ANNO XXI -N. 5 SETTEMBRE -OTTOBRE 1969 


RASSEGNA 


DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 



Pubblicazione bimestrale di servizio 

ROMA 

ISTITUTO POLIGRAFICO DELLO STATO 

1969 



ABBONAMENTI 

ANNO � � � � . � � � . . . � � � � � � � � � � � � . . � � � � � � � L. 7.500 
UN NUMERO SEPARATO � � � . � � � . � � . � � � � . . � � 1.300 


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Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


.(8213822) Roma, 1969 -Istituto Poligrafico deillo Stato P. V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE E INTER


NAZIONALE (a cura del/'avv. Michele Savarese) pag. 783 
Sezione seconda: GIURISPRUDENZA 
SDIZIONE (a cura 
SU QUESTIONI DI GIURIdel/'
avv. Benedetto Saccari) � 814 
Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE 
tro de Francisci) � � 
(a cura del/'avv. Pie
� 826 
Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'
avv. Ugo Gargiulo) � � )) 856 
Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura degli avvocati 
Giuseppe Angelini-Rota e Carlo Bafile) � 869 
Sezione sesta: GIURISPRUDENZA IN MATERIA bi ACQUE PUBBLICHE, 
APPALTI E FORNITURE (a cura del/'avv. 
Franco Carusi) � � � � � 965 
Sezione settima: GIURISPRUDENZA PENALE (a cura del/'avv. Antonino 
Terranova) � � 9 7 6 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNE -CONSULTAZIONI -NOTIZIARIO 

RASSEGNA DI DOTTRINA (a cura del/'avv. Luigi Mazze/la) . � � pag. 171 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE (a cura del/'avv. Arturo Marzano) � 173 
CONSULTAZIONI � 185 
NOTIZIARIO . . � 191 

La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 
UGO GARGIULO 




ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

LA 
REDAZIONE, La composizione qualii.tativa e quantitativa 
del collegio delle sezioni unite della Commissione centrale 
delle imposte . . . . . . . . . . . . . . pag. 927 

LA 
REDAZIONE, Il reddito di impresa -tassabile in R.M. 
cat. B -dei soggetti tassabili in base a bitancio e delle 
aziende ed istituti di credito: detraibilit� o meno delle 
somme pagate per R.M. -cat. A -sugli interessi dovuti 
e per le quali non venga esercitata la rivalsa sui reddituari 927 

BAFILE C., Considerazioni sulla connessione strumentale con 
atti agevolati . . . . . . . . . . . . . . . 900 

\ 

BAFILE C., Ancora sul'l'azione riconvenzionale della Finanza 
nel giudizio di opposizione all'ingiunzione fiscale 916 

DONADIO G., Parte civile, danni diretti, responsabile civile 984 

DONADIO G., Convenzione italo-francese sull'aiuto reciproco 
giudiziario . . . . . . . . . . . . . . . . > 990 

SICONOLFI L., Il giudizio di opposizione alla indennit� di 
espraprio e natura det relativo termine . . . . . . . . 827 



INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE PUBBLICHE ED ELETTRICIT� 


-Concessione di utenza di acqua 
pubblica -Decadenza -Natura 
discrezionale ed efficacia costitutiva 
della relativa pronunzia della 
P.A. -Sussistono -Eccezione 
-Fattispecie, 965. 

-Concessione di utenza di acqua 
pubblica -Domanda di variante 
-Ammissione ad istruttoria Potere 
discrezionale della P .A. Sussiste, 
965. 

-Concessione di utenza di acqua 
pubblica -Obbligo del concessionario 
di iniziare e ultimare i lavori 
ed utilizzare l'acqua nei termini 
fissati nel decreto e nel disciplinare 
di concessione, a pena 
di decadenza -Domanda di proroga 
-Accoglimento -Potere discrezionale 
della P.A. -Sussiste, 

965. 
-Concessione di utenza di acqua 
pubblica -Obbligo del concessionario 
di iniziare e ultimare i 
lavori ed utilizzare l'acqua nei 
termini fissati dal decreto e nel 
disciplinare di concessione, a pena 
di decadenza -Domanda di 
proroga -Anteriorit� della data 
di presentazione della domanda 
di proroga rispetto alla scadenza 
dei termini, originari o prorogati, 
per l'inizio e l'ultimazione dei 
lavori -Necessit� -Sussiste, 965. 

- 
Demanio idraulico -Gestione Competenza 
del Ministero dei lavori 
pubblici -Sussiste -Applicazione 
in tema di legittimazione 
a contraddire in giudiz~o, 974. 

AMNISTIA 

- 
V. Responsabilit� civile. 

APPALTO 

-V. Edilizia popolare ed economica, 
Imposta di registro. 

APPELLO 

- 
V. Procedimento penale. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Eccesso di potere -Regime probatorio 
dell'eccesso di potere nel 
procedimento davanti al Consiglio 
di Stato -Applicabilit� delle 
norme del processo ordinario 
-Valore .probatorio delle presunzioni 
semplici, con nota di 

A. 
PALATIELLO, 856. 
- 
V. anche Competenza e giurisdizione. 


BANCA 

- 
V. Imposta di registro. 

CASSAZIONE 

- 
V. Procedimento civile. 

COMPETENZA E GIURISDIZIONE. 

-Atto amministrativo -Poteri del 
giudice ordinario -Inammissibilit� 
della revoca e della modifica 
-Natura del provvedimento richiesto 
dal giudice -Irrilevanza, 
823. 

-Cassazione -Ius superveniens Giudicato 
sulla giurisdizione intervenuto 
in altro giudizio -Deducibilit� 
-Esclusione, 814. 

-Controversie in materia di previdenza 
ed assistenza a favore 
di pubblici dipe11denti -Competenza 
del giudice ordinario -Limiti, 
820. 

-Demanio e patrimonio -Patrimonio 
indisponibile -Potere di 
autotutela della P. A. -Ordinanza 
di rilascio di un bene del patrimonio 
indisponibile -Opposizione 
all'esecuzione -Difetto di 
giurisdizione dell'A.G.O., 814. �� 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

VI 

-Patrimonio indisponibile -Case 
economiche delle F. S. -Assegnazione 
in uso -Natura del rapporto 
-Concessione -Diritto soggettivo 
dell'assegnatario -Esclusione, 
823. 

-Questione di giurisdizione -Poteri 
della Cassazione -Interpretazione 
del giudicato -Ammissibilit�, 
814. 

CONCESSIONI AMMINISTRATIVE 

- 
V. Acque pubbliche. 

CONSIGLIO DI STATO. 

- 
V. Giustizia amministrativa. 

COSA GIUDICATA 

-Limiti oggettivi -Questioni pregiudiziali 
-Giudicato sull'illegittimit� 
di un provvedimento di 
rilascio di un bene della P. A. Estensione 
alla questione sulla 
natura patrimoniale disponibile o 
indisponibile del bene -Esclusione, 
814. 

-V. anche Competenza e giurisdizione. 


COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA 


-Decreti legislativi emanati prima 
della entrata in funzione del primo 
Parlamento repubblicano Mancanza 
di delega -Ritardo di 
conversione -Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione, 783. 

- 
Decreto legge �23 ottobre 1964, 

n. 989 sulla disciplina fiscale dei 
prodotti petroliferi -Conversione 
-Emendamenti abrogativi 
-Efficacia ex tunc, 843. 
- 
V. anche Energia elettrica, Esecuzione 
fiscale, Imposta di registro, 
Lavoro, Previdenza ed assistenza, 
Procedimento penale, 
Sardegna, Sicilia, Sicurezza pubblica. 


DANNI 

-V. Responsabilit� civile, Parte civile. 


DEMANIO E PATRIMONIO 

-Beni del disciolto p. n. f. -Destinazione 
a servizio pubblico Patrimonio 
indisponibile -Provvisoria 
destinazione ad altri fini 
-Irrilevanza, 814 . 

-V. anche Acque pubbliche, Competenza 
e giurisdizione, Cosa giudicata. 


EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA 


-Case per lavoratori -Gestione 
INA-Casa -Incarico ad Amministrazione 
o ad Enti della costruzione 
di case 1Per lavoratori Contratti 
di appalto stipulati in 
esecuzione di tale incarico -Soggezione 
alle norme giuridiche di 
organizzazione della Gestione e 
di disciplina della sua attivit� Conseguenze 
sostanziali e processuali 
in ordine al collaudo delle 
opere, 970. 

-V. anche Competenza e giurisdizione. 


ENERGIA ELETTRICA 

-Enel -Criteri di determinazione 
dell'indennizzo alle imprese espropriate 
-Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione, 792. 

ESATTORIA 

- 
V. Esecuzione fiscal'e. 

ES'ECUZIONE FISCALE 

-Opposizione agli atti esattoriali Limitazione 
per i beni della moglie 
non costituiti in dote prima 
della dichiarazione annuale o dell'avviso 
di accertamento -Illegittimit� 
costituzionale -Esclusione, 
790. 

ESPROPRIAZIONE PER P. U. 

jJjJ 

-Bene indiviso -Indennit� di 
espropriazione -Carattere unitario, 
con nota di L. SICONOLFI, 

827. 

INDICE VII 

-Bene indiviso -Opposizione giudiziale 
all'indennit� -Comunicabilit� 
degli effetti ai comproprietari 
tardivi opponenti, con 
nota di L. SICONOLFI, 827. 

-Indennit� -Controversie -Competenza 
dell'A.G.0., 865. 

Indennit� di esproprio -Liquidazione 
-Conclusioni del consulente 
tecnico di Ufficio -Poteri 
del giudice di merito -Valutazione 
-Difformit� -Incensurabilit� 
-Limiti, 848. 

-Legge regionale siciliana 21 aprile 
1953, n. 30 -Indennit� di 
esproprio -Criteri di determinazione 
-Deroga al principio generale 
di riferimento al giusto 
prezzo dell'immobile alla data 
del decreto di esproprio -Non 
sussiste, 848. 

-Modalit� esecutive dell'opera Censura 
-Inammissibilit�, 865. 

-Occupazione preventiva -Delegazione 
amministrativa intersoggettiva 
-Concetto -Ente delegato 
-Legittimazione passiva, 

848. 
Piano di ricostruzione -Variante 
al piano richiesta del proprietario 
interessato -Non sospende il 

procedimento, 865. 

-Procedura -Autonomia rispetto 
alla procedura dell'occupazione 
di urgenza -Incomunicabilit� dei 
vizi della seconda sulla prima Fattispecie, 
864. 

-Termini -Indicazione nell'atto 
che dichiara la pubblica utilit� 
dell'opera -Mancata indicazione 
-Inammissibilit� dell'impugnativa 
del decreto prefettizio di espropriazione, 
865. 

-Terrriini di efficacia della dfchiarazione 
di pubblica utilit� -Piani 
di ricostruzione -I termini di 
efficacia della detta dichiarazione 
sono fissati dalla legge, 865. 

-V. anche Energia elettrica. 

FERROVIE 

-V. Trasporto. 

GIUNTA PROVINCIALE AMMINISTRATIVA. 


--V. Giustizia amministrativa. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. 

-Consiglio di Stato come giudice 
dell'appello avverso la decisione 
delle G.P.A. in s. g. -Incostituzionalit� 
delle G.P.A. in s. g. Conseguenze 
sul giudizio di appello, 
con nota di A. PALATIELLO, 

862. 
-Giurisdizione esclusiva del Consiglio 
di Stato -Giurisdizione 
esclusiva attribuita alle G.P.A. in 

s. g. -Non viene devoluta al 
Consiglio di Stato, con nota di A. 
PALATIELLO, 862. 
-Ricorso straordinario al Capo 
dello Stato -Annullamento della 
decisione straordinaria -Rimessione 
in termini del controinteressato 
ai fini della proposizione 
del ricorso giurisdizionale -� 
configurabile, 867. 

-Ricorso straordinario al Capo dello 
Stato -Decreto presidenziale 
che decide il ricorso -Impugnativa 
-Motivi e legittimazione, 867. 

-Ricorso straordinario al Capo 
dello Stato -Opposizione al ricorso 
straordinario -Obbligo per 
il ricorrente di trasferire il ricorso 
in sede giurisdiziale -Non 
sussiste, 867. 

-Ricorso straordinario al Capo 
dello Stato -Trasferimento in 
sede giurisdizionale -Incombenti 
ed oneri relativi -Sono a carico 
dell'originario ricorrente, 867. 

-'-Ricorso straordinario al Capo 
dello Stato -Trasferimento in 
sede giurisdizionale -Interesse 
al detto trasferimento in ogni 
controinteressato -Sussiste, 867. 

-Ricorso straordinario al Capo 
dello Stato -Trasferimento in 
sede giurisdizionale -Legittimazione 
a chiedere il detto trasferimento 
-Necessit� di assumere 
la veste di ricorrente -Non sussiste, 
867. 



vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-Ricorso straordinario al Capo 
dello Stato -Trasferimento in 
sede giurisdizionale in opposizione 
del controinteressato -Rimessione 
in termini dell'ordinario 
ricorrente -� configurabile, 867. 

-Sindacato di legittimit� del Consiglio 
di Stato -Assorbimento 
da parte del Consiglio di Stato 
delle materie attribuite alle G. 

P. A. in s. g., con nota di A. PALAITIELLO, 
862. 
- 
Sindacato di merito del Consiglio 
di Stato -Giurisdizione di merito 
attribuita alle G. P. A. in s. g. 
-Non viene devoluta al Consiglio 
di Stato, con nota di A. PALATIELLO, 
862. 

IMPOSTA DI REGISTRO. 

-Accessione -Agevolazione ex 
art. 14 1. 2 luglio 1949, n. 408 Deroga 
all'art. 47 della legge di 
.registro, 890. 

-Accessione -Presunzione ex articolo 
47 legge di registro -Deroga 
prevista dalla 1. 24 gennaio 
1962, n. 23 -Presupposti di applicabilit�, 
889. 

-Agevolazioni ex art. 8 1. 24 luglio 
1961, n. 729 per la costruzione 
e l'esercizio delle autostrade 
-Appalti stipulati dall'A.N. 
A,S. -Applicabilit� delle agevolazioni, 
876. 

-Agevolazioni per le imprese danneggiate 
da calamit� pubbliche 
ex art. 1 1. 13 febbraio 1952, n. 50 
-Atti strumentalmente connessi Deposito 
ibancaxio accessorio a 
mutuo -Si estende, con nota di 

C. 
BAFILE, 900. 
-Appalto -Appalto di servizi Prestazioni 
di varia natura -Obbligo 
di registrazione -Sussiste, 

909. 
-Appalto -'Registrazione a termine 
fisso -Contratti fra commercianti 
per lavorazione e riparazione 
merci, 909. 

- 
Atto di sottomissione a garanzia 
in materia di dilazione del pagamento 
dell'imposta di successio


ne -Garanzie prestate da un ter


zo -Imposta fissa di registro, 898. 

-Benefici fiscali per le case di abitazione 
non di lusso -Acquisto 
di area parzialmente inedificabile 
per vincolo di piano regolatore Applicabilit� 
dei benefici -Limiti, 
869. 

-Interruzione della prescrizione 
per effetto del ricorso del condebitore 
solidale -Violazione del 
principio di eguaglianza e del diritto 
di difesa -Esclusione, 801. 

-Vendita -Pagamento di parte del 
prezzo mediante consegna al venditore 
di un libretto di deposito 
vincolato, quanto all'esigibilit�, 
ail \benestare del compratore Deposito 
autonom'.o -Tassabilit� 
ex art. 38 tari.ff. all. A legge registro, 
con nota di R. SEMBIANTE, 

871. 
-Vendita -Pagamento di parte del 
prezzo mediante consegna al venditore 
di un libretto di deposito 
vincolato, quanto all'esigibilit�, 
al benestare del �compratore Oggetto 
della tassazione -Libretto 
di deposito -Esclusione, 
con nota di R. SEMBIANTE, 871. 

- 
Vendita fra parenti -Presunzione 
di liberalit� -Prova della provenienza 
del prezzo -Riferimento 
al prezzo pagato e non al valore 
accertato -Dimostrazione parziale 
-Dimostrazione presuntiva 
per la parte residua -Inammissibilit�, 
914. 

-Vendita fra parenti -Presunzione 
di liberalit� -Valore del bene 
trasferito eccedente sul p.rezzo 
convenuto -Negozio misto -Ammissibilit� 
-Impugnazione di simulazione 
dell'atto -Necessit�, 

917. 
IMPOSTA DI RICCHEZZA MOBILE. 


-Spese e ipassivit� inerenti alla 
produzione del reddito -Pagamento 
da parte dei soggetti tassabili 
in base al bilancio, delle 
aziende ed istituti di credito dell'imposta 
di r. m. cat. A, sugli 


INDICE IX 

interessi dovuti ai reddituari e 
rinuncia all'esercizio dell'azione 
di rivalsa -Inerenza della rinuncia 
alla produzione del reddito Detraibilit� 
dal reddito di r. m., 
cat. B -Sussiste, 947. ' 

-Spese inereiliti alla produzione 
del reddito -Pagamento da parte 
degli istituti di credito dell'imposta 
di r. m., Cat. A, sugli interessi 
dovuti ai depositanti e 
mancato esercizio dell'azione di 
rivalsa -Detraibilit� del reddito 
di r. m., cat. B, degli istituti di 
credito, 940. 

IMPOSTA DI SUCCESSIONE. 

-V. Imposta di registro. 

IMPOSTA IPOTECARIA. 

-Contratti ad esecuzione continuata 
e differita -Adeguamento della 
prestazione -Non costituisce 
atto tassabile, 880. 

IMPOSTE E TASSE IN GENERE. 

-Commissione centrale delle imposte 
Sezione Unite� -Composizione 
del collegio -Presidente 
commissione centrale -Potere di 
trasferimento temporaneo da una 
ad altra sezione di vice presidenti 
e membri della commissione 
centrale -Applicabilit� per 
la composizione del collegio giudicante 
delle sezioni unite -Non 
sussiste, 926. 

-Commissione centrale delle imposte 
-Sezioni Unite -Costituzione 
del collegio per materia di 
imposte -Partecipazione di membri 
appartenenti a sezioni non 
aventi la stessa competenza per 
materia di imposte -Irregolare 
composizione �qualificativa del 
collegio -Difetto assoluto di giurisdizione, 
926. 

-Imposte indirette -Ingiunzione Accertamento 
da parte del giu


dice di presupposti diversi da 
quelli su cui si basa l'ingiunzione 
-Legittimit�, con nota di 

C. BAFILE, 917. 
-Imposte indirette -Ingiunzione Dichiarazione 
di legittimit� pro 
parte -Ammissibilit�, con nota 
di C. BAFILE, 916. 

-Imposte indirette-Prescrizione Interruzione 
-Effetti, 883. 

-Riscossione -Imposta generale 
sull'entrata -Ingiunzione -Competenza 
ad emetterla -Ufficio 
del regitsro -Sussiste, 905. 

-Concorso -Concorso a cattedra 
universitaria -Commissione giudicatrice 
-Membro della commissione 
che abbia collaborato 
alla redazione dell'opera� presentata 
dal candidato -Incompatibilit� 
-Non sussiste, con nota 
di A. PALATIELLO, 856. 

-Concorso -Concorso a cattedra 
universitaria -Norme consuete 
nei concorsi -Pubblici impieghi Non 
si applicano, con nota di A. 
PALATIELLO, 856. 

-Concorso -Concorso a cattedra 
universitaria -Titoli di valutazione 
-Libera docenza -Non ha 
valore preminente o assorbente, 
con nota di A. PALATIELLO, 856. 

-V. anche Competenza e giurisdizione. 


INGIUNZIONE. 

-V. Imposte e tasse in genere. 

LAVORO. 

-:QiscLpUrna dei contratti collettivi 
-Identificazione delle categorie 
professionali interessate Illegittimit� 
costituzionale della 
normativa -Esclusione 788. 

-Lavoro domestico -Cura ed assistenza 
medica per i soli lavoratori 
conviventi -Sperequazione 
rispetto alle altre categorie di la



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

X 

voratori -Illegittimit� costitu


zionale -Esclusione, 811. 

LEGGI, DECRETI E REGOLAMENTI 


-V. Sardegna. 

OCCUPAZIONE. 

-V. Espropriazione per pubblica 
utilitd. 

PARTE CIVILE. 

Coincidenza della qualit� di responsabile 
civile -Ammissibilit� 
-Limiti, con nota di G. DoNAnro, 
983. 

Danni diretti e indiretti -� Provvidenze 
ex lege 4 novembre 1963, 

n. 1457, art. 3 bis; e legge integrativa 
31 maggio 1964, n. 357, 
art. 5, per zone devastate dalla 
catastrofe del Vajont, con nota 
di G. DONADIO, 984. 
PIANO DI RICOSTRUZIONE. 

-Decreto prefettizio che approva 
il piano di ricostruzione -Equivalenza, 
ex art. 7 d. 1. lgt. 1 marzo 
1945, n. 154, a dichiarazione 
di .pubblica utilit� -Urgenza e 
indifferibilit� derivanti dalla legge 
-Notifica fuori termine del 
decreto di occupazione -Non � 
rilevante, 864. 

-Esecuzione del piano -Impossibilit� 
del Comune di provvedere 
-Potere sostitutorio del Ministero 
dei lavori pubblici, 864. 

-Termine di efficacia dei piani 
approvati entro il 31 dicembre 
1950 -Provvedimento prefettizio 
di ccupazione temporanea in 
via di urgenza per l'attuazione 
del piano di ricostruzione approvato 
prima del 31 dicembre 1950 
-� legittimo, 864. 

PIANO REGOLATORE 

-V. Espropriazione per pubblica 
utilitd. 

PRESCRIZIONE 

-V. Responsabilitd civile, Imposta� 
di r�gistro, Imposte e tasse. 

PREVIDENZA ED ASSISTENZA 
SOCIALE. 

-Assicurazione obbligatoria contro 
gli infortuni sul lavoro e le malattie 
professionali -Prescrizione 
dell'azione contro (li'I.N.A.I.L. Parziale 
illegittimit� costituzionale 
della normativa, 797. 

-V. anche Competenza e giurisdizione. 


PROCEDIMENTO CIVILE. 

-Legittimatio ad causam -Nozione 
-Titolarit� del rapporto dedotto 
in giudizio -Questione attinente 
al merito della controversia 
-Deducibilit� in Cassazione 
-Limiti, 848. 

PROCEDIMENTO PENALE. 

-Accertamento dell'appello -Fondatezza 
delle censure formulate 
-Rinvio alla motivazione della 
sentenza di primo grado -Illegittimit�, 
con nota di P. DI TARSIA, 
980. 

-Appello -Dibattimento -Omesso 
interrogatorio dell'imputato Non 
� causa di nullit� assoluta, 
con nota di P. DI TARSIA, 981. 

-Difensore -Sostituzione del difensore 
d'ufficio, con nota di P. 
DI TARSIA, 981. 

-Giudizio per decreto -Sentenza 
di condanna nel giudizio di opposizione 
-Condanna dell'oppo




INDICE XI 

nente nelle spese, anche in caso 
di reformatio in mefius -Illegittimit� 
costituzione -Esclusione, 

803. 
Istruzione -Atti istruttori compiuti 
direttamente nel territorio 
di uno Stato estero -Nullit� assoluta, 
con nota di G. DoNADIO, 

990. 
-Istruzione -Libert� personale 
dell'imputato -Mandato di cattura 
facoltativo -Difetto di motivazione 
-Fattispecie, con nota 
di G. DONADIO, 976. 

-Istruzione -Libert� personale 
dell'imputato -Mandato di cattura 
emesso in esecuzione della 
sentenza di rinvio a giudizio Previe 
conclusioni specifiche del 

P.M. -Mancanza -Irrilevanza, 
con nota di G. DoNADIO, 976. 
RAPPORTO DI LAVORO 

-V. Lavoro. 

REATO 

-V. Responsabilit� civile. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Fatto costituente reato -Poteri 
del giudice civile -Risarcimento 
danni -Prescrizione -Amnistia Decorrenza, 
841. 

-Passaggi a livello su strade private 
-Custodia da parte del privato 
utente -Responsabilit� civile, 
826. 

RICORSI AMMINISTRATIVI 

-Motivi -Atto non impugnato Inammissibilit�, 
865. 

-V. anche Giustizia amministrativa. 


SARDEGNA 

-Provvedimenti per la repressione 
dell'abigeato e del pascolo 
abusivo -Delega al Governo di 
emanare speciali regolamenti Inammissibilit� 
della questione, 

799. 
SICILIA 

-Legge regionale recante provvedimenti 
nel settore agricolo alimentare 
-Mancata osservanza 
della procedura del Trattato di 
Roma -Illegittimit� costituzionale, 
805. 

-Legge regionale sull'elezione degli 
organi delle amministrazioni 
comunali -Difformit� tra il testo 
approvato e quello promulgato 
-Insussistenza, 808. 

SICUREZZA PUBBLICA 

-Alloggio per mercede �e stranieri 
ed apolidi -Obbligo di denuncia 
all'autorit� di P.S. -Violazione 
del diritto alla inviolabilit� di 
domicilio e del principio di eguaglianza 
fra cittadini e stranieri Illegittimit� 
costituzionale -Esclusione, 
783. 

SOCIET� 

-V. Imposta di ricchezza mobile. 

STRADE 

-V. Responsabilit� civile, Imposta 
di registro. 

TRASPORTO 

-Trasporto di persone sulle ferrovie 
dello Stato -Danni al viaggiatore 
-Responsabilit� -Anormalit� 
del servizio ferroviario Concetto, 
838. 



xn RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

VENDITA 
-V. Imposta di registro. 


VIOLAZIONE DELLE LEGGI FINANZIARIE 
E VALUTARIE 

Pagamento di non residenti e residenti 
in Italia per cessione di 

beni d'uso e prestazioni di servizi 
in relazione al soggiorno in 
Italia -Pagamento eseguito da 
un terzo per conto dei debitori Legittimit�, 
886. 

Procedimento -Notifica del verbale 
di contestazione -Non � 
richiesta, 897. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

26 giugno 1969, n. 104 pag. 783 
26 giugno 1969, n. 105 788 
26 giugno 1969, n. 107 790 
8 luglio 1969, n. 115 792 
8 luglio 1969, n. 116 797 
8 luglio 1969, n. 117 799 
8 luglio 1969, n. 118 801 
8 luglio 1969, n. 119 803 
8 luglio 1969, n. 120 805 
15 luglio 1969, n. 134 808 
15 luglio 1969, n. 135 811 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 29 marzo 1969, n. 1029 pag. 869 
Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1296 871 
Sez. I, 13 maggio 1969, n. 1638 876 
Sez. Un., 9 giugno 1969, n. 2008 814 
Sez. I, 13 giugno 1969, n. 2091 .. 880 
S~z. I, 21 giugno 1969, n. 2204 883 
Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2209 886 
Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2213 889 
Sez. I, 22 giugno 1969, n. 2223 897 
S'ez. I, 22 giugno 1969, n. 2404 890 
Sez. I, 26 giugno 1969, n. 2296 898 
Sez. I, 30 giugno 1969, n. 2397 900 
Sez. I, 1� luglio 1969, n. 2409 905 
Sez. III, 7 luglio 1969, n. 2507 826 
Sez. Un., 15 luglio 1969, n. 2604 820 
Sez. Un., 17 luglio 1969, n. 2645 827 
Sez. I, 22 luglio 1969, n. 2749 909 
Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2775 917 
Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2777 914 
Sez. Un., 24 luglio 1969, n. 2796 823 
Sez. I, 19 agosto 1969, n. 3010 . 916 
S'ez. III, 27 agosto 1969, n. 3047 838 
Sez. III, 27 agosto 1969, n. 3049 , 841 
Sez. Un., 7 ottobre 1969, n. 3194 965 
Sez. I, 8 ottobre 1969, n. 3211 .. 843 



XIV RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
Sez. Un., 9 ottobre 1969, n. 3235 
Sez. I, 14 ottobre 1969, n. 3296 
Sez. I, 22 ottobre 1969, n. 3452 
l~:.~...._. 
!~'":i~~---, 
TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE 
pag. 926 
970 
848 

23 ottobre 1969, n. 27 . . ........ pag. 974 


GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 9 maggio 1969, n. 17 pag. 862 
Ad. Plen., 21 maggio 1969, n. 20 864 
Ad. Plen., 10 giugno 1969, n. 21 867 
Sez. VI, 18 marzo 1969, n. 348 . 856 

COMMISSIONI TRIBUTARIE 

COMMISS:IONE CENTRALE 
S'ez. Un., 2 dicembre 1968, n. 99776 . . . . . . . . . . . . pag. 947 

COMMISSIONE PROVINCIALE 
Novara, 22 novembre 1967 ............. pag. 940 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. IV, 22 maggio 1968 pag. 976 
Sez. VI, 16 ottobre 1969, n. 1313 980 
Sez. II, 20 ottobre 1969, n. 1215 981 


TRIBUNALE PENALE 

L'Aquila, 20 gennaio 1969 pag. 983 
L'Aquila, 5 febbraio 1969 990 




SOMMARIO DELLA PARTE SECONDA 

RASSEGNA DI DOTTRINA 

HoHFELD W. N., Concetti giuridici fondamentali, Einaudi, Torino, 
1969 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 171 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Leggi e decreti (segnalazioni) . . pag. 173 

NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

-Norme delle quali � stato promosso giudizio di legittimit� 
costituzionale . . . . . . . . . . . . . . . . 173 

INDICE DELLE CONSULTAZIONI (secondo l'ordine di materia) 

Appalto pag. 185 Imposta di bollo pag. 188 
Assicurazione 185 Imposta di registro . 188 
Contributi 185 Imposta di successione 188 
Cooperative 185 Imposte e tasse 188 
Costituzione 186 Impiego pubblico 189 
Donazione 186 Imposte varie 190 
Edilizia economica e Occupazione 190 

popolare . 186 Previdenza ed assi-
Espropriazione per p.u. 187 stenza 190 
Farmacie 187 Regioni 190 

NOTIZIARIO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 191 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 
E INTERNAZIONALE 


' CORTE COSTITUZIONALE, 26 giugno 1969, n. 104 -Pres. Branca -
ReZ. Roechetti -Leoni ed altri (n.c.) e Presidente del Consiglio 
dei Ministri (vice avv. gen. dello Stato Foligno). 

Costituzione della Repubblica -Decreti legislativi emanati prima della 
entrata in funzione del primo Parlamento repubblicano -Mancanza 
di delega -Ritardo di conversione -Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione. 

(Cost., artt. 76, 77, XV disp. trans.; d.1.1. 25 giugno 1944, n. 151; d.I. 11 febbraio 
1948, n. 50). 

Sicurezza pubblica -Alloggio per mercede a stranieri ed apolidi Obbligo 
di denuncia all'autorit� di P. S. -Violazione del diritto 
alla inviolabilit� di domicilio e del principio di eguaglianza fra 
cittadini e stranieri -Illegittimit� costituzionale -Esclusione. 

(Cost., artt. 14, 3, 2, 10; d.l. 11 febbraio 1948, n. 50, art. 1 e 2). 

Anteriormente ait'entrata in funzione del primo Parlamento repubblicano, 
il potere legislativo era legittimamente esercitato dal Governo, 
non in virt� di delega del Parlamento, ma in base ai poteri 
conferitigli dal d.U. 25 giugno 1944, n. 151, convertito in le�gge dalla 
XV disposizione transitaria della Costituzione; per la successiva ratifica 
dei decreti cosi emanati dal Governo era: sufficiente la loro presentazione 
al Parlamento entro il termine del 9 maggio 1949, non anche la 
loro ratifica entro tale data (1). 

Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale del d.l. 
11 febbraio 1948, n. 50 che fa obbligo � chiunque dia alloggio per 
mercede a stranieri ad apolidi di farne denuncia all'autorit� di P.S., n� 

(1-2) La questione era stata proposta con varie ordinanze emesse da 
giudici di merito. 

Sulla prima massima, l'insegnamento della Corte � consolidato; cfr. le 
precedenti sentenze 7 luglio 1962, n. 85, Giur. Cost., 1962, 917, e nota di 
GROSSI, In tema di legislazione delegata di decreti legislativi posteriori ai 
25 giugno 1944; ord. 29 marzo 1961, n. 14, Riv. it. dir. e proc. pen., 1961, 
1143, con nota di DE FRANCO, Sui poteri legislativi conferiti al Gover




784 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

con riferimento alla inviolabilit� di domicilio, n� con riferimento al 
principio di eguaglianza ed alle norme di diritto internazionale relative 
alla tutela dei diritti dell'uomo (2). 

(Omissis). -2. -Pregiudiziale si presenta l'esame delle censure 
contenute nelle ordinanze dei pretori di Bolzano e di Chiusa, perch� 
esse investono l'intero d.l. 11 febbraio 1948, n. 50, che si assume emanate 
in violazione dei principi di cui agli artt. 76 e 77 della Costituzione. 

Tale decreto risale ad epoca anteriore alla ricostituzione delle 
Assemblee parlamentari e fu emesso in forza delle disposizioni del d.1.1. 
25 giugno 1944, n. 151, che conferi al Governo la facolt� di emanare 
norme giuridiche, nonch� in forza di quelle del successivo d.1.1. 16 
marzo 1946, n. 48, che prescrisse, per tutti i provvedimenti legislativi 
in tal modo emanati, l'obbligo della loro sottoposizione a ratifica del 
nuovo Parlamento, entro un anno dalla sua entrata in funzione. 

Ora, secondo i pretori di Bolzano e di Chiusa, il d.1. n. 50 del 1948 
sarebbe da ritenersi costituzionalmente illegittimo, sia perch� mancherebbe 
per esso una legge di delegazione, stante che la delega al Governo 
fu conferita non con legge, ma con decreto legislativo; e sia perch� 
la ratifica cui il decreto doveva essere, per la gi� richiamata norma 
speciale, sottoposto entro un anno, sarebbe intervei;mta fuori del termine 
anzidetto, a mezzo della legge 22 aprile 1953, n. {~42. 

Entrambe le questioni sono infondate. 

Quanto alla prima, � da rilevare che questa Corte ha gi� ritenuto 
pi� volte (sentenze 46 del 1960, 85 del 1962, 27 e 95 del 1964) che la 
facolt� di emanare provvedimenti aventi forza di legge, concessa al 
Governo a mezzo dei due d.1.1. 151 del 1944 e 98 del 1946 sull'ordinamento 
provvisorio dello Stato, non pu� inquadrarsi nei principi della 
delega legislativa, dovendo essere considerata come attribuzione allo 
stesso Governo del potere di legiferare in sostituzione degli organi legislativi 
mancanti, e salvo ratifica da parte di essi dopo la loro intervenuta 
ricostituzione. 

Alla struttura di questo sistema straordinario e provvisorio, come 
ai provvedimenti in forza di esso emanati, sono da ritenersi estranee, 
e perci� inapplicabili, le norme degli artt. 76 e 77 della Costituzione. 
Questa, per altro, avendo, nella disposizione XV transitoria, disposto 
la conversione in legge del d.1.1. 25 giugno 1944, n. 151, sull'ordina


no, ecc...; ord. 23 marzo 1964, n. 27 e 26 novembre 1964, n. 95, in Giur. 
Cast., 1964, rispettivamente, 233 e 1030. 

Sulla se,conda massima, per la configurazione del reato anche per 
assunzioni saltuarie dello straniero al lavoro, Cass., 26 gennaio 1968, rie. 
Dogliotti, Mass. Cass. pen., 1968, 509. 

In dottrina, PACE, Sull'onere dei clienti di dare le proprie generalitd 
all'albergatore, ecc., Giur. Cast., 1966, 1890. 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 785 

mento provvisorio dello Stato, ha reso con ci� impossibile ogni riferimento 
a disposizioni diverse da quelle di cui al detto decreto per quanto 
attiene al riscontro della validit� dei provvedimenti in base allo stesso 
emanati. 

Anche l'altra censura sul preteso superamento dei termini stabiliti 
per la rati.fica � poi da ritenersi priva di fondamento, giacch� nulla 
rileva che tale ratifica � intervenuta soltanto con la legge n. 342 del 
1953, dal momento che la sottoposizione a ratifica da parte del Governo 
venne effettuata nei termini dell'anno dalla entrata in funzione del 
nuovo Parlamento, cos� come disposto dall'art. 6 del d.1.1. n. 98 del 1946, 
il cui precetto aveva come destinatario il primo e non il secondo dei 
detti due poteri dello Stato (sentenze 46 del 1960, 27 e 95 del 1964). 

La richiesta di ratifica da parte del Governo avvenne infatti alla 
Camera dei Deputati il 4 maggio del 1949, e quindi prima che scadesse 
l'anno dalla entrata in funzione del nuovo Parlamento, la cui seduta 
inaugurale aveva avuto luogo il 9 maggio 1948. 

Ed � appena il caso di rilevare, giacch� la formula del citato art. 6 
( � i provvedimenti... devono essere sottoposti a ratifica �) non ammette 
equivoci, che nell'anno doveva avvenire la sottoposizi�me a ratifica, e 
cio� la presentazione per la ratifica, e non gi� la ratifica stessa, per 
provvedere alla quale il Parlamento non aveva avuto assegnato alcun 
termine. 

3. -Passando all'esame delle censure che attengono al merito della 
causa, si rileva innanzi tutto la infondatezza di quella dedotta dal 
tribunale di Rovereto relativamente all'art. 2 del d.l. n. 50 del 1948 
che, si sostiene, con l'imporre la denuncia alla autorit� di P .S. della 
ospitalit� concessa nella propria abitazione a stranieri o apolidi, anche 
se parenti, violerebbe l'art. 14, primo comma, della Costituzione, il 
quale proclama che il domicilio � inviolabile. 
Ora la tutela garantita dall'art. 14, come � chiaramente rivelato 
dai tipi di immissione consentiti alla pubblica autorit� con le forme 
e� nei casi nei due commi successivi dello stesso art. 14 (ispezioni, perquisizioni, 
sequestri ed accertamenti), non copre la sfera di quegli 
obblighi personali di informazione e comunicazione che la legge pu� 
imporre al cittadino, anche se connessi all'uso che egli fa del luogo 
da lui adibito a suo domicilio. 

� pertanto da escludersi che sia violato, nel caso, il diritto di 
libert� garantito dall'art. 14 della Costituzione. 

4. -Lo stesso tribunale di Rovereto, e successivamente il pretore 
di San Don� di Piave, hanno poi dedotto la illegittimit� costituzionale 
degli artt. 1 e 2 del d.l. n. 50 del 1948 con riferimento all'art. 3 della 
Costituzione ed in relazione agli artt. 2 e 10 della stessa. 
A loro dire, le norme del decreto legislativo in esame avrebbero 
irrazionalmente riservato un trattamento differenziato a due situazioni 



786 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

da ritenersi equivalenti, com'� quella di colui che alloggia od ospita 
un cittadino, di fronte a quella di colui che alloggia od ospita uno 
straniero od un apolide. 

Presupposto di tale ritenuta eguaglianza, delle due situazioni � 
ovviamente la eguaglianza parimenti ritenuta nel~e ordinanze di rimessione, 
fra il cittadino e lo straniero nella tutela dei diritti inviolabili 
dell'uomo (art. 2 Cost.) e nei diritti allo straniero riconosciuti dalla 
legge in conformit� delle norme e dei trattati internazionali nell'ordinamento 
giuridico italiano che si conforma alle norme del diritto internazionale 
generalmnete riconosciute (art. 10, secondo e primo comma 
della Costituzione). 

La Corte ha accolto, nella sentenza 120 del 1962, il punto di vista 
che il principio di eguaglianza, pur essendo nell'art. 3 della Costituzione 
riferito ai cittadini, debba ritenersi esteso agli stranieri allorch� 
si tratti della tutela dei diritti inviolabil dell'uomo, garantiti allo straniero 
anche in conformit� dell'ordinamento internazionale. 

E da tale affermazione ,relativa alla parificazione dello straniero 
al cittadino, la Corte non ha motivo di discostarsi, essendo ovvio che, 
per quanto attiene ai diritti� inviolabili della personalit�, che rappres�ntano 
un minus rispetto alla somma dei diritti di libert� riconosciuti 
al cttadino, la ttolarit� di quei diritti, comune al cittadino e allo straniero 
nell'ambito di quella sfera, non pu� non importare, entro la 
stessa, una loro posizione �di eguaglianza. 

Ma la riconosciuta eguaglianza di situazioni soggettive nel campo 
della titolarit� dei diritti di libert� non esclude affatto che, nelle situazioni 
concrete, non possano presentarsi, fra soggetti uguali, differenze 
di fatto che il legislatore pu� apprezzare e regolare nella sua discrezionalit�, 
la quale non trova altro limite se� non nella razionalit� del 
suo apprezzamento. 

Ora, nel caso, non pu� escludersi che, tra cittadino e straniero, 
bench� uguali nella titolarit� di certi diritti di libert�, esistano differenze 
di fatto che possano giustificare un loro diverso trattamento nel 
godimento di quegli stessi diritti. Il cittadino ha nel territorio un suo 
domicilio stabile, noto e dichiarato, che lo straniero ordinariamente 
non ha; il cittadino ha diritto di risiedere ovunque nel territorio della 
Repubblica ed, ovviamente, senza limiti di tempo, mentre lo straniero 
pu� recarsi a vivere nel territorio del nostro, come di altri Stati, solo 
con determinate autorizzazioni e per un periodo di tempo che � in 
genere limitato, salvo che egli non ottenga il cosiddetto diritto di stabilimento 
o di incolato che gli assicuri un soggiorno di durata prolungata 

o indeterminata; infine il cittadino non pu� essere allontanato per 
nessun motivo dal territorio dello Stato, mentre lo straniero ne pu� 
essere espulso, ove si renda indesiderabile, specie per commessi reati. 

PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 787 

Questa differenza di situazioni di fatto e di connesse valutazioni 
giuridiche, la cui elencazione � superfluo continuare, sono rilevabili 
in ogni ordinamento e si fondano tutte sulla basilare differenza esistente 
tra il cittadino e lo straniero, consistente nella circostanza che, mentre 
il primo ha con lo Stato un rapporto di solito originario e comunque 
permanente, il secondo ne ha uno acquisito e generalmente temporaneo. 
Ne deriva che ogni indagine diretta ad accertare ove egli si trovi nel 
territorio dello Stato, sia che si consegua con l'obbligo a lui imposto 
di denunciare ogni suo spostamento da Comune a Comune (art. 142, 

t.u. legge di P.S.) o con l'obbligo concorrente, ed eventualmente sostitutivo, 
imposto a chi lo alloggia o lo ospita di segnalare la sua presenza 
(artt. 1 e 2 d.1. n. 50 del 1948) � legittima, perch� fondata sulla 
necessit� razionale di poter raggiungere lo straniero ovunque si trovi; 
e ci� non solo allo scopo di sottoporlo a controllo, ma anche di assicurargli 
quelle forme di assistenza che gli sono dovute, partecipandogli, 
ad esempio, informazioni e notizie urgenti con le quali le sue autorit� 
consolari intendano raggiungerlo. 
Per tutte queste ragioni devono essere ritenute infondate anche le 
censure attinenti a pretese violazioni dei principi relativi alla eguaglianza 
di cui agli artt. 3, 2 e 10 della Costituzione. 

5. -Ma il discorso su questo punto non pu� ritenersi concluso 
perch�, a sostegno della tesi della violazione di quei principi, il tribunale 
di Rovereto e il pretore di San Don� di Piave hanno dedotto, 
come norme di riferimento, egualmente volte alla loro tutela, anche 
le disposizioni degli artt. 8, 14 e 16 della Convenzione Europea dei 
diritti dell'uomo, stipulata il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia 
con la legge 4 agosto i955, n. 848. 
Tale convenzione dispone all'art. 8 il diritto al rispetto della vita 
privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza e afferma, 
all'art. 14, che il godimento di tali diritti, come di ogni altro contemplato 
nell'intero testo della convenzione, deve .essere assicurato a tutti 
senza distinzione alcuna, salvo (art. 16) le limitazioni all'attivit� politica 
degli stranieri. 

Il pretore di San Don� di Piave si pone per altro il quesito della 
forza di resistenza attribuibile a tale norma della convenzione sul 
piano del nostro diritto pubblico interno, nel quale quelle norme potrebbero 
inserirsi per il tramite degli artt. 2 e 10 della Costituzione. 

La Corte, che nella sentenza n. 32 del 1960 ebbe a ritenere che 
la disposizione dell'art. 10 si riferisce alle norme del diritto internazionale 
generalmente riconosciute e non ai singoli impegni assunti nel 
campo internazionale dallo Stato, nel riportarsi a tale suo avviso, non 
ritiene necessario, ai fini della risoluzione dei problemi formanti oggetto 
di questo giudizio, ogni ulteriore indagine sull'argomento. E ci� perch�, 
anche se le citate norme della Convenzione Europea�dei diritti dell'uomo 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

788 

avessero quella forza di resistenza che il pretore di San Dona di Piave 
mostra di ritenere, la soluzione del caso non cambierebbe, non essendo 
dubitabile che, anche in presenza dei diritti garantiti dai richiamati 
articoli di detta Convenzione, abbiano rilevanza le differenze di fatto 
esistenti fra soggetti tutelati, con le conseguenze di cui si � innanzi 
discusso. 

Inoltre, il secondo comma dell'art. 8 della Convenzione, che ha, 
nei confronti delle correlative norme della Costituzione, qualche sfumatura 
di migliore precisazione della tutela della riservatezza, non 
esclude che possa nella vita privata e familiare, nel domicilio e nella 
corrispondenza, aversi ingerenza della pubblica autorit�, � nei limiti in 
cui tale ingerenza � prevista dalla legge e costituisce una misura che, 
in una societ� democratica, � necessaria per la sicurezza nazionale, la 
sicurezza pubblica, il benessere economico del paese, la difesa dell'ordine 
e la prevenzione delle infrazioni penali, la protezione della salute 
e della morale, la protezione dei diritti e delle libert� altrui �. 

Tenuto conto di ci�, deve affermarsi che le norme dei due articoli 
di cui si compon~ il d.l. n. 50 del 1948, e che tendono ad accertare 
soltanto la notizia del luogo ove lo straniero si trovi nel nostro Paese 
e cio� ad averne in ogni momento il recapito, non possono violare il 
disposto dell'art. 8 della Convenzione, perch� l'ingerenza della nostra 
autorit�, cui dalla legge � consentito di procurarsi quelle notizie, non 
pu� non trovare giustificazione in una o pi� delle molteplici ragioni 
contemplate da quell'articolo e ritenute valide a giustificare quella 
ingerenza. 

Anche quest'ultima censura di cui alle richiamate ordinanze deve 
pertanto dichiararsi infondata. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 giugno 1969, n. 105 -Pres. Branca -
Rel. Reale -Callegher (n.c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). 

Lavoro -Disciplina dei contratti collettivi -Identificazione delle ca


tegorie professionali interessate -Illegittimit� costituzionale 

della normativa -Esclusione. 

(Cast., art. 39; e.e. art. 2070, commi primo e secondo). 

Non �' in contrasto con il principio dell'autonomia sindacale sancito 
dall'art. 39 della CosiJituzione la disposizione dei primi due commi 
dell'art. 2070 e.e., che dettano norme generali per l'individuazione delle 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 789 

categorie professionali nei cui confronti devono applicarsi i contratti 
coUettivi di lavoro (1). 

(Omissis). -4. -Come questa Corte ha ritenuto con la sentenza 

n. 70 dell'8 maggio 1963, nell'ordinamento attuale, che garantisce la 
libert� e l'autonomia sindacale, le categorie professionali hanno rilevanza 
giuridica non gi� in base ad astratti concetti di classificazione 
delle attivit� produttive o come qualificazioni settoriali dei lavoratori 
autoritativamente prestabilite secondo il sistema corporativo, ma in 
quanto costituiscono entit� economico-sociali risultanti dalla spontanea 
organizzazione sindacale e dalla autonomia collettiva. 
A questo nuovo significato delle dette categorie, rispondente al 
principio costituzionale della libert� sindacale, ha sicuro riferimento 
la ricordata legge del 14 luglio 1959, n. 741, e non � dubbio che la 
nozione di categoria, cosi intesa, costituisce, come criterio per determinare 
la sfera di applicazione del contratto collettivo, una componente 
normativa del sistema, dalla quale non si possa prescindere. 

Con i principi sopra enunciati non risulta incompatibile l'art. 2070 
del codice civile. 

L'applicabilit� dei contratti collettivi dichiarati obbligatori erga 
omnes, secondo lo spirito e le finalit� della legge sopra menzionata, 
importa che di tali contratti (come questa Corte ha affermato con le 
sentenze nn. 106, del 1962 e 70 del 1963) si � inteso sostanzialmente 
estendere la efficacia a quanti, imprese e lavoratori, in difetto di iscrizione 
alle rispettive organizzazioni sindacali e pur rientrando per l'attivit� 
espletata nella medesima categoria professionale indicata dal contratto 
collettivo, non avrebbero potuto invocarne l'attuazione in base 
alle norme di diritto comune. 

E, come ha osservato l'Avvocatura, con la estensione dell'efficacia 
del contratto collettivo ad opera della legge predetta, la delimitazione 
dei destinatari del contratto collettivo, che in origine ha costituito 
libera espressione della volont� sindacale, acquista vigore di determinazione 
legislativa anche circa la categoria professionale, alla quale le 
norme del contratto sono obbligatoriamente applicabili. 

Nell'ambito dei summenzionati principi, certamente non contrastanti, 
per le suddette ragioni,. con la libert� sindacale garantita dalla 
Costituzione, le disposizioni impugnate dell'art. 2070 rimangono dirette 

(1) La questione era stata proposta con due ordinanze del 20 novembre 
1967 del Pretore di Napoli (Gazzetta Ufficiale 30 marzo 1968, n. 84). 
Sostanzialmente conforme al principio espresso dalla Corte Costituzionale 
con la sentenza in rassegna � la giurisprudenza della Corte di 
Cassazione (cfr. da ul:timo, sent. 26 febbraio 1969, n. 630, Giust. civ., 1969, 
I, 1505 e nota di richiami). 



790 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a dirimere gli eventuali conflitti tra difformi normative collettive, di 
cui sia invocata l'applicazione ad un rapporto individuale di lavoro. 

Non � da escludere, ovviamente, che il futuro legislatore, in attuazione 
dell'art. 39, ultimo comma, della Costituzione, possa provvedere 
a dirimere tali conflitti anche secondo criteri diversi. Ma, allo stato, 
le disposizioni di cui sopra adempiono ad una funzione necessaria e 
non appaiono prive di razionalit�. 

N� manca di rilievo la circostanza che le disposizioni stesse furono 

tenute presenti nel corso della elaborazione della ricordata legge n. 741 
del 1959. 

� posta, anzitutto, nel primo comma, la regola che �l'appartenenza 
alla categoria professionale ai fini dell'applicazione del contratto collettivo, 
si determina secondo l'attivit� effettivamente esercitata dall'imprenditore 
., e che, cio�, nell'effettiva . qualificazione economica dell'impresa 
deve essere ricercato il criterio per determinare il contratto 

�' 

collettivo applicabile. 

Il secondo comma, nel caso che l'imprenditore eserciti distinte 
attivit� aventi carattere autonomo, dichiara applicabili � ai rispettivi 
rapporti di lavoro le norme dei contratti collettivi .corrispondenti alle 
singole attivit� �. E consente implicitamente all'interprete di adottare 
diversa soluzione quando si tratti di attivit� connesse dirette al raggiungimento 
di una stessa finalit� produttiva. 

In una visione completa dei problemi attinenti all'applicazione 
dei contratti collettivi non va poi trascurata (ancorch� non sia oggetto 
espresso della questione proposta) la disposizione del terzo comma 
dell'art. 2070. 

In essa � stabilito che quando il datore di lavoro esercita non 
professionalmente una attivit� organizzata, sono applicabili al rapporto 
le norme collegate alla effettiva natura dell'attivit� espletata: ipotesi 
il cui accertamento nella specie �, ovviamente, demandato al giudice 
di merito. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 giugno 1969, n. 107 -Pres. Branca Rei. 
Capalozza -Pastorini ed altri (n.c.). 

Esecuzione fiscale -Opposizione agli atti esattoriali -Limitazione 

per i beni della moglie non costituiti in dote prima della dichiara


zione annuale o dell'avviso di accertamento -Illegittimit� costi


tuzionale -Esclusione. 

(Cost., artt. 3, 24, 29, 30, 42; d. P. R. 29 gennaio 1958, n. 645, art. 207, lett. b). 

Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 207 
lett. b del t.u. sulle imposte dirette, che limita L'opposizione della 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 789 

categorie professionali nei cui confronti devono applicursi i contratti 
collettivi di lavoro (1). 

(Omissis). -4. -Come questa Corte ha ritenuto con la sentenza 

n. 70 dell'8 maggio 1963, nell'ordinamento attuale, che garantisce la 
libert� e l'autonomia sindacale, le categorie professionali hanno rilevanza 
giuridica non gi� in base ad astratti concetti di classificazione 
delle attivit� produttive o come quali.ficazioni settoriali dei lavoratori 
autoritativamente prestabilite secondo il sistema corporativo, ma in 
quanto costituiscono entit� economico-sociali risultanti dalla spontanea 
organizzazione sindacale e dalla autonomia collettiva. 
A. questo nuovo significato delle dette categorie, rispondente al 
principio costit.zionale della libert� sindacale, ha sicuro riferimento 
la ricordata legge del 14 luglio 1959, n. 741, e non � dubbio che la 
nozione di categoria, cosi intesa, costituisce, come criterio per determinare 
la sfera di applicazione del contratto collettivo, una componente 
normativa del sistema, dalla quale non si possa prescindere. 
Con i principi sopra enunciati non risulta incompatibile l'art. 2070 
del codice civile. 

L'applicabilit� dei contratti collettivi dichiarati obbligatori erga 
omnes, secondo lo spirito e le finalit� della legge sopra menzionata, 
importa che di tali contratti (come questa Corte ha affermato con le 
sentenze nn. 106� del 1962 e 70 del 1963) si � inteso sostanzialmente 
estendere la efficacia a quanti, imprese e lavoratori, in difetto di iscrizione 
alle rispettive organizzazioni sindacali e pur rientrando per l'attivit� 
espletata nella medesima categoria professionale indicata dal contratto 
collettivo, non avrebbero potuto invocarne l'attuazione in base 
alle norme di diritto comune. 

E, come ha osservato l'Avvocatura, con la estensione dell'efficacia 
del contratto collettivo ad opera della legge predetta, la delimitazione 
dei destinatari del contratto collettivo, che in origine ha costituito 
libera espressione della volont� sindacale, acquista vigore di determinazione 
legislativa anche circa la categoria professionale, alla quale le 
norme del contratto sono obbligatoriamente applicabili. 

Nell'ambito dei summenzionati principi, certamente non contrastanti, 
per le suddette ragioni,. con la libert� sindacale garantita dalla 
Costituzione, le disposizioni impugnate dell'art. 2070 rimangono dirette 

(1) La questione era stata proposta con due ordinanze del 20 novembre 
1967 del Pretore di Napoli (Gazzetta Ufficiale 30 marzo 1968, n. 84). 
Sostanzialmente conforme al principio espresso dalla Corte Costituzionale 
con la sentenza in rassegna � la giurisprudenza della Corte di 
Cassazione (cfr. da ultimo, sent. 26 febbraio 1969, n. 630, Giust. civ., 1969, 
I, 1505 e nota di richiami). 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

792 

c) Quanto all'art. 29, primo comma. L'unit� familiare non si 
consolida con la dote e ci� anche a tacere che il e.e. (art. 202) disciplina 
l'istituto della ,separazione della dote, cui la mogli~ pu� ricorrere tra 
le altre ipotesi -quando sia in pericolo di perderla ovvero quando 
il disordine degli affari del marito lasci temere che i frutti della dote 
siano distratti dalla loro destinazione. 

d) Quanto all'art. 30, primo comma. Non � invocabile il dovere 
e il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare la prole, 
attenendo quelli ad una sfera ben diversa e pi� alta, il cui rispetto non 
pu� essere collegato all'intangibilit� dei mobili dotali. 

e) Quanto all'art. 42, secondo comma. La norma costituzionale, 
nel riconoscere e garantire la propriet� ,privata, attribuisce alla legge 
ordinaria la determinazione dei modi (di acquisto e) di godimento di 
essa e dei suoi limiti: ed il codice civile, pi� volte, ai fini della tutela 
dei diritti di credito, conferisce rilevanza alla localizzazione della cosa 
mobile, anche in pregiudizio dei diritti dei terzi su di essa (artt. 2756, 
2760, 2761, 2764 e.e.). 

Gi� con sentenza n. 4 del 1960, questa Corte ha negato che l'assoggettabilit� 
di beni (mobili) ad esecuzione forzata annulli la tutela 
del diritto di propriet�, non escludendo l'art. 42, secondo comma, � che 
tale difesa, in certe situazioni, sia subordinata a condizioni o a presupposti 
o ad un particolare comportamento dello stesso proprietario �. (
Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 115 -Pres. Branca -Rel. 
De Marco -Soc. Casauria (avv. Jemolo, Passeri), Enel (avv. Nigro) 
e Presidente del Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato 
Tracanna). 

Energia elettrica -Enel -Criteri di determinazione dell'indennizzo alle 

imprese espropriate -Illegittimit;� costituzionale -Esclusione. 

(Cost. art. 3, 42; I. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 5, n. 2; p. P. R. 25 febbraio 1963, 

n. 138, art. 2). 
Non � fondata, con riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione, 
la q,uestione di legittimit� costituzionale delle norme delle leggi istitutive 
dell'Enel re,lative alla liquidazione alle imprese espropriate non 
quotate in borsa e tenute alla formazione' dei bilanci (1). 

(1) La questione era stata proposta con ordinanza 14 aprile 1967 del 
Tribunale di Roma (Gazzetta Ufficiale 2 settembre 1967, n. 221). 
In dottrina, cfr. D'AMELIO, Giurisprudenza e dottrina sull'Enel, Riv. 
trim. dir. pubb., 1968 678; CARNACINI, Un'altra delle tante leggi mal formulate, 
Riv. trim. dir. civile, 1968, 684. 



(Omissis). -3. -Ricondotta cosi la questione nei suoi termini giuridici, 
resta da accertare se la normativa, contenuta nell'art. 5 della 
legge 6 dicembre 1962, n. 1643, e nell'art. 2 d.P.R. 25 febbraio 1963, 

n. 138, violi il principio di eguaglianza (art. 3, comma primo, della Costituzione) 
e quello di indennizzo (art. 42, comma terzo, della Costituzione), 
avvertendo che, pur essendo stato denunziato con l'ordinanza 
di rinvio il solo n. 2 dell'art. 5 della legge n. 1643 del 1962, � tutto il 
sistema della leggl che, in sostanza, viene messo in discussione e che, 
in conseguenza, tale sistema va esaminato nel suo insieme, al quale 
fine appare opportuno iniziare resame dal profilo della violazione del 
principio di eguaglianza, in quanto tale profilo, come si vedr�, finisce 
con l'assorbire quello della. violazione del prin cipio di indennizzo, 
anzi, addirittura ad identificarsi con esso. 
4. -Il sistema adottato dal legislatore, con l'art. 5 della legge 
n. 1643 del 1962, per determinare l'indennizzo da corrispondere dall'Enel 
agli aventi diritto, nelle sue linee generali � il seguente: 
a) Per le imprese assoggettate a trasferimento, appartenenti a 
societ� con azioni ammesse alle quotazioni in borsa, l'indennizzo � determinato 
in misura pari alla media dei valori del capitale della societ�, 
quale risulta dai prezzi' di compenso delle azioni nella borsa di Milano, 
oppure, se ivi non sono quotati, nella borsa pi� vicina alla sede della 
societ� emittente, nel periodo dal 1�0 gennaio 1959 al 31 dicembre 
1961 (art. 5, n. 1); 

b) Per le imprese assoggettate a trasferimento, che non abbiano 
azioni quotate in borsa, ma siano tenute alla formazione del bilancio, 
ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, l'indennizzo � determinato in 
misura pari all'importo del capitale netto risultante dai bilanci al 31 
dicembre 1960, rettificato in base ai coefficienti dedotti dalle valutazioni 
dei capitali delle societ� con azioni quotate in borsa (art. 5, n. 2); 

c) Per le imprese assoggettate a trasferimento, diverse da quelle 
sub a) e sub b) l'indennizzo � determinato in base al valore di stima 
(art. 5, n. 4). 

Questo sistema �, poi, integrato dal d.P.R. 25 febbraio 1963, n. 138, 
con il quale si statuisce: 

a) che la media del valore del capitale delle societ� con azioni 
quotate in borsa, di cui all'art. 5, n. 1, della legge n. 1643 del 1962, 
si determina tenendo conto delle rettifiche per operazioni di aumento di 
capitale a pagamento e di rimborso di capitale od altre operazioni che 
possano avere avuto incidenza sul valore del capitale stesso, intervenute 
nel periodo 1� gennaio 1959-31 dicembre 1961 (art. 1); 

b) che, per le imprese assoggettate a trasferimento di cui all'art. 
5, n. 2, della legge n. 1643 del 1962 il coefficiente di rettificazione 
del capitale netto ai sensi di detto art. 5, n. 2, risulta dal rapporto tra 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

794 

la somma dei valori dei capitali delle imprese determinati come sub a) 
e la somma dei capitali netti delle imprese stesse quali si rilevano dai 
bilanci al 31 dicembre 1961, redatti in conformit� con la legge 4 marzo 
1958, n. 191 (art. 2); 

e) che per le imprese ed i beni non contemplati sub a) e sub b) 
l'indennizzo � liquidato in relazione al valore di stima determinato dagli 
uffici tecnici erariali, competenti per territorio, che debbono tener 
conto dei valori desumibili dalle scritture contabili al 31 dicembre 
1960, regolarmente tenute, n conformit� con le vigenti disposizioni legislative 
nonch� dei criteri adottati per le imprese di cui al n. 2 dell'art. 
5 della legge n. 1643 del 1962 e che, in mancanza di scritture 
contabili si tiene conto di ogni altro elemento di valutazione (art. 3). 

Dall'insieme delle riportate norme si pu� ben ritenere che risuti, 
con sufficiente certezza, come il legislatore, distinti, con criteri obiettivi, 
che non lasciano alcun margine di dubbio, in quanto ne riflettono 
le caratteristiche giuridche ed organiche, in tre categore i soggetti 
aventi diritto ad indennizzo, abbia avuto cura di adottare un criterio 
di liquidazione di tale indennizzo che, sia pure con opportuni adattamenti, 
assicurasse, nei limiti del possibile, un trattamento uniforme alle 
tre suddette categorie di soggetti. 

Poich� di queste categorie, due, che sono poi le pi� importanti e 

numerose, hanno l'obbligo di redigere il bilancio annuale, bilancio in 

base al quale, si noti bene, sono effettuati gli accertamenti fiscali, e 

la terza ha, quanto meno, l'obbligo di regolare ten�ta dei libri e deUe 

relative scritture contabili, appare evidente come il criterio, che, prima 

facie, si presentava quale il pi� adatto e razionale, fosse proprio quello 

di porre a base, per la determinazione degli indennizzi, appunto le risul


tanze dei bilanci e, comunque, delle scritture contabili. 

D'altra �parte, poich� � innegabile la differenza giuridica ed econo


mica tra societ� con azioni quotate in borsa, societ� con azioni non 

quotate in b0orsa ed altri soggetti diversi dai precedenti e, comunque, 

non aventi obbligo di redigere il bilancio, per meglio assicurare la uni


formit� di trattamento tra le suddette categorie di aventi �diritto all'in


dennizzo si � adottato quel coefficiente di rettificazione di cui all'art. 2 

d.P.R. n. 138 dei' 1963, applicabile ai sensi dell'art. 3 dello stesso d.l. 
anche ai soggetti per i quali 1a determinazione dell'indennizw � effettuata 
attraverso Stima da parte dell'ufficfo tecnico erariale. 
Che, in astratto, il sistema adottato dal legislatore risulti idoneo 
ad assicurare uniformit� .di criterio di liquidazione dell'indennizzo e, 
in conseguenza, parit� d trattamento per tutti i soggetti che vi abbiano 
diritto, a qualunque delle tre categorie sopra distinte essi appartengano, 
non pu� seriamente e�ssere contestato. 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 795 

Non �, al riguardo, fuor di luogo rilevare che, in sostanza, quel 
sistema non � nuovo nella nostra legislazione in quanto risulta gi� adottato 
dall'art. 2437 e.e. del 1942, che, disciplinando l'esercizio del diritto 
di recesso da parte dei soci, contempla le due ipotesi di societ� con 
azioni quotate in borse e societ� con azioni non quotate, disponendo, per 
questa seconda ipotesi, che al socio recedente compete il. rimborso delle 
proprie azioni, in proporzione al patrimonio sciale risultante dal bilancio 
dell'ultimo esercizio. 

1~� si opponga che la regola dell'art. 2437 ha un suo particolal'f 
fine di compromesso e non � applicabile come regola generale, argomentando 
l'art. 11 della legge n. 1643 del 1962, che disciplina l'esercizio 
del diritto di recesso del socio di una societ� assoggettata a tras:
Jlerimento, per la quale entro il 30 giugno 1964 l'assemblea straordinaria 
dei soci abbia deliberato il cambiamento dell'oggetto. 

Proprio l'art. 11 sopracitato, infatti, conferma la persistente validit� 
di quella regola, essendo manifestamente diretto ad evitare soltanto 
la immediata ed integrale esigibilit� di un credito, che per l'avvenuto 
trasferimento, � condizionato al pagamento dell'indennizzo da parte 
dell'Enel alla societ� espropriata. 

D'altra parte, sempre in astratto, ammesso e non concesso che po


tesse concepirsi, nonostante il coefficiente di rettificazione di cui sopra 

si � detto, una disparit� di trattamento tra le tre diverse categorie di 

aventi diritto all'indennizzo, non � concepibile -e l'ordinanza di rin


vio non lo spiega -che tale disparit� possa verificarsi tra grandi e 

piccole imprese, appartenenti alla stessa categoria, per le quali assolu


tamente identici sono i criteri di liqiudazione; in tal �aso infatti -e 

ci� va detto con particolare riguardo alle imprese di cui all'art. 5, 

n. 2, della legge del 1962, n. 1643 -propro applicando un unico criterio 
si attua la parit� giuridica di trattamento, giacch� l'ammontare 
dell'indennizzo verr� a determinarsi, in concreto, sulla base delle risultanze 
di ogni singolo bilancio, nel senso che variando queste, varier�, 
di conseguenza, quello. 
Pu�, dunque, escludersi che nel sistema sopra descritto ed esaminato 
possa ravvisarsi violazione del principio di eguaglianza sancito 
dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. 

5. -Resta, quindi, da accertare se nell'applicazione concreta di quel 
sistema si possa pervenire alla determinazione di indennizzi .talmente 
esigui da risultare addirittura irrisori o simbolici; comunque tali da 
risultare in contrasto con il terzo comma dell'art. 42 della Costituzione, 
in forza del quale � La propriet� privata pu� essere, nei casi preveduti 
dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse 
generale�. 
Che l'indennizzo debba essere effettivo e non meramente simbolico 
� chiaro, ma � chiaro altresi, che, specie quando ci si trova di fronte 



796 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ad espropriazioni di vasta portata e che riguardano numerosi soggetti, 
il legislatore debba fare ricorso a criteri di valutazione generali ed 
obiettivi, dai quali esula, bensi, ogni discrezionalit�, ma che, per la 
stessa loro natura, non possono condurre alla determinazione di un 
indennizzo che rispecchi integralmente il valore del bene espropriato 
(vedi: legge 15 gennaio 1885, n. 2892 sul risanamento della citt� di 
Napoli; legge 12 maggio 1950, n. 230: Provvedimenti per la colonizzazione 
dell'Altopiano della Sila e dei territori j onici contermini; legge 
18 aprile 1962, n. 167: Disposizioni per favorire l'acquisizione di aree 
fabbricabili per l'edilizia economica e popolare, quale risulta modificata 
dalla legge 21 luglio 1965, n. 904). 

Il concetto di indennizzo in tali ipotesi, alle quali quella in esame 
ben pu� essere parificata, � venuto, quindi, a qualificarsi con le espressioni 
di � congruo �, � equo � e simili, che stanno a significare come 
non debba essere tale da reintegrare completamente il patrimonio dell'espropriato, 
al quale, nell'interesse generale, ben pu� essere imposto 
.n certo sacrificio, ma non rappresenti, d'altra parte, una mera lustra. 

Chiarito, in tal modo, quale debba essere il concetto di indennizzo 
conforme al precetto costituzionale, deve escludersi che, nonostante le 
contrarie e contrastanti opinioni di tecnici della materia, un bilancio, 
compilato con la esatta osservanza delle norme di legge, non possa consentire 
una valutazione della consistenza patrimoniale dell'ente, cui si 
riferisce, che rientri in quei limiti di 'congruit� o di equit�, cui sopra 
si � accennato. 

D'altra parte tutti gli enti aventi l'obbligo di bilancio, in base al 
bilancio stesso sono soggetti all'accertamento del reddito da sottoporre 
alle imposte dirette. 

Imputet sibi, quindi, chi avendo compilato un bilancio non veritiero 
ed avendo, in base a quel bilancio, subito l'accertamento fiscale, 
si vede, poi, sempre in base a quello stesso documento, da lui proveniente, 
valutare, eventualmente ad altri fini, il suo patrimonio in misura 
inferiore a quella da lui ritenuta esattamente rimunerativa. 

A ci� aggiungasi che nella specie la determinazione dell'indennizzo 
non � stata effettuata sulla base dei bilanci presentati ai fini fiscali, 
ma di quelli compilati ai sensi della legge 4 marzo 1958, n. 191, nei 
quali le imprese potevano contabilizzare plusvalenze di capitale anche 
oltre i limiti di quelle ammesse agli effetti fiscali a titoli di riserva 
per conguaglio monetario (vedi prospetto �Stato patrimoniale al 31 
dicembre 19 ... � allegato alla citata legge n. 191). E se � vero che la 
contabilizzazione di quelle plusvalenze non era obbligatoria � altrettanto 
vero che essa non era vietata: con il che si vuole dire, in sostanza, 
che gli effetti derivanti e derivati dalla compilazione dei bilanci 
osno imputabili, se non favorevoli, esclusivamente alle imprese 
interessate. 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 797 

Le considerazioni che precedono circa il concetto di congruo indennizzo 
bastano anche a dimostrare l'inconsistenza delle critiche mosse 
al coefficiente di integrazione ed alla sua effettiva capacit� di raggiungere, 
in misura eguale per tutti, lo scopo voluto dal legislatore. 

Si tratta, invero, di un coefficiente desunto da una media, come 
tale insuscettibile di fornire una integrazione completa ma non perci� 
inidoneo alla funzione perequativa, per la quale � stato istituito. 

Comunque, in concreto, tale coefficiente � valso a fare aumentare 
di un terzo l'indennizzo liquidato, in base al suo bilancio, alla Casauria. 

Anche sotto il profilo del contrasto con l'art. 42, terzo comma, 
della Costituzione, la sollevata questione risulta, quindi, infondata. (
Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 116 -Pres. Branca -Rel. 
Trimarchi -Viavattene (n. c.), INAIL (avv. Flamini) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (sost. avv. gen. dello Stato Tracanna). 

Previdenza ed assistenza sociale -Assicurazione obbligatoria contro 

gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali -Prescrizione 

dell'azione contro l'I.N.A.I.L. -Parziale illegittimit� costituzio


nale della normativa. 

(Cost., art. 38; r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 67, comma primo; I. 19 gennaio 
1963, n. 15, art. 16; p. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, comma primo). 

Sono viziate da illegittimit� co�sti(uzionale, per contrasto con l'articolo 
38 della Costituzione, l'art. 67 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, 
�he stabiliva in un anno -nonch� le analoghe norme dell'art. 16 della 
legge 19 gennaio 1963, n. 15 e dell'art. 112 del decreto del Presidente 
della Re.pubblica 30 giugno 19651 n. 1124, che stabiliscono in tre 
anni -il termine della prescrizione dell'azione contro l'INAIL per la. 
rendita di inabilit� permanente an�he nel caso che, entro gli stessi 
termini, tale inabilit� non abbia ridotto l'attitudine al lavoro in misura 
superiore al minimo indennizzabile (1). 

(1) La questione era stata sollevata con ordinanza 28 dicembre 1967 
del Tribunale di Enna (Gazzetta Ufficiale 30 marzo 1968, n. 84). 
La giurisprudenza era oscillante sull'applicabilit� del termine di prescrizione 
triennale introdotto dalla legge del 1963. Cosi, per l'applicabilit� 
del nuovo termine anche ai rapporti gi� colpiti dalla precedente prescrizione 
annuale, Cass. 2 ottobre 1968, n. 3061, Mass. Foro it., 1968; in senso 
contrario, invece, Cass., 12 ottobre 1967, n. 2422, Foro it., 1968, I, 758. 

In dottrina, cfr. Rossi, Il termine prescrizionale dell'azione, ecc. in 
Riv. it. prev. sociale, 1968, 763. 

3 



798 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


(Omissis). -3. -L'ipotesi che il tribunale di Enna si � prospettata 

e nella quale rientrerebbe il caso del Viavattene, � caratterizzata da 
una denuncia effettuata (il 20 gennaio 1959) tosto che si era avuta (alla 
fine del 1958 o ai primi del 1959) la manifestazione (in concreto) della 
malattia professionale, e dall'insorgenza dell'inabilit� permanente di 
grado indennizzabile (che si sarebbe avuta solo nel dicembre del 1961) 
ben oltre il termine di prescrizione dell'azione. 

L'art. 67, comma primo, dettato per tutte le ipotesi di prima liquidazione 
della rendita e quindi anche per l'ipotesi sopra prospettata, 
viene sostanzialmente, come osserva il tribunale di Enna, a frustrare il 
diritto dell'assicurato alla rendita per inabilit� permanente. Nonostante 
il venir a desistenza dei presupposti di legge, il diritto dell'assicurato 
si estinguerebbe per prescrizione e l'azione verrebbe ad essere paralizzata 
dalla proposizione della relativa eccezione da parte dell'Istituto. 

Messa a raffronto tale normativa con il dettato dell'art. 38, comma 
secondo, della Costituzione, come ha fatto il giudice a quo, si rende 
evidente un sicuro contrasto. Il diritto dei lavoratori acch� siano garantiti 
mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di malattia, 
certamente assicurato dalle norme vigenti in materia, non lo � pi�, 
in termini concreti, nell'ipotesi a riferimento. E l'art. 38, comma secondo, 
in questa ipotesi, pertanto si viene a vanificare. 

Non pu�, perci�, non riconoscersi la fondatezza della sollevata questione 
di legittimit� costituzionale, con la conseguenza che debba essere 
dichiarata l'illegittimit� costituzionale dell'art. 67, comma primo, del 
decreto n. 1765 del 1935 nella parte in cui � prevista la prescrittibilit� 
dell'azione per il conseguimento della rendita per inabilit� permanente 
derivante da malattia professionale nonostante che,� entro il relativo 
termine, l'inabilit� permanente non abbia raggiunto il grado minimo 
per l'indennizzabilit�. 

Dalla dichiarazione di illegittimit� costituzionale della norma in 
parte qua discende che, verificandosi in concreto un fatto capace di 
rientrare in quella previsione normativa, il diritto alla rendita pu� 
essere fatto valere nei modi o termini previsti per la revisione. Di questa 
ci si pu� servire non solo nel caso di modifica da apportare ad un 
precedente provvedimento (per lo pi� positivo) emesso. dall'Istituto, ma 
anche nel caso di costituzione della rendita e cio� di prima liquidazione 
della stessa, dovendosi considerare come posti sullo stesso piano 
e l'aggravamento dei postumi (gi� ritenuti indennizabili) ed il raggiungimento 
del grado minimo indennizzabile e dovendosi, correlativamente, 
secondo la pi� recente giurisprudenza, considerare sullo stesso piano 
il titolare effettivo e quello potenziale della rendita. 

4. -Le ragioni che inducono a considerare illegittimo costituzionalmente 
l'art. 67, comma primo, del citato decreto n. 1765 del 1935, 
ricorrono anche a proposito dell'art. 16, comma primo, della legge 19 

PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 799 

gennaio 1963, n. 15 (riprodotto nell'art. 112, comma primo, t.u. 30 
giugno t965, n. 1124) che ha portato da un anno a tre anni il termine 
prescrizionale in oggetto. Nonostante che in base a tali disposizioni l'effetto 
estintivo della prescrizione consegua al mancato esercizio del diritto 
protratto per un periodo di tempo molto pi� lungo del precedente 
e quindi si presenti ben pi� difficile a verificarsi l'eventualit� che il 
minimo sufficiente di inabilit� permanente sia raggiunto al di l� della 
scadenza del termine prescrizionale, la ricorrente comunanza di ragioni 
comporta, a sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la dichiarazione 
di illegittimit� costituzionale. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 117 -Pres. Branca -Rel. 
Benedetti -Pirastru (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). 

Sardegna -Provvedimenti per la repressione dell'abigeato e del pa


scolo abusivo -Delega al Governo di emanare speciali re.gola


menti -Inammissibilit� della questione~ 

(Cost. art. 25, secondo comma; 1. 2 agosto 1897, n. 382, art. 3, n. 3). 

� inammissibile la questione di legittimit� costituzionale dell'articolo 
3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, n. 382, che demandava al Governo 
di emanare speciali regolamemti per la repressione dell'abigeato 
e del pascolo abusivo, in quanto si tratta di norma anteriore alla Costituzione 
ed il giudizio sulla questione non potrebbe avere alcuna rilevanza 
sulla validit� e legittimit� degli atti 1�egolamentari che siano stati 
emanati in ottemperanza a detta delega (1). 

(Omissis). -1. -Con l'ordinanza in epigrafe viene sollevata, in 
riferimento all'art. 25, comma secondo, della Costituzione, la questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 3, n. 3, della legge 2 agosto 1897, 

n. 382, portante provvedimenti per la Sardegna, con il quale fu �data 
facolt� al Governo di provvedere con speciali regolamenti alla repressione 
dell'abigeato, del pascolo abusivo e dei danneggiamenti alle pri(
1) La .questione era stata proposta con ordinanza 1� febbraio 1968 
del Pretore di Sassari (Gazzetta Ufficiale 11 maggio 1968, n. 120). 
La sentenza 27 giugno 1968, n. 73, ricordata in motivazione, � pubblicata 
in questa Rassegna, 1968, 696. 



800 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vate propriet�, con facolt� di comminare sia la confisca degli animali 
trovati in contravvenzione, come le pene stabilite dagli artt. 424 e 426 
del codice penale �. Secondo il giudice a quo la norma impugnata 
avrebbe violato il principio della riserva di legge in materia penale per 
aver lasciato all'esecutivo larghi poteri, sia in ordine alla configurazione 
dei singoli reati, sia in ordine alla scelta e determinazione delle 
pene che avrebbero dovuto essere comminate per le trasgressioni delle 
norme regolamentari emanande. E, in conseguenza di ci�, il Governo, 
con il regolamento approvato con il r.d. 14 luglio 1898, n. 404, pot� 
arbitrariamente scegliere, per quanto attiene ai delitti, tra le sanzioni 
previste dagli artt. 424 e 426 del codice del 1889 e far ricorso, per 
ipotesi di reati contravvenzionali, alla pena stabilita dall'art. 434 non 
citato nella legge di autorizzazione. 

In punto di rilevanza dell'indicata questione il pretore di Sassari 
osserva che nel giudizio dinanzi ad esso pendente deve stabilirsi se 
l'imputato debba o meno rispondere della contravvenzione prevista e 
punita dagli artt. 10 15 del regolamento del 1898, emanato in forza 
della ripetuta delega, e pertanto l'applicabilit� di dette norme dipende 
'dalla legittimit� costituzionale della legge autorizzativa. 

2. -La questione sottoposta all'esame della Corte � analoga a quella 
decisa con sentenza n. 73 del 1968 sicch� i motivi esposti in quella 
occasione valgono a risolvere puntualmente l'attuale giudizio. 
,!\nche nel presente caso sia la legge impugnata, sia il regolamento 
che da essa ha tratto origine sono stati emanati in epoca anteriC?re 
all'entrata in vigore della vigente Carta costituzionale, e la questione 
non verte sul punto se la norma denunciata, in quanto attribuisce all'esecutivo 
un potere normativo in materia penale, abbia o non violato 
il sistema di competenze previsto dall'ordinamento costituzionale del 
tempo, ma se possa o meno considerarsi conforme al precetto della 
riserva di legge sancito dalla nuova Costituzione. 

Nei termini indicati, e in relazione allo scopo per il quale figura 
proposta, la questione � manifestamente irrilevante. Quand'anche la 
Corte ritenesse che la norma autorizzante contenuta nella legge n. 382 
del 1897, avuto riguardo all'ampiezza dei poteri conferiti all'esecutivo, 
sia in contrasto con l'art. 25, comma secondo, della Costituzione, la 
dichiarazione d'illegittimit� costituzionale non produrrebbe quegli effetti 
in considerazione dei quali la questione � stata proposta. 

Si tratterebbe invero d'illegittimit� sopravvenuta e per conseguenza 
la pronuncia d'incostituzionalit� non potrebbe avere alcuna incidenza 
sulla validit� o legittimit� di atti che siano stati emanati -e tale � il 
caso del regolamento n. 404 del 1898 -nell'esercizio del potere conferito 
dalla norma autorizzante in epoca anteriore all'entrata in vigore 
della Costituzione. -(Omissis). 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 801 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 118 -Pres. Branca -Rel. 
Fragali -Roma (avv. Leati), Presidente del Consiglio dei Ministri 
e Amministrazione Finanze dello Stato (sost. avv. gen. dello Stato 
Coronas). 

Imposta di regist_rg -Interruzione della prescrizion~ per effetto del 

ricorso del condebitore solidale -Violazione del principio di egua


glianza e del diritto di difesa -Esclusione. 

(Cost., art. 3, 24, 113; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 141). 

NO'n � fondata, sia con riferimento al principio di eguaglianza, sia 
con riferimento al diritto di difesa contro la P. A., la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 141 della legge di registro, in quanto 
l'effetto interruttivo della prescrizione ivi previsto, analo�go a quello 
previsto dall'art. 1310 e.e., � conservativo del di�ritto sostanziale cui 
si riferisce (1). 

(Omissis). -2. -La norma denunziata, nel punto discusso, corrisponde 
a quanto prescrive l'art. 1310 e.e., il quale infatti, come fa la 
legge di registro, estende agli altri condebitori in solido l'effetto di 
ogni atto interruttivo della prescrizione compiuto da uno solo di essi. 
In modo che non � sostenibile che, in ordine alla diffusione di quell'effetto, 
la legge predetta abbia disposto a solo favore dell'amministrazione 
finanziaria. 

Ma la disposizione in esame non determina disparit� di trattamento 
giuridico nemmeno fra gli stessi condebitori dell'imposta, perch�, ammesso 
che non vi sia mutua rappresentanza fra i soggetti legati da 
solidariet�, � altresi vero che la pluralit� di rapporti ai quali tale 
solidariet� d� origine non esclude del tutto che l'attivit� svolta nell'�mbito 
di uno di essi abbia ad interferire nella sfera degli altri. Gli 
artt. 1300 e seguenti del codice civile valutano discrezionalmente tale 
attivit� con riguardo alle singole ipotesi, e per ognuna tengono presente 
la sostanza degli interessi in giuoco e il collegamento interno che esiste 
tra i rapporti singoli. A questo collegamento nell'art. 1310 suddetto si 
d� rilevanza esterna con riguardo all'atto interruttivo, nel presupposto 

(1) La questione era ,stata sollevata con ordinanza della Corte di Appello 
di Bologna 14 novembre 1967 (Gazzetta Ufficiale 11 maggio 1968, 
n. 120). 
La sentenza 30 aprile 1968, n. 48, richiamata in motivazione, leggesi 
in questa Rivista, 1968, 859. Come si �rilevava nella nota a commento di 
detta decisione, il principio della solidariet� sostanziale in materia tributaria, 
conforme a quello di diritto comune, resta integro, e la sentenza in 
esame ne fa esplicito riconoscimento. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

802 

che l'interruzione incide sull'obbligazione solidale nella sua unitariet� 
e non nello specifico rapporto di cui � parte colui che ha compiuto 
l'atto. La diffusione dell'effetto interruttivo prevista nell'art. 141 della 
legge sul registro si fonda su un analogo apprezzamento oggettivo dell'atto 
compiuto da uno dei condebitori dell'imposta; e non ne risulta 
pregiudizio sostanziale per gli altri in base ad un doppio ordine di 
considerazioni. L'atto � conservativo del diritto cui si riferisce, del diritto 
cio� alla restituzione dell'imposta e all'accertamento negativo delrobbligazione 
tributaria, e quindi giova a tutti i condebitori dato che, 
in proporzione dell'interesse di ciascuno, ex art. 1299, la obbligazione 
incider� in modo definitivo su tutti; il rapporto fondamentale che sta 
a base della solidariet�, a causa del nesso interno che mantiene fra i 
rapporti singoli e del quale si � fatta parola, pu� dar fondamento a 
responsabilit� dell'autore dell'atto e quindi ad esonero dal debito di 
regresso. 

3. -Non ha fondamento nemmeno l'assunto per cui dalla norma sottoposta 
al controllo di questa Corte derivi una menomazione del diritto 
di difesa o di quello alla tutela giurisdizionale. 
Il modo di essere e il modo di operare della prescrizione, del quale 
l'interruzione � una delle manifestazioni, attiene alla vicenda estintiva 
del diritto soggettivo, quindi alla sorte di una situazione caratteristicamente 
materiale, non alla tutela giurisdizionale: la prescrizione infatti, 
prima che l'azione, estingue il diritto soggettivo (art. 2934, comma 
primo); fa perdere cio� al diritto soggettivo la sua forza sul terreno 
della sua sostanza (sentenza 7 giugno 1962, n. 57), non su quello della 
sua protezione processuale. E questa Corte ha deciso che la garanzia 
della difesa e della tutela giurisdizionale prende in considerazione i 
diritti soggettivi nella configurazione e nei .limiti che ad essi derivano 
dalla legge sostanziale (sentenze 4 giugno 1964, n. 42, 4 dicembre 
1964, n. 111 e 8 aprile 1965, n. 30); di modo che quella garanzia trova 
confini nel contenuto del diritto al quale serve e si modella sui concreti 
lineamenti che il diritto riceve dall'ordinamento. Se all'atto di un componente 
del gruppo solidale � conferita una efficacia che si espande 
nella sfera di tutti gli altri, nessuno di costoro pu� vantare posizioni 
autonome riguardo alla consistenza, alla misura o alla durata dell'ob�� 
bligazione, salve le circostanze o le modalit� a ciascuno personali. Nella 
sentenza del 30 aprile 1968, n. 48, questa Corte ha, � vero, riconosciuto 
a ogni condebitore solidale il potere di proprie azioni e difese processualmente 
indipendenti dall'analogo potere spettante agli altri condebitori; 
ma codesto riconoscimento non legittima diversit� di ripercussioni 
soggettive di un effetto sostanziale che l'ordinamento invece 
ha determinato o valutato in modo eguale per tutti i coobbligati, cos� 
negando o restringendo, come si � detto, prima che la tutela giurisdi




PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 803 

zionale o la difesa giudiziaria, il diritto che questa tutela o questa 
difesa dovrebbe assumere a proprio oggetto. 

L'art. 141 della legge di registro, che per il giudice a quo � sospetto 
di incostituzionalit�, non nega ai condebitori dell'imposta il potere di 
far valere il decorso del tempo stabilito per l'estinzione del diritto, ove 
sia maturato, ma impedisce che questo tempo maturi per ,tutta la durata 
dell'effetto interruttivo; e ci� vuol dire soltanto che il rapporto d'imposta 
permane perch� l'obbligazione acquista un nuovo termine di 
durata. Lo acquista con riguardo alll:\ sua integralit�, quindi rispetto 
a tutti i rapporti che la contengono. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 119 -Pres. Branca -Rel. 
Rocchetti -Sottini (n. c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(sost. avv. gen. dello Stato Chiarotti). 

Procedimento penale -Giudizio per decreto ..; Sentenza di condanna 
nel giudizio di opposizione -Condanna dell'opponente nelle spese, 
anche in caso di � reformatio in melius� -Illegittimit� costituzionale 
-Esclusione. 

(Cost., art. 3, 24; c.p.c. art. 510, comma secondo, ultima parte). 

Non � fondata, sia con riferimento al principio di eguaglianza, sia 
con riferimento al diritto di difesa, la questione di legittimitd costituzionale 
dell'art. 510, secondo comma, codice di procedura penale, nella 
parte in cui pone a carico del condannato, opponente a decreto penale, 
parte delle spese del procedimento, anche se la sentenza contenga disposizioni 
pi� favorevoli rispetto al decreto penale (1). 

(Omissis). -Secondo il pretore di Livorno, la norma contenuta 

-nell'art. 510, comma secondo, ultima parte, del codice di procedura 
penale sarebbe costituzionalmente illegittima perch� pone a carico dell'opponente 
a decreto penale le spese del giudizio di opposizione anche 
quando la sentenza che conclude quel giudizio con la condanna dell'imputato, 
contenga statuizioni per lui pi� favorevoli di quelle del decreto 
opposto. In particolare, per quanto attiene al contrasto con l'art. 24 

(1) La questione era stata proposta con ordinanza 18 aprile 1968 del 
Pretore di Livorno (Gazzetta Ufficiale 13 luglio 1968, n. 177). 
Sui precedenti della Corte in tema di decreto penale cfr. la sentenza 
15 dicembre 1967, n. 136, in questa Rassegna, 1967, 942, e nota di richiami. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

804 

della Costituzione, la certezza della condanna alle spese determinerebbe 

� un'ingiustificata compressione del diritto di difesa dell'imputato ., il 
quale ritenga di opporsi solo parzialmente alle sanzioni comminate nel 
decreto penale; questa situazione violerebbe altresi il principio costituzionale 
di eguaglianza, in quanto porrebbe in evidenza la disparit� 
di trattamento cui, per la norma impugnata, � sottoposto l'opponente, 
rispetto a quello riservato all'imputato che propone impugnazione il 
quale, invece, ai sensi dell'art. 213 c.p.p., .� esonerato dal pagamento 
delle spese nel caso di parziale accoglimento di essa. 
Tutto il ragionamento del pretore di Livorno si fon.da sulla ritenuta 
equivalenza tra l'opposizione al decreto e le impugnazioni in genere 

� stante la eadem legis ratio ., secondo si legge nell'ordinanza. 
Per giungere a quelle conclusioni, il giudice a quo si ispira evidentemente 
a una delle teoriche espresse dalla dottrina sulla natura 
giuridica dell'opposizione a decreto penale, che si discute se sia mezzo 
d'impugnazione o di gravame, o sia mezzo volto soltanto alla ricusazione 
di un giudizio sommario. 

