunzione, legale, nascente dall'art. 5 citato, che non pu� essere vinta se non da una prova nascente da un titolo di data certa ai sensi dell'art. 2704 e.e. Col terzo motivo del ricorso, l'Amministrazione denuncia viola :zione dell'art. 5 d.l. 8 marzo 1945, n. 90, art. 15 segg. d.l. 7 agosto 1936, n. 1639, art. 2697 e.e. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., deducendo ehe erroneamente la Corte di appello non consider� che il valore dell'immobile accertato dalla Commissione distrettuale delle imposte era di L. 19.000.000 e non afferm� in relazione a tale somma la presunzione legale di liberalit�. La censura � infondata. Il prezzo del quale, ai sensi dell'art. 5 citato, deve essere provata la provenienza, per vin- cere la presunzione di liberalit�, � soltanto quello risultante dal rogito 916 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di compravendita (Cass. 8 novembre 1967, n. 2698) salvo non si dimostri che le parti pattuirono un prezzo diverso (Cass. 2 ottobre 1956, n. 3309). Non si pu� quindi esigere dal contribuente, ai fini della esclusione della presunzione legale di liberalit� dell'acquisto, la prova di un prezzo equivalente al valore dell'immobile, accertato dalla Finanza, o dalle Commissioni tributarie, se non sia dimostrato che tale fu il prezzo effettivamente pattuito fra l~ parti. -(Omissis). I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 agosto 1969, n. 3010 -Pres. Favara -Est. Geri -P. M. De Marco (conf.) -Monti (avv. De Luca) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Ingiunzione -Dichiarazione di legittimit� pro parte -Ammissibilit�. (t.u., 14 aprile 1910, n. 639). Legittimamente il giudice pu� dichiarare fondata la pretesa tributaria limitatamente ad una parte della somma indicata nell'ingiunzione, non importando tale accertamento n� revoca n� annullamento dell'atto amministrativo. L'Amministrazione convenuta non deve proporre domanda riconvenzionale per riconoscere un errore comportante una riduzione del credito oggetto dell'ingiunzione (1). (1-3) Ancora sull'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale. Le due recenti decisioni affinano la nozione di ingiunzione fiscale, recentemente illustrata da un gran numero di pronunce (v. nota appresso citata). In particolare si approfondisce la posizione processuale della Finanza in relazione all'eventualit� di una sua domanda riconvenzionale. Sull'argomento abbiamo avuto occasione di affermare (C. BAFILE, Note sull'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale, in questa Rassegna, 1969, I, 527) che l'azione riconvenzionale della Finanza non � di norma necessaria, giacch� nei casi in cui dovrebbe essere proposta, secondo i principi processuali comuni, sarebbe inammissibile per ragioni specifiche del diritto tributario. La prima delle sentenze opportunamente riconferma che, senza necessit� di proporre domanda riconvenzionale, la Finanza pu� opporre a fondamento della sua .pretesa �n titilo diverso da quello indicato nell'ingiunzione, anche se da ci� discende la liquidazione di un'imposta diversa (minore). In tal modo non si costruisce innanzi all'A.G.0. il titolo della pretesa tributaria (cosa che urterebbe contro il divieto dell'art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo) ma si verifica semplicemente la legittimit� dell'imposizione, sia pure spaziando, quanto alla causa pe PARTE I, SEZ. V, .GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 917 II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2775 -Pres. Pece Est. Milano -P. M. Pedace (conf.) -De Maria ed altri c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Masi). Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Ingiunzione -Accer tamento da parte del giudice di presupposti diversi da quelli su cui si basa l'ingiunzione -Legittimit�. (t.u., 14 aprile 1910, n. 6.39). Imposta di registro -Vendita fra parenti -Presunzione di liberalit� Valore del bene trasferito eccedente sul prezzo convenuto -Negoziomisto -Ammissibilit� -Impugnazione di simulazione dell'atto Necessit�. (d.l. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5). Poich� l'ingiunzione � l'atto iniziale di un procedimento monitoriO" sui generis nel quale l�'opposizione dell'intimato, siccome rivolta a far dichiarare l'illegittimit� dell'atto, costituisce la domanda giudiziale che� apre un 01�dinario processo di cognizione nel quale l'opponente assume la veste di attore e la Finanza quella di convenuto, � consentito innanzi all'A.G.O. dedurre tutte le ragioni che giustificano la pretesa tributaria e contestare la domanda tendente aiza declaratoria di ilLegittimit� dell'ingiunzione anche allegando motivi diversi da quelli indicati nell'atto tendi, in un pi� vasto campo. Ed � opportuna, anche se non strettamente necessaria, la citazione del principio della conservazione degli atti giuridici al fine di avvalorare il concetto che pu� sempre correggersi il fondamento della pretesa tributaria quando dalla correzione consegue la liquidazione di un'imposta uguale o minore. Se invece dalla correzione dei presupposti e delle ragioni discende la liquidazione di un'imposta maggiore, deve provvedersi in sede amministrativa, perch� l'azione riconvenzionale per la liquidazione di un'imposta (che in questo caso sarebbe una azione vera e propria proposta dal convenuto come attore e diretta non soltanto a resistere alla domanda dell'attore principale) non rpu� essere proposta direttamente dinanzi all'A.G.0. omettendo la fase amministrativa. Giustamente quindi la sentenza ha chiarito che non � inibito al giudice dichiarare legittima pro parte la pretesa fatta valere con l'ingiunzione,. anche se non sia �stata proposta domanda riconvenzionale dalla Finanza. Non ci sembra tuttavia da condividere l'affermazione che il titolo esecutivo sia costituito non dall'ingiunzione ma dalla sentenza pronunciata in seguito all'opposizione. Questo vale per l'ingiunzione ordinaria ma non per l'ingiunzione fiscale rispetto alla quale la sentenza accerta soltanto la conformit� (totale o parziale) della pretesa fiscale alla legge, non traducendosi mai in una condanna al pagamento dell'imposta (nel che si veri '918 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ,�i accertamento del tributo. Conseguentemente nell'ipotesi di vendita fra parenti entro il terzo grado tassata come atto di liberalitd, la Finanza in sede di opposizione giudiziaria pu� sostenere la subordinata pretesa che il negozio sia da considerare di liberalitd per la parte del valore che eccede sul prezzo che risulta pagato (2). Per vincere la presunzione di liberalitd nella vendita fra parenti -entro il terzo grado a norma dell'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945,, n. 90 � sufficiente che sia provata la pro1Jenienza della somma corrispondente -al prezzo realmente pagato (che fino a prova contraria � queUo risultante dall'atto) e non anche della somma corrispondente al valore successivamente accertato. Tuttavia qualora l'atto sia impugnato dalla Finanza di simulazione, pu� configurarsi l'ipotesi del negotium mixtum ,cum donatione avente carattere di trasferimento gratuito per il valore -eccedente sul prezzo dichiarato. Ai fini della dichiarazione di simulazione relativa non � per� sufficiente accertare il divario tra valore -reale e prezzo convenuto, ma � anche necessario dimostrare l'animus donandi, cio� la consapevolezza di trasferire una cosa di valore mag- giore del corrispettivo pattuito a titolo di prezzo (3). I (Omissis). -La seconda censura (ad b) -nella quale in sostanza -si nega che l'ingiunzione possa essere considerata legittima pro parte in quanto con siffatta affermazione il giudice si sostituirebbe alla P. A. nell'accertamento e liquidazione del tributo, onde la riduzione sia pur -f�cherebbe l'invasione dell'A.G.O. in una attribuzione amministrativa). Nel caso poi di riconoscimento di parziale legittimit� della pretesa, � ancor :pi� evidente che il giudice ordinario deve limitarsi a dichiarare i presupposti ed i �criteri di tassazione in base ai quali si proceder� in sede am: ministrativa alla liquidazione in cifre. La seconda sentenza pone un pi� ampio problema sullo stesso tema -della domanda riconvenzionale. Anche in questa pronuncia si riconferma che la Finanza pu� addurre, senza dover agire in riconvenzione, un diverso fondamento della pretesa, anche se ne deriva l'applicazione di una imposta minore (qi fronte ad un'ingiunzione per il pagamento dell'imposta di trasferimento �commisurata ad un atto considerato di liberalit� in una ipotesi di v�endita tra parenti,. in sede di opposizione si era sostenuto, in subor �dine, la �sussistenza di un negotium mixtum cum donatione, riconoscendosi vinta la presunzione dell'art. 5 del d.1. 8 marzo 1945, n. 90, ma afferman- dosi la liberalit� per la parte del valore eccedente il pr�ezzo convenuto). Ma fa domanda riconvenzionale, non necessaria per sostenere la le, gittimit� pro parte dell'ingiunzione, 1sarebbe in questo caso necessaria per impugnare il contratto di vendita di simulazione relativa. La S.C., presup PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 919 minima del suo importo travolgerebbe l'atto nella sua interezza -non � meno inconsistente della prima. Il principio generale di conservazione degli atti giuridici autorizza il giudice ad esaminare ed accertare i limiti entro i quali l'ingiunzione deve essere ritenuta legittima. Ci� facendo egli non si sostituisce all'Amministrazione, sia perch� esercita la propria cognizione nell'ambito dell'atto amministrativo, sia perch� -con particolare riguardo alla presente fattispecie -� stata la medesima amministrazione -attraverso il riconoscimento dell'errore e la modica riduzione della somma dovuta -ad operare la contestata modifi�azione. Non va dimenticato peraltro che nei limiti di somma entro i quali, anche per espressa ammissione del creditore, l'ingiunzione deve considerarsi legittima, il titolo esecutivo non � costituito dall'ingiunzione :stessa, ma dalla sentenza pronunziata in seguito all'opposizione (�rticolo 653 c.p.c.). La giurisprl!-denza del resto ha ammesso chiaramente che in siffatti procedimenti, nei quali (come s'� detto) la Finanza assume la veste di eonvenuta, l'Amministrazione stessa pu� opporre, a fondamento della pretesa un titolo diverso da quello indicato nell'ingiunzione ed il giudice deve conoscere (nei limiti del divieto dello ius novo!J'um), non implicando tale esame n� la revoca n� l'annullamento dell'ingiunzione (Sez. Un., 30 marzo 1968, n. 975). -(Omissis). Nel secondo mezzo si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. perch� la Corte di merito non avrebbe dovuto accogliere la riconvenzionale proposta dalla Finanza per ottenere la riduzione dell'ingiunzione, in quanto in sede di opposizione ad ingiunzione fiscale non .sarebbe possibile proporre una riconvenzionale diretta alla eliminazione degli errori dell'ingiunzione medesima. ponendo che l'Amministrazione possa impugnare di simulazione il contratto di vendita per sostenere che questo � solo in parte oneroso, ha ritenuto ehe tale impugnazione, sempre necessaria, possa esser proposta con la domanda riconvenzionale. Questo potrebbe essere un caso in cui sia ammissibile e necessaria una vera e propria azione riconvenzionale dell'Amministrazione convenuta; una tale ipotesi non .sarebbe in contrasto con quanto abbiamo affermato nel precedente scritto sulla inconf�gurabilit� dell'azione riconvenzionale della Finanza,' perch� quella di �cui ora si tratta dovrebbe ritenersi un'azione civile .autonoma e mediata rispetto alla pretesa tributaria. L'affermazione della S.C. implica la risoluzione di due problemi: d'un eanto quello dell'ammissibilit� dell'azione di simulazione da parte della Finanza, dall'altro quello, che si risolve in un'ulteriore problema di carattere processuale, dei modi �e del proeedimento di impugnazione e della necessit� di un'azione autonoma innanzi all'A.G.0. Nella 1sentenza che si annota, e nelle precedenti 23 aprile 1969, n. 1276 e 8 novembre 1967, n. 2698 (Riv. leg. fisc., 1969, 1611 e 1968, 291), si d� 920 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO A parte che, come gi� risulta dai precedenti richiami giurisprudenziali (sent. 9 ottobre 1967, n. 2339; 30 marzo 1968, n. 975, ai quali si pu� aggiungere 15 maggio 1966, n. 1232) � stata riconosciuta l'ammissibilit�, nei procedimenti di opposizione all'ingiunzione fiscale delle riconvenzionali da parte dell'Amministrazione, va rlevato come questo motivo resti sostanzialmente assorbito nel rigetto del primo. La stessa Corte di merito aveva esaminato la questione al fine di spiegare come legittimamente il Tribunale avesse esaminato il merito della pretesa tributaria. In questa sede di legittimit� ogni ulteriore indagine in proposito sarebbe superflua, appunto perch� il fondato riconoscimento da parte del giudice di merito dell'obbligo tributario in base all'ingiunzione, sia pur ridotta per ammissione della stessa Finanza, costituisce una sufficiente ed autonoma ragione della decisione, senza bisogno di esaminare il problema della ammissibilit� o meno, in queste forme di procedimento, della riconvenzionale, che fu peraltro proposta solo in via subordinata. -(Omissis). II (Omissis). -Con il primo motivo del ricorso i De Maria denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del t.u. 14 aprile 1910 n. 639, 42, 144, 145 t.u. 30 dicembre 1923 n. 3269, 5 del d.l. 8 marzo 1945 n. 90, 112, 360 c.p.c., in relazione con l'art. 360 n. 1, 3 e 4 e 382 terzo comma stesso codice, e affermano che la Corte di appello, avendo riconosciuto l'inapplicabilit� della presunzione di cui all'art. 5 del d.I. 8 marzo 1945 n. 90, e quindi, la illegittimit� della in- per ammesso che la Finanza possa impugnare di simulazione il negozio di vendita e debba proporre un'azione autonoma, sia pure riconvenzionale, ove voglia pretendere l'imposta sul trasferimento a titolo gratuito per .la parte del valore eccedente sul prezzo; in altra sentenza del 7 gennaio 1967, n. 65 (in questa Rassegna, 1967, I, 291) si era anche affermata la conciliabilit� del negotium mixtum cum donatione con l'art. 5 del d.l. n. 90 del 1945. Prendiamo atto di tale affermazione, 1sulla quale [possono peraltro sorgere dissensi, che non possiamo approfondire in questa sede. Maggiormente ci interessa, invece, l'aspetto processuale del problema. � cio� sempre necessario che la Finanza proponga un'azione autonoma di simulazione ovvero essa pu� assumere l'esistenza della simulazione e tassare l'atto come negozio misto lasciando al contribuente l'iniziativa dell'impugnazione? Invero se si pone la questione della impugnazione di simulazione col mezzo della domanda riconvenzionale, gi� si ammette che la pretesa tributaria � potuta gi� sorgere in sede amministrativa. In pratica pu� avvenire, come nella spede, che la Finanza disconosca l'idoneit� della prova contraria alla presunzione e applichi per intero l'imposta sul PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 921 giunzione � cos� come formata e notificata �, non poteva dichiarare la parziale tassabilit�, come atto a titolo gratuito, del rogito Mandelli perch� concretante un negozio mixtum cum donatione, in quanto l'autorit� giudiziaria ordinaria non ha il potere di procedere ad indagini / di tassabilit� con riferimento ad una situazione sostanzialmente diversa da quella dedotta nell'opposta ingiunzione, la cui impugnativa non apre un ordinario giudizio di cognizione. Il motivo � destituito di fondamento. Sono principi ormai pacifici, pi� volte affermati da questa Suprema Corte, che l'ingiunzione-fiscale, a differenza di quella ordinaria che ha natura giudiziale, � un atto amministrativo sui generis caratteristico del procedimento di riscossione delle imposte e, in via generale, di tutte le entrate patrimoniali dello Stato, e ripete la sua efficacia direttamente dal potere dell'ente pubblico di realizzare in via coattiva le proprie pretese. Come tale, essa si distingue sia dal titolo esecutivo che dal precetto dell'ordinario procedimento regolato dal codice di rito civile, pur cumulandone in s� le caratteristiche di forma ed efficacia, sicch� la domanda introduttiva del giudizio di cognizione non � l'ingiunzione, ma la opposizione del debitore intimato, in quanto volta a contestare la esistenza del credito dell'Amministrazione finanziaria e la procedura seguita. Dal che deriva che la posizione processuale delle parti � invertita, assumendo l'Amministrazione, sotto ogni riguardo, la posizione, non soltanto processuale, ma anche sostanziale di convenuta, rispetto al debitore attore; di qui il conseguente diritto per la predetta Amministrazione di dedurre tutte le ragioni che giustificano la pretesa tributaria e_ di contestare, anche per motivi diversi da quelli indicati nell'atto trasferimento gratuito e in seguito all'opposizione del contribuente deduca con azione riconvenzionale, eventualmente subordinata, fa simulazione parziale. Ma non dovrebbe essere impedito alla Finanza assumere originariamente la simulazione parziale, quando debba riconoscere fornita la prova contraria alla presunzione, e pretendere l'imposta commisurata al trasferimento gratuito sulla parte del valore eccedente sul prezzo convenuto, .senza proporre, questa volta in via principale, l'azione civile pregiudiziale di simulazione e senza attendere l'opposizione giudiziaria del contribuente. In merito ai rpoteri sostanziali della Finanza di individuare, oltre il .contenuto letterale dell'atto, l'efficacia reale del gestum, la recente giuri. sprudenza � alquanto contraddittoria. Con le due sentenze 17 gennaio 1968, n. 1144 e 6 febbraio 1969, n. 388 (Riv. leg. fisc., 1968, 1930 e 1969, 1481) la S;C. ha affermato che � nel caso di negozio indiretto l'imposta di registro deve liquidarsi in relazione al negozio effettivamente posto in essere e risultante dall'atto e non a quello in vista del quale il negozio stesso � stipulato ., e ci� perch� nessuna norma impone alle parti di scegliere la via fiscalmente pi� onerosa sicch� � lecito raggiungere il risultato vo 922 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di accertamento del tributo, la domanda tendente alla declaratoria di illegittimit� di tale atto., Nella specie, come risulta dalla riportata narrativa dei fatti di causa, l'Amministrazione finanziaria, nella comparsa di costituzione e risposta, mentre in via principale domand� il rigetto dell'opposizione,, negando che la prova fornita dagli opponenti fosse sufficiente a vincere la presunzione di cui al richiamato decreto n. 90 del 1945, in via subordinata e riconvenzionale chiese che i medesimi opponenti fossero condannati a pagare la somma oggetto dell'ingiunzione, ed a tal fine impugn� il rogito Mandelli di simulazione. La stessa Amministrazione, in ulteriore subordine chiese che gli opponenti fossero dichiarati tenuti a corrispondere l'imposta stabilita per i trasferimenti gratuiti per la differenza tra il prezzo dichiarato ed il valore successivamente accertato, assumendo che il negozio per la parte relativa al maggior valore degli immobili rispetto al prezzo dichiarato dissimulava un atto di liberalit�. Il primo motivo va, pertanto, rigettato. Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 33, 35, 41, 42, 144, 145 t.u. 30 dicembre 1923 n. 3269, 14, 20 e 21 r.d. 7 agosto 1936 n. 1639, 1 del r.d. 13 gennaio 1936 n. 2313, 5 d. lgt. 8 marzo 1945 ~� 90, 1470, 2727, 2729 e.e., in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., e lamentano che la sentenza impugnata, pur avendo accertato che era stata fornita la prova della provenienza del prezzo di L. 58.800.000, figurante nel rogito di vendita come pattuito e pagato, abbia poi ritenuto che costituisse liberalit� la differenza di L. 38.200.000 luto con uno dei mezzi del sistema giuridico liberamente scelto; n� pu� la Finanza opporre una div�ersa interpretazione del negozio voluto a norma dell'art. 8 della legg�e di registro perch� a tale norma devesi ricorrere solo quando esista un contrasto tra il titolo del negozio e il vero contenuto dell'atto, non anche quando le parti stipulando un determinato negozio giuridico abbiano raggiunto lo stesso scopo che avrebbero potuto conseguire a mezzo di altro negozio assoggettabile ad una maggiore imposta. In tal modo in una ipotesi sostanziale di vendita assai bene architettata, e che avrebbe anche potuto intercorrere tra parenti entro il terzo grado (costituzione di una societ� per l'attivit� edilizia che, costruiti alcuni fabbricati, delibera un aumento di capitale, corrispondente al valore degli immobili costruiti, con l'ingresso di nuovi soci e immediatamente dopo delibera 1o scioglimento con l'assegnazione ai soci originari delle somme appena conferite dai nuovi ,soci ai quali vengono assegnati i fabbricati), si � ritenuto che dovessero tassarsi semplicemente gli atti apparenti di aumento di capitale e di assegnazione di quote sociali. � per� da notare che la prima delle sentenze �citate ha preliminarmente affermato che non � necessaria un'impugnazione della Finanza per disconoscere il contenuto apparente di un atto e �stabilirne la vera sostanza PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 923. tra il prezzo dichiarato e quello risultante dal concordato intervenuto, tra l'Amministrazione finanziaria ed essi ricorrenti. Questi ultimi assumono che, cosi decidendo, la sentenza impugnata, non soltanto ha confuso la nozione di prezzo con quella di valore concordato per meri fini tributari, ma ha fatto riferimento, per la tassazione suppletiva dell'atto, ad un elemento sopravvenuto (valore concordato) che non � quellG previsto dalla legge (prezzo pagato al tempo della stipulazione della compravendita). Il motivo � fondato nei limiti che saranno in appresso indicati. � indubbiamente esatto che il prezzo, del cui ammontare deve, essere provata la provenienza per vincere la presunzione di liberalit� stabilita dall'art. 5 del decreto n. 90 del 1945, non pu� essere identificato con il maggior valore accertato per concordato tributario, ma con il prezzo effettivamente pagato, risultante, fino a prova contraria, dar rogito presentato per la registrazione. Infatti, la, richiamata disposizione, ispirata da motivi esclusivamente fiscali, non opera affatto una~ conversione del negozio giuridico che, sebbene tassato con l'imposta dovuta per i trasferimenti a titolo gratuito, limitatamente al prezzo. pagato, rimane sempre quello di compravendita. In proposito questa Corte Suprema, con numerose decisioni, ha avuto occasione di affermare il principio che nella vendita tra parenti entro il terzo grado � necessario per vincere la presunzione di liberalit� prevista dall'art. 5 del decreto n. 90 del 1945 che sia fornita la prova della provenienza del prezzo risultante dall'atto e non anche la prova della provenienza della somma corrispondente al maggiore valore� giuridica, pur ritenendo nel merito inesistente sia la simulazione sia il negozio indir�etto. Pi� acutamente per� la sent. 6 maggio 1969, n. 1530 (in questa Rassegna, 1969, I, 680) ha riconosciuto il potere della Finanza di determinare, I'� istituto giuridico� cui la norma tributaria fa riferimento non soltanto in base al contenuto documentale di ogni singolo atto, ma anche considerando gli effetti non apparenti che risultano dal negozio indiretto o dal negozio collegato; ed a questa conclusione � pervenuta in base all'art. 8 della legge di registro che non solo ammette ma impone di ricercare il negozio atipico reale al di l� della causa tipica del negozio indiretto o dei negozi collegati; � non basta, si legge in questa sentenz�, che formalmente i singoli atti siano conformi alla legg�e, ma occorre che l'utilizzazione di essi non sortisca un effetto contrario alla norma imperativa �. In base a queste considerazioni la S.C. in un caso di vendita fra parenti, pur partendo dal presupposto che la prova contraria alla presunzione deve accertare l'appartenenza del denaro costituente il prezzo al patrimonio del compratore e non anche dimostrare che il denaro non .provenga mediatamente dal patrimonio dell'alien�nte, ha tuttavia ritenuto che con la donazione dal venditore al compratore di titoli, dall'utilizzo dei quali sia ricavato-. ~24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO < ,, w dell'immobile rispetto al prezzo dichiarato (Cass. sentenze n. 3309 del 1956, n. 3031 del 1963, n. 65 del 1967 e n. 2698 del 1967). Senonch�, come questa Corte ha precisato nelle richiamate sentenze n. 65 e_,.n. 2698 del 1967 e, da ultimo, nella recente sentenza I_, ' n. 1276 del 23 aprile 1969, tale principio � valido sempre che il negozio di compravendita, per la parte concernente il maggiore valore attriI buito all'immobile, non sia impugnato di simulazione relativa da parte <lell'Amministrazione, posto che la disposizione dell'art. 5 del citato decreto prende certamente in considerazione anche il negozio mixtum .cum donatione, consentendo di applicare ad ognuna delle diverse parti del rapporto (risultanti direttamente dall'atto o a seguito di accertamento giudiziale conseguente ad azione di simulazione) la relativa , aliquota. ,> E nella fattispecie l'Amministrazione finanziaria ebbe appunto a proporre, come dianzi detto, l'azione di simulazione relativa del negozio ,di compravendita per la parte afferente il maggiore valore degli immobili da essa accertato, sostenendo che il negozio stesso, per tale parte, dissimulava un atto di liberalit�. Ora, la sentenza impugnata ha ritenuto la Sussistenza del negozio mixtum cum donazione; ha rit~muto, cio�, la donazione limitatamente al maggior valore della cosa oggetto del contratto, senza tuttavia giu. stificare l'adottata decisione con la necessaria adeguata dimostrazione. Per ritenere, invero, che una compravendita ad un prezzo inferiore .al valore venale della cosa oggetto del contratto dissimuli, per la parte i� prezzo, e la successiva vendita di beni si realizzi un unico negozio ,nel quale pu� risultare esclusa la causa onerosa. In questa sentenza non 'Si prende in esame l'ipotesi della simulazione, ma sembra potersi dedurre ,che, quanto ai poteri della Finanza di ricercare il negozio reale, le con.- clusioni possano essere le stesse. Ora, ai fini che in questo momento pi� interessano, si pu� affermare che tutte le decisioni citate, a parte il merito su cui sono in netto contrasto, riconoscono il potere della Finanza di procedere in sede di tassazione, e senza la necessit� di un'impugnazione autonoma pregiudiziale, all'individuazione del negozio .effettivo che emerge al di l� della forma apparente del negozio indiretto, del negozio collegato e del negozio simulato. Non sembra che debba fal'\si una distinzione tra negozio indiretto e collegato, che sono reali, e negozio �Simulato e che debba trasferirsi in questa sede l'enorme problematica che travaglia questo genere di rapporti nel diritto civile; nell'uno e nell'altro caso l'effetto del negozio non � quello apparente ed � sempre consentito, anche al terzo, disc�noscere tale �effetto. Per� fa Finanza che deve applicare l'imposta � secondo gli effetti dell'atto se anche non vi corrisponda il titolo o la forma apparente� non deve ritenersi quindi necessaria un'impugnazione autonoma pregiudiziale, ,essendo possibile in sede di registrazione o di supplemento, nel dare la PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 925 relativa al maggiore valore della cosa rispetto al prezzo pattuito in contratto, una donazione, occorre che sia acce:rtato che colui che nel contratto figura come venditore abbia avuto la coscienza di dare una cosa di valore economico maggiore del corrispettivo pattuito a titolo di prezzo e l'intenzione di attribuire gratuitamente tale maggiore valore; occorre cio� accertare l'animus donandi, il quale si risolve, secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 23 dicembre 1949, n. 2629 e 26 maggio 1953, n. 1559), nella causa stessa dell'atto di donazione e, cio�, nello scopo di arricchire il donatario. Tale indagine, invero, � indispensabile, perch� nell'ipotesj. in cui in una compravendita sia stato pattuito un prezzo minore del valore della cosa venduta non pu� escludersi che ci� sia avvenuto per lo stato di necessit� in cui il venditore si sia venuto a trovare di liquidare la cosa oggetto del contratto ovvero per l'errore dello stesso venditore nella valutazione della cosa medesima e che, pertanto, non vi sia stato alcun intento, da parte del venditore, di porre in essere un atto di liberalit�. Ora tale indagine non � stata compiuta dai giudici di merito, i quali hanno ravvisato nella specie il negozio mixtum cum donatione unicamente sulla base della sproporzione tra il prezzo pattuito per la compravendita ed il valore venale degli immobili oggetto del contratto, mentre, come dianzi detto, ci� non � sufficiente occorrendo che tale sproporzione sia stata voluta da parte dell~apparente venditore allo scopo di attuare una liberalit�, nota all'altra parte e da quest'ultima accettata. -(Omissis). qualificazione giuridica all'atto o agli atti tassati, dichiarare l'effetto che si ravvisa nel contenuto del negozio indiretto, collegato o simulato; le controversie che potranno derivarne saranno �controversie di imposta, conoscibili anche dalle Commissioni tributarie. Si eviter� cosi l'eventualit�, certamente inopportuna e difficilmente giustificabile, di un'iffi!Pugnazione autonoma di simulazione di carattere civile che la Finanza, considerandosi come un comune terzo, dovrebbe proporre innanzi all'A.G.0. e che non potrebbe essere devoluta alla cognizfone delle Commissioni. E cosi, tornando al punto di partenza della posizione processuale della Finanza convenuta nel giudizio di opposizione contro l'ingiunzione fiscale, dev�e concludersi che anche nel �caso in cui si faccia valere la simulazione relativa di un negotium mixtum cum donatione, l'azione riconvenzionale non � necessaria perch� anche quella che nella .sentenza annotata si definisce � un'impugnazione di simulazione � pu� e deve manifestarsi con la applicazione dell'imposta in sede amministrativa e conseguentemente si assorbe nella �controversia d'imposta rispetto alla quale il contribuente ha la qualit� di attore e la Finanza quella di semplice convenuto che deve soltanto resistere all'opposizione senza diventare attore in riconvenzione. C. BAFILE 11 926 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 1 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 ottobre 1969, n. 3235 -Pres. Petrocelli -Est. Geri -P. M. Di Majo (diff.) -Banca Popolare di Novara (avv.ti Micheli e Capaccioli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Coronas) e viceversa. Imposte e tasse in genere -Commissione centrale delle imposte Sezioni unite -Costituzione del collegio per materia di imposte Partecipazione di membri appartenenti a sezioni non aventi la stessa competenza per materia di imposte -Irregolare composizione qualitativa del collegio -Difetto assoluto di giurisdizione. � (d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, art. 2). Imposte e tasse in genere -Commissione centrale delle imposte Sezioni unite -Composizione del collegio -Presidente commissione centrale -Potere di trasferimento temporaneo da una ad altra sezione di vice presidenti e membri della commissione centrale -Applicabilit� per la composizione del collegio giudicante delle sezioni unite -Non sussiste. (d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, art. 2; r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, art. 15). La validit� dette decisioni della Commissione Centrale delle Imposte a Sezioni Unite � subordinata a due requisiti essenziali ed inderogabili: l'uno, di natura qualitativa, richiede che i componenti del Collegio debbano essere scelti fra quelZi che, trattando nelle singole sezioni la stessa materia, ne possiedono una pi� approfondita conoscenza; l'altro, di natura quantitativa, richiede un numero minimo di componenti, consentendo una. composizione quantitativamente variabile tra un minimo ed un massimo, come suole avvenire nelle giurisdizioni � minus quam perfectae �. � giuridicamente inesistente una decisione, la qua.le, malgrado la sua esteriore apparenza di provvedimento giurisdizionale, provenga da un Organo che non rivesta la qualit� di Giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica o qualitativa, o per inosservanza di norme organiche incidenti sulla sua essenza stessa. In tal caso l'atto non � Tiferibile alla volont� sovrana dello Stato come manifestazione di potere giurisdizionale, perch� l'irregolarit� numerica o qualitativa nella costituzione de�l giudice rappresenta un vizio che si risolve in un difetto assoluto di giurisdizione, non potendo ravvisarsi neU'organo�, anche se composto di soggetti singolarmente investiti di funzioni giurisdizionali, quello stesso, al quale la le�gge demanda la potest� di decidere unita PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 927 riamente e non come semplice aggregato di persone che manifestano una opinione meramente personale (1). Il potere discrezionale, attribuito al Presidente della Commissione Centrale delle Imposte dall'art. 15 r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, di provvedere, in caso di necessib�, a trasferire temporaneamente, da una ad altra Sezione, i Vic�e Presidenti e i membri della Commissione Centrale, non smsiste con riferimento alle Seziooi Unite della Commissione Centrale. La legge prevede la possibilit� di trasferimento temporaneo dall'una all'altra Sezione semplice ma non prevede, invece, la stessa possibilit� con riguardo alle Sezioni Unite, perch� il minimo di partecipanti richiesto per la validit� delle decisioni delle Sezioni Unite � tale (il 50 % ), da consentire, nella normalit� o nella grandissima parte dei casi, la regolare composizione del Collegio, senza ricorrere ad alcuna sostituzione (2). (Omissis). -I due ricorsi vanno riuniti perch� proposti contro la stessa decisione. Deve essere esaminato, in via di precedenza logica, il primo motivo del ricorso incidentale dell'Amministrazione finanziaria, dato il suo carattere di pregiudizialit�. Si sostiene in esso un difetto di giurisdizione per illegittima costituzione delle Sezioni Unite della Commissiione Centrale delle imposte, con conseguente nullit� del procedimento e della decisione ai sensi degli artt. 158 e 161 c.p.c. in relazione all'art. 2 d.1.1. 