La Corte considera invece irrilevante, ai fini della risoluzione della 
questione di legittimit� proposta dal pretore di Livorno, ogni indagine 
volta ad accertare la natura giuridica dell'opposizione a decreto penale, 
ritenendo del tutto sufficiente (per concludere in merito ad essa) l'esame 
delle disposizioni del codice di procedura penale relative alla struttura 
del giudizio di opposizione. 

Risulta dagli artt. ,509 e 510 del codice di procedura penale che 
l'opposizione, seguita dalla comparizione dell'imputato, produce la � revoca 
� del decreto. Dal che risulta altresi, secondo la Corte ebbe gi� 
a rilevare nelle sentenze n. 170 del 1963 e 27 del 1966, che il giudizio 
che segue all'opposizione � giudizio che si svolge in primo grado di 
giurisdizione. 

E sembra ovvio alla Corte che, se il giudizio di opposizione, revocato 
che sia il decreto, si svolge in primo grado, debbano ad esso applicarsi 
tutte le regole proprie di quel grado, compresa quella sulla 
condanna nelle spese che, per l'art. 488, comma primo, del codice di 
procedura penale, consegue in ogni caso alla condanna dell'imputato. 

Perci� la sentenza in giudizio di opposizione a decreto penale, 
anche se contiene statuizioni pi� favorevoli di qu�lle del decreto revocato, 
ma al quale ogni riferimento, stante l'avvenuta revoca, non pu� 
aver pi� luogo, purch� non termini con la totale assoluzione dell'imputato, 
� sentenza di condanna che, ai sensi del gi� citato art. 488, primo 
comma, importa appunto la condanna alle spese. 

Queste considerazioni risolvono entrambe le questioni proposte 
nell'ordinanza, senza che occorra aggiungere altro, almeno per quanto 
riguarda il secondo motivo, che solleva l'eccezione di incostituzionalit�, 
con riferimento all'art. 3 della Costituzione, bastando per esso osser



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 805 

vare che il giudizio sulla situazione di equivalenza circa le norme sulle 
spese, va effettuato raffrontando l'art. 510, comma secondo, ultima 
parte, con l'art. 488, comma primo, e non gi�, come nell'ordinanza, con 
l'art. 213, comma primo, del codice di procedura penai~. 

Quanto all'altra questione, sollevata con riferimento all'art. 24, 
comma secondo, della Costituzione, alla considerazione, gi� di per s� 
rilevante, attinente al grado del giudizio, pu� aggiungersi che la previsione 
della condanna nelle spese non pu� per l'opponente rappresentare 
una forma di coercizione che renda per lui oltremodo gravoso 
l'esercizio di quel diritto. Egli sa che, come penalmente responsabile, 
una condanna nelle spese� dovr� pur sopportare, perch� essa consegue 
naturalmente alla condanna cui d� luogo il suo illecito comportamento. 
E se � vero che la legge (arg. art. 510, comma secondo, ultima parte, 
c.p.p.) addossa a lui, oltre a quelle del giudizio di opposizione, anche 
(in parte) le spese del decreto revocato, eliminata la tassa di decreto 
non pi� percepibile a causa della revoca .di esso; � altresi vero che nel 
complesso trattasi di oneri la cui modestia non pu� incidere sulle decisioni 
che egli intenda assumere in merito alla sua difesa pi� di quanto, 
almeno, ci� non accada in ogni altro tipo di giudizio. 

E va ricordato che la Corte, nelle sentenze 113 del 1963 e 80 del 
1966, sul problema delle spese giudiziali in rapporto al diritto di 
difesa, ha escluso che tali oneri possano rappresentare un ostacolo all'esercizio 
di quel diritto, ove essi siano, come nel caso, razionalmente 
collegati al processo e siano di tale misura da non rendere oltremodo 
gravoso lo svolgersi delle attivit� processuali. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1969, n. 120 -Pres. Branca -Rel. 
Rocchetti -Commissario dello Stato per la Regione siciliana (sost. 
avv. gen. dello Stato Savarese) c. Presidente Regione siciliana 
(avv. Orlando-Cascio, Silvestri). 

Sicilia -Legge regionale recante provvedimenti nel settore agricolo 

alimentare -Mancata osservanza della procedura del Trattato 

di Roma -Illegittimit� costituzionale. 

(St. Reg. Sic., art. 1; Trattato di Roma, art. 93; l. reg. 11 giugno 1969). 

� costituzionalmente illegittima per violazione del principio dell'unit� 
politica dello Stato italiano, fissato dall'art. 1 dello Statuto della 
Regione Siciliana, e per l'inosservanza della procedura comunitaria 
imposta dall'art. 93 del Trattato di Roma, istitutivo della Comunit� 


806 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

economica europea, la legge regionale 11 giugno 1969, recante provvedimenti 
per l'intervento nel settore agricolo alimentare (1). 

(Omissis). -Il Commissario dello Stato ha impugnato la legge 
dell'Assemblea regionale siciliana di cui in atti per un vizio di carattere 
procedurale, e �io� per la mancata preventiva notificazione del relativo 
progetto alla Comunit� economica europea, cui, ai sensi dell'art. 93 
paragrafo terzo del Trattato di Roma, il progetto stesso avrebbe dovuto 
essere comunicato, perch� disponeva � aiuti � diretti a sostenere il 
prezzo del mercato degli agrumi. 

L'impugnazione del Commissario dello 'Stato � fondata. 

Le norme del trattato istitutivo della Comunit� economica europea 
(reso esecutivo con legge 14 ottobre 1957, n. 1203), al fine di assicurare 
libert� di circolazione dei beni e parit� di accesso ai mercati agli Stati 
membri, impongono a ciascuno di essi obblighi ed oneri che, in parte 
derivano dalle norme stesse del Trattato, ed in parte dalle norme emanate 
dalle istituzioni comunitarie sotto forma di � regolamento �, � obbligatorio 
in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile � in ciascuno 
dei detti Stati (art. 189, comma secondo, del Trattato). 

Non pu� esser dubbio, e non � contestato dalla Regione, che tali 
obblighi ed oneri, derivanti dalle disposizioni del Trattato e dai regolamenti 
comunitari, vincolino anche l'esercizio dell'attivit� legislativa 
delle Regioni a statuto speciale. Le ragioni, attinenti alla posizione 
sovrana dello Stato nei confronti delle Regioni, fruenti di autonomia 

� entro l'unit� politica dello Stato italiano � (art. 1 Statuto speciale per 
la Sicilia) il quale � � uno e indivisibile � (art. 5 Costituzione) ed � 
fornito di personalit� internazionale, sono state ampiamente svolte 
dalla Corte nella sentenza n. 49 del 1963. 
Tra gli obblighi nascenti dal Trattato vi � appunto quello dell'art. 
93, paragrafo terzo, di cui si � detto, e che impone agli Stati 
membri di comunicare � i progetti diretti ad istituire o modificare 
aiuti �. Tali aiuti comprendono tutti gli interventi che la mano pubblica 
pu� effettuare per modificare la formazione dei prezzi in regime 
di concorrenza: regime che il Trattato intende sostanzialmente tutelare, 
pur non disconoscendo la possibilit� di legittimare tali interventi 
nell'interesse sociale, ma a condizione di parit� di tutti gli Stati membri, 

(1) La precedente sentenza della Corte 9 aprile 1963, n. 49 � pubblicata 
in Giur. it., 1963, I, 1359, �con nota di GAIA, Legislazione siciliana e obblighi 
internazionali. 
In dottrina, PIERANDREI, Sui rapporti fra ordinamenti statali e ordinamento 
internazionale, Giur. it., 1949, II, 281; LA PERGOLA, Note sull'esecuzione 
degli obblighi internazionali, Giur. cost., 1960, 1051. 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 807 

e quindi ordinariamente sotto il controllo e con l'autorizzazione degli 
organi comunitari. 

Non � qui il caso di esaminare quali e quante specie di tali � aiuti � 
il Trattato contempli come compatibili direttamente o a seguito di 
autorizzazione, bastando, per quanto attiene alla risoluzione del problema 
proposto in causa, rilevare che gli aiuti consistenti in � interventi 
sul mercato � nel campo dei prodotti ortofrutticoli sono considerati tra 
quelli compatibili solo mediante autorizzazione degli organi della Comunit�, 
perch� minutamente disciplinati dai due � regolamenti � nn. 23 
del 1965 e 159 del 1966 e segnatamente da questo ultimo che dedica 
alla materia l'intero titolo secondo. 

Ed a riprova della incidenza di quelle disposizioni nella materia 
e nel caso in esame, sta la circostanza che lo ,Stato italiano, per intervenire 
con acquisti di arance a mezzo dell'AIMA, nel febbraio di quest'anno 
in Sicilia, e cio� nello stesso periodo in cui ha spiegato i suoi 
interventi anche la Regione, ha dovuto chiedere ed ottenere l'autorizzazione 
della Comunit� economica europea, che ha espresso il consenso 
e dettato le condizioni nei due regolamenti, del Consiglio n. 324/69 
e della Commissione n. 332/69. 

Oppone la difesa della Regione che tale procedura lo Stato ha 
seguito ed ha dovuto seguire perch� ha chiesto ed ottenuto, a sostegno 
della operazione, l'intervento finanziario dello speciale fondo della 
Comunit� economica europea, mentre la Regione, che ha agito con 
fondi propri o di suoi organismi, e non chiede rimborsi, non sarebbe 
tenuta al rispetto di quelle procedure. Ma tale giustificazione non pu� 
essere accolta,� perch� la struttura del Trattato, volto ad assicurare 
libert� e parit� di accesso e di condizioni a tutti gli Stati membri sui 
mercati nazionali di ciascuno, non consente discriminazioni nelle operazioni 
di sostegno dei prezzi che, siano effettuati o no con l'apporto 
finanziario degli organi comunitari, rappresentano sempre attivit� dirette 
a modificare le condizioni di concorrenza e soggetti perci� al 
vaglio di merito della loro opportunit�, ai fini della possibile autorizzazione. 


Egualmente infondato � poi da ritenersi l'altro rilievo della Regione, 
che intenderebbe sottrarre la legge impugnata alle censure di 
illegittimit� sotto il profilo che essa provve.derebbe soltanto a reintegrare 
le perdite subite dagli organismi regionali ESPI e SACOS, che 
hanno poi effettuato l'intervento di mercato per incarico della stessa 
Regione, conferito loro in forma amministrativa. 

� ovvio che non pu� accettarsi, n� ha rilievo ai fini della valutazione 
delle condizioni di legittimit� della legge regionale, la tesi secondo 
la quale, una volta comunque effettuato l'intervento, gli oneri di esso, 
facenti carico agli organismi incaricati di compierlo, devono essere 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

808 

rifusi d�lla Regione che ha conferito l'incarico e che, in ogni caso, 
intenda addossarseli. 

� ovvio invece che, se la Regione non poteva intervenire, o non 
poteva farlo senza autorizzazione di altri organi, nel caso quelli comunitari, 
nulla rileva che, precorrendo i tempi e trascurando adempimenti, 
essa sia gi� intervenuta, perch� il fatto compiuto non pu� servire, 
sul �piano del diritto, a legittimare il suo operato. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1969, n. 134 -Pres. Branca -
Rel. Crisafulli -Giuliano (avv. Carpaci). 

Sicilia -Legge regionale sull'elezione degli organi delle amministra


zioni comunali -Difformit� fra il testo approvato e quello pro


mulgato -. Insussistenza. 

(St. Reg. siciliana, art. ~3; I. reg. 9 marzo 1959 n. 3, art. 5, n. 3). 

Non � fondata la questione di legittimit� costituzionale della legge 
regionale sicilU�na recante norme sult'elezione degLi organi amministrativi 
comunali, per la difformit� della dizione usata nell'art. 5 n. 3 
della legge: �istituti dipendenti, sovvenzionati "o" sottoposti a vigilanza 
del Comune stesso �, rispetto a quella approvata dall'Assemblea, 
che recava invece, la congiunzione "e", in quanto, dall'esame di tutti 
gli elementi di prova acquisiti nel giudizio, � risultato che la difformit� 
fu dovuta a mero errore materiale (1). 

(Omissis). -1. -La questione di legittimit� costituzionale sollevata 
dal tribunale di Siracusa si accentra sulla difformit� tra il testo 
dell'art. 5, n. 3 della legge regionale siciliana 9 marzo 1959, n. 3, cos� 
come promulgato dal Presidente della Regione e pubblicato in Gazzetta, 
e il testo che, stando alle risultanze del resoconto stenografico, sarebbe 
stato in realt� approvato dall'Assemblea regionale nella seduta pomeridiana 
n. CDLXXXIV del 21 febbraio 1959. La disposizione in oggetto, 
relativa alle cause di ineleggibilit� a consigliere comunale, si riferisce 
-nel testo promulgato e pubblicato -a � coloro che ricevono 
uno stipendio o salario dal comune o da enti o istituti dipendenti, 

(1) La questione era st�ta sollevata con ordinanza 22 luglio 1967 del 
Tribunale di Siracusa (Gazzetta Ufficiale 9 dicembre 1967, n. 307). 
La Corte riafferma la sua giurisprudenza a sindacar� gli interna c01�poris 
parlamentari (sent. 3 marzo 1959, n. 9, Giur. cost., 1959). 
In dottrina, SPATARO, Sulla sindacabilit� della legge per difformit� del. 
testo promulgato da quello approvato dall'organo legislativo, Giur. sic., 
1967, 740. 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 809 

sovvenzionati o sottoposti a vigilanza del comune stesso � nonch� ai 

� loro amministratori �; si rileva che tale formulazione trae origine 
da un emendamento, presentato da cinque deputati regionali a norma 
dell'art. 102, .terzo comma, del regolamento interno dell'Assemblea 
regionale siciliana ed approvato senza discussione, il quale peraltro, 
nel resoconto medesimo, � riprodotto -per la parte che qui interessa con 
la diversa dizione: � ... dipendenti sovvenzionati e sottoposti a 
vigilanza del comune �. 
Secondo l'assunto, il testo promulgato non corrisponderebbe pertanto 
a quello approvato (per la sostituzione della particella � o � alla 

� e � dopo la parola � sovvenzionati �) con conseguente violazione dell'art. 
13 dello Statuto della R�gione siciliana. 
� da osservare preliminarmene che, come rammentato nella motivazione 
dell'ordinanza e come risulta dagli atti di causa, in seguito a 
richiesta del tribunale, il vice Segretario generale dell'Assemblea regionale, 
in una comunicazione scritta diretta allo stesso tribunale, aveva 
precisato che l'emendamento approvato recava originariamente la dizione 
� dipendenti sovvenzionati o sottoposti a vigilanza �. Successivamente 
questa Corte ha provveduto ad acquisire dal Segretario generale 
dell'Assemblea copia fotostatica dell'emendamento (dove effettivamente 
la formula adoperata risulta �con la particella � o �) come pure 
del messaggio con il quale il Presidente dell'Assemblea aveva trasmesso 
al Presidente della Regione, per la promulgazione di sua competenza, 
il testo della legge approvata in una redazione perfettamente conforme 
a quella risultante poi dalla promulgazione. Lo stesso Segretario generale 
confermava altres� la rispondenza del resoconto stenografico al 
processo verbale della seduta assembleare: ci� che pu� ritenersi sufficiente 
ai fini dell'attuale giudizio. 

2. -La questione non � fondata. Per accertare la regolarit� del 
procedimento di formazione delle leggi ed in particolare, come si rende 
necessario nel caso presente, la conformit� del testo promulgato rispetto 
a quello approvato, questa Corte pu� e deve valersi di tutti gli elementi 
utili per ricostruire la realt� di quanto avvenuto nel corso del procedimento, 
ed in primo luogo, perci�, delle varie pubblicazioni (parzialmente 
e lacunosamente disciplinate nei regolamenti assembleari) destinate 
a dare pubblica notizia dei lavori legislativi, interpretandone 
secondo i comuni canoni logici il significato e l'esatta portata. Processi 
verbali, resoconti sommari e stenografici, messaggi dei presidenti delle 
assemblee legislative, sono altrettanti mezzi di prova, particolarmente 
autorevoli, a nessuno dei quali per� � riconosciuta efficacia privilegia.ta. 
Giacch�, se cosi fosse, la garanzia del rispetto delle norme costituzionali 
sarebbe concretamente rimessa all'organo attestante una � verit� 
legale � incontrovertibile, anzich� al giudice della costituzionalit� delle 
leggi. 

810 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

N� rileva in contrario la provenienza di tali atti, o di alcuni tra 
essi, da pubblici ufficiali, quali sono i Presidenti delle Camere e delle 
Assemblee regionali, essendo risaputo che non tutti gli atti formati da 
pubblici ufficiali sono atti pubblici facenti fede fino a querela di falso. 

Pi� particolarmente, d'altro:n,de, e ferme restando le considerazioni 
sopra esposte, il messaggio presidenziale, come questa Corte ha gi� 
avuto occasione di affermare (sentenza 3 marzo 1959, n. 9), � istituzionalmente 
rivolto ad attivare l'organo cui spetta porre in essere la fase 
successiva del procedimento �legislativo (sia esso la seconda Camera, 
come nel Parlamento nazionale dopo la prima approvazione, sia il Presidente 
competente a promulgare, come nel caso delle leggi regionali 
e delle leggi statali dopo intervenuta la seconda approvazione): l'efficacia 
delle attestazioni in detto messaggio contenute, �, dunque, circoscritta 
-al pi� -all'ambito dei rapporti tra gli organi concorrenti 
a vario titolo al procedimento predetto. 

Quanto poi al processo verbale delle sedute, � sufficiente osservare 
che esso si considera formato con l'approvazione nella seduta successiva 
e che � sottoscritto dal Presidente e dal Segretario funzionanti in tale 
seduta, e non gi� in quella cui esso ha riferimento: di guisa che, a 
tutto concedere, esso non potrebbe far fede, in ipotesi, che dell'avvenuta 
approvazione, e cio� del consenso dei presenti al momento della 
lettura. 

3. -Pertanto, nella specie, come non sarebbe sufficiente ad escludere 
la sussistenza del vizio denunciato dal tribunale di Siracusa la 
circostanza che il testo trasmesso dal Presidente dell'Assemblea regionale 
al Presidente della Regione � identico a quello successivamente 
promulgato, cos� all'opposto non pu� essere argomento decisivo per 
una declaratoria di illegittimit� costituzionale la circostanza (che pu� 
considerarsi pacifica) che tanto il resoconto stenografico quanto il processo 
verbale della seduta dell'Assemblea in cui la legge venne approvata 
rechino una diversa dizione. 
Una serie di univocj indizi concorre viceversa a far concludere 
che la formula risultante dal verbale e dal resoconto ( � dipendenti 
sovvenzionati e vigilati �) � dovuta a mero errore materiale, ed � appena 
il caso di avvertire che un errore di verbalizzazione o di trascrizione 
non pu� determinare un vizio di costituzionalit� delle leggi. Si 
evince, infatti, dalla documentazione in atti che il testo dell'emendamento 
presentato adoperava la particella � o �, e non la � e �, che 
appare in verbale e nel resoconto; che nell'indire la votazione il Presidente 
chiari all'Assemblea che l'emendamento stesso riproduceva 
testualmente l'art. 15, n. 3 della corrispondente legge statale (t.u. per 
la composizione e l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali 
16 maggio 1960, n. 570, che reca infatti la disgiuntiva � o � e che 
in base ai comuni princ�pi sull'efficacia delle leggi era pienamente 



PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE SU 

conoscibile nel suo tenore letterale); che nessuno ebbe a muovere rilievi 
di sorta n� furono presentati emendamenti diversi o controemendamenti; 
che prima della votazione finale, il Presidente chiese ed ottenne 
all'unanimit� di essere autorizzato a procedere a coordinamento, in 
considerazione -tra l'altro -degli � emendamenti aggiuntivi � che 
erano stati approvati (tra i quali era quello trasfuso nella disposizione 
denunciata). 

4. -Alla correzione dell'errore materiale non essendosi proceduto 
in sede di lettura del verbale (seduta CDLXXXV del 27 febbraio 1959), 
ha successivamente provveduto il Presidente dell'Assemblea all'atto 
di trasmettere la legge al Presidente della Regione. 
Non � necessario attardarsi sui limiti entro i quali la facolt� di 
coordinamento pu� legittimamente essere concessa ed esercitata, poich� 
certamente la correzione di errori materiali rientra nella nozione la 
pi� restrittiva che si voglia darne, cos� come vi rientra anche la eventuale 
correzione lessicale dei testi per conformarne la dizione alla 
sostanza. Ripristinando il tenore letterale della disposizione che era 
stata proposto al voto dell'Assemblea, il Presidente ne ha al tempo 
stesso ripristinato il proprio significato: il solo, d'altronde, che la formula 
potesse correttamente voler esprimere, sia per lo specifico riferimento, 
che precedette la votazione, alla corrispondente legge statale, 
sia anche alla stregua di considerazioni di ordine logico pi� generali, 
trattandosi di una elencazione di situazioni di ineleggibilit� che l'uso 
erroneo della particella � e �, in luogo della � o �, non vale a trasformare, 
da ipotesi alternativamente previste, in elementi integranti di 
una sola ed unica ipotesi, e perci� tali da dover necessariamente ricorrere 
congiuntamente. -(Omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1969, n. 135 -Pres. Branca -
Rel. Chiarelli -Saba (n.c.) e Presidente del Consiglio dei Ministri 
(vice avvocato generale dello Stato Foligno). 

Lavoro -Lavoro domestico -Cura ed assistenza medica per i soli 

lavoratori conviventi -Sperequazione rispetto alle altre categorie 

di lavoratori -Illegittimit� costituzionale -Esclusione. 

(Cost., art. 3, 38; e.e., art. 2242, primo comma). 

Non � fondata, con riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, 
la questione di legittimitd costituzionale dell'art. 2242, primo comma, 
e.e., che, per le inferinitd di breve durata, prevede la cura e l'assistenza 
medica del lavoratore domestico nel nucleo familiare in cui egli convive, 
perch� tale normativa non esclude i maggiori presid� a cui il 



812 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lavoratore, anche :non convivente, abbia diritto, in conformit� delle 
leggi che regolano la materia (1). 

(Omissis). -L'ordinanza di rimessione a questa Corte prospetta 
la questione della legittimit� costituzionale dell'art. 2242 e.e., limitatamente 
alla parte in cui dispone che il prestatore di lavoro domestico, 
ammesso alla convivenza familiare, ha diritto, per le infermit� di breve 
durata, alla cura e all'assistenza medica. Si assume nell'ordinanza che 
tale norma contrasta con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, perch� 
pone una ingiustificata discriminazione tra lavoratori ammessi e lav.oratori 
non ammessi alla convivenza familiare, e perch� offre ai lavoratori 
domestici, rispetto all'evento di malattia, una tutela assai minore 
di quella assicurata agli altri lavoratori dall'art. 2110 dello stesso 
codice civile. 

La questione � infondata sotto entrambi i profili. 

La norma impugnata riguarda le malattie che, per la loro breve 
durata, esauriscono il loro corso nell'ambito familiare, e la cui cura 
presuppone la continua presenza in casa de!l'infermo. In �Considerazione 
di tale situazione, differente da quella del prestatore di lavoro che 
non partecipa alla convivenza, sono assicurate al lavoratore, oltre la 
prestazione in danaro, le cure e l'assistenza che sono proprie della vita 
familiare. 

La norma non pone, pertanto, data l'obbiettiva diversit� delle 
situazioni, una ingiustificata discriminazione, all'interno della categoria 
dei prestatori di lavoro domestico, tra conviventi e non conviventi in 
famiglia. 

N�, d'altra parte, � esatto che, per effetto della disposizione impugnata, 
restino privi di qualsiasi tutela, per il caso di malattia, i 
lavoratori non ammessi alla convivenza. 

Infatti, indipendentemente dall'obbligo di prestare le cure fami


liari ai conviventi, previsto dal primo,comma dell'art. 2242, il secondo 

comma dello stesso articolo dispone che le parti debbono contribuire 

alle istituzioni di previdenza e di assistenza, nei casi e nei modi stabiliti 

dalla legge, ed � noto che la legge 18 gennaio 1952, n. 3�5, diretta 

all'attuazione dei principi di cui all'art. 38 della Costituzione, ha esteso 

l'assicurazione obbligatoria di malattia a tutti i lavoratori addetti ai 

servizi personali e domestici, indipendentemente dalla convivenza, e 

con la sola condizione che prestino la loro opera almeno per quattro 

ore giornaliere. 


PARTE I, SEZ. I, GIURIS. COSTITUZIONALE E INTERNAZIONALE 813 

La censura di incostituzionalit� della norma impugnata non ha 
pertanto fondamento, sia in riferimento all'art. 3 che all'art. 38 della 
Costituzione. 

2. -Egualmente infondato � il motivo con cui si deduce l'illegittimit� 
costituzionale della norma perch� da essa deriverebbe ai prestatori 
di lavoro domestico una tutela limitatissima, come si esprime 
l'ordinanza, e assai minore di quella assicurata per l'evento d.ella malattia 
agli altri lavoratori dall'art. 2110 del codice civile. 
A parte la genericit� con cui la censura � formulata, va notato 
che anch'essa si basa sul presupposto che la disposizione contenuta nel 
primo comma dell'art. 2242 racchiuda tutto il trattamento di malattia 
che il legislatore ha voluto assicurare ai prestatori di lavoro domestico, 
escludendo ogni altro trattamento per i casi dLversi da quello in essa 
considerato. 

Se non che tale presupposto � inesatto, sia per la ragione gi� detta 
che lo stesso art. 2242 contempla forme di previdenza e assistenza, che 
hanno compreso, nella legislazione successiva, l'assistenza per il caso 
di malattia, sia perch� la norma impugnata non preclude l'eventuale 
applicazione, al rapporto di lavoro domestico, di norme relative al 
rapporto di lavoro inerente all'esercizio di un'impresa. 

Va considerato in proposito che le peculiari caratteristiche che 
distinguono il rapporto di lavoro domestico dal rapporto di lavoro che 
si svolge nell'organizzazione di un'impresa costituiscono la ragione della 
speciale disciplina del rapporto, contenuta, oltre che nelle norme del 
codice civile, nella ricordata legge 18 gennaio 1952, n. 35, e nella 
legge 2 aprile 1958, n. 339. Tale disciplina trova la sua integrazione 
negli usi e nelle convenzioni, in quanto pi� favorevoli al lavoratore 
(art. 2240 e.e.), ma non esclude, per quanto non sia da essa regolato, 
il ricorso alle norme relative al rapporto di lavoro in impresa, in quanto 
compatibili con la specialit� del rapporto di lavoro domestico, ai sensi 
dell'art. 2239 del codice civile. 

� competenza del giudice di merito valutare, tenuta presente l'intera 
legislazione regolatrice della materia, se nella specie vi � ragione 
di ricorrere all'art. 2110 e.e. e se le disposizioni ivi contenute siano 
compatibili con la disciplina del rapporto di lavoro domestico. 

Tale indagine non trova ostacolo nella norma di cui �al primo 
comma dell'art. 2242, la quale non ha il contenuto negativo che l'ordinanza 
le attribuisce. Non deriva pertanto da essa n� una ingiustificata 
discriminazione, a danno della categoria dei prestatori di lavoro domestico, 
n� un ostacolo all'attuazione, a favore di essa, dei princ�pi di 
cui all'art. 38 della Costituzione. 

Non sussistendo il denunciato contrasto della norma impugnata 
con gli artt. 3 e 38 della Costituzione, va dichiarata l'infondatezza della 
proposta questione. -(Omissis). 

4 



SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA 
SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 giugno 1969, n. 2008 -Pres. 
Scarpello -Est. Sbrocca -P. M. Tavolaro �I. (conf.). Lagan� (avv. 
Sorrentino) c. Ministero delle Finanze (avv'. Stato Terranova). 

Competenza e giurisdizione -Demanio e patrimonio -Patrimonio 
indisponibile -Potere di autotutela della P. A. -Ordinanza di �' 
rilascio di un bene del patrimonio indisponibile -Opposizione 
all'esecuzione -Difetto di giurisdizione dell'A.G.O. 

(e.e., artt. 823, 826, 828; e.p.e., art. 615; 1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 4). 

Competenza e giurisdizione -Questione di gturisdizione -Poteri della 
Cassazione -Interpretazione del giudicato -Ammissibilit�. 
(e.p.e., art. 37) 

Cosa giudicata -Limiti oggettivi -Questioni pregiudiziali -Giudicato 
sull'illegittimit� di un provvedimento di rilascio di un bene 
della P. A. -Estensione alla questione sulla natura patrimoniale 
disponibile o indisponibile del bene -Esclusione. 

(e.e., art. 2909). 

Competenza e giurisdizione -Cassazione -Ius superveniens -Giudicato 
sulla giurisdizione intervenuto in altro giudizio -Deducibilit� 
-Esclusione. 
(e.e., art. 2909; e.p.e., artt. 37, 360). 

Demanio e patrimonio -Beni del disciolto p. n. f. -Destinazione a 
servizio pubblico -Patrimonio indisponibile -Provvisoria destinazione 
ad altri fini -Irrilevanza. 

(e.e., art. 826; d.1.1., 28 luglio 1944, n. 159, art. 38). 

� improponibile, per difetto di giurisdizione del giudice ordinario, 
l'opposizione, proposta ai sensi dell'art. 615 c.p.c., avverso un'ordinanza 
di rilascio di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello 
Stato (1). 

(1-2) I principi di cui alle prime due massime sono del tutto pacifici 
in giurisprudenza. V., per tutte, Cass., Sez. Un., 4 ottobre 1955, n. 2790, 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 815 

Il potere di autotutela deUa P. A. riguarda sia i beni demaniali, 
che queUi patrimoniali indispo1iibili (2). 

Ove l'identificazione dei limiti oggettivi del giudicato incida su 
una questione di giurisdizione, � consentita alla Suprema Corte l'interpretazione 
diretta della sentenza, al fine di risolvere la questione anzidetta 
(3). 

Il giudicato con il quale sia stata dichiarata l'illegittimit� di un 
provvedimento di rilascio, di un bene appartenente alla� P. A., s~l presupposto 
della natura privata del rapporto controverso, non si estende 
alla questione pregiudiziale sulla natura patrimoniale disponibile del 
bene, risolta incidenter tantum, per mancanza di diversa richiesta e di 
un interesse trascendente la causa (4). 

Non � invocabile in cassazione, come ius superveniens, un giudicato 
sulla giurisdizione che si assume provenire da sentenza intervenuta 
in un altro giudizio (5). 

I beni appartenenti al disciolto partito nazionale fascista entrano 
a far parte del patrimonio indisponibile in virt� della destinazione impressavi 
con il decreto previsto dall'art. 38 del d.Zgt. 28 Zuglio 1944, 

n. 159 (6). 
L'eventuale assegnazione provvisoria ad altri fini, anche con contratti 
di diritto privato che non importino il trasferimento della propriet�, 
non contraddice a quella destinazione, n� limita i po,teri di 
autotutela della P. A. (7). 

(Omissis). -La sentenza impugnata ha dichiarato improponibile 
per difetto di giurisdizione del giudice ordinario l'opposizione proposta 
dal Lagan� all'ordinanza 26 settembre 1965, con cui l'Intendente di 
finanza di Reggio Calabria gli aveva intimato di lasciar libero l'immobile 
occupato sotto comminatoria, in difetto, di procedere allo sgombero 
in via autoritaria coattiva. 

Ha osservato al riguardo la sentenza che l'ordinanza si concretava 
in un atto amministrativo, con il quale era stato esercitato il potere 

in Foro pad., 1955, I, 1113. In dottrina, cfr. SANDULLI, Beni pubblici, in 
Enc. diritto, vol. V, n. 29. 

(3) Giurisprudenza costante. V., ad es., Cass., Sez. Un., 9 novembre 
1967, n. 2705, in Foro it., 1968, I, 1608. 
(4) Esatta applicazione dei principi in tema di limiti oggettivi del 
giudicato. Cfr., in argomento, Cass., 22 gennaio 1966, n. 268, in questa 
Rassegna, 1966, I, 115, con nota di richiami; id., 21 aprile 1961, n. 891 (ined.). 
(5) Lo ius superveniens, com'� pacifico, non � invocabile in Cassazione 
se non quando incida direttamente sulla decisione impugnata. Pu� essere 
invocato, perci�, soltanto -un giudicato formatosi nello stesso giudizio. 
(6-7) Sul regime dei beni del disciolto partito fascista, cfr., I giudizi 
di costituzionalit� e H contenzioso deUo Stato negli anni 1956-1960, vol. II, 
292 e segg. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

816 

di autotutela di un bene appartenente al patrimonio indisponibile dello 
Stato, e che di fronte a questo potere l'eventuale diritto del privato 
all'uso del bene si affievoliva ad interesse legittimo, che trovava la sua 
protezione soltanto dinanzi agli organi di giustizia amministrativa. 

N�, ad avviso del Tribunale, il Lagan� poteva opporre all'Amministrazione 
finanziaria il giudicato costituito dalla sentenza 6 settembre 
1962 del Pretore di Reggio Calabria, che, nei rapporti tra le medesime 

parti, aveva ritenuta l'esistenza di un contratto di locazione, relativamente 
all'immobile de quo, sul presupposto che esso fosse compreso 
nel patrimonio disponibile, e ci� per un duplice ordine di ragioni: 
anzitutto perch� la sentenza del Pretore si fondava sulla situazione 
esistente al momento della sua pronuncia, e successivamente non era 
stato stipulato, nelle debite forme, alcun nuovo contratto, n� era stato 
rinnovato, sempre nelle forme richieste per i contratti dello Stato, il 
precedente, di guisa che, quando fu emanata l'ordinanza intendentizia, 
non si profilava, in favore dell'opponente, alcun titolo suscettibile di -�~ 

tutela giudiziaria contro l'iniziativa dell'Amministrazione; ed inoltre 
perch� il giudicato non avrebbe potuto mai precludere l'emanazione 
di un ulteriore atto amministrativo diretto ad attuare la destinazione 
concreta del bene al pubblico servizio. 

Contro queste statuizioni si rivolge il motivo di ricorso, con il 
quale, denunciandosi la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2 
e 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, la violazione degli articoli 
826, terzo comma, e 2909 e.e., ed il vizio di insufficiente e contraddittoria 
motivazione, si assume: 

I. -� stato violato il giudicato, risultante dalla sentenza del 
Pretore di Reggio Calabria, che si era costituito anche riguardo alla 
natura dell'immobile come facente parte del patrimonio disponibile 
dello Stato, e che era stato gi� invocato nel giudizio di merito per 
dimostrare l'inesistenza del potere. ,di autotutela dell'Amministrazione, 
ed il conseguente non affievolimento del diritto del detentore in interesse 
legittimo. In altri termini, per negare la legittimit� dell'esercizio 
del potere di autotutela doveva escludersene il presupposto, consistente 
nell'appartenenza del bene al patrimonio indisponibile, e a questo fine 
era stato opposto il giudicato. Il Tribunale -si aggiunge -ha frainteso 
il problema che doveva risolvere, motivando contraddittoriamente 
e comunque in modo insufficiente, perch� la mancanza di ulteriori 
titoli in favore del detentore ed il rilievo che all'Amministrazione non 
era preclusa l'emanazione di un atto per rendere concreta la destinazione 
del bene al pubblico servizio attenevano al merito della controversia, 
e cio� al diritto del Lagan� a resistere fondatamente ad una 
azione di rilascio, ma non incidevano sulla questione di giurisdizione 
connessa alla legittimit� del potere di autotutela, il cui presupposto 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 817 

era la natura del bene come parte del patrimonio indisponibile, presupposto 
escluso in forza del giudicato. 

II. -L'immobile, di cui l'Intendente di finanza aveva disposto 
il rilascio con esecuzione forzata in via amministrativa, gi� appartenente 
al disciolto partito nazionale fascista e devoluto allo Stato per 
essere destinato a servizi pubblici o a scopi di interesse generale, era 
stato assegnato a sede di uffid finanziari con decreto del Presidente 
del Consiglio dei Ministri del 5 giugno 1954, ai sensi dell'art. 38 del 
d.1.1. 27 luglio 1944, n. 159. Tale assegnazione, contrariamente all'opinione 
seguita dal Tribunale, non aveva implicato l'appartenenza del 
bene al patrimonio indisponibile dello Stato, perch� non era concreta 
ed attuale, bens� astratta e potenziale, tanto che, successivamente, il 
bene era stato dato in locazione al Lagan�, il quale era subentrato ad 
un precedente conduttore. L'ordinanza intimata al Lagan� presupponeva 
che la destinazione del bene ad un pubblico servizio fosse ancora 
da attuarsi. 
III. -Con citazione 16 settembre 1965 l'Amministrazione finanziaria 
convenne il Lagan� dinanzi al Conciliatore di Reggio Calabria 
per sentire dichiarare che il contratto di locazione, riguardante l'immobile, 
aveva avuto termine il 30 giugno 1959, e condannare il conduttore 
all'immediato rilascio. 
Il convenuto si oppose all'accoglimento della domanda, eccependo 
in via principale che aveva diritto ad acquistare la propriet� dell'immobile 
in base alla legge 30 marzo 1965, n. 225, con la quale � stata 
disposta la cessione in propriet� di alloggi costruiti, �Come quello in 
questione, a carico dello Stato in conseguenza di terremoti. 

Con sentenza 6 settembre 1965 il Conciliatore dichiar� risolto il 
contratto di locazione e ordin� il rilascio dell'immobile; ma il Pretore, 
adito in sede di appello, con sentenza 4 agosto 1966, respinse la domanda 
dell'Amministrazione finanziaria, osservando, tra l'altro, che 
nella specie ricorrevano le condizioni richieste dalla legge del 1965, 
perch� l'ente gestore avesse l'obbligo di cedere in propriet� l'alloggio 
e in favore dell'occupante sorgesse il diritto di acquistarlo, e che medio 
tempo1�e (e questo era il punto controverso), cio� sino alla conclusione 
del procedimento amministrativo di cessione di propriet�, l'occupante 
era legittimato a continuare nel godimento dell'immobile. 

Contro la decisione di appello propose ricorso per cassazione l'Amministrazione, 
e queste Sezioni Unite, con sentenza 13 ottobre 1967, 

n. 2442, ritennero che la posizione giuridica dei soggetti, a favore dei 
quali la legge del 1965 dispone la cessione degli alloggi, avesse la 
consistenza di un diritto soggettivo perfetto, azionabile, in caso di 
contestazione, davanti al giudice ordinario, ma che l'azione di rilascio 
per finita locazione non potesse essere neutralizzata dall'eccezione, con 
la quale l'occupante adduce di aver diritto alla cessione in propriet� 

818 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'alloggio. In relazione a quest'ultima statuizione e all'affermazione 
del correlativo principio di diritto, le Sezioni Unite cassarono con 
rinvio la pronuncia impugnata. 

Ora, secondo il ricorrente la sentenza di cassazione avrebbe costituito 
giudicato sulla giurisdizione anche in riferimento alla questione 
prospettata che l'im~obile de quo non facesse parte del patrimonio 
indisponibile dello Stato, e quale ius superveniens sarebbe invocabile 
anche in questa sede. 

Le censure esposte non �possono essere condivise. 

La prima attiene ai limiti oggettivi del giudicato risultante dalla 
sentenza pretorile del 1962, e involge una questione di giurisdizione, 
in ordine alla quale � consentito alla Corte Suprema di procedere ad 
indagini di fatto, interpretando la sentenza al fine di risolvere la questione 
anzidetta. 

Ed invero, se il giudicato si estendeva anche alla natura del bene 
come appartenente al patrimonio disponibile dello Stato, in quanto 
costituiva un antecedente logico controverso, che il giudice doveva 
accertare allo scopo di pervenire all'esame dell'oggetto della domanda 
in quel giudizio proposta, vertente sull'esistenza di un contratto di 
locazione relativamente al bene e sul diritto del conduttore di goderne, 
l'autotutela da parte dell'Amministrazione non era ammissibile, e l'ordinanza 
intendentizia, con cui il potere di autotutela era stato esercitato, 
costituiva un atto amministrativo illegittimo, lesivo di un diritto soggettivo 
perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario. Se, 
viceversa, il giudicato non aveva siffatta estensione, nel giudizio successivamente 
instaurato la natura del bene era liberamente apprezzabile 
dal giudice, ed esso poteva essere ritenuto appartenente al patrimonio 
indisponibile, cosi come ha fatto la sentenza denunciata, con la conseguenza 
che l'autotutela era ammissibile .e, di fronte al suo esercizio, 
le posizioni soggettive private assumevano la consistenza dell'interesse 
legittimo, suscettibile di ricorso, in caso di lesione, davanti al giudice 
amministrativo. 

In proposito � opportuno ricordare che la regola, con cui si concede 
all'Amministrazione il potere di autotutela, � enunciata dall'art. 
823 e.e. soltanto per i beni demaniali, e che, mentre in dottrina 
esistono �ontrasti sulla sua por.tata, la giurisprudenza di questa Corte, 
che si intende ancora una volta ribadire, � orientata nel senso di applicarla 
a tutti i beni pubblici, cio� ai beni di propriet� della P. A., in 
ordine ai quali essa �dispone di particolari poteri pubblici, comprendendovi, 
oltre ai beni demaniali, anche i beni patrimoniali indisponibili. 

L'espressa enunciazione della regola nell'art. 823 in relazione ai 
beni demaniali � stata voluta per affermare non tanto la possibilit� dell'esercizio 
dell'aut_otutela nei loro confronti, quanto la possibilit� per 
l'Amministrazione di avvalersi anche � dei mezzi ordinari a difesa della 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 819 

propriet� e del possesso regolati dal presente codice �, possibilit� della 
quale in passato si dubitava; mentre per i beni patrimoniali indisponibili 
un'eguale affermazione non era necessaria, perch� l'art. 828 contiene il 
principio che tutti i beni patrimoniali, in gem'!re, sono soggetti � in 
quanto non � diversamente disposto, alle regole del presente codice �. 

Ora, il giudicato non si estendeva alla qualifica del bene come 
patrimoniale disponibile, perch�, anche prescindendo dalle ragioni addotte 
dalla sentenza impugnata, l'antecedente logico controverso (cio� 
la natura del bene), che il giudice doveva accertare per giungere ad 
accordare il bene richiesto dall'attore (il godimento dell'immobile a 
titolo di locazione), si inquadrava, secondo la distinzione operata dall'art. 
34 , c.p.c. (che, pur esaminando il problema nei riguardi dello 
spostamento di competenza, ha una portata pi� vasta e sotto il profilo 
sistematico avrebbe dovuto essere inserito nella Sezione dedicata all'esercizio 
dell'azione), tra le questioni pregiudiziali, che vengono decise 
in via puramente strumentale e incidentale (incidenter tantum), senza 
alcuna efficacia autonoma di giudicato al di fuori della causa in cui 
l'accertamento avviene. Perch� l'antecedente controverso avesse potuto 
tras~ormarsi da questione in .causa pregiudiziale, da accertarsi con 
sentenza assistita dall'autorit� di cosa giudicata, sarebbero state nella 
specie necessarie l'esplicita richiesta di almeno una delle parti, ed 
inoltre l'esistenza di un interesse trascendente q.ello immediato alla 
risoluzione della causa in corso, cio� l'idoneit� della questione, che in 
ipotesi avrebbe formato oggetto della ,richiesta, ad influire su liti diverse 
da quella per comporre la quale la questione era sorta. E ci� � escluso 
dall'esame della sentenza del 1962, perch� l'oggetto della domanda � 
circoscritto nel senso pi� sopra precisato, senza che esista una diversa 
richiesta, n� sia prospettato un pi� ampio e trascendente interesse. 

Con la seconda censura si contesta che l'immobile appartenga al 
patrimonio indisponibile dello Stato, perch� il decreto del Presidente 
del Consiglio dei Ministri del 5 giugno 1954 non gli avrebbe impresso 
un'effettiva ed attuale destinazine ad un servizio pubblico. 

Ma in contrario deve osservarsi che con il decreto previsto dall'art. 
38 del d.1.1. n. 159 del 1944 l'immobile ricevette quella concreta 
destinazione al servizio pubblico, che lo stesso art. 38 contemplava per 
tutti i beni gi� appartenenti al partito fascista; �e con ci� esso entr� a 
far parte del patrimonio indisponibile dello Stato. 

La provvisoria assegnazione del bene ad altri fini non contraddiceva 
a quella destinazione, perch� anche i beni indisponibili possono 
formare oggetto di contratti di diritto privato, che non ne comportino 
il trasferimento di propriet� e, con questo, la definitiva sottrazione 
alla loro destinazione, restando tuttavia soggetti ai particolari poteri 
che su essi esercita la P. A., incluso il potere di autotutela. 

La terza censura � inammissibile e in ogni caso infondata. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

820 

� inammissibile perch� il giudicato sulla giurisdizione, che si assume 
promanare dalla sentenza n. 2442 del 1967 delle Sezioni Unite, 
sarebbe intervenuto in un altro giudizio, e I'ius superveniens non � 
invocabile in sede di cassazione se non quando incida direttamente 
sulla decisione, che viene impugnata, cio�, per quanto riguarda il 
giudicato, attenga al giudizio in corso. 

� in ogni caso infondata, perch� le Sezioni Unite, da un lato, risolsero 
una questione astratta di giurisdizione estranea all'attuale thema 
decidendi, lasciando impregiudicate le questioni di merito, comprese 
quelle riflettenti la sussistenza in concreto delle condizioni richieste 
per ottenere la cessione dell'immobile in base alla legge n. 225 del 1965, 
in relazione anche alla natura (patrimoniale disponibile o indisponibile) 
dell'immobile stesso; e, dall'altro, affermarono un principio (cio� 
che l'azione di rilascio non pu� essere neutralizzata dall'eccezione di 
chi adduce di aver diritto alla cessione), che prescinde dall'accertamento 
dell'esistenza in. concreto di tale diritto e quindi anche dalla 
natura del bene che pu� costituirne l'oggetto. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 luglio 1969, n. 2604 -Pres. 
Flore -Est. Iannuzzi -P. M. Di Majo (conf.). Ministero della Difesa 
(avv. Stato Freni) c. Cava (avv. Lombardi) e I.N.P.S. (avv. Cannella 
e Giorgi). 

Competenza e giurisdizione -Controversie in materia di previdenza 
ed assistenza a favore di pubblici dipendenti -Competenza del 
giudice ordinario -Limiti. 
(c.p.c., art. 459; t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, art. 29). 

Le controversie relative al rapporto assicurativo previdenziale dei 
dipendenti dello Stato o degli Enti pubblici spettano alla competenza 
del giudice ordinario qualora non sorga contestazione intorno alla 
costituzione del rapporto di pubblico impiego, n� circa la legittimit.� 
del comportamento della Pubblica Amministrazione relativamente all'assolvimento 
dell'obbligo assicurativo a favore del dipendente (1). 

(Omissis). -Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia 
il difetto di giurisdizione dell'autorit� giudiziara ordinaria e la violazione 
degli artt. 29 e 30 del t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 e successive 

(1) La decisione in rassegna � conforme all'indirizzo assunto dalla giurisprudenza 
ordinaria dopo la sentenza 3 febbraio 1967, n. 305 delle Sez. Un. 
(in questa Rassegna, 1967, I, 61, con nota di richiami). V., contra, Cons. 
Stato, Ad. Plen., 21 giugno 1968, n. 15, in questa Rassegna, 1968, I, 436. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 821 

modifiche, nonch� degli artt. 1, 5, 37, 429 e 459 c.p.c. e dell'art. 2116 
e.e.; denuncia inoltre l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione 
della sentenza impugnata in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c. 

Deduce .che la Corte d'appello ha erroneamente affermato la giurisdizione 
dell'A.G.0. relativamente alle controversie derivanti dalla 
mancata applicazione delle provvidenze assicurative a favore dei pubblici 
dipendenti. Osserva che, a norma dell'art. 29, n. 1 del citato t.u. 

n. 1054 del 1924 e successive modifiche, le controversie relative al 
rapporto di impiego pubblico sono attribuite alla giurisdizione esclusiva 
del Consiglio di Stato, il quale, a norma del successivo art. 30, conosce 
altresi di tutte le questioni relative a diritti, con la sola eccezione delle 
controversie attinenti a diritti patrimoniali conseguenziali alla pronuncia 
di legittimit� dell'atto o del procedimento impugnato. Ora le 
questioni patrimoniali conseguenziali in tema di mancata applic�zione 
delle provvidenze assicurative a favore �di pubblici dipendenti sarebbero 
solo quelle inerenti alla domanda di risarcimento dei danni conseguenti 
alla pronuncia del giudice amministrativo; mentre, invece, 
permane la giurisdizione dello stesso giudice amministratiyo quando 
la controversia riguarda diritti patrimoniali direttamente compenetrati 
nel rapporto di impiego, anche se manchi un provvedimento formale 
che neghi il diritto vantato, perch� oggetto dell'impugnativa sarebbe 
un comportamento dell'amministrazione importante la lesione di un 
diritto soggettivo. Inoltre, aggiunge il ricorrente, il difetto di giurisdizione 
del giudice ordinario risulta dal combinato disposto degli 
artt. 459 e 429 c.p.c. Invero l'art. 459 fa espresso riferimento, per 
determinare le controversie alle quali si applica il procedimento in 
materia di previdenza ed assistenza davanti il giudice ordinario, ai 
rapporti indicati nell'art. 429, dai quali sono espressamente esclusi i 
rapporti di lavoro dei dipendenti degli enti pubblici, che dalla legge 
sono devoluti ad altro giudice. 
La censura non � fondata. 

Il rapporto assicurativo previdenziale, qual'� quello relativo all'assicurazione 
obbligatoria per l'invalidit� e la vecchiaia, � diverso, per 
la fonte, la causa, i soggetti ed il contenuto, dal rapporto di prestazione 
di opera, rispetto al quale mantiene la sua autonomia, anche se il 
prestatore d'opera sia un dipendente dello Stato o di altro1 ente pubblico; 
ma non si pu� disconoscere che il rapporto assicurativo sorge 
ex lege in correlazione alla costituzione del rapporto di lavoro, il quale 
�, quindi, il presupposto necessario ed indefettibile del rapporto di 
assicurazione sociale, salvi i casi in cui la iegge lo ricolleghi a situa


zioni di carattere diverso. 

Ora il collegamento genetico dei due rapporti importa che necessariamente 
si debba discutere del rapporto di prestazione d'opera 
quante volte il riconoscimento del diritto dell'assicurato dipenda dal



822 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'accertamento dell'esistenza o dello svolgimento del rapporto di lavoro 

o dell'assolvimento dell'obbligo assicurativo previdenziale che stia a 
carico del datore di lavoro, ope legis, o per patto contrattuale. Ci� � 
vero anche quando il rapporto assicurativo sia collegato a quello di 
impiego pubblico, con la conseguenza che sussiste in tali casi la giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dei citati artt. 29, 
n. 1 e 30 commi 1 e 2 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054, trattandosi di questioni 
relative a diritti patrimoniali che� trovano fondamento e causa 
di giustificazione nel rapporto d'impiego pubblico. 
Qualora, invece, nella controversia in materia di previdenza ed 
assistenza non sorga contestazione intorno alla costituzione del rapporto 
di pubblico impiego n� circa la legittimit� del comportamento 
della pubblica amministrazione relativamente all'assolvimento dell'obbligo 
assicurativo a favore del dipendente, ma tutto ci� sia dato come 
pacifico, in tal caso risorge la giurisdizione, che ha carattere generale, 

I 
~

del giudice ordinario e viene meno quella, di natura speciale, del :~ 
giudice amministrativo, in quanto il rapporto di pubblico impiego funziona, 
nelle premesse dell'istanza, solo come un precedente storico e 
non � necessario indagare, per la risoluzione della controversia assicurativa, 
circa i diritti e gli obblighi scaturenti dal rapporto d'impiego 

I 

pubblico. 
Tal'� nella specie, la situazione dedotta in causa dall'istante e non 
controversa, essendo circostanze pacifiche la preesistenza e la cessa


I

zione del rapporto d'impiego pubblico, il versamento dei contributi 
assicurativi da parte del Ministero all'Istituto di previdenza sociale e 
la dispersione dei documenti relativi, nonch� la richiesta del Cava e 
del Ministero rivolta all'Istituto di rinnovare il pagamento dei contributi 
medesimi ed il rifiuto dell'Istituto stesso di riceverli. La domand;:t 

Iaveva per oggetto la dichiarazione dell'obbligo dell'Istituto di riceversi 
contributi assicurativi da parte del Ministero che aveva fatto istanza 
e si dichiarava ancora pronto a versarli e, in mancanza, la condanna f 
degli enti convenuti al risarcimento dei danni. Non pare dubbio, perJ 
tanto, alla stregua di quanto si � premesso, che la giurisdizione appar


I 

tenesse all'autorit� giudiziaria ordinaria trattandosi di giudicare, in 
principalit�, se fosse stato legittimo o meno il comportamento del


I 

Iw

l'I.N.P.S. -e non del Ministero -a rifiutare il nuovo versamento 
dei contributi da parte del Ministero stesso, al fine di regolarizzare 
la posizione assicurativa dell'istante ed, in mancanza, di stabilire quale 
dei due enti, ovvero se entrambi, fossero tenuti al �risarcimento dei 

i danni. In tal senso s'� ulteriormente chiarita e definitivamente fissata 
la posizione delle parti rispetto all'oggetto della lite anche nel corso 
ulteriore del giudizio, avendo il Ministero dedotto, nell'atto di appello, 

f 

che l'I.N.P.S. fosse ritenuto obbligato a riceversi i contributi e comunr 


I kf

que tenuto al risarcimento dei danni verso l'istante, per non averlo 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 823 

informato della facolt� di chiedere la regolarizzazione della pratica 
assicurativa. Lo stesso Ministero, quindi, prospettava in giudizio una 
situazione per nulla afferente al rapporto d'impiego ed all'accertamento 

o all'osservanza dei diritti e degli obblighi inerenti al rapporto stesso; 
pertanto il primo motivo dev'essere respinto. -(Omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 24 luglio 1969, n. 2796 -Pres. 
Stella Richter -Est. Berri -P. M. Di Majo (conf.) -Nardi (avv. 
Galluzzi) c. Ministero dei Trasporti (avv. Stato Ricci). 

Competenza e giurisdizione� -Patrimonio indisponibile -Case economiche 
delle F. S. -Assegnazione in uso -Natura d~l rapporto Concessione 
-Diritto soggettivo dell'assegnatario -Esclusione. 

(t.u. 28 aprile 1938, n. 1165, artt. 308-322). 
Competenza e giurisdizione -Atto amministrativo -Poteri del giudice 
ordinario -Inammissibilit� della revoca e della modifica Natura 
del provvedimento richiesto al giudice -Irrilevanza. 

(1. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, art. 4). 
Gli immobili destinati ad alloggi di servizio per i dipendenti della 
Pubblica Amministrazione fanno parte del patrimonio indisponibile (1). 
L'assegnazione dell'alloggio di servizio ha natura di concessione 

amministrativa (2). 

Da tale assegnazione non sorge alcun diritto soggettivo a favore 
dell'assegnatario, il quale, pertanto, non ha azione dinanzi al giudice 
ordinario per opporsi alla cessazione del rapporto disposta dall'Amministrazione 
(3). 

Il divieto, per il giudice ordinario, di revocare o modificare gli 
atti amministrativi vale in ogni caso, qualunque sia la natura -giurisdizionale 
o amministrativa -del provvedimento che gli viene richiesto 
(4). 

(Omissis). -Il ricorrente deduce violazione dell'art. 360 c.p.c. in 
relazione agli artt. 362 c.p.c.; 3, comma 2�, legge 20 marzo 1865, n. 2248, 

(1-3) Le prime tre massime sono conformi al costante orientamento 
del Supremo Collegio in materia: cfr. Cass., Sez. Un., 21 giugno 1967, 

n. 1473, in questa Rassegna, 1967, I, 600; id., 20 gennaio 1965, n. 115, ivi, 
1965, I, 66, con nota di P. G. FERRI. V., inoltre, le note di F. 0ARUSI, in 
questa Rassegna, 1964, I, 1066; e 1965, I, 321. 
(4) La quarta massima costituisce ineccepibile applicazione del fondamentale 
principio della separazione dei poteri. Invero, ci� che rileva, al 
fine del rispetto di ta.Ie principio, � solo la natura dell'organo che agisce, 
e non gi� quella dei provvedimenti in concreto emessi. 

824 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

all. E e n. 5, ultimo comma, legge 1� maggio 1955, n. 368, nonch� all'art. 
1 e segg. legge 30 settembre 1963, n. 1307. 

Il ricorrente sostiene che il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato 
la legge 30 settembre 1963, n. 1507, per non aver tenuto conto 
che in rapporto alla stessa il pretore agisce in via meramente amministrativa 
e con provvedimenti di squisito carattere amministrativo: in 
una situazione che la stessa sentenza ritiene essere amministrativa 
(costituita dal provvedimento di rilascio dell'Amministrazione delle 
FF.SS.) il pretore � intervenuto in via amministrativa e con un provvedimento 
amministrativo. 

Consegue che il predetto giudice non era privo di giurisdizione e 
che la sospensione era legittima. 

Sostiene poi il ricorrente che il Tribunale ha dato del rapporto � 
intercorrente tra il Nardi e l'Amministrazione delle FF.SS., 'relativamente 
all'immobile in questione, una interpretazione contorta ed errata. 

Il fabbricato del quale fa parte l'alloggio in oggetto era di propriet� 
privata, fu acquistato dalle FF.SS. e gli appartamenti di esso 
sono stati affittati ai dipendenti dalle ferrovie dietro corresponsione 
di un canone di affitto; d'altro canto, per la categoria di dipendenti 
cui il ricorrente apparteneva, non � mai stata prescritta la concessione 
di un alloggio di servizio. Il rapporto non pu� pertanto essere qualificato 
concessione per motivi di servizio. 

Sostiene, infine; il ricorrente che il Tribunale ha erroneamente 
ritenuto che l'alloggio in questione appartenga al patrimonio indisponibile. 
Manca, infatti, nella specie la legge od un atto amministrativo 
che destini il bene de quo ad un pubblico servizio (il decreto del 1948 
citato dal Tribunale si riferisce ad un fabbricato nel quale non furono 
costruiti uffici, ma solo alloggi). 

D'altro canto, osserva alla fine il ricorrente, anche i beni patrimoniali 
indisponibili possono formare oggetto idoneo di contratto, ivi 
compreso quello di locazione. 

Osservano le Sezioni Unite che il motivo di ricorso, cosi riassunto, 
non � fondato alla stregua della costante giurisprudenza di questa 
Suprema Corte. 

I criteri a cui le Sezioni Unite si sono informate nella soggetta 
materia possono riassumersi nei termini che seguono. 

L'assegnazione, da parte dell'Amministrazione delle Ferrovie dello 
Stato, di alloggi per ferrovieri a favore di determinati soggetti particolarmente 
qualificati in relazione alla loro posizione in servizio attivo 
e secondo le norme speciali che regolano la materia della concessione 
degli alloggi al personale, ha natura di concessione amministrativa 
con corrispettivo, anche quando assuma la forma estrinseca di una 
locazione, o se la Pubblica Amministrazione, per mera tolleranza, per




PARTE I, SEZ. II, GIURIS. SU 'QUESTIONI DI GIURISDIZIONE 825 

metta che il funzionario occupi, ancora per qualche tempo, l'alloggio 
di servizio a lui concesso, dopo il suo collocamento a riposo. 

Da tale assegnazione non sorge alcun diritto soggettivo a favore 
dell'assegnatario dell'alloggio medesimo ed �, pertanto, improponibile 
qualsiasi azione giudiziaria diretta ad opporsi al diritto dell'Amministrazione 
di fare cessare il rapporto, ove concorrano le condizioni previste 
dalle norme da cui il rapporto stesso � regolato; il giudice ordinario 
�, quindi, privo di giurisdizione a conoscere delle controversie, 
a cui l'applicazione stessa possa dar luogo. 

Devono considerarsi destinati ad un pubblico servizio e rientr�nti, 
come tali, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 826 e.e., nel patrimonio 
indisponibile degli enti pubblici, gli immobili concessi in uso ai dipendenti 
dell'Amministrazione pubblica allo scopo di facilitar loro l'espletamento 
delle proprie pubbliche funzioni presso l'Amministrazione 
medesima ed in relazione alla posizione di servizio che il concessionario 
riveste, a nulla rilevando che l'immobile, di cui fa parte l'alloggio 
concesso, sia stato costruito direttamente a cura e spese dell'Amministrazione 
concedente o che l'appartamento dato come alloggio faccia, 
invece, parte <ii un fabbricato acquistato dall'Amministrazione, dopo 
che era gi� stato costruito dall'industria privata, ove, peraltro, il fabbricato 
medesimo venga acquistato per essere destinato ad alloggi di 
servizio e destinato, poi, concretamente, a tale fine dall'Amministrazione 
stessa (vedi sentenze Sez. Un. 21 giugno 1967, n. 1473; 20 gennaio 
1965, n. 115; 28 luglio 1962, n. 2215; 20 maggio 1955, n. 1473; cfr. 
anche, in fattispecie processualmente diversa, 4 aprile 1969, n. 1102). 

In particolare assumere che l'intervento del pretore in materia di 
proroga dell'esecuzione degli sfratti si estrinseca in provvedimento 
amministrativo e non giurisdizionale, posta la verit� dell'assunto, non 
sarebbe aggiungere un nuovo argomento atto a modificare la giurisprudenza 
sopra richiamata, perch� ci� che rileva, al fine del rispetto 
del principio della separazione dei poteri, � il carattere giudiziario dell'organo 
che agisce, non la natura dei provvedimenti in concreto emessi. 
Si avrebbe sempre, in effetto, la revoca di un atto della P. A. da parte 
del giudice ordinario in violazione dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865 

n. 2248 all. E. Ma va rilevato che i provvedimenti adottati dal pretore 
ai sensi dell'art. 1 della legge 30 settembre 1963, n. 1307 in materia 
di esecuzione di sfratti sono posti in essere nell'esercizio di una potest� 
squisitamente giurisdizionale, nel contraddittorio delle parti ed hanno 
quindi natura giurisdizionale e non amministrativa. -(Omissis). 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 7 luglio 1969, n. 2507 -Pres. Albanese 
-Est. Aliotta -P. M. Caristo (conf.) -Ascenza e Ortesi (avv. 
Piarulli) c. Ferrovie dello Stato (avv. Stato Gentile). 

Responsabilit� civile -Passaggi a livello su strade private -Custodia 
da parte del privato utente -Responsabilit� civile. 

(1. 30 giugno 1906, n. 272, art. 10). 
Allorquando l'Amminist�razione delle FF.SS. abbia affidato la custodia 
di passaggi a livello su strq.de private agli utenti, a norma dell'art. 
10 le�gge 30 giugno 1906, n. 272, incombe su costoro la conseguente 
responsabiiit� sia nei confronti dei terzi che della stessa Amministrazione, 
la quale re�sta esonerata da ogni obbligo al riguardo (1). 

(Omissis). -Con il secondo motivo i ricorrenti, denunziando la 
violazione dell'art. 2 r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687 sostengono che, anche 
ammesso che la convenzione fosse ancora operante al momento del 
sinistro, l'Amministrazione delle FF.SS. sarebbe responsabile egualmente 
per non avere adottato le misure atte a prevenire i sinistri e per 
non avere imposto all'impresa l'obbligo di una vigilanza qualificata del 
passaggio a livello. Senonch�, com'� chiaro, l'indicata norma � applicabile 
soltanto quando non vi sia stato affidamento della custodia del 
passaggio a livello a privati, come si � invece nella specie verificata 
ai sensi dell'art. 10 legge 30 giugno 1906, n. 272. In proposito si rileva 
che tale disposizione, com'� stato gi� ritenuto da questa Corte (sentenze 
9 luglio 1957, n. 2725 e 15 febbraio 1952, n. 398), avendo dato 
facolt� alla Amministrazione delle FF.SS. di affidare ai privati utenti 
la custodia dei passaggi a livello su strade private, ne ha attribuito la 
relativa responsabilit� agli stessi, esonerando con ci� l'Amministra


(1) Cfr. Cass. 15 marzo 1952, n. 398, Giur. Cass. civ., 1952, I, 222 con 
nota di AL10TTA; cfr. altresl Cass. 1966, n. 1176, Foro it., 1966, I, 1018, con 
la quale � stato ribadito il concetto che quando l'Amministrazione faccia 
uso del suo potere discrezionale ed affidi la custodia del p.l. con chiusura 
di chiavi al privato utente, si determina in costui l'obbligo giuridico di 
farne uso e di custodire la chiave con la dovuta diligenza, per impedirne 
che altri ne facciano uso. 
In dottrina, per un profilo penale della responsabilit� conseguente all'omessa 
custodia cfr. GIANCASPRO, In tema di responsabilit� dell'utente d�i 
un p.l. privato, Giust. pen., 1954, II, 456; ZuccARINI, Attraversamento di 

p.l. privato e responsabilit� del concessionario, Riv. pen., 1955, II, 182. 
~ 

�LlfflH@flli'MMMrfifa{fffllifftlilli!ftfif;fffffM~ITffi@NmrnmrnITfffilillrfillffifilllmf:iffmfmffllitill!fffif@ffffffi&Effi@i[�~ 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 827 

zione. Dispone infatti l'art. 10 succitato che � i passaggi a livello privati 
possono essere muniti di chiusura con chiave, da tenersi in consegna 
dall'utente sotto sua responsabilit� �. Orbene deve ritenersi che con tale 
norma non si.sia voluto soltanto affermare la responsabilit� dell'utente 
per la custodia del pass;:iggio a livello nei confronti dell'Amministrazione 
delle FF.SS., ma anche e soprattutto di fronte ai terzi, restandone 
quest'ultima in conseguenza esonerata. Al che non osta la lettera 
della legge che non distingue tra responsabilit� nei confronti dell'Amministrazione 
delle FF.SS. e di fronte ai terzi, poich� la ratio cui si 
� ispirato il Legislatore � quella di liberare I'Amministrazione stessa 
da un obbligo di custodia che diverrebbe altrimenti oltremodo gravoso 
e difficile. In sostanza l'Amministrazione delle FF.SS., anche in relazione 
all'obbligo impostole dall'art. 229 legge 30 marzo 1865, all. F, 

n. 2248 di � ristabilire in convenienti condizioni di comodit� e sicur�zza, 
a proprie spese, tutte le comunicazioni pubbliche e private, che 
dalle opere della sua impresa rimanessero interrotte �, nonch� dal citato 
art. 2 r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687, ha avvertito l'estrema difficolt� 
di _organizzare la custodia dei passaggi a livello su strade private a 
mezzo del personale dipendente, e perci� il Legislatore le ha attribuito 
la facolt� di affidarne la custodia ai privati utenti, con il correlativo 
esonero di responsabilit� dell'Amministrazione stessa. -(Omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 17 luglio 1969, n. 2645 -Pres. 
Stella Richter -Est. Iannuzzi -P. M. Cutrupia (conf.) -Cassa per 
il Mezzogiorno (avv. Stato Tracanna) c. Servillo Luigi ed aitri 
(avv. Corrias). 

Espropriazione per p. u. -Bene indiviso -Indennit� di espropriazione 
-Carattere unitario. 

(1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51 comma 2� 
Espropriazione per p. u. -Bene indiviso -Opposizione giudiziale all'indennit� 
-Comunicabilit� degli effetti ai comproprietari tardivi 
opponenti. 

(1. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 51 comma 3�). 
Attesa la sua natura unitaria, l'indennit� di espropriazione, relativa 
a bene in�liviso, non � suscettibile di due autonome valutazioni, 
entrambe a carattere definitivo (1). 

(1-2) Il giudizio di opposizione alla indennit� di esproprio e natura del 
relativo termine. 

La natura perentoria del termine di gg. 30, successivi alla notifica 
del decreto di espropriazione, previsto dall'art. 51 della relativa legge 



828 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'opposizione aUa stima dei periti, proposta nei termini di legge 
solo da taluno dei comproprietari di un bene indiviso dispiega i suoi 
effetti anche nei confronti degli altri, tardivi opponenti (2). 

(Omissis). -Con il primo mezzo i ricorrenti, lamentando la vio


lazione e falsa applicazione dell'art. 51 della legge 2�5 giugno 1865, 

n. 2359 e dell'art. 102 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. 
proc. civ., nonch� all'art. 360, n. 5 .cod. proc. civ. per omessa, insufficiente 
o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, 
si dolgono che la Corte d'appello abbia ritenuto inammissibile 
l'opposizione alla stima da loro proposta oltre il termine di trenta giorni 
dalla notifica del decreto di espropriazione, nonostante che altri comproprietari 
avessero impugnato nei termini il decreto medesimo. 
Trattandosi di fondo comune ed indiviso, per la cui espropriazione 
era stata offerta e depositata un'unica indennit�, la tempestiva opposizione 
proposta da alcuni comproprietari avrebbe prodotto i suoi effetti 
anche nei confronti degli altri. 

;:: 

Inoltre, dovendosi il decreto del Prefetto equiparare ad una sentenza, 
l'impugnazione proposta da taluno degli interessati legittimerebbe 
all'impugnazione anche le parti per le quali il termine sia decorso. 
Infine l'unicit� dell'indennit� di espropriazione per uno stesso fondo, 
farebbe sussistere un'ipotesi di litinsconsorzio necessario. 

Il mezzo � fondato. 

organica -desumibile peraltro dallo stesso testo legisl!'!tivo (v., art. 54, 
comma ultimo) -ha avuto, come � noto, il riconoscimento pacifico della 
giurisprudenza (v. tra l'altro: Tribunale Messina 25 febbraio 1963, Giur. 
sic., 1965, 235; App. Bari, 18 giugno 1958, Corte Bari, Lecce e Potenza, 
1958, 225 e, incidentalmente Cass., 24 giugno 1959, Riv. giur. ed., 1959, 
1, 540). 

La dottrina ne ha identificato la ratio nel proposito del legislatore 
di non lasciare a :lungo incerto l'ammontare �dell'indennit� di esproprio 

(v. P. CARUGNO, L'espropriazione per p.u., VI ed., 366). Situazioni peculiari 
peraltro, hanno esercitato come una funzione di ,spinta sull'enunciato principio, 
anche se in via indiretta. 
� recepito, ormai pacificamente dalla giurisprudenza, che tutti, ancorch� 
tardivamente, possono far valere in via riconvenzionale le proprie 
istanze in ordine alla determinazione dell'indennit� con l'unico limite temporale 
imposto dalla legge processuale all'introduzione, nel processo, di 
domande riconvenizonali (v. Cass., 20 gennaio 1965, n. 111 e per ultimo 
Corte Cass., Sez. I, 20 luglio 1968, n. 2402, in questa Rassegna, 1968, I, 592). 

� .parso, cio�, �che non possa esservi '1a preclusione del termine nell'ambito 
di una lite che, pur nella contrapposizione delle richieste, � sostanzialmente 
unica, in quanto tendente alla determinazione del � giusto 
indennizzo� (v. RossANO, L'espropriazione per p.u., 298). 

� stato evidenziato anche come sia principio essenziale nella subietta 
materia, sotto il profilo processuale, che l'impugnativa proposta da uno 
dei soggetti del rapporto faccia venir meno il carattere vincolante della 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 829 

La Corte del merito, partendo dalla premessa che il decreto di 
espropriazione produce il trasferimento della propriet� del bene espropriato, 
indipendentemente dalla sua notificazione e la conversione del 
diritto di propriet� dell'espropriato in un diritto di credito, ha ritenuto 
che, nel caso in cui il bene espropriando appartenga in regime di comunione 
a pi� persone, il decreto di espropriazione abbia anche l'effetto 
di far cessare il regime di c.omunione, attribuendo a ciascun partecipante 
alla comunione medesima, il diritto di credito ad una corrispondente 
quota di indennit�. Da ci� deriverebbe � la non comunicabilit� 
dell'opposizione alla stima validamente proposta da uno dei co;munisti, 
agli altri�. 

La questione che viene sottoposta all'esame di questa Corte, consiste, 
adunque, nello stabilire, se, nel caso di espropriazione di un bene 
indiviso, l'opposizione alla stima proposta da taluno dei partecipanti 
alla comunione spieghi i suoi effetti anche nei confronti de,i comunisti 
non opponenti, oppure se per questi ultimi, limitatamente alle loro 
quote di compropriet�, diventi definitiva la proporzionale parte dell'indennit� 
determinata dai periti. 

La questione non � stata prima d'ora decisa da questa Corte e su 
di essa la dottrina � divisa; ma questa Corte ritiene che si debba seguire 
la tesi pi� favorevole ai comproprietari espropriati. 

� noto che la legge fondamentale sulle espropriazioni (legge 25 
giugno 1865, n. 2359) prevede un complesso procedimento articolantesi 

stima fiscale, onde non � a parlarsi di decadenza nei confronti del convenuto 
che agisca in via riconvenzionale (v. P. CARUGNO, Op. cit., 371; SABBATINI, 
Commento alla legge espropriaziome per p.u., vol. II, 88, 109, 115). 

Sulla scia delle rpronunzie riportate, oltre che dalla mentovata dottrina, 
il Supremo Collegio, con la sentenza che si annota, supera da altra via 
la pur conclamata anelasticit� dell'indkato termine affermando in sostanza 
che l'opposizione alla ,stima, pr0<posta tempestivamente da alcuni soltanto 
dei comproprietari di un bene indiviso, dispiega i suoi effetti anche a 
favore degli altri, dal momento che la richiesta perequazione del pretium 
va valutata in rapporto alfintero bene ablato, ivi comprendendo quindi 
anche le quote dei comunisti, tardivi opponenti. 

La ;pronunzia, ancorch� �caratterizzata dalle esigenze della specie sottoposta 
all'esame del Supremo Collegio, in cui l'elemento termine assurgeva 
a posizione di rilievo, incide su tutta una problematica attinente alla 
configurazione del diritto all'indennit� ed � suscettibile di implicazioni 
ulteriori in relazione all'imprevedibile variet� del commercio giuridico, 
sia in terxnini processuali che sostanziali. 

Il convincimento dei giudicanti � sorretto da ampia disaxnina che, come 
dkevasi, attiene alla caratterizzazione dell'indennit�, con riferimento altresi 
ai vari momenti del procedimento espropriativo. 

Presi in considerazione i diversi sistexni adottati dalla legge organica 
per il conseguimento della stima definitiva dell'immobile -accettazione 
dell'indennit� offerta (art. 25 e segg.), o, gradatamente, acquiescenza alla 
stima giudiziale (art. 31 ss.) o infine deterxninazione giudiziaria ex art. 51 

5 



.> .> 
830 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

I @in varie fasi e, in sostanza, tre successivi modi di determinazione dell'indennit�. 
Il primo � rimesso alla libera valutazione dell'espropriante, 
il quale (art. 24), unitamente al piano particolareggiato d'esecuzione 
dell'opera, deve far compilare l'elenco dei proprietari dei beni da 
espropriare, con l'indicazione del prezzo offerto. 

In questo caso la legge (art. 25) richiede per l'accettazione dei 
proprietari, che essi ne abbiano fatto espressa dichiarazione per iscritto. 

Nel caso�.di mancata accettazione, la legge -ispirata al principio 
dell'indennit� preventiva -prescrive una determinazione di questa 
a carattere provvisorio, in una maniera pi� obiettiva, corrispondente 
del resto al suo sistema di consentire l'espropriazione del bene dietro 
pagamento del suo valore venale. E questo nuovo accertamento � demandato 
ai periti nominati dal Tribunale -come si legge nella relazione 
alla legge -e affinch� la perizia che determinava l'indennit� 
dovuta, prima ,di procedere all'occupazione dei beni caduti in esproprio, 
abbia per tutti valore <fi perizia giudiziale e siano cosi rese di pi� 
facile risoluzione le future contestazioni �. Sul suo valore di perizia 
giudiziale �, del resto, concorde anche la giurisprudenza di questa Corte 
(Cass. 3 giugno 1963, n. 1483; 18 aprile 1962, n. 753; 14 luglio 1941, 

n. 2140; 9 luglio 1935, n. 2399). 
La stima dei periti, quindi, � priva di un proprio valore imperativo, 
n� lo acquista per effetto del decreto del prefetto, che pronuncia 
l'espropriazione e che non ha alcun potere dispositivo in ordine alla 

-le Sez,. Un. hanno attribuito valore basilare al princ1:p10 della definitivit� 
-oggettiva (dell'intero pretium), in contrapposto alla definitivit� 
soggettiva (limitata ad alcuni proprietari soltanto e segnatamente ai non 
opponenti). 

� sembrato, cio�, che non si potesse ipotizzare, perch� incompatibile, 
una difforme valutazione -pro quota -deHo stesso bene, in dipendenza 
del diverso comportamento dei comunisti nell'ambito del :procedimento 
espropriativo. 

A �conforto dell'enunciato principio, come si vede nella motivazione 
sopra riportata, si � richiamato il testo dell'art. 51, comma ultimo, l� dove 
detta: �l'indennit� (non le indennit�) si avr� definitivamente �stabilita ... , 
ecc; l'art. 39 che fa riferimento al valore venale del bene, unitariamente 
inteso; l'art. 834 e.e. che parla di indennit� giusta (id est uguale); gli 
ultimi portati della giurisprudenza costituzionale inconciliabili, secondo 
l'assunto dei giudicanti, con la valutazione errata della quota del solo 
non opponente; le .caratteristiche della procedura di svincolo dell'indennit� 
che, non consentendone J.a riscossione � pro quota � ne postula l'uguaglianza 
nei confronti dei comproprietari singoli �. 

Pare, peraltro, che l'esattezza delle singole proposizioni nella loro 
enunciazione di base non esima da un riscontro ed anzi lo renda necessario, 
al fine di acclarare se o fino a quale punto esse siano conciliabili 
con disuguaglianze retributive nell'ambito del gruppo dei contitolari del 
diritto di propriet�, come pur si � sostenuto in sentenza. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 831 

.indennit�. La detta stima, adunque, d� una valutazione provvisoria del 
valore oggettivo del bene; ma, appunto per il carattere di provvisoriet�, 
essa non pone necessariamente termine al procedimento espropriativo; 
ma rappresenta solo la parte terminale della fase che si conclude con il 
decreto di espropriazione e con il trasferimento all'espropriante della 
propriet� del bene espropriato. 

Questo principio di determinazione provvisoria fu ben chiaro fin 
dalle prime applicazioni della legge ed � alla base dell'indirizzo giurisprudenziale 
divenuto costante, che, pur nel silenzio della legge, riconosce 
anche all'espropriante la facolt� di non accettare la stima (Cass. 
29 gennaio 1966, n. 346; 9 luglio 1965, n. 1427; 7 maggio 1935, n. 1660; 
30 luglio 1931, n. 3393). 

Perch� venga emesso il decreto di espropriazione � indispensabile 
che sia effettuato il deposito della somma indicata dai periti, perch� 
sulla somma si trasferisce il diritto reale degli espropriati, ai quali 
-contrariamente a quanto ha ritenuto la sentenza impugnata -non 
residue un diritto di credito al pagamento dell'indennit�, beni;;i un 
diritto reale. 

Il decreto di espropriazione, infatti, incide sull'oggetto, ma non 
sulla natura del diritto. 
Nel caso di compropriet� indivisa del bene, la comunione permane 
sull'indennit� fino al momento in cui questa sar� divenuta definitiva e 

Una valutazione critka della pronunzia non pu� prescindere dall'identificazione 
delle strutture portanti della costruzione, che sembra debbano 
ravvisarsi nei punti che seguono: 

A) Unicit� o indivisibilit� dell'indennizzo. -L'accezione di tale 
fenomeno nella sentenza esula per eccesso da quella, recepita in dottrina, 
di trasferimento delle ragioni di terzi -gi� titolari di iura in re aliena sul 
valore sostitutivo della cosa, rappresentato dall'indennit� (art. 52) 

(v. RossANO, op. cit., 170, e, per quanto utile, Cass., 30 settembre 1955, 
n. 2734). 
Si � cio� al di l� della peculiarit� del ,fenomeno che, in relazione alle 
esigenze pubblicistiche in giuoco, ha di mira soltanto fa confluenza sul 
prezzo dei vari diritti ,che gi� ,esistevano sulla cosa, onde la medesima 
possa pervenire nel patrimonio dell'espropriante libera da ogni peso, vincolo 
o limitazione e possa adempiere cosi con speditezza alle finalit� che 
ne imposero la sottrazione ai privati. 

Il punto fatto proprio dal Supremo Collegio va per� valutato in chiave 
critica: � bene infatti indagare se e fino a qual punto, pur nell'indiscriminazione 
ed unitariet� di fondo, il sistema normativo della legge organica 
non abbia inteso enucleare e tutelare autonomamente rapporti ed interessi 
specifici. 

E poich� in ogni costruzione dommatica l'eccezione ne evidenzia la 
caducit�, va pur ricordato che il combinato disposto degli artt. 51 e 54 
postula, per espresso dettato legislativo, la possibilit� di una diversa determinazione 
dell'indennizzo rispetto ai singoli interessati: ipotizza, invero, 



832 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ne sar� stato disposto lo svincolo dall'Autorit� giudiziaria sulla base 
dell'accordo delle parti o in ragione dei diritti degli espropriati. E :t;>er 
il carattere dell'unicit� dell'indennit� le quote dei singoli comproprietari 
sono soggette a variare col variare della misura dell'indennit�, 
dovendo essere commisurate all'indennit� definitiva e non a quella 

provvisoria. 
La legge prevede, adunque, che l'indennit� debba essere definitiva 

e ci� pu� avvenire o con la mancata impugnazione della stima da parte 

di tutti i soggetti del procedimento espropriativo (nel qual caso diventa .�' 

definitiva proprio l'indennit� indicata dai periti) o con la sentenza det 

giudice ed � questo il terzo modo d determinazione dell'indennit� e 

l'unico che abbia valore imperativo per essere contenuto in un prov


vedimento del giudice. 
La tesi della resistente che per taluno dei comproprietari l'inden


nit� provvisoria diventi definitiva, mentre per altri cada di fronte alla 
nuova valutazione fatta dal Tribunale, di guisa che lo stesso bene, in 
relazione al medesimo diritto sia oggetto di due diverse valutazioni, 
entrambe a carattere definitivo, non pu� essere condivisa. 

Essa contrasta innanzi tutto con la lettera della legge. 

Infatti, l'ultimo comma dell'art. 51, prevedendo che �l'indennit� 
si avr� definitivamente stabilita nella somma risultante dalla perizia > 
trascorso il termine di trenta giorni �senza che sia stato proposto 
reclamo dinanzi ai Tribunali contro la stima� non prevede una defi


che il valore in esame rpossa avere assunto carattere di definitivit� e sia 
quindi insuscettibile di maggiorazioni per il proprietario espropriato, che 
non abbia proposto orpposizione, e non anche per i titolari di diritti reali 
sull'immobile, cui compete, a tal uopo, un'iniziativa processuale che ha un 
diverso termine di decorrenza. 

Pu� naturalmente verificarsi anche il contrario. 

Gi� il Supremo Collegio ebbe, sul punto, a statuire nei seguenti termini: 
� N� si dica che, divenuta definitiva l'indennit� nei confronti degli 
aventi diritto di cui all'art. 54, non sia possibile, per l'unicit� e l'indivisibilit� 
del diritto su cui � basata la facolt� dell'espropriante di promuovere 
l'orpposizione, che l'indennit� sia stabilita in misura diversa nei confronti 
dell'espropriato. 

� Gi� innanzitutto la possibilit� di una diversa determinazione della 
indennit� risulta evidente sia dalla formulazione dell'art. 54, in cui � detto 
che, decorso il termine senza che gli aventi diritto abbiano proposto richiamo, 
l'indennit� si avr� anche rispetto ad essi, definitivamente stabilita 
nella somma derpositata, sia e molto pi� dal fatto che l'eventuale acquiescenza 
di questi non vincola l'espropriato� (v. Cass., 30 luglio 1930, n ..... 
in Nuova riv., Appalti, 1931, I, 443; v. altres� CARUGNO, op. cit. 360). 
Ora, la Suprema Corte regolatrice non pare abbia trovato agevole 
sistemazione dell'ipotesi prospettata nell'ambito della costruzione adottata 
nella sentenza in esame: ci si trova indubbiamente in presenza di un dato 
considerato anomalo, che per�, come dicevasi, rappresenta in terminj razionali, 
una smentita della tesi riportata in sentenza. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 833 

nitivit� soggettiva (limitata ai soli proprietari non opponenti); ma una 
definitivit� oggettiva (dell'indennit� come tale), per cui il reclamo di 
uno dei comproprietari impedisce alla stima provvisoria di diventare 
definitiva e riporta in discussione il tutto. 

Ad una definitivit� dell'indennit� solo per alcuni comunisti e 
non per altri � di ostacolo anche il concetto di unicit� e indivisibilit� 
dell'indennit�, la quale sostituisce il bene con l'equivalente pecuniario 
(secondo la legge fondamentale) e deve essere unica per tutti, di guisa 
che su di essa -come gi� detto -si trasferiscono per legge tutti i 
diritti reali e le azioni relative al bene espropriato. 

La tradizionale ratio della legge, la quale tende a consentire la 
espropriazione con il minor danno poss:ibile dell'espropriato, ed ha 
fissato l'indennit� nel valore venale del bene, cio� nel suo equivalente 
economico, non consente certo che il bene possa aver per alcuni compropritari 
espropriati un valore economico inferiore, a tutto vantaggio 
dell'espropriante; e ad analoga considerazione si perviene se anzich� 
la legge fondamentale si tenga presente il codice civile, .il quale, nell'art. 
834, ripetendo sostanzialmente il contenuto dell'art. 438 cod. civ. 
del 1865, consente l'espropriazione dei beni dei privati per ragioni 
di pubblico interesse dietro pagamento di una giusta indennit�, dato 
che nel concetto di giustizia � insito quello di uguaglianza. E la con-. 
elusione non pu� essere diversa neppure alla luce dell'interpretazione 
pi� evoluta attribuita all'istituto dalla giurisprudenza costituzionale, 

B) Il secondo punto che va vaiutato in chiave critica e che si presenta 
strettamente correlato al primo dianzi delucidato, � �costituito dalla 
affermazione delle Sez. Un., secondo cui agli espropriati non residua un 
diritto di credito al pagamento dell'indennit�, bensi un diritto reale, si 
che il decreto di esproprio inciderebbe sull'oggetto e non sulla natura 
del diritto. 

Nel caso di compropriet� indivisa del bene, viene poi raffigurata l'esistenza 
di� uno stato di comunione che si protrae fino al conseguimento 
dell'indennit� definitiva e che si presenta inconciliabile con un trattamento 
differenziato degli interessati quoad pretium. 

Tale proposizione non appare del tutto esatta. 

Invero l'aspetto pi� appariscente dell'intera questione � il seguente: 
in virt� della pronunzia del decreto di esproprio, ed indipendentemente 
dalla sua notifica, il diritto dominicale ed i diritti parziali si convertono 

� ipso iure � nel diritto sull'indennit�, onde la riparazione si attua non 
con la reintegrazione in forma specifica, ma con la prestazione dell'equivalente 
(Cass., 5 agosto 1963, n. 2195; Cass., 7 maggio 1965, n. 836; Cass., 
26 giugno 1963, n. 1735; Cass., 7 maggio 1965, n. 836). 
Ci 1si trova cio� innanzi ad un'immutazione nell'oggetto del rapporto 
-sostituzione di un valore alla cosa -che postma il sorgere di una 
realt� fenomenica diversa (v. SANTORO PASSARELLI, Dottrina generale del� 
diritto civile, 80). 

Sorge invero un rapporto giuridico nuovo che si diversifica dal precedente 
da cui deriva, ancorch� adempia in forma sostitutiva alla funzione 



834 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la quale, pur ammettendo che non sempre � possibile riconoscere allo 
espropriato il valore commerciale del bene, ha ritenuto la possibilit� 
di valutazioni inferiori solo per motivi di interesse pubblico. Allorch�, 
quindi, l'interesse pubblico non sia pi� in discussione e, trattandosi di 
esproprazione di un bene indiviso, a seguito dell'opposizione di uno dei 
comunisti, venga riconosciuto dal giudice che l'indennit�, unica per 
tutti, indicata dai periti in via provvisoria, non corrisponde al valore 
del bene, cosi come previsto dalla legge, il voler far sussistere la 
valutazione errata nei confronti del non opponente, non trova alcuna 
giustificazione nell'interesse pubblico. 

Il principio che ciascun comunista ha, in definitiva, diritto ad una 
quota dell'indennit� � esatto, ma deve essere rapportato all'indennit� 
definitiva e il sistema della legge, anche in base alle modalit� di pagamento, 
che non consentono, di regola, una riscossione pro quota dell'indennit� 
� tale da escludere che nei confronti dei contitolari del 
medesimo diritto dominicale, possano essere liquidate indennit� calcolate 
su valori diversi. 

Impropriamente, inoltre, anche nei confronti dell'unico proprietario 
opponente si parla di � supplemento � di indennit�, in quanto 

specifica del primo. Fenomeno questo definito dalla dottrina oltre che 
come derivazione di un rapporto da un altro, � lato sensu ., come surrogazione 
reale o successione (vedansi le fattiSPecie legali di cui agli artt. 535, 
com.ma secondo, 170 comma primo, 183, 187, 189, 1017 e.e.) (SANTORO PAsSARELLI, 
op. cit., 89). 

Occorre tuttavia non discostarsi dalla regolamentazione concreta degli 
istituti. 

Come � noto, il nostro sistema � caratterizzato dall'indennit� preventiva, 
il �Che vuol dire che solo la sua legale predeterminazione integra uno 
degl iestremi della fattiSPecie legale �che sono indiSPensabili affinch� possa 
diSPorsi il 1sacrificio del diritto di propriet� (v. Cass., 25 febbraio 1967, 

n. 431). 
Il provvedimento ablativo determina cio� un'immutazione nell'oggetto 
del diritto -pretium succedit in locum rei -quindi gli interessati continuano 
a vantare nei confronti dei consociati indistintamente considerati 
un diritto assoluto, in quanto il pretium~ ancorch� depositato e soggetto 
alla nota disciplina di svincolo, appartiene a loro al di fuori dell'intermediazione 
dei terzi. 

Vi � cio� un r�apporto di inerenza tra valore depositato e soggetti. 