12 ottobre 1944, (1-2) La composizione qualitativa e quantitativa del collegio delle sezioni unite della commissione centrale delle imposte. (3-4) Il reddito di impresa, tassabile in R. M. -cat. B -dei soggetti tassabili in base a bilancio e delle aziende ed istituti di credito: detraibilit� o meno delle somme[ 1pagate per R. M. -cat. A -sugli interessi dovuti e per le quali non venga esercitata la rivalsa sui .reddituari. (1) La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 125 del 1967 (in questa Rassegna, 1967, I, pagg. 644 e segg,), resa a Sezioni Unite, aveva definito e precisato il proprio giudizio sulla questione della detraibilit� o meno, dal reddito di impresa dei soggetti tassabili in base a bilancio e delle aziende ed istituti di credito, delle somme, pagate per imposta di R.M., �cat. A, sugli interessi e premi dovuti e per le quali non venga esercitata la rivalsa sui reddituari (art. 127 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645). Malgrado l'insegnamento, chiaro e puntuale, della Suprema Corte, prima la Commissione Provinciale delle Imposte di Novara e poi la Commissione Centrale, quest'ultima giudicando, a Sezioni Unite, sul ricorso proposto dall'Ufficio delle Imposte avverso la deeisione della detta Commissione Provinciale, avevano ritenuto, con le decisioni in rassegna, rispettivamente I I 1 I I 1 !!!llllllllllfADT~�21!1Y21!1Yll~ldiillYIADT&i!Y!!fZ'�Ftw4WA%@'21!1Y21!1Y4'j -~ RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 928 n. 334 ed agli artt. 360, n. 1, e 371 dello stesso codice. E ci� per le seguenti ragioni: All'adunanza delle Sezioni Unite della Commissione Centrale, nella quale si doveva deliberare e in effetti si deliber� la denunziata decisione, dovevano partecipare, a norma di legge, il presidente ed i componenti delle quattro sezioni competenti in materia di imposte dirette (la l ", 2�, 3� e la 16a), dovendosi decidere una controversia in tema di imposta di R.M. Viceversa parteciparono e votarono, in aggiunta ai componenti comparsi di dette sezioni in numero sufficiente per la regolare composizione del collegio, due componenti (precisamente un presidente ed un membro) di sezioni non aventi, per legge, competenza in materia di imposte dirette, determinando cosi l'irregolare composizione del giudice e. la conseguente invalidit� della decisione. N� in contrario, si continua nel ricorso, serve invocare l'applicabilit� dell'art. 15 r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, a norma del quale il presidente della Commissione Centrale pu� temporaneamente trasferire da una ad altra sezione pre'sidente e componenti di altre sezioni, perch� ci� � possibile sol quando ne ricorra la necessit� ai fini del funzionamento delle singole sezioni medesime. Questo mezzo � giuridicamente fondato e merita accoglimento. L'art. 32 r.d.1. 7 agosto 1936, n. 1639, nel testo sostituito dall'art. 2 d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, stabilisce che le sezioni unite della Comdel 22 novembre 1967 e del 2 dicembre 1968, n. 99776, di discostarsi da tale insegnamento. La Commissione Provinciale di Novara e la Commissione Centrale avevano anche, con le stesse dectsioni, deliberato sulla questione, pure risolta dalla Corte di Cassazione con la richiamata sentenza n. 125 del 1967, della detraibilit�, dal reddito tassabile in R.M., cat. B, della spesa per il pagamento della imposta sulle Societ�, per la parte, almeno, afferente al patrimonio, adeguandosi, per�, su questo punto, all'insegnamento della� Corte Suprema. Avverso la decisione della Commissione Centrale fu proposto ricorso principale da parte della Banca Popolare di Novara, per la parte relativa alla affermata non detraibilit� dell'imposta sulle Societ�; ricorso incidentale da parte dell'Amministrazion� Finanziaria sul punto relativo all'affermata detraibilit� delle .somme, pagate per imposta di R.M., cat. A, sugli interessi dovuti ai reddituari e per le quali non venga esercitata la rivalsa. L'Amministrazione Finanziaria denunci� anche, con il primo motivo del ricorso incidentale, la nullit� radicale della decisione delle Sezioni Unite della Commissione Centrale delle Imposte per la illegittima costituzione de Collegio giudicante, con il conseguente difetto assoluto di giurisdizione dell'organo che aveva reso la pronuncia. La Corte di Cassazione, con la decisione in rassegna, ha accolto tale primo motivo del ricorso incidentale, dichiarando che restavano cos� ma ~ilii filHffM@f@jjfff@@@mimmrmrKEf@HHMM@@@@lHHH@l@SmiHfMIH@HE@EHHEliHi1@Nf@11@1fff@ff:fil@NWH!Wi81ITk' PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 929 missione Centrale sono costituite dalle sezioni aventi la stessa competenza per materia di imposte e prescrive, ai fini della validit� delle decisioni, la presenza di almeno la met� dei membri che complessivamente compongono le singole sezioni. Nella specie, quindi, essendo tali sezioni in numero di quattro, ciascuna composta da cinque membri compreso il pres,idente, con un totale di venti componenti, la decisione avrebbe potuto essere validamente deliberata con la partecipazione minima complessiva (cio� senza distinzione di sezioni) di dieci membri oltre al presidente. nifestamente assorbiti il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale. I principi affermati dalla Suprema Corte nelle massime riportate al punto 1) ,sono assolutamente ineccepibili. Le Sezioni Unite della Commissione Centrale delle Imposte sono costituite, a norma dell'art. 2 del d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, dalle sezioni aventi la stessa competenza per materia di imposte e per la validit� delle decisioni a Sezioni Unite occorre, per la stessa norma di legge, la presenza di almeno la met� dei membri che compongono complessivamente le singole sezioni, tenendosi conto che per tali decisioni i Presidenti delle singole sezioni hanno voto deliberativo alla pari dei membri. Nella fattispecie considerata era, invece, avvenuto che alla adunanza delle Sezioni Unite, convocate per la decisione di un'unka controversia in materia di imposte dirette (ricch�zza mobile), avevano partecipato, esprimendo il loro voto in sede di deliberazione, il Presidente ed un membro appartenenti a Sezioni competenti in materia di imposte indirette. Dal che la Corte Suprema ha tratto la naturale conseguenza, riconfermando il suo precedente, costante insegnamento (Sez. Un. Civ., 11 ottobre 1952, n. 3008, in Foro, it., 1952, I, col. 1321 e segg.; Sez. Un. Civ., 20 aprile 1962, n. 810, in Mass. giur. it., 1962, col. 291; Sez. III Civ., 24 giugno 1967, n. 1567, in Mass. giur. it., 1967, col. 608), che � da ravvisarsi addirittura l'inesistenza giuridica della decisione, la quale, malgrado la sua esteriore apparenza di provvedimento giurisdizionale, provenga da un organo, che non rivesta la qualit� di Giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica o qualitativa, o p�r inosservanza di norme organiche incidenti sulla sua stessa essenza. Ha riconfermato, altresi, la Corte che l'irregolarit� numerica o qualitativa nella costituzione del Giudice rappresenta un vizio che si risolve in un difetto assoluto di giurisdizione, non potendo ravvisarsi nell'organo, anche se composto di soggetti singolarmente inv,estiti di funzioni giurisdizionali (il carattere giurisdizionale delle Commissioni Tributarie � stato dalla Corte di Cassazione riconfermato con le sentenze delle Sezioni Unite nn. 2175, 2176 e 2177 del 20 giugno 1969 e n. 2201 del 21 giugno 1969, in questa Rassegna, 1969, 1, 538), quello stesso, al quale la legge demanda la potest� di decidere unitariamente e non come aggregato di persone che manifestano una semplice opinione di carattere personale. (2) Con le statuizioni riprodotte nella seconda massima, la Corte di Cassazione ha risolto un problema particolare, attinente alla sfera di applicabilit� dell'art. 15 deLr.d. 8 luglio 1937, n. 1516, nella parte in cui RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il legislatore del 1944, giustamente consapevole dell'importanza delle decisioni a sezioni unite di un organo di tanto irlievo, quale � la Commissione Centrale delle imposte -il cui carattere giurisdizionale � stato recentemente ribadito da questa stessa Suprema Corte a conferma di un ultratrentennale indirizzo giurisprudenziale (sentenze a Sez. Un. n. 2175, 2176 e 2177 del 20 giugno 1969 e n. 2201 del 21 giugno 1969) -ha subordinato, per quanto riguarda la composizione del collegio giudicante, a due requisiti essenziali e inderogabili la validit� delle decisioni stesse, onde assicurarne la maggior compiutezza e conformit� al diritto: l'uno, di natura qualitativa, richiede che i compo dispone che il Presidente delle Commissioni Tributarie � in caso di necessit� pu� trasferire, temporaneamente, da una ad altra Sezione, i vice Presidenti ed i membri ... �. La disposizione � applicab�le anche alla Commissione Centrale, perch� espressamente richiamata nel sesto comma dell'art. 2 del d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334. Nella fattispecie era avvenuto che il Presidente della Commissione Centrale, con provvedimento adottato sabato 30 novembre 1968, probabilmente nel timore che non si raggiungesse, nella adunanza delle Sezioni Unite ,convocate per il successivo luned� 2 dicembre 1968, il quorum necessario per la validit� delle decisioni, aveva ritenuto di integrare la composizione, peraltro non deficitaria, di due delle Sezioni, che avrebbero dovuto partecipare a tale adunanza, chiamando a farne parte, per una un vice Presidente e per altra un membro, appartenenti a Sezioni competenti in diversa materia di imposte. Il Presidente della Commissione Centrale aveva, cio�, ritenuto di poter avvalersi dei poteri attribuiti dall'art. 15 del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, non al fine di assicurare il funzionamento di singole sezioni, che, in ipotesi, non avessero ognuna un numero di membri sufficiente ad assicurare il quorum� necessario per la validit� delle decisioni delle sezioni medesime, sibbene al dichia~ato .fine di assicurare alle Sezioni Unite un plenum, che la legge non prevede, in considerazione che il quorum delle Sezioni Unite � assicurato attraverso una automatica integrazione fra i componenti (vice Presidenti e membri) delle varie sezioni, che siano legittimate, per la competenza nella materia di imposta, a partecipare alla composizione del Collegio delle Sezioni Unite. La Suprema Corte ha rilevato che � si sar� forse trattato di una sem plice erronea interpretazione dei poteri presidenziali, ma la verit� � che n'� risultata l'invalidit� della decisione, per alterata composizione dell'or gano giudicante �. La Corte ha esattamente affermato �che il potere, di cui al citato art. 15 r.d. 1516/1937, pu� essere �esercitato al fine di assicurare il funzionamento temporaneo di qualche sezione deficitaria ma non a quello di assicurare la regolare composizione del Collegio a Sezioni Unite. Potrebbe anche ritenersi che una sezione, la quale abbia, in ipotesi, la composizione temporanea prevista dal secondo comma del detto art. 15, partecipi in tale composizione al Collegio delle Sezioni Unite, ma � sicu ramente da escludersi che la �Composizione di una sezione semplice, quando anche deficitaria (il che, peraltro, nella fattispecie non si verificava), possa essere integrata, con i poteri di cui all'art. 15 pi� volte richiamato, al fine esclusivo di assicurar�e la composizione del Collegio delle Sezioni Unite. ,.. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 931 nenti del collegio debbano essere scelti fra quelli che, trattando nelle singole sezioni la stessa materia, ne possiedono una pi� approfondita conoscenza; l'altro, di natura quantitativa, richiede un numero minimo di componenti, consentendo una composizoine quantitativamente variabile tra un minimo ed un massimo, come suole avvenire nelle giurisdizioni e minus quam perfectae �. Il primo requisito non � suscettibile di mutamenti, il secondo pu� comportare, a giudizio del presidente che voglia conferire alla decisione una maggior somma di garanzie, una certa variabilit� nella composizione quantitativa del collegio, pur sempre per� nell'ambito del minimo e del massimo previsti in legge. (3) Come abbiamo detto al precedente punto 1), la Corte di Cassazione a Sezioni Unite aveva, con la sentenza n. 125 del 1967, definito e precisato il rproprio giudizio sulla questione della detraibilit� o meno, dal reddito di impresa dei soggetti tassabili in base a bilancio e delle aziende ed Istituti di Credito, delle somm�, pagate, per imposta di R.M., cat. A, sugli interessi �e premi dovuti e per le quali non venga esevcitata la rivalsa sui reddituari. Sulla questione la Corte di Cassazione si era una prima volta pronunziata nel lontano anno 1902, sulla base delle disposizioni, allora vigenti, del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021, con la sentenza della Cassazione Romana 24 febbraio 1902 (in Foro it., 1902, I, col. 759), rilevando: �Non disconobbe difatti la denunziata sentenza che l'obbligo assuntosi di pagare l'imposta di ricchezza mobile in luogo dei suoi creditori costituisca a di lei riguardo un onere patrimoniale. Ma esattamente aggiunse che a termine di legge ci� non bastava per darle diritto di detrarre l'ammontare di quell'imposta dal suo reddito j.mponibile. Imperocch�, onde tale detrazione potesse aver luogo, sarebbe necessario che l'onere predetto costituisse una condizione imprescindibile della rendita delle obbligazioni, che vi fosse, cio�, tra il primo �e le seconde un rapporto indissolubile di mezzo a fine, di causa ad effetto, di guisa che il reddito non potrebbe esistere se l'onere non si fosse costituito o contratto�. Successivamente, con la sentenza Sez. I, n. 3672 del 24 novembre 1927 (in Riv. legisl. fisc., 1928, 241), la Corte di Cassazione affermava, sempre sulla base delle disposizioni contenute nel t.u. n. 4021 del 24 agosto 1877 (artt. 15, 30, 31 e 32): � L'art. 30 della Legge sull'imposta di ricchezza mobile chiaramente enuncia che tutti i redditi delle Societ� anonime e in accomandita per azioni, ritratti mediante l'opera loro e l'impiego dei loro capitali, debbono accertarsi e tassarsi qualunque sia la forma e il titolo onde vengano ripartiti fra i soci, qualunque la destinazione che loro si dia. �Nell'art. 32 viene espresso il concetto che l'imposta di ricchezza mobile colpisce il prodotto industriale netto, donde la conseguenza che debba dedursi dalla imposizione quella somma che rappresenta la spesa o il costo di produzione. Perch� si faccia luogo alla detrazione, in ossequio a tale norma, chiarita da quella dell'art. 53 del Regolamento, si richiede che le spese siano inerenti alla produzione del reddito e che attengano specificamente alla produzione di quel reddito cui l'accertamento si riferisce. RASSEGNA DE-LL'AVVOCATURA DELLO STATO Nella specie accadde che essendosi raggiunto il � quorum � di tredici membri delle Sezioni competenti per materia, cio� un numero sufficiente per una regolare composizione dell'organo, ve ne furono immessi altri due, di sezioni incompetenti, in violazione non dubbia del requisito qualitativo sopra accennato. Ci�, a parere di ~uesto Collegio, � sufficiente per rendere � invalida � la decisione secondo il termine espressamente adottato, a titolo di sanzione, nel testo legislativo. Non pu� tuttavia, a questo punto, essere pretermesso l'esame di quanto oppone la difesa del ricorrente principale a proposito del predetto inserimento nella composizione delle Sezioni Unite della Commis- Poich� l'imposta colpisce il reddito nell'atto �he in un determinato periodo di tempo si produce, ne consegue che nell'accertamento si deve tener conto di quelle spese che sono inerenti alla produzione attuale del reddito, ma non parimenti di quelle che possono essere occorse alla formazione pi� o meno remota del cespite produttore. � Pu� concludersi che l'imposta di ricchezza mobHe, che la Sociat� si � assunta di pagare sugli interessi per conto degli obbligazionisti, non costituisce n� una annualit� passiva che gravi il reddito industriale, perch� non � frutto del capitale tolto in prestito, ma una imposta che su questo frutto si deve corrispondere, n� una spesa inerente alla produzione perch� le tasse non possono assimilarsi alle spese e perch� manca ogni diretta dipendenza di causa ad effetto H pagamento dell'imposta � per legge a carico del reddituario, e al mutuatario, che sia tenuto ad anticiparla per conto di quello, � fatto salvo il diritto di rivalsa; se a questo diritto rinuncia e si accolla l'imposta, per un patto tra esso e il suo creditore, non fa c_he volontariamente erogare una parte del suo reddito industriale e non pu� pretenderne la deduzione. Come spese che non precedono, ma seguono la produzione del reddito, assumono il carattere di erogazione del diritto medesimo. Se volesse seguirsi la tesi .sostenuta dalla Societ� ricorrente, si verrebbe in definitiva ad esentare indebitamente di imposta gli interessi delle obbligazioni�. La stessa Sez. I della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1115 del 7 maggio 1963 (in Giur. it., 1964, I, 1, col. 822), resa in applicazione ancora delle norme del t.u. del 1877, nonch� dell'art. 22 della 1. 8 giugno 1963, n. 1231, che aveva esteso l'ambito di applicabilit� dell'art. 15 del detto t.u., nell'annullare la decisione della Commissione Centrale del 12 ottobre 1960, nella quale era stato affermato un diverso principio, ribadiva: � Il pagamento dell'imposta di ricchezza mobile di cat. A, eseguito dalle aziende ed istituti di credito, in sostituzione dei depositanti, sugli interessi da questi percepiti, non d� luogo ad una spesa inerente alla produzione del reddito di cat. B che tali aziende ed istituti ritraggono dall'esercizio della loro normale attivit�, ma fa sorgere a favore degli �Enti medesimi un credito verso i depositanti fondato sul diritto all'esercizio della rivalsa della somma pagata, �espressamente sancito dalla legge (art. 22 della 1. 8 giugno 1936, n. 1231) �. Aggiungeva, per�, in tale sentenza, la Corte di Cassazione, cosi dandosi carico di esaminare un altro profilo della questione : � Se, poi, PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 933 sione Centrale di due elementi estranei. Si dice al riguardo che il presidente si sarebbe avvalso del potere conferitogli dall'art. 15 r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, secondo il quale egli pu� trasferire, in caso di necessit� ed in via temporanea, i componenti (ivi compreso il vice presidente) dall'una all'altra sezione. E si aggiunge altresl che l'apprezzamento di tale necessit� non sarebbe sindacabile, neppure in questa sede, trattandosi di un potere affidato alla discrezionale valutazione del presidente, e che se anche ad ogni modo se ne volesse affermare la sindacabilita nella specie l'elemento della necessit� sarebbe sussistito, perch� due componenti avevano comunicato di non poter intervenire. le aziende e gli istituti non esercitano tale diritto, il pagamento dell'imposta �si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita. �Ora, mentre per le spese inerenti alla produzione del reddito, l'indagine diretta ad accertare tale inerenza, richiesta dalla legge come condizione necessaria per la loro detraibilit� del reddito medesimo, si esaurisce di fronte alla constatazione dell'esistenza del rapporto di causalit� economica fra le �spese �e il reddito, per la perdita dovuta alla rinuncia al diritto 'di ottenere il soddisfacimento di un credito, tale indagine si estende alla ricerca della volontariet� o meno della rinuncia, in quanto la somma di danaro, nella quale si sostanzia la perdita, � detraibile dal reddito soltanto nel caso �che la rinuncia sia imposta da cause del tutto estranee alla volont� del creditore ... N� la volontariet� della rinuncia poteva essere esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza di usi e accordi interbancari in tal senso, perch� questi, invece, confermano tale volontariet� �. Da ultimo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la citata sentenza n. 125 del 1967, pronunziandosi sulla base della normativa contenuta nel nuovo t.u. delle leggi �Sulle imposte dirette, approvato con cl.P. 29 gennaio 1958, n. 645 (artt. 91, 99 e 127), precisavano: �Il rilievo, contenuto nel primo mezzo, secondo il quale la legge non richiede, nell'art. 99 del t.u. che le "perdite" per esser�e detraibili siano "involontarie", si fonda su di una interpretazione meramente formale della legge, o meglio su un argomento tratto dal silenzio di essa, ma non pu� essere condiviso quanto alle conseguenze che dal silenzio affrettatamente si vorrebbero trarre. � Infatti, il punto di distinzione fra spese e perdite consiste proprio nella volontariet� delle prime, dipendenti dall'autonomia negoziale dell'imprenditore, Ubero nella scelta dei mezzi economici diretti alla produzione del reddito, e nella )nvolontariet� delle seconde. � La legge non aveva bisogno di condizionare la detraibilit� di queste ultime alla loro non volontariet�, trattandosi di una limitazione connaturata nel concetto di perdita, tenuto conto che non essa � � volontaria ., bens� la spesa necessaria per sopperirvi, la quale rientra appunto nell'ambito delle libere scelte econ�miche dell'imprenditore. �Non si verifica, dunque, n� una perdita n� una spesa (uniche voci sulla cui detraibilit� � legittimo discutere) per difetto della posta da detrarre, una volta riconosciuto, come � gioco-forza riconoscere in base allo stesso sviluppo logico dell'impostazion:e difensiva della ricorrente, che 934 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Le predette considerazioni della resistente sono .prive di fondamento. Non si contesta infatti la sussistenza di un potere d~screzionale da parte del presidente della Commissione Centrale nelle assegnazioni e nei trasferimenti interni di componenti delle varie sezioni, quando le esigenze temporanee del loro buon funzionamento lo richiedano; si nega invece che il presidente stesso possa alterare la composizione del collegio giudicante delle Sezioni Unite con elementi estranei. Il potere di cui al predetto art. 15 � fuori discussione, poich� detta norma non trova alcuna applicazione nella specie sottoposta all'esame di questa Suprema Corte. l'esborso conseguente, dovuto alla corresponsione del tributo, viene colmato da una equivalente o forse superiore entrata proprio in virt� della negozialit� insita nella facolt� di rivalsa prevista in legge �. Tale lo stato della giurisprudenza della Corte di Cassazione quando la Commissione Provinciale delle Im[loste di Novara e successivamente la Commissione Centrale hanno ritenuto di distaccarsi dall'orientamento, che pu� dirsi costantemente uniforme e che si era andato da ultimo ulteriormente precisando e definendo, della Corte Suprema. Le sentenze della Corte di Cassazione, in particolare le ultime due, erano state, naturalmente, variamente commentale (cfr. FAVARA, in questa ~11 Ras,segna, 1967, I, 645 e segg.; VISENTINI, in Riv. dir. fin. se. fin., 1967, II, 120; CAPACCIOLI, ivi, 1968, 623 e segg.; DE IoRIO, ivi, 1968, 752 e segg.; IAN~ NUZZI, in Giust. civ., 1968, II, 266 e segg.; LONGO, in Il Consiglio di Stato, 1luglio-agosto 1968, II, Sez. V, 674 e segg. e l'ampia bibliografia in detta nota richiamata, con la indicazione degli Autori espressisi in senso favo 1111 revole alla detraibilit� e di quelli espress�si in senso contrario; DE IoRIO, 1~ in Nuova riv. trib., 1968, ottobre, 434). Non vi erano stati, comunque, contrasti nella giurisprudenza della ilJ Corte di Cassazione. Tale giurisprudenza era rimasta sempre ferma, dal 1902 al 1967, sul punto che il mancato esercizio della rivalsa, nei confronti llil$ dei reddituari, per le somme pagate per R.M., cat. A, sugli interessi non . desse luogo ad una spesa inerente alla produzione del reddito tassabile in R.M., �cat. B. Sul secondo punto, �relativo all'onere di esercizio, qualifi I ~ cabile come perdita, ex art. 99 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, la Corte di Cassazione aveva, nella sentenza n. 1115 del 1963, esattamente affermato ! ~ che la perdita su crediti � detraibile dal reddito soltanto nel caso che la rinuncia sia imposta da cause del tutto estranee alla volont� del creditore; ~ successivamente, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 125 del 1967, dopo aver ribadito che la perdita, per poter essere detratta dal reddito, dovesse, . I . logicamente e necessariamente, essere involontaria, aveva, comunque, esclu so, in via di principio, che potesse, nella ipotesi considerata, parlarsi di perdita involontaria. Nello studio del CAPACCIOLI, richiamato in precedenza (in Riv. dir. fin. se. fin., 1968, 623), si fa cenno, nella nota 1), ad una sentenza della Corte di Cassazione, che sarebbe favorevole alla detrazione. Tale sentenza � richiamata da tre decisioni della Commissione Centrale (n. 32148 del 1960; nn. 62858 e 63914 del 1962), con un dato comune, il n. 761, ma con riferimento ad anni diversi, 1954, ,1955, 1959, secondo il testo almeno che -~JJllW'AJ!l!&@fllf���~,,J PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 935 Infatti non si trattava di assicurare il funzionamento temporaneo di qualche sezione deficitaria, ma di assicurare la regolare composizione del collegio a Sezioni Unite. E poich�, ai fini di detta regolarit�, la legge stessa prevede un margine amplissimo, consentendo la partecipazione della met� dei componenti, complessivamente considerati, delle sezioni interessate, appariva � ictu oculi � del tutto superflua la sostituzione di taluno di loro, postoch� in ogni caso sarebbe stato possibile, senza alcuna sostituzione, raggiungere il � quorum �. Anzi proprio in base a questa considerazione si spiega il perch� la legge abbia previsto la possibilit� di trasferimento temporaneo dal- di tali decisioni � riportato in varie riviste. Ma lo stesso CAPACCIOLI rileva che non � si riscontrano nei repertori sentenze che si riferiscono alla nostra questione (la pi� vicina, �rperch� concerne un caso di rivalsa in tema di ricchez~a mobile di cat. A, � la Cass., n. 761 del 14 marzo 1959 .........; ma neppure essa � in termini) �. In realt�, la sent. n. 761 del 1959, delle Sezioni Unite (in Giust. civ., 1959, I, 603) non soltanto non � in termini ma riguarda tutt'altro problema, anche se relativo all'applicazione degli artt. 15, 16 e 17 del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021, e degli artt. 22 e 23 della I. 8 giugno 1963, n. 1231. La sentenza non si � affatto occupata, nemmeno per inciso, della questione relativa alla detraibilit� o meno, dal reddito di cat. B, delle somme pagate dalle Aziende ed Istituti di Credito per R.M., cat. A, sugli interessi dovuti e per le quali non venga esercitata la rivalsa. Nessun contrasto, quindi, nella giurisprudenza della Suprema Corte. Contrasti vi erano stati, invece, nelle decisioni delle Commissioni tributarie, ma tali contrasti erano stati risolti dalla Cassazione nelle sentenze soprarichiamate. La Commissione Provinciale di Novara ha, per verit�, nel discostarsi dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, premesso che la tesi, sostenuta dalla Banca e che appariva meritevole di accoglimento, era una tesi � nuova rispetto alle argomentazioni gi� portate all'esame della Corte di Cassazione �. La tesi, infatti, non appare esaminata dalla Corte di Cassazione, ma essa � chiaramente destituita di ogni fondamento, tant'� che la stessa Commissione Centrale, pur respingendo il ricorso dell'Ufficio delle Imposte e confermando la decisione impugnata, non ha affatto condiviso, sul punto in discussione, la tesi della Provinciale, ponendosi, per la risoluzione della questione, su tutt'altra via. La Commissione Provinciale ha affermato che gli Istituti di Credito, non operando la rivalsa, facoltativamente prevista nell'art. 127 del t.u. sulle Imposte Dirette n. 645 del 1958, nei �confronti del percettore degli interessi, � fuori dubbio che recuperino l'ammontare della rivalsa dalla clientela attiva degli Istituti medesimi. Tale recupero -secondo la tesi della Provinciale -sarebbe compreso negli interessi delle operazioni attive, interessi che, accettati dai mutuatari, comprenderebbero, oltre il corrispettivo dell'opera e del rischio imprenditoriale, gli interessi passivi corrisposti ai depositanti ed una quota parte delle spese di gestione, anche una quota parte di tutti gli oneri sostenuti dalla Banca, fra i quali va compresa l'imposta di R.M., cat. A, pagata dalla Banca per i depositanti j 936 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ ~ i:j l'una all'altra sezione semplice, e non abbia .invece previsto la stessa fi ~'.'. possibilit� con riguardo alle Sezioni Unite: il minimo, infatti, di par~:~ tecipanti richiesto � tale (cio� il 50 % ) da consentire, nella normalit� i=' fu o nella grandissima parte dei casi, la regolare composizione del colk t legio senza ricorrere ad alcuna sostituzione. i::: t N� si dica che nella specie il Presidente avesse inteso appunto ~ operare il trasferimento dei due indicati elementi dalle Sezioni cui primieramente appartenevano a quelle, fra le componenti delle Sezioni !I ; Unite, in cui risultava l'impedimento di un pari numero di membri, perch�, a parte che nel provvedimento non vi � neppure un vago riferimento alla necessit� che avrebbe giustificato il detto trasferi e non recuperata. Continua la Provinciale con l'osservare che, poich� il profitto di tali operazioni attive viene dichiarato, agli effetti dell'imposizione di cat. B, al lordo della cemponente di rivalsa e si traduce in un aumento dei cespiti lordi soggetti alla detta tassazione di cat. B, tale com I ponente deve essere detratta dal reddito tassato nella indicata cat. B; se j,i ci� non avvenisse,. si avrebbe una duplice tassazione inerente allo stesso ili\ r~ cespite. Rileva, infine, la Commissione Provinciale che, anche se gli Istituti f:' di Credito, per motivi tecnico-contabili, non sottraggono l'imposta e la sua rivalsa dal conto economico, ci� non pu� far venire meno il buon 'diritto delle Banche a depurare fiscalmente il ricavo .dell'onere sostenuto, ~ t:i! considerato che il ricavo stesso viene dichiarato al lordo della sua compo m nente di rivalsa. r � evidente la erroneit�, anzi la speciosit�, del procedimento logico seguito dalla Commissione Provinciale di Novara, procedimento che non tende a dimostrare che il mancato esercizio dell'azione di rivalsa costituisca una spesa inerente alla produzione del successivo reddito dell'Istituto di Credito, sibbene a dimostrare che, se venissero tassate le somme per le quali la rivalsa non viene esercitata, nel senso che dette somme non venissero ammesse in detrazione nella determinazione del reddito tassabile in cat. B, �si avrebbe una duplice tassazione inerente allo stesso cespite�. La conclusione alla quale ritiene di poter pervenire la Commisisone Provinciale di Novara � talmente speciosa che non si sono s~ntiti di condi!' j viderla n� la Commissione Centrale, che pure ha confermato nel dispositivo la decisione 'delal Provinciale, e nemmeno gli annotatori della decisione in I discorso (IANNUZZI, op. cit.; LONGO', op. cit.), i quali hanno tratto lo spunto dalla detta decisione, per esporre le loro osservazioni critiche alla sentenza II delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 125 del 1967. La Commissione Provinciale di Novara ha, dunque, ritenuto di poter risolvere la questione sotto un profilo di duplicazione di imposta. Ma, perch� si possa ipotizzare una dupUcazione di imposta, e cio� una doppia imposizione, � necessario, ai sensi dell'art. 7 del t.u. n. 645 del 1958, che, r J:~ in dipendenza dello stesso presupposto, la stessa imposta venga applicata pi� volte. Ora, nella fattispecie in considerazione, � evidente che una l'I situazione del genere non pu� assolutamente ipotizzarsi. Il reddito netto, tassabile in R.M., cat. B, per un Istituto di Credito, come per qualsiasi altro soggetto ad imposta di R.M., � costituito, ai sensi dell'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette, dalla differenza tra l'ammontare ~ �r.:::: dei ricavi lordi e l'ammontare delle spese e passivit� inerenti alla produ r mHfff@fftMlffftrnmtEffrnrm@rnmrnmnrnrmrmrn1mw11;mmmr=m1mr@mm1mrrnrwm@n11mmrn1rnrnmrnrnrnEmrn;1rnmmirmwrml PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 937 mento, sta di fatto che esso fu invece, secondo il suo stesso tenore letterale, unicamente diretto a far partecipare i due elementi estranei a quella determinata adunanza delle Sezioni Unite, senza alcun accenno alla situazione deficitaria di questa o di quella Sezione semplice, che componevano le Sezioni Unite stesse. Si 13ar� forse trattato di una semplice erronea interpretazione dei poteri presidenziali, ma la verit� � che n'� risultata l'invalidit� della decisione per alterata composizione dell'organo giudicante. Tale invalidit� � espressamente prevista in legge, come si � detto, ma ricorrerebbe ugualmente anche senza questa previsione espressa. Infatti l'elaborazione giurisprudenziale, attraverso la costante ripetizione degli stessi principi, ha ravvisato addirittura l'inesistenza giuri zione del reddito. Se i ricavi lordi sono maggiori, in quanto gli Istituti di Credito, sia pure per rivalersi degli oneri costituiti dal mancato esercizio della facolt� di rivalsa, pongono a carko dei mutuatari, che li accettano, un �maggior tasso di interessi, ed aumenta, in conseguenza, il reddito netto, l'imposta su� tale reddito, il quale costituisce il presupposto dell'imposta medesima, viene applicata indubbiamente una sola volta. Non si ri�esce a comprendere come possa, logicamente e giuridicamente, ritenersi che su tale. presupposto di imposta vi sarebbe, almeno parzialmente, una doppia imposizione, nell'ipotesi che non si operasse la detrazione di cui si discute. Il tasso di interessi da porsi a carico dei mutuatari viene determinato dagli Istituti di Credito nell'ambito di una discrezionalit� imprenditoriale, sia pure con l'osservanza di limiti eventualmente posti da usi ed accordi interbancari e dalla legge, e non � dato) ai fini tributari, operare un esame e una distinzione circa le varie componenti sulla base delle quali viene fissato il detto tasso di interessi. Ma anche se ci� fosse consentito, la ricerca non sarebbe nemmeno pertinente, in quanto l'intero ammontare degli interessi attivi percepiti dalle banche concorrono a formare, per legge, i ricavi lordi e su ci� non pu� sicuramente sorgere alcun dubbio: per determinare, poi, sulla base dei ricayi lordi, il reddito netto, si detraggono dai ricavi lordi le spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito. Quindi, ai fini della risoluzione della questione che ne occupa, non pu� che riportarsi il discorso sul punto se il mancato esercizio della rivalsa per la R.M., cat. A, sugli interessi rientri oppur no fra le spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito. (4) a) La Commissione Centrale delle Imposte, Sezioni Unite, pur confermando nel dispositivo la decisione della Commissione Provinciale di Novara, ha completamente modificato la motivazione, abbandonando la speciosa via della duplicazione di imposta, per ritornare nuovamente sull'argomento, sempre disatteso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, espressasi, sul punto, in senso costantemente uniforme, della spesa inerente alla produzione del reddito. Il dato che caratterizza questa decisione della Commissione Centrale delle Imposte, che ha ritenuto di abbandonare la via tracciata dalla Corte di Cassazione, � una confusione di concetti e di linguaggio, che si accompagna al richiamo, del tutto non pertinente, a principi fissati nella Costituzione della Repubblica ed a principi di politica economica, che potrebbero, questi ultimi, suggerire, semmai, al legislatore un intervento nor 938 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dica della decisione la quale, malgrado la sua esteriore apparenza di provvedimento giurisdizionale, provenga da un organo che non rivesta la qualit� di giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica o qualitativa; o per inosservanza di norme organiche incidenti sulla essenza stessa (da ultima sent. n. 1567 del 1967). In tal caso l'atto non � riferibile alla volont� sovrana dello Stato come manifestazione di potere giurisdizionale, perch� l'irregolarit� numerica o qualitativa nella costituzione del giudice rappresenta un vizio 938 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO dica della decisione la quale, malgrado la sua esteriore apparenza di provvedimento giurisdizionale, provenga da un organo che non rivesta la qualit� di giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica o qualitativa; o per inosservanza di norme organiche incidenti sulla essenza stessa (da ultima sent. n. 1567 del 1967). In tal caso l'atto non � riferibile alla volont� sovrana dello Stato come manifestazione di potere giurisdizionale, perch� l'irregolarit� numerica o qualitativa nella costituzione del giudice rappresenta un vizio che si risolve in un difetto