Recita, infatti, l'art. 49 legge organica: �il deposito della indennit� 
si considera fatto � per conto � dei proprietari espropriati ., ergo, si appartiene 
a �Costoro dallo stesso momento in cui l'espropriante perde la 
diSPonibilit� della somma depositata (v. Cass., 27 maggio 1963, n. 1389). 

La situazione si mantiene conforme nell'alternativa prevista dallo 
stesso articolo, caratterizzata dall'autorizzazione al pagamento diretto dell'indennizzo, 
atteso che la pronunzia del decreto di eSProprio � legittima 
solo previa presentazione al prefetto dei titoli giustificanti �l'avvenuto 
pagamento. 



PARTE J, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 835 PARTE J, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 835 
l'indennit� stabilita in via definitiva dal giudice prende il posto di 

quella in,dicata dai periti in via provvisoria nella sua interezza e non 

per la sola differenza, si da far nascere l'illazione che si tratti di due 

indennit�, laddove l'indennit� � unica. 

La difesa della resistente, specialmente nella discussione orale, 

ha particolarmente insistito sul richiamo all'art. 54 della legge per in


ferirne la possibilit� di una diversit� dell'indennit� definitiva nei con


fronti dei vari comunisti; ma il richiamo non � decisivo. 

L'art. 54, com'� noto, consente anche ai soggetti che e hanno ra


gione da esperire sull'indennit� � e che non essendo proprietari sono 

rimasti estranei al processo espropriativo, di proporre �reclamo � av


verso l'indennit� liquidata dai periti e siccome a tali soggetti non viene 

notificato il decreto di espropriazione, il termine decorre dalla pub


blicazione del decreto medesimo nel giornale degli avvisi giudiziari 

della provincia. 

Dal contenuto dell'ultimo comma dell'articolo, secondo cui � scorso 
.il suddetto termine senza che siasi proposto reclamo l'indennit~ si 

avr� anche rispetto ad essi definitivamente stabilita nella somma depo


sitata � si � arguito da alcuni che vi possa essere un'indennit� defini-

Sostanzialmente difforme � invece quando, come nel caso di specie, 
� stata proposta 'l'opposizione ex art. 51, in quanto l'interessato o gli 
interessati, in termini ,concreti, mirano alla consecuzione di un supplemento 
di valore, intendono ottenere un quid pluris. , 

Ci� :per� si concretizza e attualizza soltanto tramite un fatto imprescindibile: 
la dazione dell'utilit� residua da parte dell'espropriante obbligato, 
ancorch� ci� avvenga -per esigenza di sistema -in seguito 
ed a mezzo della pronunzia del magistrato. 

In altri termini, la soddisfazione che l'ordinamento attribuisce all'opponente 
non � pi� conseguibile per atto proprio, in dipendenza dell'effettiva 
disponibilit� dell'oggetto del proprio diritto, ma tramite la prestazione del 
soggetto passivo, ancorch� necessitata da pronunzia giudiziale (v. BARBERO, 
Sistema istituzionale di diritto privato italiano, 3� ed., vol. II, 9). 

Pare quindi che, contrariamente al convincimento dei giudicanti, si 

versi squisitamente nell'ipotesi di un diritto personale o di credito, strut


turalmente difforme dal diritto reale. 

Se le cose, come a noi sembra, sono nei termini dianzi prospettati, 

riteniamo che venga a mancare la ragione prima della comunicabilit� degli 

effetti in capo aU'intero gruppo dei proprietari pro quota. 

Vi �, in altri termini, un limite al regime comunitario, avente a suo 

oggetto originariamente un bene e successivamente un valore. 

Tale tl.imite vien posto in essere nel momento in cui, avanzandosi la 

richiesta di un'utilit� maggiore in termini economici, si postula di necessit� 

il ocrrelato comportamento del soggetto passivo, atto a soddisfare tale 

pretesa. 

� solo nell'ambito di tale configurazione che va indagato se esista 

oppure no un vincolo che, nell'accomunare tutti gli aventi diritto in un, 

unico trattamento, estenda indifferenziatamente all'intero gruppo gli effetti 



836 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tiva per il proprietario e non per coloro che vantino altri diritti sul 
bene e viceversa. 

Da autorevole dottrina si � peraltro giustamente posto l'accento 
sulla portata della congiunzione e anche �, la quale presuppone necessariamente 
che l'indennit� sia gi� diventata definitiva per il proprietario 
espropriato, laddove non autorizza a ritenere che in mancanza di 
tale definitivit� per la tempestiva opposizione proposta dal proprietario 

o da taluno dei comproprietari interessati, l'indennit� provvisoria 
possa diventare definitiva per gli altri aventi diritto, se nel frattempo 
sia avvenuta la pubblicazione ed essi non abbiano fatto separata 
opposizione. 
Qualunque sia, comunque, la soluzione che voglia darsi alla questione 
-che � diversa da quella in esame -� evidente che la soluzione 
prospettata dalla difesa della resistente, in quanto costituente 
sostanzialmente eccezione alla regola fondamentale dell'indennit� unica 
-perch� comportante le possibilit� di corrispondere un'indennit� suppletiva 
al titolare di altro diritto, indennit� su cui nessun altro potrebbe 
accampare pretese nella divisione finale -non pu� assurgere 
a regola generale per risolvere il diverso caso di pi� compropritari 
del bene indiviso, rientranti tutti, come tali, nella previsione dell'art. 
51 e aventi ciascuno il medesimo diritto degli altri pro quota. 

di una statuizione favorevole, H che vuol dire che, in caso affermativo, 
la posizione autonoma di ogni concreditore verrebbe ad essere influenzata 
e condizionata in senso positivo dalle iniziative di uno dei proprietari 
comunisti. ' 

Va a questo punto rilevato che costituisce principio dei diritti di 
credito che ognuno ne possa disporre nei limiti dell'appartenenza (argomentato 
dagli artt. 1173 e segg. cod. civ.). 

Dalla rigorosit� di tale enunciazione pu� decamparsi soltanto quando 
sia dato ravvisare un'obbligazione solidale dal lato attivo o un'obbligazione 
indivisibile. 

Alla configurazione del secondo tipo di obbligazione costituisce ostacolo 
insuperabile il considerare che nella fattispecie legale in esame, la 
prestazione ha a suo oggetto cosa squisitamente suscettibile di divisione 
come � l'obbligazione di corrispondere una somma di denaro. N�, in un 
campo sottratto alla determinazione dei soggetti interessati quale � un 
trasferimento coattivo, � lecita la supposizione di un'intenzione delle parti 
in un senso invece che in un altro (art. 1316 e.e.) Cass., 18 maggio 1954, 

n. 1588; Cass., 31 ottobre 1957, n. 4224). N�, avendo presente il procedimento 
di svincolo dell'indennizzo, alcuno degli aventi diritto pu� agire 
da solo per il soddisfacimento dell'intero credito (artt. 55 e 56). 
E ci� � p'feclusivo del pari dell'esistenza di un'obbligazione sia indivisibile 
(art. 1319 e.e.) che solidale dal lato attivo (art. 1292 e.e.). 
N�, infine, difformemente dalla disctplina di queste ultime, � conferita 1:::1j 
al debitore la facolt� di pagare, a sua scelta, l'intero all'uno o all'altro 

(art. 1292 e.e.), con efficacia. liberatoria. 

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dei creditori in oslido 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 837 

Questo principio del carattere provvisorio dell'indennit� e della 
sua non vincolativit� per nessuno, allorch� sia impugnata da talilno 
degli espropriati od anche dell'espropriante � del resto, presente nella 
costante giurisprudenza di questa Corte, la quale ha sempre riconosciuto 
a ciascun soggetto del rapporto espropriativo la possibilit� di 
impugnare la liquidazione, anche dopo la decorrenza del termine, qualora 
l'altra parte abbia proposto tempestiva impugnazione (Cass. 10 
luglio 1968, n. 2402; 15 maggio 1940, n. 1580). 

La circostanza, poi, che � da respingere ogni equiparazione tra 
decreto. di espropriazione e sentenza e l'assenza di valore imperativo 
nella stima dei periti, non consentono di riportare il suddetto principio 
dell'opposizione tardiva al regime delle impugnazioni tardive. 

Si rende necessario, pertanto, procedere a nuovo esame della causa 
e la Corte d'appello di rinvio, che si determina nella Corte d'appello 
di Roma, alla luce di quanto sopra esposto, si atterr� al seguente principio 
di diritto: � Allorch� nell'espropriazione di un bene indiviso solo 
taluno dei comproprietari faccia opposizione alla stima dei periti nel 
termine di legge, gli altri comproprietari -ancorch� per essi sia 
decorso il termine -possono impugnare a loro volta la stima, la quale 
sar� determinata dal �giudice in rapporto al bene e non alla singola 
quota del comunista, che abbia proposto impugnazione nel� termine �. 
-(Omissis). 

In definitiva, quindi, anche se yi sono pi� soggetti dal lato attivo, 
il credito � ripartito tra i medesimi in ragion.e della quota che compete 
ad ognuno di essi (obbligazione parziaria, v. BARBERO, op. cit., vol. II 13). 

Tale proposizione, trasfusa in termini processuali, sta ad indicare che 
non � configurabile, nell'economia di ogni soggetto singolo, il conseguimento 
dell'utilit� -rappresentata nella specie dalla perequazione del 
corrispettivo -se non per il mezzo del rimedio ad hoc approntato dalla 
leg.ge: occorre pertanto rimenarsi alla previsione della fattispecie legale 
che, in sede di regolamentazione dell'opposizione ex art. 51, pone come 
elemento imprescindibile l'osservanza del noto termine. 

(Precedenti molto scarsi: nel senso qui esposto, vedasi in giurisprudenza: 
Appello Messina, 9 novembre 1957, Giur. sic., 1958, 232; Trib. Napoli, 
8 luglio 1967, Arch. resp. civ., 1968, 611; in dottrina, RossANo, op. cit., 
298; contra: Tribunale Messina, 18 giugno 1962, Giur. sic., 1963, 245). 

La mancata osservanza di esso trae seco, ineluttabilmente la decadenza 
che non pu� trovare indiretta sanatoria nelle tempestive iniziative processuali 
prese da altro cointeressato. 

Sembra quindi che la ocstruzione dommatica adottata dal Supremo 
Colilegio consegua ad una visione del fenomeno che non tiene conto della 
configurazione positiva dell'istituto. 

Ci si augura qu�ndi che un ulteriore, pi� profondo esame della materia 
affronti compiutamente le questioni dibattute nella presente nota le quali, 
allo stato, non pare abbiano trovato tranquillate soluzione. 

:,. SICONOLFI 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III, 27 agosto 1969, n. 3047 -Pres. 
Laporta -Est. Gabrieli -P. M. Caristo (diff.) -D'Agostino (avv. 
Inganci) c. Ferrovie dello Stato (avv. Stato Gentile). 

Trasporto -Trasporto di persone sulle ferrovie dello Stato -Danni 

al via~~iatore -Responsabilit� -Anormalit� del servizio ferro


viario -Concetto. 

(Condizioni e tariffe per il trasporto di persone sulle F.S. approvate con d.1. 
11 ottobre 1934, n. 1948, art. 11, par. 4�; r.d.1. 31 gennaio 1873, n. 1687, art. 2). 


Il concetto di anormalitd del servizio ferroviario, da cui discende 
la responsabilitd dell'Amm.ne delle Ferrovie dello Stato per i danni 
alla persona del viaggiatore, le quante volte vi sia un nesso eziologico 
tra danno ed anormalitd e quest'ultima non sia cagionata da fortuito 
o -da causa estranea all'Amministrazione, si identifica in una deviazione 
all'ordinato' e regolare svolgimento del servizio stesso ricollegabile ad 
un fatto concernente, nella sua obbiettivitd lo stato del materiale o il 
funzionamento dei mezzi ovvero l'attivitd del personale in contrasto 
con norme regolamentari o di comune prudenza (1). 

(Omissis). -Dispone l'art. 11, ricordato dal ricorrente, delle Con


dizioni e tariffe per i trasporti delle persone ne�le ferrovie che, se il 

viaggiatore subisca un danno nella persona in conseguenza di anorma


lit� verificatesi nell'esercizio ferroviario, l'Amministrazione ne risponde, 

a meno che provi che l'anormalit� � avvenuta per caso fortuito o forza 

maggiore. 

Discende da tale norma il principio, sul quale la giurisprudenza 

di questa Corte � consolidata, che I'Amministrazione ferroviaria ri


sponde dei danni alla persona del viaggiatore, qualora questi dimostri 

(1) Il princLpio enunciato in sentenza � conforme ad una giurisprudenza 
che rpu� considerarsi ormai pacifica. Cfr. Cass. 22 maggio 1959, numero 
1549; 13 maggio 1964, n. 1145, in questa Rassegna, 1964, I, 718: 18 
maggio 1966, n. 1279; 18 ottobre 1966, n. 2503, ivi, 1961, I, 67. 
Nelle singole fattispecie tuttavia non sempre risulta rettamente appli


cato e bene spesso si pongono a carico dell'Amministrazione anche le con


seguenze di mere accidentalit� del trasporto, che non attengono a devia


zioni dal regolare svolgimento di esso ma discendono piuttosto da~la na


tura stessa del complesso servizio, in cui � insita una obbiettiva perico


losit�, in vista della quale � fatto appunto specifico obbligo al viaggiatore 

(art. 2 lett. b delle Condizioni e Tariffe) di adoperare tutte le necessarie 

precauzioni ed a vigilare alla sicurezza ed incolumit� della sua persona. 

Di contro, nello stabilire il fondamento ed i limiti della colpa dell'Amministrazione, 
nel suo peculiare aspetto di anormalit� dell'esercizio 
ferroviario, non pu� prescindersi dal considerare che costituendo l'attivit� 


mm1ii1111\!!!illi!!'ll!"~!:1:11�r::�!:;:~::~~1'~~~ 


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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 839 

l'anormalit� del servizio ed il nesso di causalit� tra detta anormalit� 
e l'evento dannoso; in conseguenza di che diviene operativa la presunzione 
di colpa stabilita a carico dell'azienda vettrice, la quale, per 
liberarsene, deve provare che l'anormalit� sia dipesa da fortuito o da 
colpa esclusiva �del danneggiato o di un terzo, o che comunque non 
possa esserle imputata. 

Giova anche ricordare che il concetto di anormalit� del servizio 
si concreta in un fatto costituente una deviazione rispetto all'ordinato 
e regolare svolgimento del servizio stesso; e tale fatto, pur essendo 
ricollegabile a cause varie, quali lo stato del materiale, il funzionamento 
dei mezzi adoperati e l'attivit� del personale addetto, contraria 
alle norme regolamentari o alle regole di comune prudenza, ai fini 
dell'applicazione della norma sopra citata, deve essere considerato 
unicamente nella sua obiettivit�. 

I predetti principi risultano nella specie esattamente osservati, e 
il ricorrente non pu� certo dolersi in questa sede se il giudice del 
merito, raffrontando alla stregua di essi la fattispecie concreta di danno 
con la fattispecie legale della responsabilit� del vettore ferroviario, 
ha escluso la presenza nella materialit� dei fatti accertati, di quella 
anormalit� del servizio che costituisce, come dianzi si � ricordato, 
l'elemento caratterizzante della responsabilit� delle Ferrovie. Codesto 
accertamento, essendo il concreto risultato della valutazione delle prove, 
sulla quale il giudice ha adeguatamente motivato~ con piena osservanza 
delle regole della logica e del diritto, si sottrae al sindacato di 
legittimit�, che a questa Suprema Corte � riservato. 

Esclusa, secondo quanto li giudice del merito ha stabilito, la esistenza, 
come anormalit� del servizio, del fatto che il danneggiato 
imputava alle Ferrovie, senza per� darne dimostrazione, di essersi cio� 
il treno �rimesso improvvisamente in movimento, con le porte aperte, 
dopo che gi� si era fermato, il ricorrente non pu� neppure fondata-

dei trasporti l'adempimento di un pubblico servizio, la condotta delle Ferrovie 
� informata a criteri obbiettivi, come risultano da leggi, regolamenti, 
ordini di servizio, istruzioni ecc., mediante i quali essa viene disciplinata 
in vista del generale interesse che impone, nell'ambito dei mezzi a disposizione, 
che i trasporti a mezzo ferroviario siano assicurati, con la maggiore 
estensione consentita, attraverso una discrezionale valutazione delle mutevoli 
esigenze. 

Del pari sotto il profilo dell'art. 2 del regolamento di polizia e sicurezza 
di cui al r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687, che contiene uno specifico richiamo 
al pi� generale principio del neminem laedere, la anormalit� del servizio, 
come violazione delle cautele suggerite dalla scienza e della pratica, postula 
che sia identificata la specifica imprudenza o negligenza nella condotta 
dell'Amministrazione, da vagliarsi in presenza del dovere istituzionale 
di assicurare l'espletamento del servizio. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente sostenere che ad escludere l'anormalit� del servizio abbia influito 
nella specie la mancata osservanza da parte del giudice delle istruzioni 
impartite dalla stessa Amministrazione per il servizio del personale 
di scorta ai treni. 

In particolare, il ricorrente lamenta che il giudice non abbia riconosciuto 
alle dette istruzioni valore di norme giuridiche, e che comunque 
non abbia egli motivato nell'affermare che esse non avevano alcuna 
rilevanza ai fini della questione controversa. 

La doglianza, anche in questo suo specifico contenuto, non pu� 
essere accolta. 

Se � vero, infatti, che nel negare valore alle dette norme interne, 
che sono espressione del potere regolamentare di autorganizzazione 
spettante alla Amministrazione, il giudice ne abbia indiscriminatamente 
escluso la efficacia -ed omesso quindi di considerare che quanto meno 
esse valevano come norme giuridiche nei confronti del personale cui 
erano dirette, e che pur avrebbero potuto� essere utilizzate ai fini di 
qualificare le inosservanze di esse nelle quali il personale fosse incorso 
-, � per� certo che egli ha esattamente deciso per la parte nella 
quale ha escluso che esse costituissero fonte di diritti subiettivi per 
il viaggiatore, mentre ha del pari rettamente giustificato il rilievo che 
esse non avevano importanza ai fini del decidere, quando, con motivazione 
che a torto il ricorrente lamenta come inadeguata, si � richiamato 
alla mancata prova, da parte del ricorrente, della circostanza, 
che sola avrebbe potuto condurre alla questione, della improvvisa 
ripresa del movimento del treno, dopo la fermata. 

Pertanto, pur dovendosi riconoscere che le dette istruziol}.i derivano 
la propria ragion di essere dalla norma generale dettata dall'art. 2 
del regolamento approvato con r.d. 31 ottobre 1873, n. 1687, la quale stabilendo 
che nell'esercizio delle ferrovie si debbono prendere tutte 
le misure ed usare tutte le cautele suggerite dalla scienza e dalla 
pratica per prevenire ed evitare qualunque sinistro -fissa un limite 
al potere discrezionale dell'Amministrazione ferroviaria, e cosi le impone, 
in applicazione del pi� generale principio del neminem laedere, 
di uniformarsi nell'esercizio delle linee ferrate alla comune prudenza, 
al fine di evitare danni alla persona del viaggiatore, -� per� certo 
che, nella specie, degli effetti che da codeste J!Orme potevano discendere, 
non era a farsi questione, dal momento che non si era verificato 
il prsupposto di fatto che, in relazione alle ragioni addotte dal viaggiatore 
infortunato, ne avrebbe giustificato l'applicazione. 

Pu� anzi soggiungersi che, dovendosi, secondo l'incensurabile accer


tamento del giudice del merito, l'evento attribuire unicamente all'im


prudenza del viaggiatore, che distrattamente e con errato movimento, 

scese dal treno non ancora fermo, vale in favore dell'Amministrazione 

la norma che ne tutela la irresponsabilit� per i casi in cui il viaggia



PARTE I, SEZ. Il!, GIURISPRUDENZA CIVILE 841 

tore, omettendo di vigilare, per quanto da lui dipende, alla sicurezza 
ed incolumit� della sua persona, salga o scenda dalla vettura, o ne 
apra le porte, quando il treno � in moto (d.d. 13 dicembre 1956, 

n. 2171; 7 dicembre 1929, n. 1366; 31 ottobre 1873, n. 1687). -(Omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, ~ez. III, 27 agosto 1969, n. 3049 -Pres. De 
Santis -Est. Russo -P. M. Gentile (conf.) -Cositore (avv. Tirelli) 

c. Ministero Difesa-Esercito (avv. Stato Gargiulo). 
Responsabilit� civile -Fatto costituente reato -Poteri del giudice civile 
-Risarcimento danni -Prescrizione -Amnistia. -Decorren~a. 
(e.e., art. 2947, comma 3�). 

Rientra nei poteri del giudice civile, al fine di determinare il termine 
di prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante 
da fatto illecito, di dichiarare se questo � in astratto � costituisca reato 
nonch� di individuarne le eventuali cause estintive, attesa la logica 
correlazione tra i due accertamenti. 

Pertanto, nell'ipotesi di reato amnistiabile, il termine di prescrizione 
di tale diritto decorre dalla data di entrata in vigore del decreto 
di amnistia e non da quella del provvedimento giudiziario, che ha natura 
ed efficacia di accertamento con effetti ex tunc (1). 

(1) Il princ1p10 affermato � conforme ad una giurisprudenza ormai 
costante, per la quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno 
da reato estinto per amnistia, o per altra causa diversa dalla prescrizione 
penale, decorre dalla data di estinzione del reato e non da quella della 
declaratoria giudiziale; da ultimo cfr. Cass., 10 ottobre 1967, n. 2373. 
Tale principio non trova invece applicazione allorch� vi sia stata costituzione 
di parte civile, alla quale si riconosce efficacia di atto con cui 
ha inizio un giudizio di cognizione, perocch� in tal caso 'l'efficacia interruttiva 
dell'atto di costituzione di p.c. permane fino al passaggio in giudicato 
della sentenza, a norma degli artt. 2943, 2945 e.e.; cfr. Oass., 10 giugno 
1968, n. 1829; 29 luglio 19tl5, n. 2401; contra tuttavia Cass., 21 ottobre 1954, 

n. 3979. 
Per la pi� specifica ipotesi in cui, successivamente alla costituzione 
di p.c., il procedimento penale sia definito mediante decreto, cfr. Cass., 
6 agosto 1965, n. 1880, Foro it., 1966, I, 310. 

Per l'altra, relativa a reato perseguibile a querela di parte, cfr. Cass., 
8 novembre 1965, n. 2329 con nota di MAND�, in questa Rassegna, 1966, I, 89. 

Ove il reato sia dichiarato estinto per amni,stia a seguito di modifica 
di rubrica, il decorso della pre,scrizione ha inizio dalla data della sentenza 
irrevocabile in quanto, in tal caso, la estinzione trova la sua ragione e la 
sua base nena sentenza, .che ha ricondotto il reato nell'ambito del beneficio 
di clemenza. Cfr. Cass., 10 ottobre 1967, n. 2373, Giust. civ., 1968, I, 902; 
Cass., 16 maggio 1958, n. 1586. 



842 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso il Cositore, denunzlando 
Ja violazione degli artt. 2947, secondo comma, 2697, e.e. e 115 
c.p.c., deduce che non essendo stata mai iniziata azione penale nei 
confronti del responsabile delle lesioni e non essendo stato mai pronunziato 
provvedimento di estinzione del reato per amnistia, doveva 
applicarsi, nella specie, non la prescrizione biennale, ma quella quinquennale 
prevista per il reato di lesioni colpose, e che, in ogni caso, 
quando per l'accertamento dell'estinzione del reato, al giudice penale 
si sostituisce il giudice civile, questo deve conoscere del rapporto processuale 
penale in tutta la sua totalit� e quindi deve anche indagare 
di ufficio sull'applicabilit� o meno in concreto dell'amnistia. 

Il motivo � infondato. 

La sentenza impugnata, dopo avere affermato che il fatto illecito 
posto a base della responsabilit� dell'amministrazione convenuta integrava 
gli estremi del reato di lesioni colpose previsto dall'art. 590 
c.p., per il quale era applicabile, ai sensi dell'art. 157 stesso codice, la 
prescrizione invocata dall'attore di cinque anni, rilevava che successivamente 
al fatto era intervenuto il decreto 5 aprile 1944, n. 96, col 
quale era stata concessa una amnistia che comprendeva il reato in 
discussione e che, in conseguenza, estintosi il reato, la prescrizione 
applicabile al diritto al risarcimento era quella biennale, ai sensi del 
combinato disposto del secondo e terzo comma dell'art. 2947 e.e., decorrente 
dalla data del provvedimento di clemenza, anche se l'estinzione 
del reato non era stata pronunziata dal giudice penale per non essere 
mai stata iniziata la relativa azione, ma era stata accertata dal giudice 
civile nel giudizio di risarcimento del danno. Aggiungeva che la detta 
prescrizione, nella specie, era largamente trascorsa, e che in ogni caso 
incombeva al Cositore di fornire la prova di un fatto impeditivo, in 
virt� del quale la normale esplicazione dell'atto, normalmente idoneo 
a produrre l'estinzione del reato, non si fosse verificata nel caso 

concreto. 

Orbene, cosi giudicando, la Corte di merito ha esattamente appli


cato il principio costantemente affermato da questo S.C. (da ultimo 

Cass. 27 maggio 1964, n. 1302), secondo il quale, ove il fatto illecito 

generatore del danno sia considerato dalla legge come reato, la pre


scrizione del diritto al risarcimento decorre, in caso di estinzione del 

reato per amnistia, dal giorno di entrata in vigore del decreto con il 

quale l'amnistia � stata concessa e non dal provvedimento giudiziario 

di applicazione del beneficio, e ci� anche quando, alla data di pubbli


cazione del decreto di concessione dell'amnistia, l'azione penale non 

sia stata iniziata. Infatti, la sussistenza del provvedimento di applica


zione dell'amnistia non ha alcuna influenza sull'estinzione del reato, 

perch� questa consegue unicamente ed immediatamente dalla causa 

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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 843 

estintiva (art. 183 c.p.) ed il provvedimento del giudke ha natura ed 
efficacia di accertamento con effetti ex tunc. 

N� � esatt'o l'assunto del ricorrente che il giudice civile, per accertare 
l'estinzione del reato per amnistia, debba esaminare di ufficio se 
ricorrano le condizioni subbietive richieste dalla legge affinch� la causa 
estintiva operi in concreto, perch�, come � stato gi� ritenuto (Cass. 
12 febbraio 1960, n. 219), se il giudice civile, al fine specifico della 
determinazione del termine di prescrizione ai sensi dell'art. 2947 e.e., 
pu� dichiarare che il fatto generatore del danno costituisce � in astratto 
> reato, � evidente che deve adeguarsi al medesimo criterio nell'individu�zione 
ed applicazione delle cause estintive del reato, attesa la 
correlazione logica dei due accertamenti, senza richiedere la prova 
concreta dell'applicazione del beneficio, ove l'estinzione siasi verificata 
per intervenuta amnistia. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 ottobre 1969, n. 3211 -Pres. Stella 
Richter -Est. Geri -P. M. Pascalini (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Savarese) c. Societ� Industrie Vernici Italiane 
(avv.ti Biamonti e De Dominicis). 

Costituzione della Repubblica -Decreto legge 23 ottobre 1964, n. 989 

sulla disciplina fiscale dei prodotti petroliferi -Conversione 


Emendamenti abrogativi -Efficacia ex tunc. 

(Cost., art. 77; l. 18 dicembre 1964, n. 1350). 

GZi emendamenti abrogativi contenuti nella legge di conversione 
hanno, al pari del rifiuto di conversione in legge del provvedimento 
governativo, efficacia retroattiva alla data di emanazione del decreto 
legge, onde non � dovuta l'imposta di fabbricazione sulle miscele di 
idrocarburi stabilita dalla disposizione di cui all'art. 1, comma terzo, 
lett. e) del d.Z. 23 ottobre 1964, n. 989, soppressa in sede di conversione 
dalla legge 16 dicembre 1964, n. 1350 (1). 

(Omissis). -L'Amministrazione finanziaria ricorrente sostiene, 
nel primo mezzo, che mentre la mancata conversione � in toto > del decreto 
legge ha affetto � ex tunc � quella relativa -ad una singola dispo


(1) Questione di indubbia rilevanza, la cui soluzione � fonte di notevoli 
contrasti in dottrina e giuri.sprudenza. 
In senso contrario alla sentenza che si annota cfr. Appello Venezia, 
28 marzo 1969, Finanze c. Soc. Vetrocoke, retro, I, 256. 
In dottrina cfr. CRISAFULLI, In tema di legge di conversione, in Foro 
it., 1942, III, 5; ESPOSITO, Emendamenti ai decreti legge, Giur. cost., 1956, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

s1z10ne, la quale ne risulti quindi soppressa, ha efficacia � ex nunc �. 
Ne conseguirebbe, con specifico riferimento alla fattispecie, che il 
tributo riscosso � medio tempore � sarebbe stato regolarmente percepito 
e non potrebbe quindi essere rimborsato al contribuente. 

La .ragione di ci� dovrebbe essere ricercata nel concetto che 
soltanto l'integrale rifiuto di conversione comporterebbe la perdita di 
efficacia fin dall'origine dell'atto non convertito, in quanto l'introduzione 
di emendamento modificativi . o soppressivi sarebbe ricollegabile 
con la volont� di conversione dell'atto, comportando l'operativit� della 
norma modificativa o abrogativa soltanto dalla entrata in vigore della 
legge di conversione cio� � ex nunc �. 

Il mezzo � destituito di fondamento. 

Sebbene l'Amministrazione ricorrente riconosca che il rifiuto di 
conversione in toto del decreto ha efficacia retroattiva, travolgente 
l'atto fin dall'origine, � il caso di individuarne l'intima ragione giustificativa, 
dalla quale si possa poi trarre validi argomenti sul problema 
specifico che si agita in causa, quello cio� relativo al momento di operativit� 
degli emendamenti soppressivi. 

L'art. 77 della Costituzione � stato formulato pur dopo una sua 
travagliata gestazione, in manifesta antitesi al precedente sistema incardinato 
sul r.d. 3 gennaio 1926, n. 100, che, attribuendo al Governo 
il potere di emanare norme giuridic;he aventi forza di legge, conferiva 
alla mancata conversione integrale o parziale del d.l. effetti ex mmc. 

Non avrebbe potuto essere altrimenti, nel soppresso sistema, nel 
quale l'atto del governo si formava fin dall'origine, come un provvedimento 
legislativo fornito d'efficacia normativa al pari delle leggi emanate 
dal Parlamento. Conferire, in detto sistema, al rifiuto di conversione 
efficacia abrogativa ex tunc sarebbe apparso intimamente con


189; VIRGA, Diritto costituzionale, 1961; PALADIN, Fatti e questioni relativi 
alla conversione di decreti-legge, Giur. cost., 1960. 

Al riguardo vale ricordare che se il progetto della Commissione dei 75 
taceva del tutto dei decreti-legge, l'Assemblea ritenne invece che la Costituzione 
non potesse ignorarli in quanto, in casi straordtnari ed eccezionali, 
ben potevano rispondere ad una inderogabile necessit�. 

Sicch� accolti nel nostro sistema Costituzionale, che ne detta una compiuta 
disciplina �con l'art. 77, sembrerebbe logico doversene inferire, ove 
i presupposti della necessit� ed urgenza per una tale straordinaria assunzione 
di potest� .legislativa da parte del Governo siano stati riconosciuti 
sussistenti dal Parlamento, la piena �efficacia legislativa delle disposizioni 
adottate dal momento della emanazione del provvedimento a quello della 
decisione delle Camere. 

Cfr. altres� CERETI, Diritto costituzionale, 1966, 510. 
Sulla nozione di necessit�, come fonte autonoma di diritto cfr. MoRTATI, 
Ist. di diritto pubblico, 1967, voi. I, 279; voi. II, 591 e segg. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 845 

traddittorio, una volta riconosciuta una pari dignit� legislativa alle 
leggi ed al decreto-legge. 

La Costituzione vigente, pur ammettendo che in casi straordinari 
di necessit� e di urgenza il Governo �possa adottare� (non gi� � emanare 
�) sotto la sua responsabilit�, provvedimenti provvisori con forza 
di legge, ha chiaramente negato all'esecutivo ogni potere legiferante, 
rigorosamente riservandolo alle due camere quale loro tipica ed insostituibile 
funzione. 

Ecco perch� detti provvedimenti sono qualificati come provvisori, 
del tutto subordinati alla volont� degli organi legislativi. 

La provvisoriet� implica un concetto di ripristino della situazione 
quo ante, se l'atto non venga convertito, cio� se il �provvisorio � non 
si trasformi, mediante il suo assorbimento nella legge di conversione, 
in definitivo. 

La diversa disciplina appena illustrata dell'uno e dell'altro sistema 

I 
investe ovviamente sia l'atto, inteso nella sua unitariet�, sia il suo 
contenuto, cosicch� mentre il decreto -legge secondo il precedente 

I 
ordinamento, aveva nel suo insieme ed in ogni singola sua disposizione 
un valore normativo tendenzialmente permanente e stabile, mal


I 

Ii 

grado la sua subordinazione alla conversione parlamentare, appunto 
perch� nasceva come legge originariamente perfetta, lo stesso invece, 
nell'ordinamento vigente, ha carattere provvisorio e precario, non ha 
la dignit� di una fonte normativa, ed acquista valore giuridico nel suo 
insieme ed in ogni sua particolare disposizione soltanto se venga convertito, 
perch� soltanto la conversione � idonea a conferirgli la dignit� 
ed il valore di un atto legislativo. 

Nel primo sistema il Governo era investito del potere di emanare 
norme giuridiche, nel secondo invece ne � del tutto privo, nel primo per 
conseguenza il decreto corrisponde ad una legge, nel secondo invece ad 
un provvedimento di fatto originariamente viziato, finch� non sia stato 
legittixnato dall'organo investito del potere legislativo mediante la 
legge di conversione. 

Queste generali considerazioni, rigorosamente� aderenti alla mens 
costituzionale secondo l'esegesi storica e letterale della norma (art. 77 
della Costituzione), consentono di cogliere l'inconsistenza del rilievo, 
peraltro assai acuto dell'Amministrazione, secondo cui l'emendamento 
soppressivo, essendo pur sempre ricollegabile alla volont� di conversione 
da parte del legislatore, dovrebbe necessariamente avere un effetto 
ex nunc postoch� il decreto nel suo insieme sopravvive in virt� 
della legge di conversione. 

Se, al contrario, si consideri che l'atto, in ogni sua norma, nasce 
provvisorio, precario e viziato, finch� il potere legislativo non Io faccia 
in tutto in parte proprio, conferendogli carattere di legalit� retroattivamente 
cio� fin dall'origine mediante una specie di sanatoria e quindi 

6 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

trasformandolo in atto validamente normativo, consegue che le parti 
non convertite restano invalide fin dalla prima adozione dell'atto stesso, 
non avendo potuto conseguire il crisma della legittimit�. Diversa era 
invece la situazione secondo il precedente ordinamento, appunto perch�, 
come gi� si � detto, il decreto nella sua interezza e quindi ogni sua 
disposizione, singolarmente considerata, aveva di fatto e di diritto 
indole legislativa, che restava ferma finch� in sede di conversione non 
fosse intervenuto un emendamento abrogativo. 

Data la diversa natura del provvedimento, nei due ordinamenti, 
e quindi di ogni singola sua disposizione, l'emendamento abrogativo non 
pu� non avere, nei riguardi della disposizione medesima che lo stesso 
effetto proprio del totale rifiuto di converione nei riguardi del decreto 
complessivamente ed unitariamnte considerato. 

E come prima la conversione o la mancata conversione totale o 
parziale avevano sempre effetto ex nunc cosi ora le stesse hanno effetto 
ex tunc non consentendo la nascita, sul piano legislativo costituzionale, 
di una norma giuridica. 

Peraltro nessuna ragione logica consente una valida distinzione fra 
mancata conversione in toto del provvedimento, e mancata conversione 
di una qualche sua parte, postoch� le disposizioni non convertite, 
sia nell'un caso che nell'altro, si trovano su una base di assoluta parit� 
quanto al loro provvisorio valore originario. 

Anzi da tale punto di vista questo primo motivo del ricorso si 
rivela intimamente contraddittorio, ammettendo da un lato l'efficacia 
ex tunc del rifiuto integrale di conversione e negandola al rifiuto 
parziale che pure sono concettualmente e qualitativamente identici, 
anche se quantitativamente diversi. 

Si pu� dunque concludere che l'emendamento soppressivo di un 
decreto -il quale ai sensi dell'art. 77 della Costituzione non � e legge � 
in senso tecnico finch� non venga convertito appunto perch� adottato 
da un organo del tutto privo del potere iegislativo -toglie alle disposizioni 
soppresse ogni ragione di sussistenza fin dall'origine, non avendo 
le stesse acquistato quel crisma di legalit� suscettibile di conferire loro 
valore di legge. 

Una indiretta, ma significativa conferma di questa opinione, proviene 
proprio dall'ultima parte del terzo comma dell'art. 77 della Costituzione, 
dove � previsto che le Camere hanno il potere di regolare 
con leggi i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. 

Poich� ben possono sorgere rapporti giuridici anche in base a 
singole disposizioni non convertite di un decreto-legge nel resto convertito, 
� ovvio che pure in detta ipotesi le Camere abbiano il potere di 
regolare, in modo autonomo, detti rapporti. Ci� per� denunzia l'inidoneit� 
medio tempore, delle disposizioni non convertite a disciplinare 
i rapporti stessi. Il che non, dovrebbe in linea di massima e di norma



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 847 

lit�, verificarsi, se il decreto, provenendo da un organo munito di 
potere legislativo, avesse carattere (e non solo forza) di legge fin 
dall'origine. 

Nel secondo mezzo si censura, in via subordinata, la denunziata 
sentenza per aver escluso che il legislatore, in sede di conversione, 
siasi avvalso della possibilit� di regolare i rapporti sorti sulla base 
della parte non convertita del decreto. In altri termini la Corte di 
merito avrebbe dovuto ritenere che la mancata soppressione degli 
art. 7 ed 8 del decreto, i quali contenevano disposizioni regolamentari 
procedurali ed accertative esclusivamente riguardanti il tributo soppresso, 
non costituiva una svista del legislatore, ma realizzava la 
disciplina intertemporale dei rapporti di cui sopra, implicando anche 
in base al senso dei lavori preparatori, l'efficacia -medio tempore della 
norma non convertita. 

Anche questo motivo, che pure trova appiglio nei lavori parlamentari, 
� destituito di fondamento. 

Gli artt. 7 ed 8 del d.1. 23 ottobre 1964, n. 989 stabilivano l'obbligo 
di denunzia entro certi termini da parte dei detentori del prodotto, 
che alla lett. e del III comma dell'art. 1 era stato assoggettato 
al tributo soppresso in sede di conversione, e prevedevano quindi una 
pena _pecuniaria a carico degli inadempienti. Al momento della conversione, 
che era stata negata per il tributo di cui alla predetta lett. e), 
venne proposto anche il rifiuto di conversione o la soppressione di 
detti articoli ma il rappresentante del governo vi si oppose, considerando 
che la norma non convertita fosse rimasta valida medio tempore, 
e quindi le disposizioni da sopprimere conservassero una loro utile 
funzione. In base a queste osservazioni l'emendamento fu ritirato e 
gli artt. 7 ed 8 del decreto risultarono quindi convertiti, pur non 
essendo stata convertita l'espressa previsione del tributo (lett. e, III 
comma, art. 1). Tutto ci�, secondo l'Amministrazione ricorrente, starebbe 
a dimostrare la sopravvivenza intertemporale della norma soppressa 
per espressa volont� del legislatore. 

In contrario si osserva invece che l'esercizio da parte delle Camere, 
del potere di regolare i rapporti sorti in base alla disposizione non 
convertita, si da poterne ritenere -medio tempore -la sopravvivenza, 
deve essere esplicito e non opinabile e dar vita a positive e 
precise norme regolatrici, dalle quali la volont� legislativa circa l'efficacia 
intertemporale della norma non convertita risulti chiara e non 
equivoca. Non gi� che essa possa desumersi indirettamente dalla mancata 
soppressione di norme divenute superflue. 

Ci� postulano la ratio e la stessa lettera della norma costituzionale 

(ultima parte del III comma dell'art. 77) e soprattutto l'esigenza logica 

di una autonoma disciplina di rapporti ormai rimasti privi di ogni 

particolare e specifica loro regolamentazione. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

848 

Per quanto riguarda i lavori parlamentari, si deve osservare che 
la sopravvivenza degli artt. 7 ed 8 del d.l. meramente strumentali 
rispetto al tributo soppresso, non pu� essere interpretata in senso 
anticostituzionale. 

E tale sicuramente sarebbe quello di conferire, senza altre precisazioni 
l~gislative, efficacia ex nunc ad un emendamento meramente 
soppressivo. Ci� in base alle considerazioni gi� illustrate a proposito 
del primo motivo del ricorso. 

Non essendo dunque certamente valida la personale manifestazione 
di volont� di taluni rappresentanti del potere legislativo di mantenere 
in vigore gli artt. 7 ed 8 del d.l. in contrario manifesto con gli 
effetti retroattivi della mancata conversione parziale del decreto stesso, 
secondo il dettao costituzionale, anche questo secondo mezzo deve 
essere rigettato. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 ottobre 1969, n. 3452 -Pres. Rossano 
-Est. Alibrandi -P. M. Pedace (conf.) -Assessorato LL.PP. 
della Regione Siciliana (avv. Stato Gargiulo) c. Comune di Messina 
(avv. Silvestri) e D'Andrea (avv. Nicol�). 

Procedimento civile -Legitimatio ad causam -Nozione -Titolarit� 
del rapporto dedotto in giudizio -Questione attinente a~ merito 
della controversia -Deducibilit� in Cassazione -Limiti. 
(c.p.c., artt. 81, 99, 100). 

Espropriazione per p. u. -Legge regionale siciliana 21 aprile 1953, 

n. 30 -Indennit� di esproprio -Criteri di determinazione -Deroga 
al principio generale di riferimento al giusto prezzo dell'immobile 
alla data del decreto di esproprio -Non sussiste. 
(1. reg. sic. 21 aprile 1953, n. 30, artt. 10, 26, 29; L. 25 giugno 1865, n. 2359, 
artt. 39, 49). 
Espropriazione per p. u. -Occupazione preventiva -Delegazione amministrativa 
intersoggettiva -Concetto -Ente delegato -Legittimazione 
passiva. 

Epropriazione per p. u. -Indennit� di esproprio -Liquidazione -Conclusioni 
del consulente tecnico di Ufficio -Poteri del giudice di 
merito -Valutazione -Difformit� -Incensurabilit� -Limiti. 
(c.p.c., artt. 116, 195). 

La legittimatio ad causam, rilevabile di ufficio in ogni stato e 
grado del �processo, si risolve nella titolarit� del potere-dovere (rispettivamente 
per la legittimazione attiva e passiva) di promuovere o di 
subire il giudizio concernente il rapporto giuridico sostanziale dedotto 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 849 

e si distingue dalla effettiva titolarit� del diritto controverso, che, 
costituendo una questione di merito, non pu� formare oggetto di esame 
in Cassazione ove non sia stata formulata specifica impugnativa in 
appello (1). 

La determinazione dell'indennit� di espropriazione in base alla 
disciplina della legge regionale siciliana 21 aprile 1953, n. 30 non 
deroga al criterio generale stabilito dalla legge 25 giugno 1865, n. 2359 
sull'espropriazione per p.u. e pertanto la relativa liquidazione va ragguagliata, 
sulla base del valore venale dell'immobile alla data di approvazione 
del progetto e senza tener conto degli incrementi di valore 
specificati dalla legge, al giusto prezzo del medesimo alla data del 
decreto di esproprio (2). 

La delegazione amministrativa intersoggettiva costituisce un pecu.
liare istituto di diritto pubblico per il quale l'Ente delegante, competente 
in via primaria a provvedere su di una determinata materia, 
conferisce in via autoritativa ed unilaterale all'Ente delegato una competenza 
de1�ivata in ordine alla medesima materia. 

In conseguenza, nei limiti della d�legazione quest'ultimo resta -investito 
del relativo potere a provvedere ed � pertanto direttamente 
responsabile nei confronti dei terzi per i relativi atti di esecuzione, a 
prescindere dall'eventuale ripercussione dei medesimi nella sfera, giuridica 
del delegante, cui sono riservate funzioni di controllo. (Fattispecie 
in tema di legittimazione passiva dell'ente delegato, nel giudizio concernente 
le obbligazioni derivanti dalla effettuata occupazione preventiva 
dell'immobile da espropriare nell'interesse del delegante (3). 

Rientra nei poteri del giudice di merito, d�ndo ragione delle fonti 

del suo convincimento, di discostarsi dalle conclusioni del consulente 

tecnico di ufficio, e la relativa pronuncia in ordine alla misura del


(1) Sulla nozione di legittimazione ad agire, distinta dalla titolarit� 
del rapporto sostanziale dedotto in giudizio cfr. Sez. Un., 29 ottobre 1968, 
n. 3607 in questa Rassegna, 1968, I, 974; Cass., 11 aprile 1968, n. 1171 e 
25 gennaio 1968, n. 233, in Foro it., 1968, I, 2950 con nota di richiami e 
riferimento di V. ANDRIOLI. 
In dottrina, �Cfr. altres� SATTA, Variazioni sulla legittimazione ad causam, 
Riv. trim. dir. e proc. civ., 1967, 638; GARBAGNATI, In tema di legittimazione 
ad agire, nota a Cass., 5 aprile 1966, n. 896, in Foro pad., 1966, 
I, 643. 

(2) Giurisprudenza pacifica, da ultimo cfr. Cass., 8 novembre 1968, 
n. 3702, in questa Rassegna, 1968, I, 986, con nota di richiami. 
(3) Cfr. Cass., 25 marzo 1966, n. 807, Foro it., 1966, I, 1906, con nota 
di riferimenti. 
In tema di delegazione amministrativa e sul problema della imputazione 
giuridica degli effetti dell'attivit� compiuta dal delegato cfr. altres� 
Cass., 31 gennaio 1968, n. 313, in �questa Rassegna 1968, I, 419 con nota di 
richiami. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

850 

L'indennit� di esproprio � incensurabiie in Cassazione �ve ia Liquidazione 
sia conforme a Legge e sorretta da motivazione immune da vizi 
logici (4). 

(Omissis). -Con il primo motivo del ricorso principale, l'Assessorato 
ai lavori pubblici della R~gione siciliana denuncia la violazione 
della legge reg. sic. 21 aprile 1953, n. 30, in relazione all'art. 360, 
nn. 3 e 5 c.p.c., per avere la Corte d'appello condannato l'Assessorato 
al pagamento della differenza dell'indennit� di espropriazione giudizialmente 
liquidata, nonch� all'indennit� di occupazione legittima ed 
illegittima, mentre obbligato a questi pagamenti � il Comune di Messina 
che aveva proceduto �all'occupazione dell'immobile e al quale era 
destinata l'opera pubblica. Sostiene, che legittimato passivamente rispetto 
alle domande dei D'Andrea � soltanto il Comun.e di Messina, 
onde � incorsa in errore la Corte del merito la quale, nel pronunciare 
la condanna di cui sopra, ha esteso la legittimazione passiva ad esso 
ricorrente. 

La censura � inammissibile. 

Invero, � da considerare preliminarmente che il Tribunale di Messina, 
disattesa l'eccezione di difetto di legittimazione passiva, aveva 
condannato l'Assessorato, ente espropriante, al pagamento delle indennit� 
di espropriazione e pose solidalmente a carico dell'Assessorato e 
del Comune di Messina il pagamento delle indennit� relative all'occupazione 
temporanea. Contro tale statuizione l'Assessorato, con l'appello 
incidentale, impugn� la determinazione della misura dell'indennit� di 
espropriazione, di cui chiedeva una congrua riduzione, senza muovere 
alcuna doglianza in ordine alla ritenuta legittimazione passiva dell'Assessorato 
rispetto alle domande dei D'Andrea. 

Ora, poich� l'eccezione in� proposit� sollevata deve intendersi rinunziata 
da parte dell'Assessorato, non essendo stata riproposta espressamente 
in grado �di appello (art. 346 c.p.c.), essa non pu� formare oggetto 
di censura in questo giudizio di cassazione, secondo un principio pi� 
volte affermato da questa Corte Suprema (cfr. da ultimo sent. 14 dicembre 
1968, n. 3982). 

La difesa del ricorrente principale, ha nella discussione orale, 

sostenuto che la censura non � tardiva perch� le questioni relative alla 

legittimazione ad causam sia attiva, sia passiva, possono essere rilevate, 

(4) Giurisprudenza pacifica. La valutazione da parte del giudice di 
merito delle risultanze della consulenza tecnica di Ufficio, non � suscettibile 
di sindacato in Cassazione, cfr. Cass., 27 luglio 1967, n. 1955, fermo 
tuttavia l'obbligo di motivare adeguatamente le ragioni del dissenso dalle 
risultanze della perizia di Ufficio; (cfr. Cass., 28 luglio 1967, n. 2008, Riv. 
dir. lav., 1968, II, 252), pur senz�a dover necessariamente confutarne tutte 
le argomentazioni, cfr. Cass., 21 febbraio 1968, n. 592. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 851 

anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo. Ma tale assunto non 
pu� essere condiviso, perch� muove da una non esatta nozione della 
legitimatio a� causam. Questa, secondo un indirizzo accolto della Corte 
Suprema di recente ribadito in decisione adottata a Sezioni Unite 
(sent. 29 ottobre 1968, n. 3607), costituisce una condizione dell'azione 
intesa questa come il diritto potestativo non ad ottenere una sentenza 
favorevole, bensi come il diritto ad ottenere dal giudice una qualsiasi 
decisione di merito, sia essa favorevole o contraria. Essa, cio�, si risolve 
nella titolarit� del potere o del dovere (rispettivamente, per la legittimazione 
attiva e per quella passiva) di promuovere o di subire un 
giudizio, diretto alla pronuncia di una sentenza dichiarativa, costitutiva 

o di condanna su un rapporto giuridico di diritto sostanziale dedotto 
ad oggetto di controversia, indipendentemente dalla sussistenza e dalla 
titolarit� effettiva, attiva o passiva, del rapporto stesso (c.d. legittimazione 
in concreto). 
Devono, pertanto, ritenersi questioni di legittimazione a� causam 
soltanto quelle attinenti alla sussistenza di tale potere o dovere, distinte 
in quanto tali dalle questioni circa� la reale titolarit�, attiva o 
passiva, del rapporto sostanziale che forma oggetto della controversia, 
vale a dire dalla questione che concerne l'identificazione dei soggetti 
attivi o passivi del rapporto contenzfoso. In altri termini, l'esistenza 
dell'azione, intesa come diritto potestativo ad ottenere una qualsiasi 
decisione di merito, trovasi su un piano diverso da quello del diritto 
dedotto in giudizio, diversit� che viene in luce anche sotto ii profilo 
della pertinenza del diritto stesso ad un determinato soggettq. 

Nel caso di specie, la questione sollevata dalla ricorrente in prime 
cure e non riproposta in grado di appello, non concerne il diritto ad 
ottenere una qualsiasi sentenza di merito nei confronti dell'Assessorato 
ma riguarda invece l'individuazione in concreto nel suo aspetto soggettivo 
del rapporto contenzioso dedotto in giudizio, se, cio�, l'Assessorato 
sia titolare, in senso passivo, dell'accennato. rapporto. E quindi, questione 
che esula dalla categoria concettuale della legittimazione a� 
causam ma di questione attinente alla titolarit� passiva del rapporto 
sostanziale dedotto in giudizio, questione che concorre a fermare il 
merito della controversia. ! 

Ora, come ha di recente pronunciato questa Corte Suprema, proprio 
in materia di espropriazione per pubblica utilit�, la questione rela


I 

tiva alla identificazione dei soggetti del rapporto sostanziale contro-i 

!

verso non costituisce questione di legittimit�, ma di merito, con la 
conseguenza che in ordine a tale questione ogni possibile riesame sul I 

i

giudizio di cassazione resta precluso quando non sia stata: dedotta specifica 
doglianza in appello (sent. 6 novembre 1967, n. 2687). 
Con il secondo motivo, il ricorrente principale denuncia viola


I 

zione e falsa applicazione degli artt. 

10 e 26 della legge reg. sic. 21 

I 

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1 

I 


852 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

aprile 1953, n. 30, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. per avere 
la Corte d'appello ritenuto che l'indennit� di espropriazione debba 
essere liquidata con riferimento al giusto prezzo che l'immobile aveva 
alla data del decreto di espropriazione (20 giugno 1959) mentre l'indennit� 
deve liquidarsi con riguardo al valore che l'immobile aveva 
alla data del decreto di approvazione del piano per la costruzione della 
zona industriale di Messina (30 giugno 1955) a norma degli artt. 10 
e 26 della legge reg. sic. n. 30 del 1953. 

Il motivo non � fondato. 

Questa Corte ha gi� avuto occasione pi� volte di affermare che 
la legge reg. sic. del 1953 soprarichiamata, non deroga al criterio fondamentale 
accolto, in tema di determinazione dell'indennit� di espropriazione 
della legge generale del 1865 (sent. 10 ottobre 1963, n. 2918; 
sent. 19 aprile 1966, n. 986 e sent. 3 marzo 1967, n. 492) e tuttora 
validi si ravvisano i motivi che presidiano il gi� affermato orientamento. 


Le disposizioni degli artt. 10, comma 2, e 26, comma 2, della legge 
reg. sic. n. 30 del 1953 sono del seguente tenore: art. 10 �Il prezzo 
di esproprio � calcolato in base al valore venale degli immobili da 
espropriare alla data del decreto di approvazione del progetto senza 
tener conto degli incrementi di valore attribuibili sia direttamente che 
indirettamente ai programmi di cui all'art. 3, alla previsione dei pro� 
getti e alla esecuzione delle opere �; il successivo art. 26: e Per le 
espropriazioni previste dai precedenti artt. 20 e 22 il prezzo di esproprio 
� calcolato in base alle norme di cui al secondo comma dell'art. 10 
della presente legge � (l'art. 22 concerne le espropriazioni per la realizzazione 
delle zone industriali e, quindi, attiene alla fattispecie). Il 
contenuto dell'art. 10 non giustifica l'interpretazione prospettata dalla 
ricorrente, perch� occorre considerare il significato delle espressioni 
in relazione con quelle proprie del principio generale di cui all'art. 39 
della legge fondamentale del 1865. L'art. 10 sopra riportato non ha 
affatto il significato sostenuto dal ricorrente, poich� l'espressione �valore 
venale degli immobili da espropriare alla data del decreto di 
approvazione del progetto senza tenere conto degli incrementi di valore 
attribuibili sia direttamente che indirettamente ai programmi di cui 
all'art. 3 alle previsioni dei progetti e alla esecuzione delle opere �, 
significa soltanto che a quella data deve valutarsi il valore venale 
dell'immobile, fatta astrazione da detti incrementi, ma non anche che 
alla data medesima deve calcolarsi l'indennit� di espropriazione. Il 
valore venale �; in tale espressione, considerato come base per calcolare 
l'indennit�, ma non come criterio legale di liquidazione. 

Che ci� sia esatto si desume dall'art. 42 della legge del 1865 il 
quale, nell'escludere dal calcolo della indennit� gli incrementi derivati 
dall'esecuzione dell'opera, del pari prevede la distinzione tra valore 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 853 

del bene e calcolo dell'indennit�. Esso stabilisce infatti che � l'aumento 
di valore che dall'esecuzione dell'opera di pubblica utilit� sarebbe 
derivato dalla parte del fondo compresa nella espropriazione, non pu� 
tenersi a calcolo per aumentare la indennit� dovuta al proprietario �. 

Sulla base di tale distinzione, che ha il suo razionale fondamento 
nella funzione stessa dell'indennit�, di corrispondere al valore del fondo 
nei limiti di legge, l'art. 39 della legge medesima stabilisce il criterio 
legale di liquidazione del valore venale. 

Ci� si ricollega al principio secondo cui la data del decreto prefettizio 
.di espropriazione, dalla quale la propriet� dei beni espropriati 
si trasferisce all'espropriazione (art. 50 legge n. 2359 del 1865), � il 
momento giuridico di determinazione dell'indennit�, mentre tutti gli 
atti anteriori hanno carattere preparatorio, costituendo altrettante fasi 
di un procedimento che va gradatamente completandosi e che si perfeziona 
solo al momento in cui si opera il trapasso della propriet� del 
bene oggetto di espropriazione. 

Osservasi, da ultimo, che per escludere la prospettata deroga a 
tale principio da parte della legislazione regionale siciliana, ulteriore 
conferma � dato trarre dall'art. 29 della legge del 1953, il quale dispone 
che per � La misura dell'indennit� si applica la legge 25 giugno 1865, 

n. 2359 e successive modificazioni �. Ora, secondo il significato proprio 
delle parole (art. 12 disp. sulla legge in generale) per misura dell'indennit� 
di espropriazione non pu� che intendersi il quantum dell'indennit� 
e i criteri per la sua determinazione, non certo il procedimento 
da seguire per tale determinazione. 
Il Comune di Messina con l'unico mezzo del suo ricorso incidentale, 
denunciando violazione e falsa applicazione dei principi relativi 
alla delegazione amministrativa, si duole che la Corte . d'appello lo 
abbia condannato, solidalmente con l'Assessorato ai lavori pubblici, al 
pagamento dell'indennit� per la occupazione biennale dell'immobile ed 
al risarcimento dei danni per l'ulteriore illegittima occupazione dello 
stesso immobile. Deduce il ricorrente incidenta~e che la Corte del merito, 
una volta riconosciuto che il Comune aveva agito in forza di 
delegazione amministrativa da parte della Regione, doveva porre a 
carico dell'Ente delegante le conseguenze dell'occupazione temporanea 
del fondo dei D'Andrea. 

La censura non � fondata. 

Il problema della natura del rapporto pubblicistico intercorso tra 
il Comune di Messina e la Regione, tramite l'Assessorato ai lavori 
pubblici, in riferimento all'occupazione temporanea del fondo poi espropriato, 
� stato ampliamente esaminato dalla Corte d'appello la quale 
ha tenuto presente l'attivit� svolta dal Comune che chiese ed ottenne 
a proprio nome sia il decreto prefettizio del 27 febbraio 1956 di occupazione 
temporanea, sia quello successivo di proroga del 5 febbraio 



854 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

1958, considerando altres� che il progetto era stato redatto in data 23 
gennaio 1956 dall'Ufficio tecnico comunale ?i Messina e che con il 
decreto del 30 giugno 1956 l'Assessorato aveva approvato detto progetto 
ed aveva affidato la direzione dei lavori all'Ufficio tecnico comunale 
di Messina, sotto la vigilanza dell'Assessorato. In base a tale esame 
delle prove documentali la Corte del merito ha accertato che la situazione 
giuridica venuta a crearsi fra i due Enti � quella della delegazione 
amministrativa intersoggettiva, giudizio che si fonda su un apprezzamento 
di fatto non sindacabile in sede di legittimit�, perch� sorretto 
da adeguata motivazione, immune da errori logici e giuridici. 

N�, contrariamente a quanto assume il ricorrente incidentale, erro~ 
nee sono le conseguenze giuridiche ch,e la Corte d'appello ha tratto 
dall'accennato accertamento. Invece secondo la giurisprudenza di questa 
Corte Suprema (sent. 11 ottobre 1963, n. 2711; sent. 13 agosto 1964, 

n. 2307 e sent. 25 marzo 1966, n. 807) la delegazione amministrativa 
intersoggettiva costituisce un istituto peculiare del diritto pubblico, 
non assimilabile al mandato, con il quale un ente, investito in via 
primaria della competenza a provvedere in una determinata materia, 
conferisce, autoritativamente ed unilateralmente, ad altro ente una 
competenza derivata in ordine alla stessa materia e, di conseguenza, 
attribuisce a questo la legittimazione all'esercizio, entro i limiti fissati 
nell'atto di conferimento, di poteri e funzioni spettanti al delegante, 
si che l'ente delegato non opera come un organo, sa pure straordinario 
dell'ente delegante, ma � investito del potere di provvedere rispetto 
all'oggetto della delega in nome proprio, e non in veste di rappresentante 
dell'altro, pur se per conto e nell'interesse di questo. E in relazione 
alla delegazione � stato ritenuto che l'ente delegato � direttamente 
responsabile nei confronti dei terzi, degli atti posti in essere in 
esecuzione della delega, senza che possano avere rilevanza le eventuali 
ripercussioni degli atti stessi nel rapporto interno con il delegante e 
l'incidenza di questi nella sfera giuridica del medesimo. 
La Corte del merito, in conformit� a tale indirizzo, ha correttamente 
ritenuto che il Comune di Messina abbia agito in veste di soggetto 
attivo del rapporto di occupazione temporaneo eseguito a proprio 
nome anche se per conto e nell'interesse della Regione. E in proposito 
va ancora rilevato che nella delegazione intersoggettiva in particolare 
(che, a differenza di quella interorganica, la quale opera nell'ambito 
di uno stesso ente pubblico, interviene invece tra enti diversi) la legittimazione 
attribuita al delegato, all'esercizio di funzioni e poteri spettanti 
al delegante, deve essere giuridicamente qualificata in base alle 
nozioni pubblicistiche proprie della delegazione amministrativa. In 
realt�, detta� delegazione, importando una deroga (preventivamente consentita 
dalla legge) alle norme sulla competenza amministrativa, pone 
il delegato, nei limiti della delega e per la durata di essa, in una 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE 855 

condizione pari a quella del delegante, mentre, questi, a sua volta, 
viene a trovarsi rispetto agli atti di esecuzione della delega, nella 
posizione di soggetto investito di funzioni di controllo. Ci� importa 
che, di regola, salvo che l'atto di conferimento non disponga diversamente 
(circostanza esclusa, nel caso di specie, dalla Corte del merito 
con accertamento di fatto), il delegante � investito dei poteri di provvedere, 
rispetto all'oggetto della delega, in nome proprio. Da ci� consegue 
che l'ente delegato � direttamente responsabile nei confronti dei 
terzi (inclusi, tra questi, i proprietari dei fondi temporaneamente occupati 
in bas a delegazione amministrativa). Ci� posto niun dubbio pu� 
sorgere in ordine alla legittimazione passiva del comune di Messina, 
quale soggetto titolare dell'obbligo derivante dal rapporto di occupazione 
temporanea. 

I D'Andrea con i due mezzi del loro ricorso incidentale -i quali 
vanno esaminati congiuntamente, svolgendo censure connesse -denunziando 
omessa valutazione di circostanze decisive in ordine alla determinazione 
dell'indennit� di espropriazione, nonch� motivazione erronea, 
insufficiente e contraddittoria in relazione all'art. 360, n. 5 c.p.c. I 
ricorrenti incidentali lamentano, anzitutto, che la Corte del merito, 
abbia attribuito unico valore unitario al fondo espropriato, sebbene 
alcune parti fossero vicine a strada pubblica (via Taormina) e, quindi 
di valore pi� elevato rispetto a parti lontane dalla strada stessa. Deducono 
i D'Andrea che,, sul punto, la sentenza denunziata presenta difetto 
di motivazione, non essendo stata chiarita sufficientemente la ragione 
che ha indotto la Corte di appello ad allontanarsi dal criterio formulato 
dal consulente tecnico. Aggiungono che i giudici di merito, nel ridurre 
del dieci per cento il valore unitario attribuito al terreno, non hanno 
adeguatamente motivato in ordine al supposto incremento di valore 
dell'immobile espropriato che si sarebbe verificato tra la data del decreto 
di espropriazione (20 giugno 1959) e l'epoca in cui era stata 
redatta la relazione di consulenza tecnica (novembre 1961). 

Le censure non sono fondate. Esse devono essere esaminate in base 
alla premessa che, secondo la giurisprudenza di questa Corte Suprema 
(sent. 14 dicembre 1962, n. 3352 e sent. 4 gennaio 1964, n. 6) la pronuncia 
del giudice di merito in ordine alla misura dell'indennit� di 
espropriazione � incensurabile in cassazione, se la liquidazione � compiuta 
in base a criteri conformi alla legge e se la pronuncia � sorretta 
da motivazione esente da vizi logici. Va anche premesso che il giudice 
del merito ben pu� distocarsi dalle conclusioni del consulente tecnico 
d'ufficio, dopo avere chiarito le ragioni de suo diverso convincimento 
con l'indicare, cio� gli errori che viziano il parere espresso dalla 
cons.lenza (Cass. 10 febbraio 1968, n. 333 e Cass. 21 febbraio 1968, 

n. 592). -(Omissis). 

SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 18 marzo 1969, n. 348 -Pres. Uccellatore 
-Est. Cuonzo -Montagnani (avv. Lessona) c. Ministero della 
pubblica istruzione (avv. Stato Gentile). 

Atto amministrativo -Eccesso di potere -Reghne probatorio dell'eccesso 
di potere nel procedhnento davanti al Consiglio di Stato Applicabilit� 
delle norme del processo ordinario -Valore probatorio 
delle presunzioni semplici. 

Impiego pubblico -Concorso -Concorso a cattedra universitaria Commissione 
giudicatrice -Membro della commissione che abbia 
collaborato alla redazione dell'opera presentata dal candidato -
Incompabilit� -Non sussiste. 

Impiego pubblico -Concorso -Concorso a cattedra universitaria Norme 
consuete nei concorsi -Pubblico impiego -Non si applicano. 


Impiego pubblico -Concorso a cattedra universitaria -Titoli di va


�:.,

lutazione -Libera docenza -Non ha valore preminente o assorbente. 


Nel processo amministrativo devono ritenersi applicabili, di regola, 
le norme proprie del processo ordinario, onde i fatti denunciati dal 
ricorrente come determinanti il vizio di eccesso di potere dell'atto ben 
possono essere riconosciuti esistenti quando ricorrano indizi gravi, precisi 
e concordanti (art. 2729 e.e.) (1). 

(1) La massima appare, concettualmente, in contrasto con la giurisprudenza 
costante del Consiglio di Stato, la quale ritiene inammissibile, 
nel processo amministrativo, la prova testimoniale: cfr. ad esempio Sez. V, 
13 giugno 1967, n. 654, Foro amm., 1967, I, 2, 862. Infatti, come � noto, nel 
processo civile, le presunzioni sempUci non possono essere ammesse nei 
casi in cui la legge esclude la prova per testimoni (art. 2729 e.e.): di qui 
l'una: o �la decisione che si annota ha implicitamente voluto riconoscere 
l'ammissibilit� della prova testimoniale, ed allora �, concettualmente, in 
contrasto con la giurisprudenza costante del Consiglio di Stato; oppure 
ha ritenuto inapplicabile J.a norma di cui al citato art. 2729 e.e., ed allora 
si pone in contraddizione con il presupposto del ragionamento, e cio� con 
J.a riconosciuta applicabilit�, salvo eccezioni, delle norme proprie del processo 
ordinario anche di fronte al giudice amministrativo. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 857 

La particolare natura del concorso universitario e la stessa dignit� 
della commissione giudicatrice permettono di consentire che di questa 
possano essere chiamati a far parte docenti che abbiano collaborato 
con candidati nella redazione di alcune delle pubblicazioni presentate 
da questi ultimi, senza che tale fatto, di pe'I' s�, determini una situazione 
di incompatibilit� dei componenti della commissione stessa, ovvero 
la illegittimit� del giudizio per la sua presunta mancanza di obbiettivit� 
(2). 

Nei concorsi universitari la natura del giudizio, ampiamente discrezionale, 
rimesso alla commissione giudicatrice non consente l'applicazione 
della maggior parte delle prescrizioni formali consuete nei 
concorsi per l'assunzione a pubblici impieghi, quali la predeterminazione 
dei criteri di massima, la suddivisione dei titoli in categorie e 
l'attribuzione dei coefficienti numerici a ciascuna di esse (3). 

Nei concorsi a cattedre universitarie il possesso della libera docenza, 
pur costituendo titolo di valutazione dei candidati, nessun valore 
preminente o assorbente, nei confronti degli altri titoli, assume, ai fini 
del giudizio finale e conclusivo della commissione giudicatrice (4). 

(Omissis). -Col primo motivo, si lamenta eccesso di potere, per 
sviamento, assumendo che, secondo quanto risulta negli ambienti accademici, 
uno dei ternati, nel concorso in questione, dovrebbe il suo 
successo alla minaccia di produrre, in sede di ricorsi giurisdizionali, 
dinanzi questo Consiglio, avverso altri tre concorsi universitari -(ricorsi, 
successivamente, rinunziati) -documenti compromettenti per i 
commissari, e, precisamente, preventivi accordi scritti, dei commissari 
stessi, sui candidati da ternare. 

All'uopo il Collegio osserva. 

Se, in astratto, non pu� contestarsi che le cause perturbatrici della 
libera determinazione di volont� degli organi amministrativi (e tra 
esse le ingiuste minacce possono acquistare rilievo, in questa sede, sotto 
il profilo dell'eccesso di potere per sviamento; se, del pari, quanto alla 
prova dei fatti, deve ammettersi, anche nel processo amministrativo, 
il valore probatorio riconosciuto dalle norme del processo ordinario 
(art. 2729 e.e.) alle presunzioni semplici, se � gravi, precise e concor


(2-4) Su tali questioni, si veda, in senso conforme, Sez. VI, 22 novembre 
1966, n. 889, Foro amm., 1966, I, 2, 1931, dove si afferma che nei 
concorsi a cattedre universitarie non occorre l'elencazione e l'esame particolareggiato 
dei titoli; Sez. VI, 22 giugno 1965, n. 474, ivi, 1965, I, 2, 909, 
secondo la quale in detti concorsi non occorre l'indicazione dei criteri di 
valutazione; Sez. VI, 28 luglio 1962, n. 539, ivi, I, 2, 243, che ha ritenuto 
non necessaria la predeterminazione dei criteri di massima. 

A. PALATIELLO 

858 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

danti �; deve tuttavia subito aggiungersi che, nella specie, manca ogni 
elemento di prova, sia pure in via presuntiva, dei fatti costitutivi del-
l'assunto sviamento di potere. 

Pur comprendendosi agevolmente le ragioni del riserbo, tuttavia 
questo Collegio, per la determi:Qazione dei limiti del suo potere deciso�'io, 
non pu� non premettere il rilievo che, a rigore, nella specie non 
il � fatto ., ma la mera � notizia � dello stesso (quale circolerebbe negli 
ambienti accademici) � l'effettivo oggetto della � alligazione � del ricorrente. 


Se si aggiunge il rilievo che, comunque, la notizia di fatto � singolarmente 
generica e reticente, sia in ordine alle modalit� di svolgimento 
dello stesso, sia circa la esatta identit� dei suoi principali protagonisti, 
si pu� agevolmente intendere come manchino, nella specie, 
tutte le condizioni per la instaurazione di quel processo di deduzione 
logica, le cui risultanze, solo se � gravi, precise e concordanti �, sono 
ammesse come vere, in via presuntiva nel processo in base alle citate 
norme di diritto comune. 

Con il secondo motivo, il ricorrente censura la relazione del concorso, 
nel punto in cui la stessa realizza -a suo dire -una � stroncatura 
� nei suoi confronti, assumendo che questa � stata determinata 
dalla finalit� di due membri della commissione giudicatrice (presidente 
e segretario della stessa), di togliere, al ricorrente, l'incarico di chirurgia 
pediatrica presso la facolt� medica di Firenze. 

Precisa, il ricorrente, che l'interesse del presidente della Commissione 
consisteva nell'intento di conferire, il detto incarico, al suo allievo 
prof. Monaci, e che, a tal fine, quegli aveva ottenuto che il Consiglio 
della Facolt� di medicina di Firenze, nella seduta del 18 maggio 1965, 
sospendesse l'attribuzione dell'incarico stesso (per il quale avevano 
presentato domanda sia esso ricorrente, per la conferma, sia il prof. 
Monaci) in considerazione dell'avvenuto bando del concorso a cattedre 
di chirurgia pediatri�a ed in attesa dell'esito di tale concorso. 

A riprova dell'interesse del segretario della commissione giudica


trice, il ricorrente deduce il fatto che, in effetti, a questi sarebbe poi 

stato conferito il detto incarico, nella primavera del 1966. 

Il Collegio non pu� non premettere la osservazione che ambedue 

le dedotte circostanze mancano di un significato � univoco �, idoneo a 

fare loro assumere -sia pure in via sintomatica -quell'effetto inva


lidante del provvedimento impugnato, che il ricorrente vorrebbe loro 

assegnare. 

Ed invero, sia la sospensione della assegnazione dell'incarico, nella 

imminenza dell'espletamento del concorso per la stessa cattedra, sia 

la preferenza concessa -nel conferimento dello stesso incarico -ad 

un titolare di cattedra, piuttosto che al precedente incaricato, non 

ternatosi n� dichiarato nel concorso a cattedra, relativo alla sua ma



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

teria, sono provvedimenti che ampiamente si giustificano, di per s�, 
sul piano della legittimit�, alla luce dei principi che regolano la suddetta 
materia e attesa l'ampia discrezionalit� di cui il Consiglio di 
Facolt� gode nella stessa. 

Ogni ulteriore indagine sulla legittimit� delle deliberazioni in questione 
� preclusa dagli evidenti limiti del presente giudizio, in relazione 
al preciso oggetto della impugnativa del ri�corrente. 

N� maggior rilievo.invalidante hanno, sul giudizio negativo, oggetto 
del presente ricorso, le innanzi indicate circostanze, sotto il profilo 
teleologico, e, cio�, in quanto finalit� che si assumono determinanti 
del giudizio stesso. 

Sotto tale profilo, � assorbente la considerazione che, attesa la 
equivalenza dei giudizi espressi -nei confronti del ricorrente -da 
tutti e cinque i membri della Commissione giudicatrice, -equivalenza 
di giudizi che, di per s�, ben si giustifica, sul piano logico, come spontanea 
convergenza di una pluralit� di obiettive valutazioni -il ricorrente 
non prospetta (n� al Collegio � dato cogliere) alcun elemento 
che spieghi in qual maniera, e perch�, le assunte particolari finalit� 
di due membri abbiano -per cosi dire -� strumentalizzato > le 
volont� degli altri tre colleghi, inducendoli ad aderire ad un giudizio 
(che si lamenta, negativo sul ricorrente) che non corrispondeva, viceversa, 
al loro intimo convincimento. 

In mancanza di qualsiasi luce su tale nesso, la presunzione logicogiuridica 
di legittimit� dell'operato della Commissione resiste alle 
dedotte censure, che, pertanto, vanno respinte. 

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che illegittimamente si 
sia tenuto conto di lavori scientifici, di vincitori del concorso o di concorrenti 
dichiarati maturi, che risultano effettuati in collaborazione 
con i rispettivi maestri, peraltro componenti della commissione giudicatrice. 


Neppure tale censura ha pregio. 

� noto che nella universit�, specialmente quando la cattedra � 
retta da un insigne studioso, si formano vere e proprie scuole scientifiche, 
che seguono determinati indirizzi, nelle quali il titolare della 
cattedra assume la posizione di capo-scuola, e, di guida, non soltanto 
per gli studenti, ma anche per coloro che, terminati i corsi accademici, 
intendono proseguire negli studi con aspirazioni scientifiche. 

� in tali scuole che si formano e vengon sc~lti prima gli assistenti 
volontari ordinari, quindi i liberi docenti e, infine, i titolari delle 
cattedre, attraverso i quali le scuole stesse progrediscono e si evolvono. 

�, cosi, abbastanza comune -come pu� agevolmente constatarsi 
nella attuale realt� -che vengano redatti pubblicazioni e lavori come 
frutto della collaborazione fra pi� cultori della stessa materia, o tra 
docenti ed allievi, nell'ambito del gruppo o della scuola, in modo che 


860 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dai singoli apporti personali di ciascuno scaturisce l'approfondimento 

di particolari aspetti della materia, oggetto di studio, e di problemi 

attinenti alla disciplina, di cui � titolare il capo-scuola. 

Particolarmente, poi, nel campo della ricerca scientifica sperimen


tale o di laboratorio, l'orientamento, che, nei tempi attuali, pu� rite


nersi ormai prevalente e fecondo di utili risultati, � quello della ricerca 

e degli studi compiuti in �quipes, e cio� in gruppi formati da pi� 

cultori della stessa materia ed anche d,i materia affini, in collabora


zione, cui consegue una sempre pi� approfondita conoscenza del parti


colare campo oggetto della ricerca. 

Tale approfondimento -infatti -costituisce la 'risultante del


l'apporto di studi, di conoscenza, di esperienze, di ricerche personali 

dei singoli collaboratori. 

� naturale che della collaborazione, cosi instauratasi nel gruppo 

o fra i singoli cultori, scaturisca, il pi� delle volte, una pubblicazione 
unitaria, che costituisce la sintesi degli sforzi e delle ricerche di ciascuno 
degli studiosi. 
Non pu� negarsi che particolare valore scientifico e didattico as


suma, inoltre, la predetta collaborazione allorch� � svolta tra docenti 

ad allievi in quanto costituisce oltre che un valido strumento per 

l'ulteriore conoscenza della materia, anche il mezzo per valorizzare la 

capacit� degli allievi, alcuni dei quali saranno, poi, chiamati ad assu


mere, a loro volta, il ruolo dei docenti e continuare l'opera dei loro 

maestri, assicurando, cosi la continuit� della ricerca scientifica. 

� in tale prospettiva -ad avviso del Collegio -che deve esaminarsi 
la questione relativa alla legittimit� della valutazione, da parte 
delle Commissioni giudicatrici dei concorsi a cattedre universitarie, 
dei lavori presentati dai concorrenti che risultano dalla collaborazione 
tra candidati e membri della Commissione giudicatrice, normalmente 
scelti tra i pi� eminenti cultori della disciplina,. per la quale � bandito 
il concorso. 

Non sembra che possa applicarsi, per tali concorsi, nella sua assolutezza, 
i principi affermati dalla quinta sezione di questo Consiglio e 
diligentemente citati dalla difesa del ricorrente -per i concorsi 
ospedalieri, in relazione ai quali non possono prospettarsi -ovviamente 
-le considerazioni fin qui svolte. 

Non sembra, cio�, che possa precludersi ai candidati, dei concorsi 

universitari, di presentare alcune delle loro pubblicazioni scientifiche 

redatte in collaborazione con altri studiosi, specialmente nel campo 

della ricerca sperimentai, tenuto conto dl fatto che talvolta esse rap


presentano la migliore e pi� apprezzata parte della loro produzione 

scientifica; n� pu� -d'altra parte -precludersi ai docenti, i quali 

normalmente, sono i pi� eminenti cultori della materia, di far parte 

,delle commissioni giudicatrici che hanno il delicato compito di valutare 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 861 

l'opera e la personalit� scientifica dei singoli candidati per individuare 
e designare, tra essi, quelli che hanno migliore idoneit� a ricoprire la 
cattedra messa a concorso. 

Va, altres�, osservato che questo Consiglio, sia pure con giurisprudenza 
di antica data (IV Sez. 20 gi�gno 1945, n. 93; IV Sez. 22 ottobre 
9141; IV Sez. 8 ottobre 1942, n. 320); ha pi� volte affermato che, nei 
concorsi universitari, la natura del giudizio rimesso alla Commissione 
giudicatrice non consente che si applicano la maggior parte delle prescrizioni 
normali, consuete nei concorsi per la assunzione a pubblici 
impieghi, quali la predeterminazione di criteri di massma, la suddivisione 
di titoli in categoria e l'attribuzione di coefficienti numerici a 
ciascuna di esse, ed ha riconosciuto, quindi, alle predette commissioni, 
ampi poteri discrezionali, in considerazione del fatto che appare necessario 
e sufficient� che risulti quell'esame comparativo, fra i singoli 
candidati, dal quale soltanto possono essere giustificate le risultanze 
cui parvengono le commissioni stesse. 

Questa Sezione ha, inoltre, con decisione n. 667 del 9 dicembre 1953, 
affermato che non costituisce causa di incompatibilit�, dei membri della 
Commissione giudicatrice di un concorso universitario, il fatto che essi 
abbiano espresso giudizi sui singoli candidati. 

Ed, infine, la stessa V Sezione, con la recente decisione n. 1335 
del 2 novembre 1966, ha ritenuto che i rapporti di dipendenza e di 
collaborazione non sono ~tati dal legislatore considerati come cause 
di incompatibilit� nella composizione dei collegi amministrativi, trattandosi 
di evenienza che, spesso, non possono, in pratica, neanche evitarsi, 
.cosicch� � irrilevante la .circostanza che taluni candidati in un 
concorso ospedaliero siano stati allievi o assistenti di taluni esaminatori, 
il giudizio i;ulla opportunit� o meno di partecipare alla commissione. 


Ad avviso del Collegio, pertanto, la particolare natura del concorso 
universitario e la stessa dignit� della commissione giudicatrice 
permettono di consentire che di questa possano essere chiamati a far 
parte docenti che abbiano collaborato con candidati, nella redazione 
di alcune delle pubblicazioni presentate da questi ultimi, senza che tale 
fatto, per s� solo considerato, determini una situazione di incompatibilit� 
dei componenti della commissione stessa, ovvero la illegittimit� 
del giudizio per la sua presunta mancanza di obiettivit�, in radice, sui 
candidati interessati. 

Ovviamente, in tale ipotesi, la valutazione dei lavori in collaborazione 
deve avvenire nei limiti in cui sia possibile individuare l'effettivo 
apporto dei singoli coautori. Ma da tale ulteriore indagine ritiene 
il Collegio di poter prescindere, esulando essa dai limiti della censura 
proposta. 

7 



862 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Con l'ultimo motivo il ricorrente prospetta, in sostanza, tre profili 
di censura. 

Col primo profilo lamenta che, illegittimamente, siano stati ternati 
candidati, sprovvisti della libera docenza nella materia, .oggetto della 
cattedra a concorso, ed escluso il ricorrente fornito, invece, di tale 
libera docenza. 

Neppure tale censura ha pregio. 

� esatto, invero, il rilievo, svolto dalla difesa dell'Amministrazione, 
secondo cui, nei concorsi a cattedre universitarie, il possesso 
della libera docenza, pur costituendo titolo di valutazione dei candidati, 
nessun valore perminente o assorbente, nei confronti degli altri 
titoli, assume, ai fini del giudizio finale e conclusivo della Commissione 
giudicatrice. 

La preferenza concessa, nella specie, dalla commissione giudicatrice 
a candidati sforniti di libera docenza specifica, di fronte ad altri 
forniti invece di tale libera docenza,~si sottrae, pertanto, sotto il profilo 
in esame, alla dedotta censura. -(Omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen. 9 maggio 1969, n. 17 -Pres. Papaldo 
-Est. Battara -Giorgi (avv. Lodi e Magri) c. Amministrazione 
provinciale di Mantova (avv. Amorth e Gianolio). 

Giustizia amminist:J:'ativa -Sindacato di legittimit� del Consiglio di 
Stato -Assorbimento da parte del Consiglio di Stato delle materie 
attribuite alle G.P.A. in s. g. 

Giustizia amministrativa -Sindacato di merito del Consiglio di Stato Giurisdizione 
di merito attribuita alle G.P.A. in s. g. -Non viene 
devoluta al Consiglio di Stato. 

Giustizia amministrativa -Giurisdizione esclusiva del Consiglio:di 
Stato -Giurisdizione esclusiva attribuita alle G.P.A. in s. g. Non 
viene devoluta al Consiglio di Stato. 

Giustizia amministrativa -Consiglio di Stato come giudice dell'appello 
avverso la decisione delle G. P. A. in s. g. -Incostituzionalit� 
delle G.P.A. in s. g. -Conseguenze sul giudizio d'appello. 

Ai sensi dell'art. 26 t.u. 26 giugno 1924, n. 1054 il Consiglio di 
Stato � il giudice generale della legittimit� in materia di interessi legittimi, 
onde, dichiarate incostituzionali le G.P.A. in s.g., la loro compe




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 863 

tenza di mera legittimitd deve ritenersi assorbita da quella generale 
del Consiglio di Stato (1). 

Poich� le materie sulle quali il Consiglio di Stato ha competenza 
estesa al merito sono tassativamente stabilite dalla legge, non pu� ritenersi 
esistente, nell'ordinamento positivo, un principio di competenza 
generale di merito del Consiglio di Stato, per cui le materie gid attribuite 
alla G.P.A. con competenza estesa al merito, non potendo essere 
assorbite dalla competenza del detto organo, restano, limitatamente 
al merito, sine iudice (2). 

Con la dichiarata incostituzionalitd delle G.P.A. in s.g. sono rimaste 
sine iudice le questioini d.i competenza esclusiva gid spettanti alle� G.P.A., 
potendo ritenersi assorbite nella competenza del Consiglio di Stato 
limitatamente alla parte della controversia relativa agli interessi legittimi 
(3). 

(1-4) Come � noto, attraverso una serie di decisioni emesse nel giro 
di un biennio, la Corte costituzionale, adeguando al precetto della Carta 
la struttura del giudice amministrativo, ha determinato la caducazione, 
oltre che dei Consigli di Prefettura, anche delle Giunte Provinciali Amministrative, 
della Giunta Giurisdizionale Armministrativa della Val d'Aosta e 
delle norme sul contenzioso elettorale amministrativo, di cui all'art. 2 della 
legge 23 dicembre 1966, n. 1147, con le sentenze, rispettivamente, n. 30 del 
1967 e nn. 33 e 49 del 1968. Sui problemi di diritto transitorio aperti dalle 
ricordate declaratorie 4i illegittimit� costituzionale cfr. Corte dei Conti, 
Sez. II, 21 gennaio 1967, n. 7, che ha affermato la giurisdizione generale 
della Corte in materia contabile; Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 marzo 
1969, Il Consiglio di Stato, 1969, I, 245, che ha risolto il problema deHa 
sorte delle materie devolute alle G.P.A. nei stessi termini della decisione 
che si annota, e Cass., Sez. Un., 28 settembre 1968, n. 2992, Sett. Giur. 1969, 
II, 398, che ha, viceversa, ritenuto �elle, dichiarate incostituzionali le norme 
relative �alle G.P.A., il Consiglio di Stato mediante una interpretazione 
estensiva della norma e rilevato che questa minus voluit quam dixit, 
possa conoscere nella loro interezza, e quindi anche per gli aspetti concernenti 
i diritti soggettivi perfetti, delle questioni devolute alle G.P.A. 
in giurisdizione esclusiva. 

Per quanto riguarda le conseguenza della dichiarata incostituzionalit� 
delle G.P.A. sul giudizio di aprpello, in un primo tempo il Consiglio di 
Stato, Ad. Plen., 24 novembre 1967, n. 15, Giust. Civ. 1968, II, 149, aveva 
ritenuto che, interposto il gravame avverso la decisione della Giunta, si 
fosse consumata la giurisdizione di rprimo grado, onde il Consiglio di Stato, 
in sede d'appello, avrebbe dovuto annullare la decisione impugnata e ritenere 
la controversia per giudicarla nella sua integrit�: proprio come avviene 
quando il giudice di primo grado abbia, per esempio, ritenuto irricevibile 
o inammissibile il ricorso: cfr., negli stessi termini, Sez. V, 2 
aprile 1968, n. 381; Ad. Plen. 25 maggio 1968, n. 10, Giust. civ. �1968, II, 317; 
Sez. V, 10 gennaio 1969, n. 15, Il Consiglio di Stato, 1969, I, 26. 

Il vuoto determinato dalle citate .sentenze della Corte Costituzionale 

sar� colmato con l'istituzione dei Tribunali Regionali Amministrativi: si 



864 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il ricorso proposto alla G.P.A. in s.g. prima della dichiarata incostituzionalit� 
pu� essere considerato, dal Consiglio di Stato, come ricorso 
proposto al Consiglio stesso, essendo evidente la scusabiiit� dell'errore, 
quando il detto atto abbia, o possa acquistare, tutti i requisiti formali 
e sostanziali che la legge richiede nel ricorso al Consiglio di Stato; se 
tale conversione immediata non � possibile, il Consiglio, adito come 
giudice d'appello, assegna un termine all'appellante, affinch� questi 
possa presentare istanza di conversione del ricorso alla Giunta in ricorso 
al Consiglio (4). 

veda in proposito il disegno di legge 438/68 e il progetto Luzzatto, Foro 
amm., 1968, III, 1005 e 1155. 

Sui vari problemi sorti con J.a caducazione degli organi di giustizia 
amministrativa locale ,si veda, in dottrina: P. GASPARRI, La giustizia amministrativa 
locale nel momento attuale, Il Consiglio di Stato, 1968, II, 344; 

F. LUBRANO, Ancora in tema di giurisdizione delle Giunte Provinciali Amministrative, 
Riv. Amm., 1968, 773; A. PIZZI, Esistono ancora le G.P.A. 
in sede giurisdiziooale?, Foro amm., 1968, II, 96; F. LA VALLE, Il principio 
della giurisdizione amministrativa unica, Giur. it., 1969, I, 1, 787. 
A. PALATIELLO 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 21 maggio 1969, n. 20 -Pres. 
Papaldo -Est. Bartolotta -Arcuri ed altri (avv. Lepocare e Mazzei) 

c. Prefetto di Cosenza, Ufficio Genio Civile di Cosenza e Ministero 
'lavori pubblici (avv. Stato Lancia) e Comune di Cosenza (avv. 
Loris e Giorgianni). 
Piano di ricostruzione -Esecuzione del piano -Impossibilit� del Comune 
di provvedere -Potere sostitutorio del Ministero dei lavori 
pubblici. 

Piano di ricostruzione -Decreto prefettizio che approva il piano di 
ricostruzione -Equivalenza, ex art. 7 d. 1. lgt. 1 marzo 1945, n. 
154, a dichiarazione di pubblica utilit� -Urgenza e indifferibilit� 
derivanti dalla legge -Notifica fuori termine del decreto di occupazione 
-Non � rilevante. 

Piano di ricostruzione -Termine di efficacia dei piani approvati entro 
il 31 dicembre 1950 -Provvedimento prefettizio di occupazione 
temporanea in via di urgenza per l'attuazione del piano di ricostruzione 
approvato prima del 31 dicembre 1950 -� legittimo. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Procedura -Autonomia rispetto 
alla procedura dell'occupazione di urgenza -Incomunicabilit� 
dei vizi della seconda sulla prima -Fattispecie. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA� AMMINISTRATIVA 865 

Espropriazione per pubblica utilit� -Termini -Indicazione nell'atto 
che dichiara la pubblica utilit�: dell'opera -Mancata indicazione Inammissibilit� 
dell'impugnativa del decreto prefettizio di espropriazione. 


Espropriazione per pubblica utilit� -Termini di efficacia della dichiarazione 
di pubblica utilit� -Piani di ricostruzione -I termini di 
efficacia della detta dichiarazione sono fissati dalla legge. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Indennit� -Controversie -Competenza 
dell'A.G.O. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Piano di ricostruzione -Variante 
al piano richiesta dal proprietario interessato -Non sospende il 
procedimento. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Modalit� esecutive dell'opera Censure 
-Inammissibilit�. 

Ricorsi amministrativi -Motivi -Atto non impugnato -Inammissibilit�. 


In virt� dell'art. 58 d.l. 10 aprile 1947, n. 261, riprodotto in sostanza 
nell'art. 15 legge 27 ottobre 1951, n. 1402, il Ministero dei lavori 
pubblici poteva sostituirsi al Comune provvedendo direttamente all'attuazione 
dei piani di ricostruzione, quando fosse risultata l'impossibilit� 
del Comune di provvedere a ci� direttamente, onde, in detta ipotesi, i 
necessari p1�ovvedimenti erano legittimamente promossi dallo stesso 
Ministero o dall'Ente concessionario dell'esecuzione dei menzionati 
lavori (1). 

Ai sensi deU'art. 7 d.l.lgt. 10 marzo 1945, n. 154 il decreto prefettizio 
che approvava il piano di ricostruzione equivaleva a dichiarazione 
di pubblica utilit� e le opere in esso decreto indicate erano dichiarate 
urgenti e indifferibili; pertanto non costituisce eccesso di potere la circostanza 
della notifica del decreto di occupazione a distanza di circa 
un anno dalla data della sua emanazione (2). 

Ai sensi dell'art. 17 legge 13 luglio 1966, n. 610, i piani di ricostruzione 
approvati entro il-31 dicembre 1950 hanno efficacia fino al 
31 dicembre 1970: pertanto � legittimo, ai fini dell'attuazione del piano 
approvatl! anteriormente alla detta data, il provvedimento prefettizio 
di occupazione temporanea in via di urgenza delle aree private (3). 

(1-3) Sulla :proroga ope legis dei piani di costruzione si veda Sez. IV, 
28 giugno 1966, n. 561, Il Consiglio di Stato, 1966, I, 1184; Sez. V, 7 aprile 
1967, n. 240, ivi, 1967, I, 673; idem, 10 ottobre 1967, n. 1088, ivi, 1967, T, 
1805. Sulla durata in genere dei piani di ricostruzione e sulla proroga 



x-.�~ix� 


.. .... ..... I 

866 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I 

*1

;:-:�

IZ procedimento di espropriazione � autonomo rispetto a quello 

M 

dell'occupazione di urgenza, onde i vizi di questo non possono influire F' 
in alcun modo sul primo: pertanto la mancata o irregolare redazione 
dello stato di consistenza, pur inficiando il procedimento dell'occupa


t 

zione di urgenza, non rende illegittima la procedura espropriativa (4). 

Poich� i termini previsti dall'art. 13 legge 25 giugno 1865, n. 2359 
devono essere indicati nella dichiarazione di pubblica utilit�, la mancata 
prefissione pu� esser fatta valere unicamente attraverso l'impugnativa 
del detto atto; in difetto, il detto vizio non pu� essere fatto 
valere mediante l'impugnativa del decreto prefettizio di espro'Pria


I 

zione (5). 

Poich� i termini di efficacia della dichiarazione di pubblica utilit�, 
per quanto attiene alle opere relative ai piani di ricostruzione, sono 
determinati dalla legge, nessuna ulteriore fissazione di termini � ri


I

chiesta negli atti del procedimento (6). 
Le controversie relative all'ammontare dell'indennizzo di esproprio 

I

sono di competenza del G.O., perch� attengono a diritti soggettivi per


fetti (7). 

I@

Nella esecuzione del piano di ricostruzione, il procedimento non 

f~ 

� SOS'lJeso dalla semplice richiesta di variante al detto piano formulata M 

dal proprietario interessato; onde � legittimo il decreto prefettizio di 

esproprio, emanato in pendenza dell'esame di detta richiesta da parte 

del Consiglio comunale (8). 

Non � ammissibile la censura riguardante le modalit� esecutive 

dell'opera dichiarata di pubblica utilit�, in quanto la detta censura 

attiene al merito (9). . 

I

I motivi di ricorso amministrativo concernenti un atto non impu


~~ 

gnato non possono essere fatti valere nella impugnativa di un altro N 

provvedimento (10). 

ope legis in ispecie, cfr. Sez. V, 9 dicembre 1967, n. 1842, Foro amm., 1967, I'
~ 
I, 2, 1838; idem 29 novembre 1966, n. 1527, ivi, 1966, I, 2, 1885; e, da ultimo, 
Sez. V, 28 febbraio 1969, n. 145, ivi 1969, I, 2, 121. 


I 

(4) Sull'autonomia del procedimento di espropriazione rispetto a quello 
II
dell'occupazione di urgenza, con la conseguente incomunicabilit� dei rispettivi 
vizi dall'uno al-l'altro, -si veda Ad. pl. 12 luglio 1965, n. 18, Il Consiglio 
di Stato, 1965, I, 1063; Sez. IV, 8 novembre 1952, n. 1327, Raccolta 
della giurisprudenza del Cons. di St., 1952, 1542; Ad. pl. 30 gennaio 1954, 


n. 3, Il Consiglio di Stato, 1954, I, 19. 
(5-6) Cfr. Sez. IV, 23 g-ennaio 1962, n. 73, Il Consiglio di Stato, 1962, 
I, 1929. 


(7) Tale giurisprudenza � costante: si veda, ad esempio, Sez. IV, 19 
ottobre 1966, n. 675, ivi, 1966, I, 1643; Ad. pl. 30 ottobre 1961, n. 20, ivi, 
1961, I, 1532; Sez. IV, 29 aprile 1964, n. 352, ivi, 1964, I, 69. 
(8-10) Anche tale !Principio � pacifico: cfr. tra J.e pi� recenti, Sez. IV, 
25 settembre 1968, n. 506, Il Consiglio di Stato, 1968, I, 1332. 


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:~~ 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 867 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 10 giugno 1969, n. 21 -Pres. 
Papaldo -Est. Granito -Salvioni ed altro (avv. Nigro e Montesano 

L. e G.) c. Ministero Lavori Pubblici (avv. Stato Ricci), Comune 
di Rimini ed altri (n.c.). 
Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento 
in sede giurisdizionale -Legittimazione a chiedere 
il detto trasferimento -Necessit� di assumere la veste di ricorrente 
-Non sussiste. 

Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento 
in sede giurisdizionale -Interesse al detto trasferimento 
in ogni controinteressato -Sussiste. 

Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento 
in sede giurisdizionale -Incombenti ed oneri relativi 
-Sono a carico dell'originario ricorrente. 

Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Trasferimento 
in sede giurisdizionale in opposizione del controinteressato 
-Rimessione in termini dell'originario ricorrente � 
configurabile. 

Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato .., Decreto 
presidenziale che decide il ricorso -Impugnativa -Motivi 
e legittimazione. 

Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Opposizione 
al ricorso straordinario -Obbligo per il ricorrente 
di trasferire il ricorso in sede giurisdizionale -Non sussiste. 

f"<�il.(<r~ 

Giustizia amministrativa -Ricorso straordinario al Capo dello Stato Annullamento 
della decisione straordinaria -Rimessione in termini 
del controinteressato ai fini della proposizione del ricorso 
giurisdizionale -� configurabile. 

L'opposizione al ricorso straordinario al Capo dello Stato pu� 
essere proposta, ex art. 34, u.c. T.U. 26 giugno 1924, n. 1054, anche dai 
controinteressati, e a nulla rileva la circostanza che questi non abbiano 
n� l'inte1�esse n� la legittimazione a ricorrere contro il provvedimento 
impugnata dal terzo in sede strao1�dinaria (1). 

(1-7) Cfr. Sez. V ord. 29 ottobre 1968, n. 1328, Foro amm., 1968, I, 2, 
1294, che ha rimesso all'esame de1l'Adunanza plenaria, per un possibile contrasto 
di giurisprudenza, varie questioni relative al trasferimento in sede 



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868 ' RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ogni cont1�ointeressato pu� proporre l'opposi?ione al ricorso straordinario 
al Capo dello Stato chiedendo il trasferimento di questo in sede 
giurisdizionale, perch� in tale sede il procedimento si svolge attraverso 
un pi� co'Tlipiuto contraddittorio, che assicura pi� concretamente la 
possibilit� di spiegare una utile e sostanziale difesa (1). 

Intervenuta l'opposizione al ricorso straordinario, spetta all'originario 
ricorrente di riproporre l'impugnativa in sede giurisdizionale, 
onde non subisce modifiche la originaria posizione processuale delle 
parti, conservando il ricorrente tale veste e rimanendo, l'opponente al 
ricorso straordinario, controinteressato (3). 

La riproposizione del ricorso in sede giurisdizionale pu� avvenire. 
anche quando sarebbero scaduti i termini per il ricorso al Consiglio 
di Stato, in quanto, nella specie, nessun errore � imputabile al ricorrente, 
essendo dichiarato improcedibile il ricorso straordinario unicamente 
per la opposizione dei controinteressati o dei cointeressati (4). 

Il decreto presidenziale con il quale � deciso il ricorso straordinario 
al Capo dello Stato � impugnabile, da tutti gli interessati, per 
vizi che attengono alla tutela giurisdizionale; legittimato alla impugnativa 
�, perci�, anche il controinteressato che non abbia potuto 
opporsi alla trattazione del ricorso in sede straordinaria (5). 

Proposta la opposizione al. ricorso da parte del controinteressato, 
il ricorrente non � obbligato a trasferire la propria impugnativa in sede 
giurisdizionale (6. 

Annullata la decisione presidenziale per violazione della tutela 

giurisdizionale, il Consiglio di Stato non pu� procedere senz'altro ad 

un riesame ex novo dell'originario gravame straordinario, ma deve 

concedere alt'evente diritto il beneficio della rimessione in termini, ai 

fini della proposizione del ricorso giurisdizionale (7). 

giurisdizionale del ricorso straordinario al Capo dello Stato. Con ordinanza 
del 12 luglio 1968, n. 1124, Foro Amm., 1968, I, 2, 1030, la stessa V 
Sezione ha altres� rimesso all'esame dell'Adunanza plenaria il problema 
relativo alla amrnissibHit� dell'impugnativa, della decisione emessa su ricorso 
straordinario al Capo dello Stato per motivi che attengono al contenuto 
della decisione,stessa (errores in iudicando). Sulle questioni affrontate 
dalla decisione che si annota si veda pure Corte Cost. 2 luglio 1966, 

n. 78, Foro amm., 1966, I, 1, 429 e 1� febbraio 1964, n. 1, ivi, 1964, I, 1, 9, 
con note di richiami. 
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~:-: 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1969, n. 1029 -Pres. Favara 
-Est. Miele -P. M. Pedote (conf.) -Testa (avv. Pacifici) c. 
Ministero delle Finanze (avv: Stato Angelini Rota). 

Imposta di registro -Benefici fiscali per le case di abitazione non di 

lusso -Acquisto di area parzialmente inedificabile per vincolo 

di piano regolatore -Applicabilit� dei benefici -Lhlliti. 

(1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14). 
La edificabilit� deU'intera area acquistata costituisce il presupposto 
per la concessione dei benefici fiscali di cui all'art. 14 legge 2 
luglio 1949, n. 408. La norma contenuta nel capoverso dello stesso articolo 
non costituisce integrazione della nozione di edificabilit� ai fini 
della concessione dei benefici stessi, ma contiene solo le condizioni per 
la conservazione di tali benefici, nel senso che, a costruzione ultimata, 
tale area deve risultare edificata per almeno un terzo. Pertanto, se 
l'area � solo in parte edificabile a causa di vincoli creati dal piano 
regolatore, i quali prevedono la destinazione di parte del suolo a strada 
pubblica, il beneficio � dovuto solo limitatamente alla parte del' suolo 
non soggetta al vincolo di piano regolatore ed in quant�, inoltre, tale 
porzione di suolo sia stata coperta da costruzioni nella misura richiesta 
dal capoverso dell'articolo in questione (1). 

(Omissis). -Con il primo motivo il ricorrente, denunziando violazione 
e falsa applicazione dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 
e dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, in relazione 
all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c., sostiene che la Corte di merito ha erronea


(1) La presente sentenza � particolarmente interessante, dato il grande 
numero di controversie che si agitano in materia, per due diversi motivi. 
Innanzitutto perch� ha precisato, con estrema chiarezza, la diversit� 
di piani concettuali su cui sono destinate ad operare le norme del primo 
e del secondo comma dell'art. 14 della l. n. 408 del 1949; la :prima, nel 
prescrivere il requisito della edificabilit�, riguarda un :presupposto per la 
concessione del beneficio fiscale, la seconda, invece, stabilendo i limiti 
minimi della concreta edificazione, attiene alla decadenza da tale beneficio. 

In secondo luogo poi l'interesse della presente sentenza sta nell'aver 
ritenuto che il vincolo di inedificabilit� stabilito da piano r.egolatore, 
quando preesiste all'acquisto dell'area, priva questa del requisito della 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente ritenuto che fosse necessario che tutta l'area acquistata avesse 
possibilit� edificatorie, giacch�, invece, in relazione al secondo comma 
dell'articolo stesso, basta che si tratti genericamente di aree edificabili 
ovvero parzialmente edificabili, non facendosi nella legge distinzione 
tra aree strettamente edificabili ed aree di contorno, destinate allo 
sfogo ed ai servizi dell'edificio, purch� queste siano nella prescritta 
proporzione con l'area edificata. 

La censura � infondata. Invero la edificabilit� dell'intera area 
acquistata costituisce il presupposto �per la concessione dei ben~ci 
fiscali, mentre la norma contenuta nel capoverso dello stesso articolo 
non costituisce integrazione della nozione di edificabilit� ai fini della 
concessione dei benefici stessi, ma contiene solo le condizioni per la 
conservazione dei benefici stessi, nel senso che, a costruzione ultimata, 
tale area deve risultare edificata per almeno un terzo. Pertanto, se 
l'area � solo in parte edificabile a causa di vincoli creati dal piano 
regolatore, i quali prevedano, come nel caso in esame, la destinazione 
di parte del suolo acquistato a strada pubblica, il beneficio � dovuto 
solo limitatamente alla parte del suolo non soggetto al vincolo di piano 
regolatore ed in quanto, inoltre, tale porzione di suolo sia stata coperta 
da costruzioni nella misura richiesta dal capoverso dell'articolo in questione. 
D'altronde, non � inutile osservare che, adottandosi la interpretazione 
sostenuta dal ricorrente, la prima parte dell'articolo, laddove 
richiede un'area edificabile, diverrebbe inutile perch� il precetto in 
tal senso verrebbe sufficientemente espresso dalla norma contenuta nel 
capoverso. 

Con il secondo motivo si sostiene la violazione e la falsa applica


zione degli artt. 1362 e 1363 e.e., dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, 

edificabilit� relativamente alla parte vincolata, ed esclude pertanto, in tali 

limiti, la possibilit� di applicazione del beneficio. 

Su tale punto deve ricordarsi che in precedenza la Cassazione, con la 

sentenza 3 luglio 1968, n. 2222 (in Riv. leg. fisc., 1969, 246) aveva affermato 

che �la eventuale esistenza di vincoli amministrativi e giuridici, specie se 

di carattere non assoluto ed inderogabile, alla edificabilit� dell'area, non 

costituisce ostacolo alla concessione del beneficio di cui all'art. 14 della 

I. n. 408 del 1949, perch�, essendo prevista dalla norma l'altra condizione 
relativa alla effettiva ,edificazione dello speciale tipo di abitazioni previsto 
dalla legge, rimane a cura di chi ha interesse a conseguire il beneficio 
il far rimuovere, se possibile, i vincoli e gli impedimenti esistenti entro 
il termine di legge, decorso il quale verr� meno, per inosservanza del 
medesimo, il beneficio �. � 
� per� da ritenere che tale affermazione trovi esclusiva giustificazione 
nella particolarit� della fattispecie allora decisa e in cui, nonostante il 
vincolo di piano regolator,e, di carattere non assoluto e inderogabile, l'area 
di cui all'atto tassato era stata effettivamente edificata dal compratore in 
conformit� delle prescrizioni di cui alla 1. n. 408 del 1949. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 871 

n. 408, nonch� delll'art. 360, n. 5 c.p.c. in relazione all'art. 360, n. 3 
e n. 4 c.p.c., deducendosi che la Corte di merito ha erroneamente 
escluso che la parte del suolo destinata dal piano regolatore a strada 
pubblica costituisse, pure in tale situazione giuridica, un accessorio in 
senso lato del suolo edificato. Inoltre la Corte non aveva considerato 
che, al momento della compravendita, tale suolo vincolato era ancora 
di propriet� privata e come tale era stato considerato dalle parti nella 
contrattazione, stabilendo un unico prezzo complessivo per tutto il suolo. 
La censura � infondata. Invero, costituendo l'edificabilit� del suolo 
acquistato il presupposto per la concessione dei benefici previsti dall'art. 
14 della legge 2 luglio 1949, n. 408, essa deve sussistere al momento 
della stipulazione del contratto e tale presupposto essendo stabilito 
dalla legge va valutato obbiettivamente, indipendentemente dal 
modo come le parti hanno considerato il suolo. Pertanto, esclusa la 
edificabilit� di parte del suolo per l'esistenza di vincoli di piano regolatore, 
� superfluo esaminare se il suolo stesso nella previsione delle 
parti sia considerato accessorio o pertinenza del restante suolo o se, 
comunque, non si sia tenuto conto, ai fini del prezzo, della sua inedificabilit�. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1969, n. 1296 -Pres. Pece Est. 
Falletti -P. M. Caccioppoli (conf.) -Banca Nazionale del 
Lavoro (avv. Scandale) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Salvatori). 


Imposta di registro -Vendita -Pagamento di parte del prezzo mediante 
consegna al venditore di un libretto di deposito vincolato, 
quanto all'esigibilit�, al benestare del compratore -Desposito 
autonomo -Tassabilit� ex art. 38 tariff all. A legge registro. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 8; tariffa all. A, art. 38). 
Imposta di registro -Vendita -Pagamento di parte del prezzo mediante 
consegna al venditore di un libretto di deposito vincolato, quanto 
all'esigibilit�, al benestare del compratore -Oggetto della tassazione 
-Libretto di deposito -Esclusione. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tabella ali. D, art. 27). 
n pagamento di parte del prezzo deHa compravendita mediante 
consegna di un Libretto di risparmio vincolato, quanto all'esigibilit�, al 
benestare del compratore e con rilascio da parte del venditore di ampia 



872 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

e formale quietanza a saldo, equivale alla materiale consegna della 
somma corrispettiva. Tale clausola rivela un duplice contenuto dell'atto: 
stipulazione di una compravendita ed autonoma, seppur connessa, 
pattuizione di deposito tassabile ai sensi dell'art. 38 tariffa all. A 
alla legge di registro. Poich� il punto saliente della fattispecie non 
consiste nel deposito detla somma sul libretto, ma nel deposito e� nella 
consegna della somma stessa dall'uno all'altro contraente, la convenzione 
di deposito non pu� ritenersi meramente enunciata dall'atto, ma 
risulta direttamenbe dal contesto di questo ultimo (1).� 

In tale ipotesi oggetto della tassazione non � gi� il libretto, nella 
sua propria essenza e funzione, quale documento e strumento di un 
deposito a risparmio (art. 27 della tabella all. D), bens� il contratto 
riguardante il deposito della somma lasciata presso la banca, e cio� 
una diversa ed autonoma convenzione in rapporto alla quale il libretto 
non � che la forma ed il mezzo onde la convenzione stessa viene attuata 
(2). 

(Omissis). -Le censure proposte dalla ricorrente, con cui � denunciata 
la violazione degli artt. 1362, 1766 e segg. e.e., 8 della legge 
di registro; 28 e 38 della relativa tariffa all. A; 27 della tabella ali. D; 
346 c.p.c. si articoano in quattro punti: 

1) La Corte d'appello, ravvisando nelle semplici modalit� di un 
pagamento condizionato l'ipotesi di una somma data in deposito, non 
soltanto ha frainteso la relativa clausola contrattuale, ma non ha pure 
avvertito che del deposito mancano nella specie i requisiti sostanziali 

(1-2) Non constano precedenti in termini. Per riferimenti possono 

consultarsi le sentenze della Cassazione 2 agosto 19.68, n. 2752 (in Riv. 

leg. fisc. 1969, 648) e 17 febbraio 1969, n. 558 (ivi, 1969, 1166). In ambedue 

i casi decisi con le �citate .sentenze si prevedeva la possibilit� per la banca 

finanziatrice o mutuante di trattenere in deposito infruttifero tutta o parte 

della somma oggetto del finanziamento o del mutuo a garanzia di propri 

crediti e con facolt� od obbligo di erogarla a determinate condizioni. Pe


raltro in tali ipotesi la questione discussa riguardava la sussistenza o meno 

di pi� disposizioni necessariamente connesse e derivanti, per l'intrinseca 

loro natura, le une dalle altre, mentre nella specie la controversia si � 

incentrata in via principale sul punto se l'atto contenesse od enunciasse 

un contratto di deposito autonomamente tassabile ed, in via subordinata, 

se oggetto di tassazione non dovesse essere il libretto ai sensi dell'art. 27 

tabella D. 

La Corte ha risolto in senso favorevole alla finanza entrambi i quesiti, 

affermando alcuni principi di indubbio interesse. 

In primo luogo � �Stato ritenuto che, laddove il venditore rilasci ampia 

e finale quietanza della somma pattuita a titolo di prezzo, non ha rilievo 

lo strumento tecnico impiegato per effettuare la relativa consegna, onde, 

anche se questa avvenga tramite un libretto di risparmio nel quale la 


t'ARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA, 873 

e giuridici: le situazioni stesse del depositante e del depositario, la 
consegna della cosa, l'obbligo di custodire e restituire. Non si � inoltre 
limitata a vagliare l'atto nel suo proprio e testuale contenuto, ma ha 
desunto il criterio della sua tassabilit� da circostanze estranee e arbitrariamente 
supposte. 

2) Poich� il deposito e il vincolo della somma sul libretto di risparmio 
erano avvenuti prima che fosse stipulata la compravendita e 
prima che il libretto fosse consegnato alla venditrice, l'atto notarile 
non poteva contenere anche un negozio di deposito: la Corte perci� 
ha contraddittoriamente fondato il suo giudizio non sull'oggetto ma 
su un'enunciazione dell'atto, un'enunciazione riguardante un libretto 
di risparmio e non tassabile quindi se non nei limiti dell'art. 27 tab. D. 

3) La Oorte ha negato l'applicabilit� dell'art. 27 cit. perch� nella 
specie il libretto non avrebbe una funzione di risparmio; ma l'art. 27, 
che comprende numerose e non congeneri ipotesi, non richiede n� 
presuppone una simile finalit�. 

4) L'art. 28 della tariffa ali. A esclude un'autonoma ed ulteriore 
imponibilit� nel caso in cui l'obbligazione pecuniaria sia il corrispettivo 
di una trasmissione mobiliare o immobiliare registrata. La Corte 
di merito non ha esaminato questo argomento, ritenendone erroneamente 
l'inammissibilit� alla stregua di una domanda o di un'eccezione 
non riproposta in grado di appello. 

Nessuna di queste censure � fondata. 

La Corte d'appello ha osservato, con �n rilievo testualmente de


sunto dal rogito notarile, che la venditrice, avendo ricevuto in con-

somma stessa si trovi depositata, deve pur sempre ammettersi clre sia 
intervenuto �1 pagamento del corrispettivo della compravendita. II meccanismo 
escogitato dalle part� contraenti non pu� che essere interpretato, 
in virt� del principio sancito dall'art. 8 della legge di registro, nel senso 
di un successivo deposito della somma da parte del venditore presso il 
compratore, a nulla rilevando che lo strumento relativo sia stato gi� predisposto. 
Ci� importa come conseguenza che nessun rilievo assume il criterio 
temporale delle operazioni strumentali relative alla stipulazione dei 
negozi contenuti nell'unico atto, dovendosi invece aver riguardo alla funzione 
delle operazioni stesse nell'ambito dell'assetto dei contrapposti interessi 
scelto dai contraenti. Donde la giusta prevalenza attribuita al nesso 
logico tra le diverse pattuizioni e la sottolineata rilevanza del criterio di 
obbietiva interpretazione delle clausole contrattuali in relazione agli scopi 
desumibili dalla loro formulazione. 

In particolare la Corte ha dissipato ogni equivoco fondato sulla con


segna del libretto dall'acquirente al venditore la cui duplice funzione � 

stata chiaramente individuata nella consegna della somma dal secondo al 

primo e nella documentazione formale del successivo deposito effettuato 

nelle mani di quest'ultimo. A ragione pertanto -e l'importanza della 

affermazione non pu� sfuggire -1a sentenza ribadisce che l'operazione 

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riff1%Wf:f:iffiffifiW'.ff%1'%1ffffatif@Jfi'Wiiffff@%fffit%1:%ffilfffiliiif%infiffitfi@ffaffiN%Mi@fSK@IffffMKifi@E%ff@I~~ 


874 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tanti la somma di L. 10 milioni e ricevendo inoltre la somma di L. 66 
milioni depositata su un libretto di risparmio, rilasci� alla compratrice 

�ampia e finale .quietanza a saldo�. Ed ha quindi ritenuto, con un 
giudizio di evidente coerenza e ragione, che in tal modo i contraenti 
avevano attribuito efficacia liberatoria alla consegna del libretto, come 
equivalente alla materiale consegna della somma corrispettiva, e che 
avevano inteso come definitivamente avvenuto il pagamento del residuo 
prezzo della compravendita. E questo d'altronde, identicamente espresso, 
era anche il pensiero dell'appellante, la quale appunto scriveva nelle 
sue difese che � la venditrice ha accettato questa forma di pagamento, 
ritenendo con ci� adempiuta l'obbligazione della compratrice, ed ha 
quindi rilasciato ampia e finale quietanza a saldo, con esonero del 
conservatore dei registri immobiliari dall'obbligo di iscrivere ipoteche 
legali, assumendo pertanto a proprio esclusivo carico il rischio dello 
scioglimento del vincolo e della effettiva esazione della somma portata 
dal libretto �. Non si giustifica dunque, a questo punto, n� la tesi di 
un pagamento condizionale (la cui sussistenza e non la disponibilit� 
consecutiva d'una somma ormai pagata e quietanzata fosse soggetta 
alla prevista condizione ed al vincolo corrispondente), n� l'alterazione 
dell'oggetto del deposito e l'incongruenza (o l'inesistenza addirittura) 
dei soggetti di un simile negozio: come se la Corte d'appello avesse 
inteso che il deposito riguardasse il libretto anzich� la somma in esso 
rappresentata, che depositaria ne risultasse assurdamente la venditrice 
e depositante viceversa la_ banca compratrice. 
materiale del deposito della somma nel libretto da parte della banca acqUirente 
non ha alcuna rilevanza giuridica nel contesto della fattispecie 
contrattuale caratterizzata, invece, mediante il rilascio di quietanza a saldo 
da parte del venditore ed il vincolo di indisponibilit� della somma pattuito 
a favore dell'acquirente, e cio� da due negozi distinti ed autonomi: compravendita 
e deposito. 

La sentenza annotata contribuisce altresi, sia pure implicitamente, a 
delineare i connotati dell'enunciazione prevista dall'art. 62 1.o.r.: questa 
infatti ricorre quando l'atto non ponga in essere esso stesso il negozio della 
cui tassazione si discute: l'enunciazione, cio�, pr�esuppone un negozio gi� 
stipulato e semplicemente richiamato dall'atto �enunciante, il che ovviamente 
non si verifica quando il rapporto trovi la sua fonte nelle pattuizioni dell'atto 
tassato. ln tale ipotesi si � totalmente al di fuori della fattispecie 
dell'enunciazione perch� non sussiste quel nesso di mero riferimento estrinseco 
tra negozio e negozio che giustifica l'appli�azione dell'art. 62. 

La Corte ha infine chiarito il rapporto tra la previsione dell'art. 38 
tariffa all. A e quella dell'art. 27 tabella all. D. Il primo si riferisce al 
contratto di deposito, il secondo alla relativa documentazione. E poich� 
nella specie la tassazione riguardava il primo e non il documento (libretto), 
la sentenza annotata, con perfetta coerenza alla normativa citata, ha escluso 
l'ipplicabilit� dell'art. 27 tabella D. 

R. SEMBIANTE 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 875 

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Oggetto del deposito, come chiaramente si legge nella sentenza 
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impugnata, fu invece la somma di L. 66 milioni, che la banca pag� e 

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la venditrice ricevette a saldo del prezzo, e cio� la medesima somma 

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che, mediante il meccanismo del libretto e del suo vincolo, la vendiI 


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trice contestualmente rilasci� nella disponibilit� della banca e che 
questa si obblig� a restituire (e frattanto a custodire) quando si fosse 
verificata la condizione pattuita. Queste circostanze, nei momenti e 
negli elementi costitutivi del negozio, la Corte d'appello ha immediatamente 
desunto dal contenuto proprio dell'atto, secondo gli effetti giuridici 
e l'intrinseca portata delle sue stesse clausole. E cosi, non solo 
il titolo, le persone e l'oggetto sono stati correttamente individuati, 
nella precipua inerenza delle rispettive qualificazioni, ma anche il requisito 
costitutivo della consegna ha trovato riscontro e ineccepibile 
dimostrazione nel fatto di una somma rimasta presso la banca, vincolata 
per l'esigibilit� al suo "benestare, nel momento medesimo in cui 
la propriet� ne passava all'acquirente; una tradizione, ripetesi, che 
riguardava la somma, non il libretto, il quale ultimo non andava consegnato 
al depositario, come cosa da custodire e restituire, ma spettava 
al depositante, come documento e titolo formale del deposito. 

Proprio guardando alla � realt� sostanziale � del complessivo rapporto, 
quale emergeva dalle clausole documentate nell'atto, la Corte 
d'appello ne ha dimostrato il duplice contenuto�; la stipulazione di una 
compravendita e un'autonoma, sep~ur connessa, pattuizione di deposito, 
in virt� della quale la venditrice si impegnava a lasciare la somma 
di L. 66 milioni nella disponibilit� della banca, fin quando non si 
fosse verificata la condizione a cui era subordinato lo svincolo, e da 
parte sua la banca assumeva l'obbligo di pagare o di rendere comunque 
esigibile la somma a favore della venditrice al verificarsi della medesima 
condizione. Esattamente la Corte d'appello ha negato rilevanza 
al particolare che la compilazione del libretto e l'annotazione del Vincolo 
fossero state predisposte dalla banca prima che le parti si incontrassero 
davanti al notaio per la stipulazione del rogito: quelle non 
erano che operazioni materiali, eseguite per accordo fra le parti e gi� 
pronte per essere sanzionate nell'atto pubblico, temporalmente rapportate 
al medesimo. Dalla stipulazione perci� del menzionato contratto 
e dal suo proprio contenuto si poteva e doveva desumere il fondamento 
dell'obbligazione tributaria, non dalle modalit� meramente tecniche 
e strumentali dell'affare n� dal ripetuto equivoco degli oggetti: 
perch� il punto saliente e la ragione imprescindibile della fattispecie 
non consistevano nel deposito della somma sul libretto, ma erano il 
deposito e la consegna della somma, comunque formata o rappresentata, 
dall'uno all'altro contraente. E correttamente dunque, sulla base di 

queste premesse, la Corte d'appello ha ritenuto che la convenzione di 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

deposito risultava dal contesto del rogito direttamente e non poteva 
quindi ritenersi meramente enunciata dall'atto stesso. 

Ed era chiara altres� e soltanto conseguenziale la constatazione, 
gi� espressa nella sentenza di primo grado e ripetuta dalla Corte d'appello, 
che oggetto della tassazione non era gi� il libretto, nella sua 
propria essenza e funzione, quale documento e strumento di un deposito 
a risparmio (art. 27 della tabella ali. D), ma bens� il contratto riguardante 
il deposito della somma lasciata presso la banca, e una diversa 
ed autonoma convenzione in rapporto alla quale il libretto non era 
che la forma e il mezzo (fra altre forme e mezzi parimenti adottabili) 
onde la convenzione stessa (unica, invece, e determinante) veniva 
attuata. 

Per quanto attiene, poi, al richiamo all'art. 28 all. A, a torto la 
Corte d'appello lo ha pregiudizialmente disatteso ritenendolo quale 
eccezione che non fosse stata tempestivamente riproposta. Trattavasi, 
infatti, non gi� di eccezione ma di semplice argomento difensivo, insuscettibile 
quindi di preclusione. Tuttavia il mancato esame di tale argomentazione 
nel merito non importa perch� le ragioni positivamente 
addotte dalla impugnata sentenza a sostegno della pronuncia bastavano, 
anche per implicita contraddizione, a dimostrare l'inconsistenza giuridica 
di detta argomentazione. Invero, poich� nel rapporto de quo la 
Corte ha specificamente ed esattamente individuato l'ipotesi prevista 
dall'art. 38 all. A, gli elementi di codesta verifica non potevano che 
escludere, nella propria ed esauriente peculiarit�, l'applicabilit� dell'art. 
28 della stessa tariffa, postoch� detto art. 28 postula pur sempre, 
sotto pena di una inammissibile duplicazione di imposta, un titolo di 
obbligazione autonomo ed autosufficiente. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 maggio 1969, n. 1638 -Pres. Favara 
-Est. Berarducci -P. M. Pedote (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Cavalli) c. Palmieri (avv. Mariano. e Tolli). 

Imposta di registro -Agevolazioni ex art. 8 1. 24 luglio 1961, n. 729 per 
la costruzione e l'esercizio delle autostrade -Appalti stipulati 
dall'A.N.A.S. -Applicabilit� delle agevolazioni. 

(1. 24 luglio 1961, n. 729, art. 8). 
La norma del primo comma dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, 

n. 729 si riferisce non solo alle autostrade da costruirsi e gestirsi dalle 
societ� concessionarie, ma anche alle autostrade e strade da co�struirsi 
direttamente dall'A.N.A.S. Pertanto gli appalti stipulati fra l'A.N.A.S. 
e i terzi appaltatori per la costruzione delle dette autostrade e strade 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 877 

sono soggetti alla esenzione tributaria di cui alla suddetta dispooizione 
(1). 

(Omissis). -Con l'unico motivo di ricorso, denunciandosi violazione 
dell'art. 8 della legge 24 luglio 1961, n. 729, e dell'art. 360, nn. 3 
e 4, c.p.c., si lamenta che la Corte del merito abbia escluso la sussistenza 
di un collegamento necessario fra le norme del primo e dell'ottavo 
comma dell'art. 8 della citata legge n. 729 del 1961. Si assume 
che la dizione della norma dell'ottavo comma, e in luogo delle imposte, 
tasse e tributi di cui ai commi precedenti le societ� concessionarie corrisponderanno 
all'Erario dello Stato una quota fissa di abbonamento 
annuo... ., comporta, necessariamente, il collegamento di tale norma 
a quella del primo comma dello stesso articolo, di modo che� tutte le 
disposizioni di detto articolo, relative alla esenzione, si riferiscono, in 
via generale, soltanto alle societ� concessionarie, per le quali � previsto 
il regime dell'abbonamento tributario. Si aggiunge che non � stato considerato 
che tutte le norme della legge n: 729 del 1961, che precedono 
l'art. 8, e alle quali questo intende riferirsi, si richiamano, manifestamente 
e simultaneamente, all'attivit� di costruzione e di esercizio delle 
autostrade. 

Il motivo � infondato. 

La tesi della ricorrente, secondo cui la norma dell'ottavo comma 
dell'art. 8 della legge n. 729 del 1961, sarebbe collegata alla norma del 
primo comma dello stesso articolo, onde tutte le disposizioni relative 
alla esenzione tributaria in detta ultima norma contenute si riferirebbero 
unicamente alle societ� concessionarie indicate nella norma dell'ottavo 
comma, trova, invero, un insormontabile ostacolo nel testo 
letterale della norma di cui al predetto primo comma. 

Dispone, infatti, letteralmente, tale norma che e tutti gli atti e 

contratti occorrenti per l'attuazione della presente legge ivi compresi 

le convenzioni per le concessioni, i contratti relativi alle costruzioni ed 

all'esercizio delle autostrade previste dalla stessa legge; i contratti di 

appalto e di fornitura per la costruzione, manutenzione e gestione delle 

strade di cui sopra... sono esenti da tasse, imposte e tributi... �. 

Ora, se si considera che la legge in cui la norma sopra riportata 

� inserita, ha ad oggetto un piano di nuove costruzioni stradali ed 

(1) Con la presente sentenza e con altre undici identiche e coeve la 
Cassazione ha deciso in senso sfavorevole alla Amministrazione la nota 
,questione relativa alla applicabilit� dell'art. 8, primo comma, 1. 24 luglio 
1961, n. 729 agli appalti per la sola costruzione di autostrade stipulati 
dall'Anas. Diverso avviso aveva manifestato la Corte di Appello di Roma 
con la sentenza 21 giugno 1966, in questa Rassegna, 1966, 1, 1371. 

Al principio ora affermato � stata prestata acquiscenza per le considerazioni 
di cui alla circolare 13 novembre 1969, n. 21. 

8 



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878 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

autostradali, nel quale, diversamente dall'opinione dell'Amministrazione 
ricorrente, sono comprese, come risulta dalla stessa legge, oltre che le 
costruzioni autostradali da effettuarsi, con il sistema della concessione, 
da parte degli enti o societ� concessionari, anche le costruzioni stradali 
ed autostradali da effettuarsi direttamente dall'A.N .A.S., quali la costruzione 
dei raccordi, definiti dalla stessa legge � autostrade senza 
pedaggio > (art. 13, 1<> comma), la costruzione delle autostrade, in genere, 
e delle strade di grande comunicazione (art. 13, 4<> comma), la 
costruzione dell'autostrada Genova-Savona (art. 17, 2� comma) e la costruzione 
dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria (art. 15), e se si considera, 
altresi, che, in tal modo, dette ultime autostrade e strade figurano 
tra quelle espressamente � previste � dalla legge medesima, la conseguenza 
logica ed inconfutabile che ne discende � che, se le parole dal 
legislatore adoperate nella formulazione della norma in questione 
hanno un significato, questo non pu� essere se non nel senso che, nell'ampia 
accezione della locuzione � tutti gli atti e contratti occorrenti 
per l'attuazione della presente legge ., come nell'accezione della locuzione, 
esemplificativa, � ivi compresi i contratti relativi alle costruzioni 
ed all'esercizio delle autostrade previste dalla stessa legge., ed in 
quella, infine della locuzione del pari esemplificativa � i contratti di 
appalto per la costruzione... delle strade di cui sopra ., sono compresi 
anche gli atti ed i contratti relativi alle costruzioni delle anzidette auto-, 
strade da effettuarsi direttamente dall'A.N.A.S. e, quindi, anche i contratti 
di appalto per la costruzione di tali autostrade stipulati fra la 
medesima A.N.A.S. ed i terzi appaltatori. 

Ma, oltre che dal chiaro, preciso significato della norma sopra 
esaminata, la tesi dell'Amministrazione ricorrente � contrastata anche 
dalla ratio della norma stessa, che, essendo volta ad agevolare lo sviluppo 
del piano di costruzioni autostradali nel Paese, rende privo di 
qualsiasi giustificazione un trattamento differenziato, ossia un trattamento 
di favore esclusivamente nei riguardi degli atti e contratti relativi 
alla costruzione delle autostrade con il sistema della concessione 
e non anche nei riguardi degli atti e contratti relativi alla costruzione 
delle autostrade effettuata direttamente dall'A.N.A.S. a mezzo di appalti, 
in particolar modo considerando che, in quest'ultimo caso, il 
beneficio fiscale, incidendo sull'ammontare del corrispettivo dell'appalto, 
e, quindi, sul costo della costruzione, si risolve per l'A.N.A.S. in una 
economia di spesa e, conseguentemente, in una agevolazione dello sviluppo 
del piano di costruzioni autostradali, non meno, ed anzi ancor 
pi� -avendo in tal caso, il beneficio efficacia immediata nei confronti 
dell'A.N.A.S. -di quanto accade nella ipotesi delle costruzioni autostra� 
dali effettuate dalle societ� concessionarie, a mezzo di appalti privati. 


N�, infine, � superfluo rilevare che la conferma della volont� del 
legislatore, nel senso sopra esposto, � fornita dal legislatore medesimo 


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W�l~l~f�FJIJrf�FJIJYJIJYJIJY~~f&rf�FJ 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 879 

con la legge 28 marzo 1968, n. 360, con la quale, dopo avere, nell'art. 1, 
disposto l'integrazione dei fondi per il completamento del programma 
di costruzione e sistemazione dei raccordi autostradali e delle strade 
di grande comunicazione -,-che, rispettivamente, dal primo e dal quarto 
comma dell'art. 13 della legge n. 729 del 1961, sono previsti come opere 
da compiersi direttamente dall'A.N.A.S. -nel successivo art. 3 letteralmente 
dispone che e ai lavori di cui ai precedenti articoli si applicano 
tutte le disposizioni �Contenute nella suindicata� 1egge n. 729 ed in particolare 
quelle degli artt. 8, 9, 11 e 13 comma terzo �. Tale disposizione, 
invero, ha ca:rattere estensivo, nel senso che, con essa, si estendono agli 
ulteriori e lavori � previsti per il completamento del piano di costruzione 
e sistemazione dei raccordi autostradali e delle strade di grande 
comunicazione, i benefici fiscali gi� per l'attuazione di tale piano concessi 
con la legge n. 729 del 1961. Il che sta a significare che, per lo 
stesso legislatore, nella previsione della norma del primo comma dell'art. 
8 di detta ultima legge non rientrano solo gli atti ed i contratti 
relativi alla costruzione di autostrade da effettuarsi con il sistema della 
concessione, ma rientrano anche gli atti ed i contratti relativi alla 
costruzione delle autostrade e strade di grande comunicazione da effettuarsi 
direttamente dall'A.N.A.S. a mezzo di appalti. 

. Ci� posto, non gi�va opporre il preteso collegamento della norma 
dell'ottavo comma alla norma del primo comma dello stesso art. 8 della 
legge n. 72.9 del 1961, per desumerne, addirittura, una limitazione 
all'ambito di q�est'ultima norma, in contrasto, con la lettera e con la 
ratio della norma stessa. Tra l'altro, non si considera che il trattamento 
,fatto dalla norma dell'ottavo comma sopra citata esclusivamente alle 
societ� concessionarie, con l'imporre loro di corrispondere all'Erario 
dello Stato, e in luogo delle imposte, tasse e tributi di �CUi ai commi 
precedenti ., una quota fissa di abbonamento annuo, in ragione di centesimi 
cinque per ogni mille lire dei costi delle costruzioni, trova giustificazione, 
da un lato, nel fatto che alle societ� predette, oltre che il 
beneficio di cui alla norma del primo comma, sono concessi ulteriori, 
particolari benefici tributari, quali quelli, a carattere continuativo, previsti 
nei commi quarto, quinto, sesto e settimo dello stesso art. 8, ai 
quali, pertanto, l'ottavo comma va collegato, e dall'altro lato, nel fatto 
che le stesse societ� godono del diritto di pedaggio sulle autostrade da 
esse costruite e gestite; e, quindi, non si considera che tale giustificazione 
� sufficiente, di per s�, ad escludere che il legislatore, con la 
norma del predetto ottavo comma, abbia inteso limitare l'ambito di 
applicazione della norma di cui al primo comma dello stesso articolo. 
E neppure giova opporre che le norme della legge n. 729, le quali 
precedono l'art. 8, si richiamano simultaneamente all'attivit� di costruzione 
e di esercizio delle autostrade. La particella � e� fra i due termini 

� costruzione � ed e esercizio ., quanto meno nella norma del primo 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

880 

comma dell'art. 8 -che � quella che qui interessa -� stata, invero, 
usata non in senso cumulativo, ma in senso disgiuntivo, come risulta 
dal testo della norma stessa, il cui significato, come si � visto, � chiaramente 
nel senso che essa si riferiva non solo alle autostrade da 
costruirsi e gestirsi dalle societ� concessionarie, ma anche alle autostrade 
e strade da costruirsi direttamente dall'A.N.A.S. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 giugno 1969, n. 2091 -Pres. Malfitano 
-Est. Alibrandi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Cavalli) c. Soc. Italiana Produzione Calce e 
Cementi Di Segni (avv. Pieroni). 

Imposta ipotecaria -Contratti ad esecuzione continuata e differita Adeguamento 
della prestazione -Non costituisce atto tassabile. 

(1. 25 giugno 1943, n. 540, art. 1 e tariffa A art. 5; e.e. art. 1467), 
Nei contratti ad esecuzione continuata o differita, l'adeguamento 
della prestazione determinato per ristabilire l'equilibrio a seguito della 
svalutazione monetaria non d� luogo alla costituzione di un nuovo 
negozio soggetto all'imposta ipotecaria (n� a quella di registro), e ci� 
sia che l'adeguamento discenda dalla legge sia che sia pronunziato con 
sentenza a norma del terzo comma dell'art. 1467 e.e. (1). 

(Omissis). -Con i tre motivi del ricorso -da esaminarsi congiuntamente, 
in quanto svolgono censure strettamente connesse -la 
Amministrazione delle finanze denunzia falsa applicazione dell'art. 1467, 
comma 3, e.e.; in relazione all'art. 1230 stesso codice; contraddittoriet� 
o, quanto meno, insufficienza �di motivazione su punto decisivo della 
controversia; violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 3, 4, 
10, e n. 5 tabella, all. A, legge 25 giugno 1943, n. 540 delle imposte 
ipotecarie, con riferimento all'art. 72 e agli artt. 1, comma 2, 54 e n. 1 
tariffa A r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, il tutto in relazione all'art. 360, 
nn. 3 e 5 c.p.c. Deduce la ricorrente che a torto la Corte del merito, 
per negare il fondamento alla pretesa fiscale, si ~ limitata ad escludere 
una novazione, mentre era sufficiente una semplice modificazione delle 
originarie condizioni del contratto, come prevista dall'art. 1467, comma 
3 e.e., a giustificare la pretesa dell'Amministrazione. N�, secondo 
la ricorrente, � corretto equiparare, agli effetti fiscali, l'adeguamento 
dei canoni disposto dalla legge mediante criteri prestabiliti, a quello 

(1) La sent. 15 febbraio 1965, n. 234, citata nel testo, � pubblicata in 
questa Rassegna, 1965, I, 548 con nota critica di G . .ANGELINI ROTA, alla 
quale si rinvia. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 881 

operato in sede arbitrale ai fini della riduzione ad equit� di un contratto 
per evitarne la risoluzione per eccessiva onerosit�. Assume, poi la 
ricorrente che � contraddittoria la motivazione della sentenza l� dove 
la Corte esclude che si sia verificata alcuna variazione dell'originaria 
prestazione contrattuale e riconosce, poi, che � intervenuta la determinazione 
del nuovo canone. Lamenta, ancora, la ricorrente che la 
Oorte si � limitata a considerare la legge n. 540 del 1943 senza tener 
presente il collegamento esistente tra le norme della legge sulle imposte 
ipotecarie e quelle della legge sull'imposta di registro, incorrendo I 
peraltro nell'errore di attribuire al lodo arbitrale efficacia puramente 
dichiarativa, mentre esso ha effetti costitutivi di un titolo che, sostanzialmente, 
tiene luogo di un nuovo contratto intervenuto tra le parti. 

Le riassunte censure non sono fondate. 

Gi� questa Corte suprema ha preso in considerazione il problema 
del trattamento fiscale dell'adeguamento dei canoni, relativi ad una 
prestazione contrattuale di contenuto pecuniario, che periodicamente, 
si ripete nel tempo, al mutato potere di acquisto della moneta, verificatosi 
nel corso del rapporto, ed ha affermato che l'adeguamento 
non comporta una modificazione del contratto e, quindi, non � soggetto 
all'applicazione <li una nuova imposta di registro (sent. 15 febbraio 
1965, n. 234). Tale precedente decisione, anche se adottata con 
riferimento all'imposta di registro ed in relazione ad aumenti di 
canoni disposti per legge (d. I. 7 gennaio 1947, n. 24 e legge 21 gennaio' 
1949, n. 8), applica tuttavia principi di carattere generale sulla 
natura e sugli effetti dell'adeguamento dei canoni, principi operanti 
anche nel caso in esame, in cui viene in considerazione una non diversa 
situazione economico giuridica delle parti contraenti, pure determinatasi 
per il fenomeno della svalutazione della moneta, che 
aveva sovvertito l'equilibrio delle prestazioni corrispettive originariamente 
stabilito dalle parti. 

La Corte del merito, dopo aver rilevato che la determinazione 
del nuovo canone, operata attraverso l'intervento degli arbitri e agli 
effetti di quanto dispone l'art. 1467 e.e., costituisce soltanto una 
diversa espressione numerica della originaria prestazione, avendo la 
funzione di ristabilire l'iniziale equilibrio economico, ha conseguentemente 
escluso non solo la novazione oggettiva della obbligazione contrattuale 
dell'odierna resistente, ma anche una modificazione dell'oggetto 
del contratto, in quanto la pronuncia degli arbitri non ha altra 
portata che quella di ricondurre il contratto alla sua originaria funzione 
di regolamento di interessi delle parti, in guisa che la prestazione 
dovuta dall'una torni a bilanciarsi con quella dovuta dall'altra. 

Tale pronuncia � da ritenere esatta e le argomentazioni svolte a 

suo sostegno costituiscono una congrua motivazione, informata a cor


retti criteri logico-giuridici. 

. ' 


882 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Invero, la � reductio ad aequitatem � del contratto offerta qalla 
societ� locataria e accolta dagli arbitri, non ha fatto che ripristinare 
l'equilibrio contrattuale venuto ad alterarsi nel corso del rapporto per 
effetto del fenomeno economico-finanziario del diminuito potere di 
acquisto della moneta. E dalla funzione di mero adeguamento monetario 
ravvisata dalla Corte del merito agli aumenti di canoni, detti 
aumenti, solo nominali, non posson dar luogo alla costituzione di un 
nuovo contratto, diverso oggettivamente da quello precedente e, quindi, 
assoggettabile all'imposta ipotecaria di trascrizione di cui al n. 5 della 
Tabella A, allegata alla legge n. 540 del 1943. Solo in apparenza pu� 
sembrare modificata la prestazione dovuta dalla societ� Produzione 
Calce e Cementi di Segni, ma, in effetti, essa era stata modifica.ta solo 
nella sua espressione numerica (ammontare dei canoni) per renderla 
aderente al mutato livello del valore della moneta e, quindi, non per 
innovare o modificare il regolamento contrattuale, ma per restaurare 
l'originario equilibrio delle prestazioni, cosi come voluto dalle parti 
contraenti. 

raie Ultimo rilievo in ordine ad una soltanto apparente modificazione 
della prestazione dovuta dalla locataria chiarisce, sul punto, la 
. � ratio decidendi � della sentenza denunziata e priva di ogni efficacia 
critica la censura della ricorrente che con il secondo mezzo lamenta 
contraddittoriet� di motivazione. 

N� a diverso avvis<> pu� indurre l'argomento svolto dalla difesa 

ricorrente che richiama, a sostegno della sua tesi, la necessit� di discri


minare tra aumenti dei canoni disposti per legge (come nel caso di 

cui alla pre.cedente sentenza di questa Corte n. 234 del 1965) ed aumenti 

disposti con sentenza (o con lodo arbitrale) in applicazione �di quanto 

prevede l'art. 1467, comma terzo, cod. civ.. Invero, agli effetti del pro


blema di diritto tributario che occorre risolvere, la distinzione sud


detta si ravvisa priva di rilevanza. Infatti, sia nel �caso di adeguamento 

dei canoni � ope legis �, sia in quello di adeguamento � ope iudicis �, 

non diverso � il risultato economico-giuridico e i suoi effetti sul con


tratto commutativo, che resta, nella sua sostanza, inalterato, perch� 

ricondotto alla sua funzione di strumento destinato a regolare un rap


porto patrimoniale, mediante valutazi.one del rispettivo sacrificio e van


taggio, fatto da ciascuna delle parti al momento della conclusione del 

negozio. 

Sempre a proposito d�ll'accennata discriminazione, sulla quale fa 

in particolar modo leva la ricorrente, non sembra inutile ricordare che 

gi� questa Corte suprema ha ritenuto che l'istituto della perequazione 

dei canoni d'affitto dei fondi rustici (art. 5 d.l.C.P.S. 1� aprile 1947, 

n. 277) altro non costituisce se non un'applicazione, sia pure con particolari 
adattamenti alla speciale materia, del principio di cui all'articolo 
1467 cod. civ. il quale. stabilisce che, se la prestazione di una delle 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

parti � divenuta eccessivamente onerosa, per il verificarsi di avvenimenti 
straordinari ed imprevedibili, la parte che deve tale prestazione 
pu� domandare la risoluzione del contratto (sent. 26 luglio 1961, 

n. 1815 e sent. 9 maggio 1962, n. 219). E a ulteriore conferma di quanto 
si � detto, pu� anche richiamarsi il fondamento tecnico della risoluzione 
per eccessiva onerosit� e del suo rimedio (riduzione del contratto 
ad equit�) individuato dalla dottrina pi� autorevole non gi� in una 
presunta volont� delle parti, ma in un difetto della causa del contratto, 
in quanto l'eccessiva onerosit�, alterando il rapporto commutativo, 
fondato sull'a,deguatezza dei reciproci sacrifici delle parti contraenti, 
si risolve in un vizio funzionale della causa del negozio. 
Non miglior fondamento assiste le censure svolte nel terzo mezzo. 
Ben vero che tra le norme della legge sulle imposte ipotecarie e quelle 
della legge sull'imposta di registro esiste un collegamento, richiamando 
la legge n. 540 del 1943 quella del registro sia per quanto concerne 
il �valore su cui si applica l'imposta di registro� (art. 4), sia per 
quanto riguarda � la riscossione delle imposte e sopratasse� (art. 10), 
ma � anche vero che l'argomento non � rilevante ai fini della soluzione 
del caso in esame. Infatti, la deduzione difensiva, considerata in riferimento 
alla concreta fattispecie di causa, si ravvisa viziata da petizione 
di principio..Con essa, si d� come postulato l'affermazione per 
cui l'adeguamento dei canoni al diminuito potere di acquisto della moneta 
importi modifica del contenuto del contratto, mentre tale proposizione, 
lungi dal presentare carattere assiomatico, � invece quella che 
si deve dimostrare, imperniandosi appunto su di essa la questione giuridica 
centrale della controversia, come le considerazioni �dianzi svolte 
mettono in luce. Pertanto, i conseguenziali argomenti svolti dalla ricorrente 
sono privi di pregio muovendo da falsa premessa, perch� 
viziata da � petitio principii �. 

Consegue che si deve rigettare il ricorso e condannare l'Amministrazione 
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione a 
favore della Soc. It. Produzione Calce e Cementi di Segni. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2204 -Pres. Favara 
-Est. Usai -P. M. Raja (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Alibrandi) c. Soc. Incas. 

Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Prescrizione -Interruzione 
-Effetti. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, art. 140 e 141). 
La prescrizione � interrotta a favore di entrambe le parti non limitatamente 
alla pretesa o all'accertamento specifico che forma oggetto 
dell'atto interruttivo bens� in relazione all'intero rapporto tributario 


884 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

inerente all'atto sottoposto a registrazi01J,e; conseguentemente tanto il 
contribuente quanto la Finanza possono rimettere in discussione� e rie�saminare 
senza limitazioni tutta la materia tassabile, e la Finanza pu� 
anche aggravare la misura della tassazione o assoggettare l'atto ad 
un'aliquota diversa, qualunque sia stato il motivo della domanda o 
detz'opposizione del contribuente (1). 

(Omissis). -Con l'unico mezzo la ricorrente, deducendo la violazione 
e la falsa applicazione degli artt. 136, 140 e 141 del r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3269 (legge di registro) e dei principi che regolano 
la prescrizione in materia tributaria, in relazione all'art. 360, n. 3, 
cod. proc. civ., ha rilevato che la sentenza impugnata, dopo aver ammesso, 
in linea di principio e di diritto, che il corso della prescrizione 
era stato interrotto ed era rimasto sospeso in favore di entrambe le 
parti ai sensi degli artt. 140 e 141 della legge di registro, aveva poi 
disapplicato in concreto tale principio osservando che l'interruzione e 
la sospensione potevano valere soltanto nell'ambito oggettivo in cui la 
interruzione si era verificata (sussistenza o meno di un contratto di 
appalto) e non potevano essere spostate fuori di tale ambito, come 
invece era avvenuto nella .specie pretendendo, poi, la Finanza di tassare 
l'atto Malaguti come se contenesse una permuta. 

Ci� premesso, la ricorrente ha osservato che ci� contrastava coi 
principi fissati da questa Corte suprema, la quale aveva ripetutamente 
chiarito che l'effetto interruttivo non era limitato alla pretesa o all'accertamento 
specifico oggetto dell'atto interruttivo, ma si estendeva a 
tutta la materia tassabile, che di conseguenza poteva essere rimessa 
tutta in discussione sia dal contribuente che dalla Amministrazione. 

Nella specie, ha precisato la ricorrente, la materia tassabile era 
data dal contenuto intrinseco dell'atto Malaguti 10 novembre 1950, 
il quale conteneva il trasferimento di un'area fabbricabile dietro corrispettivo 
della consegna di alcuni locali, gi� individuati, dell'edificio 
che. sarebbe stato costruito: questo era l'atto da tassare e, ai fini della 
tassazione si ,imponeva la individuazione del rapporto o dei rapporti 
giuridici che le parti avevano inteso di porre in essere. La Finanza 

(1) Giunge opportuna una nuova precisazione del particolare effetto 
che l'atto interruttivo produce su tutto ci� che � controvertibile intorno 
alla registrazione di un atto. Viene anche ulteriormente confermata la 
motivazione di tale concetto sul principio che l'obbligazione tributaria di 
registro nasce dalla legge e deve essere attuata in conformit� della norma 
mediante correzioni, anche ripetute, di eventuali �errori al fine di eliminare 
il di'V'ario tra l'obbligazione quale � secondo la legge e quella in concreto 
accertata. Vedi in argomento la nota di C. BAFILE, Considerazioni sull'interruzione 
deila prescrizione delle imposte indirette, in questa Rassegna, 
1969, I, 280. 
:-.�. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 885 

vi aveva ravvisato, in aggiunta alla compravendita, un contratto di 
appato; interrotta la prescrizione in seguito alla pretesa tributaria diretta 
a percepire l'imposta di registro sull'atto di appalto, l'effetto 
interruttivo non restava limitato a tale specifica pretesa, ma valeva 
a rimettere in discussione tutta la materia tassabile costituita dalla 
esatta qualificazione, agli effetti tributari, dell'atto Malaguti e quindi 
ben poteva la Finanza, successivamente, quando il nuovo periodo di 
prescrizione non si era ancora compiuto, avanzare la pretesa che l'atto 
Malaguti contenesse invece una permuta di cosa presente (area fabbricabile) 
contro cosa futura (locali da costruire) perch� si trattava sempre 
di individuare l'intrinseca natura dell'atto, se, .eio�, con esso si fosse 
posta in essere una compravendita ed un appalto ovvero una permuta. 

Il motivo � fondato. 

La Corte del merito ha, invero, enunciato e applicato il seguente 
principio: la materia tassabile a cui si estende la efficacia interruttiva 
di un atto promosso dal contribuente o dalla Finanza ha una limitazione 
implicitamente necessaria con riferimento al contratto rispetto al quale 
� sorta la contestazione tributaria. Tale limitazione oggettiva dell'efficacia 
dell'atto interruttivo della prescrizione, se non pu� essere intesa 
nel senso rigoroso con cui tale principio trova applicazione nel diritto 
comune, � pur tuttavia sempre condizionata alla materia tassabile in 
ordine alla quale � sorta la controversia tra il Fisco e il contribuente 
e sono stati compiuti gli atti aventi efficacia interruttiva. 

Tale principio � errato perch�, come ha ripetutamente affermato 
questa Corte Suprema (Cass. 21 ottobre 1�967, n. 2565, 28 giugno 1963, 

n. 1769, 18 febbraio 1963, n. 393), sia nel caso di domanda in via 
amministrativa per rimborso o per opposizione, sia in quello di ricorso 
alle commissioni tributarie, la prescrizione triennale � interrotta a 
favore di entrambe le parti non limitatamente alla pretesa od all'accertamento 
specifico che forma oggetto dell'atto, bens� in relazione all'intero 
rapporto tributario inerente all'atto sottoposto a registrazione; 
conseguentemente tanto il contribuente quanto la Finanza possono 
rimettere in discussione e riesaminare senza limitazioni tutta la materia 
tassabile, e la Finanza pu� anche aggravare la misura richiesta 
della tassazione o assoggettare l'atto ad una aliquota diversa, qualunque 
sia il motivo della domanda o �dell'opposizione del contribuente. 
E dell'esattezza di tali principi non pu� dubitarsi se si considera 
quanto segue. 

L'obbligazione di pagare l'imposta di registro nasce per l'effetto 
della registrazione dell'atto. Per rendere concreta tale obbligazione 
occorre liquidare la tassa, ossia accertare il tributo e ci� comporta 
anzitutto la determinazione, alla stregua dei criteri propri della legge 
di registro, del contenuto dell'atto presentato alla registrazione. Tutte 
le volte che l'ufficio erra nell'eseguire tale determinazione e, quindi, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

886 

.anche se l'atto registrato contiene pi� convenzioni e l'ufficio accerti il 
tributo in relazione ad una sola di esse, sorge un divario tra l'obbligazione 
dovuta secondo la legge e quella accertata dall'ufficio; divario 
che deve essere eliminato con la richiesta dell'imposta suppletiva, 
la quale, per la stessa definizione che ne d� la legge del registro 
(art. 7) � diretta appunto a riparare gli errori o le omissioni in cui 
sia incorso l'ufficio, ossia a sostituire all'accertamento viziato quello 
esatto, in quanto conforme alla legge, nell'ambito dell'unica obbligazione 
tributaria sorta con la registrazione. 

In conseguenza, quando l'ufficio esegue, come ha fatto nel caso 
in esame, un accertamento suppletivo, manifesta la volont� di sostituire 
all'imposta erroneamente accertata quella realmente dovuta a tenore 
di legge per l'eseguita registrazione e quindi la relativa interruzione 
della prescrizione non pu� ritenersi circoscritta alla sola pretesa 
in concreto fatta valere con J'atto di accertamento suppletivo, ma deve 
essere estesa all'intero rapporto tributario inerente all'atto sottoposto a 
registrazione, senza alcuna limitazione, e, se tale atto contenga pi� 
convenzioni, anche ad un negozio diverso da quello fatto oggetto dell'iniziale 
accertamento suppletivo. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2209 -Pres. Rossano 
-Est. Falletti -P. M. Pedace (conf.) -Ministero de1 Tesoro 
(avv. Stato Coronas) c. Guetta (avv. Selvaggi). 

Violazione delle leggi finanziarie e valutarie -Pagamento di non residenti 
a residenti in Italia per cessioni di beni d'uso. e prestazioni 
di servizi in relazione al soggiorno in Italia -Pagamento 
eseguito da un terzo per conto dei debitori -Legittimit�. 

(d.1. 6 giugno 1956, n. 476, art. 2, 3 e 4). 
La deroga prevista dall'art. 3 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476 alle 
restrizioni stabilite sulla circolazione di valuta tra residenti e non residenti 
in Italia, si riferisce all'ipotesi che il pagamento di debiti di non 
1�esidenti sia oggettivamente in relazione a cessioni di beni d'uso e a 
prestazioni di servizi connesse al soggiorno dei non residenti in Italia; 
il pagamento pu� quindi essere eseguito anche da un terzo per conto 
dei debitori non richiedendosi dalla legge che l'adempimento sia eseguito 
personalmente. Non incorre pertanto nelle sanzioni di legge il 
residente che, ricevendo moneta italiana da banche italiane per conto 
di turisti stranieri, abbia provveduto a saldare i conti di alberghi. Cip 
non esclude che l'interferenza di un terzo che si pone in rapporti di 
intermediazione tra turisti stranieri, agenzie di viaggio e albergatori 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 887 
possa dar luogo a violazione di norme valutarie; ma tali possibili vioPARTE 
I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 887 
possa dar luogo a violazione di norme valutarie; ma tali possibili violazioni 
debbono essere nelle singole ipotesi accertate e dimostrate se 
non discendono dal sol fatto che il terzo abbia eseguito l'adempimento 
per conto di non residenti senza un espresso mandato (1). 

(Omissis). -Con decreto 23 maggio 1960 il Ministero del Tesoro 
infliggeva a Benedetto Guetta la pena pecuniaria di L. 7 milioni, di 
cui L. 5 milioni condonate, contestandogli di aver effettuato pagamenti 
in Italia per conto di debitori residenti all'estero, in violazione delle 
norme valutarie contenute nel decreto legge 6 giugno 1956, n. 476. 
Il Guetta, secondo il rapporto della polizia tributaria, si era interposto 
tra agenzie di viaggio straniere ed albergatori italiani, pagando a questi 
ultimi per conto delle prime il prezzo delle prestazioni eseguite a 
favore di turisti stranieri in Italia, e utilizzando all'uopo gli importi di 
assegni circolari, emessi da banche italiane, in Italia, su richiesta di 
persone rimaste sconosciute e spediti al Guetta. 

L'opposizione del Guetta, proposta contro il Ministero del Tesoro e 
contro il Ministero delle Finanze, veniva respinta dal Tribunale di Venezia, 
con sentenza 25 marzo 1964, per difetto di legittimazione nei 
riguardi del primo.. e per ragioni di merito nei riguardi del secondo. 
Ma la Corte d appello di Venezia, accogliendo con sentenza 5 aprile 
1966 il .gravame proposto dal Guetta contro il Ministero delle Finanze, 
riteneva che non sussistessero nella specie le violazioni contestate, e 
dichiarava pertanto non dovuta la pena pecuniaria come sopra inflitta. 

L'Amministrazione delle finanze ha proposto ricorso per cassazione, 
sulla base di due mezzi: resiste con controricorso Giuliana Guetta, 
succeduta quale erede del padre Benedetto Guetta, frattanto defunto. 
La ricorrente ha inoltre presentato una memoria. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Col primo mezzo, denunciando la violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 
7 del d.l. 6 giugno 1956, n. 476 e il difetto di motivazione su punti 
decisivi della controversia (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.) la ricorrente 
lamenta che la Corte di appello, per escludere l'illegittimit� delle operazioni 
valutarie imputate al Guetta, abbia soltanto considerato che i 
pagamenti da lui eseguiti corrispondevano alle prestazioni alberghiere 
ricevute in Italia da turisti stranieri. Secondo invece il ricorrente le 
norme citate limiterebbero entro l'ambito di pi� specifici requisiti le 
ipotesi di deroga ai propri divieti, e il loro carattere eccezional� imporrebbe 
un'interpretazione restrittiva. 

(1) Non constano precedenti. 

888 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Le censure non sono fondate. Basta rapportare le circostanze della 
fattispecie, come insindacabilmente ritenute dalla sentenza impugnata 
e come pacificamente ammesse da entrambe le parti, agli artt. 3 e 4 
del d.1. 6 giugno 1956, n. 476 per constatare che corretta e giustificata 
ne risulta la negazione di illegittimit� degli atti contestata al Guetta. 
La Corte d'appello ha invero premesso che il Guetta e si limit� � a saldare 
i conti delle prestazioni alberghiere usufruite in Italia da turisti 
stranieri: che egli esegui tali pagamenti per incarico ricevuto da 
agenzie straniere di viaggio, con le quali era abitualmente in rapporto 
di affari; che gli importi da pagare e i nomi dei creditori relativi gli 
venivano indicati dai dipendenti delle agenzie, i quali accompagnavano 
in Italia le comitive turistiche: che all'uopo il Guetta riceveva degli 
assegni circolari, emessi a suo favore in Italia da banche italiane e spediti 
a lui da persone per lo pi� rimaste sconosciute. Il d.l. n. 476 
( � nuove norme valutarie e istituzione di un mercato libero di biglietti 
di stato e di banca esteri �) dispone nell'art. 2 che � ai residenti � fatto 
divieto di compiere qualsisi atto idoneo a produrre obbligazioni fra 
essi e non residenti... se non in base ad autorizzazioni ministeriali. I 
crediti dei residenti verso non residenti devono essere dichiarati dai 
titolari con le modalit� ed entro i termini stabiliti dal ministro per il 
commercio con l'estero. I residenti che siano creditori o debitori, a qualunque 
titolo, verso non residenti hanno l'obbligo di riscuotere i loro 
crediti o di pagare i loro debiti con le modalit� ed entro i termini... 
(id) �. Ma l'�rt. 3 ammette che � i residenti possono compiere atti idonei 
a produrre obbligazioni fra essi e non residenti, in deroga al disposto 
dell'art. 2, quando tali obbligazioni abbiano per oggetto cessioni di 
beni d'uso e prestazioni di servizi ai non residenti stessi, in relazione 
al loro soggiorno in Italia. I residenti che siano creditori verso non 
residenti in dipendenza degli atti previsti dal precedente comma sono 
autorizzati a ricevere in pagamento biglietti di stato e di banca esteri 

o assegnati in moneta estera �. L'art. 4 dispone che � i residenti non 
possono ricevere pagamenti da non residenti o effettuare pagamenti a 
non residenti, direttamente o per conto di medesimi, se non in conformit� 
al disposto degli artt. 2 e 3 �. Da tali norme, si desume che nella 
specie i residenti (cio� gli albergatori italiani) poterono legittimamente 
ricevere i pagamenti ad essi dovuti da non residenti (i turisti stranieri), 
e che il versamento delle somme relative (in moneta italiana) pot� 
legittimamente essere eseguito per il tramite del Guetta, come persona 
all'uopo incaricata e munita della provvista corrispettiva. I pagamenti 
riguardavano le prestazioni di servizi alberghieri e il Guetta li effettu� 
� per conto � dei turisti medesimi; nei limiti quindi e secondo 
i requisiti, oggettivi e soggettivi, stabiliti dagli artt. 3 e 4. 
La Corte di appello non si � fermata al requisito oggettivo,� non 
contestato nei limiti del pagamento, ma ha dimostrato la sussistenza 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

del requisito soggettivo, respingendo bensi la tesi erronea seguita dal 
primo giudice, secondo cui il pagamento delle prestazioni in oggetto 
avrebbe dovuto essere effettuato �personalmente� dai turisti agli 
albergatori, ma ritenendo, come la legge ammette, che il pagamento 
potesse avvenire mediante delega di un terzo; se cosi non fosse, si 
legge nella sentenza impugnata, bisognerebbe ritenere illecito fin anche 
il pagamento del conto alberghiero effettuato da chi sia compagno di 
viaggio dell'utente. 

Non importa che gli assegni pervenissero al Guetta da persone 
sconosciute; n� codesta circostanza, che piuttosto avvalora il convincimento 
espresso nella sentenza impugnata, secondo cui non le agenzie 
di viaggio ma i turisti personalmente provvedevano ad inviare le somme 
necessarie per il pagamento dei conti alberghieri, consentiva per 
s� di affermare nei confronti del Guetta la presunzione di un'interfei:
rtenza estranea e illecita da parte sua nei rapporti fra i turisti e le 
agenzie e gli albergatori, quasi che egli avesse l'onere di provare, come 
argomenta la difesa erariale, ?-i aver ricevuto formali e singolari mandati 
da ciascuno dei turisti (dovendo quindi conoscere il nome dei 
suoi mandanti), e non bastasse il fatto di aver eseguito i pagamenti 

� per conto dei medesimi �. La responsabilit�, viceversa, e le sanzioni 
intimate al Guetta non potevano desumersi dal sospetto, per quanto 
possibile e verosimile, di eventuali irregolarit�, ma doveva intrinsecamente 
giustificarsi su rilievi di positiva consistenza e dimostrazione. 
-(Omissis). 
I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2213 -Pres. Stella 
Richter. -Est. Alibrandi -P. M. Pedace (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Tracanna) c. Soc. Aurora. 

Imposta di registro -Accessione -Presunzione ex art. 47 legge di re


gistro -Deroga prevista dalla 1. 24 gennaio 1962, n. 23 -Presupposti 

di applicabilit�. 

(r.d. 30 dicembre 192.3, n. 3269, art. 47; 1. 24 gennaio 1962, n .23). 
La presunzione dell'art. 47 della legge di registro (in forza della 
quale si considerano trasferite le accessioni unitamente al suolo, anche 
se nell'atto � diversamente disposto) pu� esser vinta soltanto con atto 
scritto che abbia acquistato data certa, col mezzo della registrazione, 
anteriore al trasferimento. Per poter derogare a tale rigoroso principio 
a 11:orma deUa legge 24 gennaio 1962, n. 23, che ritiene idonee a vincere 
la presunzione le deliberazioni con cui comuni e province abbiano 


890 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

autorizzato la edificazione su terreni ine.dificati a coloro che successivamente 
hanno stipulato il contratto di acquisto, � necessario che si tratti 
di deliberazioni anteriori all'entrata in vigore della legge, che gli enti 
locali abbiano espresso il loro consenso alla edificazione, che la vendita 
abbia per oggetto terreni non edificati. L'ultimo requisito della ined'ificazione 
deve essere specificamente dimostrato e non � implico nel 
s~l fatto che con la deliberazione sia stato dato il consenso alla costruzione 
(1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 giugno 1969, n. 2404 -Pres. Pece 
-Est. Pascasio -P. M. Chiron (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Soprano) c. Romani (avv. Zito). 

Imposta di registro -Accessione -Agevolazione ex art. 14 I. ~ luglio 
1949, n. 408 -Deroga all'art. 47 della legge di registro. 

(1. 2 luglio 1949, n. 408, art. 14; r.d. 30 dicembre 11!23, n. 3269, art. 47). 
La costruzione eseguita dal futuro acquirente dell'area cui la costruzione 
inerisce, seguita dal trasferimento dell'm�ea al medesimo costruttore, 
esP'rime un risultato identico a quello che si produce con 
l'acquisto dell'area e la successiva costruzione su di esso. Pertanto non 
possono essere esclusi dai benefici fiscali previsti dall'art. 14 della legge 

(1-2) Con la prima sentenza si � ribadito il rigore della presunzione 
dell'art. 47 della legge di registro esponendo le ragioni che la giustificano 
anche in riferimento (cfr. Cass., 29 ottobre 1966, n. 2713 in questa Rassegna, 
1966, I, 1354) al suo carattere di sanzione contro l'omessa registrazione 
dell'atto di costituzione del diritto di .superficie, e si � sottolineata 
l'eccezionalit� e la temporaneit� della 1. 24 gennaio 1962, n. 23. Con la 
seconda sentenza, per�, si � affermato che quest'ultima legge, emanata 
precipuamente al fine di estendere l'agevolazione della elgge Tupini a 
talune particolari situazioni, era in sostanza inutile perch� l'art. 14 della 

1. 2 luglio 1949, n. 408 contiene gi� una deroga al principio di presunzione 
di accesisone di portata ben pi� ampia di quella introdotta con la norma 
eccezionale del 1962. 
Quest'ultimo orientamento giurisprudenziale apertosi con la decisione 
delle Sez. Un. n. 383 del 1963 (Foro it., 1963, I, 710) pu� ritenersi ormai 
consolidato, anche se per nulla convincente (cfr. la nota critica alla sentenza 
25 ottobre 1966, n. 2581 in que.sta Rassegna, 1966, I, 1107). 

Resta tuttavia ancora incerta la questione in ordine alla dimostrazione 
del fatto che la costruzione sia stata eseguita dallo stesso acquirente, cosa 
che ovviamente non pu� presumersi e che non pu� dirsi dimostrata da 
quanto le parti dichiarano nell'atto di acquisto. Anche escludendo la presunzione 
dell'art. 47 legge di registro, resta sempre '1a presunzione del




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 891 

2 luglio 1949, n. 408 gli acquisti di aree su cui gli acquirenti abbiano 
gi� costruito case di abitazione; n� pu� ammettersi la separazione, agli 
effetti tributari, del trasferimento dell'area (ammissibile al beneficio) 
dal trasferimento della costruzione (soggetta alle normali impost~) in 
quanto a norma dell'art. 47 della legge di registro, deve escludersi che 
si sia verificato il trasferimento delle costruzioni. Neppure pu� ritenersi 
che siffatta interpretazione si risolva nella dilatazione deil'art. 17 
della stessa legge n. 408, riferito al trasferimento di case gi� dichiarate 
abitabili, perch� per la medesima ragione il trasferimento a favore dell'acquirente 
concerne soltanto il suolo (2). 

I 

(Omissis). -Con l'unico-mezzo d'impugnazione, la ricorrente 
Amministrazione delle finanze denunzia violazione e falsa applicazione 
della legge 24 gennaio 1962, n. 23, in relazione all'art. 47 della legge di 
registro (r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269); violazione e falsa applicazione 
degli artt. 934 e segg. e.e. -e degli artt. 952-956 e.e.; violazione delle 
norme e dei principi in materia di valutazione delle prove (art. 116 
c.p.c.) e, in particolare, della prova documentale (artt. 2699 e segg. 
e.e.); omesso esame e conseguente difetto assoluto di motivazione in 
ordine a documenti relativi a punti decisivi della controversia, nonch�, 
infine, violazione delle norme e dei principi in tema di manifestazione 
del consenso da parte di ente pubblico. Deduce la ricorrente che se la 
Corte del merito avesse preso in esame i documenti prodotti in appello 

l'art. 934 e.e. e sar� sempre necessario dimostrare che la costruzione non 

sia stata eseguita dal proprietario o da un terzo (ip9tesi quest'ultima che 

pu� verificarsi frequentemente quando un'impresa edilizia attraverso com


promessi acquista l'area e rivende le case facendo per� figurare nell'unico 

atto che si sottopone a registrazione l'acquisto diretto dal proprietario 

dell'area). 

Riguardo alla prima sentenza � da condividere pienamente sia la pre


messa della rigorosa interpretazione dell'art. 47 della legge di registro, 

sia la sottile precisazione che la prova dell'inesistenza di costruzioni non 

� implicita nella deliberazione che autorizza la costruzione, ben potendosi 

dare il consenso successivamente all'inizio delle opere. 

Non pu� invece condividersi l'ultima affermazione riguardante l'onere 

della prova della preesistenza della costruzione che graverebbe sulla finanza 

in quanto essa si avvale di una presunzione. Poich� le deliberazioni degli 

enti locali sono riconosciute come mezzi idonei a dare la prova contraria 

alla presunzione dell'art. 47, spetta al contribuente dimostrare il fatto che 

vince la presunzione, cio� sia !',esistenza del consenso degli enti alla co


struzione sul proprio suolo sia l'inesistenza di una cotsruzione anteriore. 

Appunto perci� la presunzione ,giova alla Finanza, e spetta per intero al 

contribuente la prova contraria. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

892 

e, soprattutto, il verbale dell'eseguito sopralluogo in data 30 gennaio 
1948, avrebbe accertato che la costruzione .del cinema-teatro era avvenuta 
in epoca anteriore alle delibere del 27 aprile 1948 e del 13 gennaio 
1949, onde manca il requisito della vendita di terreni non edificati, 
di cui alla legge n. 23 del 1962. Si duole, inoltre, l'Amministrazione 
delle finanze che la Corte d'appello abbia ritenuto che il comune 
di Alfonsine avesse espresso il proprio consenso alla edificazione, consenso 
che, trattandosi di ente pubblico, doveva essere manifestato in 
modo formale. Deduce infine la ricorrente, sempre per negare l'applicabilit� 
della legge n. 23 del 1962, che manca l'identit� tra il soggetto 
autorizzato ad edificare (Gessi) e il soggetto che ha acquistato il terreno 
(Soc. Aurora). 

Le riassunte censure si ravvisano in parte fondate, nei limiti che 
sono chiariti nelle considerazioni che seguono, onde il ricorso va accolto 
per quanto di ragione. 

Va premesso che l'art. 47 della legge organica di registro, nel logico 
collegamento dei suoi primi tre comma, stabilisce, da un canto, 
con presunzione � juris tantum ., che le accessioni sono considerate 
trasferite all'acquirente del suolo, sebbene nell'atto si dichiarino escluse, 
e, da un altro, ammette l'acquirente del suolo ad esperire la prova 
contraria, la quale, per�, pu� essere fornita soltanto con atto scritto 
che abbia acquistato data certa anteriore con il mezzo della registrazione. 
Ci� a differenza di quanto dispone il diritto comune nel quale, 
ai fini d'impedire che il proprietario �del suolo acquisti per accessione 
la propriet� della costruzione da altri eretta sul suo terreno (art. 934 
e.e.), � sufficiente che la concessione � ad aedificandum � risulti da atto 
scritto di data certa anteriore alla costruzione, certezza della data che 
anche la scrittura privata consegue nei modi di cui all'art. 2704 e.e., 
oltre, ovviamente, l'atto pubblico (art. 2700 e.e.). 

La legge tributaria -va sottolineato -disciplina la materia con 
particola,re rigore, perch� la presunzione di trasferimento della costruzione 
unitamente al suolo su cui insiste, prevista dal citato art. 47, 
oltre a presidiare le ragioni del fisco nei riguar!}i di eventuali evasori, 
riveste anche carattere di sanzione per l'omessa tempestiva registrazione 
dell'atto di trapasso del diritto di superficie (Cass. 29 ottobre 
1966, n. 2713). 

Il rigore di quanto dispone l'art. 47 legge di registro � attenuato 
con ~'articolo unico della legge 24 gennaio 1962, n. 23, il cui primo 
comma � cosi formulato: � In deroga all'art. 47 del regio decreto 30 
dicembre 1923, n. 3269 e successive modificazioni, sono idonee a vincere 
la presunzione di accessione le deliberazioni adottate prima dell'entrata 
in vigore della presente legge, con le quali le Provincie e i 
Comuni abbiano autorizzato la vendita di terreni non edificati a coloro 
che successivamente hanno stipulato il �Contratto di acquisto, consen




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 893 
tendo nel frattempo alla edificazione, nonch� i contratti di appalto stiPARTE 
I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 893 
tendo nel frattempo alla edificazione, nonch� i contratti di appalto stipulati 
da~li Istituti autonomi per le case popolari per costruzioni su 
terreni successivamente acquistati �. 

Tale disposizione, di natura innovativa e di carattere temporaneo, 
opera in un ambito oggettivamente e soggettivamente limitato, richiedendo 
quali requisiti, concorrenti ed autonomi, per la sua applicabilit� 
che a) si tratti di deliberazioni anteriori all'entrata in vigore della 
legge stessa; b) che le provincie ed i comuni abbiano espresso il loro 
�Consenso all'edificazione; c) che, infine, la vendita abbia per oggetto 
terreni non edificati al momento in cui sono state prese le delibera2;
ioni che ne autorizzano la vendita. Mentre a proposito del primo requiI 
.sito non sorge questione alcuna, le ragioni del decidere s'incontrano 

I

sulla sussistenza dei due ultimi requisiti. l 
Ci� premesso, la Corte, esaminando le questioni della controversia I 
nello stesso ordine di trattazione seguito dalla sentenza denunziata, l 

I

rileva che priva di fondamento � la censura della ricorrente che si 

i 

.appunta sull'apprezzamento espresso dal giudice del merito in ordine 

~ 

al consenso alla edificazione, richiesto dal trascritto articolo unico della I 
legge n. 23 del 1962. Sul punto, la Corte d'appello ha ritenuto, attraverso 
l'esame degli atti, che, in un primo tempo, il comune aveva deliI 
berato in data 27 aprile 1948 di vendere ad Ottorino Gessi il terreno 1 
" de quo � per la costruzione di un teatro e che, successivamente, il ! 

I

23 gennaio 1949, essendo stata costituita la soc. r. 1. Aurora, con sede \ 
:in Alfonsine, lo stesso comune aveva deliberato, revocando la prece! 
i 
dente delibera, di vendere il medesimo terreno alla soc. Aurora. La 
Corte poi, dal compiuto esame dei due provvedimenti e dalla necessaria I 
!integrazione del contenuto della delibera del 13 gennaio 1949 con quello 
della deliberazione precedente, riportata per esteso quale parte inteI 


I

_grante del testo del provvedimento, ha tratto la convinzione che il 

I 
.comune aveva autorizzato la soc. Aurora a costruire sull'immobile veni


I

dutole ritenendo, quindi,. che il comune di Alfonsine aveva dato il I 
proprio consenso, nelle debite forme, all'edificazione del cinema-teatro. 

Tale apprezzamento delle due deliberazioni, correttamente coordinate 
dalla Corte d'appello per valutarne il loro contenuto, si risolve 
in un accertamento di . fatto, non censurabile in questa sede, perch� 
sorretto da adeguata motivazione, immune da vizi �logici e giuridici. 

I

Va, invero, tenuto presente che l'interpretazione degli atti amministra


�i

tivi deve essere condotta con l'osservanza delle regole di ermeneutica 
.dettate per i contratti (Cass. 13 luglio 1964, n. 1883 e Cass. 20 luglio 

I

1968, n. 2614) e che il risultato del procedimento interpretativo, quale I 
:accertamento di fatto, � sindacabile in sede di legittimit� solo sotto il 1

: 

profilo del vizio di motivazione. 
N� vale obiettare -come sostiene la ricorrente con la censura 
che si ricollega a quella ora esaminata -che il soggetto autorizzato 



------.r~ij~i 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO ST~~ , 

ad edificare (Gessi) � diverso da quello che ha acquistato il terreno 
(soc. Aurora). Infatti, la Corte del merito ha accertato con apprezzamento 
-ripetesi -non sindacabile in questa sede che il comune di 
Alfonsine, revocata la precedente deliberazione a favore del Gessi, 
con la successiva delibera del 13 gennaio 1949, relativa alla sostituzione 
del soggetto acquirente dell'area, non soltanto autorizz� la vendita di 
questa alla soc. Aurora, ma prest� anche il proprio consenso alla edificazione 
a favore della societ� medesima. Quest'ultima pertanto, contrariamente 
all'assunto della ricorrente, assomma la qualit� di soggetto 
autorizzato ad edificare e di compratrice dell'area di cui trattasi. 

Fondata �, invece, la censura di omesso esame di documenti, con 
conseguente difetto di motivazione, che � I'Amministr�zione ricorrente 
muove alla sentenza denunziata per ci� che attiene all'ulteriore requisito 
di cui alla legge n. 23 del 1962 quello, cio�, che la vendita abbia 
per oggetto terreni non edificati al momento delle deliberazioni degli 
enti pubblici territoriali (Provincie e Comuni) che ne abbiano autorizzato 
la vendita. 

Sul punto, la Corte del merito ha motivato il proprio convincimento 
limitandosi ad osservare che risultava � dallo stesso testo della 
delibera 13 gennaio 1949 che la costruzione del teatro non era stata 
ancora eseguita a tale data, una volta che si deliberava di vendere H 
terreno appunto per eseguire la costruzione del teatro �. Ha, poi, aggiunto 
che non erano da ritenere rilevanti le circostanze che il Gessi 
aveva provveduto a richiedere l'autorizzazione alla costruzione il 13 
gennaio 1948 alla Presidenza del Consiglio dei ministri e in data 11 
febbraio 1948 alla Questura di Ravenna. 

Ma tale motivazione � palesemente erronea ed insufficiente. La 
legge del 1962, riferendosi a � terreni non edificati ., richiede il fatto 
obiettivo che sul terreno venduto, al momento della deliberazione che 
ne autorizza la vendita, non siano state eseguite costruzioni, requisito 
negativo che la Corte del merito ha ritenuto di poter desumere dal 
contenuto della stessa deliberazione del 13 gennaio 1949, incorrendo in. 
evidente errore logico, sotto il profilo della petizione di principio. 

D'altro lato, il giudice d'appello non ha preso in esame i documenti 
prodotti dall'Amministrazione delle finanze in sede di gravame� 
ed, in particolare, il verbale redatto in data 30 gennaio 1948 relativo. 
all'eseguito sopralluogo nei locali del cinema-teatro da parte della Commissione 
permanente di vigilanza la quale, a norma dell'art. 142 del. 
Regolamento di P.S. (r.d. 6 maggio 1940, n. 635) ha il compito di verificare 
le condizioni di solidit�, di sicurezza e di igiene dei locali desti-� 
nati a pubblici gpettacoli. 

Ora, considerato che secondo l'indirizzo giurisprudenziale di questa 
Corte suprema, l'omesso esame di documenti pu� essere denunziata. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

quale motivo di ricorso per cassazione quando si tratti di documenti 
idonei a provare un fatto non preso in considerazione dal giudice del 
merito e che avrebbe potuto condurre ad una decisione diversa da quella 
adottata (sent. 28 luglio 1965, n. 1812 e sent. 23 maggio 1967, n. 1127), 
rilevasi che la Corte d'appello non ha considerato il fatto dell'avvenuto 
sopralluogo, comprovato dal prodotto verbale, e, tenuto presente il 
momento in cui fu eseguito (30 gennaio 1948), trattasi di fatto che 
doveva essere preso in esame dal giudice del merito perch� tale da 
condurre ad una decisione diversa da quella cui � pervenuta la sentenza 
denunziata. Invero, la circostanza n<m presa in esame dalla Corte del 
merito � indubbiamente decisiva, come pu� rilevare questo supremo 
Collegio giudicando in astratto (Cass. 28 settembre 1968, n. 3005). � 

Basti considerare che il fatto obiettivo della preesistenza della costruzione 
sul terreno venduto dal comune, da un lato, esclude se provato, 
l'applicazione della legge di agevolazione fiscale diretta ad incentivare 
le nuove costruzioni, e, da un altro, realizza la condizione necessaria 
perch� possa farsi valere la presunzione di cui al citato art. 47 della 
legge di registro. Ben vero che l'onere della prova di tale fatto (preesistenza 
della costruzione sul suolo venduto) grava sull'Amministrazione 
delle finanze che si avvale della presunzione, ma � anche vero 
che, nella specie, tale prova � stata offerta, in via documentale, dalla 
ricorrente e non poteva non essere presa in esame. 

Pertanto, in accoglimento della censura di omesso esame, la sentenza 
denunziata deve essere cassata con rinvio ad altra Corte d'appello, 
per nuovo esame sul punto investito dalla censura accolta, in 
conformit� ai principi di legge dianzi richiamati. -(Omissis). 