assoluto di giurisdizione, non potendo ravvisarsi nell'organo, anche se composto di soggetti singolarmente investiti di funzioni giurisdizionali, quello stesso, al quale la legge demanda la potest� di decidere unitariamente e non come semplice aggregato di mativo, ma che sicuramente non offrono elementi per la esatta interpretazione ed applicazione della legge. Il problema da risolvere era, invece, esclusivamente 'un problema di interpretazione e di applicazione della legge. Non intendiamo certo negare che anche i principi fissati nella Costituzione ,possano anzi debbano costituire uno strumento di interpretazione della legge, nel senso che fra le varie interpretazioni possibili va indubbiamente prescelta quella che sia maggiormente aderente ai detti principi costituzionali. Cos� come non intendiamo negare che la scienza economica e finanziaria possa fornire utili strumenti per l'interpretazione della legge, in quanto si adottino per tale interpretazione concetti e definizioni elaborati proprio da detta scienza. Ma � una questione di pertinenza e, nella fattispecie, � del tutto fuori luogo il richiamo che la Commissione Centrale fa all'art. 47 della Costituzione, come sono assolutamente non pertinenti, per la loro genericit�, il richiamo al �momento economko della funzione creditizia�, la considerazione che � il fenomeno �, dunque, soprattutto economico ed importa, in ogni impresa, lo stabilire, in base al principio, di "ofelimit�", fino a qual punto il pagamento del tributo, totale o parziale, non possa rappresentare un dato negativo nella produzione del bene, cio� del credito � ed, infine, le successive osservazioni, secondo le quali: �L'economia incisa porta ad una diminuzione del reddito, conseguente alla contrazione della domanda: onde la valutazione, rimessa all'azienda, circa la convenienza di agire o meno in rivalsa, trasferendo, anche in parte il tributo. Una convenienza, si aggiunge, che ha il suo punto di rottura quando il costo del danaro aumenta attraverso il pagamento dell'imposta. Autonomia, che costituisce, nel sistema attuale, discrezionalit� amministrativa, perch� ,esercitata da organi pubblici, e che si traduce, data la disciplina unitaria e pubblica della funzione creditizia, in vero �e :proprio obbligo. Questa -ad avviso del Collegio -� l'unica .sostanziale ragione del sistema, dominato dall'interesse di potenziare al massimo, favorendola in ogni modo, la funzione creditizia, attraverso la quale si realizzano vantaggi incalcolabili nello sviluppo eocnomico, industriale e sociale del Paese �. b) La Commissione Centrale ha affermato, in via di premessa: � La decisione impugnata evade nel ragionamento, per dir cos�, dal concetto giuridico di passivit�, soprattutto, da quello di inerenza sul reddito, agli effetti della detrazione. Si prenda, in essa, in considerazione un'operazione successiva e diversa, anzi addirittura opposta, da quella che ha determinato ~~~~llA�FI~~~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 939 persone che manifestano una opinione meramente personale (sentenza n. 810 del 1962). La nullit� radicale della denunziata decisione ne importa la cassazione con rinvio, postoch� la Commissione Centrale, una volta travolta la predetta decisione, resta tuttora investita delle impugnazioni proposte a suo tempo contro la decisione della Commissione provin ciale. Il secondo. motivo del ricorso incidentale ed il ricorso principale restano manifestamente assorbiti. -(Omissis). l'imposizione: un'operazione, nella quale l'azienda si presenta in condizione di debitore diretto, non di sostituto. Ma l'argomentazione sollecita, attraverso un momento economico della funzione creditizia, una indagine approfondita del concetto di spesa, di perdita, meglio, di onere, ancor meglio di passivit�: termini tutti usati dalla legge, sui quali domina, con effetto decisivo, il concetto economico-giuridico di inerenza, che, ad avviso del Collegio, rappresenta la chiave della soluzione della questione. Il concetto di spesa; e quello di perdita, su cui si � tanto dibattuto, vanno, cosi, integrati con quello di onere, di passivit�, nei quali si prescinde dalla volontariet�, dominandovi, con carattere decisivo, l'inerenza: rapporto, cio�, di causalit� tra passivit� e reddito. � Proprio la nozione di passivit� ha subito, negli ultimi anni, un allargamento, che potrebbe chiamarsi evolutivo, nel senso che i principi fermati, in via precettiva e programmatica, dalla Costituzione, hanno trovato attuazione nella interpretazione di leggi preesistenti o nella creazione di leggi nuove. Cosi il concetto di necessit� che, in passato, limitava, quasi condizionandola, agli effetti della detrazione, l'attivit� dell'operatore economico, ha subito una flessione, attraverso la quale l'indagine si �, per dire cos�, sempre pi� centrata nella inerenza della passivit� al reddito, cio� in quella che potrebbe chiamarsi la produttivit� di questo. �Ne � venuta fuori una giurisprudenza, in senso ampio, che ha allargato il concetto di passivit� e, correlativamente, quello di inerenza: nella quale l'attivit� dell'operatore, in una rinnovata concezione della libert�, che non pu� non riflettersi sul fenomeno aziendale, si allarga e trova occasione e sollecitazione in interessi e possibilit�, che gli consentono di consegufre, anche attraverso una pi� serrata solidariet�, una maggiore produzione del reddito �. A noi pare che occorresse una ben diversa precisione di linguaggio ed una ben diversa precisazione di concetti per affrontare un cos� delicato problema di diritto e risolverlo con il dichiarato proposito di contrastare e superare una giurisprudenza della Corte di Cassazione, che si era espressa in quattro lucidissime e fondamentali sentenze, pronunziate nell'arco di oltre un sessantennio. Ed era esclusivamente un problema di diritto, e cio� di interpretazione e di applicazione di norme giuridiche, quello che la Commissione Oentrale delle Imposte, e cio� il massimo organo della giurisdizione speciale tributaria, doveva ri.solvere e non un problema di politica economica e di tutela del risparmio, perch� problemi del genere, nel nostro sistema costituzionale, spetta, ovviamente, al legislatore, a chi pone, cio�, le norme, di risolvere e non al Giudice, cui compete soltanto applicare le norme stesse, sia pure interpretandole. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II COMMISSIONE PROVINCIALE DELLE IMPOSTE DI NOVARA, 22 novembre 1967 -Pres. Zanconi -Rel. Guaglio -Banca Popolare di Novara c. Ufficio Distrettuale IL DD. di Novara. Imposta di ricchezza mobile -Spese inerenti alla produzione del red dito -Pagamento da parte degli istituti di credito dell'imposta dir. m., Cat. A, sugli interessi dovuti ai depositanti e mancato esercizio dell'azione di rivalsa -Detraibilit� dal reddito di r. m., cat. B, degli istituti di credito. (t.u., 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 91 e 127). Gli Istituti di Credito, che non esercitano la rivalsa nei confronti del percettore degli interessi, recuperano l'ammontare della rivalsa dalla clientela attiva degli Istituti medesimi. Tale recupero � compreso negli interessi delle operazioni attive, interessi che, accettati dai mu- Non pu� certo -a nostro avviso -dirsi che la decisione della Comm'issione Centrale, particolarmente attesa, anzi -direi -preannunciata da alcuni autori (DE Io1110, dt., in Riv. dir. fin. e se. fin., 1968, 752; LONGO, cit.), abbia soddisfatto le aspettative di vedere chiariti i dubbi, che secondo gli annotatori in dissenso, le sentenze della Corte di Cassazione, in particolare l'ultima -la n. 125 del 1967 -aveva lasciato sussistere o fatto sorgere. La decisione (pubblicata anche in Foro it., 1968, III, 200) ha gi� avuto, prima di essere dichiarata giuridicamente inesistente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza in rassegna, annotazioni favorevoli (PIETRANTONIO, in Le imposte dirette erariali, gennaio 1969, col. 90 e segg.; STELLA RICHTER PAOLO, in Giust. civ., febbraio 1969, II, 48 e segg.), che noi non riteniamo di poter condividere per le ragioni che di seguito esporremo. e) L'art. 32 del t.u. delle leggi d'imposta sui redditi della ricchezza mobile, approvato con r .d. n. 4021 del 24 agosto 1877, stabiliva che, per la classe dei redditi industriali, si dovesse tener conto, in deduzione, delle spese inerenti alla produzione, 'come il consumo di materie grezze e stru menti, le mercedi degli operai, il fitto dei locali, le commissioni di vendita e simili. Si � sempre ritenuto che la elencazione delle �spese contenuta in detto articolo non fosse tassativa ma avesse valore meramente esemplifi, cativo, dimodoch� potesse essere considerata come inerente alla produzione del reddito ed essere, quindi, ammessa in detrazione ogni spesa che fosse legata al reddito da un nesso di causalit� necessaria, nel senso che il reddito non sarebbe stato prodotto senza che la spesa fosse stata sostenuta. L'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P. 29 gennaio 1958, n. 645, attualmente vigente, non contiene pi� la elencaziene, anche se solo esemplificativa, delle spese inerenti alla produzione del reddito ma, con migliore e pi� precisa formulazione, stabilisce che il reddito netto, soggetto alla imposta di R.M., cat. B e C/1, �� costituito dalla differenza tra l'ammontare dei ricavi lordi che compongono il reddito soggetto alla PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 941 tuatari, comprendono, fra l'altro, il corrispettivo di una quota parte di tutti gli oneri sostenuti dagli Istituti di Credito e quindi anche dell'Imposta di Cat. A, pagata dagli Istituti per conto dei depositanti. n profitto di tali operazioni attive viene dichiarato, agli effetti della determinazione del 1�eddito per R.M. -Cat. B -, al lordo della componente di rivalsa e si traduce in un aumento dei cespiti lordi soggetti alla detta tassazione di Cat. B. Tale componente deve, pertanto, essere detratta dal reddito tassato nella predetta Cat. B. Se ci� non avvenisse, si avrebbe una duplice tassazione. inerente allo stesso cespite. Sussiste, quindi, il diritto degli Istituti di Credito a depurare fiscalmente il ricavo dell'onere sostenuto, considerato che ii ricavo stesso viene dichiarato al lordo della sua componente di rivalsa (3). (Omissis). -La controversia verte su due questioni: 1) sulla detraibilit� dal reddito di ricchezza mobile cat. B della imposta di ricchezza mobile cat. A pagata dalla Banca ricorrente e non recuperata mediante rivalsa nei confronti dei depositanti; imposta e l'ammontare delle spese e passivit� inerenti alla produzione di tale reddito �. Sussistono, quindi, nella legislazione attualmente vigente in materia di imposta di R.M., cat. B e cat. C/1, due categorie di � oneri � deducibili dai ricavi lordi, al fine della determinazione del reddito netto e sono: 1) le sp�ese inerenti alla produzione del reddito; 2) le passivit� inerenti alla produzione del reddito. Sono queste, come ha esattamente affermato la Suprema Corte nella sentenza n. 125 del 1967, le �uniche voci sulla cui detraibilit� � legittimo discutere �. E si tratta di categorie ben distinte e chiaramente individuabili, che non vanno confuse fra di loro, come ha mostrato di fare la Commi.ssione Centrale delle Imposte nella decisione che si annota. N� pu� ritenersi sussista, per la R.M., cat. B e cat. C/l, una terza categoria di �oneri., non altrimenti qualificati, un � tertium genus �, come mostra di ritenere confusamente la Commissione Centrale e pi� chiaramente qualche autore (DE IoRio, cit., in Riv. dir. fin. e se. fin., 1968, 752 e segg.), con riferimento all'art. 245 del t.u. sulle imposte dirette. Ma tale articolo, che stabilisce le sanzioni applicabili nell'ipotesi di dichiarazione infedele, non riguarda soltanto l'imposta di R.M., sibbene tutte le imposte dirette, per le quali sussista l'obbligo della dichiarazione. Gli oneri, quindi, cui fa riferimento il secondo comma dell'articolo ( � La so pratassa non si applica qualora la differenza dipenda dalla indetraibilit� di spese, passivit� ed oneri �), sono gli oneri per i quali sia dalla legge prevista la detraibilit� ai fini di altre imposte (ad es., per quanto riguarda la imposta complementare, quelli previsti dall'art. 136 dello stesso t.u.). Ma per la imposta di R.M., cat. B e cat. C/1, per la quale la legge (art. 91 t.u.) prevede la detraibilit� esclusivamente delle spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito, non � dato argomentare ex art. 245 t.u. che vi siano altri oneri detraibili, perch� non si possono porre in detrazione oneri che la legge esplicitamente non preveda. Quindi il discorso, ai :fini dell'esame della questione decisa dalla Commissione Centrale, va limitato esclusivamente alle due categorie di oneri in precedenza precisate (spese lZ 942 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 2) sulla detraibilit� dell'imposta sulle societ� quale componente patrimoniale; La Commissione di primo grado con la decisione citata in premessa respingendo il�ricorso ~lella Banca ricorrente, ha negato lfl detraibilit� di cui sopra, basandosi sulla recente sentenza della Corte di Cassazione n. 125 del 12 gennaio 1967. Ricorre a questa Commissione la Banca Popolare di Novara, sia per quanto riguarda la detraibilit� dell'imposta di R.M. Cat. A, sia per quanto riguarda la detraibilit� dell'imposta sulle societ�, quale componente patrimoniale, del reddito di cat. B. Assume la Banca che l'esborso relativo all'ammontare dell'imposta di cat. A, da essa pagata in luogo dei depositanti, figura tra gli oneri e passivit� inerenti alla produzione del reddito), tenendo, peraltro, le due categorie chiaramente distinte nelle loro caratteristiche peculiari. d) La Cassazione Romana, interpretando, nella sentenza in preceli denza richiamata del 24 febbraio 1902, l'art. 32 del t.u. n. 4021 del 1877, m afferm� che una spesa, in tanto pu� essere ritenuta inerente alla produ m zione del reddito, in quanto costituisca condizione imprescindibile per la w produzione del reddito stesso, in quanto, cio�, vi sia fra la pr1ma e �il [ secondo un rapporto indissolubile di causa ad effetto, di modo che il f reddito non verrebbe ad esistenza se la spesa non fosse sostenuta. il prin1i3 cipio allora affermato � indubbiamente tuttora esatto ed attuale, in quanto ~::; l'art. 91 del t.u. n. 645 del 1958 non ha affatto innovato il concetto economico- giuridico di spesa inerente alla produzione del reddito. Nel quadro di tale concetto non vi � dubbio che il mancato esercizio di rivalsa, costituita a favore delle Aziende ed Istituti di Credito, prima dall'art. 15 del t.u. n. 4021 del 1877, con le modificazioni di cui all'art. 22 della 1. 8 giugno 1936, n. 1231, ed ora dall'art. 127 del t.u. n. 645 del 1958, non pu� comprendersi fra le spese inerenti alla produzione del reddito. Anzitutto � -a nostro avviso -anche da escludere che l'onere, che le Aziende ed Istituti di Credito, almeno formalmente e contabilmente, f [;affrontano, rinunciando all'esercizio della rivalsa, possa qualificarsi come spesa, a parte anche la questione dell'inerenza o. meno alla produzione del reddito. Spendere, in senso. etimologico e lessicale, significa dare in pagamento, pagare denaro od equivalenti, �significa, quindi, trasferimento at' tivo, ad altro soggetto, di danaro� o" di altro bene. Non vi � dubbio che I r:i~ gli Istituti di Credito e spendono� allorch� pagano allo Stato la imposta di R.M., cat. A, sugli interessi dovuti ai depositanti. Ma non � in quel ~ momento, sicuramente di spesa, che l'onere va preso in considerazione, I ai fini della risoluzione della questione che ne occupa. L'onere va consi{~ f derato in un momento successivo, allorch� gli Istituti di Credito non incassano la somma, di cui dovrebbero rivalersi per ritenuta. Ora il mancato incasso, la rinuncia ad un credito, volontaria o no che sia, non pu� lessi Il calmente qualificarsi come spesa e non vi � dubbio che il senso letterale f�.:I delle parole debba avere il suo rilievo, a norma dell'art. 12 delle disposi L zioni sulla legge in generale, nel procedimento di interpretazione della ~m legge, interpretazione, peraltro, che, nella fattispecie, che ha riferimento ad una legge tributaria, non pu� che essere condotta con criteri rigoro ~ i''. . j i:" ~o/'-'11~:;'.J;~'".'!'"i~~~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 943 nel suo conto economico e ne reclama la detraibilit� ai sensi dell'articolo 91 del t.u. delle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, sostenendo che la rivalsa, pur non effettuata (per l'uso radicato da parte degli Istituti di Credito) nei confronti dei depositanti, avviene costantemente di fatto ed in maniera implicita � verso un soggetto disposto ad accollarsene l'onere e precisamente verso la clientela attiva della Banca >. Di conseguenza poich� il profitto di tali operazioni verso la clientela attiva viene dichiarato al lordo di quella componente (recupero della imposta di cat. A) la Banca ricorrente ne chiede la detrazione. In ordine alla seconda questione in quanto la parte d'imposta relativa al patrimonio, non � da considerarsi un'imposta sul reddito ma come opera inerente al patrimonio e quindi alla produzione del reddito stesso. samente puntuali, senza estensioni ad ipotesi che, per non essere fogicalilente riconducibili nella sfera di applicabilit� della norma, porterebbero inevitabilmente ad evasioni fiscali. Tutto ci� � stato anche avvertito dalla Commissione Centrale, la quale, proprio per superare il significato non soltanto lessicale ma anche economico- giuridico di spesa, che non pu�, per quanto di sopra dicevamo, essere assolutamente trascurato, ha espressamente accomunati e confusi i concetti di spesa, di perdita, di onere e di passivit�, erroneamente ritenendo che fosse sufficiente a fare di tutt'erba un fascio quel concetto di inerenza, che occorre per qualificare la spesa o la passivit�, perch� l'una o l'altra possa essere ammessa in detrazione, ma non � certo sufficiente a far ritenere che spese e passivit� siano la stessa cosa, quando per le une e per le altre sussista il requisito dell'inerenza alla produzione del reddito. La spesa, peraltro, in senso economico-tributario, va -a nostro avviso -concepita come trasferimento di reddito da uno ad altro soggetto, con la conseguenza che l'ammontare di essa, se viene posta in detrazione al reddito di chi spende, deve necessariamente costituire una evenienza attiva in chi riceve, da tassarsi con la imposta di R.M., salvo eventuali esenzioni previste dalla legge. Le spese di rappresentanza e quelle di pubblicit�, alle quali fa riferimento la decisione che si annota, sono esattamente spese nel senso lessicale ed anche �economico-tributario dianzi espresso, in quanto importano non soltanto un trasferimento di danaro, ma anche un trasferimento di reddito tassabile dall'impresa, che eroga le spese, all'agente incaricato della rappresentanza e della pubblicit�. Discorso diverso va fatto, invece, per i �cosidetti sconti-premio, pure richiamati dalla Commissione Centrale, i quali non sono � spesa � in senso economico-tributario, ma sono, in definitiva, una riduzione che viene applicata, sia pure successivamente all'acquisto, al prezzo dei beni venduti, il che importa una diminuzione dei ricavi lordi. Cosicch� � altro il meccanismo attraverso il quale tali sconti-premio vengono ad operare legittimamente sulla determinazione del reddito netto delle aziende commerciali. e) La rinuncia all'es�rcizio dell'azione di rivalsa, che, ripetiamo, non � -a nostro avviso -nemmeno da considerarsi spesa, manca, comunque, di quel carattere di inerenza alla produzione del reddito, che RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 944 Controdeduce l'Ufficio Finanziario richiamando la gi� citata sentenza della Commissione. OSSERVAZIONI Questa Commissione ritiene che la tesi sostenuta dalla Banca, tesi nuova rispetto alle argomentazioni gi� portate all'esame della Corte di Cassazione, sia meritevole di ac�coglimento. Infatti, premesso che gli Istituti di credito non fanno la rivalsa verso il percettore degli interessi (facoltativamente prevista dall'articolo127 del gi� citato t.u. sulle imposte dirette) e che � escluso che quell'onere rappresenta una perdita secca per gli Istituti di credito (come giustamente affermato dalla pi� volte citata sentenza della Cas significa, secondo il principio fissato dalla Corte di Cassazione e sul quale non ci pare sussistano dissensi, necessariet� imprescindibile per la produzione del reddito stesso. Sull'esigenza della necessariet�, perch� si abbia inerenza alla produzione del reddito, � d'accordo -in via di principio -anche la Commissione Centrale, la quale, per�, mostra di avere del concetto di necessariet� un'opinione tutt'affatto particolare, affermando: � Cos�, il concetto di necessit� che, in passato, limitava, quasi condizionandola, agli effetti della detrazione, l'attivit� dell'operatore economico, ha subito una flessione, attraverso la quale l'indagine si �, per dir cosi, sempr�e pi� centrata nella inerenza della passivit� al reddito, cio� in quella che potrebbe chiamarsi la produttivit� di questo. Ne � venuta fuori una giurisprudenza -in senso ampio -che ha allargato il concetto di passivit�, e, correlativamente quello di inerenza: nella quale l'attivit� dell'operatore -in una rinnovata concezione della libert�, che non pu� riflettersi sul fenomeno aziendale -si allarga e trova occasione e sollecitazione in interessi e possibilit�, che gli consentano di conseguire, anche. attraverso una pi� serrata solidariet�, una maggiore produzione del reddito �. � A dimostrazione di questa che potremmo dire moderna concezione della necessit�, la Commissione Central�e richiama l'art. 84, lett. g, del t.u. n. 645 del 1958, rilevando che � fruttuose considerazioni' possono, al riguardo, trarsi dal fenomeno assistenziale �. Ma � proprio la richiamata disposizione del t.u. che conferma che il concetto di necessit� non � mutato -e non poteva mutare -perch� il legislatore ha dovuto espressamente stabilire una esenzione per �le somme erogate dalle imprese a titolo di liberalit� in favore del personale dipendente e quelle allo stesso titolo da chiunque erogate in favore di enti, istituti e associazioni legalmente riconosciuti, fino a concorrenza del cinque per cento del reddito dichiarato, quando scopo specifico della liberalit� � l'istruzione, l'educazione, l'assistenza sociale, il culto e la beneficenza�. Se si � dovuta stabilire un'apposita esenzione, � stato appunto perch� l'erogazione di tali somme a titolo di liberalit� non poteva ricomprendersi fra le spese inerenti alla produzione del reddito, rperch� per produrre un reddito non � necessario erogare somme a titolo di liberalit�, e ci� anche se le liberalit� possono, in definitiva, tradursi in un vantaggio per l'impresa, valendo ad incentivare la produt PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 945 sazione) � fuori dubbio che lo stesso Istituto di credito recupera l'ammontare della rivalsa della clientela attiva della banca stessa. Tale recupero � compreso negli interessi delle operazioni attive, interessi che, accettati dai mutuatari, comprendono il corrispettivo dell'opera e del rischio imprenditoriale, gli interessi passivi sulle raccolte corrispondentemente impiegata, una quota parte delle spese di gestione ed anche una quota parte di tutti gli oneri sostenuti dalla Banca e quindi anche dell'imposta di Cat. A pagata dalla Banca per conto dei depositanti. Poich� il profitto di tali operazioni attive viene dichiarato, agli effetti dell'imposizione della cat. B al lordo della componente di rivalsa e si traduce in un aumento dei cespiti lordi soggetti alla detta tassa tivit� del personale dipendente od anche a reclamizzare la produzione dell'impresa od, infine, attraverso l'istruzione, la educazione, l'assistenza sociale, a determinare la disponibilit� di una pi� esperta ed efficiente mano d'opera. � Il concetto di necessit�, quindi, rimane sempre quello normale e tradizionale ed � soltanto tale concetto che pu� valere a stabilire quali siano e quali non siano le spese inerenti alla produzione del reddito. Si � affermato che la necessariet�, per gli Istituti di credito, di non operare la rivalsa deve essere riguardata non tanto sotto un profilo esclusivamente giuridico, quanto sotto un profilo economico, e cio� in relazione a quelle che sono le condizioni di mercato, che in concreto escluderebbero la possibilit� dell'esercizio della rivalsa; che si tratterebbe, nella sostanza, di un onere che � volontariamente assunto dalle banche e trova la sua giustificazione di necessariet� nella situazione di mercato, che richiede agli Istituti stessi di non esercitare la rivalsa, al fine di svolgere l'attivit� della raccolta dei depositi, che � alla base dei ricavi delle imprese bancarie (L. JoNA-CELESIA, In tema di deducibilit� deH'imposta di R.M., cat. A, pagata dalle abnche, in Riv. dir. fin. se. fin., 1963, II, 391). L'argomento � ripreso anche dalla Commissione Centrale nella decisione che si annota, nella quale si afferma che il mancato esercizio dell'azione di rivalsa � pu� ben definirsi un onere di mercato inerente alla produzione redditizia �. All'argomentazione si � giustamente risposto che non vi � dubbio che, attraverso la rinuncia all'�esercizio dell'azione di rivalsa, la banca offra in fatto condizioni pi� vantaggiose ai suoi creditori, al fine di stimolare l'accrescimento dei mezzi finanziari che sono alla base dell'attivit� che sar� produttiva dei ricavi, ma che non si pu� con.venire con l'affermazione che gli istituti di credito siano costretti a non operare la rivalsa per raggiungere lo scopo, che pu� benissimo �essere raggiunto in altro modo: quello, cio�, di riconoscere ai �creditori un tasso di interesse che, depurato dell'imposta, rappresenti quel valore di rendimento dei capitali richiesto dal mercato. Ci� che � necessario per incrementare i depositi delle banche � corrispondere una il'emunerazione che alletti il creditore, ma ci� non deve attuarsi necessariamente attraveil'so la rinunzia all'esercizio della rivalsa (P1ccATTI, Le imposte pagate da soggetti obbligati in luogo di altri e loro detraibilit� dal reddito industriale, in Riv. dir. fin. e se. fin., 1964, I, 468). Si � pure osservato che, nella sostanza, gli Istituti di credito esercitano di fatto la RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione di cat. B, tale componente deve essere detratta dal reddito tassato nella predetta cat. B. Se ci� non avvenisse si avrebbe una duplice tassazione inerente allo stesso cespite. Si aggiunge che, anche se gli Istituti di credito, per motivi tecnicocontabili non sottraggono l'imposta e la sua rivalsa sul mutuatario dall'ambito del conto economico, ci� non pu� far venire meno il buon diritto delle banche a depurare fiscalmente il ricavo dell'onere sostenuto, considerato che il ricavo stesso viene dichiarato al lordo della sua componente di rivalsa. In ordine al secondo punto della controversia questa Commissione, stante la� costante giurisprudenza, ritiene la non detraibilit� dell'im-posta sulle societ� quale componente patrimoniale dal reddito di categoria B. -(Omissis). rivalsa, corrispondendo un minor tasso di interesse (MoNTUORI, la determinazione dei redditi soggetti all'imposta di R.M., Torino, 1963, 246). Tale osservazione vale, di per s�, a confutare anche quando da taluno si � rilevato e cio� che, per quel che concerne gli interessi passivi da corri-� spondersi ai depositanti, gli accordi interbancari fissano un saggio massimo, che, per essere eff�ettivamente inderogabile, non pu� essere prescelto se non depurato del carico di imposta (DE !ORIO, cit., in Nuova rivista tributaria, ottobre, 1968, 434). La esistenza e la obbligatoriet� degli accordi interbancari concorrerebbe a dimostrare la necessit� per gli istituti di credito di non operare la rivalsa. Ma gli accordi interbancari, i quali si concretano, poi, nel cartello bancario, che deve essere approvato, ai sehsi dell'art. 32 del r.d.I. 12 marzo 1936, n. 375, dal Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, nello stabilire i tassi massimi di interesse da corrispondersi ai depositanti, hanno riferimento a quanto debba essere effettivamente corrisposto al netto. � quindi, indiff~ente per detti accordi che gli interessi vengano conteggiati al lordo, operandosi, poi, la ritenuta per la rivalsa dell'imposta di R.M., cat. A, o che gli interessi vengano, invece, direttamente conteggiati e corrisposti al netto, evitandosi una inu.:.. tile registrazione contabile per quel dippi�, costituente l'ammontare della imposta di R.M., cat. A, per cui la rivalsa dovrebbe operarsi. � perci� che si � attuato, come � stato giustamente rilevato (GAZZERRO, L'indetraibilit�, per omessa rivalsa, della R.M. di cat. A pagata dalle banche, in Riv. dir. fin. e se. fin., 1964, II, 282), un sistema compensativo, quello di corrispondere un tasso di interesse inferiore di un tanto, e precisamente di quel tanto uguale all'imposta di R.M., ed � stato tale sistema compensativo che ha condotto al cartello bancario dei tassi di interesse sui depositi al netto dell'imposta di ricchezza mobile. Si � attuato, in definitiva, un sistema contabile, che non significa affatto che la rivalsa non venga esercitata, ma che significa, invece, esattamente il contrario, che la rivalsa, cio�, viene di fatto esercitata -come abbiamo in precedenza detto -corrispondendosi un minor tasso di interesse. Altro, quindi, che necessit� per le banche di non esercitare la rivalsa ed inerenza dell'onere relativo alla produzione del reddito. Comunque, quello che � certo � che la esistenza del cartello bancario, che limita, nel massimo, gli interessi che possano essere corrisposti ai depositanti, non pone assolutamente una condizione imprescin PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 947 III COMMISSIONE CENTRALE DELLE IMPOSTE, Sez. Un., 2 dicembre 1968, n. 99776 -Pres. Bozzi -Est. Nicolais -UfficiOI Distrettuale delle Imposte Dirette di Novara c. Banca Popolare di Novara. Imposta di ricchezza mobile -Spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito -Pagamento da parte dei soggetti tassabili in base al bilancio, delle aziende ed istituti di credito dell'imposta di r. m., cat. A, sugli interessi dovuti ai reddituatari e rinuncia all'esercizio dell'azione di rivalsa -Inerenza della rinuncia alla produzione del reddito -Detraibilit� dal reddito di r. m., cat. B Sussiste. (t.u., 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 91 e 127). La rinuncia, da parte delle Aziende e degli Istituti di Credito, all'esercizio della r~valsa, per le somme pagate a titolo di R.M. -Ca dibile di necessit�, che obblighi la banca a non �esercitare la rivalsa e che si ponga come causa ad effetto rispetto alla produzione del reddito. Nella nota alla decisione della Commissione Provinciale di Novara richiamata in precedenza (in Giust. civ., 1968, II, 266), lo JANNUZZI, dopo aver dichiaratamente � esaminato il problema principalmente sotto l'aspetto privatistico, poich�. il riferimento agli istituti di diritto privato ed in particolare la qualificazione giuridica del rapporto costituito fra l'istituto di credito ed il titolare del reddito � la premessa necessaria per una giusta soluzione ., afferma che �si dev�e ricercare se abbia efficacia per l'Amministrazione finanziaria l'obbligo contrattuale, assunto dagli Istituti di credito, di non operare la rivalsa dell'imposta di ricchezza mobile nei confronti dei titolari del reddito�, aggiungendo che �il quesito impone il richiamo delle norme e dei principi che regolano l'efficacia del contratto e degli atti giuridici in generale nei confronti dei terzi �. Quindi, richiamata la norma generale sull'efficacia del contratto, contenuta nell'art. 1372 e.e., e dopo aver considerato che nel primo e nel terzo comma dell'art. 127 del t.u. sulle imposte dirette � contenuta una diversa disciplina per le due ipotesi ivi previste,. in quanto nella prima ipotesi si impone l'obbligo della rivalsa e per la seconda si concede una facolt�, cosi conclude: � Dalle premesse e dalle considerazioni i;uesposte emerge chiara ed indefettibile la seguente conclusione: che l'Amministrazione finanziaria non pu� disconoscere l'esistenza, la validit� e l'efficacia della clausola contrattuale che esclude la rivalsa dell'imposta di R.M. e che, quindi, impone il pagamento degli interessi al netto dell'imposta, che viene �a gravare sugli Istituti di credito. Ma ci� importa �che il costo dell'operazione di mutuo passivo sia costituito dal tasso di interessi maggiorato dall'imposta; quindi l'Amministrazione finanziaria non pu� disconoscere che tale � la spesa inerente all'operazione di mutuo passivo �. A nostro avviso � errata la impostazione del problema ed � errata e semplicistica la soluzione alla quale. si ritiene di poter pervenire. ! RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 948 tegoria A -, sugli interessi corrispost~ ai depositanti, � inerente alla produzione del reddito di impresa delle Aziende ed Istituti di Credito, tassabile con la imposta di R.M. -Cat. B -. La ragione della rinuncia va riferita ad una esigenza, che potrebbe chiamarsi costituzionale (articolo 47 della Costituzione), e che si pu� dire caratterizzi L'ordinamento creditizio: favorire il reper�imento dei depositi, il potenziamento del credito, che ha tanta parte nelZ'economia pubblica. Le operazioni attive e passive degli Isvituti di Credito si pongono in rapporto di causa ad effetto. La rinuncia all'esercizio deZla rivalsa non costituisce n� spesa n� liberalit� n� erogazione di reddito, ma, al pari di manifestazioni reclamistiche (abbuoni, sconti, premi) la rinuncia mira ad acquisire il credito e, perci�, inerisce direttamente, attraverso altre operazioni, alla Gli schemi privatistici entro i quali l'Autore ritiene di poter costringere il problema sono assolutamente inadeguati. Si tratta, nella fattispecie, di risolvere una questione di diritto tributario, cio� di diritto pubblico. Con ci� non intendiamo certo di affermare che anche gli istituti di diritto privato non possano fornire utili 1strumenti per la interpretazione delle norme tributarie. Ma nel caso che ne occupa, i concetti che occorre definire sono quelli di spesa inerente alla produzione del reddito e di passivit� inerente alla produzione del reddito e per la definizione di tali concetti possono tornare utili elementi elaborati dalle scienze economiche od anche concetti elaborati dalla dottrina privatistica, in materia di responsabilit� contrattuale od extracontrattuale, sul rapporto di causalit� materiale fra l'atto o fatto dell'uomo (azione od omissione) e l'evento (danno), ma non tornano certamente utili gli schemi relativi all'efficacia del contratto nei confronti dei terzi. � errato, peraltro, il presupposto dal quale l'Autore muove e che, cio�, in realt�, il mancato esercizio della rivalsa dell'imposta di ricchezza mobile si attiene �d un obbligo assunto dagli Istituti di credito nei confronti dei depositanti, obbligo che troverebbe la su,a fonte in clausole contrattuali trascritte sui libretti di deposito e ri.sparmio, ovvero in clausole d'uso o in genere in usi contrattuali uniformi. Nessun elemento, infatti, � datto trarre circa la sussistenza di tale obbligo dai libretti di deposito a risparmio rilasciati dalle banche, in quanto in tali libretti per gli interessi si f.a riferimento unicamente ai momenti della loro capitalizzazione ed annotazione sui libretti medesimi. Il contratto che si stipula fra le banche e i depositanti prevede solo la �corresponsione di un determinato tasso di interesse, ma non prevede la rfnunzia all'esercizio della rivalsa. Il depositante, nell'accettare