II 

(Omissis). -Col primo motivo, denunciando la violazione dell'art. 
934 e.e., dell'art. 47 della legge di registro 30 dicembre 1923, 

n. 3269 e dell'art. 14 della legge 2 luglio 1949, n. 408 in relazione all'art. 
360, n. 3, c.p.c., l'Amministrazione lamenta che la Corte abbia 
escluso la configurabilit� dell'accessione della costruzione all'area con 
la conseguente soggezione al tributo anche della prima e l'ingiustificata 
estensione del beneficio fiscale concesso dalla legge del 1949 al trasferimento 
della sola area edificabile. 
La censura � infondata. 

Questa Corte suprema infatti gi� in pi� occasioni ha affermato che 
i benefici fiscali dell'imposta fissa di registro e della riduzione al quarto 
dell'imposta ipotecaria, previsti dall'art. 14 della legge 2 luglio 1949, 

n. 408, sono applicabili anche agli acquisti di aree su cui gli acquirenti, 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

prima di perfezionare l'acquisto, abbiano gi� edificato una costruzione 
per conto proprio. 

Ha in conseguenza ritenuto che il citato art. 14 deroghi all'art. 47 
della legge di registro, che non trova applicazione rispetto alle costruzioni 
per cui opera la predetta norma agevolativa. 

Ne � ammissibile 1a separazione, agli effetti tributari, del trasferimento 
dell'area da quello delle accessioni, per assoggettare il primo 
al trattamento privilegiato previsto dall'art. 14 ed il secondo alla normale 
imposta di trasferimento di cui alla legge di registro. 

Infatti, poich� l'applicazione dell'art. 14 della legge n. 408 del 
1949 all'acquisto di aree gi� edificate ad opera dell'acquirente, muove 
dal presupposto che oggetto del trasferimento sia stata la sola area in 
quanto la costruzione � stata fatta per anticipazione per proprio conto 
dall'acquirente dell'a,rea, con ci� stesso resta escluso che la predetta 
costruzione possa aver formato oggetto di trasferimento. 

Una simile giurisprudenza pu� ormai ritenersi consolidata (sent. 

n. 393 del 1963, n. 198 del 1964, n. 2581 del 1966 e n. 1460 del 1968) 
n� sono stati addotti argomenti tali che possano determinare ad una 
diversa decisione. 
Del pari infondati sono il secondo ed il terzo motivo con i quali si 
deduce che, in tal modo, si attuerebbe una interpretazione analogica 
dell'art. 14 della legge n. 408 del 1949, inammissibile in materia fiscale; 
e che il beneficio, previsto pel trasferimento dell'area, non pu� essere 
applicato alla costruzione, prevista soltanto dall'art. 17 della stessa 
legge n. 408, il quale (art. 17) richiede per la propria applicabilit� 
il presupposto della dichiarazione di abitabilit� della costruzione, dichiarazione 
che nella specie non � stata prodotta ed alla quale il contribuente 
non ha fatto richiamo. 

Anche queste censure sono infondate. 

Infatti, l'applicazione al trasferimento dell'area del beneficio previsto 
dall'art. 14 della legge Tupini nonostante la gi� avvenuta edificazione 
ad opera e per conto dell'acquirente dell'area implica una 
interpretazione estensiva della norma cosi come ripetl,ltamente � stato 
posto in evidenza dalle gi� menzionate decisioni di questa Corte. E tale 
interpretazione estensiva � ammissibile anche in materia tributaria ed 
� ben diversa dalla interpretazione analogica. 

Infine, quanto all'art. 17 della legge 408 del 1949 che prevede il 
trasferimento con diverse particolari agevolazioni, delle case costruite 
in applicazione della su indicata legge, esso non riguarda la fattispecie 
in esame in cui -come si � detto -� escluso che le costruzioni 
elevate ad opera dell'acquirente abbiano formato oggetto di trasferimento, 
sicch� manca il presupposto necessario all'applicazione del tributo 
di trasferimento preteso dall'Amministrazione. -(Omissis). _ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 897 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 21 giugno 1969, n. 2223 -Pres. Pece 
-Est. Milano -P. M. Gedda (conf.) -Picciulin ed altri c. Ministero 
del Tesoro (avv. Stato Angelini Rota). 

Violazione delle leggi finanziarie e valutarie -Procedimento -Notifica 
del verbale di contestazione -Non � richiesta. 

(r.d.I. 12 maggio 1938, n. 794, art. 3). 
Poich� la legge non prescrive la notifica, la contestazione deile 
infrazioni valutarie � regolare se i trasgressori siano stati invitati a 
sottoscrivere il verbale o se il verbale stesso sia stato ad essi consegnato 
(1). 

(Omissis). -L'inconsistenza del primo e del secondo motivo si 
evince dalla osservazione che la Corte di merito, con incensurab�le 
apprezzamento, adeguatamente motivato e compiutamente aderente alle 
risultanze processuali, ha ritenuto che il processo verbale di cui al 
quarto comma dell'art. 3 del decreto n. 794, relativo all'accertamento 
dei fatti, alla convocazione degli incolpati ed alla contestazione degli 
addebiti, non soltanto fu regolarmente redatto dai funzionari dell'amministrazione 
doganale, ma venne anche comunicato al Viale~ all'Erba 
ed al Picciulin mediante consegna di una copia, ed al Bottino a mezzo 
di raccomandata con avviso di ricevimento, consegnata a persona addetta 
all'Ufficio presso il quale il Bottino espletava in quel tempo 
mansioni impiegatizie. 

E, come esattamente si � rilevato dalla sentenza impugnata, la 
suaccennata disposizione di legge, perch� sia raggiunto lo scopo di far 
conoscere agli incolpati la esistenza del procedimento amministrativo 
e la natura degli addebiti elevati a loro carico, si accontenta che gli 
stessi siano invitati a firmare il processo verbale di accertamento, 

(1) La decisione � da condividere pienamente. L'art. 3 del r.d.1. 12 
maggio 1938, n. 794 prescrive �espressamente che i trasgressori siano invitati 
a firmare il verbale di cui hanno diritto di ottenere copia. Nel procedimento 
amministrativo, in via generale, la notifica non pu� mai ritenersi 
necessaria quando non sia espressamente ricl�esta, essendo pacifi.co che 
qualunque mezzo idoneo a portare a conoscenza dell'interessato l'atto amministrativo 
pu� sostituire la notifica. Ma vi � di pi�. Nell'accertamento 
di violazioni che comportano l'applicazione di sanzioni (penali o amministrative) 
la contestazione diretta (invito a sottoscrivere il verbale ed a 
fare eventuali dichiarazioni) vale ancor pi� della notifica del verbale a 
cui si ricorre quando non sia stata possibile la contestazione alla parte 
presente. Ed � evidente che, in mancanza di precise disposizioni, la consegna 
del verbale che non abbia potuto farsi direttamente possa eseguirsi 
con spedizione in plico raccomandato. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

898 

oppure, come nella fattispecie era avvenuto, che ad essi sia consegnata 
una copia dell'atto, senza prescrivere che, a questo fine, sia adottato il 
s,istema proprio della notificazione degli atti giudiziari. � noto, infatti, 
che nell'ambito amministrativo solo in caso eccezionale � richiesta la 
adozione delle norme del codice di procedura civile in tema di notificazioni, 
bastando comunque la conoscenza dell'atto amministrativo per 
l'inizio della decorrenza dei termini di impugnativa (Cass., Sez. Un., 
11 dicembre 1963, n. 3132; 3 maggio 1953, n. 1462). -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1969, n. 2296 -Pres. Stella 
Richter -Est. Falletti -P. M. Gentile (conf.) -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Soprano) c. Aleo e Papale. 

Imposta di registro -Atto di sottomissione a garanzia in materia di 
dilazione del pagamento dell'imposta di successione -Garanzie 
prestate da un terzo -Imposta fissa di registro. 

(r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, art. 65; r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269, tariffa 
A, art. 55). 
L'atto di sottomissione e garanzia� che accede alla concessione di 
dilazione del pagamento dell'imposta di successione �, a norma dell'art. 
65 della le�gge organica sulle successioni, in ogni caso soggetto 
alla tassa fissa di registro di cui all'art. 55 tariffa A, anche quando la 
garanzia, reale o personale, sia prestata da terzi (1). 

(Omissis). -La ricorrente ,sostiene che l'art. 65 della legge sulle 

imposte di successione non concede alle garanzie prestate da un terzo 

il medesimo trattamento riservato alle garanzie prestate dall'obbli


gato: la sentenza impugnata, avendo accolto la tesi contraria, ha vio


tato gli artt. 54 e 55 ali. A del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3269 e l'arti


colo 65, appunto del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270. 

Il ricorso non � fondato. Secondo l'art. 65, primo comma, i debi


tori delle imposte di successione possono eseguirne il pagamento con 

dilazione rateale. � A tutela del credito dilazionato -si legge nei 

comma seguenti -dovr� essere iscritta ipoteca sugli immobili eredi


tari, nonch� assunta ogni altra idonea garanzia a giudizio dell'ammi


nistrazione... La dilazione dovr� risultare da atto scritto... Tutte le 

spese per l'atto, compresa l'imposta fissa a cui esso � soggetto, sono 

La sentenza segue la precedente pronuncia 29 ottobre 1968, n. 3611, 
citata nel testo, pubblicata in questa Rassegna, 1968, I, 835, con osservazioni 
critiche ,che restano tuttora valide. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 899 

a carico dei debitori �. E l'ultimo comma cosi .conclude: � L'atto di sottomissione 
e di garanzia � soggetto alla tassa fissa di cui all'art. 55 
della tariffa all. A della legge di registro ed � esente dalle tasse di 
bollo e ipotecarie �. Come si vede, queste disposizioni riguardano l'atto 
di garanzia in senso autonomo ed assoluto, riguardano anzi �l'atto 
scritto di dilazione � che tutte comprende le possibili garanzie, senza 
distinzione tra le garanzie prestate dall'obbligato e le garanzie eventualmente 
prestate da terzi ( � ogni idonea garanzia � ). 

All'atto come tale, nell'obiettivit� unica ed unitaria della sua propria 
natura e funzione, senza altri requisiti o eccezioni d'ordine soggettivo, 
deve applicarsi il trattamento fiscale della tassa fissa, come 
quello stabilito dall'art. 55 della tariffa all. A. L'art. 55 concerne bensi 
gli � atti di cauzione o di sottomissione prestati dall'obbligato principale 
., mentre le cauzioni e fidejussioni prestate da terzi sono separatamente 
previste dall'art. 54 e soggette a imposta graduale; proprio 
perch� l'art. 65 della legge sulle imposte di successione richiama soltanto 
l'art. 55, non anche l'art. 54, della tariffa all. A della legge sull'imposta 
di registro, si deve intendere che relativamente all'ipotesi 
regolata dall'art. 65 � sempre e soltanto la tassa fissa che deve applicarsi, 
non importa se la garanzia sia prestata dall'obbligato o da un 
terzo. Ed anzi, considerando che per le garanzie dell'obbligato non 
sarebbe occorsa una particolare e ripetuta disposizione oltre quella 
dell'art. 55, l'inserimento specifico e la portata dell'art. 65 potrebbero 
meglio accentuarsi nel proposito appunto, precipuo e cumulativo, di 
sancire anche per le garanzie prestate da un terzo (nel caso dell'imposta 
di. successione e del suo pagamento rateale) il medesimo trattamento 
gi� pertinente .alle garanzie prestate dell'obbligato: nel proposito, 
insomma, di derogare per le garanzie del terzo al trattamento 
normale, escludendo a loro riguardo l'imponibilit� altrimenti applicabile 
della tassa graduale. 

Il rinvio dall'art. 65 all'art. 55 non � prescritto affinch� si ricerchi 
nella norma richiamata il presupposto e l'obiettiva corrispondenza della 
situazione imponibile (poich� questa si trova gi� descritta ed esaurita 
nelle disposizioni dell'art. 65), ma � rivolto a individuare, nell'ambito 
della tariffa, entro la categoria delle � fidejussioni, garanzie in genere, 
e assicurazioni � (artt. 54-59 bis), la misura dell'imposta dovuta e a 
collocarvi la sua propria, inerente, fattispecie. E tale fattispecie rivela 
altres�, obiettivamente, e razionalmente giustifica nell'analogia dei 
presupposti il criterio sistematico del proprio collocamento tra gli 

� atti di cauzione o di sottomissione prestati dall'obbligato principale, 
imposti dalle leggi per l'esercizio di un diritto... � (art. 55), se si osserva 
che le garanzie prescritte dall'art. 65 sono anche esse obbligatorie, prestate 
per l'esercizio di una facolt� (pagamento rateale dell'imposta) e 
prestate nell'interesse e � a giudizio � dell'amministrazione. Senza dire 

900 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

-come ha gi� osservato una precedente pronuncia di questa Corte 
(Cass. 1968, n. 3611) -che una diversa interpretazione contrasterebbe 
pure con lo scopo della norma e con l'equit�. Da una parte i terzi si 
sentirebbero dissuasi dal farsi garanti dell'altrui debito d'imposta, e 
cos� si renderebbe pi� difficile l'ottenimento di quella duplice garanzia 
che costituisce per l'erario una miglior tutela del proprio credito: dall'altra 
parte, si verrebbe a negare il beneficio dell'imposizione minima, 
come quella dell'imposta fissa, proprio .a coloro che, per il fatto stesso 
di rendersi responsabili verso l'erario di un'obbligazione non propria, 
ne appaiono viceversa maggiormente meritevoli. 

Il giudizio della sentenza impugnata merita quindi approvazione. 
-(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 30 giugno 1969, n. 2397 -Pres. Pece 
-Est. Pascasio -P. M. Gedda (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Freni) c. Cassa di Risparmio di Ancona (avv. D'Alessio). 

Imposta di registro -Agevolazioni per le imprese danneggiate da 
calamit� pubbliche ex art. 1 I. 13 febbraio 1952, n. 50 -Atti strumentalmente 
connessi -Deposito bancario accessorio a mutuo Estensione 
delle agevolazioni. 

(I. 13 febbraio 1952, n. 50, art. l; d.l.l. l� novembre 1944, n. 367, art. 12). 
Il contratto di deposito bancario connesso con funzione strumentale 
ad un contratto di mutuo gode della stessa agevolazione prevista 
per il mutuo dall'art. 1 della legge 13 febbraio 1952, n. 50 (1). 

(Omissis). -Con l'unico motivo la ricorrente, deducendo la violazione 
degli artt. 1 della legge 13 febbraio 1952, n. 50, 2 della legge 
21 agosto 1949, n. 638, 12 del d.1.1. 1� novembre 1944, n. 367, 9 e 37 
del r.d. 30 dicembre 1923 in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c. 

(1) Considerazioni sulla connessione strumentale con atti agevolati. 
La sentenza sopra pubblicata, �che si aggiunge alla serie ormai lunga 
delle pronunce che hanno esteso le agevolazioni agli atti collegati con 
quello espressamente agevolato, autorizza a pensare che ormai la S.C. abbia 
elevato a principio generale del diritto tributario il concetto di connessione 
strumentale o di mezzo al fine. Infatti nelle pi� diverse materie e 
indipendentemente da un'analisi specifica della natura e delle finalit� del['
agevolazione considerata, si afferma ormai con costanza l'est�nsione dell'agevolazione 
agli atti collegati, ricorrendo perfino, quando � necessario, 
ad applicare l'art. 9 della legge di registro in ipotesi di semplice connessione 
economica. Si fa in sostanza applicazione, indipendentemente dalle 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 901 

lamenta che erroneamente la Corte di merito avrebbe ritenuto applicabile 
al deposito il trattameno di favore stabilito dall'art. 12 del d.1.1. 1<> 
novembre 1944, n. 367, in considerazione di un supposto collegamento 
funzionale di detto negozio con quello di mutuo, collegamento, comunque, 
estraneo alla previsione della norma indicata. 

La censura non � fondata. 

Infatti l'art. 1 della citata legge 13 febbraio 1952, relativa a provvidenze 
a favore delle imprese danneggiate a seguito di calamit� pubbliche, 
richiama il d.l. 15 dicembre 1951, n. 1334, che, a sua volta, 
richiama la legge 21 agosto 1949, n. 638, il cui art. 2, ultimo comma,. 
precisa: 

e ai finanziamenti stessi si estendono, in quanto applicabili, le 
esenzioni fiscali, condizioni e modalit� di cui al d.1.1. 1o novembre 
1944, n. 367 e successive modificazioni ed aggiunte, concernenti provvidenze 
per agevolare il riassetto della vita civile e la ripresa economica 
della Nazione �. 

norme specifiche di agevolazione o contro di esse, di un principio generalesupposto 
pi� elle dimostrato. 

� appena necessario rilevare che un tale principio generale non solo, 
non .risulta dalle norme o dal sistema, ma � invece in netto contra.sto con 
l'altro indiscusso principio generale dell'applicazione restrittiva della norma 
eccezionale tributaria. Non occorre quindi alcuno sforzo per dimostrare� 
l'insostenibilit� di un principio generale di dilatazione dei benefici agli 
atti collegati. 

Se si vuole, pertanto, tentar di dare una giustificazione logica dell'in-dirizzo 
giurisprudenziale ormai corrente, il solo mezzo pu� esser quello 
dell'interpretazione estensiva, intesa come determinazione precisa del contenuto 
reale della norma, in conformit� della ratio legis, ad un numerodi 
casi pi� ampio di quanto la dizione letterale consente, quando risulti 
evidente che il legislatore minus dixtis quam voluit (Cass. 13 febbraio1969, 
n. 847, in questa Rassegna, 1969, I, 124; 26 aprile 1968, n. 1283, ivi,. 
1969, 82). Conseguentemente solo dalla specifica norma di agevolazione, e� 
non mai da principi generali, possono prendersi le mosse per stabilire 
se e in quali limiti sia consentita un'interpretazione estensiva. 

Nelle norme tributarie di agevolazione (o di incentivazione), che per\
seguono evidentemente una funzione economico ,sociale riferita ad un de-~
rminato tipo di attivit� la cui definizione si concreta in una scelta poli>:
a voluta dal legislatore e sottratta ad ogni valutazione dell'interprete, �';:
ti diversa l'ampiezza dei benefici tributari; a volte si usano espressioni 
-~tosto elastiche (atti diretti a...), altre volte si d� invece una enumerazione 
completa degli atti ritenuti meritevoli di incentivazione. Ma nell'uno 
e nell'altro caso l'agevolazione delimita un tipo di attivit� o una 
categoria di destinatari che si � inteso favorire, sempre entro confini pi� 

o meno estesi. Le esclusioni dall'agevolazione hanno quindi una loro ragione, 
peculiare proprio della funzione di incentivazione e riconducibilead 
u,na valutazione politica, che deve essere rispettata dall'interprete, a 

'.902 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DALLO STATO 

L'art. 12 di detto d.1.1. del 1� novembre 1944, dispone: 

� salvo le maggiori agevolazioni previste dalle vigenti disposizioni 
a favore dei singoli istituti ed enti finanziatori, gli atti e contratti 
con i quali vengono concesse le anticipazioni di cui al presente 
decreto, la garanzia statale ed il concorso dello Stato nel pagamento 
degli interessi come pure gli atti e contratti di consolidamento, estinzione 
e revoca del finanziamento, sono esenti dalle tasse di bollo e di 
concessione governativa. Le relative formalit� sono altresi esenti dalle 
Imposte di registro ed ipotecarie, salvo gli emolumenti spettanti ai 
conservatori dei registri immobiliari �. 
meno �Che l'esclusione non sia il risultato di una incompleta dichiarazione 
letterale della norma suscettibile di interpretazione estensiva. 
Nel caso di specie le provvidenze pr�eviste nel d.l. 1 novembre 1944, 

n. 367, e nelle foggi del 21 agosto 1949, n. 638, 15 dicembre 1951, n. 1334 
e 13 febbraio 1952, n. 50 che vi fanno richiamo, si concretano nello stanziamento 
di un fondo da parte del Ministero del Tesoro destinato alla garanzia 
sussidiaria sulle anticipazioni che !istituti di credito concedono, con 
particolari privilegi, ad imprese industriali danneggiate. Solo in vista di 
�un tale congegno di operazioni, le � formalit� � relative alle anticipazioni, 
alla garanzia statale, al consolidamento, all'estinzione e alla revoca del finanziamento 
sono esenti dalle imposte di registro e ipotecarie. L'agevolazione 
considerata nella legge riguarda dunque non le comuni operazioni 
bancarie o il credito in genere, ma semplicemente quel particolare sistema 
-di anticipazione con garanzia statale. Ne consegue che esulano dal beneficio 
quegli atti che non sono necessari (anche se utili) per la realizzazione del 
previsto congegno di anticipazione e che le parti abbiano per proprio vantaggio 
ritenuto di stipulare in difformit� dalla tipologia legale. Se � pos:
sibile (ma nel caso concreto sembra da escludere) individuare nel testo 
della norma le eventuali lacune nella dichiarazione nella mens legis, non 
� per� lecito trasformare la funzione della norma ovvero far diventare una 
�comune operazione di cr�edito un sistema particolarissimo di anticipazione. 
Un contratto di deposito, che non � connaturale al sistema ma anzi, come 
meglio si vedr�, � contro di esso, non pu� inserirsi nell'agevolazione perch� 
non � previsto nella norma specifica e non pu� rientrarvi in forza di un 
inesistente principio generale. 
Ancor pi� limitata sar� la possibilit� di estensione delle agevolazioni 
.agli atti collegati, quando la norma tributaria identifica direttamente ed 
�enumera gli atti favoriti. In questi casi 1si deve presumere che l'esclusione 
dall'agevolazione di determinati atti abbia una sua ragione politico sociale 
-che non pu� essere ignorata dall'interprete. Cosi, ad esempio il beneficio 
dell'art. 5 del d.l. 14 dicembre 1947, n. 1548 per il primo trasferimento di 
terreni e fabbricati occorrenti per l'attuazione di iniziative industriali nel 
mezzogiorno, esteso con l'art. 37 della legge 29 luglio 1957, n. 634 alle ipoteche 
contestualmente conv-enute a garanzia del prezzo insoluto o dei debiti 
contratti per il pagamento, non comprende gli atti di mutuo (e meno che 

mai gli atti connessi al mutuo) che pure sono l'antecedente log.ico dell'iscrizione 
ipotecaria a garanzia di essi; evidentemente il legislatore ha 
.inteso escludere il mutuo, perch� l'attivit� creditizia per l'industrializza



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 903 

Dal testo delle riferite disposizioni si trae dunque, con sufficiente 
chiarezza, che l'agevolazione tributaria riguarda non soltanto il mutuo 
ma tutti � gli atti e contratti con i quali vengono concesse le anticipazioni 
� comunque siano collegati col mutuo. 

La conferma di una simile interpretazione si trae dall'art. 2 dello 
stesso d.l. del 1� novembre 1944 il quale dichiara che i successivi articoli 
(e quindi anche il citato art. 12) costituiscono l'unificazione delle 
disposizioni del r.d.l. 13 dicembre 1943, n. 26/B e di quelle del r.d.l. 29 
maggio 1944, n. 138, che dichiarava esenti (art. 2) da ogni tassa o 
imposta i finanziamenti di cui al r.d.l. 13 dicembre 1943, n. 26/B ag


zione del me2zogiorno gode di altre provvidenze, tributarie e non, ritenute 
sufficienti. In altri casi, all'opposto, � accordata l'agevolazione per le operazioni 
di credito e non per l'iscrizione ipotecaria che potrebbe costituirne 
il mezzo ,concreto di ottenimento. Le due diverse ipotesi legislative non 
possono unificarsi includendo nell'agevolazione gli atti che le norme hanno 
lasciato esclusi. 

Soltanto rimanendo nell'interpretazione della specifica norma tributaria 
� possibile �stabilire i limiti della estensione dei benefici, mentre col 
ricorso al supposto principio generale di connessione strumentale diventa 
impossibile individuare i confini dell'applicazione dilatata delle norme di 
agevolazione. Se si accoglie il principio della connessione del mezzo al 
fine, nulla pi� soccorre per distinguere un collegamento pratico o funzionale 
di atti da una connessione giuridicamente rilevante e si rischia di allargare 
all'infinito la portata dei benefici. Se, come nel caso deciso, riguardo 
ad un'ipotesi tipica di :finanziamento, si iitengono inclusi nel beneficio 
gli atti diretti a rendere pi� facile la realizzazione dell'operazione 
bancaria, non soltanto il temporaneo deposito con funzione di garanzia 
delle ,somme finanziate, ma tutti i possibili mezzi di �garanzia potrebbero 
rientrare nel trattamento di favore; e quindi anche la garanzia reale e 
personale del terzo potrebbe dirsi esente dall'imposta dell'art. 54 tab. A 
della legge di registro, la cessione di crediti da quella dell'art. 4, il mandato 
irrevocabile da quella degli art. 15, e magari la vendita con patto di 
riscatto o altri simili contratti, in quanto possono giovare alla stipulazione 
dell'atto espressamente agevolato, potrebbero ambire di essere inclusi nella 
catena, teoricamente estensibile all'infinito, degli atti in rapporto di con


nessione di mezzo al fine. Questa � evidentemente un'argomentazione per 

assurdo; ma se � evidente la necessit� di porre un limite all'applicazione 

del concetto di connessione strumentale, bisogna riconoscere che non � 

data alcuna possibilit� di fissare limiti, che non siano di mero buonsenso, 

partendo da un concetto generalizzato di connessione. 

� quindi necessario mantenersi nell'ambito dell'interpretazione esten


�siva della norma specifica; a questo proposito bisogna soggiungere che la 

possibilit� di un'interpretazione estensiva va riguardata sempre con stretta 

aderenza alla funzione di incentivazione che l'agevolazione persegue nella 

:specifica materia regolata. Sg;>esso, al contrario, le applicazioni dilatate 

delle agevolazioni rischiano di risolversi contro il fine della norma; e ne 

abbiamo un esempio nel caso deciso. La legge ha previsto, per facilitare 

le imprese danneggiate dal).a guerra e da calamit� pubbliche, un mecca


nismo particolare di finanziamento con garanzia s�ssidiaria dello Stato 



904 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

giungendo � tutti gli atti e contratti relativi o conseguenziali a detti 
finanziamenti sono esenti da ogni tassa di bollo, registro ed ipotecaria,. 
mentre per detti atti e contratti gli onorari e I.e tasse notarili sono� 
ridotti alla misura di un. decimo �. 

Ora, non pu� dubitarsi che il deposito di cui trattasi, stipulato contestualmente 
al mutuo e per attuare una forma di garanzia a favore 
dell'Ente mutuante sia da comprendere fra i contratti che godonodell'agevolazione 
come innanzi concessa. 

Peraltro, la finalit� perseguita dal legislatore � quella di facilitare� 
la riparazione dei danni cagionati dalle calamit� diminuendo il costo� 
dell'attivit� occorrente, in vista di una finalit� di pubblico interesse. 
Il beneficio perci� spetta a tutti gli atti che concorrono -con funzione 
strumentale -alla attuazione della finalit� anzidetta. E la Corte di 
merito, con apprezzamento di fatto e perci� incensurabile in questa 
sede, ha accertato che la pattuizione relativa al deposito altro non. 
costituiva che una� modalit� per la realizzazione del mutuo. 

da realizzare ,con l'intervento di enti di diritto pubblico ai quali sono riser-vati 
speciali mezzi e procedimenti di garanzia delle somme mutate (pri-vilegio 
di primo grado sugli immobili, sugli impianti e sui crediti realizzabile 
con il procedimento <;li riscossione delle imposte dirette). Se in tale 
meccanismo, completo e suffici,ente, si inserisce un contratto di deposito 
delle somme finanziate (che avrebbero dovuto essere erogate all'impresa 
danneggiata) avente lo scopo di tutelare l'ente mutuante gi� sufficientemente 
cautelato, ci� significa che l'ente ha esercitato una pressione verso il su�" 
cliente per costringerlo ad accettar�e una garanzia supplementare in aggiunta 
a quelle previste dalla legge; se quindi, senza una esatta valutazione 
della specifica materia, si dichiara estesa l'agevolazione ad un tale 
contratto di deposito, nell'intento generico di alleggerire la pressione fi-� 
scale, in definitiva si incoraggia la banca a vessare i v�eri destinatari della 
agevolazione e si persegue un fine perfettamente opposto a quello della 
ilegge che intende beneficiare le imprese danneggiate e non gli istituti di 
credito. 

Considerazioni di questo genere potrebbero farsi in numerosi casi m 
cui si forza la portata della norma nel senso di un indiscriminato ampliamento 
delle agevolazioni senza tener conto dei reali e dichiarati fini, sempre 
operanti in un settor�e limitato, che la norma persegue e che non 
consistono soltanto nel puro e semplice alleggerimento fiscale; si rischia 
cos� di trasformare le ipotesi di legge e di ridurre ad omogeneit� . materie� 
diversissime. 

Sembra quindi necessario sottoporre a verifica critica il concetto di. 
connessione strumentale ormai entrato nell'uso corrente. Di certo non � 
facile prevedere che la giurisprudenza possa ripercorrere a ritroso tutto 
il cammino fatto nella direzione dell'ampliamento delle agevolazioni; ma 
� pur necessario stabilire un fondamento giuridico del concetto e i limiti 
della sua applicabilit�. Ma non sembra che sia sufficiente a questo fine il 
supporre un principio generale insostenibile. 

C. BAFILE 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 905 

La Corte d'appello ha, infatti, motivatamente ritenuto che il cosiddetto 
temporaneo deposito della somma oggetto del mutuo presso 
la Banca mutuante si risolveva, in concreto, nella mancata temporanea 
disponibilit�, da parte dei mutuatari, della somma mutuata; e ci� al 
:fine di permettere, ai mutuatari ed alla Banca di predisporre ed attuare 
le garanzie (iscrizioni ipotecarie ecc.), alle quali la concessione ed operativit� 
del mutuo erano state condizionate. 

� chiaro, quindi, che la motivata ricostruzione ed interpretazione 
che i giudici del merito hanno effettuato del contenuto obiettivo 
dell'atto di mutuo, a temperanea ritenzione, presso la Banca, della 
somma mutuata, avendo la finalit� di permettere ai mutuatari di acquisire 
la effettiva disponibilit� della somma oggetto del mutuo, non 
si presentava antitetica -come inesa_ttamente protestato dalle Finanze 
-con la funzione del mutuo. Inoltre tale ritenzione temporanea 
non dava vita ad un negozio autonomo e separato rispetto a 
quello del mutuo. E ci� vale anche ad assorbire l'ulteriore rilievo del1'
Amministrazione delle Finanze, secondo cui il cosiddetto deposito 
temporaneo si presenterebbe non necessariamente connesso, ex art. 9 
della legge di Registro, con l'atto di mutuo e non avrebbe quindi potuto 
godere del beneficio fiscale di cui si discute. Non senza rilevare, 
.sotto quest'ultimo profilo, che giusta la giurisprudenza di questa Corte 
Suprema (sent. n. 1379 del. 1963; sent. n. 416 del 1965) il diritto al 
trattameno tributario speciale riguarda anche gli atti .che, come mezzo 
al fine, siano in correlazione con l'atto che gode dell'agevolazione fiscale, 
anche se non fossero con esso necessariamente connessi e da esso 
necessariamente derivanti. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� luglio 1969, n. 2409 -Pres. Favara Est. 
Geri -P. M. De Marco (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Abignente) c. Manzo. 

Imposte e tasse in genere -Riscossione -Imposta generale sull'entrata 
-Ingiunzione -Competenza ad emetterla -Ufficio del registro 
-Sussiste. 

(I. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 58; I. 19 giugno 1940, n. 762, artt. 8 e 52; r.d. 30 dicembre 
1923, n. 3269, art. 144). 
A norma dell'art. 58 della legge� 7 gennaio 1929, n. 4, l'esecuzione 
del decreto con il quale il Ministro delle Finanze determina la pena 
pecuniaria per evasione all'imposta generale sull'entrata, � � pl/'omossa � 
dalZ'Intendente di Finanza, ma ci� non comporla che gli atti del pro




906 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cedimento coattivo debbano essere emessi dallo stesso Intendente in 
quanto alla riscossione dei crediti tributari legittimamente provvedono 
dipendenti uffici del registro (1). 

(Omissis). -Nell'unico motivo proposto l'Amministrazione finanziaria, 
denunziando la violazione e falsa applicazione di varie norme 
di legge, dagli artt. 56 e 58 legge 7 gennaio 1929, n. 4 all'art. 52 legge 
19 giugno 1940, n. 762, art. 31 r.d. 14 aprile 1910, n. 639, art. 144 legge 
organica di registro e delle norme e principi sulla contabilit� generale 
dello Stato, censura la denunziata sentenza per avere escluso che l'ingiunzione 
di cui si tratta possa essere emessa dal procuratore del registro 
e debba invece esserlo dall'Intendente di Finanza. L'espressione contenuta 
nell'art. 58 della legge n. 4 del 1929, nel quale si�stabilisce che 
l'esecuzione del decr~to ministeriale determinativo dell'ammontare della 
pena pecuniaria � � promossa � dall'Intendente di Finanza, deve essere 
intesa nel senso che l'Intendente stesso possa e debba disporre ed 
ordinare ai competenti uffici esecutivi, una volta notificato il decreto 
medesimo, di dare inizio alla procedura di esecuzione nei modi e nelle 
forme di cui al t.u. 14 aprile 1910, n. 639. 

L'intendente non avrebbe il potere di emettere le ingiunzioni coat


tive, come sarebbe dimostrato dall'art. 144 legge organica di registro, 

di generale applicazione, secondo cui per le pene pecuniarie l'ingiun


zione � emessa in seguito alla di lui richiesta. 

(1) Massima di evidente esattezza. Non soltanto i vari uffici preposti 
alla riscossione delle singole imposte (Uffici di registro, Conservatorie dei 
registri immobiliari, Uffici di dogana, ecc.) sono secondo le specifiche competenze 
abilitati ad emettere l'ingiunz�one prevista nel t.u. 14 aprile 1910, 
n. 639 su richiesta dell'Intendente di Finanza, ma � norma generale che 
i predetti uffici di cassa siano preposti in via principale alla riscossione, 
anche coattiva, dei crediti tributari (art. 45 ,e 46 della legge di Contabilit� 
di Stato), mentre ai capi degli uffici compartimentali e provinciali � demandata 
la sola vigilanza (art. 44). Per questa ragione gli Uffici del registro, 
quali tesorieri dello Stato, assai spesso provvedono alla riscossione, 
anche coattiva, di crediti di Amministrazioni diverse da quella Finanziaria 
sprovviste di un ufficio di cassa, ed esercitano tutti i poteri inerenti alla 
riscossione anche quando sono del tutto estranei all'accertamento o alla 
liquidazione del credito. 
Talvolta, per singole materi�e, la legge prevede che l'esecuzione sia 
promossa da altri uffici e che agli Uffici del registro spetti soltanto di 
incassare la somma dovuta (come ad esempio per i campioni giudiziari 
alla cui riscossione provvedono le Cancellerie, quali organi dell'Amministrazione 
Finanziaria, che per� per l'incasso emettono mandato sull'Ufficiodel 
registro); ma, ove no-n sia diversamente disposto, sia per i crediti tributari 
che per quelli di altra natura l'ufficio di �cassa che ha in carico la 
riscossione � sempre abilitato a promuovere gli atti coattivi. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 90'� 

Le norme sulla contabilit� dello Stato confermano questa opinione, 
attribuendo al contabile competente, e non gi� all'intendente, l'emissione 
dell'ingiunzione, ai fini del controllo e del rendimento dei conti. 
Se ne evince che il potere di procedere in via coattiva spetta ai soli 
uffici finanziari destinati alla riscossione delle entrate tributarie. 

Pertanto, tenuto conto che ai sensi degli artt. 8 ed 11 della legge 

n. 762 del 1940 sull'IGE la riscossione di detta imposta � affidata all'amministrazione 
del registro, alla stessa va attribuita la potest� di emettere 
l'ingiunzione, intesa quale strumento legale, ai sensi del t.u. 14 aprile 
1910, n. 639, per detta riscossione coattiva e per quella della relativa 
pena pecuniaria. 
Il ricorso � fondato e merita accoglimento. 

L'errore nel quale � caduta la Corte di merito � quello di avere 
interpretato in senso eccessivamente ristretto e letterale la norma 
(art. 58 legge 7 gennaio 1929, n. 4), senza collocarla adeguatamente nel. 
contesto del sistema, con l'attribuire al potere-dovere dell'Intendente 
di �promuovere� l'esecuzione fiscale il significato ridotto (non consentito 
peraltro dalla stessa espressione verbale predetta) di procedere 
direttamente e materialmente, e quindi con esclusione di organi dipendenti 
anche se meglio attrezzati all'uopo, al compimento di tutti gU 
atti necessari per realizzare esecutivamente la pretesa fiscale. 

In ogni caso, l'incompetenza, posta a base della denunziata deci-


sione, non � certamente assoluta e tale che avrebbe importato la 

nullit� dell'atto, ma, caso mai, quella di carattere relativo, perch� come


� noto i vizi degli atti amministrativi, riguardanti i soggetti da cui 

provengono, configurano, nell'ambito delle funzioni loro demandate


come organi di amministrazione attiva, una incompetenza per materia, 

una incompetenza per territorio ed una incompetenza per grado. Non 

rientrando la fattispecie nelle prime due, postoch� tanto l'Ufficio del 

registro competente per territorio che l'Intendente appartengono alla 

Amministrazione finanziaria, l'unica ipotesi configurabile in astratto,. 

sarebbe soltant~, di una incompetenza relativa per grado. 

L'ingiunzione, cio�, avrebbe dovuto, in tesi, essere emessa dall'In-


tendente anzich� dall'Ufficio del registro, da un organo superiore ri-


spetto ad un organo dipendente. 

Per ravvisare per� un siffatto caso di incompetenza �per grado > 

� necessario, trattandosi di uffici appartenenti alla stessa amministra


zione muniti di funzioni affini e comunque concernenti materie si:�:�lari, 

che l'indicazione legislativa circa l'organo, al quale � attribuito il 

potere di emettere l'atto, sia specifica e rigorosa e risponda ad una 

non dubbia esigenza di individuazione dell'organo stesso, come quello 

pi� idoneo, in relazione alla natura del provvedimento, ad adottarlo. 

In tal caso, per� la lettera della legge non deve prestarsi ad interpretazioni 
equivoche od estensive, altrimenti bene sarebbe attribuita Ia, 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

908 

competenza ad uno qualsiasi degli organi dello stesso settore dell'Amministrazione, 
non opponendosi specifiche diversificazioni di compiti, 
funzioni o poteri. 

Applicando le osservazioni di cui sopra al caso di specie � facile 
rilevare anzitutto come l'indicazione legislativa circa l'organo competente 
non � affatto rigorosa ed inequivocabile, ove si consideri che il 
-potere di � promuovere � l'esecuzione fiscale pu� indifferentemente comprendere 
quello di emanare direttamente e materialmente i relativi atti, 
-come quello di ordinare, disporre o richiedere che ad essi provveda un 
organo dipendente meglio attrezzato, per la sua struttura ed i compiti 
comunemente assegnatigli, a curarne l'emanazione. 

In secondo luogo, accanto all'ampio significato esegetico della lettera 
della legge or ora fatto presente, ricorre in pieno la fungibilit�, 
nello specifico settore, delle funzioni dell'intendente e di quelle dell'ufficio 
del registro, nulla ostando in base alle .rispettive attribuzioni, 
�che sia l'uno che l'altro organo possano emettere una ingiunzione di 
natlj.ra fiscale. 

Ma vi ha di pi�, perch� proprio sulla materia controversa, d'imposta 
sulla entrata, lo specifico compito d'organo riscuotitore appartiene 
proprio all'ufficio del registro, al quale infatti sono espressamente 
demandate dalla legge (art. 8 ed 11 legge n. 762 del 1940) le 
funzioni di riscossione anche dell'IGE oltrech� di altre imposte indirette 
prima fra tutte quella di registro (art. 144 legge organica, e per le pene 
pecuniarie art. 1 d.1. 13 gennaio 1936, n. 2313), consente di ritenere 
come pi� idoneo.allo scopo proprio detto ufficio e di interpretare quindi 

l'art. 58 legge n. 4 del 1929 nel senso che l'Intendente si limita ad ordinare 
o richiedere ad esso l'emissione del provvedimento ingiuntivo, 
"che � il primo atto dell'esecuzione fiscale. 

Ci�, oltretutto, risponde ad una logica e ordinata distribuzione dei 
-compiti fra organi periferici della stessa amministrazione finanziaria, 
poich� mentre l'Intendente esercita funzioni di vigilanza e coordina.
mento su tutti gli uffici finanziari della propria circoscrizione territoriale, 
l'ufficio del registro rappresenta un organo esecutivo, specifica_
mente addetto all'esecuzione coattiva ed alla riscossione (art. 144 legge 

organica di registro). 
Pertanto in accoglimento del ricorso, deve essere cassata la denun_
ziata sentenza, limitatamente alla statuizione impugnata, con rinvio ad 
altra Corte, che provveder� anche sulle spese di qu,esto grado. 
Il giudice di rinvio si atterr� al seguente principio di diritto: 

� Ai sensi dell'art. 58 della legge 7 gennaio 1929, n. 4 l'esecu..
zione del decreto, con il quale il Ministro delle Finanze ha determinato 
la pena pecuniaria per evasione all'IGE, deve essere promossa dall'Intendente 
di Finanza. A tal fine l'Intendente medesimo, trattandosi di 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 909 

imposta la cui riscossione � affidata all'Ufficio del registro, ai sensi 
dell'art. 8 ed 11 legge 19 giugno 1940, n. 762 e 66 e seguenti del relativo 
regolamento, richiede al predetto Ufficio di emettere la relativa ingiunzione, 
secondo il disposto dell'art. 144 della legge di registro e dell'art. 
1 d.l. 13 gennaio 1936, n. 2313 con la corrispondente procedura 
di riscossione ivi prevista �. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 luglio 1969, n. 2749 -Pres. Favara 
-Est. Ferrone Capano -P. M. Pedote (diff.) -Soc. Lavanderia 
Marittima (avv. Caranci) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Sorce). 

Imposta di registro -Appalto -Registrazione a termine fisso -Contratti 
fra commercianti per lavorazione e riparazione di merci. 

(1. 19 luglio 1941, n. 771, art. 3; d.l. 5 aprile 1945, n. 141, art. 5). 
Imposta di registro -Appalto -Appalto di servizi -Prestazioni di varia 
natura -Obbligo di registrazione -Sussiste. 

(1. 19 luglio 1941, n. 771, art. 1 e 3). 
Il secondo comma dell'art. 3 della legge 19 luglio 1941, n. 771 non 
esclude dalla nozione di appalto i contratti tra commercianti per la 
lavorazione o riparazione di materie, merci o prodotti eseguiti dalla 
ditta assuntrice nell'ambito della sua ordinaria attivit�, ma semplicemente 
dichiara i menzionati atti soggetti alla sola registrazione in caso 
d'uso. Sono pertanto da tassare come regolari appalti i contratti del 
genere quando manchi alcuno dei presupposti previsti per l'esclusione 
della registrazione a termine fisso (1). 

Costituiscono appalto di servizio, come tale soggetto alla registrazione 
con obbligo di denunzia del contratto anche verbale, i contratti 
cosiddetti di risultato aventi per oggetto prestazioni di varia na


(1-2) La prima massima � di evidente esattezza. L'aver sottoposto un 
determinato tipo di contratto alla sola registrazione in caso d'uso non significa 
escludere dalla nozione tributaria d'appalto quel determinato contratto 
che dell'appalto ha tutti i requisiti. Basta al riguardo considerare 
che l'imposta dovuta in caso d'uso � per l'appunto quella prevista per 
l'appalto. 

Di maggiore interesse � la seconda massima che, argomentando a contrariis 
dall'art. 1 quinto comma della legge 19 luglio 1941, n. 771, riconduce 
alla nozione di appalto tutte l.e assunzioni continuative di servizi di 
vario genere che non possono assimilarsi alla vendita, sottolineando anche 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
tura, ogni volta che sia esclusa la configurabilit� del contratto miste> 

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riconducibile a quello di vendita a norma dell'art. 1 della legge 19' 

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luglio 1941, n. 771 (2). 

!] 

(Omissis). -Col primo motivo, dopo aver ricordato che l'art. 3~ 
secondo comma, della legge 19 luglio 1941, n. 771, recante provvedimenti 
in materia di imposta di registro sugli appalti, dispone che � qualunque 
sia il prezzo o valore globale, i contratti conclusi tra commercianti, 
verbalmente o mediante corrispondenza, per la riparazione o 
lavorazione di materie, merci e prodotti, affidati dalla ditta committente 
per essere riparati, trasformati o perfezionati, sono soggetti a 
registrazione soltanto in caso d'uso, quando la riparazione o lavora-zione 
costituisce l'oggetto della ordinaria attivit� della ditta assuntrice �, 
la ricorrente afferma che � poich� il principio fondamentale in funzione 
del quale � stata elaborata la citata legge (del 19 luglio 1941) � che� 
i contratti di appalto sono sempre soggetti a registrazione in termine 

fisso, anche se stipulati verbalmente o per corrispondenza commerciale, 
la ricordata norma (dell'art. 3) significa che i contratti di lavo


razione, di trasformazione e di riparazione, tipici contratti di risultato 
aventi per oggetto un opus, non sono, ai fini dell'imposta di registro,. 
considerati appalti, quando le operazioni di riparazione, di trasfor-


mazione o di perfezionamento rientrino nell'ordinaria attivit� della 
ditta assuntrice �. 

L'affermazione � infondata, in quanto il secondo comma del citato 
art. 3 � collegato col primo comma dello stesso articolo, il quale contempla 
unicamente i � contratti d'appaio �. Fra i contratti di appalto, 
sia a norma delle disposizioni di diritto comune (artt. 1655 e segg. e.e.} 
sia a norma delle disposizioni speciali tributarie, contenute nell'art. 1 
d~lla stessa legge del 1941, rientrano senza dubbio, purch� ricorrano 
gli altri estremi richiesti dalla legge, anche i contratti aventi per oggetto 
la riparazione o la trasformazione, o il perfezionamento di materie, 
merci e prodotti. La differenza fra il primo e il secondo comma 
del predetto art. 3 non sta nella natura giuridica dei contratti in essi 
considerati, che tanto nell'uno quanto nell'altro sono contratti di appalto, 
sibbene nel diverso ambito di applicazione delle due norme, ci�. 

che per la sussistenza dell'appalto non si richiede n� una particolare assunzione 
di rischio n~ una organizzazione di mezzi predisposta specificamente 
per l'�ppalto in cohsiderazione. 

Altro problema � quello della dimostrazione dell'esistenza di un appalto 
di servizi (e ci� particolarmente nel caso in cui in mancanza di atto. 
scritto o di denunzia debba procedersi per presunzione ex art. 6 d.I. 15novembre 
1937, n. 1924) come rapporto distinto dalle singole unit� di prestazione 
ciascuna esente da imposta (caso tipico quelle del trasporto);. 
cfr. in �argomento Cass. 1� febbraio 1962, n. 186 in Riv. leg. fisc., 1962, 1308'. 
e 23 marzo 1963, n. 724, ivi, 1963, 1537. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 911 

che si risolve in una distinzione fra regola ed eccezione. La regola 
� che i contratti d'appalto conclusi verbalmente o per corrispondenza 
commerciale non sono soggetti a registrazione, salvo il caso d'uso, 
quando il prezzo, o valore globale, non superi le lire 250.000 (primo 
comma). Ma allorch� trattasi di contratti conclusi fra commercianti, 
verbalmente o mediante corrispondenza, aventi per oggetto la suindicate 
riparazioni, o lavorazioni, rientranti nell'ordinaria attivit� della 
ditta ass~trice, l'esenzione dalla registrazione resta operante, salvo il 
caso d'uso, qualunque sia il prezzo, o valore globale (secondo comma). 
In altri termini, � l'oggetto del contratto fra commercianti, concluso 
verbalmente o mediante corrispondenza, che, quando � costituito da 
riparazioni o lavorazioni rientranti nell'ordinaria attivit� della ditta 
assuntrice, importa l'esenzione dalla registrazione, salvo il caso di uso, 
anche se il p:i:;ezzo o valore globale superi la somma (lire 250.000) che 

normalmente determina l'obbligo della r�gistrazione. 

Non � esatto, quindi, che a differenza del primo comma, il quale 
prevede i contratti di appalto, il secondo comma escluda, con implicita 
qualificazione negativa, che possano considerarsi appalti anche quei 
contratti che hanno tutti i requisiti dell'appalto, relativi a riparazioni, 
trasformazioni o perfezionamenti di materie, merci o prodotti. 

L'altra censura formulata nel primo motivo di ricorso riguarda 

l'applicabilit� alla fattispecie della disposizione dell'art. 1, quarto 

comma, della citata legge del 1941, per la quale sono considerati a,J(


palti, agli effetti dell'imposta di registro, i contratti � che hanno per 

oggetto la prestazione dell'attivit� lavorativa di persone diverse da 

quella che ha contratto l'obbligazione, comunque sia determinato il 

corrispettivo �. 

La censura � irril~vante, in quanto investe un'argomentazione sus


sidiaria della impugnata sentenza, che non ne costituisce la ratio' d,e:ci


dendi. Anche se la Corte di appello �avesse errato nella interpretazione 

della detta norma, non per questo potrebe addivenirsi alla cassazione 

della denunciata sentenza, che di quella norma non ha fatto concreta e 

determinante applicazione alla fattispecie. 

Col secondo motivo si deduce che nel contratto intercorso fra le 

parti si sarebbe dovuto ravvisare e un contratto di risultato innomi


nato ., non gi� un appalto. In particolare, nel denunciare la viola


zione dell'art. 1655 e.e., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., la ricor


rente addebita alla Corte di merito di avere confuso il rischio in senso 

tecnico-giuridico (che, secondo le norme di diritto comune, non sa


rebbe sufficiente per la configurazione del contratto d'appalto) col 

rischio in�senso economico (rischio del lavoro). In altri termini, nella 

specie si sarebbe dovuto escludere il rischio (e, quindi, il contratto di 

appalto), in quanto �la Lavanderia sa esattamente qual'� il costo di 

ogni unit� di prodotto, e perci� sa bene quanto guadagna per ogni sua 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLCl STATO 

prestazione; quello che non sa, ed in ci� solo risiede il rischio dell'impresa, 
� quante prestazioni dovr� effettuare, in modo da poter realizzare 
un dato guadagno �. iSi de~uce, inoltre, che per la sussistenza del 
contratto d'appalto non � sufficiente una semplice organizzazione di 
beni strumentali, senza dei quali il lavoro non potrebbe compiersi n� 
il servizio prestarsi, ma occorre � una organizzazione di mezzi compiuta 
in vista del singolo lavoro e del singolo servizio, che costituisce l'oggetto 
dell'appalto �. Senza una siffatta organizzazione, appositamente 
predisposta per un determinato lavoro e per un determinato servizio, 
non sarebbero configurabili contratti di appalto, ma altri tipi di contratto, 
alcuni nominati (trasporto, noleggio) ed altri innominati, tutti 
rientranti nell'ampia categoria dei contratti di risultato. 

Entrambe le censure sono infondate. 

Quanto al rischio, la stessa ricorrente riconosce che �nell'appalto 
l'appaltatore non sa con certezza se da quel singolo contratto ricever� 
una perdita o un utile; l'appaltatore, cio�, esegue l'opera per un dato 
prezzo, ed � a suo rischio se in realt� l'opera gli viene a costare pi� 
del prezzo convenuto, o comunque pi� di quanto prevedeva � . Un siffatto 
rischio, che la stessa ricorrente ammette essere sufficiente per la 
configurazione del contratto di appalto, ricorreva senza dubbio nel caso 
in esame, dove � chiaro, giusta gli accertamenti compiuti dai giudici 
di merito, che la Lavanderia non sapeva in anticipo, con assoluta certezza, 
se e quale utile avrebbe ritratto dalle prestazioni che si era obbligata 
ad eseguire (lavature, stirature e rammendi) per un determinato 
periodo di tempo. Il rischio della gestione era rappresentato non 
solo e non tanto dal numero delle prestazioni che sarebbero state richieste 
(quantit� delle cose da sottoporre a lavorazione), quanto dal 
costo delle prestazioni medesime, che, per fattori imprevedibili o sopravvenuti, 
poteva risultare diverso da quello preventivato. 

Giuridicamente inesatti, poi, sono i concetti che la ricorrente propugna 
in ordine alla � organizzazione dei mezzi necessari � per l'esecuzione 
dell'appalto. Ai sensi dell'art. 1655 cod. civ., occQrre un'organizzazione 
di mezzi necessari (ossia idonei ed adeguati) per il compimento 
dell'opera o per la prestazione del servizio, ma non � certo 
necessario che tali mezzi siano predisposti di volta in volta, appositamente 
e specificamente per una determinata opera o per un determinato 
servizio. Anzi, -� proprio l'imprenditore professionale quello che assume 
normalmente gli appalti. 

Esattamente, dunque, il Tribunale ha ritenuto che nella specie 
ricorressero tutti gli estremi del contratto di appalto (appalto ad esecuzione 
periodica di servizi), essendo rimasto accertato in punto di fatto: 
a) che la Lavanderia Marittima era fornita di un'attrezzatura tecnico-� 
industriale, organizzata ed operante nel suo laboratorio di Civitavecchia 
(con macchinari, mano d'opera, ecc.), idonea e sufficiente per il com



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

pimento dei servizi in questione; b) che le prestazioni ad essa richieste 
dalla societ� di navigazione Tirrenia (committente) erano costituite non 
solo dalla lavatura, stiratura e rammendo delle anzidette telerie, ma 
anche dal ritiro e dalla riconsegna a bordo delle navi, nonch� dall'assunzione 
degli oneri doganali, il tutto a cura e rischio della stessa 
Lavanderia; c) che anche la determinazione del corrispettivo (un tanto 
a capo) dimostrava che la gestione d�l servizio era a completo rischio 
dell'assuntrice. 

Tali accertamenti, dalla ricorrente non impugnati, giustificano appieno 
la qualificazione giuridica che � stata data al contratto dai giudici 
di merito, quale contratto d'appalto per la prestazione di servizi, soggetto 
ad imposta di registro. � 

N� a diversa soluzione potrebbero condurre le norme speciali di 
c;l.iritto tributario. Basta osservare che la citata legge 19 luglio 1941, 

n. 771, contiene disposizioni particolari per i contratti misti di dare 
e di fare, limitatamente alla distinzione, agli effetti dell'imposta di 
registro, fra contratti di appalto e contratti di vendita. Ma, quando non 
si verta in tema di contratti misti di dare e di fare, o quando (come 
nella specie) sia senz'altro da escludere la figura della vendita, rimangono 
fermi, relativamente all'appalto, i principi ed i concetti di diritto 
comune, non derogati dalle norme tributarie se non nei ristretti limiti 
innanzi indicati. 
Tutto ci� dimostra che infondato � non solo il secondo motivo di 
ricorso (oltre che il primo), ma anche il terzo, col quale si deduce che 
il contratto in questione rientrava � nella categoria delle prestazioni al 
dettaglio ., a norma delle leggi concernenti l'imposta generale sull'entrata. 
Una volta accertato, invece, che nella specie fu concluso un vero 
e proprio contratto d'appalto, come tale soggetto ad imposta di registro, 
non possono trovare applicazione istituti e principi valevoli per 
una diversa imposta (ed a questa limitati), quale l'imposta sull'entrata, 
che trova fondamento in presupposti e finalit� di altra natura. 

Infondato, infine, � anche il quarto ed ultimo motivo, col quale si 
denuncia la violazione dell'art. 1362 e.e., per avere la Corte di merito 
utilizzato, ai fini della interpretazione del contratto, il comportamento 
tenuto da una delle due parti, in sede stragiudiziale, posteriormente 
alla conclusione del contratto medesimo. 

Sostiene la ricorrente che � il comportamento delle parti, che il 
giudice pu� utilizzare per l'interpretazione del negozio, � quello complessivo 
della totalit� dei contraenti, non gi� quello adottato da uno o 
pi� di costoro �. � principio gi� affermato, invece, che il giudice pu� 
trarre argomento, ai fini della interpretazione del contratto, anche dal 
comportamento complessivo di una sola delle parti, tanto pi� quando 
esso appaia (come nella specie), contrastante con la pretesa che la stessa 
parte faccia valere in giudizio. 


914 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il ricorso, pertanto, � infondato in tutti i suoi motivi e deve essere 
rigettato, senza che possano prendersi in esame le ulteriori censure 
formulate per la prima volta nella memoria illustrativa, non potendo 
le memorie, come � noto, contenere nuovi motivi di impugnazione, 
non specificati nel ricorso. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2777 -Pres. Rossano 
-Est. Elia -P. M. Trotta (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Salvatori) c. Vigo. 

Imposta di registro -Vendita fra parenti -Presunzione di liberalit� Prova 
della provenienza del prezzo -Riferimento al prezzo pagato 
e non al valore accertato -Dimostrazione parziale -Dimo.. 
strazione presuntiva per la parte residua -Inammissibilit�. 

(d.1. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5). 
Nella vendita fra parenti entro il terzo grado la prova contraria 
alla p1�esunzione di liberalit� (che non deve essere riferita al valore 
successivamente accertato del bene trasferito, ma al prezzo realmente 
pagato che, in mancanza di prova contraria, � quello risultante dall'atto 
da tassare) pu� esser data esclusivamente con i mezzi stabiliti 
neti'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90. Conseguentemente nel caso in 
cui l'idonea dimostrazione sia stata fornita soltanto per una parte del 
prezzo pagato, non pu� presumersi la provenienza della parte del prezzo 
residuo, non potendosi opporre una presunzione semplice ad una presunzione 
legale (1). 

(Omissis). -Col secondo motivo la ricorrente denuncia violazione 
degli artt. 2697, 2729 e.e., 5 d.l. 8 marzo 1945, n. 90 �e 360 nn. 3 e 5, 
c.p.c., anche per contraddittoriet� di motivazione sul punto decisivo 
del pagamento del prezzo. Deduce che erroneamente la Corte di me


(1) Per giurisprudenza costante la prova contraria alla presunzione 
dell'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90 deve aver riguardo al prezzo pagato 
che, in mancanza di prova contraria a carico della finanza, � quello risultante 
dall'atto (Cass. 23 luglio 1969, n. 2775 in questo stesso fascicolo 
pag. 971; 23 aprile 1969, n. 1276, Riv. leg. fisc., 1969, 1276; 8 novembre 1967, 
n. 2698, ivi, 1968, 291, 7 gennaio 1967, n. 65, in questa Ra.~segna, 1967, I, 
291). Nelle predette sentenze � istato per� affermato che la Finanza pu� impugnare 
di simulazione l'atto per far affermare che esso contiene un 
negotium mixtum cum donatione (cfr. in proposito fa nota alla citata 
sent. n. 2775 del 1969). Esattissima si rivela l'affermazione sull'impossibilit� 
di ricorrere alla presunzione semplice per la parte del prezzo di cui non 
� dimostrata la provenienza con mezzi idonei. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 915 

rito, dopo aver dato atto che, sul prezzo dichiarato nel rogito di acquisto 
dell'immobile, di complessive lire sei milioni, risultava la prova 
piena ed ineccepibile di un pagamento di lire 4.400.000, mediante 
assegno per pari somma, ritenne di potere, per la residua somma, di 
lire 1.600.000, .presumere il pagamento, bench� mancasse la prova che 
anche tale residuo prezzo fosse stato effettivamente corrisposto, un 
titolo di data certa idoneo a vincere la presunzione di gratuit� di cui 
all'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945, n. 90, citato. 

La censura � fondata. 

L'art. 5 richiamato dispone che le trasmissioni di immobili tra 
parenti fino al terzo grado si presumono liberalit� e sono soggette alla 
relativa imposta, se la provenienza del prezzo pagato non risulti da 
titolo avente data certa. Pertanto il prezzo del cui ammontare deve 
essere provata la provenienza � quello effettivamente pagato, risultante, 
fino a prova contraria, dal rogito presentato per la registrazione (Cass. 
8 novembre 1967, n. 2698); e la prova della provenienza dell'intiero 
prezzo, idonea a vincere la presunzione legale di liberalit�, deve esser 
fornita mediante un titolo la cui data deve risultare certa soltanto nei 
limiti previsti dall'art. 2704 e.e. che omette qualsiasi mezzo di prova 
e quindi le presunzioni nel caso previsto dal secondo comma (dichiarazioni 
unilaterali non destinate a persona determinata) e dal terzo 
comma (accertamento della data nelle quietanze). Non poteva dunque 
la Corte di merito, in base a presunzioni ritenere la disponibilit� ed 
il pagamento della parte di prezzo per la quale nessun titolo di data 
certa dimostrava la provenienza e l'effettivo versamento al parente 
venditore dell'immobile, cui si riferiva l'atto di trasferimento oggetto 
dell'imposizione. Essa, invero ammise che, per la somma di L. 1.600.000, 
parte residua del prezzo di L. 6.000.000, del quale erano stati pagati, 
mediante assegno, L. 4.400.000 non c'era alcun titolo di data certa che 
dimostrasse l'avvenuto pagamento; e tuttavia nonostante l'accertata 
mancanza di un titolo probatorio del pagamento, ritenne che anche 
la detta residua somma di L. 1.600.000 fosse stata pagata, contro la 
opposta presunzione, legale, nascente dall'art. 5 citato, che non pu� 
essere vinta se non da una prova nascente da un titolo di data certa 

ai sensi dell'art. 2704 e.e. 

Col terzo motivo del ricorso, l'Amministrazione denuncia viola


:zione dell'art. 5 d.l. 8 marzo 1945, n. 90, art. 15 segg. d.l. 7 agosto 1936, 

n. 1639, art. 2697 e.e. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., deducendo 
ehe erroneamente la Corte di appello non consider� che il valore dell'immobile 
accertato dalla Commissione distrettuale delle imposte era 
di L. 19.000.000 e non afferm� in relazione a tale somma la presunzione 
legale di liberalit�. La censura � infondata. Il prezzo del quale, 
ai sensi dell'art. 5 citato, deve essere provata la provenienza, per vin-
cere la presunzione di liberalit�, � soltanto quello risultante dal rogito 

916 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di compravendita (Cass. 8 novembre 1967, n. 2698) salvo non si dimostri 
che le parti pattuirono un prezzo diverso (Cass. 2 ottobre 1956, 

n. 3309). Non si pu� quindi esigere dal contribuente, ai fini della 
esclusione della presunzione legale di liberalit� dell'acquisto, la prova 
di un prezzo equivalente al valore dell'immobile, accertato dalla Finanza, 
o dalle Commissioni tributarie, se non sia dimostrato che tale 
fu il prezzo effettivamente pattuito fra l~ parti. -(Omissis). 
I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 19 agosto 1969, n. 3010 -Pres. Favara 
-Est. Geri -P. M. De Marco (conf.) -Monti (avv. De Luca) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia). 
Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Ingiunzione -Dichiarazione 
di legittimit� pro parte -Ammissibilit�. 
(t.u., 14 aprile 1910, n. 639). 

Legittimamente il giudice pu� dichiarare fondata la pretesa tributaria 
limitatamente ad una parte della somma indicata nell'ingiunzione, 
non importando tale accertamento n� revoca n� annullamento dell'atto 
amministrativo. L'Amministrazione convenuta non deve proporre domanda 
riconvenzionale per riconoscere un errore comportante una riduzione 
del credito oggetto dell'ingiunzione (1). 

(1-3) Ancora sull'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di 
opposizione all'ingiunzione fiscale. 

Le due recenti decisioni affinano la nozione di ingiunzione fiscale, recentemente 
illustrata da un gran numero di pronunce (v. nota appresso 
citata). In particolare si approfondisce la posizione processuale della Finanza 
in relazione all'eventualit� di una sua domanda riconvenzionale. 
Sull'argomento abbiamo avuto occasione di affermare (C. BAFILE, Note 
sull'azione riconvenzionale della Finanza nel giudizio di opposizione all'ingiunzione 
fiscale, in questa Rassegna, 1969, I, 527) che l'azione riconvenzionale 
della Finanza non � di norma necessaria, giacch� nei casi in cui 
dovrebbe essere proposta, secondo i principi processuali comuni, sarebbe 
inammissibile per ragioni specifiche del diritto tributario. 

La prima delle sentenze opportunamente riconferma che, senza necessit� 
di proporre domanda riconvenzionale, la Finanza pu� opporre a fondamento 
della sua .pretesa �n titilo diverso da quello indicato nell'ingiunzione, 
anche se da ci� discende la liquidazione di un'imposta diversa (minore). 
In tal modo non si costruisce innanzi all'A.G.0. il titolo della pretesa 
tributaria (cosa che urterebbe contro il divieto dell'art. 4 della legge di 
abolizione del contenzioso amministrativo) ma si verifica semplicemente 
la legittimit� dell'imposizione, sia pure spaziando, quanto alla causa pe




PARTE I, SEZ. V, .GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 917 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 luglio 1969, n. 2775 -Pres. Pece Est. 
Milano -P. M. Pedace (conf.) -De Maria ed altri c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Masi). 

Imposte e tasse in genere -Imposte indirette -Ingiunzione -Accer


tamento da parte del giudice di presupposti diversi da quelli su 

cui si basa l'ingiunzione -Legittimit�. 

(t.u., 14 aprile 1910, n. 6.39). 

Imposta di registro -Vendita fra parenti -Presunzione di liberalit� Valore 
del bene trasferito eccedente sul prezzo convenuto -Negoziomisto 
-Ammissibilit� -Impugnazione di simulazione dell'atto Necessit�. 


(d.l. 8 marzo 1945, n. 90, art. 5). 
Poich� l'ingiunzione � l'atto iniziale di un procedimento monitoriO" 
sui generis nel quale l�'opposizione dell'intimato, siccome rivolta a far 
dichiarare l'illegittimit� dell'atto, costituisce la domanda giudiziale che� 
apre un 01�dinario processo di cognizione nel quale l'opponente assume 
la veste di attore e la Finanza quella di convenuto, � consentito innanzi 
all'A.G.O. dedurre tutte le ragioni che giustificano la pretesa tributaria 
e contestare la domanda tendente aiza declaratoria di ilLegittimit� dell'ingiunzione 
anche allegando motivi diversi da quelli indicati nell'atto 

tendi, in un pi� vasto campo. Ed � opportuna, anche se non strettamente 
necessaria, la citazione del principio della conservazione degli atti giuridici 
al fine di avvalorare il concetto che pu� sempre correggersi il fondamento 
della pretesa tributaria quando dalla correzione consegue la liquidazione 
di un'imposta uguale o minore. Se invece dalla correzione dei 
presupposti e delle ragioni discende la liquidazione di un'imposta maggiore, 
deve provvedersi in sede amministrativa, perch� l'azione riconvenzionale 
per la liquidazione di un'imposta (che in questo caso sarebbe una 
azione vera e propria proposta dal convenuto come attore e diretta non 
soltanto a resistere alla domanda dell'attore principale) non rpu� essere 
proposta direttamente dinanzi all'A.G.0. omettendo la fase amministrativa. 

Giustamente quindi la sentenza ha chiarito che non � inibito al giudice 
dichiarare legittima pro parte la pretesa fatta valere con l'ingiunzione,. 
anche se non sia �stata proposta domanda riconvenzionale dalla Finanza. 

Non ci sembra tuttavia da condividere l'affermazione che il titolo 
esecutivo sia costituito non dall'ingiunzione ma dalla sentenza pronunciata 
in seguito all'opposizione. Questo vale per l'ingiunzione ordinaria ma non 
per l'ingiunzione fiscale rispetto alla quale la sentenza accerta soltanto la 
conformit� (totale o parziale) della pretesa fiscale alla legge, non traducendosi 
mai in una condanna al pagamento dell'imposta (nel che si veri



'918 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

,�i accertamento del tributo. Conseguentemente nell'ipotesi di vendita 
fra parenti entro il terzo grado tassata come atto di liberalitd, la Finanza 
in sede di opposizione giudiziaria pu� sostenere la subordinata 
pretesa che il negozio sia da considerare di liberalitd per la parte del 
valore che eccede sul prezzo che risulta pagato (2). 

Per vincere la presunzione di liberalitd nella vendita fra parenti 
-entro il terzo grado a norma dell'art. 5 del d.l. 8 marzo 1945,, n. 90 � 
sufficiente che sia provata la pro1Jenienza della somma corrispondente 
-al prezzo realmente pagato (che fino a prova contraria � queUo risultante 
dall'atto) e non anche della somma corrispondente al valore successivamente 
accertato. Tuttavia qualora l'atto sia impugnato dalla 
Finanza di simulazione, pu� configurarsi l'ipotesi del negotium mixtum 
,cum donatione avente carattere di trasferimento gratuito per il valore 
-eccedente sul prezzo dichiarato. Ai fini della dichiarazione di simulazione 
relativa non � per� sufficiente accertare il divario tra valore 
-reale e prezzo convenuto, ma � anche necessario dimostrare l'animus 

donandi, cio� la consapevolezza di trasferire una cosa di valore mag-
giore del corrispettivo pattuito a titolo di prezzo (3). 

I 

(Omissis). -La seconda censura (ad b) -nella quale in sostanza 
-si nega che l'ingiunzione possa essere considerata legittima pro parte 
in quanto con siffatta affermazione il giudice si sostituirebbe alla P. A. 
nell'accertamento e liquidazione del tributo, onde la riduzione sia pur 

-f�cherebbe l'invasione dell'A.G.O. in una attribuzione amministrativa). Nel 

caso poi di riconoscimento di parziale legittimit� della pretesa, � ancor 
:pi� evidente che il giudice ordinario deve limitarsi a dichiarare i presupposti 
ed i �criteri di tassazione in base ai quali si proceder� in sede am:
ministrativa alla liquidazione in cifre. 

La seconda sentenza pone un pi� ampio problema sullo stesso tema 
-della domanda riconvenzionale. Anche in questa pronuncia si riconferma 
che la Finanza pu� addurre, senza dover agire in riconvenzione, un diverso 
fondamento della pretesa, anche se ne deriva l'applicazione di una imposta 
minore (qi fronte ad un'ingiunzione per il pagamento dell'imposta di 
trasferimento �commisurata ad un atto considerato di liberalit� in una ipotesi 
di v�endita tra parenti,. in sede di opposizione si era sostenuto, in subor
�dine, la �sussistenza di un negotium mixtum cum donatione, riconoscendosi 
vinta la presunzione dell'art. 5 del d.1. 8 marzo 1945, n. 90, ma afferman-
dosi la liberalit� per la parte del valore eccedente il pr�ezzo convenuto). 
Ma fa domanda riconvenzionale, non necessaria per sostenere la le,
gittimit� pro parte dell'ingiunzione, 1sarebbe in questo caso necessaria per 
impugnare il contratto di vendita di simulazione relativa. La S.C., presup



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 919 

minima del suo importo travolgerebbe l'atto nella sua interezza -non 
� meno inconsistente della prima. 

Il principio generale di conservazione degli atti giuridici autorizza 
il giudice ad esaminare ed accertare i limiti entro i quali l'ingiunzione 
deve essere ritenuta legittima. Ci� facendo egli non si sostituisce all'Amministrazione, 
sia perch� esercita la propria cognizione nell'ambito dell'atto 
amministrativo, sia perch� -con particolare riguardo alla presente 
fattispecie -� stata la medesima amministrazione -attraverso 
il riconoscimento dell'errore e la modica riduzione della somma dovuta 
-ad operare la contestata modifi�azione. 

Non va dimenticato peraltro che nei limiti di somma entro i quali, 
anche per espressa ammissione del creditore, l'ingiunzione deve considerarsi 
legittima, il titolo esecutivo non � costituito dall'ingiunzione 
:stessa, ma dalla sentenza pronunziata in seguito all'opposizione (�rticolo 
653 c.p.c.). 

La giurisprl!-denza del resto ha ammesso chiaramente che in siffatti 
procedimenti, nei quali (come s'� detto) la Finanza assume la veste di 
eonvenuta, l'Amministrazione stessa pu� opporre, a fondamento della 
pretesa un titolo diverso da quello indicato nell'ingiunzione ed il giudice 
deve conoscere (nei limiti del divieto dello ius novo!J'um), non 
implicando tale esame n� la revoca n� l'annullamento dell'ingiunzione 

(Sez. Un., 30 marzo 1968, n. 975). -(Omissis). 

Nel secondo mezzo si denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c. 
perch� la Corte di merito non avrebbe dovuto accogliere la riconvenzionale 
proposta dalla Finanza per ottenere la riduzione dell'ingiunzione, 
in quanto in sede di opposizione ad ingiunzione fiscale non 
.sarebbe possibile proporre una riconvenzionale diretta alla eliminazione 
degli errori dell'ingiunzione medesima. 

ponendo che l'Amministrazione possa impugnare di simulazione il contratto 
di vendita per sostenere che questo � solo in parte oneroso, ha ritenuto 
ehe tale impugnazione, sempre necessaria, possa esser proposta con la domanda 
riconvenzionale. 

Questo potrebbe essere un caso in cui sia ammissibile e necessaria una 
vera e propria azione riconvenzionale dell'Amministrazione convenuta; una 
tale ipotesi non .sarebbe in contrasto con quanto abbiamo affermato nel 
precedente scritto sulla inconf�gurabilit� dell'azione riconvenzionale della 
Finanza,' perch� quella di �cui ora si tratta dovrebbe ritenersi un'azione 
civile .autonoma e mediata rispetto alla pretesa tributaria. 

L'affermazione della S.C. implica la risoluzione di due problemi: d'un 
eanto quello dell'ammissibilit� dell'azione di simulazione da parte della 
Finanza, dall'altro quello, che si risolve in un'ulteriore problema di carattere 
processuale, dei modi �e del proeedimento di impugnazione e della 
necessit� di un'azione autonoma innanzi all'A.G.0. 

Nella 1sentenza che si annota, e nelle precedenti 23 aprile 1969, n. 1276 

e 8 novembre 1967, n. 2698 (Riv. leg. fisc., 1969, 1611 e 1968, 291), si d� 



920 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

A parte che, come gi� risulta dai precedenti richiami giurisprudenziali 
(sent. 9 ottobre 1967, n. 2339; 30 marzo 1968, n. 975, ai quali 
si pu� aggiungere 15 maggio 1966, n. 1232) � stata riconosciuta l'ammissibilit�, 
nei procedimenti di opposizione all'ingiunzione fiscale delle 
riconvenzionali da parte dell'Amministrazione, va rlevato come questo 
motivo resti sostanzialmente assorbito nel rigetto del primo. La stessa 
Corte di merito aveva esaminato la questione al fine di spiegare come 
legittimamente il Tribunale avesse esaminato il merito della pretesa 
tributaria. In questa sede di legittimit� ogni ulteriore indagine in proposito 
sarebbe superflua, appunto perch� il fondato riconoscimento da 
parte del giudice di merito dell'obbligo tributario in base all'ingiunzione, 
sia pur ridotta per ammissione della stessa Finanza, costituisce 
una sufficiente ed autonoma ragione della decisione, senza bisogno di 
esaminare il problema della ammissibilit� o meno, in queste forme di 
procedimento, della riconvenzionale, che fu peraltro proposta solo in 
via subordinata. -(Omissis). 

II 

(Omissis). -Con il primo motivo del ricorso i De Maria denunciano 
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del t.u. 14 
aprile 1910 n. 639, 42, 144, 145 t.u. 30 dicembre 1923 n. 3269, 5 del 

d.l. 8 marzo 1945 n. 90, 112, 360 c.p.c., in relazione con l'art. 360 n. 1, 
3 e 4 e 382 terzo comma stesso codice, e affermano che la Corte di 
appello, avendo riconosciuto l'inapplicabilit� della presunzione di cui 
all'art. 5 del d.I. 8 marzo 1945 n. 90, e quindi, la illegittimit� della in-
per ammesso che la Finanza possa impugnare di simulazione il negozio di 
vendita e debba proporre un'azione autonoma, sia pure riconvenzionale, 
ove voglia pretendere l'imposta sul trasferimento a titolo gratuito per .la 
parte del valore eccedente sul prezzo; in altra sentenza del 7 gennaio 1967, 

n. 65 (in questa Rassegna, 1967, I, 291) si era anche affermata la conciliabilit� 
del negotium mixtum cum donatione con l'art. 5 del d.l. n. 90 del 
1945. Prendiamo atto di tale affermazione, 1sulla quale [possono peraltro 
sorgere dissensi, che non possiamo approfondire in questa sede. 
Maggiormente ci interessa, invece, l'aspetto processuale del problema. 
� cio� sempre necessario che la Finanza proponga un'azione autonoma di 
simulazione ovvero essa pu� assumere l'esistenza della simulazione e tassare 
l'atto come negozio misto lasciando al contribuente l'iniziativa dell'impugnazione? 
Invero se si pone la questione della impugnazione di simulazione 
col mezzo della domanda riconvenzionale, gi� si ammette che 
la pretesa tributaria � potuta gi� sorgere in sede amministrativa. In pratica 
pu� avvenire, come nella spede, che la Finanza disconosca l'idoneit� 
della prova contraria alla presunzione e applichi per intero l'imposta sul 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 921 

giunzione � cos� come formata e notificata �, non poteva dichiarare la 
parziale tassabilit�, come atto a titolo gratuito, del rogito Mandelli 
perch� concretante un negozio mixtum cum donatione, in quanto l'autorit� 
giudiziaria ordinaria non ha il potere di procedere ad indagini 

/ 

di tassabilit� con riferimento ad una situazione sostanzialmente diversa 
da quella dedotta nell'opposta ingiunzione, la cui impugnativa non 
apre un ordinario giudizio di cognizione. 

Il motivo � destituito di fondamento. 

Sono principi ormai pacifici, pi� volte affermati da questa Suprema 
Corte, che l'ingiunzione-fiscale, a differenza di quella ordinaria che ha 
natura giudiziale, � un atto amministrativo sui generis caratteristico 
del procedimento di riscossione delle imposte e, in via generale, di 
tutte le entrate patrimoniali dello Stato, e ripete la sua efficacia direttamente 
dal potere dell'ente pubblico di realizzare in via coattiva le 
proprie pretese. 

Come tale, essa si distingue sia dal titolo esecutivo che dal precetto 
dell'ordinario procedimento regolato dal codice di rito civile, pur 
cumulandone in s� le caratteristiche di forma ed efficacia, sicch� la 
domanda introduttiva del giudizio di cognizione non � l'ingiunzione, 
ma la opposizione del debitore intimato, in quanto volta a contestare 
la esistenza del credito dell'Amministrazione finanziaria e la procedura 
seguita. Dal che deriva che la posizione processuale delle parti � invertita, 
assumendo l'Amministrazione, sotto ogni riguardo, la posizione, 
non soltanto processuale, ma anche sostanziale di convenuta, rispetto 
al debitore attore; di qui il conseguente diritto per la predetta Amministrazione 
di dedurre tutte le ragioni che giustificano la pretesa tributaria 
e_ di contestare, anche per motivi diversi da quelli indicati nell'atto 

trasferimento gratuito e in seguito all'opposizione del contribuente deduca 
con azione riconvenzionale, eventualmente subordinata, fa simulazione parziale. 
Ma non dovrebbe essere impedito alla Finanza assumere originariamente 
la simulazione parziale, quando debba riconoscere fornita la prova 
contraria alla presunzione, e pretendere l'imposta commisurata al trasferimento 
gratuito sulla parte del valore eccedente sul prezzo convenuto, 
.senza proporre, questa volta in via principale, l'azione civile pregiudiziale 
di simulazione e senza attendere l'opposizione giudiziaria del contribuente. 

In merito ai rpoteri sostanziali della Finanza di individuare, oltre il 
.contenuto letterale dell'atto, l'efficacia reale del gestum, la recente giuri.
sprudenza � alquanto contraddittoria. Con le due sentenze 17 gennaio 1968, 

n. 1144 e 6 febbraio 1969, n. 388 (Riv. leg. fisc., 1968, 1930 e 1969, 1481) 
la S;C. ha affermato che � nel caso di negozio indiretto l'imposta di registro 
deve liquidarsi in relazione al negozio effettivamente posto in essere 
e risultante dall'atto e non a quello in vista del quale il negozio stesso 
� stipulato ., e ci� perch� nessuna norma impone alle parti di scegliere 
la via fiscalmente pi� onerosa sicch� � lecito raggiungere il risultato vo

922 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di accertamento del tributo, la domanda tendente alla declaratoria 
di illegittimit� di tale atto., 

Nella specie, come risulta dalla riportata narrativa dei fatti di 
causa, l'Amministrazione finanziaria, nella comparsa di costituzione e 
risposta, mentre in via principale domand� il rigetto dell'opposizione,, 
negando che la prova fornita dagli opponenti fosse sufficiente a vincere 
la presunzione di cui al richiamato decreto n. 90 del 1945, in via subordinata 
e riconvenzionale chiese che i medesimi opponenti fossero condannati 
a pagare la somma oggetto dell'ingiunzione, ed a tal fine 
impugn� il rogito Mandelli di simulazione. La stessa Amministrazione, 
in ulteriore subordine chiese che gli opponenti fossero dichiarati tenuti 
a corrispondere l'imposta stabilita per i trasferimenti gratuiti per la 
differenza tra il prezzo dichiarato ed il valore successivamente accertato, 
assumendo che il negozio per la parte relativa al maggior valore 
degli immobili rispetto al prezzo dichiarato dissimulava un atto di 
liberalit�. 

Il primo motivo va, pertanto, rigettato. 
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli 
artt. 33, 35, 41, 42, 144, 145 t.u. 30 dicembre 1923 n. 3269, 14, 20 e 21 

r.d. 7 agosto 1936 n. 1639, 1 del r.d. 13 gennaio 1936 n. 2313, 5 d. lgt. 
8 marzo 1945 ~� 90, 1470, 2727, 2729 e.e., in relazione all'art. 360 n. 3 
e 5 c.p.c., e lamentano che la sentenza impugnata, pur avendo accertato 
che era stata fornita la prova della provenienza del prezzo di 
L. 58.800.000, figurante nel rogito di vendita come pattuito e pagato, 
abbia poi ritenuto che costituisse liberalit� la differenza di L. 38.200.000 
luto con uno dei mezzi del sistema giuridico liberamente scelto; n� pu� 
la Finanza opporre una div�ersa interpretazione del negozio voluto a norma 
dell'art. 8 della legg�e di registro perch� a tale norma devesi ricorrere 
solo quando esista un contrasto tra il titolo del negozio e il vero contenuto 
dell'atto, non anche quando le parti stipulando un determinato negozio 
giuridico abbiano raggiunto lo stesso scopo che avrebbero potuto conseguire 
a mezzo di altro negozio assoggettabile ad una maggiore imposta. 
In tal modo in una ipotesi sostanziale di vendita assai bene architettata, 
e che avrebbe anche potuto intercorrere tra parenti entro il terzo grado 

(costituzione di una societ� per l'attivit� edilizia che, costruiti alcuni fabbricati, 
delibera un aumento di capitale, corrispondente al valore degli 
immobili costruiti, con l'ingresso di nuovi soci e immediatamente dopo 
delibera 1o scioglimento con l'assegnazione ai soci originari delle somme 
appena conferite dai nuovi ,soci ai quali vengono assegnati i fabbricati), 
si � ritenuto che dovessero tassarsi semplicemente gli atti apparenti di 
aumento di capitale e di assegnazione di quote sociali. 

� per� da notare che la prima delle sentenze �citate ha preliminarmente 
affermato che non � necessaria un'impugnazione della Finanza per disconoscere 
il contenuto apparente di un atto e �stabilirne la vera sostanza 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 923. 

tra il prezzo dichiarato e quello risultante dal concordato intervenuto, 
tra l'Amministrazione finanziaria ed essi ricorrenti. Questi ultimi assumono 
che, cosi decidendo, la sentenza impugnata, non soltanto ha confuso 
la nozione di prezzo con quella di valore concordato per meri fini 
tributari, ma ha fatto riferimento, per la tassazione suppletiva dell'atto, 
ad un elemento sopravvenuto (valore concordato) che non � quellG 
previsto dalla legge (prezzo pagato al tempo della stipulazione della 
compravendita). 

Il motivo � fondato nei limiti che saranno in appresso indicati. 

� indubbiamente esatto che il prezzo, del cui ammontare deve, 
essere provata la provenienza per vincere la presunzione di liberalit� 
stabilita dall'art. 5 del decreto n. 90 del 1945, non pu� essere identificato 
con il maggior valore accertato per concordato tributario, ma con 
il prezzo effettivamente pagato, risultante, fino a prova contraria, dar 
rogito presentato per la registrazione. Infatti, la, richiamata disposizione, 
ispirata da motivi esclusivamente fiscali, non opera affatto una~ 
conversione del negozio giuridico che, sebbene tassato con l'imposta 
dovuta per i trasferimenti a titolo gratuito, limitatamente al prezzo. 
pagato, rimane sempre quello di compravendita. 

In proposito questa Corte Suprema, con numerose decisioni, ha 
avuto occasione di affermare il principio che nella vendita tra parenti 
entro il terzo grado � necessario per vincere la presunzione di liberalit� 
prevista dall'art. 5 del decreto n. 90 del 1945 che sia fornita la 
prova della provenienza del prezzo risultante dall'atto e non anche la 
prova della provenienza della somma corrispondente al maggiore valore� 

giuridica, pur ritenendo nel merito inesistente sia la simulazione sia il 
negozio indir�etto. 

Pi� acutamente per� la sent. 6 maggio 1969, n. 1530 (in questa Rassegna, 
1969, I, 680) ha riconosciuto il potere della Finanza di determinare, 
I'� istituto giuridico� cui la norma tributaria fa riferimento non soltanto 
in base al contenuto documentale di ogni singolo atto, ma anche considerando 
gli effetti non apparenti che risultano dal negozio indiretto o dal 
negozio collegato; ed a questa conclusione � pervenuta in base all'art. 8 
della legge di registro che non solo ammette ma impone di ricercare il 
negozio atipico reale al di l� della causa tipica del negozio indiretto o 
dei negozi collegati; � non basta, si legge in questa sentenz�, che formalmente 
i singoli atti siano conformi alla legg�e, ma occorre che l'utilizzazione 
di essi non sortisca un effetto contrario alla norma imperativa �. 
In base a queste considerazioni la S.C. in un caso di vendita fra parenti, 
pur partendo dal presupposto che la prova contraria alla presunzione deve 
accertare l'appartenenza del denaro costituente il prezzo al patrimonio del 
compratore e non anche dimostrare che il denaro non .provenga mediatamente 
dal patrimonio dell'alien�nte, ha tuttavia ritenuto che con la donazione 
dal venditore al compratore di titoli, dall'utilizzo dei quali sia ricavato-. 



~24 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

<

,, 

w

dell'immobile rispetto al prezzo dichiarato (Cass. sentenze n. 3309 del 

1956, n. 3031 del 1963, n. 65 del 1967 e n. 2698 del 1967). 
Senonch�, come questa Corte ha precisato nelle richiamate sentenze 
n. 65 e_,.n. 2698 del 1967 e, da ultimo, nella recente sentenza 

I_, 

' 

n. 1276 del 23 aprile 1969, tale principio � valido sempre che il negozio 
di compravendita, per la parte concernente il maggiore valore attriI


buito all'immobile, non sia impugnato di simulazione relativa da parte 
<lell'Amministrazione, posto che la disposizione dell'art. 5 del citato 
decreto prende certamente in considerazione anche il negozio mixtum 
.cum donatione, consentendo di applicare ad ognuna delle diverse parti 
del rapporto (risultanti direttamente dall'atto o a seguito di accertamento 
giudiziale conseguente ad azione di simulazione) la relativa , 
aliquota. 
,> 

E nella fattispecie l'Amministrazione finanziaria ebbe appunto a 
proporre, come dianzi detto, l'azione di simulazione relativa del negozio 
,di compravendita per la parte afferente il maggiore valore degli immobili 
da essa accertato, sostenendo che il negozio stesso, per tale parte, 
dissimulava un atto di liberalit�. 

Ora, la sentenza impugnata ha ritenuto la Sussistenza del negozio 
mixtum cum donazione; ha rit~muto, cio�, la donazione limitatamente 
al maggior valore della cosa oggetto del contratto, senza tuttavia giu.
stificare l'adottata decisione con la necessaria adeguata dimostrazione. 

Per ritenere, invero, che una compravendita ad un prezzo inferiore 
.al valore venale della cosa oggetto del contratto dissimuli, per la parte 

i� prezzo, e la successiva vendita di beni si realizzi un unico negozio 
,nel quale pu� risultare esclusa la causa onerosa. In questa sentenza non 
'Si prende in esame l'ipotesi della simulazione, ma sembra potersi dedurre 
,che, quanto ai poteri della Finanza di ricercare il negozio reale, le con.-
clusioni possano essere le stesse. 

Ora, ai fini che in questo momento pi� interessano, si pu� affermare 
che tutte le decisioni citate, a parte il merito su cui sono in netto contrasto, 
riconoscono il potere della Finanza di procedere in sede di tassazione, 
e senza la necessit� di un'impugnazione autonoma pregiudiziale, 
all'individuazione del negozio .effettivo che emerge al di l� della forma 
apparente del negozio indiretto, del negozio collegato e del negozio simulato. 
Non sembra che debba fal'\si una distinzione tra negozio indiretto e 
collegato, che sono reali, e negozio �Simulato e che debba trasferirsi in 
questa sede l'enorme problematica che travaglia questo genere di rapporti 
nel diritto civile; nell'uno e nell'altro caso l'effetto del negozio non � 
quello apparente ed � sempre consentito, anche al terzo, disc�noscere tale 
�effetto. Per� fa Finanza che deve applicare l'imposta � secondo gli effetti 
dell'atto se anche non vi corrisponda il titolo o la forma apparente� non 
deve ritenersi quindi necessaria un'impugnazione autonoma pregiudiziale, 
,essendo possibile in sede di registrazione o di supplemento, nel dare la 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 925 

relativa al maggiore valore della cosa rispetto al prezzo pattuito in 
contratto, una donazione, occorre che sia acce:rtato che colui che nel 
contratto figura come venditore abbia avuto la coscienza di dare una 
cosa di valore economico maggiore del corrispettivo pattuito a titolo 
di prezzo e l'intenzione di attribuire gratuitamente tale maggiore valore; 
occorre cio� accertare l'animus donandi, il quale si risolve, secondo 
la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 23 dicembre 1949, n. 2629 e 
26 maggio 1953, n. 1559), nella causa stessa dell'atto di donazione e, 
cio�, nello scopo di arricchire il donatario. 

Tale indagine, invero, � indispensabile, perch� nell'ipotesj. in cui 
in una compravendita sia stato pattuito un prezzo minore del valore 
della cosa venduta non pu� escludersi che ci� sia avvenuto per lo stato 
di necessit� in cui il venditore si sia venuto a trovare di liquidare la 
cosa oggetto del contratto ovvero per l'errore dello stesso venditore 
nella valutazione della cosa medesima e che, pertanto, non vi sia stato 
alcun intento, da parte del venditore, di porre in essere un atto di 
liberalit�. 

Ora tale indagine non � stata compiuta dai giudici di merito, i 
quali hanno ravvisato nella specie il negozio mixtum cum donatione 
unicamente sulla base della sproporzione tra il prezzo pattuito per la 
compravendita ed il valore venale degli immobili oggetto del contratto, 
mentre, come dianzi detto, ci� non � sufficiente occorrendo che 
tale sproporzione sia stata voluta da parte dell~apparente venditore 
allo scopo di attuare una liberalit�, nota all'altra parte e da quest'ultima 
accettata. -(Omissis). 

qualificazione giuridica all'atto o agli atti tassati, dichiarare l'effetto che 
si ravvisa nel contenuto del negozio indiretto, collegato o simulato; le 
controversie che potranno derivarne saranno �controversie di imposta, conoscibili 
anche dalle Commissioni tributarie. Si eviter� cosi l'eventualit�, 
certamente inopportuna e difficilmente giustificabile, di un'iffi!Pugnazione 
autonoma di simulazione di carattere civile che la Finanza, considerandosi 
come un comune terzo, dovrebbe proporre innanzi all'A.G.0. e che non 
potrebbe essere devoluta alla cognizfone delle Commissioni. 

E cosi, tornando al punto di partenza della posizione processuale della 
Finanza convenuta nel giudizio di opposizione contro l'ingiunzione fiscale, 
dev�e concludersi che anche nel �caso in cui si faccia valere la simulazione 
relativa di un negotium mixtum cum donatione, l'azione riconvenzionale 
non � necessaria perch� anche quella che nella .sentenza annotata si definisce 
� un'impugnazione di simulazione � pu� e deve manifestarsi con la 
applicazione dell'imposta in sede amministrativa e conseguentemente si 
assorbe nella �controversia d'imposta rispetto alla quale il contribuente ha 
la qualit� di attore e la Finanza quella di semplice convenuto che deve 
soltanto resistere all'opposizione senza diventare attore in riconvenzione. 

C. BAFILE 
11 



926 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

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CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 9 ottobre 1969, n. 3235 -Pres. 
Petrocelli -Est. Geri -P. M. Di Majo (diff.) -Banca Popolare di 
Novara (avv.ti Micheli e Capaccioli) c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Coronas) e viceversa. 

Imposte e tasse in genere -Commissione centrale delle imposte Sezioni 
unite -Costituzione del collegio per materia di imposte Partecipazione 
di membri appartenenti a sezioni non aventi la 
stessa competenza per materia di imposte -Irregolare composizione 
qualitativa del collegio -Difetto assoluto di giurisdizione. � 

(d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, art. 2). 
Imposte e tasse in genere -Commissione centrale delle imposte Sezioni 
unite -Composizione del collegio -Presidente commissione 
centrale -Potere di trasferimento temporaneo da una ad 
altra sezione di vice presidenti e membri della commissione centrale 
-Applicabilit� per la composizione del collegio giudicante 
delle sezioni unite -Non sussiste. 

(d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, art. 2; r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, art. 15). 
La validit� dette decisioni della Commissione Centrale delle Imposte 
a Sezioni Unite � subordinata a due requisiti essenziali ed inderogabili: 
l'uno, di natura qualitativa, richiede che i componenti del 
Collegio debbano essere scelti fra quelZi che, trattando nelle singole 
sezioni la stessa materia, ne possiedono una pi� approfondita conoscenza; 
l'altro, di natura quantitativa, richiede un numero minimo di 
componenti, consentendo una. composizione quantitativamente variabile 
tra un minimo ed un massimo, come suole avvenire nelle giurisdizioni 

� minus quam perfectae �. 
� giuridicamente inesistente una decisione, la qua.le, malgrado la 
sua esteriore apparenza di provvedimento giurisdizionale, provenga da 
un Organo che non rivesta la qualit� di Giudice, per irregolarit� della 
sua composizione numerica o qualitativa, o per inosservanza di norme 
organiche incidenti sulla sua essenza stessa. In tal caso l'atto non � 
Tiferibile alla volont� sovrana dello Stato come manifestazione di potere 
giurisdizionale, perch� l'irregolarit� numerica o qualitativa nella costituzione 
de�l giudice rappresenta un vizio che si risolve in un difetto 
assoluto di giurisdizione, non potendo ravvisarsi neU'organo�, anche se 
composto di soggetti singolarmente investiti di funzioni giurisdizionali, 
quello stesso, al quale la le�gge demanda la potest� di decidere unita



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 927 

riamente e non come semplice aggregato di persone che manifestano 
una opinione meramente personale (1). 

Il potere discrezionale, attribuito al Presidente della Commissione 
Centrale delle Imposte dall'art. 15 r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, di provvedere, 
in caso di necessib�, a trasferire temporaneamente, da una ad 
altra Sezione, i Vic�e Presidenti e i membri della Commissione Centrale, 
non smsiste con riferimento alle Seziooi Unite della Commissione Centrale. 
La legge prevede la possibilit� di trasferimento temporaneo dall'una 
all'altra Sezione semplice ma non prevede, invece, la stessa possibilit� 
con riguardo alle Sezioni Unite, perch� il minimo di partecipanti 
richiesto per la validit� delle decisioni delle Sezioni Unite � tale (il 
50 % ), da consentire, nella normalit� o nella grandissima parte dei casi, 
la regolare composizione del Collegio, senza ricorrere ad alcuna sostituzione 
(2). 

(Omissis). -I due ricorsi vanno riuniti perch� proposti contro la 
stessa decisione. 

Deve essere esaminato, in via di precedenza logica, il primo motivo 
del ricorso incidentale dell'Amministrazione finanziaria, dato il suo carattere 
di pregiudizialit�. 

Si sostiene in esso un difetto di giurisdizione per illegittima costituzione 
delle Sezioni Unite della Commissiione Centrale delle imposte, 
con conseguente nullit� del procedimento e della decisione ai sensi 
degli artt. 158 e 161 c.p.c. in relazione all'art. 2 d.1.1. 12 ottobre 1944, 

(1-2) La composizione qualitativa e quantitativa del collegio delle sezioni 
unite della commissione centrale delle imposte. 
(3-4) Il reddito di impresa, tassabile in R. M. -cat. B -dei soggetti 
tassabili in base a bilancio e delle aziende ed istituti di credito: detraibilit� 

o meno delle somme[ 1pagate per R. M. -cat. A -sugli interessi dovuti e per 
le quali non venga esercitata la rivalsa sui .reddituari. 
(1) La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 125 del 1967 (in questa 
Rassegna, 1967, I, pagg. 644 e segg,), resa a Sezioni Unite, aveva 
definito e precisato il proprio giudizio sulla questione della detraibilit� 
o meno, dal reddito di impresa dei soggetti tassabili in base a bilancio 
e delle aziende ed istituti di credito, delle somme, pagate per imposta di 
R.M., �cat. A, sugli interessi e premi dovuti e per le quali non venga esercitata 
la rivalsa sui reddituari (art. 127 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645). 
Malgrado l'insegnamento, chiaro e puntuale, della Suprema Corte, prima 
la Commissione Provinciale delle Imposte di Novara e poi la Commissione 
Centrale, quest'ultima giudicando, a Sezioni Unite, sul ricorso proposto 
dall'Ufficio delle Imposte avverso la deeisione della detta Commissione 
Provinciale, avevano ritenuto, con le decisioni in rassegna, rispettivamente 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

928 

n. 334 ed agli artt. 360, n. 1, e 371 dello stesso codice. E ci� per le 
seguenti ragioni: 
All'adunanza delle Sezioni Unite della Commissione Centrale, 

nella quale si doveva deliberare e in effetti si deliber� la denunziata 
decisione, dovevano partecipare, a norma di legge, il presidente ed i 
componenti delle quattro sezioni competenti in materia di imposte 
dirette (la l ", 2�, 3� e la 16a), dovendosi decidere una controversia in 
tema di imposta di R.M. Viceversa parteciparono e votarono, in aggiunta 
ai componenti comparsi di dette sezioni in numero sufficiente 
per la regolare composizione del collegio, due componenti (precisamente 
un presidente ed un membro) di sezioni non aventi, per legge, 
competenza in materia di imposte dirette, determinando cosi l'irregolare 
composizione del giudice e. la conseguente invalidit� della decisione. 
N� in contrario, si continua nel ricorso, serve invocare l'applicabilit� 
dell'art. 15 r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, a norma del quale il presidente 
della Commissione Centrale pu� temporaneamente trasferire da una 
ad altra sezione pre'sidente e componenti di altre sezioni, perch� ci� 
� possibile sol quando ne ricorra la necessit� ai fini del funzionamento 
delle singole sezioni medesime. 

Questo mezzo � giuridicamente fondato e merita accoglimento. 

L'art. 32 r.d.1. 7 agosto 1936, n. 1639, nel testo sostituito dall'art. 2 

d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, stabilisce che le sezioni unite della Comdel 
22 novembre 1967 e del 2 dicembre 1968, n. 99776, di discostarsi da tale 
insegnamento. 

La Commissione Provinciale di Novara e la Commissione Centrale 
avevano anche, con le stesse dectsioni, deliberato sulla questione, pure 
risolta dalla Corte di Cassazione con la richiamata sentenza n. 125 del 
1967, della detraibilit�, dal reddito tassabile in R.M., cat. B, della spesa 
per il pagamento della imposta sulle Societ�, per la parte, almeno, afferente 
al patrimonio, adeguandosi, per�, su questo punto, all'insegnamento della� 
Corte Suprema. 

Avverso la decisione della Commissione Centrale fu proposto ricorso 
principale da parte della Banca Popolare di Novara, per la parte relativa 
alla affermata non detraibilit� dell'imposta sulle Societ�; ricorso incidentale 
da parte dell'Amministrazion� Finanziaria sul punto relativo all'affermata 
detraibilit� delle .somme, pagate per imposta di R.M., cat. A, sugli 
interessi dovuti ai reddituari e per le quali non venga esercitata la rivalsa. 

L'Amministrazione Finanziaria denunci� anche, con il primo motivo 
del ricorso incidentale, la nullit� radicale della decisione delle Sezioni Unite 
della Commissione Centrale delle Imposte per la illegittima costituzione 
de Collegio giudicante, con il conseguente difetto assoluto di giurisdizione 
dell'organo che aveva reso la pronuncia. 

La Corte di Cassazione, con la decisione in rassegna, ha accolto tale 
primo motivo del ricorso incidentale, dichiarando che restavano cos� ma


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 929 

missione Centrale sono costituite dalle sezioni aventi la stessa competenza 
per materia di imposte e prescrive, ai fini della validit� delle 
decisioni, la presenza di almeno la met� dei membri che complessivamente 
compongono le singole sezioni. 

Nella specie, quindi, essendo tali sezioni in numero di quattro, ciascuna 
composta da cinque membri compreso il pres,idente, con un totale 
di venti componenti, la decisione avrebbe potuto essere validamente 
deliberata con la partecipazione minima complessiva (cio� senza distinzione 
di sezioni) di dieci membri oltre al presidente. 

nifestamente assorbiti il ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso 
incidentale. 
I principi affermati dalla Suprema Corte nelle massime riportate al 
punto 1) ,sono assolutamente ineccepibili. 

Le Sezioni Unite della Commissione Centrale delle Imposte sono costituite, 
a norma dell'art. 2 del d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334, dalle sezioni 
aventi la stessa competenza per materia di imposte e per la validit� delle 
decisioni a Sezioni Unite occorre, per la stessa norma di legge, la presenza 
di almeno la met� dei membri che compongono complessivamente le singole 
sezioni, tenendosi conto che per tali decisioni i Presidenti delle singole 
sezioni hanno voto deliberativo alla pari dei membri. Nella fattispecie 
considerata era, invece, avvenuto che alla adunanza delle Sezioni Unite, 

convocate per la decisione di un'unka controversia in materia di imposte 
dirette (ricch�zza mobile), avevano partecipato, esprimendo il loro voto 
in sede di deliberazione, il Presidente ed un membro appartenenti a Sezioni 
competenti in materia di imposte indirette. Dal che la Corte Suprema 
ha tratto la naturale conseguenza, riconfermando il suo precedente, costante 
insegnamento (Sez. Un. Civ., 11 ottobre 1952, n. 3008, in Foro, it., 
1952, I, col. 1321 e segg.; Sez. Un. Civ., 20 aprile 1962, n. 810, in Mass. 
giur. it., 1962, col. 291; Sez. III Civ., 24 giugno 1967, n. 1567, in Mass. 
giur. it., 1967, col. 608), che � da ravvisarsi addirittura l'inesistenza giuridica 
della decisione, la quale, malgrado la sua esteriore apparenza di 
provvedimento giurisdizionale, provenga da un organo, che non rivesta 
la qualit� di Giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica o 
qualitativa, o p�r inosservanza di norme organiche incidenti sulla sua stessa 
essenza. Ha riconfermato, altresi, la Corte che l'irregolarit� numerica o 
qualitativa nella costituzione del Giudice rappresenta un vizio che si risolve 
in un difetto assoluto di giurisdizione, non potendo ravvisarsi nell'organo, 
anche se composto di soggetti singolarmente inv,estiti di funzioni 
giurisdizionali (il carattere giurisdizionale delle Commissioni Tributarie � 
stato dalla Corte di Cassazione riconfermato con le sentenze delle Sezioni 
Unite nn. 2175, 2176 e 2177 del 20 giugno 1969 e n. 2201 del 21 giugno 1969, 
in questa Rassegna, 1969, 1, 538), quello stesso, al quale la legge demanda 
la potest� di decidere unitariamente e non come aggregato di persone che 
manifestano una semplice opinione di carattere personale. 

(2) Con le statuizioni riprodotte nella seconda massima, la Corte di 
Cassazione ha risolto un problema particolare, attinente alla sfera di applicabilit� 
dell'art. 15 deLr.d. 8 luglio 1937, n. 1516, nella parte in cui 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Il legislatore del 1944, giustamente consapevole dell'importanza 
delle decisioni a sezioni unite di un organo di tanto irlievo, quale � la 
Commissione Centrale delle imposte -il cui carattere giurisdizionale 
� stato recentemente ribadito da questa stessa Suprema Corte a conferma 
di un ultratrentennale indirizzo giurisprudenziale (sentenze a 
Sez. Un. n. 2175, 2176 e 2177 del 20 giugno 1969 e n. 2201 del 21 giugno 
1969) -ha subordinato, per quanto riguarda la composizione del collegio 
giudicante, a due requisiti essenziali e inderogabili la validit� 
delle decisioni stesse, onde assicurarne la maggior compiutezza e conformit� 
al diritto: l'uno, di natura qualitativa, richiede che i compo


dispone che il Presidente delle Commissioni Tributarie � in caso di necessit� 
pu� trasferire, temporaneamente, da una ad altra Sezione, i vice 
Presidenti ed i membri ... �. La disposizione � applicab�le anche alla Commissione 
Centrale, perch� espressamente richiamata nel sesto comma dell'art. 
2 del d.1.1. 12 ottobre 1944, n. 334. 

Nella fattispecie era avvenuto che il Presidente della Commissione 
Centrale, con provvedimento adottato sabato 30 novembre 1968, probabilmente 
nel timore che non si raggiungesse, nella adunanza delle Sezioni 
Unite ,convocate per il successivo luned� 2 dicembre 1968, il quorum 
necessario per la validit� delle decisioni, aveva ritenuto di integrare la 
composizione, peraltro non deficitaria, di due delle Sezioni, che avrebbero 
dovuto partecipare a tale adunanza, chiamando a farne parte, per una un 
vice Presidente e per altra un membro, appartenenti a Sezioni competenti 
in diversa materia di imposte. Il Presidente della Commissione Centrale 
aveva, cio�, ritenuto di poter avvalersi dei poteri attribuiti dall'art. 15 
del r.d. 8 luglio 1937, n. 1516, non al fine di assicurare il funzionamento 
di singole sezioni, che, in ipotesi, non avessero ognuna un numero di 
membri sufficiente ad assicurare il quorum� necessario per la validit� delle 
decisioni delle sezioni medesime, sibbene al dichia~ato .fine di assicurare 
alle Sezioni Unite un plenum, che la legge non prevede, in considerazione 
che il quorum delle Sezioni Unite � assicurato attraverso una automatica 
integrazione fra i componenti (vice Presidenti e membri) delle varie sezioni, 
che siano legittimate, per la competenza nella materia di imposta, 
a partecipare alla composizione del Collegio delle Sezioni Unite. 

La Suprema Corte ha rilevato che � si sar� forse trattato di una sem


plice erronea interpretazione dei poteri presidenziali, ma la verit� � che 

n'� risultata l'invalidit� della decisione, per alterata composizione dell'or


gano giudicante �. La Corte ha esattamente affermato �che il potere, di cui 

al citato art. 15 r.d. 1516/1937, pu� essere �esercitato al fine di assicurare 

il funzionamento temporaneo di qualche sezione deficitaria ma non a quello 

di assicurare la regolare composizione del Collegio a Sezioni Unite. 

Potrebbe anche ritenersi che una sezione, la quale abbia, in ipotesi, 

la composizione temporanea prevista dal secondo comma del detto art. 15, 

partecipi in tale composizione al Collegio delle Sezioni Unite, ma � sicu


ramente da escludersi che la �Composizione di una sezione semplice, quando 

anche deficitaria (il che, peraltro, nella fattispecie non si verificava), possa 

essere integrata, con i poteri di cui all'art. 15 pi� volte richiamato, al fine 

esclusivo di assicurar�e la composizione del Collegio delle Sezioni Unite. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 931 

nenti del collegio debbano essere scelti fra quelli che, trattando nelle 
singole sezioni la stessa materia, ne possiedono una pi� approfondita 
conoscenza; l'altro, di natura quantitativa, richiede un numero minimo 
di componenti, consentendo una composizoine quantitativamente variabile 
tra un minimo ed un massimo, come suole avvenire nelle giurisdizioni 
e minus quam perfectae �. 

Il primo requisito non � suscettibile di mutamenti, il secondo pu� 
comportare, a giudizio del presidente che voglia conferire alla decisione 
una maggior somma di garanzie, una certa variabilit� nella composizione 
quantitativa del collegio, pur sempre per� nell'ambito del minimo 
e del massimo previsti in legge. 

(3) Come abbiamo detto al precedente punto 1), la Corte di Cassazione 
a Sezioni Unite aveva, con la sentenza n. 125 del 1967, definito e precisato 
il rproprio giudizio sulla questione della detraibilit� o meno, dal reddito 
di impresa dei soggetti tassabili in base a bilancio e delle aziende ed Istituti 
di Credito, delle somm�, pagate, per imposta di R.M., cat. A, sugli 
interessi �e premi dovuti e per le quali non venga esevcitata la rivalsa sui 
reddituari. 
Sulla questione la Corte di Cassazione si era una prima volta pronunziata 
nel lontano anno 1902, sulla base delle disposizioni, allora vigenti, del 

t.u. 24 agosto 1877, n. 4021, con la sentenza della Cassazione Romana 
24 febbraio 1902 (in Foro it., 1902, I, col. 759), rilevando: �Non disconobbe 
difatti la denunziata sentenza che l'obbligo assuntosi di pagare l'imposta 
di ricchezza mobile in luogo dei suoi creditori costituisca a di lei riguardo 
un onere patrimoniale. Ma esattamente aggiunse che a termine di legge 
ci� non bastava per darle diritto di detrarre l'ammontare di quell'imposta 
dal suo reddito j.mponibile. Imperocch�, onde tale detrazione potesse aver 
luogo, sarebbe necessario che l'onere predetto costituisse una condizione 
imprescindibile della rendita delle obbligazioni, che vi fosse, cio�, tra il 
primo �e le seconde un rapporto indissolubile di mezzo a fine, di causa ad 
effetto, di guisa che il reddito non potrebbe esistere se l'onere non si fosse 
costituito o contratto�. 
Successivamente, con la sentenza Sez. I, n. 3672 del 24 novembre 1927 
(in Riv. legisl. fisc., 1928, 241), la Corte di Cassazione affermava, sempre 
sulla base delle disposizioni contenute nel t.u. n. 4021 del 24 agosto 1877 
(artt. 15, 30, 31 e 32): � L'art. 30 della Legge sull'imposta di ricchezza 
mobile chiaramente enuncia che tutti i redditi delle Societ� anonime e 
in accomandita per azioni, ritratti mediante l'opera loro e l'impiego dei 
loro capitali, debbono accertarsi e tassarsi qualunque sia la forma e il 
titolo onde vengano ripartiti fra i soci, qualunque la destinazione che loro 
si dia. 

�Nell'art. 32 viene espresso il concetto che l'imposta di ricchezza mobile 
colpisce il prodotto industriale netto, donde la conseguenza che debba 
dedursi dalla imposizione quella somma che rappresenta la spesa o il costo 
di produzione. Perch� si faccia luogo alla detrazione, in ossequio a tale 
norma, chiarita da quella dell'art. 53 del Regolamento, si richiede che le 
spese siano inerenti alla produzione del reddito e che attengano specificamente 
alla produzione di quel reddito cui l'accertamento si riferisce. 

RASSEGNA DE-LL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nella specie accadde che essendosi raggiunto il � quorum � di tredici 
membri delle Sezioni competenti per materia, cio� un numero sufficiente 
per una regolare composizione dell'organo, ve ne furono immessi 
altri due, di sezioni incompetenti, in violazione non dubbia del 
requisito qualitativo sopra accennato. 

Ci�, a parere di ~uesto Collegio, � sufficiente per rendere � invalida 
� la decisione secondo il termine espressamente adottato, a titolo 
di sanzione, nel testo legislativo. 

Non pu� tuttavia, a questo punto, essere pretermesso l'esame di 
quanto oppone la difesa del ricorrente principale a proposito del predetto 
inserimento nella composizione delle Sezioni Unite della Commis-

Poich� l'imposta colpisce il reddito nell'atto �he in un determinato periodo 
di tempo si produce, ne consegue che nell'accertamento si deve tener conto 
di quelle spese che sono inerenti alla produzione attuale del reddito, ma 
non parimenti di quelle che possono essere occorse alla formazione pi� 

o meno remota del cespite produttore. 
� Pu� concludersi che l'imposta di ricchezza mobHe, che la Sociat� si 
� assunta di pagare sugli interessi per conto degli obbligazionisti, non 
costituisce n� una annualit� passiva che gravi il reddito industriale, perch� 
non � frutto del capitale tolto in prestito, ma una imposta che su questo 
frutto si deve corrispondere, n� una spesa inerente alla produzione perch� 
le tasse non possono assimilarsi alle spese e perch� manca ogni diretta 
dipendenza di causa ad effetto H pagamento dell'imposta � per legge a 
carico del reddituario, e al mutuatario, che sia tenuto ad anticiparla per 
conto di quello, � fatto salvo il diritto di rivalsa; se a questo diritto rinuncia 
e si accolla l'imposta, per un patto tra esso e il suo creditore, non fa c_he 
volontariamente erogare una parte del suo reddito industriale e non pu� 
pretenderne la deduzione. Come spese che non precedono, ma seguono la 
produzione del reddito, assumono il carattere di erogazione del diritto 
medesimo. Se volesse seguirsi la tesi .sostenuta dalla Societ� ricorrente, 
si verrebbe in definitiva ad esentare indebitamente di imposta gli interessi 
delle obbligazioni�. 
La stessa Sez. I della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1115 del 
7 maggio 1963 (in Giur. it., 1964, I, 1, col. 822), resa in applicazione ancora 
delle norme del t.u. del 1877, nonch� dell'art. 22 della 1. 8 giugno 1963, 

n. 1231, che aveva esteso l'ambito di applicabilit� dell'art. 15 del detto t.u., 
nell'annullare la decisione della Commissione Centrale del 12 ottobre 1960, 
nella quale era stato affermato un diverso principio, ribadiva: � Il pagamento 
dell'imposta di ricchezza mobile di cat. A, eseguito dalle aziende 
ed istituti di credito, in sostituzione dei depositanti, sugli interessi da 
questi percepiti, non d� luogo ad una spesa inerente alla produzione del 
reddito di cat. B che tali aziende ed istituti ritraggono dall'esercizio della 
loro normale attivit�, ma fa sorgere a favore degli �Enti medesimi un credito 
verso i depositanti fondato sul diritto all'esercizio della rivalsa della 
somma pagata, �espressamente sancito dalla legge (art. 22 della 1. 8 giugno 
1936, n. 1231) �. Aggiungeva, per�, in tale sentenza, la Corte di Cassazione, 
cosi dandosi carico di esaminare un altro profilo della questione : � Se, poi, 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 933 

sione Centrale di due elementi estranei. Si dice al riguardo che il presidente 
si sarebbe avvalso del potere conferitogli dall'art. 15 r.d. 8 luglio 
1937, n. 1516, secondo il quale egli pu� trasferire, in caso di necessit� 
ed in via temporanea, i componenti (ivi compreso il vice presidente) 
dall'una all'altra sezione. E si aggiunge altresl che l'apprezzamento di 
tale necessit� non sarebbe sindacabile, neppure in questa sede, trattandosi 
di un potere affidato alla discrezionale valutazione del presidente, 
e che se anche ad ogni modo se ne volesse affermare la sindacabilita 
nella specie l'elemento della necessit� sarebbe sussistito, perch� due 
componenti avevano comunicato di non poter intervenire. 

le aziende e gli istituti non esercitano tale diritto, il pagamento dell'imposta 
�si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita. 

�Ora, mentre per le spese inerenti alla produzione del reddito, l'indagine 
diretta ad accertare tale inerenza, richiesta dalla legge come condizione 
necessaria per la loro detraibilit� del reddito medesimo, si esaurisce 
di fronte alla constatazione dell'esistenza del rapporto di causalit� economica 
fra le �spese �e il reddito, per la perdita dovuta alla rinuncia al diritto 
'di ottenere il soddisfacimento di un credito, tale indagine si estende alla 
ricerca della volontariet� o meno della rinuncia, in quanto la somma di 
danaro, nella quale si sostanzia la perdita, � detraibile dal reddito soltanto 
nel caso �che la rinuncia sia imposta da cause del tutto estranee alla 
volont� del creditore ... N� la volontariet� della rinuncia poteva essere 
esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso 
i depositanti per l'esistenza di usi e accordi interbancari in tal senso, perch� 
questi, invece, confermano tale volontariet� �. 

Da ultimo, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la citata 
sentenza n. 125 del 1967, pronunziandosi sulla base della normativa contenuta 
nel nuovo t.u. delle leggi �Sulle imposte dirette, approvato con cl.P. 
29 gennaio 1958, n. 645 (artt. 91, 99 e 127), precisavano: �Il rilievo, contenuto 
nel primo mezzo, secondo il quale la legge non richiede, nell'art. 99 
del t.u. che le "perdite" per esser�e detraibili siano "involontarie", si 
fonda su di una interpretazione meramente formale della legge, o meglio 
su un argomento tratto dal silenzio di essa, ma non pu� essere condiviso 
quanto alle conseguenze che dal silenzio affrettatamente si vorrebbero 
trarre. 

� Infatti, il punto di distinzione fra spese e perdite consiste proprio 
nella volontariet� delle prime, dipendenti dall'autonomia negoziale dell'imprenditore, 
Ubero nella scelta dei mezzi economici diretti alla produzione 
del reddito, e nella )nvolontariet� delle seconde. 
� La legge non aveva bisogno di condizionare la detraibilit� di queste 
ultime alla loro non volontariet�, trattandosi di una limitazione connaturata 
nel concetto di perdita, tenuto conto che non essa � � volontaria ., 
bens� la spesa necessaria per sopperirvi, la quale rientra appunto nell'ambito 
delle libere scelte econ�miche dell'imprenditore. 
�Non si verifica, dunque, n� una perdita n� una spesa (uniche voci 
sulla cui detraibilit� � legittimo discutere) per difetto della posta da detrarre, 
una volta riconosciuto, come � gioco-forza riconoscere in base allo 
stesso sviluppo logico dell'impostazion:e difensiva della ricorrente, che 

934 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Le predette considerazioni della resistente sono .prive di fondamento. 


Non si contesta infatti la sussistenza di un potere d~screzionale da 
parte del presidente della Commissione Centrale nelle assegnazioni e 
nei trasferimenti interni di componenti delle varie sezioni, quando le 
esigenze temporanee del loro buon funzionamento lo richiedano; si nega 
invece che il presidente stesso possa alterare la composizione del collegio 
giudicante delle Sezioni Unite con elementi estranei. 

Il potere di cui al predetto art. 15 � fuori discussione, poich� detta 
norma non trova alcuna applicazione nella specie sottoposta all'esame 
di questa Suprema Corte. 

l'esborso conseguente, dovuto alla corresponsione del tributo, viene colmato 
da una equivalente o forse superiore entrata proprio in virt� della 
negozialit� insita nella facolt� di rivalsa prevista in legge �. 

Tale lo stato della giurisprudenza della Corte di Cassazione quando 
la Commissione Provinciale delle Im[loste di Novara e successivamente 
la Commissione Centrale hanno ritenuto di distaccarsi dall'orientamento, 
che pu� dirsi costantemente uniforme e che si era andato da ultimo ulteriormente 
precisando e definendo, della Corte Suprema. 

Le sentenze della Corte di Cassazione, in particolare le ultime due, 

erano state, naturalmente, variamente commentale (cfr. FAVARA, in questa 

~11

Ras,segna, 1967, I, 645 e segg.; VISENTINI, in Riv. dir. fin. se. fin., 1967, II, 
120; CAPACCIOLI, ivi, 1968, 623 e segg.; DE IoRIO, ivi, 1968, 752 e segg.; IAN~ 
NUZZI, in Giust. civ., 1968, II, 266 e segg.; LONGO, in Il Consiglio di Stato, 


1luglio-agosto 1968, II, Sez. V, 674 e segg. e l'ampia bibliografia in detta 
nota richiamata, con la indicazione degli Autori espressisi in senso favo


1111 

revole alla detraibilit� e di quelli espress�si in senso contrario; DE IoRIO, 

1~

in Nuova riv. trib., 1968, ottobre, 434). 

Non vi erano stati, comunque, contrasti nella giurisprudenza della ilJ 

Corte di Cassazione. Tale giurisprudenza era rimasta sempre ferma, dal 

1902 al 1967, sul punto che il mancato esercizio della rivalsa, nei confronti 

llil$

dei reddituari, per le somme pagate per R.M., cat. A, sugli interessi non . 
desse luogo ad una spesa inerente alla produzione del reddito tassabile 
in R.M., �cat. B. Sul secondo punto, �relativo all'onere di esercizio, qualifi


I ~ 

cabile come perdita, ex art. 99 t.u. 29 gennaio 1958, n. 645, la Corte di 

Cassazione aveva, nella sentenza n. 1115 del 1963, esattamente affermato 

!
~ che la perdita su crediti � detraibile dal reddito soltanto nel caso che la 
rinuncia sia imposta da cause del tutto estranee alla volont� del creditore; ~ 
successivamente, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 125 del 1967, dopo 
aver ribadito che la perdita, per poter essere detratta dal reddito, dovesse, . 

I .
logicamente e necessariamente, essere involontaria, aveva, comunque, esclu


so, in via di principio, che potesse, nella ipotesi considerata, parlarsi di 

perdita involontaria. 

Nello studio del CAPACCIOLI, richiamato in precedenza (in Riv. dir. 

fin. se. fin., 1968, 623), si fa cenno, nella nota 1), ad una sentenza della 

Corte di Cassazione, che sarebbe favorevole alla detrazione. Tale sentenza 

� richiamata da tre decisioni della Commissione Centrale (n. 32148 del 

1960; nn. 62858 e 63914 del 1962), con un dato comune, il n. 761, ma con 

riferimento ad anni diversi, 1954, ,1955, 1959, secondo il testo almeno che 

-~JJllW'AJ!l!&@fllf���~,,J 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 935 

Infatti non si trattava di assicurare il funzionamento temporaneo 
di qualche sezione deficitaria, ma di assicurare la regolare composizione 
del collegio a Sezioni Unite. 

E poich�, ai fini di detta regolarit�, la legge stessa prevede un margine 
amplissimo, consentendo la partecipazione della met� dei componenti, 
complessivamente considerati, delle sezioni interessate, appariva 

� ictu oculi � del tutto superflua la sostituzione di taluno di loro, postoch� 
in ogni caso sarebbe stato possibile, senza alcuna sostituzione, 
raggiungere il � quorum �. 
Anzi proprio in base a questa considerazione si spiega il perch� 
la legge abbia previsto la possibilit� di trasferimento temporaneo dal-

di tali decisioni � riportato in varie riviste. Ma lo stesso CAPACCIOLI rileva 
che non � si riscontrano nei repertori sentenze che si riferiscono alla nostra 
questione (la pi� vicina, �rperch� concerne un caso di rivalsa in tema di 
ricchez~a mobile di cat. A, � la Cass., n. 761 del 14 marzo 1959 .........; 
ma neppure essa � in termini) �. In realt�, la sent. n. 761 del 1959, delle 
Sezioni Unite (in Giust. civ., 1959, I, 603) non soltanto non � in termini 
ma riguarda tutt'altro problema, anche se relativo all'applicazione degli 
artt. 15, 16 e 17 del t.u. 24 agosto 1877, n. 4021, e degli artt. 22 e 23 della 

I. 8 giugno 1963, n. 1231. La sentenza non si � affatto occupata, nemmeno 
per inciso, della questione relativa alla detraibilit� o meno, dal reddito di 
cat. B, delle somme pagate dalle Aziende ed Istituti di Credito per R.M., 
cat. A, sugli interessi dovuti e per le quali non venga esercitata la rivalsa. 
Nessun contrasto, quindi, nella giurisprudenza della Suprema Corte. 
Contrasti vi erano stati, invece, nelle decisioni delle Commissioni tributarie, 
ma tali contrasti erano stati risolti dalla Cassazione nelle sentenze 
soprarichiamate. 

La Commissione Provinciale di Novara ha, per verit�, nel discostarsi 
dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, premesso che la tesi, sostenuta 
dalla Banca e che appariva meritevole di accoglimento, era una 
tesi � nuova rispetto alle argomentazioni gi� portate all'esame della Corte 
di Cassazione �. 

La tesi, infatti, non appare esaminata dalla Corte di Cassazione, ma 
essa � chiaramente destituita di ogni fondamento, tant'� che la stessa 
Commissione Centrale, pur respingendo il ricorso dell'Ufficio delle Imposte 
e confermando la decisione impugnata, non ha affatto condiviso, sul punto 
in discussione, la tesi della Provinciale, ponendosi, per la risoluzione della 
questione, su tutt'altra via. 

La Commissione Provinciale ha affermato che gli Istituti di Credito, 
non operando la rivalsa, facoltativamente prevista nell'art. 127 del t.u. 
sulle Imposte Dirette n. 645 del 1958, nei �confronti del percettore degli 
interessi, � fuori dubbio che recuperino l'ammontare della rivalsa dalla 
clientela attiva degli Istituti medesimi. Tale recupero -secondo la tesi 
della Provinciale -sarebbe compreso negli interessi delle operazioni attive, 
interessi che, accettati dai mutuatari, comprenderebbero, oltre il corrispettivo 
dell'opera e del rischio imprenditoriale, gli interessi passivi corrisposti 
ai depositanti ed una quota parte delle spese di gestione, anche 
una quota parte di tutti gli oneri sostenuti dalla Banca, fra i quali va 
compresa l'imposta di R.M., cat. A, pagata dalla Banca per i depositanti 



j 

936 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO ~ 

~ 

i:j
l'una all'altra sezione semplice, e non abbia .invece previsto la stessa 

fi 

~'.'.

possibilit� con riguardo alle Sezioni Unite: il minimo, infatti, di par~:~ 
tecipanti richiesto � tale (cio� il 50 % ) da consentire, nella normalit� i='

fu 

o nella grandissima parte dei casi, la regolare composizione del colk 
t

legio senza ricorrere ad alcuna sostituzione. i::: 

t

N� si dica che nella specie il Presidente avesse inteso appunto ~ 
operare il trasferimento dei due indicati elementi dalle Sezioni cui 
primieramente appartenevano a quelle, fra le componenti delle Sezioni 

!I 
; 

Unite, in cui risultava l'impedimento di un pari numero di membri, 
perch�, a parte che nel provvedimento non vi � neppure un vago 
riferimento alla necessit� che avrebbe giustificato il detto trasferi


e non recuperata. Continua la Provinciale con l'osservare che, poich� il 
profitto di tali operazioni attive viene dichiarato, agli effetti dell'imposizione 
di cat. B, al lordo della cemponente di rivalsa e si traduce in un 
aumento dei cespiti lordi soggetti alla detta tassazione di cat. B, tale com


I

ponente deve essere detratta dal reddito tassato nella indicata cat. B; se j,i 
ci� non avvenisse,. si avrebbe una duplice tassazione inerente allo stesso 


ili\ 

r~

cespite. Rileva, infine, la Commissione Provinciale che, anche se gli Istituti f:' 

di Credito, per motivi tecnico-contabili, non sottraggono l'imposta e la 
sua rivalsa dal conto economico, ci� non pu� far venire meno il buon 
'diritto delle Banche a depurare fiscalmente il ricavo .dell'onere sostenuto, ~ 

t:i!

considerato che il ricavo stesso viene dichiarato al lordo della sua compo


m

nente di rivalsa. 

r 

� evidente la erroneit�, anzi la speciosit�, del procedimento logico 
seguito dalla Commissione Provinciale di Novara, procedimento che non 
tende a dimostrare che il mancato esercizio dell'azione di rivalsa costituisca 
una spesa inerente alla produzione del successivo reddito dell'Istituto di 
Credito, sibbene a dimostrare che, se venissero tassate le somme per le 
quali la rivalsa non viene esercitata, nel senso che dette somme non venissero 
ammesse in detrazione nella determinazione del reddito tassabile 
in cat. B, �si avrebbe una duplice tassazione inerente allo stesso cespite�. 
La conclusione alla quale ritiene di poter pervenire la Commisisone Provinciale 
di Novara � talmente speciosa che non si sono s~ntiti di condi!'
j 
viderla n� la Commissione Centrale, che pure ha confermato nel dispositivo 
la decisione 'delal Provinciale, e nemmeno gli annotatori della decisione in 


I

discorso (IANNUZZI, op. cit.; LONGO', op. cit.), i quali hanno tratto lo spunto 
dalla detta decisione, per esporre le loro osservazioni critiche alla sentenza 


II

delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 125 del 1967. 

La Commissione Provinciale di Novara ha, dunque, ritenuto di poter 
risolvere la questione sotto un profilo di duplicazione di imposta. Ma, 
perch� si possa ipotizzare una dupUcazione di imposta, e cio� una doppia 
imposizione, � necessario, ai sensi dell'art. 7 del t.u. n. 645 del 1958, che, r


J:~ 

in dipendenza dello stesso presupposto, la stessa imposta venga applicata 
pi� volte. Ora, nella fattispecie in considerazione, � evidente che una l'I 
situazione del genere non pu� assolutamente ipotizzarsi. 


Il reddito netto, tassabile in R.M., cat. B, per un Istituto di Credito, 
come per qualsiasi altro soggetto ad imposta di R.M., � costituito, ai sensi 
dell'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette, dalla differenza tra l'ammontare ~ 


�r.:::: 

dei ricavi lordi e l'ammontare delle spese e passivit� inerenti alla produ


r 


mHfff@fftMlffftrnmtEffrnrm@rnmrnmnrnrmrmrn1mw11;mmmr=m1mr@mm1mrrnrwm@n11mmrn1rnrnmrnrnrnEmrn;1rnmmirmwrml 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 937 

mento, sta di fatto che esso fu invece, secondo il suo stesso tenore 
letterale, unicamente diretto a far partecipare i due elementi estranei 
a quella determinata adunanza delle Sezioni Unite, senza alcun accenno 
alla situazione deficitaria di questa o di quella Sezione semplice, 
che componevano le Sezioni Unite stesse. 

Si 13ar� forse trattato di una semplice erronea interpretazione dei 
poteri presidenziali, ma la verit� � che n'� risultata l'invalidit� della 
decisione per alterata composizione dell'organo giudicante. Tale invalidit� 
� espressamente prevista in legge, come si � detto, ma ricorrerebbe 
ugualmente anche senza questa previsione espressa. 

Infatti l'elaborazione giurisprudenziale, attraverso la costante ripetizione 
degli stessi principi, ha ravvisato addirittura l'inesistenza giuri


zione del reddito. Se i ricavi lordi sono maggiori, in quanto gli Istituti di 
Credito, sia pure per rivalersi degli oneri costituiti dal mancato esercizio 
della facolt� di rivalsa, pongono a carko dei mutuatari, che li accettano, 
un �maggior tasso di interessi, ed aumenta, in conseguenza, il reddito netto, 
l'imposta su� tale reddito, il quale costituisce il presupposto dell'imposta 
medesima, viene applicata indubbiamente una sola volta. Non si ri�esce a 
comprendere come possa, logicamente e giuridicamente, ritenersi che su 
tale. presupposto di imposta vi sarebbe, almeno parzialmente, una doppia 
imposizione, nell'ipotesi che non si operasse la detrazione di cui si discute. 
Il tasso di interessi da porsi a carico dei mutuatari viene determinato dagli 
Istituti di Credito nell'ambito di una discrezionalit� imprenditoriale, sia 
pure con l'osservanza di limiti eventualmente posti da usi ed accordi interbancari 
e dalla legge, e non � dato) ai fini tributari, operare un esame e 
una distinzione circa le varie componenti sulla base delle quali viene fissato 
il detto tasso di interessi. Ma anche se ci� fosse consentito, la ricerca 
non sarebbe nemmeno pertinente, in quanto l'intero ammontare degli interessi 
attivi percepiti dalle banche concorrono a formare, per legge, i 
ricavi lordi e su ci� non pu� sicuramente sorgere alcun dubbio: per determinare, 
poi, sulla base dei ricayi lordi, il reddito netto, si detraggono dai 
ricavi lordi le spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito. Quindi, 
ai fini della risoluzione della questione che ne occupa, non pu� che riportarsi 
il discorso sul punto se il mancato esercizio della rivalsa per la R.M., 
cat. A, sugli interessi rientri oppur no fra le spese e passivit� inerenti 
alla produzione del reddito. 

(4) a) La Commissione Centrale delle Imposte, Sezioni Unite, pur confermando 
nel dispositivo la decisione della Commissione Provinciale di 
Novara, ha completamente modificato la motivazione, abbandonando la 
speciosa via della duplicazione di imposta, per ritornare nuovamente sull'argomento, 
sempre disatteso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, 
espressasi, sul punto, in senso costantemente uniforme, della spesa 
inerente alla produzione del reddito. 
Il dato che caratterizza questa decisione della Commissione Centrale 
delle Imposte, che ha ritenuto di abbandonare la via tracciata dalla Corte 
di Cassazione, � una confusione di concetti e di linguaggio, che si accompagna 
al richiamo, del tutto non pertinente, a principi fissati nella Costituzione 
della Repubblica ed a principi di politica economica, che potrebbero, 
questi ultimi, suggerire, semmai, al legislatore un intervento nor



938 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
dica della decisione la quale, malgrado la sua esteriore apparenza di 
provvedimento giurisdizionale, provenga da un organo che non rivesta 
la qualit� di giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica 
o qualitativa; o per inosservanza di norme organiche incidenti sulla 
essenza stessa (da ultima sent. n. 1567 del 1967). 
In tal caso l'atto non � riferibile alla volont� sovrana dello Stato 
come manifestazione di potere giurisdizionale, perch� l'irregolarit� numerica 
o qualitativa nella costituzione del giudice rappresenta un vizio 
938 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 
dica della decisione la quale, malgrado la sua esteriore apparenza di 
provvedimento giurisdizionale, provenga da un organo che non rivesta 
la qualit� di giudice, per irregolarit� della sua composizione numerica 
o qualitativa; o per inosservanza di norme organiche incidenti sulla 
essenza stessa (da ultima sent. n. 1567 del 1967). 
In tal caso l'atto non � riferibile alla volont� sovrana dello Stato 
come manifestazione di potere giurisdizionale, perch� l'irregolarit� numerica 
o qualitativa nella costituzione del giudice rappresenta un vizio 
che si risolve in un difetto assoluto di giurisdizione, non potendo ravvisarsi 
nell'organo, anche se composto di soggetti singolarmente investiti 
di funzioni giurisdizionali, quello stesso, al quale la legge demanda 
la potest� di decidere unitariamente e non come semplice aggregato di 

mativo, ma che sicuramente non offrono elementi per la esatta interpretazione 
ed applicazione della legge. 

Il problema da risolvere era, invece, esclusivamente 'un problema di 
interpretazione e di applicazione della legge. Non intendiamo certo negare 
che anche i principi fissati nella Costituzione ,possano anzi debbano costituire 
uno strumento di interpretazione della legge, nel senso che fra le 
varie interpretazioni possibili va indubbiamente prescelta quella che sia 
maggiormente aderente ai detti principi costituzionali. Cos� come non intendiamo 
negare che la scienza economica e finanziaria possa fornire utili 
strumenti per l'interpretazione della legge, in quanto si adottino per tale 
interpretazione concetti e definizioni elaborati proprio da detta scienza. 
Ma � una questione di pertinenza e, nella fattispecie, � del tutto fuori luogo 
il richiamo che la Commissione Centrale fa all'art. 47 della Costituzione, 
come sono assolutamente non pertinenti, per la loro genericit�, il richiamo 
al �momento economko della funzione creditizia�, la considerazione che 