quel tasso di interesse, non si pone il problema se l'interesse sia calcolato al netto della rivalsa gi� �esercitata per ritenuta o se, invece, sia la !l'isultante di una rinuncia da parte della Banca all'esercizio della rivalsa. E se sulla rinuncia all'esercizio della rivalsa non vi � incontro, specifico e puntuale, di volont�, non vi � contratto. � fuor di luogo, quindi, parlare di opponibilit� al terzo (Amministrazione finanziaria, per giunta) di un contratto, che, come tale, non esiste. Ripetiamo che -a nostro avviso -il mancato esercizio della rivalsa � soltanto una operazione contabile e figurativa, perch� la rivalsa viene in concreto esercitata, corrispondendosi un interesse, al netto, all'incirca uguale a quello che si sarebbe corrisposto al lordo, depurato, poi, dell'imposta di R.M., PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 949 produzione del reddito. L'ammontare d'imposta di cat. A, pagato dalle banche, � un elemento legalmente necessario, perch� trae origine da una norma tassativa di legge, alla cui osservanza non � dato sottrarsi, e non pu� prescindersi dal considerare l� sua stretta inerenza alla produzione del reddito imponibiie, donde la legittima detraibilit� ai fini della dete1�minazione del reddito netto di cat. B. L'imposta di cui si tratta pu� ben definirsi un onere di mercato inerente alla produzione del reddito (4). (Omissis). -Ne consegue che dal superamento delle tre pregiudiziali poste dalla parte nel suo controricorso, si dischiude l'ingresso alla disamina delle due questioni principali in ordine alla detraibilit� cat. A. Ci�, come � stato rilevato dal GAZZERRO (cit.), risulta perfino da un documento proveniente proprio dagli Istituti di credito, precisamente dall'Associazione Nazionale � Luigi Luzzatti � fra le Banche Popolari Italiane, la quale fece pervenire nel 1955 un memoriale alle Camere Legislative, in occasione della discussione parlamentare delle norme sulla perequazione tributaria,, che si concretarono nella I. 5 gennaio 1956, n. 1. In tale memoriale � testualmente scritto: � Abbiamo ricordato che la rivalsa dell'imposta di R.M. sugli interessi passivi non viene eserdtata dalle banche, ma se la si esercitasse, il risultato economico non sarebbe migliore. Infatti, se il .saggio corrente di interesse per i depositi bancari in un determinato momento fosse -ad esempio -del 2%, � chiaro che, se la banca volesse esercitare il diritto <ii rivalsa dell'imposta che grava tale reddito, dovrebbe corrispondere al depositante un maggior interesse: e supposta l'aliquota dell'imposta del 25% circa, l'interesse lordo salirebbe al 2,65%. In tal modo l'onere per la banca verrebbe leggermente aggravato per l'imposta sul maggiore interesse e, di conseguenza, l'utile netto diminuito di altrettanto; in definitiva si peggiorerebbe, sia pure di poco, la situazione economica della banca �. Ma anche quando potesse ipotizzarsi l'esistenza di uno specifico incontro contrattuale di volont� sul punto della rinuncia all'esercizio della rivalsa, ci� non determinerebbe la necessari:et� dell'onere (che, comunque, non sarebbe mai spesa, per le constderazioni in precedenza espresse), rispetto alla produzione del reddito, perch� lo stesso risultato si potrebbe conseguire -come abbiamo rilevato -attraverso la corresponsione di un maggiore interesse lordo, da depurare poi nell'importo dell'imposta di R.M., cat. A. �, perci�, indifferente per l'Amministrazione finanziaria che esista oppur no una clausola contrattuale, che escluderebbe l'esercizio della rivalsa: l'argomento, cio�, della opponibilit� ai terzi (Amministrazione finanziaria) di un contratto validamente concluso ,ed efficace fra le parti (Banche e depositanti) non � valido ad apportare nessun elemento utile per la soluzione del problema che ne occupa. D'altra parte, la stessa conclusione alla quale lo IANNUZZI perviene conferma la erroneit� della impostazione. L'Autore, infatti, afferma che la opponibilit� all'Amministrazione finanziaria dell'accordo sulla mancata ri valsa importa che il costo dell'operazione di mutuo passivo � costituito dal tasso di interessi maggiorato dell'imposta; che, quindi, l'Amministra RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 950 o non dell'imposta di R.M. cat. A pagata dalla Banca sugli interessi corrisposti ai depositanti e dell'imposta sulle societ�, ai fini della tassazione di R.M. cat. B (tesi ammissiva sostenuta dalla Banca). � da ricordare che la prima questione, sulla cui tesi negativa insiste l'Ufficio, � stata risolta in modo non uniforme presso le varie magistrature e commissioni tributarie, mentre sulla seconda, su cui si appunta ancora la Banca con il suo ricorso incidentale, non risulta essersi determinato contrasto nella giurisprudenza in materia, come di seguito si dir�. In questa sede l'Ufficio ha dedotto che con la decisione della Commissione provinciale sono stati violati gli artt. 91 e 99 del t.u. 645 del 1958 dichiarandosi detraibile l'imposta di cat. A dal reddito di R.M. zione finanziaria non pu� disconoscere che tale � la spesa inerente alla operazione di mutuo passivo. L'Autore omette, per�, di considerare che, se la banca � spende � per i mutui passivi il tasso di interessi pi� l'importo dell'imposta, di cui non si rivale, ci� significa che il danaro dato in deposito produce un reddito maggiore (interessi + imposta) di quello che appare (interessi al netto) e che la tassazione per imposta di R.M. deve colpire il reddito maggiore, che � quello effettivamente conseguito e prodotto, e non il reddito minore. Si pone, di conseguenza, il problema della tassabilit� in R.M., cat. A, di quel maggior reddito, costituito appunto dall'importo della rivalsa non esercitata. Tale problema che lo IANNUZZI trascura completamente, se lo sono, invece, giustamente, posto altri autori (CAPACCIOLI, cit.), pervenendo a conclusioni che non convincono, attraverso un procedimento logico assolutamente inadeguato. Afferma il CAPACCIOLI che �il risparmio del depositante, per mancato esercizio della facolt� di rivalsa da parte della banca, non � legalmente reddito e non � quindi tassabile in cat. A �. Giustifica tale conclusione con la considerazione, che consegue alla disamina della differenza di disciplina giuridica, portata nell'art. 127 del t.u. n. 645 del 1958, fra i casi in cui sia imposto l'obbligo della rivalsa e quelli nei quali sia concessa una facolt� di rivalsa, secondo la quale: � Emerge, cos�, un compiuto sistema di diritto positivo, per cui la base imponibile non it'�sente mai della rivalsa; e si pu� considerare con sicurezza che � legalmente escluso che il non esercizio della facolt� di rivalsa possa� autorizzare una tassazione supplementare, nel nostro caso in cat. A�. Vedremo in seguito come la differente disciplina giuridica fra i casi di obbligo di rivalsa e quelli di facolt� di rivalsa -da cui anche la Commissione Centrale ha ritenuto di poter trarre un argomento per motivare la propria decisione -non possa avere alcuna pertinenza per la soluzione del problema in discussione. Le affermazioni del CAPACCIOLJ sono, comunque, del tutto apodittiche ed immotivate. Non si comprende come un reddito di capitali, perch� tale indubbiamente va qualificato que�lo che il CAPACCIOLI chiama �il risparmio del depositante., possa dirsi che non � � legalmente � un maggior reddito. Se al depositante viene riconosciuto un interesse netto, in ipotesi, del 2% ed, in aggiunta, un abbuono dell'imposta di R.M., cat. A, per suo conto corriisposta all'Erario dalla banca, del 25% su detto interesse, non vediamo come possa escludersi che il depositante consegua un reddito del 2,50%, tassabile, come tale, con imposta - ':% . , PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 951 cat. B e l'art. 121 dello stesso t.u., non essendo stata fornita la prova contraria dalla parte sulla ripresa fiscale del detto ammontare di R.M. cat. A pagata nel conto economico. In sostanza, senza la corrispondente dimostrazione dell'effettuata rivalsa, � stato ritenuto inerente alla produzione del reddito l'onere stesso onde ammetterlo in detrazione, mentre invece l'omissione della rivalsa non pu� comportare per la Banca n� una spesa n� una perdita inerente alla produzione del reddito di R.M. cat. B, e di qui scaturisce la illegittimit� della ripresa fiscale, e la censurabilit� della decisione impugnata per violazione di tassative norme di legge. L'impostazione data alla controversia svela -prescindendo dalla soluzione adottata -aspetti nuovi nella delicata e tormentata materia: ne suggerisce, soprattutto, un riesame generale, affinch�, attra di R.M., cat. A. � che si pone un dilemma: o si ritiene che la � spesa. inerente all'operazione di mutuo passivo � costituita dall'interesse effettivo corrisposto dagli Istituti di credit<? ai depositanti pi� l'imposta corrisposta e non recuperata, in quanto si ritiene che, sia pure attraver,so operazioni distinte, vi � dagli Istituti di credito ai depositanti un trasferimento di reddito, che � la risultante delle due operazioni accennate, ed allora non vi. � ragione perch� l'intero reddito trasferito, e quindi conseguito dal depositante, non venga tassato presso il percipiente, come reddito di capitale, con l'imposta di R.M., cat. A; oppure si ritiene che il reddito conseguito dal depositante � costituito dall'interesse in concreto percepito ed allora la mancata rivalsa, non operando un trasferimento di reddito dalla banca al depositante, non � spesa e l'ammontare di tale mancata rivalsa va tassata, in cat. B, presso l'Istituto bancario, in considerazione che si tratta di un Teddito da quest'ultimo prodotto e che non va posto in detrazione, perch� non � una spesa e perch�, �Se, in ipotesi, lo fosse, non sarebbe inerente alla produzione, non essendo imprescindibilmente necessario per la produzione stessa. Si tratterebbe, in tale seconda ipotesi, della erogazione di un :reddito gi� prodotto e non ha interesse, ai fini della risoluzione della questione, stabilire per quali ragioni questo reddito prodotto, che, in quanto tale, non pu� essere 1sottratto all'imposizione tributaria, venga poi erogato. Il ritenere che l'importo della mancata rivalsa non possa essere tassato in cat. A presso il percip�ente, perch� non sarebbe legalmente maggior reddito e non possa essere tassato presso l'Istituto di credito, in quanto spesa inerente alla produzione, porterebbe, fra l'altro, inevitabilmente ad una evasione fiscale, perch� varrebbe a sottrarre all'imposizione di R.M. una quota di reddito prodotto. La spesa inerente alla produzione, di cui all'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette, importa necessariamente, per il concetto stesso, lessicale ed economico-giuridico, di spesa, il trasferimento di un reddito da chi spende a chi riceve il danaro od il bene speso. Il reddito trasferito�viene tassato presso il percipiente, salvo esenzioni subiettive od obiettive (nel caso, ad es., che il percipiente abbia un reddito inferiore al minimo imponibile; nei casi previsti dall'art. 28 della 1. 5 gennaio 1956, n. 1, ora riprodotto nell'art. 84, lett. g, del t.u. del 1958). Se, invece, non � a parlare di tassabilit� presso il percipiente, � perch� si esclude che vi 952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO verso un pi� ampio vigoroso impulso processuale, che ne solleciti tutti gli aspetti, il problema possa avere definitiva soluzione. Va, anzitutto esaminata quella che pu� considerarsi ragione del decidere nella pronuncia impugnata: anche se la soluzione, cui si � pervenuti, non sembra del tutto esatta, la motivazione suggerisce, per�, al Collegio, riflessioni e considerazioni, che toccano, con argomenti, se possibile, nuovi, l'aspetto fondamentale della questione. L'espressione rivalsa, cui si riferisce l'art. 127 della legge, � usata nel� senso di azione diretta a far recuperare al sostituto l'imposta, che egli ha pagato in luogo dell'effettivo debitore. Obbligato al tributo -sia pure in forma di sostituto -�, infatti, colui che non vi � tenuto, mentre il contribuente effettivo pu� essere percosso, attraverso la rivalsa. sia stato un trasf�erimento di reddito e, quindi, una spesa. Significa che il reddito � rimasto nella disponibilit� di chi lo ha prodotto e che deve, di conseguenza, essere soggetto alla imposizione fiscale, a meno che non ricorra quell'ipotesi di perdita di un reddito gi� prodotto, di cui parleremo in seguito. Se si ritiene che anche chi ha prodotto il reddito (Istituto di credito) pu� porre in detrazione quella quota di reddito che non � tassabile presso altri (depositante), perch� a quest'ultimo non trasferita, ne deriva evidentemente che tale quota di reddito sfugge ad ogni imposizione, che viene, cio�, a determinar.si una esenzione non prevista dalla legge e, conseguentemente, una evasione fiscale (cfr., in proposito, PICCATTI, cit.). f) La necessariet� della rinuncia all'esercizio della rivalsa � stata dalla Commissione Centrale �riferita ad una esigenza, che potrebbe chiamarsi costituzionale (art. 47 della Costituzione) e che si pu� dire caratterizzi l'ordinamento creditizio: favorire il reperimento dei depositi, il potenziamento del credito, che ha tanta parte nell'economia pubblica �. L'argomento � anche accennato, sia pure come argomento dichiaratamente extragiuridico e senza riferimento a precetti della Carta Costituzicnale, dal prof. Micheli, nella prefazione ad un opuscolo, finito di stampare il 22 novembre 1968 per l'Editrice �Nuova rivista tributaria�, intitolato � A difesa del risparmio � e contenente gli studi, pi� volte citati in precedenza, del Capaccioli, del De Iorio, dello Jannuzzi e del Longo in tema di: �Deducibilit� dal reddito di R.M., cat. B, dell'onere sopportato dagli Istituti di credito in conseguenza del mancato esercizio della rivalsa delle somme pagate per R.M., cat. A, in luogo dei depositanti �. Il richiamo all'art. 47 della Costituzione a noi pare assolutamente non pertinente, perch� spetta al legislatore emanare le norme giuridiche idonee ad incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme nonch� a disciplinare, coordinare e controllare l'esercizio del credito. N� l'art. 47 della Costituzione pu� offrire elementi che valgano a rettamente interpretare le norme tributarie in esame (art. 91 e segg., nonch� art. 127 del t.u. sulle imposte dirette), in quanto non si pone, per l'interpretazione di dette norme, il problema di scegliere, fra due o pi� interpretazioni possibili, quella che sia pi� aderente al precetto costituzionale. Il problema del reperimento dei depositi � un problema di tecnica aziendale, che va risolto dagli Istituti di credito secondo valutazioni di ordine commerciale, con PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 953 Fenomeno inverso, senza dubbio pi� ortodosso, si ha, invece, nelle operazioni passive, per le quali la R.M. sugli interessi viene direttamente pagata dal mutuante, salvo a questi di trasferirla sul mutuatario. Questo � il dato che potrebbe chiamarsi esterno, formale, giuridico del fenomeno. La decisione� impugnata evade nel ragionamento, per dir cosi, dal concetto giuridico di passivit�, soprattutto, da quello di inerenza sul reddito, agli effetti della detrazione. Si prenda, in essa, in considerazione un'operazione successiva e diversa, anzi, addirittura opposta, da quella che ha determinato l'imposizione: un'operazione, nella quale l'azienda si presenta in condizione di debitore diretto, non di� sostituto. Ma l'argomentazione, sollecita -attraverso un momento economico della funzione creditizia -una indagine approfondita del concetto di spesa, di perdita, meglio, di onere, ancor meglio, di passivit�: l'osservanza, certo, delle norme giuridiche esistenti al riguardo, ma � da escludere che sia un problema di ordine costituzionale. Spetta indubbiamente agli Istituti di credito di valutare, nell'ambito di una loro discrezionalit� aziendale e non amministrativa, quali siano i mezzi pi� idonei al miglior soddisfacimento della esigenza di reperimento dei depositi, ma spetta a �Chi debba interpretare ed applicare la legge stabilire quali fra tali mezzi possano qualificarsi come spese inerenti alla produzione del reddito, in quanto legati da un rapporto di causalit� necessaria ed imprescindibile alla produzione del reddito. Appare, perci�, assolutamente inaccoglibile la conclusione alla quale perviene il LONGO (cit.), rilevando: �In �conclusione ci sembra di poter affermare che il problema � tutt'altro �che chiuso e che la Cassazione dovr� su di esso ritornare per correggere, sulla base della impostazione da essa stessa data con la pi� volte citata sentenza n. 125 del 1967, le conclusioni alle quali � pervenuta. Trattasi di un problema che investe in radice la discrezionalit� delle scelte imprenditoriali in ordine agli strumenti per la produzione del reddito, discrezionalit� che non pu� essere sindacata n� dall'Amministrazione finanziaria n� dal Giudice tributario o ordinario �. Affermazione, quest'ultima, �Che fa il paio con quanto afferma anche la Commissione Centrale nella decisione che si annota: �Autonomia, che costituisce, nel sistema attuale, discrezionalit� amministrativa, perch� esercitata da organi pubblici, e che si traduce, data la disciplina unitaria e pubblica della .funzione creditizia, in v�ero e proprio obbligo�. Non vi � dubbio che le aziende ed Istituti di credito che siano Enti di diritto pubblico (ma non tutti lo sono), sono anche dotati, nell'ambito dell'attivit� pubblicistica che essi svolgono, del potere-dovere di valutare determinate situazioni nell'interesse pubblico, nel che si sostanzia la cosidetta discrezionalit� amministrativa. Ma � ugualmente fuori dubbio che nell'attivit� imprenditoriale, che tali Istituti di credito di diritto pubblico svolgono, non � ipotizzabile una discrezionalit� amministrativa, come non � ipotizzabile una discrezionalit� amministrativa nelle attivit� imprenditoriali che, in ipotesi, svolgono, in altri campi, Enti pubblici ed anche lo Stato. Ne consegue che, quando l'Istituto di credito, come qualsiasi altro imprenditore, opera le sue scelte imprenditoriali, si avvale di una discrezionalit� che RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO termini tutti usati dalla legge, sui quali domina, con effetto decisivo, il concetto economico giuridico di inerenza, che, ad avviso del Collegio, rappresenta la chiave della soluzione della questione. Il concetto di spesa, e quello di perdita, su cui si � tanto dibattuto, vanno, cosi, integrati con quello di onere, di passivit�, nei quali si prescinde dalla volontariet�, dominandovi, con carattere decisivo, l'inerenza: rapporto, cio�, di causalit� tra passivit� e reddito. Proprio la nozione di passivit� ha subito, negli ultimi anni, un allargamento, che potrebbe chiamarsi evolutivo, nel senso che i principi, fermati, in via precettiva e programmatica, dalla Costituzione, hanno trovato attuazione nella interpretazione di leggi preesistenti o nella creazione di leggi nuove. Cosi, il concetto di necessit� che, in passato, limitava, quasi condizionandola, agli effetti della detrazione, l'attivit� dell'�peratore eco- potremmo chiamare aziendale, che � quella stessa che esprime qualsiasi soggetto di diritto allorch� opera, nel proprio interesse, le proprie scelte. La discrezionalit� amministrativa si distingue dalla discrezionalit� che ogni soggetto di diritto, e quindi anche l'imprenditore, ha, sotto il profilo appunto che la prima costituisce uno strumento per operare nel pubblico interesse, la seconda uno strumento per perseguire, nel proprio interesse, gli scopi che il diritto consente. Le scelte, quindi, che vengono operate nell'ambito di questa discrezionalit� imprenditoriale, attinendosi ad attivit� che � indubbiamente regolata da norme di relazione e, conseguentemente, a situazioni di diritti subiettivi perfetti, sono soggette al controllo sia del Giudice ordinario sia del Giudice tributario, che � un Giudice ordinario speciale. Quindi gli Istituti di credito sono liberi di operare tutte le scelte che ritengono nell'interesse della propria attivit� imprenditoriale, ma a noi pare assolutamente fuori discussione che spetta al Giudice dei diritti, ordinario o tributario, di <Stabilire se un determinato esborso, che l'Istituto di credito fa nel proprio interesse aziendale, possa qualificarsi oppure no come spesa inerente alla produzione del reddito, per essere, in quanto tale, legittimamente portata in detrazione ai :fini della determinazione del reddito di R.M., cat. B. g) La Commissione Centrale, riprendendo un argomento utilizzato anche dalla dottrina (cfr. CAPACCIOLI, JANNuzzr, cit.) sul tema in discussione, ritiene che, a giustificare ulteriormente la tesi della detraibilit� dell'importo della mancata rivalsa, valga la differenza fra l'ipotesi di e obbligo di rivalsa., disciplinata nel primo comma dell'art. 127 del t.u., e quella di �facolt�� di rivalsa, disciplinata nell'ultimo comma dello stesso articolo. L'argomento -a nostro avviso -non ha alcuna pertinenza al tema. L'obbligo di rivalsa nei confronti dei prestatori d'opera � stato posto come la stessa Commissione Centrale ha esattamente rilevato -per evitare che, in contrasto con accordi sindacali, venissero operati non consentiti aumenti di retribuzione. Per gli Istituti di credito, invece, � stata confermata, nei confronti dei depositanti, la facolt� di rivalsa, che non �, poi, altro, indubbiamente, che quel diritto di rivalsa, posto nell'art. 15 del t.u. n. 4021 del 1877 e ribadito, con estensione ad altre categorie, nell'art. 22 della 1. 8 giugno PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 955 nomico, ha subito una flessione, attraverso la quale l'indagine si �, per dir cosi, sempre pi� centrata nella inerenza della passivit� al reddito, cio� in quella che potrebbe chiamarsi la produttivit� di questo. :Ne � venuta fuori una giurisprudenza -in senso ampio -che ha allargato il concetto di passivit�, e, correlativamente quello di inerenza: nella quale l'attivit� dell'operatore -in una rinnovata concezione della libert�, che non pu� non riflettersi sul fenomeno aziendale -,si allarga, e trova occasione e sollecitazione in interessi e possibilit�, che gli consentano di conseguire, anche attraverso una pi� serrata solidariet�, una maggiore produzione del reddito. Sono state, cos�, ammesse a detrazione le spese di rappresentanza, quelle di pubblicit�, anche sotto forma di premi, nelle quali l'elemento volont�, una volont� libera, vera autonomia, pur presentandosi, appa- I i I I 1936, n. 1231. Diritto di riva1sa e facolt� di rivalsa sono esattamente la I stessa cosa e lo riconosce anche la Commissione Centrale, laddove afferma che l'espressione facolt� rappresenta un momento del diritto soggettivo. Ma la circostanza che agli Istituti di credito sia attribuito un diritto di rivalsa, I con facolt� di attuare tale diritto mediante ritenuta, non muta i termini ! i del problema: libere le Banche di operare o meno la rivalsa ma, ai fini di ammetterne l'importo in detrazione dal reddito di Cat. B, occorre pur sempre fare il discorso, che in precedenza abbiamo fatto, se il mancato eser1 i cizio della rivalsa costituisca oppur no spesa e, in caso affermativo, se la I spesa sia oppur no inerente alla produzione del reddito. 1 ! h) Escluso che si tratti di una spesa inerente alla produzione del I reddito, l'onere costituito dalla rinuncia all'esercizio dell'azione di rivalsa I potrebbe essere ammesso in detrazione, ai sensi dell'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette, se iri esso fosse possibile ritenere integrata una passivit� ! inerente alla produzione del reddito stesso. ! i Il detto onere, se potesse considerarsi come una componente degli in ! teressi passivi, di cui all'art. 92 del t.u. (e, in tale ~otesi, sarebbe, a ben l considerare, pi� propdamente spesa e non passivit�), dovrebbe essere sog� 1 getto, per le considerazioni che abbiamo esposte al precedente punto e), j ad imposizione di R.M. -Cat. A -. Escluso, poi, che l'onere medesimo ! possa essere qualificato passivit� sotto div!'!rso profilo, rimane solo da considerare se esso possa, in ipotesi, farsi rientrare fra le perdite detraibili ai I I sensi dell'art. 99 del t.u. Al riguardo non riteniamo che si possano aggiungere altre osservazioni a quanto sul concetto di perdita detraibile � stato detto dalla Corte di Cassazione nella sentenza della 1 � Sezione I n. 1115 del 1963 ed in quella delle Sezioni Unite n. 125 del 1967. La l i Corte Suprema ha, nella prima di dette sentenze, affermato che la perdita ! I dovuta alla rinuncia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito (perch�, nella specie, la detraibilit� della perdita pu� essere solo esaminata '< sotto il profilo, tipicamente previsto nell'art. 99 del t.u., di � perdite su crediti � ) importa necessariamente la indagine circa la volontariet� o meno della rinuncia; nella seconda la Corte Suprema ha ribadito che il punto di distinzione fra spese e perdite consiste proprio nella volontariet� delle l prime, dipendenti dall'autonomia negoziale dell'imprenditore, libero nella l ! ( ! I '1 j I I I � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 956 rentemente, come liberalit�, si struttura chiaramente inerendovi, nella produzione del reddito, con rapporto di causa ad effetto. Sono, cosi, in questo nuovo clima, emerse forme soltanto apparenti, di liberalit�, le quali, invece, rispondono ad una pi� vasta concezione dell'azienda e della iniziativa di chi la gestisce. Fruttuose considerazioni, possono, al riguardo, trarsi dal fenomeno assistenziale: secondo l'art. 84 del t.u. sono esenti da imposta... lett. G: le somme erogate dalle imprese, a titolo di liberalit�, in favore del personale dipendente... quando scopo specifico della liberalit� � l'istruzione, l'educazione, l'assistenza sociale, il culto o la beneficenza. La norma, che afferma un principio prima ignoto � la riproduzione di altra, emanata con l'art. 28 della legge 5 gennaio 1956, n. 1. Alla facile obiezione, che avrebbe potuto muoversi, in base ad una scelta dei mezzi economici diretti alla produzione del reddito, e nella involontariet� delle seconde. Una perdita volontari.a su crediti non � concettualmente ammissibile. La rinuncia ad un credito, da qualunque causa determinata, volontaria o non, � operativa, ai sensi dell'art. 129 del t.u. sulle imposte dirette, con decorrenza dalla data della rinuncia e con riferimento, quindi, ad un reddito non �ancora prodotto, sibbene da produrre, per gli effetti della imposta di R.M. -Cat. A -sul reddito costituito dagli interessi dovuti sul credito. Ma, perch� la rinuncia possa essere qualificata come perdita su crediti, che renda non tassabile il credito in s�, in quanto costituente reddito o quota di reddito gi� prodotto, � necessario che sia determinata da cause del tutto estranee alla vol�nt� del creditore, da una obiettiva impossibilit� di ottenere dal debitore la prestazione. La volontariet� della rinuncia non pu�, nella specie in considerazione, essere esclusa -come ha affermato la Corte di Cassazione -dal fatto che le Banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza di usi e ac�cordi interbancari in tal senso, perch� questi, invece, confermano la volontariet�. A maggior ragione la volontariet� non pu� essere esclusa dall'obbligo che sarebbe assunto dagli Istituti di Credito nei confronti dei reddituari, il quale obbligo troverebbe la sua fonte in clausole contrattuali trascritte sui liqretti di deposito e risparmio, ovvero in clausole di uso o in genere in usi contrattuali uniformi. i) Nell'ultimo numero, recentemente pubblicato, de �Il Consiglio di Stato. (Editr. Italedi) leggiamo un nuovo articolo sull'argomento in discussione (QUARANTA, La formazione del� reddito aziendale delle banche: la detraibilitd delle somme versate per imposta sugli interessi passivi), che richiama, in nota, oltre che gli scritti dello IANNUZZI e del LoNGo, gi� citati, anche uno scritto del SALVATORE (e Ancora sulla detraibilitd dal reddito mobitiare di Categoria B delle somme pagate dalle Banche per imposta di Categoria A sugli interessi passivi � in La Commissione Centrale delle Imposte, 1969, II, 334). Sia il Quaranta che il Salvatore riprendono, nella ,sostanza, le argomentazioni gi� svolte, a conforto della tesi della detraibilit�, dagli Autori che si sono in precedenza occupati della questione, argomentazioni che si ritrovano confusamente riprodotte nella decisione in rassegna della PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 957 concezione della liberalit�, strutturata nell'assoluta necessit� di prov vedere in un determinato modo -che, cio�, l'organizzazione giuridica attuale possa soddisfare, attraverso le varie forme assicurative, alle esigenze sociali dell'assistenza -risponde il legislatore, sottraendo, sia pure, entro ragionevoli limiti, alla imposizione i facoltativi, e, perci�, liberi interventi, che possano, attraverso la bonifica del fattore uomo concorrere, anche indirettamente, all'incremento del reddito. Queste premesse agevolano l'interpretazione dell'art. 127 del t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, sul punto che interessa la presente controversia. � Sono obbligati -cosi la seconda ipotesi -al pagamento delle imposte, con facolt� di rivalersene verso i reddituari, mediante ritenuta... B) i soggetti tassabili in base al bilancio e le aziende ed istituti di credito in base al bilancio e le aziende ed istituti di credito per gli interessi e premi dovuti, aventi natura di redditi di capitale�. Commissione Centrale deUe Imposte. Tali argomentazioni, quindi, risultano gi� da noi discusse e confutate nelle osservazioni che precedono. Quello che, per�, sorprende negli scritti sia del Quaranta che del Salvatore � l'assoluta inesattezza dei riferimenti �alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. � del tutto inesatto, infatti, quanto afferma il Salvatore che il problema, cio�, sarebbe venuto alla ribalta � dopo il noto revirement deila Corte di Cassazione. Questa, che per lungo tempo aveva ritenuto tale onere, sopportato dagli Istituti di Credito, detraibile dal loro reddito di Categoria B, prima con la sentenza della I Sezione 7 maggio 1963 -numero 1115 -e poi, ma con diverse e pi� penetranti argomentazioni, con la sentenza delle Sezioni Unite 12 gennaio 1967, n. 125, ha affermato l'indetraibilit� dell'onere in questione sotto il profilo che esso non potrebbe considerarsi n� come spesa, n� come perdita inerente alla produzione del reddito' tassabile in cat. B �. Come � del tutto inesatto quanto afferma il Quaranta, secondo il quale �fino alla sentenza 7 maggio 1963, n. 1115, la Corte di Cassazione aveva sempre ammesso la detraibilit� dell'onere, sopportato dalle Banche in seguito alla mancata rivalsa nei confronti dei depositanti-risparmiatori, dal reddito lordo prodotto dalle stesse aziende di credito e tassabile con l'imposta di R.M. fo Cat. B e in ci� era stata 11eguita dalla giurisprudenza delle Commissioni Tributarie�. Dal che il Quaranta trae la conseguenza di un giudizio non certo lusinghiero e, quanto meno, assai affrettato nei confronti della Corte di Cassazione, osservando �che: � Il problema � venuto alla ribalta in seguito a taluni "sbandamenti" della giurisprudenza, particolarmente della Cassazicme, la quale ha attirato su di s� una mole veramente imponente di critiche, peraltro non infondate �. � �certo, invece, che -come noi abbiamo in precedenza esposto e come potr� dscontrarsi attraverso un esame degli annali della giurisprudenza della Corte di Cassazione -questa, anteriormente al 1963, si � occupata due volte, le uniche in cui sia stata investita dell'esame della questione, una prima volta la Cassazione Romana nel 1902 e una seconda volta la Cassazione Unificata -1 � Sez. -nel 1927, risolvendola sempre 13 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La norma va contrapposta a quella della prima parte dell'articole> quella, cio�, relativa ai redditi di .lavoro: per questi � stabilito l'obbligo della rivalsa in confronto del datore di lavoro, con la sanzione -in caso di mancato esercizio -di nuova riscossione mediante iscrizione a ruolo, a nome del prestatore di lavoro. Nel caso che ci riguarda, invece -interessi e premi dovuti, aventi natura di redditi di capitale --la rivalsa � facoltativa. Malgrado l'espressione facoltd rappresenti sempre un momento del diritto soggettivo (da notare, per�, che l'art. 14 del t.u. parla, a proposito del sostituto, di diritto alla rivalsa), sembra chiara l'antitesi fra l'obbligo, che si pone a carico del datore di lavoro, e il dato potestativo,. rimesso alla valutazione dell'azienda o istituto di credito. Si delinea cosi, nettamente la sostanziale differenza fra le due ipotesi: si vuole, con la prima, assicurare, da un lato, che, attraverso nel senso della � indetraibilitd � dal reddito di R.M. -Cat. B -delle somme versate per imposta di Cat. A sugli interessi, passivi. Ribadiamo, altresi, quanto abbiamo affermato in precedenza, che la Sentenza, cio�, della Corte di Cassazione n. 761 del 1959, richiamata in alcune decisioni della Commissione Centrale come contenente l'affermazione del principio della � detraibilitd �, non si � affatto occupata del problema, avendo risolto tutt'altra questione. � Non vi sono stati, quindi, n� revirements n� sbandamenti e nemmene> contrasti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Tale giurisprudenza -ripetiamo -� .stata sempre uniformemente costante sul punte> che il mancato esercizio della rivalsa non possa qualificarsi come spesa inerente alla pToduzione del reddito. Dopo che, con la sentenza n. 1115� del 7 maggio 1963, la Corte Suprema ha introdotto l'altro tema, relativo� all'eventuale qualificazione del mancato esercizio della rivalsa come �perdita dovuta alla rinunzia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un. credito�, la giurisprudenza della Corte si �, con la successiva sentenza delle Sezioni Unite n. 125 del 1967, andata, su tale �secondo profilo, precisando ed evolvendo, ma senza incorrere, nemmeno su detto profilo, in revirem�nts o in sbandamenti. Sia il Quaranta che il Salvatore richiamano, poi, a conforto della loro tesi sulla �detraibilit��, una recente sentenz�a della Corte di Cassazione � (Sez. I -23 aprile 1969,. n. 1291 -Pres. Pece -Est. Scanzano ..; P. M. Toro -Banca Popolare di Milano c. Ministero delle Finanze) con la quale � stata annullata, per difetto di motivazione, la decisione resa dalla Commissione Centrale delle Imposte, in data 23 .giugno 1965, in sede di rinvio, in dipendenza della sentenza della stessa Corte n. 1115 del 1963, varie volte citata. Ma � anche da escludere, a nostro avviso, che la sentenza n. 1291/1969� apporti utili argomenti per la sostenibilit� della detta tesi della � detraibilitd �, e ci� a parte la considerazione che l'affermazione circa la perdita su crediti, contenuta nella sentenza n. 1115 del 1963, �appare superata e giustamente dalla successiva sentenza delle Sez. Un. n. 125 del 1967. Come abbiamo in precedenza espo�sto, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1115 del 1963, dopo avere affermato �che, se le Aziende e gli PARTE :r, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 959 l'organismo della-non rivalsa, possano verificarsi, in spregio ad accordi sindacali, aumenti di retribuzione non consentiti; dall'altro, forse, pi� verosimilmente, si vuole che il prestatore d'opera partecipi, attraverso l'effettivo pagamento del tributo, alla vita, cio� ai bisogni della Nazione, della quale egli deve sentirsi parte effettiva. Fenomeno, quindi, tipicamente giuridico. Le due ipotesi hanno avuto, anche se accomunate nel t.u., una diversa sorte sul terreno legislativo. L'art. 17 della legge 24 agosto 1877, n. 4021, stabiliva il diritto di rivalsa, mediante ritenuta, degli stipendi, onorari e assegni. Il diritto si trasformava in obbligo con la legge 30 gennaio 1933, n. 18, mentre il t.u., nell'ipotesi che ci riguarda, ha trasformato il diritto (rivalendosene: art. 15 della legge 1877) in facolt� (art. 127). Istituti di Credito non esercitano il diritto all'e.sercizio della rivalsa della somma pagata, espressamente sancito dalla legge, il pagamento dell'im posta si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita, aveva rilevato che, iper la perdita dovuta alla rinuncia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito, la indagine doveva estendersi alla ricerca della volontariet� o meno della rinuncia, in quanto la somma di' danaro, nella quale si sostanzia la perdita, � detraibile dal reddito soltanto nel caso che la rinuncia sia i~osta da cause del tutto estranee alla volont� del creditore. Aveva, quindi, rinviato la controversia alla Commissione Centrale, per nuovo giudizio sulla volontariet� o meno della perdita, esplicitamente statuendo che la volontariet� della rinunzia non poteva essere esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per l'esistenza di usi e accordi interbancari in tal senso, perch� questi, invece, confermano tale volontariet�. La Commissione Centrale, con la decisione del 23 giugno 1965, ritenuto che, esclusa la incidenza sulla non volontariet� della rinuncia degli usi ed accordi interbancari, non era stata dimostrata la sussistenza di altri elementi atti a comprovare la detta non volontariet� della rinuncia, affermava la indetraibilit�, nel caso, dal reddito di R.M. -Cat. B -delle somme pagate dalla Banca Popolare di Milano. La Corte di Cassazione, investita nuovamente della controversia, dopo aver premesso che nessuna rilevanza poteva avere in quel processo la sentenza della stessa Corte n. 125 del 14 gennaio 1967, in quanto la impugnata decisione della Commissione centrale era stata pronunciata in �sede di rinvio ed era, quindi, vincolante il principio di diritto affermato dalla sentenza che aveva disposto il rinvio, ha, con la sentenza n. 1291/69, cassato la decisione impugnata, rilevando che la Commissione Centrale aveva trascurato di ;prendere in esame il fatto decisivo, dedotto dalla Banca in memoria, e concretantesi nella incidenza che sulla volontariet� o meno della rinuncia potevano avere le disposizioni contenute nel R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 1938, n. 141. Ha osservato la Corte che, in presenza di tale normativa e particolarmente della normativa contenuta negli artt. 32 e 35 del citato R.D.L., il riferimento agli accordi e agli usi interbancari non esauriva la indagine necessaria per accertare ,se il mancato esercizio della rivalsa risultasse volontario o meno, in quanto occorreva stabilire se la condotta [1~4t%1ft&'ftf1ttfillt#@r[1ffff:f4f5:1ff%filf(f%tt1tfifillt%1iliti"ffitM&f%i~W%1'%hf:?