� il fenomeno �, dunque, soprattutto economico ed importa, in ogni impresa, 
lo stabilire, in base al principio, di "ofelimit�", fino a qual punto 
il pagamento del tributo, totale o parziale, non possa rappresentare un 
dato negativo nella produzione del bene, cio� del credito � ed, infine, le 
successive osservazioni, secondo le quali: �L'economia incisa porta ad una 
diminuzione del reddito, conseguente alla contrazione della domanda: onde 
la valutazione, rimessa all'azienda, circa la convenienza di agire o meno 
in rivalsa, trasferendo, anche in parte il tributo. Una convenienza, si aggiunge, 
che ha il suo punto di rottura quando il costo del danaro aumenta 
attraverso il pagamento dell'imposta. Autonomia, che costituisce, nel sistema 
attuale, discrezionalit� amministrativa, perch� ,esercitata da organi 
pubblici, e che si traduce, data la disciplina unitaria e pubblica della 
funzione creditizia, in vero �e :proprio obbligo. Questa -ad avviso del 
Collegio -� l'unica .sostanziale ragione del sistema, dominato dall'interesse 
di potenziare al massimo, favorendola in ogni modo, la funzione creditizia, 
attraverso la quale si realizzano vantaggi incalcolabili nello sviluppo eocnomico, 
industriale e sociale del Paese �. 
b) La Commissione Centrale ha affermato, in via di premessa: � La 
decisione impugnata evade nel ragionamento, per dir cos�, dal concetto 
giuridico di passivit�, soprattutto, da quello di inerenza sul reddito, agli 
effetti della detrazione. Si prenda, in essa, in considerazione un'operazione 
successiva e diversa, anzi addirittura opposta, da quella che ha determinato 

~~~~llA�FI~~~ 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 939 

persone che manifestano una opinione meramente personale (sentenza 

n. 810 del 1962). 
La nullit� radicale della denunziata decisione ne importa la cassazione 
con rinvio, postoch� la Commissione Centrale, una volta travolta 
la predetta decisione, resta tuttora investita delle impugnazioni 
proposte a suo tempo contro la decisione della Commissione provin


ciale. 
Il secondo. motivo del ricorso incidentale ed il ricorso principale 
restano manifestamente assorbiti. -(Omissis). 

l'imposizione: un'operazione, nella quale l'azienda si presenta in condizione 
di debitore diretto, non di sostituto. Ma l'argomentazione sollecita, attraverso 
un momento economico della funzione creditizia, una indagine approfondita 
del concetto di spesa, di perdita, meglio, di onere, ancor meglio 
di passivit�: termini tutti usati dalla legge, sui quali domina, con effetto 
decisivo, il concetto economico-giuridico di inerenza, che, ad avviso del 
Collegio, rappresenta la chiave della soluzione della questione. Il concetto 
di spesa; e quello di perdita, su cui si � tanto dibattuto, vanno, cosi, integrati 
con quello di onere, di passivit�, nei quali si prescinde dalla volontariet�, 
dominandovi, con carattere decisivo, l'inerenza: rapporto, cio�, di 
causalit� tra passivit� e reddito. 

� Proprio la nozione di passivit� ha subito, negli ultimi anni, un allargamento, 
che potrebbe chiamarsi evolutivo, nel senso che i principi 
fermati, in via precettiva e programmatica, dalla Costituzione, hanno trovato 
attuazione nella interpretazione di leggi preesistenti o nella creazione 
di leggi nuove. Cosi il concetto di necessit� che, in passato, limitava, quasi 
condizionandola, agli effetti della detrazione, l'attivit� dell'operatore economico, 
ha subito una flessione, attraverso la quale l'indagine si �, per 
dire cos�, sempre pi� centrata nella inerenza della passivit� al reddito, 
cio� in quella che potrebbe chiamarsi la produttivit� di questo. 
�Ne � venuta fuori una giurisprudenza, in senso ampio, che ha allargato 
il concetto di passivit� e, correlativamente, quello di inerenza: nella 
quale l'attivit� dell'operatore, in una rinnovata concezione della libert�, 
che non pu� non riflettersi sul fenomeno aziendale, si allarga e trova occasione 
e sollecitazione in interessi e possibilit�, che gli consentono di consegufre, 
anche attraverso una pi� serrata solidariet�, una maggiore produzione 
del reddito �. 
A noi pare che occorresse una ben diversa precisione di linguaggio 
ed una ben diversa precisazione di concetti per affrontare un cos� delicato 
problema di diritto e risolverlo con il dichiarato proposito di contrastare 
e superare una giurisprudenza della Corte di Cassazione, che si era espressa 
in quattro lucidissime e fondamentali sentenze, pronunziate nell'arco di 
oltre un sessantennio. Ed era esclusivamente un problema di diritto, e 
cio� di interpretazione e di applicazione di norme giuridiche, quello che la 
Commissione Oentrale delle Imposte, e cio� il massimo organo della giurisdizione 
speciale tributaria, doveva ri.solvere e non un problema di politica 
economica e di tutela del risparmio, perch� problemi del genere, nel nostro 
sistema costituzionale, spetta, ovviamente, al legislatore, a chi pone, cio�, 
le norme, di risolvere e non al Giudice, cui compete soltanto applicare le 
norme stesse, sia pure interpretandole. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

II 

COMMISSIONE PROVINCIALE DELLE IMPOSTE DI NOVARA, 22 
novembre 1967 -Pres. Zanconi -Rel. Guaglio -Banca Popolare 
di Novara c. Ufficio Distrettuale IL DD. di Novara. 

Imposta di ricchezza mobile -Spese inerenti alla produzione del red


dito -Pagamento da parte degli istituti di credito dell'imposta 

dir. m., Cat. A, sugli interessi dovuti ai depositanti e mancato 

esercizio dell'azione di rivalsa -Detraibilit� dal reddito di r. m., 

cat. B, degli istituti di credito. 

(t.u., 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 91 e 127). 

Gli Istituti di Credito, che non esercitano la rivalsa nei confronti 
del percettore degli interessi, recuperano l'ammontare della rivalsa 
dalla clientela attiva degli Istituti medesimi. Tale recupero � compreso 
negli interessi delle operazioni attive, interessi che, accettati dai mu-

Non pu� certo -a nostro avviso -dirsi che la decisione della Comm'issione 
Centrale, particolarmente attesa, anzi -direi -preannunciata 
da alcuni autori (DE Io1110, dt., in Riv. dir. fin. e se. fin., 1968, 752; LONGO, 
cit.), abbia soddisfatto le aspettative di vedere chiariti i dubbi, che secondo 
gli annotatori in dissenso, le sentenze della Corte di Cassazione, in particolare 
l'ultima -la n. 125 del 1967 -aveva lasciato sussistere o fatto 
sorgere. 

La decisione (pubblicata anche in Foro it., 1968, III, 200) ha gi� avuto, 
prima di essere dichiarata giuridicamente inesistente dalle Sezioni Unite 
della Corte di Cassazione con la sentenza in rassegna, annotazioni favorevoli 
(PIETRANTONIO, in Le imposte dirette erariali, gennaio 1969, col. 90 
e segg.; STELLA RICHTER PAOLO, in Giust. civ., febbraio 1969, II, 48 e segg.), 
che noi non riteniamo di poter condividere per le ragioni che di seguito 
esporremo. 

e) L'art. 32 del t.u. delle leggi d'imposta sui redditi della ricchezza 

mobile, approvato con r .d. n. 4021 del 24 agosto 1877, stabiliva che, per la 

classe dei redditi industriali, si dovesse tener conto, in deduzione, delle 

spese inerenti alla produzione, 'come il consumo di materie grezze e stru


menti, le mercedi degli operai, il fitto dei locali, le commissioni di vendita 

e simili. Si � sempre ritenuto che la elencazione delle �spese contenuta in 

detto articolo non fosse tassativa ma avesse valore meramente esemplifi,


cativo, dimodoch� potesse essere considerata come inerente alla produzione 

del reddito ed essere, quindi, ammessa in detrazione ogni spesa che fosse 

legata al reddito da un nesso di causalit� necessaria, nel senso che il 

reddito non sarebbe stato prodotto senza che la spesa fosse stata sostenuta. 

L'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette approvato con d.P. 29 gennaio 

1958, n. 645, attualmente vigente, non contiene pi� la elencaziene, anche 

se solo esemplificativa, delle spese inerenti alla produzione del reddito ma, 

con migliore e pi� precisa formulazione, stabilisce che il reddito netto, 

soggetto alla imposta di R.M., cat. B e C/1, �� costituito dalla differenza 

tra l'ammontare dei ricavi lordi che compongono il reddito soggetto alla 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 941 

tuatari, comprendono, fra l'altro, il corrispettivo di una quota parte 
di tutti gli oneri sostenuti dagli Istituti di Credito e quindi anche dell'Imposta 
di Cat. A, pagata dagli Istituti per conto dei depositanti. 
n profitto di tali operazioni attive viene dichiarato, agli effetti della 
determinazione del 1�eddito per R.M. -Cat. B -, al lordo della componente 
di rivalsa e si traduce in un aumento dei cespiti lordi soggetti 
alla detta tassazione di Cat. B. Tale componente deve, pertanto, essere 
detratta dal reddito tassato nella predetta Cat. B. Se ci� non avvenisse, 
si avrebbe una duplice tassazione. inerente allo stesso cespite. Sussiste, 
quindi, il diritto degli Istituti di Credito a depurare fiscalmente 
il ricavo dell'onere sostenuto, considerato che ii ricavo stesso viene 
dichiarato al lordo della sua componente di rivalsa (3). 

(Omissis). -La controversia verte su due questioni: 

1) sulla detraibilit� dal reddito di ricchezza mobile cat. B della 
imposta di ricchezza mobile cat. A pagata dalla Banca ricorrente e 
non recuperata mediante rivalsa nei confronti dei depositanti; 

imposta e l'ammontare delle spese e passivit� inerenti alla produzione di 
tale reddito �. 

Sussistono, quindi, nella legislazione attualmente vigente in materia 
di imposta di R.M., cat. B e cat. C/1, due categorie di � oneri � deducibili 
dai ricavi lordi, al fine della determinazione del reddito netto e sono: 
1) le sp�ese inerenti alla produzione del reddito; 2) le passivit� inerenti 
alla produzione del reddito. Sono queste, come ha esattamente affermato 
la Suprema Corte nella sentenza n. 125 del 1967, le �uniche voci sulla cui 
detraibilit� � legittimo discutere �. E si tratta di categorie ben distinte e 
chiaramente individuabili, che non vanno confuse fra di loro, come ha 
mostrato di fare la Commi.ssione Centrale delle Imposte nella decisione 
che si annota. N� pu� ritenersi sussista, per la R.M., cat. B e cat. C/l, 
una terza categoria di �oneri., non altrimenti qualificati, un � tertium 
genus �, come mostra di ritenere confusamente la Commissione Centrale 
e pi� chiaramente qualche autore (DE IoRio, cit., in Riv. dir. fin. e se. fin., 
1968, 752 e segg.), con riferimento all'art. 245 del t.u. sulle imposte dirette. 
Ma tale articolo, che stabilisce le sanzioni applicabili nell'ipotesi di dichiarazione 
infedele, non riguarda soltanto l'imposta di R.M., sibbene tutte 
le imposte dirette, per le quali sussista l'obbligo della dichiarazione. Gli 
oneri, quindi, cui fa riferimento il secondo comma dell'articolo ( � La so


pratassa non si applica qualora la differenza dipenda dalla indetraibilit� 
di spese, passivit� ed oneri �), sono gli oneri per i quali sia dalla legge 
prevista la detraibilit� ai fini di altre imposte (ad es., per quanto riguarda 
la imposta complementare, quelli previsti dall'art. 136 dello stesso t.u.). 
Ma per la imposta di R.M., cat. B e cat. C/1, per la quale la legge (art. 91 
t.u.) prevede la detraibilit� esclusivamente delle spese e passivit� inerenti 
alla produzione del reddito, non � dato argomentare ex art. 245 t.u. che 
vi siano altri oneri detraibili, perch� non si possono porre in detrazione 
oneri che la legge esplicitamente non preveda. Quindi il discorso, ai :fini 
dell'esame della questione decisa dalla Commissione Centrale, va limitato 
esclusivamente alle due categorie di oneri in precedenza precisate (spese 

lZ 



942 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

2) sulla detraibilit� dell'imposta sulle societ� quale componente 
patrimoniale; 

La Commissione di primo grado con la decisione citata in premessa 
respingendo il�ricorso ~lella Banca ricorrente, ha negato lfl detraibilit� 
di cui sopra, basandosi sulla recente sentenza della Corte di Cassazione 
n. 125 del 12 gennaio 1967. 

Ricorre a questa Commissione la Banca Popolare di Novara, sia 
per quanto riguarda la detraibilit� dell'imposta di R.M. Cat. A, sia 
per quanto riguarda la detraibilit� dell'imposta sulle societ�, quale 
componente patrimoniale, del reddito di cat. B. 

Assume la Banca che l'esborso relativo all'ammontare dell'imposta 
di cat. A, da essa pagata in luogo dei depositanti, figura tra gli oneri 

e passivit� inerenti alla produzione del reddito), tenendo, peraltro, le due 
categorie chiaramente distinte nelle loro caratteristiche peculiari. 
d) La Cassazione Romana, interpretando, nella sentenza in preceli 
denza richiamata del 24 febbraio 1902, l'art. 32 del t.u. n. 4021 del 1877, 

m 

afferm� che una spesa, in tanto pu� essere ritenuta inerente alla produ


m 

zione del reddito, in quanto costituisca condizione imprescindibile per la w 
produzione del reddito stesso, in quanto, cio�, vi sia fra la pr1ma e �il [
secondo un rapporto indissolubile di causa ad effetto, di modo che il 

f

reddito non verrebbe ad esistenza se la spesa non fosse sostenuta. il prin1i3 
cipio allora affermato � indubbiamente tuttora esatto ed attuale, in quanto ~::; 
l'art. 91 del t.u. n. 645 del 1958 non ha affatto innovato il concetto economico-
giuridico di spesa inerente alla produzione del reddito. 

Nel quadro di tale concetto non vi � dubbio che il mancato esercizio 
di rivalsa, costituita a favore delle Aziende ed Istituti di Credito, prima 
dall'art. 15 del t.u. n. 4021 del 1877, con le modificazioni di cui all'art. 22 
della 1. 8 giugno 1936, n. 1231, ed ora dall'art. 127 del t.u. n. 645 del 1958, 
non pu� comprendersi fra le spese inerenti alla produzione del reddito. 

Anzitutto � -a nostro avviso -anche da escludere che l'onere, che 
le Aziende ed Istituti di Credito, almeno formalmente e contabilmente, f

[;affrontano, rinunciando all'esercizio della rivalsa, possa qualificarsi come 
spesa, a parte anche la questione dell'inerenza o. meno alla produzione del 
reddito. Spendere, in senso. etimologico e lessicale, significa dare in pagamento, 
pagare denaro od equivalenti, �significa, quindi, trasferimento at' 
tivo, ad altro soggetto, di danaro� o" di altro bene. Non vi � dubbio che 

I

r:i~

gli Istituti di Credito e spendono� allorch� pagano allo Stato la imposta 
di R.M., cat. A, sugli interessi dovuti ai depositanti. Ma non � in quel ~ 
momento, sicuramente di spesa, che l'onere va preso in considerazione, 


I 

ai fini della risoluzione della questione che ne occupa. L'onere va consi{~


f 

derato in un momento successivo, allorch� gli Istituti di Credito non incassano 
la somma, di cui dovrebbero rivalersi per ritenuta. Ora il mancato 
incasso, la rinuncia ad un credito, volontaria o no che sia, non pu� lessi


Il calmente qualificarsi come spesa e non vi � dubbio che il senso letterale f�.:I 
delle parole debba avere il suo rilievo, a norma dell'art. 12 delle disposi


L 

zioni sulla legge in generale, nel procedimento di interpretazione della 

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legge, interpretazione, peraltro, che, nella fattispecie, che ha riferimento 
ad una legge tributaria, non pu� che essere condotta con criteri rigoro


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 943 

nel suo conto economico e ne reclama la detraibilit� ai sensi dell'articolo 
91 del t.u. delle imposte dirette 29 gennaio 1958, n. 645, sostenendo 
che la rivalsa, pur non effettuata (per l'uso radicato da parte degli 
Istituti di Credito) nei confronti dei depositanti, avviene costantemente 
di fatto ed in maniera implicita � verso un soggetto disposto ad accollarsene 
l'onere e precisamente verso la clientela attiva della Banca >. 
Di conseguenza poich� il profitto di tali operazioni verso la clientela 
attiva viene dichiarato al lordo di quella componente (recupero della 
imposta di cat. A) la Banca ricorrente ne chiede la detrazione. 

In ordine alla seconda questione in quanto la parte d'imposta relativa 
al patrimonio, non � da considerarsi un'imposta sul reddito ma 
come opera inerente al patrimonio e quindi alla produzione del reddito 
stesso. 

samente puntuali, senza estensioni ad ipotesi che, per non essere fogicalilente 
riconducibili nella sfera di applicabilit� della norma, porterebbero 
inevitabilmente ad evasioni fiscali. 

Tutto ci� � stato anche avvertito dalla Commissione Centrale, la quale, 
proprio per superare il significato non soltanto lessicale ma anche economico-
giuridico di spesa, che non pu�, per quanto di sopra dicevamo, essere 
assolutamente trascurato, ha espressamente accomunati e confusi i concetti 
di spesa, di perdita, di onere e di passivit�, erroneamente ritenendo che 
fosse sufficiente a fare di tutt'erba un fascio quel concetto di inerenza, 
che occorre per qualificare la spesa o la passivit�, perch� l'una o l'altra 
possa essere ammessa in detrazione, ma non � certo sufficiente a far ritenere 
che spese e passivit� siano la stessa cosa, quando per le une e per 
le altre sussista il requisito dell'inerenza alla produzione del reddito. 

La spesa, peraltro, in senso economico-tributario, va -a nostro avviso 
-concepita come trasferimento di reddito da uno ad altro soggetto, 
con la conseguenza che l'ammontare di essa, se viene posta in detrazione 
al reddito di chi spende, deve necessariamente costituire una evenienza 
attiva in chi riceve, da tassarsi con la imposta di R.M., salvo eventuali 
esenzioni previste dalla legge. 

Le spese di rappresentanza e quelle di pubblicit�, alle quali fa riferimento 
la decisione che si annota, sono esattamente spese nel senso lessicale 
ed anche �economico-tributario dianzi espresso, in quanto importano 
non soltanto un trasferimento di danaro, ma anche un trasferimento di 
reddito tassabile dall'impresa, che eroga le spese, all'agente incaricato della 
rappresentanza e della pubblicit�. 

Discorso diverso va fatto, invece, per i �cosidetti sconti-premio, pure 
richiamati dalla Commissione Centrale, i quali non sono � spesa � in senso 
economico-tributario, ma sono, in definitiva, una riduzione che viene applicata, 
sia pure successivamente all'acquisto, al prezzo dei beni venduti, 
il che importa una diminuzione dei ricavi lordi. Cosicch� � altro il meccanismo 
attraverso il quale tali sconti-premio vengono ad operare legittimamente 
sulla determinazione del reddito netto delle aziende commerciali. 

e) La rinuncia all'es�rcizio dell'azione di rivalsa, che, ripetiamo, 
non � -a nostro avviso -nemmeno da considerarsi spesa, manca, comunque, 
di quel carattere di inerenza alla produzione del reddito, che 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

944 

Controdeduce l'Ufficio Finanziario richiamando la gi� citata sentenza 
della Commissione. 

OSSERVAZIONI 

Questa Commissione ritiene che la tesi sostenuta dalla Banca, tesi 
nuova rispetto alle argomentazioni gi� portate all'esame della Corte 
di Cassazione, sia meritevole di ac�coglimento. 

Infatti, premesso che gli Istituti di credito non fanno la rivalsa 
verso il percettore degli interessi (facoltativamente prevista dall'articolo127 
del gi� citato t.u. sulle imposte dirette) e che � escluso che 
quell'onere rappresenta una perdita secca per gli Istituti di credito 
(come giustamente affermato dalla pi� volte citata sentenza della Cas


significa, secondo il principio fissato dalla Corte di Cassazione e sul quale 
non ci pare sussistano dissensi, necessariet� imprescindibile per la produzione 
del reddito stesso. 

Sull'esigenza della necessariet�, perch� si abbia inerenza alla produzione 
del reddito, � d'accordo -in via di principio -anche la Commissione 
Centrale, la quale, per�, mostra di avere del concetto di necessariet� 
un'opinione tutt'affatto particolare, affermando: � Cos�, il concetto di necessit� 
che, in passato, limitava, quasi condizionandola, agli effetti della 
detrazione, l'attivit� dell'operatore economico, ha subito una flessione, attraverso 
la quale l'indagine si �, per dir cosi, sempr�e pi� centrata nella 
inerenza della passivit� al reddito, cio� in quella che potrebbe chiamarsi 
la produttivit� di questo. Ne � venuta fuori una giurisprudenza -in 
senso ampio -che ha allargato il concetto di passivit�, e, correlativamente 
quello di inerenza: nella quale l'attivit� dell'operatore -in una rinnovata 
concezione della libert�, che non pu� riflettersi sul fenomeno aziendale 
-si allarga e trova occasione e sollecitazione in interessi e possibilit�, 
che gli consentano di conseguire, anche. attraverso una pi� serrata solidariet�, 
una maggiore produzione del reddito �. � 

A dimostrazione di questa che potremmo dire moderna concezione della 
necessit�, la Commissione Central�e richiama l'art. 84, lett. g, del t.u. n. 645 
del 1958, rilevando che � fruttuose considerazioni' possono, al riguardo, 
trarsi dal fenomeno assistenziale �. Ma � proprio la richiamata disposizione 
del t.u. che conferma che il concetto di necessit� non � mutato -e non 
poteva mutare -perch� il legislatore ha dovuto espressamente stabilire 
una esenzione per �le somme erogate dalle imprese a titolo di liberalit� 
in favore del personale dipendente e quelle allo stesso titolo da chiunque 
erogate in favore di enti, istituti e associazioni legalmente riconosciuti, 
fino a concorrenza del cinque per cento del reddito dichiarato, quando 
scopo specifico della liberalit� � l'istruzione, l'educazione, l'assistenza sociale, 
il culto e la beneficenza�. Se si � dovuta stabilire un'apposita esenzione, 
� stato appunto perch� l'erogazione di tali somme a titolo di liberalit� 
non poteva ricomprendersi fra le spese inerenti alla produzione del 
reddito, rperch� per produrre un reddito non � necessario erogare somme 
a titolo di liberalit�, e ci� anche se le liberalit� possono, in definitiva, 
tradursi in un vantaggio per l'impresa, valendo ad incentivare la produt




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 945 

sazione) � fuori dubbio che lo stesso Istituto di credito recupera l'ammontare 
della rivalsa della clientela attiva della banca stessa. 

Tale recupero � compreso negli interessi delle operazioni attive, 
interessi che, accettati dai mutuatari, comprendono il corrispettivo dell'opera 
e del rischio imprenditoriale, gli interessi passivi sulle raccolte 
corrispondentemente impiegata, una quota parte delle spese di gestione 
ed anche una quota parte di tutti gli oneri sostenuti dalla Banca 
e quindi anche dell'imposta di Cat. A pagata dalla Banca per conto 
dei depositanti. 

Poich� il profitto di tali operazioni attive viene dichiarato, agli 
effetti dell'imposizione della cat. B al lordo della componente di rivalsa 
e si traduce in un aumento dei cespiti lordi soggetti alla detta tassa


tivit� del personale dipendente od anche a reclamizzare la produzione dell'impresa 
od, infine, attraverso l'istruzione, la educazione, l'assistenza sociale, 
a determinare la disponibilit� di una pi� esperta ed efficiente mano 
d'opera. � 

Il concetto di necessit�, quindi, rimane sempre quello normale e tradizionale 
ed � soltanto tale concetto che pu� valere a stabilire quali siano 
e quali non siano le spese inerenti alla produzione del reddito. 

Si � affermato che la necessariet�, per gli Istituti di credito, di non 
operare la rivalsa deve essere riguardata non tanto sotto un profilo esclusivamente 
giuridico, quanto sotto un profilo economico, e cio� in relazione 
a quelle che sono le condizioni di mercato, che in concreto escluderebbero 
la possibilit� dell'esercizio della rivalsa; che si tratterebbe, nella sostanza, 
di un onere che � volontariamente assunto dalle banche e trova la sua 
giustificazione di necessariet� nella situazione di mercato, che richiede agli 
Istituti stessi di non esercitare la rivalsa, al fine di svolgere l'attivit� della 
raccolta dei depositi, che � alla base dei ricavi delle imprese bancarie 

(L. JoNA-CELESIA, In tema di deducibilit� deH'imposta di R.M., cat. A, 
pagata dalle abnche, in Riv. dir. fin. se. fin., 1963, II, 391). L'argomento � 
ripreso anche dalla Commissione Centrale nella decisione che si annota, 
nella quale si afferma che il mancato esercizio dell'azione di rivalsa � pu� 
ben definirsi un onere di mercato inerente alla produzione redditizia �. 
All'argomentazione si � giustamente risposto che non vi � dubbio che, attraverso 
la rinuncia all'�esercizio dell'azione di rivalsa, la banca offra in 
fatto condizioni pi� vantaggiose ai suoi creditori, al fine di stimolare l'accrescimento 
dei mezzi finanziari che sono alla base dell'attivit� che sar� 
produttiva dei ricavi, ma che non si pu� con.venire con l'affermazione che 
gli istituti di credito siano costretti a non operare la rivalsa per raggiungere 
lo scopo, che pu� benissimo �essere raggiunto in altro modo: quello, cio�, 
di riconoscere ai �creditori un tasso di interesse che, depurato dell'imposta, 
rappresenti quel valore di rendimento dei capitali richiesto dal mercato. 
Ci� che � necessario per incrementare i depositi delle banche � corrispondere 
una il'emunerazione che alletti il creditore, ma ci� non deve attuarsi 
necessariamente attraveil'so la rinunzia all'esercizio della rivalsa (P1ccATTI, 
Le imposte pagate da soggetti obbligati in luogo di altri e loro detraibilit� 
dal reddito industriale, in Riv. dir. fin. e se. fin., 1964, I, 468). Si � pure 
osservato che, nella sostanza, gli Istituti di credito esercitano di fatto la 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione di cat. B, tale componente deve essere detratta dal reddito tassato 
nella predetta cat. B. Se ci� non avvenisse si avrebbe una duplice 
tassazione inerente allo stesso cespite. 

Si aggiunge che, anche se gli Istituti di credito, per motivi tecnicocontabili 
non sottraggono l'imposta e la sua rivalsa sul mutuatario dall'ambito 
del conto economico, ci� non pu� far venire meno il buon 
diritto delle banche a depurare fiscalmente il ricavo dell'onere sostenuto, 
considerato che il ricavo stesso viene dichiarato al lordo della 
sua componente di rivalsa. 

In ordine al secondo punto della controversia questa Commissione, 
stante la� costante giurisprudenza, ritiene la non detraibilit� dell'im-posta 
sulle societ� quale componente patrimoniale dal reddito di categoria 
B. -(Omissis). 

rivalsa, corrispondendo un minor tasso di interesse (MoNTUORI, la determinazione 
dei redditi soggetti all'imposta di R.M., Torino, 1963, 246). 
Tale osservazione vale, di per s�, a confutare anche quando da taluno si 
� rilevato e cio� che, per quel che concerne gli interessi passivi da corri-� 
spondersi ai depositanti, gli accordi interbancari fissano un saggio massimo, 
che, per essere eff�ettivamente inderogabile, non pu� essere prescelto se 
non depurato del carico di imposta (DE !ORIO, cit., in Nuova rivista tributaria, 
ottobre, 1968, 434). La esistenza e la obbligatoriet� degli accordi 
interbancari concorrerebbe a dimostrare la necessit� per gli istituti di 
credito di non operare la rivalsa. Ma gli accordi interbancari, i quali si 
concretano, poi, nel cartello bancario, che deve essere approvato, ai sehsi 
dell'art. 32 del r.d.I. 12 marzo 1936, n. 375, dal Comitato interministeriale 
per il credito e il risparmio, nello stabilire i tassi massimi di interesse da 
corrispondersi ai depositanti, hanno riferimento a quanto debba essere 
effettivamente corrisposto al netto. � quindi, indiff~ente per detti accordi 
che gli interessi vengano conteggiati al lordo, operandosi, poi, la ritenuta 
per la rivalsa dell'imposta di R.M., cat. A, o che gli interessi vengano, 
invece, direttamente conteggiati e corrisposti al netto, evitandosi una inu.:.. 
tile registrazione contabile per quel dippi�, costituente l'ammontare della 
imposta di R.M., cat. A, per cui la rivalsa dovrebbe operarsi. � perci� che 
si � attuato, come � stato giustamente rilevato (GAZZERRO, L'indetraibilit�, 
per omessa rivalsa, della R.M. di cat. A pagata dalle banche, in Riv. dir. 
fin. e se. fin., 1964, II, 282), un sistema compensativo, quello di corrispondere 
un tasso di interesse inferiore di un tanto, e precisamente di quel 
tanto uguale all'imposta di R.M., ed � stato tale sistema compensativo che 
ha condotto al cartello bancario dei tassi di interesse sui depositi al netto 
dell'imposta di ricchezza mobile. Si � attuato, in definitiva, un sistema 
contabile, che non significa affatto che la rivalsa non venga esercitata, ma 
che significa, invece, esattamente il contrario, che la rivalsa, cio�, viene 
di fatto esercitata -come abbiamo in precedenza detto -corrispondendosi 
un minor tasso di interesse. Altro, quindi, che necessit� per le banche 
di non esercitare la rivalsa ed inerenza dell'onere relativo alla produzione 
del reddito. Comunque, quello che � certo � che la esistenza del cartello 
bancario, che limita, nel massimo, gli interessi che possano essere corrisposti 
ai depositanti, non pone assolutamente una condizione imprescin



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 947 

III 

COMMISSIONE CENTRALE DELLE IMPOSTE, Sez. Un., 2 dicembre 
1968, n. 99776 -Pres. Bozzi -Est. Nicolais -UfficiOI Distrettuale 
delle Imposte Dirette di Novara c. Banca Popolare di Novara. 

Imposta di ricchezza mobile -Spese e passivit� inerenti alla produzione 
del reddito -Pagamento da parte dei soggetti tassabili in 
base al bilancio, delle aziende ed istituti di credito dell'imposta 
di r. m., cat. A, sugli interessi dovuti ai reddituatari e rinuncia 
all'esercizio dell'azione di rivalsa -Inerenza della rinuncia alla 
produzione del reddito -Detraibilit� dal reddito di r. m., cat. B 


Sussiste. 
(t.u., 29 gennaio 1958, n. 645, artt. 91 e 127). 


La rinuncia, da parte delle Aziende e degli Istituti di Credito, 
all'esercizio della r~valsa, per le somme pagate a titolo di R.M. -Ca


dibile di necessit�, che obblighi la banca a non �esercitare la rivalsa e che 
si ponga come causa ad effetto rispetto alla produzione del reddito. 

Nella nota alla decisione della Commissione Provinciale di Novara 
richiamata in precedenza (in Giust. civ., 1968, II, 266), lo JANNUZZI, dopo 
aver dichiaratamente � esaminato il problema principalmente sotto l'aspetto 
privatistico, poich�. il riferimento agli istituti di diritto privato ed in particolare 
la qualificazione giuridica del rapporto costituito fra l'istituto di 
credito ed il titolare del reddito � la premessa necessaria per una giusta 
soluzione ., afferma che �si dev�e ricercare se abbia efficacia per l'Amministrazione 
finanziaria l'obbligo contrattuale, assunto dagli Istituti di credito, 
di non operare la rivalsa dell'imposta di ricchezza mobile nei confronti 
dei titolari del reddito�, aggiungendo che �il quesito impone il 
richiamo delle norme e dei principi che regolano l'efficacia del contratto 
e degli atti giuridici in generale nei confronti dei terzi �. Quindi, richiamata 
la norma generale sull'efficacia del contratto, contenuta nell'art. 1372 
e.e., e dopo aver considerato che nel primo e nel terzo comma dell'art. 127 
del t.u. sulle imposte dirette � contenuta una diversa disciplina per le due 
ipotesi ivi previste,. in quanto nella prima ipotesi si impone l'obbligo della 
rivalsa e per la seconda si concede una facolt�, cosi conclude: � Dalle 
premesse e dalle considerazioni i;uesposte emerge chiara ed indefettibile 
la seguente conclusione: che l'Amministrazione finanziaria non pu� disconoscere 
l'esistenza, la validit� e l'efficacia della clausola contrattuale che 
esclude la rivalsa dell'imposta di R.M. e che, quindi, impone il pagamento 
degli interessi al netto dell'imposta, che viene �a gravare sugli Istituti di 
credito. Ma ci� importa �che il costo dell'operazione di mutuo passivo sia 
costituito dal tasso di interessi maggiorato dall'imposta; quindi l'Amministrazione 
finanziaria non pu� disconoscere che tale � la spesa inerente 
all'operazione di mutuo passivo �. 

A nostro avviso � errata la impostazione del problema ed � errata e 
semplicistica la soluzione alla quale. si ritiene di poter pervenire. 

! 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

948 

tegoria A -, sugli interessi corrispost~ ai depositanti, � inerente alla 
produzione del reddito di impresa delle Aziende ed Istituti di Credito, 
tassabile con la imposta di R.M. -Cat. B -. La ragione della rinuncia 
va riferita ad una esigenza, che potrebbe chiamarsi costituzionale (articolo 
47 della Costituzione), e che si pu� dire caratterizzi L'ordinamento 
creditizio: favorire il reper�imento dei depositi, il potenziamento del 
credito, che ha tanta parte nelZ'economia pubblica. Le operazioni attive 
e passive degli Isvituti di Credito si pongono in rapporto di causa ad 
effetto. La rinuncia all'esercizio deZla rivalsa non costituisce n� spesa 
n� liberalit� n� erogazione di reddito, ma, al pari di manifestazioni 
reclamistiche (abbuoni, sconti, premi) la rinuncia mira ad acquisire il 
credito e, perci�, inerisce direttamente, attraverso altre operazioni, alla 

Gli schemi privatistici entro i quali l'Autore ritiene di poter costringere 
il problema sono assolutamente inadeguati. Si tratta, nella fattispecie, 
di risolvere una questione di diritto tributario, cio� di diritto pubblico. 
Con ci� non intendiamo certo di affermare che anche gli istituti di diritto 
privato non possano fornire utili 1strumenti per la interpretazione delle 
norme tributarie. Ma nel caso che ne occupa, i concetti che occorre definire 
sono quelli di spesa inerente alla produzione del reddito e di passivit� 
inerente alla produzione del reddito e per la definizione di tali concetti 
possono tornare utili elementi elaborati dalle scienze economiche od anche 
concetti elaborati dalla dottrina privatistica, in materia di responsabilit� 
contrattuale od extracontrattuale, sul rapporto di causalit� materiale fra 
l'atto o fatto dell'uomo (azione od omissione) e l'evento (danno), ma non 
tornano certamente utili gli schemi relativi all'efficacia del contratto nei 
confronti dei terzi. � errato, peraltro, il presupposto dal quale l'Autore 
muove e che, cio�, in realt�, il mancato esercizio della rivalsa dell'imposta 
di ricchezza mobile si attiene �d un obbligo assunto dagli Istituti di credito 
nei confronti dei depositanti, obbligo che troverebbe la su,a fonte in clausole 
contrattuali trascritte sui libretti di deposito e ri.sparmio, ovvero in clausole 
d'uso o in genere in usi contrattuali uniformi. Nessun elemento, infatti, � 
datto trarre circa la sussistenza di tale obbligo dai libretti di deposito a 
risparmio rilasciati dalle banche, in quanto in tali libretti per gli interessi 
si f.a riferimento unicamente ai momenti della loro capitalizzazione ed 
annotazione sui libretti medesimi. Il contratto che si stipula fra le banche 
e i depositanti prevede solo la �corresponsione di un determinato tasso di 
interesse, ma non prevede la rfnunzia all'esercizio della rivalsa. Il depositante, 
nell'accettare quel tasso di interesse, non si pone il problema se 
l'interesse sia calcolato al netto della rivalsa gi� �esercitata per ritenuta 

o se, invece, sia la !l'isultante di una rinuncia da parte della Banca all'esercizio 
della rivalsa. E se sulla rinuncia all'esercizio della rivalsa non 
vi � incontro, specifico e puntuale, di volont�, non vi � contratto. � fuor 
di luogo, quindi, parlare di opponibilit� al terzo (Amministrazione finanziaria, 
per giunta) di un contratto, che, come tale, non esiste. Ripetiamo 
che -a nostro avviso -il mancato esercizio della rivalsa � soltanto una 
operazione contabile e figurativa, perch� la rivalsa viene in concreto esercitata, 
corrispondendosi un interesse, al netto, all'incirca uguale a quello 
che si sarebbe corrisposto al lordo, depurato, poi, dell'imposta di R.M., 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 949 

produzione del reddito. L'ammontare d'imposta di cat. A, pagato dalle 
banche, � un elemento legalmente necessario, perch� trae origine da 
una norma tassativa di legge, alla cui osservanza non � dato sottrarsi, 
e non pu� prescindersi dal considerare l� sua stretta inerenza alla produzione 
del reddito imponibiie, donde la legittima detraibilit� ai fini 
della dete1�minazione del reddito netto di cat. B. L'imposta di cui si 
tratta pu� ben definirsi un onere di mercato inerente alla produzione 
del reddito (4). 

(Omissis). -Ne consegue che dal superamento delle tre pregiudiziali 
poste dalla parte nel suo controricorso, si dischiude l'ingresso 
alla disamina delle due questioni principali in ordine alla detraibilit� 

cat. A. Ci�, come � stato rilevato dal GAZZERRO (cit.), risulta perfino da 
un documento proveniente proprio dagli Istituti di credito, precisamente 
dall'Associazione Nazionale � Luigi Luzzatti � fra le Banche Popolari Italiane, 
la quale fece pervenire nel 1955 un memoriale alle Camere Legislative, 
in occasione della discussione parlamentare delle norme sulla perequazione 
tributaria,, che si concretarono nella I. 5 gennaio 1956, n. 1. 
In tale memoriale � testualmente scritto: � Abbiamo ricordato che la rivalsa 
dell'imposta di R.M. sugli interessi passivi non viene eserdtata dalle 
banche, ma se la si esercitasse, il risultato economico non sarebbe migliore. 
Infatti, se il .saggio corrente di interesse per i depositi bancari in un determinato 
momento fosse -ad esempio -del 2%, � chiaro che, se la 
banca volesse esercitare il diritto <ii rivalsa dell'imposta che grava tale 
reddito, dovrebbe corrispondere al depositante un maggior interesse: e 
supposta l'aliquota dell'imposta del 25% circa, l'interesse lordo salirebbe 
al 2,65%. In tal modo l'onere per la banca verrebbe leggermente aggravato 
per l'imposta sul maggiore interesse e, di conseguenza, l'utile netto diminuito 
di altrettanto; in definitiva si peggiorerebbe, sia pure di poco, la 
situazione economica della banca �. 

Ma anche quando potesse ipotizzarsi l'esistenza di uno specifico incontro 
contrattuale di volont� sul punto della rinuncia all'esercizio della 
rivalsa, ci� non determinerebbe la necessari:et� dell'onere (che, comunque, 
non sarebbe mai spesa, per le constderazioni in precedenza espresse), 
rispetto alla produzione del reddito, perch� lo stesso risultato si potrebbe 
conseguire -come abbiamo rilevato -attraverso la corresponsione di 
un maggiore interesse lordo, da depurare poi nell'importo dell'imposta di 
R.M., cat. A. �, perci�, indifferente per l'Amministrazione finanziaria che 
esista oppur no una clausola contrattuale, che escluderebbe l'esercizio della 
rivalsa: l'argomento, cio�, della opponibilit� ai terzi (Amministrazione finanziaria) 
di un contratto validamente concluso ,ed efficace fra le parti 

(Banche e depositanti) non � valido ad apportare nessun elemento utile 

per la soluzione del problema che ne occupa. 

D'altra parte, la stessa conclusione alla quale lo IANNUZZI perviene 

conferma la erroneit� della impostazione. L'Autore, infatti, afferma che la 

opponibilit� all'Amministrazione finanziaria dell'accordo sulla mancata ri


valsa importa che il costo dell'operazione di mutuo passivo � costituito 

dal tasso di interessi maggiorato dell'imposta; che, quindi, l'Amministra



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

950 

o non dell'imposta di R.M. cat. A pagata dalla Banca sugli interessi 
corrisposti ai depositanti e dell'imposta sulle societ�, ai fini della tassazione 
di R.M. cat. B (tesi ammissiva sostenuta dalla Banca). 
� da ricordare che la prima questione, sulla cui tesi negativa insiste 
l'Ufficio, � stata risolta in modo non uniforme presso le varie magistrature 
e commissioni tributarie, mentre sulla seconda, su cui si 
appunta ancora la Banca con il suo ricorso incidentale, non risulta 
essersi determinato contrasto nella giurisprudenza in materia, come 
di seguito si dir�. 

In questa sede l'Ufficio ha dedotto che con la decisione della Commissione 
provinciale sono stati violati gli artt. 91 e 99 del t.u. 645 del 
1958 dichiarandosi detraibile l'imposta di cat. A dal reddito di R.M. 

zione finanziaria non pu� disconoscere che tale � la spesa inerente alla 
operazione di mutuo passivo. L'Autore omette, per�, di considerare che, 
se la banca � spende � per i mutui passivi il tasso di interessi pi� l'importo 
dell'imposta, di cui non si rivale, ci� significa che il danaro dato in deposito 
produce un reddito maggiore (interessi + imposta) di quello che appare 
(interessi al netto) e che la tassazione per imposta di R.M. deve 
colpire il reddito maggiore, che � quello effettivamente conseguito e prodotto, 
e non il reddito minore. Si pone, di conseguenza, il problema della 
tassabilit� in R.M., cat. A, di quel maggior reddito, costituito appunto dall'importo 
della rivalsa non esercitata. Tale problema che lo IANNUZZI trascura 
completamente, se lo sono, invece, giustamente, posto altri autori 
(CAPACCIOLI, cit.), pervenendo a conclusioni che non convincono, attraverso 
un procedimento logico assolutamente inadeguato. Afferma il CAPACCIOLI 
che �il risparmio del depositante, per mancato esercizio della facolt� di 
rivalsa da parte della banca, non � legalmente reddito e non � quindi 
tassabile in cat. A �. Giustifica tale conclusione con la considerazione, che 
consegue alla disamina della differenza di disciplina giuridica, portata 
nell'art. 127 del t.u. n. 645 del 1958, fra i casi in cui sia imposto l'obbligo 
della rivalsa e quelli nei quali sia concessa una facolt� di rivalsa, secondo 
la quale: � Emerge, cos�, un compiuto sistema di diritto positivo, per cui 
la base imponibile non it'�sente mai della rivalsa; e si pu� considerare con 
sicurezza che � legalmente escluso che il non esercizio della facolt� di 
rivalsa possa� autorizzare una tassazione supplementare, nel nostro caso 
in cat. A�. Vedremo in seguito come la differente disciplina giuridica fra 
i casi di obbligo di rivalsa e quelli di facolt� di rivalsa -da cui anche 
la Commissione Centrale ha ritenuto di poter trarre un argomento per 
motivare la propria decisione -non possa avere alcuna pertinenza per 
la soluzione del problema in discussione. Le affermazioni del CAPACCIOLJ 
sono, comunque, del tutto apodittiche ed immotivate. Non si comprende 
come un reddito di capitali, perch� tale indubbiamente va qualificato que�lo 
che il CAPACCIOLI chiama �il risparmio del depositante., possa dirsi che 
non � � legalmente � un maggior reddito. Se al depositante viene riconosciuto 
un interesse netto, in ipotesi, del 2% ed, in aggiunta, un abbuono 
dell'imposta di R.M., cat. A, per suo conto corriisposta all'Erario dalla banca, 
del 25% su detto interesse, non vediamo come possa escludersi che il depositante 
consegua un reddito del 2,50%, tassabile, come tale, con imposta 


-

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, 
PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 951 

cat. B e l'art. 121 dello stesso t.u., non essendo stata fornita la prova 
contraria dalla parte sulla ripresa fiscale del detto ammontare di 

R.M. cat. A pagata nel conto economico. In sostanza, senza la corrispondente 
dimostrazione dell'effettuata rivalsa, � stato ritenuto inerente 
alla produzione del reddito l'onere stesso onde ammetterlo in detrazione, 
mentre invece l'omissione della rivalsa non pu� comportare per 
la Banca n� una spesa n� una perdita inerente alla produzione del reddito 
di R.M. cat. B, e di qui scaturisce la illegittimit� della ripresa fiscale, 
e la censurabilit� della decisione impugnata per violazione di 
tassative norme di legge. 
L'impostazione data alla controversia svela -prescindendo dalla 
soluzione adottata -aspetti nuovi nella delicata e tormentata materia: 
ne suggerisce, soprattutto, un riesame generale, affinch�, attra


di R.M., cat. A. � che si pone un dilemma: o si ritiene che la � spesa. 
inerente all'operazione di mutuo passivo � costituita dall'interesse effettivo 
corrisposto dagli Istituti di credit<? ai depositanti pi� l'imposta corrisposta 
e non recuperata, in quanto si ritiene che, sia pure attraver,so operazioni 
distinte, vi � dagli Istituti di credito ai depositanti un trasferimento di 
reddito, che � la risultante delle due operazioni accennate, ed allora non 

vi. � ragione perch� l'intero reddito trasferito, e quindi conseguito dal 
depositante, non venga tassato presso il percipiente, come reddito di capitale, 
con l'imposta di R.M., cat. A; oppure si ritiene che il reddito conseguito 
dal depositante � costituito dall'interesse in concreto percepito ed 
allora la mancata rivalsa, non operando un trasferimento di reddito dalla 
banca al depositante, non � spesa e l'ammontare di tale mancata rivalsa 
va tassata, in cat. B, presso l'Istituto bancario, in considerazione che si 
tratta di un Teddito da quest'ultimo prodotto e che non va posto in detrazione, 
perch� non � una spesa e perch�, �Se, in ipotesi, lo fosse, non sarebbe 
inerente alla produzione, non essendo imprescindibilmente necessario per 
la produzione stessa. Si tratterebbe, in tale seconda ipotesi, della erogazione 
di un :reddito gi� prodotto e non ha interesse, ai fini della risoluzione della 
questione, stabilire per quali ragioni questo reddito prodotto, che, in quanto 
tale, non pu� essere 1sottratto all'imposizione tributaria, venga poi erogato. 
Il ritenere che l'importo della mancata rivalsa non possa essere tassato 
in cat. A presso il percip�ente, perch� non sarebbe legalmente maggior 
reddito e non possa essere tassato presso l'Istituto di credito, in quanto 
spesa inerente alla produzione, porterebbe, fra l'altro, inevitabilmente ad 
una evasione fiscale, perch� varrebbe a sottrarre all'imposizione di R.M. 
una quota di reddito prodotto. La spesa inerente alla produzione, di cui 
all'art. 91 del t.u. sulle imposte dirette, importa necessariamente, per il 
concetto stesso, lessicale ed economico-giuridico, di spesa, il trasferimento 
di un reddito da chi spende a chi riceve il danaro od il bene speso. Il reddito 
trasferito�viene tassato presso il percipiente, salvo esenzioni subiettive 
od obiettive (nel caso, ad es., che il percipiente abbia un reddito inferiore 
al minimo imponibile; nei casi previsti dall'art. 28 della 1. 5 gennaio 1956, 

n. 1, ora riprodotto nell'art. 84, lett. g, del t.u. del 1958). Se, invece, non 
� a parlare di tassabilit� presso il percipiente, � perch� si esclude che vi 

952 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

verso un pi� ampio vigoroso impulso processuale, che ne solleciti tutti 
gli aspetti, il problema possa avere definitiva soluzione. 

Va, anzitutto esaminata quella che pu� considerarsi ragione del 
decidere nella pronuncia impugnata: anche se la soluzione, cui si � 
pervenuti, non sembra del tutto esatta, la motivazione suggerisce, per�, 
al Collegio, riflessioni e considerazioni, che toccano, con argomenti, se 
possibile, nuovi, l'aspetto fondamentale della questione. 

L'espressione rivalsa, cui si riferisce l'art. 127 della legge, � usata 
nel� senso di azione diretta a far recuperare al sostituto l'imposta, che 
egli ha pagato in luogo dell'effettivo debitore. Obbligato al tributo 
-sia pure in forma di sostituto -�, infatti, colui che non vi � tenuto, 
mentre il contribuente effettivo pu� essere percosso, attraverso la 
rivalsa. 

sia stato un trasf�erimento di reddito e, quindi, una spesa. Significa che il 
reddito � rimasto nella disponibilit� di chi lo ha prodotto e che deve, di 
conseguenza, essere soggetto alla imposizione fiscale, a meno che non ricorra 
quell'ipotesi di perdita di un reddito gi� prodotto, di cui parleremo in 
seguito. Se si ritiene che anche chi ha prodotto il reddito (Istituto di 
credito) pu� porre in detrazione quella quota di reddito che non � tassabile 
presso altri (depositante), perch� a quest'ultimo non trasferita, ne deriva 
evidentemente che tale quota di reddito sfugge ad ogni imposizione, che 
viene, cio�, a determinar.si una esenzione non prevista dalla legge e, conseguentemente, 
una evasione fiscale (cfr., in proposito, PICCATTI, cit.). 

f) La necessariet� della rinuncia all'esercizio della rivalsa � stata 
dalla Commissione Centrale �riferita ad una esigenza, che potrebbe chiamarsi 
costituzionale (art. 47 della Costituzione) e che si pu� dire caratterizzi 
l'ordinamento creditizio: favorire il reperimento dei depositi, il potenziamento 
del credito, che ha tanta parte nell'economia pubblica �. 

L'argomento � anche accennato, sia pure come argomento dichiaratamente 
extragiuridico e senza riferimento a precetti della Carta Costituzicnale, 
dal prof. Micheli, nella prefazione ad un opuscolo, finito di stampare 
il 22 novembre 1968 per l'Editrice �Nuova rivista tributaria�, intitolato 

� A difesa del risparmio � e contenente gli studi, pi� volte citati in precedenza, 
del Capaccioli, del De Iorio, dello Jannuzzi e del Longo in tema 
di: �Deducibilit� dal reddito di R.M., cat. B, dell'onere sopportato dagli 
Istituti di credito in conseguenza del mancato esercizio della rivalsa delle 
somme pagate per R.M., cat. A, in luogo dei depositanti �. 
Il richiamo all'art. 47 della Costituzione a noi pare assolutamente non 
pertinente, perch� spetta al legislatore emanare le norme giuridiche idonee 
ad incoraggiare e tutelare il risparmio in tutte le sue forme nonch� a 
disciplinare, coordinare e controllare l'esercizio del credito. N� l'art. 47 
della Costituzione pu� offrire elementi che valgano a rettamente interpretare 
le norme tributarie in esame (art. 91 e segg., nonch� art. 127 del t.u. 
sulle imposte dirette), in quanto non si pone, per l'interpretazione di dette 
norme, il problema di scegliere, fra due o pi� interpretazioni possibili, 
quella che sia pi� aderente al precetto costituzionale. Il problema del 
reperimento dei depositi � un problema di tecnica aziendale, che va risolto 
dagli Istituti di credito secondo valutazioni di ordine commerciale, con 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 953 

Fenomeno inverso, senza dubbio pi� ortodosso, si ha, invece, nelle 
operazioni passive, per le quali la R.M. sugli interessi viene direttamente 
pagata dal mutuante, salvo a questi di trasferirla sul mutuatario. 
Questo � il dato che potrebbe chiamarsi esterno, formale, giuridico 
del fenomeno. 

La decisione� impugnata evade nel ragionamento, per dir cosi, dal 
concetto giuridico di passivit�, soprattutto, da quello di inerenza sul 
reddito, agli effetti della detrazione. Si prenda, in essa, in considerazione 
un'operazione successiva e diversa, anzi, addirittura opposta, da 
quella che ha determinato l'imposizione: un'operazione, nella quale 
l'azienda si presenta in condizione di debitore diretto, non di� sostituto. 

Ma l'argomentazione, sollecita -attraverso un momento economico 
della funzione creditizia -una indagine approfondita del concetto 
di spesa, di perdita, meglio, di onere, ancor meglio, di passivit�: 

l'osservanza, certo, delle norme giuridiche esistenti al riguardo, ma � 
da escludere che sia un problema di ordine costituzionale. 

Spetta indubbiamente agli Istituti di credito di valutare, nell'ambito 
di una loro discrezionalit� aziendale e non amministrativa, quali siano i 
mezzi pi� idonei al miglior soddisfacimento della esigenza di reperimento 
dei depositi, ma spetta a �Chi debba interpretare ed applicare la legge stabilire 
quali fra tali mezzi possano qualificarsi come spese inerenti alla 
produzione del reddito, in quanto legati da un rapporto di causalit� necessaria 
ed imprescindibile alla produzione del reddito. Appare, perci�, 
assolutamente inaccoglibile la conclusione alla quale perviene il LONGO 

(cit.), rilevando: �In �conclusione ci sembra di poter affermare che il 
problema � tutt'altro �che chiuso e che la Cassazione dovr� su di esso ritornare 
per correggere, sulla base della impostazione da essa stessa data 
con la pi� volte citata sentenza n. 125 del 1967, le conclusioni alle quali 
� pervenuta. Trattasi di un problema che investe in radice la discrezionalit� 
delle scelte imprenditoriali in ordine agli strumenti per la produzione del 
reddito, discrezionalit� che non pu� essere sindacata n� dall'Amministrazione 
finanziaria n� dal Giudice tributario o ordinario �. Affermazione, 
quest'ultima, �Che fa il paio con quanto afferma anche la Commissione 
Centrale nella decisione che si annota: �Autonomia, che costituisce, nel 
sistema attuale, discrezionalit� amministrativa, perch� esercitata da organi 
pubblici, e che si traduce, data la disciplina unitaria e pubblica della 
.funzione creditizia, in v�ero e proprio obbligo�. Non vi � dubbio che le 
aziende ed Istituti di credito che siano Enti di diritto pubblico (ma non 
tutti lo sono), sono anche dotati, nell'ambito dell'attivit� pubblicistica 
che essi svolgono, del potere-dovere di valutare determinate situazioni 
nell'interesse pubblico, nel che si sostanzia la cosidetta discrezionalit� 
amministrativa. Ma � ugualmente fuori dubbio che nell'attivit� imprenditoriale, 
che tali Istituti di credito di diritto pubblico svolgono, non � 
ipotizzabile una discrezionalit� amministrativa, come non � ipotizzabile 
una discrezionalit� amministrativa nelle attivit� imprenditoriali che, in 
ipotesi, svolgono, in altri campi, Enti pubblici ed anche lo Stato. Ne consegue 
che, quando l'Istituto di credito, come qualsiasi altro imprenditore, 
opera le sue scelte imprenditoriali, si avvale di una discrezionalit� che 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

termini tutti usati dalla legge, sui quali domina, con effetto decisivo, 
il concetto economico giuridico di inerenza, che, ad avviso del Collegio, 
rappresenta la chiave della soluzione della questione. Il concetto di 
spesa, e quello di perdita, su cui si � tanto dibattuto, vanno, cosi, integrati 
con quello di onere, di passivit�, nei quali si prescinde dalla volontariet�, 
dominandovi, con carattere decisivo, l'inerenza: rapporto, 
cio�, di causalit� tra passivit� e reddito. 

Proprio la nozione di passivit� ha subito, negli ultimi anni, un 
allargamento, che potrebbe chiamarsi evolutivo, nel senso che i principi, 
fermati, in via precettiva e programmatica, dalla Costituzione, 
hanno trovato attuazione nella interpretazione di leggi preesistenti o 
nella creazione di leggi nuove. 

Cosi, il concetto di necessit� che, in passato, limitava, quasi condizionandola, 
agli effetti della detrazione, l'attivit� dell'�peratore eco-

potremmo chiamare aziendale, che � quella stessa che esprime qualsiasi 
soggetto di diritto allorch� opera, nel proprio interesse, le proprie scelte. 
La discrezionalit� amministrativa si distingue dalla discrezionalit� che 
ogni soggetto di diritto, e quindi anche l'imprenditore, ha, sotto il profilo 
appunto che la prima costituisce uno strumento per operare nel pubblico 
interesse, la seconda uno strumento per perseguire, nel proprio interesse, 
gli scopi che il diritto consente. Le scelte, quindi, che vengono operate 
nell'ambito di questa discrezionalit� imprenditoriale, attinendosi ad attivit� 
che � indubbiamente regolata da norme di relazione e, conseguentemente, 
a situazioni di diritti subiettivi perfetti, sono soggette al controllo sia del 
Giudice ordinario sia del Giudice tributario, che � un Giudice ordinario 
speciale. Quindi gli Istituti di credito sono liberi di operare tutte le scelte 
che ritengono nell'interesse della propria attivit� imprenditoriale, ma a 
noi pare assolutamente fuori discussione che spetta al Giudice dei diritti, 
ordinario o tributario, di <Stabilire se un determinato esborso, che l'Istituto 
di credito fa nel proprio interesse aziendale, possa qualificarsi oppure no 
come spesa inerente alla produzione del reddito, per essere, in quanto tale, 
legittimamente portata in detrazione ai :fini della determinazione del reddito 
di R.M., cat. B. 

g) La Commissione Centrale, riprendendo un argomento utilizzato anche 
dalla dottrina (cfr. CAPACCIOLI, JANNuzzr, cit.) sul tema in discussione, 
ritiene che, a giustificare ulteriormente la tesi della detraibilit� dell'importo 
della mancata rivalsa, valga la differenza fra l'ipotesi di e obbligo 
di rivalsa., disciplinata nel primo comma dell'art. 127 del t.u., e quella 
di �facolt�� di rivalsa, disciplinata nell'ultimo comma dello stesso articolo. 
L'argomento -a nostro avviso -non ha alcuna pertinenza al tema. 
L'obbligo di rivalsa nei confronti dei prestatori d'opera � stato posto 

come la stessa Commissione Centrale ha esattamente rilevato -per 
evitare che, in contrasto con accordi sindacali, venissero operati non consentiti 
aumenti di retribuzione. 

Per gli Istituti di credito, invece, � stata confermata, nei confronti 

dei depositanti, la facolt� di rivalsa, che non �, poi, altro, indubbiamente, 

che quel diritto di rivalsa, posto nell'art. 15 del t.u. n. 4021 del 1877 e 

ribadito, con estensione ad altre categorie, nell'art. 22 della 1. 8 giugno 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 955 

nomico, ha subito una flessione, attraverso la quale l'indagine si �, 
per dir cosi, sempre pi� centrata nella inerenza della passivit� al reddito, 
cio� in quella che potrebbe chiamarsi la produttivit� di questo. 

:Ne � venuta fuori una giurisprudenza -in senso ampio -che 
ha allargato il concetto di passivit�, e, correlativamente quello di inerenza: 
nella quale l'attivit� dell'operatore -in una rinnovata concezione 
della libert�, che non pu� non riflettersi sul fenomeno aziendale 
-,si allarga, e trova occasione e sollecitazione in interessi e possibilit�, 
che gli consentano di conseguire, anche attraverso una pi� 
serrata solidariet�, una maggiore produzione del reddito. 

Sono state, cos�, ammesse a detrazione le spese di rappresentanza, 
quelle di pubblicit�, anche sotto forma di premi, nelle quali l'elemento 
volont�, una volont� libera, vera autonomia, pur presentandosi, appa-

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1936, n. 1231. Diritto di riva1sa e facolt� di rivalsa sono esattamente la 

I 

stessa cosa e lo riconosce anche la Commissione Centrale, laddove afferma 
che l'espressione facolt� rappresenta un momento del diritto soggettivo. Ma 
la circostanza che agli Istituti di credito sia attribuito un diritto di rivalsa, 

I

con facolt� di attuare tale diritto mediante ritenuta, non muta i termini 

! i 

del problema: libere le Banche di operare o meno la rivalsa ma, ai fini di 
ammetterne l'importo in detrazione dal reddito di Cat. B, occorre pur sempre 
fare il discorso, che in precedenza abbiamo fatto, se il mancato eser1 
i 
cizio della rivalsa costituisca oppur no spesa e, in caso affermativo, se la I 
spesa sia oppur no inerente alla produzione del reddito. 1 

! 

h) Escluso che si tratti di una spesa inerente alla produzione del I 
reddito, l'onere costituito dalla rinuncia all'esercizio dell'azione di rivalsa 

I

potrebbe essere ammesso in detrazione, ai sensi dell'art. 91 del t.u. sulle 
imposte dirette, se iri esso fosse possibile ritenere integrata una passivit� ! 
inerente alla produzione del reddito stesso. ! 


i

Il detto onere, se potesse considerarsi come una componente degli in


! 

teressi passivi, di cui all'art. 92 del t.u. (e, in tale ~otesi, sarebbe, a ben 

l 

considerare, pi� propdamente spesa e non passivit�), dovrebbe essere sog� 


1

getto, per le considerazioni che abbiamo esposte al precedente punto e), 

j

ad imposizione di R.M. -Cat. A -. Escluso, poi, che l'onere medesimo 

! 

possa essere qualificato passivit� sotto div!'!rso profilo, rimane solo da considerare 
se esso possa, in ipotesi, farsi rientrare fra le perdite detraibili ai I I 
sensi dell'art. 99 del t.u. Al riguardo non riteniamo che si possano aggiungere 
altre osservazioni a quanto sul concetto di perdita detraibile � 
stato detto dalla Corte di Cassazione nella sentenza della 1 � Sezione 

I 

n. 1115 del 1963 ed in quella delle Sezioni Unite n. 125 del 1967. La l 
i 
Corte Suprema ha, nella prima di dette sentenze, affermato che la perdita ! 
I

dovuta alla rinuncia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un credito 
(perch�, nella specie, la detraibilit� della perdita pu� essere solo esaminata '< 
sotto il profilo, tipicamente previsto nell'art. 99 del t.u., di � perdite su crediti 
� ) importa necessariamente la indagine circa la volontariet� o meno 
della rinuncia; nella seconda la Corte Suprema ha ribadito che il punto 
di distinzione fra spese e perdite consiste proprio nella volontariet� delle l 
prime, dipendenti dall'autonomia negoziale dell'imprenditore, libero nella 

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� 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

956 

rentemente, come liberalit�, si struttura chiaramente inerendovi, nella 
produzione del reddito, con rapporto di causa ad effetto. 

Sono, cosi, in questo nuovo clima, emerse forme soltanto apparenti, 
di liberalit�, le quali, invece, rispondono ad una pi� vasta concezione 
dell'azienda e della iniziativa di chi la gestisce. 

Fruttuose considerazioni, possono, al riguardo, trarsi dal fenomeno 
assistenziale: secondo l'art. 84 del t.u. sono esenti da imposta... lett. G: 
le somme erogate dalle imprese, a titolo di liberalit�, in favore del 
personale dipendente... quando scopo specifico della liberalit� � l'istruzione, 
l'educazione, l'assistenza sociale, il culto o la beneficenza. 

La norma, che afferma un principio prima ignoto � la riproduzione 
di altra, emanata con l'art. 28 della legge 5 gennaio 1956, n. 1. 
Alla facile obiezione, che avrebbe potuto muoversi, in base ad una 

scelta dei mezzi economici diretti alla produzione del reddito, e nella involontariet� 
delle seconde. Una perdita volontari.a su crediti non � concettualmente 
ammissibile. 

La rinuncia ad un credito, da qualunque causa determinata, volontaria 

o non, � operativa, ai sensi dell'art. 129 del t.u. sulle imposte dirette, con 
decorrenza dalla data della rinuncia e con riferimento, quindi, ad un 
reddito non �ancora prodotto, sibbene da produrre, per gli effetti della 
imposta di R.M. -Cat. A -sul reddito costituito dagli interessi dovuti 
sul credito. Ma, perch� la rinuncia possa essere qualificata come perdita 
su crediti, che renda non tassabile il credito in s�, in quanto costituente 
reddito o quota di reddito gi� prodotto, � necessario che sia determinata 
da cause del tutto estranee alla vol�nt� del creditore, da una obiettiva impossibilit� 
di ottenere dal debitore la prestazione. 
La volontariet� della rinuncia non pu�, nella specie in considerazione, 
essere esclusa -come ha affermato la Corte di Cassazione -dal fatto 
che le Banche non esercitano il diritto di rivalsa verso i depositanti per 
l'esistenza di usi e ac�cordi interbancari in tal senso, perch� questi, invece, 
confermano la volontariet�. A maggior ragione la volontariet� non pu� 
essere esclusa dall'obbligo che sarebbe assunto dagli Istituti di Credito 
nei confronti dei reddituari, il quale obbligo troverebbe la sua fonte in 
clausole contrattuali trascritte sui liqretti di deposito e risparmio, ovvero 
in clausole di uso o in genere in usi contrattuali uniformi. 

i) Nell'ultimo numero, recentemente pubblicato, de �Il Consiglio 
di Stato. (Editr. Italedi) leggiamo un nuovo articolo sull'argomento in 
discussione (QUARANTA, La formazione del� reddito aziendale delle banche: 
la detraibilitd delle somme versate per imposta sugli interessi passivi), che 
richiama, in nota, oltre che gli scritti dello IANNUZZI e del LoNGo, gi� citati, 
anche uno scritto del SALVATORE (e Ancora sulla detraibilitd dal reddito 
mobitiare di Categoria B delle somme pagate dalle Banche per imposta 
di Categoria A sugli interessi passivi � in La Commissione Centrale 
delle Imposte, 1969, II, 334). 

Sia il Quaranta che il Salvatore riprendono, nella ,sostanza, le argomentazioni 
gi� svolte, a conforto della tesi della detraibilit�, dagli Autori 
che si sono in precedenza occupati della questione, argomentazioni che 
si ritrovano confusamente riprodotte nella decisione in rassegna della 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 957 

concezione della liberalit�, strutturata nell'assoluta necessit� di prov


vedere in un determinato modo -che, cio�, l'organizzazione giuridica 

attuale possa soddisfare, attraverso le varie forme assicurative, alle 

esigenze sociali dell'assistenza -risponde il legislatore, sottraendo, sia 

pure, entro ragionevoli limiti, alla imposizione i facoltativi, e, perci�, 

liberi interventi, che possano, attraverso la bonifica del fattore uomo 

concorrere, anche indirettamente, all'incremento del reddito. 

Queste premesse agevolano l'interpretazione dell'art. 127 del t.u. 

29 gennaio 1958, n. 645, sul punto che interessa la presente controversia. 

� Sono obbligati -cosi la seconda ipotesi -al pagamento delle 
imposte, con facolt� di rivalersene verso i reddituari, mediante ritenuta... 
B) i soggetti tassabili in base al bilancio e le aziende ed istituti 
di credito in base al bilancio e le aziende ed istituti di credito per gli 
interessi e premi dovuti, aventi natura di redditi di capitale�. 
Commissione Centrale deUe Imposte. Tali argomentazioni, quindi, risultano 
gi� da noi discusse e confutate nelle osservazioni che precedono. 

Quello che, per�, sorprende negli scritti sia del Quaranta che del 
Salvatore � l'assoluta inesattezza dei riferimenti �alla giurisprudenza della 
Corte di Cassazione. 

� del tutto inesatto, infatti, quanto afferma il Salvatore che il problema, 
cio�, sarebbe venuto alla ribalta � dopo il noto revirement deila 
Corte di Cassazione. Questa, che per lungo tempo aveva ritenuto tale 
onere, sopportato dagli Istituti di Credito, detraibile dal loro reddito di 
Categoria B, prima con la sentenza della I Sezione 7 maggio 1963 -numero 
1115 -e poi, ma con diverse e pi� penetranti argomentazioni, con 
la sentenza delle Sezioni Unite 12 gennaio 1967, n. 125, ha affermato l'indetraibilit� 
dell'onere in questione sotto il profilo che esso non potrebbe 
considerarsi n� come spesa, n� come perdita inerente alla produzione del 
reddito' tassabile in cat. B �. Come � del tutto inesatto quanto afferma il 
Quaranta, secondo il quale �fino alla sentenza 7 maggio 1963, n. 1115, la 
Corte di Cassazione aveva sempre ammesso la detraibilit� dell'onere, sopportato 
dalle Banche in seguito alla mancata rivalsa nei confronti dei 
depositanti-risparmiatori, dal reddito lordo prodotto dalle stesse aziende 
di credito e tassabile con l'imposta di R.M. fo Cat. B e in ci� era stata 
11eguita dalla giurisprudenza delle Commissioni Tributarie�. Dal che il 
Quaranta trae la conseguenza di un giudizio non certo lusinghiero e, 
quanto meno, assai affrettato nei confronti della Corte di Cassazione, osservando 
�che: � Il problema � venuto alla ribalta in seguito a taluni 
"sbandamenti" della giurisprudenza, particolarmente della Cassazicme, la 
quale ha attirato su di s� una mole veramente imponente di critiche, peraltro 
non infondate �. 

� �certo, invece, che -come noi abbiamo in precedenza esposto e 
come potr� dscontrarsi attraverso un esame degli annali della giurisprudenza 
della Corte di Cassazione -questa, anteriormente al 1963, si � 
occupata due volte, le uniche in cui sia stata investita dell'esame della 
questione, una prima volta la Cassazione Romana nel 1902 e una seconda 
volta la Cassazione Unificata -1 � Sez. -nel 1927, risolvendola sempre 

13 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La norma va contrapposta a quella della prima parte dell'articole> 
quella, cio�, relativa ai redditi di .lavoro: per questi � stabilito l'obbligo 
della rivalsa in confronto del datore di lavoro, con la sanzione 
-in caso di mancato esercizio -di nuova riscossione mediante iscrizione 
a ruolo, a nome del prestatore di lavoro. 

Nel caso che ci riguarda, invece -interessi e premi dovuti, aventi 
natura di redditi di capitale --la rivalsa � facoltativa. 

Malgrado l'espressione facoltd rappresenti sempre un momento del 
diritto soggettivo (da notare, per�, che l'art. 14 del t.u. parla, a proposito 
del sostituto, di diritto alla rivalsa), sembra chiara l'antitesi fra 
l'obbligo, che si pone a carico del datore di lavoro, e il dato potestativo,. 
rimesso alla valutazione dell'azienda o istituto di credito. 

Si delinea cosi, nettamente la sostanziale differenza fra le due 
ipotesi: si vuole, con la prima, assicurare, da un lato, che, attraverso 

nel senso della � indetraibilitd � dal reddito di R.M. -Cat. B -delle 
somme versate per imposta di Cat. A sugli interessi, passivi. 

Ribadiamo, altresi, quanto abbiamo affermato in precedenza, che la 
Sentenza, cio�, della Corte di Cassazione n. 761 del 1959, richiamata in 
alcune decisioni della Commissione Centrale come contenente l'affermazione 
del principio della � detraibilitd �, non si � affatto occupata del 
problema, avendo risolto tutt'altra questione. 

� Non vi sono stati, quindi, n� revirements n� sbandamenti e nemmene> 
contrasti nella giurisprudenza della Corte di Cassazione. Tale giurisprudenza 
-ripetiamo -� .stata sempre uniformemente costante sul punte> 
che il mancato esercizio della rivalsa non possa qualificarsi come spesa 
inerente alla pToduzione del reddito. Dopo che, con la sentenza n. 1115� 
del 7 maggio 1963, la Corte Suprema ha introdotto l'altro tema, relativo� 
all'eventuale qualificazione del mancato esercizio della rivalsa come �perdita 
dovuta alla rinunzia al diritto di ottenere il soddisfacimento di un. 

credito�, la giurisprudenza della Corte si �, con la successiva sentenza 
delle Sezioni Unite n. 125 del 1967, andata, su tale �secondo profilo, precisando 
ed evolvendo, ma senza incorrere, nemmeno su detto profilo, in 
revirem�nts o in sbandamenti. 

Sia il Quaranta che il Salvatore richiamano, poi, a conforto della 
loro tesi sulla �detraibilit��, una recente sentenz�a della Corte di Cassazione
� (Sez. I -23 aprile 1969,. n. 1291 -Pres. Pece -Est. Scanzano ..; 

P. M. Toro -Banca Popolare di Milano c. Ministero delle Finanze) con 
la quale � stata annullata, per difetto di motivazione, la decisione resa dalla 
Commissione Centrale delle Imposte, in data 23 .giugno 1965, in sede di 
rinvio, in dipendenza della sentenza della stessa Corte n. 1115 del 1963, 
varie volte citata. 
Ma � anche da escludere, a nostro avviso, che la sentenza n. 1291/1969� 
apporti utili argomenti per la sostenibilit� della detta tesi della � detraibilitd 
�, e ci� a parte la considerazione che l'affermazione circa la perdita 
su crediti, contenuta nella sentenza n. 1115 del 1963, �appare superata e 
giustamente dalla successiva sentenza delle Sez. Un. n. 125 del 1967. 

Come abbiamo in precedenza espo�sto, la Corte di Cassazione, con 
la sentenza n. 1115 del 1963, dopo avere affermato �che, se le Aziende e gli 


PARTE :r, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 959 

l'organismo della-non rivalsa, possano verificarsi, in spregio ad accordi 
sindacali, aumenti di retribuzione non consentiti; dall'altro, forse, pi� 
verosimilmente, si vuole che il prestatore d'opera partecipi, attraverso 
l'effettivo pagamento del tributo, alla vita, cio� ai bisogni della Nazione, 
della quale egli deve sentirsi parte effettiva. Fenomeno, quindi, tipicamente 
giuridico. 

Le due ipotesi hanno avuto, anche se accomunate nel t.u., una 
diversa sorte sul terreno legislativo. L'art. 17 della legge 24 agosto 
1877, n. 4021, stabiliva il diritto di rivalsa, mediante ritenuta, degli 
stipendi, onorari e assegni. Il diritto si trasformava in obbligo con la 
legge 30 gennaio 1933, n. 18, mentre il t.u., nell'ipotesi che ci riguarda, 
ha trasformato il diritto (rivalendosene: art. 15 della legge 1877) in 
facolt� (art. 127). 

Istituti di Credito non esercitano il diritto all'e.sercizio della rivalsa della 
somma pagata, espressamente sancito dalla legge, il pagamento dell'im


posta si risolve in un onere di esercizio qualificabile come perdita, aveva 
rilevato che, iper la perdita dovuta alla rinuncia al diritto di ottenere il 
soddisfacimento di un credito, la indagine doveva estendersi alla ricerca 
della volontariet� o meno della rinuncia, in quanto la somma di' danaro, 
nella quale si sostanzia la perdita, � detraibile dal reddito soltanto nel 
caso che la rinuncia sia i~osta da cause del tutto estranee alla volont� 
del creditore. Aveva, quindi, rinviato la controversia alla Commissione 
Centrale, per nuovo giudizio sulla volontariet� o meno della perdita, esplicitamente 
statuendo che la volontariet� della rinunzia non poteva essere 
esclusa dal fatto che le banche non esercitano il diritto di rivalsa verso 
i depositanti per l'esistenza di usi e accordi interbancari in tal senso, 
perch� questi, invece, confermano tale volontariet�. La Commissione Centrale, 
con la decisione del 23 giugno 1965, ritenuto che, esclusa la incidenza 
sulla non volontariet� della rinuncia degli usi ed accordi interbancari, 
non era stata dimostrata la sussistenza di altri elementi atti a comprovare 
la detta non volontariet� della rinuncia, affermava la indetraibilit�, 
nel caso, dal reddito di R.M. -Cat. B -delle somme pagate dalla 
Banca Popolare di Milano. La Corte di Cassazione, investita nuovamente 
della controversia, dopo aver premesso che nessuna rilevanza poteva avere 
in quel processo la sentenza della stessa Corte n. 125 del 14 gennaio 1967, 
in quanto la impugnata decisione della Commissione centrale era stata 
pronunciata in �sede di rinvio ed era, quindi, vincolante il principio di 
diritto affermato dalla sentenza che aveva disposto il rinvio, ha, con la 
sentenza n. 1291/69, cassato la decisione impugnata, rilevando che la Commissione 
Centrale aveva trascurato di ;prendere in esame il fatto decisivo, 
dedotto dalla Banca in memoria, e concretantesi nella incidenza che sulla 
volontariet� o meno della rinuncia potevano avere le disposizioni contenute 
nel R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, convertito nella legge 7 marzo 
1938, n. 141. Ha osservato la Corte che, in presenza di tale normativa e 
particolarmente della normativa contenuta negli artt. 32 e 35 del citato 
R.D.L., il riferimento agli accordi e agli usi interbancari non esauriva la 
indagine necessaria per accertare ,se il mancato esercizio della rivalsa 
risultasse volontario o meno, in quanto occorreva stabilire se la condotta 

[1~4t%1ft&'ftf1ttfillt#@r[1ffff:f4f5:1ff%filf(f%tt1tfifillt%1iliti"ffitM&f%i~W%1'%hf:?�:ttffil~ffirfftW%1HiffITffffWfif:fffI#illrfft%:f~ 



960 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ci� per l'indubbia natura economica dell'ipotesi, che ci riguarda. 

Il sistema seguito non � stato, certo, suggerito da una maggiore 

facilit� di riscossione, che, in ipotesi considerate nello stesso articolo, 

e dominate dalla stessa esigenza (lotterie, assicurazioni, ecc.), si pre


senta in condizioni di quasi indifferenza di fronte alla riscossione di


retta: pi� semplice forse -ove si fosse voluto effettivamente far pa


gare il vero debitore -comunicare, a fine d'anno, secondo quanto � 

praticato in ordinamenti stranieri, all'amministrazione finanziaria gli 

utili conseguiti dai singoli depositari. ' 

La stessa facolt� di rivalsa si presenta praticamente dubbia, per 

lo meno difficoltosa. _L'imposta � pagata globalmente, non a mezzo di 

ruoli nominativi; l'azione, indubbiamente privatistica, potrebbe essere 

paralizzata dalla eccezione, diretta ad accertare, attraverso quali criteri 

�delle Banche (che, in astratto, appariva in contrasto con l'obbligo -quale 
si evince anche dall'<art. 35 -lett. b -del citato R.D.L. 12 marz� 
1936, n. 375 -�delle banche di perseguire tempestivamente i propri debitori) 
non costituisse eventualmente l'esecuzione di disposizioni imperative, 
emanate nell'ambito della legge Bancaria, per la disciplina delle 
�condizioni dei depositi, e dirette ad attuare, anche in relazione al tasso 
�di interesse stabilito, il necessario equilibrio dei corrispondenti rapporti. 
La Corte ha, quindi, concluso che in tali sensi l'indagine dovr� essere completata 
in sede di ulteriore rinvio. 

A noi pare, per verit�, che la decisione della Corte in discorso si sia 
ispirata ad un eccessivo rigorismo formale. Indubbiamente la Corte era 
vincolata al principio di diritto da essa stessa affermato nella precedente 
sentenza n. 1115 del 1963 ma, dato anche che sussistesse, nella decisione 
della Commissione Centrale, il difetto di motivazione attinente all'omesso 
esame �che sulla volontariet� della rinuncia potessero avere le richiamate 
disposizioni della legge Bancaria, poteva -a nostro avviso -la stessa 
Corte, trattandosi di questione afferente alla interpretazione di norme di 
diritto, e che non implicava, quindi, accertamenti e valutazioni di merito, 
integrare la motivazione della decisione della Commissione Centrale. Se 
con la sentenza n. 1115 del 1963, la Corte di Cassazione aveva ritenuto 
di potere essa, senza dov�er rimettere l'esame della questione ai Giudici 
del merito, statuire che la volontariet� della rinuncia non poteva essere 
esclusa dagli usi ed -accordi interbancari, a maggior ragione la Corte stessa 
poteva esaminare e decidere se le disposizioni contenute negli artt. 32 
e 35 della Legge Bancaria potessero o meno incidere sulla detta volontariet�. 


Comunque, noi non riteniamo che, anche se la questione fosse esaminata 
sotto i profili, indicati dalla Corte, di cui agli artt. 32 e 35 della Legge Bancaria, 
si potrebbe pervenire a conclusioni diverse da quelle a cui � pervenuta, 
con ragionamento pi� logico, la stessa Corte nella sentenza n. 125 del 
1967. L'art. 32, infatti, della Legge Bancaria, nel disporre, al punto b), che 
le Aziende di Credito debbono attenersi alle istruzioni dell'Ispettorato per 
il Credito e per il Risparmio relativamente ai limiti dei tassi attivi e 
passivi ed alle condizioni delle operazioni di deposito e di conto corrente, 
non pone una disposizione che sia in contrasto con l'art. 127 del T. U. 


,. 

@lli'fff&fiW0%0ff:%'f%R�fff:ftM=f:f%filfGf:f:@;@@lf4ffefi'f:11WfJ�KfJITHff@fffE@i%i@':ffDfW:Mimili1faF@TfTl'fHHJ&fKffit~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 961 

sia avvenuta la distribuzione del carico tributario, con evidente peri


colo di violazione delle norme sul segreto bancario, confermato nello 

stesso t.u. (artt. 25, primo comma, e 40, secondo comma). 

La rinuncia all'esercizio della rivalsa non sarebbe neppure spiega


bile con la modestia dell'interesse, quando si considerino fenomeni ami


loghi (risparmi postali, compresi i buoni) nei quali non esiste paga


mento d'imposta, mentre gli interessi sono p!l.'essoch� uguali. Anche se 

vera, del resto, la circostanza non escluderebbe il dato essenziale, cio� 

l'inerenza della rinuncia alla produzione del reddito: il che conta, in 

maniera decisiva. La verit� � che il tasso d'interesse � determinato 

con �criteri generali, desunti da elementi diversi: elementi che sono 

stabiliti con portata cogente, in confronto di tutti gli istituti di credito, 

in appositi cartelli, e che trovano rispondenza in situazioni economiche, 

le quali si manifestano, anche oltre i confini dello Stato. 

La ragione della rinuncia va, perci�, ad avviso del Collegio, rife


rita ad una esigenza, che potrebbe oggi chiamarsi costituzionale (arti


29 gennaio 19'58, n. 645, che attribuisce alle Banche il diritto di rivalsa. 
L'Ispettorato per il Credito e per il risparmio non pu� certo, nello 
stabilire i limiti dei tassi passivi, impedire alle Banche di esercitare la 
rivalsa, impedire, cio�, l'esercizio di un diritto, -attribuito dalla legge. Qui 
pu� ripetersi il discorso che si � fatto in precedenza per gli usi ed accordi 
interbancari, i -quali accordi anzi devono essere poi sanzionati, ai sensi 
proprio dell'art. 32 del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, dal Comitato intermihisterial
�e per il Credito e per il Risparmio, e che cio�, nello stabilirsi i 
tassi massimi di interesse da corrispondersi ai depositanti, si fa riferimento 
a quanto debba essere effettivamente corrisposto al netto (vedi 
retro). 

Per quanto, poi, riguarda l'art. 35 della Legge Bancaria che d� poteri 
all'Ispettorato, al punto b), di ordinare l'esperimento delle procedure contro 
i debitori per i quali, a giudizio dell'Ispettorato medesimo, l'Azienda 
di Credito sia incorsa in eccessivi ritardi, riteniamo che debba assolutamente 
escludersi che tale disposizione possa apportare alcun elemento utile 
alla tesi della non volontariet� della rinuncia, quando si consideri che 
l'art. 127 del T. U. n. 645 del 1958 d� il diritto di esercitare la rivalsa per 
ritenuta e che, quindi, non pu� sorgere un problema di successiva procedura 
esecutiva. 

In definitiva, quindi, � da ritenersi assolutamente ineccepibile e atta 
a resistere a qualsiasi critica la conclusione a cui sono pervenute le Sezioni 
Uhite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 125 del 1967, affermando... 
�che il pagamento della imposta di R.M. di Cat. A, effettuato 
dagli Istituti di Credito, in luogo e per conto dei depositanti, sugli interessi 
da questi ultimi percepiti, non costituisce n� una spesa n� una perdita 
inerente alla produzione del reddito di Cat. B proprio degli Istituti medesimi, 
e non � quindi detraibile dalla determinazione del reddito stesso, 
neppure quando non sia stata esercitata la rivalsa concessa dalla legge ai 
primi nei confronti dei secondi �. 

LA REDAZIONE 

. : 

: 

I 
I 


i 

l I 

I 


II 
II 



962 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

colo 47 della Costituzione), e che si pu� dire caratterizzi l'ordinamento 
creditizio: favorire il reperimento dei depositi, il potenziamento del 
credito, che ha tanta parte nell'economia pubblica. 

Le operazioni attive e passive -ecco il punto veramente fruttuoso 
dell'indagine compiuta dalla Commissione distrettuale -si pongono 
in rapporto di causa ad effetto. La Banca, infatti, svolge la sua 
funzione creditizia, soprattutto attraverso il ricavato delle operazioni 
passive: acquisire denaro, mediante depositi, costituisce mezzo per il 
potenziamento -attraverso altre operaziqni, quelle attive -del reddito. 
Qui sta la inerenza della rinuncia alla rivalsa, quale mezzo di sollecitazione 
al risparmio; quel risparmio che consente e agevola le operazioni 
attive. 

Questa sollecitazione si attua in vari modi. Quando la funzione 
creditizia viene esercitata dallo Stato, gli interessi sono esentati dal 
pagamento di ogni imposta; si manifestano, anzi, forme di incoraggiamento 
(sorteggi di premi in denaro, o altri benefici, che non sono certo 
liberalit� in senso stretto). ~~ 

Quando tale funzione �, invece, opera di enti diversi dallo Stato ' 
(aziende di credito) allora il tributo � a carico del mutuante, cui spetta 
il valutare la convenienza di chiederne la rivalsa: una rivalsa, che, . 
dato il carattere privatistico dell'azione, potrebb� anche essere parziale. 

I

Il fenomeno �, dunque, soprattutto economico, ed importa -in 
ogni impresa -lo stabilire, in base al principio di � ofelimit� �, fino 
a qual punto il pagamento del tributo -totale o parziale -non possa 
rappresentare un dato negativo nella produzione del bene, cio� del ~ 

~i

credito. L'incertezza nella definizione del rapporto, con le relative !>=� 
conseguenze, pu� essere stata determinata dalla forma giuridica (ri-r 
valsa), anche se dominata da esigenze economiche. Vien fatto di pensare 
ad una traslazione -fenomeno tipicamente economico dell'imposta 
-munita, per�, di azione. Si rimette, cio�, alla autono�nia della ~ 
azienda il valutare gli effetti economici di un'incidenza del tributo sul-l 
l'affluenza di denaro. Lo stesso fenomeno giuridico (rivalsa, e possibilit� 
di rinuncia) � conseguenza in un rapporto di causa ad effetto, del . 
fattore economico. ' 


II@ 

L'economia incisa porta ad una diminuzione del reddito, conse,' 
guente alla contrazione della domanda: onde la valutazione, rimessa , 
all'azienda, circa la convenienza di agire o meno in rivalsa, trasferendo, 
, 
. 


I .
anche in parte, il t:r;ibuto. Una convenienza, si aggiunge, che ha il suo 
punto di rottura quando il costo del denaro aumenta attraverso il pagamento 
dell'imposta. 


Autonomia, che costituisce nel sistema attuale, discrezionalit� amministrativa, 
poich� esercitata da organi pubblici, e che si traduce, data 
la disciplina unitaria e pubblica della funzione creditizia, in vero e 
proprio obbligo. 


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 963 

Questa -ad avviso del Collegio -� l'unica sostanziale ragione 
<lei sistema, dominato dall'interesse di potenziare al massimo -favorendola 
in ogn� modo -la funzione creditizia, attraverso la quale si 
realizzano vantaggi incalcolabili nello sviluppo economico, industriale 
e sociale del Paese. 

Di fronte a questa esigenza assume valore neppure decisivo, anzi 
trascurabile, forse addirittura contrario, l'argomento secondo il quale 

la rinuncia conseguirebbe al risparmio delle eventuali spese di recupero; 
sia perch� queste, in ogni caso, sarebber:o detraibili dall'imponibile, 
sia perch�, soprattutto, il recupero della somma, pagata a titolo 

<l'imposta, compenserebbe ampiamente la spesa. Non bisogna, infatti, 
dimenticare, che, mentre le eventuali spese di recupero sarebbero 
soggette a detrazione, l'esercizio della rivalsa importerebbe la completa 
restituzione di ci� che si � pagato a titolo d'imposta : in altri termini, 
mentre, con la rivalsa, l'azienda recupererebbe tutta la somma pagata, 
con la detrazione dell'imposta pagata dall'imponibile essa recupera solo 
l'aliquota d'imposta afferente al reddito di cat. B. Il tributo in sostanza 
verrebbe pagato intieramente, meno la parte inerente alla produzione, 
la quale, d� vita, peraltro, �alla facilitazione e all'incremento dei 
depositi � come autorevolmente � affermato nella stessa sentenza della 
Suprema Corte a S. U. 

Fenomeno, lo si ripete e si conclude, economico: venato, offuscato 
da elementi giuridici (sostituto d'imposta, facolt� di rivalsa, �possibilit� 
di rinuncia) che in esso insistono. Ma esso resta sempre tale e domina 
la soluzione. Non spesa, liberalit�, o, comunque, erogazione, ma, al pari 
di manifestazioni reclamistiche -abbuoni, sconti, premi -la rinuncia 
mira ad acquisire il credito e, perci�, inerisce direttamente, 
attraverso altre operazioni, alla produzione del reddito.' 

Fenomeno analogo si verifica nell'ipotesi, prevista nello stesso 

art. 127 lett. A: organizzatori di lotterie e vincite da esse dovute; C) imprese 
assicuratrici, per interessi comprese le somme dovute in dipendenza 
di contratti di capitalizzazione ed assicurazione; D) per le somme 
do vute in dipendenza di vitalizi. 

Anche in questi casi la rinuncia, totale o parziale, alla rivalsa pu� 
costituire mezzo -anche psicologico, come nelle lotterie -per una 
pi� vasta acquisizione di giocatori o di assicurati: per potenziare, cio� 
la produzione del reddito. 

La rinuncia alla rivalsa -operando sul piano economico di una 
maggiore produzione di credito e, perci�, di reddito, riequilibra, cos�, 
sul piano tributario, le perdite, conseguenti alla detrazione. 

Ad avviso del Collegio -e si conclude -deve farsi riferimento 
.esclusivamente al concetto di inerenza dell'onere di cui si controverte 
alla stregua dell'art. 91 del t.u. del 1958. 

! 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

964 

Questo, in una concisa formulazione, stabilisce che il reddito netto 
� costituito dalla differenza tra l'ammontare dei ricavi lordi che compongono 
il reddito soggetto all'imposta di R.M. e l'ammontare delle 
spese e passivit� inerenti alla produzione del reddito. 

Pu� ammettersi che in tale formulazione siano implicitamente 
comprese le � perdite � di cui � cenno nel successivo art. 99 e altri 
� oneri � di cui parla il legislatore al secondo comma dell'art. 245 a 
proposito dell'applicazione delle soprattasse per la infedele dichiarazione, 
ove questa sussista. 

Appare, cosi, ben chiaro che se nella specie non deve trattarsi n� 
di spesa n� di perdita, di certo potr� esaminarsi se l'imposta, che deriva 
dall'ordinamento tributario, sia configurabile tra le passivit� od altri 
oneri. 

L'ammontare d'imposta cat. A, quindi, pagato dalle banche, � 
senz'altro un elemento legalmente necessario, perch� trae origine da 
una norma tassativa d� legge, alla cui osservanza non � dato sottrarsi, 
e non pu� prescindersi dal considerare la sua stretta inerenza alla produzione 
del reddito imponibile, donde la legittima detraibilit� ai fini 
della determinazione del reddito netto di cat. B. L'imposta di cui si 
tratta, in una considerazione unitaria di tutto il fenomeno produttivo 
economico e giuridico degli istituti ed aziende di credito, e delle varie 
componenti di gestione aziendale, pu� ben definirsi un onere di mercato 
inerente alla produzione redditizia. 

Deve, pertanto, per questi motivi, rigettarsi il ricorso dell'Ufficio. 
-(Omissis). 


8EZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI ACQUE 
PUBBLICHE, APPALTI E FORNITURE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 7 ottobre 1969, n. 3194 -Pres. 
Flore -Est. Iannuzzi -P. M. Tavolaro (conf.) -Consorzio di bonifica 
dell'alto Simeto (avv. Burg� Doley) c. Ministero dei Lavori 
Pubblici (avv. Stato Soprano) e Consorzio di irrigazione di Centuripe 
(avv. Conte). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica 
-Obbligo del concessionario di iniziare e ultimare i lavori 
ed utilizzare l'acqua nei termini fissati dal decreto e nel disciplinare 
di concessione, a pena di decadenza -Domanda di proroga -� 
Anteriorit� della data di presentazione della domanda di proroga 
rispetto alla scadenza dei termini, originari o prorogati, per l'inizio� 
e l'ultimazione dei lavori -Necessit� -Sussiste. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 40, comma secondo, 55 �, comma primo,. 
lett. f, e comma secondo). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica 
-Obbligo del concessionario di iniziare e ultimare i lavori 
ed utilizzare l'acqua nei termini fissati nel decreto e nel disciplinare 
di concessione, a pena di decadenza -Domanda di proroga Accoglimento 
-Potere discrezionale della P. A. -Sussiste. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, artt. 40, comma secondo, 55, comma secondo). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica 
-Decadenza -Natura discrezionale ed efficacia costitutiva 
della relativa pronunzia della P. A. -Sussistono -Eccezione Fattispecie. 


t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 55 *). 
Acque pubbliche ed elettricit� -Concessione di utenza di acqua pubblica 
-Domanda di variante -Ammissione ad istruttoria -Potere 
discrezionale della P. A. -Sussiste. 

(t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 49). 
Ad evitare la decadenza per il decorso dei termini, stabiliti nel. 
decreto e nel disciplinare, entro i quali il concessionario deve derivare 
e utilizzare l'acqua concessa, la domanda di proroga va presentata prima, 


966 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

della loro scadenza, anche se il decreto di accoglimento intervenga dopo 
di quest'ultima (1). 

L'accoglimento dell'istanza del concessionario, di proroga dei termini 
entro i quali l'acqua deve essere derivata e�d utiLiz~ata, costituisce 
manifestazione di un lato potere discrezionale della P. A. (2). 

Tranne l'ipotesi di decadenza ipso iure, di cui all'ultimo comma 
dell'art. 55 t.u. 11 dicembre 1933, n. 1775, in tutti gli altri casi previsti 
da quella norma la decadenza dalla concessione pu� essere pronunciata 
dalla P. A. con provvedimento discrezionale; avente efficacia costitutiva 
e decorrenza ex nunc (3). 

Appartiene al potere discrezionale della P. A. ed � sottratta al 
sindacato di legittimit� del giudice la valuta.zione di merito degli elementi 
che attengono ad una domanda di variante della concessione ed 
all'opportunit� di ammetterla ad istruttoria (4). 

(*) Come mod. dalla 1. 18 ottobre '1942, n. 1434. 

(1) I termini entro i quali il concessionario di acqua pubblica deve 
compiere le opere e iniziare l'utilizzazione sono di decadenza .e ad essi si 
applicano le norme degli artt. 2966 e segg. �e.e.: Trib. Sup. Acque, 7 luglio 
1961, n. 10, Il Consiglio di Stato, 1961, II, 302. 
(2) Il potere di proroga ha lo scopo d'impedire la decadenza della 
concessione, quando le ragioni del ritardo nell'utilizzazione dimostrino che 
non sussiste un motivo di pubblico interesse per privare il concessionario 
dai relativi benefici: Trib. Sup. .Aicque, 11 marzo 1958, n. 6, Acque, bonif., 
costruz., 1958, 379. 
Il rifiuto della proroga � manifestazione di un potere discrezionale, 
rispetto al quale il privato ha solo da far valere interessi legittimi. Provvedimento 
distinto, anche se contestuale, � poi quello che pronunzia la 
decadenza dalla concessione per inosservanza del termine: esso incide su 
diritti .soggettivi (v. infra, sub 3): �cos� Trib. Sup. Acque, 7 luglio 1961, 

n. 10, cit., Zoe. cit., che avverte anche che la proroga dei termini prevista 
dall'art. 55 t.u. n. 1775 del 1933 si riferisce non solo al termine finale, di 
utilizzazione dell'acqua, bens� anche ai termini intermedi. 
(3) �Se non pu� dubitarsi che la declaratoria di decadenza dalla concessione, 
in quanto rimessa dalla legge alla facolt� della Pubblica Amministrazione, 
�costituisce l'estrinsecazione di un suo potere discrezionale, di 
fronte al quale i diritti soggettivi che nascono dall'atto di concessione 
degradano in interessi legittimi, non � men vero che ci� si verifica solo 
dal momento in cui, per il realizzarsi delle condizioni all'uopo previste 
in modo tassativo dal ricordato art. 55, sorge a favore dell'Amministrazione 
il potere discrezionale di dichiarare la decadenza. Sotto questo profilo 
essenziale, il potere di dichiarare fa decadenza della concessione si 
differenzia profondamente da quello di revoca, che, in quanto strettamente 
connesso alla salvaguardia dell'interesse pubblico, dipende di regola soltanto 
dall'apprezzamento discrezionale che ne fa l'Amministrazione e non 
pu� pertanto essere sindacato che davanti al giudice amministrativo�: 
cos� Cass., 13 luglio 1961, n. 1749, Acque, bonif., costruz., 1961, 573. 
(4) Il giudizio dell'Amministrazione sul carattere sostanziale o meno 
di una variante agli effetti dell'applicazione del primo o del secondo comma 
dell'art. 49 t.u. n. 1775 del 1933 � insindacabile in sede giurisdizionale, 

quale avverte che la richiesta di una variante sostanziale d� luogo alla 
-.procedura ex art. 7 t.u. n. 1775 del 1933. 
quale avverte che la richiesta di una variante sostanziale d� luogo alla 
-.procedura ex art. 7 t.u. n. 1775 del 1933. 
PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, .APPALTI ECC. 967 

(Omissis). -Si deve disporre la riunione del ricorso principale e 
del ricorso incidentale, trattandosi di impugnazioni proposte contro una 
stessa sentenza. 

� preliminare l'esame del primo motivo del ricorso incidentale, 
oon il quale si denuncia la violazione dell'art. 26 r.d. 26 giugno 1924, 

n. 1054 in relazione all'art. 208 t.u. 11 dicembre 1933, n. 177,5 e dei 
principi che regolano i ricorsi amministrativi. I ricorrenti incidentali 
deducono che il Tribunale Superiore, affermando che per l'ammissibilit� 
del ricorso � sufficiente che l'interesse esista nel momento della 
sua proposizione, non avrebbe avuto riguardo alla distinzione fra interesse 
a ricorrere ed interesse sostanziale: questo deve necessariamente 
�.preesistere al provvedimento impugnato, il quale, diversamente, non 
potrebbe determinare la lesione ad una situazione giuridica soggettiva 
che abilita alla proposizione dell'istanza. 
La censura non � fondata. 

La Fondazione Casa Bambini Sangiorgio Gualtieri, titolare di una 
�concessione di derivazione di acqua dalle sorgenti Neri, Bulla ecc., 
aveva chiesto, con domanda del 13 febbraio 1961, di variare il comprensorio 
irriguo estendendolo a quello asserito contiguo di complessivi 
ha 900, sito nel comune di Centuripe. A sua volta il Consorzio di Bonifica 
dell'Alto Simeto, con istanza 31 luglio 1962, aveva chiesto� alla 
.Amministrazione dei Lavori Pubblici che la concessione assentita alla 
Fondazione fosse dichiarata decaduta e fin da allora aveva proposto 
'domanda di concessione delle stesse acque a sua favore, sempre con la 
citata istanza del 31 luglio 1962. Su entrambe le predette domande 
�espresse il proprio parere il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in 
data 16 novembre 1962. 

Pertanto, ancor prima che, con l'ordinanza 26 gennaio 1963, la 
-domanda della Fondazione fu ammessa a breve istruttoria, poteva 
�considerarsi con essa �concorrente � l'analoga domanda del Consorzio, 

del 31 luglio 1962, con la quale esso chiedeva che, previa declaratoria 
'di decadenza della concessione in danno della Fondazione, le stesse 
:acque fossero attribuite al consorzio stesso. Ci� prova che sussisteva, 
a favore del Consorzio, un interesse specifico e differenziato ad opporsi 
:alla domanda della Fondazione inerente ad una diversa utilizzazione 
delle acque delle predette sorgenti, e non soltanto un interesse generico 
e diffuso; cosicch� l'ordinanza emessa a favore della Fondazione veniva 
:ad incidere, pregiudicandola, sulla posizione del Consorzio, caratteriz


salvo che non siano state osservate le for~alit� prescritte da1la legge: 
Trib. Sup. Acque, 14 febbraio 1942, Giur. it., Rep., 1943, voce � Acque ... ., 

n. 57; cfr. anche Cass., 2 febbraio 1963, n. 182, Giust. civ., 1963, 1326, la 

968 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zata da un proprio interesse ad ottenere la concessione di derivazione 
delle stesse acque, che avevano formato oggetto della concessione a 
favore della Fondazione e che il Consorzio stesso avrebbe potuto ugualmente 
utilizzare, essendo i fondi che lo compongono vicino alle sorgenti. 

Del resto bastava la domanda del Consorzio del 21 r,narzo 1963, 
diretta alla concessione di derivazione delle acque, per far sorgere poich� 
era in corso il termine per l'impugnazione del provvedimento� 
del 26 gennaio 1963 -l'interesse sostanziale all'impugnazione, che fu 
proposta in termine. E ci� conforme alla costante giurisprudenza del 
Consiglio di Stato e dello stesso Tribunale Superiore delle Acque pub-. 
bliche. 

Con il primo motivo del ricorso principale il Consorzio dell'Alto 
Simeto, denunciando la violazione dell'art. 35 del t.u. n. 1775 del 1933, 
eccesso di potere per presupposti erronei ed infondati, comportamento 

illegittimo e contraddittorio della P. A., deduce che erroneamente il 
Tribunale Superiore avrebbe escluso che si fosse verificata la decadenza 
dalla concessione e ritenuto che il termine fissato alla Fondazione 
per l'inizio e per il completamento delle opere relative alla concessione 
stessa fosse stato regolarmente prorogato -e perci� che la 
domanda di variante fosse stata tempestivamente proposta -e comunque 
che le proroghe fossero state legittimamente concesse. Osserva 
inoltre che l'ordinanza di ammissione all'istruttoria era illegittima anche 
perch� il prosieguo dell'istruttoria stessa era stato subordinato alla 
approvazione della cessione della concessione dalla Fondazione al Consorzio 
di Centuripe, sicch� l'istruttoria risultava subordinata ad un 
evento futuro ed incerto. 

� connesso il secondo motivo del ricorso incidentale, con il quale, 
denunciandosi la violazione dell'art. 143 del predetto t.u. sulle acque� 
pubbliche, nonch� l'omessa motivazione su un punto decisivo -della 
controversia, si deduce che il Tribunale Superiore delle Acque pubblicheavrebbe 
dovuto dichi"arare inammissibile l'opposizione del Consorzio 
sul punto relativo alla decadenza dalla concessione, nella quale sarebbe� 
incorsa la Fondazione, perch� tale deduzione avrebbe dovuta essereprospettata 
mediante impugnazione del provvedimento di reiezione dell'analoga 
istanza avanzata dal Consorzio il 31 luglio 1962, provvedimento 
ad esso comunicato il 4 febbraio 1963. 

Riguardo a questa censura dei ricorrenti incidentali, si osserva che� 
dall'esame degli atti -il quale � consentito, poich� si denuncia la 
inammissibilit� dell'opposizione ed un vizio di motivazione -risulta 
che fu emesso un parere da parte del Consiglio Superiore dei Lavori. 
Pubblici in ordine all'istanza 31 luglio 1962 del Consorzio di bonifica 
dell'Alto Simeto. Nei fascicoli delle parti non � allegata copia di alcun 
provvedimento emesso dall'Amministrazione in base al predetto parere~ 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 969 

e tanto meno v'� cenno di una comunicazione del provvedimento stesso, 
che sarebbe stata effettuata il 4 febbraio 1963 alle parti interessate. 

� anche infondata la censura del Consorzio ricorrente principale. 
Invero, come ha esattamente osservato la sentenza impugnata, i termini 
per l'inizio, per l'ultimazione dei lavori e per il completamento 
delle opere fissati nell'originario decreto di concessione furono proro


, gati a favore della Fondazione con i decreti 13 dicembre 1955 e 23 
marzo 1960, in base a domande presentate prima della scadenza del 
termine precedente ed anche la domanda di variante fu presentata 
prima della scadenza del termine prorogato. Ora ci� varrebbe, gi� per 
se stesso, a salvare il concessionario dalla decadenza, poich� assume 
rilevanza a tal fine la data di presentazione della domanda di proroga 
prima della scadenza del termine antecedente e non quella della emissione 
del provvedimento che ammette la proroga stessa. Ma ancor pi� 
giova considerare, per disattendere la tesi del ricorrente, che la pronuncia 
di decadenza dalla concessione � � in facolt� del ministro � e 
quindi non � effetto automatico per il� verificarsi dei casi indicati nell'art. 
55 del t.u. del 1933, salva l'ipotesi di decadenza � de iure � indicata 
nell'ultimo comma; pertanto, fino a quando non sia intervenuto il 
decreto ministeriale che dkhiara la decadenza -il quale ha natura 
costitutiva -la concessione di utenza continua a spiegare efficacia 
a favore di chi l'ha ottenuta. 

Quanto, poi, al rilievo inerente alla legittimit� di concessione delle 
proroghe, � sufficiente osservare che trattasi di un potere discrezionale 
di �cui la Pubblica Amministrazione pu� avvalersi senza limitazioni, 
in mancanza di ogni disposizione legislativa al riguardo. Infine il Consorzio 
non ha ragione di dolersi che nella ordinanza ministeriale di 
ammissione all'istruttoria fosse stato disposto che l'istruttoria stessa 
avrebbe potuto continuare nei confronti del Consorzio di Centuripe, 
nei cui confronti era in corso il perfezionamento della concessione gi� 
assentita a favore della Fondazione. 

L'ordinanza su tale punto non � lesiva di alcun interesse del Consorzio 
ricorrente, n� sussiste motivo di illegittimit� nel fatto di emettere 
il provvedimento a favore del soggetto attualmente legittimato e prevedere 
la prosecuzione dell'istruttoria nei confronti dell'altro o degli 
altri soggetti che potranno risultare ugualmente legittimati in base a 
concessioni regolarmente autorizzate. 

Pertanto entrambi i predetti motivi devono essere respinti. 
Sostiene ancora il Consorzio, con il secondo motivo, che avrebbe 
errato il Tribunale Superiore delle Acque pubbliche nel riconoscere 
alla Pubblica Amministrazione un ampio potere discrezionale in ordine 
all'ammissione ad istruttoria deUa domanda di variazione presentata 
dalla Fondazione. Osserva che l'ordinanza aveva ritenuto giustificata 
la richiesta di variante sul riflesso che essa avrebbe consentito l'utiliz


.. ' ! 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA,DELLO STATO 

zazione delle acque, � con le opere gi� eseguite �, destinate ad un comprensorio 
attiguo a quello originario, ed il Tribunale Superiore ha 
valutato tale giustificazione della ordinanza riconoscendo alla Pubblica 
Amministrazione il potere discrezionale suindicato � disinvoltamente 
e superficialmente�. Denuncia la voilazione dell'art. 49, comma 1,_ del 

t.u. citato, eccesso di potere, falsa applicazione di legge e contraddittoriet� 
di motivazione. 
La censura � manifestamente infondata, non potendosi disconoscere 
alla Pubblica Amministrazione un potere discrezionale, sottratto 
al sindacato di legittimit� del giudice, relativamente alla valutazione 
nel merito degli elementi che attengono alla richiesta di variazione e, 
quindi, all'opportunit� �di disporre l'istruttoria. N� il ricorrente indica 
gli elementi che concreterebbero l'eccesso di potere e la contraddittoriet� 
di motivazione. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 ottobre 1969, n. 3296 -Pres. 
Pece -Est. Leone -P. M. Pedace (conf.) -Ministero Agricoltura 
e Foreste (avv. Stato Bronzini R.) c. Societ� T.E.I. (avv. Rossini). 

Edilizia popolare ed economica -Case per lavoratori -Gestione INACasa 
-Incarico ad Amministrazioni o ad Enti della costruzione 
di case per lavoratori -Contratti di appalto stipulati in esecuzione 
di tale incaric,o -Soggezione alle norme giuridich� di organizzazione 
della Gestione e di disciplina della sua attivit� -Conseguenze 
sostanziali e processuali in ordine al collaudo delle opere. 
(I, 28 febbraio 1949, n. 43, art. 11). 

I contratti di appalto stipulati da Amministrazioni od Enti incaricati 
dall'ora soppressa gestione I.N.A.-Casa della costruzione di case per 
lavoratori soggiacevano alla particolare disciplina derivante dalle norme 
giuridiche relative ali'organizzazione ed all'attivitd della Gestione medesima, 
pe1� effetto della quale, in deroga ai principi ordinari valevoli 
per gli appalti in generale, il cotlaudo dei lavori spettava alla Gestione 
I.N.A.-Casa: con la conseguenza che, in ordine a tale diretto rapporto 
sostanziale, la legittimazione a contraddire in giudizio alle domande 
dell'appaltatore, spettante alla sola Stazione appaltante, per effetto 
dell'mi;. 102 del CapitJolato generale d'appalto della Ge�stione I.N.A.Casa, 
richiamato come parte integrante .dei patti e condizioni contrattuali, 
veniva ad assumere il carattere peculiare della rappresentanza 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 971 

�processuale del procuratore preposto a determinati affari, di cui all'art. 
77 c.p.c. (1). 

(Omissis). -Nella disciplina normativa che ha regolato la cessata 
Gestione INA-Casa, quando detta Gestione incaricava altri enti o amministrazioni 
delle costruzioni delle case per lavoratori (art. 11 legge 28 
febbraio 1949, n. 43), gli enti incaricati dovevano curare � la gestione 
dei lavori � e ne rispondevano a tutti gli effetti verso la Gestione, ma 
la vigilanza sui lavori nonch� i collaudi dei lavori stessi spettavano 
alla Gestione, che si avvaleva a tale fine di professionisti di fiducia 
del Consiglio direttivo (art. 7 d.P.R. 22 giugno 1949, n. 340, contenente, 
per delega ex art. 28 della legge n. 43 del 1949, le norme integrative 
e complementari della legge stessa); l'approvazione dei collaudi poi 
spettava al Consiglio direttivo della Gestione (art. 9 d.P.R. 3 luglio 
1949, n. 436). 

Questa distribuzione di compiti nella realizzazione dei piani di 
incremento dell'occupazione operaia con la costruzione di case per 
lavoratori aveva una sua ragione palese, in quanto la collaborazione� 
delle Amministrazioni e degli Enti, interessati alla costruzione di case 
da assegnare ai propri dipendenti o soci, si svolgeva nell'ambito unitario 
della Gestione autonoma INA-Casa, che erogava i propri mezzi 
finanziari e diveniva proprietaria delle case �costruite, � delle quali 
curava l'assegnazione in conformit� delle norme che la regolavano : 
unit� di azione assicurata particolarmente dall'attribuzione al Consiglio� 

(1) L'incarico della costruzione di case per lavoratori di cui all'art. 11 
legge 28 febbraio 1949, n. 43 istitutiva dell'ora soppressa (art. 1 I. 14 feb-� 
braio 1963, n. 60) Gestione INA-Casa trovasi configurato in dottrina e giurisprudenza 
come delegazione amministrativa: conseguentemente, si � avvertito 
che � l'appalto � stipulato in proprio nome dall'ente incaricato e la� 
Gestione INA-Casa vi resta estranea e non pu� ,essere chiamata in causa 
nelle liti tra l'ente medesimo e l'appaltatore� (cfr. Lodo 23 dicembre 1963,. 
Collegio Arbitrale: Rizzatti -Pres., Gionfrida -Est., Reggiani, Tesauro, 
Giannini M.S., Foro it., 1964, I, 2249, nella motivazione; v. anche Lodo� 
3 agosto 1964, Collegio Arbitrale: Gualtieri -Pres.. Crisafulli A., Boidi, 
Foro it., 1964, I, 1750 e 1751). L'incarico veniva dato dal Consiglio direttivo� 
della Gestione, previo esame dei progetti di costruzione, giusta quanto disposto 
dall'art. 6 d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265. Era previsto, per�, che gli 
enti avessero facolt� di non accettarlo (art. 4 d.P.R. n. 1265 cit., mentre normalmente 
si attribuisce all'istituto carattere autoritativo: MIELE, Delega, 
Dir. amm., Enciclopedia del diritto, vol. XI, Milano, 1962, 910-911). Per 
le Amministrazioni statali e gli enti pubblici, si chiariva (art. 6, comma 
quinto, d.P.R. n. 1265 del 1956) che �l'incarico... una volta stipulata la 
convenzione � considerato compi.to istituzionale anche se la sua assunzione 
non sia prevista dalle norme legislative o statutarie che regolano l'ordinamento 
di questi �. Ci� conferma che si restava nel campo del fenomeno 
delegatorio di �diritto ipubblico, nel quale � appunto questione di esercizio 
di competenze e non gi� di attivit� � del procuratore preposto a determinati 
affari �, come ha ritenuto, viceversa, la sentenza in rassegna, allol'ch� 
' 



972 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

direttivo della Gestione dei compiti di approvare i progetti delle costruzioni 
e di approvarne il collaudo a costruzione ultimata: tale approvazione 
del collaudo, a sua volta, serviva a definire.con unica operazione 
tecnico-giuridica sia i rapporti tra Gestione ed Amministrazioni o Enti 
incaricati della costruzione, sia i rapporti tra questi ultimi ed imprese 
appaltatrici, costituiti con i contratti di appalto tra tali soggetti conclusi. 

Questo profilo s�chematico dei rapporti della Gestione INA-Casa 
con le Amministrazioni e gli Enti da essa incaricati della gestione dei 
lavori non ricevette modifiche sostanziali con le norme integrative e 
complementari disposte col d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265: all'art. 7 di 
detto decreto (che ripeteva letteralmente buona parte delle disposizioni 
dell'art. 7 del decreto n. 340 del 1949) non si faceva espresso cenno 
all'approvazione dei collaudi delle opere, ma era stabilito che �i collaudatori 
e le commissioni di collaudo saranno nominate dalla Gestione 
INA-Casa � e questo potere di nomina, considerato nell'insieme dello 
:schema normativo suddetto, rimasto presso che invariato, porta a ritenere 
che anche la competenza all'approvazione del collaudo non abbia 
subito modifiche. 

Ci� posto, deve considerarsi che, quando lAmministrazione dello 
Stato, incaricata dalla Gestione INA-Casa della costruzione di case per 
i propri dipendenti, stipulava con l'appaltatore il contratto di appalto 
della costruzione ed espressamente dichiar-ava la sua qualit� di � Stazione 
appaltante � per incarico della Gestione, e quando, a sua volta, 


ha affermato che � con l'affidamento dell'incarico alla Stazione appaltante 
di gestire i lavori per la costruzione delle case per lavoratori la Gestione 
INA-Casa, persona giuridica, conferiva espressamente alla Stazione stessa 
il potere di stare in giudizio per la Gestione preponente, in xelazione cio� 
al diritto ed alle pretese che l'appaltatore potesse vantare direttamente :~ 
verso la Gestione, per effetto della particolare disciplina normativa appli


� Cabile ai contratti di appalto conclusi dalla Stazione appaltante ., Con la 
quale affermazione -a prescindere dal rilievo che � poteri di ingerenza 
sui contratti di appalto in discorso venivano dalla legge (v. art. 6, comma 
quarto, art. 7, comma secondo e terzo, relativo quest'ultimo alla nomina 
�dei collaudatori, d.P.R. 9 aprile 1956, n. 1265) attribuiti alla Gestione 
come soggetto di.stinto dalle � parti �contraenti � -si � costretti ad ammettere 
che, in ordine a tali !Pretese dirette dell'appaltatore verso la Gestione, 
ipotizzate dalla sentenza in rassegna, l'art. 102 Cap. gen. Gestione 
�INA-Casa 9 febbraio 1950, pur richiamato nei contratti stipulati dalla 
Stazione appaltante, non fosse pi� semplice corollario della natura delegatoria 
di diritto pubblico dell'incarico, ma recasse un singolare patto 
di... non escussione del rappresentato se non a mezzo del rappresentante 
(per la esclusione che un ente pubblico, per raggiungere le proprie finalit�, 
possa avvalersi di rappresentanti, pel compimento non .gi� di mere operazioni, 
ma di atti giuridici, v. BASSI, Brevi riflessioni in tema di concorso 

,di pi� enti pubblici alla esecuzione di una stessa opera pubblica, Giur. it., 
1968, I, 1, 808, ed ivi citazioni di dottrina a note 13 e 14). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 973 
nello stesso contratto, l'appaltatore assumeva l'obbligo di eseguire la 
costruzione � per conto della Gestione ., con tali locuzioni le parti richiamavano 
concordemente l'incarico commesso dalla Gestione all'Amministrazione 
ed i limiti che a tale incarico derivavano in virt� delle 
norme giuridiche di orgll.nizzazione della Gestione e dell'attivit� da 
essa svolta per la realizzazione dei propri fini istituzionali: norme giuridiche, 
che, riguardo ai contratti di appalto conclusi dalla Stazione 
appaltante, si ponevano come norme particolari rispetto a quelle contenute 
nel codice civile, relative al contratto d'appalto in generale. 
Perci� il � thema decidendum � non � stato bene messo a fuoco dalla 
Corte d'appello, quando nella sentenza impugnata ha fatto riferimento 
alla disciplina generale del contratto d'appalto, per dedurre che, in 
applicazione dell'art. 1665 e.e., l'approvazione del collaudo spettasse 
all'Amministrazione committente e rappresentasse per questa atto dovuto 
in considerazione dell'interesse dell'appaltatore a conoscere il 
risultato del collaudo. In base alla richiamata disciplina normativa, 
particolare della materia in esame, nella quale, per esplicita, concorde 

prospettazione delle parti, il contratto di appalto � de quo � si inseriva e 

deve considerarsi inserito, la conclusione quanto al potere-dovere di 
'approvare il collaudo doveva essere, come s'� detto, diversa, spettando 
tale approvazione alla Gestione INA-Casa. 
Se questa � la situazione di diritto s~stanziale, altra �, per�, quella 
di diritto processuale, che alla prima si sovrappone. 

Dispone, infatti, l'art. 102 del Capitolato generale d'appalto della 
Gestione INA-Casa, espressamente richiamato nel contratto tra l'Amministrazione 
e la Soc. TEI quale complesso pattizio di disposizioni 
integrative del contratto medesimo, che � l'appaltatore potr� far valere 
i suoi diritti e pretese solo verso la Stazione appaltante e non verso la 
Gestione INA-Casa., mentre la Gestione INA-Casa �pu� in qualsiasi 
momento sostituirsi alla Stazione appaltante, nei confronti dell'appaltatore, 
ovvero intervenire direttamente per l'esecuzione del contratto 
d'appalto, per far valere le pretese. che dal contratto derivano e in 
genere per tutto quanto altro occorra �. 

Il che significa che, con l'affidamento dell'incarico alla Stazione 
appaltante di gestire i lavori per la costruzione delle case per lavoratori, 
la Gestione INA~Casa, persona giuridica, conferiva espressamente 
alla Stazione stessa il potere di stare in giudizio per la Gestione preponente, 
in relazione cio� ai diritti ed alle pretese ,che l'appaltatore 
potesse vantare direttamente verso la Gestione, per effetto della particolare 
disciplina normativa applicabile ai contratti di appalto conclusi 
dalla Stazione appaltante in esecuzione dell'incarico suddetto: potere 
di rappresentanza, che ben pu� inquadrarsi nello schema della rappresentanza 
processuale del procuratore preposto a determinati affari, di 


974 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cui tratta l'art. 77 c.p.c. per i giudizi relativi all'affare oggetto del 
potere di rappresentanza. 

Di conseguanza la Soc. TEI doveva proporre la sua domanda contro 
il Ministero quale Stazione appaltante, come in effetti l'ha proposta, 
deducendo, con il richiamo all'art. 102 del Capitolato suddetto, anche� 
il cennato potere di rappresentanza processuale nel detto articolo stabilito. 


Fondata cos� su base negoziale la legittimazione processuale del. 
Ministero, resta assorbita la diversa argomentazione svolta dalla Corte 
di appello, in ordine alla delegazione amministrativa, e che � oggetto 
deUe censure contenute nel secondo motivo di ricorso. -(Omissis).. .> 

TRIBUNALE SUPERIORE ACQUE, 23 ottobre 1969, n. 27 -Pres.. 
Stella Richter -Est. Pratis -Ministeri delle Finanze e dei Lavori 
Pubblici (avv. Stato Zoboli) c. Nicolosi (avv. Torrisi). 

Acque pubbliche ed elettricit� -Demanio idraulico -Gestione -Competenza 
del Ministero dei lavori pubblici -Sussiste -Applicazione 
in tema di legittimazione a contraddire in giudizio. 

La gestione dei beni demaniali dello Stato � affidata a branche� 
diverse dell'Amministra.zione suitale, secondo la 'specie e l'uso al quale 
essi sono destinati: e cos� il Ministero dei lavori pubblici ha la gestione 
del demanio idraulico ed �,. pertanto, in luogo del Ministero delle Finanze, 
legittimato a contraddire ad una opposizione alla stima delL'indennit� 
di espropriazione di un immobile pronunciata a favore del 

� Demanio dello Stato -Ramo Lavori Pubblici � (1). 
(Omissis). -Con il primo motivo d'impugnazione, entrambe le 
Amministrazioni ricorrenti rilevano che l'Amministrazione delle Finanze 
� del tutto estranea alla controversia, sicch� se ne deve dichiarare 
il difetto di legittimazione passiva. 

Il motivo � fondato. L'espropriazione fu pronunciata a favore del. 

� Demanio dello Stato -Ramo Lavori Pubblici � e l'opera pubblica in 
vista della quale fu disposta venne eseguita a cura e spese dell'Amministrazione 
dei Lavori Pubblici ed � destinata a ricadere, una volta 
eseguita, nell'ambito della rispettiva competenza funzionale e conta(
I) Sull'argomento v. P1cozz1, La contabilit� di Stato, Torino, 1960,. 
140 e segg.; BENTIVENGA, Elementi di contabilit� di Stato, Milano, 1960, 44 
e segg.; ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, IV, Milano, 1955, 25 e. 
segg., 163 e segg. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURIS. IN MATERIA DI ACQUE, APPALTI ECC. 975 

bile (le opere idrauliche fanno parte del demanio gestito dal Ministero 
dei Lavori Pubblici e gli oneri e spese inerenti fanno carico al relativo 
bilancio, cos� come a questo sono imputati gli oneri e le spese delle 
espropriazioni necessarie per l'esecuzione dell'opera stessa). 

� erronea l'argomentazione fatta dal Tribunale Regionale, secondo 
cui, nella specie, il rapporto espropriativo si sarebbe instaurato fra 
l'espropriata e l'Amministrazione finanziaria, � dato che l'espropriazione 
fu pronunciata a favore del Demanio dello Stato, la cui rappresentanza, 
in tutti i rami in cui esso si articola, compreso quello che si riferisce 
ai lavori pubblici, rientra nell'ambito del Ministero delle Finanze �. 
La gestione dei beni demaniali dello Stato � affidata a branche diverse 
dell'Amministrazione Statale, secondo la specie dei beni e l'uso al quale 
sono destinati. E cos� il Ministero dei Lavori Pubblici ha appunto la 
gestione del demanio idraulico, mentre il Ministero delle Finanze ha, 
al pi�, un'ingerenza nell'amministrazione di tutti i beni demaniali, 
tramite i suoi uffici centrali e locali, per il fatto che i beni demaniali 
sono un elemento importante della finanza dello Stato. 

Ne consegue che, in accoglimento del mezzo, si deve dichiarare il 
difetto di legittimazione passiva del Ministero delle Finanze. --(Omissis). 



SEZIONE SETTIMA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 22 maggio 1968 -Pres. Duni -Est. 
Tartaglione -P. M. (col\cl. difformi). Rie. Biadene -Tonini, per 
frana del Vajont. 

Procedimento penale -Istruzione -Libert� personale dell'imputato Mandato 
di cattura emesso in esecuzione dalla sentenza di rinvio 
a ~iudizio -Previe conclusioni specifiche del P. M. -Mancanza .. 
Irrilevanza. 

(c.p.p., art. 76, 369, 375). 

Procedimento penale -Istruzione -Libert� personale dell'imputato Mandato 
di cattura facoltativo -Difetto di motivazione -Fattispecie. 


(c.p.p., art. 254, 264). 

n giudice istruttore pu� emettere mandato di cattura, in esecuzione 
della sentenza di rinvio a giudizio, anche se il P. M., nel formulare 
le sue richieste, a chiusura dell'istruttoria, non abbia proposto 
istanze di sorta sulla libertd personale de�gli imputati (1). 

Difetta di motivazione il mandato di cattura facoltativo fondato, 
per quanto attiene aUe qualitd morali dell'imputato, sul pericolo di 
fuga dedotto da un comportamento processuale comune anche ad altri 
coimputati dei quali, senza fornire giustificazione, non venga ordinata 
la cattura; e, riguardo alle circostanze del fatto, sull'unico motivo 
della maggio1�e gravitd della colpa, rispetto a quella degli altri imputati 
dagli stessi reati, non sottoposti a custodia preventiva (2). 

(1) Nel senso che il mandato di cattura emesso in difetto di conclusioni 
specifiche del P.M., .sia affetto da nullit� assoluta v. Cass. 27 febbraio 
1969, rie. Riva, Fo'l'o it., 69, II, �P� 89, dov'� pubblicata anche la 
requisitoria del Proc. Gen. Cassazione, con richiami vari. 
(2) In senso difforme, v. Cass. 10 novembre 1965, rie. Galazza, dove 
si d� rilievo anche a tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell'art. 133 
c.p.p. (in Rep. Fo'l'o it., 1966, voce Libert� personale n. 20), valutati comparativamente 
fra i coimputati, onde emettere mandato di cattura, anzich� 
quello di comparizione. 
G. DONADIO 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 977 

(Omissis). -Le altre censure investono la sentenza. 

Si denunzia, in primo luogo, la violazione dell'art. 262 c.p.c., in 
'ione all'art. 76 dello stesso codice e all'art. 13 Costituzione, per 
\Stata deliberata la cattura degli imputati senza che il P. M., nel 
\re le sue richieste a chiusura dell'istruttoria, in applicazione 

~69 c.p.c., si fosse espresso sul punto specifico. 

\tenza impugnata, uniformandosi al pi� recente orientamento 
~iale (Cass. 2 febbraio 1966, Vacrini, Foro it., Rep. 1966, 
\~ersonaie, n. 31), afferma che non � necessario che tale 
''8Ilifestato in modo esplicito, e questa corte ritiene che 

\~azione debba essere tenuta ferma. 

\.se la regola posta dall'art. 189 c.p.c., per la quale, 
�-~e investe il collegio � di tutta la causa ., le parti, 
'ip dell'istruttore, debbono concludere nel merito 
.,atto che il passaggio alla fase decisoria avvenga 
., su. una questione pregiudiziale o preliminare, 
\l(ressamente nel codice di procedura penale, 
\questo senso si desume agevolmente dal 
\~fra i provvedimenti che il giudice deve 
"'~truttoria vi sono quelli che confermano 
ii.~rsonale dell'imputato (art. 37,5 c.p.p.); 
\\. al P. M. in vista della emanazione 
\~ il dovere di attivit� che il giudice 
.,ossa essere posto� il P. M. in grado 
�vuirente rendersi conto dell'am\
1?ua funzione consultiva, senza 
-\~ormulare richieste su punti 
\'�lo preciso dalla legge. N� 
\questa corte (Sez. III, 19 
~97) ebbe a ritenere in 
\mte del collegio giudi.\
Jnterpellare il P. M., 
'~supposto del ragio\~ 
� del tutto occa


..�i�sta del P. M. sulla 
~si, a favore di costoro, e 
Ai-ere contrario alla modificad1 
tratta di un avviso immotivato, 
.;ti, in definitiva, sull'esame, che dovr� 
.e ulteriori, riguardanti la motivazione della 
~rch� il puro e semplice dissenso del P. M. non 
"' dell'istruzione un obbligo di motivazione maggiore 

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'978 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

di quello che ordinariamente gli incombe, ai fini del provvedimento in 
discussione. 

(Omissis). -Di .gran lunga pi� delicato � il problema che i ricorrenti 
prospettano, con l'ultimo gruppo di motivi (terzo Tonini; terzo 
Biadene; motivi aggiunti), in ordine alla validit� logica delle argomentazioni 
svolte dalla sentenza impugnata per dar conto, ai sensi delle 
norme, costituzionale e ordinaria, sopra ric~rdate, dell'uso �fatto della 
potest� di coercizione. E il collegio, dopo maturo esame, deve constatare 
che il giudice istruttore, dopo aver posto esattamente le premesse del 
ragionamento, fissandone i termini concreti, non � stato in grado �di 
trarre dagli atti gli elementi utili per tener fede all'impegno assunto, 
di guisa che, pur escludendo accuratamente dal quadro del controllo 
di legittimit� tutte le critiche che i ricorrenti formulano in relazione 
ad apprezzamenti di fatto ed a ragioni di opportunit� rientranti nell'esclusivo 
potere del giudice di merito, si colgono, nella motivazione 
del provvedimento, gravi vizi logici, i quali si risolvono nella violazione 
del precetto che le norme suddette sanciscono, a garanzia della 
libert� dei cittadini. 

La sentenza muove da un dato di fatto di cui riconosce chiaramente 
la rilevanza: poich� vengono rinviati a giudizio nove imputati, 
tutti tecnici quali:ficati e tutti oberati da gravi accuse collegate agli 
importanti compiti svolti in rapporto all'impianto del Vajont, deve 
essere di guida la visione delle singole responsabilit�, per evitare di 
sottoporre a carcerazione preventiva chi appare immeritevole di tale 
grave misura. Obbiettivo della motivazione �, dunque, la ricerca degli 
elementi differenziali fra la posizione degli attuali ricorrenti e quella 
degli altri imputati, assunta come termine di paragone. 

Ineccepibile � anche la premessa dell'esame circa le � qualit� morali 
della persona �, comprendenti, come si � accennato, la capacit� 
degli imputati di sottrarsi alla esecuzione della possibile condanna. Dato 
atto che le qualit� strettamente personali in relazione alla natura dei 
reati starebbero a favore del Biadene e del Tonini, la sentenza richiama 
un insegnamento dottrinale circa il criterio della � necessit� � che deve 
guidare il giudice, nell'emettere il mandato di cattura facoltativo. Ritiene 
per� che contro gli stessi imputati stia la condotta tutt'altro che 
corretta che essi hanno tenuto, seguendo dall'esterno l'istruttoria penale 
mediante abboccamenti, preventivi e successivi, con le persone che 
venivano interrogate, e redazione di pro memoria sulle circostanze 
riferite al giudice. La rilevanza di tali fatti non pu� essere valutata 
in questa sede, cos� come non pu� formare oggetto di riesame l'apprezzamento 
circa la idoneit� di tali fatti, a far temere la fuga di chi li ha 
compiuti. Ma � sul piano della produttivit� logica in rapporto alla premessa 
che l'argomento perde ogni valore: � esatto, invero, come denun




PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 979 

2iano i ricorrenti, che un uguale comportamento viene ascritto, nella 
stessa pagina della sentenza, almeno ad altri due degli imputati, contro 
i quali nessun provvedimento coercitivo viene adottato (Marin, Pancini). 
E ci� � sufficiente per constatare che, per quanto concerne le 
qualit� morali, il criterio di giustizia assunto come guida e mezzo di 

discriminazione fra i giudicabili non ha avuto coerente applicazione, 
giacch�, senza fornirne alcuna spiegazione, il procedimento logico ritenuto 
valido per dedurre, dall'unico comune comportamento, il pericolo 
di fuga dei ricorrenti, non conserva tale efficacia indiziante allorch� lo 
si applica ad altri imputati, pur tuttavia assunti come termine di 
raffronto. 

Deficienze in parte analoghe si colgono nella valutazione delle 

� circostanze del fatto �. L'immane entit� della catastrofe riguarda invero 
tutti gli imputati, cosi come a tutti, con l'eccezione del solo Violin, 
viene ascritta, con la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 61, 
n. 3, rispetto a due o a tre reati, la previsione dell'evento, cui la sentenza 
evidentemente allude con le parole � la conoscenza del pericolo � 
�e �la certezza dell'evento �. 
Rimane, .quindi, unico elemento di differenziazione, il grado della 
<Colpa, derivante dalla � responsabilit� delle funzioni � del Biadene e 
del Tonini rispetto a quelle degli altri imputati, in quanto essi, � per 
essere stati fino all'ultimo momento in condizioni di dare l'allarme, se 
ne astennero anche allorch� la catastrofe divenne imminente�. Ma, 
in rapporto alla particolare natura del provvedimento, esso appare decisamente 
inadeguato, in via di principio, a giustificare da solo la cattura 
dei ricorrenti, in contrapposizione al diverso trattamento usato 
agli altri imputati. La gravit� della colpa, invero, pu� costituire un 
criterio di individuazione della pena (art. 133, comma primo, n. 3, c.p.), 
ma anche a tale effetto sempre in una posizione secondaria, rispetto a 
.quello della gravit� del reato nel suo complesso: basta osservare, al 
riguardo, che per lo stesso comportamento colposo si pu� rispondere 
di omicidio anche plurimo, di lesioni di varia entit�, o anche di semplice 
contravvenzione. A maggior ragione, la semplice graduazione delle 
�colpe non pu� essere adottata come motivo unico, allorch� la privazione 
della libert� personale viene inflitta come custodia preventiva, la quale, 
come questa corte ha avuto modo �li affermare ripetutamente, non � 
una anticipazione della pena, n� risponde a finalit� di prevenzione 
generale (Sez. I, 22 giugno 1965, Esposito; Sez. III, 17 giugno 1966, 
Sgrosso, Foro it., Rep. 1966, voce Istruzione pen., n. 54), e non pu� 
essere quindi disposta se non ricorrono gli estremi, dei quali la sentenza 
impugnata non riesce a dimostrare l'esistenza. 

Il ricorso deve essere quindi accolto. -(Omissis). 

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RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, iSezione VI, 16 ottobre 1969, n. 1313 -Pres. 
Felicetti -Rel. Scordamaglia -P. M. Moscarini (diff.) -rie. Gimondi. 


Procedimento penale -Accertamento dell'appello -Fondatezza delle 

censure formulate -Rinvio alla motivazione della sentenza di 

primo grado -Illegittimit�. 

(c.p.p., artt. 523, 475, n. 3). 

Il giudice di secondo grado, anche se non � tenuto a rispondere 
dettagliatamente a tutte le argomentazioni dei motivi d'appello, deve 
procedere a nuova valutazione, in relazione alle doglianze espresse, di 
tutti gli elementi processuali gi� esaminati dal primo giudice e� viene 
meno a tale dovere quando ricalchi la motivazione della sentenza di 
prinw grado, in quanto se questa pu�, nel caso di conferma, integrare 
quella del giudice d'appello, non pu� ovviamente sostituirla, poich� 
non ha potuto tener conto dei motivi di gravame, dei quali deve darsi 
carico al giudice d'appello (1). 

(Omissis). -La Corte di appello di Ancona era tenuta alla valuzione 
degli elementi di merito dedotti dall'appellante, poich�, ove fosse 
risultata esatta la interpretazione da costui fornitane, sarebbe rimasta 
svuotata di ogni pratico contenuto tutta o gran parte della motivazione 
del Tribunale. Il giudice di appello, invece, del tutto prescindendo 
dall'esame dei motivi di gravame, si � limitato ad una apodittica affermazione 
della loro infondatezza, alla quale segue una acritica elencazione 
di circostanze e di argomentazioni -per la massima parte prese 
di peso dalla sentenza di primo grado -dalle quali risulterebbe provata 
la responsabilit� del Gismondi per tutti i reati per i quali era stato 
condannato in primo grado. 

Si tratta -come esattamente rileva il ricorrente -di una motivazione 
apparente, ma in realt� inesistente, in quanto essa non assolve 

(1) Massima di evidente ,esattezza ch� altrimenti il doppio grado di 
giurisdizione diverrebbe mera formalit�. V. in senso analogo Cass. 24 gennaio 
1969, n. 147 (110.056) in Massimario Ufficiale che ha stabilito che il 
giudice di rinvio non adempie all'obbligo della motivazione ove si limiti 
a richiamare per relationem la sentenza di primo grado, in quanto questa 
non pu� aver tenuto conto dei motivi d'appello che il giudice di rinvio 
deve valutare sia pur nei limiti della pronuncia di annullamento. 
Per una rapida sintesi dello stato della dottrina �sugli effetti devolutivi 
dell'appello v. BELLAVISTA, v. Appello (Dir. Proc. pen.), in Enciclopedia 
del Diritto. 

P.D.T. 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 981 

al compito proprio del giudice �di appello di dare adeguata giustificazione 
della propria decisione, il cui oggetto �, in primo luogo, l'accertamento 
della fondatezza o dell'infondatezza delle censure formulate 
con il gravame. A tale dovere viene meno il giudice di secondo grado � 
il quale, del tutto ignorando le dette censure, si limiti, come nella 
specie, ad una brevissima sintesi degli argomenti addotti dal primo 
giudice, perfino riproducendo quei travisamenti di fatti espressamente 
denunciati, ed aggiungendone addirittura nuovi e pi� macroscopici. 

� vero che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato che 
il giud�ce di secondo grado non � tenuto a rispondere dettagliatament& 
a tutte le argomentazioni contenute nei motivi di appello. � necessario, 
per�, che egli dimostri di averle considerate nel loro complesso, giustificando 
il convincimento espresso al proposito, e che proceda a nuova 
valutazione, in relazione a tutte le doglianze espresse, di tutti gli elementi 
processuali gi� esaminati dal primo giudice quando, come nella 
specie, la censura dell'appellante investa non solo le conclusioni cui� 
egli � pervenuto, ma anche il metodo d'indagine seguito, poich� ci� 
viene a scuotere sin dall'origine tutto il complesso della prova, la quale 
deve necessariamente essere ricomposta e rivalutata per l'esigenza di 
controllare se � possibile pervenire alle medesime conclusioni (v. Cass. 
III, 23 agosto 1967, Palladino). 

� del tutto insufficiente il ricalcare in tali casi la motivazione 
della sentenza di primo grado, in quanto se questa pu�, nel caso di 
conferma, integrare quella del giudice di appello, non pu� ovviamente 
sostituirla, poich� non ha potuto tener conto dei motivi di gravame, 
dei quali deve darsi carico al giudice di appello. -(Omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. II, 20 ottobre 1969, n. 1215 -Pres. 
Mongiardo -Rel. De Falco -P. M. Bracci (conf.). Vesco. 

Procedimento penale -Appello -Dibattimento -Omesso interro~atorio 

dell'imputato -Non � causa di nullit� assoluta. 

(art. 441, 519 c.p.p.). 

Procedimento penale -Difensore -Sostituzione del difensore d'ufficio. 
(Cost., 128 c.p.p.). 

L'omesso interrogatorio dell'imputato nel giudizio d'appello non 
� norma di nullit� assoluta poich� il giudizio d'appello si svolge necessariamente 
di no1"ma sugli atti del primo giudice e la lettura degli atti 

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1}82 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� limitata a queUi dei quali � riconosciuta la necessit� o ne � fatta 
richiesta (1). 

La nomina del difensore d'ufficio � atto revocabile e rettamente 
quindi il giudice di rinvio pu� procedere alla sostituzione del difensore 
(2). 

(Omissis). -Il secondo motivo aggiunto si articola in due censure; 
nullit� del giudizio di rinvio per violazione del principio dell'orobilit� 
e del diritto di rappresentanza 'e difesa dell'imputato contumace, deduce 
_anzitutto il ricorrente che, all'udienza del 24 febbraio 1968, non 
si procedette alla lettura dell'interrogatorio e delle dichiarazioni del 
Vesco ,contumace (n� rileva la formula del verbale redatto a stampa), 
n� all'interrogatorio del Martinelli, dato il contrasto tra gli imputati, 
l'interrogatorio era indispensabile per l'accertamento della colpevolezza 
del Vesco; assume inoltre che, senza un valido motivo, � stato sostituito 
il difensore di ufficio di quest'ultimo, con violazione dei diritti 
della difesa, in quanto il nuovo difensore nulla conosceva del processo. 

Il motivo non � .meritevole di accoglimento. 

Ed invero, il .giudizio di appello si svolge necessariamente, di 
norma, sugli atti del primo giudizio e la situazione processuale � pubblicizzata 
dalla relazione del giudice, onde, nel dibattimento di appello; 
la lettura degli atti � limitata (art. 518 c.p.p.) a quelli dei quali � 
riconosciuta la necessit� ed � disposta dal presidente di ufficio o su 
richiesta dei giudici oppure ad istanza del P. M. o delle parti private; 
non sussiste quindi la denunziata� violazione del principio dell'oralit� 
in quanto nessuna ricqiesta risulta formulata mentre, in considerazione 
del limitato ambito delle attivit� processuali nel giudizio di appello, 
;anche l'adozione di un modulo a stampa pu�, per talune di esse, essere 

(1) Massima consolidata v. Cass. 12 febbraio 1965 in Cass. Pen. Mass. 
Annot. 1966, n. 277, m. 368. Nemmeno nelJ.'ipotesi che l'interrogatorio sia 
stato omesso sia in primo ,che in secondo grado fa giurisprudenza ravvisa 
un'ipotesi di nullit� assoluta v. Cass. 17 febbraio 1967 in Cass. Pen. Mass. 
Annot. 1967, p. 1327, m. 2029; 2 maggio 1966, ivi, p. 872, m. 1343. Nel 
senso invece della nullit� assoluta per omesso interrogatorio dell'imputato 
solo in appello, v. Cass. 12 nov:emb:re 1959 in Giust. Pen. 1960, HI, c. 292, 
m. 359. 
In dottrina sostengono la nullit� assoluta: LEONE, Trattato di dir. proc. 

pen., III, 1961, p. 154; MAssA, v. Dibattimento in Novissimo dig. it. So


stengono invece la tesi contraria, conforme alla sentenza annotata: VELOTTI, 

Manuale dir. proc. pen., 1965, p. 256; BELLAVISTA, Lezioni di dir. proc. pen., 
.1965, p. 403. 

�l stato anche ritenuto che non esiste nullit� ,del dibattimento d'appello 
nel caso in cui la relazione del magistrato delegato sia manchevole o 
inesatta (Cass. 10 maggio 1966, in Cass. Pen. Mass. Annot., 1967, p. 566, 

m. 851) in quanto la nullit� per omessa relazione in appello non risulta 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 983 

.idonea ai fini della dimostrazione del compimento delle attivit� stesse 
(n� la presente decisione � in contrasto con l'altra di questa Corte, 
invocata dal ricorrente, in quanto la stessa riguarda una ben distinta 
ipotesi del giudizio di primo grado). 

Il ricorrente, poi, non � legittimato a far valere la nullit� dipendente 
dal mancato interrogatorio (se in effetti omesso) del Martinelli, 
perch� esclusiva a distinto soggetto processuale, a parte il rilievo che 
essa (art. 187 c.p.p.) deve ritenersi sanata per effetto della mancata 
deduzione da parte dell'imputato, presente al dibattimento, e dal suo 
difensore; sotto l'altro profilo prospettato dal ricorrente valgano le 
~onsiderazioni svolte in precedenza in relazione al fatto che nel giudizio 
di rinvio non risulta formulata alcuna richiesta di lettura dell'interro,
gatorio del Martinelli ai fini istruttori oggi dedotti dalla difesa. 

Ed infine, non sussiste la nullit� nemmeno sotto l'ultimo dei profili 
pi;ospettati perch� la nomina del difensore di ufficio � un atto revo
�cabile e rettamente, quindi, il giudice di rinvio procedette alla sostituzione 
del difensore; n� costui formul� alcuna richiesta ai fini sostanziali 
�di difesa, oggi dedotti dal ricorrente. -(Omissis). 

�sancita dall'art. 518, n� rientra in alcune delle ipotesi previste dall'art. 185 

c.p.p. V. in questo senso BELLAVISTA, v. Appello (dir. proc. pen.) in Enciclopedia 
del diritto. 
(2) La seconda massima � conforme ad un indirizzo giurisprudenziale 
non esente da critiche: nel caso, il ricorrente aveva lamentato la sostituzione 
del difensore �senza valido motivo e la Suprema Corte �Si � limitata 
.ad affermare la revocabilit� della nomina del difensore d'ufficio senza 
darsi carico della doglianza relativa al difetto di motivazione, difetto che 
era gi� stato affermato non costituire causa di nullit�. V. Cass. 9 marzo 
1966 in Cass. Pen. Mass. Annot. 1967, p. 741, m. 1166 con nota critica di 
�Guarinie1lo, in cui si afferma esattamente che il �giustificato motivo� cui 
fa riferimento l'art. 128 c.p.p. intende delimitare il potere di sostituzione 
.spettante all'Autorit� procedente ed assicurare quindi la conoscenza deLle 
ragioni che ne determinano l'esercizio il che, ovviamente, con un provve
�dimenfo immotivato � del tutto impossibile; v. anche in questa Rassegna, 
1968, pp. 1131-1132. 
P.D.T. 
TRIBUNALE PENALE de l'Aquila, 20 gennaio 1969 -Pres. -Est. Del 
Forno -Imp. Biadene ed altri, per frana del Vajont (ordinanza). 


I

�1 

Parte civile -Coincidenza della qualit� di responsabile civile -Ammissibilit� 
-Limiti. I 

I 

(c.p.p., artt. 91, 107). I 

I 

I 

I 

I

I 

I 

I 

I 


984 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Parte civile -Danni diretti e indiretti -Provvidenze ex lege 4 novembre 
1963, n. 1457, art. 3 bis; e legge integrativa 31 maggio 1964, 

n. 357, art. 5, per zone devastate dalla catastrofe del Vajont. 
(c.p.p., art. 91, 93, 94; c.p. 185). 
Possono cumularsi nello stesso oggetto la qualit� di parte civile 
e quella di responsabile civile, per il medesimo fatto (1). 
La costituzione di parte civile � ammissibile solo per il risarcimento 
di specificati danni diretti, fra cui non possono rientrare i sussidi, con-

Parte civile, danni diretti, responsabile civile. 

(1) In senso conforme v. Cass. 12 maggio 1961, Sez. III, Bertolani, 
Giust. pen., 1962, P., III, p. 91, massima n. 168 (notaio, respons. civile citato 
dai creditori, per somme depositate, e sottratte da impiegato dello 
studio notarile). 'Invece, nel MANZINI, Trattato di diritto processuale penale, 
ed. VI, 1968, vol. II, rp. 416, si legge: � Il responsabile civile per il fatto� 
di cui l'imputato � chiamato a rispondere penalmente non pu� costituirsi 
parte civile nel processo penale contro quest'ultimo, a fine di esercitare 
l'azione di re,gresso vel'so di J.ui (v. art. 2055 e.e.), perch� tale azione non 
sorge dal reato, bens� da un rapporto meramente civile, ed � condizionata 
alla condanna dell'imputato e del responsabile civile stesso, cos� che l'interesse 
di costui non � neppure attuale�. Nello stesso senso deve interpretarsi 
l'opinione del LEVI, La parte civile, II ed., 1936, 253, ,e la giurisprudenza 
1899-1915, ivi citata. 
Nella fattispecie, il Ministero LL.PP. (citato quale responsabile civile 
dal sinistrato dott. Protti) non si � �Costituito p.c. contro i funzionari statali 
(a fini di rivalsa), ma esclusivamente contro gli imputati della Soc. 
Sade, sostenendo la loro responsabilit� esclusiva, con proscioglimento dei 
coimputati ministeriali, �cui si nascose la situazione di allarme per il bacino. 
Pertanto, ,trattasi di situazione diversa da quella ipotizzata da MANZINI-
LEVI, ,e per la quale, a maggior ragione, rpu� riconoscersi la compatibilit� 
delle due vesti giuridiche, per il medesimo soggetto, gi� affermata 
nella citata pronunzia Cass. 12 maggio 1961. D'altra parte, la citazione 

� 12 gennaio 1967 del danneggiato Protti � mero atto di parte; perch� l'intervento 
del G.I. si liinitava ad accertare che lo stesso Protti gi� erasi costituito 
p.c., acquisendo il diritto di citare il Ministero, quale responsabile 
civile. Tale atto, proprio perch� proveniente da una persona offesa, 
non pu� evidentemente ledere �l'interesse contrapposto del Ministero LL.PP., 
che intendeva tutelare le proprie distinte e separate ragioni creditorie, attraverso 
l'intervento in giudizio, quale parte civile (per danni agli impianti 
ferroviari, stradali etc. di Longarone, e zone limitrofe). In tal senso v. FARANDA, 
Resp. civile ed azione di rivalsa nel giudizio penale, Ed. Utet 1893, 
177-194. 

Diversamente, una mera accidentalit� cronologica (precedenza temporale 
della ,citazione di responsabile ci;vile, rispetto al soggetto che intende 
costituirsi parte civile, o viceversa), verrebbe ad acquistare rilevanza giuridica 
abnorme, in contrasto con l'art. 93 c.p.p., che consente di costituirsi 

p.c. fino alla data del dibattimento, prima che siano compiute le formalit� 
di apertura, per la prima volta. E non pu� un mero atto di parte privare� 
' ' 

. ' 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 985 

tributi ecc. erogati ai danneggiati da Amministrazioni statali in forza 
delle leggi speciali 4 novembre 1963, n. 1457, 31 maggio 1964, n. 357, 
per la frana del Vajont (2). 

(Omissis). -d) relativam~nte alla opposizione alla costituzione di 
parte civile del Ministero dei Lavori Pubblici, formulata all'udienza 
del 10 dicembre 1968 dalla difesa dell'imputato Biadene Alberico, ed 
alla quale ha aderito la difesa degli imputati Tonini, Marin e Ghetti, 
nonch� la difesa dei responsabili civili E.N.E.L. e Montedison S.p.A., 

di tale diritto soggettivo un controinteressato, sottraendogli lo spatium deLiberandi 
previsto dall'art. 93 c.p.p., per decidere la costituzione (o meno) 
di parte civile. 

La persona offesa � considerata dalla legge (art. 408, comma II: 447 
c.p.p.) � testimone ., anche quando si costituisce parte civile; cio�, viene 
riconosciuta allo stesso soggetto la possibilit� giuridica di cumulare il 
disinteresse della deposizione testimoniale con l'interesse del danneggiato, 
e conseguire il ristoro della lesione patrimoniale, nei confronti di una medesima 
controparte (imputato). 

Tale principio generale, applicato analogicamente, fa risultare legittimo 
che un soggetto cumuli la V'este di responsabile civile (parificato 
all'imputato) ,con quella di parte civile (assunta come teste), a tutela di 
interessi autonomi e diversi, ne� �confronti di parti che sono del pari autonome 
e diverse. Vale a dire, il Ministero LLPP., ha veste di responsabile 
civile (pretesa colpa dei funzionari Min. LLPP.), verso i sinistrati del 
Vajont: e veste di parte civile per ottenere il risarcimento danni (almeno 
pro quota) contro gli imputati della Soc. Montedison Sade, autori di quei 
danni statali. 

(2) Tale massima risulta �opinabile in base alle norme speciali e testuali 
della legislazione relativa ai danni del Vajont. 
La tesi avversaria afferma ,che l'azione di regresso � esercitabile soltanto 
da chi (e.e. artt. 2049 e 2055) ha risarcito il danno avendone l'obbligo, 
cio� da chi ,si � trovato nella necessit� giuridica di risarcirlo: vale 
a dire, � esercitabile soltanto quando si tratta di risarcimento spettante 
ai danneggiati, in seguito ait'accertamento di eventuali responsabilit�, in 
quanto si deve. trattare di un risarcimento dovuto: non quindi di una 

. anticipazione sul risarcimento, e neppure addirittura di un risarcimento 
�suggerito da fini pubblici umanitari e da, sia pur comprensibili, ragioni 
.sociali. 

Senonch�, il Mini.stero LL.PP. � titolare di un'azione per co1pa extracontrattuale 
degli imputati Sade-Montedison, ancor prima del giudicato 
penale in itinere a foro carico, dinanzi il Tribunale dell'Aquila. 

Infatti, a differenza della norma contenuta nell'art. 2055 e.e., la legge 
n>eciale sul Vajont 31 maggio 1964, n. 357, art. 5, dichiara che, nei limiti 
lelle somme anticipate, e cio� fin da quando tale anticipazione � interve1uta 
(e senza necessit� di un accertamento giudiziario penale), lo Stato 

� surrogato ai beneficiari delle anticipazioni, nei �confronti dei responsabili 
eventuali� (anche se ancora non individuati dal giudicato penale). (...). 
Pertanto, il diritto dello Stato per le quote � anticipate � (ai sinistrati) 
'; risarcimento dei danni patrimoniali � azionabile fin da ora (attraverso 



986 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

rileva in punto di fatto: 

1) che il Ministero dei Lavori Pubblici, con decreto in data 1l 
gennaio 1967 del giudice istruttore, presso il Tribunale di Belluno, 
emesso ad istanza del dr. Giampiet.ro Protti, venne citato quale responsabile 
civile per il fatto dei propri dipendenti ingg. Francesco Sensidoni 
e Curzio Batini; 

2) che lo stesso Ministero, con atto notificato il 30 ottobre 1968, 
si costitu� parte civile contro gli imputati Biadene Alberico, Pancini 
Mario, Tonini Dino, Marin Roberto e Ghetti Augusto; 

3) infine che, con �tto del 7 novembre 1968, il Ministero medesimo 
chiese la citaziQne, quali responsabili civili, della Montedison 

S.p.A. (quale avente causa dalla Societ� S.A.D.E.) e dell'Ente Nazionale 
per l'Energia Elettrica -E.N.E.L., entrambi per il fatto degli imputati 
Biadene Alberico, Pancini Mario, Tonini Dino, Marin Roberto e Ghetti 
Augusto; 
osserva quindi 

1) che, in tesi, la possibile coincidenza in un unico soggetto della 
posizione processuale di parte civile, e della posizione processuale di 
responsabile civile, non possa revoca�rsi in dubbio. 

costituzione di p.c.), mentre l'art. 2055 e.e. non contiene la espressione 
e eventuali� responsabili; �e non consente tale costituzione di P.C., appunto 
perch�, nella diversa situazione di regresso ivi disciplinata, chi ha 
risarcito iJ. danno deve attendere la statuizione giuridica dell'A.G.O. circa 
�misura determinata dalla gravita della rispettiva colpa e dall'entit� delle 
conseguenze che ne sono derivate �. 

L'art. 2055 e.e. disciplina l'ipotesi in cui, sulla base di una scelta del 
danneggiato, uno qualsiasi dei coautori del danno � stato chiamato a risarcire 
l'intera entit� del danno, anzich� quella sola rparte che sarebbe 

determinabile, secondo la gravit� della sua colpa e l'efficienza causale 
della sua azione; e stabilisce �che di questi ultimi elementi (accertati giudiziariamente) 
si deve tener conto nel regolare il modo in cui la responsabilit� 
si ripercuote nei rapporti interni tra i coautori del danno, attraverso 
l'azione di regresso. 

Invece, dorpo il disastro del Vajont, lo Stato, rper impulso doveroso. 
istituzionale, ha inticipato (non rper intero, ma solo pro quota) ai sinistrati 
il risarcimento del danno patrimoniale; e non ha fatto una mera riserva 
per regresso (ex art. 2055 e.e.) contro ev�entuali responsabili, sibbene si 
� espressamente surrogato ex lege ai beneficiari sinistrati (ripetesi) per 
consentire anche un intervento in sede penale, dove saranno determinate 
le singole quote di colpa dannosa a terzi. 

In via esemplificativa, si richiama il d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, 
art. 11 che disciplina come .segue la surroga dell'Inail per l'indennizzo 
infortunistico versato: � L'Istituto assicuratore deve pagare la indennit� 
anche nei �casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso 
per le somme pagate a titolo d'indennit�, e per �le spese acce.ssorie contro 


PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 987 

Basti aver riguardo alla ipotesi limite del concorso formale di 
reati, posto in essere con un'unica condotta da un unico imputato, 
rispetto al quale uno stesso soggetto si presenti portatore di una pretesa 
risarcitoria che lo abiliti a costitu_irsi . parte civile e, ad un tempo, 
si presenti portatore di un autonomo titolo di responsabilit� civile 
(ad esempio, proprietario di autoveicolo in veste di trasportato eh@, 
rimasto ferito in uno scontro in cui l'autoveicolo stesso sia stato coinvolto, 
assuma rispetto ai terzi danneggiati la posizione di responsabile 
civile per il fatto del conducente, rimanend� tuttavia legittimato ad 
assumere la posizione di parte civile nei confronti dello stesso conducente); 


2) che, a maggior ragione, la coincidenza suddetta possa verificarsi 
nella ipotesi di un unico reato posto in essere con condotte plurime 
da pi� soggetti, e ci� sia nella configurazione del concorso di 
cause colpose indipendenti, sia -come nella specie -nella configurazione 
della cooperazione colposa; 

'pertanto 

visto l'art. 98 c.p.p; 

le persone civilmente responsabili -Omissis -La sentenza, che accerta 
la responsabilit� civile a norma del precedente articolo, � sufficiente a 
costituire l'Istituto Assicuratore in credito verso la persona civilmente responsabile 
per le somme indicate nel comma precedente. L'Istituto pu�, 
altres�, esercitare la stessa azione di regresso contro l'infortunato, quando 
l'infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo, accertato con sentenza 
penale -Omissis �. 

Da siffatte espressioni letterali, si � ricavato in giurisprudenza che la 
surrogatoria assicurativa Inail � solo facoltativa, e non rappresenta titolo 
per costituirsi parte civile, nel processo penale, contro il responsabile dell'infortunio. 
Infatti, non il mero pagamento dell'indennizzo costituisce l'Istituto 
in credito, ma solo la sentenza che accerta l'obbligazione del responsabile 
civile; onde ,consegue che, prima di tale pronunzia ,condannatoria, 
l'Istituto non pu� esercitare il diritto di regresso (e non avrebbe titolo per 
costituirsi parte civile contro l'imputato). In tal senso, vedasi BoRETTINI,. 
Azione civile ex deUcto e azione surrogatoria nel procedimento penale 

(Riv. Penale CIX, 1929, 322, relativamente alla pregressa legge infortuni 

31 gennaio 1904, n. 51). 

Ma, appare evidente che, in via analogica, tali preclusioni (forse) 
avrebbero potuto opporti allo Stato, per la rivalsa come disciplinata nel 
sopra riferito art. 33, '1egge 4 novembre 1963, n. 1457, mentre non hanno 
fondamento dopo le innovazioni giuridiche introdotte con art. 5 legge 31 
maggio 1964, n. 357, proprio per rendere pi� efficace e penetrante la soddisfazione 
del credito statale. 

Quest'ultima legge sostanzialmente ha trasferito sulla Comunit� Nazionale 
l'obbligo del risarcimento, gravante invece sui responsabili del fatto 
dannoso; e tali anticipazioni statali rappresentano conseguenza immediata. 



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II

988 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

w~ 

rigetta !fil 
la opposizione come sopra proposta avverso la costituzione di lii 
parte civile operata dal Ministero dei Lavori Pubblici, salvo -riguardo 
a quest'ultimo -quanto di seguito deciso sub f); 
e) relativamente alla opposizione alla costituzione di parte civile 

I

del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, limitatamente agli 
interventi straordinari verso i lavoratori sinistrati, operati ai sensi 
della legge 4 novembre 1963, n. 1457; opposizione formulata all'udienza 
del 10 dicembre 1968 dalla difesa dell'imputato Biadene Alberico ed 

I alla quale ha aderito la difesa degli imputati Tonini, Marin e Ghetti, 
nonch� la difesa dei responsabili civili E.N.E.L. e Montedison S.p.A. ~ 

;j 
;j 

ed altresl 

;j

I

f) relativamente alla oppos1z10ne alla costituzione di parte civile 
del Ministero dei Lavori Pubblici, del Ministero dell'Industria e Com-~ 

I

w 

e diretta del reato, che ex iege � stata indirizzata, come danno patrimo


niale, a carico dello Stato, evidentemente terzo estraneo, fra i sinistrati 
e gli autori della lesione economica (Sade + Enel). 

Non in base a mero rapporto contrattuale (come negli esempi citati 
in MANZINI, Trattato Dir. Proc. Pen., ,ed. VI. vol. II, pag. 428), ma in forza 
della sovranit� nazionale, per dovere di solidariet� inter cives, il Parlamento 
decideva d'indennizzare i sinistrati ,con pecunia pubblica, anche a 
fondo perduto, nella eventualit� che il diritto di surrogazione non possa 
,esercitarsi contro i responsabili. 

Di qui consegue il diritto di costituirsi parte civile appunto nel giudizio 
penale dove, fra l'altro, si accerter� l'an debeatur degli imputati + responsabili 
civili, anche ai fini dell'azione surrogatoria statale, la quale fa 
succedere lo Stato nel diritto di tutti i beneficiari delle anticipazioni, onde 
li rappresenta nei limiti delle somme erogate � pro quota �. 

Non sembri assurdo che lo Stato possa ,costituirsi parte civile in ag. 
giunta (e non ad esclusione) dei singoli sinistrati, tenendo presente che w 
questi ultimi sono titolari anche di danno morale, mentre le anticipazioni !] 
statali riguardano solo il danno .patrimoniale: onde ben diversi sono gli Er.:.

w 

interessi tutelabili con le �separate e rispettive costituzioni di parte civile. %

......:Il 
credito dello Stato (per le anticipazioni di cui sopra) esiste gi� fin !~~~ 
-Oal pagamento eseguito verso i sinistrati-beneficiari, e non sar� costituito 

w

dalla sentenza penale condannatoria (emananda dal Collegio dell'Aquila), !W 

a differenza di quanto sopratllustrato per l'Inail, nei confronti dei responw 


sabili per danno. 

Pertanto, fin da ora, lo Stato vanta il titolo creditorio autonomo su 

cui fondare la costituzione di parte civile, appunto perch�, significativa


mente, la legge speciale del Vajont 31 maggio 1964, n. 357, art. 5, non ha 

~ 

usato le espressioni letterali e concettuali, gi� note e sperimentate fin dalla 

legge infortuni 31 gennaio 1904, n. 51, e testualmente ripetute con d.P.R. 1:::1 

30 giugno 1965, n. 1124, art. 11; e r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, art. 5. 
G. DONADIO 

PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 989 

mercio, del Ministero dell'Interno, del Ministero del Tesoro, del Ministero 
dell'Agricoltura e Foreste; specificamente, nonch�, in genere, 
anche del Ministero dei Trasporti per le Ferrovie dello Stato, della 
Azienda Nazionale Autonoma delle Strade Statali -A.N.A.S., del Ministero 
delle Finanze, del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, 
del Ministero della Difesa, e dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, 
limitatamente ai titoli di danno riferibili alle provvidenze erogate 
in forza delle leggi 4 novembre 1963, n. 1457 e 31 maggio 1964, 

n. 357 -opposizione formulata all'udienza del 10 dicembre 1968 dalla 
difesa dell'imputato Biadene Alberico ed alla quale ha aderito la difesa 
degli im~utati .Tonini, Marin e Ghetti, nonch� la difesa dei responsabili 
civili E.N.E.L. e Montedison S.p.A., 
osserva preliminarmente che la legittimazione all'esercizio dell'azione 
civile nel processo penale � legislativamente riconosciuta -a 
mente dell'art. 22 p.p. c.p.p. -solo alla � persona alla quale il reato... 
... abbia... recato danno�, ovvero al � suo erede, entro i limiti della 
quota ereditaria �; 

rileva quindi 

che il titolo legittimante in tesi l'esercizio dell'azione civile da 
parte delle ricordate Amministrazioni dello Stato, in ordine alle provvidenze 
in questione, deve pacificamente ravvirsarsi nella surrogazione 
ex lege che l'art. 3 bis della legge 4 novembre 1963, n. 1457, introdotto 
con l'art. 5 della legge 31 maggio 1964, n. 457, stabilisce, in favore 
dello Stato, nel diritto al risarcimento dei danni patrimoniali nei confronti 
degli eventuali responsabili, spettante ai beneficiari delle provvidenze 
medesime, configurabili per di pi� -queste -in forza dello 
stesso articolo~ come mera � anticipazione � sul risarcimento dei danni 
patrimoniali, potenzialmente attribuibili ai diretti danneggiati: 

cosicch� 
una legittimazione siffatta deve evidentemente negarsi; 

pertanto 
visto l'art. 98 c.p.p.; 
dichiara 

inammissibile la costituzione di parte civile operata dal Ministero del 
Lavoro e della Previdenza Sociale, limitatamente agli interventi straordinari 
verso i lavoratori sinistrati, operati ai sensi della legge 4 novembre 
1963, n. 1457, nonch� la costituzione di parte civile del Ministero 
dei Lavori Pubblici, del Ministero dell'Industria e Commercio, del 
Ministero dell'Interno, del Ministero del Tesoro, del Ministero della 
Agricoltura e delle Foreste, specificatamente, e, in genere, anche dei 

15 



990 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Ministero dei Trasporti per le Ferrovie dello Stato, dell'Azienda Nazionale 
Autonoma delle Strade Statali -A.N.A.S., del Ministero delle Finanze, 
del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, del Ministero 
della Difesa e dell'Azienda di Stato per i Servizi Telefonici, limitatamente 
ai titoli di danno riferibil~ alle provvidenze erogate in forza delle 
leggi 4 novembre 1963, n. 1457 e 31 maggio 1964, n. 357. -(Omissis). 

TRIBUNALE PENALE de l'Aquila, 5 febbraio 1969 -Pres. Est. Del 
Forno -Imp. Ghetti ed altri per frana del Vajont (ordinanza). 

Procedimento penale. -Istruzione -Atti istruttori compiuti diretta


mente nel territorio di uno Stato estero -Nullit� assoluta. 

(c.p.p., art. 185, n. 1, 312). 

Sono affetti da nuUit� assoluta gli atti istruttori (nella specie, esperimento 
giudiziale) compiuti dal giudice istruttore direttamente nel 
territorio di uno Stato estero, e non mediante le rogatorie internazionali 
(1). 

Convenzione italo-francese sull'aiuto reciproco giudiziario. 

(1) La motivazione � pubblicata in Giur. it., 1969, P. II, p. 294; e 
Foro it., 1969, P. II, p. 113. Nella specie, la Convenzione italo-francese 
12 gennaio 1955 sull'aiuto reciproco giudiziario (1. 19 febbraio 1957, n. 155), 
menziona specificamente deposizioni, interrogatori, perizie (spese relative), 
senza alcun richiamo alle modalit� richieste da un esperimento giudiziario, 
consistente nella specie in �prova idraulica� a Nancy. Del pari, vedasi la 
Convenzione Europea di assistenza giudiziaria in materia penale, votata 
a Strasburgo il 20 aprile 1959, ed ora in vigore per Italia, Svizzera, Francia. 
Su formale richiesta 6 maggio 1967 del giudice istruttore di Belluno, 
tramite i Ministeri degli Affari Esteri e della Grazia e Giustizia, le Autorit� 
francesi comunicarono che i membri dell'A.G.O. italiana �saranno 
considerati, da parte francese, presenti a titolo privato �; e non delegarono 
alcun magistrato francese per redazione del correlativo verbale, in quanto 

mai avrebbero potuto ivi riprodursi le impressioni visivo-auricolari (rialzo 
ondoso per caduta in acqua di gravi, aventi diversa granulometria), che 
erano importanti per l'esperimento giudiziale. �A titolo pri"V'ato � non pu� 
interpretarsi a titolo � turistico ., o simili, ma nel senso che trattavasi 
di attivit� senza rilievo giuridico per l'ordinamento francese, malgrado i 
fini istruttori spiegati nella richiesta di rogatoria. 

Senza aubbio si creava una situazione anomala (Ufficio con P.M., 
cancellerie, avvocati ,ecc. all'estero), per la quale devesi osservare, tuttavia. 
che il sistema delle rogatorie mira a difendere la sovranit� del paese dove 
sono eseguite. 

Orbene, quando (come nella specie) la Repubblica Francese, ritualmente 
officiata con le modalit� della vigente Convenzione italo-francese, 
consente l'ingresso dell'A.G.0. italiana per l'esperimento giudiziario, di




PARTE I, SEZ. VII, GIURISPRUDENZA PENALE 991 

sinteressandosene, appunto perch� non si trattava di assumere deposizioni, 
interrogatori, perizie (con relative spese), potrebbe sembrare eccessiva la 
declaratoria di nullit� del Tribunale Penale de l'Aquila, per un atto svoltosi 
attraverso maggiori garanzie processuali con intervento di Giudice 
istruttore, P. M., legali in contraddittorio, ecc., rispetto ad un mero verbale 
compilafo (in ipotesi) da giudice straniero, per rogatoria. Tanto pi� che 
il Tribunale Penale dell'Aquila � venuto, sostanzialmente, a sindacare la 
interpretazione liberale che della Convenzione internazionale, per il caso 
specifico, avevano dato le Autorit� francesi, ritenendo superfluo il.'intervento 
di un loro magistrato per la verbalizzazione di. operazione istruttoria 
(esperimento giudiziario), non indicata espressamente nella ,Convenzione 
italo-francese, dopo che inutilmente il G.I. di Belluno aveva rispettato 
gli artt. 657 c.p.p., e 53 Disp. attuaz. c.p.p, 28 maggio 1931, n. 602, per le 
rogatorie ad Autorit� straniere. 

Il Tri.bunale Penale dell'Aquila, praticamente, afferma che l'A.G.O., 
avrebbe dovuto rinunziare all'esperimento giudiziario (ritenuto invece necessario 
dal G.I.), presso l'Istituto Universitario d'Idraulica, diretto a Nancy 
dal prof. Roubault (membro del II Collegio internazionale Calvino), sol 
perch� .ie Autorit� francesi non avevano concesso l'intervento di un loro 
giudice, in rogatoria. 

Oppure il G.I. di Belluno avrebbe dovuto polemizzare, per i canali 
diplomatici, onde hnporre alle Autorit� francesi una interpretazione della 
convenzione internazionale meno favorevole all'A.G.O. italiana (pi� gollista, 
si sarebbe detto e illo tempore � ), insistendo per dimostrare che la 
rogatoria � indispensabile pure per gli e esperimenti giudiziari � ' mediante 
la partecipazione di giudice francese. 

Trattasi di conclusioni che possono lasciare perplessi, pur dovendo 
rilevare come l'ordinanza dibattimentale 5 febbraio 1969 riusci a frustrare 
lo scopo finale dell'eccezione, mirante ad una declaratoria di nullit� per 
tutta la seconda perizia Calvino (cui ineriva l'esperimento di Nancy). 

La sentenza Cass., Sez. Un., 24 giugno 1967, Foro it., 1968, II, 531; 
e Giur. it., 1968, II, 292), in omaggio al principio di non regressione, impediva 
di rimettere gli atti in istruttoria, �~er un rinnovo di perizia, o di 
esperimento giudiziario (se del caso). Tuttavia, saggiamente � peritus peritorum. 
il Tribunale Penale dell'Aquila limit� la declaratoria di nullit� 
al verbale per l'esperienza idraulica di Nancy, quale atto autonomo (e 
meramente complementare alla perizia), senza necessit� di rinnovarla, dopo 
te sopravv.enute acquisizioni anche dibattimentali. 

G. DONADIO 

PARTE SECONDA 




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RASSEGNA DI DOTTRINA 


W. 
N. HoHFELD, Concetti giuridici fondamentali, Einaudi, Torino, 1969, 
pagg, 240. 
La giuscibernetica, la branca pi� moderna e tecnica della ricerca 
giuridica, � alle porte. Elaboratori elettronici dal meccanismo prodigioso 
ed infallibile potrebbero essere gi� belli e (pronti per fornire agli operatori 
pratici (e non) del diritto i dati necessari per un pi� sollecito ed esatto 
svolgimento del lavoro professionale (o teorico) se ... i .giuristi sapessero 
mettersi d'accordo ed affidare ai docili ma esigenti computers una descrizione 
.sufficientemente chiara e lineare di �concrete situazioni giuridiche. 

Ma l'accordo dei �giuristi non c'�! L'univocit� di vedute manca sugli 
stessi concetti giuridici fondamentali; aspetti di ambiguit�, del tutto incompatibili 
con l'esigenza di una programmazione elettronica, si ritrovano 
in tutta la sistemazione delle modalit� giuridiche. Siamo ancora all'anno 
zero: la giuscibernetica deve battere il passo, fare anticamera, anche se 
la ricerca di tirpo �artigianale �1 tra montagne di libri e polverosi scaffali, 
diventa sempl'e pi� difficile con il passare del tempo, con l'accrescersi a 
di~sura della produzione legislativa, dell'elaborazione giurisprudenziale 
e di quella dottrinaria. 

Per superare l'impasse occorre mettere ordine, sistemare fugando le 
ambiguit�. Se necessario, non � male cominciare ab ovo, riscoprire testi 

� da antiquariato � quando si tratta di opere valide, chiarificatrici. 
Con questo lodevole intento i curatore del volume in rassegna ci 
propongono una � rilettura � di HoFHELD, questo scrittore moderno ma non 
contemporaneo, vissuto a cavallo tra il nostro secolo e quello precedente, 
conosciutissimo nel mondo anglosassone ma rpressoch� ignorato dalla scienza 
giuridica continentale, sempre restia a spingere lo sguardo oltre Manica o 
oltre Oceano. Le teorie di questo poderoso giurista non ci giungono, per�, 
del tutto sconosciute. Ne abbiamo preso nozione attraverso lo studio di 
ALF Ross, il giurista scandinavo di cui abbiamo l'ecensito su questa Rassegna 
il noto Diritto e giustizia (Einaudi editore, Torino, 1965), tutto strutturato 
sulla base degli otto concetti giuridici fondamentali hohfeldiani. 

Quali sono questi otto concetti? H. li. sistema nel seguente schema : 
Opposti giuridici (Diritto-Non diritto; Privilegio-Dovere; Potere-Incapacit�; 
Immunit�-Soggezione) Correlativi giuridici (Diritto-Dovere; Privilegio-
Non diritto; Potere-Soggezione; Immunit�-Incapacit�) e sostiene che 
per mezzo di essi � possibile formulare tutti gli ipotizzabili problemi 
giuridici. 

Una cosa che colpisce subito chi abbia familiarit� col diritto e con 
gli scrittori di jurisprudence anglosassone o scandinava � che i termini 
dello schema hohfeldiano, salvo un'eccezione non sono nuovi ma sono 
sempre stati usati pi� o meno frequentemente. L'unico autore, per�, che 
abbia intravisto l'importanza di tali concetti nell'analisi e nella sistemazione 
di tutti i problemi giuridici � stato il TERRY nella sua opera: Leading 
Principies of Anglo-American Law. 



172 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tutto quanto si � detto � sottolineato effica�cemente da W. W. CooK, 
il cui saggio Hohfeld's Contributions to the Science of Law � stato premesso 
al volume in rassegna come introduzione. 

Il libro che segnaliamo ai lettori � arricchito anche da un'Appendice 
costituita da uno scritto di M. MoRITZ (studioso tedesco, ora cittadino 
svedese e professore di filosofia del �diritto all'Universit� di Lund) che pu� 
definif>Bi il pi� lucido approccio, non soltanto chiarificatore, ma anche 
critico, nei riguardi dei concetti giuridici fondamentali individuati da H. 

La traduzione degli scritti contenuti nel volume � stata curata da 
Mario G. Losano e da Angelo Pichierri. 

L. MAZZELLA 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 


LEGGI E DECRETI * 

Legge 1� ottobre 1969, n. 679 � Autorizza la sostituzione degli atti 
del catasto terreni e del catasto edilizio urbano con nuovi atti idonei 
alla elaborazione meccanografica e modifica gli artt. 40, 55, 56, 57, 
57 bis e 60 del r.d. 8 ottobre 1931, n. 1572, con semplificazione delle 
procedure catastali (G. U. 20 ottobre 1969, n. 266). 

NORME SOTTOPOSTE A GIUDIZIO 
DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE * 


NORME DELLE QUALI � STATO PROMOSSO 
GIUDIZIO DI LEGITTIMITA COSTITUZIONALE 


Codice di procedura civile, art. 621 (Limiti della prova testimoniale), 
in quanto, con disparit� di trattamento rispetto ai diritti acquistati a 
titolo derivativo, non consente al terzo opponente di far valere il 
diritto acquistato a titolo originario, che 'pu� essere provato solo con 
testimoni (artt. 3 e 24, primo comma, della Costituzione) (1). 

Pretore di Roma, ordinanza 19 febbraio 1969, G. U. 8 ottobre 
1969, n. 256. 

codice penale, art. 163 (Sospensione coodizionale della pena), primo 
comma, in quanto limita la possibilit� di concedere la sospensione condizionale 
della pena (art. 27, terzo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 17 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

codice penale, art. 236 (Specie delle misure di sicurezza patrimoniali: 
regole generali), e art. 240 (Confisca), in quanto consentono, con 

� Si segnalano i provvedimenti ritenuti di maggiore interesse. 
� Tra parentesi sono indicati gli articoli della Costituzione in riferimento ai 
quali sono state proposte le questioni di legittimit� costituzionale. 
(1) Altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione � stata 
proposta dal pretore di Verbania con ordinanza 15 dicembre 1968 (G. U. 12 marzo 
1969, n. 66). 

174 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la confisca, la espropriazione della propriet� privata senza indennizzo 
(art. 42, terzo comma, della Costituzione). 

Pretore di Pianella, ordinanza 14 marzo 1969, G. U. 8 ottobre 
1969, n. 256. 

c:odlc:e penale, art. 539 (Etd della peTsona offesa), per la ingiustificata 
disparit� di trattamento che ne deriva fra chi � ammesso a provare 
l'ignoranza dell'et� nei casi di cui al n. 2 dell'art. 519 del codice penale 
penale o dell'infermit� di mente nei casi di cui al n. 3 dello stesso 
artioclo e chi versa nell'ipotesi di cui al n. 1 delle stesse disposizioni 
di legge (art. 3 della Costituzione) (2). 

Tribunale di Parma, ordinanza 23 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

c:odic:e penale, art. 559 (Adulterio), terzo comma, in quanto punisce 
la relazione adulterina della moglie in ipotesi nella quale la corrispondente 
condotta del marito non costituisce reato (art. 29 della Costituzione) 
(3). 

Tribunale di Trapani, ordinanza 17 marzo 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269 (4). 
Pretore di Asolo, ordinanza 11 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 1969, 

n. 269. 
Pretore di Napoli, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 
Pretore di Ceglie Messapico, ordinanza 23 maggio 1969, G. U. 8 
ottobre 1969, n. 256. 
Pretore di Roma, ordinanza 9 giugno 1969, G. U. 24 settembre 
1969, ri. 243. 

c:odic:e penale, art. 560 (Concubinato), in quanto punisce la relazione 
adulterina del marito, con criterio diverso da quello stabilito per la 
moglie dall'art. 559, terzo comma, del codice penale, solo quando ricorrano 
per ulteriori elementi della notoriet� o della convivenza dei concubini 
nella casa coniugale (artt. 3 e 29 della Costituzione) (5). 


Pretore di Nocera Inferiore, ordinanza 8 febbraio 1969, G. U. 22 
ottobre 1969, n. 269. 
Tribunale di Trapani, ordinanza 17 marzo 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

(2) Altra questione di legittimit� della disposizione � stata dichiarata non 
fondata, in riferimento all'art. 27, primo comma, della Costituzione, con sentenza � 
8 luglio 1957, n. 107. 
(3) Questione gi� proposta, in riferimento anche all'art. 3 della Costituzione, 
con altre cinquantatre ordinanze di vari giudici (v. retro, II, 77 e 141). 
(4) Dal tribunale di Trapani la questione � stata proposta anche per il quarto 
comma della disposizione. 
(5) Questione gi� proposta con altre quindici ordinanze di vari giudici( v. retro, 
Il, 78 e 142). 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 175 

codice penale, art, 571 (Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina), 
secondo comma, in . quanto prevede, con disciplina diversa da 
quella stabilita per il delitto di lesioni lievi comuni, la perseguibilit� 
di ufficio delle lesioni cagionate per abuso dei mezzi di correzione o 
di disciplina (art. 3 della Costituzione). 

Pretore di Napoli, ordinanza 15 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

codice penale, art. 588 (Rissa), secondo comma, in quanto prevede la 
imputazione degli eventi aggravanti e per il solo fatto della partecipazione 
alla rissa > (art. 27 della Costituzione) (6). 

Tribunale di Vigevano, ordinanza 16 maggio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

codice penale, art. 625 (Circostanze aggravanti), ultimo comma, in 
quanto stabilisce il minimo edittale della pena in misura che non consente 
di concedere la sospensione condizionale della pena (art. 27, 
terzo comma, della Costituzione) (7). 

' 

Trib'unale di Milano, ordinanza 17 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

codice di procedura penale, art. 128 (Nomina del difensore d'ufficio 
all'imputato), in quanto l'assistenza del difensore di ufficio non garantisce 
la effettiva difesa dell'imputato (artt. 3 e 24 della Costituzione) (8). 

Giudice istruttore del Tribunale di Milano, ordinanza 12 aprile 
1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. 

codice di procedura penale, art. 151 (Deposito in Cancelleria dei provvedimenti 
del giudice e relativo avviso), terzo comma, in quanto, nel 
limitare l'obbligo della notificazione dell'avviso di deposito della sentenza 
al difensore che abbia proposto impugnazione o a quello che sia 
stato designato dall'imputato nella dichiarazione d'impugnazione, non 
prevede l'obbligo della notificazione al difensore del dibattimento, che 

(6} Questione proposta anche dal tribunale di Milano (ordinanza 9 aprile 1969, 

G. U. 9 luglio 1969, n. 172). 
(7} Altra questione di legittimit� costituzione della disposizione � stata proposta 
dal pretore di Siena (ordinanza 27 maggio 1969, G. U. 9 luglio 1969, ;n. 172}. 
(8} Analoga questione � stata gi� proposta dal giudice istruttore dal tribunale 
di Vercelli (ordinanza 12 agosto 1968, G. U. 30 novembre 1968, n. 305). 
Altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione � stata dichiarata 
non fondata, in riferimento agli artt. 24, terzo comma, e 35, primo comma, della 
Costituzione, con sentenza 22 dicembre 1964, n. 114, e riproposta dal pretore di 
Roma con ordinanze 17 aprile 1968 (G. U. 28 settembre 1968, n. 248) e 10 dicembre 
1968 (G. U. 26 marzo 1969, n. 78). 



176 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

pu� invece sottoscrivere i motivi di appello pur non avendo proposto 
la impugnazione (art. 24, secondo comma, della Costituzione). 

Tribunale di Marsala, ordinanza 15 aprile 1969, G. U. 24 settembre 
1969, n. 243. 

codice di procedura penale, art. 398 (Poteri del p1�etore nel procedimento 
con ist1�uzione sommaria), terzo comma, in quanto limita l'obbligo 
della contestazione del reato prima della citazione in giudizio alla sola 
ipotesi in cui siano compiuti atti di istruzione, escludendo tale obbligo 
quando siano compiuti atti preliminari all'istruzione (artt. 3, primo 
comma, e 24, secondo comma, della Costituzione) (9) (10). 

Tribunale di Ferrara, ordinanze 10 dicembre 1968 e 30 gennaio 
1969, G. U. 24 settembre 1969, n. 243. 

codice di procedura penale, art. 586 (Esecuzione di pene pecuniarie), 
in quanto consente la conversione delle pene pecunarie in pene detentive 
in danno del condannato fallito, prima dell'esaurimento della 
procedura concorsuale (art. 3 della Costituzione) (11). 

Pretore di Catanzaro, ordinanza 6 maggio 1969, G. U. 24 settembre 
1969, n. 243. 

codice della navigazione (r.d. 30 marzo 1942, n. 327), art. 1238 (Competenza 
per le contravvenzioni), secondo c:�omma, in quanto esclude, nel 
giudizio avanti il comandante del porto, l'assistenza del pubblico ministero 
(art. 24, secondo comma, della Costituzione) (12). 

Comandante del porto di Pesaro, ordinanza 18 luglio 1969, G. U. 
22 ottobre 1969, n. 269. 

(9) Questione gi� proposta (e con analogo riferimento alla qualificazione degli 
atti di polizia giudiziaria contenuta nella sentenza 5 luglio 1968, n. 86 della Corte 
costituzionale) dal pretore di Ronciglione (ordinanza 3 dicembre 1968, G. U. 12 marzo 
1969, n. 66) e dal tribunale di Como (ordinanza 21 febbraio 1969, G. U. 21 maggio 
1969, n. 128). 
10) L'art. 398 del codice di procedura penale e limitatamente alle parti in cui, 
nei procedimenti di competenza del pretore, non prevede la contestazione del fatto 
e l'interrogatorio deWimputato, qualora si proceda al compimento di atti di istruzione 
� � stato dichiarato incostituzionale con sentenza 28 aprile 1966, n. a.a. La 
questione di legittimit� costituzionale della disposizione, nella parte in cui non 
prevede l'obbligo della contestazione del :tatto qualora non si proceda al compimento 
di atti di istruzione, � stata invece dichiarata non fondata, in riferimento all'art. 24, 
secondo comma, della Costituzione, con sentenza 18 aprile 1967, n. 46. 

(11) Altra questione di legittimit� costituzionale della disposizione � stata 
dichiarata non fondata in riferimento agli artt. 2, 3 e 13, primo comma della 
Costituzione, con sentenza 27 marzo 1962, n. 29. 
(12) Per altre questioni di legittimit� costituzionale della disposizione v. sentenze 
ed ordinanze citate nella nota che segue. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 177 

codice della navigazione (r.cl. 30 marzo 1942, n. 327) art. 1238 (Competenza 
per le contravvenzioni) e art. 1242 (Decreto cli� condanna), in 
quanto attribuiscono funzioni giurisdizionali all'autorit� amministrativa, 
oltretutto non ricusabile (artt. 101, 102 e 108 della Costituzione) 
(13). 

Comandante del porto di Castellammare di Stabia, ordinanza 15 
aprile 1969, G. U. 8 ottobre 1969, n. 256. 
Capo del circondario marittimo di Porto Stefano, ordinanza 5 
luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, n. 269. 

r. d. 11 marzo 1923, n. 560 (Abolizione, a decorrere dal 10 giugno 
1923, del monopolio dei fiammiferi ecl istituzione di una imposta di 
produzione), art. 3 e artt. 1, ultimo comma, 2, 9, 1 O e 18 della convenzione 
annessa, in quanto riservano al Consorzio industrie fiammiferi, in esclusiva, 
la fabbricazione e la vendita di fiammiferi, con divieto per lo 
Stato di accordare autorizzazione per la fabbricazione di fiammiferi 
a soggetti non appartenenti al Consorzio (artt. 3, 41 e 43 della Coi>tituzione). 
Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 
24 settembre 1969, n. 243. 

r. d. I. 15 ottobre 1925, n. 2033 (Norme per la repressione delle frocli 
nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e di 
prodotti agrari), artt. 41, 43, 44 (14) e 46, in quanto, nel disciplinare 
le modalit� del sequestro e delle analisi dei campioni, non prevedono 
l'intervento dell'interessato (artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione) 
(15). 
Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 25 giugno 1969, G. U. 22 
ottobre 1969, n. 269 (art. 41). 
Pretore di Laurenzana, ordinanza 26 giugno 1969, G. U. 24 settembre 
1969, n. 243 (artt. 43, 44 e 46). 

r. d. I. 15 aprile 1926, n. 765 (Provvedimenti per la tutela e lo sviluppo 
dei luoghi di cura, di soggiorno o di turismo), convertito con 
(13) Questione dichiarata non fondata con sentenze 10 giugno 1960, n. 41 
(art. 102 della Costituzione), 3 luglio 1967, n. 79 (art. 104, primo comma, della 
Costituzione) e 19 dicembre 1968, n. 128 (disp. trans. VI e artt. 25 e 102 della Costituzione). 
La questione � stata gi� rlproposta dal pretore di Recanati in riferimento 
agU artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione (ordinanza 
11 aprile 1969, G. U. 18 giugno 1969, n. 152) e dal tribunale di Crotone in 
riferimento agli artt. �25 e 102 della Costituzione (ordinanze 29 aprile 1969 (due), 
G. U. 9 luglio 1969, n. 172). 
(14) Altra questione di legittimit� costituzionale dell'art. 44, terzo e quarto 
comma, del r.d.l. 15 ottobre 1925, n. 2033 (nel testo sostituito dall'art. 1 della legge 
27 febbraio 1958, n. 190) � stata dichiarata non fondata con sentenza 19 febbraio 
1965, n. 6. 
(15) Questione gi� proposta con numerose altre ordinanze (v. retro, II, 88 
ed ivi nota 48; 147). 

178 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 1<> luglio 1926, n. 138?, art. 15, modificato dall'articolo unico del 

r. d. 1. 12 luglio 1934, n. 1398, in quanto, nell'istituire una e speciale 
contribuzione � a favore delle stazioni di soggiorno, non precisa i 
criteri d'esercizio del potere discrezionale nella determinazione delle 
prestazioni obbligatorie n� i soggetti passivi del rapporto (art. 23 della 
Costituzione). 
Tribunale di Venezia, ordinanza 23 aprile 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

r. d. I. 26 febbraio 1930, n. 105 (Aumento dei diritti erariali sugli 
apparecchi automatici di accensione), convertito con legge 1<> maggio 
1960, n. 611, artt. 2 e 4, e artt. 1, 2, 3, 10 e 12 della convenzione ainnessa, 
in quanto estendendo in monopolio del CIF anche alla produzione, alla 
vendita ed all'importazione degli accenditori azionati da pietrina focaia 
e di qualsiasi altro oggetto capace di produrre fiammella, scintilla o 
incandescenza (artt. 3, 41 e 43 della Costituzione) (16). 
Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 
24 settembre 1969, n. 243. 

legge 24 aprile 1935, n. 740 (Costituzione del e Parco nazionale dello 
Stelvio >) art. 5, in quanto impone alla propriet� privata limitazioni 
di natura espropriativa senza prevedere indennizzo compensativo (articolo 
42, terzo comma, della Costituzione). 

Pretore di Tirano, ordinanza 14 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

r. d. 1. 4 ottobre 1935, n. 1827 (Perfezionamento e coordinamento 
della previdenza sociale), convertito con legge 6 aprile i936, n. 1155, 
art. 49, terzo comma, e tabella 8, se ed in quanto, c-0n l'espressione e a 
mezzo servizio ., consentano l'esclusione dalla tutela assicurativa dei 
prestatori di lavoro domestico che prestino la loro opera per meno di 
quattro ore giornaliere (artt. 3, primo comma, e 38, secondo comma, 
della Costituzione). 
Tribunale di Parma, ordinanza 9 maggio 1969, G. U. 22 o~tobre 
1969, n. 269. 

contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939 (Disciplina del trattamento 
di malattia di operai deWindustria), richiamato dall'art. 1 del 

d. lg. lgt. 19 aprile 1946, n. 213, art. 19, lettera a, in quanto esclude la 
corresponsione dell'indennit� per le malattie contratte colposamente 
(16) Questione gi� proposta, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, 
dal Tribunale di Milano (ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 26 marzo 1969, n. 78). 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 179 

dal lavoratore assicurato (art. 38, secondo comma, della Costituzione) 
(17). 

Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 6 giugno 1969, G. U. 24 
settembre 1969, n. 243. 

r. d. 5 giugno 1939, n. 1016 (Testo unico delle leggi sulla protezione 
della selvaggina e per l'esercizio della caccia), art. 12 bis, aggiunto 
con l'art. 3 della legge 2 agosto 1967, n. 799, in quanto, nel punire la 
mancata osservanza delle condizioni stabilite dal regolamento per 
l'esercizio della caccia, consente all'autorit� amministrativa di determinare 
il contenuto di precetti penalmente sanzionati (art. 25, secondo 
comma, della Costituzione). 
Pretore di Conegliano, ordinanza 30 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

r. d. 5 giugno 1939, n. 1016 (Testo unico delle leggi sulla protezione 
della selvaggina e per l'esercizio della caccia), art. 79, in quanto consente, 
con la confisca, la espropriazione della propriet� privata senza 
indennizzo (art. 42, terzo comma, della Costituzione). 
Pretore di Pianella, ordinanza 14 marzo 1969, G. U. 8 ottobre 
1969, n. 256. 

r. d. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), art. 21, in 
quanto non prevede compenso per l'attivit� dei giudici conciliativi 
(artt. 3 e 36, primo comma, della Costituzione). 
Tribunale di Genova, ordinanza 8 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

d. lg. lgt. 19 aprile 1946, n. 213' (Modificazioni delle vigenti disposizioni 
sulla assicurazione di malattia per i lavoratori nell'industria), 
art. 1, in quanto attribuisce forza di legge all'art. 19, lettera a, del 
contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939, che esclude la corresponsione 
dell'indennit� per le malattie contratte colposamente dal lavoratore 
assicurato (art. 38, secondo comma, della Costituzione) (18). 

Tribunale di Reggio Emilia, ordinanza 6 giugno 1969, G. U. 24 
settembre 1969, n. 243. 

/ 

d. lg. 17 aprile 1948, n. 525 (Rinnovazione della Convenzione fra lo 
Stato ed il ; Consorzio industrie Fiammiferi � ), art. 1 e art. 12 della 
(17) Altra questione di legittimit� costituzionale del contratto collettivo nazionale 
3 gennaio 1939 � stata dichiarata inammissibile con sentenza 10 giugno 1969, 
n. 98. 
(18) Nell'ordinanza di rimessione la questione risulta proposta direttamente 
per l'art. 19, lettera a, dal contratto collettivo nazionale 3 gennaio 1939. 
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180 flASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

convenzione annessa, in quanto attribuiscono al Consorzio industrie fiammiferi 
una posizione di monopolio nella fabbricazione e nella vendita 
dei 'fiammiferi (artt. 3, 41 e 43 della Costituzione). 

Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 
24 settembre 1969, n. 243. 

d. P. R. 25 ottobre 1955, n. 932 (Norme di attuazione e di coordinamento 
della legge 18 giugno 1955, n. 517, concernente modificazioni 
al codice di procedura penale), art. 1, in quanto, limitando i poteri 
attribuiti dall'art. 220 del codice di procedura penale al procuratore 
generale presso la corte di� appello nei confronti di tutti gli ufficiali 
ed agenti di polizia giudiziaria operanti nel distretto, agli ufficiali ed 
agenti cui i rispettivi dirigenti abbiano attribuito l'esercizio delle funzioni 
di polizia giudiziaria, esclude tali poteri in relazione alla generalit� 
degli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria; artt. 2 e 3, in 
quanto fanno riferimento all'art. 1 (artt. 76, 77 e 109 della Costituzione). 
Pretore 
di Chiusi, ordinanza 14 agosto 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269.. 

legge 5 gennaio 1956, n. 1 (Norme integrative della legge 11 gennaio 
1951, n. 25, sulla perequazione tributaria), art. 23, secondo comma, in 
quanto consente la deduzione degli interessi passivi, per i contribuenti 
tassabili in base ai bilanci, secondo criterio diverso da quello stabilito, 
dal primo comma della disposizione, per gli altri contribuenti (artt. 3 
e 53 della Costituzione). 

Tribunale di Milano, ordinanza 21 marzo 1969, G. U. 8 ottobre 
1969, n. 256. 

d. I. 11 gennaio 1956, n. 2 (Diritto fisso� dovuto all'Erario per la 
detenzione di apparecchi di accensione), convertito con legge 16 marzo 
1956, n. 109, art. 8, in quanto conserva in vigore le disposizioni del 
r. d. 1. 26 febbraio 1930, n. 105 sul monopolio del Consorzio industrie 
fiammiferi sulla fabbricazione, importazione e vendita degli apparecchi 
di accensione (artt. 3, 41 e 43 della Costituzione) (19). 
Consiglio di Stato, sesta sezione, ordinanza 29 aprile 1969, G. U. 
24 settembre 1969, n. 243. 

d. P. R. 26 aprile 1957, n. 818 (Norme di attuazione e di coordinamento 
dell,a legge 4 aprile 1952, n. 218, sul riordinamento deUe pensioni 
dell'assicurazione obbligatoria per l'invaliditd, la vecchiaia e i 
superstiti), art. 22, per eccesso di delega rispetto all'art. 37 della legge 
4 aprile 1952, n. 218, in quanto consente la riliquidazione della pen' 


(19) Questione gi� proposta, in riferimento agli artt. 41 e 43 della Costituzione, 
dal tribunale di Milano (ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 26 marzo 1969, n. 78). 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONli: 181 

sione per riconoscimento di contributi figurativi con effetto dal mese 
successivo alla domanda e non dalla data di ricorrenza della pensione 
(art. 76 della Costituzione). 

Tribunale di Piacenza, ordinanza 23 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

legge 14 luglio 1959, n. 741 (Norme transitorie per garantire minimi 
di trattamento eiconomico e normativo ai lavoratori), artt. 1 e 7, primo 
e secondo comma, in quanto, nel conferire forza di legge ai contratti 
collettivi di lavoro recepiti nelle norme delegate, e con efficacia conservata 
anche dopo la scadenza o il rinnovo del contratto, non consentono 
al giudice di adeguare al limite sancito dall'art. 36 della Costituzione 
la retribuzione che �risulti in concreto insufficiente (art. 36 della 
Costituzione) (20). 

Tribunale di Vigevano, ordinanza 12 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

legge 18 ottobre 1959, n. 645 (Modificazioni ed integrazioni del 1�egio 
decreto-legge 15 ottobre .1925, n. 2033, convertito nella' legge 18 
marzo 1926 n. 562, sulla repressione delle frodi nella preparazione delle 
sostanze di uso agrario e di prodotti agrari), art. 1, in quanto non prevede 
l'intervento dell'interessato alle operazioni di sequestro della 
merce e di prelevamento di campioni (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Pretore di Reggio Calabria, ordinanza 25 giugno 1969, G. U. 22 
ottobre 1969, n. 269. 

d. P. R. 14 lugUo 1960, n. 1011 (Norme sui licenziamenti individuali 
dei lavoratori dipendenti delle imprese industriali), articolo unico, in 
quanto rende obbligatorio erga omnes l'accordo interconfedera-le 18 
ottobre 1950, obbligando anche il datore di lavoro non iscritto alle 
associazioni di categoria stipulanti a subire il loro intervento e a farsi 
rappresentare da esse nello svolgimento delle attivit� disciplinate dall'accordo 
(art. 39 della Costituzione) (21). 
Tribunale di Napoli, ordinanza 22 maggio 1967, G. U. 24 settembre 
1969, n. 243. 

(20) La questione di legittimit� costituzionale della legge 14 luglio 1959, n. 741, 
nell'intero testo e nelle singole disposizioni. � stato dichiarato non fondata con 
sentenze 19 dicembre 1962, n. 106 (artt. 39, 71, e 77 della Costituzione) e 23 dicembre 
1963, n. 169 (artt. 70 e 25 della Costituzione). � 
(21) In riferimento agli artt. 76, 77 e 102 della Costituzione la questione � 
stata dichiarata non fondata con sentenza 26 maggio 1966, n. 50; con la stessa 
sentenza il d. P. R. 14 luglio 1960, n. 1011 � stato dichiarato incostituzionale e per 
la sola parte che disciplina l'intervento di conciliazione delle organizzazioni di 
categoria�� 
16 



182 RASSEGNA �>�Lt.'AVVO�ATURA DELLO S'rA'.1'0 

d. P. R. 2 gennaio 1962, n. 481 (Norme sul trattamento ecooomico e�� 
normativo dei dipendenti da imprese commerciali), articolo unico, in 
quanto rende obbligatorio erga omnes l'accordo nazionale 29 aprile 
1957 per l'applicazione della scala mobile al settore del commercio, 
con il quale la misura di una prestazione patrimoniale viene vincolata 
alla determinazione dell'Istituto centrale di statistica (artt. 23 e 70 
della Costituzione). 
Pretore di Modica, ordinanza 29 maggio 1969, G. U. 24 settembre 
1969, n. 243. 

legge 2 marzo 1963, n. 320 (Disciplina delle controversie innanzi alle 
Sezioni specializzate agrarie), artt. 3, quarto comma, e 4, secondo comma, 

in quanto consentono al potere esecutivo di interferire nella nomina 
degli esperti, con attivit� prevalente e tale da incidere sui poteri valutativi 
e discrezionali del Consiglio superiore della magistratura (articoli 
104, e 105 della Costituzione) (22). 

Tribunale di Reggio Calabria, ordinanza ,5 luglio 1969, G. U. 22 
ottobre 1969, n. 269 (art. 3, quarto comma). 
Tribunale di Rieti, ordinanza 24 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 1969, 

n. 269 (artt. 3, quarto comma, e 4, secondo comma). 
d. P. R. 30 g'iugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per 
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie 
professionali), art. 1 O, sesto e settimo comma, che riproduce l'art. 4, 
sesto e settimo comma, del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765, in quanto dispongono 
l'automatica compensazione delle indennit� corrisposte dall'I.
N.A.I.L. con il risarcimento del danno dovuto dal datore di lavoro 
in conseguenza di responsabilit� sua o del commesso, con disciplina 
diversa, per il lavoratore infortunato, da quella stabilita per ogni altro 
danneggiato; art. 11, primo e secondo c-omma, che riproduce l'art. 5, primo 
e secondo comma, del r. d. 17 agosto 1935, n. 1765, in quanto ammette 
il diritto di regresso dell'I.N.A.I.L. anche nei confronti del datore di 
lavoro dell'infortunato, e anche relativamente a prestazioni corrisposte 
per responsabilit� non coperta da assicurazione, con disciplina 
diversa, per il datore di lavoro riconosciuto responsabile per colpa 
sua o del commesso e per il lavoratore infortunato, da quella stabilita 
per ogni altro assicurato e per ogni altro danneggiato (artt. 3, 35, secondo 
comma, e 38, secondo comma, della Costituzione) (23). 
Tribunale di Roma, ordinanza 18 dicembre 1968, G. U. 8 ottobre 
1969, n. 256. 

(22) Questione gi� proposta, per gli artt. 3, quarto comma, e 4, primo comma, 
della legge 2 marzo 1963, n. 320, e in riferimento agli artt. 104, 105 e 108, secondo 
comma, della Costituzione, dalla sezione specializzata agraria del Tribunale di Roma 
(ordinanze 25 gennaio 1969 (tre), G. U. 6 agosto 1969, n. 200). 
(23) Il terzo comma dell'art. 10 del d. P. R. 30 giugno 1965, n. 1124 (e nella 
parte in cui limita ia responsabilit� civile dei datore di lavoro per ilnfortunio su11 
iavoro derivante da reato aWipotesi in cui questo sia commesso dagli incaricati ieiia 
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PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 183 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per 
l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie 
professionali), artt. 83, sesto e settimo comma, e 112, primo comma, in 
quanto fanno decorrere i termini stabiliti per l'ammissibilit� della domanda 
di revisione e per la prescrizione del diritto dalla data dell'infortunio 
anzich� da quella in cui rassicurato acquista il diritto alla 
prestazione (art. 38 della Costituzione) (24). 
Tribunale di Pistoia, ordinanza .21 maggio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

legge 4 liigUo 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio 
dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), artt. 36 

e. 29, nell'avverbio � soltanto ., in quanto vietano la produzione della 
pasta di segala (art. 41 della Costituzione). 
Pretore di Nocera Inferiore, ordinanza 14 novembre 1968, G. U. 
22 ottobre 1969, n. 269. 

legge 4 luglio 1967, n. 580 (Disciplina per la lavorazione e commercio 
dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari), 
artt. 41, 42, primo e secondo comma, e 43, in quanto consentono di procedere 
al prelievo ed all'analisi dei campioni senza l'intervento dell'interessato 
(art. 24� della Costituzione) (25). 

Pretore di Stigliano, ordinanza 19 aprile 1969, G. U. 8 ottobre 
1969, n. 2�56 (art. 41, 42 e 43). 
Pretore di Modica, ordinanza 13 giugno 1969, G. U. 24 settembre 
1969, n. 243 (art. 42). 
Pretore di Prato, ordinanza 26 giugno 1969, G. U. 8 ottobre 1969, 

n. 256 (art. 42, primo e secondo comma). 
legge 2 agosto 1967, n. 799 (Modifiche al testo unico de'lle norme 
per la protezione della selvaggina e per l'esercizio della caccia appro


direzione o sorveglianza dei iavoro e non anche dagU aitri dipendenti.) e il quinto 
comma dello stesso articolo (� in quanto consente che ii giudice civile possa accertare 
che ii fatto che ha provocato i'infortunio costituisca reato soitanto nezie ipotesi 
di estinzione deii'azione penaie per morte dell'imputato o per< amnisia, senza menzionare 
i'ipotesi di prescrizione dei reato �), sono stati dichiarati incostituzionali, i~ 
applicazione dell'art. 27, ultima parte, della legge 11 marzo 1953, n. 87, con sentenza 
9 marzo 1967, n. 22. 

Per altra questione di legittimit� costituzionale dell'art. 11 del d. P. R. 30 giugno 

1965, n. 1124, proposta dal tribunale di Udine (ordinanza 30 marzo 1967, G. U 

2 settembre 1967, n. 221), la Corte costituzionale, con ordinanza 17 marzo 1969: 

n. 35, ha disposto la restituzione degli atti per un nuovo giudizio sulla rilevanza. 
(24) Sotto l'indicato profilo l'art. 112, primo comma, del d. P. R. 30 giugno 1965, 
n. 1124 � stato dichiarato incostituzionale con sentenza 8 luglio 1969, n. 116. 
(25) Questione gi� proposta, per l'art. 42, dal pretore di Sant'Elpidio a Mare 
(ordinanza 28 febbraio 1969, G. U. 11 giugno 1969, n. 145) e, in riferimento anche 
all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Tricase (ordinanza 21 giugno 1969, 
G. U. 13 agosto 1969, n. 207). 

184 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vato con r. d. 5 giugno 1939, n. 1016), art. 3, che aggiunge l'art. 12 bis 
al r. d. 5 giugno 1939, n. 1016, in quanto, nel punire la mancata osservanza 
delle condizioni stabilite dal regolamento per l'esercizio della 
�accia, consente all'autorit� amministrativa di determinare il contenuto 
di precetti penalmente sanzionati (art. 25, secondo comma, della Costituzione). 


Pretore di Conegliano, ordinanza 30 giugno 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

d. I. 11 dicembre 1967, n. 1150 (Proroga dei termini per l'applicazione 
delle agevolazioni tributarie in materia di edilizia), convertito, 
con modificazioni, nella legge 7 febbraio 1968, n. �26, art. 5, primo comma, 
in quanto, disponendo che l'obbligo della ultimazione del fabbricato 
entro il biennio dall'inizio dei lavori deve intendersi abolito con effetto 
retroattivo anche ai fini dell'applicazione dei benefici tributari in materia 
edilizia, limita la decorrenza della retroattivit� alla data di entrata 
in vigore della legge 2 febbraio 1960, n. 35 (art. 3 della Costituzione). 
Corte di appello di Genova, ordinanze 28 aprile 1969 (G. U. 8 
ottobre 1969, n. 256) e 13 giugno 1969 (G. U. 22 ottobre 1969, n. 269). 

d. P. R. 27 aprile 1968, n. 488 (Aumento e nuovo sistema di calcolo 
delle pensioni a carico deLl'assicurazione generale obbligatoria), artt. 20, 
21 e 23 (26), in quanto escludono la cumulabilit� della pensione di 
anzianit� con la retribuzione, con disparit� di trattamento tra i pensionati 
a seconda che prestino o no attivit� lavorativa alle dipendenze 
di terzi (artt. 3, 4, 35, primo comma, �36 e 38, secondo comma, della 
Costituzione) (27). 
Tribunale di Salerno, ordinanze 27 e 28 maggio 1969 (quattro), 

G. U. 24 settembre 1969, n. 243. 
Tribunale di Maecrata, ordinanza 11 luglio 1969, G. U. 22 ottobre 
1969, n. 269. 

(26) Per l'art. 23 la questione viene proposta sola dal tribunale di Macerata. 
(27) Questione gi� proposta, per gli artt. 20 e 21, dal pretore di Firenze (ordinanze 
13 luglio 1968, G. U. 12 ottobre 1968, n. 261, e 25 novembre 1968, G. U. 29 
gennaio 1969, n. 25), dal pretore di Venezia (ordinanze 2 agosto 1968 (due), G. U. 
12 ottobre 1969, n. 261), dal pretore di Cagliari (ordinanza 28 agosto 1968, G. U. 
26 ottobre 1968, n. 275), dal pretore di Roma (ordinanze 9 novembre 1968, G. U. 
26 marzo 1969, n. 78 e 10 marzo 1969, G. U. 18 giugno 1969, n. 152), dal pretore di 
Riva del Garda (ordinanza 15 marzo 1969, G. U. 11 giugno 1969, n. 145), e dal 
tribunale di Reggio Emilia (ordinanza 18 marzo 1969, G. U. 11 eiugno 1969, n. 145). 

CONSULTAZIONI 


APPALTO 

Corrispettivo in valuta estera -Svalutazione -Diritto ad aumento del 
prezzo pattuito. 

Se una ditta appaltatrice abbia diritto ad ottenere un aumento del 
corrispettivo nel caso in cui, pattuito il prezzo in lire italiane o, alternativamente, 
in valuta estera, ed indicata quest'ultima come oggetto dell'obbligo 
de1l'a1ppaltante, sia intervenuta una svalutazione monetaria (n. 329). 

Revisione dei prezzi -Fallimento dell'appaltatore -Mancanza della certificazione 
relativa al pagamento degli oneri previdenziali. 

Se, in caso di fallimento dell'appaltatore, possa procedersi alla revisione 
dei prezzi, ricorrendo gli altri presupposti, anche in mancanza della 
certificazione prevista dall'art. 17, legge regionale 23 ottobre 1964, n. 22, 
relativa all'assolvimento degli obblighi derivanti dalle leggi sul lavoro 

(n. 330). 
ASSICURAZIONE 

E.N.P.A.S. -Surrogazione ex art. 1916 e.e. 
Se l'E.N.P.A.S. possa agire in via surrogatoria ex art. 1916 e.e. per 
il recupero delle prestazioni erogate a favore dell'assistito infortunatosi 
per fatto colposo del terzo (n. 80). 

CONTRIBUTI 

Contributi di miglioria -Determinazione del soggetto passivo. 

Con riferimento a quale momento si debba determinare il soggetto 
passivo del contributo di miglioria specifica per opere costruite dallo 
Stato (n. 82). 

COOPERATIVE 

Consorzi agrari, utili netti non conseguiti nel caso dell'esercizio -Distribuzione. 


Se i consorzi agrari possano, ai sensi dell'art. 34 d.l. 7 maggio 1948, 

n. 1235 distribuire ai soci dividendi i quali non risultano da utili netti 
conseguiti nel corso dell'esercizio ma da prelevamenti effettuati sugli accantonamenti 
costituiti negli esercizi precedenti (n. 6). � 
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186 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

COSTITUZIONE 

Art. 7 l. 29 marzo 1965, n. 217 -Questione di legittimit� costituzionale. 

Se l'art. 7 I. 29 marzo 1965, n. 217 sia costituzionalmente illegittimo in 
relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione (n. 53). 

DONAZIONE 

Donazione effettuata da un Comune agli effetti delia l. 30 dicembre 1960, 

n. 1676 -Accettazione da parte dello Stato -Autorizzazioni. 
Se il Comune, per stipulare l'atto di donazione agli effetti della 1. 
30 dicembre 1960, n. 1676 e successive modificazioni ed integrazioni, debba 
essere autorizzato dal Prefetto, a sensi dell\�timo comma dell'art. 87 t.u. 
legge comunale e provinciale, quale risulta dal testo sostituito dall'art. 1 

1. 9 giugno 1947, n. 530 (n. 40). 
Se J.o Stato, per accettare una donazione, debba essere autorizzato con 
zato con decreto del Presidente della Repubblica, giusta l'articolo unico 
della 1. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 40). 

Se lo Stato, per accettare donazioni di aree occorrenti all'esecuzione 
di opere previste dalla 1. 30 dicembre 1960, n. 1676,. debba essere autorizzato 
con decreto del Presidente della Repubblica, giusto l'articolo unico 

1. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 40). 
EDILIZIA ECONOMICA E POPOLARE 

Art. 7 l. 29 marzo 1965, n. 217 -Questione di legittimit� costituzionale. 

Se l'art. 7 I. 29 marzo 1965, n. 217 sia costituzionalmente illegittimo in 
relazione agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione (n. 215). 

Donazione effettuata da un Comune agli effetti della l. 30 dicembre 1960, 

n. 1676 -Accettazione da parte delio Stato -Autorizzazioni. 
Se il Comune, per stipulare l'atto di donazione agli effetti della 1. 
30 dicembre 1960, n. 1676 e successive modificazioni ed integrazioni, debba 
essere autorizzato dal Prefetto, a sensi dell'ultimo comma de1l'art. 87 t.u. 
legge comunale e provinciale, quale risulta dal testo sostituito dall'art. 1 

1. 9 giugno 1947, n. 530 (n. 216). 
Se il.o Stato, per accettare una donazione, debba essere autorizzato con 
decreto dal Presidente della Repubblica, giusta l'articolo unico .i. 5 giugno 
1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 216). 

Se lo Stato, per a�ccettar�e donazioni di aree occorrenti all'esecuzione 
di opere previste dalla L 30 dicembre 1960, n. 1676, debba essere autorizzato 
con decreto del Presidente della Repubblica, giusta l'articolo unico 

l. 5 giugno 1850, n. 1037 (art. 17 e.e.) (n. 216). 
T.U. 28 aprile 1938, n. 1165, art. 8 -Interpretazione. 
Se il primo comma dell'art. 8 t.u. 28 aprile 1938, n. 1165 sull'edilizia 
popolare ed economica si riferisca al caso di compravendita consensuale 
ovvero anche 1;11 caso di espropriazione (n. 217). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILITA 

Corresponsione della indennit� di temporanea occupazione. 

Se, nel caso in cui sia corrisposta l'indennit� di temporanea occupazione 
in relazione all'indennit� di espropriazione determinata in via amministrativa, 
tale indennit� debba essere successivamente ragguagliata all'indennit� 
di esproprio definitivamente determinata nel giudizio proposto 
dagli espropriati ex art. 51 della legge sulle espropriazioni per p.u. (n. 6). 

� Se sulla differenza fra l'indennit� di occupazione corrisposta in acconto 
e quella che venga definitivamente calcolata siano dovuti gli interessi 
(n. 6). 

Espropriazioni soggett~ alla l. 27 ottobre 1951, n. 1402 -Competenza od 
ordinare il deposito dell'indennit� non accettata -Rapporti con l'art. 3 

l. 20 marzo 1968, n. 391. 
Se, in caso di mancata accettazione dell'indennit� di esproprio, nelle 
procedure regolate dalla il. 27 ottobr�e 1951, n. 1402, debba applicarsi l'art. 9 
di quest'ultima legge ovvero l'art. 48 della legge fondamentale del 1865, 

n. 2359 come modificato dalla I. 20 marzo 1968, n. 391 (n. 281). 
Obblighi e diritti dell'espropriante e deU'espropriato -Inapplicabilit� delle 
norme che regolano il contratto di compravendita. 

Se sull'espropriato gravino l�e .obbligazioni del venditore, fra le quali, 
in particolare, quella di consegnare la cosa (art. 1476 e.e.) e di consegn'arla 
nello stato in cui essa si trovava nel momento della vendita (art. 1477 e.e.) 

o se siano applicabili, nell'ipotesi dell'espropriazione, le norme sulla mora 
credendi (n. 282). 
Redazione dello stato di consistenza senza l'autorizzazione prefettizia Legittimit�. 


Se siano da considerarsi legittimi gli stati di consistenza redatti previo 
avviso agli interessati, e con l'assenso di questi ad introdursi nei fondi, 
ma senza l'autorizzazione prefettizia di cui all'art. 7 della legge sulla espropriazione 
per pubblica utilit� (n. 283). 

FARMACIE 

Applicazione dell'art. 17 della l. n. 475/68 -Gestore provvisorio. 

Se la disposizione dell'art. 17 della 1. 475/68, la quale estende anche 
in favore dei gestori provvisori di farmacie l'adempimento da parte del 
vincitore di quelle obblig�azioni previste nell'art. 110 del t.u. LL.SS., sia 
applicabile allorch� l'autorizzazione all'apertura della farmacia venga rilasciata 
dopo l'entrata in vigore della legge suddetta, per concorsi banditi 
e definiti con graduatoria formata �ed approvata prima di detta entrata 
in vigore (n. 24). 

Se le indennit� di cui all'ari. 110 t.u. LL.SS. siano dovute ai sensi 
della legge n. 475/68 anche al gestore provvisorio di farmacia di nuova 
istituzione (n. 24). 



188 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IMPOSTA DI BOLLO 

Congedi straordinari dipendenti statali -Domanda -Uso della carta da 
bollo. 

Se ,le i'stanze dei dipendenti statali rivolte ad ottenere congedi straordinari 
siano assoggettate alla normale imposta di bollo (n. 41). 

IMPOSTA DI REGISTRO 

Registrazione di concessioni di impianti a fune nel Trentino-Alto Adige. 

Se gli atti di concessione di impianti a fune nella Regione TrentinoA:
lto Adige, che beneficino di sovvenzioni regionali, possano beneficiare 
della registrazione a tassa fissa, o debbano, invece, scontare l'imposta normale 
(n. 309). 

IMPOSTA DI SUCCESSIONE 

Epoca della valutazione dei beni donati in vita dal de cuius per la collazione. 


�Se debba farsi riferimento all'epoca dell'apertura della successione per 
la valutazione dei beni donati in vita dal de cuius ai fini del coacervo del 
relictum al donatum (n. 63). 

IMPOSTE E TASSE 

Agevolazioni fiscali di cui aHe leggi regionali siciLiame 28 aprile 1954, n. 11 
e 18 ottobre 1954, n. 37 -Termine di cui alla t.r. 14 giugno 1965, 

n. 14 -Perentoriet�. 
Se il termine di un anno previsto dalla legge regionale siciliana 14 giugno 
1965, n. 14, decorrente dalla scadenza del termine di efficacia della 
medesima, termine previsto per la presentazione della dichiarazione di 
abitabilit�, al fine di ottenere le agevolazioni fiscali di cui alla l.r. 28 aprile 
1954, n. 11, e 18 ottobre 1954, n. 37, sia perentorio (n. 509). 

Concordato preventivo -Crediti di natura erariale -Artt. 184 e 160 L.F. Applicabilit�. 


Se il concordato preventivo debba, ai sensi degli artt. 184 e 160 L.F., 
considerarsi produttivo di eff.etti pregiudizievoli su ogni credito chirografario 
anche se di carattere tributario (e quindi, a maggior ragione, su 
quello derivante da pena pecuniaria), in considerazione del consolidato 
indirizzo della Suprema Corte sulla natura pubblicistica del concordato 
:preventivo (n. 510). 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

Diritti doganali non riscossi per reato di contrabbando -Responsabilit� 
solidale dello spedizioniere. 

Se lo spedizioniere debba ritenersi responsabile per i tributi non riscossi 
anche nella ipotesi in cui J.a mancata riscossione derivi da reato di 
contrabbando al quale lo spedizioniere non abbia partecipato (n. 511). 

Epoca della valutazione dei beni donati in vita dal de cuius per la collazione. 


Se debba farsi riferimento all'epoca dell'apertura della successione per 
la valutazione dei beni donati in vita dal de cuius ai fini del coacervo del 
relictum al donatum (n. 512). 

Tassa di occupazione spazi pubblici -Soggetto passivo del tributo� -Titolare 
della concessione amministrativa di occupazione del suolo pubblico. 

Se il soggetto passivo della tassa di occupazione del suolo pubblico 
stradale a favore degli immobili frontistanti siano i proprietari degli stessi 
oppure chi ha ottenuto la concessione per l'occupazione o che comunque 
occupi di fatto l'al'lea pubblica, sia esso o non sia proprietario dell'immobile 
(n. 513). 

IMPIEGO PUBBLICO 

Congedi straordinari dipendenti statali -Domanda -Uso della carta da 

bollo. 

Se le istanze dei dipendenti statali rivolte ad ottenere congedi straordinari 
siano assoggettate alla normale imposta di bollo (n. 702). 

Professioni d.m. 18 settembre 1967. 

Se il d.m. 18 settembre 1967, inteso a regolare le modalit� per la 
liquidazione degli onorari spettanti agli ingegneri ed architetti per prestazioni 
professionali relative alla costruzione di opere di edilizia popolare 
ed �economica ,sovvenzionata dallo Stato, possa essere applicato nei soli 
cdnfronti degli impiegati dello Stato muniti di laurea in ingegneria e 
architettura che sono stati autorizzati ad esplicare un'attivit� professionale 
in aggiunta a quella cui sono tenuti per doveri del proprio ufficio ed a 
favore di un ente diverso dall'Amministrazione da cui gli stessi dipendono 
(n. 700). 

Rapporto d'impiego con ente pubblico diverso dallo Stato -Valutazione 
di anzianit� ai fini di determinate promozioni. 

Se il servizio prestato presso enti pubblici distinti dallo Stato possa 
esser valutato quale �anzianit� acquisita per precedente servizio> ai fini 
di determinate promozioni ai sensi degli artt. 199 e 200 del t.u. n. 3/1957 

(n. 701). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

IMPOSTE VARIE 

Tassa per la rimozione dei rifiuti solidi -Competenza passiva per quella . 
dovuta per le scuole. 

Se la tassa per la rimozione dei rifiuti solidi dalle scuole debba essere 
pagata dagli enti locali o dallo Stato (n. 20). 

OCCUPAZIONE 

Corresponsione della indennit� di temporanea occupazione. 

Se, nel caso in cui sia corrisposta la indennit� di temporanea occupazione 
in relazione all'indennit� di espropriazione determinata in via amministrativa, 
tale indennit� debba essere successivamente ragguag�iata all'indennit� 
di esproprio definitivamente determinata nel giudizio proposto 
dagli espropriati ex art. 51 della legge sulle espropriazioni per p.u. (n. 6). 

Se sulla diff.erenza fra l'indennit� di occupazione corrisposta in acconto 
e quel.Ia che venga definitivamente calcolata siano dovuti gli interessi 
(n. 6). 

PREVIDENZA ED ASSISTENZA 

E.N.P.A.S. -Surrogazione ex art. 1916 e.e. 
Se l'E.N.P.A.S. possa agire in via surrogatoria ex art. 1916 e.e. per 
il recupero delle prestazioni erogate a favore dell'assistito infortunatosi 
per fatto colposo del terzo (n. 68). 

Revisione dei prezzi -Fallimento dell'appaltatore -Mancanza detla certificazione 
relativa al pagamento degli oneri previdenziali. 

Se, in caso di fallimento dell'appaltatore, possa proceder.si alla revisione 
dei prezzi, ricorrendo gli altri presupposti, anche in mancanza della 
certificazione pl"evista dall'art. 17, legg.e regionale 23 ottobre 1964, n. 22, 
relativa all'assolvimento degli obblighi derivanti dalle leggi sul lavoro 

(n. 69). 
REGIONI 

Regione siciliana -Imposte e tasse -Art. 4 d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 


L. 6 dicembre 1965, n. 1379. 
1) Se, nell'interpretazione da dar�e all'art. 4 d.P.R. 26 luglio 1965, 

n. 1074, �avuto <riguardo alla L 6 dicembre 1965, n. 1379, che ha modificato 
l'accertamento e .la riscossione delle imposte di registro e bollo e sulla 
entrata sui corrispettivi dovuti per le utenze telefoniche, debba ritenersi 
che gli importi relativi spettino alla Regione siciliana (n. 170). 
2) Se, nell'interpretazione della stessa normativa, debba ritenersi che 
l'IGE, quando affluisca, per il pagamento, ad Uffici finanziari situati fuori 
del territorio regionale, spetti alla Regione skiliana (n. 170). 


NOTIZIARIO 


A Str�esa, nei giorni 25-28 settembre 1969, organizzata dall'Automobil 
Club, 'si � svolta la XXVI Conferenza del Traffico e della Circolazione. 

Tema del convegno � stato: � La mobilit� neHe aree metropolitane �. 
Relatore di sintesi nel pi� �specifico argomento: � Strade e ferrovie, trasporti 
pubblici e trasporti privati in rapporto alla evoluzione delle grandi 
aree urbanizzate e delle aree metropolitane� � stato il dott. ing. prof. Arturo 
Polese, Direttore dell'Istituto di Tecnica ed Economia dei Trasporti 
nella Facolt� di Ingegneria dell'Universit� di Napoli, mentre il dott. prof. 
ing. Augusto Clerici ed il sindaco di Milano, Aldo Auriasi, hanno trattato, 
rispettivamente, �Gli aspetti tecnici ed economici della evoluzione dei sistemi 
di trasporto nelle aree metropolitane in rapporto alla organizzazione 
del territorio � e � Le attribuzioni dello Stato, dei Comuni, delle Provincie� 
e delle Regioni in materia di organizzazione dei trasporti nelle aree metropolitane�. 


Il dott. Erasmo Peracchi, Presidente della Provincia di Milano e Presidente 
dell'Unione Regionale delle Provincie Lombarde, ha. introdotto il 
tema generale. 

Gli interventi al dibattito sono stati numerosi. I lavori del Convegno 
saranno, come di .consueto, pubblicati in volume. 



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