�:ttffil~ffirfftW%1HiffITffffWfif:fffI#illrfft%:f~ 960 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ci� per l'indubbia natura economica dell'ipotesi, che ci riguarda. Il sistema seguito non � stato, certo, suggerito da una maggiore facilit� di riscossione, che, in ipotesi considerate nello stesso articolo, e dominate dalla stessa esigenza (lotterie, assicurazioni, ecc.), si pre senta in condizioni di quasi indifferenza di fronte alla riscossione di retta: pi� semplice forse -ove si fosse voluto effettivamente far pa gare il vero debitore -comunicare, a fine d'anno, secondo quanto � praticato in ordinamenti stranieri, all'amministrazione finanziaria gli utili conseguiti dai singoli depositari. ' La stessa facolt� di rivalsa si presenta praticamente dubbia, per lo meno difficoltosa. _L'imposta � pagata globalmente, non a mezzo di ruoli nominativi; l'azione, indubbiamente privatistica, potrebbe essere paralizzata dalla eccezione, diretta ad accertare, attraverso quali criteri �delle Banche (che, in astratto, appariva in contrasto con l'obbligo -quale si evince anche dall'<art. 35 -lett. b -del citato R.D.L. 12 marz� 1936, n. 375 -�delle banche di perseguire tempestivamente i propri debitori) non costituisse eventualmente l'esecuzione di disposizioni imperative, emanate nell'ambito della legge Bancaria, per la disciplina delle �condizioni dei depositi, e dirette ad attuare, anche in relazione al tasso �di interesse stabilito, il necessario equilibrio dei corrispondenti rapporti. La Corte ha, quindi, concluso che in tali sensi l'indagine dovr� essere completata in sede di ulteriore rinvio. A noi pare, per verit�, che la decisione della Corte in discorso si sia ispirata ad un eccessivo rigorismo formale. Indubbiamente la Corte era vincolata al principio di diritto da essa stessa affermato nella precedente sentenza n. 1115 del 1963 ma, dato anche che sussistesse, nella decisione della Commissione Centrale, il difetto di motivazione attinente all'omesso esame �che sulla volontariet� della rinuncia potessero avere le richiamate disposizioni della legge Bancaria, poteva -a nostro avviso -la stessa Corte, trattandosi di questione afferente alla interpretazione di norme di diritto, e che non implicava, quindi, accertamenti e valutazioni di merito, integrare la motivazione della decisione della Commissione Centrale. Se con la sentenza n. 1115 del 1963, la Corte di Cassazione aveva ritenuto di potere essa, senza dov�er rimettere l'esame della questione ai Giudici del merito, statuire che la volontariet� della rinuncia non poteva essere esclusa dagli usi ed -accordi interbancari, a maggior ragione la Corte stessa poteva esaminare e decidere se le disposizioni contenute negli artt. 32 e 35 della Legge Bancaria potessero o meno incidere sulla detta volontariet�. Comunque, noi non riteniamo che, anche se la questione fosse esaminata sotto i profili, indicati dalla Corte, di cui agli artt. 32 e 35 della Legge Bancaria, si potrebbe pervenire a conclusioni diverse da quelle a cui � pervenuta, con ragionamento pi� logico, la stessa Corte nella sentenza n. 125 del 1967. L'art. 32, infatti, della Legge Bancaria, nel disporre, al punto b), che le Aziende di Credito debbono attenersi alle istruzioni dell'Ispettorato per il Credito e per il Risparmio relativamente ai limiti dei tassi attivi e passivi ed alle condizioni delle operazioni di deposito e di conto corrente, non pone una disposizione che sia in contrasto con l'art. 127 del T. U. ,. @lli'fff&fiW0%0ff:%'f%R�fff:ftM=f:f%filfGf:f:@;@@lf4ffefi'f:11WfJ�KfJITHff@fffE@i%i@':ffDfW:Mimili1faF@TfTl'fHHJ&fKffit~ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 961 sia avvenuta la distribuzione del carico tributario, con evidente peri colo di violazione delle norme sul segreto bancario, confermato nello stesso t.u. (artt. 25, primo comma, e 40, secondo comma). La rinuncia all'esercizio della rivalsa non sarebbe neppure spiega bile con la modestia dell'interesse, quando si considerino fenomeni ami loghi (risparmi postali, compresi i buoni) nei quali non esiste paga mento d'imposta, mentre gli interessi sono p!l.'essoch� uguali. Anche se vera, del resto, la circostanza non escluderebbe il dato essenziale, cio� l'inerenza della rinuncia alla produzione del reddito: il che conta, in maniera decisiva. La verit� � che il tasso d'interesse � determinato con �criteri generali, desunti da elementi diversi: elementi che sono stabiliti con portata cogente, in confronto di tutti gli istituti di credito, in appositi cartelli, e che trovano rispondenza in situazioni economiche, le quali si manifestano, anche oltre i confini dello Stato. La ragione della rinuncia va, perci�, ad avviso del Collegio, rife rita ad una esigenza, che potrebbe oggi chiamarsi costituzionale (arti 29 gennaio 19'58, n. 645, che attribuisce alle Banche il diritto di rivalsa. L'Ispettorato per il Credito e per il risparmio non pu� certo, nello stabilire i limiti dei tassi passivi, impedire alle Banche di esercitare la rivalsa, impedire, cio�, l'esercizio di un diritto, -attribuito dalla legge. Qui pu� ripetersi il discorso che si � fatto in precedenza per gli usi ed accordi interbancari, i -quali accordi anzi devono essere poi sanzionati, ai sensi proprio dell'art. 32 del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, dal Comitato intermihisterial �e per il Credito e per il Risparmio, e che cio�, nello stabilirsi i tassi massimi di interesse da corrispondersi ai depositanti, si fa riferimento a quanto debba essere effettivamente corrisposto al netto (vedi retro). Per quanto, poi, riguarda l'art. 35 della Legge Bancaria che d� poteri all'Ispettorato, al punto b), di ordinare l'esperimento delle procedure contro i debitori per i quali, a giudizio dell'Ispettorato medesimo, l'Azienda di Credito sia incorsa in eccessivi ritardi, riteniamo che debba assolutamente escludersi che tale disposizione possa apportare alcun elemento utile alla tesi della non volontariet� della rinuncia, quando si consideri che l'art. 127 del T. U. n. 645 del 1958 d� il diritto di esercitare la rivalsa per ritenuta e che, quindi, non pu� sorgere un problema di successiva procedura esecutiva. In definitiva, quindi, � da ritenersi assolutamente ineccepibile e atta a resistere a qualsiasi critica la conclusione a cui sono pervenute le Sezioni Uhite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 125 del 1967, affermando... �che il pagamento della imposta di R.M. di Cat. A, effettuato dagli Istituti di Credito, in luogo e per conto dei depositanti, sugli interessi da questi ultimi percepiti, non costituisce n� una spesa n� una perdita inerente alla produzione del reddito di Cat. B proprio degli Istituti medesimi, e non � quindi detraibile dalla determinazione del reddito stesso, neppure quando non sia stata esercitata la rivalsa concessa dalla legge ai primi nei confronti dei secondi �. LA REDAZIONE . : : I I i l I I II II 962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO colo 47 della Costituzione), e che si pu� dire caratterizzi l'ordinamento creditizio: favorire il reperimento dei depositi, il potenziamento del credito, che ha tanta parte nell'economia pubblica. Le operazioni attive e passive -ecco il punto veramente fruttuoso dell'indagine compiuta dalla Commissione distrettuale -si pongono in rapporto di causa ad effetto. La Banca, infatti, svolge la sua funzione creditizia, soprattutto attraverso il ricavato delle operazioni passive: acquisire denaro, mediante depositi, costituisce mezzo per il potenziamento -attraverso altre operaziqni, quelle attive -del reddito. Qui sta la inerenza della rinuncia alla rivalsa, quale mezzo di sollecitazione al risparmio; quel risparmio che consente e agevola le operazioni attive. Questa sollecitazione si attua in vari modi. Quando la funzione creditizia viene esercitata dallo Stato, gli interessi sono esentati dal pagamento di ogni imposta; si manifestano, anzi, forme di incoraggiamento (sorteggi di premi in denaro, o altri benefici, che non sono certo liberalit� in senso stretto). ~~ Quando tale funzione �, invece, opera di enti diversi dallo Stato ' (aziende di credito) allora il tributo � a carico del mutuante, cui spetta il valutare la convenienza di chiederne la rivalsa: una rivalsa, che, . dato il carattere privatistico dell'azione, potrebb� anche essere parziale. I Il fenomeno �, dunque, soprattutto economico, ed importa -in ogni impresa -lo stabilire, in base al principio di � ofelimit� �, fino a qual punto il pagamento del tributo -totale o parziale -non possa rappresentare un dato negativo nella produzione del bene, cio� del ~ ~i credito. L'incertezza nella definizione del rapporto, con le relative !>=� conseguenze, pu� essere stata determinata dalla forma giuridica (ri-r valsa), anche se dominata da esigenze economiche. Vien fatto di pensare ad una traslazione -fenomeno tipicamente economico dell'imposta -munita, per�, di azione. Si rimette, cio�, alla autono�nia della ~ azienda il valutare gli effetti economici di un'incidenza del tributo sul-l l'affluenza di denaro. Lo stesso fenomeno giuridico (rivalsa, e possibilit� di rinuncia) � conseguenza in un rapporto di causa ad effetto, del . fattore economico. ' II@ L'economia incisa porta ad una diminuzione del reddito, conse,' guente alla contrazione della domanda: onde la valutazione, rimessa , all'azienda, circa la convenienza di agire o meno in rivalsa, trasferendo, , . I . anche in parte, il t:r;ibuto. Una convenienza, si aggiunge, che ha il suo punto di rottura quando il costo del denaro aumenta attraverso il pagamento dell'imposta. Autonomia, che costituisce nel sistema attuale, discrezionalit� amministrativa, poich� esercitata da organi pubblici, e che si traduce, data la disciplina unitaria e pubblica della funzione creditizia, in vero e proprio obbligo. I 'l'c::: :1 !l!J, r ![fffffftf{ftff{@}@fM@f@F@@miM@Iitff@Hf@!HMWF@@mmmHHSHMmiHK@mmmrnmrm=@K@mmm@Z@H@WW@Wfif@lfJ PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 963 Questa -ad avviso del Collegio -� l'unica sostanziale ragione <lei sistema, dominato dall'interesse di potenziare al massimo -favorendola in ogn� modo -la funzione creditizia, attraverso la quale si realizzano vantaggi incalcolabili nello sviluppo economico, industriale e sociale del Paese. Di fronte a questa esigenza assume valore neppure decisivo, anzi trascurabile, forse addirittura contrario, l'argomento secondo il quale la rinuncia conseguirebbe al risparmio delle eventuali spese di recupero; sia perch� queste, in ogni caso, sarebber:o detraibili dall'imponibile, sia perch�, soprattutto, il recupero della somma, pagata a titolo <l'imposta, compenserebbe ampiamente la spesa. Non bisogna, infatti, dimenticare, che, mentre le eventuali spese di recupero sarebbero soggette a detrazione, l'esercizio della rivalsa importerebbe la completa restituzione di ci� che si � pagato a titolo d'imposta : in altri termini, mentre, con la rivalsa, l'azienda recupererebbe tutta la somma pagata, con la detrazione dell'imposta pagata dall'imponibile essa recupera solo l'aliquota d'imposta afferente al reddito di cat. B. Il tributo in sostanza verrebbe pagato intieramente, meno la parte inerente alla produzione, la quale, d� vita, peraltro, �alla facilitazione e all'incremento dei depositi � come autorevolmente � affermato nella stessa sentenza della Suprema Corte a S. U. Fenomeno, lo si ripete e si conclude, economico: venato, offuscato da elementi giuridici (sostituto d'imposta, facolt� di rivalsa, �possibilit� di rinuncia) che in esso insistono. Ma esso resta sempre tale e domina la soluzione. Non spesa, liberalit�, o, comunque, erogazione, ma, al pari di manifestazioni reclamistiche -abbuoni, sconti, premi -la rinuncia mira ad acquisire il credito e, perci�, inerisce direttamente, attraverso altre operazioni, alla produzione del reddito.' Fenomeno analogo si verifica nell'ipotesi, prevista nello stesso art. 127 lett. A: organizzatori di lotterie e vincite da esse dovute; C) imprese assicuratrici, per interessi comprese le somme dovute in dipendenza di contratti di capitalizzazione ed assicurazione; D) per le somme do vute in dipendenza di vitalizi. Anche in questi casi la rinuncia, totale o parziale, alla rivalsa pu� costituire mezzo -anche psicologico, come nelle lotterie -per una pi� vasta acquisizione di giocatori o di assicurati: per potenziare, cio� la produzione del reddito. La rinuncia alla rivalsa -operando sul piano economico di una maggiore produzione di credito e, perci�, di reddito, riequilibra, cos�, sul piano tributario, le perdite, conseguenti alla detrazione. Ad avviso del Collegio -e si conclude -deve farsi riferimento .esclusivamente al concetto di inerenza dell'onere di cui si controverte alla stregua dell'art. 91 del t.u. del 1958. ! RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 964 Questo, in una concisa formulazione, stabilisce che il reddito netto � costituito dalla differenza tra l'ammontare dei ricavi lordi che compongono il reddito soggetto all'imposta di R.M. e l'ammontare delle spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito. Pu� ammettersi che in tale formulazione siano implicitamente comprese le � perdite � di cui � cenno nel successivo art. 99 e altri � oneri � di cui parla il legislatore al secondo comma dell'art. 245 a proposito dell'applicazione delle soprattasse per la infedele dichiarazione, ove questa sussista. Appare, cosi, ben chiaro che se nella specie non deve trattarsi n� di spesa n� di perdita, di certo potr� esaminarsi se l'imposta, che deriva dall'ordinamento tributario, sia configurabile tra le passivit� od altri oneri. L'ammontare d'imposta cat. A, quindi, pagato dalle banche, � senz'altro un elemento legalmente necessario, perch� trae origine da una norma tassativa d� legge, alla cui osservanza non � dato sottrarsi, e non pu� prescindersi dal considerare la sua stretta inerenza alla produzione del reddito imponibile, donde la legittima detraibilit� ai fini della determinazione del reddito netto di cat. B. L'imposta di cui si tratta, in una considerazione unitaria di tutto il fenomeno produttivo economico e giuridico degli istituti ed aziende di credito, e delle varie componenti di gestione aziendale, pu� ben definirsi un onere di mercato inerente alla produzione redditizia. Deve, pertanto, per questi motivi, rigettarsi il ricorso dell'Ufficio. -(Omissis). 8EZIONE SESTA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 ottobre 1969, n. 3194 -Pres. Flore -Est. Iannuzzi -P. M. Tavolaro (conf.) -Consorzio di bonifica dell'alto Simeto (avv. Burg� Doley) c. Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Soprano) e Consorzio di irrigazione di Centuripe (avv. Conte). Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica -Obbligo del concessionario di iniziare e ultimare i lavori ed utilizzare l'acqua nei termini fissati dal decreto e nel disciplinare di concessione, a pena di decadenza -Domanda di proroga -� Anteriorit� della data di presentazione della domanda di proroga rispetto alla scadenza dei termini, originari o prorogati, per l'inizio� e l'ultimazione dei lavori -Necessit� -Sussiste. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 40, comma secondo, 55 �, comma primo,. lett. f, e comma secondo). Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica -Obbligo del concessionario di iniziare e ultimare i lavori ed utilizzare l'acqua nei termini fissati nel decreto e nel disciplinare di concessione, a pena di decadenza -Domanda di proroga Accoglimento -Potere discrezionale della P. A. -Sussiste. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 40, comma secondo, 55, comma secondo). Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica -Decadenza -Natura discrezionale ed efficacia costitutiva della relativa pronunzia della P. A. -Sussistono -Eccezione Fattispecie. t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 55 *). Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica -Domanda di variante -Ammissione ad istruttoria -Potere discrezionale della P. A. -Sussiste. (t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 49). Ad evitare la decadenza per il decorso dei termini, stabiliti nel. decreto e nel disciplinare, entro i quali il concessionario deve derivare e utilizzare l'acqua concessa, la domanda di proroga va presentata prima, 966 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO della loro scadenza, anche se il decreto di accoglimento intervenga dopo di quest'ultima (1). L'accoglimento dell'istanza del concessionario, di proroga dei termini entro i quali l'acqua deve essere derivata e�d utiLiz~ata, costituisce manifestazione di un lato potere discrezionale della P. A. (2). Tranne l'ipotesi di decadenza ipso iure, di cui all'ultimo comma dell'art. 55 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, in tutti gli altri casi previsti da quella norma la decadenza dalla concessione pu� essere pronunciata dalla P. A. con provvedimento discrezionale; avente efficacia costitutiva e decorrenza ex nunc (3). Appartiene al potere discrezionale della P. A. ed � sottratta al sindacato di legittimit� del giudice la valuta.zione di merito degli elementi che attengono ad una domanda di variante della concessione ed all'opportunit� di ammetterla ad istruttoria (4). (*) Come mod. dalla 1. 18 ottobre '1942, n. 1434. (1) I termini entro i quali il concessionario di acqua pubblica deve compiere le opere e iniziare l'utilizzazione sono di decadenza .e ad essi si applicano le norme degli artt. 2966 e segg. �e.e.: Trib. Sup. Acque, 7 luglio 1961, n. 10, Il Consiglio di Stato, 1961, II, 302. (2) Il potere di proroga ha lo scopo d'impedire la decadenza della concessione, quando le ragioni del ritardo nell'utilizzazione dimostrino che non sussiste un motivo di pubblico interesse per privare il concessionario dai relativi benefici: Trib. Sup. .Aicque, 11 marzo 1958, n. 6, Acque, bonif., costruz., 1958, 379. Il rifiuto della proroga � manifestazione di un potere discrezionale, rispetto al quale il privato ha solo da far valere interessi legittimi. Provvedimento distinto, anche se contestuale, � poi quello che pronunzia la decadenza dalla concessione per inosservanza del termine: esso incide su diritti .soggettivi (v. infra, sub 3): �cos� Trib. Sup. Acque, 7 luglio 1961, n. 10, cit., Zoe. cit., che avverte anche che la proroga dei termini prevista dall'art. 55 t.u. n. 1775 del 1933 si riferisce non solo al termine finale, di utilizzazione dell'acqua, bens� anche ai termini intermedi. (3) �Se non pu� dubitarsi che la declaratoria di decadenza dalla concessione, in quanto rimessa dalla legge alla facolt� della Pubblica Amministrazione, �costituisce l'estrinsecazione di un suo potere discrezionale, di fronte al quale i diritti soggettivi che nascono dall'atto di concessione degradano in interessi legittimi, non � men vero che ci� si verifica solo dal momento in cui, per il realizzarsi delle condizioni all'uopo previste in modo tassativo dal ricordato art. 55, sorge a favore dell'Amministrazione il potere discrezionale di dichiarare la decadenza. Sotto questo profilo essenziale, il potere di dichiarare fa decadenza della concessione si differenzia profondamente da quello di revoca, che, in quanto strettamente connesso alla salvaguardia dell'interesse pubblico, dipende di regola soltanto dall'apprezzamento discrezionale che ne fa l'Amministrazione e non pu� pertanto essere sindacato che davanti al giudice amministrativo�: cos� Cass., 13 luglio 1961, n. 1749, Acque, bonif., costruz., 1961, 573. (4) Il giudizio dell'Amministrazione sul carattere sostanziale o meno di una variante agli effetti dell'applicazione del primo o del secondo comma dell'art. 49 t.u. n. 1775 del 1933 � insindacabile in sede giurisdizionale, quale avverte che la richiesta di una variante sostanziale d� luogo alla -.procedura ex art. 7 t.u. n. 1775 del 1933. quale avverte che la richiesta di una variante sostanziale d� luogo alla -.procedura ex art. 7 t.u. n. 1775 del 1933. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, .APPALTI ECC. 967 (Omissis). -Si deve disporre la riunione del ricorso principale e del ricorso incidentale, trattandosi di impugnazioni proposte contro una stessa sentenza. � preliminare l'esame del primo motivo del ricorso incidentale, oon il quale si denuncia la violazione dell'art. 26 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 in relazione all'art. 208 t.u. 11 dicembre 1933, n. 177,5 e dei principi che regolano i ricorsi amministrativi. I ricorrenti incidentali deducono che il Tribunale Superiore, affermando che per l'ammissibilit� del ricorso � sufficiente che l'interesse esista nel momento della sua proposizione, non avrebbe avuto riguardo alla distinzione fra interesse a ricorrere ed interesse sostanziale: questo deve necessariamente �.preesistere al provvedimento impugnato, il quale, diversamente, non potrebbe determinare la lesione ad una situazione giuridica soggettiva che abilita alla proposizione dell'istanza. La censura non � fondata. La Fondazione Casa Bambini Sangiorgio Gualtieri, titolare di una �concessione di derivazione di acqua dalle sorgenti Neri, Bulla ecc., aveva chiesto, con domanda del 13 febbraio 1961, di variare il comprensorio irriguo estendendolo a quello asserito contiguo di complessivi ha 900, sito nel comune di Centuripe. A sua volta il Consorzio di Bonifica dell'Alto Simeto, con istanza 31 luglio 1962, aveva chiesto� alla .Amministrazione dei Lavori Pubblici che la concessione assentita alla Fondazione fosse dichiarata decaduta e fin da allora aveva proposto 'domanda di concessione delle stesse acque a sua favore, sempre con la citata istanza del 31 luglio 1962. Su entrambe le predette domande �espresse il proprio parere il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in data 16 novembre 1962. Pertanto, ancor prima che, con l'ordinanza 26 gennaio 1963, la -domanda della Fondazione fu ammessa a breve istruttoria, poteva �considerarsi con essa �concorrente � l'analoga domanda del Consorzio, del 31 luglio 1962, con la quale esso chiedeva che, previa declaratoria 'di decadenza della concessione in danno della Fondazione, le stesse :acque fossero attribuite al consorzio stesso. Ci� prova che sussisteva, a favore del Consorzio, un interesse specifico e differenziato ad opporsi :alla domanda della Fondazione inerente ad una diversa utilizzazione delle acque delle predette sorgenti, e non soltanto un interesse generico e diffuso; cosicch� l'ordinanza emessa a favore della Fondazione veniva :ad incidere, pregiudicandola, sulla posizione del Consorzio, caratteriz salvo che non siano state osservate le for~alit� prescritte da1la legge: Trib. Sup. Acque, 14 febbraio 1942, Giur. it., Rep., 1943, voce � Acque ... ., n. 57; cfr. anche Cass., 2 febbraio 1963, n. 182, Giust. civ., 1963, 1326, la 968 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zata da un proprio interesse ad ottenere la concessione di derivazione delle stesse acque, che avevano formato oggetto della concessione a favore della Fondazione e che il Consorzio stesso avrebbe potuto ugualmente utilizzare, essendo i fondi che lo compongono vicino alle sorgenti. Del resto bastava la domanda del Consorzio del 21 r,narzo 1963, diretta alla concessione di derivazione delle acque, per far sorgere poich� era in corso il termine per l'impugnazione del provvedimento� del 26 gennaio 1963 -l'interesse sostanziale all'impugnazione, che fu proposta in termine. E ci� conforme alla costante giurisprudenza del Consiglio di Stato e dello stesso Tribunale Superiore delle Acque pub-. bliche. Con il primo motivo del ricorso principale il Consorzio dell'Alto Simeto, denunciando la violazione dell'art. 35 del t.u. n. 1775 del 1933, eccesso di potere per presupposti erronei ed infondati, comportamento illegittimo e contraddittorio della P. A., deduce che erroneamente il Tribunale Superiore avrebbe escluso che si fosse verificata la decadenza dalla concessione e ritenuto che il termine fissato alla Fondazione per l'inizio e per il completamento delle opere relative alla concessione stessa fosse stato regolarmente prorogato -e perci� che la domanda di variante fosse stata tempestivamente proposta -e comunque che le proroghe fossero state legittimamente concesse. Osserva inoltre che l'ordinanza di ammissione all'istruttoria era illegittima anche perch� il prosieguo dell'istruttoria stessa era stato subordinato alla approvazione della cessione della concessione dalla Fondazione al Consorzio di Centuripe, sicch� l'istruttoria risultava subordinata ad un evento futuro ed incerto. � connesso il secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale, denunciandosi la violazione dell'art. 143 del predetto t.u. sulle acque� pubbliche, nonch� l'omessa motivazione su un punto decisivo -della controversia, si deduce che il Tribunale Superiore delle Acque pubblicheavrebbe dovuto dichi"arare inammissibile l'opposizione del Consorzio sul punto relativo alla decadenza dalla concessione, nella quale sarebbe� incorsa la Fondazione, perch� tale deduzione avrebbe dovuta essereprospettata mediante impugnazione del provvedimento di reiezione dell'analoga istanza avanzata dal Consorzio il 31 luglio 1962, provvedimento ad esso comunicato il 4 febbraio 1963. Riguardo a questa censura dei ricorrenti incidentali, si osserva che� dall'esame degli atti -il quale � consentito, poich� si denuncia la inammissibilit� dell'opposizione ed un vizio di motivazione -risulta che fu emesso un parere da parte del Consiglio Superiore dei Lavori. Pubblici in ordine all'istanza 31 luglio 1962 del Consorzio di bonifica dell'Alto Simeto. Nei fascicoli delle parti non � allegata copia di alcun provvedimento emesso dall'Amministrazione in base al predetto parere~ PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 969 e tanto meno v'� cenno di una comunicazione del provvedimento stesso, che sarebbe stata effettuata il 4 febbraio 1963 alle parti interessate. � anche infondata la censura del Consorzio ricorrente principale. Invero, come ha esattamente osservato la sentenza impugnata, i termini per l'inizio, per l'ultimazione dei lavori e per il completamento delle opere fissati nell'originario decreto di concessione furono proro , gati a favore della Fondazione con i decreti 13 dicembre 1955 e 23 marzo 1960, in base a domande presentate prima della scadenza del termine precedente ed anche la domanda di variante fu presentata prima della scadenza del termine prorogato. Ora ci� varrebbe, gi� per se stesso, a salvare il concessionario dalla decadenza, poich� assume rilevanza a tal fine la data di presentazione della domanda di proroga prima della scadenza del termine antecedente e non quella della emissione del provvedimento che ammette la proroga stessa. Ma ancor pi� giova considerare, per disattendere la tesi del ricorrente, che la pronuncia di decadenza dalla concessione � � in facolt� del ministro � e quindi non � effetto automatico per il� verificarsi dei casi indicati nell'art. 55 del t.u. del 1933, salva l'ipotesi di decadenza � de iure � indicata nell'ultimo comma; pertanto, fino a quando non sia intervenuto il decreto ministeriale che dkhiara la decadenza -il quale ha natura costitutiva -la concessione di utenza continua a spiegare efficacia a favore di chi l'ha ottenuta. Quanto, poi, al rilievo inerente alla legittimit� di concessione delle proroghe, � sufficiente osservare che trattasi di un potere discrezionale di �cui la Pubblica Amministrazione pu� avvalersi senza limitazioni, in mancanza di ogni disposizione legislativa al riguardo. Infine il Consorzio non ha ragione di dolersi che nella ordinanza ministeriale di ammissione all'istruttoria fosse stato disposto che l'istruttoria stessa avrebbe potuto continuare nei confronti del Consorzio di Centuripe, nei cui confronti era in corso il perfezionamento della concessione gi� assentita a favore della Fondazione. L'ordinanza su tale punto non � lesiva di alcun interesse del Consorzio ricorrente, n� sussiste motivo di illegittimit� nel fatto di emettere il provvedimento a favore del soggetto attualmente legittimato e prevedere la prosecuzione dell'istruttoria nei confronti dell'altro o degli altri soggetti che potranno risultare ugualmente legittimati in base a concessioni regolarmente autorizzate. Pertanto entrambi i predetti motivi devono essere respinti. Sostiene ancora il Consorzio, con il secondo motivo, che avrebbe errato il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche nel riconoscere alla Pubblica Amministrazione un ampio potere discrezionale in ordine all'ammissione ad istruttoria deUa domanda di variazione presentata dalla Fondazione. Osserva che l'ordinanza aveva ritenuto giustificata la richiesta di variante sul riflesso che essa avrebbe consentito l'utiliz .. ' ! RASSEGNA DELL'AVVOCATURA,DELLO STATO zazione delle acque, � con le opere gi� eseguite �, destinate ad un comprensorio attiguo a quello originario, ed il Tribunale Superiore ha valutato tale giustificazione della ordinanza riconoscendo alla Pubblica Amministrazione il potere discrezionale suindicato � disinvoltamente e superficialmente�. Denuncia la voilazione dell'art. 49, comma 1,_ del t.u. citato, eccesso di potere, falsa applicazione di legge e contraddittoriet� di motivazione. La censura � manifestamente infondata, non potendosi disconoscere alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale, sottratto al sindacato di legittimit� del giudice, relativamente alla valutazione nel merito degli elementi che attengono alla richiesta di variazione e, quindi, all'opportunit� �di disporre l'istruttoria. N� il ricorrente indica gli elementi che concreterebbero l'eccesso di potere e la contraddittoriet� di motivazione. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 ottobre 1969, n. 3296 -Pres. Pece -Est. Leone -P. M. Pedace (conf.) -Ministero Agricoltura e Foreste (avv. Stato Bronzini R.) c. Societ� T.E.I. (avv. Rossini). Edilizia popolare ed economica -Case per lavoratori -Gestione INACasa -Incarico ad Amministrazioni o ad Enti della costruzione di case per lavoratori -Contratti di appalto stipulati in esecuzione di tale incaric,o -Soggezione alle norme giuridich� di organizzazione della Gestione e di disciplina della sua attivit� -Conseguenze sostanziali e processuali in ordine al collaudo delle opere. (I, 28 febbraio 1949, n. 43, art. 11). I contratti di appalto stipulati da Amministrazioni od Enti incaricati dall'ora soppressa gestione I.N.A.-Casa della costruzione di case per lavoratori soggiacevano alla particolare disciplina derivante dalle norme giuridiche relative ali'organizzazione ed all'attivitd della Gestione medesima, pe1� effetto della quale, in deroga ai principi ordinari valevoli per gli appalti in generale, il cotlaudo dei lavori spettava alla Gestione I.N.A.-Casa: con la conseguenza che, in ordine a tale diretto rapporto sostanziale, la legittimazione a contraddire in giudizio alle domande dell'appaltatore, spettante alla sola Stazione appaltante, per effetto dell'mi;. 102 del CapitJolato generale d'appalto della Ge�stione I.N.A.Casa, richiamato come parte integrante .dei patti e condizioni contrattuali, veniva ad assumere il carattere peculiare della rappresentanza PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 971 �processuale del procuratore preposto a determinati affari, di cui all'art. 77 c.p.c. (1). (Omissis). -Nella disciplina normativa che ha regolato la cessata Gestione INA-Casa, quando detta Gestione incaricava altri enti o amministrazioni delle costruzioni delle case per lavoratori (art. 11 legge 28 febbraio 1949, n. 43), gli enti incaricati dovevano curare � la gestione dei lavori � e ne rispondevano a tutti gli effetti verso la Gestione, ma la vigilanza sui lavori nonch� i collaudi dei lavori stessi spettavano alla Gestione, che si avvaleva a tale fine di professionisti di fiducia del Consiglio direttivo (art. 7 d.P.R. 22 giugno 1949, n. 340, contenente, per delega ex art. 28 della legge n. 43 del 1949, le norme integrative e complementari della legge stessa); l'approvazione dei collaudi poi spettava al Consiglio direttivo della Gestione (art. 9 d.P.R. 3 luglio 1949, n. 436). Questa distribuzione di compiti nella realizzazione dei piani di incremento dell'occupazione operaia con la costruzione di case per lavoratori aveva una sua ragione palese, in quanto la collaborazione� delle Amministrazioni e degli Enti, interessati alla costruzione di case da assegnare ai propri dipendenti o soci, si svolgeva nell'ambito unitario della Gestione autonoma INA-Casa, che erogava i propri mezzi finanziari e diveniva proprietaria delle case �costruite, � delle quali curava l'assegnazione in conformit� delle norme che la regolavano : unit� di azione assicurata particolarmente dall'attribuzione al Consiglio� (1) L'incarico della costruzione di case per lavoratori di cui all'art. 11 legge 28 febbraio 1949, n. 43 istitutiva dell'ora soppressa (art. 1 I. 14 feb-� braio 1963, n. 60) Gestione INA-Casa trovasi configurato in dottrina e giurisprudenza come delegazione amministrativa: conseguentemente, si � avvertito che � l'appalto � stipulato in proprio nome dall'ente incaricato e la� Gestione INA-Casa vi resta estranea e non pu� ,essere chiamata in causa nelle liti tra l'ente medesimo e l'appaltatore� (cfr. Lodo 23 dicembre 1963,. Collegio Arbitrale: Rizzatti -Pres., Gionfrida -Est., Reggiani, Tesauro, Giannini M.S., Foro it., 1964, I, 2249, nella motivazione; v. anche Lodo� 3 agosto 1964, Collegio Arbitrale: Gualtieri -Pres.. Crisafulli A., Boidi, Foro it., 1964, I, 1750 e 1751). L'incarico veniva dato dal Consiglio direttivo� della Gestione, previo esame dei progetti di costruzione, giusta quanto disposto dall'art. 6 d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265. Era previsto, per�, che gli enti avessero facolt� di non accettarlo (art. 4 d.P.R. n. 1265 cit., mentre normalmente si attribuisce all'istituto carattere autoritativo: MIELE, Delega, Dir. amm., Enciclopedia del diritto, vol. XI, Milano, 1962, 910-911). Per le Amministrazioni statali e gli enti pubblici, si chiariva (art. 6, comma quinto, d.P.R. n. 1265 del 1956) che �l'incarico... una volta stipulata la convenzione � considerato compi.to istituzionale anche se la sua assunzione non sia prevista dalle norme legislative o statutarie che regolano l'ordinamento di questi �. Ci� conferma che si restava nel campo del fenomeno delegatorio di �diritto ipubblico, nel quale � appunto questione di esercizio di competenze e non gi� di attivit� � del procuratore preposto a determinati affari �, come ha ritenuto, viceversa, la sentenza in rassegna, allol'ch� ' 972 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO direttivo della Gestione dei compiti di approvare i progetti delle costruzioni e di approvarne il collaudo a costruzione ultimata: tale approvazione del collaudo, a sua volta, serviva a definire.con unica operazione tecnico-giuridica sia i rapporti tra Gestione ed Amministrazioni o Enti incaricati della costruzione, sia i rapporti tra questi ultimi ed imprese appaltatrici, costituiti con i contratti di appalto tra tali soggetti conclusi. Questo profilo s�chematico dei rapporti della Gestione INA-Casa con le Amministrazioni e gli Enti da essa incaricati della gestione dei lavori non ricevette modifiche sostanziali con le norme integrative e complementari disposte col d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265: all'art. 7 di detto decreto (che ripeteva letteralmente buona parte delle disposizioni dell'art. 7 del decreto n. 340 del 1949) non si faceva espresso cenno all'approvazione dei collaudi delle opere, ma era stabilito che �i collaudatori e le commissioni di collaudo saranno nominate dalla Gestione INA-Casa � e questo potere di nomina, considerato nell'insieme dello :schema normativo suddetto, rimasto presso che invariato, porta a ritenere che anche la competenza all'approvazione del collaudo non abbia subito modifiche. Ci� posto, deve considerarsi che, quando lAmministrazione dello Stato, incaricata dalla Gestione INA-Casa della costruzione di case per i propri dipendenti, stipulava con l'appaltatore il contratto di appalto della costruzione ed espressamente dichiar-ava la sua qualit� di � Stazione appaltante � per incarico della Gestione, e quando, a sua volta, ha affermato che � con l'affidamento dell'incarico alla Stazione appaltante di gestire i lavori per la costruzione delle case per lavoratori la Gestione INA-Casa, persona giuridica, conferiva espressamente alla Stazione stessa il potere di stare in giudizio per la Gestione preponente, in xelazione cio� al diritto ed alle pretese che l'appaltatore potesse vantare direttamente :~ verso la Gestione, per effetto della particolare disciplina normativa appli � Cabile ai contratti di appalto conclusi dalla Stazione appaltante ., Con la quale affermazione -a prescindere dal rilievo che � poteri di ingerenza sui contratti di appalto in discorso venivano dalla legge (v. art. 6, comma quarto, art. 7, comma secondo e terzo, relativo quest'ultimo alla nomina �dei collaudatori, d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265) attribuiti alla Gestione come soggetto di.stinto dalle � parti �contraenti � -si � costretti ad ammettere che, in ordine a tali !Pretese dirette dell'appaltatore verso la Gestione, ipotizzate dalla sentenza in rassegna, l'art. 102 Cap. gen. Gestione �INA-Casa 9 febbraio 1950, pur richiamato nei contratti stipulati dalla Stazione appaltante, non fosse pi� semplice corollario della natura delegatoria di diritto pubblico dell'incarico, ma recasse un singolare patto di... non escussione del rappresentato se non a mezzo del rappresentante (per la esclusione che un ente pubblico, per raggiungere le proprie finalit�, possa avvalersi di rappresentanti, pel compimento non .gi� di mere operazioni, ma di atti giuridici, v. BASSI, Brevi riflessioni in tema di concorso ,di pi� enti pubblici alla esecuzione di una stessa opera pubblica, Giur. it., 1968, I, 1, 808, ed ivi citazioni di dottrina a note 13 e 14). PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 973 nello stesso contratto, l'appaltatore assumeva l'obbligo di eseguire la costruzione � per conto della Gestione ., con tali locuzioni le parti richiamavano concordemente l'incarico commesso dalla Gestione all'Amministrazione ed i limiti che a tale incarico derivavano in virt� delle norme giuridiche di orgll.nizzazione della Gestione e dell'attivit� da essa svolta per la realizzazione dei propri fini istituzionali: norme giuridiche, che, riguardo ai contratti di appalto conclusi dalla Stazione appaltante, si ponevano come norme particolari rispetto a quelle contenute nel codice civile, relative al contratto d'appalto in generale. Perci� il � thema decidendum � non � stato bene messo a fuoco dalla Corte d'appello, quando nella sentenza impugnata ha fatto riferimento alla disciplina generale del contratto d'appalto, per dedurre che, in applicazione dell'art. 1665 e.e., l'approvazione del collaudo spettasse all'Amministrazione committente e rappresentasse per questa atto dovuto in considerazione dell'interesse dell'appaltatore a conoscere il risultato del collaudo. In base alla richiamata disciplina normativa, particolare della materia in esame, nella quale, per esplicita, concorde prospettazione delle parti, il contratto di appalto � de quo � si inseriva e deve considerarsi inserito, la conclusione quanto al potere-dovere di 'approvare il collaudo doveva essere, come s'� detto, diversa, spettando tale approvazione alla Gestione INA-Casa. Se questa � la situazione di diritto s~stanziale, altra �, per�, quella di diritto processuale, che alla prima si sovrappone. Dispone, infatti, l'art. 102 del Capitolato generale d'appalto della Gestione INA-Casa, espressamente richiamato nel contratto tra l'Amministrazione e la Soc. TEI quale complesso pattizio di disposizioni integrative del contratto medesimo, che � l'appaltatore potr� far valere i suoi diritti e pretese solo verso la Stazione appaltante e non verso la Gestione INA-Casa., mentre la Gestione INA-Casa �pu� in qualsiasi momento sostituirsi alla Stazione appaltante, nei confronti dell'appaltatore, ovvero intervenire direttamente per l'esecuzione del contratto d'appalto, per far valere le pretese. che dal contratto derivano e in genere per tutto quanto altro occorra �. Il che significa che, con l'affidamento dell'incarico alla Stazione appaltante di gestire i lavori per la costruzione delle case per lavoratori, la Gestione INA~Casa, persona giuridica, conferiva espressamente alla Stazione stessa il potere di stare in giudizio per la Gestione preponente, in relazione cio� ai diritti ed alle pretese ,che l'appaltatore potesse vantare direttamente verso la Gestione, per effetto della particolare disciplina normativa applicabile ai contratti di appalto conclusi dalla Stazione appaltante in esecuzione dell'incarico suddetto: potere di rappresentanza, che ben pu� inquadrarsi nello schema della rappresentanza processuale del procuratore preposto a determinati affari, di 974 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO cui tratta l'art. 77 c.p.c. per i giudizi relativi all'affare oggetto del potere di rappresentanza. Di conseguanza la Soc. TEI doveva proporre la sua domanda contro il Ministero quale Stazione appaltante, come in effetti l'ha proposta, deducendo, con il richiamo all'art. 102 del Capitolato suddetto, anche� il cennato potere di rappresentanza processuale nel detto articolo stabilito. Fondata cos� su base negoziale la legittimazione processuale del. Ministero, resta assorbita la diversa argomentazione svolta dalla Corte di appello, in ordine alla delegazione amministrativa, e che � oggetto deUe censure contenute nel secondo motivo di ricorso. -(Omissis).. .> TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 23 ottobre 1969, n. 27 -Pres.. Stella Richter -Est. Pratis -Ministeri delle Finanze e dei Lavori Pubblici (avv. Stato Zoboli) c. Nicolosi (avv. Torrisi). Acque pubbliche ed elettricit� -Demanio idraulico -Gestione -Competenza del Ministero dei lavori pubblici -Sussiste -Applicazione in tema di legittimazione a contraddire in giudizio. La gestione dei beni demaniali dello Stato � affidata a branche� diverse dell'Amministra.zione suitale, secondo la 'specie e l'uso al quale essi sono destinati: e cos� il Ministero dei lavori pubblici ha la gestione del demanio idraulico ed �,. pertanto, in luogo del Ministero delle Finanze, legittimato a contraddire ad una opposizione alla stima delL'indennit� di espropriazione di un immobile pronunciata a favore del � Demanio dello Stato -Ramo Lavori Pubblici � (1). (Omissis). -Con il primo motivo d'impugnazione, entrambe le Amministrazioni ricorrenti rilevano che l'Amministrazione delle Finanze � del tutto estranea alla controversia, sicch� se ne deve dichiarare il difetto di legittimazione passiva. Il motivo � fondato. L'espropriazione fu pronunciata a favore del. � Demanio dello Stato -Ramo Lavori Pubblici � e l'opera pubblica in vista della quale fu disposta venne eseguita a cura e spese dell'Amministrazione dei Lavori Pubblici ed � destinata a ricadere, una volta eseguita, nell'ambito della rispettiva competenza funzionale e conta( I) Sull'argomento v. P1cozz1, La contabilit� di Stato, Torino, 1960,. 140 e segg.; BENTIVENGA, Elementi di contabilit� di Stato, Milano, 1960, 44 e segg.; ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, IV, Milano, 1955, 25 e. segg., 163 e segg. PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 975 bile (le opere idrauliche fanno parte del demanio gestito dal Ministero dei Lavori Pubblici e gli oneri e spese inerenti fanno carico al relativo bilancio, cos� come a questo sono imputati gli oneri e le spese delle espropriazioni necessarie per l'esecuzione dell'opera stessa). � erronea l'argomentazione fatta dal Tribunale Regionale, secondo cui, nella specie, il rapporto espropriativo si sarebbe instaurato fra l'espropriata e l'Amministrazione finanziaria, � dato che l'espropriazione fu pronunciata a favore del Demanio dello Stato, la cui rappresentanza, in tutti i rami in cui esso si articola, compreso quello che si riferisce ai lavori pubblici, rientra nell'ambito del Ministero delle Finanze �. La gestione dei beni demaniali dello Stato � affidata a branche diverse dell'Amministrazione Statale, secondo la specie dei beni e l'uso al quale sono destinati. E cos� il Ministero dei Lavori Pubblici ha appunto la gestione del demanio idraulico, mentre il Ministero delle Finanze ha, al pi�, un'ingerenza nell'amministrazione di tutti i beni demaniali, tramite i suoi uffici centrali e locali, per il fatto che i beni demaniali sono un elemento importante della finanza dello Stato. Ne consegue che, in accoglimento del mezzo, si deve dichiarare il difetto di legittimazione passiva del Ministero delle Finanze. --(Omissis). SEZIONE SETTIMA GIURISPRUDENZA PENALE CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 22 maggio 1968 -Pres. Duni -Est. Tartaglione -P. M. (col\cl. difformi). Rie. Biadene -Tonini, per frana del Vajont. Procedimento penale -Istruzione -Libert� personale dell'imputato Mandato di cattura emesso in esecuzione dalla sentenza di rinvio a ~iudizio -Previe conclusioni specifiche del P. M. -Mancanza .. Irrilevanza. (c.p.p., art. 76, 369, 375). Procedimento penale -Istruzione -Libert� personale dell'imputato Mandato di cattura facoltativo -Difetto di motivazione -Fattispecie. (c.p.p., art. 254, 264). n giudice istruttore pu� emettere mandato di cattura, in esecuzione della sentenza di rinvio a giudizio, anche se il P. M., nel formulare le sue richieste, a chiusura dell'istruttoria, non abbia proposto istanze di sorta sulla libertd personale de�gli imputati (1). Difetta di motivazione il mandato di cattura facoltativo fondato, per quanto attiene aUe qualitd morali dell'imputato, sul pericolo di fuga dedotto da un comportamento processuale comune anche ad altri coimputati dei quali, senza fornire giustificazione, non venga ordinata la cattura; e, riguardo alle circostanze del fatto, sull'unico motivo della maggio1�e gravitd della colpa, rispetto a quella degli altri imputati dagli stessi reati, non sottoposti a custodia preventiva (2). (1) Nel senso che il mandato di cattura emesso in difetto di conclusioni specifiche del P.M., .sia affetto da nullit� assoluta v. Cass. 27 febbraio 1969, rie. Riva, Fo'l'o it., 69, II, �P� 89, dov'� pubblicata anche la requisitoria del Proc. Gen. Cassazione, con richiami vari. (2) In senso difforme, v. Cass. 10 novembre 1965, rie. Galazza, dove si d� rilievo anche a tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell'art. 133 c.p.p. (in Rep. Fo'l'o it., 1966, voce Libert� personale n. 20), valutati comparativamente fra i coimputati, onde emettere mandato di cattura, anzich� quello di comparizione. G. DONADIO PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 977 (Omissis). -Le altre censure investono la sentenza. Si denunzia, in primo luogo, la violazione dell'art. 262 c.p.c., in 'ione all'art. 76 dello stesso codice e all'art. 13 Costituzione, per \Stata deliberata la cattura degli imputati senza che il P. M., nel \re le sue richieste a chiusura dell'istruttoria, in applicazione ~69 c.p.c., si fosse espresso sul punto specifico. \tenza impugnata, uniformandosi al pi� recente orientamento ~iale (Cass. 2 febbraio 1966, Vacrini, Foro it., Rep. 1966, \~ersonaie, n. 31), afferma che non � necessario che tale ''8Ilifestato in modo esplicito, e questa corte ritiene che \~azione debba essere tenuta ferma. \.se la regola posta dall'art. 189 c.p.c., per la quale, �-~e investe il collegio � di tutta la causa ., le parti, 'ip dell'istruttore, debbono concludere nel merito .,atto che il passaggio alla fase decisoria avvenga ., su. una questione pregiudiziale o preliminare, \l(ressamente nel codice di procedura penale, \questo senso si desume agevolmente dal \~fra i provvedimenti che il giudice deve "'~truttoria vi sono quelli che confermano ii.~rsonale dell'imputato (art. 37,5 c.p.p.); \\. al P. M. in vista della emanazione \~ il dovere di attivit� che il giudice .,ossa essere posto� il P. M. in grado �vuirente rendersi conto dell'am\ 1?ua funzione consultiva, senza -\~ormulare richieste su punti \'�lo preciso dalla legge. N� \questa corte (Sez. III, 19 ~97) ebbe a ritenere in \mte del collegio giudi.\ Jnterpellare il P. M., '~supposto del ragio\~ � del tutto occa ..�i�sta del P. M. sulla ~si, a favore di costoro, e Ai-ere contrario alla modificad1 tratta di un avviso immotivato, .;ti, in definitiva, sull'esame, che dovr� .e ulteriori, riguardanti la motivazione della ~rch� il puro e semplice dissenso del P. M. non "' dell'istruzione un obbligo di motivazione maggiore l l ! l l i WffiifZ4IFJ.fil?.4&?1E4W'�&Ka'ff~4Jlmt4%fJ.~df400ECC1WW.4tWE:4.f:!�iillFillifr,4ffi&f4M:f@llii '978 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di quello che ordinariamente gli incombe, ai fini del provvedimento in discussione. (Omissis). -Di .gran lunga pi� delicato � il problema che i ricorrenti prospettano, con l'ultimo gruppo di motivi (terzo Tonini; terzo Biadene; motivi aggiunti), in ordine alla validit� logica delle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata per dar conto, ai sensi delle norme, costituzionale e ordinaria, sopra ric~rdate, dell'uso �fatto della potest� di coercizione. E il collegio, dopo maturo esame, deve constatare che il giudice istruttore, dopo aver posto esattamente le premesse del ragionamento, fissandone i termini concreti, non � stato in grado �di trarre dagli atti gli elementi utili per tener fede all'impegno assunto, di guisa che, pur escludendo accuratamente dal quadro del controllo di legittimit� tutte le critiche che i ricorrenti formulano in relazione ad apprezzamenti di fatto ed a ragioni di opportunit� rientranti nell'esclusivo potere del giudice di merito, si colgono, nella motivazione del provvedimento, gravi vizi logici, i quali si risolvono nella violazione del precetto che le norme suddette sanciscono, a garanzia della libert� dei cittadini. La sentenza muove da un dato di fatto di cui riconosce chiaramente la rilevanza: poich� vengono rinviati a giudizio nove imputati, tutti tecnici quali:ficati e tutti oberati da gravi accuse collegate agli importanti compiti svolti in rapporto all'impianto del Vajont, deve essere di guida la visione delle singole responsabilit�, per evitare di sottoporre a carcerazione preventiva chi appare immeritevole di tale grave misura. Obbiettivo della motivazione �, dunque, la ricerca degli elementi differenziali fra la posizione degli attuali ricorrenti e quella degli altri imputati, assunta come termine di paragone. Ineccepibile � anche la premessa dell'esame circa le � qualit� morali della persona �, comprendenti, come si � accennato, la capacit� degli imputati di sottrarsi alla esecuzione della possibile condanna. Dato atto che le qualit� strettamente personali in relazione alla natura dei reati starebbero a favore del Biadene e del Tonini, la sentenza richiama un insegnamento dottrinale circa il criterio della � necessit� � che deve guidare il giudice, nell'emettere il mandato di cattura facoltativo. Ritiene per� che contro gli stessi imputati stia la condotta tutt'altro che corretta che essi hanno tenuto, seguendo dall'esterno l'istruttoria penale mediante abboccamenti, preventivi e successivi, con le persone che venivano interrogate, e redazione di pro memoria sulle circostanze riferite al giudice. La rilevanza di tali fatti non pu� essere valutata in questa sede, cos� come non pu� formare oggetto di riesame l'apprezzamento circa la idoneit� di tali fatti, a far temere la fuga di chi li ha compiuti. Ma � sul piano della produttivit� logica in rapporto alla premessa che l'argomento perde ogni valore: � esatto, invero, come denun PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 979 2iano i ricorrenti, che un uguale comportamento viene ascritto, nella stessa pagina della sentenza, almeno ad altri due degli imputati, contro i quali nessun provvedimento coercitivo viene adottato (Marin, Pancini). E ci� � sufficiente per constatare che, per quanto concerne le qualit� morali, il criterio di giustizia assunto come guida e mezzo di discriminazione fra i giudicabili non ha avuto coerente applicazione, giacch�, senza fornirne alcuna spiegazione, il procedimento logico ritenuto valido per dedurre, dall'unico comune comportamento, il pericolo di fuga dei ricorrenti, non conserva tale efficacia indiziante allorch� lo si applica ad altri imputati, pur tuttavia assunti come termine di raffronto. Deficienze in parte analoghe si colgono nella valutazione delle � circostanze del fatto �. L'immane entit� della catastrofe riguarda invero tutti gli imputati, cosi come a tutti, con l'eccezione del solo Violin, viene ascritta, con la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 3, rispetto a due o a tre reati, la previsione dell'evento, cui la sentenza evidentemente allude con le parole � la conoscenza del pericolo � �e �la certezza dell'evento �. Rimane, .quindi, unico elemento di differenziazione, il grado della <Colpa, derivante dalla � responsabilit� delle funzioni � del Biadene e del Tonini rispetto a quelle degli altri imputati, in quanto essi, � per essere stati fino all'ultimo momento in condizioni di dare l'allarme, se ne astennero anche allorch� la catastrofe divenne imminente�. Ma, in rapporto alla particolare natura del provvedimento, esso appare decisamente inadeguato, in via di principio, a giustificare da solo la cattura dei ricorrenti, in contrapposizione al diverso trattamento usato agli altri imputati. La gravit� della colpa, invero, pu� costituire un criterio di individuazione della pena (art. 133, comma primo, n. 3, c.p.), ma anche a tale effetto sempre in una posizione secondaria, rispetto a .quello della gravit� del reato nel suo complesso: basta osservare, al riguardo, che per lo stesso comportamento colposo si pu� rispondere di omicidio anche plurimo, di lesioni di varia entit�, o anche di semplice contravvenzione. A maggior ragione, la semplice graduazione delle �colpe non pu� essere adottata come motivo unico, allorch� la privazione della libert� personale viene inflitta come custodia preventiva, la quale, come questa corte ha avuto modo �li affermare ripetutamente, non � una anticipazione della pena, n� risponde a finalit� di prevenzione generale (Sez. I, 22 giugno 1965, Esposito; Sez. III, 17 giugno 1966, Sgrosso, Foro it., Rep. 1966, voce Istruzione pen., n. 54), e non pu� essere quindi disposta se non ricorrono gli estremi, dei quali la sentenza impugnata non riesce a dimostrare l'esistenza. Il ricorso deve essere quindi accolto. -(Omissis). I ! I I I I I II RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, iSezione VI, 16 ottobre 1969, n. 1313 -Pres. Felicetti -Rel. Scordamaglia -P. M. Moscarini (diff.) -rie. Gimondi. Procedimento penale -Accertamento dell'appello -Fondatezza delle censure formulate -Rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado -Illegittimit�. (c.p.p., artt. 523, 475, n. 3). Il giudice di secondo grado, anche se non � tenuto a rispondere dettagliatamente a tutte le argomentazioni dei motivi d'appello, deve procedere a nuova valutazione, in relazione alle doglianze espresse, di tutti gli elementi processuali gi� esaminati dal primo giudice e� viene meno a tale dovere quando ricalchi la motivazione della sentenza di prinw grado, in quanto se questa pu�, nel caso di conferma, integrare quella del giudice d'appello, non pu� ovviamente sostituirla, poich� non ha potuto tener conto dei motivi di gravame, dei quali deve darsi carico al giudice d'appello (1). (Omissis). -La Corte di appello di Ancona era tenuta alla valuzione degli elementi di merito dedotti dall'appellante, poich�, ove fosse risultata esatta la interpretazione da costui fornitane, sarebbe rimasta svuotata di ogni pratico contenuto tutta o gran parte della motivazione del Tribunale. Il giudice di appello, invece, del tutto prescindendo dall'esame dei motivi di gravame, si � limitato ad una apodittica affermazione della loro infondatezza, alla quale segue una acritica elencazione di circostanze e di argomentazioni -per la massima parte prese di peso dalla sentenza di primo grado -dalle quali risulterebbe provata la responsabilit� del Gismondi per tutti i reati per i quali era stato condannato in primo grado. Si tratta -come esattamente rileva il ricorrente -di una motivazione apparente, ma in realt� inesistente, in quanto essa non assolve (1) Massima di evidente ,esattezza ch� altrimenti il doppio grado di giurisdizione diverrebbe mera formalit�. V. in senso analogo Cass. 24 gennaio 1969, n. 147 (110.056) in Massimario Ufficiale che ha stabilito che il giudice di rinvio non adempie all'obbligo della motivazione ove si limiti a richiamare per relationem la sentenza di primo grado, in quanto questa non pu� aver tenuto conto dei motivi d'appello che il giudice di rinvio deve valutare sia pur nei limiti della pronuncia di annullamento. Per una rapida sintesi dello stato della dottrina �sugli effetti devolutivi dell'appello v. BELLAVISTA, v. Appello (Dir. Proc. pen.), in Enciclopedia del Diritto. P.D.T. PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 981 al compito proprio del giudice �di appello di dare adeguata giustificazione della propria decisione, il cui oggetto �, in primo luogo, l'accertamento della fondatezza o dell'infondatezza delle censure formulate con il gravame. A tale dovere viene meno il giudice di secondo grado � il quale, del tutto ignorando le dette censure, si limiti, come nella specie, ad una brevissima sintesi degli argomenti addotti dal primo giudice, perfino riproducendo quei travisamenti di fatti espressamente denunciati, ed aggiungendone addirittura nuovi e pi� macroscopici. � vero che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che il giud�ce di secondo grado non � tenuto a rispondere dettagliatament& a tutte le argomentazioni contenute nei motivi di appello. � necessario, per�, che egli dimostri di averle considerate nel loro complesso, giustificando il convincimento espresso al proposito, e che proceda a nuova valutazione, in relazione a tutte le doglianze espresse, di tutti gli elementi processuali gi� esaminati dal primo giudice quando, come nella specie, la censura dell'appellante investa non solo le conclusioni cui� egli � pervenuto, ma anche il metodo d'indagine seguito, poich� ci� viene a scuotere sin dall'origine tutto il complesso della prova, la quale deve necessariamente essere ricomposta e rivalutata per l'esigenza di controllare se � possibile pervenire alle medesime conclusioni (v. Cass. III, 23 agosto 1967, Palladino). � del tutto insufficiente il ricalcare in tali casi la motivazione della sentenza di primo grado, in quanto se questa pu�, nel caso di conferma, integrare quella del giudice di appello, non pu� ovviamente sostituirla, poich� non ha potuto tener conto dei motivi di gravame, dei quali deve darsi carico al giudice di appello. -(Omissis). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 20 ottobre 1969, n. 1215 -Pres. Mongiardo -Rel. De Falco -P. M. Bracci (conf.). Vesco. Procedimento penale -Appello -Dibattimento -Omesso interro~atorio dell'imputato -Non � causa di nullit� assoluta. (art. 441, 519 c.p.p.). Procedimento penale -Difensore -Sostituzione del difensore d'ufficio. (Cost., 128 c.p.p.). L'omesso interrogatorio dell'imputato nel giudizio d'appello non � norma di nullit� assoluta poich� il giudizio d'appello si svolge necessariamente di no1"ma sugli atti del primo giudice e la lettura degli atti i i, I I i I I 1}82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO � limitata a queUi dei quali � riconosciuta la necessit� o ne � fatta richiesta (1). La nomina del difensore d'ufficio � atto revocabile e rettamente quindi il giudice di rinvio pu� procedere alla sostituzione del difensore (2). (Omissis). -Il secondo motivo aggiunto si articola in due censure; nullit� del giudizio di rinvio per violazione del principio dell'orobilit� e del diritto di rappresentanza 'e difesa dell'imputato contumace, deduce _anzitutto il ricorrente che, all'udienza del 24 febbraio 1968, non si procedette alla lettura dell'interrogatorio e delle dichiarazioni del Vesco ,contumace (n� rileva la formula del verbale redatto a stampa), n� all'interrogatorio del Martinelli, dato il contrasto tra gli imputati, l'interrogatorio era indispensabile per l'accertamento della colpevolezza del Vesco; assume inoltre che, senza un valido motivo, � stato sostituito il difensore di ufficio di quest'ultimo, con violazione dei diritti della difesa, in quanto il nuovo difensore nulla conosceva del processo. Il motivo non � .meritevole di accoglimento. Ed invero, il .giudizio di appello si svolge necessariamente, di norma, sugli atti del primo giudizio e la situazione processuale � pubblicizzata dalla relazione del giudice, onde, nel dibattimento di appello; la lettura degli atti � limitata (art. 518 c.p.p.) a quelli dei quali � riconosciuta la necessit� ed � disposta dal presidente di ufficio o su richiesta dei giudici oppure ad istanza del P. M. o delle parti private; non sussiste quindi la denunziata� violazione del principio dell'oralit� in quanto nessuna ricqiesta risulta formulata mentre, in considerazione del limitato ambito delle attivit� processuali nel giudizio di appello, ;anche l'adozione di un modulo a stampa pu�, per talune di esse, essere (1) Massima consolidata v. Cass. 12 febbraio 1965 in Cass. Pen. Mass. Annot. 1966, n. 277, m. 368. Nemmeno nelJ.'ipotesi che l'interrogatorio sia stato omesso sia in primo ,che in secondo grado fa giurisprudenza ravvisa un'ipotesi di nullit� assoluta v. Cass. 17 febbraio 1967 in Cass. Pen. Mass. Annot. 1967, p. 1327, m. 2029; 2 maggio 1966, ivi, p. 872, m. 1343. Nel senso invece della nullit� assoluta per omesso interrogatorio dell'imputato solo in appello, v. Cass. 12 nov:emb:re 1959 in Giust. Pen. 1960, HI, c. 292, m. 359. In dottrina sostengono la nullit� assoluta: LEONE, Trattato di dir. proc. pen., III, 1961, p. 154; MAssA, v. Dibattimento in Novissimo dig. it. So stengono invece la tesi contraria, conforme alla sentenza annotata: VELOTTI, Manuale dir. proc. pen., 1965, p. 256; BELLAVISTA, Lezioni di dir. proc. pen., .1965, p. 403. �l stato anche ritenuto che non esiste nullit� ,del dibattimento d'appello nel caso in cui la relazione del magistrato delegato sia manchevole o inesatta (Cass. 10 maggio 1966, in Cass. Pen. Mass. Annot., 1967, p. 566, m. 851) in quanto la nullit� per omessa relazione in appello non risulta PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 983 .idonea ai fini della dimostrazione del compimento delle attivit� stesse (n� la presente decisione � in contrasto con l'altra di questa Corte, invocata dal ricorrente, in quanto la stessa riguarda una ben distinta ipotesi del giudizio di primo grado). Il ricorrente, poi, non � legittimato a far valere la nullit� dipendente dal mancato interrogatorio (se in effetti omesso) del Martinelli, perch� esclusiva a distinto soggetto processuale, a parte il rilievo che essa (art. 187 c.p.p.) deve ritenersi sanata per effetto della mancata deduzione da parte dell'imputato, presente al dibattimento, e dal suo difensore; sotto l'altro profilo prospettato dal ricorrente valgano le ~onsiderazioni svolte in precedenza in relazione al fatto che nel giudizio di rinvio non risulta formulata alcuna richiesta di lettura dell'interro, gatorio del Martinelli ai fini istruttori oggi dedotti dalla difesa. Ed infine, non sussiste la nullit� nemmeno sotto l'ultimo dei profili pi;ospettati perch� la nomina del difensore di ufficio � un atto revo �cabile e rettamente, quindi, il giudice di rinvio procedette alla sostituzione del difensore; n� costui formul� alcuna richiesta ai fini sostanziali �di difesa, oggi dedotti dal ricorrente. -(Omissis). �sancita dall'art. 518, n� rientra in alcune delle ipotesi previste dall'art. 185 c.p.p. V. in questo senso BELLAVISTA, v. Appello (dir. proc. pen.) in Enciclopedia del diritto. (2) La seconda massima � conforme ad un indirizzo giurisprudenziale non esente da critiche: nel caso, il ricorrente aveva lamentato la sostituzione del difensore �senza valido motivo e la Suprema Corte �Si � limitata .ad affermare la revocabilit� della nomina del difensore d'ufficio senza darsi carico della doglianza relativa al difetto di motivazione, difetto che era gi� stato affermato non costituire causa di nullit�. V. Cass. 9 marzo 1966 in Cass. Pen. Mass. Annot. 1967, p. 741, m. 1166 con nota critica di �Guarinie1lo, in cui si afferma esattamente che il �giustificato motivo� cui fa riferimento l'art. 128 c.p.p. intende delimitare il potere di sostituzione .spettante all'Autorit� procedente ed assicurare quindi la conoscenza deLle ragioni che ne determinano l'esercizio il che, ovviamente, con un provve �dimenfo immotivato � del tutto impossibile; v. anche in questa Rassegna, 1968, pp. 1131-1132. P.D.T. TRIBUNALE PENALE de l'Aquila, 20 gennaio 1969 -Pres. -Est. Del Forno -Imp. Biadene ed altri, per frana del Vajont (ordinanza). I �1 Parte civile -Coincidenza della qualit� di responsabile civile -Ammissibilit� -Limiti. I I (c.p.p., artt. 91, 107). I I I I I I I I I 984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Parte civile -Danni diretti e indiretti -Provvidenze ex lege 4 novembre 1963, n. 1457, art. 3 bis; e legge integrativa 31 maggio 1964, n. 357, art. 5, per zone devastate dalla catastrofe del Vajont. (c.p.p., art. 91, 93, 94; c.p. 185). Possono cumularsi nello stesso oggetto la qualit� di parte civile e quella di responsabile civile, per il medesimo fatto (1). La costituzione di parte civile � ammissibile solo per il risarcimento di specificati danni diretti, fra cui non possono rientrare i sussidi, con- Parte civile, danni diretti, responsabile civile. (1) In senso conforme v. Cass. 12 maggio 1961, Sez. III, Bertolani, Giust. pen., 1962, P., III, p. 91, massima n. 168 (notaio, respons. civile citato dai creditori, per somme depositate, e sottratte da impiegato dello studio notarile). 'Invece, nel MANZINI, Trattato di diritto processuale penale, ed. VI, 1968, vol. II, rp. 416, si legge: � Il responsabile civile per il fatto� di cui l'imputato � chiamato a rispondere penalmente non pu� costituirsi parte civile nel processo penale contro quest'ultimo, a fine di esercitare l'azione di re,gresso vel'so di J.ui (v. art. 2055 e.e.), perch� tale azione non sorge dal reato, bens� da un rapporto meramente civile, ed � condizionata alla condanna dell'imputato e del responsabile civile stesso, cos� che l'interesse di costui non � neppure attuale�. Nello stesso senso deve interpretarsi l'opinione del LEVI, La parte civile, II ed., 1936, 253, ,e la giurisprudenza 1899-1915, ivi citata. Nella fattispecie, il Ministero LL.PP. (citato quale responsabile civile dal sinistrato dott. Protti) non si � �Costituito p.c. contro i funzionari statali (a fini di rivalsa), ma esclusivamente contro gli imputati della Soc. Sade, sostenendo la loro responsabilit� esclusiva, con proscioglimento dei coimputati ministeriali, �cui si nascose la situazione di allarme per il bacino. Pertanto, ,trattasi di situazione diversa da quella ipotizzata da MANZINI- LEVI, ,e per la quale, a maggior ragione, rpu� riconoscersi la compatibilit� delle due vesti giuridiche, per il medesimo soggetto, gi� affermata nella citata pronunzia Cass. 12 maggio 1961. D'altra parte, la citazione � 12 gennaio 1967 del danneggiato Protti � mero atto di parte; perch� l'intervento del G.I. si liinitava ad accertare che lo stesso Protti gi� erasi costituito p.c., acquisendo il diritto di citare il Ministero, quale responsabile civile. Tale atto, proprio perch� proveniente da una persona offesa, non pu� evidentemente ledere �l'interesse contrapposto del Ministero LL.PP., che intendeva tutelare le proprie distinte e separate ragioni creditorie, attraverso l'intervento in giudizio, quale parte civile (per danni agli impianti ferroviari, stradali etc. di Longarone, e zone limitrofe). In tal senso v. FARANDA, Resp. civile ed azione di rivalsa nel giudizio penale, Ed. Utet 1893, 177-194. Diversamente, una mera accidentalit� cronologica (precedenza temporale della ,citazione di responsabile ci;vile, rispetto al soggetto che intende costituirsi parte civile, o viceversa), verrebbe ad acquistare rilevanza giuridica abnorme, in contrasto con l'art. 93 c.p.p., che consente di costituirsi p.c. fino alla data del dibattimento, prima che siano compiute le formalit� di apertura, per la prima volta. E non pu� un mero atto di parte privare� ' ' . ' PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 985 tributi ecc. erogati ai danneggiati da Amministrazioni statali in forza delle leggi speciali 4 novembre 1963, n. 1457, 31 maggio 1964, n. 357, per la frana del Vajont (2). (Omissis). -d) relativam~nte alla opposizione alla costituzione di parte civile del Ministero dei Lavori Pubblici, formulata all'udienza del 10 dicembre 1968 dalla difesa dell'imputato Biadene Alberico, ed alla quale ha aderito la difesa degli imputati Tonini, Marin e Ghetti, nonch� la difesa dei responsabili civili E.N.E.L. e Montedison S.p.A., di tale diritto soggettivo un controinteressato, sottraendogli lo spatium deLiberandi previsto dall'art. 93 c.p.p., per decidere la costituzione (o meno) di parte civile. La persona offesa � considerata dalla legge (art. 408, comma II: 447 c.p.p.) � testimone ., anche quando si costituisce parte civile; cio�, viene riconosciuta allo stesso soggetto la possibilit� giuridica di cumulare il disinteresse della deposizione testimoniale con l'interesse del danneggiato, e conseguire il ristoro della lesione patrimoniale, nei confronti di una medesima controparte (imputato). Tale principio generale, applicato analogicamente, fa risultare legittimo che un soggetto cumuli la V'este di responsabile civile (parificato all'imputato) ,con quella di parte civile (assunta come teste), a tutela di interessi autonomi e diversi, ne� �confronti di parti che sono del pari autonome e diverse. Vale a dire, il Ministero LLPP., ha veste di responsabile civile (pretesa colpa dei funzionari Min. LLPP.), verso i sinistrati del Vajont: e veste di parte civile per ottenere il risarcimento danni (almeno pro quota) contro gli imputati della Soc. Montedison Sade, autori di quei danni statali. (2) Tale massima risulta �opinabile in base alle norme speciali e testuali della legislazione relativa ai danni del Vajont. La tesi avversaria afferma ,che l'azione di regresso � esercitabile soltanto da chi (e.e. artt. 2049 e 2055) ha risarcito il danno avendone l'obbligo, cio� da chi ,si � trovato nella necessit� giuridica di risarcirlo: vale a dire, � esercitabile soltanto quando si tratta di risarcimento spettante ai danneggiati, in seguito ait'accertamento di eventuali responsabilit�, in quanto si deve. trattare di un risarcimento dovuto: non quindi di una . anticipazione sul risarcimento, e neppure addirittura di un risarcimento �suggerito da fini pubblici umanitari e da, sia pur comprensibili, ragioni .sociali. Senonch�, il Mini.stero LL.PP. � titolare di un'azione per co1pa extracontrattuale degli imputati Sade-Montedison, ancor prima del giudicato penale in itinere a foro carico, dinanzi il Tribunale dell'Aquila. Infatti, a differenza della norma contenuta nell'art. 2055 e.e., la legge n>eciale sul Vajont 31 maggio 1964, n. 357, art. 5, dichiara che, nei limiti lelle somme anticipate, e cio� fin da quando tale anticipazione � interve1uta (e senza necessit� di un accertamento giudiziario penale), lo Stato � surrogato ai beneficiari delle anticipazioni, nei �confronti dei responsabili eventuali� (anche se ancora non individuati dal giudicato penale). (...). Pertanto, il diritto dello Stato per le quote � anticipate � (ai sinistrati) '; risarcimento dei danni patrimoniali � azionabile fin da ora (attraverso 986 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO rileva in punto di fatto: 1) che il Ministero dei Lavori Pubblici, con decreto in data 1l gennaio 1967 del giudice istruttore, presso il Tribunale di Belluno, emesso ad istanza del dr. Giampiet.ro Protti, venne citato quale responsabile civile per il fatto dei propri dipendenti ingg. Francesco Sensidoni e Curzio Batini; 2) che lo stesso Ministero, con atto notificato il 30 ottobre 1968, si costitu� parte civile contro gli imputati Biadene Alberico, Pancini Mario, Tonini Dino, Marin Roberto e Ghetti Augusto; 3) infine che, con �tto del 7 novembre 1968, il Ministero medesimo chiese la citaziQne, quali responsabili civili, della Montedison S.p.A. (quale avente causa dalla Societ� S.A.D.E.) e dell'Ente Nazionale per l'Energia Elettrica -E.N.E.L., entrambi per il fatto degli imputati Biadene Alberico, Pancini Mario, Tonini Dino, Marin Roberto e Ghetti Augusto; osserva quindi 1) che, in tesi, la possibile coincidenza in un unico soggetto della posizione processuale di parte civile, e della posizione processuale di responsabile civile, non possa revoca�rsi in dubbio. costituzione di p.c.), mentre l'art. 2055 e.e. non contiene la espressione e eventuali� responsabili; �e non consente tale costituzione di P.C., appunto perch�, nella diversa situazione di regresso ivi disciplinata, chi ha risarcito iJ. danno deve attendere la statuizione giuridica dell'A.G.O. circa �misura determinata dalla gravita della rispettiva colpa e dall'entit� delle conseguenze che ne sono derivate �. L'art. 2055 e.e. disciplina l'ipotesi in cui, sulla base di una scelta del danneggiato, uno qualsiasi dei coautori del danno � stato chiamato a risarcire l'intera entit� del danno, anzich� quella sola rparte che sarebbe determinabile, secondo la gravit� della sua colpa e l'efficienza causale della sua azione; e stabilisce �che di questi ultimi elementi (accertati giudiziariamente) si deve tener conto nel regolare il modo in cui la responsabilit� si ripercuote nei rapporti interni tra i coautori del danno, attraverso l'azione di regresso. Invece, dorpo il disastro del Vajont, lo Stato, rper impulso doveroso. istituzionale, ha inticipato (non rper intero, ma solo pro quota) ai sinistrati il risarcimento del danno patrimoniale; e non ha fatto una mera riserva per regresso (ex art. 2055 e.e.) contro ev�entuali responsabili, sibbene si � espressamente surrogato ex lege ai beneficiari sinistrati (ripetesi) per consentire anche un intervento in sede penale, dove saranno determinate le singole quote di colpa dannosa a terzi. In via esemplificativa, si richiama il d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 11 che disciplina come .segue la surroga dell'Inail per l'indennizzo infortunistico versato: � L'Istituto assicuratore deve pagare la indennit� anche nei �casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo d'indennit�, e per �le spese acce.ssorie contro PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 987 Basti aver riguardo alla ipotesi limite del concorso formale di reati, posto in essere con un'unica condotta da un unico imputato, rispetto al quale uno stesso soggetto si presenti portatore di una pretesa risarcitoria che lo abiliti a costitu_irsi . parte civile e, ad un tempo, si presenti portatore di un autonomo titolo di responsabilit� civile (ad esempio, proprietario di autoveicolo in veste di trasportato eh@, rimasto ferito in uno scontro in cui l'autoveicolo stesso sia stato coinvolto, assuma rispetto ai terzi danneggiati la posizione di responsabile civile per il fatto del conducente, rimanend� tuttavia legittimato ad assumere la posizione di parte civile nei confronti dello stesso conducente); 2) che, a maggior ragione, la coincidenza suddetta possa verificarsi nella ipotesi di un unico reato posto in essere con condotte plurime da pi� soggetti, e ci� sia nella configurazione del concorso di cause colpose indipendenti, sia -come nella specie -nella configurazione della cooperazione colposa; 'pertanto visto l'art. 98 c.p.p; le persone civilmente responsabili -Omissis -La sentenza, che accerta la responsabilit� civile a norma del precedente articolo, � sufficiente a costituire l'Istituto Assicuratore in credito verso la persona civilmente responsabile per le somme indicate nel comma precedente. L'Istituto pu�, altres�, esercitare la stessa azione di regresso contro l'infortunato, quando l'infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo, accertato con sentenza penale -Omissis �. Da siffatte espressioni letterali, si � ricavato in giurisprudenza che la surrogatoria assicurativa Inail � solo facoltativa, e non rappresenta titolo per costituirsi parte civile, nel processo penale, contro il responsabile dell'infortunio. Infatti, non il mero pagamento dell'indennizzo costituisce l'Istituto in credito, ma solo la sentenza che accerta l'obbligazione del responsabile civile; onde ,consegue che, prima di tale pronunzia ,condannatoria, l'Istituto non pu� esercitare il diritto di regresso (e non avrebbe titolo per costituirsi parte civile contro l'imputato). In tal senso, vedasi BoRETTINI,. Azione civile ex deUcto e azione surrogatoria nel procedimento penale (Riv. Penale CIX, 1929, 322, relativamente alla pregressa legge infortuni 31 gennaio 1904, n. 51). Ma, appare evidente che, in via analogica, tali preclusioni (forse) avrebbero potuto opporti allo Stato, per la rivalsa come disciplinata nel sopra riferito art. 33, '1egge 4 novembre 1963, n. 1457, mentre non hanno fondamento dopo le innovazioni giuridiche introdotte con art. 5 legge 31 maggio 1964, n. 357, proprio per rendere pi� efficace e penetrante la soddisfazione del credito statale. Quest'ultima legge sostanzialmente ha trasferito sulla Comunit� Nazionale l'obbligo del risarcimento, gravante invece sui responsabili del fatto dannoso; e tali anticipazioni statali rappresentano conseguenza immediata. � , ��.� �. _wp;-;.::-..::: 11��=m-%1fjfilw. .,,,. �=���� 'f.W-4���tW-x~=f�.i~;=-'nf.f.!.f=::.:%'�=�:'".r:tJ.:?%~�::::-.>'=AN~::::�� .::....-.:i;.m--..::::::� .m . w..:::: B ;z:::--.::=~=qltV.:::N��,;:;.,.::::: .� ,,,::::::-At.;.::::.:{-=-==!I=.,..,,,,ilflili"ff*""4.�.,� 0-J.@t:W& :.;;:--fa%.-X:'f=== �.-...�<:#.� ::==PWk@'1�.:t.::~ w.$Ji}t4Jf&.foJ.�itfl w, �_,. w#ZJ:t.!fi:::,(@=-,M'..;,x-i/ ,%.:;:.$",; 'r/..WJ.<==K//&%% W&::xi"W:Wk i'Jlli:".:;" � II 988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO w~ rigetta !fil la opposizione come sopra proposta avverso la costituzione di lii parte civile operata dal Ministero dei Lavori Pubblici, salvo -riguardo a quest'ultimo -quanto di seguito deciso sub f); e) relativamente alla opposizione alla costituzione di parte civile I del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, limitatamente agli interventi straordinari verso i lavoratori sinistrati, operati ai sensi della legge 4 novembre 1963, n. 1457; opposizione formulata all'udienza del 10 dicembre 1968 dalla difesa dell'imputato Biadene Alberico ed I alla quale ha aderito la difesa degli imputati Tonini, Marin e Ghetti, nonch� la difesa dei responsabili civili E.N.E.L. e Montedison S.p.A. ~ ;j ;j ed altresl ;j I f) relativamente alla oppos1z10ne alla costituzione di parte civile del Ministero dei Lavori Pubblici, del Ministero dell'Industria e Com-~ I w e diretta del reato, che ex iege � stata indirizzata, come danno patrimo niale, a carico dello Stato, evidentemente terzo estraneo, fra i sinistrati e gli autori della lesione economica (Sade + Enel). Non in base a mero rapporto contrattuale (come negli esempi citati in MANZINI, Trattato Dir. Proc. Pen., ,ed. VI. vol. II, pag. 428), ma in forza della sovranit� nazionale, per dovere di solidariet� inter cives, il Parlamento decideva d'indennizzare i sinistrati ,con pecunia pubblica, anche a fondo perduto, nella eventualit� che il diritto di surrogazione non possa ,esercitarsi contro i responsabili. Di qui consegue il diritto di costituirsi parte civile appunto nel giudizio penale dove, fra l'altro, si accerter� l'an debeatur degli imputati + responsabili civili, anche ai fini dell'azione surrogatoria statale, la quale fa succedere lo Stato nel diritto di tutti i beneficiari delle anticipazioni, onde li rappresenta nei limiti delle somme erogate � pro quota �. Non sembri assurdo che lo Stato possa ,costituirsi parte civile in ag. giunta (e non ad esclusione) dei singoli sinistrati, tenendo presente che w questi ultimi sono titolari anche di danno morale, mentre le anticipazioni !] statali riguardano solo il danno .patrimoniale: onde ben diversi sono gli Er.:. w interessi tutelabili con le �separate e rispettive costituzioni di parte civile. % ......:Il credito dello Stato (per le anticipazioni di cui sopra) esiste gi� fin !~~~ -Oal pagamento eseguito verso i sinistrati-beneficiari, e non sar� costituito w dalla sentenza penale condannatoria (emananda dal Collegio dell'Aquila), !W a differenza di quanto sopratllustrato per l'Inail, nei confronti dei responw sabili per danno. Pertanto, fin da ora, lo Stato vanta il titolo creditorio autonomo su cui fondare la costituzione di parte civile, appunto perch�, significativa mente, la legge speciale del Vajont 31 maggio 1964, n. 357, art. 5, non ha ~ usato le espressioni letterali e concettuali, gi� note e sperimentate fin dalla legge infortuni 31 gennaio 1904, n. 51, e testualmente ripetute con d.P.R. 1:::1 30 giugno 1965, n. 1124, art. 11; e r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 5. G. DONADIO PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 989 mercio, del Ministero dell'Interno, del Ministero del Tesoro, del Ministero dell'Agricoltura e Foreste; specificamente, nonch�, in genere, anche del Ministero dei Trasporti per le Ferrovie dello Stato, della Azienda Nazionale Autonoma delle Strade Statali -A.N.A.S., del Ministero delle Finanze, del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, del Ministero della Difesa, e dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, limitatamente ai titoli di danno riferibili alle provvidenze erogate in forza delle leggi 4 novembre 1963, n. 1457 e 31 maggio 1964, n. 357 -opposizione formulata all'udienza del 10 dicembre 1968 dalla difesa dell'imputato Biadene Alberico ed alla quale ha aderito la difesa degli im~utati .Tonini, Marin e Ghetti, nonch� la difesa dei responsabili civili E.N.E.L. e Montedison S.p.A., osserva preliminarmente che la legittimazione all'esercizio dell'azione civile nel processo penale � legislativamente riconosciuta -a mente dell'art. 22 p.p. c.p.p. -solo alla � persona alla quale il reato... ... abbia... recato danno�, ovvero al � suo erede, entro i limiti della quota ereditaria �; rileva quindi che il titolo legittimante in tesi l'esercizio dell'azione civile da parte delle ricordate Amministrazioni dello Stato, in ordine alle provvidenze in questione, deve pacificamente ravvirsarsi nella surrogazione ex lege che l'art. 3 bis della legge 4 novembre 1963, n. 1457, introdotto con l'art. 5 della legge 31 maggio 1964, n. 457, stabilisce, in favore dello Stato, nel diritto al risarcimento dei danni patrimoniali nei confronti degli eventuali responsabili, spettante ai beneficiari delle provvidenze medesime, configurabili per di pi� -queste -in forza dello stesso articolo~ come mera � anticipazione � sul risarcimento dei danni patrimoniali, potenzialmente attribuibili ai diretti danneggiati: cosicch� una legittimazione siffatta deve evidentemente negarsi; pertanto visto l'art. 98 c.p.p.; dichiara inammissibile la costituzione di parte civile operata dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, limitatamente agli interventi straordinari verso i lavoratori sinistrati, operati ai sensi della legge 4 novembre 1963, n. 1457, nonch� la costituzione di parte civile del Ministero dei Lavori Pubblici, del Ministero dell'Industria e Commercio, del Ministero dell'Interno, del Ministero del Tesoro, del Ministero della Agricoltura e delle Foreste, specificatamente, e, in genere, anche dei 15 990 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ministero dei Trasporti per le Ferrovie dello Stato, dell'Azienda Nazionale Autonoma delle Strade Statali -A.N.A.S., del Ministero delle Finanze, del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, del Ministero della Difesa e dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, limitatamente ai titoli di danno riferibil~ alle provvidenze erogate in forza delle leggi 4 novembre 1963, n. 1457 e 31 maggio 1964, n. 357. -(Omissis). TRIBUNALE PENALE de l'Aquila, 5 febbraio 1969 -Pres. Est. Del Forno -Imp. Ghetti ed altri per frana del Vajont (ordinanza). Procedimento penale. -Istruzione -Atti istruttori compiuti diretta mente nel territorio di uno Stato estero -Nullit� assoluta. (c.p.p., art. 185, n. 1, 312). Sono affetti da nuUit� assoluta gli atti istruttori (nella specie, esperimento giudiziale) compiuti dal giudice istruttore direttamente nel territorio di uno Stato estero, e non mediante le rogatorie internazionali (1). Convenzione italo-francese sull'aiuto reciproco giudiziario. (1) La motivazione � pubblicata in Giur. it., 1969, P. II, p. 294; e Foro it., 1969, P. II, p. 113. Nella specie, la Convenzione italo-francese 12 gennaio 1955 sull'aiuto reciproco giudiziario (1. 19 febbraio 1957, n. 155), menziona specificamente deposizioni, interrogatori, perizie (spese relative), senza alcun richiamo alle modalit� richieste da un esperimento giudiziario, consistente nella specie in �prova idraulica� a Nancy. Del pari, vedasi la Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, votata a Strasburgo il 20 aprile 1959, ed ora in vigore per Italia, Svizzera, Francia. Su formale richiesta 6 maggio 1967 del giudice istruttore di Belluno, tramite i Ministeri degli Affari Esteri e della Grazia e Giustizia, le Autorit� francesi comunicarono che i membri dell'A.G.O. italiana �saranno considerati, da parte francese, presenti a titolo privato �; e non delegarono alcun magistrato francese per redazione del correlativo verbale, in quanto mai avrebbero potuto ivi riprodursi le impressioni visivo-auricolari (rialzo ondoso per caduta in acqua di gravi, aventi diversa granulometria), che erano importanti per l'esperimento giudiziale. �A titolo pri"V'ato � non pu� interpretarsi a titolo � turistico ., o simili, ma nel senso che trattavasi di attivit� senza rilievo giuridico per l'ordinamento francese, malgrado i fini istruttori spiegati nella richiesta di rogatoria. Senza aubbio si creava una situazione anomala (Ufficio con P.M., cancellerie, avvocati ,ecc. all'estero), per la quale devesi osservare, tuttavia. che il sistema delle rogatorie mira a difendere la sovranit� del paese dove sono eseguite. Orbene, quando (come nella specie) la Repubblica Francese, ritualmente officiata con le modalit� della vigente Convenzione italo-francese, consente l'ingresso dell'A.G.0. italiana per l'esperimento giudiziario, di PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 991 sinteressandosene, appunto perch� non si trattava di assumere deposizioni, interrogatori, perizie (con relative spese), potrebbe sembrare eccessiva la declaratoria di nullit� del Tribunale Penale de l'Aquila, per un atto svoltosi attraverso maggiori garanzie processuali con intervento di Giudice istruttore, P. M., legali in contraddittorio, ecc., rispetto ad un mero verbale compilafo (in ipotesi) da giudice straniero, per rogatoria. Tanto pi� che il Tribunale Penale dell'Aquila � venuto, sostanzialmente, a sindacare la interpretazione liberale che della Convenzione internazionale, per il caso specifico, avevano dato le Autorit� francesi, ritenendo superfluo il.'intervento di un loro magistrato per la verbalizzazione di. operazione istruttoria (esperimento giudiziario), non indicata espressamente nella ,Convenzione italo-francese, dopo che inutilmente il G.I. di Belluno aveva rispettato gli artt. 657 c.p.p., e 53 Disp. attuaz. c.p.p, 28 maggio 1931, n. 602, per le rogatorie ad Autorit� straniere. Il Tri.bunale Penale dell'Aquila, praticamente, afferma che l'A.G.O., avrebbe dovuto rinunziare all'esperimento giudiziario (ritenuto invece necessario dal G.I.), presso l'Istituto Universitario d'Idraulica, diretto a Nancy dal prof. Roubault (membro del II Collegio internazionale Calvino), sol perch� .ie Autorit� francesi non avevano concesso l'intervento di un loro giudice, in rogatoria. Oppure il G.I. di Belluno avrebbe dovuto polemizzare, per i canali diplomatici, onde hnporre alle Autorit� francesi una interpretazione della convenzione internazionale meno favorevole all'A.G.O. italiana (pi� gollista, si sarebbe detto e illo tempore � ), insistendo per dimostrare che la rogatoria � indispensabile pure per gli e esperimenti giudiziari � ' mediante la partecipazione di giudice francese. Trattasi di conclusioni che possono lasciare perplessi, pur dovendo rilevare come l'ordinanza dibattimentale 5 febbraio 1969 riusci a frustrare lo scopo finale dell'eccezione, mirante ad una declaratoria di nullit� per tutta la seconda perizia Calvino (cui ineriva l'esperimento di Nancy). La sentenza Cass., Sez. Un., 24 giugno 1967, Foro it., 1968, II, 531; e Giur. it., 1968, II, 292), in omaggio al principio di non regressione, impediva di rimettere gli atti in istruttoria, �~er un rinnovo di perizia, o di esperimento giudiziario (se del caso). Tuttavia, saggiamente � peritus peritorum. il Tribunale Penale dell'Aquila limit� la declaratoria di nullit� al verbale per l'esperienza idraulica di Nancy, quale atto autonomo (e meramente complementare alla perizia), senza necessit� di rinnovarla, dopo te sopravv.enute acquisizioni anche dibattimentali. G. DONADIO PARTE SECONDA I m Iw f.; � ~![i (:; r 1::1 I . , r ~ . . I ~: ' I , I I , . , w: w ra Ili! RASSEGNA DI DOTTRINA W. N. HoHFELD, Concetti giuridici fondamentali, Einaudi, Torino, 1969, pagg, 240. La giuscibernetica, la branca pi� moderna e tecnica della ricerca giuridica, � alle porte. Elaboratori elettronici dal meccanismo prodigioso ed infallibile potrebbero essere gi� belli e (pronti per fornire agli operatori pratici (e non) del diritto i dati necessari per un pi� sollecito ed esatto svolgimento del lavoro professionale (o teorico) se ... i .giuristi sapessero mettersi d'accordo ed affidare ai docili ma esigenti computers una descrizione .sufficientemente chiara e lineare di �concrete situazioni giuridiche. Ma l'accordo dei �giuristi non c'�! L'univocit� di vedute manca sugli stessi concetti giuridici fondamentali; aspetti di ambiguit�, del tutto incompatibili con l'esigenza di una programmazione elettronica, si ritrovano in tutta la sistemazione delle modalit� giuridiche. Siamo ancora all'anno zero: la giuscibernetica deve battere il passo, fare anticamera, anche se la ricerca di tirpo �artigianale �1 tra montagne di libri e polverosi scaffali, diventa sempl'e pi� difficile con il passare del tempo, con l'accrescersi a di~sura della produzione legislativa, dell'elaborazione giurisprudenziale e di quella dottrinaria. Per superare l'impasse occorre mettere ordine, sistemare fugando le ambiguit�. Se necessario, non � male cominciare ab ovo, riscoprire testi � da antiquariato � quando si tratta di opere valide, chiarificatrici. Con questo lodevole intento i curatore del volume in rassegna ci propongono una � rilettura � di HoFHELD, questo scrittore moderno ma non contemporaneo, vissuto a cavallo tra il nostro secolo e quello precedente, conosciutissimo nel mondo anglosassone ma rpressoch� ignorato dalla scienza giuridica continentale, sempre restia a spingere lo sguardo oltre Manica o oltre Oceano. Le teorie di questo poderoso giurista non ci giungono, per�, del tutto sconosciute. Ne abbiamo preso nozione attraverso lo studio di ALF Ross, il giurista scandinavo di cui abbiamo l'ecensito su questa Rassegna il noto Diritto e giustizia (Einaudi editore, Torino, 1965), tutto strutturato sulla base degli otto concetti giuridici fondamentali hohfeldiani. Quali sono questi otto concetti? H. li. sistema nel seguente schema : Opposti giuridici (Diritto-Non diritto; Privilegio-Dovere; Potere-Incapacit�; Immunit�-Soggezione) Correlativi giuridici (Diritto-Dovere; Privilegio- Non diritto; Potere-Soggezione; Immunit�-Incapacit�) e sostiene che per mezzo di essi � possibile formulare tutti gli ipotizzabili problemi giuridici. Una cosa che colpisce subito chi abbia familiarit� col diritto e con gli scrittori di jurisprudence anglosassone o scandinava � che i termini dello schema hohfeldiano, salvo un'eccezione non sono nuovi ma sono sempre stati usati pi� o meno frequentemente. L'unico autore, per�, che abbia intravisto l'importanza di tali concetti nell'analisi e nella sistemazione di tutti i problemi giuridici � stato il TERRY nella sua opera: Leading Principies of Anglo-American Law. 172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Tutto quanto si � detto � sottolineato effica�cemente da W. W. CooK, il cui saggio Hohfeld's Contributions to the Science of Law � stato premesso al volume in rassegna come introduzione. Il libro che segnaliamo ai lettori � arricchito anche da un'Appendice costituita da uno scritto di M. MoRITZ (studioso tedesco, ora cittadino svedese e professore di filosofia del �diritto all'Universit� di Lund) che pu� definif>Bi il pi� lucido approccio, non soltanto chiarificatore, ma anche critico, nei riguardi dei concetti giuridici fondamentali individuati da H. La traduzione degli scritti contenuti nel volume � stata curata da Mario G. Losano e da Angelo Pichierri. L. MAZZELLA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE LEGGI E DECRETI * Legge 1� ottobre 1969, n. 679 � Autorizza la sostituzione degli atti del catasto terreni e del catasto edilizio urbano con nuovi atti idonei alla elaborazione meccanografica e modifica gli artt. 40, 55, 56, 57, 57 bis e 60 del r.d. 8 ottobre 1931, n. 1572, con semplificazione delle procedure catastali (G. U. 20 ottobre 1969, n. 266). NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE * NORME DELLE QUALI � STATO PROMOSSO GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE Codice di procedura civile, art. 621 (Limiti della prova testimoniale), in quanto, con disparit� di trattamento rispetto ai diritti acquistati a titolo derivativo, non consente al terzo opponente di far valere il diritto acquistato a titolo originario, che 'pu� essere provato solo con testimoni (artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione) (1). Pretore di Roma, ordinanza 19 febbraio 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. codice penale, art. 163 (Sospensione coodizionale della pena), primo comma, in quanto limita la possibilit� di concedere la sospensione condizionale della pena (art. 27, terzo comma, della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 17 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. codice penale, art. 236 (Specie delle misure di sicurezza patrimoniali: regole generali), e art. 240 (Confisca), in quanto consentono, con � Si segnalano i provvedimenti ritenuti di maggiore interesse. � Tra parentesi sono indicati gli articoli della Costituzione in riferimento ai quali sono state proposte le questioni di legittimit� costituzionale. (1) Altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione � stata proposta dal pretore di Verbania con ordinanza 15 dicembre 1968 (G. U. 12 marzo 1969, n. 66). 174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la confisca, la espropriazione della propriet� privata senza indennizzo (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Pianella, ordinanza 14 marzo 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. c:odlc:e penale, art. 539 (Etd della peTsona offesa), per la ingiustificata disparit� di trattamento che ne deriva fra chi � ammesso a provare l'ignoranza dell'et� nei casi di cui al n. 2 dell'art. 519 del codice penale penale o dell'infermit� di mente nei casi di cui al n. 3 dello stesso artioclo e chi versa nell'ipotesi di cui al n. 1 delle stesse disposizioni di legge (art. 3 della Costituzione) (2). Tribunale di Parma, ordinanza 23 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. c:odic:e penale, art. 559 (Adulterio), terzo comma, in quanto punisce la relazione adulterina della moglie in ipotesi nella quale la corrispondente condotta del marito non costituisce reato (art. 29 della Costituzione) (3). Tribunale di Trapani, ordinanza 17 marzo 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269 (4). Pretore di Asolo, ordinanza 11 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. Pretore di Napoli, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 23 maggio 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1969, G. U. 24 settembre 1969, ri. 243. c:odic:e penale, art. 560 (Concubinato), in quanto punisce la relazione adulterina del marito, con criterio diverso da quello stabilito per la moglie dall'art. 559, terzo comma, del codice penale, solo quando ricorrano per ulteriori elementi della notoriet� o della convivenza dei concubini nella casa coniugale (artt. 3 e 29 della Costituzione) (5). Pretore di Nocera Inferiore, ordinanza 8 febbraio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. Tribunale di Trapani, ordinanza 17 marzo 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. (2) Altra questione di legittimit� della disposizione � stata dichiarata non fondata, in riferimento all'art. 27, primo comma, della Costituzione, con sentenza � 8 luglio 1957, n. 107. (3) Questione gi� proposta, in riferimento anche all'art. 3 della Costituzione, con altre cinquantatre ordinanze di vari giudici (v. retro, II, 77 e 141). (4) Dal tribunale di Trapani la questione � stata proposta anche per il quarto comma della disposizione. (5) Questione gi� proposta con altre quindici ordinanze di vari giudici( v. retro, Il, 78 e 142). PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 175 codice penale, art, 571 (Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina), secondo comma, in . quanto prevede, con disciplina diversa da quella stabilita per il delitto di lesioni lievi comuni, la perseguibilit� di ufficio delle lesioni cagionate per abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 3 della Costituzione). Pretore di Napoli, ordinanza 15 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. codice penale, art. 588 (Rissa), secondo comma, in quanto prevede la imputazione degli eventi aggravanti e per il solo fatto della partecipazione alla rissa > (art. 27 della Costituzione) (6). Tribunale di Vigevano, ordinanza 16 maggio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. codice penale, art. 625 (Circostanze aggravanti), ultimo comma, in quanto stabilisce il minimo edittale della pena in misura che non consente di concedere la sospensione condizionale della pena (art. 27, terzo comma, della Costituzione) (7). ' Trib'unale di Milano, ordinanza 17 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. codice di procedura penale, art. 128 (Nomina del difensore d'ufficio all'imputato), in quanto l'assistenza del difensore di ufficio non garantisce la effettiva difesa dell'imputato (artt. 3 e 24 della Costituzione) (8). Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 12 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. codice di procedura penale, art. 151 (Deposito in Cancelleria dei provvedimenti del giudice e relativo avviso), terzo comma, in quanto, nel limitare l'obbligo della notificazione dell'avviso di deposito della sentenza al difensore che abbia proposto impugnazione o a quello che sia stato designato dall'imputato nella dichiarazione d'impugnazione, non prevede l'obbligo della notificazione al difensore del dibattimento, che (6} Questione proposta anche dal tribunale di Milano (ordinanza 9 aprile 1969, G. U. 9 luglio 1969, n. 172). (7} Altra questione di legittimit� costituzione della disposizione � stata proposta dal pretore di Siena (ordinanza 27 maggio 1969, G. U. 9 luglio 1969, ;n. 172}. (8} Analoga questione � stata gi� proposta dal giudice istruttore dal tribunale di Vercelli (ordinanza 12 agosto 1968, G. U. 30 novembre 1968, n. 305). Altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione � stata dichiarata non fondata, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, con sentenza 22 dicembre 1964, n. 114, e riproposta dal pretore di Roma con ordinanze 17 aprile 1968 (G. U. 28 settembre 1968, n. 248) e 10 dicembre 1968 (G. U. 26 marzo 1969, n. 78). 176 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO pu� invece sottoscrivere i motivi di appello pur non avendo proposto la impugnazione (art. 24, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Marsala, ordinanza 15 aprile 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. codice di procedura penale, art. 398 (Poteri del p1�etore nel procedimento con ist1�uzione sommaria), terzo comma, in quanto limita l'obbligo della contestazione del reato prima della citazione in giudizio alla sola ipotesi in cui siano compiuti atti di istruzione, escludendo tale obbligo quando siano compiuti atti preliminari all'istruzione (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione) (9) (10). Tribunale di Ferrara, ordinanze 10 dicembre 1968 e 30 gennaio 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. codice di procedura penale, art. 586 (Esecuzione di pene pecuniarie), in quanto consente la conversione delle pene pecunarie in pene detentive in danno del condannato fallito, prima dell'esaurimento della procedura concorsuale (art. 3 della Costituzione) (11). Pretore di Catanzaro, ordinanza 6 maggio 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. codice della navigazione (r.d. 30 marzo 1942, n. 327), art. 1238 (Competenza per le contravvenzioni), secondo c:�omma, in quanto esclude, nel giudizio avanti il comandante del porto, l'assistenza del pubblico ministero (art. 24, secondo comma, della Costituzione) (12). Comandante del porto di Pesaro, ordinanza 18 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. (9) Questione gi� proposta (e con analogo riferimento alla qualificazione degli atti di polizia giudiziaria contenuta nella sentenza 5 luglio 1968, n. 86 della Corte costituzionale) dal pretore di Ronciglione (ordinanza 3 dicembre 1968, G. U. 12 marzo 1969, n. 66) e dal tribunale di Como (ordinanza 21 febbraio 1969, G. U. 21 maggio 1969, n. 128). 10) L'art. 398 del codice di procedura penale e limitatamente alle parti in cui, nei procedimenti di competenza del pretore, non prevede la contestazione del fatto e l'interrogatorio deWimputato, qualora si proceda al compimento di atti di istruzione � � stato dichiarato incostituzionale con sentenza 28 aprile 1966, n. a.a. La questione di legittimit� costituzionale della disposizione, nella parte in cui non prevede l'obbligo della contestazione del :tatto qualora non si proceda al compimento di atti di istruzione, � stata invece dichiarata non fondata, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, con sentenza 18 aprile 1967, n. 46. (11) Altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione � stata dichiarata non fondata in riferimento agli artt. 2, 3 e 13, primo comma della Costituzione, con sentenza 27 marzo 1962, n. 29. (12) Per altre questioni di legittimit� costituzionale della disposizione v. sentenze ed ordinanze citate nella nota che segue. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 177 codice della navigazione (r.cl. 30 marzo 1942, n. 327) art. 1238 (Competenza per le contravvenzioni) e art. 1242 (Decreto cli� condanna), in quanto attribuiscono funzioni giurisdizionali all'autorit� amministrativa, oltretutto non ricusabile (artt. 101, 102 e 108 della Costituzione) (13). Comandante del porto di Castellammare di Stabia, ordinanza 15 aprile 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. Capo del circondario marittimo di Porto Stefano, ordinanza 5 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. r. d. 11 marzo 1923, n. 560 (Abolizione, a decorrere dal 10 giugno 1923, del monopolio dei fiammiferi ecl istituzione di una imposta di produzione), art. 3 e artt. 1, ultimo comma, 2, 9, 1 O e 18 della convenzione annessa, in quanto riservano al Consorzio industrie fiammiferi, in esclusiva, la fabbricazione e la vendita di fiammiferi, con divieto per lo Stato di accordare autorizzazione per la fabbricazione di fiammiferi a soggetti non appartenenti al Consorzio (artt. 3, 41 e 43 della Coi>tituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033 (Norme per la repressione delle frocli nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), artt. 41, 43, 44 (14) e 46, in quanto, nel disciplinare le modalit� del sequestro e delle analisi dei campioni, non prevedono l'intervento dell'interessato (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione) (15). Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 25 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269 (art. 41). Pretore di Laurenzana, ordinanza 26 giugno 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243 (artt. 43, 44 e 46). r. d. I. 15 aprile 1926, n. 765 (Provvedimenti per la tutela e lo sviluppo dei luoghi di cura, di soggiorno o di turismo), convertito con (13) Questione dichiarata non fondata con sentenze 10 giugno 1960, n. 41 (art. 102 della Costituzione), 3 luglio 1967, n. 79 (art. 104, primo comma, della Costituzione) e 19 dicembre 1968, n. 128 (disp. trans. VI e artt. 25 e 102 della Costituzione). La questione � stata gi� rlproposta dal pretore di Recanati in riferimento agU artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione (ordinanza 11 aprile 1969, G. U. 18 giugno 1969, n. 152) e dal tribunale di Crotone in riferimento agli artt. �25 e 102 della Costituzione (ordinanze 29 aprile 1969 (due), G. U. 9 luglio 1969, n. 172). (14) Altra questione di legittimit� costituzionale dell'art. 44, terzo e quarto comma, del r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 (nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 27 febbraio 1958, n. 190) � stata dichiarata non fondata con sentenza 19 febbraio 1965, n. 6. (15) Questione gi� proposta con numerose altre ordinanze (v. retro, II, 88 ed ivi nota 48; 147). 178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 1<> luglio 1926, n. 138?, art. 15, modificato dall'articolo unico del r. d. 1. 12 luglio 1934, n. 1398, in quanto, nell'istituire una e speciale contribuzione � a favore delle stazioni di soggiorno, non precisa i criteri d'esercizio del potere discrezionale nella determinazione delle prestazioni obbligatorie n� i soggetti passivi del rapporto (art. 23 della Costituzione). Tribunale di Venezia, ordinanza 23 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. r. d. I. 26 febbraio 1930, n. 105 (Aumento dei diritti erariali sugli apparecchi automatici di accensione), convertito con legge 1<> maggio 1960, n. 611, artt. 2 e 4, e artt. 1, 2, 3, 10 e 12 della convenzione ainnessa, in quanto estendendo in monopolio del CIF anche alla produzione, alla vendita ed all'importazione degli accenditori azionati da pietrina focaia e di qualsiasi altro oggetto capace di produrre fiammella, scintilla o incandescenza (artt. 3, 41 e 43 della Costituzione) (16). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. legge 24 aprile 1935, n. 740 (Costituzione del e Parco nazionale dello Stelvio >) art. 5, in quanto impone alla propriet� privata limitazioni di natura espropriativa senza prevedere indennizzo compensativo (articolo 42, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Tirano, ordinanza 14 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. r. d. 1. 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento della previdenza sociale), convertito con legge 6 aprile i936, n. 1155, art. 49, terzo comma, e tabella 8, se ed in quanto, c-0n l'espressione e a mezzo servizio ., consentano l'esclusione dalla tutela assicurativa dei prestatori di lavoro domestico che prestino la loro opera per meno di quattro ore giornaliere (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). Tribunale di Parma, ordinanza 9 maggio 1969, G. U. 22 o~tobre 1969, n. 269. contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939 (Disciplina del trattamento di malattia di operai deWindustria), richiamato dall'art. 1 del d. lg. lgt. 19 aprile 1946, n. 213, art. 19, lettera a, in quanto esclude la corresponsione dell'indennit� per le malattie contratte colposamente (16) Questione gi� proposta, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, dal Tribunale di Milano (ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 26 marzo 1969, n. 78). PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 179 dal lavoratore assicurato (art. 38, secondo comma, della Costituzione) (17). Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 6 giugno 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. r. d. 5 giugno 1939, n. 1016 (Testo unico delle leggi sulla protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), art. 12 bis, aggiunto con l'art. 3 della legge 2 agosto 1967, n. 799, in quanto, nel punire la mancata osservanza delle condizioni stabilite dal regolamento per l'esercizio della caccia, consente all'autorit� amministrativa di determinare il contenuto di precetti penalmente sanzionati (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Conegliano, ordinanza 30 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. r. d. 5 giugno 1939, n. 1016 (Testo unico delle leggi sulla protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia), art. 79, in quanto consente, con la confisca, la espropriazione della propriet� privata senza indennizzo (art. 42, terzo comma, della Costituzione). Pretore di Pianella, ordinanza 14 marzo 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), art. 21, in quanto non prevede compenso per l'attivit� dei giudici conciliativi (artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione). Tribunale di Genova, ordinanza 8 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. d. lg. lgt. 19 aprile 1946, n. 213' (Modificazioni delle vigenti disposizioni sulla assicurazione di malattia per i lavoratori nell'industria), art. 1, in quanto attribuisce forza di legge all'art. 19, lettera a, del contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939, che esclude la corresponsione dell'indennit� per le malattie contratte colposamente dal lavoratore assicurato (art. 38, secondo comma, della Costituzione) (18). Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 6 giugno 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. / d. lg. 17 aprile 1948, n. 525 (Rinnovazione della Convenzione fra lo Stato ed il ; Consorzio industrie Fiammiferi � ), art. 1 e art. 12 della (17) Altra questione di legittimit� costituzionale del contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939 � stata dichiarata inammissibile con sentenza 10 giugno 1969, n. 98. (18) Nell'ordinanza di rimessione la questione risulta proposta direttamente per l'art. 19, lettera a, dal contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939. I I I I j i l I l l � l ! I l I I i i 180 flASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO convenzione annessa, in quanto attribuiscono al Consorzio industrie fiammiferi una posizione di monopolio nella fabbricazione e nella vendita dei 'fiammiferi (artt. 3, 41 e 43 della Costituzione). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. d. P. R. 25 ottobre 1955, n. 932 (Norme di attuazione e di coordinamento della legge 18 giugno 1955, n. 517, concernente modificazioni al codice di procedura penale), art. 1, in quanto, limitando i poteri attribuiti dall'art. 220 del codice di procedura penale al procuratore generale presso la corte di� appello nei confronti di tutti gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria operanti nel distretto, agli ufficiali ed agenti cui i rispettivi dirigenti abbiano attribuito l'esercizio delle funzioni di polizia giudiziaria, esclude tali poteri in relazione alla generalit� degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria; artt. 2 e 3, in quanto fanno riferimento all'art. 1 (artt. 76, 77 e 109 della Costituzione). Pretore di Chiusi, ordinanza 14 agosto 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269.. legge 5 gennaio 1956, n. 1 (Norme integrative della legge 11 gennaio 1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), art. 23, secondo comma, in quanto consente la deduzione degli interessi passivi, per i contribuenti tassabili in base ai bilanci, secondo criterio diverso da quello stabilito, dal primo comma della disposizione, per gli altri contribuenti (artt. 3 e 53 della Costituzione). Tribunale di Milano, ordinanza 21 marzo 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. d. I. 11 gennaio 1956, n. 2 (Diritto fisso� dovuto all'Erario per la detenzione di apparecchi di accensione), convertito con legge 16 marzo 1956, n. 109, art. 8, in quanto conserva in vigore le disposizioni del r. d. 1. 26 febbraio 1930, n. 105 sul monopolio del Consorzio industrie fiammiferi sulla fabbricazione, importazione e vendita degli apparecchi di accensione (artt. 3, 41 e 43 della Costituzione) (19). Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. d. P. R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento dell,a legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento deUe pensioni dell'assicurazione obbligatoria per l'invaliditd, la vecchiaia e i superstiti), art. 22, per eccesso di delega rispetto all'art. 37 della legge 4 aprile 1952, n. 218, in quanto consente la riliquidazione della pen' (19) Questione gi� proposta, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, dal tribunale di Milano (ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 26 marzo 1969, n. 78). PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONli: 181 sione per riconoscimento di contributi figurativi con effetto dal mese successivo alla domanda e non dalla data di ricorrenza della pensione (art. 76 della Costituzione). Tribunale di Piacenza, ordinanza 23 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. legge 14 luglio 1959, n. 741 (Norme transitorie per garantire minimi di trattamento eiconomico e normativo ai lavoratori), artt. 1 e 7, primo e secondo comma, in quanto, nel conferire forza di legge ai contratti collettivi di lavoro recepiti nelle norme delegate, e con efficacia conservata anche dopo la scadenza o il rinnovo del contratto, non consentono al giudice di adeguare al limite sancito dall'art. 36 della Costituzione la retribuzione che �risulti in concreto insufficiente (art. 36 della Costituzione) (20). Tribunale di Vigevano, ordinanza 12 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. legge 18 ottobre 1959, n. 645 (Modificazioni ed integrazioni del 1�egio decreto-legge 15 ottobre .1925, n. 2033, convertito nella' legge 18 marzo 1926 n. 562, sulla repressione delle frodi nella preparazione delle sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), art. 1, in quanto non prevede l'intervento dell'interessato alle operazioni di sequestro della merce e di prelevamento di campioni (artt. 3 e 24 della Costituzione). Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 25 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. d. P. R. 14 lugUo 1960, n. 1011 (Norme sui licenziamenti individuali dei lavoratori dipendenti delle imprese industriali), articolo unico, in quanto rende obbligatorio erga omnes l'accordo interconfedera-le 18 ottobre 1950, obbligando anche il datore di lavoro non iscritto alle associazioni di categoria stipulanti a subire il loro intervento e a farsi rappresentare da esse nello svolgimento delle attivit� disciplinate dall'accordo (art. 39 della Costituzione) (21). Tribunale di Napoli, ordinanza 22 maggio 1967, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. (20) La questione di legittimit� costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, nell'intero testo e nelle singole disposizioni. � stato dichiarato non fondata con sentenze 19 dicembre 1962, n. 106 (artt. 39, 71, e 77 della Costituzione) e 23 dicembre 1963, n. 169 (artt. 70 e 25 della Costituzione). � (21) In riferimento agli artt. 76, 77 e 102 della Costituzione la questione � stata dichiarata non fondata con sentenza 26 maggio 1966, n. 50; con la stessa sentenza il d. P. R. 14 luglio 1960, n. 1011 � stato dichiarato incostituzionale e per la sola parte che disciplina l'intervento di conciliazione delle organizzazioni di categoria�� 16 182 RASSEGNA �>�Lt.'AVVO�ATURA DELLO S'rA'.1'0 d. P. R. 2 gennaio 1962, n. 481 (Norme sul trattamento ecooomico e�� normativo dei dipendenti da imprese commerciali), articolo unico, in quanto rende obbligatorio erga omnes l'accordo nazionale 29 aprile 1957 per l'applicazione della scala mobile al settore del commercio, con il quale la misura di una prestazione patrimoniale viene vincolata alla determinazione dell'Istituto centrale di statistica (artt. 23 e 70 della Costituzione). Pretore di Modica, ordinanza 29 maggio 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. legge 2 marzo 1963, n. 320 (Disciplina delle controversie innanzi alle Sezioni specializzate agrarie), artt. 3, quarto comma, e 4, secondo comma, in quanto consentono al potere esecutivo di interferire nella nomina degli esperti, con attivit� prevalente e tale da incidere sui poteri valutativi e discrezionali del Consiglio superiore della magistratura (articoli 104, e 105 della Costituzione) (22). Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza ,5 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269 (art. 3, quarto comma). Tribunale di Rieti, ordinanza 24 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269 (artt. 3, quarto comma, e 4, secondo comma). d. P. R. 30 g'iugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), art. 1 O, sesto e settimo comma, che riproduce l'art. 4, sesto e settimo comma, del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, in quanto dispongono l'automatica compensazione delle indennit� corrisposte dall'I. N.A.I.L. con il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro in conseguenza di responsabilit� sua o del commesso, con disciplina diversa, per il lavoratore infortunato, da quella stabilita per ogni altro danneggiato; art. 11, primo e secondo c-omma, che riproduce l'art. 5, primo e secondo comma, del r. d. 17 agosto 1935, n. 1765, in quanto ammette il diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. anche nei confronti del datore di lavoro dell'infortunato, e anche relativamente a prestazioni corrisposte per responsabilit� non coperta da assicurazione, con disciplina diversa, per il datore di lavoro riconosciuto responsabile per colpa sua o del commesso e per il lavoratore infortunato, da quella stabilita per ogni altro assicurato e per ogni altro danneggiato (artt. 3, 35, secondo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione) (23). Tribunale di Roma, ordinanza 18 dicembre 1968, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. (22) Questione gi� proposta, per gli artt. 3, quarto comma, e 4, primo comma, della legge 2 marzo 1963, n. 320, e in riferimento agli artt. 104, 105 e 108, secondo comma, della Costituzione, dalla sezione specializzata agraria del Tribunale di Roma (ordinanze 25 gennaio 1969 (tre), G. U. 6 agosto 1969, n. 200). (23) Il terzo comma dell'art. 10 del d. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124 (e nella parte in cui limita ia responsabilit� civile dei datore di lavoro per ilnfortunio su11 iavoro derivante da reato aWipotesi in cui questo sia commesso dagli incaricati ieiia l I i II -----II , I ~MNW\%1i~filMW@@Mfffff@WJrilM@f�lWiWMri@tMff@Mmrnrnrnwr~mJJfiM%H%JfiMt.fifg@�ilfNiJf}@{f(l@&ff{f@@Iff~ PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 183 d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), artt. 83, sesto e settimo comma, e 112, primo comma, in quanto fanno decorrere i termini stabiliti per l'ammissibilit� della domanda di revisione e per la prescrizione del diritto dalla data dell'infortunio anzich� da quella in cui rassicurato acquista il diritto alla prestazione (art. 38 della Costituzione) (24). Tribunale di Pistoia, ordinanza .21 maggio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. legge 4 liigUo 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), artt. 36 e. 29, nell'avverbio � soltanto ., in quanto vietano la produzione della pasta di segala (art. 41 della Costituzione). Pretore di Nocera Inferiore, ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), artt. 41, 42, primo e secondo comma, e 43, in quanto consentono di procedere al prelievo ed all'analisi dei campioni senza l'intervento dell'interessato (art. 24� della Costituzione) (25). Pretore di Stigliano, ordinanza 19 aprile 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 2�56 (art. 41, 42 e 43). Pretore di Modica, ordinanza 13 giugno 1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243 (art. 42). Pretore di Prato, ordinanza 26 giugno 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256 (art. 42, primo e secondo comma). legge 2 agosto 1967, n. 799 (Modifiche al testo unico de'lle norme per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia appro direzione o sorveglianza dei iavoro e non anche dagU aitri dipendenti.) e il quinto comma dello stesso articolo (� in quanto consente che ii giudice civile possa accertare che ii fatto che ha provocato i'infortunio costituisca reato soitanto nezie ipotesi di estinzione deii'azione penaie per morte dell'imputato o per< amnisia, senza menzionare i'ipotesi di prescrizione dei reato �), sono stati dichiarati incostituzionali, i~ applicazione dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87, con sentenza 9 marzo 1967, n. 22. Per altra questione di legittimit� costituzionale dell'art. 11 del d. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124, proposta dal tribunale di Udine (ordinanza 30 marzo 1967, G. U 2 settembre 1967, n. 221), la Corte costituzionale, con ordinanza 17 marzo 1969: n. 35, ha disposto la restituzione degli atti per un nuovo giudizio sulla rilevanza. (24) Sotto l'indicato profilo l'art. 112, primo comma, del d. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124 � stato dichiarato incostituzionale con sentenza 8 luglio 1969, n. 116. (25) Questione gi� proposta, per l'art. 42, dal pretore di Sant'Elpidio a Mare (ordinanza 28 febbraio 1969, G. U. 11 giugno 1969, n. 145) e, in riferimento anche all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Tricase (ordinanza 21 giugno 1969, G. U. 13 agosto 1969, n. 207). 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO vato con r. d. 5 giugno 1939, n. 1016), art. 3, che aggiunge l'art. 12 bis al r. d. 5 giugno 1939, n. 1016, in quanto, nel punire la mancata osservanza delle condizioni stabilite dal regolamento per l'esercizio della �accia, consente all'autorit� amministrativa di determinare il contenuto di precetti penalmente sanzionati (art. 25, secondo comma, della Costituzione). Pretore di Conegliano, ordinanza 30 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. d. I. 11 dicembre 1967, n. 1150 (Proroga dei termini per l'applicazione delle agevolazioni tributarie in materia di edilizia), convertito, con modificazioni, nella legge 7 febbraio 1968, n. �26, art. 5, primo comma, in quanto, disponendo che l'obbligo della ultimazione del fabbricato entro il biennio dall'inizio dei lavori deve intendersi abolito con effetto retroattivo anche ai fini dell'applicazione dei benefici tributari in materia edilizia, limita la decorrenza della retroattivit� alla data di entrata in vigore della legge 2 febbraio 1960, n. 35 (art. 3 della Costituzione). Corte di appello di Genova, ordinanze 28 aprile 1969 (G. U. 8 ottobre 1969, n. 256) e 13 giugno 1969 (G. U. 22 ottobre 1969, n. 269). d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico deLl'assicurazione generale obbligatoria), artt. 20, 21 e 23 (26), in quanto escludono la cumulabilit� della pensione di anzianit� con la retribuzione, con disparit� di trattamento tra i pensionati a seconda che prestino o no attivit� lavorativa alle dipendenze di terzi (artt. 3, 4, 35, primo comma, �36 e 38, secondo comma, della Costituzione) (27). Tribunale di Salerno, ordinanze 27 e 28 maggio 1969 (quattro), G. U. 24 settembre 1969, n. 243. Tribunale di Maecrata, ordinanza 11 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. (26) Per l'art. 23 la questione viene proposta sola dal tribunale di Macerata. (27) Questione gi� proposta, per gli artt. 20 e 21, dal pretore di Firenze (ordinanze 13 luglio 1968, G. U. 12 ottobre 1968, n. 261, e 25 novembre 1968, G. U. 29 gennaio 1969, n. 25), dal pretore di Venezia (ordinanze 2 agosto 1968 (due), G. U. 12 ottobre 1969, n. 261), dal pretore di Cagliari (ordinanza 28 agosto 1968, G. U. 26 ottobre 1968, n. 275), dal pretore di Roma (ordinanze 9 novembre 1968, G. U. 26 marzo 1969, n. 78 e 10 marzo 1969, G. U. 18 giugno 1969, n. 152), dal pretore di Riva del Garda (ordinanza 15 marzo 1969, G. U. 11 giugno 1969, n. 145), e dal tribunale di Reggio Emilia (ordinanza 18 marzo 1969, G. U. 11 eiugno 1969, n. 145). CONSULTAZIONI APPALTO Corrispettivo in valuta estera -Svalutazione -Diritto ad aumento del prezzo pattuito. Se una ditta appaltatrice abbia diritto ad ottenere un aumento del corrispettivo nel caso in cui, pattuito il prezzo in lire italiane o, alternativamente, in valuta estera, ed indicata quest'ultima come oggetto dell'obbligo de1l'a1ppaltante, sia intervenuta una svalutazione monetaria (n. 329). Revisione dei prezzi -Fallimento dell'appaltatore -Mancanza della certificazione relativa al pagamento degli oneri previdenziali. Se, in caso di fallimento dell'appaltatore, possa procedersi alla revisione dei prezzi, ricorrendo gli altri presupposti, anche in mancanza della certificazione prevista dall'art. 17, legge regionale 23 ottobre 1964, n. 22, relativa all'assolvimento degli obblighi derivanti dalle leggi sul lavoro (n. 330). ASSICURAZIONE E.N.P.A.S. -Surrogazione ex art. 1916 e.e. Se l'E.N.P.A.S. possa agire in via surrogatoria ex art. 1916 e.e. per il recupero delle prestazioni erogate a favore dell'assistito infortunatosi per fatto colposo del terzo (n. 80). CONTRIBUTI Contributi di miglioria -Determinazione del soggetto passivo. Con riferimento a quale momento si debba determinare il soggetto passivo del contributo di miglioria specifica per opere costruite dallo Stato (n. 82). COOPERATIVE Consorzi agrari, utili netti non conseguiti nel caso dell'esercizio -Distribuzione. Se i consorzi agrari possano, ai sensi dell'art. 34 d.l. 7 maggio 1948, n. 1235 distribuire ai soci dividendi i quali non risultano da utili netti conseguiti nel corso dell'esercizio ma da prelevamenti effettuati sugli accantonamenti costituiti negli esercizi precedenti (n. 6). � II i I ~ �-. I i I 186 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO COSTITUZIONE Art. 7 l. 29 marzo 1965, n. 217 -Questione di legittimit� costituzionale. Se l'art. 7 I. 29 marzo 1965, n. 217 sia costituzionalmente illegittimo in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione (n. 53). DONAZIONE Donazione effettuata da un Comune agli effetti delia l. 30 dicembre 1960, n. 1676 -Accettazione da parte dello Stato -Autorizzazioni. Se il Comune, per stipulare l'atto di donazione agli effetti della 1. 30 dicembre 1960, n. 1676 e successive modificazioni ed integrazioni, debba essere autorizzato dal Prefetto, a sensi dell\�timo comma dell'art. 87 t.u. legge comunale e provinciale, quale risulta dal testo sostituito dall'art. 1 1. 9 giugno 1947, n. 530 (n. 40). Se J.o Stato, per accettare una donazione, debba essere autorizzato con zato con decreto del Presidente della Repubblica, giusta l'articolo unico della 1. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 40). Se lo Stato, per accettare donazioni di aree occorrenti all'esecuzione di opere previste dalla 1. 30 dicembre 1960, n. 1676,. debba essere autorizzato con decreto del Presidente della Repubblica, giusto l'articolo unico 1. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 40). EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE Art. 7 l. 29 marzo 1965, n. 217 -Questione di legittimit� costituzionale. Se l'art. 7 I. 29 marzo 1965, n. 217 sia costituzionalmente illegittimo in relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione (n. 215). Donazione effettuata da un Comune agli effetti della l. 30 dicembre 1960, n. 1676 -Accettazione da parte delio Stato -Autorizzazioni. Se il Comune, per stipulare l'atto di donazione agli effetti della 1. 30 dicembre 1960, n. 1676 e successive modificazioni ed integrazioni, debba essere autorizzato dal Prefetto, a sensi dell'ultimo comma de1l'art. 87 t.u. legge comunale e provinciale, quale risulta dal testo sostituito dall'art. 1 1. 9 giugno 1947, n. 530 (n. 216). Se il.o Stato, per accettare una donazione, debba essere autorizzato con decreto dal Presidente della Repubblica, giusta l'articolo unico .i. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 216). Se lo Stato, per a�ccettar�e donazioni di aree occorrenti all'esecuzione di opere previste dalla L 30 dicembre 1960, n. 1676, debba essere autorizzato con decreto del Presidente della Repubblica, giusta l'articolo unico l. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 216). T.U. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 8 -Interpretazione. Se il primo comma dell'art. 8 t.u. 28 aprile 1938, n. 1165 sull'edilizia popolare ed economica si riferisca al caso di compravendita consensuale ovvero anche 1;11 caso di espropriazione (n. 217). PARTE II, CONSULTAZIONI ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA Corresponsione della indennit� di temporanea occupazione. Se, nel caso in cui sia corrisposta l'indennit� di temporanea occupazione in relazione all'indennit� di espropriazione determinata in via amministrativa, tale indennit� debba essere successivamente ragguagliata all'indennit� di esproprio definitivamente determinata nel giudizio proposto dagli espropriati ex art. 51 della legge sulle espropriazioni per p.u. (n. 6). � Se sulla differenza fra l'indennit� di occupazione corrisposta in acconto e quella che venga definitivamente calcolata siano dovuti gli interessi (n. 6). Espropriazioni soggett~ alla l. 27 ottobre 1951, n. 1402 -Competenza od ordinare il deposito dell'indennit� non accettata -Rapporti con l'art. 3 l. 20 marzo 1968, n. 391. Se, in caso di mancata accettazione dell'indennit� di esproprio, nelle procedure regolate dalla il. 27 ottobr�e 1951, n. 1402, debba applicarsi l'art. 9 di quest'ultima legge ovvero l'art. 48 della legge fondamentale del 1865, n. 2359 come modificato dalla I. 20 marzo 1968, n. 391 (n. 281). Obblighi e diritti dell'espropriante e deU'espropriato -Inapplicabilit� delle norme che regolano il contratto di compravendita. Se sull'espropriato gravino l�e .obbligazioni del venditore, fra le quali, in particolare, quella di consegnare la cosa (art. 1476 e.e.) e di consegn'arla nello stato in cui essa si trovava nel momento della vendita (art. 1477 e.e.) o se siano applicabili, nell'ipotesi dell'espropriazione, le norme sulla mora credendi (n. 282). Redazione dello stato di consistenza senza l'autorizzazione prefettizia Legittimit�. Se siano da considerarsi legittimi gli stati di consistenza redatti previo avviso agli interessati, e con l'assenso di questi ad introdursi nei fondi, ma senza l'autorizzazione prefettizia di cui all'art. 7 della legge sulla espropriazione per pubblica utilit� (n. 283). FARMACIE Applicazione dell'art. 17 della l. n. 475/68 -Gestore provvisorio. Se la disposizione dell'art. 17 della 1. 475/68, la quale estende anche in favore dei gestori provvisori di farmacie l'adempimento da parte del vincitore di quelle obblig�azioni previste nell'art. 110 del t.u. LL.SS., sia applicabile allorch� l'autorizzazione all'apertura della farmacia venga rilasciata dopo l'entrata in vigore della legge suddetta, per concorsi banditi e definiti con graduatoria formata �ed approvata prima di detta entrata in vigore (n. 24). Se le indennit� di cui all'ari. 110 t.u. LL.SS. siano dovute ai sensi della legge n. 475/68 anche al gestore provvisorio di farmacia di nuova istituzione (n. 24). 188 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTA DI BOLLO Congedi straordinari dipendenti statali -Domanda -Uso della carta da bollo. Se ,le i'stanze dei dipendenti statali rivolte ad ottenere congedi straordinari siano assoggettate alla normale imposta di bollo (n. 41). IMPOSTA DI REGISTRO Registrazione di concessioni di impianti a fune nel Trentino-Alto Adige. Se gli atti di concessione di impianti a fune nella Regione TrentinoA: lto Adige, che beneficino di sovvenzioni regionali, possano beneficiare della registrazione a tassa fissa, o debbano, invece, scontare l'imposta normale (n. 309). IMPOSTA DI SUCCESSIONE Epoca della valutazione dei beni donati in vita dal de cuius per la collazione. �Se debba farsi riferimento all'epoca dell'apertura della successione per la valutazione dei beni donati in vita dal de cuius ai fini del coacervo del relictum al donatum (n. 63). IMPOSTE E TASSE Agevolazioni fiscali di cui aHe leggi regionali siciLiame 28 aprile 1954, n. 11 e 18 ottobre 1954, n. 37 -Termine di cui alla t.r. 14 giugno 1965, n. 14 -Perentoriet�. Se il termine di un anno previsto dalla legge regionale siciliana 14 giugno 1965, n. 14, decorrente dalla scadenza del termine di efficacia della medesima, termine previsto per la presentazione della dichiarazione di abitabilit�, al fine di ottenere le agevolazioni fiscali di cui alla l.r. 28 aprile 1954, n. 11, e 18 ottobre 1954, n. 37, sia perentorio (n. 509). Concordato preventivo -Crediti di natura erariale -Artt. 184 e 160 L.F. Applicabilit�. Se il concordato preventivo debba, ai sensi degli artt. 184 e 160 L.F., considerarsi produttivo di eff.etti pregiudizievoli su ogni credito chirografario anche se di carattere tributario (e quindi, a maggior ragione, su quello derivante da pena pecuniaria), in considerazione del consolidato indirizzo della Suprema Corte sulla natura pubblicistica del concordato :preventivo (n. 510). t :::: ;~:~ 11ilirmmr&!!lliffflifil:mr1fmr1amirr@�mmmimmt1rmmmErmrrr11;r1mrf1ri1&=mnr1r1~:rilimt1n1r11rrmllli11ili*Mf&Mssf~~ PARTE II, CONSULTAZIONI Diritti doganali non riscossi per reato di contrabbando -Responsabilit� solidale dello spedizioniere. Se lo spedizioniere debba ritenersi responsabile per i tributi non riscossi anche nella ipotesi in cui J.a mancata riscossione derivi da reato di contrabbando al quale lo spedizioniere non abbia partecipato (n. 511). Epoca della valutazione dei beni donati in vita dal de cuius per la collazione. Se debba farsi riferimento all'epoca dell'apertura della successione per la valutazione dei beni donati in vita dal de cuius ai fini del coacervo del relictum al donatum (n. 512). Tassa di occupazione spazi pubblici -Soggetto passivo del tributo� -Titolare della concessione amministrativa di occupazione del suolo pubblico. Se il soggetto passivo della tassa di occupazione del suolo pubblico stradale a favore degli immobili frontistanti siano i proprietari degli stessi oppure chi ha ottenuto la concessione per l'occupazione o che comunque occupi di fatto l'al'lea pubblica, sia esso o non sia proprietario dell'immobile (n. 513). IMPIEGO PUBBLICO Congedi straordinari dipendenti statali -Domanda -Uso della carta da bollo. Se le istanze dei dipendenti statali rivolte ad ottenere congedi straordinari siano assoggettate alla normale imposta di bollo (n. 702). Professioni d.m. 18 settembre 1967. Se il d.m. 18 settembre 1967, inteso a regolare le modalit� per la liquidazione degli onorari spettanti agli ingegneri ed architetti per prestazioni professionali relative alla costruzione di opere di edilizia popolare ed �economica ,sovvenzionata dallo Stato, possa essere applicato nei soli cdnfronti degli impiegati dello Stato muniti di laurea in ingegneria e architettura che sono stati autorizzati ad esplicare un'attivit� professionale in aggiunta a quella cui sono tenuti per doveri del proprio ufficio ed a favore di un ente diverso dall'Amministrazione da cui gli stessi dipendono (n. 700). Rapporto d'impiego con ente pubblico diverso dallo Stato -Valutazione di anzianit� ai fini di determinate promozioni. Se il servizio prestato presso enti pubblici distinti dallo Stato possa esser valutato quale �anzianit� acquisita per precedente servizio> ai fini di determinate promozioni ai sensi degli artt. 199 e 200 del t.u. n. 3/1957 (n. 701). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO IMPOSTE VARIE Tassa per la rimozione dei rifiuti solidi -Competenza passiva per quella . dovuta per le scuole. Se la tassa per la rimozione dei rifiuti solidi dalle scuole debba essere pagata dagli enti locali o dallo Stato (n. 20). OCCUPAZIONE Corresponsione della indennit� di temporanea occupazione. Se, nel caso in cui sia corrisposta la indennit� di temporanea occupazione in relazione all'indennit� di espropriazione determinata in via amministrativa, tale indennit� debba essere successivamente ragguag�iata all'indennit� di esproprio definitivamente determinata nel giudizio proposto dagli espropriati ex art. 51 della legge sulle espropriazioni per p.u. (n. 6). Se sulla diff.erenza fra l'indennit� di occupazione corrisposta in acconto e quel.Ia che venga definitivamente calcolata siano dovuti gli interessi (n. 6). PREVIDENZA ED ASSISTENZA E.N.P.A.S. -Surrogazione ex art. 1916 e.e. Se l'E.N.P.A.S. possa agire in via surrogatoria ex art. 1916 e.e. per il recupero delle prestazioni erogate a favore dell'assistito infortunatosi per fatto colposo del terzo (n. 68). Revisione dei prezzi -Fallimento dell'appaltatore -Mancanza detla certificazione relativa al pagamento degli oneri previdenziali. Se, in caso di fallimento dell'appaltatore, possa proceder.si alla revisione dei prezzi, ricorrendo gli altri presupposti, anche in mancanza della certificazione pl"evista dall'art. 17, legg.e regionale 23 ottobre 1964, n. 22, relativa all'assolvimento degli obblighi derivanti dalle leggi sul lavoro (n. 69). REGIONI Regione siciliana -Imposte e tasse -Art. 4 d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 L. 6 dicembre 1965, n. 1379. 1) Se, nell'interpretazione da dar�e all'art. 4 d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, �avuto <riguardo alla L 6 dicembre 1965, n. 1379, che ha modificato l'accertamento e .la riscossione delle imposte di registro e bollo e sulla entrata sui corrispettivi dovuti per le utenze telefoniche, debba ritenersi che gli importi relativi spettino alla Regione siciliana (n. 170). 2) Se, nell'interpretazione della stessa normativa, debba ritenersi che l'IGE, quando affluisca, per il pagamento, ad Uffici finanziari situati fuori del territorio regionale, spetti alla Regione skiliana (n. 170). NOTIZIARIO A Str�esa, nei giorni 25-28 settembre 1969, organizzata dall'Automobil Club, 'si � svolta la XXVI Conferenza del Traffico e della Circolazione. Tema del convegno � stato: � La mobilit� neHe aree metropolitane �. Relatore di sintesi nel pi� �specifico argomento: � Strade e ferrovie, trasporti pubblici e trasporti privati in rapporto alla evoluzione delle grandi aree urbanizzate e delle aree metropolitane� � stato il dott. ing. prof. Arturo Polese, Direttore dell'Istituto di Tecnica ed Economia dei Trasporti nella Facolt� di Ingegneria dell'Universit� di Napoli, mentre il dott. prof. ing. Augusto Clerici ed il sindaco di Milano, Aldo Auriasi, hanno trattato, rispettivamente, �Gli aspetti tecnici ed economici della evoluzione dei sistemi di trasporto nelle aree metropolitane in rapporto alla organizzazione del territorio � e � Le attribuzioni dello Stato, dei Comuni, delle Provincie� e delle Regioni in materia di organizzazione dei trasporti nelle aree metropolitane�. Il dott. Erasmo Peracchi, Presidente della Provincia di Milano e Presidente dell'Unione Regionale delle Provincie Lombarde, ha. introdotto il tema generale. Gli interventi al dibattito sono stati numerosi. I lavori del Convegno saranno, come di .consueto, pubblicati in volume. I �1: ; II: I V.: