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ISTITUTO POLIGRAFICO EZECCA DELLO STATO 

ROMA2001 

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Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. 



ANNO LII -N. 1-4 GENNAIO-DICEMBRE 2000 


RA��EGNA 
AVVOCATURA 
DELJLO �TATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA2001 




ABBONAMENTI ANNO 2001 


ITALIA ESTERO 
ABBONAMENTO A.NNuo .............. . L. 80.000 L. 150.000 
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UN NUMERO SEPARATO .��.����.....�.. � 23.000 � 40.000 
� 11,88 � 20,66 

Prezzi doppi, tripli, quadrupli ecc. per tutti quei fascicoli che, 
stampati in unico volume, sostituiscono altrettanti numeri 
della prevista periodicit� annuale. 

Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Funzione Editoria 


P.zza Verdi, 10-00198 Roma 
Tel. 0685084127 -0685082307 
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E-mail: editoriale@ipzs.it 
e/e postale n. 387001 


Stampato in Italia -Printed in ltaly 
Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 


(3219079) Roma, 2001-Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 


INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
Sezione seconda: 
Sezione terza: 
Sezione quarta: 
Sezione quinta: 
Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di Ignazio 
Francesco Caramazza) ................ : . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura di Oscar Fiumara) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 
(a cura di Sergio Laporta) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di Raffaele 
Tamiozzo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Giancarlo Mand�) 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di Tarsia 
di Be/monte) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 
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� 
� 
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3 
91 
183 
220 
243 
343 
Parte seconda: DOTTRINA -OSSERVATORIO LEGISLATIVO 
OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA -CONSULTAZIONI 
DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
OSSERVATORIO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
pag. 
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� 
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3 
41 
53 
61 
Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica -R. de Felice P. 
Gentili -D. Giacobbe G. 
Mangia -G. Palmieri . 
P. Palmieri -G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Scia/ani -L. Ventre/la 
Hanno collaborato inoltre al presente numero: Giuseppe Albenzio Ivo 
Maria Braguglia -Lorenzo Capa/do -Tommaso Capezzane Gabriella 
D'Avanzo -Massimo Giannuzzi -Paola Lombardo Luigi 
Mazze/la -Giancarlo Pampanelli -Laura Paolucci Carmela 
Pluchino -Paola Maria Zerman 
La pubblicazione � diretta da 
OSCAR FIUMARA 


m . 
ARTICOLI, NOTE, DOTTRINA, RECENSIONI 


l.M. BRAGUGLIA, La tutela dei vini di qualit� prodotti in una regione determinata: 
l'imbottigliamento nella regione di produzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... . I, 162 
L. CAPALDO, Condotta antisindacale: pronuncia di mero accertamento e condanna in 
futuro ........................................................... . I, 207 
l.F. CARAMAZZA, Epilogo di un conflitto fra potere politico e potere giudiziario in 
tema di segreto di Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... . I, 39 
l.F. CARAMAZZA, Equiordinazione dei poteri nei conflitti dinanzi alla Corte ...... . I, 25 
R. DE FELICE, Interessi impliciti in operazioni finanziarie .................... . I, 297 
R. DE FELICE, Onere della prova e poteri officiosi del giudice tributario alla luce del 
suo compito fondamentale ........................................ . I, 338 
R. DE FELICE, Onere probatorio del privato e del fisco nel procedimento e nel processo 
di rimborso . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 288 
R. DE FELICE, Una impropria applicazione del Trattato Cee .................. . I, 304 
O. FIUMARA, Comunicazione dei dati personali perfar valere o difendere un diritto: 
il titolare del diritto di marchio e l'importazione di merci contraffatte o usurpative 
........................................................ . I, 98 
O. FIUMARA, La pratica della reimpostazione nel servizio postale universale ..... . I, 114 
O. FIUMARA, Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee dell'anno 
2000 in cause cui ha partecipato l'Italia ............................. . I, 91 
M. GIANNUZZI, In tema di ius superveniens e riparazione per ingiusta detenzione . . I, 356 
M. GIANNUZZI, L 'ultrattivit� del codice di procedura penale del 1930, tra disposizioni 
transitorie e di attuazione del codice di procedura penale del 1968 e principio 
costituzionale del giusto processo ................................... . I, 361 
P. LOMBARDO, Osservazioni in tema di continenza, pregiudizialit� e sospensione 
necessaria nel nuovo rito tributario ................................. . I, 315 
L. MAZZELLA, Ancora in tema di responsabilit� per danni da fumo ............ . I, 211 
G. PAMPANELLI, Le S.U. della Suprema Corte sanciscono l 'irrogabilit� della sanzione 
prevista dal! 'art. 9 della legge n. 14611990 per sciopero in violazione della 
c.d. ordinanza di precettazione senza preventiva contestazione dell'infrazione .. I, 187 
L. PAOLUCCI, Azione cautelare e decisione di merito ....................... . Il, 3 
C. PLUCHINO, La banda della Uno bianca: l'interruzione del rapporto organico esclude 
ogni responsabilit� della Pubblica Amministrazione .................. . I, 344 
F. QUADRI, Cittadini provenienti da paesi terzi e diritto di stabilimento ......... . I, 151 
F. SCLAFANI, Alcune riflessioni sul nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 
luglio 2000, n. 205 .............................................. . I, 11 
F. SCLAFANI, Il TAR del Lazio come giudice nazionale della concorrenza ........ . Il, 19 
P.M. ZERMAN, La natura giuridica dell'Ente Scuola in relazione al patrocinio 
dell 'Avvocatura dello Stato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il, 32 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACCERTAMENTO 

-Atti di amministrazione fiscale estera -Valutazione 
-Necessit�, 273. 

-Redditi di capitale -Utili -Di societ� di 
capitali con base societaria ristretta e fami� 
liare -Distribuzione in nero degli utili non 
contabilizzati ai soci -Presumibilit�, 273. 

-Spese non contabilizzate -Indeducibilit� Abrogazione 
della relativa norma -Retroattivit�, 
333. 

-Spese non contabilizzate -Onere della 
prova -Del contribuente, 333. 

ARBITRATO 

-Lodo -Impugnazione di nullit� -ludicium 
rescindens -Omissione -Effetti, 196. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Biotecnologia -Organismi geneticamente 
modificati -Procedimento per l'emissione 
deliberata nell'ambiente -Fase nazionale e 
fase comunitaria, 128. 

-Biotecnologia -Organismi geneticamente 
modificati -Procedimento per l'emissione 
deliberata nell'ambiente -Validit� della 
decisione favorevole della Commissione Competenza 
della Corte di giustizia, 129. 

-Convenzione di Bruxelles sulla competenza 
giurisdizionale -Competenza esclusiva 
in materia di affitto di immobili -Ambito 
di applicazione, l 06. 

-Corte di Giustizia delle Comunit� europee 
-Rinvio pregiudiziale -Nozione di giurisdizione 
di uno degli Stati membri -Corte 
dei conti -Controllo successivo sulla 
gestione dell 'ANAS -Procedimento di 
natura non giurisdizionale, l 02. 

-Diritto di stabilimento e di soggiorno Associazione 
CEE -Turchia -Effetto diretto, 
con nota di F. QUADRI, 150. 

-Impresa pubblica -Servizio postale -Reimpostazione 
immateriale -Applicazione 
delle tariffe nazionali dello Stato di distribuzione 
della posta -Limiti, con nota di O. 
FIUMARA, 113. 

-Libera circolazione dei lavoratori -Regole 
di concorrenza applicabili alle imprese Giocatori 
professionisti di pallacanestro 


Regolamenti sportivi relativi al trasferimento 
di giocatori provenienti da altri Stati 
membri, 138. 

-Libera circolazione delle merci -Esportazioni 
-Vini di qualit� prodotti in una 
regione determinata -Denominazioni di 
origine -Obbligo di imbottigliamento nella 
regione di produzione -Giustificazione Conseguenze 
di una precedente pronuncia 
pregiudiziale, con nota di I.M. BRAGAGLIA, 
162. 

-Libera circolazione delle merci -Merci 
contraffatte o usurpative -Comunicazione 
dei dati personali del dichiarante o del 
destinatario delle merci al titolare del diritto 
di marchio -Limiti, con nota di O. 
FIUMARA, 98. 

-Libera prestazione dei servizi -Regole di 
concorrenza applicabili alle imprese Judoka 
-Normative sportive che prevedono 
contingenti nazionali e procedure di 
selezione da parte delle federazioni nazionali 
per la partecipazione a tornei internazionali, 
137. 

CONCORSO 

-Esami a posti di notaio -Prova di preselezione 
informatica -Mancato superamento Domanda 
cautelare -Insussistenza delfamus 
iuris -Ammissione con riserva alle prove 
scritte del concorso -Accoglimento, 228. 

CONTENZIOSO 

-Definizione agevolata -Avvisi di liquidazione 
per imposta di registro -Esito di procedimento 
ex art. 12, d.l. 70/88 -
Definibilit� -Esclusione, 336. 

-Nuovo rito -Divieto di sospensione del 
processo tributario -Questioni pregiudiziali 
rimesse ad altro giudice tributario Sospensione 
necessaria -Opera, con nota 
di P. LOMBARDO, 314. 

-Poteri del giudice -Integrazione delle prove 
offerte dalle parti -Doverosit� -Dovere 
di ricostruire l'imponibile quale giudice del 
rapporto -Doverosit� -Necessaria motivazione 
in caso di non uso di tale potere integrativo, 
con nota di R. de FELICE,}38. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

VI 

-Questioni preliminari -Lite su spettanza di 
esenzione decennale -Lite su rimborso 
delle imposte versate in uno dei dieci anni, 
nell'attesa del provvedimento di esenzione 
-Continenza reciproca, con nota di P. 
LOMBARDO, 314. 

CONVENZIONI INTERNAZIONALI 

-Doppia imposizione -Italia/Francia -Redevances 
o royalties -Corrisposte da impresa 
italiana a impresa francese -Imponibilit� Condizioni 
-Stabile organizzazione in 
Italia dell'impresa francese -Controllo 
quasi totalitario dell'impresa italiana Natura 
di costo delle redevances, 281. 

-Italia -Regno Unito di Gran Bretagna, 
Scozia e Irlanda del Nord -Royalties -Imponibilit� 
-Sussistenza -Limiti: 8%, 278. 

-Italia/USA -Royalties -Imponibilit� ILOR 
nel regime della Convenzione del 1955 Esclusione, 
con nota di R. de FELICE, 304. 

-Italia/USA -Royalties a soggetti statunitensi 
-Esenzione -ILOR -Inapplicabilit�, 

250. 
CORTE COSTITUZIONALE 

-Conflitto di attribuzione tra poteri dello 
Stato -Referendum abrogativi -Campagna 
referendaria 2000 -Informazione radiotelevisiva 
e comunicazione istituzionale sui 
quesiti referendari -Disciplina emessa, in 
attuazione della legge 2000, dalla 
Commissione parlamentare per l'indirizzo 
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi 
-Lamentato cattivo uso dei poteri 
spettanti alla Commissione -Insussistenza 
-Reiezione del ricorso, 61. 
-Conflitto fra Provincia autonoma e Stato 
per atto emesso da Procuratore della 
Repubblica -Determinazione di non intervento 
del Presidente del Consiglio non 
preceduta da intesa con, o richiesta di 
parere al Procuratore -Conflitto fra poteri 
dello Stato sollevato dal Procuratore della 
Repubblica nei confronti del Presidente 
del Consiglio -Inammissibilit�, con nota di 

l.F. CARAMAZZA, 24. 
-Giudizio incidentale di costituzionalit� Legge 
regionale sulla consultazione delle 
popolazioni interessate in materia di modifica 
delle circoscrizioni comunali Individuazione 
di tali popolazioni sulla 
base di criteri formali di mera localizzazione 
-Irragionevolezza -Illegittimit�, 3. 

- 
Ricorso per conflitto di attribuzioni Provincia 
-Violazione delle attribuzioni 
provinciali da parte del Sostituto Procu


ratore della Repubblica -Modalit� di indagine 
-Legittimit� parziale in funzione del1 
'anteriorit� al reato -Lesione competenze 
provinciali per accertamenti successivi, 70. 


ENTI PUBBLICI 

I r

-Cassa Depositi e Prestiti -� ente pubblico 
economico -Controversie relative al rapporto 
di lavoro del personale dipendente Giurisdizione 
dell' A.G.O., 200. 

l 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Occupazione legittima -Indennit� Determinazione 
-Parametrazione su quella 
d'esproprio in concreto spettante, 198. 

-Terreni occupati d'urgenza per esigenze 
militari -Qualificazione edificatoria dell'area 
espropriata -Momento di riferimento � 
quello della disposta occupazione, 183. 

GIURISDIZIONE 

-Ingiunzione fiscale -Per IVA -Commissioni 
tributarie -Opposizione di terzo Idem, 
294. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Servizi pubblici -Concessioni -Indennit�, 
canoni e corrispettivi -Devoluzione della 
materia alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo -Questione di legittimit� 
costituzionale per eccesso di delega 
legislativa -Fondatezza, con nota di F. 
SCLAFANI, 10. 

-Servizi pubblici -Devoluzione della materia 
alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo -Definizione dell'oggetto 
della delega legislativa -Questione di legittimit� 
costituzionale -Infondatezza, con 
nota di F. SCLAFANI, 10. 
-Servizi pubblici -Devoluzione della materia 
alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo -Questione di legittimit� 
costituzionale per eccesso di delega 
legislativa -Fondatezza, con nota di F. 
SCLAFANI, 10. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Dimissioni di dipendenti di istituti scolastici 
-Accettazione -Termine di sessanta 
giorni indicato dal D.M. 11 luglio 1991 

n. 212 per l'accettazione delle dimissioni Decorrenza 
-Non gi� dalla data di presentazione 
della domanda, ma dalla data in cui 
le dimissioni divengono irrevocabili, 224. 

INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Sindacati -Condotta antisindacale esaurita 
-Ricorso ex art. 28 legge 20 maggio 1970 

n. 300 -Ammissibilit� -Esclusione, con 
nota di L. CAPALDO, 207. 
- 
Svolgimento di fatto di mansioni superiori 
-Rilevanza -Criteri, 220. 

LAVORO 

-Ordinanza di precettazione prevista dal1'
art. 8 della legge 12 giugno 1990, n. 146 
-Violazione da parte del lavoratore tenuto 
all'ottemperanza -Relativa sanzione pecuniaria 
contemplata dall'art. 9 della legge 

n. 146/90 -Necessit� di contestazione d�ll'infrazione 
prima della irrogazione della 
sanzione ex art. 14 della legge 24 novembre 
1981 n. 689 -Esclusione, con nota di 
G. PAMPANELLI, 186. 
MISURE DI PREVENZIONE ANTIMAFIA 

-Divieti e decadeI1Ze -Posizione del convivente 
-Presunzione a suo carico -Contrasto 
con principi di diritto alla difesa, di 
libert� di iniziativa economica -Presunzione 
di non colpevolezza -Possibilit� 
prova contraria -Non fondatezza della questione, 
66. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO 

-Procedimento disciplinare a carico di 
magistrati -Esclusione della facolt� del 
magistrato di farsi difendere da un legale 
del libero foro -Violazione delle garanzie 
difensive del magistrato -Illegittimit� costituzionale 
in parte qua, 56. 

-Perquisizione dei detenuti -Limiti -Tutela 
giurisdizionale -Onere motivazione Obbligo 
documentazione attivit� e motivazioni, 
78. 

-Perquisizione dei detenuti -Residua libert� 
personale dei detenuti -Garanzie giurisdizionali 
-Restriz~oni implicate dallo stato di 
detenzione, 78. 

POSTE E RADIOTELECOMUNICAZIONI 

-Dismissione terza rete -Concessioni televisive 
per trasmissioni codificate in ambito 
nazionale -Cessione -Esclusione -Disattivazione 
-Legittimit�, 230. 

PROCEDURA PENALE 

-Connessione tra il procedimento concernente 
il reato di strage/disastro aviatorio e 
quello relativo al reato di alto tradimento, 
ex art. 45, nn. 1-2 del c.p.p. del 1930 


Giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria 
-Sussistenza, con nota di M. GIANNUZZI, 
360. 

"'--Istanza di correzione di errore materiale 
proposta per la declaratoria della falsit� di 
un atto pubblico -Convertibilit� nell'incidente 
di esecuzione ex art. 675 c.p.p., 353. 

-Modificazione dell'art. 111 Cost., per effetto 
dell'entrata in vigore della legge costituzionale 
n. 2/99 -Abrogazione implicita 
delle norme del c.p.p. del 1930 -Esclusione, 
con nota di M. GIANNUZZI, 360. 

-Procedimenti che proseguono con le norme 
anteriormente vigenti -Connessione tra il 
procedimento concernente reati, poi definiti 
con sentenza istruttoria, contestati a 
diversi imputati a seguito di emissione di 
mandato di comparizione da parte del giudice 
istruttore, e quello per il reato di alto 
tradimento, contestato successivamente al 
24 ottobre 1989, quanto meno a titolo di 
connessione probatoria -Sussistenza, con 
nota di M. GIANNUZZI, 359. 

-Procedimenti che proseguono con le norme 
anteriormente vigenti -Connessione tra il 
reato di alto tradimento commesso in 
Roma ed il delitto di strage in ordine al 
quale � competente altra autorit� giudiziaria 
-Sentenza di non doversi procedere in 
ordine al reato di strage -Rilevanza della 
connessione ai fini della determinazione 
della competenza territoriale per il reato di 
alto tradimento -Esclusione -Competenza 
territoriale dell'autorit� giudiziaria romana, 
376. 

-Procedimenti che proseguono con le 
norme anteriormente vigenti -DepositO' di 
note peritali successivamente alla scadenza 
del termine concesso alla difesa per l'esame 
degli atti -Nullit� delle note peritali 
-Assenza di dipendenza sostanziale dell'ordinanza 
di rinvio a giudizio da tali 
note peritali -Trasmissibilit� della nullit� 
delle note peritali all'ordinanza di rinvio a 
giudizio -Esclusione, con nota di M. 
Giannuzzi, 360. 

-Procedimenti che proseguono con le norme 
anteriormente vigenti -Formazione del 
fascicolo per il dibattimento -Ingresso in 
tale fascicolo di tutti gli atti trasmessi al 
giudice del dibattimento dal giudice istruttore, 
376. 

-Procedimenti che proseguono con le norme 
anteriormente vigenti -Mancato rispetto 
del termine per il deposito nel fascicolo 
della Cancelleria -Nullit� dell'ordinanza di 
rinvio a giudizio -Esclusione, 376. 

-Procedimenti che proseguono con le norme 
anteriormente vigenti -Manca~o rispetto 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

VIII 

del termine previsto dall'art. 242, comma 
3, disp. att., per il deposito dell'ordinanza 
di rinvio a giudizio -Nullit� -Esclusione, 
con nota di M. GIANNUZZI, 360. 

-Procedimenti che proseguono con le nonne 
anteriormente vigenti -Ordine di assunzione 
delle prove -Posposizione dell'interrogatorio 
dell'imputato all'audizione delle 
parti civili non indicate come testi -Assunzione 
della prova chiesta dall'accusa 
pubblica e privata, 376. 

-Procedimenti che proseguono con le norme 
anteriormente vigenti -Tecnica di conduzione 
dell'esame dei testi e dell'interrogatorio 
delle parti -Esame incrociato, segtiito 
eventualmente da domande poste dal giudice, 
376. 

-Procedimento concernente il reato di 
falsa testimonianza commesso in data 
successiva al 24 ottobre 1989 -Ultrattivit� 
del codice di procedura penale anteriormente 
vigente -Esclusione -Competenza 
del giudice istruttore -Esclusione 
-Ordinanza di rinvio a giudizio concernente 
tale reato -Nullit�, con nota di M. 
GIANNUZZI, 359. 

-Questione di legittimit� costituzionale del!'
art. 242, 1� e 3� comma, disp. trans. per 
contrasto con l'art. 111 Cost. -Manifesta 
infondatezza ed irrilevanza, con nota di M. 
GIANNUZZI, 361. 

-Questione di legittimit� costituzionale del1'
art. 245 disp. trans. per contrasto con 
l'art. 111 Cost. -Manifesta infondatezza, 
con nota di M. GIANNUZZI, 360. 
-Questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 386 c.p.p. del 1930, per contrasto 
con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. -Manifesta 
infondatezza, con nota di M. GIANNUZZI, 

360. 
-Riparazione per l'ingiusta detenzione Limite 
massimo dell'entit� della riparazione 
-Elevazione ad un miliardo, per effetto 
dell'entrata in vigore della legge n. 479/99 
-Applicabilit� dello ius superveniens ai 
procedimenti non definiti, con nota di M. 
GIANNUZZI, 356. 

---' Sentenza di applicazione della pena su 
richiesta -Falsit� materiale in atti pubblici 
-Omessa dichiarazione della falsit� di un 
atto pubblico -Istanza di correzione di 
errore materiale -Inammissibilit�, 353. 

- 
Sentenza di applicazione della pena su 
richiesta -Falsit� materiale in atti pubblici 
-Omesso accertamento della difformit� dal 
vero di un atto pubblico -Istanza di declaratoria 
della falsit� dell'atto pubblico proposta 
mediante incidente di esecuzione Infondatezza, 
353. 

PUBBLICIT� E SPONSORIZZAZIONE A 
FAVORE DEI PRODOTTI DEL TABACCO 

. 

-Direttiva per il ravvicinamento delle disposizioni 
nazionali -Fondamento giuridico Invalidit�, 
174. 

REATO 
.� 

-Previsto e punito dell'art. 77 c.p.m.p. -Rilevanza 
della qualit� di militare solo quoad 
poenam -Natura di reato circostanziato 
rispetto a quello di attentato agli organi 
costituzionali -Esclusione -Autonomia del 
reato p.e p. dall'art. 77 c.p.m.p., quale reato 
militare, rispetto a quello p.e p.dall'art. 289 
c.p., con nota di M. GIANNUZZI, 360. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Responsabilit� diretta della Pubblica Amministrazione 
-Presupposti -Dipendenza 
organica e occasionalit� necessaria, con 
nota di c. PLUCHINO, 344. 

-Riferibilit� alla P.A. del comportamento 
illecito del dipendente -Presupposti Necessit� 
di un collegamento concreto e 
sostanziale tra comportamento criminoso e 
mansioni affidate, con nota di C. PLUCHINO, 
343. 

RESPONSABILIT� CIVILE DELLA PUB


BLICA AMMINISTRAZIONE 

-Fatto illecito del dipendente -Deviazione 
dai fini istituzionali -Interruzione del rapporto 
organico -Criteri per l'accertamento 
-Fattispecie: agente di polizia, con nota di 

C. PLUCHINO, 343. 
- 
Illegittima sospensione licenza di commercio 
-Risarcimento danni -Esclusione, 

202. 
RISARCIMENTO DEI DANNI DA FUMO 

-Responsabilit� del produttore di sigarette Art. 
2043 e.e. -Non sussiste pi� il comportamento 
determinante del danneggiato, con 
nota di L. MAZZELLA, 211. 

-Responsabilit� del produttore di sigarette Art. 
2050 e.e. -Non � attivit� pericolosa Non 
sussiste responsabilit�, con nota di L. 
MAZZELLA, 211. 

SANIT� 

-Diritto alla salute -Danni da vaccinazione 
antiepatite B -Diritto all'indennizzo a partire 
dall'anno 1983 -Sussiste -Illegittimit� 
in parte qua, 32. 



INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Diritto alla salute -Danni da vaccinazione 
obbligatoria, trasfusioni ed emoderivati Diritto 
all'indennizzo -Liquidazione del 
danno biologico -Discrezionalit� del legi-. 
slatore -Infondatezza della questione, 33. 

-Diritto alla salute -Danni irreversibili da 
epatiti post-trasfusionali -Diritto all'indennizzo 
-Assegno �una tantum� per 
il periodo tra il manifestarsi della malattia 
e l'ottenimento dell'indennizzo -Mancata 
previsione -Infondatezza della questione, 
33. 

SEGRETO DI STATO 

-Opposizione e conferma del presidente del 
Consiglio -Conseguenti limiti al potere del 
pubblico ministero e del G.l.P., con nota di 

l.F. CARAMAZZA, 
TRIBUTI (IN GENERALE} 

-Contenzioso tributario -Impugnazioni Ricorso 
per cassazione -Luogo di notifica 
della sentenza ai fini della decorrenza del 
termine breve -Art. 21, comma 1, legge 13 
maggio 1999 n. 133 -Onere di notifica 
presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato 
competente ex art. 11, secondo comma 

R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 -Efficacia 
retroattiva -Questione di legittimit� costituzionale 
per violazione dell'art. 3 Cost. Fondatezza 
in parte qua, 75. 
-Rimborso -Interessi anatocistici -Spettano, 
258. 

- 
Riscossione -Ingiunzione fiscale -Istituzione 
dei concessionari della riscossione Procedura 
esecutiva ingiunzionale, anteriore 
alla riforma -Applicabilit� -Condizioni 
-Notifica dell'ingiunzione in data anteriore 
al 1 gennaio 1990, 293. 

TRIBUTI DOGANALI 

-Diritti di statistica e per i servizi amministrativi 
-Contrasto con il Trattato CEE Azione 
di rimborso -Onere della prova Bollette 
doganali indicate ma non prodotte 
dall'attore -Dovere di esibizione da parte 
della P.A. -Sussistenza, con nota di R. de 
FELICE, 288. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-IRPEF -Redditi diversi -Plusvalenze da 
esproprio -Percepite dopo il 31 dicembre 

1991 in virt� di atti o provvedimenti anteriori 
al 31 dicembre 1988 -Imponibilit� Esclusione, 
243. 

-IRPEF -Redditi diversi -Plusvalenze da 
esproprio -Percepite dopo il 31 dicembre 
1991 per titolo anteriore al 31 dicembre 
1988 -Imponibilit�, 329. 

-IRPEG -Cessione di azienda per corrispettivo 
dilazionato -Cessione del relativo credito 
a prezzo molto inferiore -Perdita su 
crediti -Insussistenza -Natura di sconto 
finanziario -Deducibilit� in pi� esercizi, 
con nota di R. de FELICE, 297. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di successione -Attivo -Diritto 
alla liquidazione della quota di una societ� 
semplice di cui era socio il defunto Rettificabilit� 
-Esclusione, 253. 

-IVA -Detrazione -Canoni di leasing Detrazione 
da parte del concedente Mancata 
consegna del bene da parte del 
fornitore al concessionario, all'insaputa del 
concedente -Spettanza della detrazione Insussistenza, 
260. 

-IVA -Obblighi del contribuente -Fatturazione 
-Irregolare -Obbligo di regolarizzazione 
-Fattispecie di erronea fatturazione 
come esente di prestazione imponibile Obbligo 
di regolarizzazione -Esclusione, 

255. 
-IVA-Rettifica -Elementi -Ricarico calcolato 
sulla base di dichiarazioni delle parti 
accertate e dei cartellini dei prezzi Legittimit�, 
286. 

-IVA -Rettifica -Ispezione -Libri e documenti 
di cui � rifiutata l'esibizione -Utilizzabilit� 
-Esclusione -Condizioni -Dolo Necessit�, 
262. 

-IVA -Riscossione -Ingiunzione -Opposizione 
-Poteri del giudice -Sospensione Non 
sussiste, 294. 

-Registro -Accertamento -Immobili Valutazione 
-Stima Ute -Contenzioso Poteri 
delle commissioni -Valutazione 
officiosa -Sussistenza, 284. 

- 
Registro -Accertamento -Immobili non 
attributari di rendita catastale -Richiesta di 
valutazione automatica -Differenza tra il 
valore risultante dalla valutazione, dopo 
l'attribuzione di rendita, e quello dichiarato 
-Imposizione -Liquidazione -Definizione 
della lite ex art. 2 quinquies d.l. 
564/94 -Esclusione, 248. 


I , 

. 
.


I 




INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

7 aprile 2000, n. 94 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 
17 luglio 2000, n. 292 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 1O 
20 luglio 2000, n. 309 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 24 
9-16 ottobre 2000, n. 423 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 32 
25 ottobre -10 novembre 2000, n. 487 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 39 
16 novembre 2000, n. 497 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 56 
17 novembre 2000, n. 502 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 61 
20 novembre 2000, n. 510 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 66 
20 novembre 2000, n. 511 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 70 
22 novembre 2000, n. 525 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 75 
22 novembre 2000, n. 526 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 78 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sez. sa, 14 ottobre 1999, nella causa C-223/98 ............................. pag. 98 
Plenum, ordinanza 26 novembre 1999, nella causa C-192/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 102 
Sez. 6a, 27 gennaio 2000, nella causa C-8/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 106 
Plenum, 10 febbraio 2000, nelle cause riunite C-147/97 e C-148/97 ........ , . . . . � 113 
Plenum, 21 marzo 2000, nella causa C-6/99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 128 
Plenum, 11 aprile 2000, nelle cause riunite C-51/96 e C-191/97 . . . . . . . . . . . . . . . . � 137 
Sez. 6a, 13 aprile 2000, nella causa C-176/96 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 137 
Sez. 6a, 11 maggio 2000, nella causa C-37/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 150 
Plenum, 16 maggio 2000, nella causa C-388/95 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 162 
Plenum, 5 ottobre 2000, nella causa C-376/98 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 174 
Plenum, 5 ottobre 2000, nella causa C-74/99 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 174 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 3 marzo 1999, n. 1764 .......................................... pag. 183 
Sez. I, 29 dicembre 1999, n. 14673 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 243 
Sez. I, 5 gennaio 2000, n. 64 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 248 
Sez. I, 25 gennaio 2000, n. 81 O . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 250 
Sez. Tributaria, 28 gennaio 2000, n. 993 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 253 
Sez. Tributaria, 18 febbraio 2000, n. 1841 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 255 
Sez. Tributaria, 18 febbraio 2000, n. 1850 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 258 
Sez. Tributaria, 18 febbraio 2000, n. 1851 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 260 
S.U., 25 febbraio 2000, n. 45 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 262 
Sez. Tributaria, 3 marzo 2000, n. 2390 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 273 
Sez. Tributaria, 20 marzo 2000, n. 3251 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 278 
Sez. Tributaria, 24 marzo 2000, n. 3547 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 281 
Sez. Un., 30 marzo 2000, n. 66 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 186 
Sez. Tributaria, 8 maggio 2000, n. 5776 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 284 
Sez. Tributaria, 22 maggio 2000, n. 6631 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 286 
Sez. Tributaria, 20 giugno 2000, n. 8340 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 288 
Sez. Un., 12 ottobre 2000, n. 1092 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 293 
Sez. Tributaria, 20 ottobre 2000, n. 13916 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 297 
Sez. Tributaria, 28 ottobre 2000, n. 14253 .................................__ � 304 


INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA 

XII 
"� 

Sez. Tributaria, 30 ottobre 2000, n. 14281 ................................. pag. 314 
Sez. Tributaria, 6 novembre 2000, n. 14451 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 329 
Sez. I, 9 novembre 2000, n. 14570 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 196 
Sez. Tributaria, 15 dicembre 2000, n. 15888 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 333 
Sez. I, 20 dicembre 2000, n. 16028 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 198 
Sez. Un., 22 dicembre 2000, n. 1325 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 200 
Sez. Tributaria, 22 dicembre 2000, n. 16091 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 336 
Sez. Tributaria, 23 dicembre 2000, n. 16171 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 338 

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE 

Sez. I, 4 dicembre 2000, n, 1992 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 202 

TRIBUNALE DI PORDENONE 
25 ottobre 2000, n. 366 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 207 

TRIBUNALE DI ROMA 
Sez. Il, 11 febbraio 2000, n. 4119 � 211 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. Plen., 25 gennaio 2000, n. 1O . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 220 
Ad. Plen., 29 dicembre 2000, n. 17 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 224 
Sez. IV, ordinanza 20 settembre 2000, n. 4647 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 228 
Sez. VI, 10 novembre 2000, n. 6058 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 230 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE ' 

Sez. V pen., 2 febbraio 1999, n. 1386 .................................... pag. 343 ~ 
Sez. I, 13 marzo 2000, n. 1830 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 353 :: 
Sez. IV, 22 giugno 2000, n. 3744 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 356 
Sez. VI, 15 dicembre 2000, n. 1269 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 344 


CORTE DI ASSISE DI ROMA 

Sez. III, ordinanza emessa in data 1 dicembre 2000 .......................... pag. 359 
Sez. III, ordinanza emessa in data 21 dicembre 2000 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � \ 376 

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PARTE SECONDA 

DOTTRINA ....................................................... pag. 3 
OSSERVATORIO LEGISLATIVO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 41 
OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 53 
CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 61 


PARTE PRIMA 



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GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 7 aprile 2000 n. 94 -Pres. Guizzi -Red. Onida Comune 
di Isola della Scala, Comune di Bovolone, Comune di Oppeano e 
Regione Veneto. 

Giudizio incidentale di costituzionalit� -Legge regionale sulla consultazione 
delle popolazioni interessate in materia di modifica delle circoscrizioni 
comunali -Individuazione di tali popolazioni sulla base di criteri formali di 
mera localizzazione -Irragionevolezza -Illegittimit�. 

(Cost., artt. 3, 133; legge reg. Veneto 24 dicembre 1992 n. 25, art. 6; legge reg. Veneto 21 
aprile 1995, n. 37). 

L'art. 6 della legge della Regione Veneto 2 4 dicembre 199 2 n. 25, cos� come 
modificata dalla legge della Regione Veneto 30 settembre 1994 n. 61, che disciplina 
la partecipazione delle popolazioni interessate alla modifica delle circoscrizioni 
comunali ai sensi dell'art. 133 della Costituzione a mezzo di referendum, � illegittima 
per violazione degli artt. 3 e 133 della Costituzione nella parte in cui prevede 
che al referendum prenda parte l'intera popolazione dei Comuni di provenienza o 
di destinazione dei territori da trasferire, se il trasferimento riguardi almeno il 30% 
della popolazione o almeno il 10% del territorio rispettivo, e invece solo la popolazione 
residente nel territorio da trasferire per quei Comuni nei quali non si raggiungano 
le predette soglie di incidenza. 

Nell'uso del potere discrezionale coeferitogli dall'art. 133 della Costituzione per 
individuare le popolazioni chiamate ad esprimersi in materia il legislatore regionale 
deve infatti rispettare criteri di ragionevolezza; criteri che risultano violati da un meccanismo 
di tipo matematico ed inderogabile, quale quello nella specie adottato, che 
potrebbe comportare effetti irrazionali e distorsivi della volont� popolare (1). 

(1) La sentenza in rassegna tocca delicati temi in materia di autodeterminazione e partecipazione 
nel quadro delle autonomie locali ed alla luce del principio cardine di ragionevolezza, 
riconducendo a sistema precedenti e parzialmente discordanti pronunce in materia di individuazione 
delle �popolazioni interessate� che debbono essere sentite nell'ambito del procedimento di 
modifica dei confini comunali. 
Nella sentenza n. 453 del 1989 la Corte aveva, infatti, affermato che l'obbligo di consultazione 
riguarderebbe la �popolazione direttamente interessata�, intesa come quella residente nelle 
aree destinate ad essere trasferite da un Comune all'altro, escludendo che potesse riconoscersi 
all'intera popolazione dei Comuni coinvolti �un interesse qualificato per intervenire in procedimenti 
di variazione che riguardano parti del territorio rispetto al quale essa non abbia alcun diretto 
collegamento�. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

4 

(omissis) 

1. -Le questioni, sollevate nel corso di un giudizio amministrativo nel quale 
sono contestati gli atti esecutivi di una variazione territoriale concernente tre Comuni 
della Provincia di Verona, disposta con la legge della Regione Veneto 21 aprile 
1995, n. 37 (Modifica delle circoscrizioni territoriali dei comuni di Bovolone, Isola 
della Scala e Oppeano della Provincia di Verona), investono in primo luogo l'art. 6 
della legge della Regione Veneto 24 dicembre 1992, n. 25 (Norme in materia di variazioni 
provinciali e comunali), cos� come modificato dagli artt. 3 e 4 della legge della 
Regione Veneto 30 settembre 1994, n. 61 (Modificazioni ed integrazioni alla legge 
regionale 24 dicembre 1992, n. 25), che disciplina la consultazione referendaria delle 
popolazioni interessate nell'ambito e ai fini di una procedura di variazione del territorio 
di Comuni; in secondo luogo, la stessa legge regionale n. 37 del 1995, sia in via 
conseguenziale, in quanto approvata sulla base di una consultazione referendaria 
intervenuta secondo le previsioni dell'impugnato art. 6 della legge regionale n. 25 del 
1992, sia, subordinatamente, in via autonoma per altri profili di illegittimit�. 
L'art. 6 della legge regionale n. 25 del 1992 prevede, al comma 1, che sulle proposte 
di variazione del territorio di Comuni -in particolare, per quanto qui interessa, 
di aggregazione di parti del territorio di uno o pi� Comuni a quello di un altro 
Comune -sia chiamata a pronunciarsi con referendum l'intera popolazione di ciascuno 
dei Comuni, coinvolti nella variazione in quanto destinati vuoi a cedere, vuoi 
ad acquisire parti di territorio, solo quando la proposta investa pi� del 30 per cento 
della popolazione ovvero pi� del 1 Oper cento del territorio del Comune medesimo; 
la sola popolazione, invece, residente nelle aree destinate al trasferimento, in quei 
Comuni per i quali dette soglie di popolazione o di territorio non siano raggiunte; al 
comma 2 stabilisce poi che si prescinde dal referendum quando il territorio oggetto 
del trasferimento sia disabitato e abbia una superficie inferiore alla predetta percentuale 
del 1 Oper cento. Nella specie cui si riferisce il giudizio a quo, riguardante una 
ipotesi di scorporo di parti del territorio da due Comuni (Isola della Scala e Oppea-

Nella sentenza n. 433 del 1995, invece, aveva statuito che �la regola generale direttamente 
ricavabile dall'art. 133, secondo comma, della Costituzione�, esigerebbe �la consultazione di 
tutta la popolazione del Comune o dei Comuni le cui circoscrizioni devono subire modificazione
�, e che solo in �ipotesi particolari ed eccezionali�, in base ad �una valutazione di elementi di 
fatto che dovr� effettuarsi caso per caso al momento di indire il referendum consultivo�, potrebbe 
-con riguardo all'ipotesi di istituzione di nuovo Comune -�prescindersi dalla consultazione 
dell'intera popolazione del Comune da cui una o pi� frazioni chiedano di distaccarsi�. 

La sentenza in rassegna afferma il principio che l'individuazione della popolazione interessata 
� affidata alla discrezionalit� del legislatore regionale, che spazia dal minimo essenziale delle 
popolazioni residenti nelle aree territoriali interessate al massimo della totalit� delle popolazioni 
dei comuni coinvolti nella variazione. Il criterio di ragionevolezza esclude peraltro che tale discrezionalit� 
possa esercitarsi mediante prefissione di criteri meramente automatici, quali l'estensione 
del territorio o l'entit� numerica della popolazione interessata, ben potendo ipotizzarsi spostamenti 
di confine scarsamente rilevanti in termini di superficie o di popolazione ma 
estremamente importanti per l'intero comune, come ad esempio quando siano interessate aree 
oggettivamente modeste ma particolarmente importanti per la presenza in esse di infrastrutture di 
peculiare rilevanza .. 

I.F.C. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

no) e di aggregazione delle medesime ad un terzo Comune (Bovolone), l'applicazione 
di tali regole ha portato a estendere la consultazione all'intera popolazione del 
Comune �cessionario� delle aree, la cui superficie complessiva (tenendo cio� conto 
di entrambi i Comuni cedenti) superava il 1 Oper cento del suo territorio preesistente; 
e a limitarla invece alle sole popolazioni residenti nelle aree da trasferire nei 
Comuni �cedenti�, in ciascuno dei quali la superficie scorporata non superava il 1 O 
per cento del rispettivo territorio. 

Il disposto in questione � censurato dal remittente in quanto contemplerebbe �un 
meccanismo di tipo matematico ed inderogabile ai fini della determinazione del corpo 
elettorale chiamato ad esprimersi sull'ipotesi di aggregazione di una parte di territorio 
ad altro Comune�, meccanismo che �nella sua materiale applicazione� comporterebbe 
�effetti irrazionali e distorsivi dell'autentica volont� popolare�. La norma contrasterebbe, 
in primo luogo, con l'art. 133 della Costituzione, che secondo il giudice a 
quo prevederebbe come �popolazioni interessate� da consultare solo quelle che risiedono 
nelle aree interessate al mutamento di confini, e non la totalit� delle popolazioni 
dei Comuni coinvolti. Contrasterebbe poi con gli articoli 5 e 128 della Costituzione, 
in quanto assicurerebbe immotivatamente la prevalenza della volont� del Comune 
�annettente� rispetto all'autonomia dei Comuni finitimi, e con gli articoli 3 e 97 della 
Costituzione, in quanto non sarebbe rispettata la parit� del voto fra i soggetti coinvolti, 
e sarebbero alterati il buon andamento e l'imparzialit� dell'azione amministrativa 
deputata a preparare la consultazione referendaria e ad attuarne il risultato. 

In via subordinata, il remittente censura la sola legge regionale n. 37 del 1995, che 
ha disposto la variazione territoriale per cui � giudizio, per contrasto con gli articoli 3, 
97, 5, 128 e 133 della Costituzione, in quanto il procedimento preparatorio della medesima 
legge sarebbe stato caratterizzato da �elementi obiettivamente falsanti l'autentica 
volont� popolare e comunque miranti a surrettiziamente alterare il rapporto tra territorio 
e popolazione interessata al mutamento di confini e, quindi, a far 
appropriatamente scattare il meccanismo prestabilito� dall'art. 6 della legge regionale 

n. 25 del 1992 per la delimitazione della popolazione da consultare con il referendum. 
Il giudice a quo adduce il fatto che la individuazione della porzione di territorio soggetta 
allo scorporo sarebbe stata modificata dalla Giunta regionale a breve distanza di 
tempo; censura la mancanza di �serie indagini� sui fattori storici e culturali e sulle esigenze 
economiche e sociali a sostegno della proposta di variazione, nonch� la carenza 
di motivazione sulla �meritevolezza� della variazione proposta, anche in rapporto 
ai pareri contrastanti dei Comuni interessati, il che sostanzierebbe anche una violazione 
delle regole del giusto procedimento e dunque un'ulteriore violazione dell'art. 97 
della Costituzione; censura infine, alla luce dell'art. 97 e dell'art. 133 della Costituzione, 
la circostanza che la individuazione della popolazione interessata dal referendum 
sia avvenuta senza rispettare il termine per la convocazione della consultazione, 
stabilito dall'art. 25 della legge regionale n. 1 del 1973. 
2. -Va preliminarmente dichiarata inammissibile la costituzione del Comune di 
Oppeano, in quanto il relativo atto � stato depositato oltre il termine perentorio stabilito 
dall'art. 25 della legge 11 marzo 1953, n. 87, computato secondo quanto prevede 
l'art. 3 delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte (da ultimo, 
sentenza n. 379 del 1999). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

6 

3. -Devono, in primo luogo, essere disattese le eccezioni di inammissibilit� 
sollevate dalla difesa del Comune di Bovolone. 
Anzitutto, infatti, la circostanza che la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 6 della legge regionale n. 25 del 1992 potesse sollevarsi anche nel corso 
del giudizio instaurato per l'impugnazione di atti del procedimento referendario 
non toglie che essa sia stata utilmente sollevata nel successivo giudizio sugli atti 
di esecuzione della variazione territoriale gi� intervenuta, avendone il remittente 
motivato plausibilmente la rilevanza. L'opinione che il Tribunale amministrativo 
regionale manifesta circa il carattere non soddisfacente dell'indirizzo giurisprudenziale 
tendente ad escludere l'autonoma impugnabilit� degli atti amministrativi 
che si inseriscono nel procedimento preparatorio della legge regionale di variazione, 
e l'irrituale richiesta che il medesimo Tribunale rivolge a questa Corte, in 
chiusura dell'ordinanza, di una pronuncia sulle modalit� di ingresso di siffatte 
questioni di legittimit� costituzionale, sono del tutto ininfluenti e prive di conseguenze 
in questo giudizio, per la cui legittima instaurazione � sufficiente il fatto 
che le questioni siano sorte nel corso di un giudizio, nell'ambito del quale esse 
risultino rilevanti. 

Sotto un secondo profilo, viene eccepita la inammissibilit� della questione relativa 
all'art. 6 della legge regionale n. 25 del 1992 per difetto di motivazione sulla 
non manifesta infondatezza e per l'esistenza di una sfera di discrezionalit� legislativa, 
in quanto il remittente, chiedendo che la norma sia dichiarata illegittima nella 
parte in cui non consente di limitare la consultazione alle sole popolazioni direttamente 
interessate, cio� residenti nelle aree territoriali da trasferire, chiederebbe una 
pronuncia additiva in materia in cui non vi sarebbe una soluzione costituzionalmente 
obbligata, ma sussisterebbe invece discrezionalit� legislativa. Ma, a parte la corretta 
individuazione del thema decidendum, di cui si dir� fra breve, una questione � 
ammissibile ogni volta che il giudice a quo dubiti della legittimit� costituzionale di 
una norma, della quale affermi con motivazione congrua di dover fare applicazione: 
e ci� si verifica appunto nel caso presente, in cui il Tribunale amministrativo dubita 
della conformit� alla Costituzione della norma di legge regionale sulla cui base � 
stata effettuata la consultazione delle popolazioni interessate in vista della variazione 
territoriale della cui attuazione si discute. 

Nemmeno, infine, pu� accogliersi l'eccezione di inammissibilit� che investe la 
questione relativa alla legge regionale n. 37 del 1995, sotto il profilo che la limitazione 
del referendum alle sole popolazioni direttamente interessate, quale chiesta dal 
remittente, condurrebbe alla conferma dell'esito gi� determinatosi, posto che la 
maggioranza della popolazione direttamente interessata -nel complesso dei due 
Comuni da cui � stata scorporata una parte di territorio -si � espressa a favore della 
variazione. La rilevanza della questione sussiste per il solo fatto che il procedimento 
di variazione territoriale si � compiuto sulla base di una consultazione referendaria 
attuata secondo le norme della cui legittimit� costituzionale si dubita; a loro 
volta, le censure subordinate relative alla legge di variazione territoriale investono J: 
presunti profili di illegittimit� della stessa indipendenti dall'orientamento concreta~: 
mente manifestato nella consultazione dai vari gruppi di popolazione interpellati, e ~=. 

~� 

collegati fra l'altro alla individuazione, che si assume illegittimamente avvenuta, r=: 

~~ 

delle popolazioni stesse. 

fil 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

4. -Nel merito, occorre anzitutto definire l'oggetto della questione, che investe 
l'art. 6 della legge regionale n. 25 del 1992, e conseguenzialmente la legge regionale 
n. 37 del 1995. 
Non pu� condividersi la tesi, avanzata dalla difesa del Comune di Bovolone, 
secondo cui la Corte dovrebbe limitarsi a decidere se �popolazioni interessate�, per 
gli effetti dell'art. 133 della Costituzione, siano solo quelle reside:iiti nelle aree territoriali 
che passerebbero da un Comune ad un altro, secondo la tesi del giudice a 
quo, e se quindi la legge regionale impugnata sia illegittima �per eccesso�, non 
avendo limitato la consultazione a queste ultime popolazioni. 

� vero che l'ordinanza di rimessione prospetta l'accennata tesi sull'interpretazione 
dell'art. 133 della Costituzione, mentre l'opposta tesi pi� estensiva, secondo 
cui interessate sarebbero le intere popolazioni dei Comuni coinvolti nella variazione, 
� sostenuta, nel presente giudizio ma anche nel giudizio a quo, dai Comuni ricorrenti; 
e che l'ordinanza presenta, sotto questo riguardo, aspetti di non totale chiarezza. 
Ma sta di fatto che la questione � sollevata, nel dispositivo dell'ordinanza, nei 
confronti dell'art. 6 della legge regionale n. 25 del 1992 senza ulteriori specificazioni, 
ed in riferimento agli articoli 3, 5, 97, 128 e 133 della Costituzione; che la 
censura del remittente muove dall'affermazione secondo cui il �meccanismo di tipo 
matematico ed inderogabile� cui fa riferimento la legge per individuare le popolazioni 
chiamate ad esprimersi nel referendum comporterebbe effetti irrazionali e distorsivi 
della volont� popolare; che secondo lo stesso remittente sarebbero violati gli 
articoli 5 e 128 della Costituzione per la immotivata prevalenza che verrebbe data 
alla volont� del Comune �annettente� rispetto all'autonomia dei Comuni finitimi, e 
sarebbe violata la parit� del voto fra i soggetti coinvolti. Onde la Corte ritiene di 
intendere la questione proposta nel senso pi� ampio, comportante la valutazione 
della conformit� o meno dell'art. 6 ai parametri costituzionali invocati, non limitata 
alla prospettazione interpretativa di questi ultimi accolta dal remittente. D'altronde, 
la delimitazione della questione, quale si desume dall'ordinanza di rimessione, 
discende dalla individuazione della norma denunciata e dei precetti costituzionali 
che si assumono violati: mentre la risposta da dare, in termini, se del caso, di accoglimento 
totale o parziale, semplice o �additivo�, spetta alla Corte. 

5. -La questione � fondata nei termini di seguito specificati. 
Questa Corte ha avuto occasione, in passato, di pronunciarsi, in modo per� non 
univoco, sul problema della individuazione delle �popolazioni interessate�, che 
debbono essere sentite nell'ambito del procedimento di modifica dei confini comunali. 
Nella sentenza n. 453 del 1989, esaminando in generale la portata precettiva 
dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione, si � affermato che l'obbligo di 
consultazione riguarderebbe la �popolazione direttamente interessata�, intesa come 
quella residente nelle aree destinate ad essere trasferite da un Comune all'altro, 
escludendo che potesse riconoscersi all'intera popolazione dei Comuni coinvolti 
�un interesse qualificato per intervenire in procedimenti di variazione che riguardano 
parti del territorio rispetto al quale essa non abbia alcun diretto collegamento�. 
Nella sentenza n. 433 del 1995, nel valutare la legittimit� costituzionale di una disposizione 
di legge regionale che, nell'ipotesi di istituzione di un nuovo C9mune, 
limitava la consultazione alla popolazione direttamente interessata, in quan_t.o resi



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

8 

dente nella frazione o nelle frazioni da erigere in Comune autonomo, si � affermato 
invece che �la regola generale direttamente ricavabile dall'art. 133, secondo f 
comma, della Costituzione�, esigerebbe �la consultazione di tutta la popolazione del 11 

Comune o dei Comuni le cui circoscrizioni devono subire modificazione�, e che ~ 
solo in �ipotesi particolari ed eccezionali�, in base ad �una valutazione di elementi 
di fatto che dovr� effettuarsi caso per caso al momento di indire il referendum consultivo
�, potrebbe -con riguardo all'ipotesi di istituzione di nuovo Comune 
�prescindersi dalla consultazione dell'intera popolazione del Comune da cui una o 
pi� frazioni chiedano di distaccarsi�. 

La Corte ritiene necessario, al fine di puntualizzare l'interpretazione dell'art. 
133, secondo comma, della Costituzione, prendere le mosse dal rilievo secondo cui 
le variazioni del territorio dei Comuni non solo sono espressamente demandate, 
dalla norma ora citata, a leggi regionali, ma rientrano altres� nella materia delle �circoscrizioni 
comunali�, attribuita dall'art. 117 della Costituzione alla competenza 
legislativa delle Regioni. Il disposto dell'art. 133, secondo comma, e nell'ambito di 
questo la prescrizione dell'obbligo di sentire �le popolazioni interessate�, costituisce 
naturalmente un vincolo nei confronti del legislatore regionale, al quale per� 
spetta la competenza per definire, nel rispetto della Costituzione e dei principi fondamentali 
della legislazione statale, il procedimento che conduce alla variazione, e 

dunque anche i criteri di individuazione delle popolazioni interessate, la cui consul-~ 
tazione � in ogni caso obbligatoria. i 

Quali siano, nelle differenti ipotesi di istituzione di nuovi Comuni o di modifi-~ 
ca delle circoscrizioni di Comuni esistenti, le �popolazioni interessate�, l'art. 133 ~ 
della Costituzione infatti non lo precisa: si pu� solo osservare che, essendo l'inte-� 
resse che fonda l'obbligo di consultazione riferito direttamente alle popolazioni, e r:� 
non agli enti territoriali (com'� del resto anche nell'art. 132, primo comma, a pro-I~,:��� 

posito della fusione o creazione di Regioni), si pu� escludere che l'ambito della consultazione 
debba necessariamente ed in ogni caso coincidere con la totalit� della 
popolazione dei Comuni coinvolti nella variazione. Pu� ben essere che la consulta-~ 

zione debba avere siffatta estensione, ma non in forza di un vincolo costituzionale 
assoluto, bens� per la sussistenza di un interesse riferibile all'intera popolazione dei 
Comuni. � dunque inevitabile riconoscere, in materia, uno spazio al legislatore 
regionale, oltre che, eventualmente, al legislatore statale in sede di determinazione 
dei principi fondamentali. Uno spazio, naturalmente, limitato dalla ratio del precetto 
costituzionale che impone la consultazione. 

Non � dunque di per s� illegittimo che la legge regionale detti criteri per individuare, 
nelle varie ipotesi, le popolazioni da consultare, in relazione al loro essere 
�interessate� alla variazione. Ma i criteri dovranno essere tali da non comportare la 
possibilit� di una identificazione irragionevole delle popolazioni interpellate, in 
relazione alle circostanze e ai fattori che conducono ad individuare l'interesse su cui 

j';_:_ 

si fonda l'obbligo di consultazione. Soprattutto, detti criteri non potranno essere tali '.�,� 
da condurre ad escludere dalla consultazione gruppi di popolazione per i quali non ~ 
possa ragionevolmente ritenersi insussistente un interesse rispetto alla variazione 
territoriale proposta. 

Da questo punto di vista, non potranno in primo luogo mai essere escluse dalla 
consultazione, com'� evidente, le popolazioni residenti nelle aree territoriali desti


--. -. ~ 


PARTE 1, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

nate a passare ad un Comune diverso da quello di cui attualmente fanno parte: ed 
anzila posizione particolarmente qualificata di tali popolazioni, direttamente interessate 
alla variazione; � tale che la volont� da esse espressa deve in ogni caso avere 
autonoma eyidenza nel procedimento, cos� che il legislatore regionale �ne debba 
tenere conto q.i.ido ag()tta 1.a proptj.a, finale determinazione, componendo nella proptja 
�9t1,�l.siya; va;b.lt~~�9l1~ dis�re~fo.ale gliinteressi sottesi alle valutazioni, even


.. ��tt.t~lilietite��e6rltr~t�htG�ernetsi.�nel1a��consuitaz�one. 

.� I crit~tiper idi~ntift�ll{te le ~ltre popolazioni, anch'esse interessate quantunque in 
W:pdo t'Aen9 <fir~, e P,1uiq;q,� �la jnte:rpellare, nelle varie ipotesi di proposta di varia.:. 
zfone territoriale, restano af��datialla determinazione del legislatore regionale. Quest)
dtitno non. pu� per�; come si � detto, adottare criteri tali da escludere a pridri, in 
m�doautop:i.atieo~ popolazioni, res�denti .nei Comuni coinvolti dalla variazione (vuoi 
peirch� destin.atia perdere territorio1 vuoi perch� destinati ad acquistarne), sulla base 
di elementi di per s� inidenei a. c�mprovare ragionevolmente l'assenza di quell'interesse 
qualificato; al quale il principio dell'art.133, secondo comma, ricollega l'obblig� 
(li co#$wtazfone. Ed� � in<l�bbfo ...,,...-��in ci�. la. Corte �conferma l'orientamento 
generate espresso nella sentenZ:a n. 433 del 1995 ~che di regola anche le popolazioni 
dei Comuni coinvolti, n~sidenti in aree diverse da quelle destinate al trasferimento, 
p()ssono avere l.1ll interesse rispetto alla variazione, che va ad incidere sulla 
dimensfone e sulla conformazione territoriale del Comune in cui esse insistono. Posson�foertamente 
configurarsi situazioni nelle q.ali l'esistenza di tale interesse pu� 
ragionevolmente escludersi: ma, appunto,. l'esclusione deve fondarsi allora -tanto 
pi� quando sia sancita in astratto, senza riguardo alle singole proposte di variazione 
-su elementi sicuramente idonei a farne ritenere insussistente l'irragionevolezza. 

6; '-:Sotto questo riguardo~ non appare conforme al principio di cui all'art. 133, 
secondo comma~della Costituzione, ilcriterio adottato nell'art. 6, commi 1 e 2, della 
legge regionale impugnata, che esclude a priori� dalla consultazione le popolazioni 
residenti nei Comuni coinvolti, diverse da quelle direttamente interessate, quando la 
variazione concerna aree che non raggiungono. la soglia minima del 1O per cento 
della superficie totale del Comune o del 30 per cento della popolazione totale del 
Comune medesimo. La norma non tiene conto che la sottrazione ad un Comune di 
un'area territoriale, di superficie pur limitata, pu� avere una incidenza rilevante 
sugli interessi. del comune medesimo e della relativa popolazione complessiva, ad 
esempie per la particolare conformazione del territorio o perla presenza, nell'area 
interessata, di infrastrutture o di funzioni territoriali di particolare rilievo per l'insieme 
dell'ente locale. Ancora, nel caso di operazioni di complessivo riaggiustamento 
territoriale, coinvolgenti pi� Comuni (come la riunificazione di un abitato 
suddiviso fra pi� Comuni in capo ad uno solo di essi, quale quella realizzatasi nella 
specie all'esame nel giudizio a quo), e che potrebbero astrattamente realizzarsi in 
modi diversi ed in capo a Comuni diversi, la norma in esame consente di attuarle 
dando preminente rilievo agli interessi del Comune al quale si propone l'aggregazione 
di pi� aree, rispetto agli interessi, eventualmente contrastanti, degli altri 
Comuni sul cui territorio si viene ad incidere. 

In altri termini, le soglie minime rigide fissate dal legislatore del Veneto, al di 
sotto delle quali si esclude in ogni caso l'estensione della consultazione alle popo



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

10 

lazioni, non direttamente interessate, dei Comuni coinvolti, non concretano criteri 
tali da escludere ragionevolmente, per i soli Comuni in cui esse non sono raggiunte, 
la sussistenza dell'interesse qualificato che giustifica l'interpello delle popolazioni 
medesime. 

7. -Deve pertanto dichiararsi la illegittimit� costituzionale, per contrasto con 
l'art. 133 e con l'art. 3 della Costituzione, dell'art. 6, commi l e 2, della legge regionale 
n. 25 del 1992: libero il legislatore regionale di sostituirvi un'altra previsione 
legislativa che detti criteri di individuazione delle popolazioni interessate alla variazione, 
esenti dal vizio qui rilevato. 
La caducazione di detta norma comporta altres�, di conseguenza, la dichiarazione 
di illegittimit� costituzionale della legge regionale n. 37 del 1995, che ha disposto 
la variazione territoriale a seguito di un procedimento, nel cui ambito la consultazione 
delle popolazioni interessate � avvenuta in applicazione e in conformit� 
della norma generale qui dichiarata illegittima. 

Restano assorbite le ulteriori censure mosse sia all'art. 6 della legge regionale 

n. 25 del 1992, sia alla legge regionale n. 37 del 1995. 
(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 luglio 2000, n. 292 -Pres. Mirabelli -Red. Bile 


S.r.l. s.r. M.E. (avv. Barcellona) -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato Caramazza). 
Giustizia amministrativa -Servizi pubblici -Devoluzione della materia alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo -Questione di legittimit� 
costituzionale per eccesso di delega legislativa -Fondatezza. 
(Cost., art. 76; legge 15 marzo 1997, n. 59, art. 11; d. lgs. 31marzo1998, n. 80, art. 33). 

Giustizia amministrativa -Servizi pubblici -Concessioni -Indennit�, canoni e 

corrispettivi -Devoluzione della materia alla giurisdizione esclusiva del 

giudice amministrativo -Questione di legittimit� costituzionale per eccesso 

di delega legislativa -Fondatezza. 

(Cost., art. 76; legge 6 dicembre 1971 n. 1034, art. 5; legge 15 marzo 1997 n. 59, art. 11; 

d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, art. 33). 

Giustizia amministrativa -Servizi pubblici -Devoluzione della materia alla 
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo -Definizione dell'oggetto 
della delega legislativa -Questione di legittimit� costituzionale Infondatezza. 
(Cost., art. 76; legge 15 marzo 1997 n. 59, art. 11). 

L'art. 33, primo e secondo co.mma, del d.lgs. 31marzo1998, n. 80, � incostituzionale 
per eccesso di delega legislativa nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo la materia dei pubblici servizi, anzich� 
limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

11 

alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese 
quelle relative al risarcimento del danno, cos� come previsto dal legislatore delegante 
(1). 

L'art. 33, terzo comma, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 � incostituzionale per 
eccesso di delega legislativa nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo le controversie in materia di indennit�, canoni ed 
altri corrispettivi nelle concessioni di pubblici servizi, anzich� limitarsi ad estendere 
in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi 
ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali cos� come previsto dal legislatore 
delegante (2). 

� infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 11, quarto comma, 
lett. G), legge 15 marzo 1997 n. 59 nella parte in cui, riguardo all'estensione della 
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di servizi pubblici, non 
avrebbe sufficientemente definito l'oggetto della delega legislativa (3). 

(1-3) Con una straordinaria tempestivit� il Parlamento � intervenuto immediatamente con la 
legge 21 luglio 2000 n. 205, a colmare il vuoto normativo conseguente all'annullamento dell'art. 
33 d.lgs. 80/1998 da parte della Consulta. 

Nel fare questo il legislatore non si � limitato a confermare il nuovo assetto del riparto di 
giurisdizione gi� previsto dall'art. 33 d.lgs. 80/1998 ma ha introdotto, come � noto, una radicale 
trasformazione del processo amministrativo sulla quale pubblichiamo il seguente contributo. 

Alcune riflessioni sul nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000, n. 205. 

1. -Premessa. 
La legge 205/2000 pone numerosi dubbi interpretativi molti dei quali sono probabilmente 
destinati a rimanere aperti fino a quando l'esperienza concreta del processo -dove si faranno i 
conti con la realt� delle cose e soprattutto con un carico di lavoro che rimane di gran lunga superiore 
alle attuali possibilit� di uomini e mezzi -ci dar� le prime risposte della giurisprudenza 
amministrativa che nella sua tradizione ultrasecolare ha dato ottima prova nel saper sfruttare al 
massimo gli strumenti processuali a sua disposizione per garantire l'effettivit� della tutela nei 
confronti della P.A. 

� evidente quindi che queste considerazioni �a caldo� sul nuovo processo non hanno certo 
la pretesa di offrire soluzioni ma solo spunti problematici dal punto di osservazione di chi dovr� 
confrontarsi con una nuova realt� processuale nel ruolo di difensore della P.A. istituzionalmente 
a:f;Iidato ali' Avvocatura dello Stato. 

2. -Le finalit� della legge. 
Una cosa � certa, la legge n. 205/2000 non � la tanto attesa riforma �messianica� del processo 
amministrativo e non contiene evidentemente la soluzione di tutti i problemi che affliggono 
la nostra giustizia amministrativa. 

Anzi l'idea di realizzare una vera e propria riforma non sembra neppure essere nelle intenzioni 
del legislatore che con queste <<Disposizioni in materia di giustizia amministrativa� ha voluto 
introdurre una serie di novit� in parte gi� create dai giudici ed in parte preannunciate, se non 
imposte, dai tempi di profonda trasformazione che stiamo attraversando. 

Cos� intesa la nuova legge -che costituisce il primo intervento di sufficiente organicit� 
dopo la legge istitutiva dei TAR -� senz'altro un fatto positivo da salutare con favore perch� � 
un ulteriore, importante (ormai inevitabile) passo in avanti nel ciclo evolutivo della nostra giustizia 
amministrativa. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

12 

(omissis) 

1. -I giudizi -ponendo questioni identiche o comunque relative alle stesse 
norme -possono essere riuniti. 
2. -L'Avvocatura dello Stato ha eccepito che le questioni di cui alle ordinanze 
n. 252, 394 e 704 sarebbero inammissibili per irrilevanza, in quanto sollevate da giudici 
carenti di giurisdizione. L'eccezione � infondata, perch� le questioni investono 
proprio le norme che, a dire dei rimettenti, sottrarrebbero loro la giurisdizione. 
2.1. -Quanto alle questioni sollevate dalle ordinanze n. 659 e 704, la valutazione 
del Tribunale di Roma -secondo cui la carenza di giurisdizione sarebbe 
emendabile solo con la pronuncia di incostituzionalit� -non � inficiata da un 
sopravvenuto orientament� della giurisprudenza di legittimit�, che potrebbe condurre 
all'affermazione della giurisdizione ordinaria, non potendo ravvisarsi al 
riguardo un diritto vivente. 
I 

Essa si pone, a ben vedere, tre obiettivi: 
1) dare al giudice amministrativo gli strumenti processuali per una effettiva tutela sia degli 
interessi legittimi (anche pretensivi) che dei diritti soggettivi ora che la giurisdizione esclusiva 
non � pi� un'eccezione; 
2) ridurre i tempi del processo senza troppa spesa e senza stravolgimenti di organici e del 
sistema processuale; 
3) dare al giudice amministrativo la giurisdizione sul risarcimento del danno per lesione di 
interessi legittimi. 

Vi � poi un quarto obiettivo, che � stato determinante nell'accelerare l'iter di approvazione 
della legge, ed � costituito dalla necessit� di riempire il vuoto normativo conseguente alla sentenza 
17 luglio 2000 n. 292 con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 33 del 

d. l.vo n. 80/1998 nella parte in cui il legislatore delegato -invece di limitarsi ad estendere la 
preesistente giurisdizione del giudice amministrativo alla cognizione dei diritti patrimoniali conseguenziali 
(come indicato nella delega) -ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo tutta la materia dei pubblici servizi. 
Nel perseguire il primo obiettivo (l'effettivit� della tutela) l'intervento del legislatore appare 
pienamente rispettoso del c.d. diritto vivente perch� le novit� introdotte consistono in buona 
parte in un recepimento di quella saggia ed equilibrata giurisprudenza creativa che ha consentito 
di adattare -in via pretoria -alle nuove esigenze di tutela del cittadino un processo amministrativo 
nato per la protezione del solo interesse legittimo oppositivo (basti pensare, tanto per citare 
alcuni esempi, all'impugnazione delle ordinanze di sospensiva, alla sospensione degli atti 

I

negativi, alle c.d. sospensive propulsive). ~ 

Sotto altro profilo era ormai attesa l'inevitabile estensione a tutta la giurisdizione esclusiva !i 
dei mezzi istruttori previsti dal codice di procedura civile, che com'� noto era stata gi� introdotf: 
ta solo per alcune materie dal d. l.vo 80/1998. Un po' meno attesa, invece, e davvero innovativa ~ 
(per non dire rivoluzionaria) appare l'introduzione della CTU in tutta la giurisdizione amminii: 
strativa ivi compresa quella sugli interessi legittimi. ! 

Anche qui il legislatore non ha fatto altro che recepire le indicazioni della giurisprudenza perch� 
con l'ordinanza n. 2292 del 17 aprile 2000 il Consiglio di Stato aveva gi� sollevato la questione 
di costituzionalit� relativa alla mancata previsione della CTU in sede di giurisdizione generale di 

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legittimit� sottolineando che anche in questi giudizi vi deve essere piena cognizione del fatto. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

13 

2.2. -Circa l'ordinanza n. 394 l'Avvocatura dello Stato ha eccepito l'inammissibilit�, 
per irrilevanza, della seconda e della terza questione sollevate dal Tribunale 
amministrativo regionale del Lazio. 
L'eccezione � fondata. Il rimettente ha anzitutto impugnato l'art. 33, comma 2, 
lettera.f), del decreto legislativo n. 80 del 1998, che, eccettuando dalla giurisdizione 
esclusiva sui pubblici servizi i �rapporti individuali di utenza con soggetti privati�, 
lo renderebbe privo di giurisdizione. Le altre due questioni sull'art. 33, comma 1, 
dello stesso decreto e sull'art. 11, comma 4, lettera g), della legge di delega n. 59 del 
1997 -sono manifestamente inammissibili, per irrilevanza, perch� proposte subordinatamente 
al rigetto della prima, da cui deriverebbe appunto il difetto di giurisdizione 
del giudice amministrativo. 

2.3. -Sono manifestamente inammissibili per irrilevanza anche le questioni sollevate 
dall'ordinanza n. 195 sugli artt. 34 e 35 del decreto n. 80 del 1998: il giudizio 
a quo non concerne la materia di cui all'art. 34, n� ha ad oggetto pretese considerate 
dall'art. 3 5. 
Sul secondo obiettivo (la celerit� del processo) � chiaro che pi� di tanto non ci si pu� aspettare 
da una legge che ritocca di poco gli organici della magistratura e del personale amministrativo 
rispetto all'enorme crescita del contenzioso e che non rinuncia -e questo � un bene -al 
principio della collegialit�. Tuttavia le novit� introdotte, se ben sfruttate (e ci� dipender� non solo 
dai magistrati ma anche dagli avvocati) potrebbero essere utili per una effettiva riduzione dei 
tempi della giustizia. 

Su questo fronte il legislatore � intervenuto in due modi: a) ha reso di generale applicazione 
il rito speciale delle decisioni in forma semplificata, mutuato dall'esperienza del Consiglio di 
Stato francese, prima previsto solo in materia di lavori pubblici e di provvedimenti dell'Autorit� 
delle garanzie nelle comunicazioni, per cui oggi il giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi 
sull'istanza cautelare pu� decidere direttamente il merito con sentenza succintamente motivata; 
b) ha introdotto un rito accelerato per alcune materie che coinvolgono interessi pubblici di 
particolare rilevanza nelle quali, oltre al dimezzamento di tutti i termini processuali (che, in verit�, 
invece di dare un'accelerazione al processo finir� solo per rendere pi� gravoso il lavoro degli 
avvocati e dei giudici) ha sostanzialmente scoraggiato l'uso dello strumento cautelare a vantaggio 
della fissazione di un merito a breve. 

Con queste novit� vale oggi ancor di pi� l'affermazione che non esiste pi� un processo 
amministrativo ma esistono diversi processi amministrativi. Inoltre sembra essere cambiato il 
ruolo dello strumento cautelare il quale mentre da un lato � stato opportunamente rafforzato attraverso 
il superamento dell'ormai vecchia sospensiva e la generale applic�Zione dell'art. 700 c.p.c., 
dall'altro � diventato un giudizio cautelare che potremmo definire �con merito eventuale� o addirittura 
� stato scoraggiato per essere sostituito dalla fissazione di un merito a breve (nelle materie 
soggette al rito speciale le misure cautelari sono viste come ipotesi eccezionali edevono essere 
sempre accompagnate dalla contestuale fissazione a breve dell'udienza di merito). 

Sul terzo obiettivo della legge (dare al giudice amministrativo la tutela risarcitoria dell'interesse 
legittimo) la scelta del Parlamento non pu� che essere condivisa, non solo perch� evita al 
danneggiato l'onere di doversi rivolgere a due giudici diversi (quello amministrativo che con 
l'annullamento dell'atto rimuova la causa del danno e quello civile che lo risarcisca) ma anche e 
soprattutto perch� l'esperienza maturata e la sensibilit� affinata dal giudice amministrativo nel 
giudicare l'interesse legittimo costituiscono un patrimonio irrinunciabile in tutti i giudizi in cui si 
discute di tale situazione soggettiva, sia che si tratti di tutelarla attraverso l'annullamento del 
provvedimento illegittimo sia che si tratti di risarcirne la lesione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

14 


3. -Si deve preliminarmente esaminare la questione relativa all'art. 11, 
comma 4, lettera g), seconda parte, della legge n. 59 del 1997, che secondo l'ordinanza 
n. 495 avrebbe violato l'art. 76 della Costituzione, delegando il Governo 

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a ridefinire i confini fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa nella materia 
dei servizi pubblici, senza predeterminazione dell'oggetto e senza fissazione dei 
criteri� direttivi. 1� 
La questione non � fondata. 

La legge si inserisce in un ampio disegno di riforma della pubblica amministrazione, 
con importanti ricadute sul riparto della giurisdizione, che ha iniziato a 

Tuttavia non mancheranno i problemi che appaiono essenzialmente derivanti dalla difficolt� 
di conciliare due diversi sistemi di tutela risarcitoria: da un lato quello dinanzi al giudice 
ordinario articolato in tre gradi di giudizio attraverso un processo dispositivo puro qual � il 
processo civile; dall'altro quello dinanzi al giudice amministrativo articolato in due soli gradi 
di giudizio attraverso un processo dispositivo con metodo acquisitivo qual � il processo amministrativo. 


Infine, posto che l'illecito della P.A. per lesione di un interesse legittimo � pur sempre riconducibile 
all'art. 2043 cod. civ., sar� opportuno che la Corte di Cassazione, da un lato, ed il Consiglio 
di Stato, dall'altro si coordinino tra loro per assicurare l'uniforme interpretazione ed applicazione 
di tale norma fondamentale. 

3. -L'instaurazione del giudizio ed il deposito dei documenti. 
La struttura essenzialmente impugnatoria del processo amministrativo ha reso inevitabile, 
fino ad oggi, il proliferare di ricorsi distinti relativi a provvedimenti connessi che poi vengono 
riuniti per essere discussi contestualmente e decisi con unica sentenza. 

Per evitare questo inutile dispendio di energie la nuova legge prevede all'art. 1 che tutti i 
provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti e �connessi ali'oggetto del ricorso 
stesso, sono impugnati con motivi aggiunti� e qui l'uso delle parole <<Sono impugnati� sembrerebbe 
significare che il mezzo di impugnazione non sia facoltativo ma imposto a pena di inammissibilit�. 


Bench� il legislatore usi l'espressione motivi aggiunti, che com'� noto non servono ad impugnare 
un nuovo provvedimento ma ad introdurre nuove censure avverso un provvedimento gi� 
impugnato, in realt� si tratta di un vero e proprio ricorso incidentale il quale ha ad oggetto un 
provvedimento diverso da quello impugnato in via principale e pertanto pu� non risentire dell' eventuale 
inammissibilit� oggettiva del ricorso principale e pu� anche contenere una distinta 
domanda cautelare. 

Quanto al rapporto di connessione tra i provvedimenti sarebbe stata opportuna maggiore 
chiarezza da parte del legislatore perch� parlare di provvedimenti �connessi a// 'oggetto del ricorso
� potrebbe anche significare un collegamento pi� esteso (ad esempio per materia) di quello che 
abitualmente caratterizza il rapporto di connessione funzionale tra provvedimenti (ad es. tra l'atto 
endoprocedimentale immediatamente lesivo ed il provvedimento finale oppure tra l'atto presupposto 
e quello conseguenziale o esecutivo). 

L'effetto di questa indeterminatezza sar� che, nel dubbio, l'avvocato del ricorrente proporr� 
due distinti ricorsi, sia quello incidentale, sotto forma di motivi aggiunti, sia quello principale, 
il che non giover� di certo allo snellimento del processo. 

In materia di accesso ai documenti amministrativi � stata introdotta una novit� analoga che 
per� suscita maggiori perplessit�. Si tratta della possibilit�, in pendenza di un ricorso, di proporre 
l'impugnativa del diniego di accesso mediante un'istanza istruttoria nel giudizio pendente sulla 
quale si decide con ordinanza adottata in camera di consiglio (art. 1). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

15 

delinearsi con la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione 
e la revisione delle discipline in materia di sanit�, di pubblico impiego, 
di previdenza e di finanza territoriale) seguita dal decreto legislativo delegato 3 
febbraio 1993, n. 29. Per la piena attuazione della riforma, la legge 15 marzo 1997, 

n. 59, ha previsto all'art. 11, comma 4, l'emanazione di ulteriori disposizioni integrative 
e correttive, in conformit� (fra l'altro) ad una serie di principi e criteri analiticamente 
indicati. 
Tale novit� � di difficile inquadramento sistematico e di dubbia interpretazione perch�, a parte 
l'idea di un ricorso proposto sotto forma di istanza istruttoria e quindi deciso con ordinanza non 
impugnabile, si vengono a confondere due istituti che devono rimanere nettamente distinti: altro � 
l'accesso ai documenti amministrativi il quale trova dei limiti soggettivi ed oggettivi nella legge 
241/90 ed � tutelato come un interesse di parte ovvero come autonoma situazione giuridica soggettiva 
sostanziale, altro � il potere istruttorio del giudice amministrativo che � finalizzato non gi� 
a soddisfare un interesse di parte bens� ad acquisire la conoscenza dei fatti nell'interesse della giustizia, 
quindi pu� essere esercitato anche oltre i limiti posti dalla legge 241/1990 e persino quando 
la parte interessata abbia prestato acquiescenza al diniego di accesso ai documenti. 

Se questa � la differenza tra i due istituti � difficile comprendere la ratio e l'utilit� della 
novella posto che anche in sede di impugnazione del diniego di accesso presentata sotto la nuova 
forma dell'istanza istruttoria il giudice dovrebbe decidere non gi� secondo i parametri della disciplina 
dell'accesso ma secondo le esigenze istruttorie del processo come gi� avveniva in passato 
quando il ricorrente presentava una istanza istruttoria nel giudizio pendente, invece di procurarsi 
i documenti impugnando il diniego di accesso. 

In secondo luogo la nuova legge impone all'amministrazione resistente di depositare copia del 
provvedimento impugnato e dei documenti utili al giudizio non pi� all'atto della costituzione in giudizio 
bens� nel termine di sessanta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso. 

La ragione di tale novit� sta nell'esigenza di consentire al giudice e alle parti di conoscere 
immediatamente quali sono i documenti che l'amministrazione intende depositare in giudizio 
affinch� si possano assumere le opportune iniziative istruttorie prima che sia fissata l'udienza per 
la discussione del ricorso evitando inutili rinvii (com'� noto oggi i documenti vengono depositati 
di regola venti giorni prima dell'udienza). 

Tuttavia la legge n. 205/2000 non prevede alcuna decadenza per l'inosservanza di detto termine 
alla quale si potr� far fronte mediante un'ordinanza istruttoria, come del resto gi� avveniva 
in precedenza. Il che non deve stupire perch� in un processo dominato dal principio acquisitivo 
non � ragionevole porre un termine decadenziale per la produzione dei documenti da parte del 
soggetto resistente. 

� probabile che tale nuovo termine sollecitatorio sia destinato a rimanere lettera morta sia 
perch� questo sembra essere il destino di tutti i termini non decadenziali, sia perch� gli uffici 
amministrativi non sono ancora attrezzati per rispettarlo -tuttavia le ordinanze istruttorie 
dovrebbero consentire una pi� celere acquisizione dei documenti; il che andr� a vantaggio non 
solo della Giustizia ma anche della stessa Avvocatura dello Stato, oggi troppo spesso costretta a 
difendere �al buio� un �cliente� con cui � sempre pi� difficile interloquire tempestivamente a 
causa dell'enorme mole di contenzioso. 

4. -Il processo cautelare. 
La tutela cautelare non si identifica pi� nella sola sospensiva -unico rimedio possibile 
in un processo nato per tutelare il solo interesse legittimo oppositivo -bens� abbraccia tutte 
le �le misure cautelari, compresa l'ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo 
le circostanze, pi� idonee ad assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso� 
(art. 3, primo comma, legge n. 205/2000). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

16 

Fra essi l'art. 11, alla lettera g) del comma citato, contemplava la devoluzione 
al giudice ordinario delle controversie sui rapporti di lavoro dei dipendenti delle 
pubbliche amministrazioni e �infine, la contestuale estensione della giurisdizione 
del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali 
conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia 
edilizia, urbanistica e di ser\rizi pubblici�. :~ 

3.1. -La valutazione di conformit� di una legge di delega all'art. 76 della Costituzione 
-secondo cui �l'esercizio della funzione legislativa non pu� essere dele-
Qui il legislatore non ha fatto altro che dare riconoscimento normativo ad una prassi giurisprudenziale 
che di fatto aveva gi� da tempo superato in via pretoria gli angusti limiti della 
sospensiva concedendo misure cautelari a tutto campo. 

Nella nuova legge si parla di pregiudizio grave ed irreparabile derivante non solo dall'esecuzione 
dell'atto impugnato ma anche �dal comportamento inerte dell'amministrazione� il che 
sta a significare, da un lato, che anche gli interessi pretesivi sono suscettibili di tutela cautelare, 
dall'altro, che avverso il silenzio della P.A. continua a non esservi spazio per la tutela cautelare 
in quanto l'espressione �comportamento inerte� sembrerebbe riferirsi solo alla mancata adozione 
di atti paritetici e quindi sostanzialmente al mero inadempimento della P.A.; ci� anche perch� 
per il silenzio � stato introdotto uno speciale rito abbreviato. 

Un'altra novit�, anche rispetto all'evoluzione giurisprudenziale, � costituita dall'introduzione 
della cauzione e della fideiussione a cui oggi � possibile subordinare la concessione o il diniego 
della misura cautelare allorch� da essa �derivino effetti irreversibili�. Qui la formulazione 
della norma non � particolarmente felice: una misura cautelare che produce effetti irreversibili � 
una contraddizione in termini perch� determina un risultato pienamente satisfattivo che, non 
lasciando alcuno spazio per il giudizio di merito, si sovrappone ad esso invece di assicurarne interinalmente 
gli effetti. 

Deve ritenersi pertanto che anche dopo la legge n. 205/2000, e nonostante la suddetta formulazione 
della norma, non possono essere concesse misure cautelari con effetti irreversibili e che 
la cauzione o fideiussione servono proprio per evitare che il provvedimento cautelare -che di per 
se non pu� avere effetti irreversibili -possa essere sfruttato per creare situazioni di fatto irreversibili 
che renderebbero inutile la decisione del merito (ad esempio si sospende la riscossione di una 
sanzione dietro fideiussione per evitare che il soggetto intimato si sottragga al pagamento). 

La novella prevede la possibilit� che non solo la concessione della misura cautelare ma 

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anche il diniego della stessa sia subordinato al pagamento di una cauzione o alla prestazione di 
una fideiussione, il che significa che anche l'amministrazione resistente ed il controinteressato 
possono essere chiamati a prestare tali garanzie. 

Altra novit� significativa � quella che riguarda la motivazione delle misure cautelari che ora, 

IIper espressa previsione legislativa, deve riguardare in modo specifico sia il periculum in mora 
(�valutazione del pregiudizio allegato�) sia ilfumus boni iuris (�ragionevole previsione sull'esi~ 
to del ricorso�; nel corso dei lavori preparatori erano stata proposte altre espressioni pi� vincolanti 
come �ragionevole certezza� contenuta nel d.d.l. o �ragionevole probabilit�� contenuta nel 
testo approvato dal Senato). 

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Il fatto che oggi il giudice amministrativo sia tenuto a motivare anche sulfumus boni iuris, anticipando 
cos� il suo giudizio sulla apparente fondatezza del gravame, potrebbe far risorgere il noto 
problema dell'obbligo di astensione per i magistrati che hanno partecipato alla decisione cautelare, I!! 
ove si ritenga che essi -essendosi gi� pronunciati -non siano pi� dotati della necessaria imparzialit� 
per decidere il merito perch� condizionati dalla naturale tendenza a confermare il giudizio gi� .,
espresso, secondo la tesi per cui la forza della prevenzione non giova alla serenit� di giudizio. 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

17 

gato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto 
per tempo limitato ed oggetti definiti� -non pu� prescindere dalle finalit� ispiratrici 
della delega e dal suo complessivo contenuto normativo. L'esigenza della determinazione 
di principi e criteri direttivi e della definizione dell'oggetto della delega 
� tanto pi� pressante quanto meno delimitato e specifico � il compito affidato al 
legislatore delegato. 

D'altro canto anche per le leggi di delega vale il fondamentale canone per cui 
deve essere preferita l'interpretazione che le ponga al riparo da sospetti di incostituzionalit�. 


In proposito la Corte Costituzionale (sent. 168/2000 che richiama la n. 326/1997), giudicando 
della legittimit� dell'art. 51, primo comma, n. 4 c.p.c. nella parte in cui non prevede l'obbligo 
di astensione del giudice che si sia pronunciato sull'istanza ex art. 186 quater c.p.c. (ingiunzione 
di pagamento di somme in corso di causa), ha affermato che quando l'iter processuale si 
articola attraverso pi� fasi sequenziali in cui l'interesse posto a base della domanda impone la 
soddisfazione di esigenze di carattere conservativo, anticipatorio o istruttorio non si pone un problema 
di alterit� del giudice perch� tale problema sussiste solo in sede di impugnazione dove 
avviene la revisio prioris istantiae. 

Si pu� dire quindi che oggi in sede cautelare assume maggiore rilevanza la valutazione del 
fumus boni iuris sia perch� la legge impone anche una motivazione specifica al riguardo, sia perch� 
con la risarcibilit� dell'interesse legittimo si restringe l'area dell'irreparabilit� del pregiudizio, 
sia perch� ricorrendo determinati presupposti il giudice ha la possibilit� di decidere direttamente 
il ricorso nel merito con una sentenza succintamente motivata. 

Quest'ultima novit� fa del giudizio cautelare un giudizio eventualmente di merito e quindi 
comporta che gli avvocati dovranno entrare in camera di consiglio pronti ad affrontare una possibile 
discussione di merito, il che creer� non poche difficolt� alle parti resistenti e soprattutto alla 
difesa dell'amministrazione. 

Com'� noto si tratta di un rito speciale che era gi� previsto per due tipi di controversie (in 
materia di opere pubbliche e di provvedimenti dell'Autorit� per le garanzie nelle comunicazioni) 
e sulla cui legittimit� si � gi� pronunciata la Corte Costituzionale con sent. 42711999 osservando 
che la decisione in forma semplificata non � subordinata all'assenso delle parti e che questo non 
viola la Costituzione purch� in concreto sia garantito un punto di equilibrio tra l'esigenza di celerit� 
del processo e l'imprescindibile salvaguardia del diritto di difesa. 

La Corte osserva che <<Il garante di questo equilibrio non pu� che essere il giudice, al quale 
spetta un potere di direzione del processo, nel rispetto del principio e dei diritti di difesa secondo 
le regole generali della giustizia amministrativa. La norma, nella parte in cui prevede che il 
tribunale pu� definire immediatamente la controversia, affida la scelta ad una valutazione del 
giudice, tenuto a seguire le ordinarie regole logiche processuali, che consentono di non accogliere 
una istanza di differimento dell'udienza o una richiesta di termine per compimento di attivit� 
di difesa, quando risulti esclusa, in maniera certa. la rilevanza dell'attivit� richiesta in relazione 
al tipo e al contenuto della adottanda decisione della controversia e della posizione di 
interesse della parte che ha avanzato la richiesta anzidetta�. 

Tenendo conto di queste indicazioni della Corte Costituzionale si deve ritenere che il requisito 
della �completezza del contraddittorio e dell'istruttoria�, prescritto dalla legge 205 per emettere 
una decisione succintamente motivata in sede cautelare, debba essere inteso in senso sostanziale 
e non meramente formale per cui non baster� la regolare comunicazione degli avvisi della 
camera di consiglio o la mera presenza degli avvocati essendo opportuno che si dia ai difensori 
delle parti l'effettiva possibilit� di controdedurre e quindi che sia consentito alla difesa dell'amministrazione 
di acquisire i necessari elementi di fatto dagli uffici competenti. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

18 

3.2. -Dai lavori parlamentari -il ricorso ai quali pu� essere rilevante per 
accertare le finalit� perseguite dalla legge di delega e la portata dei principi e dei criteri 
da essa enunciati -risultano sicuramente due indicazioni. 
In primo luogo il legislatore delegante intendeva rendere piena ed effettiva la 
tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione, concentrando 
innanzi al giudice amministrativo -nell'esercizio della giurisdizione, sia di legittimit� 
che esclusiva, di cui era gi� titolare in materia di edilizia, urbanistica e servizi 
pubblici -non solo la fase del controllo di legittimit� dell'azione amministrativa, 
ma anche (ove configurabile) quella della riparazione per equivalente, ossia il risarcimento 
del danno, evitando per esso la necessit� di instaurare un successivo e separato 
giudizio innanzi al giudice ordinario. 

Infine appare senz'altro positiva l'introduzione della pronuncia sulle spese in sede cautelare 
(inizialmente introdotta da alcune isolate decisioni ma poi esclusa dall'Adunanza Plenaria del 
Consiglio di Stato) in quanto consente di scoraggiare un uso smodato di tale strumento. Tuttavia 
non si comprende per quale ragione la condanna alle spese, invece di seguire la soccombenza, sia 
prevista solo in caso di rigetto della domanda o dell'appello. 

Qui il legislatore si � probabilmente ispirato al codice di procedura civile che all'art. 669 
septies prevede la pronuncia sulle spese solo in caso di pronuncia di rigetto, mentre in caso di 
accoglimento il processo prosegue dinanzi al giudice di merito che si pronuncer� anche sulle 
spese della fase cautelare. Tuttavia tale disposizione si riferisce espressamente alla pronuncia 
emessa ante causam ovvero ad un'ipotesi che nel processo amministrativo non ricorre perch�, 
anche dopo la recente novella, resta fermo il principio del carattere necessariamente incidentale 
della domanda cautelare e quindi non v'� ragione di distinguere, ai fini delle spese, la pronuncia 
di rigetto da quella di accoglimento. 

5. -L'istruttoria. 
Le principali novit� sono due. 

La prima consiste nell'estensione a tutta la giurisdizione esclusiva del regime probatorio 
del processo civile che il decreto legislativo n. 80/1998 aveva introdotto solo per alcune materie. 
Qui la novella riproduce la stessa imprecisione terminologica del vecchio testo normativo 
(�mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile� anzich� dal codice civile che com'� 
noto se ne occupa nel libro quinto �Della tutela dei diritti�) e lascia aperto -questa volta per 
tutta la giurisdizione esclusiva -il problema del se i mezzi di prova del processo civile possono 
essere utilizzati solo nelle controversie su diritti soggettivi o anche in quelle su interessi 
legittimi. 

Sul punto occorre ricordare che secondo la prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 
19 marzo 1999, n. 284; Sez. IV, 17 febbraio 1997, n. 113; Sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 917; Sez. 
V, 6 luglio 1992, n. 611; Sez. V, 6 ottobre 1990, n. 711 e da ultimo T.A.R. Emilia Romagna, 2 
febbraio 2000, n. 861) nelle materie di giurisdizione esclusiva non viene meno la distinzione ex 
art. 103 Cost. tra diritto soggettivo ed interesse legittimo riguardo ai poteri che il giudice amministrativo 
pu� esercitare in relazione alla natura paritaria o autoritativa del rapporto su cui � chiamato 
a giudicare. Pertanto, deve ritenersi che l'uso dei mezzi di prova del processo civile sia 
necessariamente limitato alle controversie in cui si discute di un diritto soggettivo. 

Ma anche a voler ritenere superato questo orientamento giurisprudenziale -ammettendo a 
tutto campo l'istruttoria civile nella giurisdizione esclusiva -si avrebbe l'assurda conseguenza 
che per gli interessi legittimi rientranti nelle materie di giurisdizione esclusiva sarebbero ammessi 
tutti i mezzi di prova del processo civile mentre la stessa regola non varrebbe per quelli appartenenti 
alla giurisdizione generale di legittimit�. 

111111111111�111��illllllllllll�111�111������1 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

19 

In secondo luogo la delega intendeva perseguire tale risultato senza ampliare 
nelle suddette tre materie l'ambito delle esistenti giurisdizioni esclusive. Per due 
volte infatti fu formulata la proposta di delegare il Governo a trasferire le tre materie 
in questione alla giurisdizione amministrativa esclusiva, ed entrambe le volte 
essa non ebbe seguito, onde fu approvato definitivamente un testo che di giurisdizione 
esclusiva non parla. 

Certo �, comunque, che l'utilizzo dei mezzi istruttori del processo civile determiner� una 
trasformazione della struttura del processo amministrativo che non sar� pi� un processo 
�monoverifica�, cio� imperniato su un'unica udienza, perch� dovr� anch'esso articolarsi in 
una o pi� udienze istruttorie. Al riguardo la nuova legge appare del tutto carente in quanto non 
prevede una adeguata riforma del rito che possa agevolare una cos� profonda trasformazione 
dell'istruttoria (come al solito spetter� alla giurisprudenza creare questo nuovo rito istruttorio 
traendone le regole dal processo civile ed adattandole alla specificit� del processo amministrativo). 


La seconda novit� riguarda la possibilit� di disporre la C.T.U. in tutte le controversie, comprese 
quelle in cui si discute di interessi legittimi, il che non � una modifica di poco conto e pone 
problemi ancor pi� delicati. 

Il primo � capire quale � lo spazio che pu� avere la C.T.U. nel sindacato sull'interesse legittimo 
e come evitare che essa si trasformi in uno strumento per esercitare un sindacato di merito. 

In realt� il problema non � del tutto nuovo perch� anche prima della novella non sono mancate 
pronunce basate su vere e proprie C.T.U. bench� mascherate sotto forma di schiarimenti o 
verificazioni richiesti ad organi tecnici diversi dall'amministrazione che aveva adottato il provvedimento. 


Ed � per questo che il Consiglio di Stato con ordinanza n. 2292 del 17 aprile 2000 ha sollevato 
la questione di legittimit� costituzionale con una approfondita ed interessante motivazione 
rivolta a dimostrare l'utilit� della C.T.U. nel sindacato sull'interesse legittimo e nella quale sono 
contenute le �istruzioni per l'uso� di tale nuovo strumento d'indagine. 

Il ragionamento del Consiglio di Stato si sviluppa -in sintesi -attraverso i seguenti passaggi 
logici: 

-la c.d. discrezionalit� tecnica (ammesso e non concesso che si tratti di discrezionalit�) 
� altra cosa dal merito amministrativo perch�, mentre quest'ultimo � oggetto di una riserva di 
potere dell'amministrazione e attiene alla sfera dell'opinabile, la prima attiene all'apprezzamento 
del fatto e risponde a certe regole la cui osservanza � sindacabile dal giudice di legittimit�: 
un giudizio tecnico scorretto (quindi falso) non � equiparabile ad una opinabile valutazione 
di opportunit�; 

-anche quando la legge non riproduce nella norma la regola tecnica quest'ultima � implicitamente 
recepita dalla legge (ex art. 97 Cost.) e quindi la sua inosservanza determina un vizio 
di legittimit�; 

-tuttavia vi sono dei casi in cui il giudizio tecnico della P.A. coinvolge scelte di merito 
come quando esso si basa sulle risultanze di discipline non suscettibili di un apprezzamento neutrale 
(ad. es. un giudizio estetico il quale � inevitabilmente opinabile); 

-quindi, conclude il Consiglio di Stato, la C.T.U. pu� essere usata per sindacare l'eccesso 
di potere nei giudizi tecnici che sottostanno alle regole delle cosiddette scienze esatte ma non 
anche in quelli che appartengono alla cosiddette scienze umane. 

Sul piano teorico tali considerazioni non possono che essere condivise perch� anche nella 
giurisdizione di legittimit� non si pu� negare al giudice la piena conoscenza dei fatti di causa che, 
soprattutto in ambiti altamente tecnologici (oggi sempre pi� diffusi), pu� rendere indispensabile 
l'ausilio di un consulente tecnico. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

20 

3.3. -L'Avvocatura dello Stato afferma tuttavia che la legge n. 59 del 1997, prevedendo 
nelle citate tre materie l'attribuzione delle controversie relative ai �diritti 
patrimoniali conseguenziali� al giudice amministrativo, mirava implicitamente ma 
necessariamente a devolvere quelle materie alla sua giurisdizione esclusiva: la categoria 
enunciata sarebbe infatti cosi strutturalmente legata alla giurisdizione esclusiva, 
da non essere configurabile senza di essa. 
L'argomento non � fondato. 

� certamente vero che, quando emersero come concetto normativo, i �diritti 
patrimoniali conseguenziali alla pronunzia di legittimit� dell'atto o provvedimento 
contro cui si ricorre� -cos� l'art. 9 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2840 (Modifica-

Tuttavia, sul piano pratico i problemi non saranno pochi perch� non sar� affatto facile n� stabilire 
quali siano le c.d. scienze esatte n� quale sia la linea di confine tra ci� che rientra nel giudizio 
tecnico e ci� che appartiene alle opinabili ma insindacabili scelte di merito. � noto infatti 
che spesso, come rilevato anche nella citata ordinanza di rimessione, si tratta di valutazioni complesse 
che non appartengono a due momenti aut�nomi e distinti in quanto si intrecciano l'una con 
l'altra fmo a confondersi in una unica scelta compiuta dall'amministrazione e rispetto alla quale 
non � sempre possibile distinguere ci� che � tecnicamente o scientificamente scorretto (e quindi 
illegittimo) da ci� che invece � opinabile (e quindi insindacabile). 

Il rischio maggiore � che l'individuazione di questa linea di confine, che segna il limite del 
sindacato di legittimit�, finisca di fatto per essere demandata al consulente tecnico d'ufficio il 
quale, come arbitro delle regole che disciplinano la scienza applicata al caso di specie, potrebbe 
non resistere alla tentazione di esprimere il suo giudizio tecnico anche su ci� che � opinabile bench� 
scientificamente corretto. Per evitare questo rischio sar� necessario calibrare il pi� possibile 
la formulazione dei quesiti in modo tale da impedire al C.T.U. di entrare nel merito e valorizzare 
molto il contraddittorio sull'espletamento e sulle risultanze della perizia affinch� gli organi tecnici 
dell'amministrazione abbiano la possibilit� di difendere il loro operato ed in definitiva il loro 
ruolo istituzionale. 

Altro problema non secondario � quello relativo alla individuazione del consulente tecnico 
da nominare. Esso si pone in maniera particolarmente evidente per il sindacato sull'eccesso di 
potere dei provvedimenti delle autorit� amministrative indipendenti che sono spesso caratterizzati 
da una elevata dose di tecnicismo. 

Su tali controversie va ricordato che nel corso dei lavori preparatori della legge n. 
205/2000 � stato proposto di limitare il sindacato sull'eccesso di potere ad alcune soltanto delle 
figure sintomatiche (�palese errore di apprezzamento� e �manifesta illogicit� del provvedimento
�) escludendolo per il resto. Ebbene, non solo tale limitazione -di dubbia compatibilit� 
con l'art. 113, secondo comma Cost. -non � stata approvata dal Parlamento ma alla fine si 
� ottenuto il risultato diametralmente opposto perch� attraverso la C.T.U. si � indubbiamente 
reso pi� incisivo il sindacato sull'eccesso di potere in tutte le materie dominate da discrezionalit� 
tecnica. 

Certo � che la scelta del consulente tecnico in queste materie non sar� facile. Si pensi, ad 
esempio, ad un provvedimento dell'Autorit� garante della concorrenza e del mercato che accerta 
e sanziona un'intesa restrittiva della concorrenza in base ad una determinata analisi economica 
del mercato contestata dalle imprese ricorrenti. Viene da chiedersi se in tal caso il giudice potr� 
scegliere un qualunque esperto di economia dall'albo dei periti del Tribunale Civile ed affidargli 
il compito di valutare se l'Autorit� ha correttamente eseguito l'analisi del mercato, ammesso e 
non concesso che l'economia appartenga alle cosiddette scienze esatte. 

FRANCESCO SCLAFANI 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

zioni all'ordinamento del Consiglio di Stato e della giunta provinciale amministrativa 
in sede giurisdizionale), il cui testo fu poi trasfuso nell'art. 30 del r.d. 26 giugno 
1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), e 
sostanzialmente riprodotto dall'art. 7 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, sui tribunali 
amministrativi regionali -fungevano da limite esterno alla giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, essendo la loro cognizione riservata al giudice 
ordinario. 

Ma, affermatasi la configurazione della giurisdizione esclusiva quale giurisdizione 
sul rapporto, tali diritti (come rivela l'analisi della giurisprudenza) hanno finito 
per identifiparsi con le pretese risarcitorie legate al rapporto da un nesso di mera 
occasionalit�, e quindi per presentare contenuti sostanzialmente non dissimili dalle 
pretese miranti al risarcimento del danno da attivit� amministrativa soggetta alla 
giurisdizione generale di legittimit�. Infatti -a parte le implicazioni della recente 
evoluzione della giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di �danno ingiusto
� -la risarcibilit� del danno ricollegabile all'adozione di un atto amministrativo, 
considerato illegittimo in sede di giurisdizione di legittimit�, integrante gli estremi 
dell'illecito civile, era gi� ammessa, ad esempio nel caso del cosiddetto 
�affievolimento� del diritto soggettivo seguito dalla successiva riespansione. 

Di siffatto percorso.evolutivo il legislatore delegante del 1997 ha evidentemente 
tenuto conto quando -recuperando la nozione di �diritti patrimoniali conseguenziali
�, per estendere ad essi la giurisdizione esercitata dal giudice amministrativo 
nelle materie in questione -vi ha esplicitamente compreso il diritto al 
risarcimento del danno, cosi confermando che finalit� della delega era l'attribuzione 
al giudice amministrativo -nei limiti in cui gi� conosceva di quelle materie della 
giurisdizione anche per la conseguenziale tutela risarcitoria, prima riservata al 
giudice ordinario. 

Ove invece il legislatore delegante avesse voluto istituire nuove giurisdizioni 
esclusive, avrebbe dovuto -per rispettare l'art. 76 della Costituzione -definire i 
limiti della �materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici�, non contemplata normativamente 
e quindi formalmente non identificata, ed assegnare al Governo principi 
e criteri direttivi per procedere a tale individuazione. 

3.4. -Si deve quindi conclusivamente ritenere che l'�estensione� della giurisdizione 
amministrativa esistente, tanto di legittimit� che esclusiva, era il compito 
assegnato al legislatore delegato; i �diritti patrimoniali conseguenziali�, in essi compreso 
il risarcimento del danno, erano l'oggetto (normativamente individuato) di 
tale estensione; e le tre materie dell'edilizia, urbanistica e servizi pubblici si ponevano 
come l'ambito all'interno del quale la giurisdizione amministrativa doveva 
essere estesa. 
3.5. -Pertanto nella legge di delega n. 59 del 1997 il compito affidato al legislatore 
delegato si presentava sufficientemente determinato, al punto da non esigere 
ulteriori precisazioni di dettaglio. 
Ne consegue l'infondatezza della questione di legittimit� costituzionale dell'art. 
11, comma 4, lettera g), seconda parte, della legge n. 59 del 1997, proposta dall'ordinanza 
n. 495 in riferimento all'art. 76 della Costituzione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

22 


4. -Le ordinanze nn. 252, 659 e 704 propongono nei medesimi termini la questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 33 del decreto n. 80 del 1998, sotto il profilo 
dell'eccesso rispetto alla legge di delega (art. 11, comma 4, letterag), della legge 
n. 59 del 1997): la norma censurata, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice 
amministrativo l'intera materia dei pubblici servizi, avrebbe violato gli artt. 76 
e 77 della Costituzione, poich� la legge di delega non lo consentiva, prevedendo solamente 
l'estensione, nella stessa materia, della giurisdizione amministrativa alle controversie 
sui diritti patrimoniali conseguenziali, compreso il risarcimento del danno. 
L'ordinanza n. 495 denunzia, invece, l'art. 33 sotto lo specifico profilo che esso, 
attribuendo alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie sui pubblici 
servizi, non riserva al giudice ordinario quelle �concernenti indennit�, canoni e altri 
corrispettivi� in materia di concessioni di servizi; ed estende la censura anche al 
comma 2, lettera}), ed al comma 3 dello stesso art. 33, applicativi del principio. 

5. -La questione posta dalle ordinanze nn. 252, 659 e 704 � fondata. 
L'art. 33 ha previsto nel comma 1 che �sono devolute alla giurisdizione esclusiva 
del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi, 
ivi compresi quelli afferenti al credito, alla vigilanza sulle assicurazioni, al mercato 
mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi 
di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481� ed ha nel comma 2 formulato un'elencazione 
non tassativa di tali controversie. 

Poich� l'art. 11, comma 4, lettera g), della legge n. 59 del 1997 -in base alle 
considerazioni svolte in precedenza -non consentiva l'ampliamento della giurisdizione 
esclusiva all'intero ambito della materia dei servizi pubblici, l'eccesso di 
delega denunciato dai rimettenti, con conseguente violazione degli artt. 76 e 77, 
primo comma, della Costituzione, � palese. 

Pertanto l'art. 33, comma 1, del decreto legislativo n. 80 del 1998 deve essere 
dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui, eccedendo i limiti della 
delega, ha devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la 
materia dei pubblici servizi, e non si � limitato ad estendere la giurisdizione amministrativa 
-nei limiti in cui essa, in base alla disciplina vigente, gi� conosceva di 
quella materia, sia a titolo di legittimit� che in via esclusiva -alle controversie concernenti 
i diritti patrimoniali conseguenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento 
del danno. 

La dichiarazione di illegittimit� costituzionale coinvolge anche il comma 2 del1'
art. 33, che ha specificato, in via esemplificativa, il contenuto dell'ampliato ambito 
della giurisdizione esclusiva. 

5.1. -La declaratoria di incostituzionalit� eomporta l'assorbimento della questione 
proposta dall'ordinanza n. 495 in ordine ai commi 1 e 2, lettera}), dell'art. 33, 
sotto il pi� limitato profilo prima ricordato. 
5.2. -In accoglimento della censura espressamente proposta dalla medesima 
ordinanza n. 495, va invece dichiarato illegittimo il comma 3 dell'art. 33, il qualemodificando 
l'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 -comportava (conformemente 
alla previsione di una giurisdizione esclusiva su tutta la materia dei servizi pubbli

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ci) l'effetto di sottrarre le concessioni di servizi, gi� oggetto di giurisdizione esclusiva, 
all'applicazione del secondo comma del medesimo art. 5, che faceva �salva la 
giurisdizione dell'autorit� giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti 
indennit�, canoni ed altri corrispettivi�. 

Infatti la devoluzione di tali controversie alla giurisdizione esclusiva sulle concessioni 
di servizi eccede i limiti della delega come sopra ricostmiti, trattandosi di 
controversie inerenti a pretese direttamente nascenti dal rapporto di concessione e 
quindi non riconducibili alla nozione di diritti patrimoniali conseguenziali, quale 
risultante dalla ricordata evoluzione. 

5.3. -La dichiarazione di incostituzionalit� dell'art. 33, nei termini appena precisati, 
facendo venir meno l'estensione della giurisdizione esclusiva all'intera materia 
dei pubblici servizi, assorbe la censura rivolta allo stesso art. 33, comma 2, lettera}), 
dall'ordinanza n. 394, sotto il profilo della mancata ricomprensione nella 
giurisdizione esclusiva dei �rapporti individuali di utenza con soggetti privati�, nonch� 
quella sollevata dall'ordinanza n. 195, in ordine all'intero art. 33, con riferimento 
agli artt. 3, 103 e 113 della Costituzione. 
5.4. -La dichiarazione di illegittimit� costituzionale comporta effetti sull'art. 
35, determinando la necessit� di adeguarne in via interpretativa il contenuto, ed in 
particolare di limitare la portata dei richiami fatti nei commi 1, 2, 3 e 5 di tale norma 
alla sola parte residua dell'art. 33. 
5.5. -L'ordinanza n. 495 dubita poi dell'incostituzionalit� dell'art. 35, comma 
4, del decreto n. 80 del 1998, nella sola parte in cui, a seguito dell'istituzione della 
giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, non avrebbe riservato all'autorit� 
giudiziaria ordinaria le controversie su canoni, indennit� e corrispettivi per le 
concessioni di servizi. 
La questione � infondata, poich� il suo presupposto � stato eliminato dalla 
dichiarazione di illegittimit� dell'art. 33. 

6. -Nella formulazione sopra indicata (retro, � 5), la dichiarazione di illegittimit� 
costituzionale dell'art. 33 vale a ricondurre la norma delegata nei limiti posti 
dalla legge di delega. 
Spetta al legislatore ogni ulteriore valutazione sull'opportunit� di conferire al 
Governo una nuova delega, o anche di intervenire direttamente, nella prospettiva del 
compimento -in modo conforme a Costituzione -del disegno riformatore cui la 
legge n. 59 del 1997 si riferiva. 

PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 


riuniti i giudizi, 

a) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'articolo 33, comma 1, del decreto 
legislativo 31 marzo 1998, n. 80 (Nuove disposizioni in materia di organizzazione 
e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

24 

controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 
11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59), nella parte in cui istituisce 
una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, 
anzich� limitarsi ad estendere in tale materia la giurisdizione del giudice 
amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali, 
ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno; 

b) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'articolo 33, commi 2 e 3, del 
decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80; 

c) dichiara non fondata la questione di costituzionalit� dell'articolo 35, 
comma 4, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, sollevata, in riferimento 
all'articolo 77 della Costituzione, dal Giudice di pace di Palermo, con l'ordinanza 
indicata in epigrafe; 

d) dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'articolo 
11, comma 4, lettera g), della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il 
conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della 
Pubblica Amministrazione. e per la semplificazione amministrativa), sollevata, in 
riferimento all'articolo 76 della Costituzione, dal Giudice di pace di Palermo, con 
l'ordinanza indicata in epigrafe; 

e) dichiara la manifesta inammissibilit� delle questioni di legittimit� costituzionale 
dell'articolo 33, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 e 
dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59, sollevate, in riferimento, 
rispettivamente, agli articoli 76 e 77, primo comma, della Costituzione ed 
agli articoli 3, 24, 76 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale 
del Lazio, sezione di Latina, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 

f) dichiara la manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� costituzionale 
degli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, sollevata, 
in riferimento agli articoli 3, 103 e 113 della Costituzione, dal Tribunale di Vibo 
Valentia, sezione di Tropea, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta 
1'11luglio2000. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 luglio 2000, n. 309 -Pres. Mirabelli -Est. Zagrebelsky 
-Procuratore della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano 
( dott. Robert Schiilmers) c. Presidente del Consiglio dei Ministri ( avv. Stato 
Caramazza). 

Corte Costituzionale -Conflitto fra Provincia autonoma e Stato per atto emesso 
da Procuratore della Repubblica -Determinazione di non intervento del Presidente 
del Consiglio non preceduta da intesa con, o richiesta di parere al 
Procuratore -Conflitto fra poteri dello Stato sollevato dal Procuratore della 
Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio -Inammissibilit�. 

� inammissibile il conflitto fra poteri dello Stato promosso da un Procuratore 
della Repubblica nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri per mancata 
costituzione di quest'ultimo in un conflitto di attribuzione fra la Provincia auto



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

25 

noma di Bolzano e lo Stato nascente da atti emessi dal Procuratore della Repubblica 
stesso, nei limiti in cui la determinazione di non costituzione non � stata preceduta 
da un 'intesa con il pubblico ministero o da una richiesta allo stesso (1). 

(omissis) 

Con ricorso depositato il 3 giugno 1999, il Sostituto Procuratore della Repubblica 
presso la Pretura circondariale di Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri 
dello Stato contro il Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla mancata 
costituzione di quest'ultimo nel giudizio (iscritto al registro conflitti n. 3 del 1999) per 
conflitto di attribuzione di fronte alla Corte costituzionale promosso dalla Provincia 
autonoma di Bolzano contro lo Stato a seguito di due atti (decreto di esibizione documentale 
e lettera ai Presidi delle scuole della Provincia) emessi dal pubblico ministero 
nel corso di un procedimento penale contro funzionari della medesima Provincia. 

Precisato che ai sensi dell'art. 112 della Costituzione il pubblico ministero � il titolare 
diretto ed esclusivo dell'attivit� di indagine finalizzata all'esercizio dell'azione 
penale, e che in riferimento a detta funzione esso � legittimato a sollevare il conflitto, il 

(1) Equiordinazione dei poteri nei conflitti dinnanzi alla Corte. 
La Corte ha ritenuto inammissibile, in sede di valutazione compiuta e definitiva, il conflitto 
in rassegna, valutato invece ammissibile in sede di prima delibazione (ordinanza 15-30 dicembre 
1999 n. 470, in questa Rassegna, 1999, I, 318). 

Si era osservato, a commento di quella ordinanza, come giungesse ex professo all'esame 
della Corte un problema di particolare delicatezza, solo di sfuggita toccato in passato dalla Corte 
stessa (sentenza 20 marzo 1985 n. 70, in Foro it., 1986, I, 58) e molto discusso dalla dottrina. 

In effetti, quando il conflitto fra Stato e Regione si risolve in un conflitto fra potere esecutivo 
(di competenza regionale) e potere giudiziario, la controversia si atteggia, da un punto di vista 
sostanziale, pi� come conflitto fra poteri che come regolamento di competenza fra enti. 

Peraltro nella sua configurazione normativa astratta il problema non sembrava dissimile da 
quello che sorge ogniqualvolta l'organo statale interessato al conflitto sia anche un qualunque 
potere dello Stato diverso dal legislativo. 

In tutti questi casi, indifferentemente, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente della 
Regione rappresentano nel giudizio, unitariamente, gli ordinamenti, statale e regionale, di cui sono 
parti, non singole amministrazioni o singoli organi o poteri della relativa organizzazione. 

Se dunque, si concludeva, poteva convenirsi, sul piano logico, sull'opportunit� dell'apertura 
di uno spazio di interlocuzione al potere giudiziario in casi quale quello in esame per una pi� 
piena attuazione del principio del contraddittorio, doveva per� riconoscersi che ci� non sarebbe 
potuto avvenire che in sede legislativa. 

Attesa la delicatezza e novit� della questione, si pubblica qui di seguito la parte rilevante 
della memoria dell'Avvocatura dello Stato. 

1. -Deve preliminarmente revocarsi in dubbio, in sede di valutazione compiuta e definitiva, 
la ammissibilit� del conflitto sia sotto il profilo soggettivo che sotto quello oggettivo. 
Sotto il profilo soggettivo pu� dubitarsi, infatti, che il Sostituto Procuratore della Repubblica 
sia l'organo competente a dichiarare in via definitiva la volont� del potere a cui appartiene. 
Tale competenza e la relativa legittimazione processuale, con riguardo alle attribuzioni relative 
all'esercizio dell'azione penale, devono riconoscersi invece soltanto al Procuratore della Repubblica, 
�non assumendo autonomo rilievo i sostituti data la gerarchia interna all'organo� (A. 
CERRI, Conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato, in Enc. Giur. Treccani, 3 e 6). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

26 

ricorrente rileva che nei conflitti tra Stato e Regioni o Province autonome, in base al 
consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, sono legittimati a costituirsi 
in giudizio soltanto gli enti dai quali e nei confronti dei quali pu� essere sollevato 
il conflitto stesso, cio� il Presidente del Consiglio dei ministri e il Presidente della 
Giunta regionale, essendo stata di recente esclusa la possibilit� di interpretare l'art. 20, 
secondo comma, della legge 11marzo1953, n. 87, nel senso di riconoscere il diritto di 
qualsiasi organo statale a intervenire in qualsiasi giudizio pendente innanzi alla Corte 
costituzionale (sentenza n. 350 del 1998). Inoltre, il ricorrente sottolinea che atti di giurisdizione 
possono essere a base di conflitto di attribuzioni tanto tra Regioni e Stato che 
tra poteri dello Stato, ma soltanto in questo secondo caso i singoli organi giudiziari sono 

Sotto il profilo oggettivo deve, poi, contestarsi che l'attribuzione di cui il ricorrente lamenta 
la lesione attenga a quella titolarit� dell'azione penale (e degli strumentali poteri di indagine) 
che sola legittima il P.M., quale potere dello Stato, a sollevare conflitto dinanzi a codesta Corte 

(F. SORRENTINO, Garanzie Costituzionali, Comm. Cost. Branca, Bologna-Roma 1981, 449; Corte 
Cost., sent. 420/95). Le attivit� del P.M. che la Provincia denunciava come lesive delle proprie 
attribuzioni erano, infatti, del tutto estranee cos� alle indagini come all'esercizio dell'azione penale, 
tanto vero che riguardavano anche attivit� ed atti amministrativi provinciali successivi ai fattireato 
per cui era in corso l'azione penale. 
La pretesa menomazione di attribuzioni costituzionalmente garantite esiste, quindi, soltanto 
come prospettazione del ricorrente. 

Sempre sotto il profilo oggettivo deve, poi, contestarsi l'ammissibilit� di un conflitto da 
menomazione per cattivo uso di potere quando tale lamentato cattivo uso investa il merito delle 
scelte politico-discrezionali riservate dall'ordinamento all'organo resistente (A. CERRI, op. cit., 
5), come sicuramente � nella specie. 

2. -Nel merito il ricorso risulta, poi, infondato attesoch� non esiste nel nostro ordinamento 
il principio della necessaria tutela processuale di ogni potere dello Stato -sia pure nella limitata 
forma dell'intesa o della previa consultazione -nei giudizi di costituzionalit� che in qualche 
modo lo interessino. 
Dalla disciplina del processo costituzionale sembra, anzi, evincersi l'opposto principio di 
una tendenziale limitazione della legittimazione processuale. Una legittimazione che, nei conflitti 
fra enti, � rigorosamente limitata agli organi di vertice. 

Il che � perfettamente rispondente alla logica di ogni organismo pubblico complesso che si 
presenti al giudizio nella sua unitariet� di soggetto per atti e comportamenti posti in essere da uno 
qualunque degli organi in cui � articolato, e che ad esso soggetto unitariamente inteso vengono 
imputati. 

Ci� accade, ad esempio, nei giudizi dinanzi alle Corti internazionali, che giudicano gli Stati 
per comportamenti posti in essere da uno qualsiasi dei loro organi ed elementi e che vengono agli 
Stati imputati in base al principio di effettivit�. 

Cos�, nel 1989, la Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja decise una causa fra gli Stati 
Uniti d'America e la Repubblica Italiana originata da comportamenti di una Regione e di autorit� 
giudiziarie italiane (sent. 20 luglio 1989 n. 76, in questa Rassegna, 1989, I, 346). Il Governo 
italiano si difese -vittoriosamente -in giudizio senza che vi fosse alcuna previa intesa o consultazione 
n� con la Regione n� con le autorit� giudiziarie coinvolte per scelta fatta nell'esercizio 
di una evidente discrezionalit� politica e senza che chicchessia si sentisse prevaricato. 

La stessa logica dell'ordine giuridico internazionale si ripete nell'ordine pubblico interno 
italiano, dove, nel conflitto tra Stato e Regione o Provincia autonoma, lo Stato unitariamente agisce 
o viene evocato nel suo organo di vertice per atti o comportamenti di uno qualsiasi dei suoi 
organi, a nulla rilevando che tale organo sia, o meno, anche un potere dello Stato. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

27 

legittimati a stare in giudizio, mentre nel primo caso il potere di costituirsi in giudizio 
spetta unicamente al Presidente del Consiglio dei ministri o al Ministro da lui delegato, 
in ra~presentanza dello Stato quale ordinamento unitario. 

E chiara dunque -prosegue il ricorrente -la diversit� di disciplina che contraddistingue 
i due diversi tipi di giudizi di regolamento di competenza, sotto il profilo 
della legittimazionie a stare in giudizio, allorch� oggetto dell'impugnazione sia 
un atto del pubblico ministero: se a impugnare l'atto � un altro potere dello Stato, il 
pubblico ministero potr� legittimamente contraddire in giudizio, mentre se a promuovere 
il conflitto � una Regione o una Provincia autonoma lo stesso pubblico 
ministero non avr� la possibilit� di contrastare la prospettazione della ricorrente, 
potendo confidare soltanto nell'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, 
e ci� bench� in entrambi i casi possa darsi l'effetto dell'annullamento dell'atto del 
potere giudiziario che � stato impugnato (artt. 38 e 41 della legge n. 87 del 1953). 

3. -Vero � che quando il conflitto fra enti coinvolge il potere giudiziario il problema di una 
sua specifica rappresentanza e difesa assume particolare rilievo, tanto che � stato pi� volte prospettato 
in dottrina ( cfr. per tutti R. RoMBOLI, nota redazionale a Corte Cost., ordinanza 30 
dicembre 1999 n. 47, in Foro it. 2000, I, 343; id., La magistratura nei conflitti fra enti aventi ad 
oggetto atti giurisdizionali: un problema ancora in attesa di soluzione, in Giur. Cast. 1997, 
1701; F. BIONDI, in tema di conflitti sollevati dalle regioni contro atti giurisdizionali, ovvero 
quando tali conflitti sono �effettivamente� conflitti Stato-regioni, nonostante la natura giurisdizionale 
dell'atto impugnato, ivi, 1999, 1509), risolvendosi il pi� delle volte la controversia in un 
conflitto fra potere esecutivo (di competenza regionale) e potere giudiziario, con esclusione 
quindi di un sostanziale regolamento di competenza tra enti vero � anche, peraltro, che nella sua 
configurazione normativa astratta il problema non sembra dissimile da quello che sorge ogniqualvolta 
l'organo statale interessato al conflitto sia anche un qualunque potere dello Stato 
diverso dal legislativo. 
In tutti questi casi, indifferentemente, Presidente del Consiglio dei Ministri e Presidente 
della Regione rappresentano nel giudizio, unitariamente, gli ordinamenti, statale e regionale, di 
cui sono parti (v. Corte cost., 26 gennaio 1957, n. 6; 23 marzo 1960, n. 13; 26 giugno 1962, n. 68 
e 26 giugno 1970, n. 110), non singole amministrazioni o singoli organi o poteri della relativa 
organizzazione. �Il Presidente del Consiglio, in particolare, non agisce per un interesse proprio o 
del governo, ma dell'ordinamento statale nel suo complesso, prima ed indipendentemente dalla 
spettanza del potere controverso a questo o quell'organo del sistema statale� (G. ZAGREBELSKY, 
Conflitto di attribuzioni fra Stato e Regioni e fra Regioni, in Enc. Giuridica Treccani, 7). 

4. -La scelta cos� netta operata dal legislatore (art. 39 legge 11 marzo 1953 n. 87) � d'altronde 
perfettamente congruente con tutto il sistema del processo costituzionale, cos� come delineato 
dalla Costituzione, dalle leggi costituzionali ed ordinarie e dalle norme integrative; un sistema 
che, come gi� prima si accennava, � ispirato ad una rigorosa limitazione della legittimazione 
processuale: limitazione d'altronde pi� volte sottolineata dalla giurisprudenza di codesta Corte 
(cfr. per tutte sent. 350/98). 
Basti pensare, a tacer d'altro, al fatto che legittimato processuale nei giudizi incidentali di 
costituzionalit� delle leggi e nei giudizi di impugnazione diretta di leggi statali � il Presidente del 
Consiglio dei Ministri e non il Parlamento, che pure � indubbiamente il potere pi� direttamente 
interessato e comunque il potere -per usare le espressioni dell'odierno ricorrente -i cui atti 
potrebbero essere caducati per effetto del giudizio costituzionale. 

N� risulta che il Parlamento abbia mai avuto a dolersi di mancate intese o consultazioni 
prima di eventuali determinazioni di non intervento in giudizio da parte del Presidente del 
Consiglio. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

28 

Questa differenziazione, fonte di possibili incongruenze (come quella per cui 
nel conflitto tra enti il potere giudiziario si trova a essere difeso dallo stesso organo 
statale che, nell'altra sede, potrebbe esserne la controparte), � stata del resto rilevata 
anche dalla Corte costituzionale, allorch� ha avvertito l'esigenza di una �autonoma 
rappresentanza e difesa dell'ordine giudiziario� nei conflitti tra enti nei quali 
siano in discussione provvedimenti della magistratura (sentenza n. 70 del 1985). 

Il ruolo di rappresentanza dello Stato nella sua unit� assegnato al Presidente del 
Consiglio dei ministri, prosegue il ricorrente, non fa venire meno l'istituzionale indipendenza 
rispetto a ogni altro potere statale che gli artt. 101, 104, 107 e 112 della 
Costituzione garantiscono al pubblico ministero: la ripercussione delle scelte processuali 
del rappresentante Presidente del Consiglio dei ministri nella sfera degli 
interessi propri ed esclusivi del potere giudiziario rappresentato determinerebbe, 
secondo il ricorrente, la necessit� di ricercare un punto di equilibrio tra i diversi inte-

La partecipazione al giudizio costituzionale di organi statali diversi da quello di vertice, che 
rappresenta unitariamente l'ordinamento, � dunque prevista, in via di eccezione, solo nel caso di 
conflitto fra poteri dello Stato (art. 37 legge ult. cit. e art. 26, Norme integrative per i giudizi avanti 
la Corte Costituzionale, approvate dalla Corte il 16 marzo 1956), nel quadro di una intrinseca 
logica e razionalit� del sistema e se pu� convenirsi con il ricorrente e con una autorevole corrente 
dottrinale sulle buoni ragioni logiche che militerebbero in favore dell'apertura di uno spazio di 
interlocuzione al potere giudiziario in casi quali quello in esame per una pi� piena attuazione del 
principio del contraddittorio, deve per� riconoscersi che ci� non potrebbe che avvenire ad opera 
del legislatore costituzionale o di quello ordinario o di codesta Corte in sede di adozione di norme 
integrative o di r�virement giurisprudenziale in tema di ammissibilit� dell'intervento (con particolare 
riguardo alla sentenza 70/85). 
Autorevole dottrina ha infatti auspicato una revisione della Costituzione in parte qua, o una 
riforma dell'art. 39 legge 87/53 cit. o dell'art. 27 delle norme integrative pure citate (R. ROMBOLI, 
La magistratura ecc .... , cit.). 
Sembra invece da escludere che la questione possa essere risolta da codesta Corte in sede di 
giudizio di legittimit� costituzionale in 
ipotesi sollevato di fronte a se stessa del 
citato art. 
39 legge 87/53 nella parte in cui non prevede l'autonoma rappresentanza e difesa in giudizio dell'ordine 
giudiziario. 
La questione sarebbe, infatti, inammissibile, poich� la sua risoluzione in senso positivo comporterebbe 
un intervento additivo �in versi liberi� e non �a rime obbligate�, con invasione della 
sfera discrezionale del legislatore in quanto finirebbe per stravolgere, nel suo complesso, �l'impianto 
del conflitto fra enti, come previsto dalla legge n. 87 del 1953� (F. BIONDI, op. cit., 1514). 
5. -In definitiva e per concludere appare totalmente infondato l'assunto che tra le attribuzioni 
del potere giudiziario rientri il diritto ad una previa intesa o consultazione nel caso in esame, risultando 
invece come a tale pretesa osti la normativa vigente in materia di processo costituzionale. 
Ci� non esclude, naturalmente, che il sistema possa essere modificato in tal senso e si potr� 
magari condividere il relativo auspicio: purch� sia chiaro, per�, che il problema della previa intesa 
o consultazione non costituisce attribuzione del potere giudiziario de lege lata ma solo auspi!
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cio di attribuzione de iure condendo (A. PIZZORUSSO, La magistratura come parte del conflitto di �: 
attribuzione, in Riv. Dir. Proc. 1982, 257) in alternativa con altre possibili innovazioni normative 
tutte idonee a soddisfare l'esigenza sostanziale rappresentata dal ricorrente e fra le quali la 
scelta non pu� spettare che alla discrezionalit� politica del legislatore. 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ressi in gioco, attraverso il ricorso all'istituto di carattere generale dell'intesa, quale 
mezzo di coordinamento e componimento di rapporti tra enti e autorit� diversi, o 
comunque attraverso una preventiva consultazione dell'organo giudiziario coinvolto 
da parte del Presidente del Consiglio dei ministri; ci� nel quadro delle regole di 
correttezza e di lealt� che devono ispirare i rapporti tra governo e autorit� giudiziaria, 
per il rispetto delle attribuzioni a ciascuno spettanti, come la stessa Corte costituzionale 
ha riconosciuto (sentenza n. 410 del 1998). 

La presidenza del Consiglio dei ministri, al contrario, ha proceduto alle sue 
determinazioni senza interessare in alcun modo la Procura della Repubblica, neppure 
attraverso la semplice richiesta di un parere, con conseguente lesione �di attribuzioni 
riconosciute al ricorrente dal principio generale dell'intesa e dal principio di 
leale cooperazione tra poteri dello Stato�. 

Infine, il ricorrente rileva che non � di ostacolo all'accoglimento del ricorso il 
fatto che la eventuale sentenza della Corte non potrebbe produrre alcun effetto in 
ragione della oramai intervenuta decadenza dello Stato dalla facolt� di costituirsi nel 
giudizio promosso dalla Provincia, in quanto ci� non farebbe comunque venire 
meno l'interesse della Procura a ottenere una decisione sulla spettanza delle attribuzioni 
in contestazione, ci� che rappresenta l'oggetto principale del giudizio della 
Corte, secondo l'art. 38 della legge n. 87 del 1953. 

2. -Con ordinanza n. 470 del 1999, la Corte costituzionale ha dichiarato l'ammissibilit� 
del conflitto proposto dal Sostituto Procuratore di Bolzano; il ricorso e 
l'ordinanza sono stati regolarmente notificati in data 26 gennaio 2000 e depositati il 
successivo 8 febbraio. 
3. -Nel giudizio si � costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato 
e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo una declaratoria di 
inammissibilit� e, nel merito, il rigetto del ricorso. 
Quanto all'ammissibilit�, l'Avvocatura osserva che il ricorrente non contesta n� 
la spettanza al Presidente del Consiglio delle attribuzioni in discorso, vale a dire la 
legittimazione passiva nel conflitto promosso dalla Provincia autonoma nei confronti 
dello Stato, n� il potere di determinarsi circa la costituzione in quel giudizio; 
egli contesta infatti solo le modalit� di esercizio di quella attribuzione. 

Cos� essendo, il ricorso per conflitto di attribuzione, in quanto concernente non 
la spettanza del potere ma le concrete modalit� di esercizio del medesimo da parte 
del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe, ad avviso dell'Avvocatura, inammissibile. 


Nel merito, l'Avvocatura sostiene il rigetto del ricorso, osservando che non ha 
senso chiedere, come fa il magistrato ricorrente, la necessit� di una audizione o di 
un previo parere del potere giudiziario, in vista della decisione sulla costituzione o 
meno del Presidente del Consiglio nel giudizio costituzionale, poich� tale affermazione 
comporterebbe pur sempre la prevalenza della determinazione di natura politica 
del Presidente del Consiglio dei ministri, e ci� non salvaguarderebbe in alcun 
modo nella prospettiva da cui muove il Sostituto Procuratore l'indipendenza della 
magistratura. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

30 

In ogni caso, prosegue l'Avvocatura, non risulta affatto, nel vigente sistema 
costituzionale, un �principio generale di intesa� tra gli organi dello Stato; n� il principio 
di leale collaborazione tra poteri dello Stato pu� implicare la necessit� giuridica 
della previa concertazione tra tutti gli organi interessati alle modalit� di esercizio 
di ogni potere pubblico. 

Infine, l'Avvocatura rileva che deve ammettersi solo una delle due possibilit� di 
ricostruzione del sistema: o la Costituzione ha abilitato ogni potere dello Stato a 
interloquire nel giudizio per conflitto di attribuzioni di cui all'art. 134, sia nei confronti 
degli altri poteri dello Stato che nei confronti delle Regioni, e allora ci� pone 
un problema di conformit� alla Costituzione dell'art. 39 della legge n. 87 del 1953; 
o, al contrario, la Costituzione non impone tale estensione della tutela processuale 
dei singoli poteri dello Stato nei conflitti di attribuzione tra enti, e allora, oltre a non 
porsi alcun problema di costituzionalit� del citato art. 39, deve ritenersi del tutto 
legittimo il comportamento del Presidente del Consiglio dei ministri che ha ritenuto, 
secondo le proprie valutazioni, di non costituirsi nel giudizio per conflitto promosso 
dalla Provincia di Bolzano. 

4. -In prossimit� dell'udienza, hanno depositato memorie sia la Procura della 
Repubblica presso il Tribunale di Bolzano (quale ufficio ora �incorporante� la Procura 
presso la Pretura circondariale, a norma dell'art. 31 del decreto legislativo 19 
febbraio 1998, n. 51 ), in persona del Sostituto Procuratore, sia l'Avvocatura generale 
dello Stato. 
4.1. -Il ricorrente, insistendo per l'ammissibilit� del conflitto e, nel merito, 
contestando -anche con richiami alla giurisprudenza costituzionale, in particolare 
alla sentenza n. 379 del 1992 -le argomentazioni svolte dall'Avvocatura nel suo 
atto di costituzione in giudizio, ribadisce la necessit� di ricercare una soluzione al 
problema del contraddittorio nei conflitti tra enti aventi a oggetto atti del potere giudiziario, 
imperniata sul principio della leale collaborazione e dell'intesa, per salvaguardare 
-allo stato e in attesa di una auspicabile nuova disciplina legislativa le 
prerogative di indipendenza della magistratura. 
4.2. -L'Avvocatura dello Stato ribadisce d'altra parte le proprie conclusioni nel 
senso dell'inammissibilit� e del rigetto del ricorso. 
In particolare, l'Avvocatura eccepisce l'inammissibilit� del conflitto anche 
sotto il profilo soggettivo, nel senso che il Sostituto Procuratore della Repubblica 
non potrebbe dirsi l'organo competente a dichiarare definitivamente la volont� del 
potere cui appartiene: tale competenza, si afferma nella memoria, andrebbe riconosciuta 
solo al Procuratore della Repubblica, in quanto il sostit�to non assumerebbe 
autonomo rilievo, data la connotazione gerarchica dell'ufficio. 

Quanto al merito, l'Avvocatura ribadisce che nell'ordinamento non esiste un 
principio della necessaria tutela processuale di ogni potere dello Stato, sia pure nella 
forma della intesa o della previa consultazione, nei giudizi costituzionali. Dalla 
disciplina di questi ultimi, anzi, emerge la contraria impostazione della limitazione 
della legittimazione processuale, nei conflitti tra enti, agli organi di vertice. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

La partecipazione al giudizio costituzionale di organi statali diversi da quello di 
vertice, prosegue la memoria, � dunque prevista solo come eccezione, nei conflitti 
interorganici (art. 37 della legge n. 87 del 1953 e art. 26 delle norme integrative); 
potrebbe convenirsi con il ricorrente -conclude l'Avvocatura -circa l'esigenza di 
dare voce al potere giudiziario in casi come quello in esame, ma ci� non potrebbe 
avvenire se non per opera del legislatore, costituzionale oppure ordinario, ovvero per 
decisione della Corte costituzionale, in sede di adozione di (nuove) norme integrative. 

Considerato in diritto 

1. -Il presente conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato � promosso dalla 
Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano in persona di un 
suo sostituto, designato ad esercitare le funzioni di pubblico ministero in un procedimento 
penale contro funzionari della Provincia autonoma di Bolzano, in riferimento 
a due atti del quale la Provincia autonoma medesima, ritenendo lese le proprie 
competenze costituzionali, ha in precedenza promosso conflitto di attribuzioni 
contro lo Stato. Poich� in tale conflitto costituzionale tra Provincia autonoma e 
Stato, la Presidenza del Consiglio dei ministri non si � costituita per difendere le 
attribuzioni dell'organo del potere giudiziario da cui provengono gli atti che hanno 
dato motivo al conflitto, il Sostituto Procuratore promuove il presente conflitto contro 
il Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alla suddetta mancata costituzione 
nel giudizio costituzionale �senza che sia previamente intervenuta un'intesa 
o sia stato comunque richiesto un parere al pubblico ministero i cui atti sono stati 
impugnati dalla Provincia autonoma di Bolzano�. 
2. -Il conflitto � inammissibile. 
2.1. -Il problema posto con il presente ricorso per conflitto di attribuzione 
riguarda la partecipazione al giudizio per conflitto di attribuzioni tra Stato e Regioni 
o Province autonome dell'autorit� giudiziaria, quando la controversia abbia avuto 
origine da un suo atto che si ritenga lesivo di una competenza costituzionale e del 
quale si chieda l'annullamento. 
Nella configurazione attuale di tali conflitti, per lo Stato � sempre e solo legittimato 
a intervenire il Presidente del Consiglio dei ministri (art. 39, terzo comma, 
della legge 11 marzo 1953, n. 87, e art. 27 delle norme integrative per i giudizi 
davanti alla Corte costituzionale) anche quando, come nel caso che ha dato origine 
al presente giudizio, siano in discussione atti provenienti da organi dello Stato che, 
per la natura delle funzioni che sono chiamati a esercitare, godono secondo la Costituzione 
di una posizione di assoluta autonomia e indipendenza dal Governo. Si comprende 
perci� quella �esigenza di autonoma rappresentanza e difesa dell'ordine giudiziario 
anche nei conflitti tra Stato e Regioni nei quali siano in discussione 
provvedimenti giudiziari�, sulla quale questa Corte, conformemente a rilievi numerose 
volte prospettati dai commentatori, gi� con la sentenza n. 70 del 1985 ha richiamato 
l'attenzione, esigenza al cui soddisfacimento mira ora il presente conflitto di 
attribuzioni. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

32 

Sennonch�, a tale carenza occorre -come ha rilevato la difesa del Presidente 

del Consiglio dei ministri -che si ponga rimedio in via normativa, non essendo 
possibile ovviare a essa in via di interpretazione e applicazione dell'ordinamento 
vigente. Questo pone bens� l'esigenza di un'idonea rappresentanza e difesa dell'autorit� 
giudiziaria nei giudizi su conflitto di attribuzioni in cui sia coinvolto l'esercizio 
dei suoi poteri, ma non fornisce indicazioni sufficienti circa il modo di colmare 
la lacuna, cosicch� si possa provvedere al riguardo da questa Corte nell'esercizio dei 
poteri giurisdizionali che le spettano. 

La riprova di quanto test� osservato sta nello stesso ricorso per conflitto qui in 
discussione, per mezzo del quale si chiede che, nel riconoscere la carenza di potere 
del Presidente del Consiglio dei ministri nel determinarsi autonomamente in relazione 
ai suoi poteri di intervento nel giudizio, quando siano in questione atti dell'autorit� 
giudiziaria, la Corte costituzionale detti essa stessa una disciplina relativa alle 
procedure da seguire e ai poteri esercitabili dall'organo giudiziario interessato: una 
disciplina che -indipendentemente dalla congruit� delle specifiche soluzioni indicate 
dal ricorrente, con riguardo alla reciproca posizione costituzionale del potere 
esecutivo e dell'ordine giudiziario -verrebbe necessariamente a configurarsi come 
la predisposizione ex novo di un complesso di regole che non pu� che essere posto 
nella sede competente a dettare norme nella materia dei giudizi costituzionali. 

2.2. -La rilevata, assorbente ragione di inammissibilit� del conflitto rende 
superfluo l'esame dell'eccezione sollevata dalla difesa del Presidente del Consiglio 
dei ministri circa l'idoneit� del Sostituto Procuratore della Repubblica a rappresentare 
l'ufficio di cui fa parte, in assenza di una designazione del capo dell'ufficio stesso 
specificamente riguardante il presente giudizio su conflitto di attribuzione 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 


dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso 
dalla Procura della Repubblica presso la Pretura circondariale di Bolzano, in persona 
del Sostituto Procuratore della Repubblica, nei confronti del Presidente del 
Consiglio dei ministri, col ricorso indicato in epigrafe. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 
l' 11 luglio 2000. 

(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 9-16 ottobre 2000, n. 423 -Pres. Mirabelli -Red. 
Zagrebelsky-Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato G. Palmieri). 

Sanit� -Diritto alla salute -Danni da vaccinazione antiepatite B -Diritto 

all'indennizzo a partire dall'anno 1983 -Sussiste -Illegittimit� in parte 

qua. 

(Cost., art. 32; legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. I, comma I). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

33 

Sanit� -Diritto alla salute -Danni da vaccinazione obbligatoria, trasfusioni ed 
emoderivati -Diritto all'indennizzo -Liquidazione del danno biologico Discrezionalit� 
del legislatore -Infondatezza della questione. 

(Cost., artt. 2 e 38; legge 25 febbraio 1992, n. 210, art. 1, comma 3, e art. 2, commi 1 e 2). 

Sanit� -Diritto alla salute -Danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali Diritto 
all'indennizzo -Assegno �una tantum� per il periodo tra il manifestarsi 
della malattia e l'ottenimento dell'indennizzo -Mancata previsione 
-Infondatezza della questione. 

(Cost., artt. 32 e 2; legge 25 febbraio 1992, n. 210, artt. 1 e 2; legge 25 luglio 1997, n. 238, 
art. 1 ). 

In applicazione dei principi enunciati nella sentenza della Corte Costituzionale 
n. 27 del 1998 e dalle precedenti n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, accertato 
documenta/mente che anche per la vaccinazione antiepatite � stata posta in atto una 
campagna legalmente promossa dall'autorit� sanitaria per la diffusione di tale tipo 
di vaccinazione, deve ritenersi che anche per i soggetti sottoposti a vaccinazione di 
tipo B sussistano le condizioni per riconoscere come dovuto l'indennizzo previsto 
dall'art. 1, legge n. 210192. 

Pertanto, � incostituzionale l'art. 1, comma 1, legge n. 210192 nella parte in cui 
non prevede il diritto all'indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che siano 
stati sottoposti a vaccinazioni antiepatite Ba partire dall'anno 1983 (1). 

La disciplina apprestata dalla legge n. 210192 opera su un piano diverso da 
quello in cui si colloca la disciplina civilistica in tema di risarcimento del danno, 
compreso il c.d. danno biologico. 

Ferma la possibilit� per l'interessato di azionare l'ordinaria pretesa risarcitoria, 
il legislatore, nell'esercizio della sua discrezionalit�, ha, quindi, previsto una 
misura economica di sostegno aggiuntiva in un caso di danno alla salute, il cui 
conseguimento dipende unicamente da fattori oggettivi determinabili secondo 
parametri fissi. 

Pertanto, non � fondata la questione di legittimit� costituzionale degli articoli 
1, comma 3, e 2, commi 1e2, della legge n. 210192 (2). 

(1) In riferimento alla prima questione non � stato proposto l'intervento da parte del Presidente 
del Consiglio dei Ministri. 
La sentenza che si annota costituisce sul punto puntuale applicazione dei principi enunciati 
dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 26 febbraio 1998, n. 27 (in questa Rassegna, 1998, I, 
6, con nota di commento di G. PALMIERI) e con le precedenti 22 giugno 1990, n. 307 (in Giur. 
Cast., 1990, 1876, con nota di F. GIARDINA) e 18 aprile 1996, n. 118 (in questa Rassegna, 1996, 
I, 185, con nota di G.P. PouzzI). 

(2-3) Con riferimento alle due questioni poste dal Tribunale Civile di Firenze per il profilo 
attinente al c.d. danno biologico e dal Tribunale di Firenze, Sezione Lavoro, per il profilo attinente 
alla mancata previsione dell'assegno �una tantum�previsto dalla legge n. 210/1992 anche 
in favore di soggetti danneggiati irreversibilmente da epatiti post-trasfusionali, � stato invece proposto 
l'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri. 

La Corte ha condiviso le prospettazioni di infondatezza contenute negli atti di intervento 
riallacciandosi proprio alla sua giurisprudenza -ormai chiaramente delineata -in materia. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

34 

La giurisprudenza costituzionale in materia � costante nel! 'individuare nel! 'interesse 
pubblico alla promozione della salute collettiva tramite il trattamento sanitario, 
e non nel!' essere il singolo necessitato al trattamento, la ragione del!' obbligo 
generale di solidariet� nei confronti di quanti, sottomettendosi al trattamento 
imposto, subiscono un pregiudizio alla loro salute. 

Non sono, quindi, equiparabili dal punto di vista del principio di uguaglianza, 
la cogenza del!' obbligo legale o l'incentivazione al trattamento sanitario, da un 
lato, e la necessit� terapeutica del trattamento stesso, dal! 'altro. 

Pertanto, non �fondata la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 
della legge n. 21011992, come integrati dall'art. 1, comma 2, della legge n. 238197 (3). 

(omissis) 

1. -Il Tribunale di Firenze, il Tribunale di Firenze sezione del lavoro e il Tribunale 
di Sanremo dubitano, sotto diversi aspetti, della legittimit� costituzionale 
della disciplina dettata dalla legge 25 febbraio 1992, n. 21 O (Indennizzo a favore dei 
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni 
obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati), in tema di indennizzo 
dovuto a coloro che abbiano subito danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali. 
In particolare, il Tribunale di Firenze (r.o. 601/1999) dubita -in riferimento 
agli artt. 2 e 38 della Costituzione -della legittimit� costituzionale degli artt. 1, 
comma 3, e 2, commi 1 e 2, della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui, nel quantificare 
l'indennizzo dovuto a coloro che presentino danni irreversibili da epatiti 
post-trasfusionali, non prevedono la liquidazione, sia pure in misura ridotta, del 
danno biologico subito a seguito di emotrasfusione. 

Il Tribunale di Firenze -sezione del lavoro, a sua volta (r.o. 683/1999), dubita 
-in relazione agli artt. 2, 3, 32 e 38 della Costituzione -della legittimit� costituzionale 
degli artt. 1 e 2 (come integrati dall'art. 1, comma 2, della legge 25 luglio 
1997, n. 238) della legge n. 210 del 1992, nella parte in cui escludono i soggetti che 
presentino danni irreversibili da epatiti post-trasfusionali dal diritto all'assegno una 
tantum per il periodo compreso tra il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento 
dell'indennizzo previsto dalla legge. 

Con le statuizioni contenute nella sentenza che si annota � stato ribadito il dovere di solidariet� 
che incombe sulla collettivit� e per essa sullo Stato, descritto nella citata sentenz~ 

n. 27/1998, per sottolinearne le differenze con il regime della ordinaria responsabilit� civile. E 
stata sottolineata altres� l'incompatibilit� logico-giuridica del ristoro per c.d. danno biologico 
in presenza di un indennizzo discrezionalmente previsto dal legislatore, il quale -come precisa 
la stessa Corte -potrebbe -sempre discrezionalmente -scegliere un criterio diverso 
da quello attuale, collegato al trattamento pensionistico dei militari. 
La Corte ha poi richiamato la pronuncia gi� resa in fattispecie analoga (sentenza 22 giugno 
2000, n. 226, in Giust. Cast., 2000, 1778) per confutare, pur nella consapevolezza di trovarsi al 
cospetto di un problema di tutela di soggetti deboli in gravissima difficolt� e quindi meritevoli di 
protezione -l'equiparazione di situazione -e quindi la lesione di parametri costituzionali fra 
i soggetti sottoposti a trattamenti sanitari obbligatori e soggetti necessitati alla terapia a base 
di somministrazione di sangue ed emoderivati. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Il Tribunale di Sanremo, infine (r.o. 65/2000), dubita -in riferimento agli 
artt. 2, 3, primo comma, e 32 della Costituzione -della legittimit� costituzionale 
dell'art. 11, comma 1, della legge n. 21 O del 1992 nella parte in cui non prevede 
il diritto all'indennizzo per soggetti sottoposti a vaccinazioni antiepatite B non 
obbligatoria, in quanto appartenenti a categorie a rischio, in relazione alle quali 
l'autorit� sanitaria abbia promosso la diffusione della vaccinazione. 

2. -Le tre questioni anzidette, riguardando la medesima materia dei diritti 
indennitari conseguenti alla sottoposizione a trattamenti sanitari, possono essere 
riunite e trattate congiuntamente in un'unica sentenza. 
3. -La questione di legittimit� costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze, 
che contesta la scelta del legislatore circa i criteri adottati per quantificare il 
beneficio previsto, non � fondata. 
La disciplina apprestata dalla legge n. 21 O del 1992 opera su un piano diverso 
da quello in cui si colloca quella civilistica in tema di risarcimento del danno, compreso 
il cosiddetto danno biologico. Per quanto qui interessa, al fine di evidenziare 
la distanza che separa il risarcimento del danno dall'indennit� prevista dalla legge 
denunciata, basta rilevare che la responsabilit� civile presuppone un rapporto tra 
fatto illecito e danno risarcibile e configura quest'ultimo, quanto alla sua entit�, in 
relazione alle singole fattispecie concrete, valutabili caso per caso dal giudice, mentre 
il diritto all'indennit� sorge per il sol fatto del danno irreversibile derivante da 
epatite post-trasfusionale, in una misura prefissata dalla legge. Ferma la possibilit� 
per l'interessato di azionare l'ordinaria pretesa risarcitoria, il legislatore, nell'esercizio 
della sua discrezionalit�, ha dunque previsto una misura economica di sostegno 
aggiuntiva, in un caso di danno alla salute, il cui ottenimento dipende esclusivamente 
da ragioni obiettive facilmente determinabili, secondo parametri fissi, in 
modo da consentire agli interessati in tempi brevi una protezione certa nell' an e nel 
quantum, non subordinata all'esito di un'azione di risarcimento del danno, esito 
condizionato all'accertamento dell'entit� e, soprattutto, alla non facile individuazione 
di un fatto illecito e del responsabile di questo. 

La questione di costituzionalit� in esame tende quindi a trasferire elementi di un 
sistema di garanzia in un altro -operazione che si potrebbe semmai giustificare se 
la misura prevista dalla legge impugnata dovesse valere in luogo del risatcimento 
del danno, o in conseguenza di una prescrizione legale o per l'impossibilit� di fatto 
di far valere le pretese risarcitorie derivanti dal danno sub�to. Poich� per� cos� non 
pu� dirsi che sia -nemmeno sotto il profilo fattuale, rispetto al quale occorre sottolineare 
che spetta necessariamente alla giurisprudenza rendere efficace la tutela 
risarcitoria nei casi di trasfusione di sangue infetto, individuando gli eventuali fatti 
illeciti e i responsabili di questi -la pretesa inclusione nel beneficio previsto dalla 
legge n. 21 O di elementi propri della tutela risarcitoria non appare giustificata. 

Il Tribunale rimettente ritiene che la stessa mancata considerazione, quale componente 
del beneficio previsto dalla legge, del danno biologico, comporti l'inadeguatezza 
del beneficio medesimo, con violazione degli artt. 2 e 38 della Costituzione, 
evocati peraltro genericamente. Ma, cos� argomentando, si finisce per l'appunto 
per confondere gli istituti in una sorta di petitio principii: non dimostrando ma 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

36 

dando per dimostrato il presupposto, cio� il necessario carattere comune dei due istituti 
-il beneficio e il risarcimento -rispetto ai criteri di quantificazione. 

Quanto fin qui detto non esclude comunque che il legislatore possa riconsiderare 
l'opportunit� della scelta operata circa il criterio da adottare nella quantificazione 
del beneficio riconosciuto dalla legge ai soggetti danneggiati da epatiti posttrasfusionali 
(oltre che agli ammalati di HIV e ai danneggiati da vaccini): criterio 
collegato oggi al trattamento pensionistico dei militari. Ma ci� riguarda il buon uso 
della discrezionalit� legislativa e non -quantomeno sotto i profili indicati dal Tribunale 
rimettente -la legittimit� costituzionale della legge denunciata. 

4. -Non fondata � altres� la questione sollevata dal Tribunale di Firenze sezione 
del lavoro, relativa alla mancata previsione da parte della legge n. 21 Odel 
1992, a favore dei soggetti danneggiati irreversibilmente da epatiti post-trasfusionali, 
del diritto all'assegno una tantum previsto -dall'art. 2, comma 2, della legge 
n. 210 per il periodo intercorrente tra il manifestarsi della malattia e l'ottenimento 
dell'indennizzo -a favore di quanti abbiano sub�to una menomazione permanente 
alla salute da vaccinazione obbligatoria. 
Si fa dunque essenzialmente una questione di rispetto del principio di uguaglianza, 
mentre gli altri principi costituzionali evocati non costituiscono altro che 
una sua connotazione. Si denuncia l'irrazionale disparit� di trattamento tra i sottoposti 
a vaccinazione obbligatoria e coloro che hanno subito trattamenti trasfusionali 
ematici, disparit� che si risolve a danno dei secondi. Osserva il Tribunale rimettente 
che il grado di costrizione al trattamento di questi ultimi, spesso indotti dalla 
necessit� di salvare la vita, non � minore di quello riguardante coloro che si sono 
sottoposti alla vaccinazione in conseguenza di un obbligo legale, tanto pi� in quanto 
alla situazione dell'obbligo legale sia stata equiparata-con la sentenza n. 27 del 
1998 di questa Corte -quella dell'incentivazione nell'ambito di una politica sanitaria 
pubblica. 

La questione, cos� impostata, non pu� essere accolta per le ragioni gi� addotte da 
questa Corte, nella sentenza n. 226 del 2000, nel dichiarare non fondata analoga questione 
sollevata dal Pretore di Milano. Anche in quell'occasione si faceva valere l'assimilabilit� 
della situazione di coloro che si sono sottoposti a un trattamento sanitario, 
ricevendone un danno irrimediabile alla salute, in conseguenza di un obbligo 
legale (caso su cui sono intervenute le sentenze n. 307 del 1990 e n. 118 del 1996, 
relative alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica) alla situazione di coloro i 
quali, come gli emofilici, sono necessitati, in mancanza di alternative terapeutiche, 
senza possibilit� di scelta, a sottoporsi a somministrazioni di sangue ed emoderivati, 
pena il decorso infausto della loro malattia. Gi� in tale occasione, il giudice rimettente 
osservava che la necessit� del ricorso alla terapia ematica, stante un rischio per 
la vita, si potrebbe dire perfino pi� cogente che non nel caso di trattamento sanitario 
imposto per legge, la cui violazione d� luogo meramente a una sanzione giuridica. E 
si concludeva ricordando che la Corte costituzionale stessa non ha assegnato valore 
dirimente all'esistenza di un obbligo legale avendo affermato, con la sentenza n. 27 
del 1998, il diritto all'indennizzo non necessariamente in presenza di un obbligo legale 
ma anche nell'ipotesi in cui il trattamento terapeutico, non (ancora) reso obbligatorio, 
era oggetto di una specifica politica di promozione. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Queste argomentazioni, tuttavia, si collocano fuori della ratio costituzionale del 
diritto all'equo indennizzo riconosciuto in base agli artt. 32 e 2 della Costituzione. 
Ci� che rileva � l'esistenza di un interesse pubblico alla promozione della salute collettiva 
tramite il trattamento sanitario, il quale, per conseguenza, viene dalla legge 
assunto a oggetto di un obbligo legale o di una politica pubblica di diffusione tra la 
popolazione. La giurisprudenza costituzionale alla quale il giudice rimettente si riferisce 
� ferma nell'individuare in questo interesse -e non nell'essere il singolo 
necessitato al trattamento: necessit� che � solo una conseguenza -la ragione del1'
obbligo generale di solidariet� nei confronti di quanti, sottomettendosi al trattamento 
imposto, vengono a soffrire di un pregiudizio alla loro salute. 

In base a queste considerazioni, si comprende che il raffronto tra la cogenza dell'obbligo 
legale o l'incentivazione al trattamento, da un lato, e la necessit� terapeutica 
del trattamento stesso, dall'altro, non � produttivo nel senso della equiparazione delle 
situazioni, dal punto di vista del principio di uguaglianza. Le situazioni sono diverse e 
non si prestano a entrare in una visione unificatrice perch� solo le prime corrispondono 
a un interesse generale, che � quello in base al quale � costituzionalmente necessario 
che la collettivit� assuma su di s� una partecipazione alle difficolt� nelle quali pu� 
venirsi a trovare il singolo che ha cooperato al perseguimento di tale interesse. 

La questione di costituzionalit� -pur ponendo un problema di tutela di soggetti 
deboli, posti in condizioni di gravissima difficolt� e quindi meritevoli di protezione 
-in quanto impiantata nei termini anzidetti, non pu� dunque trovare 
accoglimento. 

5. -Fondata � invece la questione sollevata dal Tribunale di Sanremo, il quale 
dubita della legittimit� costituzionale della mancata previsione del diritto all'indennizzo, 
previsto dall'art. 1, comma 1, della legge n. 21 O a favore di quanti abbiano 
riportato danni irreversibili alla salute, essendo stati sottoposti a vaccinazione antiepatite 
B non obbligatoria, appartenendo a una categoria di persone considerate �a 
rischio� e perci� incentivate a sottoporsi alla vaccinazione stessa nell'ambito di una 
campagna promossa dall'autorit� sanitaria. Il giudice rimettente ritiene ingiustificata 
tale mancata previsione, a fronte della attribuzione dell'indennizzo a favore di chi, 
in analoghe circostanze, abbia contratto un'infermit� a seguito di vaccinazione antipoliomielitica 
(art. 1 della legge n. 21 O del 1992, quale risultante a seguito della sentenza 
n. 27 del 1998 di questa Corte). 
Il citato art. 1 della legge n. 210 prevede il diritto all'indennizzo (determinato 
dall'art. 2) per chiunque abbia riportato lesioni o infermit� dalle quali sia derivata una 
menomazione permanente all'integrit� psico-fisica, a causa di vaccinazioni obbligatorie 
per legge. Con la sentenza test� citata, questa Corte -richiamato �il principio 
che non � lecito [ ... ] richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per 
un interesse collettivo, senza che la collettivit� stessa sia disposta a condividere, 
come � possibile, il peso di eventuali conseguenze negative� (sentenze nn. 307 del 
1990 e 118 del 1996) -ha ritenuto non esservi ragione di differenziare, rispetto a 
tale principio, �il caso [ ... ] in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da 
quello [ ... ] in cui esso sia, in base a una legge, promosso dalla pubblica autorit� in 
vista della sua diffusione capillare nella societ�; il caso in cui si annulla la libera 
determinazione individuale attraverso la comminazione di una sanzione, da quello in 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

38 

cui si fa appello alla collaborazione dei singoli a un programma di politica sanitaria�. 
Infatti, si aggiungeva, �una differenziazione che negasse il diritto all'indennizzo in 
questo secondo caso si risolverebbe in una patente irrazionalit� della legge. Essa 
riserverebbe [ ... ] a coloro che sono stati indotti a tenere un comportamento di utilit� 
generale per ragioni di solidariet� sociale un trattamento deteriore rispetto a quello 
che vale a favore di quanti hanno agito in forza della minaccia di una sanzione�. 

In applicazione dei princ�pi cos� posti, la risoluzione della presente questione di 
costituzionalit� consiste nel rispondere alla domanda se, analogamente a quanto 
accertato in relazione alla vaccinazione antipoliomielitica, anche per la vaccinazione 
antiepatite possa dirsi essere stata in atto una campagna legalmente promossa dal1 
'autorit� sanitaria per la diffusione di tale secondo tipo di vaccinazione. La risposta 
positiva � documentata dagli atti -ricordati analiticamente nell'esposizione in fatto 
-adottati a partire dal 1983, in attuazione dei compiti di promozione della salute 
pubblica che, alla stregua della legge 13 marzo 1958, n. 296, spettano all'autorit� 
sanitaria nazionale. Con la legge 27 maggio 1991, n. 165, la vaccinazione contro l'epatite 
virale B � stata resa obbligatoria per tutti i nuovi nati nel primo anno di vita, 
ma anche prima di tale data gli atti sopra menzionati testimoniano essere stata condotta 
-a partire dalla circolare n. 2 dell'l 1 gennaio 1983 del Ministero della sanit� 
-una capillare campagna per la realizzazione di un programma di diffusione 
della vaccinazione stessa che ha coinvolto le strutture sanitarie pubbliche del nostro 
paese in un'opera di responsabilizzazione e sensibilizzazione ai rischi che l'epatite 
di tipo B comporta per s� e per gli altri, e innanzitutto per i bambini. 

Deve cos� ritenersi che sussistono, anche per i soggetti sottoposti a vaccinazione 
antiepatite di tipo B in attuazione della suddetta politica sanitaria promossa al 
riguardo, le condizioni che hanno indotto questa Corte, nella sentenza n. 27 del 
1998, a ritenere costituzionalmente dovuto per i soggetti sottoposti a vaccinazione 
antipoliomielitica l'indennizzo previsto dall'art. 1 della legge n. 210. Pertanto, in 
accoglimento della questione proposta dal Tribunale di Sanremo, tale disposizione 
deve essere dichiarata incostituzionale per dare ingresso al diritto all'indennizzo 
anche a tale categoria di soggetti. 

PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 


riuniti i giudizi, 

1) dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 
1992, n. 21 O (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di 
tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione 
di emoderivati), nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo, alle condizioni 
ivi stabilite, di coloro che siano stati sottoposti a vaccinazione antiepatite B, 
a partire dall'anno 1983; 

2) dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1, 
comma 3, e 2, commi 1 e 2, della legge n. 210 del 1992 sollevata, in riferimento agli 
artt. 2 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in 
epigrafe; 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

39 

3) dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale degli artt. 1 e 2 
della legge n. 210 del 1992, come integrati dall'art. 1, comma 2, della legge 25 luglio 
1997, n. 238 (Modifiche ed integrazioni alla legge 25 febbraio 1992, n. 210, in materia 
di indennizzi ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed 
emoderivati) sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale 
di Firenze -sezione del lavoro con l'ordinanza indicata in epigrafe. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 25 ottobre -1Onovembre 2000, n. 487 -Pres. Mirabelli 
-Red. Contri -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Caramazza) 
c. Procuratore della Repubblica di Bologna e Giudice per le indagini 
preliminari del Tribunale di Bologna (sostituto Procuratore P. Giovagnoli). 

Segreto di Stato -Opposizione e conferma del Presidente del Consiglio -Conseguenti 
limiti al potere del pubblico ministero e del G.I.P. 

L'opposizione del segreto di Stato confermata dal Presidente del Consiglio dei 
Ministri ai sensi dell'articolo 12 della legge 24ottobre1977 n. 801 non solo inibisce 
ali'autorit� giudiziaria di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal 
segreto, ma anche di conservare nel fascicolo processuale gli atti coperti da segreto, 
atti che devono invece essere restituiti immediatamente all'autorit� responsabile. 

Ogni atto del pubblico ministero o del giudice adottato in violazione di tali 
principi lede le attribuzioni costituzionalmente riconosciute al Presidente del Consiglio 
e merita l'annullamento ad opera della Corte Costituzionale in sede di conflitto 
di attribuzioni fra poteri dello Stato (1). 

(1) La sentenza in rassegna mette la parola fine ad un conflitto fra poteri articolatosi in ben 
cinque giudizi di costituzionalit�. Si pubblica qui di seguito una nota di commento. 
Epilogo di un conflitto fra potere politico e potere giudiziario in tema di segreto di Stato. 

1. -QUADRO DI RIFERIMENTO NORMATIVO SUL SEGRETO DI STATO. 
Nel nostro ordinamento il segreto di Stato � posto a tutela della �sicurezza dello Stato democratico
� dalla legge 24 ottobre 1977 n. 801. Tale segreto viene apposto in via amministrativa dagli 
uffici competenti in conformit� di appositi regolamenti ed opposto all'autorit� giudiziaria per 
rifiutare la deposizione testimoniale o l'esibizione di documentazione. Se l'autorit� giudiziaria 
procedente non ritiene fondata la dichiarazione di segretezza, interpella il Presidente del Consiglio 
dei Ministri che, ove ritenga di confermarla, deve provvedervi entro sessanta giorni dal ricevimento 
della richiesta. In tal caso, se la conoscenza di quanto coperto dal segreto di Stato sia 
essenziale, l'autorit� procedente dichiara di non doversi procedere nell'azione penale per l'esistenza 
di un segreto di Stato. 

In sede di giustizia civile o amministrativa � stata ritenuta applicabile la stessa norma (1). 
Le conseguenze sono tuttavia parzialmente diverse, in quanto in sede civile e amministrativa non 
� ammessa la pronuncia di un non liquet ma il giudice dovr� invece decidere secondo la propria 
regola di giudizio rinunciando a conoscere quanto coperto da segreto. 

(!) Cass., SS.UU., 17 novembre 1989 n. 4905. 



40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
(omissis) 
1. Con 
ricorso del 5 luglio 1999 depositato 
il 6 luglio 1999 e, a seguito � 
dell'ordinanza di ammissibilit� del conflitto n. 321 del 1999, regolarmente noti1
� 
ficato il 19 e nuovamente depositato il 27 luglio 1999 il 
Presidente del Consi~ 
glio dei ministri ha sollevato, previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei ffi 
ministri, assunta in data 30 giugno 1999' conflitto di attribuzione tra poteri dello m 
Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore della 
Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta, dal medesimo 
presentata� in data 3 maggio 1999 al Giudice per le indagini preliminari 
presso lo stesso Tribunale, di �non doversi procedere� nei confronti di funzionari 
del SISDE e di funzionari di polizia che con essi avevano collaborato, 
per la esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto dal Presidente del Consiglio 
dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e 
Il segreto di Stato ha dunque una forza di resistenza massima perch� dinanzi ad esso cede 
persino l'esercizio della funzione giurisdizionale (per tacere del diritto di difesa in giudizio, dell'esercizio 
obbligatorio dell'azione penale, della libert� di manifestazione del pensiero e del diritto 
all'informazione). 
La sua opposizione da parte del Presidente del Consiglio, � infatti atto politico, libero nei 
fini, pari-ordinato alla legge e di esso il Presidente del Consiglio risponde soltanto politicamente 
dinanzi al Parlamento, al quale deve rendere conto specificamente di ogni suo atto di conferma 
del segreto di Stato. 
Unico ovvio 
limite 
al segreto di Stato � la non segretabilit� di fatti eversivi dell'ordine 
costituzionale. 
La relativa segretazione si porrebbe, infatti, come fatto rivoluzionario in contraddizione con 
il valore da proteggere: l'integrit� dello Stato democratico. 
Nell'esercizio delle funzioni di segretazione il Presidente del Consiglio opera quindi non 
tanto come rappresentante del potere esecutivo quanto come supremo vertice politico del Paese. 
Per comodit� e brevit� espositiva nel corso della presente nota si far� peraltro spesso riferimento 
al potere esecutivo. La relativa locuzione andr� intesa con la precisazione di cui sopra. 
2. -IL SEGRETO DI STATO COME POSSIBILE OCCASIONE DI CONFLITTO FRA POTERE GIUDIZIARIO E 
POTERE POLITICO DINANZI ALLA CORTE COSTITUZIONALE. 
Tale essendo la disciplina normativa del segreto di Stato, appare di intuitiva evidenza il fatto 
che la sua opposizione costituisce occasione di frizione fra i due poteri dello Stato coinvolti, l'Esecutivo 
ed il Giudiziario, in quanto, con l'esercizio del potere di segretazione, il primo pone un 
limite alle funzioni del secondo. 
Appare dunque fisiologico che il Giudiziario, quando si ritenga prevaricato dall'Esecutivo 
per una segretazione che reputi opposta al di fuori dei limiti consentiti, reagisca elevando conflitto 
dinanzi alla Corte Costituzionale. 
Fino al 1997, infatti, i pochi casi di conflitto in subiecta materia erano stati tutti sollevati dal 
Giudiziario (2). 
Meno fisiologico l'opposto caso, che si commenta con il presente scritto, in cui il conflitto 
� ha dovuto essere sollevato (e ben quattro volte!) dall'Esecutivo per lamentare la lesione delle sue 
prerogative di segretazione contestate dal Giudiziario. 

(2) Corte Cost., 24 maggio 1977 n. 86. 

PARTE I, SEZ. I, GnJRISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

41 

ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto 
di Stato) e �confermato dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 11 O e 
410 del 1998�. 

In relazione a tale attivit� del pubblico ministero, consistente nella richiesta di 
archiviazione al giudice per le indagini preliminari per l'esistenza di un segreto di 
Stato -deducendo la violazione degli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della 
Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, agli 
artt. 202, 256 e 362 del codice di procedura penale, e con riferimento alle sentenze 

3. -L'ANOMALO CASO BOLOGNESE. 
a) !fatti. 

Nel settembre 1991, in occasione di attentati perpetrati da un'organizzazione terroristica 
straniera su obiettivi pertinenti alla relativa nazione e siti sul territorio italiano, il SISDE e la Polizia 
di Stato effettuarono, per quanto di rispettiva competenza, attivit� di intelligence e controllo 
nei confronti di un cittadino di quello Stato. 

Nel gennaio 1997, a seguito di acquisizione di documentazione sull'operazione da parte 
della Procura di Roma, furono sottoposti a procedimento penale per i reati di violazione di domicilio 
e abusiva intercettazione (artt. 110, 614 e 617 bis c.p.) due funzionari di polizia e un funzionario 
del SISDE. 

Nel corso delle indagini preliminari svolte dalla Procura di Roma fu opposto il segreto di 
Stato in due distinte occasioni: dal funzionario del SISDE, in sede di interrogatorio, e dal Direttore 
del SISD E in relazione ad un ordine di esibizione documentale dell'Autorit� Giudiziaria. 

Conseguentemente, ritualmente interpellato dall'Autorit� Giudiziaria, il Presidente del Consiglio 
dei Ministri conferm� entrambe le opposizioni. 

In particolare, il segreto di Stato fu confermato al fine di mantenere il riserbo sulle modalit� 
operative del servizio e sull'identit� degli agenti, oltre che per difendere la credibilit� del servizio 
stesso nell'ambito internazionale. 

In tal senso, in sede di controllo politico, si espresse anche il Comitato Parlamentare per i 
servizi di Informazione e Sicurezza, che ritenne pienamente fondata la conferma del segreto di 
Stato da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri. 

A seguito di rilievo di incompetenza territoriale da parte della Procura di Roma, gli atti furono 
trasmessi alla Procura di Bologna che, bench� espressamente informata dell'opposizione e 
conferma del segreto di Stato, avvi� una serie di atti investigativi, primo tra i quali un ordine di 
esibizione rivolto alla Questura di Bologna. La suddetta Questura trasmise il carteggio richiesto, 
precisando che gli atti inviati erano coperti dal segreto di Stato. 

La Procura di Bologna prosegu� nelle indagini, orientandole nei confronti degli agenti che 
avevano partecipato all'operazione antiterrorismo ed acquisendo ulteriori elementi di conoscenza 
su specifiche circostanze ugualmente incise da segreto di Stato, tra cui anche il nominativo di 
altro dipendente del SISDE, rilevato dagli atti trasmessi dalla Questura di Bologna. 

A tal punto, il Presidente del Consiglio, previa delibera del Consiglio dei Ministri adottata 
su proposta del Ministro dell'Interno, dava mandato all'Avvocatura Generale dello Stato di elevare 
conflitto di attribuzione, dinanzi alla Corte Costituzionale. 

b) Il primo conflitto: le due opposte tesi e la sentenza. 

La difesa dello Stato esponeva nel proprio ricorso introduttivo che le attribuzioni costituzionali 
del Presidente del Consiglio, esplicantesi nell'esercizio dell'attivit� pubblica volta alla 
tutela della sicurezza dello Stato mediante l'opposizione del segreto, erano state lese dall'attivit� 
di indagine del pubblico ministero di Bologna, volta ad accertare fatti e ad acquisire notizie segretate 
al fine di esercitare un'azione penale improcedibile in presenza di un segreto di Stato. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6 ..

42 

nn. 11 O e 41 O del 1998 della Corte costituzionale -il Presidente del Consiglio solleva 
l'odierno conflitto, ritenendo la motivazione della richiesta del pubblico ministero 
contraddittoria e atta a provocare, da parte del giudice, il provvedimento di 
fissazione dell'udienza in camera di consiglio ex art. 409, comma 2, cod. proc. 
pen., ed altres� lamentando che la detta richiesta � stata corredata di tutta la documentazione, 
anche segretata, la quale accompagnava le precedenti richieste di rinvio 
a giudizio, rispettivamente annullate da questa Corte con le sentenze nn. 11 O e 
410 del 1998. 

Allo scopo di inquadrare il presente conflitto nel contesto dell'intera vicenda in 
cui si inserisce, il ricorrente ripercorre preliminarmente i fatti dai quali hanno tratto 

Opponeva la Procura di Bologna, costituendosi in giudizio, che il segreto di Stato condiziona 
il potere giurisdizionale soltanto nei limiti in cui preclude una fonte di prova documentale o 
testimoniale. Il divieto di deporre su notizie coperte da segreto di Stato o di esibire atti o documenti 
da quello coperti si configurerebbe, quindi, come una prerogativa processuale di sottrarsi 
ad un obbligo di legge riconosciuta a categorie di soggetti tassativamente elencati (pubblici ufficiali, 
incaricati di pubblico servizio e pubblici dipendenti). Il relativo divieto, essendo soggettivo, 
opererebbe solo ope exceptionis ed il giudice sarebbe, quindi, libero di utilizzare le notizie 
comunque acquisite al processo, ancorch� coperte da segreto di Stato. 

La difesa del Presidente del Consiglio sosteneva invece che l'astenersi dal deporre su fatti 
coperti dal segreto di Stato non � una facolt� ma un �obbligo� e che la segretazione attiene non 
gi� alla forma della notizia o alle sue modalit� di acquisizione ma alla notizia in s� in quanto 
contenuto di conoscenza rappresentato da qualunque supporto mnemonico, cartaceo, simbolico 

o fattuale, cos� come reso palese anche dalla ridondante locuzione adottata dal legislatore nel1 
'art. 12 della legge 24 ottobre 1977 n. 801; �sono coperti dal segreto di Stato gli atti, i documenti, 
le notizie, le attivit� ed ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno alla integrit� 
dello Stato democratico ... �. Locuzione che costituisce chiaro sinonimo di �qualunque fonte 
di notizia�. 
Riteneva di trovare conferma dell'assunto nel principio di strumentalit� fra ampiezza del 
segreto e tutela dell'interesse a cui presidio quel segreto � previsto dall'ordinamento. 

Con sentenza n.11 O del 26 giugno 1998 (3) la Corte Costituzionale, pur non condividendo 
in toto la tesi dell'Avvocatura dello Stato (le notizie, anche se segretate, sono conoscibili e giudicabili 
se acquisite autonomamente) accoglieva il ricorso, annullando gli atti di indagine del pubblico 
Ministero e la successiva richiesta di rinvio a giudizio. Confermava inoltre il principio gi� 
altre volte enunciato del segreto di Stato come limite alla funzione giurisdizionale, affermando 
testualmente: 

�Sulla base di questi principi, e alla luce della disciplina vigente, che non delinea alcuna 
ipotesi di immunit� sostanziale collegata all'attivit� dei servizi informativi, l'opposizione del 
segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei Ministri non ha l'effetto di impedire che 
il pubblico ministero indaghi su fatti di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso, 
ed eserciti se del caso l'azione penale, ma ha l'effetto di inibire all'autorit� giudiziaria di acquisire 
e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto. 

Tale divieto riguarda l'utilizzazione degli atti e documenti coperti da segreto sia in via 
diretta, ai fini cio� di fondare su di essi l'esercizio dell'azione penale, sia in via indiretta, per trarne 
spunto ai fini di ulteriori atti di indagine, le cui eventuali risultanze sarebbero a loro volta 
viziate dall'illegittimit� della loro origine�. 

i ~ 

(3) In questa Rassegna, 1998, I, 23. 
I 

� 

~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

43 

occasione i due conflitti di attribuzione in precedenza sollevati dal Presidente del 
Consiglio dei ministri nei confronti della Procura della Repubblica di Bologna, definiti 
da questa Corte con le citate sentenze n. 110 e n. 410 del 1998. 

Nel presente giudizio, il ricorrente si duole che il Procuratore della Repubblica, 
invece di restituire i documenti segretati ai legittimi detentori e di avanzare richiesta 
di archiviazione, abbia nuovamente violato il segreto, attentando alle prerogative 
del Presidente del Consiglio dei ministri. In particolare, l'iniziativa della Procura 
di porre nella disponibilit� del giudicante gli atti segretati non solo contrasterebbe 
con le statuizioni conten�te nelle citate sentenze della Corte costituzionale nn. 110 
e 410 del 1998, ma avrebbe determinato anche l'ulteriore effetto di rendere cono-

c) Il secondo conflitto: le due opposte tesi e la sentenza. 

A seguito della sentenza di cui sopra, il Procuratore della Repubblica di Bologna, a cui gli 
atti erano stati restituiti dal G.l.P., reiterava la richiesta di rinvio a giudizio tal quale, limitandosi 
ad eliminare dalla richiesta stessa i riferimenti ai documenti trasmessi dalla Questura di Bologna 
e coperti da segreto di Stato, allegando per� tali documenti alla richiesta di rinvio a giudizio, ed 
offrendoli alla relativa pubblicit�. 

Veniva quindi elevato nuovo conflitto di attribuzioni dinanzi alla Corte costituzionale. 

L'Avvocatura dello Stato sosteneva che, in ossequio alla precedente sentenza della Corte, il 
Procuratore della Repubblica avrebbe dovuto esaminare l'intero complesso degli atti di causa, 
espungendone materialmente -con restituzione ai legittimi depositari -quelli segretati, stralciando 
quelli viziati dal fatto di essere stati compiuti sulla base di fonti di prova coperte da segreto 
di Stato (quali ad esempio gli interrogatori degli imputati, cui erano stati contestati fatti emersi 
da documenti segreti) ed operando esclusivamente ex novo sulla base di fonti autonome di 
prova non coperte da segreto. Semprech�, naturalmente tali fonti esistessero e fossero sufficienti 
a fondare ulteriori indagini. 

�Il vero � -cos� correva testualmente il ricorso -che, nel caso di specie, attesa la natura 
delle fonti di prova e la segretazione cos� come opposta, non appare sussistere alcun elemento 
indiziante autonomo rispetto alle fonti di prova coperte da segreto di Stato: un segreto che, in via 
diretta o indiretta, comporta, nella specie, per l'autorit� giudiziaria l'impossibilit� di procedere�. 

Il Procuratore della Repubblica di Bologna si costituiva in giudizio sostenendo che la produzione 
di tutta la documentazione rispondeva ad un obbligo di legge e che gli elementi di accusa 
erano stati acquisiti in base ad autonome indagini, parallele a quella svolta con l'acquisizione 
dei documenti segretati. 

Con sentenza n. 41 O del 16 dicembre 1998 la Corte Costituzionale, ritenendo provato che la 
nuova richiesta di rinvio a giudizio si basava in via diretta o indiretta su fonti di prova acquisite 
in violazione del segreto di Stato, la annullava. 

d) Il terzo e quarto conflitto e l'incidente di costituzionalit�: la posizione dei poteri in conflitto. 

A tal punto, il Procuratore della Repubblica di Bologna avanzava al G.l.P. richiesta di non 
doversi procedere corredata ancora di tutta la documentazione -segreta! -che gi� accompagnava 
le due precedenti richieste di rinvio a giudizio. 

Tale richiesta, inoltre, si chiudeva con le seguenti espressioni: 

�Purtroppo la Corte Costituzionale non indica esplicitamente quali siano i documenti provenienti 
dalla Questura di Bologna utilizzati nella seconda richiesta di rinvio a giudizio e ci� 
rende praticamente impossibile la loro eliminazione ed una nuova richiesta di rinvio a giudizio. 

In tale situazione il Pubblico Ministero ritiene di essere obbligato a richiedere l'archiviazione 
dell'azione penale, pur non riuscendo a comprendere le ragioni di diritto sulle quali si fonda 
la sentenza della Corte Costituzionale e quindi non potendo condividerle�. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 


44 

scibile al giudice per le indagini preliminari, in sede di delibazione della menzionata 
richiesta di archiviazione, emergenze documentali di cui il medesimo giudice non 
dovrebbe prendere cognizione e di offrire la documentazione segreta alla pubblicit� 
dell'udienza. 

Il Presidente del Consiglio, deducendo la violazione dei menzionati parametri 
costituzionali, anche in relazione alle citate sentenze nn. 110 e 410 del 1998, chiede 
a questa Corte di dichiarare che non spetta al pubblico ministero corredare una 
richiesta di non doversi procedere per l'esistenza di un segreto di Stato dei docu-

Sulla base di tale richiesta il G.l.P. di Bologna fissava l'udienza in camera di consiglio �a' 
sensi dell'art. 409, II comma c.p.p.� a fini di ulteriori indagini o di imputazione coatta. 

L'Avvocatura Generale dello Stato, su mandato del Presidente del Consiglio dei Ministri, 
previa nuova delibera del Consiglio stesso, elevava due nuovi conflitti dinanzi alla Corte Costituzionale, 
contro il provvedimento del P.M. e quello del G.l.P. 

Contro il primo si osservava quanto segue: 

�Il Procuratore della Repubblica di Bologna, invece di restituire i documenti segretati ai 
legittimi detentori e di promuovere una richiesta di non doversi procedere motivata in spirito di 
leale collaborazione, con codesta Corte, con l'Esecutivo e con il G.l.P., ha, in realt�, nuovamente 
violato il segreto di Stato attentando alle prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri. 

In particolare deve sottolinearsi che l'iniziativa della Procura di porre nella disponibilit� 
del giudicante gli atti segretati in argomento, da un lato si � posta in contrasto con quanto ripetutamente 
statuito da codesta Corte Costituzionale con le decisioni nn. 110 e 410 del 1998, e, dall'altro, 
ha posto il G.l.P. nella posizione di delibare la citata richiesta di archiviazione sulla base 
di emergenze documentali di cui il G.l.P. non avrebbe dovuto prendere cognizione. 

Inoltre va sottolineato che seppure la Procura, nella richiesta di archiviazione, esprima una 
valutazione di sostanziale incomprensibilit� della decisione n. 410/98 di codesta Corte Costituzionale, 
per un verso assume la pratica impossibilit� di eliminare i documenti inutilizzabili e di 
richiedere un ulteriore rinvio a giudizio degli indagati, per altro verso del tutto ingiustificatamente 

versa nel fascicolo del G.l.P. tutta la documentazione comunque in suo possesso per richiedere 
l'archiviazione per l'esistenza di un segreto di Stato, cos� ponendo in essere un operato ambiguo 
e contraddittorio, atto ad ingenerare nel giudicante il convincimento della necessit� di ulteriori 
accertamenti o di una �imputazione coatta�. 

In ogni caso il Procuratore della Repubblica ha offerto per la terza volta alla pubblicit� 
dell'udienza -ed in particolare alla conoscibilit� della parte lesa, che � sospettata, come � noto, 
di essere un pericoloso terrorista straniero -tutta la documentazione segreta�. 

Nei confronti del decreto del G.l.P. si osservava che esso violava le prerogative del Governo 
in materia di segreto di Stato in quanto provvedimento: 
-adottato sulla base di documenti coperti da segreto di Stato e quindi non conoscibili dal 
G.l.P.; 
-atto a pubblicizzare tali documenti, offrendoli in particolare alla conoscenza della parte 

I 

lesa (sospettata di essere un pericolosissimo terrorista straniero); 

-prodromico a due ulteriori attivit� giurisdizionali -ulteriori indagini o imputazione coatta 
-entrambe precluse da segreto che aveva ormai inficiato di nullit� tutta l'indagine precedentemente 
svolta. 

Successivamente il G.l.P. di Bologna, a seguito dell'udienza tenuta, sollevava questione 
incidentale di costituzionalit� dell'art. 256 c.p.p. (norma che esclude dalla testimonianza la notizia 
coperta da segreto di Stato) �nella parte in cui consente di opporre il segreto di Stato anche in 
relazione ad atti privi del connotato della segretezza in quanto gi� acquisiti al fascicolo processuale
� per violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza, di indipendenza del giudice e 
di obbligatoriet� dell'azione penale. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

45 

menti che da quel segreto sono coperti e che non spetta al pubblico ministero motivare 
tale richiesta in modo contraddittorio ed atto, comunque, a provocare da parte 
del giudice per le indagini preliminari una richiesta di ulteriori indagini o una imputazione 
coatta, con il conseguente annullamento della richiesta di archiviazione del 
3 maggio 1999 e con l'ordin� di restituzione dei documenti coperti da segreto di 
Stato ai loro legittimi detentori. 

Sia il Procuratore della Repubblica di Bologna che il G.l.P. si costituivano nei rispettivi giudizi 
di conflitto sopra descritti svolgendo sostanzialmente la stessa difesa, articolata su due punti 
che si possono cos� sintetizzare: la pregiudizialit� al giudizio di conflitto della questione incidentale 
e l'applicabilit� della normativa sul segreto istruttorio anche ai documenti coperti da segreto 
di Stato. In particolare, ad avviso del G.I.P., i documenti, anche se coperti dal segreto di Stato, 
una volta acquisiti agli atti del P.M. non possono che seguire le sorti di tutti gli altri atti processuali 
e godranno quindi della sola copertura del segreto istruttorio con i relativi limiti. 

Unica conseguenza della loro segretazione sarebbe quindi la loro giuridica inutilizzabilit�, 
feima la loro �materiale-cartacea-presenza nel fascicolo�. 

L'Avvocatura dello Stato rileva come sia il G.l.P. che il P.M. incorressero in un errore concettuale 
risolventesi nella convinzione che la documentazione de qua avrebbe perso la sua caratteristica 
di segretezza nel momento stesso in cui -proveniente dalla questura di Bologna e nonostante 
l'ammonimento della sua copertura con segreto di Stato -veniva versata nel fascicolo 
del Pubblico Ministero con conseguente rivelazione del segreto al magistrato. 

Tale assunto doveva, per�, ritenersi errato: l'istituto del segreto � infatti funzionale e non 
simbolico. 

� La conoscenza di un segreto � fatto diverso dalla sua diffusione ed un segreto non cessa di 
essere tale per essere stato rivelato a soggetti non legittimati a conoscerlo: il divieto riguarda la 
diffusione, non l'apprendimento. 

Il risultato avuto di mira dal legislatore con la disciplina del segreto di Stato � la salvaguardia 
della integrit� e sicurezza dello .Stato democratico, che sarebbero messe in pericolo dalla �diffusione
� di certe notizie. Orbene, la diffusione � fenomeno che abbraccia un indefinito ventaglio 
di ipotesi di gravit� progressiva, che vanno dalla comunicazione a soggetti non abilitati fino alla 
pubblicazione sulla stampa a grande tiratura. 

Affermare che la comunicazione di una notizia segreta ad un pubblico funzionario non abilitato 
ad apprenderla faccia perdere a quella notizia il carattere di segretezza, legittimando, quindi, 
quel funzionario ad avviare un procedimento destinato funzionalmente a dare a quella notizia 
diffusione sempre maggiore sembra, per vero, affermazione del tutto irragionevole ed in ogni 
caso non rispettosa di quel principio di buon senso (prima ancora che di diritto) che vuole si impedisca 
ad ogni fatto illecito posto in essere di venire portato a pi� gravi conseguenze. 

N� rispettosa di quell'ulteriore corollario di pari buon senso che impedisce di ritenere qualunque 
funzionario malaccorto investito del potere di desegretare, mediante trasmissione al magistrato, 
quel che Presidente del Consiglio e Parlamento hanno segretato per la difesa dell'integrit� 
e sicurezza dello Stato democratico. 

Quanto, poi, alla pretesa giuridica impossibilit� di espungere dal fascicolo atti ancorch� 
coperti da segreto, si osservava che, ammesso e non concesso che nessuna norma di legge prevedesse 
esplicitamente tale espungibilit�, ci� sarebbe rientrato nella generale regola di comune 
buon senso che nessuna espressa previsione normativa � necessaria per legittimare i comportamenti 
leciti che non solo rientrano nella logica del sistema ma il cui compimento � addirittura 
doveroso in quanto necessario per evitare conseguenze gravissime o addirittura la commissione 
di reati. 

Nel giudizio incidentale interveniva la Presidenza del Consiglio dei Ministri concludendo 
per la declaratoria di inammissibilit� o per l'infondatezza della questione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO�..

46 

2. -Con l'ordinanza n. 321 del 1999, questa Corte ha dichiarato ammissibile 
questo nuovo conflitto proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti 
del pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il 
Tribunale di Bologna. 
3. -Nel giudizio davanti a questa Corte quest'ultimo si � costituito, per argomentare 
l'inammissibilit� e l'infondatezza del ricorso del Presidente del Consiglio. 
In primo luogo, il pubblico ministero obietta che �non sarebbe stato possibile 
tecnicamente espungere materialmente dal fascicolo processuale la documentazione 

e) Le decisioni della Corte. Considerazioni conclusive. 

Con ordinanza n. 344 del 12 -24 luglio 2000 la Corte Costituzionale concludeva il giudizio 
incidentale dichiarando manifestamente inammissibile la questione per irrilevanza, attesoch�, 
derivando inequivocabilmente, ed in via definitiva, la sanzione dell'inutilizzabilit� degli atti di 
cui si trattava non gi� dall'art. 256 cod. proc. pen., bens� dalle sentenze 110 e 410/98 della Corte 
costituzionale, sottratte dall'art. 137, ultimo comma, della Costituzione, a qualsiasi forma, anche 
indiretta o impropria, di impugnazione, il giudice a quo avrebbe dovuto rilevarla d'ufficio a 
norma dell'art. 191, comma 2, cod. proc. pen. 

Non residuava, quindi, nel procedimento penale a quo alcuno spazio per fare applicazione, 
ai fini dell'identificazione degli atti non utilizzabili, dell'art. 256 cod. proc. pen., n� per dubitare 
della sua legittimit� costituzionale. 

I ~

Quanto ai due ultimi conflitti, la Corte li decideva, previa riunione, con la sentenza in rassegna 
che pone -auspicabilmente -la parola fine ad una singolare querelle fra Potere giudiziario 
e Potere politico che sembra aver toccato un �nervo scoperto� del primo. 

La relativa ragione di fondo sembra rinvenirsi nella contestazione del principio che l'opposizione 
del segreto possa costituire un limite all'esercizio della funzione giurisdizionale, �ontestazione 
che emerge con estrema chiarezza dalle allegazioni difensive dei magistrati bolognesi in conflitto. 

Sembra di poter scorgere in filigrana, in tale presa di posizione, le tracce di remote polemiche 
corse fra Esecutivo e Giudiziario, quando, da poco tempo emersi dall'indistinto potere del 
Sovrano assoluto, ne erano ancora incerti i reciproci confini. 

I

Come � noto, furono necessari parecchi decenni al potere giudiziario per conquistare il diritto 
di sindacare un Esecutivo che era nato come �Amministrazione senza giudice� e non poche 
scorie dell'antica supremazia di quello hanno continuato a turbare l'equilibrio di molti sistemi, 
pur in tempi di avanzata democrazia, soprattutto in tema di segreto. Terreno, questo, sul quale le 
tradizionali esigenze della �ragion di Stato� sono state le pi� dure a morire. 

Si pensi al �Crown privilege� nel Regno Unito, fino al 1968 (4), esempio al quale possono 
aggiungersi gli �acts ofState� e le <<politica! questions� nordamericane (5). 

Nel sistema italiano, indubbiamente, il segreto di Stato (allora politico-militare) fu, fino alla 
sentenza della Corte Costituzionale 24 maggio 1977 n. 86, uno strumento idoneo a fermare il 
Potere giudiziario affidato alla completa disponibilit� del Potere esecutivo. Il che non era, ovviamente, 
conforme all'assetto costituzionale repubblicano. 

Dopo la sentenza ora ricordata, dopo la legge di riforma dei servizi del 1977 (che di tale sentenza 
� la diligente applicazione) e dopo l'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, 
che tale legge recepisce, le preoccupazioni dei rappresentanti del Giudiziario di doversi difendere 
da possibili prevaricazioni dell'Esecutivo non hanno, per�, pi� ragion d'essere. 

(4) W. WADE, Administrative law, 6� ed., 834 ss. 
(5) ROSSI MERIGHI, Segreto di Stato, Napoli, 1994, 236. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

47 

sia perch� ne � parte integrante�, sia perch�, proprio la Corte costituzionale, con la 
sentenza n. 145 del 1991, ha affermato, si legge nell'atto di costituzione, �l'obbligo 
inderogabile dell'integrale trasmissione degli atti processuali, comunque compiuti, 
al G.i.p. per le sue valutazioni�. A questo riguardo, il resistente aggiunge che �nessuna 
norma del codice autorizza, se pure indirettamente e per qualunque motivo, l'eliminazione 
di atti e documenti dai fascicoli processuali�. Inoltre, si afferma nel1'
atto di costituzione, �la stessa Corte [costituzionale] non ha mai ritenuto di 
indicare espressamente e specificamente i documenti colpiti dalla ricordata sanzione 
processuale�. 

In secondo luogo, il resistente asserisce la propria incompetenza a decidere 
sulla inutilizzabilit� degli atti e dei documenti coperti da segreto di Stato, spettando 
esclusivamente al giudice �applicare la sanzione dell'inutilizzabilit��. 

4. -In prossimit� della data fissata per l'udienza, il ricorrente ha depositato una 
memoria illustrativa, per insistere nell'accoglimento del ricorso e per sviluppare 
ulteriormente quanto gi� dedotto in sede di promovimento del presente giudizio. 
Nella memoria -che nell'identico testo, data �la sostanziale identit� della 
linea difensiva avversa in entrambi i conflitti�, � stata depositata anche in vista del1 
'udienza prevista per la trattazione del conflitto n. 24 -il ricorrente richiama l'ordinanza 
di questa Corte n. 344 del 2000, che ha dichiarato, escludendone il carattere 
pregiudiziale, la manifesta inammissibilit� della questione di legittimit� 
costituzionale -sollevata, in riferimento all'art. 3, secondo (recte: primo) comma, 

L'interesse a tutela del quale il segreto di Stato viene opposto nel quadro normativo oggi 
vigente -l'integrit� e la sicurezza dello Stato democratico -non �, infatti, proprio dello Stato 
soggetto, ma attiene allo Stato-comunit� e rimane quindi nettamente distinto da quello del Governo 
e dei partiti che lo sostengono. 

Analogamente, la competenza a confermare definitivamente l'opposizione del segreto di 
Stato spetta al Presidente del Consiglio quale supremo vertice politico del Paese, che tale competenza 
esercita con un atto tipicamente politico, libero, quindi, nei fini, equiordinato alla legge 
nella scala dei valori ed assoggettato al controllo di responsabilit� politica del Parlamento. Un 
Parlamento che tale controllo esercita sulla base di una motivazione cui il Presidente � tenuto (art. 
16 legge 801/77, cit.) e da cui si desume cos� l'oggetto della segretazione come le ragioni essenziali 
per le quali il segreto viene opposto. 

Non � dunque strano n�, tantomeno, scandaloso che l'opposizione del segreto di Stato costituisca 
�sbarramento all'esercizio del potere giurisdizionale� (cos� testualmente la Corte Costituzionale 
nella gi� citata sentenza 86/77, punto 8) in quanto tale �sbarramento� proviene da fonte 
equiordinata alla legge, che legittimamente fa prevalere il supremo valore dell'integrit� e sicurezza 
dello Stato democratico rispetto ad altri valori, pur costituzionalmente garantiti, quali l'esercizio 
della giurisdizione, il diritto di difesa, la libert� di manifestazine di pensiero, il diritto 
all'informazione. 

D'altronde che l'atto politico (nel senso rigoroso del termine), in quanto atto equiordinato 
alla legge, costituisca limite al potere giudiziario � nozione da tempo metabolizzata in sede di giustizia 
amministrativa (art. 31 T.U. sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924 n. 1054). Un tipo di giustizia 
in cui, per ovvie ragioni, la sensibilit� al problema del regolamento di confini fra poteri � 
particolarmente affinata. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

48 

101, secondo comma, e 112 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari 
presso il Tribunale di Bologna, nel corso del procedimento instaurato a norma 
dell'art. 409, comma 2, cod. proc. pen. con il provvedimento all'origine del conflitto 
n. 24 -dell'art. 256 cod. proc. pen., �nella parte in cui consente di opporre il 
segreto di Stato anche in relazione ad atti privi del connotato della segretezza in 
quanto gi� contenuti ed acquisiti al fascicolo processuale, o comunque ad atti che, 
venendo contestualmente trasmessi alla A.G., perdono le loro caratteristiche di 
segretezza, ovvero laddove non prevede che il segreto in precedenza ritualmente e 
correttamente opposto diventi inefficace nel caso in cui l'atto da esso coperto abbia 
perso il suo carattere di segretezza�. 

Il ricorrente contesta poi l'affermazione del resistente circa �la pretesa giuridica 
impossibilit� di espungere dal fascicolo atti ancorch� coperti da segreto�, osservando 
che sebbene �nessuna norma di legge preveda esplicitamente tale espungibilit�, 
ci� rientrerebbe nella generale regola di comune buon senso che nessuna 
espressa previsione normativa � necessaria per legittimare i comportamenti leciti 
che non solo rientrano nella logica del sistema ma il cui compimento � addirittura 
doveroso in quanto necessario per evitare conseguenze gravissime o addirittura la 
commissione di reati�. Diversamente opinando, conclude la difesa erariale, �accettando 
la logica della controparte, un p.m. ed un g.i.p. nei cui incarti processuali fosse 
stato per avventura versato l'elenco completo degli agenti ed informatori di SISDE 
e SISMI dovrebbero comunque offrire tale elenco alla pubblicit� del processo e sufficiente 
garanzia del bene pubblico e del pubblico interesse sarebbe solo l'inutilizzabilit� 
dell'elenco al fil)i del decidere�. 

Quanto alla lamentata impossibilit� di individuare con esattezza gli atti e i documenti 
coperti da segreto, il Presidente del Consiglio osserva che <<una semplice lettura 
degli atti del procedimento di segretazione (segnatamente della motivazione 
della conferma) effettuata in spirito di leale collaborazione, sarebbe stata sufficiente, 
a tacer d'altro, per intendere quali documenti fossero coperti da segreto di Stato�. 

5. -Con ricorso del 5 luglio 1999-depositato il 6 luglio 1999 e, a seguito dell'ordinanza 
di ammissibilit� del conflitto n. 321 del 1999, regolarmente notificato il 
19 e nuovamente depositato il 27 luglio 1999 -il Presidente del Consiglio dei 
ministri ha sollevato, previa la necessaria deliberazione del Consiglio dei ministri, 
assunta in data 30 giugno 1999, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nel 
confronti del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in 
relazione al decreto, emesso ai sensi dell'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. 
in data 31 maggio 1999, con il quale � stata fissata al 14 luglio 1999 l'udienza in 
camera di consiglio, a s�guito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso 
il Tribunale di Bologna di non doversi procedere nel confronti di funzionari del 
SISDE e di polizia, per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente 
opposto dal Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 12 della legge 
24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e 
la sicurezza e disciplina del segreto di Stato). 
Il ricorrente lamenta che il provvedimento all'origine del conflitto sarebbe stato 
adottato sulla base di tutta la documentazione, compresa quella segretata, che 
accompagnava le precedenti richieste di rinvio a giudizio proposte dal pubblico 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ministero riguardo al medesimi fatti, e costituirebbe quindi esercizio di attivit� giurisdizionale 
in materie sottratte alla competenza dell'autorit� giudiziaria, con conseguente 
lesione delle proprie attribuzioni costituzionali, come definite dagli artt. 1, 5, 
52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, in relazione agli artt. 12 e 16 della legge 
24 ottobre 1977, n. 801, agli artt. 202, 256 e 362 cod. proc. pen. e con riferimento 
alle sentenze nn. 11 O e 41 O del 1998 della Corte costituzionale. 

Allo scopo di inquadrare il presente conflitto nel contesto dell'intera vicenda in 
cui si inserisce, il ricorrente, anche in questo secondo ricorso, ripercorre preliminarmente 
i fatti dai quali hanno tratto occasione i due conflitti di attribuzione in precedenza 
sollevati dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Procura 
della Repubblica di Bologna, definiti da questa Corte con le citate sentenze n. 11 O e 

n. 410 del 1998. 
Nell'atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente si riporta a quanto 
affermato da questa Corte nelle menzionate sentenze nn. 11 O e 41 O del 1998, ed in 
particolare ai principi secondo i quali i rapporti tra Governo ed autorit� giudiziaria 
debbono essere ispirati a correttezza e lealt�, e l'opposizione del segreto di Stato non 
comporta alcuna immunit� sostanziale e non impedisce l'esercizio dell'azione penale, 
ma ha l'effetto di inibire all'autorit� giudiziaria l'acquisizione, in via diretta o 
indiretta, degli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto al fine di fondare 
su di essi l'esercizio dell'azione penale, che pu� essere esercitata solo qualora 
vi siano elementi indizianti del tutto autonomi ed indipendenti. 

Secondo il ricorrente, l'iniziativa del Procuratore della Repubblica di porre 
nella disponibilit� del Giudice per le indagini preliminari, con la richiesta di archiviazione, 
gli atti segretati, da un lato, si � posta in contrasto con quanto statuito da 
questa Corte con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998; dall'altro, ha posto il giudice 
nella posizione di delibare detta richiesta sulla base di emergenze documentali di cui 
non avrebbe dovuto prendere cognizione. 

Il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene quindi che il provvedimento del 
Giudice per le indagini preliminari di fissazione dell'udienza in camera di consiglio, 
pronunciato ai sensi dell'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., abbia violato le 
prerogative del Governo nella materia del segreto di Stato, dal momento che � stato 
adottato sulla base di documenti coperti da tale segreto e quindi non conoscibili dal 
giudice; che esso � idoneo ad offrire la documentazione segreta alla pubblicit� del1 
'udienza; e ancora che esso � prodromico ad ulteriori attivit� giurisdizionali-l'ordinanza 
con la quale si indica la necessit� di ulteriori indagini, o l'ordinanza con la 
quale si dispone che il pubblico ministero formuli l'imputazione-che restano precluse 
dal segreto opposto. 

Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto conflitto per sentir dichiarare 
che non spetta al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna, 
n� acquisire, n� utilizzare sotto alcun profilo, direttamente o indirettamente, atti 

o documenti sui quali � stato legalmente opposto e confermato dal Presidente del 
Consiglio dei ministri il segreto di Stato; che non spetta allo stesso Giudice, a fronte 
di una richiesta del pubblico ministero di non doversi procedere per l'esistenza di 
un segreto di Stato, corredata dei documenti che da quel segreto di Stato sono coperti, 
prendere cognizione degli stessi e, su tale base, fissare l'udienza in camera di 
consiglio prevista dall'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., cos� offrendo tali 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

50 

documenti alla pubblicit� ed in particolare alla conoscenza della persona offesa. Il 
ricorrente chiede altres� che questa Corte disponga l'annullamento del decreto di fissazione 
dell'udienza in camera di consiglio del 31 maggio 1999, ordinando la restituzione 
dei documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori. 

6. -Con l'ordinanza n. 320 del 1999, questa Corte ha dichiarato ammissibile il 
conflitto sollevato dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Giudice 
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna. 
7. -Nel giudizio davanti a questa Corte quest'ultimo si � costituito, per chiedere 
che il ricorso del Presidente del Consiglio sia dichiarato infondato. 
Dopo aver ricordato -come il ricorrente -i diversi momenti dell'intera 
vicenda che ha portato al presente conflitto, il Giudice per le indagini preliminari del 
Tribunale di Bologna afferma, innanzi tutto, che �la conoscibilit� degli atti processuali, 
nei modi e nei tempi previsti, da parte dei soggetti interessati e delle parti processuali 
� elemento cardine dei nostro sistema processuale� e che, da un lato, �il 
diritto della p.o. di prendere cognizione degli atti del procedimento prescinde totalmente 
dalla adozione della procedura di cui all'art. 409 c.p.p., essendo il venir meno 
del segreto sugli atti processuali collegato al momento in cui l'imputato pu� averne 
conoscenza, o comunque 'alla chiusura delle indagini preliminari' (art. 329, c. 1, 
c.p.p.), evenienze entrambe verificatesi�; dall'altro, che anche qualora il g.i.p., 
�aderendo alla richiesta del p.m., avesse archiviato de plano il procedimento, 
comunque la p.o. avrebbe avuto, anche 'dopo la definizione del procedimento', 
diritto di avere copia degli atti ai sensi dell'art. 116 c.p.p.�. 


I 

I~ 

Da quanto precede, ed altres� in considerazione della circostanza che �detti 
documenti erano gi� ampiamente nella sfera di conoscibilit� della p.o., con pieno 
diritto di estrarne copia (art. 131 c.p.p.)�, il resistente deduce che �in alcun modo il 
provvedimento di fissazione della udienza ex art. 409 c.p.p. potrebbe di per s� ledere 
le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri�. 

Dopo aver censurato alcuni comportamenti, ritenuti non conformi al dovere di 
lealt�, tenuti dalla Questura di Bologna nel rapporti con l'autorit� giudiziaria, il 

G .l.P. sottolinea il carattere obbligato, in presenza dei presupposti richiesti dall'art. 
409 c.p.p. del provvedimento di fissazione dell'udienza; �pur in presenza di atti 
ritenuti inutilizzabili perch� ottenuti in violazione del segreto di Stato�, aggiunge 
il resistente, �rimane fermo ed ineludibile il ruolo della magistratura giudicante 
conte espressamente affermato dalla Corte [costituzionale] nella citata sent. 110�, 
in ordine alla dichiarazione di �non doversi procedere�. N� pu� affermarsi, ad 
avviso del resistente, che vi sia stata una utilizzazione degli atti coperti da segreto, 
ci� che sarebbe dimostrato proprio dalla sollevazione, da parte dello stesso G.i.p., 
I 

nell'ambito del medesimo procedimento ex 409 c.p.p. di cui si tratta, di una questione 
di legittimit� costituzionale della disciplina concernente la inutilizzabilit� di 
tali atti. 

Sul punto della mancata restituzione dei documenti coperti da segreto, per altro 

I 

non addebitata al G.i.p. nel ricorso, il resistente lamenta, da un lato, la mancata indi-~ 

cazione, da parte di questa Corte, dei documenti illegittimamente acquisiti; dall'al-f! 
tro, la mancata richiesta di restituzione, da parte dell'amministrazione interessata. !l 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

8. -In prossimit� della data fissata per l'udienza, il ricorrente ha depositato una 
memoria illustrativa, per insistere nell'accoglimento del ricorso e per sviluppare 
ulteriormente quanto gi� dedotto in sede di promovimento del presente giudizio. 
Il testo della memoria, come si � detto, in considerazione della �sostanziale 
identit� della linea difensiva avversa in entrambi i conflitti�, � identico a quello della 
memoria presentata nell'imminenza dell'udienza prevista per la trattazione del conflitto 
n. 23, il cui contenuto � gi� stato illustrato. 

Considerato in diritto 

I. -Con il primo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri 
ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico 
ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di 
Bologna, in relazione alla richiesta, dal medesimo presentata in data 3 maggio 1999 
al Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale, di �non doversi procedere
� nei confronti di funzionari del SISDE e di funzionari di polizia che con essi 
avevano collaborato, per la esistenza di un segreto di Stato ritualmente opposto dal 
Presidente del Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801 e 
�confermato dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 110 e 410 del 1998�. 
Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, come determinata 
dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione, e dagli artt. 12 
e 16 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, nonch� dagli artt. 202, 256 e 362 del codice 
di procedura penale, anche in riferimento alle sentenze di questa Corte nn. 11O e 
41 O del 1998, e chiede che venga dichiarata la non spettanza al pubblico ministero, 
in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, del potere 
di presentare al Giudice per le indagini preliminari presso lo stesso Tribunale la 
menzionata richiesta di archiviazione in data 3 maggio 1999, corredandola della 
documentazione �segretata� e premettendo alla stessa richiesta una motivazione 
contraddittoria e atta a provocare, da parte del giudice, il provvedimento di fissazione 
dell'udienza in camera di consiglio, ex art. 409, comma 2, cod. proc. pen., prodromico 
rispetto all'eventuale adozione di ulteriori provvedimenti (in particolare: 
invito al p.m., ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., a: compiere ulteriori indagini; 
�imputazione coatta� ex art. 409, comma 5, cod. proc. pen.) suscettibili di provocare 
una ulteriore divulgazione dei documenti coperti da segreto. 

Il ricorrente chiede altres� l'annullamento della richiesta in data 3 maggio 1999 
del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, �con l'ordine di 
restituzione dei documenti coperti da segreto di Stato ai loro legittimi detentori�. 

2. -Con il secondo dei due ricorsi in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei 
ministri ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nel confronti del 
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna in relazione al 
decreto, emesso ai sensi dell'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen. in data 31 
maggio 1999, con il quale � stata fissata al 14 luglio 1999 l'udienza in camera di 
consiglio, a s�guito della richiesta del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale 
di Bologna di non doversi procedere nei confronti di funzionari del SISDE e di 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

52 

polizia, per essere le fonti di prova incise da segreto di Stato ritualmente opposto dal 
Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'art. 12 della legge 24 ottobre 1977, 

n. 801. 
Il ricorrente lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, come determinata 
dagli artt. 1, 5, 52, 87, 94, 95, 102 e 126 della Costituzione e dagli artt. 12 e 
16 della legge 24 ottobre 1977,, n. 801, nonch� dagli artt. 202, 256 e 362 del codice 
di procedura penale, anche in riferimento alle sentenze nn. 11O e 41O del 1998 di 
questa Corte, e chiede che venga dichiarata la non spettanza al giudice per le indagini 
preliminari resistente nel presente conflitto -a fronte della richiesta di archiviazione 
del pubblico ministero in data 3 maggio 1999, corredata dei documenti 
coperti da segreto di Stato -del potere di prendere cognizione degli stessi e, su tale 
base, fissare, ai sensi dell'art. 409, secondo comma, cod. proc. pen., con il decreto 
in data 31 maggio 1999, l'udienza in camera di consiglio il 14 luglio 1999, offrendo 
tali documenti alla pubblicit� dell'udienza ed in particolare alla conoscenza della 
persona offesa, e ponendo le premesse per ulteriori attivit� giurisdizionali-l'ordinanza 
con la quale si indica la necessit� di ulteriori indagini, o l'ordinanza con la 
quale si dispone che il pubblico ministero formuli l'imputazione-che devono ritenersi 
precluse dal segreto di Stato opposto. 

Il ricorrente chiede altres� che questa Corte disponga l'annullamento del decreto 
di fissazione dell'udienza in camera di consiglio del 31 maggio 1999, �ordinando 
la restituzione dei documenti coperti dal segreto di Stato ai legittimi detentori�. 

3. -Con i ricorsi indicati in epigrafe, il Presidente del Consiglio dei ministri 
lamenta, in riferimento al medesimi parametri, la lesione della propria sfera di attribuzioni 
in materia di tutela del segreto di Stato ad opera del Procuratore della Repubblica 
presso il Tribunale di Bologna e del Giudice per le indagini preliminari dello 
stesso Tribunale, in relazione ad atti dei rispettivi uffici fra loro intimamente connessi, 
sia sotto il profilo della sequenza procedurale, sia per l'unicit� della vicenda storica 
all'origine di entrambi i conflitti sollevati. In considerazione di tale stretta e duplice 
connessione, i relativi giudizi possono essere muniti e decisi con un'unica sentenza. 
4. -Occorre, innanzitutto, confermare l'ammissibilit� dei conflitti di attribuzione 
in questione, che questa Corte ha gi� dichiarato, in linea di prima e sommaria 
delibazione, con le ordinanze nn. 320 e 321 del 1999. 
4. 1. -Sotto il profilo soggettivo, il Presidente del Consiglio dei ministri � legittimato 
a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto organo 
competente a dichiarare definitivamente la volont� del potere cui appartiene in ordine 
alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in 
base alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ma, come questa Corte ha gi� avuto occasione 
di chiarire, anche alla stregua delle norme costituzionali che ne delimitano le 
attribuzioni (sentenze nn. 410 e 110 del 1998; 86 del 1977; ordinanze nn. 266 del 
1998 e 426 del 1997). 
Sotto il medesimo profilo, anche la legittimazione del Procuratore della Repubr:
ij 
blica presso il Tribunale di Bologna a resistere nel conflitto deve essere ribadita, in {; 

�= 

conformit� alla giurisprudenza di questa Corte che riconosce al pubblico ministero f: ~ 

~ 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

la legittimazione ad essere parte di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in 
quanto, al sensi dell'art. 112 della Costituzione, � il titolare diretto ed esclusivo dell'attivit� 
di indagine finalizzata all'esercizio obbligatorio dell'azione penale (sentenze 
nn. 41 O e 11 O del 1998; ordinanze nn. 266 del 1998 e 426 del 1997). 

Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 23 del 1999 riguarda attribuzioni 
costituzionalmente garantite inerenti all'esercizio dell'azione penale da parte del 
pubblico ministero ed alla salvaguardia della sicurezza dello Stato anche attraverso 
lo strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua opposizione e conferma, � 
attribuita alla responsabilit� del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo 
del Parlamento. 

4.2. -Anche per quanto riguarda il conflitto n. 24 del 1999, il Presidente del 
Consiglio dei ministri � legittimato dal punto di vista attivo in quanto organo competente 
a dichiarare definitivamente la volont� del potere cui appartiene in ordine 
alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato in base alle citate 
disposizioni costituzionali e legislative. 
La legittimazione del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di 
Bologna a resistere nel conflitto deve essere ribadita, in conformit� alla giurisprudenza 
di questa Corte, che riconosc� al singoli organi giurisdizionali la legittimazione 
ad essere parti di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, in quanto, in 
posizione di piena indipendenza garantita dalla Costituzione, competenti a dichiarare 
definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la volont� del potere cui 
appartengono (ex plurimis, sentenze nn. 50 e 35 del 1999; 375 del 1997; ordinanze 
nn. 471, 261 e 250 del 1998; 269 del 1996). 

Quanto al profilo oggettivo, il conflitto n. 24 del 1999 riguarda attribuzioni 
costituzionalmente garantite inerenti all'esercizio della funzione giurisdizionale da 
parte del giudice per le indagini preliminari ed alla salvaguardia della sicurezza 
dello Stato anche attraverso la strumento del segreto, la cui tutela, attraverso la sua 
opposizione e conferma, � attribuita alla responsabilit� del Presidente del Consiglio 
dei ministri, sotto il controllo del Parlamento. 

5. -Nel merito, il ricorso presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri nei 
confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna � fondato. 
6. -Prima di esporre le ragioni dell'accoglimento del ricorso, � necessario 
ricordare ancora una volta, per sommi capi, le vicende che hanno dato origine ai 
conflitti di cui � causa ed i precedenti costituiti dalle sentenze n. 11 O e 41 O del 1998. 
Con la prima pronuncia, la Corte costituzionale accoglieva il ricorso con il 
quale il Presidente del Consiglio dei ministri aveva sollevato conflitto di attribuzione 
tra poteri dello Stato nei confronti del pubblico ministero, in persona del Procuratore 
della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione ad attivit� istruttoria 
svolta nei confronti di funzionari del SISDE e di polizia, e diretta ad acquisire 
elementi di conoscenza su circostanze incise dal segreto di Stato opposto e confermato 
dal Presidente del Consiglio dei ministri, ex art. 12 della legge n. 801 del 1977. 

La Corte, dopo aver dichiarato l'ammissibilit� del conflitto con ordinanza 

n. 426 del 1997, dichiarava, con la menzionata sentenza n. 110 del 1998, non spet

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

54 

tare al pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale 
di Bologna, n� acquisire, n� utilizzare, sotto alcun profilo, direttamente o 
indirettamente, atti o documenti sui quali era stato legalmente opposto e confermato 
dal Presidente del Consiglio dei ministri il segreto di Stato, n� trarne comunque 
occasione di indagine al fini del promovimento dell'azione penale, annullando conseguentemente 
gli atti di indagine compiuti sulla base di fonti di prova coperte dal 
segreto di Stato, nonch� la sopravvenuta richiesta di rinvio a giudizio. 

A seguito di tale sentenza, il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale 
di Bologna, al quale gli atti erano stati restituiti dal giudice per le indagini preliminari, 
reiterava la richiesta di rinvio a giudizio, eliminando da questa i riferimenti ai 
documenti trasmessi dalla Questura di Bologna. 

Con ricorso del 10 luglio 1998, depositato il 14 luglio 1998, il Presidente del 
Consiglio dei ministri sollevava un nuovo conflitto di attribuzione nei confronti del 
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, in relazione alla richiesta 
di rinvio a giudizio formulata in data 5 maggio 1998 nei confronti di funzionari 
del SISDE e di funzionari di polizia che con i primi avevano collaborato, e che si 
assumeva nuovamente basata su fonti di prova incise <,tal segreto di Stato opposto dal 
Presidente dei Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801. 

In accoglimento del secondo ricorso del Presidente del Consiglio, la Corte 
costituzionale, con sentenza n. 410 del 1998, ha dichiarato non spettare al pubblico 
ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bologna, 
rinnovare la richiesta di rinvio a giudizio utilizzando fonti di prova acquisite in 
violazione del segreto di Stato gi� accertata con sentenza della Corte costituzionale 
e ha annullato la richiesta di rinvio a giudizio in data 5 maggio 1998. 

In seguito a tale decisione, il pubblico ministero resistente ha formulato la 
richiesta di archiviazione ritenuta dal ricorrente lesiva della proprie attribuzioni 
costituzionalmente garantite. 

7. -L'obbligo del pubblico ministero di trasmettere al giudice per le indagini 
preliminari l'intero fascicolo delle indagini preliminari, previsto dall'art. 408, 
comma 1, cod. proc. pen., � stato ribadito da questa Corte con la sentenza n. 145 del 
1991, invocata dal resistente, che ne ha sottolineato la funzione di garantire �che 
nessuna indebita limitazione possa essere apposta alla cognizione del giudice per le 
indagini preliminari ai fini dell'adozione delle determinazioni ad esso spettanti�. 
Senonch�, a quest'ultimo, rispetto alla valutazione circa l'inutilizzabilit� dei documenti 
di cui si tratta non compete, in questo caso, alcun potere decisorio in ordine 
alla adozione di determinazioni ulteriori e diverse dal rilievo d'ufficio della inutilizzabilit� 
di tali documenti, a norma dell'art. 191, comma 2, cod. proc. pen., ci� che 
questa Corte ha gi� avuto modo di chiarire con l'ord. n. 344 del 2000, in termini del 
tutto espliciti. 
Quest'ultima pronuncia, che ha dichiarato la manifesta inammissibilit� della 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 256 cod. proc. pen. sollevata dal giudice 
per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna, ha nuovamente ribadito 
che, con la sentenza n. 410 del 1998, questa Corte ha gi� inoppugnabilmente definito 
la controversia in merito all'utilizzabilit� degli stessi atti, sui quali � stato opposto 
e confermato il segreto di Stato, cui fa riferimento il giudice a quo, statuendo in 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

via definitiva sulla non spettanza al pubblico ministero del potere di utilizzarli ed 
annullando la richiesta di rinvio a giudizio basata sugli stessi. In tale occasione, si � 
anche chiarito che, derivando in via definitiva la sanzione dell'inutilizzabilit� degli 
atti di cui si tratta, non gi� dall'art. 256 cod. proc. pen., bens� direttamente dalle due 
citate sentenze della Corte costituzionale -pronunciate sulla base di parametri 
costituzionali e sottratte dall'art. 137, ultimo comma, della Costituzione, a qualsiasi 
forma, anche indiretta o impropria, di impugnazione -il giudice a quo avrebbe 
dovuto rilevarla d'ufficio a norma dell'art. 191, comma 2, cod. proc. pen., non residuando 
nel procedimento-penale a quo alcuno spazio per fare applicazione, ai fini 
dell'identificazione degli atti non utilizzabili, dell'art. 256 cod. proc. pen. (n�, quindi, 
per dubitare della sua legittimit� costituzionale). 

La circostanza, anzi, che il divieto di utilizzazione degli atti di cui si tratta deriva 
inequivocabilmente e in via definitiva non dall'art. 256 cod. proc. pen., bens� 
dalle citate sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, priva di valore processuale 
i documenti in questione e ne rende indebita e del tutto impropria l'inclusione 
nel fascicolo processuale. 

Dalle citate decisioni costituzionali, nel rispetto della correttezza che deve ispirare 
i rapporti tra autorit� giudiziaria e potere esecutivo nella materia della tutela del 
segreto di Stato, deriva un obbligo di restituzione dei documenti coperti da tale 
segreto, indipendentemente da una richiesta da parte dell'autorit� responsabile della 
loro custodia. 

Il sistema delle norme disciplinanti il processo penale, del resto, conosce pi� di 
un caso di obbligatoria restituzione di cose e documenti inutilizzabili a fini probatori, 
non solo da parte del giudice, ma anche direttamente da parte del pubblico 
ministero (artt. 262, comma l; 263, comma 4; 254, comma 3, cod. proc. pen.). 

Non � forse inutile ricordare poi che il comma 3 dell'art. 271 cod. proc. pen. 
dispone la distruzione, �salvo che costituisca corpo del reato�, della documentazione 
delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni non utilizzabili a norma 
dei primi due commi. 

Al pubblico ministero non spetta pertanto corredare la richiesta di archiviazione 
in data 3 maggio 1999 di documenti che, a s�guito delle sentenze di questa Corte 
nn. 110 e 410 del 1998, non doveva e non poteva n� acquisire, n� utilizzare, direttamente 
o indirettamente, e che avrebbe dovuto restituire all'autorit� responsabile 
della tutela del segreto di Stato. 

La permanenza materiale nel fascicolo processuale di documenti non utilizzabili 
perch� coperti da segreto di Stato ritualmente opposto e confermato dal Presidente 
del Consiglio dei ministri ex art. 12 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, successivamente, 
e in modo irretrattabile, ritenuti inutilizzabili con le sentenze nn. 11 O 
e 41 O del 1998 di questa Corte, concreta la lesione delle attribuzioni costituzionali 
del ricorrente. 

L'impugnata richiesta di archiviazione del Procuratore della Repubblica presso 
il Tribunale di Bologna, corredata di tali documenti, deve pertanto essere annullata. 

Quanto precede impone a questa Corte di dichiarare che non spetta al pubblico 
ministero formulare la richiesta di archiviazione in data 3 maggio 1999, corredandola 
di documenti che, anche a s�guito delle sentenze di questa Corte nn. 11 O e 41 O 
del 1998, non doveva e non poteva n� acquisire n� utilizzare, direttamente o indi



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

56 

rettamente, e che avrebbe dovuto restituire all'autorit� responsabile della tutela del 
segreto di Stato, e di annullare la richiesta presentata dal resistente in data 3 maggio 
1999 al Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna. 

8. -Le ragioni che hanno condotto all'accoglimento del ricorso presentato dal 
Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti del Procuratore della Repubblica 
presso il Tribunale di Bologna e all'annullamento della richiesta di archiviazione 
all'origine del primo conflitto impongono di accogliere anche il secondo ricorso epigrafato, 
proposto dallo stesso ricorrente nel confronti del giudice per le indagini preliminari 
del Tribunale di Bologna. 
La rilevata assenza di valore processuale dei documenti dei quali questa Corte, 
con le sentenze nn. 11 Oe 41 Odel 1998, ha accertato, in via definitiva e sulla scorta 
dei parametri costituz�onali applicati per la risoluzione dei rispettivi conflitti, l'inutilizzabilit� 
nel procedimento de quo, impone l'espunzione dal fascicolo processuale 
dei documenti coperti da segreto di Stato legittimamente opposto e confermato 
dal Presidente del Consiglio, sottratti a qualsiasi valutazione da parte del resistente. 

Da ci� consegue che non spetta al giudice per le indagini preliminari del Tribunale 
di Bologna utilizzare in alcun modo, direttamente o indirettamente, gli atti e i 
documenti coperti da segreto di Stato, la cui inutilizzabilit� � stata definitivamente 
accertata con le sentenze di questa Corte nn. 110 e 410 del 1998, neppure ai fini dei 
provvedimenti conseguenziali alla richiesta del pubblico ministero presentata in 
data 3 maggio 1999 e fissare l'udienza in camera di consiglio prevista dall'art. 409, 
secondo comma, cod. proc. pen. 

Sia l'accoglimento dei due ricorsi presentati dal Presidente del Consiglio dei 
ministri, sia l'annullamento della richiesta di archiviazione all'origine del primo 
conflitto impongono di annullare tutti gli atti successivi e conseguenziali alla richiesta 
di archiviazione, compreso il decreto, emesso al sensi dell'art. 409, secondo 
comma, cod, proc. pen. in data 31 maggio 1999, con il quale � stata fissata al 14 
luglio 1999 l'udienza in camera di consiglio, a s�guito della richiesta del Procuratore 
della Repubblica presso il Tribunale di Bologna presentata in data 3 maggio 1999. 

(omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 novembre 2000, n. 497 -Pres. Mirabelli -Red. 
Mezzanotte -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Palmieri). 

Ordinamento giudiziario -Procedimento disciplinare a carico di magistrati Esclusione 
della facolt� del magistrato di farsi difendere da un legale del 
libero foro -Violazione delle garanzie difensive del magistrato -Illegittimit� 
costituzionale in parte qua. 
(Cost., artt. 3, 24 secondo comma; r.d. 31maggio1946 n. 511, art. 34, comma 2). 

� costituzionalmente illegittimo l'art. 34, secondo comma, del regio decreto 
legislativo 31maggio1946 n. 511, nella parte in cui esclude la facolt� del magistrato 
di farsi assistere da un avvocato nel procedimento disciplinare instaurato a 
suo carico. La regola contenuta nella legge sulle guarentigie, secondo cui l 'incol



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

pato pu� farsi assistere da un collega, deve essere interpretata secondo il principio 
della trasparenza delle funzioni pubbliche, valore portante di ogni sistema democratico. 
Ne consegue che la norma deve essere interpretata come possibilit� di scelta 
da parte del magistrato di farsi difendere da un collega non in quanto appartenente 
ad una presunta corporazione di soggetti interessati alla tutela del prestigio 
dell'ordine giudiziario, ma in quanto ritenuto in possesso dell'idoneit� tecnica per 
assumere siffatta difesa. La pienezza del diritto di difesa comprende per� necessariamente 
anche la possibilit� di scelta di un legale del libero foro, quale strumento 
di garanzia della indipendenza della magistratura, indipendenza che, se appartiene 
alla magistratura nel suo complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, 
qualificandone la posizione sia all'esterno (nei confronti degli altri poteri dello 
Stato), sia all'interno, nei confronti degli altri magistrati e dello stesso Consiglio 
superiore della magistratura. 

(omissis) 

1. -La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con tre 
identiche ordinanze in pari data, dubita, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo 
comma, della Costituzione, della legittimit� costituzionale dell'articolo 34, secondo 
comma, del regio decreto legislativo 31maggio1946, n. 511 (Guarentigie della 
magistratura), �nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento 
disciplinare possa farsi assistere, per la propria difesa, da un avvocato del 
libero Foro�. 
Ad avviso del remittente, la disposizione censurata, che rifletterebbe un assetto 
precostituzionale, non sarebbe compatibile con l'art. 24, secondo comma, della 
Costituzione, il quale delineerebbe una nozione ampia del diritto di difesa, che si 
estenderebbe alla garanzia dell'assistenza tecnica, sicch�, anche alla luce dell'art. 6 
della convenzione dei diritti dell'uomo, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, 

n. 848, sarebbe del tutto naturale fare riferimento allo strumento specificamente preposto 
a tale scopo, e cio� alla difesa assicurata da un avvocato. 
La sezione disciplinare rileva inoltre che le peculiarit� del procedimento disciplinare 
a carico dei magistrati non escluderebbero che, nel suo ambito, l'esercizio del 
diritto di difesa debba esplicarsi con la stessa ampiezza riconosciuta dall' ordinamento 
in altri settori della giurisdizione. In questa prospettiva, il divieto contenuto nel1'
art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo n. 511 del 1946 si porrebbe in 
contrasto anche con l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole limitazione del 
diritto di difesa e per la ingiustificata disparit� di trattamento rispetto al modo in cui 
pu� esplicarsi in sede giurisdizionale il diritto di difesa di ogni cittadino. 

2. -I giudizi vanno riuniti in considerazione dell'identit� delle questioni proposte 
con le tre ordinanze di rimessione. 
3. -Il tema della difesa del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare � 
gi� venuto, nei medesimi termini, all'attenzione di questa Corte, che per� non ha 
potuto affrontarlo nel merito. Nella fattispecie a cui si riferiva la sentenza n. 220 del 
1994 si trattava di un incolpato che aveva optato per la difesa da parte di un magistrato, 
non riuscendo tuttavia a reperire un collega disposto ad assisterlo; sicch� la 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

58 

questione di legittimit� costituzionale dell'art. 34 del regio decreto legislativo n. 511 
del 1946, nella parte in cui non consente la nomina di un difensore del libero Foro, 
era, in quel caso, irrilevante ed � stata perci� dichiarata inammissibile. Nella vicenda 
dalla quale prende le mosse l'attuale giudizio di costituzionalit� si tratta, invece, 
di un magistrato che, incolpato in tre distinti procedimenti disciplinari, ha dichiarato 
di non volersi avvalere della difesa di un collega ma di quella di un libero professionista. 
La questione � pertanto indubbiamente rilevante e deve essere scrutinata 
nel merito. 

4. -La questione � fondata. 
Le ragioni che hanno indotto .il legislatore a configurare il procedimento disciplinare 
per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale sono state pi� 
volte esaminate da questa Corte: da un lato l'opportunit� che l'interesse pubblico al 
regolare e corretto svolgimento delle funzioni giudiziarie e lo stesso prestigio del1'
ordine giudiziario siano tutelati nelle forme pi� confacenti alla posizione costituzionale 
della magistratura e al suo statuto di indipendenza; dall'altro l'esigenza che 
alla persona del magistrato raggiunto da incolpazione disciplinare sia riconosciuto 
quell'insieme di garanzie che solo la giurisdizione pu� assicurare (cfr. sentenze 
nn. 71del1995, 289 del 1992 e 145 del 1976). 

Ora, riconoscere al magistrato la facolt� di farsi assistere da un difensore del 
libero Foro, anzich� imporgli, quale opzione esclusiva, un difensore �interno� 
appartenente all'ordine giudiziario, significa trarre alle loro naturali conseguenze le 
finalit� di rango costituzionale sottese alla giurisdizionalizzazione della responsabilit� 
disciplinare. 

5. -La premessa teorica dalla quale occorre procedere � che il regolare e corretto 
svolgimento delle funzioni giudiziarie e il prestigio della magistratura investono 
il momento della concretizzazione dell'ordinamento attraverso la giurisdizione, 
vale a dire l'applicazione imparziale e indipendente della legge. Si tratta perci� di 
beni i quali, affidati alle cure del Consiglio superiore della magistratura, non riguardano 
soltanto l'ordine giudiziario, riduttivamente inteso come corporazione professionale, 
ma appartengono alla generalit� dei soggetti e, come del resto la stessa indipendenza 
della magistratura, costituiscono presidio dei diritti dei cittadini. 
All'inquadramento concettuale della responsabilit� disciplinare secondo logiche 
corrispondenti all'autentico significato che l'indipendenza della magistratura 
assume nel sistema costituzionale (come garanzia dei diritti e delle libert� dei cittadini), 
si � pervenuti attraverso un ampio dibattito, che ha visto impegnata anche 
la magistratura in molte delle sue componenti e che ha propiziato l'abbandono di 
schemi obsoleti, ereditati dalla legislazione anteriore e ancora attivi dopo l'entrata 
in vigore della Costituzione, imperniati sull'idea, che rimandava ad antichi pregiudizi 
corporativi, secondo cui la miglior tutela del prestigio dell'ordine giudiziario 
era racchiusa nel carattere di riservatezza del procedimento disciplinare. Il 
punto di arrivo di un tale percorso, politico-istituzionale e culturale ad un tempo, 
� individuabile nella regola della pubblicit� delle udienze disciplinari, anticipata 
in via di prassi nella giurisprudenza ispirata ai principi risultanti dall'art. 6 della 
convenzione europea dei diritti dell'uomo, e formalizzata, oggi, nell'art. l della 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

legge 12 aprile 1990, n. 74. In tale regola si manifesta con un massimo di evidenza 
il totale rovesciamento di quel vecchi schemi ricostruttivi ed emerge nitidamente 
la stretta correlazione tra la nozione di prestigio dell'ordine giudiziario e la 
credibilit� dell'esercizio delle funzioni giudiziarie presso la pubblica opinione, 
intesa ovviamentt;: in senso pluralistico nel suo articolarsi in modi di vedere non 
necessariamente uniformi. Una nozione, quindi, che postula non la segretezza del 
procedimento disciplinare ma la trasparenza, valore portante di ogni sistema 
autenticamente democratico, i cui caratteri sono destinati a riflettersi sulla stessa 
difesa del magistrato, che non pu�, a sua volta, non conformarsi alla funzione propria 
della responsabilit� disciplinare e alla sua vocazione a oltrepassare la ristretta 
cerchia di un corpo professionale organizzato. 

Nel mutato contesto che si � venuto dischiudendo, segnato da una crescente 
consapevolezza dell'ineliminabile compenetrazione dei principi costituzionali sulla 
magistratura con quelli di pubblicit� e trasparenza delle funzioni pubbliche, la regola 
contenuta nella citata legge sulle guarentigie, secondo cui l'incolpato pu� farsi 
assistere da un collega, permane, n� � rinvenibile alcuna ragione per la quale essa 
debba venire rimossa. Tuttavia tale regola dismette la sua originaria caratterizzazione 
corporativa ed assume una ratio diversa, che pu� essere cos� esplicitata: la scelta 
dell'incolpato cade su un collega non in quanto appartenente ad una presunta corporazione 
di soggetti interessati alla tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, ma 
in quanto ritenuto in possesso dell'idoneit� tecnica per assumere una siffatta difesa. 
Se per� la validit� della scelta legislativa deve essere misurata sul piano dell'idoneit� 
tecnica del difensore, allora restano prive di qualunque fondamento giustificativo 
la limitazione ai soli magistrati della sfera dei soggetti legittimati a svolgere 
l'ufficio difensivo e la conseguente esclusione degli avvocati del libero Foro, ai 
quali, a causa del loro specifico statuto professionale, l'attitudine a difendere non 
pu� essere disconosciuta. 

6. -Tutto ci� appare evidente se si assume a criterio di valutazione l'interesse 
pubblico al corretto e regolare svolgimento delle funzioni giurisdizionali e al prestigio 
dell'ordine giudiziario. Se poi ci si colloca nella prospettiva della persona incolpata 
e del suo diritto di difesa, � egualmente chiaro che la pienezza della tutela giurisdizionale 
non pu� trovare in tale interesse pubblico un controvalore con il quale 
debba essere bilanciata. Al contrario, tale tutela � anche funzionale alla migliore e 
pi� efficace realizzazione di quell'interesse. Il massimo di incisivit� delle garanzie 
accordate al magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, infatti, non pu� che 
convertirsi in una altrettanto incisiva tutela del prestigio dell'ordine giudiziario e del 
corretto e regolare svolgimento delle funzioni giudiziarie. Ebbene, proprio dal punto 
di vista del singolo incolpato, il procedimento di cui � questione, come tutti i procedimenti 
disciplinari potenzialmente incidenti sullo status professionale, tocca la 
posizione del soggetto nella vita lavorativa e coinvolge quindi beni della persona 
che gi� richiedono, di per s�, le garanzie pi� efficaci. Ma con riferimento ai magistrati 
l'esigenza di una massima espansione delle garanzie difensive si fa, se possibile, 
ancora pi� stringente, poich� nel patrimonio di beni compresi nel loro status 
professionale vi � anche quello dell'indipendenza, la quale, se appartiene alla magistratura 
nel suo complesso, si puntualizza pure nel singolo magistrato, qualifican

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

60 

done la posizione sia all'interno che all'esterno: nei confronti degli altri magistrati, 
di ogni altro potere dello Stato e dello stesso Consiglio superiore della magistratura. 
� anzi, questo, uno dei punti nevralgici dell'insieme dei rapporti che fanno capo 
al magistrato incolpato: davanti alla sezione disciplinare, tanto pi� se si tiene conto 
della mancata tipizzazione legislativa degli illeciti, il diritto di difesa, a partire dalla 
prima delle facolt� che esso racchiude, quella della scelta del difensore, deve essere 
configurato in modo che nello stesso incolpato e nella pubblica opinione in nessun 
caso possa ingenerarsi il sospetto, anche il pi� remoto, che il procedimento 
disciplinare si trasformi in uno strumento per reprimere convincimenti sgraditi o per 
condizionare l'esercizio indipendente delle funzioni giudiziarie. 

Vi � quindi stretta correlazione tra l'indipendenza del magistrato sottoposto a 
procedimento disciplinare e la facolt� di scelta del difensore da lui ritenuto pi� adatto, 
sicch� limitare quest'ultima facolt� significa in definitiva menomare in parte 
anche il valore dell'indipendenza. Spetter� semmai al magistrato, in relazione alla 
singola vicenda disciplinare, decidere se sia pi� conveniente l'assistenza di un col:lega 
ovvero quella di un difensore esterno, che potrebbe essere reputato pi� efficiente 
anche eventualmente in considerazione della sua posizione di estraneit� 
all'ordine giudiziario e del suo non essere soggetto ad alcuno dei poteri del Consiglio 
superiore della magistratura. 

7. -A riprova dell'incongruenza della disciplina pu� ulteriormente osservarsi 
che, permanendo il censurato art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 
n. 511 del 1946, l'incolpato deve obbligatoriamente servirsi di un avvocato 
iscritto all'albo speciale per il patrocinio innanzi alle magistrature superiori nel!'
eventuale successivo giudizio davanti alle sezioni unite della Cassazione, e che, 
in caso di accoglimento del suo ricorso con rinvio alla sezione disciplinare, egli 
dovrebbe necessariamente tornare all'autodifesa o all'assistenza di un collega, con 
un dispendio di energie difensive del quale non � ravvisabile alcun fondamento 
giustificativo. 
Se dunque si ha riguardo all'insieme dei profili connessi alla questione di costituzionalit�, 
la conclusione � che, nel procedimento davanti alla sezione disciplinare, 
la difesa del magistrato deve potersi dispiegare nella sua pienezza, la quale non pu� 
dirsi raggiunta se al magistrato � negata la possibilit� di avvalersi dell'apporto difensivo 
di un avvocato del libero Foro. 

PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 


riuniti i giudizi, 

dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'articolo 34, secondo comma, del 
regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della magistratura), 
nella parte in cui esclude che il magistrato sottoposto a procedimento disciplinare 
possa farsi assistere da un avvocato. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 
il 13 novembre 2000. (omissis) 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 17 novembre 2000, n. 502 -Pres. Mirabelli -Red. 
Capotosti-C., D.L., G. (avv. Zanon) c. Commissione parlamentare per l'indirizzo 
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (avv. Stato Del Gaizo). 

Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato -Referendum abrogativi Campagna 
referendaria 2000 -Informazione radiotelevisiva e comunicazione 
istituzionale sui quesiti referendari -Disciplina emessa, in attuazione 
della legge 2000, dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo 
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi -Lamentato cattivo uso 
dei poteri spettanti alla Commissione -Insussistenza -Reiezione del 
ricorso. 
(Cost., artt. I, 3, secondo comma, 21, 48 e 75; deliberazione della commissione parlamen


tare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi 29 marzo 2000, artt. I, 
comma 2, 2, comma I, lett. c) e d), 7, comma 2; legge 22 febbraio 2000 n. 28, artt. 5, 
comma I e 9). 

� destituita di fondamento l'interpretazione dei ricorrenti in ordine alla qualificazione 
della legge 22 febbraio 2000 n. 28 come attuativa di un principio in base 
al quale sarebbe costituzionalmente necessaria, durante le campagne referendarie, 
la c.d. informazione �istituzionale� vertente sul significato e la portata dei quesiti. 
La complessit� dei quesiti referendari elettorali, infatti, pu� porre questioni interpretative 
controverse con la conseguenza che ne sarebbe pregiudicata verosimilmente 
l'imparzialit� della informazione. Per questo il comma 2 dell'art. 9 della 
legge n. 28 del 2000 assegna alle emittenti televisive pubbliche e private il compito 
di informare direttamente i cittadini soltanto sulle modalit� di voto e sugli orari dei 
seggi elettorali, proprio per evitare forme improprie di attivit� propagandistica. Tali 
aspetti possono invece essere chiariti e approfonditi attraverso una informazione 
equilibrata che si sviluppi nel contraddittorio tra i diversi soggetti interessati. Ne 
consegue l'infondatezza della censura di �cattivo uso� dei poteri spettanti alla 
Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza, per non avere adeguatamente 
attuato, in relazione ai diversi profili della deliberazione impugnata, i principi 
della medesima legge. 

1. -Il conflitto di attribuzione tra poteri proposto, con il ricorso in epigrafe, dai 
promotori e presentatori dei referendum abrogativi del 21 maggio 2000 nei confronti 
della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi 
radiotelevisivi, ha ad oggetto gli artt. 1, comma 2, 2, comma 1, lettere c) e d), 7, 
comma 2, della deliberazione del 29 marzo 2000 recante �Comunicazione politica, 
messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo 
pubblico per la campagna referendaria 2000� in riferimento all'art. 75 
della Costituzione. 
Secondo i ricorrenti, la deliberazione predetta, dato che nelle parti impugnate 
�non contiene la effettiva attuazione dei principi previsti nella legge� n. 28 del 2000, 
�determina restrizioni allo svolgimento della campagna referendaria tali da incidere 
sulla formazione della volont� di coloro che esprimono il loro voto nel referendum
� e conseguentemente nella sfera di attribuzioni garantita, ai sensi dell'art. 75 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

62 

della Costituzione, al Comitato promotore. A loro avviso, infatti, sarebbe configurabile 
il �cattivo uso� dei poteri spettanti alla Commissione parlamentare per la 
disciplina della c.d. �comunicazione istituzionale�, prevista in particolare dall'art. 9 
della legge n. 28 e connotata da profili di obbligatoriet� costituzionale, in riferimento 
agli artt. 1, 3, comma secondo, 48 e 75 della Costituzione, in quanto finalizzata 
ad assicurare, nelle campagne referendarie, l'esistenza di un'informazione neutrale 
ed obiettiva e con modalit� tali da garantire la formazione della libera e 
consapevole volont� dell'elettore. 

In via gradata i ricorrenti chiedono, che la Corte costituzionale, qualora ritenga 
che le direttive impugnate abbiano correttamente applicato la legge n. 28 del 2000, 
sollevi innanzi a s� medesima questione di legittimit� costituzionale dell'artt. 5, 
comma 1, e 9 della citata legge n. 28, in riferimento agli artt. 1, 3 comma secondo, 
21, 48 e 75 della Costituzione �in quanto non contengono una disciplina sufficiente 
ad assicurare l'esistenza, costituzionalmente necessaria, di una reale ed efficace 
comunicazione istituzionale�. 

2. -Preliminarmente va confermata la ammissibilit�, ai sensi dell'art. 37 della 
legge 11 marzo 1953, n. 87, del conflitto di attribuzione in esame, gi� ritenuta, in via 
di sommaria delibazione, nell'ordinanza n. 137 del 2000. 
Sussistono invero, alla stregua della costante giurisprudenza della Corte, i 
requisiti soggettivi del conflitto d'attribuzione tra poteri, giacch� � pacifica sia la 
legittimazione dei promotori della richiesta di referendum abrogativo, competenti a 
dichiarare definitivamente, nell'ambito della procedura referendaria, la volont� 
della frazione del corpo elettorale titolare del potere di iniziativa previsto dall'art. 75 
della Costituzione, sia la legittimazione della Commissione parlamentare per l'indirizzo 
generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, competente a dichiarare definitivamente, 
nell'ambito della materia di sua spettanza, la volont� delle due Camere 
(ex plurimis, sentenza n. 49 del 1998). 

Sussiste anche il requisito oggettivo del conflitto di attribuzione tra poteri, 
poich� non � accoglibile l'eccezione dell'Avvocatura dello Stato, secondo cui gli 
atti ed i comportamenti dei quali i ricorrenti si dolgono �non incidono sulle attribuzioni 
di rilievo costituzionale spettanti ai promotori nello svolgimento della 
campagna referendaria, in tale ambito non rientrando la c.d. "comunicazione istituzionale"
�. Va invece osservato che, �secondo la prospettazione del ricorso, gli 
atti ed i comportamenti impugnati possono configurare una ipotesi di �cattivo 
uso� dei poteri spettanti alla Commissione parlamentare per l'indirizzo e la vigilanza; 
�cattivo uso� che appare astrattamente suscettibile di influire, nell'ambito 
della campagna elettorale referendaria, sulla formazione della volont� degli elettori, 
cos� da ridondare in una lesione della sfera di attribuzione dei ricorrenti (sentenza 
n. 161 del 1995). 

Non si pu� infine ritenere che sia venuto meno, a seguito dello svolgimento 
delle procedure referendarie e del loro esito, l'interesse dei ricorrenti ad ottenere una 
decisione di merito sulla spettanza delle attribuzioni costituzionali in contestazione, 
giacch� non sono state prospettate argomentazioni che possano indurre un mutamento 
dell'orientamento favorevole fino ad ora seguito sul punto dalla Corte (cfr. 
sentenze n. 49 del 1998). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

3. -Nel merito, il ricorso � infondato. 
I ricorrenti censurano, con riferimento alle parti impugnate della deliberazione 
del 29 marzo 2000, il �cattivo uso� dei poteri spettanti alla Commissione parlamentare 
per l'indirizzo e la vigilanza, in quanto essa non avrebbe adeguatamente 
attuato la legge n. 28 del 2000, che, secondo la loro interpretazione, disciplinerebbe, 
accanto alla c.d. �comunicazione politica�, cio� la diffusione di �programmi 
contenenti opinioni e valutaz�oni politiche� (art. 2, comma 2), anche la c.d. �comunicazione 
istituzionale�, cio� l'informazione �imparziale, neutra ed obiettiva circa 
il significato e la portata dei quesiti referendari�. In particolare, i ricorrenti sostengono 
che la formazione della libera e consapevole volont� del cittadino impone alle 
amministrazioni pubbliche l'obbligo, costituzionalmente rilevante, di fornire, nell'ambito 
della campagna referendaria, una informazione �neutrale, obiettiva ed 
imparziale� sui contenuti dei quesiti e sul significato� del �si� e del �n0�, in considerazione 
del tecnicismo delle materie, della complessit� dei quesiti ed anche al fine 
di consentire che l'eventuale astensione dal voto sia frutto di una scelta consapevole 
e ragionata. Gli stessi ricorrenti ammettono per� che tale obbligo informativo 
�lascia ampio spazio alla discrezionalit� legislativa in materia�, potendo esplicarsi 
secondo modalit� anche molto diverse tra loro. 

In questa prospettiva, premesso che la Corte costituzionale ha da tempo affermato 
che �il diritto all'informazione� va determinato e qualificato in riferimento ai 
principi fondanti della forma di Stato delineata dalla Costituzione, i quali esigono 
che �la nostra democrazia sia basata su una libera opinione pubblica e sia in grado 
di svilupparsi attraverso la pari concorrenza di tutti alla formazione della volont� 
generale� (sentenza n. 112 del 1993 ), va sottolineata, in relazione alla necessaria 
democraticit� del processo politico referendario, l'esigenza che �sia offerta dal servizio 
pubblico radiotelevisivo la possibilit� che i soggetti interessati partecipino alla 
informazione ed alla formazione dell'opinione pubblica� in modi e forme idonei e 
congrui rispetto alla finalit� da perseguire (sentenza n. 49 del 1998). Al riguardo 
deve essere tenuto altres� presente �l'imperativo costituzionale� secondo cui il diritto 
all'informazione, garantito dall'art. 21 della Costituzione, � qualificato e caratterizzato, 
innanzi tutto, dal pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie, 
cosicch� il cittadino possa essere messo in condizione di compiere le sue valutazioni 
avendo presenti punti di vista differenti e orientamenti culturali e politici contrastanti 
(c:fr. sentenza n. 112 del 1993). 

In questa ottica, proprio per evitare che da un'informazione unilaterale possano 
derivare effetti distorsivi sulla pubblica opinione, tali da ledere il fondamentale principio 
di garantire il �voto libero� nelle competizioni elettorali, non appare affatto 
irragionevole la scelta che l'informazione sul merito, cio� sul significato e la portata 
dei quesiti referendari -e non su dati meramente estrinseci: denominazione del 
referendum e modalit� di voto -si svolga attraverso la partecipazione dialettica di 
tutti i soggetti interessati, anzich� essere affidata ad un'unica fonte, per quanto 
impersonale, obiettiva e neutrale possa essere. Ed infatti, sebbene i ricorrenti sottolineino 
l'importanza concettuale del mutamento dell'espressione �propaganda istituzionale
�, propria della previgente legislazione, con l'espressione �comunicazione 
istituzionale�, usata dalla legge n. 28, rimane tuttavia alto il rischio che, nella prassi 
operativa, la distinzione tra queste due tipologie informative possa finire con il 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

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perdersi. Ed in questo senso � significativo che il comma 2 dell'art. 9 della citata 
legge n. 28 del 2000 assegni alle emittenti radiotelevisive pubbliche e private il 
compito di informare direttamente i cittadini soltanto sulle modalit� di voto e sugli 
orari dei seggi elettorali, proprio per evitare, stabilendo tale contenuto minimo di 
comunicazione, forme improprie di svolgimento di attivit� propagandistica, tanto 
pi� grave in considerazione dell'incidenza sul momento elettorale. 

D'altronde, proprio la rilevata complessit� dei quesiti elettorali induce a ritenere 
che ragionevolmente non sia stato affidato -come invece vorrebbero i ricorrenti 
-alla comun1cazione �istituzionale� delle amministrazioni pubbliche il compito 
di chiarire �il significato e la portata dei quesiti referendari�. La tecnicit� dei quesiti 
stessi e individuazione precisa della c.d. normativa di risulta possono infatti porre 
questioni interpretative cos� complesse e controverse, che appare incongruo pretendere 
al riguardo da soggetti �istituzionali� una comunicazione imparziale ed esauriente 
su questi delicatissimi profili di merito, i quali invece possono essere pi� adeguatamente 
chiariti e approfonditi attraverso una informazione equilibrata che si 
sviluppi nel contraddittorio tra i diversi soggetti interessati, secondo modalit� rimesse 
appunto alla discrezionalit� del legislatore. Il valore del pluralismo dell'informazione, 
sotto il profilo passivo oltre che attivo, deve infatti trovare la massima espansione 
proprio nell'ambito delle competizioni elettorali, dominate dal principio della 
parit� di opportunit� tra i concorrenti. 

D'altra parte, la stessa disposizione invocata dal ricorrenti a sostegno della 
assoluta necessit� della c.d. comunicazione �istituzionale� sul significato e la portata 
dei quesiti referendari, e cio� l'art. 9 della citata legge n. 28 del 2000, va interpretata, 
nel comma 1, nel senso che il divieto alle amministrazioni pubbliche di 
�svolgere attivit� di comunicazione� durante la campagna elettorale � proprio finalizzato 
ad evitare il rischio che le stesse possano fornire, attraverso modalit� e contenuti 
informativi non neutrali sulla portata dei quesiti, una rappresentazione suggestiva, 
a fini elettorali, dell'amministrazione e dei suoi organi titolari. 

4. -La scelta legislativa di limitare la diretta informazione radiotelevisiva alla 
denominazione dei quesiti e alle modalit� di voto e di riservare invece precipuamente 
al confronto dialettico tra i soggetti interessati il chiarimento e l'approfondimento del 
significato e della portata dei quesiti referendari non � dunque, per le considerazioni 
proposte, irragionevole. Appare cos� destituita di fondamento l'interpretazione dei 
ricorrenti in ordine alla qualificazione della legge n. 28 del 2000 come attuativa di un 
principio in base al quale sarebbe costituzionalmente necessaria, durante le campagne 
referendarie, la c.d. informazione �istituzionale�, vertente proprio sul merito, cio� sul 
significato e la portata dei quesiti. Ed appare, di conseguenza, infondata anche la censura 
di �cattivo uso� dei poteri spettanti alla Commissione parlamentare per l'indirizzo 
e la vigilanza, per non avere adeguatamente attuato, in relazione ai diversi profili 
della deliberazione impugnata, i principi della medesima legge. 
In effetti, la deliberazione in oggetto � conforme alla ratio della citata legge 

n. 28, modulando la disciplina concreta della comunicazione radiotelevisiva nella 
campagna referendaria 2000, secondo criteri rispettosi del valore del pluralismo nel1 
'informazione. In questo senso, va respinta la censura che gli artt. 4, comma 1, e 7, 
comma 2, della stessa delibera siano meramente ripetitivi dell'art. 9 della legge n. 28 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

e comunque insufficienti in ordine all'informazione che la concessionaria pubblica 
del servizio radiotelevisivo doveva fornire, in particolare, sulla facolt� dell 'astensione 
dal voto e sulle relative conseguenze. Va in proposito ricordato, innanzi tutto, 
che i predetti articoli prevedono espressamente, integrando cos� il disposto dell'art. 
9, che la Rai illustri imparzialmente, con diverse tipologie di trasmissione, il contenuto 
dei quesiti referendari, oltre ad informare sulle modalit� di votazione, sulla data 
e sugli orari della consultazione. Risulta poi dalla documentazione presentata dalla 
difesa della Commissione parlamentare non solo che l'identificazione in dettaglio di 
contenuti e modalit� dell'.informazione avveniva sotto la vigilanza della Commissione 
stessa, ma anche che vi era una costante sottolineatura delle condizioni necessarie 
per la validit� delle consultazioni referendarie. 

Cos� pure va respinta la censura, relativa all'art. 1, comma 2, di mancata concessione 
di spazi radiotelevisivi� ai sostenitori dell'astensione, poich� risulta dalla documentazione 
prodotta che la disposizione in questione, la quale riguarda espressamente, 
come riconoscono gli stessi ricorrenti, la comunicazione �politica�, � stata attuata 
in modo tale che lo spazio concesso ai soggetti favorevoli ed a quelli contrari all' abrogazione 
non esaurisse affatto tutta l'informazione sul singoli quesiti referendari. 

Sono infondate altres� le censure, relative all'art. 2, comma 1, lett. e) ed), sia di 
carenza di criteri in ordine alla responsabilit� delle testate giornalistiche, sia di insufficiente 
programmazione di trasmissioni di approfondimento e di dibattito, in quanto 
tutte queste doglianze sono riferibili all'ambito dei �programmi di informazione� nei 
mezzi radiotelevisivi, disciplinati dall'art. 5, comma 1, della legge n. 28, che non prevede 
una rigida predeterminazione di criteri e contenuti informativi, risultando 
comunque dalla documentazione presentata in giudizio che la Commissione parlamentare 
aveva stabilito i necessari criteri procedurali e costantemente verificato che 
l'attivit� informativa della concessionaria pubblica si svolgesse secondo canoni di 
comportamento e modalit� operative corrispondenti. 

5. -� da rilevare infine che, in base alle motivazioni adottate nella presente 
decisione, risultano manifestamente infondati i dubbi di legittimit� costituzionale 
prospettati in via gradita dai ricorrenti in ordine agli artt. 5, comma 1, e 9 della citata 
legge n. 28 del 2000, cosicch� viene meno uno dei presupposti perch� la Corte 
possa accogliere la proposta istanza di autoremissione della relativa questione di 
costituzionalit�. 
PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 


dichiara che spetta alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la 
vigilanza dei servizi radiotelevisivi adottare la disciplina contenuta negli artt. 1, 
comma 2, 2, comma 1, lettere e) e d), 7, comma 2, della deliberazione approvata il 
29 marzo 2000, recante �Comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione 
e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico per la campagna 
referendaria 2000�. 

Cos� deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, 
il 13 novembre 2000. (omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

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CORTE COSTITUZIONALE, 20 novembre 2000, n. 51 O -Pres. Mirabelli -Rei. 
Zagrebelsky-Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Zotta). 

Misure di prevenzione antimafia -Divieti e decadenze -Posizione del convivente 
-Presunzione a suo carico -Contrasto con principi di diritto alla 
difesa, di libert� di iniziativa economica -Presunzione di non colpevolezza 
-Possibilit� prova contraria -Non fondatezza della questione. 

(legge n. 31 maggio 1965 n. 575, art. 10 co. 4; Cost. artt. 3,4,24,27 e 41 ). 

Non viola i principi costituzionali la norma che estende ai conviventi con la 
persona sottoposta a misura di prevenzione antimafia i divieti e le decadenze comminate 
a carico di quest'ultima, poich� essi possono dimostrare nel corso del procedimento 
di non essere coinvolti negli interessi economici della stessa (1 ). 

( 1) Con la pronuncia in rassegna la Corte conferma la legittimit� di una norma pi� volte censurata 
per il suo inevitabile rigore. 
A fronte dei numerosi rilievi di incostituzionalit� sollevati dal Tribunale di Avellino, sulla 
scorta di orientamenti della stessa dottrina, la Corte opera un salvataggio della disposizione che 
concilia le esigenze di prevenzione cui � ispirata tutta la normativa antimafia con le garanzie di 
tutela che vanno riconosciute a tutti i cittadini senza ingiustificate esclusioni. 

Per evitare facili elusioni dei divieti e delle decadenze poste a carico dei soggetti cui viene 
applicata una misura di prevenzione antimafia il legislatore ha esteso tali misure genericamente 
�nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura�, ma mentre ha previsto 
nel co. 2 dell'art. 10 legge 575/65 che il provvedimento definitivo di applicazione della misura 
determini la decadenza di diritto nei confronti del destinatario della misura, ha poi rimesso al 
Tribunale il potere di disporre la operativit� dei divieti nei confronti dei conviventi. In tale contesto 
la tesi del Tribunale era quella di limitare il proprio compito alla verifica della convivenza 
onde applicare automaticamente i divieti ai conviventi, il che trasformava tali soggetti in una 
casta di �intoccabili� anche quando essi non avessero altra colpa se non quella di avere legami 
familiari o affettivi con persona soggetta a misura cautelare. 

La sentenza della Corte ha invece valorizzato il profilo procedimentale, argomentando dal1'
art. 10 quater, per consentire ai conviventi di svolgere deduzioni ed acquisire elementi utili, e 
dall'art. 2 bis, per suggerire indagini sul tenore di vita e sulle condizioni economiche: il tutto al 
fine di delineare un quadro preciso sul possibile coinvolgimento del convivente negli interessi 
economici del soggetto destinatario della misura di prevenzione. 

Per tale valutazione complessiva la Corte ha fornito anche un criterio decisionale, ponendo 
a carico del convivente l'onere probatorio di provare l'inesistenza di elementi che dimostrino la 
sua partecipazione agli interessi economici dell'altro. 

Vale a dire che la convivenza determina una presunzione, ma questa non � assoluta e pu� 
essere superata da una prova contraria: � questo un punto di equilibrio delicato ma soddisfacente, 
che tuttavia solo nell'applicazione pratica riveler� la sua idoneit� a fungere da valido 
deterrente rispetto alle collusioni inevitabili nei contesti familiari. 

Viene peraltro da chiedersi se la convivenza in senso economico tratteggiata dalla pronuncia 
della Corte non possa opportunamente intendersi come situazione non esclusivamente logistica 
di persone abitanti sotto lo stesso tetto, ma anche quale comunanza di interessi che lega in 

modo ben pi� significativo soggetti formalmente estranei tra loro e/o privi di vincoli di sangue e 
di affetti. 
G.P.P. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(omissis) 

1.1. -Con ordinanza del 23 settembre 1999 il tribunale di Avellino ha sollevato, 
in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 27 e 41 della Costituzione, questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 10, comma 4, della legge 31maggio1965, n. 575 (Disposizioni 
contro la mafia), �nella parte in cui la suindicata norma, estendendo ai 
conviventi i divieti e le decadenze previsti nei commi 1 e 2 dello stesso articolo, non 
consente alcuna prova o accertamento contrario�. 
1.2. -Nel giudizio principale � stata richiesta al tribunale rimettente, da parte 
del questore competente, l'applicazione del divieto di iscrizione nel registro degli 
esercenti il commercio, a norma dell'art. 10, comma 4, cit., nei confronti della 
moglie convivente di un soggetto gi� sottoposto, con provvedimento definitivo, alla 
misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo 
di soggiorno per la durata di due anni, a norma della legge n. 575 del 1965. 
1.3. -Ad avviso dei tribunale, la disposizione della cui applicazione si tratta 
presenterebbe profili di incostituzionalit�, e ci� nonostante che la Corte costituzionale, 
in una sua precedente decisione (ordinanza n. 675 del 1988), abbia dichiarato 
manifestamente infondata una questione allora sollevata circa l'estensione degli 
effetti interdittivi a soggetti terzi, ritenendo ragionevole la presunzione di intestazione 
fittizia dei beni sottesa alla norma impugnata. 
Il dubbio di costituzionalit�, del resto manifestato anche in dottrina e in giurisprudenza, 
concerne comunque -prosegue il giudice a quo -aspetti diversi da 
quelli gi� esaminati dalla Corte nella richiamata decisione del 1988, e precisamente 
riguarda la prescrizione che impone al giudice di applicare al convivente di chi sia 
stato sottoposto a una misura di prevenzione secondo la legge antimafia dunque a 
una persona che come tale non ha subito alcun procedimento il divieto di iscrizione 
nei registri delle camere di commercio e, con esso, il divieto di ottenere licenze o 
autorizzazioni all'esercizio del commercio. 

Ci� che appare irragionevole al tribunale, anche avuto riguardo alle conclusioni 
della richiamata ordinanza n. 675 del 1988, � il carattere assoluto della presunzione 
di intestazione fittizia dei beni per eludere la disciplina antimafia, presunzione 
che � posta appunto nell'ipotesi dell'estensione degli effetti della misura: 
l'impossibilit� di fornire una prova contraria per il convivente contrasta con la possibilit� 
di svolgere accertamenti patrimoniali per verificare se la persona pericolosa 
disponga di beni e capitali suscettibili di essere reinvestiti nell'attivit� conimerciale 
che fa capo alla persona convivente o se invece quest'ultima disponga autonomamente 
di mezzi finanziari allo scopo. 

Del resto, aggiunge il rimettente, non pu� sostenersi che la censurata presunzione 
-che l'attivit� commerciale del terzo costituisca attivit� di �copertura� di 
quella illegale del prevenuto -sia necessariamente corrispondente alla realt� dei 
fatti, poich� pu� ben darsi il caso che l'attivit� commerciale del parente/convivente 
venga iniziata e svolta in modo autosufficiente; ne � esempio, prosegue il tribunale, 
proprio il caso di specie, giacch� il prevenuto risulta da tempo e tuttora detenuto in 
esecuzione di condanne penali, ci� che legittima il dubbio circa la sua possibilit� di 
finanziare il coniuge-convivente ai fini dell'esercizio del commercio. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

68 

La presunzione assoluta oggetto della questione sarebbe, secondo l'ordinanza 
di rinvio, in contrasto con il canone generale di ragionevolezza della legge, e inoltre 
con a) l'art. 3 [secondo comma] della Costituzione, sotto il profilo della rimozione 
degli ostacoli di ordine sociale al lavoro, costituendo anche l'unione matrimoniale 
o la convivenza una condizione di vita sociale, �non sempre scelta in piena 
libert��, b) l'art. 4 della Costituzione, circa l'effettivit� del diritto al lavoro, e) l'art. 
27 della Costituzione, per l'estensione a una persona estranea al procedimento di 
conseguenze lato sensu penalistiche, poich�, secondo il Tribunale, la misura di prevenzione 
postulerebbe pur sempre un accertamento di responsabilit� penale, solo 
variando il grado probatorio necessario, d) l'art. 24 della Costituzione, perch� vengono 
applicate conseguenze sfavorevoli a un soggetto che nel procedimento giurisdizionale 
di prevenzione non ha avuto la possibilit� di interloquire e difendersi, ed 
e) l'art. 41 della Costituzione, perch� ne deriva un ostacolo alla libera iniziativa economica 
dell'individuo. 

2. -� intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappreI 


sentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. i 
L'Avvocatura richiama il precedente maggiormente pertinente della Corte costiI 
tuzionale, costituito dall'ordinanza n. 675 del 1988, della quale riprende alcuni pas


i

saggi argomentativi, in particolare per l'affermazione che l'estensione degli effetti 
accessori della misura di prevenzione al coniuge, ai figli e ai conviventi del preve


I

nuto, cio� a soggetti non personalmente colpiti dalla misura, poggia sull'esigenza di 
�impedire che i divieti e le decadenze possano essere elusi mediante il ricorso ad 

I

intestazioni fittizie a persone di comodo� e dunque che non � irragionevole, �in rela


I ~ 

zione alla situazione ad alto rischio di pericolosit� nella quale la norma � destinata 
ad operare�, la previsione che i conviventi siano �assoggettati alle medesime preclusioni 
della persona sottoposta alla misura, in base alla presunzione che essi possano 
intervenire quali prestanome della stessa, o che quest'ultima possa comunque 

I!
aver parte alle attivit� economiche alle quali si riferiscono i provvedimenti oggetto 
di divieti o decadenze�. 

i 

Le argomentazioni del tribunale di Avellino non sono, secondo l'Avvocatura, 
idonee a condurre a diversa conclusione rispetto alla citata pronuncia. Anche a trascurare 
il dato formale secondo cui, una volta posta e ritenuta come valida la pre


I

sunzione di interposizione, le conseguenze sfavorevoli solo formalmente possono ! 
dirsi imputabili a soggetti �terzi� giacch� il soggetto effettivamente colpito rimane 
pur sempre il prevenuto, rileva l'Avvocatura che comunque, nell'effettuare la valu


I

tazione circa la ragionevolezza della previsione, la Corte ha gi� chiarito che il criteI 
rio di giudizio si fonda su un bilanciamento di interessi; alla stregua di questo stesI 
so criterio deve pertanto essere considerata la prospettazione dei nuovi e ulteriori ~ 
dubbi d'incostituzionalit� della norma che, nel contesto di alta pericolosit� nel quale 
essa � destinata a operare, pur essendo di particolare rigore, si presenta tuttavia come 
l'unico efficace strumento per impedire aggiramenti o elusioni della disciplina antimafia 
attraverso intestazioni di comodo; le censure del rimettente non sarebbero 
dunque idonee a condurre a diverso orientamento. La richiesta dell'Avvocatura, pertanto, 
� nel senso dell'infondatezza della questione. 

! 

PlJaPJ.m������l���1111��1�~ 



PARTE I, SEZ. I, GIURJSPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Considerato in diritto 

1. -L'art. 10 della legge 31maggio1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), 
nei commi 1 e 2 (nella formulazione vigente a seguito della legge 19 marzo 1990, 
n. 55) prevede, a carico delle persone alle quali sia stata applicata con provvedimento 
definitivo una misura di prevenzione, diversi divieti e decadenze relativi ad 
atti e provvedimenenti autorizzativi, concessori, abilitativi di attivit� d'impresa e 
relativi a erogazioni di danaro da parte dello Stato, di enti pubblici e delle comunit� 
europee. Il comma 4 del medesimo articolo, della cui legittimit� costituzionale il 
tribunale di Avellino dubita, stabilisce, tra l'altro, che tali divieti e decadenze operino 
anche nei confronti di chiunque conviva con il sottoposto alla misura di prevenzione. 
Il tribunale ritiene che tale previsione -determinata dall'intento di evitare 
che la persona convivente, usata come schermo, possa servire per eludere i divieti e 
le decadenze stabiliti -violi gli artt. 3, 4, 24, 27 e 41 della Costituzione. La 
doglianza riguarda quella che il giudice rimettente ritiene essere una presunzione 
assoluta che non consentirebbe all'interessato di provare il carattere non fittizio dell'intestazione 
dei beni che gli appartengono. 
2. -La questione non � fondata. 
3. -Nella valutazione della legittimit� costituzionale della disposizione denunciata, 
si deve tenere conto nel suo complesso della ponderazione fatta dal legislatore 
degli interessi implicati nella disciplina in esame nella quale entra, come ragione 
determinante, l'esigenza di contrastare l'attivit� economica di soggetti colpiti da 
misure di prevenzione antimafia tramite, in particolare, il reimpiego del denaro proveniente 
da attivit� criminosa. Gli invocati artt. 4, 24, 27 e 41 della Costituzione prevedono 
diritti che, secondo l'ordinanza del giudice rimettente sarebbero irragionevolmente 
sacrificati dalla presunzione assoluta che sottost� alla disposizione 
impugnata. Da qui, il riferimento all'art. 3 della Costituzione che impone al legislatore 
il rispetto del canone della ragionevolezza o non-arbitrariet� nella valutazione 
comparativa e complessiva degli interessi che la norma mette in gioco. 
In questa valutazione ponderata, occorre innanzitutto considerare la determinazione 
dell'efficacia quinquennale dei divieti, stabilita nell'ultima parte del medesimo 
comma 4 dell'art. 10 (quale sostituito con la legge n. 55 del 1990); la possibilit� di 
richiedere la riabilitazione -alla quale consegue la cessazione dei divieti previsti 
dall'art. 10 della legge n. 575 del 1965 -dopo tre o cinque anni, a seconda del tipo 
di criminalit� al quale la misura di prevenzione si riferisce (riabilitazione introdotta 
dall'art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, e, nell'area della criminalit� organizzata, 
dall'art. 14 della legge n. 55 del 1990), nonch� la deroga (introdotta anch'essa 
dall'art. 3 della legge n. 55 del 1990) contenuta nello stesso art. 10, al comma 5, che 
prevede la possibilit� che il giudice escluda la decadenza e il divieto (eccettuate le 
autorizzazioni e le licenze di polizia relative alle armi, alle munizioni e agli esplosivi) 
nel caso in cui, per effetto di tali provvedimenti, vengano a mancare i mezzi di 
sostentamento all'interessato e alla famiglia. 

Ma soprattutto, assume rilievo l'art. 10-quater della legge n. 575 del 1965 (nella 
versione risultante della legge n. 55 del 1990). Esso stabilisce che il tribunale, prima di 
adottare un provvedimento previsto dall'art. 10, comma 4, con decreto motivato chia



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

70 

ma a intervenire nel procedimento le parti interessate (e quindi anche il convivente nei 
cui confronti hanno da essere disposti divieti e decadenze), e che esse possono, anche 
con l'assistenza di un difensore, svolgere in camera di consiglio le loro deduzioni e 
chiedere l'acquisizione di ogni elemento utile alla decisione; ci� che di per s� vale a 
escludere il prospettato contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Aggiunge la medesima 
disposizione che, ai fini dei relativi accertamenti -cio� degli accertamenti che si 
rendono necessari per l'estensione delle interdizioni e delle decadenze nei confronti dei 
conviventi -, si applicano le disposizioni degli artt. 2-bis e 2-ter della legge. In particolare, 
l'art. 2-bis riguarda l'effettuazione di indagini sul tenore di vita, sulle disponibilit� 
finanziarie, sul patrimonio e in genere sulle condizioni economiche dei soggetti, 
indicati nell'art. 1 (indiziati di app<.tenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra 
o ad altre associazioni aventi caratteristiche analoghe a quelle mafiose), nei cui confronti 
possa essere proposta la misura della sorveglianza speciale (comma 1 ). 

Analoghe indagini, secondo il comma 3 dello stesso art. 2-bis sono condotte 
anche nei confronti di altri soggetti che possono avere a che fare con le attivit� economiche 
dei primi, tra i quali i conviventi (nell'ultimo quinquennio). 

Dalle disposizioni da ultimo citate risulta che il giudice deve tenere conto di una 
serie di elementi utili a ricostruire la posizione economica non solo della persona 
sospettata ma anche di quella convivente, potendosi ricavare cos� che le misure di 
cui all'impugnato comma 4 dell'art. 10 presuppongono l'esistenza di una �convivenza
� avente caratteri congruenti alla ratio dei provvedimenti che su di essa si 

�=~ 
I

basano: una convivenza, segnata in concreto da coinvolgimento negli interessi economici 
del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione; coinvolgimento di cui le 
�parti interessate�, nel procedimento previsto dalla legge, sono abilitate a dimostra


I

re l'inesistenza senza di che le norme ora citate risulterebbero prive di senso. 

I ~ 

Il che � quanto dire che, se tra la convivenza assunta dalla legge come condizione 
delle misure previste dal comma 4 dell'art. 10 e queste ultime v'� automatismo, 
non qualunque tipo di convivenza pu� essere a base di tale automatismo e che 
il soggetto interessato � abilitato a difendersi fornendo la prova dell'inesistenza in 

I 

essa di quei caratteri che, soli, giustificano le misure stesse. f% 

Per le ragioni anzidette, la norma da cui muove il giudice rimettente si rivela 
meno rigida di quanto egli assume e ci� consente di superare i dubbi di legittimit� 
costituzionale prospettati nel formulare la questione in esame. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 20 novembre 2000, n. 511 -Pres. Mirabelli -Rei. 
Zagrebelsky -Provincia di Bolzano (avv.ti Riz e Panunzio). 

Ricorso per conflitto di attribuzioni -Provincia -Violazione delle attribuzioni �:= 
provinciali da parte del Sostituto Procuratore della Repubblica -Modalit� 
di indagine -Legittimit� parziale in funzione dell'anteriorit� al reato Lesione 
competenze provinciali per accertamenti successivi. 

(Lettera del Sostituto Procuratore della Repubblica 1 O novembre 1998; decreto di esibizione 
del Sostituto Procuratore della Repubblica 1 dicembre 1998; Cost., artt. 97, l 02, l 04 e 
112; Statuto Trentino Alto Adige, art. 8 co. 1 n. 18, art. 9 co. 1 n. 2, art. 16; d. lgs. 16 marzo 
1992 n. 266 art. 4). 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

71 

Nell'ambito delle indagini avviate per la morte di una bambina nel corso di un 
trasporto scolastico nei confronti dei funzionari della Provincia competenti, il Procuratore 
della Repubblica pu� legittimamente chiedere al Presidente della Giunta 
provinciale ed ai presidi delle scuole informazioni e notizie sulle lamentele, segnalazioni 
e denunce inviate dai genitori riguardo al servizio fino alla data dell 'incidente, 
ma non per il tempo successivo, poich� in tale caso il suo comportamento 
diviene espressione di una pretesa alla generalizzata ed astratta revisione della attivit� 
dell'Amministrazione, ledendo la competenza legislativa e le potest� amministrative 
della Provincia in materia (1). 

(omissis) 

1. -Con ricorso notificato 1'8 gennaio 1999 e depositato il successivo 15 gennaio, 
la provincia autonoma di Bolzano ha sollevato conflitto di attribuzione nei 
confronti dello Stato in relazione a due atti del sostituto procuratore della Repubblica 
presso la Pretura circondariale di Bolzano: una lettera (definita dalla ricorrente 
�circolare�) del 1 O novembre 1998, inviata ai presidi delle scuole elementari 
e medie della provincia di Bolzano, e un decreto di esibizione di documenti, del 
1� dicembre 1998, rivolto al presidente della giunta provinciale. 
(1) La sentenza in rassegna va segnalata, a prescindere dalle vicende relative all'ammissibilit� 
dell'intervento in giudizio del Sostituto Procuratore della Repubblica per il quale si rinvia alla 
decisione 309/2000 pubbl. in questo fascicolo alla pag. 24, poich� risolve con prudente misura un 
conflitto decisamente anomalo. Difatti con encomiabile zelo il pubblico ministero che conduceva 
le indagini per la morte di una bambina avvenuta durante un trasporto scolastico, non si era 
limitato a perseguire il conducente dello scuolabus, ma aveva cercato eventuali ulteriori responsabilit� 
tra i funzionari della Provincia competenti in materia ed a tal fine aveva sollecitato l'acquisizione 
di informative non solo dai genitori dei bambini, ma anche a livello dell'organizzazione 
degli uffici provinciali. La richiesta delle relazioni annuali sulle attivit� dell'ufficio e degli 
atti relativi all'individuazione degli obiettivi annuali suscitava la reazione della Provincia, che 
considerava questa modalit� di indagine come un controllo sulla propria attivit� amministrativa e 
persino come un tentativo di sostituzione del magistrato nella individuazione dell'indirizzo 
amministrativo, tenuto conto dell' indubbia influenza che l'intervento del P.M. poteva esercitare 
sull'operato degli uffici interessati. 
Nel conflitto tra le due posizioni la Corte ha inteso privilegiare la possibilit� per il magistrato 
inquirente di estendere al massimo la sua indagine, richiedendo le informazioni ritenute necessarie 
agli uffici competenti, .anche a costo di incidere sull'attivit� amministrativa della Provincia per 
verificare se la stessa presentasse dei profili di rilievo penale. 

La prevalenza dell'interesse giustiziale viene tuttavia ammessa fino alla data del reato, che 
costituisce il fatto in funzione del quale � giustificata l'attivit� del PM; le indagini per il tempo 
successivo, rileva la Corte, �si configurano obiettivamente come espressione di un'implicita pretesa 
alla generalizzata e astratta revisione dell'attivit� dell'amministrazione e non sono quindi 
giustificate�. Per tale parte va dunque riconosciuta la legittimit� della rivendicazione da parte 
della Provincia della sua sfera di autonomia organizzativa che pu� essere tutelata con un conflitto 
di attribuzioni nei confronti dello Stato, cui sono riferibili gli atti del Sostituto Procuratore della 
Repubblica. 

G.P.P. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

72 

Tali atti sono stati emessi dal magistrato nell'ambito delle indagini avviate contro 
tre funzionari della provincia autonoma e contro il competente assessore provinciale, 
a seguito della morte, il 30 aprile 1998, di una bambina nel corso di un trasporto 
scolastico (dopo che, in separato procedimento penale, era stata condannata 
la conducente dell'automezzo �scuolabus�); con essi, secondo la provincia ricorrente, 
il pubblico ministero avrebbe le competenze legislative esclusive e le relative 
potest� amministrative provinciali in materia di trasporti di interesse provinciale 
nonch� di istruzione elementare e secondaria, quali definite dagli artt. 8, primo 
comma numero 18), 9, primo comma, numero 2), e 16 dello statuto speciale per il 
Trentino-Alto Adige approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e dalle relative 
nome di attuazione (in particolare, dall'art. 4 del decreto legislativo 16 marzo 1992, 

n. 266, secondo il quale �Nelle materie di competenza propria ... delle province 
autonome la legge non pu� attribuire agli organi statali funzioni amministrative, 
comprese quelle di vigilanza, di polizia amministrativa e di accertamento di violazioni 
amministrative, diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale 
e le relative norme di attuazione, salvi gli interventi richiesti ai sensi dell'art. 
22 dello statuto medesimo�); competenze in forza delle quali la provincia autonoma 
ha emanato proprie leggi (31agosto1974, n. 7; 9 dicembre 1976, n. 60; 30 giugno 
1983, n. 20) in materia di organizzazione e gestione del trasporto scolastico. Inoltre, 
con gli atti in questione, il sostituto procuratore avrebbe violato gli artt. 97, primo e 
secondo comma, 102, 104 e 112 della Costituzione. 
In particolare, osserva la provincia ricorrente, il pubblico ministero, con il 
decreto di esibizione del l 0 dicembre 1998, ha chiesto � ... copia autentica delle relazioni 
annuali relative all'attivit� dell'ufficio� provinciale addetto al trasporto locale 
di persone, �copia autentica degli atti relativi all'individuazione degli obiettivi 
annuali e della relativa verifica�, nonch� �copia autentica di tutte le relazioni eventualmente 
predisposte�, e ci� � ... dal 1994 ad oggi� per tutte e tre le richieste; mentre 
con la lettera del 1 O novembre 1998 il magistrato ha domandato ai presidi delle 
scuole elementari e medie della provincia notizie circa le lamentele, le segnalazioni, 
le denunce o i suggerimenti che siano stati fatti pervenire, �negli ultimi quattro 
anni�, alla provincia autonoma, in materia di trasporto scolastico. In tal modo, 
secondo la provincia, il sostituto procuratore della Repubblica, esorbitando dalle 
attribuzioni proprie del potere cui appartiene e andando oltre il diritto-dovere di promuovere 
l'azione penale in presenza di fatti penalmente rilevanti (come si desumerebbe, 
in particolare, dal fatto che le notizie e i documenti oggetto delle richieste 
riguardano anche epoca successiva al sinistro), si attribuisce il controllo dell'attivit� 
dell'amministrazione provinciale, finendo per dettare egli stesso le linee dell'indirizzo 
amministrativo, sostituendosi agli organi competenti: controllo e indirizzo 
che per� non spettano al pubblico ministero, n� ad altro organo giudiziario, trattandosi 
di funzioni propriamente amministrative, che attengono a scelte discrezionali, 
insindacabili da altri poteri statali, ivi compreso quello giurisdizionale, al quale non 
spetta fissare obiettivi inerenti al servizio del trasporto scolastico. 

Proprio il tenore della lettera del 1 O novembre 1998 ai presidi delle scuole metterebbe 
in luce, secondo la provincia autonoma, lo scopo dell'indagine del sostituto 
procuratore: come si legge in essa, infatti, � ... al fine di meglio valutare l'attuale 
stato del trasporto scolastico in provincia di Bolzano, soprattutto in relazione agli 


PARTE I, SEZ. I, GWRISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

standard di sicurezza che vengono o dovrebbero essere applicati con riguardo all'incolumit� 
dei minori trasportati�, l'ufficio del pubblico ministero �gradirebbe venire 
a conoscenza di tutte le lamentele, segnalazioni, denunce o suggerimenti che, da 
parte di chiunque, siano state fatte pervenire negli ultimi quattro anni alla provincia 
autonoma di Bolzano, ente organizzatore del servizio (ad esempio, su eventuali condotte 
scorrette da parte degli autisti, su deficit di sicurezza delle autovetture e su 
quanto altro abbia attinenza con la sicurezza dei bambini)�. Ma questo tipo di accertamento, 
rileva la provincia, non rientra nelle attribuzioni del potere giudiziario e 
invade il campo delle funzioni costituzionalmente a essa riservate. 

Il pubblico ministero, conclude la ricorrente, � andato oltre l'ambito dell'indagine 
su reati eventualmente commessi, poich� ha tentato di disciplinare l'attivit� 
amministrativa e di imporre alla provincia indirizzi e scelte operative e tecniche, in 
luogo dei competenti organi amministrativi, ci� che, anche alla stregua della giurisprudenza 
costituzionale (sentenza n. 70 del 1985), non gli � consentito. 

2. -Nel giudizio di fronte alla Corte costituzionale � intervenuto, con atto depositato 
il 4 giugno 1999, il sostituto procuratore della Repubblica presso la pretura 
circondariale di Bolzano, che, oltre a far valere l'esigenza di riconoscere allo stesso 
uno strumento di contraddittorio, ha chiesto, nel merito, che il conflitto sia dichiarato 
inammissibile, trattandosi di un improprio mezzo di censura del modo di esercizio 
della funzione giurisdizionale. 
3. -Con ordinanza letta nell'udienza pubblica del 26 ottobre 1999, uditi i 
difensori della ricorrente provincia di Bolzano e il sostituto procuratore della 
Repubblica, questa Corte ha dichiarato irricevibile, per tardivit�, l'atto di intervento 
del sostituto procuratore. 
4. -Con ordinanza dell' 11 gennaio 2000 la Corte -essendo pendente un separato 
conflitto promosso dalla procura della Repubblica presso la pretura circondariale 
di Bolzano nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione 
alla mancata costituzione di quest'ultimo nel presente giudizio per conflitto -ha 
disposto la nuova trattazione del giudizio promosso dalla provincia di Bolzano in 
successiva pubblica udienza, al fme di consentire la previa trattazione e decisione 
dell'anzidetto separato conflitto di attribuzione (reg. confl. n. 5/2000), che � stato 
definito con la sentenza n. 309 del 2000. 
5. -All'udienza del 24 ottobre 2000, la difesa della provincia ricorrente ha insistito 
per l'accoglimento del ricorso. 
Considerato in diritto 

1. -La provincia autonoma di Bolzano solleva conflitto di attribuzi.one nei confronti 
dello Stato in relazione a due atti del sostituto procuratore della Repubblica 
presso la pretura circondariale di Bolzano adottati nell'ambito del procedimento 
penale di cui si d� conto nell'esposizione dei fatti. Si tratta di una lettera inviata ai 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

74 

presidi delle scuole elementari e medie della provincia di Bolzano e di un decreto di 
esibizione di documenti rivolti al presidente della giunta provinciale. La ricorrente 
lamenta che il sostituto procuratore, con gli atti in questione avrebbe preteso di controllare 
e indirizzare le funzioni amministrative della provincia autonoma con atti 
estranei all'esercizio della funzione giudiziaria, lesivi delle sue attribuzioni. Sarebbero 
nella specie violati gli artt. 8, primo comma, numero 18), 9, primo comma, 
numero 2), e 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R 31 agosto 
1972, n. 670), le relative norme di attuazione contenute, in particolare, nell'art. 4 del 
decreto legislativo .16 marzo 1992, n. 266, nonch� gli artt. 97, primo e secondo 
comma, I 02, I 04 e 112 della Costituzione. 

Il problema che la Corte � chiamata a risolvere pu� essere sintetizzato nella 
domanda se rientri nella sfera delle attribuzioni dello Stato e, per esso, dell'autorit� 
giudiziaria ovvero se, non rientrandovi, violi la sfera di attribuzioni provinciali: a) 
invitare autorit� amministrative (nella specie i presidi delle scuole elementari e 
medie della provincia di Bolzano) a diffondere (nella specie tra i genitori di bambini 
interessati al servizio di trasporto scolastico) la richiesta di comunicare a un organo 
della giurisdizione (nella specie il sostituto procuratore) notizie (nella specie, 
lamentele, segnalazioni, denunce o suggerimenti da chiunque fatti pervenire negli 
ultimi quattro anni alla provincia autonoma di Bolzano, circa la sicurezza dei bambini 
avvalentisi del servizio di trasporto scolastico) ritenute rilevanti per le indagini 
preliminari in un processo penale; b) ordinare al presidente della giunta provinciale 
la produzione in copia di documenti comprovanti l'attivit� amministrativa di un funzionario 
provinciale, direttore dell'ufficio competente in materia di trasporto locale 
di persone. 

2. -Il conflitto � in parte infondato, in parte fondato. 
3. -Secondo, la prospettazione della ricorrente, i menzionati atti del sostituto 
procuratore della Repubblica costituiscono manifestazione di un preteso potere di 
controllo e indirizzo amministrativi delle funzioni della provincia, come tali esorbitanti 
dai compiti propri dell'autorit� giudiziaria e illegittimamente incidenti sul1'
autonomia provinciale. Questo assunto, per�, non � giustificato alla stregua del 
tenore proprio degli atti all'origine del presente conflitto, sopra richiamati. Essi 
sono evidentemente finalizzati all'acquisizione di elementi di conoscenza che il 
pubblico ministero procedente, in base alla sua valutazione della loro potenziale 
rilevanza ai fini dell'accertamento dei reati contestati, ritiene di dovere compiere in 
vista dell'esercizio dell'azione penale e non si riesce a vedere in che cosa l'acquisizione 
di conoscenze possa ledere le attribuzioni della provincia. In nessuno dei 
due atti � dato intravedere la pretesa del sostituto procuratore della Repubblica di 
disciplinare l'attivit� amministrativa (o addirittura legislativa) della provincia e di 
imporle obblighi e indirizzi politici, scelte tecniche, regole di comportamento e criteri 
di organizzazione dei propri mezzi, come si legge nell'atto introduttivo del presente 
giudizio. 
Il punto di vista della provincia non vale nemmeno con riferimento al contenuto 
della lettera inviata ai presidi delle scuole elementari e medie che mira anch'essa 
solo a conoscere se vi fossero state iniziative delle famiglie interessate, intese a 


PARTE I, SEZ. I, GIURJSPRUDENZA COSTITUZIONALE 

segnalare all'amministrazione eventuali carenze e a formulare suggerimenti all'amministrazione 
stessa circa l'esercizio del servizio di trasporto, nell'ambito del quale 
si � verificato l'incidente mortale sulle cui responsabilit� � in corso il procedimento 
penale. Le iniziative alle quali la lettera in questione si riferisce sono dunque di soggetti 
terzi e non sono affatto riferibili al sostituto procuratore: egli semplicemente ne 
ritiene utile la conoscenza ai fini delle proprie determinazioni nell'esercizio dell'azione 
penale. La forma utilizzata nell'ambito del procedimento in corso, un invito 
alla cooperazione, privo di carattere obbligatorio, sia nei confronti dei presidi, sia 
nei confronti delle famiglie dei ragazzi utenti del servizio di trasporto non si presta 
di per s� a fornire motivo di doglianza nel giudizio su conflitto costituzionale, preordinato 
alla difesa delle attribuzioni definite dalla Costituzione. 

4. -Fondato � invece il ricorso della provincia per quanto riguarda l'arco temporale 
al quale gli atti impugnati si riferiscono. 
L'accadimento che forma oggetto del procedimento penale l'incidente che ha 
causato la perdita della vita di una bimba che usufruiva del servizio di trasporto � 
occorso il 30 aprile 1998. Gli atti che sono all'origine del presente giudizio sono, 
l'uno, del 10 novembre e, l'altro, del 1� dicembre del medesimo anno. I documenti 
e le notizie che il sostituto procuratore ha inteso, con essi, acquisire riguardano non 
solo il periodo di tempo anteriore al 30 aprile ma anche il periodo successivo, fino 
alla data di emissione degli atti in questione. La lettera del 1 Onovembre 1998 fa riferimento 
a lamentele, segnalazioni, denunce, suggerimenti pervenuti �negli ultimi 
quattro anni� alla provincia; a sua volta, il decreto del 1� dicembre 1998 riguarda 
documenti dell'amministrazione provinciale relativi al periodo �dal 1994 ad oggi�. 

Da ci� si deduce che, per questa parte, in assenza di qualsiasi ragione che li giustifichi, 
gli atti impugnati non risultano derivare da concrete esigenze di indagine e 
si configurano obiettivamente come espressione di un'implicita pretesa alla generalizzata 
e astratta revisione dell'attivit� dell'amministrazione, al fine di un esercizio 
solo ipotetico dell'azione penale (v., per analoghi rilievi, la sentenza n. 104 del 
1989). Sotto questo aspetto � dato effettivamente rilevare negli atti del sostituto procuratore 
un'oggettiva pretesa nei confronti della provincia che non trova giustificazione 
nella posizione dell'autorit� giudiziaria e nei poteri che le spettano. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 2000 n. 525 -Pres. Mirabelli -Red. 
Santosuosso -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mand�). 

Tributi (in generale) -Contenzioso tributario -Impugnazioni -Ricorso per 

cassazione -Luogo di notifica della sentenza ai fini della decorrenza del 

termine breve -Art. 21, comma 1, legge 13 maggio 1999 n. 133 -Onere di 

notifica presso l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato competente ex art. 11, 

secondo comma R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611-Efficacia retroattiva -Que


stione di legittimit� costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. -Fonda


tezza in parte qua. 

(legge 13 maggio 1999, n. 133, art. 21; d.lgs. 31dicembre1992, n. 546, art. 38; r.d. 30 otto


bre 1933, n. 1611, art. 11; cod. proc. civ., art. 325). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

76 

� illegittimo, per violazione del/' art. 3 Cost., l'art. 21, comma 1, della legge 13 
maggio 1999, n. 13 3 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e 
federalismo fiscale) nella sola parte in cui si estende, anche al periodo anteriore alla 
sua entrata in vigore, l'efficacia dell'interpretazione autentica, da essa dettata, dell'art. 
38, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tri


butario in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 legge 30 dicembre 
1991, n. 413) nel senso che le sentenze pronunciate dalle commissioni tributarie 
regionali e dalle commissioni tributarie di secondo grado delle province autonome 
di Trento e di Bolzano, aifini del decorso del termine di cui all'art. 325, secondo 
comma, c.p.c., vanno notificate ali 'Amministrazione finanziaria presso l'ufficio del1 
'Avvocatura dello Stato competente ai sensi dell'art. 11, secondo comma, del TU 
approvato con R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611 e successive modifiche (1). 

(omissis) 

1 -La Corte di cassazione dubita della legittimit� costituzionale dell'art. 21, 
comma 1, della legge 13 maggio 1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, 
razionalizzazione e federalismo fiscale), nella parte in cui stabilisce l'interpretazione 
autentica dell'art. 3 8, comma 2, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni 
sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta 
nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in riferimento agli artt. 3, primo 
comma, e 24, secondo comma, della Costituzione. 

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata non troverebbe giustificazione, 
poich�: a) quando � stata emanata, non vi sarebbe stato pi� alcun contrasto interpretativo 
nella giurisprudenza della Cassazione riguardo alla notifica delle sentenze 
delle commissioni tributarie; b) il suo contenuto precettivo sarebbe innovativo e, 
comunque, chiaramente estraneo alla formulazione della norma originaria, imponendo 
-in riferimento alla notifica delle sole sentenze emesse in secondo grado 
(mentre prima la disciplina doveva ritenersi identica per entrambe le fasi di merito) 
e con effetto retroattivo -un'interpretazione diversa sia da quella consolidatasi 
nella giurisprudenza di legittimit�, sia da quella comunque fatta propria inizialmente 
dalla Cassazione. 

Da ci� deriverebbero seri dubbi sulla ragionevolezza della nuova disciplina e 
sulla sua compatibilit� con i principi costituzionali della tutela del legittimo affidamento 
e della certezza delle situazioni giuridiche. 

2. -La questione � fondata nei limiti di seguito precisati. 
La giurisprudenza costituzionale ha pi� volte affermato che il legislatore pu� 
adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative non solo .' 

.

I

(1) La Corte Costituzionale �salva� l'art. 38, secondo comma, d.lgs. 31 dicembre 1992, il 
n. 546 ma non per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore in quanto ritiene che l'efficacia j:i 
~:o

retroattiva di tale norma incida irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti e ,,, 
quindi violi il principio di affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica il quale costituisce t :-:� 

I i::

elemento essenziale dello Stato di diritto anche in materia processuale (in argomento si veda 

C. Cost. sent. 416/1999, in Foro it. 2000, I, 2456; sent. 111/1998 in Giust. Civ. 1998, I, 1786; sent. 
39711994 in questa Rassegna 1994, I, 1, 399; sent. 311/1995 in Giur. Cost., 1995, 2419). [' 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

quando sussista una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto o vi siano 
contrasti giurisprudenziali, ma anche in presenza di un indirizzo omogeneo della 
Corte di cassazione, quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili 
varianti di senso del testo originario, con ci� vincolando un significato ascrivibile 
alla norma anteriore (v., tra le altre, le sentenze n. 311del1995 e n. 397 del 1994 e 
l'ordinanza n. 480 del 1992). Peraltro, l'effettivo problema da affrontare nella presente 
fattispecie non � quello relativo alla natura di tali leggi, ma investe sostanzialmente 
i limiti che esse incontrano quanto alla loro portata retroattiva. 

In proposito questa Corte ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti, che 
attengono alla salvaguardia di norme costituzionali (v., ex plurimis, le citate sentenze 

n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994), tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di 
uguaglianza, quello della tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza 
dell'ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente 
riservate al potere giudiziario (ci� che vieta di intervenire per annullare gli effetti del 
giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice). 
In questa sede occorre in particolare soffermarsi sull'affidamento del cittadino 
nella sicurezza giuridica; principio che, quale elemento essenziale dello Stato di 
diritto, non pu� essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente 
su situazioni regolate da leggi precedenti (v. le sentenze n. 416 del 1999 e 

n. 211del1997). 
Tale principio deve valere anche in materia processuale, dove si traduce nell'esigenza 
che le parti conoscano il momento in cui sorgono oneri con effetti per loro 
pregiudizievoli, nonch� nel legittimo affidamento delle parti stesse nello svolgimento 
del giudizio secondo le regole vigenti all'epoca del compimento degli atti 
processuali (cfr. la sentenza n. 111del1998). 

3. -Nel caso di specie, l'art 38, comma 2, del d. lgs. n. 546 del 1992 stabilisce 
che ciascuna parte ha l'onere di provvedere direttamente alla notifica alle altre parti 
delle sentenze delle commissioni tributarie, ai sensi degli artt. 137 e seguenti del 
codice di procedura civile. Qualora l'Amministrazione finanziaria sia stata in giudizio 
senza l'assistenza dell'Avvocatura dello Stato, ed un privato voglia notificarle 
una pronuncia di secondo grado, la giurisprudenza della Corte di cassazione ha talora 
affermato che egli deve effettuarla presso l'Avvocatura generale dello Stato, ma 
sempre pi� frequentemente ha ritenuto che debba indirizzarla direttamente all 'ufficio 
finanziario che ha emesso l'atto oggetto del giudizio. Mentre pi� contrastato 
� risulta l'orientamento della dottrina. 

La norma impugnata d� una interpretazione del citato art. 38, comma 2, che non 
era fra quelle accolte in sede giudiziale ed era nettamente minoritaria anche nella 
dottrina: come rileva il giudice a quo, anche il contribuente pi� scrupoloso difficilmente 
avrebbe potuto pensare che la notifica delle sentenze tributarie di secondo 
grado, ricorribili per cassazione, dovesse essere effettuata presso l'Avvocatura 
distrettuale dello Stato, ma tutt'al pi� presso quella generale. 

Sono state cos� rese inefficaci, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione, 
le notifiche operate sia presso l'Avvocatura generale, sia presso i singoli 
uffici finanziari, consentendo all'Amministrazione la possibilit� di ricorrere contro 
decisioni che, altrimenti, avrebbero dovuto essere ritenute coperte dal giudicato. 


78 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La volont� di chiarire il senso dell'anzidetto art. 38, comma 2, del d. lgs. 

n. 546 del 1992 e le eventuali, pur legittime, considerazioni di convenienza del 
legislatore non avrebbero, quindi, dovuto portare a dichiarare applicabile anche 
per il passato la nuova disciplina delle notifiche delle sentenze tributarie, poich� 
in questo modo � stato frustrato l'affidamento dei soggetti nella possibilit� di operare 
sulla base delle condizioni normative presenti nell'ordinamento in un dato 
periodo storico, senza che vi fosse una ragionevole necessit� di sacrificare tale 
affidamento nel bilanciamento con altri interessi costituzionali ( cfr. la sentenza 
n. 211 del 1997). 
Detta fondamentale esigenza di garanzia si arresta, peraltro, nel momento in cui 
la norma interpretativa � entrata in vigore. 
Deve, pertanto, dichiararsi illegittima, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, 
la sola parte della norma impugnata che estende anche al passato l'interpretazione 
autentica dell'art. 38, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992. 

Resta assorbita la censura relativa all'art. 24 della Costituzione. 

PER QUESTI MOTIVI 
LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 21, comma 1, della legge 13 maggio 
1999, n. 133 (Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo 
fiscale), nella parte in cui estende anche al periodo anteriore alla sua entrata 
in vigore l'efficacia dell'interpretazione autentica, da essa dettata, dell'art. 38, 
comma 2, del d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario 
in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 
1991, n. 413). (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 22 novembre 2000, n. 526 -Pres. Mirabelli -Rei. 
Onida -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruni N.). 

Ordinamento penitenziario -Perquisizione dei detenuti -Residua libert� personale 
dei detenuti -Garanzie giurisdizionali -Restrizioni implicate dallo 
stato di detenzione. 

(Cost., artt. 3, 13, 24, 97 e 113; legge 26 luglio 1975 n. 354, art. 34). 

Ordinamento penitenziario -Perquisizione dei detenuti -Limiti -Tutela 
giurisdizionale -Onere motivazione -Obbligo documentazione attivit� 
e motivazioni. 

(Cost., artt. 3, 13, 24, 97 e 113; legge 26 luglio 1975 n. 354, art. 34). 

Non � illegittima la norma che nel regolare la perquisizione dei detenuti non ., 
prevede le garanzie imposte dall'art. 13 Cost., poich� la perquisizione non incide i 
sul residuo di libert� personale riconosciuto ai detenuti, ma rientra nell'ambito 

I 

delle restrizioni alla libert� personale implicate dallo stato di detenzione. , 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

79 

Poich� il riconoscimento dei diritti dei detenuti sarebbe vano senza una forma 
di tutela giurisdizionale, occorre che gli ordini di perquisizione siano motivati e che 
si conservi una documentazione idonea a dare certezza dei soggetti procedenti, 
delle circostanze di tempo e di luogo, del fondamento giustificativo, delle modalit� 
e delle motivazioni (1). 

(omissis) 

1. -Chiamato a decidere sul reclamo di un detenuto avverso l'ammonizione 
inflittagli dal direttore del .carcere per inosservanza di ordini, il magistrato di sorveglianza 
di Bologna, con ordinanza emessa il 28 ottobre 1998, pervenuta a questa 
Corte l' 11 gennaio 1999, ha sollevato qu~stione di legittimit� costituzionale, in riferimento 
agli articoli 3, 13, secondo e terzo comma, 24, primo e secondo comma, 97, 
primo comma, 113, primo e secondo comma, della Costituzione, dell'art. 34 della 
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione 
delle misure privative e limitative della libert�), nella parte in cui non prevede 
che nel disporre le perquisizioni personali l'amministrazione penitenziaria rediga 
atto motivato circa i presupposti e le modalit� della perquisizione, da comunicare 
entro quarantotto ore all'autorit� giudiziaria per la convalida. 
Il remittente premette che il detenuto reclamante lamentava la illegittimit� 
della sanzione disciplinare irrogata a causa del suo rifiuto di effettuare nudo le 
flessioni sulle gambe davanti agli agenti della polizia penitenziaria in sede di per


(1) Grande interesse suscita la sentenza in rassegna che valuta oculatamente la delicata questione 
della perquisizione dei detenuti. 
La Corte respinge la tesi estremista del giudice di sorveglianza, che intendeva riconoscere 
ai detenuti una garanzia costituzionale rapportata all'art. 13 rispetto al potere di perquisizione del1'
autorit� carceraria, escludendo che negli spazi di libert� residui pur riconosciuti ai detenuti 
possa rientrare la tutela di una intimit� personale. 

La previsione di perquisizioni fa parte del regime carcerario, in cui l'autorit� deve costantemente 
vigilare per evitare l'introduzione e la detenzione di armi, oggetti atti ad offendere o altre 
sostanze vietate, sicch� non c'� spazio per una libert� del detenuto limitabile solo con atti motivati 
dell'autorit� giurisdizionale. 

Tuttavia la Corte avverte anche l'esigenza di contenere il potere di perquisizione entro limiti 
che assicurino il rispetto dell' ordine carcerario, ma nello stesso tempo tutelino i detenuti contro 
possibili abusi e trattamenti punitivi mascherati, ed allora essa propone una ricostruzione del sistema 
articolata principalmente sulla legge 230/2000, nel cui art. 74 evidenzia la novit� della motivazione, 
che � richiesta quando, in caso di particolare urgenza, il personale procede senza l'ordine 
del direttore, inquadrandola nell'ambito dei principi generali dell'attivit� amministrativa. 

Scartato quindi come improprio il riferimento all'art. 13 Cost., la Corte, in base ai parametri 
degli artt. 3, 24, 97 e 113 afferma che va garantita una diretta ed oggettiva tutela giurisdizionale 
dei diritti dei detenuti, realizzabile attraverso un obbligo di documentazione che l'Amministrazione 
carceraria deve adempiere, onde dare conto, sia pure a posteriori, delle modalit�, dei 
tempi e delle ragioni del suo operato nelle attivit� di perquisizione. 

Vengono cos� analiticamente specificati i contenuti della documentazione nel rispetto dei 
quali l'art. 34, letto in combinato con l'art. 74 legge 230/2000, pu� essere ritenuto conforme ai 
principi costituzionali. 

G.P.P. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

80 

quisizione personale, sottolineando il carattere lesivo della propria dignit� di tale 
operazione; che in risposta al quesito posto da esso magistrato in sede istruttoria 
circa la legittimit� di tale pratica durante le perquisizioni personali, il Ministero 
della giustizia rilevava che la suddetta modalit� di perquisizione consente con la 
collaborazione del detenuto e in determinate occasioni che giustificano perquisizioni 
pi� accurate, un controllo efficace e tempestivo, evitando ritardi o disservizi 
che potrebbero compromettere l'ordine e la sicurezza all'interno dell'istituto o 
la sicurezza della stessa persona, precisando altres� che dinanzi al rifiuto di collaborazione 
l'amministrazione pu� far ricorso all'uso della forza, ai sensi dell'art. 
41 dell'ordinamento penitenziario per prevenire od impedire eventuali situazioni 
pericolose per la sicurezza, e che il prosieguo della perquisizione pu� assumere 
natura di atto di polizia giudiziaria, disciplinata dalle norme del codice di procedura 
penale; che la direzione del carcere comunicava che le perquisizioni personali 
nei confronti di detto detenuto erano eseguite con modalit� particolarmente 
accurate secondo le disposizioni contenute in una circolare del 28 gennaio 1982, 
che appunto prevede le flessioni sulle gambe, a causa di una precisa segnalazione 
proveniente dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria circa la pericolosit� 
del predetto detenuto; che la difesa del reclamante eccepiva l'illegittimit� 
costituzionale dall'art. 34 della legge n. 354 del 1975, per contrasto con l'articolo 
13 della Costituzione, nella parte in cui non prevede l'atto motivato dell'autorit� 
giudiziaria per procedere a perquisizione personale nei confronti dei detenuti; che 
il pubblico ministero concludeva per la rilevanza e la non manifesta infondatezza 
di detta questione. 

Ci� premesso, il magistrato remittente motiva la rilevanza della questione di 
legittimit� costituzionale osservando che, poich� si tratta di un reclamo contro il 
provvedimento disciplinare adottato per sanzionare il rifiuto del detenuto, considerato 
come inosservanza di ordine legittimamente impartito dalla polizia penitenziaria 
in sede di perquisizione personale, dal riconoscimento della illegittimit� 
costituzionale della norma denunciata discenderebbe l'illegittimit� dell'agire 
amministrativo, e pertanto l'illegittimit� della sanzione inflitta per l'inosservanza 
di un ordine non legittimo. 

Osserva poi il giudice a quo quanto alla non manifesta infondatezza, che l'art. 
34 dell'ordinamento penitenziario, prevedendo il potere di perquisire le persone 
detenute o internate qualora sussistano motivi di sicurezza, e nel pieno rispetto 
della personalit� del detenuto, prescinde totalmente da un intervento dell'autorit� 
giudiziaria a garanzia della legittimit� di tale restrizione della libert� personale: il 
procedimento si svolge tutto in ambito amministrativo, in quanto � l'amministrazione 
che decide l 'an, ravvisando la sussistenza dei motivi di sicurezza, il quando 
e il quomodo. 

Ad avviso del remittente tali interventi sulla libert� personale sarebbero in contrasto 
con l'art. 13 della Costituzione, che non ammette alcuna forma di perquisizione 
personale se non con l'intervento, sia pure successivo in sede di convalida, 
dell'autorit� giudiziaria. I detenuti non potrebbero essere esclusi da questa garanzia, 
se non considerando il potere di perquisizione personale come inerente alle modalit� 
di esecuzione della detenzione, e dunque l'ordinamento penitenziario come un 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ordinamento separato per il quale non varrebbero i principi generali dell'ordinamento 
giuridico. Il contrasto di tale orientamento con la Costituzione apparirebbe 
ancora pi� evidente nei casi di soggetti sottoposti a custodia cautelare. Pi� in generale, 
il detenuto, secondo quanto riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, 
sarebbe titolare di un residuo di libert� incomprimibile ad libitum dell'amministrazione 
penitenziaria, residuo tanto pi� prezioso in quanto � l'ultimo ambito in cui pu� 
espandersi la sua personalit�. Onde l'amministrazione penitenziaria potrebbe adottare 
solo i provvedimenti in ordine alle modalit� di esecuzione della detenzione, dai 
quali sarebbero escluse le misure suscettibili di introdurre ulteriori restrizioni, che 
richiederebbero l'esercizio di una funzione giurisdizionale, in ossequio all'art. 13 
della Costituzione. 

Il giudice a quo si pone il problema del bilanciamento dei principi costituzionali 
concorrenti nel caso in esame, in particolare rilevando come a fronte della posizione 
soggettiva del detenuto vi sia l'opposta esigenza della difesa dell'ordine e 
della sicurezza negli istituti penitenziari, dell'ordine giuridico e della collettivit�, 
che giustificherebbe l'esercizio dei poteri di coazione personale sui detenuti: ma 
ritiene che la disciplina costituzionale sulla libert� personale, che consente in via di 
urgenza la temporanea sostituzione degli organi di pubblica sicurezza a quelli giudiziari 
nell'adozione di atti coercitivi, sia idonea a consentire la composizione del1'
eventuale conflitto tra esigenze contrapposte. 

La norma denunciata rimette invece l'esecuzione di tali interventi alla completa 
ed insindacabile discrezionalit� dell'amministrazione penitenziaria, la quale non 
deve motivare in alcun atto la perquisizione, mentre la prescrizione che questa 
avvenga �nel pieno rispetto della personalit�� (art. 34, secondo comma) potrebbe 
costituire �una mera petizione di principio�, dal momento che la perquisizione � 
effettuata dalla stessa autorit� che la dispone, la quale non deve renderne conto ad 
alcuno, n� redigere alcun verbale. Non potrebbe negarsi che negli istituti di pena 
sussista l'esigenza di interventi �a sorpresa� dettati dall'urgenza di prevenire situazioni 
pericolose per la sicurezza, ma tali esigenze potrebbero, ad avviso del remittente, 
congruamente perseguirsi anche nel rispetto del principio costituzionale che 
riserva all'autorit� giudiziaria la formulazione di giudizi di disvalore sulla persona 
e l'adozione di misure �degradanti�. 

L'attuale sistema delle perquisizioni personali nei confronti dei detenuti appare, 
secondo il giudice a quo, in contrasto con gli invocati parametri costituzionali, 
anzitutto perch� non prevede nessun potere di controllo ex post da parte di un organo 
giudiziario circa il rispetto dei presupposti e dei limiti prescritti, onde l'art. 34 
violerebbe la previsione della riserva di giurisdizione sancita dall'art. 13 della 
Costituzione. Inoltre il controllo ex post del giudice imporrebbe all'amministrazione 
l'obbligo di motivare le ragioni che hanno giustificato l'intervento con effetto 
deterrente circa eventuali abusi e vessazioni, e a garanzia anche del diritto di difesa. 
La mancata previsione della redazione di un atto che illustri i motivi e le modalit� 
della perquisizione eseguita non consentirebbe al destinatario di tutelare in 
modo adeguato i suoi diritti in via giurisdizionale, in violazione degli art. 24, 
commi primo e secondo, 97, comma primo e 113, commi primo e secondo, della 
Costituzione. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

82 

La �lacuna normativa� apparirebbe infine �in contrasto con il principio di ragio


nevolezza ex art. 3 Cost.� per la disparit� di trattamento rispetto ad altre situazioni in 

Iili

cui pure si richiedono interventi preventivi nell'immediatezza del fatto, per le quali 
tuttavia il legislatore prevede perquisizioni effettuate dagli organi della pubblica sicurezza, 
soggette a successiva convalida da parte del Procuratore della Repubblica sulla 
base del processo verbale redatto: si richiamano in proposito l'art. 4 della legge 

I 

n. 152 del 1975, in teina di perquisizioni volte ad accertare il possesso di armi, nel 
corso di operazioni di polizia, e l'art. 103 del d.P.R. n. 309 del 1990, in tema di perquisizioni 
urgenti nel corso di operazioni di polizia per la prevenzione e la repressione 
del traffico illecito di sostanze stupefacenti. Non si giustificherebbe, in questa prospettiva, 
la scelta legislativa operata in materia di perquisizioni personali sui detenuti. 
In definitiva, secondo il remittente, la previsione di un obbligo in capo all'amministrazione 
penitenziaria di redigere un atto congruamente motivato sulla perquisizione 
personale effettuata, da sottoporre al vaglio dell'autorit� giudiziaria, realizzerebbe, 
in ossequio al principio di ragionevolezza, un equilibrato bilanciamento dei 
principi costituzionali in gioco, mentre l'attuale sistema assicurerebbe tutela solo 
alle esigenze di sicurezza a scapito de diritti di libert� e di difesa. 

2. -� intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo 
che la questione sia dichiarata inammissibile per difetto di rilevanza, o, in 
subordine, infondata. 
Essa sembrerebbe difettare di rilevanza, non avendo il giudice remittente motivato 
in ordine alla legittimit� dell'ordine impartito dall'autorit� penitenziaria, e 
quindi in ordine alla legittimit� della conseguente sanzione disciplinare. 

Infatti la legittimit� della normativa sulle perquisizioni personali dei detenuti 
potrebbe essere sindacata solo nella concreta ipotesi in cui il giudice abbia accertato 
preliminarmente che il comportamento della amministrazione sia conforme alla 
normativa censurata, s� che la proposizione della questione di costituzionalit� si porrebbe 
come ultimo rimedio possibile per l'accoglimento del reclamo, altrimenti da 

respingere. 

La questione sarebbe invece posta come ipotetica o eventuale. Ci� risulterebbe 
anche considerando che lo stesso remittente ha evidenziato nelle premesse la tesi 
secondo cui la pratica delle flessioni sulle gambe sarebbe consentita con la collaborazione 
del detenuto, in mancanza della quale, ove ritenuto necessario, l'amministrazione 
potrebbe ricorrere all'impiego di mezzi di coercizione, ai sensi dell'art. 41 
dell'ordinamento penitenziario. Non risultando dall'ordinanza che oggetto di discussione 
sia l'applicazione di tale ultima norma, non sarebbe chiaro se il giudice 
abbia considerato la collaborazione del detenuto per tale pratica come una facolt� a 
lui attribuita (avendo l'amministrazione la possibilit� di ricorrere a mezzi diversi 
dalla perquisizione in senso stretto, cio� ai mezzi di coercizione), con la conseguenza 
che, in mancanza del consenso del detenuto, un ordine in tal senso non 
avrebbe potuto essere impartito, risultando perci� illegittima la sanzione disciplinare 
irrogata. 

Nel merito, in subordine, l'Avvocatura erariale osserva che lo stato di detenzione 
comporterebbe necessariamente limitazioni alla garanzia della inviolabilit� 
della libert� personale. 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Considerato in diritto 

1. -La questione sollevata investe l'art. 34 della legge 26 luglio 1975, n. 354 
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e 
limitative della libert�), che disciplina le perquisizioni personali nei confronti dei 
detenuti e degli internati, stabilendo che esse possono essere effettuate �per motivi di 
sicurezza� (primo comma), e che devono essere effettuate �nel pieno rispetto della 
personalit�� (secondo comma). La disposizione � censurata nella parte in cui non prevede 
che, nel disporre la perquisizione, l'amministrazione penitenziaria debba redigere 
atto motivato circa i presupposti e le modalit� della stessa e comunicarlo entro 
quarantotto ore all'autorit� giudiziaria per la convalida, secondo quanto � previsto 
dall'art. 13, terzo comma, della Costituzione per i provvedimenti restrittivi della 
libert� personale adottati in via provvisoria dall'autorit� di pubblica sicurezza. 
La disciplina denunciata sarebbe in contrasto, in primo luogo, con l'art. 13 della 
Costituzione, appunto perch� non rispetterebbe la �riserva di giurisdizione� ivi stabilita, 
non prevedendo un intervento di controllo a posteriori da parte dell'autorit� 
giudiziaria, controllo che imporrebbe all'amministrazione l'obbligo di motivare i 
provvedimenti, con effetto deterrente circa eventuali abusi e vessazioni, a garanzia 
altres� del diritto di difesa. 

La mancata previsione di un atto dell'amministrazione che illustri i motivi e le 
modalit� della perquisizione eseguita, inoltre, non consentirebbe al destinatario di 
tutelare in modo adeguato i suoi diritti in via giurisdizionale, con conseguente violazione 
dei diritti di azione giudiziaria e di difesa (art. 24, primo e secondo comma, 
della Costituzione), dei principi di imparzialit� e buon andamento dell'amministrazione 
(art. 97, primo comma, della Costituzione), nonch� del diritto alla tutela 
giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, senza esclusioni o 
limitazioni (art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione). 

Sussisterebbe, infine, violazione del principio di eguaglianza-ragionevolezza di 
cui all'art. 3 della Costituzione per la disparit� di trattamento rispetto ad altre ipotesi 
nelle quali la legge, pur prevedendo il potere degli organi di pubblica sicurezza di 
procedere a perquisizioni personali in via di urgenza, impone la successiva convalida 
da parte dell'autorit� giudiziaria. 

Secondo il giudice a quo solo la previsione dell'obbligo di redigere un atto 
motivato, da sottoporre al vaglio dell'autorit� giudiziaria, realizzerebbe un ragionevole 
bilanciamento fra i diritti di libert� e di difesa, da un lato, e dall'altro le esigenze 
di sicurezza che possono giustificare le perquisizioni. 

2. -L'eccezione di inammissibilit� della questione, avanzata dalla difesa del 
Presidente del Consiglio, non pu� essere accolta. 
Il remittente ha infatti motivato la rilevanza della questione, osservando che la 
risoluzione di essa � pregiudiziale alla definizione del giudizio davanti ad esso 
instaurato, nel quale � contestata la legittimit� di una sanzione disciplinare inflitta 
per inosservanza dell'ordine di sottoporsi a perquisizione con le modalit� indicate. 
La legittimit� costituzionale della norma che prevede il potere di procedere a perquisizioni 
personali nei confronti dei detenuti condiziona infatti la legittimit� del1'
ordine di perquisizione, e la legittimit� di tale ordine a sua volta condiziona la 
legittimit� della sanzione disciplinare. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

84 

Non si pu� condividere la tesi dell'Avvocatura erariale, secondo cui la questione 
di legittimit� costituzionale potrebbe essere sollevata solo come estremo rimedio, 
una volta esclusa ogni altra ragione di illegittimit� dell'atto sottoposto al controllo 
del giudice. Al contrario, il quesito sulla legittimit� costituzionale della norma attributiva 
del potere esercitato, legittimit� messa in dubbio in quanto detta norma non 

prevede la convalida della perquisizione da parte dell'autorit� giudiziaria, e non 
consentirebbe un efficace controllo giudiziario sulle perquisizioni, precede logicamente 
ogni questione circa la conformit� o meno, alla norma stessa, dell'atto sottoposto 
a controllo. 

N� vale osservare, come fa la difesa del Presidente del Consiglio, che, nella specie, 
richiedendo la perquisizione, da effettuare con le particolari modalit� indicate, 
la collaborazione del detenuto, il giudice a quo avrebbe dovuto chiarire se riteneva 
il consenso del detenuto condizione di legittimit� dell'ordine, con la conseguenza 
che, in mancanza di tale consenso, l'ordine, e dunque la sanzione, risulterebbero 
senz'altro illegittimi. Altro � infatti la collaborazione necessaria del detenuto per la 
effettuazione della perquisizione con le particolari modalit� indicate, altro il con


I

senso dello stesso, non richiesto e comunque irrilevante, vertendosi nell'ambito di 
diritti indisponibili. 

3. -Nel merito, la questione non � fondata nei sensi di seguito specificati. 
I

La tesi del remittente, secondo cui le perquisizioni personali a carico dei 
detenuti dovrebbero rispettare le regole di cui all'art. 13, secondo e terzo comma, I 
della Costituzione, e in particolare la regola che impone l'intervento dell'autoriI 
t� giudiziaria, sia pure per controllare e convalidare a posteriori la perquisizione 
disposta ed eseguita dall'amministrazione in via di urgenza, presuppone che dette 
perquisizioni incidano su un diritto di libert� del detenuto non venuto meno per 

Ieffetto dello stato di detenzione. Solo in questo caso, infatti, potrebbero trovare 
applicazione le norme costituzionali che stabiliscono i presupposti e le modalit� 

I

per l'adozione di misure di �restrizione della libert� personale� (art. 13, secondo 

fil

comma). 

I ~ 

Lo stato di detenzione comporta, per definizione, una limitazione della libert� 
personale che deve intervenire alle condizioni e nei modi previsti dall'art. 13 della 
Costituzione, cioe sulla base di una misura legale adottata o convalidata dall'autori~ 
t� giudiziaria. fil 

I ~ 

� certamente vero che, come argomenta il giudice a quo, lo stato di detenzione 
lascia sopravvivere in capo al detenuto diritti costituzionalmente protetti, e in 
particolare un �residuo� di libert� personale. Questa Corte muovendo proprio da 

I ~ 

&

questa premessa, ha pi� volte chiarito che l'amministrazione penitenziaria non pu� 
adottare �provvedimenti suscettibili di introdurre ulteriori restrizioni in tale ambito, 
o che, comunque, comportino una sostanziale modificazione nel grado di privazione 
della libert� personale� imposto al detenuto, il che pu� avvenire �soltanto 
con le garanzie (riserva di legge e riserva di giurisdizione) espressamente previste 
dall'art. 13, secondo comma della Costituzione�; ma pu� solo adottare �provvedimenti 
in ordine alle modalit� di esecuzione della pena (rectius: della detenzione), 

I

che non eccedono il sacrificio della libert� personale gi� potenzialmente imposto al f:,, 

1: 
i: 
~ 

' 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

detenuto con la sentenza di condanna� (sentenza n. 349 del 1993), ossia �misure di 
trattamento rientranti nell'ambito di competenza� della medesima amministrazione, 
�attinenti alle modalit� concrete, rispettose dei diritti del detenuto, di attuazione 
del regime carcerario in quanto tale, e dunque gi� potenzialmente ricomprese del 
quantum di privazione della libert� personale conseguente allo stato di detenzione� 
(sentenza n. 351 del 1996). 

Pertanto, il quesito preliminare cui la Corte � chiamata a rispondere nella presente 
occasione � se le perquisizioni personali previste dal regolamento penitenziario 
ed effettuate dagli agenti della polizia penitenziaria a carico dei detenuti 
siano misure incidenti sul �residuo� di libert� personale di cui questi ultimi sono 
titolari, ovvero costituiscano misure rientranti nel regime carcerario e dunque non 
eccedenti il sacrificio della libert� personale gi� discendente dallo stato di detenzione. 
Soltanto se, infatti, la risposta fosse nel primo senso, come si � detto, dovrebbero 
trovare applicazione le garanzie di cui all'art. 13, secondo e terzo comma, 
della Costituzione. 

4. -Ilremittente non contesta che vi sia un'esigenza di difesa dell'ordine e della 
sicurezza negli istituti penitenziari, nonch� di difesa dell'ordine giuridico e della 
collettivit�, che giustifica l'esercizio di poteri di coazione personale sui detenuti, e 
quindi anche di poteri di perquisizione: ma ritiene che tali esigenze possano giustificare 
solo la previsione di misure restrittive adottate con le garanzie dell'art. 13 
della Costituzione, e quindi sottintende che da tali misure risulti inciso un diritto di 
libert� non compresso dallo stato di detenzione. 
Se cos� fosse, invero, non sarebbe nemmeno sufficiente richiedere solo, come 
fa il giudice a quo, un intervento successivo di convalida della perquisizione da 
parte dell'autorit� giudiziaria. Se si trattasse di misure incidenti uno spazio di libert� 
non pregiudicato dallo stato di detenzione, dovrebbero dispiegarsi pienamente le 
garanzie di cui all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione, e dunque i 
�casi e modi� delle perquisizioni personali dovrebbero essere specificati tassativamente 
dalla legge -non essendo sufficiente in proposito il generico riferimento ai 
�motivi di sicurezza� che si trova nel testo dell'art. 34 della legge n. 354 del 1975 
-, e l'intervento motivato dell'autorit� giudiziaria dovrebbe di norma essere preventivo, 
e non successivo, salva restando solo l'ipotesi di perquisizioni effettuate 
senza previo ordine giudiziale per ragioni di urgenza riscontrate in concreto, e con 
successivo giudizio di convalida. 

In realt�, la restrizione della libert� personale in cui si sostanzia lo stato di 
detenzione da luogo all'applicazione di un regime -risultante dalla complessiva 
disciplina dell'ordinamento penitenziario, nel rispetto dell'art. 13, quarto comma, 
della Costituzione -al quale sono intrinseche le ragioni di ordine e di sicurezza che 
consentono o impongono un controllo della persona da parte degli agenti amministrativi. 
Il detenuto si trova sotto la responsabilit� dell'amministrazione penitenziaria, 
a cui � affidato il compito di assicurare che egli rimanga in carcere (evitando 
pericoli di evasione), di controllare il rispetto da parte sua delle regole di disciplina 
carceraria, ma anche di garantirne l'incolumit� proteggendolo da possibili aggressioni 
da parte di altri detenuti. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

86 

Del regime carcerario, come definito dalle norme che lo regolano, fa parte la 
previsione di perquisizioni volte a prevenire i rischi, che l'esperienza della vita dei 
penitenziari dimostra sussistere, di introduzione in carcere e di detenzione da parte 
dei carcerati di armi, di oggetti atti ad offendere o comunque proibiti per ragioni di 
disciplina, di altre cose o sostanze vietate. Infatti il regolamento penitenziario (ora 
il d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, che per� non reca sostanziali innovazioni, a questo 
riguardo, rispetto al previgente d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431) disciplina le diverse 
ipotesi di perquisizione personale dei detenuti, all'ingresso in istituto (art. 23, 
comma 1) in, occasione dei trasferimenti (art. 83, comma 2), nelle altre situazioni in 
cui il regolamento interno dell'istituto stabilisce che si effettuino perquisizioni ordinarie 
(art. 74, comma 4), nonch�, in via straordinaria, su ordine del direttore ovvero, 
in caso d'urgenza, su iniziativa del personale (art. 74, commi 5 e 7). 

Deve dunque concludersi che le perquisizioni personali disposte nei confronti 
dei detenuti, nei casi previsti dai regolamenti, sono comprese fra le �misure di 
trattamento, rientranti nella competenza dell'amministrazione penitenziaria, attinenti 
alle modalit� concrete ( ...) � di attuazione del regime carcerario in quanto 
tale� (sentenza n. 351 del 1996). Esse non incidono di per s� sul �residuo� di 
libert� personale di cui sono titolari i detenuti, bens� rientrano nell'ambito delle 
restrizioni alla libert� personale implicate dallo stato di detenzione. Non v'� pertanto 
luogo, in questi limiti, ad applicare le regole dell'art. 13, secondo e terzo 
comma, della Costituzione. 

5. -Neppure ha fondamento la censura di violazione del principio di eguaglianza 
o di ragionevolezza, fondata sul raffronto con le ipotesi di perquisizioni personali 
effettuate dalla polizia per accertare l'eventuale possesso di armi, esplosivi e 
strumenti di effrazione (art. 4 della legge 22 maggio 1975, n. 152) o nell'ambito dei 
controlli per la prevenzione e la repressione del traffico illecito di sostanze stupefacenti 
(art. 109, comma 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), in cui � prevista la convalida 
da parte dell'autorit� giudiziaria. Si tratta infatti, in quelle ipotesi, di perquisizioni 
a carico di persone in stato di libert�, e dunque nessun utile raffronto pu� 
effettuarsi con la diversa situazione dei detenuti. 
6. -Questa prima conclusione non esaurisce, per�, l'ambito dei problemi sollevati 
con la presente questione di legittimit� costituzionale. 
Il potere di persecuzione dei detenuti attribuito all'amministrazione carceraria, 
non � senza limiti, n� con riguardo ai presupposti, n� con riguardo alle modalit� del 
suo esercizio. Inoltre, e conseguentemente, la garanzia del rispetto di tali limiti 
richiede che le misure adottate ed eseguite dall'amministrazione penitenziaria siano 
soggette a pieno controllo giurisdizionale. 

Per ci� che attiene ai presupposti, le perquisizioni possono essere effettuate solo 
�per motivi di sicurezza� (art. 34 della legge n. 354 del 1975), come specificati dalle 
norme regolamentari ricordate. Queste indicano le situazioni nelle quali le esigenze 
di sicurezza comportano in via ordinaria l'effettuazione di perquisizioni personali, 
nonch� i presupposti e le procedure per le perquisizioni �fuori dei casi ordinari�, che 
possono essere disposte solo per ordine del direttore (art. 74, comma 5, del d.P.R. 

n. 230 del 2000), ovvero, in caso di comprovata �particolare urgenza�, su iniziativa 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

del personale dell'istituto, che deve per� informarne immediatamente il direttore, 
�specificando i motivi che hanno determinato l'urgenza� (art. 74, comma 7, del 

d.P.R. n. 230 del 2000). 
Il potere di perquisizione non pu� dunque essere esercitato ad libitum dell' amministrazione 
o della polizia penitenziaria, ma solo nei casi in cui � previsto dalle 
norme che definiscono il regime carcerario. Al di fuori di questi presupposti, esso 
sarebbe esercitato arbitrariamente, esulando dalla applicazione del regime carcerario 
per sconfinare nell'indebita incisione della libert� personale del detenuto, onde 
le relative misure e attivit� sarebbero contrarie al diritto. 

Quanto ai modi della perquisizione che-� il tema specifico da cui prende origine 
il giudizio a quo -vale anzitutto il principio per cui i provvedimenti del1'
amministrazione in ordine alle modalit� di esecuzione della pena detentiva, non 
eccedenti il sacrificio della libert� personale gi� imposto al detenuto dallo stato di 
detenzione �rimangono soggetti ai limiti ed alle garanzie previsti dalla Costituzione 
in ordine al divieto di ogni violenza fisica e morale (art. 13, quarto comma), o 
di trattamenti contrari al senso di umanit� (art. 27 terzo comma) ed al diritto di difesa 
(art. 24)� (sentenza n. 349 del 1993; e cfr. anche sentenza n. 410 del 1993). A 
fronte dunque del potere dell'amministrazione, fondato sulle ragioni di sicurezza 
inerenti alla vita carceraria, e pur non opponendovisi un diritto di libert� personale, 
gi� compresso dallo stato di detenzione, stanno in ogni caso precisi ed inviolabili 
diritti della personalit� spettanti al detenuto e le misure di attuazione del regime 
carcerario devono essere in ogni caso �rispettose dei diritti del detenuto� 
(sentenza n. 351 del 1996). 

Per ci� che concerne i limiti sostanziali, la legge sull'ordinamento penitenziario 
li ribadisce espressamente, l� dove stabilisce che �la perquisizione personale 
deve essere effettuata nel pieno rispetto della personalit�� del detenuto (art. 34, 
secondo comma, della legge n. 354 del 1975), con una prescrizione da ritenersi di 
portata sostanzialmente equivalente a quella contenuta nell'art. 249, comma 2, del 
codice di procedura penale, concernente le perquisizioni per ragioni di ricerca di 
corpi di reato o di cose pertinenti al reato, ai cui sensi �la perquisizione � eseguita 
nel rispetto della dignit� e, nei limiti del possibile, del pudore di chi vi � sottoposto�. 
Nella stessa linea, il regolamento penitenziario specifica che �il personale che effettua 
la perquisizione e quello che vi presenzia deve essere dello stesso sesso del soggetto 
da perquisire� (art. 74, primo comma, del d.P.R. n. 230 del 2000). A ci� si 
aggiunge, comunque, lo stretto dovere dell'amministrazione di curare e sorvegliare 
che le circostanze ambientali in cui le perquisizioni si svolgono, e i comportamenti 
del personale che vi procede, siano in concreto rispettosi della persona e della sua 
inviolabile dignit�. Quanto pi�, infatti, la persona, trovandosi in stato di soggezione, 
� esposta al possibile pericolo di abusi, tanto pi� rigorosa deve essere l'attenzione 
per evitare che questi si verifichino. 

7. -L'affermazione di limiti sostanziali al potere di perquisizione, derivanti da 
diritti della personalit�, e per altro verso del diritto inviolabile alla tutela giurisdizionale, 
che accompagna per necessit� costituzionale ogni situazione soggettiva 
protetta, e dunque anche i diritti dei detenuti (cfr. sentenze n. 212 del 1997, n. 26 
del 1999) comporta che ci si interroghi sulla sussistenza in concreto nell'ordina

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

88 

mento penitenziario, di garanzie effettive di tutela giurisdizionale dei diritti suscet


tibili di essere incisi dalle perquisizioni. � questa, al di l� dell'improprio richiamo 
all'art. 13, secondo e terzo comma, della Costituzione, la sostanza della censura 
mossa dal remittente all'art. 34 della legge penitenziaria, attraverso l'evocazione 
dei parametri degli articoli 3, 24, primo e secondo comma, 97, primo comma, e 113 

I

della Costituzione. ~ 

Sarebbe infatti vano rinvenire nel sistema legislativo il riconoscimento dei diritti 
del detenuto, se non sussistessero forme di tutela giurisdizionale degli stessi, o 
queste non risultassero efficaci per mancanza dei presupposti necessari all'esercizio 
del controllo giurisdizionale. 

Non basta il controllo che il.giudice penale pu� essere chiamato ad esercitare 
sulle perquisizioni illegittime in sede di cognizione dei reati di �perquisizione e 
ispezione personale arbitrarie� (art. 609 del codice penale, ai cui sensi � punito �il 
pubblico ufficiale che, abusando dei poteri inerenti alle sue funzioni, esegue una 
perquisizione o un'ispezione personale�), che fossero eventualmente commessi dal 
personale delle istituzioni penitenziarie, pur dovendosi ritenere applicabile tale fattispecie 
delittuosa anche alle perquisizioni arbitrarie o abusive compiute carico dei 
detenuti. N� basta il controllo esercitabile dallo stesso giudice penale allorquando 
sia chiamato a valutare la sussistenza, nei confronti di detenuti imputati di reati contro 
la pubblica amministrazione, come la violenza o minaccia o la resistenza ad un 
pubblico ufficiale, compiuti in occasione di perquisizioni illegittime, della esimente 
di aver reagito ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale (art. 4 del d.lgs. 14 setI 


I 
~ 

tembre 1944, n. 288) � 

Si tratta infatti, in entrambi i casi, di una cognizione solo indiretta ed eventuale, 
insufficiente ad apprestare una piena tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti 
nei riguardi di atti illegittimi dell'amministrazione. 

Per la stessa ragione, non basta il sindacato giurisdizionale, ancora una volta 
indiretto, sulla legittimit� dell'ordine di sottoporsi a perquisizione, in sede di 
reclamo al magistrato di sorveglianza, ai sensi dell'art. 69, comma 6, lettera b 

I

della legge penitenziaria -come nella specie sottoposta al giudice a quo avverso 
la sanzione disciplinare che sia stata irrogata per il rifiuto da parte del 
detenuto di ottemperarvi. 

Occorre che vi sia una sede giurisdizionale nella annuale l'eventuale illegittimit� 
della misura possa essere direttamente e pienamente fatta valere ex se, come 

I

motivo di impugnazione della misura medesima, per garantire l'osservanza sia dei 
limiti �esterni� del potere esercitato, sia dei limiti �interni� inerenti alla congruit� 
dell'atto rispetto al fine cui � diretto (cfr. sentenze n. 410 del 1993, n. 351 del 1996, 

n. 376 del 1997). 
Bench� il legislatore della legge penitenziaria �non abbia esplicitamente e compiutamente 
risolto il problema dei rimedi giurisdizionali idonei ad assicurare la tutela
� dei diritti dei detenuti nell'ambito dell'istituzione carceraria (sentenza n. 212 del 

i~

1997), a censurare tale lacuna ha gi� provveduto questa Corte dichiarando l'illegitf: 
timit� costituzionale degli articoli 35 e 69 della legge n 354 del 1975 proprio �nella t 
parte in cui non prevedono una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della f:1 
amministrazione penitenziaria lesivi di diritti di coloro che sono sottoposti a restri~ 


�

zione della libert� personale� (sentenza n. 26 del 1999). Non vi � ragione dunque di 

i: 
I 

~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

tornare sul punto (avendo detta pronuncia gi� realizzato, nei limiti di ci� che spetta 
a questa Corte, l'adeguamento costituzionale dell'ordinamento sotto il profilo considerato: 
mentre spetta al legislatore effettuare le scelte necessarie per disciplinare 
la materia, e spetta ai giudici, frattanto, individuare nell'ordinamento in vigore lo 
strumento per concretizzare il principio affermato (cfr. sentenze n. 270 del 1999, 

n. 295 del 1991). 
8. -In questa sede resta solo da esaminare se le modalit� procedimentali applicabili 
alle perquisizioni dei detenuti siano sufficienti ed idonee a consentire un effettivo 
controllo giurisdizionale degli atti dell'amministrazione. In particolare, a questi 
fini, � necessario che tali atti siano motivati e documentati. 
Gi� si � detto, quanto ai presupposti della misura, come il regolamento penitenziario 
contenga una disciplina, ovviamente vincolante, dei casi di perquisizione 
ordinaria, nonch� dei casi e dei modi in cui si pu� procedere a perquisizione 
�fuori dei casi ordinari�. In quest'ultima ipotesi, non manca la garanzia di motivazione 
dell'atto, sia nel caso di ordine del direttore (art. 74, comma 5, del d.P.R. 

n. 230 del 2000), che, in base ai principi generali dell'attivit� amministrativa, specie 
se incidente su posizioni individuali tutelate, deve essere motivato; sia nel caso 
d'urgenza, in cui il personale procede di propria iniziativa, dovendone motivare 
specificamente le ragioni nell'informarne �immediatamente� il direttore (art. 74 
cit., comma 7). Ci� comporta che, in ogni caso, i presupposti dell'atto devono 
essere documentati. 
Quanto alle modalit�, il regolamento, espressamente, si limita a prescrivere che 
la perquisizione avvenga alla presenza di un appartenente al corpo di polizia penitenziaria, 
di qualifica non inferiore a quella di vice sovrintendente (art. 74 cit., 
comma 1, primo periodo), e a precisare che la perquisizione pu� non essere eseguita 
quando � possibile compiere l'accertamento con strumenti di controllo (art. 74 
cit., comma 2). 

Tuttavia, il sistema normativo deve essere interpretato in conformit� alla Costituzione, 
e questa impone, come si � detto, che sia assicurata una diretta ed effettiva 
tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti. Perch� essa possa dispiegarsi, � necessario 
che l'attivit� dell'amministrazione risulti sempre documentata e verificabile in 
conformit� del resto anche ai principi di trasparenza e buon andamento che la 
governano -al fine di consentire il controllo del giudice sul rispetto dei limiti ad 
essa posti. 

Deve pertanto ritenersi che sia sempre necessaria ed imposta, proprio per 
consentire un effettivo controllo giurisdizionale, una forma di documentazione 
dell'avvenuta perquisizione che permetta di conoscere l'identit� di chi vi � stato 
sottoposto e di chi vi ha proceduto e assistito, le circostanze di luogo e di tempo, 
il fondamento giustificativo della stessa, dato dal ricorrere dei casi ordinari o dal1'
esistenza dell'ordine del direttore o dalle ragioni di particolare urgenza, specificate 
nell'informazione immediata data al direttore, nonch� le modalit� con le 
quali la perquisizione � avvenuta, in particolare nel caso in cui si ritenga di dover 
ricorrere a modalit� diverse da quelle ordinarie o che comportino una ispezione 
corporale. In tali ultime ipotesi, inoltre, l'obbligo di motivazione, e la conseguente 
possibilit� di sindacato giurisdizionale, si debbono ritenere estesi anche 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO �. 

90 

alla scelta delle modalit�, che debbono essere, oltre che sempre rispettose della 
personalit� del detenuto, adeguatamente giustificate, e ci� sia che si tratti di una 
iniziativa assunta nell'ambito dell'istituto, sia che sussistano istruzioni o segnalazioni 
dell'amministrazione penitenziaria centrale, a loro volta pienamente sindacabili 
da parte del giudice. 

9. -Cos� interpretato, alla luce dei principi costituzionali, il sistema normativo, 
non hanno ragione di sussistere le censure mosse dal remittente in relazione all'art. 
34 della legge penitenziaria. (omissis) 
II 

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I


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SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA 
COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 


Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee dell'anno 2000 in 
cause cui ha partecipato l'Italia. 

Nel corso dell'anno 2000 le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� 
europee alle quali ha partecipato il Governo italiano sono state 33: 8 su ricorsi 
diretti della Commissione contro l'Italia e 3 viceversa; una in causa tra due Stati 
membri con intervento dell'Italia; 2 su appelli avverso sentenze del Tribunale di 1� 
grado; le altre 21 su rinvii pregiudiziali di giudici nazionali -10 -ovvero di altri 
Stati membri -9 -. Va aggiunta una sentenza del Tribunale di primo grado in causa 
nella quale � intervenuta l'Italia. 

Oltre quelle pubblicate nella Rassegna del corrente anno, le sentenze della 
Corte sono state le seguenti: 

-9 marzo 2000, nella causa C-358/98, Commissione c. Italia, nella quale 
la Corte ha dichiarato che �subordinando, ai sensi degli artt. 1 e 6 della legge 
italiana 25 gennaio 1994, n. 82, la prestazione, da parte delle imprese stabilite 
negli altri Stati membri, di servizi relativi alle attivit� di pulizia, di disinfezione, 
di disinfestazione, di derattizzazione e di sanificazione all'iscrizione nei registri 
di cui all'art. 1 della stessa legge, la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi ad essa imposti dall'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, 
art. 49 CE)�. 

-9 marzo 2000, nella causa C-386/98, Commissione c. Italia, dove la Corte 
ha dichiarato che �non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni legislative, 
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 23 
novembre 1993, 93/104/CE, concernente taluni aspetti dell' organizzazione dell'orario 
di lavoro, la Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti 
in forza di detta direttiva�. 

-18 maggio 2000, nella causa C-230/98, Schiavon, con la quale la Corte ha 
dichiarato che �l'art. 7 del regolamento (CEE) del Consiglio 3 febbraio 1992, 

n. 545, relativo al regime applicabile alle importazioni nella Comunit� di prodotti 
originari delle Repubbliche di Croazia e Slovenia e delle Repubbliche iugoslave di 
Bosnia-Erzegovina, Macedonia e Montenegro, e il regolamento (CEE) della Commissione 
3 aprile 1992, n. 859, che stabilisce le modalit� di applicazione per l'importazione 
di taluni prodotti del settore delle carni bovine originari delle Repubbliche 
di Croazia e Slovenia e delle Repubbliche iugoslave di Bosnia-Erzegovina, 
Macedonia e Montenegro, devono essere interpretati nel senso che importazioni 
nella Comunit� effettuate nel settembre e ottobre 1992 e relative a partite di carne 
bovine del tipo �baby-beef� originaria dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

92 

e dalla stessa proveniente i cui certificati di provenienza sono stati rilasciati dall'ente 
iugoslavo competente prima della denuncia dell'accordo di cooperazione tra la 
Comunit� economica europea e la Repubblica socialista federativa di Iugoslavia da 
parte della Comunit� non possono beneficiare del regime di riduzione del prelievo 
all'importazione previsto all'art. 7 del regolamento n. 545/92, e ci� anche se il 
nuovo ente competente per l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia non era stato 
ancora designato alla data in cui esse sono state effettuate�. 

-23 maggio 2000, nella causa C-58/99, Commissione c. Italia, con la quale si 
� statuito che �la Repubblica italiana, adottando gli artt. 1, n. 5, e 2 del testo coordinato 
del decreto legge 31 maggio 1994, n. 332, convertito con modificazioni nella 
legge 30 luglio 1994, n. 474, recante norme per l'accelerazione delle procedure di 
dismissione di partecipazioni dello Stato e degli enti pubblici in societ� per azioni, 
nonch� i decreti relativi ai <<poteri speciali� nel caso delle privatizzazioni dell 'ENI 
SpA e di Telecom Italia SpA, � venuta meno agli obblighi che ad essa incombono 
in forza degli artt. 52, 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 43 
CE e 49 CE) e 73 B del Trattato CE (divenuto art. 56 CE)�. 

-23 maggio 2000, nella causa C-424/98, Commissione c. Italia, con la quale 
la Corte ha accolto solo in parte il ricorso della Commissione, in tema di diritto di 
soggiorno di studenti cittadini di altri Stati membri e ha dichiarato che �limitando 
i mezzi di prova utilizzabili e prevedendo, in particolare, che taluni documenti 
debbano essere rilasciati o vistati dall'autorit� di uno Stato membro, -esigendo 
dagli studenti, cittadini di altri Stati membri, che richiedano il riconoscimento 
in Italia del proprio diritto di soggiorno nonch� di quello dei propri familiari in 
base alla direttiva del Consiglio 29 ottobre 1993, 93/96/CEE, relativa al diritto di 
soggiorno degli studenti, in primo luogo, che garantiscano alle autorit� italiane di 
disporre di risorse economiche di un determinato importo, in secondo luogo, per 
quanto attiene agli strumenti da utilizzare a tal fine, non lasciando chiaramente 
allo studente la scelta tra la dichiarazione e qualsiasi altro mezzo quanto meno 
equivalente e, infine, non ammettendo l'utilizzazione di una dichiarazione da 
parte dello studente quando questi sia accompagnato da propri familiari -, la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi incombentile ai sensi delle direttive 
del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE, relativa al diritto di soggiorno, e 
28 giugno 1990, 90/365/CEE, relativa al diritto di soggiorno dei lavoratori salariati 
e non salariati che hanno cessato la propria attivit� professionale, nonch� 
93/96�; mentre ha respinto il ricorso della Commissione nella parte in cui essa 
censurava la normativa italiana che prevede un regime differenziato, concedendo 
ai familiari delle persone che abbiano esercitato un'attivit� lavorativa condizioni 
pi� favorevoli rispetto a quelle fissate per i familiari dei beneficiari della direttiva 
90/364/CEE. 

-6 giugno 2000, nella causa C-281/98, Angonese, dove la Corte, in relazione 
ad una disposizione vigente nella provincia di Bolzano, ha dichiarato che <<l'art. 48 
del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) osta a che un datore di 
lavoro obblighi i candidati ad un concorso ai fini di assunzione a comprovare le loro 
cognizioni linguistiche esclusivamente mediante un unico diploma, rilasciato in una 
sola provincia di uno Stato membro�. 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

-8 giugno 2000, nella causa C-258/98, Carr�, in tema di collocamento dei 
lavoratori, con la quale � stato statuito che �anche nell'ambito dell'art. 90 del Trattato 
CE (divenu~o art. 82 CE) l'art. 86 del Trattato CE (divenuto art. 82 CE) ha 
effetto diretto ed attribuisce ai singoli diritti che i giudici nazionali devono tutelare. 
Gli uffici pubblici di collocamento -ha proseguito la Corte -sono soggetti 
al divieto dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione di questa disposizione 
non vanifichi il compito particolare loro conferito. Lo Stato membro che vieti 
qualunque attivit� di mediazione e interposizione tra domanda e offerta di lavoro 
che non sia svolta dai detti uffici trasgredisce l'art. 90, n. 1, del Trattato se d� origine 
ad una situazione in cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente 
indotti a contravvenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ci� si 
verifica in particolare qualora ricorrano i seguenti presupposti: -gli uffici pubblici 
di collocamento non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di 
attivit�, la domanda esistente sul mercato del lavoro; -l'espletamento effettivo 
delle attivit� di collocamento da parte delle imprese private viene reso impossibile 
dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che vietano le dette attivit� 
camminando sanzioni penali e amministrative; -le attivit� di collocamento di cui 
trattasi possono estendersi a cittadini o territori di altri Stati membri. Il giudice 
nazionale incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le disposizioni 
del diritto comunitario ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali 
norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione 
contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere 

o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento 
costituzionale�. 
-8 giugno 2000, nella causa C-264/99, Commissione c. Italia, con la quale la 
Corte ha dichiarato che �la Repubblica italiana, mantenendo una normativa che 
esige dai cittadini comunitari che esercitano l'attivit� di spedizioniere in Italia in 
qualit� di prestatori di servizi l'iscrizione all'albo specifico presso le camere di commercio, 
e questo previa autorizzazione del Ministero dell'Interno, � venuta meno 
agli obblighi che le incombono in forza degli artt. 12 CE, 43 CE e 49 CE�. 

-22 giugno 2000, nella causa C-318/98, Fornasar, con la quale la Corte ha 
dichiarato che <<1. -la direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 91/689/CEE, relativa 
ai rifiuti pericolosi, non impedisce agli Stati membri, ivi comprese, nell'ambito 
dei loro poteri, le rispettive autorit� giudiziarie, di qualificare come pericolosi rifiuti 
diversi da quelli figuranti nell'elenco dei rifiuti pericolosi fissato dalla decisione 
del Consiglio 22 dicembre 1994, 94/904/CE, che istituisce un elenco di rifiuti pericolosi 
ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 4 della direttiva 91/689, e di stabilire, conseguentemente, 
misure rafforzate di protezione al fine di vietare l'abbandono, lo 
scarico e l'eliminazione incontrollata di tali rifiuti. In tale ipotesi, spetta alle autorit� 
dello Stato membro interessato, competenti in base alla legge nazionale, dame 
notifica alla Commissione, ai sensi dell'art. 1, n. 4, secondo trattino, della direttiva 
91/689; 2. -l'art. 1, n. 4, della direttiva 91/689 e la decisione 94/904 devono essere 
interpretati nel senso che la determinazione dell'origine di un rifiuto non costituisce 
una condizione necessaria per poterlo classificare, in un caso concreto, come 
rifiuto pericoloso�. 


94 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

-6 luglio 2000, nella causa C-402/98, Tabaccheria Bonavicina, con la quale, 
in materia relativa alla organizzazione comune dei mercati nel settore del tabacco 
greggio, � stato dichiarato che �l'esame della questione sollevata non ha messo in 
luce alcun elemento atto ad inficiare la validit�: -del regolamento (CE) del Consiglio 
27 marzo 1995, n. 711, che modifica il regolamento (CEE) n. 2075/92 relativo 
all'organizzazione comune dei mercati nel settore del tabacco greggio; -del regolamento 
(CE) della Commissione 12 maggio 1995, n. 1066, relativo alle modalit� 
d'applicazione del regolamento (CEE) n. 2075/92 del Consiglio in ordine al regime 
delle quote nel sett-0re del tabacco greggio per i raccolti 1995, 1996 e 1997, e -del 
regolamento (CE) della Commissione 12 maggio 1995, n. 1067, che modifica il 
regolamento (CEE) n. 3478/92 recante modalit� di applicazione del regime di premi 
previsto nel settore del tabacco greggio�. 

-6 luglio 2000, nella causa C-289/97, Eridania Zuccheri, in materia relativa 
alla organizzazione comune dei mercati nel settore dello zucchero, la Corte ha statuito 
che �l'esame delle questioni sollevate non ha messo in luce alcun elemento 

I 

idoneo ad inficiare la validit� del regolamento (CE) del Consiglio 30 luglio 1996, 

n. 1580, che fissa, per la campagna di commercializzazione 1996/1997, i prezzi ~ 
d'intervento derivati dello zucchero bianco, il prezzo d'intervento dello zucchero I'" 
greggio, i prezzi minimi della barbabietola A e della barbabietola B, nonch� l'im-. 
porto del rimborso per la compensazione delle spese di magazzinaggio, e del rego-~ 
lamento (CEE) del Consiglio 30 giugno 1981, n. 1785, relativo all'organizzazione W 
comune dei mercati nel settore dello zucchero�. ili 
-13 luglio 2000, nella causa C-456/98, Centrosteel, ove la Corte ha dichiara-

I 
to che �la direttiva del Consiglio 18 dicembre 1986, 86/653/CEE, relativa al coor-[ 
dinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indi


lli1�=� 

pendenti, osta a una normativa nazionale che subordini la validit� di un contratto di , 
agenzia all'iscrizione dell'agente di commercio in un apposito albo. Il giudice � 
nazionale, nell'applicare disposizioni del diritto nazionale anteriori o successive alla �' 
detta direttiva, � tenuto ad interpretarle quanto pi� possibile alla luce del tenore e ~1 
della finalit� della direttiva stessa, in modo da consentirne un'applicazione confor-~ 
me agli obiettivi di quest'ultima�. 

I1

-14 settembre 2000, nella causa C-348/98, Ferreira, con la quale la Corte ha , 
dichiarato che: �1. -l'art. 3 della seconda direttiva del Consiglio 30 dicembre 1983, ~ 
84/5/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in ~1� 
materia di assicurazione della responsabilit� civile risultante dalla circolazione di ' 
autoveicoli, impone che l'assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile [ 
risultante dalla circolazione degli autoveicoli copra i danni alle persone causati ai W 
passeggeri membri della famiglia dell'assicurato, del conducente o di qualsiasi altra r 
persona la cui responsabilit� civile sia sorta a causa di un sinistro e sia coperta dal-i:: 
l'assicurazione automobilistica obbligatoria, trasportati a� titolo gratuito, indipen-!l 

~::

dentemente dalla sussistenza di alcuna colpa da parte del conducente del veicolo che i:: 
ha provocato l'incidente, solo se il diritto nazionale dello Stato membro di cui trat-i:: 
tasi prescriva la copertura dei danni causati nelle medesime condizioni ai passegge-!~ 

. I filri terzi; 2. -gli artt. 1, n. 2, e 5, n. 3, come modificato dall'allegato I, parte IX, F, ~; 
intitolata �Assicurazioni�, dell'atto relativo alle condizioni di adesione del Regno di W 

{; 

���lll'-114'1Jl1'111�1�11�1���~�-� 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Spagna e della Repubblica portoghese e agli adattamenti dei trattati, della seconda 
direttiva 84/5 ostano ad una normativa nazionale che prevede massimali per il risarcimento 
inferiori agli importi minimi di garanzia previsti da tali articoli allorch�, in 
assenza di colpa da parte del conducente del veicolo che ha provocato l'incidente, 
sia sorta solo la responsabilit� civile oggettiva�. 

-26 settembre 2000, nella causa C-443/98, Unilever Italia, dove la Corte ha 
dichiarato, in relazione alla legge italiana 3 agosto 1998 n. 319, concernente l 'etichettatura 
relativa all'origine geografica dell'olio di oliva, che, costituendo leprescrizioni 
in questa contenute regole tecniche rientranti nell'ambito di applicazione 
della direttiva del Consiglio 28 marzo 1983 n. 83/189/CEE e succ. mod., adottate in 
violazione dell'art. 9 della direttiva stessa, debba il giudice nazionale, adito nel1'
ambito di un procedimento civile relativo ad una controversia vertente su diritti ed 
obblighi di natura contrattuale, disapplicare la regola tecnica invocata. 

-26 settembre 2000, nella causa C-22/99, Bertinetto, dove, in relazione alla 
legge italiana 16 marzo 1988 n. 88, che disciplina la stipulazione di accordi interprofessionali 
attribuendo alle parti di tali accordi il compito di determinare inanticipo 
i prezzi del latte, la Corte ha statuito che �l'art. 3 del regolamento (CEE) del 
Consiglio 27 giugno 1968, n. 804, relativo all'organizzazione comune dei mercati 
nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, osta ad una normativa nazionale, 
come quella di cui trattasi nella causa principale, diretta a promuovere e favorire la 
fissazione di un prezzo uniforme del latte alla produzione�. 

-3 ottobre 2000, nella causa C-371/99, Gozza, con la quale la Corte, confermando 
e precisando la sua precedente pronuncia 29 febbraio 1999, nella causa C131/
97, Carbonari (pubblicata in questa Rassegna, 1999, I, 59), ha dichiarato: 
�L'art. 2, n. 1, lett. c), nonch� il punto 1 dell'allegato della direttiva del Consiglio 
16 giugno 1975, n. 75/363/CEE, concernente il coordinamento delle disposizioni 
legislative, regolamentari ed amministrative per le attivit� di medico, come modificata 
dalla direttiva del Consiglio 26 gennaio 1982, 82/76/CEE, che modifica la 
direttiva 75/362/CEE concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati 
ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio 
effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, nonch� la 
direttiva 75/363, e l'art. 3, n. 2, nonch� il punto 2 dell'allegato della direttiva 
75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, devono essere interpretati come 
segue: -l'obbligo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione tanto 
a tempo pieno quanto a tempo parziale dei medici specialisti s'impone unicamente 
per le specializzazioni mediche comuni a tutti gli Stati membri o a due o pi� di essi 
e menzionate agli artt. 5 o 7 della direttiva del Consiglio 16 giugno 1975, 
75/362/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed 
altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare l'esercizio effettivo 
del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi; -tale obbligo 
s'impone solo se le condizioni di formazione a tempo pieno di cui al punto 1 dell'allegato 
della direttiva 75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, o quelle 
della formazione a tempo ridotto di cui al punto 2 dell'allegato della direttiva 
75/363, come modificata dalla direttiva 82/76, sono rispettate dai medici specialisti 
in formazione; -tale obbligo � incondizionato e sufficientemente preciso nella 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

96 

parte in cui richiede -affinch� un medico specialista possa avvalersi del sistema 
di reciproco riconoscimento istituito dalla direttiva 75/362 -che la sua formazione 
si svolga a tempo pieno o a tempo ridotto e sia retribuita; il detto obbligo tuttavia 
non consente di per s� al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a 
versare la remunerazione adeguata n� di individuare l'importo della stessa. Il giudice 
nazionale � tenuto tuttavia, quando applica disposizioni di diritto nazionale 
precedenti o successive ad una direttiva, ad interpretarle, quanto pi� possibile, alla 
luce della lettera e dello scopo della direttiva stessa�. 

-9 ottobre 2000, nelle cause riunite C-15/98 e C-105/99, Italia e Sardegna 
Lines c. Commissione, con la quale la Corte ha accolto il ricorso italiano per l'annullamento 
di una decisione della Commissione relativa a taluni aiuti concessi dalla 
Regione Sardegna alle imprese di navigazione in Sardegna, decisione ritenuta non 
motivata per quanto riguarda il presunto danno alla concorrenza. 

-9 novembre 2000, nella causa C-387/98, Coreck, con la quale � stato 
dichiarato che �l'art. 17, primo comma, della Convenzione 2 7 settembre 1968, 
concernente la competenza giudiziaria e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale, come modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978, relativa 
all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran 
Bretagna e Irlanda del Nord, dalla Convenzione 25 ottobre 1982, relativa all'adesione 
della Repubblica ellenica, e dalla Convenzione 26 maggio 1989, relativa 
all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, dev'essere interpretato 
come segue: 1. -Detto articolo non prescrive che una clausola attributiva 
di competenza sia formulata in modo tale che sia possibile identificare il giudice 
competente solo con il suo testo. � sufficiente che la clausola identifichi gli elementi 
oggettivi sui quali le parti si sono accordate per scegliere il giudice o i giudici 
ai quali esse intendono sottoporre le loro controversie presenti o future. Tali 
elementi, che devono essere sufficientemente precisi per permettere al giudice 
adito di stabilire se sia competente, possono essere concretati, eventualmente, 
mediante le circostanze proprie del caso di specie; 2. -Esso si applica soltanto 
qualora, da un lato, almeno una delle parti del contratto iniziale sia domiciliata 
all'interno di uno Stato contraente e, qualora dall'altro, le parti convengano di portare 
le loro controversie dinanzi ad un giudice o alcuni giudici di uno Stato contraente; 
3. -Una clausola attributiva di competenza, che � stata convenuta tra un 
vettore ed un caricatore e che � stata inserita in una polizza di carico, produce i 
suoi effetti nei confronti del terzo portatore della polizza di carico purch�, acquistando 
quest'ultima, questi sia subentrato nei diritti ed obblighi del caricatore in 
forza del diritto nazionale vigente. In caso contrario, occorre accertare il suo consenso 
alla detta clausola alla luce di quanto prescritto dall'art. 17, primo comma, 
della detta Convenzione, come modificata�. 

-23 novembre 2000, nella causa C-441/97-P, Wirtschaftvereinigung Stahl 
ed altri c. Commissione, e 23 novembre 2000, nella causa C-1/98-P, British Steel 

c. Commissione, entrambe con intervento del governo italiano a favore della 
Commissione, con le quali sono stati respinti gli appelli di alcune societ� siderurgiche 
straniere che avevano impugnato decisioni della Commissione ritenute illegittime 
per aver consentito aiuti statali al settore pubblico italiano della siderurgia. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

-30 novembre 2000, nella causa C-422/99, Commissione c. Italia, con la 
quale � .stato statuito che �non avendo adottato nel termine prescritto le disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla direttiva 
del Parlamento europeo e del Consiglio 6 ottobre 1997, 97/51/CE, che modifica 
le direttive del Consiglio 90/387/CEE e 92/44/CEE per adeguarle al contesto 
concorrenziale delle telecomunicazioni, la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi ad essa incombenti in virt� di tale direttiva�. 

-7 dicembre 2000, nella causa C-395/99, Commissione c. Italia, dove si 
legge che �non avendo adottato, entro i termini prescritti, le disposizioni legislative, 
regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alle disposizioni di 
cui all'art. 2, n. 1, lett. a), della direttiva del Consiglio 23 luglio 1996, 96/51/CE, 
che modifica la direttiva 70/524/CEE relativa agli additivi nell'alimentazione degli 
animali, nonch� alle disposizioni della direttiva del Consiglio 17 dicembre 1996, 
96/93/CE, relativa alla certificazione di animali e di prodotti di origine animale, la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono in forza di tali 
disposizioni�. 

-7 dicembre 2000, nella causa C-423/99, Commissione c. Italia, con la quale 
la Corte ha dichiarato che �la Repubblica italiana, non avendo adottato nel termine 
prescritto le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie 
per conformarsi alla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 26 febbraio 
1998, 98/10/CE, sull'applicazione del regime di fornitura di una rete aperta (ONP) 
alla telefonia vocale e sul servizio universale delle telecomunicazioni in un 
ambiente concorrenziale, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virt� 
di tale direttiva�. 

-7 dicembre 2000, nella causa C-482/99, Italia c. Commissione, con la quale 
la Corte ha respinto il ricorso italiano diretto all'annullamento della decisione della 
Commissione che aveva negato all'Italia l'autorizzazione a rifiutare l'esenzione dal1'
accisa per alcuni prodotti (profumi ed altri cosmetici e taluni prodotti per la casa a 
base di alcole denaturato) esenti dall'accisa in virt� della direttiva 92/83/CEE del 
Consiglio, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sul/'alcole e sulle 
bevande alcoliche. 

-14 dicembre 2000, nella causa C-99/99, Italia c. Commissione, con la quale 
la Corte ha respinto il ricorso italiano proposto per l'annullamento del reg. 22 
dicembre 1998 n. 2815 della Commissione, relativo alle norme commerciali dell'olio 
di oliva, ritenendo non illogica n� incoerente la scelta, discrezionalmente operata 
dalla Commissione, del luogo in cui si ottiene l'olio (luogo di molitura delle olive) 
per designare l'origine di un olio extravergine di oliva o di un olio di oliva vergine, 
allorch� tale origine si riferisce ad uno Stato membro o alla comunit� europea. 

Il Tribunale di primo grado, con sentenza 15 giugno 2000, nelle cause riunite 
T-298/97 ed altre, avverso la quale � stata proposta impugnazione dinanzi alla Corte, 
ha accolto in parte il ricorso della Regione Friuli-Venezia Giulia (a cui favore era intervenuto 
il Governo italiano, che a sua volta aveva proposto ricorso alla Corte per gli 
stessi motivi, ricorso ancora pendente e che andr� riunito all'impugnativa suddetta) 
annullando la decisione della Commissione relativa agli aiuti concessi dalla Regione 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

98 

in favore degli autotrasportatori della Regione stessa, nella parte in cui dichiarava illegali 
gli aiuti concessi a decorrere dal 1 � luglio 1990 alle imprese che esercitano esclusivamente 
l'attivit� di trasporto locale, regionale o nazionale e ne imponeva il recupero, 
ed ha respinto invece il ricorso nella parte riguardante gli altri aiuti concessi dalla 
medesima Regione nel settore dell'autotrasporto internazionale di merci. 

OSCAR FIUMARA 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 5a, 14 ottobre 
1999, nella causa C-223/98 -Pres. Edward -Rei. Wathelet -Avv. Gen. 
Cosmas -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Kammarratten i 
Stockholm nel procedimento Adidas AG -Interv.: Governi belga (ag. Devadder) 
e italiano (avv. Stato Fiumara) e Commissione delle Comunit� europee 
(ag. Strom). � 

Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Merci contraffatte o 
usurpative -Comunicazione dei dati personali del dichiarante o del desti


natario delle merci al titolare del diritto di marchio -Limiti. 

(Regolamento CE del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295). 

!

Il regolamento (CE) del Consiglio 22dicembre1994, n. 3295, che fissa misure 
intese a vietare l'immissione in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il 

I

vincolo ad un regime sospensivo di merci contraffatte e di merci usurpative, deve 
essere interpretato nel senso che si oppone ad una disposizione nazionale in forza 
della quale l'identit� del dichiarante o del destinatario di merci importate, merci 
che il titolare del diritto di marchio ha accertato essere contraffatte, non pu� essere 
comunicata a quest'ultimo (1). 

(l) Comunicazione dei dati personali per far valere o difendere un diritto: il titolare del 
diritto di marchio e l'importazione di merci contraffatte o usurpative. 
Il Kammarriitten di Stoccolma aveva chiesto alla Corte di Giustizia di pronunciarsi in via 
pregiudiziale sulla compatibilit� con il regolamento CE del Consiglio 22 dicembre 1994, n. 3295, 
della normativa nazionale svedese che impedisce che al titolare di un marchio vengano comunicati 
i nominativi dei destinatari o dei soggetti che abbiano presentato la dichiarazione in dogana 
su presunte merci contraffatte. 

Il regolamento suddetto, sostituendo con innovazioni, puntualizzazioni e ampliamenti il reg. 
CEE n. 3842/1986 del Consiglio del I 0 dicembre 1986, fissa misure intese a vietare l'immissione 
in libera pratica, l'esportazione, la riesportazione e il vincolo ad un regime sospensivo di merci 
contraffatte e di merci usurpative. Esso, in particolare, prevede che l'autorit� doganale di ogni 


Stato membro possa bloccare le merci per le quali � richiesta l'immissione in libera pratica, l'esportazione 
o la riesportazione ovvero siano vincolate ad un regime sospensivo, allorch� vi sia un 
qualificato sospetto che esse siano contraffatte o usurpative nel senso precisato nel regolamento 
stesso. Il blocco pu� avvenire su denuncia del titolare del diritto (cio� del titolare del marchio di 
fabbrica, di commercio o di altri diritti di privativa) o anche d'ufficio, e dura un breve periodo 
entro il quale il titolare del diritto ha l'onere di adire l'autorit� competente a deliberare nel merito 
della ritenuta contraffazione o usurpazione, la quale potr� adottare i conseguenti provvedimenti 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

99 

(omissis) 

23. -Occorre ricordare, anzitutto, la giurisprudenza costante della Corte secondo 
cui, ai fini dell'interpretazione di una norma di diritto comunitario si deve tener 
conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi 
perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (v. in particolare, sentenze 17 novembre 
1983, causa 292/82, Merck, Racc., 3781, punto 12, e 21 febbraio 1984, causa 
337/82, St. Nikolaus Brennerei, Racc., 1051, punto 10). 
conservativi. � previsto specificamente (art. 6, comma primo, secondo periodo) che �conformemente 
alle disposizioni nazionali relative alla protezione dei dati a carattere personale ... l'ufficio 
doganale o il servizio che ha esaminato la domanda informa il titolare del diritto, a richiesta di quest'ultimo, 
del nome e dell'indirizzo del dichiarante e, laddove conosciuto, del destinatario, per consentire 
al titolare del diritto di adire l'autorit� competente a deliberare nel merito�. 

Osservava il Kammarratten che secondo l'art. 9 della legge svedese in materia di tutela della 
riservatezza (legge n. 100/1980) l'ufficio doganale � tenuto, nell'effettuare i controlli, al mantenimento 
del segreto con riguardo ad informazioni relative alla situazione economica e personale 
dei soggetti interessati e pu� rilasciare informazioni solamente laddove sia certo che l'informazione 
possa essere comunicata senza che ne derivi un danno per l'interessato. Tale presupposto 
non si riscontrava evidentemente nel caso di specie, sicch� era da ritenere che la normativa nazionale 
svedese non consentisse il rilascio al titolare del diritto dei dati personali del dichiarante e/o 
del destinatario delle merci che si presumevano contraffatte. 

La Corte ha dato al quesito risposta sostanzialmente conforme a quella suggerita dal Governo 
italiano, intervenuto nel giudizio. 

Si era, invero, rilevato -nelle osservazioni scritte presentate alla Corte -che la norma 
contenuta nell'art. 6, sopra citato, prevedendo un'informativa a favore del titolare del diritto circa 
il nome e l'indirizzo del dichiarante doganale e/o del destinatario della merce, stabilisce un obbligo 
a carico dell'ufficio doganale che esso deve adempiere �conformemente alle disposizioni 
nazionali relative alla protezione dei dati a carattere personale�, nel senso cio� che esso non pu� 
sottrarsi alla comunicazione dei dati ma deve eseguire la comunicazione al titolare del diritto 
rispettando le eventuali procedure nazionali e garantendo, ove queste lo impongano, la riservatezza 
nei confronti di terzi, affinch� l'uso di esse sia strettamene funzionale all'esercizio del diritto 
in relazione al quale assumono rilievo. 

Sotto il profilo letterale � da osservare, invero, che la norma, a significativa differenza dell'art. 
7 del vecchio e sostituito reg. n. 384211986 che prevedeva un'informativa �salvo che la normativa 
nazionale lo vieti� (e, in modo ben pi� incisivo e cogente che non l'art. 57, sezione n. 4, 
parte III, dell'Accordo TRIPS, allegato all'Accordo OMC del 15 aprile 1994, sottoscritto dalla 
Comunit� e da tutti gli Stati membri, -di cui pure il sesto �considerand0� del nuovo regolamento 
dichiara di voler tener conto-, il quale parla di una �facolt�� degli Stati di fornire l'informazione), 
non subordina l'obbligo di informativa ad alcuna previsione di segno positivo, n� 
all'assenza di previsioni di segno negativo nelle legislazioni nazionali, ma si limita a rendere la 
sua esecuzione �conforme alle disposizioni nazionali�. 

E sotto il profilo logico la puntuale informazione del titolare del marchio costituisce una condizione 
essenziale ai fini della corretta applicazione del regolamento. Una assoluta riservatezza opposta 
dalle norme nazionali circa il nome del dichiarante e/o del destinatario delle merci contraffatte o 
usurpative, ove fosse consentita, renderebbe senz'altro meno efficace in via generale la protezione 
del titolare del diritto di privativa, che pur il regolamento specificamente persegue, fino al punto da 
renderla del tutto vana laddove detto titolare non fosse in grado di procedere da solo alla individuazione 
(e dovrebbe essere la normalit� dei casi, -cfr. l'art. 3, comma primo, ultimo trattino-, in 
particolare quelli rilevati d'ufficio ex art. 4), per la conseguente impossibilit� di ricorrere in via giurisdizionale, 
nel brevissimo tempo concesso dal regolamento medesimo, a tutela del proprio diritto. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

100 

24. -Si deve rilevare poi che, allorch� una disposizione di diritto comunitario 
� suscettibile di svariate interpretazioni delle quali una sola idonea a salvaguardare 
l'effetto utile della norma, � a questa che occorre dare priorit� (v. in questo 
senso la sentenza 22 settembre 1988, causa 187 /87, Land de Sarre e a., Racc., 
5013, punto 19). 
25. -Infine, quando l'attuazione di un regolamento comunitario spetta alle 
autorit� nazionali, come nel caso del regolamento n. 3295/94, il ricorso alle norme 
nazionali � possibile solo nella misura necessaria all'applicazione corretta di detto 
regolamento e nella misura necessaria all'applicazione corretta di detto regolamento 
e nella misura in cui l'applicazione delle norme nazionali non ne menomi la sua 
portata e la sua efficacia (v.sentenza 6 maggio 1982, cause riunite 146/81, 192/81 e 
193/81, BayWa e a., Racc., 1503, punto 29). Tali norme nazionali devono, in via 
generale, anche per gli obblighi derivanti dall'art. 5 del Trattato CE (divenuto art. 
1 O CE) facilitare l'applicazione del regolamento comunitario e non ostacolare la sua 
esecuzione (v. in tal senso, sentenza 17 dicembre 1970, causa 30/70, Scheer, Racc., 
1197, punto 8). 
26. -A tal proposito occorre rilevare, da un lato che, al fine di impedire, nella 
misura del possibile, l'immissione sul mercato di merci contraffatte e di merci 
usurpative il regolamento attribuisce un ruolo essenziale al titolare del diritto. 
Infatti, emerge dagli artt. 3 e 4 del regolamento che il blocco delle merci da parte 
delle autorit� doganali �, in linea di principio, subordinata ad una domanda da 
parte di esso. D'altronde, la condanna definitiva di tali pratiche da parte dell'autorit� 
nazionale competente per decidere il merito della causa, suppone che il titolare 
del diritto ricorra al giudice. In mancanza di tale ricorso da parte del titolare 
del diritto, il provvedimento di sospensione dello svincolo o di blocco delle merci 
cessa di spiegare i suoi effetti a corto termine, conformemente all'art. 7, n. 1, del 
regolamento. 
In Italia la legge 31 dicembre 1996, n. 675, sulla �tutela delle persone e di altri soggetti 
rispetto al trattamento dei dati personali�, prevede in via generale che �la comunicazione e la diffusione 
dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono 
ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento� (art. 27, n. 3) ed esclude che sia 
comunque necessario il consenso dell'interessato, ove previsto, se il trattamento dei suoi dati sia 
necessario �per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati 
esclusivamente per tali finalit� e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento
� (artt. 12, comma primo, lettera h, e 20, comma primo, lettera h), dove ben pu� notarsi il limite 
�conforme alle disposizioni nazionali� entro il quale cionondimeno un'informazione sul nome 
e l'indirizzo di una certa persona pu� essere data (gli artt. 6 e 23 del decreto legislativo 19 marzo 
1996, n. 198, contengono analoghe disposizioni, a modifica delle leggi sui marchi e sui brevetti, 
per adeguarsi all'Accordo TRIPS sopra richiamato). In Italia, quindi, per l'autorit� doganale non 
v'� alcun problema a rendere l'informazione richiesta. 

OSCAR FIUMARA 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

27. -Di conseguenza, l'applicazione effettiva del regolamento � direttamente 
in funzione delle informazioni fomite al titolare del diritto di propriet� intellettuale. 
Infatti, se l'identit� del dichiarante e/o del destinatario delle merci non potesse essergli 
comunicato, sarebbe ad esso impossibile, in pratica, ricorrere all'autorit� nazionale 
competente. 
28. -Il rinvio che opera l'art. 6, n. 1, secondo comma del regolamento, alle 
disposizioni nazionali relative alla tutela dei dati a carattere personale, del segreto 
commerciale e industriale, nonch� del segreto professionale e amministrativo 
non pu�, date tali condizioni, essere interpretato come un impedimento alla comunicazione 
al titolare del diritto delle informazioni necessarie alla difesa dei suoi 
interessi. 
29. -Occorre d'altronde rilevare che svariate disposizioni del regolamento 
sono dirette a tutelare il dichiarante e il destinatario delle merci sottoposte al controllo 
, in modo da evitare che la comunicazione dei loro nomi e indirizzi al titolare 
del diritto li danneggi. 
30. -Anzitutto, quando un ufficio doganale accerta che le merci controllate corrispondono 
alla descrizione delle merci contraffatte o delle merci usurpative ne 
informa immediatamente il dichiarante ai sensi dell'art.6, n.l, secondo comma, del 
regolamento.Ai sensi dell'art. 7 n. 2, del regolamento, il propietario, l'importatore o 
il destinatario delle merci ha la possibilit� di ottenere lo svincolo delle merci o la 
revoca del blocco mediante il deposito di una garanzia. 
31. -Inoltre, emerge dall'art. 6, n 1, secondo comma, del regolamento che il 
titolare del diritto pu� utilizzare i dati comunicati dall'ufficio doganale solo allo 
scopo di adire l'autorit� nazionale competente a deliberare sul merito. Se tali dati 
sono utilizzati per altri scopi, il titolare del diritto pu� vedersi riconosciuto responsabile 
in base al diritto dello Stato membro nel quale si trovano le merci di cui trattasi, 
conformemente all'art. 9, n. 3, del regolamento. 
32. -Infine, il risarcimento del danno risultante da un uso illecito dei dati o di 
ogni altro danno eventualmente subito dal dichiarante o dal destinatario delle merci 
� facilitato dal fatto che gli Stati membri possono imporre la costituzione di una 
garanzia al titolare del diritto in forza dell'art. 3, n. 6, del regolamento. 
33. -Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere al 
giudice del rinvio che il regolamento deve essere interpretato nel senso che si 
oppone ad una disposizione nazionale in forza della quale l'identit� del dichiarante 
o del destinatario di merci importate, merci che il titolare del diritto 
di marchio ha accertato essere contraffatte, non pu� essere comunicata a quest'ultimo. 
(omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

102 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, ordinanza 26 
novembre 1999 nella causa C-192/98 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Edward 

~ 

-Avv. Gen. Cosmas -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte ;: 
dei conti italiana nel procedimento di controllo successivo nei confronti del1'
ANAS -Azienda nazionale autonoma delle strade. Interv.: Governo austriaco 
e Commissione delle C.E. 

Comunit� europee -Corte di Giustizia delle Comunit� europee -Rinvio pregiudiziale 
-Nozione di giurisdizione di uno degli Stati membri-Corte dei 
conti -Controllo successivo sulla gestione dell' ANAS -Procedimento di 
natura non giurisdizionale. 

(Trattato CE, art. 177 -ora art. 234 CE-; legge 14 febbraio 1994, n. 20, art. 3). 

La Corte dei Conti italiana non pu� essere considerata una giurisdizione nazionale, 
legittimata a proporre domanda pregiudiziale alla Corte di giustizia delle 
Comunit� europee ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto ora art. 234 CE), 
allorch� esercita la funzione di controllo successivo sulla gestione del bilancio e del 
patrimonio delle amministrazioni dello Stato (1). 

(omissis) 

1. -Con decisione 7 aprile 1998, pervenuta in cancelleria il 19 maggio seguente, 
la Corte dei conti ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato 
CE (divenuto art. 234 CE), tre questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione 
della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (G. U. L 209, 1 ). 
2. -Le dette questioni sono state proposte nell'ambito di un procedimento di 
controllo vertente sulla legittimit�, sulla regolarit� e sull'economicit� della gestione 
dell'Azienda nazionale autonoma delle strade, divenuta Ente nazionale per le strade 
(in prosieguo: l'�ANAS�), per quanto riguarda due quote di un mutuo contratto da 
quest'ultima. 
(omissis) 

(1) Nella causa l'Avvocatura dello Stato non aveva presentato osservazioni scritte per il 
Governo italiano. Considerato che la Commissione delle Comunit� europee aveva sostenuto !'irricevibilit� 
del ricorso, la Corte ha posto un quesito al Governo italiano per conoscere il suo punto 
di vista e il Ministero degli Affari esteri -Servizio del Contenzioso diplomatico ha precisato 
quanto riportato dalla Corte nei punti 15 e 16 dell'ordinanza. 
Riguardo alla funzione giurisdizionale del Consiglio di Stato allorch� emette un parere nell'ambito 
di un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica cfr. la sentenza della Corte 16 
ottobre 1997, nelle cause riunite C-69 e 79/96, GAROFALO, in questa Rassegna, 1998, I, 47, con nota 
di FIUMARA, Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica e rinvio pregiudiziale alla Corte 
di giustizia delle C.E .. Pi� in generale, per la giurisprudenza della Corte in ordine al concetto di 
�giurisdizione nazionale� dotata del potere di porre questioni pregiudiziali ai sensi dell'art. 177 del 
Trattato CE (ora art. 234 CE), cfr. anche nota alla sentenza 19 ottobre 1995, nella causa C-111/94, 
JoB CENTER, citata in motivazione, in questa Rassegna, 1995, I, 360, con richiami ai precedenti. 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

9. -La Corte dei conti considera che, quando si pronuncia nella sede collegiale 
del controllo, sia preventivo di legittimit� sugli atti, sia successivo sulla gestione 
del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni dello Stato, essa possiede tutti i 
requisiti stabiliti dalla Corte per essere qualificata �giurisdizione di uno degli Stati 
membri� ai sensi dell'art. 177 del Trattato. 
10. -A tal proposito essa rileva che � stata istituita in via permanente dalla 
Costituzione italiana, la quale garantisce l'indipendenza tanto dell'Istituto quanto 
dei magistrati che ne fanno parte, che l'intero procedimento di controllo si svolge in 
contraddittorio con le amministrazioni interessate e che la sua funzione di controllo 
sulla gestione delle amministrazioni pubbliche ha carattere obbligatorio, in quanto 
si esplica in forza di programmi da essa stessa definiti, i quali, una volta adottati, 
vincolano tanto la Corte dei conti medesima quanto le amministrazioni interessate, 
che non possono sottrarvisi. 
11. -Inoltre la Corte dei conti rileva che il procedimento di controllo si chiude 
con una pronuncia collegiale definitiva che, ai sensi dell'art. 3, quarto comma, 
della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (GURI n. 10 del 14 gennaio 1994), in primo 
luogo, verifica e dichiara la legittimit� e la regolarit� della gestione o, al contrario, 
la sua illegittimit� o la sua irregolarit� e, in secondo luogo, accerta la rispondenza 
dei risultati dell'attivit� amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge. Vi � quindi 
una prima fase che � esclusivamente giuridica e una seconda fase in cui si accertano 
la regolarit� finanziaria della gestione e i suoi risultati in termini di efficienza, 
di efficacia e di economicit�, utilizzando parametri di tipo finanziario, economico, 
statistico e simili. 
12. -Nella comunicazione 24 maggio 1999, trasmessa alla Corte dal governo 
italiano, la Corte dei conti si richiama al fatto che il procedimento di controllo si 
svolge in contraddittorio. in forma di una controversia vertente su questioni di legittimit� 
e che sorge tra l'Ufficio di controllo che, in istruttoria, muove rilievi all'amministrazione 
e quest'ultima che controdeduce. Tale controversia viene poi decisa 
dalla Sezione del controllo, in sede collegiale e in seguito ad adunanza pubblica nel 
corso della quale sono sentiti i rappresentanti dell'amministrazione interessata. 
13. -Per quanto riguarda gli effetti giuridici delle decisioni (�deliberazioni�) 
cos� emesse, la Corte dei conti afferma che vi � un'incidenza diretta sulla gestione 
dell'amministrazione interessata giacch� questa � tenuta, al sensi dell'art. 3, sesto 
comma, della legge n. 20/94 a comunicarle le misure adottate a seguito della deliberazione 
che la riguarda. Inoltre, per quanto concerne le pubbliche amministrazioni 
non territoriali, l'art. 3, ottavo comma, della legge n. 20/94 dispone che la Corte 
dei conti pu� chiedere, nella sua deliberazione, il riesame di atti ritenuti non conformi 
alla legge. 
14. -L' ANAS osserva che non vi � alcun dubbio che la Corte dei conti, configurata 
in modo astratto e generale, sia una �giurisdizione� ai sensi dell'art. 177 .del 
Trattato. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

104 

15. -Il governo italiano, in risposta ad un quesito rivoltogli dalla Corte, sostiene 
che le questioni proposte dalla Corte dei conti sono irricevibili. 
16. -Esso aggiunge che la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana 
(in particolare la sentenza n. 335/95, Rivista della Corte dei conti, 1995, 3, II, 
163) distingue tra il controllo preventivo di legittimit� degli atti e quello successivo 
sulla gestione finanziaria degli enti. Mentre il primo tipo di controllo, secondo 
tale giurisprudenza, � per molti aspetti analogo alla funzione giurisdizionale, 
il controllo successivo sulla gestione di cui all'art. 3, quarto comma, della legge 

n. 20/94, �non � tale da poter assumere le connotazioni di un controllo assimilabile 
alla funzione giurisdizionale, cio� preordinato alla tutela del diritto oggettivo 
con esclusione di qualsiasi apprezzamento che non sia di ordine strettamente 
giuridico�, configurandosi invece �come un controllo di carattere empirico, ispirato, 
pi� che a precisi parametri normativi, a canoni di comune esperienza che 
trovano la loro razionalizzazione nelle conoscenze tecnico-scientifiche proprie 
delle varie discipline utilizzabili al fini della valutazione dei risultati dell'azione 
amministrativa�. 
17. -Secondo il governo austriaco risulta dai chiarimenti fomiti dalla Corte dei 
conti nell'ordinanza di rinvio che essa � legittimata ad adire la Corte. Tuttavia, non 
I essendo in possesso delle pertinenti disposizioni nazionali in merito all' ordinamen-'. 
to di tale istituzione n�, in generale, di quelle relative al suo inquadramento giuridi-I~ 
co, il detto governo non pu� esprimere una valutazione definitiva della realt� di tale , 
legittimazione. 

I 

18. -La Commissione sostiene che la Corte dei conti, nell'esercizio della fun-I, 
zione di controllo successivo, non pu� essere qualificata come giurisdizione ai ; 
sensi deCll'art.dl :1 del.Tratta~o. Essad~fferma in particolare, ~he ne1proceddimento a i.i 
1a orte ei conti non e stata a 1ta per una controversia su 1 1quo 1a qua e eve statuire 
con una decisione di carattere giurisdizionale. Infatti, poich� le funzioni di 
controllo successivo esercitate dalla detta istituzione riguardano atti che, come i 
decreti ministeriali di approvazione dei contratti di mutuo oggetto della causa a 
qua, sono gi� stati eseguiti, essa compie un operazione di controllo dei risultati 
ottenuti dall'amministrazione in relazione ai programmi stabiliti originariamente. 
Ci� facendo, la Corte dei conti svolge funzioni di autorit� amministrativa e non 
funzioni giurisdizionali. 

19. -Peraltro la Commissione rileva che la Corte dei conti, per valutare l'operato 
dell'amministrazione, non si basa esclusivamente sull'applicazione di 
norme giuridiche, ma prende in considerazione anche altri criteri. Essa aggiunge 
che la situazione sarebbe diversa se i contratti di mutuo stipulati tra l 'ANAS e la 
Nomura International plc venissero contestati da un'altra societ�. Solo allora sussisterebbe 
una lite tra un singolo e l'amministrazione. Peraltro, l'organo competente 
a dirimerla non sarebbe la Corte dei conti, ma il tribunale amministrativo 
regionale. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

20. -Per valutare se un organo possegga le caratteristiche di un giudice ai sensi 
dell'art. 177 del Trattato, questione unicamente di diritto comunitario, la Corte tiene 
conto di un insieme di elementi quali l'origine legale dell'organo, il suo carattere 
permanente, l'obbligatoriet� della sua giurisdizione, la natura contraddittoria del 
procedimento, il fatto che l'organo applichi norme giuridiche e che sia indipendente 
(V., in particolare, sentenze 30 giugno 1966, causa 61/65, Vaassen-Gobbels, 
Racc., 407; 17 settembre 1997, causa C-54/96, Dorsch Consult, Racc., I-4961, punto 
23, e 2 marzo 1999, causa C-416/96, Eddline El-Yassini, non ancora pubblicata in 
Raccolta, punto 17). 
21. -Inoltre discende da una giurisprudenza costante che i giudici nazionali 
possono adire la Corte unicamente se dinanzi ad essi sia pendente una lite e se essi 
siano stati chiamati a statuire nell'ambito di un procedimento destinato a risolversi 
in una pronuncia di carattere giurisdizionale (v. ordinanza 5 marzo 1986, causa 
318/85, Greis Unterweger, Racc., 955, punto 4; sentenze 19 ottobre 1995, causa C111/
94, Job Centre, Racc., 1-3361 punto 9, e 12 novembre 1998, causa C-134/97, 
Victoria Film, Racc., I-7023), punto 14). 
22. -Occorre quindi determinare la legittimazione di un organo a rinviare alla 
Corte secondo criteri tanto strutturali quanto funzionali. In proposito, un organo 
nazionale pu� essere qualificato come �giurisdizione� ai sensi dell'art. 177 del 
Trattato quando esercita funzioni giurisdizionali, mentre, nell'esercizio di altre 
funzioni, in particolare di natura amministrativa, tale qualifica non pu� essergli 
riconosciuta. 
23. -Ne consegue che. per stabilire se un organo nazionale cui la legge affida 
funzioni di natura diversa debba essere qualificato come �giurisdizione� ai 
sensi dell'art. 177 del Trattato, � necessario accertare quale sia la natura specifica 
delle funzioni che esso esercita nel particolare contesto normativo in cui � indotto 
a rivolgersi alla Corte. Nell'ambito di questo esame � ininfluente il fatto che 
altre sezioni dell'organo di cui trattasi. o addirittura la stessa sezione che ha adito 
la Corte, ma nell'esercizio di funzioni diverse da quelle che sono all'origine del 
rinvio, debbano essere qualificati come �giurisdizioni� al sensi dell'art. 177 del 
Trattato. 
24. -Orbene, dalle osservazioni presentate alla Corte risulta che la funzione di 
controllo successivo esercitata dalla Corte dei conti nel procedimento a quo � 
sostanzialmente una funzione di valutazione e di controllo dei risultati dell'attivit� 
amministrativa. Ne consegue che nel contesto che ha dato luogo alla domanda pregiudiziale 
in esame il detto organo non esercita funzioni giurisdizionali. 
25. -Alla luce di quanto sopra considerato, la Corte non � competente a statuire 
sulle questioni proposte dalla Corte dei conti. 
(omissis). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� .

106 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6a, 27 gennaio 2000, 
nella causa C-8/98 -Pres. rei. Schintgen -Avv. Gen. La Pergola -Domanda di 
pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht di Heilbronn (Germania) nella 
causa Dansommer c. Gotz. -Interv.: Governi spagnolo (ag. Silva de Lapuerta), 
francese (ag. Rispel-Bellanger), italiano (avv. Stato Fiumara) e del Regno Unito 
(ag. Collins) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Iglesias). 

Comunit� europee -Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale 
-Competenza esclusiva in materia di affitto di immobili -Ambito di 
applicazione. � 

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e successive modifiche, rat. in Italia con legge 
21 giugno 1971, n. 804 e successive, art. 16, n. 1). 

La regola di competenza esclusiva prevista in materia di contratti d'affitto di 
immobili dall'art. 16, punto n. 1, lettera a), della Convenzione del 27 settembre 
1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civile e commerciale, quale modificata dalla convenzione del 9 ottobre 
1978, relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito 
di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, dalla convenzione del 25 ottobre 1982, relativa 
all'adesione della Repubblica ellenica, e dalla convenzione del 26 maggio 
1989, relativa all'adesione del Regno di Spagna e della Repubblica portoghese, � 
applicabile ad un 'azione di risarcimento danni per cattiva manutenzione dei locali 
e per danni causati ad un alloggio preso in locazione da un privato per trascorrervi 
qualche settimana di vacanze, anche qualora essa non sia intentata direttamente 
dal proprietario dell'immobile, ma da un operatore turistico professionale presso il 
quale l'interessato aveva preso in locazione l'alloggio e che agisce in giudizio a 
seguito di surroga nei diritti del proprietario dell'immobile. Le clausole accessorie 
relative all'assicurazione in caso di risoluzione e alla garanzia del prezzo pagato 
dal cliente, che figurano nelle condizioni generali del contratto stipulato tra tale 
operatore ed il locatario e che non formano oggetto della controversia di cui alla 
causa principale, non incidono sulla natura del contratto d'affitto di un immobile ai 
sensi di tale disposizione della Convenzione (1). 

(1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano. 
Il problema centrale della causa era quello di stabilire se nel caso in esame fosse applicabile 
la lettera a) dell'art. 16, n. 1, della convenzione di Bruxelles, nel testo risultante dalle modifiche 
via via apportate con l'ingresso nella Comunit� dei nuovi Stati, se fosse cio� applicabile la 
norma generale che prevede la competenza esclusiva del giudice dello Stato contraente in cui � 
situato l'immobile. 

E qui le tesi esposte nelle osservazioni scritte degli intervenuti erano divergenti e si articolavano 
in tre posizioni: 

-Spagna, Francia e Italia si richiamavano essenzialmente alla sentenza della Corte 15 
gennaio 1985, nella causa 241/83, RossLER(in questa Rassegna, 1985, I, 392) e sostenevano, con 
argomenti sostanzialmente coincidenti, che nel caso in questione si era in presenza di un contratto 
di locazione di immobile, riguardo al quale uno dei contraenti (il mandatario del proprietario) 
faceva valere l'inadempimento alle obbligazioni contrattuali da parte del conduttore, sicch� valeva 
la competenza esclusiva delforum rei sitae, di cui alla norma suddetta; 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA EINTERNAZIONALE 

107 

(omissis). 

1. -Con ordinanza 16 giugno 1997, pervenuta alla Corte il 14 gennaio 1998, 
il Landgenicht di Heilbronn ha proposto, ai sensi del protocollo del 3 giugno 
1971, relativo all'interpretazione da parte della Corte di giustizia della Convenzione 
del 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e commerciale, una questione pregiudiziale 
relativa all'interpretazione dell'art. 16, punto 1, lett. a), di tale Convenzione 
(GU 1972, L 299, 32), quale modificata dalla convenzione del 9 ottobre 1978, 
relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di 
Gran Bretagna ed Irlanda del Nord (GUL 304, 1 e -testo modificato -77), dalla 
-il Regno Unito e le due parti contraenti richiamavano la sentenza 26 febbraio 1992, nella 
causa C-280/90, HACKER, citata in motivazione, e ritenevano che non potesse trovare applicazione 
la norma suddetta, perch� l'obbligazione dedotta in causa non riguardava un contratto di locazione 
di immobile ma ineriva ad un contratto complesso, nel quale un organizzatore turistico 
aveva offerto ad un consumatore un pacchetto di servizi, comprensivo dell'uso di un immobile 
per le vacanze e di un'assicurazione per l'eventuale annullamento della vacanza stessa; 

-isolatamente la Commissione C.E. prospettava una terza tesi sostenendo che la norma 
dell'art. 16, n. 1, lettera a), non trovava applicazione perch� il contratto di affitto aveva esaurito 
i suoi effetti e la domanda avanzata dal proprietario dell'immobile (e, in sua vece, dal mandatario) 
aveva per oggetto un risarcimento danni, come tale esterno al contratto stesso. 

Certamente non poteva essere condivisa la tesi della Commissione, perch� fra le obbligazioni 
del conduttore (nell'ordinamento giuridico italiano, come anche in qualsiasi altro ordinamento 
giuridico) v'� quella di conservare la cosa in ottimo stato e di riconsegnarla tal quale salvo 
la consunzione per l'uso ordinario secondo contratto. Di conseguenza, un'azione come quella di 
specie, nella quale si chiedevano i danni perch�, come precisava il giudice del rinvio, �il convenuto 
non avrebbe lasciato l'appartamento in ordine secondo l'ordinaria diligenza�, appariva 
diretta a far valere un puro e semplice inadempimento contrattuale: e la Corte, sia nella citata sentenza 
R�SSLER del 1985, come gi� nella sentenza 14 dicembre 1977, nella causa 73177, SANDERS, 
citata in motivazione, aveva osservato che la �materia di contratti di affitto immobili� comprende, 
in particolare, le pretese relative alla riparazione dei danni causati dall'inquilino e qualunque 
altra lite riguardante gli obblighi dell'inquilino stesso. 

Rimanevano allora le altre due tesi: quella ispano-franco-italiana dell'applicabilit� della 
norma in questione, essendo dedotta in giudizio un'obbligazione relativa all'adempimento di 
un contratto di locazione di immobile; e la tesi del Regno Unito e delle due parti in causa, che 
asserivano essere dedotta in giudizio un'obbligazione relativa ad un contratto complesso di servizi 
turistici. 

Quest'ultima tesi si poggiava essenzialmente, come si � detto, sulla sentenza HACKER del 
1992. Invero questa sentenza -pronunciata s� nel 1992, ma relativa ad una situazione in cui temporalmente 
non poteva trovare applicazione la norma mitigatrice della lettera b) dello stesso art. 
16, n. 1, della Convenzione, aggiunta dalla convenzione di S. Sebastiano del 1989 -riaffermava 
i principi della sentenza RossLER, ma precisava che essi, e quindi la regola generale della competenza 
esclusiva del foro dell'immobile, �non valgono nel caso in cui l'oggetto principale del 
contratto sia di natura diversa�; e questa natura diversa essa riscontrava in un contratto che prevedeva, 
oltre all'uso di un alloggio per le vacanze di breve durata, �anche altre prestazioni, quali 
le informazioni e i consigli con cui l'organizzatore di viaggi propone al cliente diverse possibilit� 
di scelta per le vacanze, la prenotazione di un alloggio per il periodo previsto dal cliente, la 
prenotazione del posto per il trasporto, l'accoglienza sul posto e, eventualmente, un 'assicurazione 
per l'annullamento del viaggio�. 



.. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

convenzione del 25 ottobre 1982, relativa all'adesione della Repubblica ellenica 
(GUL 388, 1), e dalla convenzione del 26 maggio 1989 relativa all'adesione del 
Regno di Spagna e della Repubblica portoghese ( GU L 285, 1; in prosieguo: la ., 
�Convenzione�). 

~ 

~-: 

2. -La questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra la societ� ~ 
di diritto danese Dansommer A/S (in prosieguo: la �Dansommern ), stabilita in Danimarca, 
e il signor Gotz, cittadino tedesco residente in Germania. 
La Convenzione 

3. -L'art. 16, punto 1, della Convenzione di Bruxelles, nella sua versione anteriore 
alla modifica introdotta dalla convenzione 26 maggio 1989, dispone: 
�Indipendentemente dal domicilio, hanno competenza esclusiva: 

1. in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d'affitto d'immobili, i 
giudici dello Stato contraente in cui l'immobile � situato�. 
4. -Nella sua versione risultante dalla convenzione del 26 maggio 1989 (in prosieguo: 
la �convenzione di San Sebastian�), tale disposizione � cos� formulata: 
�Indipendentemente dal domicilio, hanno competenza esclusiva: 
a) in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d'affitto d'immobili, i 
giudici dello Stato contraente in cui l'immobile � situato; 
b) tuttavia, in materia di contratti d'affitto di immobili ad uso privato temporaneo 
stipulati per un periodo massimo di sei mesi consecutivi, hanno competenza 
anche i giudici dello Stato contraente in cui il convenuto � domiciliato, purch� il proprietario 
e l'inquilino siano persone fisiche e siano domiciliati nel medesimo Stato 
contraente�. 

5. -Ai sensi dell'art. 29, n. 1, della convenzione di San Sebastian: 
�La convenzione del 1968 ed il protocollo del 1971, modificati dalla convenzione 
del 1978, dalla convenzione del 1982 e dalla presente convenzione, si applicano 
solo alle azioni giudiziarie proposte ( ... ) posteriormente all'entrata in vigore 
della presente convenzione nello Stato di origine(... )�. 

6. -La convenzione di San Sebastian � entrata in vigore in Germania il 1� 
dicembre 1994. 
Nel nostro caso, oltre l'uso dell'alloggio v'era solo un'assicurazione per l'annullamento del 
viaggio; e, soprattutto, oggetto della lite era il presunto danno arrecato dall'inquilino all'immobile. 
In questa situazione doveva necessariamente riconoscersi che il contratto rientrava nella 
�materia della locazione di immobile�. N�, del resto, ricorrevano esigenze di effettiva mitigazione 
della regola di competenza esclusiva, a quest'effetto avendo gi� provveduto la deroga di cui 
alla lettera b) introdotta dalla convenzione di S. Sebastiano. 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

La controversia nella causa principale 

7. -Risulta dalla causa principale che, il 27 febbraio 1995, il signor Gotz ha 
preso in locazione presso la Dansommer, per passarvi le proprie vacanze dal 29 
luglio al 12 agosto 1995, un alloggio, sito in Danimarca, di propriet� di un privato 
residente in Danimarca. 
8. -La Dansommer ha svolto semplicemente il ruolo di intermediario in quanto 
operatore turistico professionale. 
9. -In forza delle condizioni generali del contratto stipulato tra la Dansommer 
e il signor Gotz, il prezzo dovuto da quest'ultimo come corrispettivo della messa a 
disposizione dell'alloggio per il periodo convenuto includeva un premio di assicurazione 
destinato a coprire le spese in caso di risoluzione del contratto. 
l O. -Inoltre, dalle medesime condizioni generali risulta che, conformemente 
all'art. 651 k, n. 3, del Bfugerliches Gesetzbuch (codice civile tedesco), la Dansommer 
forniva la garanzia del rimborso del prezzo pagato dal signor Gotz in caso di 
insolvenza dell'organizzatore del viaggio. 

11. -� pacifico che la Dansommer non era tenuta a fornire altre prestazioni. 
12. -Dopo il soggiorno del signor Gotz nell'alloggio di cui trattasi, la Dansommer 
citava il locatario dinanzi all' Amtsgericht di Heilbronn (Germania). Con 
tale azione, la Dansommer, che era stata in precedenza surrogata nei diritti del proprietario 
dell'alloggio preso in locazione dal signor Gotz, chiedeva la condanna di 
quest'ultimo al pagamento di un risarcimento danni in quanto egli non aveva proceduto 
alla corretta pulizia dei locali prima della sua partenza e aveva deteriorato il 
pavimento nonch� il dispositivo di sicurezza del forno. 
13. -A seguito del rigetto di tale ricorso, la Dansommer ha interposto appello 
dinanzi al giudice a quo. 
14. -Nutrendo dubbi sulla propria competenza a conoscere della controversia, 
il Landgericht di Heilbronn ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla 
Corte la seguente questione pregiudiziale: 
�Se l'art. 16, punto 1, lett. a), della Convenzione concernente la competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale trovi 
applicazione qualora l'obbligazione contrattuale dell'operatore turistico, in presenza 
di condizioni generali che prevedono un'assicurazione per il caso di annullamento 
del viaggio, si limiti alla messa a disposizione di un alloggio per vacanze, ma 
il proprietario e il locatario dell'alloggio non abbiano il loro domicilio nello stesso 
Stato contraente�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

110 

Sulla questione pregiudiziale 

15. -Preliminarmente, occorre ricordare che, in deroga al principio generale 
sancito dall'art. 2, primo comma della Convenzione, e cio� la competenza dei giudici 
dello Stato contraente nel territorio nel quale il convenuto ha il suo domicilio, 
l'art. 16, pi.Inta 1, della stessa Convenzione prevede, in materia di diritti reali immobiliari 
e di contratti d'affitto di immobili, la competenza esclusiva dei giudici dello 
Stato contraente in cui l'immobile � situato. 
16. -A questo proposito, occorre anzitutto constatare che, nella causa a qua, la 
lite non verte manifestamente su un diritto reale immobiliare, ai sensi di quest'ultima 
disposizione. 
17. -Inoltre, anche se. la causa proposta dinanzi al giudice nazionale ha come 
origine la locazione di breve durata di un alloggio per vacanze, � importante sottolineare, 
come rilevato dal Landgericht di Heilbronn nella sua ordinanza di rinvio, 
che la lett. b ), che contiene una disposizione particolare relativa ai contratti di affitto 
a durata limitata aggiunta all'art. 16, punto 1, della Convenzione di Bruxelles 
dalla convenzione di San Sebastian, non � pertinente nel caso di specie, dato che non 
ricorrono tutte le condizioni specificate in tale disposizione. Cos�, nella fattispecie 
di cui alla causa principale, il proprietario e il locatario dell'immobile non sono 
domiciliati nello stesso Stato contraente. 
18. -Pertanto, il giudice a quo chiede alla Corte se l'ambito di applicazione dell'art. 
16, punto 1, lett. a), che risulta dalla convenzione di San Sebastian, pertinente 
alla controversia di cui alla causa principale, ma la cui formulazione � rimasta inalterata 
rispetto all'art. 16, punto 1, della Convenzione di Bruxelles nelle sue versioni 
anteriori, si estenda ad un'azione giudiziaria come quella dinanzi ad �sso proposta. 
19. -Occorre infme precisare che la circostanza, menzionata nella questione pregiudiziale, 
che nella fattispecie il proprietario ed il locatario dell'immobile non abbiano 
il loro domicilio nello stesso Stato contraente � irrilevante, poich�, come risulta 
dalla sua formulazione stessa e fatto salvo il suo punto 1, lett. b ), che, come � stato 
appena rilevato al punto 17 della presente sentenza, � inapplicabile nella presente 
controversia, l'art. 16 della Convenzione prescinde dal domicilio delle parti (v., in tal 
senso, sentenza 14 dicembre 1977, causa 73/77, Sanders, Racc., 2383, punto 10). 
20. -Di conseguenza, la questione pregiudiziale dev'essere intesa come diretta 
sostanzialmente a determinare se la regola di competenza esclusiva prevista in 
materia di contratti d'affitto di immobili dall'art. 16, punto 1, lett. a), della Convenzione 
si applichi ad un'azione di risarcimento danni per cattiva manutenzione dei 
locali e per danni causati ad un alloggio preso in locazione da un privato per trascorrervi 
alcune settimane di vacanze, anche qualora essa non sia intentata direttamente 
dal proprietario dell'immobile, ma da un operatore turistico professionale 
presso il quale l'interessato aveva preso in locazione l'alloggio e che agisce in giudizio 
a seguito di una surroga nei diritti del proprietario dell'immobile. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

21. -A questo proposito, occorre ricordare che, in quanto eccezione alla regola 
generale di competenza sancita all'art. 2, primo comma, della Convenzione, l'art. 16 
non deve essere interpretato in senso pi� ampio di quanto richieda la :finalit� da esso 
perseguita, dal momento che esso ha per effetto di privare le parti della scelta, che altrimenti 
spetterebbe loro, del foro competente e, in taluni casi, di portarle davanti ad un 
giudice che non � quello proprio del domicilio di alcuna di esse (v. sentenze Sanders, 
gi� citata, punti 17 e 18; 10 gennaio 1990, causa C-115/88, Reichert e Kockler, Racc., 
1-27, punto 9, e 9 giugno 1994, causa C-292/93, Lieber, Racc., 1-2535, punto 12). 
22. -Di conseguenza, secondo una giurisprudenza costante, affinch� trovi 
applicazione l'art. 16, punto 1, della Convenzione non � sufficiente che l'azione 
abbia un nesso con un immobile (sentenze 17 maggio 1994, causa C-294/92, Webb, 
Racc., 1-1717, punto 14, e Lieber, gi� citata, punto 13). 
23. -Nondimeno, risulta da questa stessa giurisprudenza che, per quanto concerne 
una causa come quella principale, che � relativa non ad un diritto reale immobiliare, 
ma ad un contratto di locazione di un immobile, rientra nell'ambito di questa 
disposizione ogni controversia che riguardi i diritti e gli obblighi che discendono 
da un contratto di locazione di un bene immobile, indipendentemente dal fatto che 
l'azione sia fondata su un diritto reale o su un diritto di obbligazione (citata sentenza 
Lieber, punti 10, 13 e 20). 
24. -Ora, ci� avviene appunto nella fattispecie oggetto della causa principale, poich� 
l'azione giudiziaria intentata dalla Dansommer, sorta dall'inadempimento parziale 
di un contratto di locazione di immobili, � fondata sull'obbligo del locatario di conservare 
in buono stato l'immobile locato e di riparare i danni da lui causati a quest'ultimo. 
25. -L'oggetto della controversia pendente dinanzi al giudice a quo si ricollega 
cos� direttamente ad un contratto di locazione relativo ad una propriet� immobiliare 
e, pertanto, ad un contratto d'affitto di un immobile ai sensi dell'art. 16, punto 
1, lett. a}, della Convenzione, di modo che la controversia rientra nella regola di 
competenza esclusiva enunciata in tale disposizione. 
26. -Questa interpretazione, che � peraltro la sola che non privi del suo effetto 
utile la detta regola di competenza esclusiva in materia di contratti di affitto di 
immobili, � corroborata dalla ratio della disposizione controversa. 
27. -Risulta infatti tanto dalla relazione del signor Jenard relativa alla Convenzione 
di Bruxelles (GU 1979, C 59, 1, in particolare pag. 35) quanto dalla giurisprudenza 
che la ragione 'essenziale della competenza esclusiva attribuita ai giudici 
dello Stato contraente in cui si trova l'immobile � data dalla circostanza che tali giudici 
sono quelli meglio in grado, vista la prossimit�, di avere una buona conoscenza 
delle situazioni di fatto, effettuando in loco accertamenti, inchieste e perizie e di 
applicare le norme e gli usi particolari che sono, nella generalit� dei casi, quelli dello 
Stato di ubicazione dell'immobile (v., in particolare, citate sentenze Sanders, punto 
13, e Reichert e Kockler, punto 10). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

112 


28. -Questa interpretazione � inoltre corroborata dal fatto che la relazione del 
signor Jenard (cit., pagg. 34 e 35) precisa che, da un lato, le regole di competenza 
enunciate all'art. 16 della Convenzione si fondano sull'oggetto della domanda e, / 
dall'altro, in ordine, pi� precisamente, alla regola di competenza esclusiva in materia 
di contratti di locazione di immobili di cui al punto 1 di tale articolo, gli autori fil 
della Convenzione hanno inteso riferirsi, in particolare, alle controversie relative ~ 
alla riparazione dei danni causati dal conduttore. 

29. -Le considerazioni che precedono non possono essere rimesse in discussione 
dalla sentenza 26 febbraio 1992, causa C-280/90, Hacker (Racc., 1-1111 ). 
30. -In tale sentenza la Corte ha dichiarato, al punto 15, che un contratto complesso, 
che si riferisce ad un insieme di prestazioni di servizi fomite contro un prezzo 
globale pagato dal cliente, non costituisce un contratto d'affitto di un immobile 
ai sensi dell'art. 16, punto 1, della Convenzione. 
31. -Il contratto che formava oggetto di tale controversia era stato concluso tra 
un organizzatore di viaggi professionale ed il suo cliente nel luogo in cui si trovavano, 
rispettivamente, la loro sede e domicilio e, bench� esso prevedesse una prestazione 
riferita all'uso di un alloggio per le vacanze per una breve durata, tale contratto 
comportava anche altre prestazioni, quali le informazioni e i consigli con cui 
l'organizzatore di viaggi propone al cliente diverse possibilit� di scelta per le vacanze, 
la prenotazione di un alloggio per il periodo scelto dal cliente, la prenotazione di 
posti per il trasporto, l'accoglienza sul posto e, eventualmente un'assicurazione per 
annullamento del viaggio (citata sentenza Hacker, punto 14). 

32. -Tuttavia, � giocoforza constatare che le circostanze che caratterizzano la 
controversia oggetto della causa principale sono diverse da quelle della citata causa 
Hacker. 
33. -Infatti, il contratto di cui trattasi nella causa principale verte esclusivamente 
sulla locazione di un immobile. 
34. -La clausola delle condizioni generali di tale contratto relativa all'assicurazione 
destinata a coprire le spese in caso di risoluzione � una mera disposizione 
accessoria che non pu� alterare la qualificazione del contratto di locazione di immobili 
a cui essa si collega, tanto pi� che tale clausola non forma oggetto di una controversia 
di cui il giudice a quo sia investito. 
35. -Lo stesso vale per la garanzia, peraltro imposta dalla normativa tedesca, 
del rimborso del prezzo anticipato dal cliente in caso di insolvenza dell'organizzatore 
del viaggio. 
36. -Infine, l'art. 16, punto 1, lett. a), della Convenzione non � reso inapplicabile 
dal solo fatto che nella fattispecie la controversia non veda direttamente contrapposti 
il proprietario e il locatario dell'immobile, dato che la Dansommer ha 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

intentato un'azione giudiziaria contro il locatario in quanto surrogata nei diritti del 
proprietario del bene immobile che aveva formato oggetto del contratto di locazione 
concluso tra la Dansommer ed il signor Gotz. 

37. -Basti a questo proposito rilevare che, attraverso la surroga, una persona si 
sostituisce ad un'altra perch� sia consentito alla prima di esercitare diritti appartenenti 
alla seconda, di modo che, nella causa principale, la Dansommer non agisce in 
veste di operatore turistico professionale, ma come se fosse la proprietaria dell'immobile 
di cui trattasi. 
38. -Alla luce di quanto precede, .occorre risolvere la questione pregiudiziale 
nel senso che la regola di competenza esclusiva prevista in materia di contratti d'affitto 
di immobili dall'art. 16, punto 1, lett. a), della Convenzione � applicabile ad 
un'azione di risarcimento danni per cattiva manutenzione dei locali e per danni causati 
ad un alloggio preso in locazione da un privato per trascorrervi qualche settimana 
di vacanze, anche qualora essa non sia intentata direttamente dal proprietario 
dell'immobile, ma da un operatore turistico professionale presso il quale l'interessato 
aveva preso in locazione l'alloggio e che agisce in giudizio a seguito di surroga 
nei diritti del proprietario dell'immobile. 
Le clausole accessorie relative all'assicurazione in caso di risoluzione e alla 
garanzia del prezzo pagato dal cliente, che figurano nelle condizioni generali del 
contratto stipulato tra tale operatore ed il locatario e che non formano oggetto della 
controversia di cui alla causa principale, non incidono sulla natura del contratto 
d'affitto di un immobile ai sensi di tale disposizione della Convenzione. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 10 febbraio 
2000, nelle cause riunite C-147/97 e C-148/97 -Pres. Rodr�guez Iglesias-Re/. 
Kapteyn -Aw. Gen. La Pergola -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dall'Oberlandesgericht di Francoforte sul Meno nella causa Deutsche Post 
AG contro GZS ed altri -Interv.: Governi danese (ag. Biering), italiano (avv. 
Stato Fiumara), olandese (ag. Lammers), austriaco (ag. Stix-Hackl), finlandese 
(ag. Rotkirch), ellenico (ag. Apessos) e francese (ag. Rispal-Bellanger) e Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Wiedner). 

Comunit� europee -Impresa pubblica -Servizio postale -Reimpostazione 
immateriale -Applicazione delle tariffe nazionali dello Stato di distribuzione 
della posta -Limiti. 

(Artt. 49, 82, e 86 CE; convenzione postale universale 14 dicembre 1989, art. 25). 

In assenza di un accordo tra i servizi postali degli Stati membri interessati 
che fissi le spese terminali in relazione ai costi reali di trattamento e distribuzione 
della corrispondenza transfrontaliera in entrata, l'esercizio, da parte di un 
ente quale la Deutsche Post AG, del diritto previsto all'art. 25, paragrafo 3, della 
convenzione postale universale, nella versione adottata il 14 dicembre 1989, nei 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

114 

casi di cui ai paragrafi 1, seconda frase, e 2 di tale disposizione, di gravare delle 
proprie tariffe nazionali gli invii impostati in grande quantit� presso i servizi 
postali di uno Stato membro diverso da quello cui fa capo tale ente, non � contrario 
all'art. 90 del Trattato CE (divenuto art. 86 CE), letto congiuntamente agli 
artt. 86 del Trattato CE (divenuto art. 82 CE), e 59 del Trattato CE (divenuto, in 

seguito a modifica, art. 49 CE). Invece, l'esercizio di un diritto siffatto � contrario 
all'art. 90, n. 1, del Trattato, letto congiuntamente all'art. 86 del medesimo, 
nella misura in cui esso implica che tale ente possa esigere l'integralit� delle 
tariffe nazionali applicabili nello Stato membro cui fa capo senza detrarre le 
spese terminali versate dai detti servizi postali e corrispondenti agli invii summenzionati 
(1 ). 

(I) La pratica della reimpostazione nel servizio postale universale. 
Le controversie pendenti dinanzi al giudice remittente tedesco si riferivano ad un comportamento 
ritenuto abusivo dal ricorrente (Poste tedesche) mediante il quale un soggetto (Soc. 
Eurocard) residente nel paese A, ricorrendo alle moderne tecnologie informatiche di trasmissione 
dati, inviava un corriere postale in un paese B ove, mediante il locale gestore postale, 

I

avviava nuovamente gli oggetti postali nel paese A per farli recapitare attraverso la locale rete 
pubblica. ~ 
Tale comportamento connotava un caso di reimpostazione (repostage o remailing) sanzio


I 

nato dalla convenzione internazionale dell'U.P.U. -Unione postale universale del 14 dicembre 
1989 (art. 25). 

I 

I
I
'<

Nei diversi paesi sono attualmente in vigore differenti livelli tariffari dovuti non solo alla 

, ' 

diversa efficienza dei gestori nazionali, ma anche, e soprattutto, al diverso grado di copertura del . 
servizio universale che i gestori devono, ai sensi delle diverse regolamentazioni nazionali, garantire 
al pubblico. 

I " 

Attraverso la pratica del �repostage� alcuni soggetti, sfruttando tali differenti livelli, evitano 
di pagare la tariffa in vigore nel proprio ambito nazionale per affrontare quella pi� conveniente 
dei gestori dei paesi vicini, i quali si limitano a rinviare la corrispondenza nel paese che l'ha originata. 
Tale corrispondenza viene, quindi, distribuita a cura del gestore nazionale del paese di 

IIdestinazione (e di origine). In base ad accordi U.P.U. viene riconosciuta al soggetto recapitante 
solamente una quota parte della tariffa percepita dal gestore del paese B che ha provveduto alla 
fase iniziale di lavorazione. 

Mediante una simile pratica, che, ove perseguita non occasionalmente, deve ritenersi abusiva 
perch� tendente a sviare il traffico postale originato nell'ambito di un paese e col� stesso indirizzato, 
i gestori nazionali, che devono sopportare i costi della rete fissa nonch� il vincolo della 
consegn� anche in zone periferiche, possono veder compromesso il loro equilibrio economico


I

finanziario. 

~ 

La Corte si � pronunciata nel modo in cui il Governo italiano aveva auspicato. 

~ 

~

Nelle more del giudizio erano intervenute la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo ~ 
e del Consiglio del 15 dicembre 1997, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato 
interno dei servizi postali comunitari ed il miglioramento della qualit� del servizio, e la comunilii 
cazione della Commissione delle Comunit� europee 98/C-39/02, pubblicata nella G.U.CE del 6 

;::

febbraio 1998, sull'applicazione delle regole di concorrenza al settore postale e sulla valutazione f:'. 
di alcune misure statali relative ai servizi postali, con la quale la Commissione espressamente rn 
aveva inteso dare la propria �interpretazione delle disposizioni del Trattato in materia� e �fornifil 
re agli Stati membri ed alle imprese linee direttrici chiare, per evitare violazioni del Trattato�, 

fil

salva ovviamente l'interpretazione del diritto da parte della Corte di giustizia. t: 

i~ 

Ifil 
~ 

.......1ar...._,,.::~:;:~::1 



PARTE I, SEZ. Il, GfURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

115 

(omissis) 

1. -Con due ordinanze 25 marzo 1997 pervenute alla Corte il 17 aprile successivo, 
l'Oberlandsgericht di Francoforte sul Meno ha sottoposto alla Corte, ai 
sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), cinque questioni pregiudiziali 
relative all'interpretazione degli artt. 5, secondo comma, del Trattato CE 
(divenuto art. 1 O, secondo comma, CE), 30 e 59 del Trattato CE (divenuti, in seguito 
a modifica, artt. 28 CE e 49 CE), 85, 86 e 90, nn. 1 e 2, del Trattato CE (divenuti 
artt. 81 �E, 82 CE e 86, nn. 1 e 2, CE). 
2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di due controversie tra, da un 
lato, la Deutsche Post AG (in prosieguo: la �Deutsche Post�) e, dall'altro, la Gesell 
schaft fiir Zahlungssysteme mbH (GZS) (in prosieguo: la �GZS�) e la Citicorp Kar-
Secondo la direttiva (8� considerando) le misure adottate in campo comunitario cercano 
di assicurare �una liberalizzazione progressiva e controllata del mercato ed un giusto equilibrio 
nella loro applicazione, al fine di garantire in tutto il territorio comunitario, nel rispetto degli 
obblighi e dei diritti dei prestatori del servizio universale, la libera prestazione dei servizi nel 
settore postale�, aggiungendo (9� considerando) che Ǐ, pertanto, necessaria un'azione a livello 
comunitario tendente ad assicurare una maggiore armonizzazione�. Essa, quindi, ha precisato 
(16� considerando) che �il mantenimento di una serie di servizi che possono essere riservati 
nel rispetto delle norme del Trattato e fatta salva l'applicazione delle norme di 
concorrenza, appare giustificato dalla necessit� di consentire il funzionamento del servizio universale 
in condizioni di equilibrio finanziario�. La direttiva, dunque, sottolinea l'esigenza di 
mantenere diritti riservati per l'esigenza di assicurare il servizio universale in condizioni di 
equilibrio finanziario, attuando parallelamente una progressiva liberalizzazione ed una progressiva 
armonizzazione delle discipline di settore. Essa, poi, ha ricordato, in particolare, all'art. 
13 -che occorre garantire la fornitura transfrontaliera del servizio universale, e che per 
far ci� � opportuno che i fornitori del servizio si accordino sulle spese terminali, rispettando il 
principio che esse devono essere fissate in relazione ai costi di trattamento e di distribuzione 
della posta transfrontaliera in entrata. 

Dal suo canto, nella citata sua comunicazione, la Commissione ha posto anch'essa l'accento 
(paragrafo 8.5.) sulla possibilit� per gli Stati membri di �mantenere talune restrizioni vigenti 
per la distribuzione di corrispondenza transfrontaliera in arrivo, per evitare sviamenti artificiosi 
del traffico che gonfierebbero la quota della corrispondenza transfrontaliera sul traffico comunitario
�, ribadendo (paragrafo 8.6., terz'ultimo e penultimo capoverso) che l'obbligo di fornire un 
accesso non discriminatorio alla rete postale pubblica non implica che gli Stati membri siano 
tenuti a garantire l'accesso per gli invii con il sistema della c.d. �reimpostazione immateriale�, 
fatta �unicamente per potersi avvantaggiare di tariffe postali inferiori�, meccanismo questo che 
pu� �effettivamente costituire un problema economico per l'esercente che distribuisce gli invii, 
data l'entit� delle spese terminali fra esercenti postali�. 

In effetti, il Governo italiano aveva sottolineato che il problema potrebbe essere risolto o, 
quanto meno, perdere importanza allorch� l'ammontare delle spese terminali fosse effettivamente 
proporzionato e rapportato ai costi di trattamento e di distribuzione della posta transfrontaliera 
in entrata. E a ci� si sta provvedendo con i c.d. accordi di Reims: ma essi non esplicano ancora 
la loro efficacia (e chiss� ancora per quanto tempo e con quale intensit�) e, quindi, il problema 
posto dal giudice tedesco si presentava e si presenta ancora in tutta la sua valenza, perch� � ben 
noto e non seriamente contestato che oggi le spese terminali coprono solo in piccola parte e in 
modo assolutamente insufficiente il costo del servizio reso dal gestore del servizio nello Stato di 
destinazione della posta. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

116 

tenservice GmbH (in prosieguo: la �CKG� ), con riguardo alla distribuzione della 
corrispondenza proveniente dall'estero che sia stata oggetto di una reimpostazione 
immateriale. 

SFONDO GIURIDICO 

La convenzione postale universale 

3. -A norma della convenzione postale universale, la cui. prima versione risale 
al 1874, i servizi postali di uno Stato contraente hanno l'obbligo di inoltro e distribuzione 
ai destinatari interessati della corrispondenza internazionale che a tali servizi 
venga trasmessa dai servizi postali di altri Stati contraenti e che sia indirizzata 
a destinatari domiciliati sul territorio del detto Stato. 
Allorch� si invia una lettera ad un corrispondente che si trova in altro Stato membro, il francobollo 
con cui si affranca questa corrispondenza � uguale sia che la consegna debba avvenire 
nello stesso Stato membro nel quale si imposta, sia che debba avvenire in altro Stato membro. 
Ma, mentre nel primo caso tutte le spese di raccolta, trasporto e distribuzione sono sopportate dal 
medesimo gestore e, quindi, sono adeguatamente remunerate (sia pure in un contesto di servizio 
universale), nel secondo caso lo Stato in cui si imposta la corrispondenza riceve il corrispettivo 
dell'intera operazione ma opera solo la raccolta ed il trasporto fino alla frontiera (il che � il meno 
dell'intera operazione), mentre lo Stato di destinazione dovrebbe eseguire l'ulteriore trasporto e 
la distribuzione (il che � il pi� dell'intera operazione) senza ricevere alcun corrispettivo. 

La reciprocit� del servizio reso nei rapporti interfrontalieri ed una iniziale limitatezza del 
traffico transfrontaliero hanno reso dapprima non eccessivamente rilevante il problema, per via 
della compensazione reciproca degli oneri. Ma le differenze strutturali dei servizi (dimensionati 
ed efficienti anche in relazione a dati oggettivi riguardanti la dimensione e la configurazione geografica 
dei rispettivi territori e la distribuzione della popolazione) e l'ampliamento del traffico 
transfrontaliero hanno imposto un meccanismo di pagamento di spese terminali, che per�, allo 
stato attuale degli accordi, sono ancora lontane dal coprire effettivamente i costi del gestore di 
destinazione: cionondimeno il sistema, malgrado tale inadeguatezza, risulta, entro certi limiti, 
accettabile, purch� il traffico transfrontaliero si svolga nei suoi limiti fisiologici, limiti che, quindi, 
presuppongono una certa compensazione reciproca degli effetti negativi, cio� dei maggiori 
costi di distribuzione. 

Altra cosa �, invece, lo sviamento di traffico, che rappresenta la patologia del rapporto transfrontaliero. 
Se l'utente, anzich� rispettare il meccanismo ordinario di impostazione nel paese in 
cui opera, si avvale, sia pur adoperando i mezzi della moderna tecnologia, del servizio postale di 
altro Stato membro che costa di meno (e non solo magari per un problema di mera maggiore efficienza 
ma anche, magari, per il minore impegno che gli � necessario per svolgere il servizio universale 
nel suo territorio), vi sar� un palese e ingiustificato aggravio di spesa per il gestore del 
paese di destinazione, che non � compensato da alcunch�. 

Non v'� alcuna ragione per favorire questo sviamento e a ci� cerca di porre rimedio l'art. 25 
della convenzione U.P.U. (sia nella sua versione del 1989, in esame nella causa in corso, sia in 
quella successiva di Seoul, oggi vigente). Ma l'art. 25 � operante nel solo caso, espressamente 
indicato, in cui l'impostazione in un paese diverso da quello di destinazione finale della corrispondenza 
avvenga �allo scopo di fruire delle condizioni tariffarie pi� favorevoli ivi applicate�. 
Questo � il presupposto assoluto e inderogabile per l'applicazione della norma della convenzione 
che consente al paese di destinazione di richiedere il pagamento della propria tariffa interna e, 
in caso di mancanza di pagamento, di restituire la posta al gestore di impostazione. 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

117 

4. -Al centro delle cause principali � la convenzione postale universale, quale 
� sta adottata il 14 dicembre 1989 a Washington (in prosieguo: la �CPU�). In Germania, 
la CPU � stata approvata dalla Gesetz zu den Vertragen vom 14 dicembre 
1989 des Weltpostvereins (legge relativa alle convenzioni 14 dicembre 1989 dell'Unione 
postale universale) 31agosto1992 (BGBl. Il, 749). 
5. -Originariamente, i servizi postali distribuivano la corrispondenza internazionale 
senza essere retribuiti per tale compito. Uno dei principi costitutivi del fondamento 
della CPU era che, nella misura in cui qualsiasi lettera genera una risposta, 
i flussi di traffico postale tra i due Stati contraenti dovevano necessariamente tende-
Proprio e solo in presenza di uno sviamento di traffico occorreva verificare se il Trattato 
consente l'applicazione della regola di salvaguardia posta dall'art. 25 della convenzione U.P.U. 

Naturalmente nel caso di applicazione di tale norma le spese terminali devono essere calcolate 
non in via forfettaria, ma in modo specifico (anche se ovviamente con una certa approssimazione) 
in relazione alla dimensione e al peso della corrispondenza che dallo Stato membro di 
impostazione viene avviata, tutta insieme, allo Stato membro di destinazione. Non pu�, in effetti, 
essere consentito allo Stato membro di destinazione (come, del resto, aveva riconosciuto in 
corso di causa la stessa Deutsche Post) di sommare a proprio favore, in caso di applicazione della 
misura di protezione dell'art. 25, le spese terminali alla tariffa interna o anche solo di riscuotere 
le spese terminali senza accettare la corrispondenza per la distribuzione: in caso di applicazione 
dell'art. 25, lo Stato di destinazione o non riscuote le spese terminali per la corrispondenza oggetto 
di sviamento (il che � ben possibile potendo separare questa da quella avviata subito al corso 
ulteriore di trasporto interno e distribuzione) oppure sottrae, dall'ammontare della tariffa interna 
richiesta per l'accettazione, l'ammontare delle spese terminali riscosse o da riscuotere. 

Il servizio postale pu� essere sottoposto ad un regime particolare secondo il Trattato, dovendo 
il gestore provvedere al servizio universale in condizioni di equilibrio finanziario. Finch� l'utilizzatore 
del servizio usa ed esercita il suo diritto, l'operatore postale sar� tenuto ad assicurare 
il trattamento di posta internazionale limitandosi a riscuotere, a parziale copertura dei suoi costi, 
le spese terminali fissate con l'accordo. Ma se l'utilizzatore finale intende sconfinare per approfittare 
del minor carico delle spese postali in altro Stato membro, egli user� s� il suo diritto d'impostare 
dove vuole, ma non pu� pi� pretendere che il servizio gli sia reso al prezzo minore da lui 
sopportato quando esso impegna il gestore di destinazione ad un servizio non corrispondente ai 
costi programmati, in funzione dei quali sono stabilite le tariffe: se una pratica del genere prendesse 
piede, il gestore del paese di distribuzione sarebbe costretto ad aumentare le proprie tariffe 
(a danno, altres�, degli utenti che potremmo dire ordinari, fisiologici) per far fronte allo sviamento 
di traffico, con una reazione a catena non pi� controllabile, che finirebbe con il mettere in crisi 
lo stesso servizio universale. 

Saremmo certamente in presenza di un abuso del diritto, ma non da parte del gestore di distribuzione, 
quanto dell'utilizzatore finale, per contrastare il quale un rimedio adeguato sembra 
essere proprio l'art. 25 della convenzione U.P.U. (finch� non si raggiunga un accordo -tipo 
Reims -per le spese terminali corrispondenti ai costi effettivi). 

Fatto salvo, dunque, il diritto dell'utilizzatore del servizio postale comunitario di utilizzare 
un qualsiasi punto di accesso alla rete in condizioni di assoluta trasparenza, ha aggiunto la difesa 
del Governo italiano, i rischi che, durante il cosiddetto periodo transitorio, il ricorso alle pratiche 
di �repostage ABA non fisico� non trovino altra giustificazione se non l'attuale inadeguatezza 
degli attuali tassi di spese terminali sono fortissimi e altrettanto gravi sono le conseguenze che, 
in termini finanziari, alcuni operatori postali pubblici dovrebbero sopportare qualora venisse 
esclusa l'applicazione delle disposizioni previste dall'articolo 25 della Convenzione U.P.U. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

118 

re all'equilibrio. Quando � per� emerso che i servizi postali dei diversi Stati dovevano 
trattare quantitativi di corrispondenza internazionale molto variabili, disposizioni 
speciali sono state previste a tal riguardo a, partire dal 1924. 

6. -L'art. 25 della CPU dispone: 
�1. Nessun paese membro � tenuto a trasmettere n� a distribuire ai destinatari 
gli invii della posta lettere che mittenti residenti sul suo territorio impostano o 
fanno impostare in un paese estero, allo scopo di beneficiare delle tariffe pi� basse 
che vi si applicano. Lo stesso vale per gli invii di questo tipo, impostati in grande 
quantit�, che queste impostazioni vengano o meno effettuate allo scopo di beneficiare 
di tariffe pi� basse. 
2. Il paragrafo� 1 si applica indistintamente sia agli invii preparati nel paese di 
residenza del mittente e successivamente trasportati attraverso la frontiera, sia a 
quelli confezionati in un paese estero. 
3. L'amministrazione interessata ha il diritto o di rispedire gli invii all'origine, 
o di gravarli delle proprie .tariffe nazionali. Se il mittente rifiuta di pagare queste 
tariffe, essa pu� disporre di tali invii in conformit� alla propria legislazione interna. 
4. Nessun paese membro � tenuto ad accettare, avviare o distribuire ai destinatari 
gli invii di posta lettere che i mittenti hanno impostato o fatto impostare in 
grandi quantit� in un paese diverso da quello in cui sono domiciliati. Le amministrazioni 
interessate hanno il diritto di rispedire tali invii all'origine o di consegnarli 
ai mittenti senza restituire la tassa pagata�. 
Oltre che ad una perdita di traffico nazionale, che gi� di per s� mette a rischio la viabilit� 
finanziaria della rete del servizio universale, con grave pregiudizio non solo per l'economicit� 
della gestione ma anche, e soprattutto, per gli interessi degli utilizzatori, le Poste dovrebbero sopportare 
anche ulteriori danni economici legati a pratiche che sostanzialmente sfruttano le inadeguatezze 
attuali delle spese terminali da un lato e dall'altro l'obbligo che incombe ai gestori pubblici 
di assicurare, comunque, la consegna della posta internazionale in arrivo sul proprio 
territorio. 

In buona sostanza, in presenza di un danno economico, spesso anche rilevante, per l'operatore 
postale destinatario della posta internazionale, non pu� avere alcuna rilevanza la modalit� di 
trasmissione, fisica o telematica, del corriere ai fini di una applicazione dell'articolo 25 della 
Convenzione U.P.U., attualmente unico strumento di difesa per l'operatore danneggiato. E del 
tutto irrilevante �, sotto questo aspetto, il fatto che la reimpostazione sia fisica o non fisica. Anche 
nel caso di reimpostazione non fisica v'� uno sviamento di traffico con conseguente inadeguatezza 
del sistema di servizio universale a sopportarne le conseguenze. Nessuna rilevanza pu� 
avere l'eventuale valore aggiunto che si d� alla corrispondenza nel paese B, posto che il servizio 
postale prescinde dal valore della corrispondenza ed � ancorato sui costi per il suo solo recapito 
(raccolta, trasporto, distribuzione). Cos� come irrilevante � l'eventuale costo aggiuntivo sopportato 
dall'utilizzatore che abbia scelto di impostare nel paese B per godere del minore importo 
della tariffa: se questo era il suo scopo, ha fatto male i calcoli e ne sopporti le conseguenze, senza 
cercare di addossare i maggiori costi al servizio dello Stato di destinazione. 

OSCAR FIUMARA 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Le spese terminali 

7. -Le spese terminali sono le spese che un'amministrazione postale percepisce 
da un'altra per la distribuzione dei suoi invii internazionali. La normativa relativa 
a tali spese � stata introdotta, per la prima volta, nella convenzione postale universale 
del 1969. Tuttavia, tale normativa non era sufficiente a coprire le spese dei 
servizi postali del paese di destinazione dei detti inoltri, segnatamente a causa del 
fatto che, senza l'accordo dei paesi in via di sviluppo, non era possibile l'imposizione 
di spese terminali pi� elevate. 
8. -Nel 1987,.nel contesto della Conferenza europea delle amministrazioni delle 
Poste e Telecomunicazioni svoltasi a Bema (Svizzera), operatori postali pubblici di 
taluni Stati membri della Comunit� europea e di paesi terzi hanno concluso un accordo 
per introdurre una nuova formula di calcolo delle tariffe delle spese terminali. 
9. -Il 13 dicembre 1995 sedici servizi postali, tra cui figuravano tutti quelli 
degli Stati membri dell'Unione europea, tranne la Spagna, nonch� quelli della Norvegia 
e dell'Islanda, hanno concluso !'�accordo Reims I�. Tale accordo prevedeva 
un aumento graduale delle Spese terminali per un periodo di sei anni. Nel 2001, tali 
spese dovrebbero raggiungere un livello corrispondente all' 80% delle tariffe postali 
interne. Ai sensi di una clausola risolutiva espressa relativa all'adesione del servizio 
postale spagnolo, tale accordo � scaduto il 30 settembre 1997. 
10. -Il 9 luglio 1997, i servizi postali di dieci Stati, cio� la Danimarca, la Germania, 
la Finlandia, la Francia, la Grecia, l'Islanda, l'Italia, la Norvegia, l'Austria e 
la Spagna, hanno sottoscritto 1'�accordo Reims Il�, entrato in vigore il 1� ottobre 
1997. Tale accordo prevede un periodo transitorio pi� breve. Al termine di tale 
periodo, l'art. 25 della CPU non sar� pi� applicabile tra le parti contraenti. 
La reimpostazione 

11. -Risulta dagli atti di causa che, quanto al servizi di reimpostazione, � consuetudinario 
effettuare una distinzione tra la reimpostazione materiale e la reimpostazione 
non materiale, designata anche �reimpostazione immateriale�. 
12. - 
la reimpostazione materiale comprende i seguenti casi: 
la reimpostazione detta �ABA�: le lettere provengono dallo Stato A, ma sono 
reimpostate nello Stato B per essere distribuite nello Stato A; 
la reimpostazione detta �ABB�: le lettere provengono dallo Stato A, ma sono 
impostate nello Stato B per essere distribuite in tale Stato; 
la reimpostazione detta �ABC�: le lettere provengono dallo Stato A. ma sono 
impostate dallo Stato B per essere distribuite nello Stato C. 

13. -In caso di reimpostazione non fisica, il contenuto delle lettere � trasmesso 
mediante trasferimento elettronico dallo Stato A verso lo Stato B, in cui l'informazione 
� stampata per essere distribuita negli Stati A, B o C. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

120 

IL PROCEDIMENTO C-148/97 

La contrciversia nella causa principale 

14. -Le attivit� europee nel settore delle carte di credito del gruppo Citibank 
dirette dall'European Headquarters della Citibank NA a Bruxelles. Il gruppo Citibank 
possiede, nei vari Stati membri, consociate o succurs�:lli operanti nel mercato 
dei servizi bancari, come lo sono in Germania le societ� Citibank Privatkunden AG 
e Diners Club Deutschland GmbH. Tra le imprese del gruppo Citibank figura anche 
la CKG, con sede in Francoforte sul Meno. Quest'ultima � un'impresa che presta 
servizi e si occupa della redazione e dell'invio degli estratti conto, delle attestazioni, 
delle fatture e delle richieste di pagamento o di fatturazione dirette ai clienti titolari 
della carta Visa o di altre carte. 
15. -Nel 1993, il gruppo Citibank ha deciso di istituire un organismo centralizzato 
per la redazione e l'invio degli estratti conto ed altri conteggi bancari standardizzati, 
il Citicorp European Service Center BV (in prosieguo: il �CESC�), con 
sede in Arnhem (Paesi Bassi). 
I 

16. -Sino al 30 giugno 1995, l'elaborazione informatica veniva effettuata al cenI


tro di calcolo della CKG a Francoforte sul Meno. I dati elaborati relativi ai clienti tito


i & 

lari di una carta Visa erano dapprima trasmessi, mediante un sistema di trasferimento r, 
elettronico, al CESC, affmch� quest'ultimo redigesse gli estratti conto o le attestazioni, 
i conteggi e gli ordini di pagamento o di compensazione. Il CESC provvedeva 
quindi alla stampa in forma di lettere standard, poi imbustate ed affrancate per l'inoltro. 
Tali invii erano infine rimessi alla PTT Post BV (Posta olandese; in prosieguo: la 
�PTT Post�) di Arnhem a fini di inoltro. Quest'ultima trasmetteva gli invii alla Deut


I 

sche Post, affinch� quest'ultima li recapitasse ai destinatari residenti in Germania. 

I 

17. -Oltre alla CKG, altre imprese e reti di succursali del gruppo Citibank in 
I

Francia, Belgio, Spagna, Portogallo e Grecia sono connessi all'installazione centrale 
di ricevimento, trattamento, stampa dei dati ed invio per posta del CESC. Quest'ultimo 
occupa attualmente ventidue dipendenti per realizzare gli invii di posta lettere 
verso destinatari domiciliati negli Stati membri dell'Unione europea. 

18. -Risulta dagli atti di causa che, dal 1� luglio 1995, i dati non sono pi� trattati 
negli stabilimenti del gruppo Citibank siti in diversi Stati, ma in maniera centralizzata, 
per il mondo intero, dagli elaboratori del centro elaborazione dati del 
gruppo Citibank a Sioux Falls (Dakota del Sud, Stati Uniti). I giustificativi riferentisi 
alle carte di credito sono in un primo tempo presentati dalle imprese contraenti 
alla CKG, la quale rileva i dati dell'impresa mittente, quelli dell'importo relativo 
all'utilizzazione della carta e quelli del cliente. Tali dati sono poi trasmessi via satellite 
al centro di trattamento di Sioux Falls. Quest'ultimo effettua allora il trattamento 
ulteriore dei dati, attraverso l'addebito del bonifico e degli oneri corrispondenti 
sul conto dei cliente. I dati cos� prodotti sono infine trasmessi via satellite al CESC 
che li stampa e li spedisce. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

19. -Per gli invii di posta lettere spediti a destinatari residenti in Germania, la 
PTT Post percepisce, nei Paesi Bassi, la tariffa abituale per invii internazionali, cio� 
l'importo di circa DEM 0,55. Essa versa alla Deutsche Post le spese terminali che, 
alla data dei fatti nel procedimento principale, variavano da DEM 0,37 a DEM 0,40 
per una lettera. 
20. -In forza dell'art. 25, paragrafo 3, della CPU e 9 della Postgesetz (legge sul 
servizio postale), la Deutsche Post ha richiesto, per ciascuna lettera della CKG distribuita 
in Germania, l'importo delle tariffe interne, cio� DEM 1 a lettera. Per il 
periodo dal 24 febbraio al 9 luglio 1995, la Deutsche Post ha chiesto il pagamento 
di una somma di DEM 3 668 916 che corrisponde agli invii della posta lettere recante 
la menzione il mittente �Citicorp European Service Center, P.O. Box 5411, 6802 
EK Arnhem, The Netherlartds� o �Citicorp European Service Center BV, P.O. Box 
5200, 7570 GE Oldenzaal, The Netherlands�, invii pervenuti all'ufficio postale 
competente a ricevere in consegna il corriere proveniente dai Paesi Bassi. 
21. -Poich� la CKG ha rifiutato di corrispondere la somma richiesta, la causa 
� stata deferita al Landgericht di Francoforte sul Meno. Con sentenza 8 maggio 
1996, quest'ultimo ha rigettato la domanda della Deutsche Post per il motivo ch'essa 
non poteva fondare un diritto contrattuale sull'art. 25, paragrafo 3, della CPU, 
poich� tale disposizione si limita ad offrire un fondamento per la richiesta di tariffe 
supplementari nell'ambito di rapporti di utenza disciplinati dal diritto pubblico. Esso 
ha inoltre ritenuto che la stampa delle lettere nei Paesi Bassi non costituiva la �preparazione
� di un invio ai sensi dell'art. 25 della CPU. Non sarebbe infatti decisivo, 
nell'ambito del mercato interno, che la stampa e la messa in busta delle lettere siano 
trasferiti all'estero. 
Le questioni pregiudiziali 

22. -Il 28 giugno 1996, la Deutsche Post ha proposto un ricorso in appello avverso 
la detta sentenza dinanzi all'Oberlandsgericht di Francoforte sul Meno che ha 
sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) Se l'art. 90 del Trattato CE vada interpretato nel senso che una legge di 
ratifica delle convenzioni dell'Unione postale universale 14 dicembre 1989, in 
forza della quale sia attribuito al servizio postale dello Stato membro A il diritto 
di esigere il pagamento di tariffe interne per la distribuzione della corrispondenza 
inoltrata nello Stato membro B o di rifiutare la distribuzione senza il pagamento 
di tali tariffe, qualora il contenuto della corrispondenza sia determinato da un'impresa 
nello Stato membro A e trasmesso mediante un sistema elettronico di trasferimento 
di dati a un'impresa con sede nello Stato membro B per la stampa, la 
messa in busta e la consegna al servizio postale di questo Stato, costituisca un 
provvedimento nazionale che, in violazione dell'art. 90, n. 1, del Trattato CE, configuri 
una misura contraria all'art. 86 e non rientrante nell'eccezione prevista dall'art. 
90, n. 2, del Trattato CE. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO ST�TO' 

122 

2) Se gli artt. 30 e seguenti, nonch� 59 e seguenti del Trattato CE vadano 
interpretati nel senso che il diritto del servizio postale dello Stato membro A di esigere 
tariffe postali interne per la distribuzione di corrispondenza inoltrata nello Stato 
membro B a destinatari residenti nello Stato membro A, o di rifiutare la distribuzio


ne senza il pagamento di tali tariffe, sia in contrasto con il principio della libera circolazione 
delle merci, qualora il contenuto della corrispondenza venga determinato 
da un'impresa nello Stato membro A e trasmesso a un'impresa con sede nello Stato 
membro B mediante un sistema elettronico di trasferimento di dati per la stampa, la 
messa in busta e la consegna al servizio postale di tale Stato. 

3) Per il caso in cui dalla soluzione adottata per le questioni pregiudiziali di 
cui sopra emerga che una violazione del diritto comunitario sussiste solo in quanto 
il servizio postale dello Stato membro A percepisca tariffe postali interne in aggiunta 
a quelle pagate nello Stato membro B o al saldo delle spese terminali ai sensi della 
convenzione postale universale e/o dell'accordo CEPT, o possa ottenere tali tariffe 
avvalendosi del rifiuto di recapitare la corrispondenza: 

se l'art. 5, secondo comma, del Trattato CE vada interpretato nel senso che 
una legge dello Stato membro A che ratifica le convenzioni dell'Unione postale universale 
14 dicembre 1989 sia inapplicabile nel suo complesso o soltanto nella misura 
in cui il pagamento di tariffe postali interne sia richiesto in aggiunta a quelle pagate 
nello Stato membro B e/o in aggiunta al saldo delle spese terminali ai sensi della 
Convenzione postale universale o dell'accordo CEPT, o possa essere ottenuto facendo 
leva sul rifiuto di recapitare la corrispondenza. 

4) Se la soluzione delle precedenti tre questioni debba essere diversa per il 
fatto che l'impresa, avente sede nello Stato membro B, incaricata della stampa, della 
messa in busta e della consegna al locale servizio postale sia collegata nell'ambito 
di uno stesso gruppo di imprese con l'impresa, avente sede nello Stato membro A, 
che determina il contenuto della corrispondenza. 

5) Se la soluzione delle prime tre questioni dipenda dal fatto che l'impresa, 
avente sede nello Stato membro B, incaricata della stampa, della messa in busta e 
della consegna al locale servizio postale operi esclusivamente per l'impresa, avente 
sede nello Stato membro A, che determina il contenuto della corrispondenza, o 
anche per una serie di imprese committenti dello stesso tipo�. 

]L PROCEDIMENTO C-147/97 

La controversia nella causa principale 

23. -La GZS, i cui soci sono istituti di credito che emettono carte di credito 
EUROCARD, � il principale operatore quanto al fatturato realizzato dalle carte di 
credito Eurocard in Germania. Nel contesto della sua attivit� di trattamento di dati, 
la GZS emette, per i titolari della detta carta e per le imprese associate, estratti conto 
mensili che vengono spediti per lettera. 
i ~ 

-



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

24. -In un primo tempo, la GZS aveva provveduto direttamente alle operazioni 
di stampa e messa in busta degli estratti conto, nonch� di inoltro delle lettere 
alla Deutsche Post per la successiva distribuzione. Dall'estate 1995, la GZS 
trasmette mediante trasferimento elettronico i dati necessari al suo associato 
danese per l'emissione degli estratti conto. Presso quest'ultimo, gli estratti conto 
vengono emessi, stampati, imbustati e subito inoltrati alla posta danese. Quest'ultima 
li trasmette alla Deutsche Post per l'ulteriore spedizione in Germania e 
distribuzione ai destinatari residenti nel territorio di tale Stato membro. Per gli 
invii della posta lettere a tali destinatari, il servizio postale danese percepisce la 
tariffa in vigore in Danimarca per le spedizioni all'estero, tariffa che � inferiore 
alla tariffa nazionale in vigore in Germania. Esso paga alla Deutsche Post le 
spese terminali, che ammontavano, all'epoca dei fatti nella causa principale, a 
DEM 0,36 a lettera. 
25. -In forza degli artt. 25, paragrafo 3, della CPU e 9 della Postgesetz, la Deutsche 
Post ha preteso dalla GZS il pagamento di una somma di DEM 623 984. Poich� 
quest'ultima ha rifiutato di corrispondere la somma richiesta, la causa � stata 
deferita al Landgericht di Francoforte sul Meno, il quale ha rigettato la domanda per 
gli stessi motivi di quelli menzionati al punto 21 della presente sentenza. 
Le questioni pregiudiziali 

26. -L' 8 settembre 1996, la Deutsche Post ha proposto ricorso in appello avverso 
tale sentenza dinanzi all'Oberlandsgericht di Francoforte sul Meno il quale ha 
sospeso il procedimento e sottoposto alla Corte tre questioni pregiudiziali di identico 
tenore a quello delle prime tre questioni nella causa C-148/97. 
27. -Con ordinanza 8 luglio 1997, il presidente della Corte ha deciso di riunire 
le cause ai fini della fase scritta ed orale e della sentenza. 
28. -Va preliminarmente dichiarato che l'art. 25, paragrafo 1, della CPU distingue 
due casi in cui i servizi postali degli Stati contraenti non sono tenuti ad inoltrare 
o distribuire ai destinatari la corrispondenza che qualunque mittente, domiciliato 
sul territorio di uno Stato contraente, imposti o faccia impostare in un altro Stato 
contraente. Nel caso di cui all'art. 25, paragrafo 1, prima frase, trattasi delle lettere 
impostate in un altro Stato contraente al fine di beneficiare delle tariffe pi� basse che 
vi sono applicate. In conformit� dell'art. 25, paragrafo 1, seconda frase, trattasi degli 
invii in grande quantit�, che queste impostazioni vengano o meno effettuate allo 
scopo di beneficiare di tariffe pi� basse. 
29. -Ai sensi dell'art. 25, paragrafo 2, della CPU, il paragrafo 1 di tale disposizione 
si applica indistintamente sia agli invii preparati nel paese di residenza del 
mittente e successivamente trasportati attraverso la frontiera, sia agli invii confezionati 
in quest'ultimo Stato. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

124 

30. -A tenore dell'art. 25, paragrafo 3, della CPU, i servizi postali hanno il 
diritto, nei casi di cui al paragrafo 1 di tale disposizione, o di rispedire gli invii all' origine, 
o di gravarli delle proprie tariffe nazionali. 
31. -Dagli atti del procedimento C-148/97 risulta che il CESC stampa e spedisce, 
a partire dai Paesi Bassi verso destinatari domiciliati negli Stati membri del1 
'Unione europea, circa 42 milioni di invii postali all'anno redatti sulla base dei dati 
elaborati dalla CKG e trasmessi per via telematica. Secondo il fascicolo C-147/97, 
la GZS trasmette attraverso lo stesso canale al suo associato danese i dati corrispondenti 
a circa 7 milioni di titolari di carte di credito per il loro inoltro attraverso 
la posta danese. 
32. -Risulta anche dagli atti dei procedimenti e dalle ordinanze di rinvio che, 
in forza dell'art. 25, paragrafo 3, della CPU, la legislazione nazionale autorizza la 
Deutsche Post ad esigere l'importo della tariffa nazionale per ogni lettera spedita 
dalla CKG e dalla GZS eh' essa distribuiva in Germania. 
33. -Ne deriva infine che, per risolvere le questioni sollevate, non occorre 
prendere in considerazione la specifica circostanza che, nel caso di specie, il contenuto 
del corriere sia stato comunicato mediante trasferimento elettronico (reimpostazione 
immateriale). 
34. -Ne consegue che le questioni pregiudiziali relative al caso previsto all'art. 
25, paragrafo 1, seconda frase, della CPU, letto in combinato disposto col paragrafo 
2 di tale disposizione, cio� l'impostazione presso i servizi postali di altri Stati 
membri di invii postali in grande quantit� preparati o confezionati in questi ultimi 
Stati. Pertanto, al fine di risolvere in modo utile le controversie nella causa principale, 
non occorre esaminare se la CKG e la GZS impostino i loro invii presso i servizi 
postali di altri Stati membri al fine di fruire delle tariffe pi� basse che vi sono 
applicate. 
35. -Trattandosi dell'interpretazione dell'art. 30 del Trattato, chiesta dal giudice 
a quo, � sufficiente rilevare che tale disposizione non � applicabile nelle cause 
principali. Infatti, gli invii internazionali della posta lettere vanno considerati come 
una prestazione transfrontaliera del servizio postale universale comportante, per i 
servizi postali dello Stato contraente di destinazione, l'obbligo di inoltro e di distribuzione 
dei detti invii. 
36. -Alla luce delle precedenti considerazioni, le prime tre questioni vanno 
intese nel senso che il giudice nazionale chiede in sostanza se l'esercizio, da parte 
di un ente come la Deutsche Post, del diritto previsto all'art. 25, paragrafo 3, della 
CPU, nei casi di cui ai paragrafi 1, seconda frase, e 2 di tale disposizione, di gravare 
delle proprie tariffe nazionali gli invii depositati in grande quantit� presso i servizi 
postali di uno Stato membro diverso da quello cui appartiene l'ente stesso, sia 
contrario all'art. 90 del Trattato letto in combinato disposto con gli artt. 86 e 59 del 
medesimo. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

37. -Per risolvere tale questione, come essa � stata riformulata, � opportuno 
dapprima rilevare che un ente, quale la Deutsche Post, cui � stata accordata l'esclusivit� 
per la raccolta, il trasporto e la distribuzione della corrispondenza, va considerato 
un'impresa investita dallo Stato membro interessato di diritti esclusivi, ai 
sensi dell'art. 90, n. 1, del Trattato (sentenza 19 maggio 1993, causa C-320/91, Corbeau, 
Racc., 1-2533, punto 8). 
38. -Occorre ricordare inoltre che, secondo una giurisprudenza costante, un'impresa 
che gode di un monopolio di legge su una parte sostanziale del mercato comune 
pu� essere considerata occupare una posizione dominante ai sensi dell'art. 86 del 
Trattato (v. sentenze 10 dicembre 1991, causa C-179/90, Merci convenzionali porto 
di Genova SpA, Racc., 1-5889. punto 14; 13 dicembre 1991, causa C-18/88, GBInno-
BM, Racc., 1-5941, punto 17, e Corbeau, gi� citata, punto 9). 
39. -La Corte ha avuto occasione di precisare al riguardo che, sebbene il mero 
fatto che uno Stato membro crei una posizione dominante mediante la concessione 
di diritti esclusivi di per s� non sia incompatibile con l'art. 86, nondimeno il Trattato 
impone agli Stati membri di non adottare o mantenere in vigore misure atte ad 
eliminare l'effetto utile del detto articolo (v. sentenze 18 giugno 1991, causa 
C-260/89, ERT, Racc., I -2925, punto 35, e Corbeau, gi� citata, punto 11). 
40. -Di conseguenza, l'art. 90, n. 1, prevede che gli Stati membri, per quanto 
riguarda le imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, non emanino n� 
mantengano in vigore alcuna misura in contrasto, in particolare, con le norme del 
Trattato in materia di concorrenza (v. sentenza Corbeau, gi� citata, punto 12). 
41. -Questa disposizione dev'essere interpretata congiuntamente al n. 2 dello 
stesso articolo che prevede che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse 
economico generale siano sottoposte alle norme sulla concorrenza, nei limiti 
in cui l'applicazione di tali norme non osti all'adempimento, in linea di diritto e di 
fatto, della specifica funzione loro affidata. 
42. -Va infine rilevato che la CPU parte dall'ipotesi di un mercato della corrispondenza 
in cui i servizi postali dei diversi Stati contraenti dell'Unione postale 
universale non si trovano tra loro in concorrenza. 
43. -In tale contesto, l'oggetto della CPU � quello di istituire regole che assicurino 
l'inoltro e la distribuzione degli invii internazionali a destinatari domiciliati 
sul territorio di uno Stato contraente e trasmessi dai servizi postali di altri Stati contraenti. 
Infatti, uno dei principi fondamentali della CPU, enunciato all'art. 1 di quest'ultima, 
� l'obbligo dell'amministrazione postale dello Stato contraente di destinazione 
di inoltrare e distribuire il corriere internazionale ai destinatari domiciliati 
sul suo territorio, utilizzando a tal fine i mezzi pi� rapidi della sua posta lettere. A 
tale proposito, gli Stati che hanno adottato la convenzione dell'Unione postale universale 
costituiscono un territorio postale unico, in cui la libert� di transito degli 
invii internazionali reciproci �, in linea di principio, garantita. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

126 

44. -L'adempimento degli obblighi derivanti dalla CPU costituisce quindi in 
quanto tale, per i servizi postali degli Stati membri, un servizio d'interesse economico 
generale ai sensi dell'art. 90, n. 2, del Trattato. 
45. -Nel caso di specie, la gestione di tale servizi � attribuita, a norma della f� 
~

legislazione tedesca, alla Deutsche Post. :


46. -Com'� stato richiamato al punto 5 della presente sentenza, originariamente 
i servizi postali distribuivano il corriere internazionale senza percepire compenso 
per tale funzione. Tuttavia, quando � apparso che, di frequente, i flussi di traffico 
postale tra due Stati contraenti non tendevano all'equilibrio, di modo che i 
servizi postali dei vari Stati membri dovevano trattare quantitativi di corrispondenza 
internazionale molto variabili, sono state previste al riguardo specifiche disposizioni, 
tra cui figura l'art. 25 della CPU. 
47. -Ai sensi dell'art. 25, paragrafo 3, della CPU, i servizi postali degli Stati 
contraenti hanno segnatamente il diritto, nei casi di cui ai paragrafi 1 e 2 di tale disposizione, 
di gravare gli invii delle proprie tariffe interne. 
48. -L'attribuzione ad un ente quale la Deutsche Post del diritto di assimilare, 
in casi siffatti, gli invii internazionali al corriere interno fa sorgere una situazione 
in cui l'ente in parola pu� essere indotto, a detrimento degli utenti dei servizi 
postali, a sfruttare abusivamente la sua posizione dominante che consegue dal 
diritto di esclusiva, conferitogli, d'inoltrare e distribuire i detti invii ai destinatari 
interessati. 
49. -In tale ottica, va quindi esaminato in quale misura l'esercizio di un diritto 
siffatto sia necessario a permettere a tale ente di compiere la sua missione d'interesse 
generale conformemente agli obblighi derivanti della CPU e, in particolare, di 
fruire di condizioni economicamente accettabili. 
50. -In proposito, va dichiarato che l'obbligo di un ente quale la Deutsche Post 
d'inoltrare e di distribuire ai destinatari domiciliati sul territorio tedesco invii impostati 
in grande quantit� presso i servizi postali di altri Stati membri da mittenti domiciliati 
sul detto territorio, senza che� sia prevista per tale ente la possibilit� di ottenere 
la compensazione finanziaria di tutte le spese che comporta il detto obbligo, 
sarebbe idoneo a mettere in pericolo l'adempimento, in condizioni economiche 
equilibrate, di tale missione d'interesse generale. 
51. -Infatti, i servizi postali di uno stato membro non possono sopportare in 
pari tempo le spese causate dal compimento del servizio d'interesse economico 
generale d'inoltro e di distribuzione degli invii internazionali loro incombenti a 
norma delle stipulazioni della CPU e le perdite di reddito generate dal fatto che gli 
invii in grande quantit� non sono pi� impostati presso i servizi postali dello Stato 
membro sul cui territorio sono domiciliati i destinatari, ma presso quelli di altri Stati 
membri. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

52. -In un caso siffatto, il trattamento della corrispondenza transfrontaliera 
come corrispondenza interna e, conseguentemente, l'imposizione delle tariffe nazionali 
vanno considerati quali misure giustificate ai fini del compimento, in condizioni 
economicamente equilibrate, della missione d'interesse generale affidata alla 
Deutsche Post dalla CPU. 
53. -Ci� non varrebbe se le spese terminali per la corrispondenza transfrontaliera 
intracomunitaria in entrata fossero stabilite da accordi tra i servizi postali interessati 
in relazione ai costi reali di trattamento e di distribuzione della posta in questione, 
come previsto all'art. 13 della direttiva del Parlamento europeo e del 
Consiglio 15 dicembre 1997, 97/67ICE,. concernente regole comuni per lo sviluppo 
del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualit� del 
servizio (GU 1998, L 15, 14). 
54. -L'art. 90, n. 2, del Trattato giustifica quindi, in assenza di un accordo tra 
i servizi postali degli Stati membri interessati che fissi le spese terminali in relazione 
ai costi reali di trattamento e di distribuzione della corrispondenza transfrontaliera 
in entrata, che la legislazione di uno Stato membro conferisca ai suoi servizi 
postali il diritto di gravare gli invii delle loro tariffe nazionali qualora mittenti domiciliati 
in tale Stato impostino o facciano impostare in un altro Stato membro invii in 
grande quantit� presso i servizi postali di un altro Stato membro al fine di spedirli 
nel primo Stato membro. 
55. -Ne risulta che, pur supponendo che l'art. 25, paragrafo 3, della CPU 
possa essere considerato, tenuto conto dei suoi effetti quando � applicato da un 
ente quale la Deutsche Post, tale da costituire un ostacolo alla libera circolazione 
dei servizi, in tal caso neppure l'art. 90 del Trattato osterebbe ad una disposizione 
siffatta. 
56. -Invece, nella misura in cui una parte dei costi di inoltro e distribuzione sia 
compensata dal pagamento delle spese terminali da parte dei servizi postali di altri 
Stati membri, l'adempimento degli obblighi che ad un ente come la Deutsche Post 
derivano dalla CPU non necessita che gli invii impostati in grande quantit� presso i 
detti servizi siano gravati da tariffe nazionali al tasso integrale. 
57. -Va ricordato in proposito che un ente quale la Deutsche Post, il quale fruisce 
di un monopolio legale su una parte sostanziale del mercato comune, pu� considerarsi 
occupare una posizione dominante ai sensi dell'art. 86 del Trattato. 
58. -Pertanto, l'esercizio del diritto, da parte di un ente siffatto, di esigere l'importo 
integrale delle tariffe nazionali, senza tener conto della compensazione tra le 
spese relative all'inoltro e alla distribuzione di invii impostati in grande quantit� 
presso i servizi postali di uno Stato membro diverso da quello ove sono domiciliati 
sia i mittenti, sia i destinatari di tali invii, da un lato, e le spese terminali pagate dai 
detti servizi, dall'altro, pu� considerarsi come un abuso di posizione dominante ai 
sensi dell'art. 86 del Trattato. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�TO,

128 


59. -Infatti, al fine di evitare l'esercizio, da parte di un ente quale la Deutsche 
Post, del diritto, previsto all'art. 25, paragrafo 3, della CPU, di rispedire gli invii 
all'origine, i mettenti di questi ultimi non possono fare altro che corrispondere l'importo 
integrale delle tariffe nazionali. 
60. -Come la Corte ha rilevato con riguardo ad un rifiuto di vendita da parte 
di un'impresa che occupa una posizione dominante ai_ sensi dell'art. 86 del Trattato, 
un siffatto comportamento sarebbe in contrasto con l'obiettivo enunciato 
all'art. 3, lett. g), del Trattato CE [divenuto, in seguito a modifica, art. 3, lett. g), 
CE], e che trovano pi� precisa espressione nell'art. 86, e in ispecie alle lett. b) e 
c) (sentenza 14 febbraio 1978, causa 27/76, United Brands/Commissione, Racc., 
207, punto 183). 
61. -Da quanto precede risulta che, in assenza di un accordo tra i servizi postali 
degli Stati membri interessati che fissi le spese terminali in relazione ai costi reali 
di trattamento e distribuzione della corrispondenza transfrontaliera in entrata, l'esercizio, 
da parte di un ente quale la Deutsche Post, del diritto previsto all'art. 25, 
paragrafo 3, della CPU, nella versione adottata il 14 dicembre 1989, nei casi di cui 
ai paragrafi 1, seconda frase, e 2 di tale disposizione, di gravare delle proprie tariffe 
nazionali gli invii impostati in grande quantit� presso i servizi postali di uno Stato 
membro diverso da quello cui fa capo tale ente, non � contrario all'art. 90 del TratI


tato, letto congiuntamente agli artt. 86 e 59 di quest'ultimo. Invece, l'esercizio di un ~ 

diritto siffatto � contrario all'art. 90, n. 1, del Trattato, letto congiuntamente all'art. ~ 

86 del medesimo, nella misura in cui esso implica che tale ente possa esigere l'inte


gralit� delle tariffe nazionali applicabili nello Stato membro cui fa capo senza 

I

detrarre le spese terminali versate dai detti servizi postali e corrispondenti agli invii 
summenzionati. 

62. -Tenuto conto della soluzione data alle prime tre questioni pregiudiziali, 
non � necessario risolvere le altre. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 21marzo2000, 
nella causa C-6/99 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Kapteyn -Avv. Gen. 
Mischo -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato 
francese nella causa Greenpeace France ed altri contro Ministero dell'agricoltura 
e della pesca, Novartis e Monsanto -Interv.: Governi italiano (avv. Stato 
Fiumara), austriaco e francese e Commissione delle Comunit� europee (ag. 
Hausen e Couvert-Cast�ra). 

Comunit� europee -Biotecnologia -Organismi geneticamente modificati Procedimento 
per l'emissione deliberata nell'ambiente -Fase �nazionale e 
fase comunitaria. 

(Direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, n. 90/220/CEE; in Italia decreto legislativo 3 marzo 
1993, n. 92). � 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

129 

Comunit� europee -Biotecnologia -Organismi geneticamente modificati 


Procedimento per l'emissione deliberata nell'ambiente-Validit� della deci


sione favorevole della Commissione -Competenza della Corte di giustizia. 

(Trattato CE, art. 177, ora 234; direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, n. 90/220/CEE). 

La direttiva del Consiglio 23aprile1990, n. 901220/CEE, sull'emissione deliberata 
nel/'ambiente di organismi geneticamente modificati, come modificata 
dalla direttiva della Commissione 18 giugno 1997, n. 97135/CE, recante secondo 
adeguamento al progresso tecnico della direttiva 901220, dev'essere interpretata 
nel senso che, qualora, a seguito della trasmissione alla Commissione di una 
domanda d'immissione in commercio di un OGM, nessuno Stato membro abbia 
sollevato obiezioni, in conformit� ali'art. 13, n. 2, della detta direttiva, o qualora 
la Commissione abbia adottato una �decisione favorevole� ai sensi del n. 4 della 
stessa norma, l'autorit� competente che ha trasmesso alla Commissione la 
domanda con parere favorevole � tenuta a rilasciare il �consenso scritto� che permette 
l'immissione in commercio del prodotto. Tuttavia, ove lo Stato membro interessato, 
nel frattempo, sia entrato in possesso di nuove informazioni che lo inducono 
a ritenere che il prodotto oggetto della notifica possa essere pericoloso per 
la salute e l'ambiente, esso non sar� tenuto a dare il proprio consenso, a condizione 
che ne informi immediatamente la Commissione e gli altri Stati membri 
affinch�, entro il termine prescritto dall'art. 16, n. 2, della direttiva n. 901220, sia 
adottata una decisione in materia secondo il procedimento previsto dal/' art. 21 
della detta direttiva (1 ). 

(l-2) Certamente da condividere � la statuizione della Corte sull'obbligo dell'autorit� nazionale 
di rilasciare il �consenso scritto� all'immissione sul mercato di OGM allorch� essa stessa ha 
trasmesso la domanda alla Commissione e questa abbia dato parere favorevole o non abbia sollevato 
obiezioni. 

Qualche perplessit� lascia la seconda parte della prima massima, la quale presuppone che il 
potere discrezionale dell'autorit� nazionale si consumi nel momento dell'esame della domanda 
con il suo rigetto o la sua trasmissione alla Commissione (cfr. il punto n. 39 della sentenza) e non 
riviva, invece, allorch� siano acquisite nuove informazioni che evidenzino rischi per la salute o 
per l'ambiente: in tal caso, secondo la Corte, l'autorit� nazionale pu� solo adottare misure cautelative 
e deve trasmettere le nuove informazioni acquisite alla Commissione, cui spetter� la valutazione 
definitiva con la procedura dell'art. 21 della direttiva. 

La Corte richiama, in proposito, il disposto dell'art. 16 della direttiva. Ma ben avrebbe potuto 
trovare accoglimento una interpretazione pi� rigorosa della direttiva, con la conservazione 
all'autorit� nazionale del potere discrezionale anche dopo la trasmissione della domanda alla 
Commissione e finanche dopo il parere favorevole della stessa, consentendo, cos�, il diniego del 
consenso scritto o addirittura la revoca di questo ove emergano nuovi elementi di rischio, tali da 
indurre l'autorit� nazionale a mutare il suo precedente avviso. Non avrebbe ostato a questa interpretazione 
l'art. 16 della direttiva, potendo esso trovare riferimento ed applicazione solo nei confronti 
di autorit� nazionali di uno Stato diverso da quello in cui � presentata la domanda, le quali, 
infatti, possono esprimere le proprie osservazioni o perplessit�, anche se emerse in un momento 
successivo, solo nell'ambito della fase comunitaria del procedimento. 

Conseguenziale alla posizione assunta dalla Corte con la prima massima � la statuizione di 

cui alla seconda massima. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

130 

Qualora il giudice nazionale accerti che, in ragione di irregolarit� nello svolgimento 
dell'esame della notifica da parte dell'autorit� nazionale competente previsto 
dall'art. 12, n. 1, della direttiva n. 901220, quest'ultima non ha validamente 
trasmesso alla Commissione il fascicolo con parere favorevole ai sensi del n. 2 di 
tale norma, il detto giudice �tenuto ad adire la Corte in via pregiudiziale ove ritenga 
che tali irregolarit� siano idonee a pregiudicare la validit� della decisione favorevole 
della Commissione, eventualmente disponendo la sospensione del!' esecuzione 
dei provvedimenti di attuazione della detta decisione fino a che la Corte non 
abbia statuito sull�, questione della validit� (2). 

(omissis) 

1. -Con decisione 11 dicembre 1998, pervenuta in cancelleria il 13 gennaio 
1999, il Conseil d'�tat ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del trattato 
CE (divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione 
della direttiva del Consiglio 23 aprile 1990, 90/220/CEE, sull'emissione deliberata 
nell'ambiente di organismi geneticamente modificati (GU Ll 17, 15) come 
modificata dalla direttiva della Commissione 18 giugno 1997,97/35/CE, recante 
secondo adeguamento al progresso tecnico della direttiva 90/220 (GU L 169,72; in 
prosieguo: la �direttiva 90/220� ). 
2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di un ricorso d'annullamento proposto 
dall'Association Greenpeace France (in prosieguo: �Greenpeace�) avverso il decreto 
5 febbraio 1998 del ministro dell'Agricoltura e della Pesca, recante modifica del 
catalogo ufficiale delle specie e variet� di piante coltivate in Francia, per includervi 
una specie di granturco geneticamente modificato prodotto dalla Ciba-Geigy LTD, 
poi divenuta Novartis Seeds SA. 
(omissis) 

17. -A seguito della decisione 97 /98, il 4 febbraio 1997 il ministro francese 
dell'Agricoltura, della Pesca e dell'Alimentazione ha adottato un decreto recante 
autorizzazione all'immissione in commercio di linee di granturco (ZEA mays L.) 
geneticamente modificate protette contro la piralide e che presentano una maggiore 
tolleranza agli erbicidi della famiglia del glufosinato-ammonio (in prosieguo: il 
�decreto 4 febbraio 1997� ), che costituisce il �consenso scritto� previsto dall'art. 13 
della direttiva 90/220. Il 5 febbraio 1998 lo stesso ministro ha adottato un decreto 
recante modifica del catalogo ufficiale delle specie e variet� di piante coltivate in 
Francia (sementi di granturco) (in prosieguo: il �decreto 5 febbraio 1998� ). Tale 
decreto ha lo scopo di autorizzare l'immissione in commercio di semenze derivanti 
di talune variet� di granturco geneticamente modificate. 
18. -Il decreto 5 febbraio 1998 � stato oggetto di una domanda di sospensione 
dell'esecuzione e di un ricorso d'annullamento proposti da Greenpeace dinanzi al 
Conseil D'�tat. 
19. -La domanda di sospensione dell'esecuzione � stata oggetto di una decisione 
del Conseil d '�tat 25 settembre 1998, che ha disposto la sospensione dell 'esecuzione 
del decreto 5 febbraio 1998 in quanto, da una parte, un motivo dedotto da 

PARTE I, SEZ. Il, GillRISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Greenpeace pareva serio e atto a giustificare l'annullamento del detto decreto e, 
d'altra parte, l'esecuzione di quest'ultimo avrebbe potuto determinare conseguenze 
idonee a giustificare il provvedimento di sospensione. Il motivo dedotto da Greenpeace, 
e riconosciuto serio in sede di sospensione dell'esecuzione dal Consiglio di 
Stato, verte sul fatto che il decreto 5 febbraio 1998 sarebbe stato adottato in esito a 
un procedimento irregolare e in violazione del principio di precauzione. 

20. -Il Conseil D'�tat, in particolare, nella sua decisione 25 settembre 1998 ha 
rilevato che Greenpeace sostiene �che il parere della Commissione di studio sull' emissione 
dei prodotti derivati dall'ingegneria biomolecolare sarebbe stato reso sulla 
scorta di un fascicolo incompleto in quanto non corredato da elementi idonei a valutare 
l'impatto sulla salute del gene di resistenza all'ampicillina contenuto nelle 
variet� di granturco transgenico oggetto della domanda di autorizzazione�. 
21. -Il ricorso di annullamento proposto da Greenpeace avverso il decreto 5 
febbraio 1998 � stato riunito dal Conseil d'�tat ad altri quattro ricorsi, anch'essi 
diretti all'annullamento di tale decreto, proposti da altre tre associazioni nonch�, 
quanto all'ultimo, da tre privati. 
22. -I ricorrenti nelle cause a quibus hanno dedotto una serie di motivi attinenti 
alla legittimit� estrinseca e alla legittimit� intrinseca del decreto 5 febbraio 1998. 
Essi sostengono, in particolare, che il decreto 5 febbraio 1998 sarebbe illegittimo in 
ragione dell'illegittimit�, invocata in via di eccezione, del decreto 4 febbraio 1997, 
a seguito del quale esso � stato adottato. Si sostiene, in particolare, che il decreto 4 
febbraio 1997, recante autorizzazione all'immissione in commercio delle linee di 
granturco controverse, sarebbe illegittimo in quanto il procedimento amministrativo 
seguito dalle autorit� francesi prima della trasmissione del fascicolo alla Commissione 
sarebbe viziato da irregolarit�. 
23. -Alla luce di quanto sopra, il Conseil D'�tat ha deciso di sospendere il procedimento 
e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
�1) Se le disposizioni della direttiva del Consiglio 90/220 debbano interpretarsi 
nel senso che, qualora a seguito della trasmissione alla Commissione delle 
Comunit� europee di una domanda di immissione in commercio di un organismo 
geneticamente modificato, nessuno Stato membro abbia mosso obiezioni come previsto 
dall'art. 13, n. 2, della direttiva 90/220, ovvero qualora la Commissione delle 
Comunit� europee abbia adottato una �decisione favorevole� ai sensi del n. 4 di tale 
articolo, la competente autorit� che ha trasmesso la domanda, con parere favorevole, 
alla Commissione sia tenuta a rilasciare il �consenso scritto� che permette l'immissione 
in commercio del prodotto, ovvero se tale autorit� conservi il potere discrezionale 
di non dare un consenso del genere. 

2) Se la decisione della Commissione delle Comunit� europee 23 gennaio 
1997, secondo la quale �le autorit� francesi autorizzano l'immissione in commercio 
del(...) prodotto, notificato dalla Ciba-Geigy Limited�, debba interpretarsi nel senso 
che obbliga il governo francese a rilasciare il suo "consenso scritto"�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO,

132 

Sulla prima questione 

I

::::


24. -Con la prima questione, il giudice a quo domanda alla corte se lo Stato 
l� 

membro che abbia ricevuto una notifica relativa all'immissione in commercio di un 
OGM e che abbia trasmesso il fascicolo alla Commissione con parere favorevole ' 
disponga, nel caso in cui nessun altro Stato membro abbia sollevato obiezioni, oppu' 
re nel caso in cui la Commissione abbia adottato una decisione favorevole, del potere 
discrezionale di non dare il proprio consenso. 

25. -Occorre ricordare anzitutto che, ai sensi dell'art. 13, n. 4, della direttiva 
90/220, �Se la Commissione ha 11dottato una decisione favorevole, l'autorit� competente 
che ha ricevuto la notifica originale d� il suo consenso scritto alla notifica in 
modo che il prodotto possa essere immesso sul mercato� e che, ai sensi del n. 2 della 
stessa norma, lo stesso obbligo s'impone qualora la detta autorit� non abbia ricevuto 
alcuna indicazione contraria da parte di altri Stati membri entro 60 giorni dalla 
data di distribuzione del fascicolo da parte della Commissione. 
26. -In proposito, Greenpeace ha dedotto che, sebbene l'art. 13, n. 4, della 
direttiva 90/220 possa far pensare che l'autorit� competente � tenuta a prestare il 
proprio consenso, una lettura siffatta non � compatibile con i �considerando� n� con 
l'economia generale della direttiva. Inoltre, il termine �consenso� presupporrebbe, 
in ogni caso, la manifestazione di una volont� libera da vincoli. 
27. -Secondo Ecoropa, un'interpretazione dell'art. 13, n. 4, della direttiva 
90/220 secondo la quale lo Stato membro sarebbe obbligato a prestare il proprio 
consenso scritto in modo da permettere l'immissione in commercio del prodotto 
allorch� la commissione ha adottato una decisione favorevole sarebbe esclusa dal 
tenore letterale della norma. In proposito, Ecoropa deduce in particolare che, nell'ipotesi 
di una competenza vincolata, il tenore della norma sarebbe stato diverso. 
28. -Occorre rilevare, anzitutto, che, se � vero che una redazione diversa 
avrebbe potuto far emergere in maniera pi� esplicita l'esistenza di una competenza 
vincolata degli Stati membri, ci� non toglie che tanto l'uso, nella versione 
francese dell'art. 13, nn. 2 e 4, della direttiva 90/220, dell'indicativo presente, 
quanto la costruzione dei periodi di tale norma indicano in maniera chiara ed 
inequivoca che lo Stato membro interessato ha l'obbligo di prestare il proprio 
consenso. 
29. -Si deve rilevare peraltro che il senso e il contenuto della norma in oggetto 
si rinvengono in altre versioni linguistiche della direttiva 90/220, in particolare 
nella versione inglese [ �The component authority ( ... ) shall give its consent in 
writing�]. � 
30. -Ne deriva che, considerato il tenore letterale dell'art. 13, nn. 2 e 4, della 
direttiva 90/220, tale norma impone allo Stato membro interessato, nei casi ivi previsti, 
l'obbligo di rilasciare il proprio consenso scritto. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARlA E INTERNAZIONALE 

31. -Occorre poi esaminare se, come sostengono i ricorrenti nelle cause a quibus, 
il contesto procedurale in cui s'inserisce l'art. 13, nn. 2 e 4, osti a un'interpretazione 
del genere. 
32. -Greenpeace e la Conf�d�ration paysanne affermano in proposito che, siccome 
risulta dall'art. 13, nn. 2 e 4, della direttiva 90/220 che l'autorizzazione ad 
immettere in commercio il prodotto si fonda sul consenso scritto della competente 
autorit� nazionale, un'interpretazione quale quella enunciata al punto 30 della presente 
sentenza comporterebbe che la decisione favorevole della Commissione, e non 
quella della competente autorit� nazionale, varrebbe come autorizzazione all'immissione 
in commercio, privando cos� gli Stati membri di qualunque potere discrezionale 
prima del rilascio del loro consenso. 
33. -Si deve rilevare sul punto che, al fine di predisporre un procedimento 
comunitario di autorizzazione all'immissione in commercio di prodotti contenenti 
OGM, il legislatore comunitario ha instaurato, agli artt. 10-18 della direttiva 90/220, 
una stretta cooperazione tra la Commissione e l'autorit� competente dello Stato 
membro in cui il prodotto sar� immesso in commercio per la prima volta. 
34. -Secondo gli artt. 12 e 13 della direttiva, infatti, la procedura di autorizzazione 
all'immissione in commercio di prodotti contenenti OGM si articola in due fasi. 
35. -Per quanto riguarda, in primo luogo, l'autorit� nazionale competente, risulta 
dall'art. 12, n. 1, della direttiva 90/220 che tale autorit�, dopo aver ricevuto la notifica 
del produttore o dell'importatore interessato, prevista all'art. 11, deve esaminare 
se essa sia conforme alle disposizioni della direttiva, �attribuendo particolare attenzione 
alla valutazione dei rischi per l'ambiente e alle precauzioni raccomandate per un 
uso sicuro del prodotto. Ai sensi dell'art. 12, n. 2, al pi� tardi 90 giorni dopo il ricevimento 
della notifica l'autorit� competente trasmette il fascicolo alla Commissione con 
parere favorevole, oppure informa il notificante che l'emissione progettata non � conforme 
alle condizioni sancite dalla direttiva 90/220 e che � quindi respinta. 
36. -L'art. 12, della direttiva 90/220 dispone che il fascicolo trasmesso alla 
Commissione deve essere corredato da una sintesi della notifica nonch� da una 
dichiarazione delle condizioni in cui l'autorit� competente �propone di consentire 
l'immissione sul mercato del prodotto�. 
37. -Pertanto, la fase nazionale del procedimento volto all'immissione in commercio 
di prodotti contenenti OGM ha lo scopo, conformemente al diciassettesimo 
�considerando� della direttiva 90/220, di mettere l'autorit� competente in grado di dare 
il proprio parere favorevole, seguito, se del caso, dal consenso scritto, solo dopo che si 
sia accertato che l'emissione non presenter� rischi per la salute e per l'ambiente. 
38. -Per quanto riguarda, in secondo luogo, la Commissione, l'art. 13, n. 1, 
della direttiva 90/220 dispone che essa trasmette il fascicolo alle autorit� competenti 
di tutti gli Stati membri, accompagnato da altre informazioni raccolte ai sensi della 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

134 

direttiva. L'autorit� nazionale competente d� il proprio consenso vuoi in assenza di 
indicazioni contrarie da parte di altri Stati membri, come previsto dal n. 2 della stessa 
norma, vuoi, nel caso previsto dal n. 4, ove la Commissione abbia adottato una 
decisione favorevole conformemente alla procedura prevista dall'art. 21 della direttiva 
90/220, cui fa riferimento l'art. 13, n. 3, della direttiva. 

39. -Ne consegue che il procedimento di autorizzazione all'immissione in 
commercio di un prodotto contenente OGM, istituito dalla direttiva 90/220, ha luogo 
soltanto dopo la chiusura di un procedimento nel corso del quale le autorit� nazionali 
hanno adottato parere favorevole sulla scorta dell'esame previsto dall'art. 12, 
n. 1, della stessa direttiva, ed hanno quindi avuto l'occasione di esercitare pienamente 
il proprio potere discrezionale nel valutare i rischi che l'emissione di prodotti 
contenenti OGM comporta per la salute e per l'ambiente. 
40. -I ricorrenti nelle cause a quibus affermano, infine, che l'interpretazione 
dell'art. 13, nn. 2 e 4, della direttiva 90/220 nel senso di una competenza vincolata 
contrasta con il principio di precauzione. 
41. -Occorre rilevare in proposito che, secondo l'ottavo �considerand0� della 
direttiva 90/220, essa instaura �procedure e criteri armonizzati per la valutazione, 
caso per caso, dei rischi potenziali derivanti dall'emissione deliberata nell'ambiente 
di OGM�. In forza del nono �considerando�, tale valutazione caso per caso deve 
sempre essere effettuata prima di ogni emissione. 
42. -Come risulta dal punto 39 della presente sentenza, a questo fine le competenti 
autorit� nazionali dispongono di un potere discrezionale per assicurarsi che la 
notifica prevista dall'art. 11 della direttiva sia conforme alle disposizioni di quest'ultima, 
attribuendo attenzione particolare alla valutazione dei rischi derivanti dall'immissione 
in commercio di prodotti contenenti OGM per l'ambiente e la salute, come 
previsto dall'art. 12, n 1, della direttiva 90/220, nonch� dal suo terzo �considerando�. 
43. -Per quanto riguarda le autorit� competenti degli altri Stati membri, l'art. 
13, nn. 2 e 3, della direttiva 90/220 prevede che esse hanno la facolt� di sollevare 
obiezioni prima che l'autorit� competente interessata dia il proprio consenso alla 
notifica. 
44. -Inoltre, il rispetto del principio di precauzione si traduce, da una parte, nel1'
obbligo, imposto al notificante dall'art. 11, n. 6, della direttiva 90/220, di comunicare 
immediatamente all'autorit� competente ogni nuova informazione in merito ai 
rischi che il prodotto comporta per la salute o l'ambiente, nonch� nell'obbligo, 
imposto all'autorit� competente dall'art. 12, n. 4, d'informarne immediatamente la 
Commissione e gli altri Stati membri e, d'altra parte, nella facolt�, attribuita ad ogni 
Stato membro dall'art. 16 della direttiva, di limitare o vietare provvisoriamente l'uso 
e/o la vendita sul proprio territorio del prodotto per il quale -bench� sia stato 
oggetto di un consenso -vi sono valide ragioni di ritenere che presenti un rischio 
per la salute o per l'ambiente 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

45. -Occorre aggiungere che il sistema di protezione istituito dalla direttiva 
90/220, in particolare dai suoi artt. 4, 12, n.4, e 16, implica necessariamente che lo 
Stato membro interessato non � tenuto a dare il proprio consenso scritto ove nel frattempo 
sia entrato in possesso di nuove informazioni che lo inducono a ritenere che 
il prodotto oggetto della n�tifica possa essere pericoloso per la salute e l'ambiente. 
46. -In un caso del genere, esso � tenuto ad informare immediatamente la Commissione 
e gli altri Stati membri affinch�, entro il termine prescritto dall'art. 16, n. 2, 
della direttiva 90/220, sia adottata una decisione in materia secondo il procedimento 
previsto dall'art. 21 della detta direttiva 
47. -Ne consegue che la direttiva 90/220 dev'essere interpretata nel senso che, 
qualora, a seguito della trasmissione alla Commissione di una domanda d'immissione 
in commercio di un OGM, nessuno Stato membro abbia sollevato obiezioni, 
in conformit� all'art. 13, n. 2, della detta direttiva, o qualora la Commissione abbia 
adottato una �decisione favorevole� ai sensi del n. 4 della stessa norma, l'autorit� 
competente che ha trasmesso alla Commissione la domanda con parere favorevole 
� tenuta a rilasciare il �consenso scritto� che permette l'immissione in commercio 
del prodotto.Tuttavia, ove lo Stato membro interessato nel frattempo sia entrato in 
possesso di nuove informazioni che lo inducono a ritenere che il prodotto oggetto 
della notifica possa essere pericoloso per la salute e l'ambiente, esso non sar� tenuto 
a dare il proprio consenso, a condizione che ne informi immediatamente la Commissione 
e gli altri Stati membri affinch�, entro il termine prescritto dall'art. 16, n. 2, 
della direttiva 90/220, sia adottata una decisione in materia secondo il procedimento 
previsto dall'art. 21 della detta direttiva. 
Sulla seconda questione 

48. -Come risulta dagli atti della sua causa a qua, con la seconda questione il giudice 
nazionale domanda in sostanza se la �decisione favorevole� della Commissione 
imponga all'autorit� nazionale competente di dare il proprio �consenso scritto�, pur in 
presenza d'irregolarit� eventualmente accertate dal giudice nel corso dell'esame della 
notifica da parte di tale autorit� e che siano tali da pregiudicare la legittimit� della 
decisione di trasmettere il fascicolo alla Commissione con parere favorevole. 
49. -Come rilevato al punto 4 7 della presente sentenza, allorch� la Commissione 
adotta una �decisione favorevole� in forza dell'art. 13, n. 4, della direttiva 90/220, 
l'autorit� competente che ha trasmesso la domanda con parere favorevole alla Commissione 
� tenuta, fatte salve le circostanze menzionate alla fine di tale punto, a rilasciare 
il �consenso scritto� che permette l'immissione in commercio del prodotto. 
50. -Tale obbligo presuppone che la competente autorit� nazionale abbia trasmesso 
alla Commissione, a norma dell'art. 12, n. 2, lett. a), della direttiva 90/220, il 
fascicolo con' parere favorevole ed abbia, quindi, avviato la fase comunitaria del procedimento 
di autorizzazione all'immissione in commercio del prodotto di cui trattasi. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

136 

51. -Pertanto, la decisione dell'autorit� competente condiziona il procedimento 
comunitario e pu� persino, in assenza d'indicazione contraria da parte di un altro 
Stato membro entro il termine previsto dall'art. 13, n. 2, della direttiva, determinar-1 
ne l'esito. ili;::: 
~ 

' 

52. -Poich� il parere favorevole dell'autorit� nazionale competente � fondato 
sui risultati dell'esame della notifica previsto dall'art. 12, n. 2, della direttiva 
901220, occorre esaminare l'incidenza -sulla validit� della decisione favorevole 
della Commissione -di eventuali irregolarit� nello svolgimento di tale esame, atte 
a pregiudicare la legittimit� della decisione di trasmettere il fascicolo alla Commissione 
con parere favorevole. 
53. -Trattandosi dell'atto dotato da un'autorit� nazionale, spetta ai giudici 
nazionali statuire sulla regolarit� dell'esame della notifica previsto dall'art. 12, n. 1, 
della direttiva 90/220 nonch� sulle conseguenze che le eventuali irregolarit� nello 
svolgimento di tale esame potrebbero comportare sulla legittimit� della decisione 
adottata dall'autorit� competente di trasmettere il fascicolo alla Commissione con 
parere favorevole, ai sensi dell'art. 12, n. 2, lett. a), di tale direttiva. 
54. -Va ricordato inoltre che, qualora l'attuazione amministrativa di una decisione 
comunitaria spetti alle autorit� nazionali, la tutela giurisdizionale garantita dal 
diritto comunitario comporta il diritto per i singoli di contestare incidentalmente la 
legittimit� di tale decisione dinanzi al giudice nazionale e di domandare a quest'ultimo 
di sottoporre alla Corte questioni pregiudiziali di validit� della detta decisione. 
In un caso del genere, la Corte � la sola competente a dichiarare l'invalidit� di un 
atto comunitario (v. sentenza 22 ottobre 1987, causa 314/85, Foto-Frost, Racc., 
4199, punto 20). 

55. -Ne consegue che, qualora il giudice nazionale accerti che, in ragione di 
irregolarit� nello svolgimento dell'esame della notifica da parte dell'autorit� nazionale 
competente previsto dall'art. 12, n. 1, della direttiva 90/220, quest'ultima non 
ha trasmesso validamente il fascicolo con parere favorev'Ole alla Commissione ai 
sensi del n. 2 di tale norma, egli � tenuto ad adire la Corte in via pregiudiziale ove 
ritenga che tali irregolarit� siano idonee a pregiudicare la validit� della decisione 
favorevole della Commissione, esponendo i motivi dell'invalidit� che gli appaiano 
fondati e, eventualmente, disponendo la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti 
d'attuazione della decisione in oggetto fino a che la Corte non abbia statuito 
sulla questione della validit� (v., in tal senso, sentenza 21febbraio1991, cause riunite 
C-143/88 e C-92/89, Zucherfabrik Siiderdithmarschen e Zucherfabrik Soest, 
Racc., I-415, punto 24). 
56. -Nel caso in cui la Corte dichiarasse l'illegittimit� della decisione favorevole 
della Commissione, non ricorrerebbero le condizioni per il rilascio del consenso 
scritto da parte dell'autorit� competente previste dall'art. 13, nn. 2 e 4, della direttiva 
90/220, e ne risulterebbe che il consenso scritto non � stato validamente dato, 
oppure che non potrebbe validamente esserlo. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZ�ONALE 

57. -Risulta da quanto precede che, qualora il giudice nazionale accerti che, in 
ragione di irregolarit� nello svolgimento dell'esame della notifica da parte dell'autorit� 
nazionale competente previsto dall'art. 12, n. 1, della direttiva 90/220, quest'ultima 
non ha validamente trasmesso alla Commissione il fascicolo con parere 
favorevole ai sensi del n. 2 di tale norma, il detto giudice � tenuto ad adire la Corte 
in via pregiudiziale ove ritenga che tali irregolarit� siano idonee a pregiudicare la 
validit� della decisione favorevole della Commissione, eventualmente disponendo 
la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di attuazione della detta decisione 
fino a che la Corte non abbia statuito sulla questione della validit�. 
(omissis) 

I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 11 aprile 2000, 
nelle cause riunite C-51196 e C-191/97 -Pres. Rodriguez Iglesias -Rei. Ragnemalm 
-Avv. Gen. Cosmas -Domande di pronuncia pregiudiziale proposte dal 
Tribunal de premi�re instance di Namur nelle cause promosse da C. Deli�ge c. 
Lega francofona di judo. Interv.: Governi belga, tedesco, ellenico, spagnolo, 
francese, italiano (avv. Stato Del Gaizo), olandese, austriaco, finlandese, svedese 
e norvegese e Commissione delle Comunit� europee (ag. Caciro e Wils). 

Comunit� europee -Libera prestazione dei servizi -Regole di concorrenza 
applicabili alle imprese -Judoka -Normative sportive che prevedono contingenti 
nazionali e procedure di selezione da parte delle federazioni nazionali 
per la partecipazione a tornei internazionali. 

(Trattato CE, art. 49, 50, 55, 81 e 82). 

Una norma che imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista, o 
candidato a divenir tale, di essere in possesso di un 'autorizzazione o di un provvedimento 
di selezione della propria federazione per poter partecipare ad una competizione 
sportiva internazionale ad alto livello in cui non sono in gara squadre 
nazionali, qualora essa discenda da una necessit� inerente ali'organizzazione di 
una siffatta competizione, non costituisce di per se stessa una restrizione alla libera 
prestazione di servizi vietata dall'art. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a 
modifica, art. 49 CE). 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6a, 13 aprile 2000, 
nella causa C-17 6/96 -Pres. Schintgen -Rei. Ragnelmalm -Avv. Gen. Alber Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribuna! de premi�re instance 
di Bruxelles nella causa J. Lehtonen c. Federazione reale belga delle societ� di 
pallacanestro. Interv.: Governi tedesco, ellenico, francese, italiano ( avv. Stato Del 
Gaizo) e austriaco e Commissione delle C.E. (ag. Wolfcarius e Gonzalez-Diaz). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

138 


Comunit� europee -Libera circolazione dei lavoratori -Regole di concorrenza 
applicabili alle imprese -Giocatori professionisti di pallacanestro Regolamenti 
sportivi relativi al trasferimento di giocatori provenienti da 
altri Stati membri. 

(Trattato CE, artt. 12, 39, 81 e 82). 

L'art. 48 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 39 CE) osta 
ali'applicazione di norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che 
vietino ad una socie}� di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite 
del campionato nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano 
stati trasferiti dopo una certa data qualora tale data sia precedente a quella che si 
applica ai trasferimenti di giocatori provenienti da taluni Paesi terzi, a meno che 
ragioni obiettive, attinenti unicamente allo sport in s� e per s� o relative a differenze 
esistenti tra la situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente 
alla zona europea e quella dei giocatori provenienti da una federazione non appartenente 
alla detta zona, non giustifichino una simile disparit� di trattamento. 

I 

(omissis) 

1. -Con ordinanza 16 febbraio 1996 (C-51/96), pervenuta alla Corte il 21 febbraio 
1996, e con sentenza 14 maggio 1997 (C-191197), pervenuta alla Corte il 20 
maggio 1997, il Tribuna! de premi�re instance di Namur, statuendo rispettivamente 
I

in sede di procedimento sommario e nel merito, ha proposto, ai sensi dell'art. 177 ~ 
del Trattato CE (divenuto art. 234 CE), due questioni pregiudiziali relative all'inter' 
' 
. 
pretazione degli artt. 59 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 49 
CE), 60, 66, 85 e 86 del Trattato CE (divenuti artt. 50 CE, 55 CE, 81 CE e 82 CE). 

I 

2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di controversie tra la signora 
Deli�ge, da un lato, e la Ligue francophone de judo et disciplines associ�es ASBL 
(in prosieguo: la �LFJ�), la Ligue belge de judo ASBL (in prosieguo: la �LBJ�) e il 
presidente di quest'ultima, il signor Fran�ois Pacqu�e, dall'altro, in ordine al rifiuto 
Idi selezionarla per partecipare al torneo internazionale di judo di Parigi, nella cateI 
goria dei pesi inferiori a 52 kg. (omissis) 

Le controversie nelle cause a quibus e le questioni pregiudiziali 

6. -La signora Deli�ge pratica il judo dal 1983 e, a partire dal 1987, ha ottenu,


to, nella categoria dei pesi inferiori a 52 kg, eccellenti risultati fra cui diversi titoli 

0 

di campionessa del Belgio, un titolo di campionessa d'Europa ed un titolo di cam!'= 
pionessa del mondo nella classe atlete al di sotto dei 19 anni, nonch� vittorie e piazf:



!i

zamenti prestigiosi in tornei internazionali. Le parti nelle cause a quibus sono in dis


f 

accordo quanto allo status della signora Deli�ge, dato che quest'ultima sostiene di f:: 

1

esercitare il judo a titolo professionistico o semiprofessionistico, mentre la LBJ e la 

.

LFJ fanno valere che il judo � uno sport che, in Europa ed in particolare in Belgio, !ill 
� praticato da dilettanti. ' 

jJ 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

7. -La signora Deli�ge sostiene che, dal 1992, i responsabili della LFJ e della 
LBJ hanno illegittimamente ostacolato lo svolgimento della sua carriera. Ella 
lamenta in particolare il fatto che le sia stato impedito di partecipare ai giochi olimpici 
di Barcellona nel 1992, di non essere stata selezionata per i campionati del 
mondo nel 1993 n� per i campionati d'Europa nel 1994. Nel marzo 1995, la signora 
Deli�ge sarebbe stata informata di non essere preselezionata per i giochi olimpici 
di Atlanta. Nell'aprile 1995, mentre si preparava a partecipare ai campionati 
d'Europa che dovevano tenersi in maggio, ella sarebbe stata esclusa dalla squadra 
belga a vantaggio di un'atleta affiliata alla VJF. Nel dicembre 1995, le sarebbe stato 
impedito di partecipare al torneo internazionale di categoria A di Basilea. 
8. -La LFJ asserisce che la signora Deli�ge � pi� volte entrata in conflitto con 
gli allenatori, i selezionatori o i responsabili della LFJ e della LBJ e che ella � poco 
disciplinata, essendo stata sottoposta in particolare ad una sanzione di sospensione 
temporanea da ogni attivit� federale. Inoltre, ella si sarebbe trovata di fronte a difficolt� 
di ordine sportivo, dato che il Belgio disponeva di almeno quattro judoka di 
alto livello nella categoria dei pesi inferiori a 52 kg. La LBJ precisa che le decisioni 
relative alla selezione degli atleti ai fini della partecipazione ai vari tornei e campionati 
sono prese dal suo comitato sportivo nazionale, organo costituito pariteticamente 
da membri della VJF e membri della LFJ. 
9. -I fatti che si trovano direttamente all'origine delle cause a quibus riguardano 
la partecipazione al torneo internazionale di categoria A di Parigi del 1 O e 
dell'll febbraio 1996. Poich� la LBJ aveva selezionato altre due atlete che, secondo 
la signora Deli�ge, avevano ottenuto risultati sportivi meno brillanti dei suoi, il 
26 gennaio 1996 quest'ultima, ha adito il giudice dell'urgenza del Tribuna} de premi�re 
instance di Namur. (omissis) 
Sull'interpretazione dell'art. 59 del Trattato 

41. -In via preliminare, occorre ricordare che, considerati gli obiettivi della 
Comunit�, l'attivit� sportiva � disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile 
come attivit� economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (v. sentenze 12 
dicembre 1974, causa 36/74, Walrave e Koch, Racc., 1405, punto 4, e 15 dicembre 
1995, causa C-415/93, Bosman, Racc., I-4921, punto 73). La Corte ha d'altro canto 
riconosciuto che l'attivit� sportiva presenta una notevole importanza sociale nella 
Comunit� (v. citata sentenza Bosman, punto 106). 
42. -Tale giurisprudenza � del resto confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo 
sport, figurante in allegato all'atto finale della conferenza che ha adottato il testo del 
Trattato di Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invita 
segnatamente gli organi dell'Unione europea a riservare un'attenzione particolare 
alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione 
� coerente con la detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in 
cui l'esercizio dello sport costituisce un'attivit� economica. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

140 

43. -Occorre ricordare che le norme del Trattato in materia di libera circolazione 
delle persone non ostano a normative o prassi che escludano i calciatori 
stranieri da determinati incontri per motivi non economici, attinenti al carattere e 
all'ambito specifici di tali partite e che quindi hanno natura prettamente sportiva, 
come, ad esempio, nel caso di incontri fra le rappresentative di paesi diversi. La 
Corte ha sottolineato, per�, che tale restrizione della sfera d'applicazione del 
Trattato deve restare entro i limiti del suo oggetto specifico e non pu� essere fatta 
valere per escludere da tale sfera un'intera attivit� sportiva (sentenze 14 luglio 
1976, causa 13/76, Don�, Racc., 1333, punti 14 e 15, e Bosman, cit., punti 76 
e 127) . 
. 44. -Ora, le norme di selezione controverse nelle cause a quibus non vertono 
su incontri tra squadre o selezioni nazionali di paesi diversi, comprendenti solo persone 
in possesso della cittadinanza dello Stato di cui fa parte la federazione che le 
ha selezionate, come i giochi olimpici o taluni campionati del mondo o d'Europa, 
ma riservano la partecipazione, per federazione nazionale, a taluni altri incontri 
internazionali ad alto livello agli atleti che sono affiliati alla federazione di cui trattasi, 
indipendentemente dalla loro cittadinanza. La sola circostanza che i piazzamenti 
ottenuti dagli atleti in tali competizioni siano presi in considerazione per 
determinare i paesi che potranno iscrivere loro rappresentanti ai giochi olimpici non 
pu� giustificare l'equiparazione di queste ultime ad incontri tra squadre nazionali 
che possono esulare dall'ambito di applicazione del diritto comunitario. 

45. -La LFJ ha in particolare sostenuto che le associazioni e federazioni sportive 
hanno il diritto di determinare liberamente le condizioni di accesso a competizioni 
che riguardano solo sportivi dilettanti. 
46. -Al riguardo, occorre rilevare che la semplice circostanza che un'associazione 
o federazione sportiva qualifichi unilateralmente come dilettanti gli atleti che 
ne fanno parte non � di per s� tale da escludere che questi ultimi esercitino attivit� 
economiche ai sensi dell'art. 2 del Trattato. 
47. -Quanto alla natura delle norme controverse, risulta dalle citate sentenze 
Walrave e Koch (punti 17 e 18) e Bosman (punti 82 e 83) che l~ disposizioni comunitarie 
in materia di libera circolazione delle persone e dei servizi non disciplinano 
soltanto gli atti delle autorit� pubbliche, ma si applicano anche alle normative di 
altra natura dirette a disciplinare collettivamente il lavoro subordinato e le prestazioni 
di servizi. Infatti, l'abolizione fra gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione 
delle persone e alla libera prestazione dei servizi sarebbe compromessa se 
l'eliminazione delle limitazioni stabilite da norme statali potesse essere neutralizzata 
da ostacoli derivanti dall'esercizio dell'autonomia giuridica di associazioni ed 
enti di natura non pubblicistica. 
48. -Ne consegue che il Trattato, ed in particolare i suoi artt. 59, 60 e 66, pu� 
applicarsi alle attivit� sportive e alle norme adottate dalle associazioni sportive, 
come quelle di cui trattasi nelle cause principali. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

49. -Alla luce di quanto precede e della trattazione svoltasi dinanzi alla Corte, 
� importante verificare se un'attivit� come quella esercitata dalla signora Deli�ge 
possa costituire un'attivit� economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato e, pi� in particolare, 
una prestazione di servizi ai sensi dell'art. 59 dello stesso Trattato. 
50. -Nell'ambito della collaborazione giudiziaria instauratasi attraverso il procedimento 
pregiudiziale tra il giudice nazionale e la Corte, spetta al primo accertare 
e valutare i fatti di causa (v., in particolare, sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, 
Kempf, Racc., 1741, punto 12) e alla Corte fornire al giudice nazionale gli elementi 
interpretativi necessari per consentirgli di statuire sulla lite (sentenza 22 maggio 
1990, causa C-332/88, Alimenta, Racc.; 1-2077, punto 9). 
51. -A questo proposito, � importante constatare innanzi tutto che la sentenza 
di rinvio nella causa C-191/97 menziona in particolare sussidi attribuiti in relazione 
a precedenti risultati sportivi e contratti di sponsorizzazione direttamente connessi 
ai risultati conseguiti dall'atleta. D'altro canto, la signora Deli�ge ha sostenuto 
dinanzi alla Corte, producendo taluni documenti a sostegno delle sue affermazioni, 
che ella aveva percepito, in ragione delle sue prestazioni sportive, sussidi della 
Comunit� francese del Belgio e del comitato olimpico e interfederale belga e che 
ella era stata sponsorizzata da un istituto bancario e da un costruttore di automobili. 
52. -In ordine poi alla nozione di attivit� economica e di prestazione di servizi 
ai sensi, rispettivamente, degli artt. 2 e 59 del Trattato, si deve rilevare che esse 
definiscono la sfera d'applicazione di una delle libert� fondamentali garantite dal 
Trattato e, come tali, non possono venir interpretate restrittivamente (v. in questo 
senso, sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc., 1035, punto 13). 
53. -Per quanto riguarda pi� in particolare la prima di queste nozioni, risulta 
da una giurisprudenza costante (sentenze Don�, cit., punto 12, e 5 ottobre 1988, 
causa 196/87, Steymann, Racc., 6159, punto 10) che una prestazione di lavoro subordinato 
o una prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attivit� 
economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato. 
54. -Tuttavia, come la Corte ha in particolare dichiarato nelle citate sentenze 
Levin (punto 17) e Steymann (punto 13), le attivit� esercitate devono essere 
reali ed effettive e non talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed 
accessorie. 
55. -Quanto alla prestazione di servizi, risulta dall'art. 60, primo comma, del 
Trattato che ai sensi di questa disposizione sono considerate quali servizi le presta. 
zioni fomite normalmente dietro retribuzione, in quanto non siano regolate dalle disposizioni 
relative alla libera circolazione delle merci, dei capitali e delle persone. 

56. -A questo proposito, occorre constatare che le attivit� sportive e, in particolare, 
la partecipazione di un atleta ad alto livello ad una competizione internazionale 
possono comportare la prestazione di diversi servizi distinti, ma stretta

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

142 

mente connessi, che possono rientrare nell'ambito di applicazione dell'art. 59 del 
Trattato anche se taluni di questi servizi non sono pagati da coloro che ne fruiscono 
(v. sentenza 26 aprile 1988, causa 352/85, Bond van Adverteerders e a., Racc., 
2085, punto 16). : 


g 

57. -A mo' d'esempio, l'organizzatore di una siffatta competizione offre all'atfili; 


leta la possibilit� di esercitare la sua attivit� sportiva misurandosi con altri concor


renti e, correlativamente, gli atleti, con la loro partecipazione alla competizione, permettono 
all'organizzatore di produrre uno spettacolo sportivo al quale il pubblico 
pu� assistere, che emittenti di programmi televisivi possono ritrasmettere e che pu� 
interessare quanti intendono inviare messaggi pubblicitari nonch� sponsor. Inoltre, 
l'atleta fornisce ai propri sponsor una prestazione pubblicitaria che trova il suo supporto 
nell'attivit� sportiva in se stessa. 

58. -Infine, per quanto riguarda le obiezioni espresse nelle osservazioni presentate 
dinanzi alla Corte secondo le quali, da un lato, le cause principali riguarderebbero 
una situazione puramente interna e, dall'altro, talune manifestazioni internazionali 
esulerebbero dall'ambito di applicazione territoriale del Trattato, occorre 
ricordare che le disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi 
non sono applicabili ad attivit� che in tutti i loro elementi si collocano all'interno di 
un solo Stato membro (v., da ultimo, sentenze 9 settembre 1999, causa C-108/98, 
RI.SAN., Racc., I-0000, punto 23, e 21 ottobre 1999, causa C-97/98, Jagerskiold, ~ 
Racc., I-0000, punto 42). Tuttavia, un elemento di estraneit� pu� in particolare deri-I_. 
vare dalla circostanza che un atleta partecipi ad una competizione in uno Stato mem-fil 
bro diverso da quello in cui � stabilito. I 
59. -Spetta al giudice nazionale valutare, sulla base di questi elementi interpretativi, 
se le attivit� sportive della signora Deli�ge, ed in particolare la sua partecipazione 
ai tornei internazionali, costituiscano un'attivit� economica ai sensi 
dell'art. 2 del Trattato, e, pi� in particolare, una prestazione di servizi ai sensi dell'art. 
59 dello stesso Trattato. 
60. -Supponendo che l'attivit� della signora Deli�ge possa essere qualificata 
come prestazione di servizi, occorre esaminare se le norme di selezione di cui trattasi 
nelle cause principali costituiscano una restrizione alla libera prestazione dei 
servizi, ai sensi dell'art. 59 del Trattato. 
61. -A questo proposito, si deve rilevare che, a differenza delle norme applicabili 
nella causa Bosman, le norme di selezione controverse nelle cause principali 
non determinano le condizioni di accesso degli sportivi professionisti al mercato del 
lavoro e non contengono clausole di cittadinanza che limitino il numero di cittadini 
di altri Stati membri che possono partecipare ad una competizione. 
62. -La signora Deli�ge, cittadina belga, non sostiene del resto che la scelta 
effettuata dalla LBJ, che non la ha selezionata per partecipare ad un torneo, sia stata 
operata in relazione alla sua cittadinanza. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

63. -Inoltre, come � stato rilevato al punto 44 della presente sentenza, siffatte 
norme di selezione non riguardano un torneo il cui scopo sia quello di mettere a confronto 
squadre nazionali, ma un torneo in cui, un volta selezionati, gli atleti concorrono 
per conto proprio. 
64. -In tale quadro, basta constatare che, se norme di selezione come quelle 
controverse nelle cause principali hanno inevitabilmente l'effetto di limitare il 
numero di partecipanti ad un torneo, tale limitazione ��inerente allo svolgimento di 
una competizione sportiva internazionale ad alto livello, che implica necessariamente 
l'adozione di talune norme o di taluni criteri di selezione. Norme del genere 
non possono quindi essere di per se stesse considerate come configuranti una restrizione 
alla libera prestazione dei servizi vietata dall'art. 59 del Trattato. 
65. -Del resto, l'adozione, ai fini di un torneo sportivo internazionale, di un 
sistema di scelta dei partecipanti rispetto ad un altro dev'essere fondata su un gran 
numero di considerazioni estranee alla situazione personale di un atleta qualsiasi, 
come la natura, l'organizzazione ed il finanziamento dello sport interessato. 
66. -Se un sistema di scelta pu� rivelarsi pi� favorevole nei confronti di una 
categoria di atleti rispetto ad un altro, non si pu� dedurre da questo solo fatto che 
l'adozione di un siffatto sistema costituisca una restrizione alla libera prestazione di 
servizi. 
67. -Pertanto, spetta naturalmente ai soggetti interessati, come gli organizzatori 
dei tornei, le federazioni sportive o ancora le associazioni di atleti professionisti, 
emanare le norme appropriate ed effettuare la selezione in forza di esse. 
68. -A questo proposito, occorre ammettere che l'affidamento di un siffatto 
compito alle federazioni nazionali, in seno alle quali si trovano normalmente riunite 
le conoscenze e l'esperienza necessarie, costituisce il riflesso dell'organizzazione 
adottata nella maggior parte delle discipline sportive, organizzazione che si basa in 
linea di principio sull'esistenza di una federazione in ciascun paese. Inoltre, dev'essere 
rilevato che le norme di selezione controverse nelle cause principali si applicano 
tanto alle competizioni organizzate all'interno della Comunit� quanto ai tornei 
che si svolgono all'esterno di essa e riguardano nel contempo cittadini degli Stati 
membri e cittadini di paesi terzi. 
69. -Si devono pertanto risolvere le questioni sollevate nel senso che una 
norma che imponga ad un atleta professionista o semiprofessionista, o candidato a 
divenir tale, di essere in possesso di un'autorizzazione o di un provvedimento di 
selezione della propria federazione per poter partecipare ad una competizione sportiva 
internazionale ad alto livello in cui non sono in gara squadre nazionali, qualora 
essa discenda da una necessit� inerente all'organizzazione di una siffatta competizione, 
non costituisce di per se stessa una restrizione alla libera prestazione di servizi 
vietata dall'art. 59 del Trattato. 
(omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

144 

II 

(omissis) 

1. -Con ordinanza 23 aprile 1996, pervenuta in cancelleria il 22 maggio 1996, 
il Tribunal de premi�re instance di Bruxelles, statuendo in sede di procedimento 
sommario, ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE (divenuto 
art. 234 CE), una questione pregiudiziale relativa all'interpretazione degli artt. 
6, 48 del Trattato CE (divenuti, in seguito a modifica, artt. 12 CE e 39 CE), 85 e 86 
del Trattato CE (divenuti artt. 81 e 82 CE). 
2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia tra il signor 
Lehtonen e la Castors Canada Dry Namur-Braine ASBL (in prosieguo: la �Castors 
Braine�) da una lato, e la F�d�ration royale belge des soci�t�s de basket-hall ASBL 
(in prosieguo: la �FRBSB�), nonch� la Ligue belge -Belgische Liga ASBL (in prosieguo: 
la �BLB�) dall'altro, in ordine al diritto della Castors Braine di far giocare 
il signor Lehtonen in occasione di partite della serie maggiore del campionato nazionale 
belga di pallacanestro. (omissis) 
La controversia nella causa a qua 

12. -Il signor Lehtonen � un giocatore di pallacanestro avente cittadinanza finI


.li

landese. Durante la stagione 1995/1996, egli ha giocato in una squadra che ha par0 
tecipato al campionato finlandese e, alla fine di quest'ultimo, � stato ingaggiato dalla 

Castors Braine, societ� aderente alla FRBSB, per partecipare alla fase finale del ,

1

campionato del Belgio 1995/1996. A tal fine, le parti hanno stipulato, il 3 aprile 
1996, un contratto di lavoro di �sportivo retribuito�, in forza del quale il signor Lehtonen 
doveva percepire 50.000 BEF netti al mese come retribuzione fissa e 15.000 

I 
BEF supplementari per ogni vittoria della societ�. Tale ingaggio era stato registrato 
il 30 marzo 1996 presso la FRBSB, poich� la lettera di uscita del giocatore era stata 

I 

rilasciata il 29 marzo 1996 dalla federazione di provenienza. Il 5 aprile 1996, la 
FRBSB ha informato la Castors Braine che, se la Fiba non avesse rilasciato la licenza, 
la societ� sarebbe stata passibile di sanzioni e che, nel caso in cui essa avesse 
schierato in campo il signor Lehtonen, lo avrebbe fatto a suo rischio e pericolo. 

I 

13. -Nonostante tale avvertimento, la Castors Braine ha fatto giocare il signor 
Lehtonen nel corso della partita del 6 aprile 1996, giocata contro la squadra della 
societ� Belgacom Quaregnon. Questa partita � stata vinta dalla Castors Braine. L' 11 
aprile 1996, a seguito di una denuncia presentata dalla societ� Belgacom Quaregnon, 
la sezione �competizione� della FRBSB ha sanzionato la Castors Braine 
infliggendole una sconfitta �a tavolino� con il punteggio di 0-20 per la partita alla 
quale il signor Lehtonen aveva partecipato, in violazione delle disposizioni del regolamento 
della Fiba attinenti ai trasferimenti dei giocatori all'interno della zona europea. 
Nella partita seguente, contro la squadra della societ� Pepinster, la Castors Braine 
ha iscritto il signor Lehtonen sul foglio di gara, ma alla fine non l'ha fatto 
giocare. Essa � stata nuovamente assoggettata alla sanzione della sconfitta �a tavo

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

lino�. Correndo il rischio di subire nuove sanzioni di squalifica ad ogni iscrizione 
del signor Lehtonen sul foglio di gara, o addirittura di vedersi relegare nella divisione 
inferiore in caso di terza squalifica, la Castors Braine ha rinunciato alle prestazioni 
del signor Lehtonen per le partite di play-off. 

14. -Il 16 aprile 1996, il signor Lehtonen e la Castors Braine hanno citato la 
FRBSB dinanzi al Tribunal de premi�re instance di Bruxelles, in sede di procedimento 
sommario. Essi hanno chiesto, in sostanza, che venisse ingiunto alla FRBSB 
di revocare la sanzione di squalifica inflitta alla Castors Braine per la partita del 6 
aprile 1996 contro la societ� Belgacom Quaregnon e che le fosse vietato di irrogare 
nei suoi confronti qualsiasi sanzione te~;a ad impedirle di far partecipare il signor 
Lehtonen al campionato del Belgio 1995/1996, comminandosi una penale di 
100.000 BEF per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione dell'ordinanza. 
15. -Con accordo del 17 aprile 1996, le parti della causa a qua hanno convenuto 
di presentare �conclusioni concordi� con le quali esse avrebbero sollecitato un 
rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, congelando la situazione controversa nel1'
attesa della futura sentenza di quest'ultima. Pertanto, le sanzioni di squalifica 
sarebbero state mantenute, sarebbe stato sospeso il giudizio circa le sanzioni pecuniarie 
inflitte alla Castors Braine e quest'ultima si sarebbe astenuta dallo schierare 
in campo il signor Lchtonen nel corso delle partite di play-off, restando per il resto 
salvi i diritti delle parti. 
16. -Durante l'udienza del 19 aprile 1996, la BLB ha presentato una domanda 
di intervento volontario a sostegno della FRBSB e le parti hanno presentato le loro 
conclusioni concordi. 
La questione pregiudiziale 

17. -Nella sua ordinanza 23 aprile 1996, il giudice dell'urgenza del Tribunal de 
premi�re instance di Bruxelles ha innanzi tutto rilevato che nulla ostava a che esso 
sottoponesse una domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia. Esso ha 
poi considerato che, al momento della proposizione dell' az�one, il presupposto del1 
'urgenza era sicuramente soddisfatto, in quanto la Castors Braine intendeva schierare 
in campo il signor Lehtonen per le successive partite di campionato. Infine, esso 
ha preso atto dell'accordo intervenuto tra le parti al fine di consentire il rinvio pregiudiziale 
alla Corte, accordo ai sensi del quale la Castors Braine si sarebbe astenuta 
dallo schierare in campo il signor Lehtonen per tutta la durata del campionato in 
corso, mentre la FRBSB si impegnava, dal canto suo, a sospendere ogni sanzione. 
18. -Pertanto, il Tribunal de premi�re instance di Bruxelles, dopo aver preso 
atto dell'intervento volontario della BLB, ha deciso di sospendere il giudizio e di 
sottoporre alla Corte la questione pregiudiziale seguente: 
�Se siano compatibili con il Trattato di Roma (e specialmente con gli artt. 6, 
48, 85 e 86) le disposizioni regolamentari di una federazione sportiva che vietano 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

146 

ad una societ� di schierare in campo per la prima volta un giocatore in una competizione 
se esso � stato ingaggiato dopo una certa data, qualora si tratti di un giocatore 
professionista cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea, nonostante 
le ragioni di carattere sportivo invocate dalle federazioni per giustificare 
le dette disposizioni, vale a dire la necessit� di non falsare le competizioni�. 

(omissis) 

Nel merito 

31. -Alla luce di quanto precede, la questione sollevata dev'essere intesa come 
diretta sostanzialmente a stabilire se gli artt. 6 e 48 del Trattato ostino all'applicazione 
di norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino 
ad una societ� di pallacanestro di schierare in campo, in occasione di partite del 
campionato nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri qualora il trasferimento 
sia avvenuto dopo una certa data. 
Sulla sfera di applicazione del Trattato 

32. -In via preliminare, si deve ricordare che, considerati gli obiettivi della 
Comunit�, l'attivit� sportiva � disciplinata dal diritto comunitario in quanto sia configurabile 
come attivit� economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato (divenuto, in 
seguito a modifica, art. 2 CE) (v. sentenze 12 dicembre 1974, causa 36/74, Walrave 
e Koch, Racc., 1405, punto 4, e 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc., 
I-4921, punto 73). La Corte ha d'altra parte riconosciuto che l'attivit� sportiva presenta 
una notevole importanza sociale nella Comunit� (v. sentenza Bosman, cit., 
punto 106). 
33. -Tale giurisprudenza � peraltro confortata dalla dichiarazione n. 29 sullo 
sport, figurante in allegato all'atto finale della conferenza che ha adottato il testo del 
Trattato di Amsterdam, la quale sottolinea la rilevanza sociale dello sport ed invita 
segnatamente gli organi dell'Unione europea a riservare un'attenzione particolare 
alle caratteristiche specifiche dello sport dilettantistico. In particolare, tale dichiarazione 
� coerente con la detta giurisprudenza in quanto essa riguarda le situazioni in 
cui l'esercizio dello sport costituisce un'attivit� economica. 
34. -Occorre ricordare che le norme del Trattato in materia di libera circolazione 
delle persone non ostano a normative o prassi che escludano i calciatori stranieri 
da determinati incontri per motivi non economici, attinenti al carattere e all'ambito 
specifici di tali partite e che quindi hanno natura prettamente sportiva, come, ad 
esempio, nel caso di incontri fra le rappresentative di paesi diversi. La Corte ha sottolineato, 
per�, che tale restrizione della sfera d'applicazione del Trattato deve restare 
entro i limiti del suo oggetto specifico e non pu� essere fatta valere per escludere 
da tale sfera un'intera attivit� sportiva (sentenze 14 luglio 1976, causa 13/76, Don�, 
Racc., 1333, punti 14 e 15, e Bosman, cit., punti 76 e 127). 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

147 

35. -Per quanto riguarda la natura delle norme controverse nella causa principale, 
risulta dalle citate sentenze Walrave e Koch, punti 17 e 18, e Bosman, punti 82 
e 83, che le disposizioni comunitarie in materia di libera circolazione delle persone 
e di libera prestazione dei servizi non disciplinano soltanto gli atti delle autorit� pubbliche, 
ma si estendono anche alle normative di altra natura dirette a disciplinare collettivamente 
il lavoro subordinato e le prestazioni di servizi. Infatti, l'abolizione fra 
gli Stati membri degli ostacoli alla libera circolazione delle persone ed alla libera 
prestazione dei servizi sarebbe compromessa se l'eliminazione delle limitazioni stabilite 
da norme statali potesse essere neutralizzata da ostacoli derivanti dall'esercizio 
dell'autonomia giuridica di associazioni ed enti di natura non pubblicistica. 
36. -Pertanto, si deve constatare che il Trattato, ed in particolare i suoi artt. 6 
e 48, possono essere applicati ad attivit� sportive ed a regole emanate dalle associazioni 
sportive come quelle di cui trattasi nella causa a qua. 
Sul principio di non discriminazione in base alla cittadinanza 

37. -Occorre ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante, 
l'art. 6 del Trattato, che sancisce il principio generale del divieto di discriminazioni 
fondate sulla nazionalit�, tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni 
disciplinate dal diritto comunitario per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche 
di non discriminazione (v., segnatamente, sentenze 10 dicembre 1991, causa 
C-179/90, Merci convenzionali porto di Genova, Racc., 1-5889, punto 11, e 14 
luglio 1994, causa C-379/92, Peralta, Racc., I-3453, punto 18). 
38. -Ora, per quel che riguarda i lavoratori subordinati, questo principio � stato 
attuato in concreto dall'art. 48 del Trattato. 
Sull'esistenza di un 'attivit� economica e sulla qualit� di lavoratore del signor Lehtonen 

39. -Alla luce di quanto precede e della trattazione svoltasi dinanzi alla Corte, 
occorre verificare se un giocatore di pallacanestro come il signor Lehtonen possa esercitare 
un'attivit� economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato e, pi� in particolare, se egli 
possa essere considerato come un lavoratore ai sensi dell'art. 48 dello stesso Trattato. 
40. -Nell'ambito della collaborazione giudiziaria instauratasi attraverso il procedimento 
pregiudiziale fra il giudice nazionale e la Corte, spetta al primo accertare 
e valutare i fatti di causa (v., in particolare, sentenza 3 giugno 1986, causa 139/85, 
Kempf, Racc., 1741, punto 12) ed alla Corte fornire al giudice nazionale gli elementi 
interpretativi necessari per consentirgli di statuire sulla lite (sentenza 22 maggio 
1990, causa C-332/88, Alimenta, Racc., 1-2077, punto 9). 
41. -A questo proposito, � importante ricordare innanzi tutto che l'ordinanza 
di rinvio definisce il signor Lehtonen come un giocatore professionista di pallacanestro. 
Quest'ultimo e la Castors Braine hanno prodotto dinanzi alla Corte il con

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

148 

tratto di lavoro �sportivo retribuito� di cui al punto 12 della presente sentenza, contratto 
che prevedeva il pagamento di una retribuzione mensile fissa e di premi. 

42. -Per quanto riguarda poi le nozioni di attivit� economica e di lavoratore ai 
sensi rispettivamente degli artt. 2 e 48 del Trattato, occorre rilevare che esse definiscono 
la sfera d'applicazione di una delle libert� fondamentali garantite dal Trattato 
e come tali non possono venir interpretate restrittivamente (v., in tal senso, sentenza 
23 marzo 1982, causa 53/81, Levin, Racc., 1035, punto 13). 

43. -Per quanto riguarda pi� in particolare la prima di tali nozioni, risulta da 
una giurisprudenza costante (sentenze Don�, cit., punto 12, e 5 ottobre 1988, causa 
196/87, Steymann, Racc., 6159, punto 10) che una prestazione di lavoro subordinato 
o una prestazione di servizi retribuita dev'essere considerata come attivit� economica 
ai sensi dell'art. 2 Trattato. 
44. -Tuttavia, come la Corte ha in particolare dichiarato nelle citate sentenze 
Levin, punto 17, e Steymann, punto 13, le attivit� esercitate devono essere reali ed 
effettive e non talmente ridotte da potersi definire puramente marginali ed accessorie. 
45. -Per quanto riguarda la nozione di lavoratore, occorre ricordare che, in 
forza di una giurisprudenza costante, essa non pu� essere interpretata in vario modo, 6 
con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma ha portata comunitaria. Tale nozione fil 
dev'essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro 

I

sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate. Ora, la caratteristica 
essenziale del rapporto di lavoro � la circostanza che una persona fornisca, per I 
un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, 

II prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione (v., segnatamente, 
sentenza 3 luglio 1986, causa 66/85, Lawrie-Blum, Racc., 2121, punti 16 e 17). 

46. -Ora, dagli accertamenti di fatto compiuti dal giudice a quo, nonch� dai 
documenti prodotti dinanzi alla Corte, risulta che il signor Lehtonen aveva stipulaili 
to un contratto di lavoro con una societ� di un altro Stato membro per esercitare 
un'attivit� retribuita nel territorio di tale Stato. Come ha giustamente osservato il 
ricorrente nella causa a qua, egli ha, ci� facendo, risposto ad un'offerta di lavoro 
I 

effettiva ai sensi dell'art. 48, n. 3, lett. a), del Trattato. 

Sull'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori 

4 7. -Poich� un giocatore di pallacanestro come il signor Lehtonen deve essere 
qualificato come lavoratore ai sensi dell'art. 48 del Trattato, occorre accertare se le 
norme relative ai termini di trasferimento di cui ai punti 6 e 9-11 della presente sentenza 
costituiscano un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori, vietato dalla 
stessa nmma. 
48. -Vero �, al riguardo, che ai giocatori provenienti da un'altra societ� di pallacanestro 
belga si applicano termini di trasferimento pi� rigorosi. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

49. -Non � meno vero che tali norme sono idonee a limitare la libera circolazione 
dei giocatori che vogliono svolgere la loro attivit� in un altro Stato membro 
poich� impediscono alle societ� belghe di schierare in campo, nelle partite di campionato, 
giocatori di pallacanestro provenienti da altri Stati membri qualora essi 
siano stati ingaggiati dopo una certa data. Di conseguenza, le dette norme costituiscono 
un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori (v., in tal senso, sentenza 
Bosman, cit., punti 99 e 100). 
50. -Il fatto che le norme di cui trattasi non riguardino l'ingaggio dei detti giocatori, 
che non � limitato, ma la possibilit�, per le societ� cui appartengono, di farli 
scendere in campo nelle partite ufficiali � irrilevante. Poich� la partecipazione a tali 
incontri costituisce l'oggetto essenziale dell'attivit� di un calciatore professionista, 
� evidente che una norma che limiti detta partecipazione incide anche sulle possibilit� 
d'ingaggio del giocatore interessato (v, sentenza Bosman, cit., punto 120). 
Sul!' esistenza di giustificazioni 

51. -Essendo stata cos� accertata l'esistenza di un ostacolo alla libera circolazione 
dei lavoratori, occorre verificare se quest'ultimo possa essere obiettivamente 
giustificato. 
52. -La FRBSB e la BLB, cos� come tutti i governi che hanno presentato osservazioni 
dinanzi alla Corte, sostengono che le norme relative ai termini di trasferimento 
sono giustificate da motivi non economici, attinenti unicamente allo sport in 
s� e per s�. 
53. -Al riguardo, si deve riconoscere che la fissazione di termini per i trasferimenti 
di giocatori pu� rispondere all'obiettivo di assicurare la regolarit� delle competizioni 
sportive. 
54. -Infatti, trasferimenti tardivi potrebbero modificare sensibilmente il valore 
sportivo dell'una o dell'altra squadra nel corso del campionato, rimettendo cos� in 
discussione la comparabilit� dei risultati tra le diverse squadre impegnate in tale campionato 
e, di conseguenza, il regolare svolgimento del campionato nel suo insieme. 
55. -Il rischio di una simile rimessa in discussione � particolarmente evidente 
nel caso di una competizione sportiva che si svolga secondo le regole del campionato 
nazionale belga di pallacanestro di prima divisione. Infatti, le squadre ammesse a 
partecipare alle partite di play-ojfo chiamate a disputare le partite di play-out potrebbero 
approfittare di trasferimenti tardivi per rafforzare i propri effettivi in vista della 
fase finale del campionato, o persino in occasione di un unico incontro decisivo. 
56. -Tuttavia, le misure adottate dalle federazioni sportive per garantire il regolare 
svolgimento delle competizioni non devono eccedere quanto necessario per 
conseguire lo scopo perseguito (v. sentenza Bosman, cit., punto 104). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

150 

57. -Nella causa a qua, risulta dalle norme relative ai termini di trasferimento 
che i giocatori provenienti da una federazione non appartenente alla zona europea 
sono assoggettati al termine del 31 marzo e non a quello del 28 febbraio, che si 
applica ai soli giocatori provenienti da una federazione della zona europea, la quale 
comprende le federazioni degli Stati membri. 
58. -A prima vista, una siffatta disciplina dev'essere considerata eccedente 
quanto necessario per conseguire lo scopo perseguito. Infatti, dai documenti prodotti 
agli atti non risulta che il trasferimento, tra il 28 febbraio e il 31 marzo, di 
un giocatore proveniente da una federazione della zona europea presenti rischi 
maggiori per la regolarit� del campionato rispetto al trasferimento, durante lo 
stesso periodo, di un giocatore proveniente da una federazione non appartenente 
a detta zona. 
59. -Tuttavia, spetta al giudice nazionale verificare in che misura ragioni obiettive, 
attinenti unicamente allo sport in s� e per s� o relative a differenze esistenti tra 
la situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente alla zona 
europea e quella dei giocatori provenienti da una federazione non appartenente a 
detta zona, giustifichino una simile disparit� di trattamento. 
60. -Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere la 
questione sollevata, come riformulata, nel senso che l'art. 48 del Trattato osta all'applicazione 
di norme emanate in uno Stato membro da associazioni sportive che vietino 
ad una' societ� di pallacanestro di schierare in campo, in occasione delle partite 
del campionato nazionale, giocatori provenienti da altri Stati membri che siano 
stati trasferiti dopo una certa data qualora tale data sia precedente a quella che si 
applica ai trasferimenti di giocatori provenienti da taluni Paesi terzi, a meno che 
ragioni obiettive, attinenti unicamente allo sport in s� e per s� o relative a differenze 
esistenti tra la situazione dei giocatori provenienti da una federazione appartenente 
alla zona europea e quella dei giocatori provenienti da una federazione non 
appartenente alla detta zona, non giustifichino una simile disparit� di trattamento. 
(omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, sez. 6�, 11 maggio 
2000, nella causa C-37/98 -Pres. Schintgen -Avv. Gen. La Pergola -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Hight Court ofJustice (England & 
Wales) nel processo the Queen e Secretary of State for the Home Department c. 
Abdulnasir Savas -Interv.: Governo Regno Unito, tedesco, ellenico, francese, 
italiano (avv. Stato Quadri), e Commissione C.E. 

Comunit� Europee -Diritto di stabilimento e di soggiorno -Associazione CEE 
-Turchia -Effetto diretto. 
(Accordo 12 settembre 1963 tra Turchia, Stati membri e CEE; decisione Consiglio 23 

dicembre 1963, 64/732/CEE, art. 11\3; Protocollo addizionale 23 novembre 1970, regolamento 
CEE 19 settembre 1972, n. 2760, art. 41,1). 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

151 

L'art. 13 del! 'Accordo che crea un 'associazione tra la Comunit� economica 
europea e la Turchia, sottoscritto ad Ankara il 12 settembre 1963 dalla Repubblica 
di Turchia, da un lato, nonch� dagli Stati membri della CEE e dalla Comunit� dal!'
altro, e concluso, approvato e confermato a nome della Comunit� mediante la deci-� 
sione del Consiglio 23 dicembre 1963, 641732/CEE, e l'art. 41, n. 2, del protocollo 
addizionale, sottoscritto il 23 novembre 1970 a Bruxelles e concluso, approvato e 
confermato a nome della Comunit� mediante il regolamento (CEE) del Consiglio 19 
settembre 1972, n. 2760, non costituiscono disposizioni di diritto comunitario direttamente 
applicabili nel!' ordinamento giuridico interno degli Stati membri. 

L'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale ha effetto diretto negli Stati membri. 

Il detto art. 41, n. 1, non � di per s� tale da conferire ad un cittadino turco un 
diritto di stabilimento e, correlativamente, un diritto di soggiorno nello Stato 
membro sul territorio nel quale egli ha risieduto e ha esercitato attivit� lavorative 
come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia 
di immigrazione. 

Invece, l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale vieta l'introduzione di nuove 
restrizioni nazionali alla libert� di stabilimento e al diritto di soggiorno dei cittadini 
turchi a partire dalla data di entrata in vigore del detto protocollo nello Stato membro 
ospitante. Spetta al giudice nazionale interpretare il diritto interno per determinare 
se la normativa applicata al ricorrente nella causa a qua sia meno favorevole a 
quella applicabile al momento dell'entrata in vigore del protocollo addizionale (1). 

(1) Cittadini provenienti da paesi terzi e diritto di stabilimento. 
La sentenza in commento affronta la delicata questione della diretta applicabilit� delle 
nonne contenute nell'Accordo di Associazione CEE -Turchia -sottoscritto ad Ankara il 12 settembre 
1963 ed approvato dal Consiglio con decisione 23 dicembre 1963 n. 64/732/CEE -e nel 
protocollo addizionale, approvato con regolamento del Consiglio 19 settembre 1972, n. 2760. 
Le nonne che formano oggetto di interpretazione da parte della Corte sono l'art. 13 del1'
Accordo e l'art. 41 del protocollo. 
L'art. 13 cos� recita: �Le Parti Contraenti convengono d'ispirarsi agli articoli da 52 a 56 
incluso e all'articolo 58 del Trattato che istituisce la Comunit� per eliminare tra loro le restrizioni 
alla libert� di stabilimento�. 
L'art. 41, co. 1, cos� dispone: �Le parti contraenti si astengono dall'introdurre tra loro nuove 
restrizioni alla libert� di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi�. 
Il caso sottoposto alla Corte riguarda due cittadini turchi, autorizzati ad entrare nel Regno 
Unito in qualit� di turisti per un solo mese, con il diritto di esercitare attivit� commerciali o di 
lavoro autonomo ed ivi stabilitisi, in situazione irregolare secondo l'Immigration Act britannico, 
con lo scopo di esercitare un'attivit� lavorativa autonoma. 
Di fronte al rifiuto delle autorit� britanniche di concedere l'autorizzazione a soggiornare ed, 
anzi, in presenza di un provvedimento di espulsione, essi ricorrono al giudice nazionale per far 
dichiarare l'illegittimit� del comportamento dell'Home Department e l'applicazione in via diretta 
delle nonne dell'Accordo di Associazione che riconoscerebbe loro un diritto di stabilimento 
equivalente a quello che vantano i lavoratori degli Stati membri ai sensi degli artt. 43 (ex art. 52) 
e ss. del Trattato UE. 
Di qui nasce l'esigenza per il giudice nazionale di provocare una pronuncia pregiudiziale 
della Corte di Giustizia di interpretazione delle nonne dell'accordo, mediante la sottoposizione 
dei quesiti che si leggono nella sentenza. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

152 

(omissis) 
Le questioni pregiudiziali 


36. -Ritenendo pertanto che la soluzione della controversia dipendesse dall'interpretazione 
dell'accordo di associazione, la High Court of Justice (England & 
Wales), Queen's Bench Division, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre 
alla Corte le sei questioni pregiudiziali seguenti: 
�1) Se l'accordo di associazione tra la Comunit� economica europea e la Turchia 
firmato ad Ankara il 12 settembre 1963, unitamente al protocollo addizionale a 
detto accordo firmato a Bruxelles il 23 novembre 1970 vada interpretato nel senso 

I che conferisce diritti a un cittadino turco che � a) entrato o b) rimasto nel territorio 
di uno Stato membro in violazione della legge sull'immigrazione di detto Stato 
membro. 

Va anzitutto osservato come la Corte neanche si soffermi sulla questione della competenza 
a pronunciarsi sull'interpretazione degli accordi di associazione approvati dalla Comunit�. Essa 
�, invero, ormai definitivamente risolta in base ad una costante giurisprudenza (1), secondo la 
quale le disposizioni di un accordo concluso dal Consiglio in base agli artt. 300 (ex 228) e 310 
(ex 238) del Trattato sono parte integrante del diritto comunitario, particolarmente per quanto 
attiene la libera circolazione dei lavoratori ed il diritto di stabilimento, settori disciplinati dal 
Trattato e che rientrano pertanto nella competenza della Comunit� in forza dell'art. 31 O(ex 23 8). 
Di conseguenza, nell'ambito dell'ordinamento comunitario che viene ad essere integrato dalle 
norme dell'accordo, la Corte � competente a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla sua interpretazione. 


Occorre poi segnalare che norme di contenuto analogo a quelle interpretate nella sentenza 
SAVAS e facenti parte di altri accordi di associazione (CEE-Bulgaria, CEE-Polonia, CEE-Repubblica 
Ceca) sono state pure sottoposte, sotto profili solo parzialmente diversi da quelli considera


ti nella decisione in commento, dallo stesso giudice britannico alla Corte. 

Sulla loro interpretazione si attende la pronuncia del giudice comunitario (2). 

Venendo alle questioni affrontate dalla Corte, esse possono riassumersi, da una parte, nella 
conferma dei principi generali gi� accolti in passato circa l'efficacia diretta delle disposizioni contenute 
nell'accordo di associazione e, dall'altra, nella affermazione della limitazione delle norme 
di favore cui venga riconosciuta efficacia diretta ai soli casi di ingresso e permanenza legale in 
uno Stato, con conseguente riconoscimento della competenza degli Stati membri in materia di 
regolamentazione dell'ingresso e del soggiorno nel loro territorio. 

Sul primo punto, concernente i requisiti che le disposizioni devono rivestire affinch� ad esse 
possa essere riconosciuta efficacia diretta nei singoli ordinamenti e, quindi, diretta invocabilit� 
dei diritti da esse nascenti dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato membro, la Corte 
riprende i principi gi� affermati nella sentenza SOR�L (3), secondo cui pu� considerarsi direttamente 
efficace una disposizione che, in base al suo tenore letterale ed allo scopo ed alla natura 
dell'accordo, implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano subordinati 
all'adozione di alcun atto ulteriore. 

(1) Sent. 30 aprile 1974 in causa C-181/73, HALGEMAN, Racc., 1974, I-449; sent. 30 settembre 1987 in causa 
C-12/86, DEMIVEL, Racc., I-3747; sent. 20 settembre 1990 in causa C-192/89, SEVINCE, Racc., I-3497. 
(2) Sono le cause C-235/99, C-63/99 e C-257/99, in cui risultano gi� depositate le conclusioni del!' Avvocato 
Generale, che appaiono in linea con la giurisprudenza SAVAS. 
(3) Sent. 4 maggio 1999 in causa C-262/96, SOROL, Racc., I-2685, oltre che in sentenze DEMIREL e SEVINCE, citt. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZ�ONALE 

153 

2) Qualora la soluzione dell'uno o dell'altro punto della prima questione sia 
affermativa, se a) l'art. 13 dell'Accordo o b) l'art. 41 del protocollo addizionale 
abbia effetto diretto negli ordinamenti giuridici nazionali degli Stati membri. 

3) Se l'accordo, unitamente al protocollo addizionale osti all'applicazione, da 
parte di uno Stato membro, di una norma della propria legislazione nazionale che 
nega ad un cittadino turco l'autorizzazione a soggiornare nel territorio di detto Stato 
membro per il solo motivo che il suo permesso di ingresso o di soggiorno nel predetto 
territorio � scaduto. 

Dalla natura meramente programmatica della norma di cui all'art. 13, contenente un principio 
di graduale eliminazione delle restrizioni alle libert� di stabilimento, senza la previsione di 
regole precise che abbiano per scopo il raggiungimento di tale eliminazione, la Corte fa discen~ 
dere l'esclusione della sua efficacia diretta. 

A conclusioni opposte, seguendo lo stesso ragionamento, la Corte giunge invece nell'interpretazione 
dell'art. 41, n. 1 del protoc�llo addizionale che, contenendo una clausola di standstill 
dal contenuto chiaro, preciso e non abbisognevole di alcun ulteriore atto applicativo, comporta, 
in effetti, una proibizione formale non dissimile da quella che l'art. 53 del Trattato (abrogato dal 
Trattato di Amsterdam) imponeva agli Stati membri e che poteva essere direttamente invocata nei 
loro confronti dai cittadini. 

Ne consegue che l'obbligo di astensione dall'introduzione di restrizioni alla libert� di stabilimento 
ed alla libera prestazione dei servizi pu� essere fatto valere direttamente dai soggetti che 
ne abbiano diritto dinanzi ai giudici nazionali. 

Rimane l'ulteriore -ed anzi prioritaria -questione di quali siano i soggetti in favore dei 
quali la disposizione possa essere direttamente invocata. 

La tesi prospettata dal Signor Savas era che l'art. 41 n. 1 facesse nascere in capo a cittadini turchi 
che svolgessero una attivit� di lavoro autonomo il diritto di stabilimento e che, di conseguenza, 
questo implicasse il diritto a vedersi riconoscere il titolo in base al quale soggiornare legalmente. 

Del tutto opposta era invece la tesi affermata dagli Stati intervenuti, tra cui l'Italia, e dalla 
Commissione, che sostenevano in maniera compatta -a prescindere da alcune difformit� di 
vedute in materia di efficacia diretta dell'art. 41 -la necessit� di un ingresso e di un soggiorno 
regolare ai. sensi delle leggi nazionali in materia. 

A tale impostazione ha aderito la Corte che, ispirandosi anche a propri precedenti (4) 
ha ribadito che le disposizioni di favore contenute nell'Accordo presuppongono una situazione 
stabile, non precaria e, soprattutto, legale in capo a chi intenda avvalersene, valutata ai 
sensi della normativa dello Stato ospite, che disciplina le condizioni di ingresso e di soggiorno 
del cittadino del paese terzo nel territorio nazionale. Va dunque respinta secondo la Corte 
l'ipotesi che un ingresso od un soggiorno illegali -o, addirittura, fraudolenti -possano 
essere superati in virt� della pretesa applicazione della norma sullo stabilimento contenuta 
nell'accordo. 

Dalla sentenza emerge il perdurare della sostanziale diversit� di trattamento tra i cittadini 
comunitari -cui si applicano, direttamente, le norme del Trattato in materia di libera circolazione 
di lavoratori e di diritto di stabilimento -e cittadini di paesi con cui la Comunit� abbia 
concluso accordi di associazione implicanti un trattamento pi� favorevole rispetto ad altri paesi 
terzi. Non � un caso, tra l'altro, che detti accordi siano stati stipulati proprio con paesi il cui 
ingresso nell'U.E. � atteso per il 2003. 

(4) Sent. SEVINCE, cit.; sent. 16 dicembre 1992 in causa C-237/91, Kus, in Racc., I-6807; sent. 6 giugno 1995 
in causa C-434/93, BozKURT, in Racc., I-1492. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

154 

4) Se l'autorit� competente di uno Stato membro, qualora esamini, nell'esercizio 
del proprio potere discrezionale, nonostante le disposizioni della legge nazionale, 
una domanda presentata da un cittadino turco per rimanere nel territorio di 
detto Stato, debba prendere in considerazione l'esistenza dell'accordo, unitamente 
al protocollo addizionale. 

5) Qualora la soluzione della questione n. 4 sia affermativa, se l'autorit� competente 
dello Stato membro sia tenuta a prendere in considerazione il principio di 
proporzionalit� nell'esercizio del proprio potere discrezionale. 

Rimane inoltre ribadito il principio che la materia dell'immigrazione dei cittadini appartenenti 
a paesi terzi rientra nella competenza degli Stati membri, in quanto facente parte della �giurisdizione 
domestica� ed attinente all'ordine ed alla sicurezza pubblica (5). 

A ci� si aggiunga che diversi accordi di associazione (CEE-Bulgaria, CEE-Polonia, CEERepubblica 
Ceca) contengono apposite disposizioni che espressamente consentono di applicare 
le rispettive leggi in materia di ingresso e soggiorno, con ci� confermando che i benefici attinenti 
lo stabilimento non si estendono all'ingresso ed al soggiorno regolati dalle leggi nazionali. N� 
ammettere la legittimit� del diniego di permesso di soggiorno a causa di un ingresso o di una per


I manenza illegale comporta la vanificazione o la compromissione dei benefici spettanti ai sensi 
dell'accordo, posto che questi non possono presupporre una situazione di illegalit�. 

� da segnalare inoltre, a conferma della competenza degli Stati nella materia dell'ingresso 

I

e del soggiorno, che l'art. 18 del Trattato UE nel testo modificato dal Trattato di Nizza (6) esclu~ 
de l'applicazione della norma sui poteri del Consiglio di adottare disposizioni volte a facilitare 

II

l'esercizio del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell'Unione quanto alle 
norme concernenti i passaporti, le carte d'identit�, i permessi di soggiorno o tutti gli altri documenti 
assimilati ovvero quelle concernenti la sicurezza sociale o la protezione sociale. 

Non va, tuttavia, sottaciuto che il diritto comunitario riconosce speciali prerogative 
anche a cittadini di paesi terzi che si trovino in determinate condizioni. � il caso delle direttive 
90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE concernenti il soggiorno di cittadini comunitari, 

I 

recepite in Italia con Decreto legislativo 2 agosto 1999 n. 358 che, a correzione e modifica del 
decreto legislativo 26 novembre 1992 n. 470, riconosce, all'art. 5-bis, il diritto al soggiorno 

I

nel territorio dello Stato membro al coniuge e ai discendenti del cittadino di uno Stato membro 
che abbia svolto attivit� lavorativa all'interno dell'Unione, quale che sia la loro cittadinanza 
purch� si trovino nelle condizioni previste. In tal modo viene riconosciuto anche a cittadini 
provenienti da paesi terzi il diritto a stabilirsi con il familiare cittadino di uno Stato 
membro occupato sul territorio di un altro Stato membro e ad accedere a qualsiasi attivit� subordinata 
(7). 

Anche in questi casi, tuttavia, lo Stato membro pu� imporre un visto di ingresso, con l'obbligo 
di facilitarne il conseguimento ed un documento di soggiorno, diverso da quello del cittadino 
comunitario, ma equivalente quanto alla sua validit�. 

(5) Va segnalata, a riguardo, la sentenza della Corte di Giustizia 30 aprile 1998 in causa C-24/97, Commissione 
c. Repubblica federale di Germania, in cui lo Stato � stato condannato per avere riservato ai cittadini di altri 
Stati membri soggiornanti in territorio tedesco un trattamento sproporzionalmente diverso, per quanto riguarda il 
grado di colpa e le ammende irrogabili, da quello applicato ai propri cittadini per il caso di violazione dell'obbligo 
di essere in possesso di un documento d'identit� valido. Nella stessa sentenza la Corte ha tuttavia affermato la conformit� 
col diritto comunitario dei controlli sull'osservanza dell'obbligo di essere muniti di un titolo di soggiorno, 
purch� lo stesso obbligo sussista per i cittadini che debbono esibire la carta d'identit�. 
(6) Si fa riferimento al testo provvisorio approvato dalla Conferenza intergovernativa sulle riforme istituzionali. 
(7) ORNELLA PORCHIA, Libera circolazione delle persone, in: Da Schengen a Maastricht, a cura di BRUNO 
NASCIMBENE, Milano, 1995, 131 e ss. 

... 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

155 

6) Qualora la soluzione della questione n. 5 sia affermativa, quali fattori debbano 
venir presi in considerazione dall'autorit� nazionale competente nel determinare 
se il provvedimento di espulsione � proporzionato�. 

Sulle prime tre questioni 

3 7. -Con le sue prime tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il 
giudice a quo chiede in sostanza se gli artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 del 
protocollo addizionale siano tali da conferire ad un cittadino turco un diritto di stabilimento, 
con un correlativo diritto di soggiorno, nello Stato membro sul territorio 
del quale egli ha risieduto ed ha esercitato attivit� lavorative come lavoratore autonomo 
in violazione della normativa nazionale in materia di immigrazione. 
38. -Al fine di risolvere utilmente tali questioni cos� riformulate, occorre esaminare 
anzitutto se le disposizioni alle quali esse fanno riferimento possano essere 
fatte valere da un singolo dinanzi ad un giudice nazionale e, in caso affermativo, 
determinare poi la loro portata. 
Inoltre, l'abbattimento delle frontiere interne conseguito agli Accordi di Schengen ha reso 
pressante l'esigenza di un'azione comunitaria in materia di irnrnigrazione dai paesi terzi. Il terna 
non � nuovo ed � stato, anzi, oggetto di numerose proposte della Commissione (8) che se ne � 
occupata nell'ambito del rafforzamento della cooperazione nei settori connessi alla sicurezza 
interna ed alla realizzazione degli obiettivi sociali delle Comunit�, particolarmente il rnigliorarnento 
delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera. 

Il fondamento della competenza comunitaria in materia � stato individuato nell'art. 94 (ex 
100) del trattato, che prevede, corne norma di chiusura del sistema, la possibilit� per il Consiglio 
di emanare all'unanimit�, su proposta della Cornrnissione e previa consultazione del Parlamento 
europeo e del Comitato economico e sociale, direttive volte al ravvicinamento delle legislazioni 
degli Stati rnernbri che abbiano un'incidenza diretta sull'instaurazione o sul funzionamento del 
mercato comune (9). 

Un breve cenno merita, infine, il riconoscimento della libert� di circolazione e di soggiorno ai 
cittadini di paesi terzi contenuto nella Carta dei diritti proclamata durante la Conferenza di Nizza. 

L'art. 45 della Carta, dopo aver stabilito al p. 1 che �ogni cittadino dell'Unione ha il diritto 
di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati rnernbri� prosegue disponendo 
al p. 2 che �la libert� di circolazione e di soggiorno pu� essere accordata, conformemente al Trattato 
che istituisce la Comunit� europea, ai cittadini dei paesi terzi che risiedano legalmente nel 
territorio di uno Stato rnernbrm>. 

Presupposto per il riconoscimento delle libert� di circolazione e soggiorno �, dunque, una 
residenza legale, ovverossia nel rispetto delle legislazioni nazionali in materia di ingresso e di 
soggiorno. 

(8) Comunicazione della Commissione 7 marzo 1985 sugli orientamenti per una politica comunitaria delle 
migrazioni; decisione della Commissione 8 luglio 1985 sulle procedure di concertazione delle politiche migratorie; 
libro bianco della Commissione del 1985; Comunicazione 7 dicembre 1988 sui controlli alle frontiere; Comunicazioni 
dell'll ottobre 91e29 febbraio 94 sulle politiche di immigrazione; Comunicazione 10 dicembre 1993 sui controlli 
alle frontiere. A ci� si aggiungano le modifiche al Trattato (art. 8 A, ora 18) apportate dall'Atto Unico Europeo. 
(9) Si ricorda che la materia della Cooperazione rafforzata � oggetto di radicale riforma da parte del Trattato 
di Nizza, che ha inserito dei principi generali al titolo VII. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6

156 

Sull'effetto diretto delle disposizioni controverse nella causa a qua 
39. -In via preliminare occorre ricordare che, secondo la costante giurispru<
lenza della Corte, una disposizione di un accordo stipulato dalla Comunit� con 
paesi terzi va considerata direttamente efficace qualora, tenuto conto del suo tenore 
letterale nonch� dello scopo e della natura dell'accordo, essa implichi un obbligo 
chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano .mbordinati all'adozione 
di alcun atto ulteriore (v., in particolare, sentenza 4 maggio 1999, causa C-262/96, 
Siiriil, Racc., 1-2685, punto 60). 
�= 
~I 
��� 
40. -Occorre quindi verificare se gli artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 
del protocollo addizionale soddisfino tali criteri. 
Sull'effetto diretto dell'art. 13 dell'accordo di associazione 
41. -Al riguardo, si deve rilevare che la Corte ha gi� dichiarato che l'art. 12 del1'
accordo di associazione ha una portata essenzialmente programmatica e che le sue 
disposizioni non sono sufficientemente precise e incondizionate per costituire norme 
di diritto comunitario direttamente efficaci nell'ordinamento interno degli Stati membri 
(sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc., 3719, punti 23 e 25). 
42. -Ora, � giocoforza constatare che, come il citato art. 12, relativo alla libera 
circolazione dei lavoratori, l'art. 13 dell'accordo di associazione si limita apre-
Ancora una volta, dunque, risulta confermata e 
con il valore che assume la previsione da 
parte della Carta fondamentale (10)-la giurisdizione domestica degli Stati in materia di immigrazione, 
con l'obbligo tuttavia da parte di questi di rispettare i diritti fondamentali quando agiscono 
nel quadro del diritto comunitario. 

Non pu� tuttavia tralasciarsi di considerare come vada mano a mano configurandosi, in un 
sostanziale equilibrio tra il rispetto delle competenze degli Stati membri ed il progressivo aumento 
dell'azione comunitaria, uno <<Status� di cittadino proveniente da paesi terzi e legalmente soggiornante 
che si giustappone alla figura del cittadino comunitario (11). 

FRANCESCA QUADRI 

( 1 O) Sono note le difformit� di vedute intorno al valore giuridico da dare alla Carta. Di fronte alle istanze volte 
a favorire l'integrazione di essa nei Trattati, con la previsione di una prima parte di natura costituzionale con efficacia 
vincolante, � tuttavia prevalsa, almeno per il momento, l'idea di limitare l'adozione della Carta al mezzo della 
solenne dichiarazione. Il valore dei principi ivi contenuti � tuttavia indiscusso. D'altra parte, l'esistenza di un insieme 
di principi che costituiscono la Costituzione vigente e non scritta della Comunit� era gi� stata riconosciuta dalla 
giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha sempre sancito il rispetto dei diritti fondamentali. Si prevede, quindi, 
che questi verranno vieppi� ampliati alla luce delle disposizioni contenute nella Carta. 

(li) Sul concetto di cittadinanza dell'Unione europea ai sensi dell'art. 18 (ex 8A) del Trattato v. le illuminanti 
conclusioni dell'Avvocato Generale La Pergola nella causa C 85/96, SALA, ove si sottolinea che la novit� dell'art. 
8/ A come risultante dalle intese di Maastricht non sta tanto nell'avere riconosciuto direttamente nel Trattato la libert� 
di circolazione, libert� gi� sancita dall'Atto Unico Europeo, bens� nell'avere enucleato dalle altre libert� di circolazione 
quella di risiedere in ogni Stato membro (p. 18 delle conclusioni). La cittadinanza europea, che si acquista 
e si perde insieme con la cittadinanza dello Stato membro, � configurata come situazione giuridica di base a 
garanzia del generale divieto di ogni trattamento discriminatorio in base alla nazionalit� (p. 21 delle conclusioni). 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

vedere, in termini generali e facendo riferimento alle corrispondenti disposizioni del 
Trattato CE, il principio dell'eliminazione, tra le parti contraenti, delle restrizioni 
alla libert� di stabilimento, senza che la detta disposizione stabilisca di per s� regole 
precise ai fini del conseguimento di tale obiettivo. 

43. -Inapplicazione dell'art. 22, n. 1, dell'accordo di associazione, che conferisce 
al consiglio di associazione un potere di decisione per il raggiungimento degli obiettivi 
fissati dal detto accordo, l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale attribuisce cos� al 
consiglio di associazione la competenza di stabilire, conformemente al principio enunciato 
all'art. 13 dell'accordo di associazione, il ritmo e le modalit� della soppressione 
progressiva delle restrizioni alla libert� di stabilimento tra le parti contraenti. 
44. -Il consiglio di associazione non ha tuttavia adottato alcuna misura ai sensi 
di tale ultima disposizione per attuare concretamente il principio generale dell'eliminazione 
graduale tra le parti contraenti degli ostacoli al diritto di stabilimento. 
45. -Pertanto, si deve concludere che l'art 13 dell'accordo di associazione, 
come d'altronde l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale, anch'esso menzionato 
dal giudice a quo, non � atto a disciplinare direttamente la situazione giuridica dei 
singoli e non pu�, quindi, vedersi attribuire un effetto diretto. 
Sull'effetto diretto dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale 

46. -Al riguardo, occorre constatare che, come risulta dalla sua stessa lettera, 
tale disposizione stabilisce in termini chiari, precisi e incondizionati, una clausola 
di �standstill�, che vieta alle parti contraenti di introdurre nuove restrizioni 
alla libert� di stabilimento a partire dalla data di entrata in vigore del protocollo 
addizionale. 
47. -Infatti, la Corte ha gi� dichiarato che l'art. 53 del Trattato CE (abrogato dal 
Trattato di Amsterdam), ai sensi del quale gli Stati membri non introducono nuove 
restrizioni allo stabilimento nel loro territorio dei cittadini degli altri Stati membri, 
implica un obbligo, sottoscritto dagli Stati membri, che si risolve giuridicamente in 
una semplice astensione. Secondo la Corte, una proibizione cos� formale, non accompagnata 
da alcuna condizione n� subordinata, nella sua esecuzione o nei suoi effetti, 
all'emanazione di alcun altro provvedimento, � completa, giuridicamente perfetta e, 
di conseguenza, atta a produrre effetti diretti nei rapporti fra gli Stati membri ed i loro 
cittadini (sentenza 15 luglio 1964, causa 6/64, Costa, Racc., 1129, 1147). 
48. -Ora, essendo il suo tenore letterale quasi identico a quello dell'art. 53 del 
Trattato CE, per gli stessi motivi l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale dev'essere 
considerato come avente effetto diretto. 
49. -Per quanto riguarda pi� in particolare l'associazione CEE-Turchia, tale 
interpretazione � del resto corroborata dalla giurisprudenza della Corte secondo 
cui le clausole di �standstill� previste dagli artt. 7 della decisione 20 dicembre 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 

1976, 2/76, del consiglio di associazione, relativa alla attuazione dell'art. 12 dell'accordo 
di Ankara (non pubblicata), e 13 della decisione 19 settembre 1980, 
1/80, del consiglio di associazione, relativa allo sviluppo dell'associazione (non 
pubblicata), hanno effetto diretto tra gli Stati membri circa l'introduzione di nuove 
restrizioni all'accesso al lavoro di lavoratori che si trovino in posizione regolare 
per quanto concerne il soggiorno e l'occupazione nel territorio degli Stati contraenti 
(sentenza 20 settembre 1990, causa C-192/89, Sevince, Racc., I-3461, 
punti 18 e 26). 

50. -Pertanto, non esiste alcuna ragione per negare un simile effetto diretto 
all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, che, per quanto riguarda la libert� di stabilimento, 
� una disposizione avente la stessa natura di quelle menzionate al punto 
precedente. 
51. -D'altronde, la constatazione secondo cui il divieto di nuove restrizioni alla 
libert� di stabilimento, divieto previsto dall'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale, 
� atto a disciplinare direttamente la situazione giuridica dei singoli non � inficiata 
dall'esame dell'oggetto e della finalit� dell'accordo di associazione, nell'ambito del 
quale deve essere interpretata tale disposizione. 
52. -Il detto accordo, infatti, mira ad istituire un'associazione diretta alla promozione 
ed allo sviluppo delle relazioni commerciali ed economiche tra le parti contraenti, 
ivi compreso il settore delle attivit� autonome per mezzo dell'eliminazione 
progressiva delle restrizioni alla libert� di stabilimento, al fine di elevare il livello di 
vita del popolo turco e di facilitare ulteriormente l'adesione della Repubblica di Turchia 
alla Comunit� (v. quarto considerando del preambolo ed art. 28 dell'accordo di 
associazione). 
53. -Inoltre, la circostanza che l'accordo di associazione mira essenzialmente 
a favorire lo sviluppo economico della Turchia ed implica, quindi, uno 
squilibrio negli obblighi assunti dalla Comunit� nei confronti del paese terzo de 
quo non � tale da impedire l'applicabilit� diretta di talune sue disposizioni (v. 
sentenze Siiriil, cit., punto 72, e, per analogia, 5 febbraio 1976, causa 87/75, Bresciani, 
Racc., 129, punto 23; 31 gennaio 1991, causa C-18/90, Kziber, Racc., 
1-199, punto 21, e 12 dicembre 1995, causa C-469/93, Chiquita Italia, Racc., 
I-4533, punto 34). 
54. -Dalle considerazioni che precedono risulta che l'art. 41, n. 1, del protocollo 
addizionale stabilisce un principio preciso e incondizionato sufficientemente 
operativo per essere applicato da un giudice nazionale e, pertanto, atto a disciplinare 
la situazione giuridica dei singoli. L'effetto diretto che occorre quindi riconoscere 
a tale disposizioni implica che i singoli ai quali essa si applica hanno il diritto di 
farla valere dinanzi ai giudici degli Stati membri. 
55. -Occorre di conseguenza determinare la portata della detta disposizione. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Sulla portata dell'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale 

56. -Nelle sue osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte, il signor 
Savas ha fatto valere in sostanza che la detta disposizione del protocollo addizionale 
� tale da conferirgli un diritto di stabilimento, nonch� un correlativo diritto di 
soggiorno nello Stato membro sul territorio del quale egli � stato autorizzato ad 
entrare, nonostante il fatto di avervi risieduto e di avervi esercitato attivit� lavorative 
come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia 
di immigrazione. 
57. -Durante l'udienza, il signor Savas ha precisato al riguardo che non sostiene 
pi� di poter derivare diritti in materia di stabilimento e di soggiorno in uno Stato 
membro direttamente dall'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale; egli ha asserito 
invece che l'effetto diretto di tale disposizione implica che il cittadino turco interessato 
possa chiedere a un giudice nazionale di verificare se la normativa interna in 
base alla quale � stata decisa l'espulsione dell'interessato sia pi� restrittiva, per 
quanto attiene alla libert� di stabilimento e al diritto di soggiorno, di quella che era 
applicabile alla data dell'entrata in vigore del protocollo addizionale nello Stato 
membro di cui trattasi e, per tale ragione, sia stata adottata in violazione della clausola 
di <<Standstill� prevista dalla detta disposizione. 
58. -In primo luogo, per quanto riguarda la tesi sostenuta dal signor Savas nelle 
sue osservazioni scritte, occorre ricordare, innanzi tutto, la giurisprudenza costante 
secondo cui, allo stato attuale del diritto comunitario, le disposizioni relative all' associazione 
CEE-Turchia non incidono sul potere degli Stati membri di disciplinare 
tanto l'ingresso sul proprio territorio dei cittadini turchi quanto le condizioni della 
loro prima occupazione, bens� si limitano a disciplinare la posizione dei lavoratori 
turchi gi� regolarmente inseriti nel mercato del lavoro degli Stati membri (v., in particolare, 
sentenza 23 gennaio 1997, causa C-171/95, Tetik, Racc., I-329, punto 21). 
59. -Inoltre, la Corte ha ripetutamente affermato che i lavoratori turchi, contrariamente 
ai cittadini degli Stati membri, non hanno il diritto di circolare liberamente 
all'interno della Comunit�, ma fruiscono solo di taluni diritti nello Stato membro 
ospite sul cui territorio sono entrati legalmente e hanno svolto una regolare attivit� 
durante un determinato periodo (v., in particolare, sentenza Tetik, cit., punto 29). 
60. -Infine, � vero che i diritti cos� conferiti ai lavoratori turchi sul piano del1' 
occupazione implicano necessariamente, a meno di non rendere totalmente inefficace 
il diritto di accedere al mercato del lavoro e di esercitarvi un'occupazione, l'esistenza 
di un correlativo diritto di soggiorno in capo agli interessati (v. sentenze 
Sevince, cit., punto 29, 16 dicembre 1992, causa C-237/91, Kus, Racc., 1-6781, 
punto 29, 6 giugno 1995, causa C-434/93, Bozkurt, Racc., I-1475, punto 28, e 10 
febbraio 2000, causa C-340/97, Nazli, Racc., I-0000, punto 28) e che questi ultimi 
possono quindi pretendere la proroga del loro soggiorno nello Stato membro interessato 
per continuare ad esercitarvi una regolare attivit� lavorativa subordinata (v., 
in particolare, sentenze Kus, cit., punto 36, 30 settembre 1997, causa C-36/96, 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

160 


Giinaydin, Racc., I-5143, punto 55, e causa C-98/96, Ertanir, Racc., I-5179, punto 
62, e 26 novembre 1998, causa C-1197, Birden, Racc., I-7747, punto 69). Tuttavia, 
risulta da questa stessa giurisprudenza che la regolarit� dell'occupazione di un cittadino 
turco nello Stato membro ospitante presuppone una situazione stabile e non 
precaria sul mercato del lavoro di detto Stato membro ed implica pertanto un diritto 
di soggiorno incontestato (citate sentenze Sevince, punto 30, Kus, punti 12 e 22, 
e Bozkurt, punto 26). 

61. -In tale contesto, la Corte ha gi� affermato che i periodi di occupazione 
compiuti da un cittadino turco in possesso di un permesso di soggiorno rilasciatogli 
solo grazie ad un comportamento fraudolento che ha determinato la condanna dell'interessato 
non sono basati su una situazione stabile e debbono considerarsi effettuati 
in via meramente provvisoria, in quanto, durante i periodi considerati, l'interessato 
non aveva legalmente fruito di un diritto di soggiorno (sentenza 5 giugno 
1997, causa C-285/95, Kol, Racc., I-3069, punto 27). 
62. -Al punto 28 della citata sentenza Kol, la Corte ha considerato pi� in particolare 
escluso che un'occupazione svolta da un cittadino turco in base ad un permesso 
di soggiorno ottenuto in un tale contesto di frode possa far sorgere diritti a 
suo vantaggio. 
63. -Ora, tali principi, sanciti nell'ambito dell'interpretazione delle disposizioni 
dell'associazione CEE-Turchia dirette a realizzare progressivamente la libera circolazione 
dei lavoratori turchi nella Comunit�, debbono valere altresi, in via analogica, 
nell'ambito delle disposizioni della detta associazione relative al diritto di 
stabilimento. 
64. -Ne discende, come giustamente rilevato dalla Commissione, che la clausola 
di �standstill� di cui all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale non � di per s� 
tale da conferire ad un cittadino turco il beneficio del diritto di stabilimento, nonch� 
del diritto di soggiorno che ne costituisce il corollario. 
65. -Di conseguenza, la prima ammissione di un cittadino turco sul territorio 
di uno Stato membro � disciplinata esclusivamente dal diritto nazionale di detto 
Stato e l'interessato pu� far valere, in base al diritto comunitario, taluni diritti in 
materia di esercizio di un'occupazione o di un'attivit� autonoma e, correlativamente, 
in materia di soggiorno, solo se si trova in una situazione regolare nello Stato 
membro interessato. 
66. -Ora, nella causa a qua, risulta dall'ordinanza di rinvio che, dopo lascadenza 
del suo visto turistico, la cui validit� era limitata a un mese, il signor Savas 
non ha pi� ottenuto alcun permesso di soggiorno nel Regno Unito ed ha quindi continuato 
a risiedervi in violazione della normativa nazionale. Inoltre, il suo visto gli 
vietava espressamente di svolgere una qualsiasi attivit� lavorativa in tale Stato 
membro. 

PARTE I, SEZ. II, GWRISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

67. -Pertanto, il fatto che il signor Savas non abbia lasciato il Regno Unito 
dopo la scadenza del suo visto e in realt�, e senza aver ricevuto un'autorizzazione a 
tal fine, abbia esercitato un'attivit� lavorativa autonoma in detto Stato membro, non 
� tale da far sorgere in suo favore un diritto di stabilimento n� un diritto di soggiorno 
direttamente derivanti dalla normativa comunitaria. 
68. -In secondo luogo, per quanto riguarda l'argomento fatto valere dal signor 
Savas durante l'udienza dinanzi alla Corte, occorre ricordare, da un lato, che l'effetto 
diretto da riconoscere all'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale implica che 
tale disposizione conferisca ai singoli diritti individuali che i giudici nazionali devono 
tutelare. 
69. -Si deve d'altro canto constatare che la clausola di <<Standstill� prevista 
dalla detta disposizione del protocollo addizionale osta all'adozione, da parte di uno 
Stato membro, di qualsiasi nuova misura che abbia per oggetto o per effetto di sottoporre 
lo stabilimento e, correlativamente, il soggiorno di un cittadino turco sul suo 
territorio a condizioni pi� restrittive di quelle che erano applicabili al momento del1'
entrata in vigore del detto protocollo addizionale nei confronti dello Stato membro 
considerato. 
70. -Ne consegue che spetta al giudice a quo, il solo competente per l'interpretazione 
del diritto nazionale, stabilire se la normativa interna applicata al signor 
Savas dalle autorit� competenti abbia la conseguenza di aggravare la sua situazione 
rispetto alle norme che gli erano applicabili nel Regno Unito alla data dell'entrata in 
vigore del protocollo addizionale nei confronti di tale Stato membro. 
71. -Alla luce dell'insieme delle considerazioni che precedono, occorre risolvere 
le tre prime questioni nel modo seguente: 
-l'art. 13 dell'accordo di associazione e l'art. 41, n. 2, del protocollo addizionale 
non costituiscono disposizioni di diritto comunitario direttamente applicabili 
nell'ordinamento giuridico interno degli Stati membri. 

-L'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale ha effetto diretto negli Stati membri. 
-Il detto art. 41, n. 1, non � di per s� tale da conferire ad un cittadino turco 
un diritto di stabilimento e, correlativamente, un diritto di soggiorno nello Stato 
membro sul territorio del quale egli ha risieduto e ha esercitato attivit� lavorative 
come lavoratore autonomo in violazione della normativa nazionale in materia di 
immigrazione. 
-Invece, l'art. 41, n. 1, del protocollo addizionale vieta l'introduzione di 
nuove restrizioni nazionali alla libert� di stabilimento e al diritto di soggiorno dei 
cittadini turchi a partire dalla data di entrata in vigore del detto protocollo nello Stato 
membro ospitante. Spetta al giudice nazionale interpretare il diritto interno per 
determinare se la normativa applicata al ricorrente nella causa a qua sia meno favorevole 
di quella applicabile al momento dell'entrata in vigore del protocollo addizionale. 
(omissis) 


,r� 
162 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 16 maggio 
2000, nella causa C-388/95 -Pres. Rodriguez Iglesias -Re!. Gulmann -Avv. t 
Gen. Saggio -Belgio (ag. Devadder), sostenuto da Danimarca, Paesi Bassi, 
Finlandia e Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord, contro Spagna 
I_'. 
ili 
(ag. Lapuerta), sostenuta da Italia (avv. Stato Braguglia), Portogallo e Commisili 
sione delle Comunit� europee (ag. Buhigues e van Lier). 
Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Esportazioni -Vini di 
qualit� prodotti in una regione determinata -Denominazioni di origine Obbligo 
di imbottigliamento nella regione di produzione -Giustificazione 
-Conseguenze di una precedente pronuncia pregiudiziale. 
{Trattato CE, artt. 10 e 29; regolamento CEE del Consiglio 16 marzo 1987 n. 823). 
Il subordinare l'uso della denominazione d'origine all'obbligo di imbottigliare 
il vino nella regione di produzione costituisce una misura di effetto equivalente a 
restrizioni quantitative al!' esportazione, ma essa, nel caso in cui il vino di qualit� 
prodotto in una regione determinata abbia assunto una reputazione notevole ed 
incontestabile, non contrasta con l'art. 34 (ora art. 29) del Trattato CE in quanto 
giustificata dal!' esigenza di tutelare la propriet� industriale e commerciale ( denominazione 
di origine) di cui al seguente art. 36 (ora art. 30) (l). 
(1) Si tratta di uno dei rari casi di ricorso diretto di uno Stato membro contro un altro 
Stato membro ai sensi dell'art. 170 (ora 224) del Trattato CE. Come � noto le doglianze di uno 
Stato contro un altro non possono essere portate subito all'esame della Corte, ma debbono 
prima passare attraverso il filtro della Commissione delle Comunit� europee. Sar� questa, di 
norma, se ritiene fondata la doglianza, ad adire la Corte dopo aver posto lo Stato ritenuto inadempiente 
in condizione di esporre le sue osservazioni. Solo in caso di inerzia o di diniego di 
agire della Commissione lo Stato che si ritiene danneggiato ha la possibilit� di proporre 
il suo ricorso. Il meccanismo evita cos� scontri diretti frequenti e non produttivi fra gli Stati 
membri, stemperando le reciproche posizioni e consentendo il pi� delle volte soluzioni 
concordate. 
La tutela di vini di qualit� prodotti in una regione determinata: l'imbottigliamento nella 
regione di produzione. 
1. Anche 
in Italia, come in altri Stati membri produttori di vino, l'esperienza ha dimostrato 
che, particolarmente per alcuni vini, l'imbottigliamento in zona delimitata, che per lo pi� coincide 
con la zona di produzione, costituisce una condizione necessaria affinch� il vino acquisisca 
e mantenga le caratteristiche qualitative che ne fanno un vino di qualit�. 
Per tale ragione, specialmente dopo l'entrata in vigore della legge IO febbraio 1992, n. 164 
(art. 10, comma 1, lettera i; supplemento ordinario alla G.U. n. 47 del 26 febbraio 1992), ma 
anche prima (ad esempio, per il vino Marsala) i disciplinari di produzione di molti vini �tranquilli
�, che aspirano alla denominazione d'origine, prevedono l'imbottigliamento obbligatorio in 
zona delimitata. 
Altrettanto avviene per i vini spumanti di qualit� (v.s.q.p.r.d.), elaborati con il metodo tradizionale 
o classico, per i quali la zona di imbottigliamento obbligatoriamente coincide con la 
zona di elaborazione, ovvero di spumantizzazione (il processo di spumantizzazione avviene in 
bottiglia). 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

163 

(omissis) 

27. -Nel 1994 il governo belga ha richiamato l'attenzione della Commissione 
sul fatto che la normativa spagnola oggetto della sentenza Delhaize era ancora in 
vigore malgrado l'interpretazione dell'art. 34 del Trattato data dalla Corte in tale 
sentenza, e le ha chiesto di attivarsi. Il 14 novembre 1994 il membro competente 
della Commissione ha risposto che quest'ultima giudicava �inopportuno insistere 
nei procedimenti per infrazione�. 
28. -L'8 marzo 1995 il governo belga ha inviato alla Commissione una lettera 
nella quale esprimeva la sua intenzione .di avviare, ai sensi dell'art. 170 del Trattato, 
un procedimento per inadempimento contro il Regno di Spagna deducendo la 
violazione dell'art. 34 del Trattato. 
29. -Il 12 aprile 1995 la Commissione ha comunicato tale lettera al Regno di 
Spagna, il quale ha presentato le sue osservazioni scritte il 5 maggio 1995. 
2. -Con sentenza 9 giugno 1992, in causa C-47/90, DELHAIZE (Racc., I, 3704), decidendo 
questioni pregiudiziali sollevate dal Tribunal de commerce di Bruxelles ai sensi dell'art. 177 
CEE (divenuto art. 234 CE), la Corte di giustizia ha affermato per diritto: 
�1) Una normativa nazionale relativa ai vini a denominazione di origine che limiti il quantitativo 
di vino che pu� essere esportato sfuso e che autorizzi invece la vendita di vino sfuso 
all'interno della regione di produzione, costituisce una misura di effetto equivalente ad una restrizione 
quantitativa all'esportazione vietata dall'art. 34 del Trattato CEE. 

2) L'art. 34 del Trattato CEE pu� essere invocato dai privati dinanzi ai giudici degli Stati 
membri in occasione di controversie con altri privati�. 

3. -Basandosi su tale sentenza il Belgio ha proposto ricorso ai sensi dell'art. 170 CEE (divenuto 
art. 227 CE), chiedendo alla Corte di dichiarare che la Spagna, mantenendo in vigore il regio 
decreto n. 157/1988 ed in particolare il suo art. 19, l/b, � venuta meno agli obblighi posti dagli 
articoli 34 e 5 del trattato CEE (divenuti rispettivamente articoli 29 e 1 O CE). 
Preoccupato che gli effetti della citata sentenza DELHAIZE potessero portare a considerare 
incompatibile con il diritto comunitario una regolamentazione nazionale che, in materia di vini 
di qualit� (v.q.p.r.d.), imponga che il vino, per assumere la denominazione di qualit�, venga 
imbottigliato in zona delimitata, normalmente nella zona di produzione, .il Governo italiano � 
intervenuto a sostegno della convenuta Spagna contro il ricorrente Belgio. Altrettanto ha fatto il 
Portogallo, altro paese produttore, mentre paesi non produttori, ma nei quali la commercializzazione 
del vino sfuso costituisce una importante attivit�, come Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia 
e Regno Unito, si sono schierati a fianco del Belgio. 

Per i paesi produttori, infatti, l'obbligo di imbottigliamento in zona delimitata costituisce 
una misura essenziale per migliorare e garantire la qualit� del vino, nonch� per evitare sofisticazioni 
e frodi. 

4. -Compito non facile, quello dei paesi produttori, tenendo conto della sentenza DELHAIZE 
pronunciata dalla Corte poco pi� di tre anni prima sulla medesima fattispecie. 
Compito per� non disperato, se si considera che la Commissione europea, dopo approfondimenti 
tecnici circa gli effetti sulla qualit� del vino dell'imbottigliamento in zona delimitata, 
aveva cambiato opinione rispetto a quella manifestata nella causa DELHAIZE e non aveva emesso 
parere motivato contro la Spagna, ai sensi dell'art. 170 CEE. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

164 

30. -Il 31 maggio 1995 i due Stati membri hanno presentato in contraddittorio 
le loro osservazioni orali dinanzi alla Commissione, a norma dell'art. 170 del Trattato. 
Poich� la Commissione non ha emesso alcun parere motivato, il Regno del Belgio 
ha proposto il ricorso per inadempimento in oggetto. 
31. -Con ordinanze del presidente della Corte 21 giugno 1996, il Regno di 
Danimarca, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica di Finlandia e il Regno Unito d� 
Gran Bretagna e Irlanda del Nord sono stati autorizzati a intervenire a sostegno delle 
conclusioni del Regno del Belgio, mentre la Repubblica italiana, la Repubblica portoghese 
e la Commissione sono state autorizzate a intervenire a sostegno delle conclusioni 
del Regno di Spagna. 
Ed in realt�, nella sentenza che si commenta, sono stati gli elementi tecnici nuovi (rispetto 
a quelli considerati nella causa DELHAIZE), apportati dalla Commissione, dalla Spagna, 
dall'Italia e dal Portogallo, ad indurre la Corte a diversa soluzione ( cfr. parr. 51 segg. della 
sentenza). 

5. -A sostegno della Spagna e degli altri paesi produttori, l'Avvocatura generale, nell'interesse 
del Governo italiano, ha sostanzialmente dedotto due argomentazioni: una in via principale 
e preliminare, l'altra in via subordinata. 
6. -La prima argomentazione traeva fondamento dal regolamento (CEE) n. 823/87, sui vini 
di qualit� prodotti in regione determinata, la cui finalit� complessiva � quella di migliorare la qualit� 
dei vini, riducendone al contempo la quantit�. 
Si � sostenuto che dalle pertinenti disposizioni del regolamento n. 823/87 risulta in modo 
certo ed inconfutabile: 

a) che, in virt� dell'art. 18, gli Stati membri hanno facolt� di definire condizioni complementari 
di produzione, di elaborazione e di circolazione, rispetto ad un vino che aspira ad una 
denominazione di origine; 

b) che, in base agli articoli 1 e 15, per vini di qualit� si intendono soltanto quelli conformi, 
oltre che alle disposizioni del regolamento,� ...a quelle adottate in applicazione del medesimo 
e definite dalle regolamentazioni nazionali�; e che la menzione comunitaria v.q.p.r.d. (od 
altra analoga usata negli Stati membri)� ...pu� essere utilizzata solamente per i vini conformi alle 
prescrizioni del presente regolamento ed a quelle adottate per la sua applicazione�. 

Tenuto conto di tali disposizioni, e della facolt� che l'art. 18 attribuisce agli Stati membri in 
materia di condizioni complementari di produzione, di elaborazione e di circolazione, si � pervenuti 
ad una prima conclusione. 

Qualora lo Stato membro abbia prescritto che, per aver diritto ad utilizzare una denominazione 
d'origine, un certo vino debba essere imbottigliato in zona delimitata, se questo evento non 
si verifica quel vino dovr� essere considerato un vino comune e non potr� essere considerato un 
vino di qualit�. 

Per questo vino (non ancora imbottigliato in zona delimitata e che, quindi, ancora non pu� 
essere considerato vino di qualit�) non esiste alcun divieto: n� di esportazione in altri Stati membri, 
n� di circolazione all'interno dello Stato membro considerato. 

La sola conseguenza del mancato imbottigliamento in zona delimitata � che quel vino non 
potr� fregiarsi della denominazione di origine. 

L'obbligo di imbottigliamento in zona delimitata, quando previsto, non incide quindi sulla 

circolazione del vino, n� all'interno dello Stato membro, n� al suo esterno verso altri Stati membri. 
Il mancato rispetto di detto obbligo ha il solo effetto di impedire che il vino in questione possa 
utilizzare la denominazione d'origine. 

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Si � cos� raggiunta una seconda conclusione. g

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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

165 

32. -Il governo belga e i governi danese, olandese, finlandese e del Regno 
Unito, che intervengono a suo sostegno, fanno valere che, non avendo modificato il 
decreto n. 157 /88 per conformarsi alla sentenza Delhaize, il Regno di Spagna ha violato 
gli obblighi che ad esso incombono in forza dell'art. 5 del Trattato. 
33. -Nel controricorso il governo spagnolo sostiene che nella sentenza Delhaize 
la Corte non si � pronunciata sulla conformit� delle disposizioni spagnole al diritto 
comunitario. Afferma che nel diritto di quasi tutti gli Stati membri produttori di vino 
esistono disposizioni analoghe a quelle esaminate dalla Corte. A suo parere,� la vigente 
normativa spagnola � conforme all'interpretazione dell'art. 34 del Trattato data dalla 
Corte nella sentenza Delhaize e rispetta pienamente la normativa comunitaria. 
Non sussiste alcun divieto di esportazione di vino sfuso. Per�, proprio per la mancanza di 
imbottigliamento in zona delimitata, ilvino sfuso destinato all'esportazione non potr� essere considerato 
vino di qualit� e non potr� utilizzare la denominazione d'origine. 

Non sussistono quindi ragioni per ipotizzare che una regolamentazione nazionale sull'imbottigliamento 
in zona delimitata di vini di qualit� possa costituire un ostacolo alle esportazioni, 
vietato dall'art. 34 del trattato. 

Il prodotto �vino sfuso� -giova ripeterlo -non � sottoposto ad alcuna limitazione di circolazione, 
n� all'interno n� verso altri Stati membri; non si verifica, per tale prodotto, alcuna differenza 
di trattamento tra il commercio interno ed il commercio d'esportazione; non si procura alcun 
vantaggio alla produzione nazionale: il vino sfuso, sia esso esportato, sia immesso in consumo nel 
territorio nazionale, � trattato allo stesso modo: non potr� utilizzare la menzione di qualit� perch� a 
causa della mancanza di imbottigliamento in zona delimitata, non � diventato vino di qualit�. 

Si � ritenuto utile aggiungere che nessuna restrizione all'esportazione esiste per il vino che, 
imbottigliato -quando previsto -in zona delimitata, abbia titolo ad utilizzare la menzione di 
qualit�. 

Si tratta insomma di prodotti diversi: il vino sfuso, che non � ancora un vino di qualit� e non 
potr� esserlo se non sar� imbottigliato in zona delimitata (quando previsto), ma che pu� circolare 
liberamente come tale -cio� come vino sfuso comune -sia all'interno dello Stato membro 
che all'interno della Comunit�; il vino imbottigliato in zona delimitata (quando previsto) che ha 
assunto il titolo di vino di qualit� e che, anch'esso, pu� circolare liberamente ovunque. 

Sulla base delle considerazioni che precedono, si � dunque escluso qualsiasi fondamento alla 
violazione dell'art. 34 del Trattato, contestata alla Spagna. 

7. -Con la seconda argomentazione, proposta in via subordinata, � stata appoggiata la tesi 
difensiva della Spagna, osservando che la violazione addebitata a tale Stato membro, ove ritenuta 
sussistente, sarebbe stata da considerare giustificata, sia ai sensi dell'art. 36 CEE (divenuto art. 
30 CE), sia per l'esigenza imperativa di tutelare i consumatori. 
Anzitutto -si � dedotto -l'applicabilit�, in astratto, del citato art. 36, a tutela della propriet� 
industriale e commerciale, � stata ammessa dalla Corte nella sentenza DELHAIZE, ai 
punti 16 -18 della motivazione in diritto. 

Ragioni importanti di tutela della propriet� industriale e commerciale, cos� come di tutela 
della qualit� del prodotto (che � una delle finalit� dell'organizzazione comune di mercato) ricorrono 
tuttavia anche in concreto. Ed al riguardo � stato richiamato quanto dedotto in proposito 
dalla Spagna nel suo controricorso. 

� stato poi sottolineato che taluni vini traggono le loro caratteristiche peculiari dal condizionamento 
in bottiglia, quale elemento integrante delle pratiche di invecchimento, al fine di assicurare 
quel potenziale di ossido riduzione necessario al mantenimento ed alla esaltazione delle 
caratteristiche intrinseche di quel particolare vino di qualit�. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

166 

34. -Di conseguenza, in presenza di un ricorso per inadempimento, occorre 
esaminare i motivi cos� dedotti onde verificare se il Regno di Spagna sia effettivamente 
venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in forza dell'art. 34 del 
Trattato. 
35. -Per quanto riguarda quest'ultima disposizione, si deve appurare nell'ordine, 
sulla base dei motivi e degli argomenti addotti dalle parti, se, nelle circostanze 
del caso di specie, il subordinare l'uso della denominazione di origine all'obbligo di 
imbottigliare il vino nella regione di produzione (in prosieguo: la �condizione controversa
�) costituisca una restrizione alla libera circolazione delle merci e, eventualmente, 
se essa sia autorizzata dalla normativa comunitaria in materia di v.q.p.r.d 
oppure se sia giustificata da uno scopo di interesse generale tale da prevalere sulle 
esigenze della libera circolazione delle merci. 
� evidente, in tali casi, che il semplice rispetto degli altri requisiti del disciplinare di produzione 
non � sufficiente a garantire l'esistenza ed il mantenimento delle suddette caratteristiche 
organolettiche. Per ottenere tale garanzia � necessario anche l'imbottigliamento all'origine. 

Tenendo in disparte i rischi di sofisticazioni e di frodi, non pu� negarsi invero che il prodotto 
esportato sfuso subisce determinati stati di alterazione o di non idonea conservazione delle 
caratteristiche minime previste dal disciplinare di produzione, collegate all'acquisizione dei 
caratteri organolettici, che pu� avvenire solo tramite l'imbottigliamento in zona. 

Come ha riconosciuto anche l'Office Intemational de la Vigne et du Vin (Gruppo di regolamentazione 
e controllo della qualit� -XXV Sessione del 16 maggio 1990) la pratica del! 'imbottigliamento 
in zona di produzione costituisce l'atto finale del!' elaborazione del vino. 

Per quanto riguarda le esigenze imperative di tutela dei consumatori, � stato fatto notare che 
un vino �Marsala� prodotto con uve della zona di Trapani ed imbottigliato in quella zona, costituisce 
senza dubbio un prodotto diverso da un vino ( c.d. �Marsala�) prodotto come sopra ma 
imbottigliato, ad esempio, in Finlandia. 

E se � vero che esistono le �etichette�, � anche certo che quando il consumatore vede una 
bottiglia di �Marsala superiore� non immagina certamente che quel vino possa aver viaggiato 
sfuso per migliaia di chilometri per essere infine imbottigliato, ad esempio, in Finlandia, le cui 
condizioni climatiche non sono certamente simili a quelle della Sicilia. 

8. -La sentenza in rassegna (che deve essere stata molto sofferta, se si considera che � stata 
pubblicata dopo pi� di un anno e mezzo dall'udienza e dopo pi� di i.in anno dalle conclusioni del!'
Avvocato generale Saggio) respinge la prima argomentazione e conferma che la normativa spagnola 
controversa costituisce una misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative all'esportazione, 
vietata dall'art. 34 del Trattato (punto 42 della motivazione di diritto). 
Finisce tuttavia per accogliere la seconda argomentazione e per ritenere che la normativa 
controversa sia giustificata ai sensi dell'art. J6 del Trattato. 
Sono importanti, in particolare, due passaggi del ragionamento che ha condotto la Corte a 
tale conclusione. 
In primo luogo, l'affermazione che le denominazioni d'origine �rientrano nel campo del 
diritto di propriet� industriale e commerciale� (punto 54 della motivazione in diritto). 

In secondo luogo, il nesso che la Corte riconosce esistente tra la reputazione che la denominazione 
pu� godere presso i consumatori, la conseguente sua immagine e la qualit� del prodotto 
(punto 56). 

Appare inutile commentare qui tutte le ragioni per le quali la normativa spagnola controversa 
� considerata �giustificata� dalla Corte, perch� �diretta a preservare la notevole reputazione 
del vino Rioja� (punto 75). 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

167 

Sull'esistenza di una restrizione alla libera circolazione delle merci 

36. -Il governo belga e i governi intervenuti a suo sostegno fanno valere che la 
condizione controversa si risolve in una limitazione quantitativa delle esportazioni 
di vino Rioja sfuso ai sensi dell'art. 34 del Trattato, come la Corte avrebbe gi� 
dichiarato nella sentenza Delhaize. 
37. -Il governo spagnolo, sostenuto dai governi italiano e portoghese, afferma 
che la normativa spagnola in oggetto non limita affatto la quantit� di vino prodotto 
nella regione della Rioja che pu� essere esportato sfuso. Essa avrebbe l'unico scopo 
e l'unico effetto di vietare qualsiasi uso indebito e incontrollato della �denominaci6n 
de origen calificada� Rioja. Il governo spagnolo sottolinea che la vendita di 
vino sfuso all'interno della regione non �, in generale, consentita in quanto qualsiasi 
spedizione di vino all'interno della regione deve essere previamente autorizzata 
dal comitato di tutela del Rioja ed essere destinata esclusivamente alle imprese di 
imbottigliamento autorizzate dal detto comitato di tutela. Infatti, nella regione esisterebbero 
imprese che non sono autorizzate e che hanno scelto di dedicarsi alla 
commercializzazione di vini ivi prodotti, ma non tutelati dalla �denominaci6n de 
origen calificada� Pertanto, nel caso di specie, la normativa spagnola non rientrerebbe 
nell'ipotesi trattata dalla Corte nella sentenza Delhaize. Tale ipotesi sarebbe 
stata costituita da una normativa nazionale applicabile a vini a denominazione di origine 
che limita il quantitativo di vino che pu� essere esportato sfuso e che autorizza 
invece la vendita di vino sfuso all'interno della regione di produzione. 
38. -Va ricordato che la condizione controversa comporta che il vino prodotto 
nella regione e rispondente alle altre condizioni cui � subordinato l'uso della �denominaci6n 
de origen calificada� Rioja non pu� pi� essere imbottigliato al di fuori 
della regione, pena la perdita di tale denominazione. 
L'impressione complessiva che se ne trae � che, attraverso l'enunciazione di un grande 
numero di ragioni giustificative, la Corte abbia voluto dare un segnale: la deroga al divieto di cui 
all'art. 34 � giustificata soltanto se � necessaria a salvaguardare la notevole reputazione di cui 
gode incontestabilmente la �denominaci6n de origen calif�cada� Rioja. 

In altri termini, l'imbottigliamento in zona delimitata non potr� legittimamente costituire 
strumento per restringere la commercializzazione di ogni vino di qualit� sfuso. 

Anche tra i vini di qualit� c'� da distinguere tra quelli che negli anni si sono costruiti una 
solida reputazione fra i consumatori (e questa va salvaguardata, pure a scapito della libert� di circolazione 
del vino sfuso) e vini che non hanno ancora raggiunto siffatta �notevole�ed �incontestata
� reputazione. 

Se questa impressione corrisponde alla reale portata della sentenza in rassegna, sar� ancora 
una volta da lodare il pragmatismo e l'equilibrio della Corte, che da un lato ha salvaguardato 
situazioni veramente specifiche e meritevoli (come il Rioja o, si pu� aggiungere, il Chianti o il 
Marsala), ma dall'altro non ha generalizzato la deroga in modo tale da compromettere il fondamentale 
principio della libera circolazione delle merci. 

Ivo MARIA BRAououA 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

168 

39. -� vero che, in una certa misura, il trasporto alla rinfusa del vino che pu� fregiarsi 
della detta denominazione � limitato anche all'interno stesso della regione di produzione 
e che questo pu� essere un elemento da prendere in considerazione nell'ambito ;::,~_'._..� 
dell'esame della giustificazione della condizione controversa. Tuttavia, tale circostanza . 
non pu� essere invocata per negare gli effetti restrittivi della detta condizione. ~ 
., 

40. -Infatti, la condizione controversa comporta in ogni caso che un vino trasportato 
sfuso all'interno della regione conserva il diritto alla �denominaci6n de origen 
calificada� se viene imbottigliato in cantine autorizzate. 
41. -Trattasi dunque di una misura nazionale che ha l'effetto di restringere specificamente 
le correnti di esportazione per quanto riguarda il vino cui pu� essere 
attribuita la �denominaci6n de origen calificada� e di determinare cosi una differenza 
di trattamento tra il commercio interno di uno Stato membro e il suo commercio 
di esportazione, ai sensi dell'art. 34 del Trattato. 
42. -Pertanto, la normativa spagnola in oggetto costituisce una misura di effetto 
equivalente a restrizioni quantitative all'esportazione ai sensi dell'art. 34 del Trattato. 
Sulla portata del/' art. 18 del regolamento n. 82318 7 

43. -Il governo spagnolo, sostenuto dai governi italiano e portoghese, ricorda 
che la normativa comunitaria in materia di v.q.p.r.d. non ha carattere esaustivo e consente 
agli Stati membri di emanare norme nazionali pi� rigorose. A tal riguardo cita 
l'art. 18 del regolamento n. 823/87, il quale autorizza gli Stati membri produttori a 
definire condizioni di produzione e di circolazione complementari o pi� rigorose 
all'interno del loro territorio. L'uso, in tale disposizione, del termine �circolazione� 
sarebbe particolarmente significativo in quanto la condizione controversa farebbe 
innegabilmente parte delle disposizioni relative alla circolazione dei v.q.p.r.d. 
44. -Il governo belga sottolinea che nella sentenza Delhaize la Corte ha gi� 
disatteso l'argomento fondato sull'art. 18 del regolamento n. 823/87. Sostiene 
peraltro che la condizione controversa � in contrasto con gli usi leali e tradizionali 
in materia di imbottigliamento negli Stati membri importatori di vino. 
45. -Occorre ricordare che nella sentenza Delhaize la Corte ha affermato 
(punto 26) che l'art. 18 del regolamento n. 823/87 non pu� essere interpretato nel 
senso che autorizza gli Stati membri a imporre condizioni contrastanti con le norme 
del Trattato relative alla circolazione delle merci. Pertanto, tale disposizione non 
pu� di per s� legittimare la condizione controversa. 
46. -Per contro, e contrariamente a quanto sostenuto dal governo belga, di 
per s� la detta disposizione non vieta un obbligo di imbottigliamento nella regione 
di produzione solo perch� autorizza prescrizioni nazionali complementari 
�tenuto conto degli usi leali e costanti�. Infatti, la locuzione �tenuto conto di� non 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERN�ZI�NALE 

ha il senso, pi� restrittivo, di un'espressione che enunci una condizione positiva, 
come �purch� esista�, o negativa, come �senza pregiudicare�. In una situazione 
come quella del caso di specie, che alla data dell'adozione del decreto n. 157/88 
era caratterizzata dalla coesistenza, non contestata dalle parti, dell'uso di imbottigliare 
nella regione di produzione e dell'uso di esportare il vino sfuso, la formulazione 
dell'art. 18 del regolamento n. 823/87 implica semplicemente una presa in 
considerazione dei detti usi. Quest'ultima pu� dar luogo ad una ponderazione 
degli interessi in questione, in esito alla quale pu� esser data preferenza, in considerazione 
di determinati. obiettivi, ad un uso piuttosto che all'altro. 

Sulla giustificazione della condizione controversa 

47. -Tanto i governi spagnolo, italiano e portoghese quanto la Commissione 
ritengono che l'imbottigliamento faccia parte integrante del procedimento di produzione 
del vino. Esso costituirebbe una fase dell'elaborazione del prodotto, sicch� 
solo il vino imbottigliato in una determinata regione potrebbe effettivamente essere 
considerato originario di tale regione. 
48. -Ne discenderebbe che un vino imbottigliato al di fuori della regione della 
Rioja che recasse la �denominaci6n de origen calificada� Rioja violerebbe il diritto 
esclusivo di usare tale denominazione, il quale spetta alla collettivit� dei produttori 
della regione il cui vino soddisfi le condizioni per fruire della denominazione, 
compresa quella dell'imbottigliamento nella regione. Pertanto, gli effetti 
restrittivi della condizione controversa sarebbero giustificati da motivi di tutela 
della propriet� industriale e commerciale di cui all'art. 36 del Trattato. Infatti, la 
condizione sarebbe necessaria per garantire che la �denominaci6n de origen calificada
� risponda al suo specifico scopo, che � in particolare quello di garantire l'origine 
del prodotto. 
49. -Ai fini della soluzione della presente controversia occorre non tanto stabilire 
se si debba considerare come una fase del procedimento d'elaborazione di un 
vino che pu� fruire di una �denominaci6n de origen calificada� il suo imbottigliamento 
nella regione di produzione, quanto piuttosto valutare i motivi per cui, secondo 
il governo spagnolo, tale operazione dev'essere effettuata nella regione di produzione. 
Infatti, la condizione controversa pu� essere considerata conforme al 
trattato malgrado i suoi effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci solo 
ove detti motivi siano di per s� idonei a giustificarla. 
50. -Per quanto riguarda tali motivi, il governo spagnolo sottolinea la specificit� 
del prodotto e la necessit� di tutelare la fama connessa alla �denominaci6n de 
origen calificada� Rioja preservando, mediante la condizione controversa, le caratteristiche 
particolari, la qualit� e la garanzia di origine del vino Rioja. La condizione 
controversa, sarebbe pertanto giustificata dall'esigenza di tutelare la propriet� 
industriale e commerciale di cui all'art. 36 del Trattato. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�. 

170 

51. -� vero che, come ricordato dal governo belga e dai governi intervenuti 
a suo sostegno, nella sentenza Delhaize la Corte ha dichiarato che non era <limo-m 
strato che l'imbottigliamento nella regione di produzione fosse un'operazione @ 
indispensabile per la conservazione delle caratteristiche specifiche del vino (punto ~ 
19) o per la garanzia dell'origine del prodotto (punto 21) n� che l'ubicazione delle @ 
attivit� d'imbottigliamento fosse di per s� atta ad incidere sulla qualit� del vino ,: 
(punto 23). 
52. -Nel presente procedimento, tuttavia, tanto i governi spagnolo, italiano e 
portoghese quanto la Commissione hanno presentato elementi nuovi destinati a 
dimostrare che i motivi su cui � basata la condizione controversa sono idonei a giustificarla. 
Si deve procedere ad un esame della causa alla luce di tali elementi. 
53. -La normativa comunitaria manifesta una tendenza generale alla valorizzazione 
della qualit� di prodotti nell'ambito della politica agricola comune, al fine 
di promuoverne la reputazione grazie, in particolare, all'uso di denominazioni di origine 
oggetto di una tutela particolare. Come � stato ricordato ai punti 14 e 17 della 
presente sentenza, tale tendenza generale si � concretata nel settore dei vini di qualit�. 
Essa si � manifestata anche riguardo ad altri prodotti agricoli, per i quali il Consiglio 
ha adottato il regolamento (CEE) 14 luglio 1992, n. 2081 relativo alla protezione 
delle indicazione geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti 
agricoli ed alimentari(GUL 208, pag. 1). A tal riguardo, l'ottavo �considerando� di 
detto regolamento precisa che quest'ultimo si applica nel rispetto della legislazione 
vigente relativa ai vini e alle bevande spiritose �la quale mira a stabilire un grado di 
protezione pi� elevato� 
54. -Le denominazioni di origine rientrano nel campo dei diritti di propriet� 
industriale e commerciale. La normativa pertinente tutela i beneficiari contro l'uso 
illegittimo delle dette denominazioni da parte di terzi che intendano profittare della 
reputazione da esse acquisita. Tali denominazioni sono dirette a garantire che il prodotto 
cui sono attribuite provenga da una zona geografica determinata e possieda 
talune caratteristiche particolari (sentenza Delhaize, punto 17). 
55. -Esse possono godere di una grande reputazione presso i consumatori e 
costituire per i produttori che soddisfano le condizioni per usarle un mezzo essenziale 
per costituirsi una clientela (v., nello stesso senso, a proposito delle indicazioni 
di provenienza, sentenza 10 novembre 1992, causa C-3/91, Exportur, Racc., 
I-5529, punto 28). 
56. -La reputazione delle denominazioni di origine dipende dall'immagine di 
cui queste godono presso i consumatori. A sua volta tale immagine dipende, essenzialmente, 
dalle caratteristiche particolari e, in generale, dalla qualit� del prodotto. 
� quest'ultima, in definitiva, che costituisce il fondamento della reputazione del 
prodotto. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

57. -Occorre osservare che un vino di qualit� � un prodotto caratterizzato da 
una notevole specificit�, il che, nel caso del vino Rioja, non � comunque contestato. 
Le sue qualit� e caratteristiche particolari, che risultano dalla combinazione di fattori 
naturali e umani, sono connesse alla zona geografica d'origine e, per essere conservate, 
richiedono vigilanza e sforzi. 
58. -La normativa sulla �denominaci6n de origen calif�cada� Rioja � diretta a 
garantire la conservazione di tali qualit� e caratteristiche. Assicurando agli operatori 
del settore vitivinicolo della regione della Rioja, a richiesta dei quali � stata assegnata 
la denominazione di origine, il controllo anche dell'imbottigliamento, essa ha 
lo scopo di salvaguardare meglio la qualit� del prodotto e, di conseguenza, la reputazione 
della denominazione, di cui i detti operatori assumono ormai, pienamente e 
collettivamente, la responsabilit�. 
59. -Pertanto, la condizione controversa, malgrado i suoi effetti restrittivi sugli 
scambi, deve essere considerata conforme al diritto comunitario se � dimostrato che 
costituisce un mezzo necessario e proporzionato idoneo a preservare la notevole reputazione 
di cui gode incontestabilmente la �denominaci6n de origen calif�cada� Rioja. 
60. -Al riguardo, il governo spagnolo, sostenuto dai governi italiano e portoghese 
e dalla Commissione, fa valere che senza la condizione controversa la reputazione 
della �denominaci6n de origen calif�cada� Rioja potrebbe effettivamente 
essere compromessa. Infatti, il trasporto e l'imbottigliamento al di fuori della regione 
di produzione metterebbero in pericolo la qualit� del vino. La condizione controversa 
contribuirebbe in modo decisivo alla salvaguardia delle caratteristiche particolari 
e della qualit� del prodotto in quanto si risolverebbe nell'affidare 
l'applicazione e il controllo del rispetto di tutte le regole riguardanti il trasporto e 
l'imbottigliamento ai produttori e al comitato di tutela del Rioja, vale a dire a coloro 
che posseggono le cognizioni e� il know-how necessari e che hanno un interesse 
fondamentale al mantenimento della reputazione acquisita. 
61. -Nella presente causa � pacifico che l'imbottigliamento del vino costituisce 
un'operazione importante la quale, se non viene effettuata nel rispetto di condizioni 
rigorose, pu� nuocere gravemente alla qualit� del prodotto. Infatti, l'operazione 
dell'imbottigliare non si riduce al mero riempimento di recipienti vuoti, ma 
comporta di norma, prima del travaso, una serie di complessi interventi enologici 
(filtraggio, chiarificazione, trattamento a freddo, ecc.) che, se non sono eseguiti in 
conformit� delle regole dell'arte, possono compromettere la qualit� e modificare le 
caratteristiche del vino. 
62. -� altrettanto pacifico che il trasporto alla rinfusa del vino, se non viene 
effettuato in condizioni ottimali, pu� nuocere gravemente alla qualit� di quest'ultimo. 
Infatti, se le condizioni di trasporto non sono perfette, il vino sar� esposto ad un 
fenomeno di ossidoriduzione che sar� tanto pi� sensibile quanto maggiore � la 
distanza percorsa e che potr� nuocere alla qualit� del prodotto. Esso sar� inoltre soggetto 
al rischio di sbalzi di temperatura. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO ST�T�

172 

63. -Il governo belga e i governi intervenuti a suo favore affermano che tali 
rischi esistono sia che il vino venga trasportato e imbottigliato nella regione di 
produzione sia che venga trasportato e imbottigliato al di fuori di questa. A loro 
avviso, il trasporto alla rinfusa del vino e il suo imbottigliamento al di fuori della 
regione possono essere realizzati in condizioni che consentono di salvaguardarne 
la qualit� e la reputazione. In ogni caso, la vigente normativa comunitaria conterrebbe 
norme sufficienti in materia di controllo della qualit� e dell'autenticit� 
dei vini, in particolare di quelli cui � attribuita una �denominaci6n de origen 
calificada�. 
64. -Sulla base degli elementi presentati alla Corte nella presente causa si deve 
riconoscere che, in condizioni ottimali, le caratteristiche e la qualit� del prodotto 
possono essere effettivamente conservate quando il vino sia stato trasportato sfuso 
e sia stato imbottigliato al di fuori della regione di produzione. 
65. -Tuttavia, le dette condizioni ottimali saranno pi� sicuramente soddisfatte 
se le operazioni di imbottigliamento vengono effettuate da imprese stabilite nella 
regione dei beneficiari della denominazione e operanti sotto il diretto controllo di 
questi, giacch� tali imprese dispongono di un'esperienza specifica e, soprattutto, di 
una conoscenza approfondita delle caratteristiche specifiche del vino in questione, 
delle quali occorre evitare lo snaturamento o la scomparsa al momento della messa 
in bottiglia. 
66. -Quanto al trasporto alla rinfusa del vino, se � vero che un fenomeno di 
ossidoriduzione pu� prodursi anche in occasione di un trasporto alla rinfusa all'interno 
della regione di produzione bench� la distanza percorsa sia di regola pi� breve, 
occorre rilevare che, in tale ipotesi, il ripristino delle caratteristiche iniziali del prodotto 
sar� affidato a imprese che offrono a tale scopo tutte le garanzie in termini di 
know-how e, anche qui, di conoscenza ottimale del vino. 
67. -Inoltre, come sottolinea lo stesso avvocato generale nei paragrafi 28-31 
delle sue conclusioni, i controlli effettuati al di fuori della regione di produzione in 
conformit� della normativa comunitaria garantiscono la qualit� e l'autenticit� del 
vino meno dei controlli effettuati nella regione nel rispetto della procedura di controllo 
di cui al punto 5 della presente sentenza. 
68. -A tal riguardo, occorre osservare che nell'ambito del regolamento n. 2048/89 
i controlli della qualit� e dell'autenticit� del vino non sono obbligatoriamente sistematici 
in tutti gli Stati membri. Infatti, l'art. 3, n. 2, di tale regolamento dispone che 
i controlli �sono eseguiti sistematicamente o per sondaggio�. 
69. -Quanto al regolamento n. 2238/93, esso, come rileva la Commissione, istituis�e 
un controllo essenzialmente documentario delle quantit� trasportate e, pertanto, 
non garantisce n� l'origine o lo stato originario del vino trasportato alla rinfusa 
n� la preservazione della sua qualit� durante il trasporto. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

70. -Per quanto riguarda il regolamento n. 2392/89, il suo art. 42 prevede che 
l'organismo competente di uno Stato membro possa invitare l'organismo competente 
di un altro Stato membro a esigere dall'imbottigliatore la prova dell'esattezza 
delle menzioni utilizzate per la designazione o la presentazione del prodotto concernenti 
la natura, l'identit�, la qualit�, la composizione, l'origine o la provenienza 
dello stesso. Tuttavia, tale meccanismo, che si inserisce nell'ambito di una collaborazione 
diretta, non riveste un carattere sistematico in quanto, in ipotesi, presuppone 
la domanda dell'organismo competente interessato. 
71. -Al contrario, la normativa spagnola di cui trattasi prescrive che i vini che 
possono recare una �denominaci6n de origen calificada� siano sottoposti, partita 
per partita, ad esami organolettici e analitici (art. 20, n. 4, del decreto n. 157/88 e, 
per il vino Rioja, art. 15 del regolamento Rioja). 
72. - 
Inoltre, secondo il regolamento Rioja: 
ogni spedizione alla rinfusa di vino Rioja all'interno della regione deve essere 
previamente autorizzata dal comitato di tutela del Rioja (art. 31); 
l'imbottigliamento pu� essere effettuato solo da imprese d'imbottigliamento 
autorizzate dal comitato di tutela del Rioja (art. 32); 
gli impianti di tali imprese devono essere nettamente separati da quelli in cui 
sono prodotti e immagazzinati vini che non danno diritto all'uso della �denominaci6n 
de origen calificada� (art. 24). 

73. -Risulta pertanto che, per i vini Rioja trasportati e imbottigliati nella 
regione di produzione, i controlli sono approfonditi e sistematici, che la responsabilit� 
di tali controlli spetta alla collettivit� degli stessi produttori, i quali hanno un 
interesse fondamentale alla conservazione della reputazione acquisita, e che solo 
le partite sottoposte ai detti controlli possono recare la �denominaci6n de origen 
calificada�. 
74. -Da tali constatazioni si desume che il rischio per la qualit� del prodotto 
infine offerto al consumo � maggiore quando il vino � stato trasportato e imbottigliato 
al di fuori della regione di produzione che non nel caso in cui esso sia stato 
trasportato e imbottigliato all'interno della detta regione. 
75. -Pertanto, occorre riconoscere che la condizione controversa, la quale � 
diretta a preservare la notevole reputazione del vino Rioja potenziando il controllo 
delle sue caratteristiche particolari e della sua qualit�, � giustificata come misura di 
tutela della �denominaci6n de origen calificada� di cui gode la collettivit� dei produttori 
interessati e che per essi riveste un'importanza decisiva. 
76. -Si deve infine riconoscere che la misura � necessaria per raggiungere l'obiettivo 
perseguito, nel senso che non esistono misure alternative meno restrittive 
idonee a conseguirlo. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

174 

77. -A tal riguardo, la �denominaci6n de origen calif�cada� non sarebbe 
tutelata in modo analogo se si facesse obbligo agli operatori stabiliti al di fuori 
dhella regionde dif;produhziodbi in~ormare i co,nsumatori, meguat~ eti


~~ . ed~iafunte _udn_'ad~::_,:.� 

c ettatura, e1 atto c e 11m ott1g11amento e avvenuto a 1 1 on 1

1 ta e reg10ne. : 
Infatti, la degradazione della qualit� di un vino imbottigliato al di fuori della 
regione di produzione, dovuta al realizzarsi dei rischi connessi al trasporto alla ID. 
rinfusa e/o alla conseguente operazione di imbottigliamento, potrebbe nuocere 
alla reputazione di tutti i vini smerciati con la �denominaci6n de origen calif�cada
� Rioja, compresi quelli imbottigliati nella regione di produzione sotto il controllo 
della collettivit� beneficiaria della denominazione. Pi� in generale, la semplice 
coesistenza di due procedimenti d'imbottigliamento diversi, all'interno o 
all'esterno della regione di produzione, con o senza il controllo sistematico da 
parte di tale collettivit�, potrebbe ridurre la fiducia di cui la denominazione gode 
presso i consumatori convinti che tutte le fasi della produzione di un v.q.p.r.d. 
rinomato debbano essere effettuate sotto il controllo e la responsabilit� della collettivit� 
interessata. 

78. -Pertanto, occorre concludere che la condizione controversa non contrasta 
con l' art. 34 del Trattato. Di conseguenza, il ricorso deve essere respinto. 
(omissis) 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 5 ottobre 2000, 
nella causa C-376/98 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Moitinho de Almeida -
Avv. Gen. Fennelly -Rep. Federale di Germania c. Parlamento europeo e Consiglio 
dell'Unione europea, sostenuti da Rep. francese, Rep. di Finlandia, 
Regno unito e Commissione delle Comunit� europee. 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 5 ottobre 2000, 
nella causa C-74/99 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. Moitinho de Almeida -
Avv. Gen. Fennelly-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High 
Court of Justice di Inghilterra e Galles nel procedimento The Queen c. Imperia! 
Tobacco ed altri. Interv.: Governi del Regno unito, tedesco, francese, italiano 
(avv. Stato Fiumara) e finlandese, Parlamento europeo, Consiglio dell'Unione 
europea e Commissione delle Comunit� europee. 

Pubblicit� e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco -Direttiva per 
il ravvicinamento delle disposizioni nazionali -Fondamento giuridico Invalidit�. 


(Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998, n. 98/43/CE; Trattato CE, 
artt. ex lOOA ed ex 129). 

La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 6 luglio 1998 n. 98143/CE, 
sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative 
degli Stati membri in materia di pubblicit� e di sponsorizzazione a favore dei prodotti 
del tabacco, � annullata perch� fondata su una base giuridica errata. Il legis



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

175 

latore comunitario non pu� fondarsi sulla necessit� di eliminare ostacoli alla libera 
circolazione degli strumenti pubblicitari ed alla libera prestazione dei servizi e 
sulla necessit� di eliminare distorsioni alla concorrenza, vuoi nel settore della pubblicit� 
vuoi nel settore dei prodotti del tabacco, per adottare la direttiva sulla base 
degli artt. 100 A, 57 n. 2 e 66 del Trattato (1). 

(omissis) 
La scelta degli artt. 100 A, 5 7, n. 2, e 66 del trattato come fondamento giuridico 
e il relativo controllo giurisdizionale 

76. -La direttiva riguarda il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari 
e amministrative degli Stati membri in materia di pubblicit� e di sponsorizzazione 
a favore dei prodotti del tabacco. Si tratta di provvedimenti nazionali che 
perseguono per la maggior parte obiettivi di politica della sanit� pubblica. 
(1) Con le due sentenze parallele sopra indicate la Corte di giustizia si � occupata della direttiva 
del Parlamento europeo e del Consiglio 98/43/CEE del 6 luglio 1998 sul ravvicinamento 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di 
pubblicit� e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco. 
Nelle due cause, l'una sorta a seguito di ricorso diretto della Germania e l'altra sorta a seguito 
di rinvio pregiudiziale disposto da giudice del Regno unito, vi � stata una trattazione congiunta 
della Corte in considerazione della sostanziale identit� dell'oggetto. La Corte si � pronunciata 
nella prima con la motivazione che si riporta in punto di diritto, mentre nella seconda si � limitata 
a richiamare l'annullamento della direttiva pronunciato con la prima. 

Il Governo italiano aveva svolto intervento nella seconda causa ed aveva sostenuto, cos� 
come il Parlamento, il Consiglio e la Commissione C.E. nonch� i Governi del Regno Unito, francese 
e finlandese, la piena legittimit� della direttiva, adottata a maggioranza ai sensi dell'art. 100 
A (ora art. 95) del Trattato CE in considerazione degli scopi da essa perseguiti di migliorare il 
funzionamento del mercato interno, rispetto ai quali le esigenze di protezione della salute e dei 
consumatori assumevano un rilievo complementare. 

La direttiva -si era detto -aveva per scopo dichiarato ed effettivo il miglioramento del 
funzionamento del mercato interno, attraverso l'armonizzazione delle legislazioni nazionali e la 
soppressione degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei 
capitali. Rispetto a questo scopo fondamentale ed obiettivo la protezione della salute e dei consumatori 
assumeva un rilievo complementare e rappresentava il modo attraverso il quale, proprio 
secondo la legislazione comunitaria, occorre realizzare l'armonizzazione delle legislazioni ed il 
funzionamento del mercato interno. Nello stesso senso e con la stessa base giuridica si erano 
mosse prima le direttive 89/622/CEE e 90/239/CEE, riguardanti l'etichettatura dei prodotti del 
tabacco e il catrame nelle sigarette e la direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicit� dei medicinali 
per uso umano. 

Certamente si era tenuto conto dell'opportunit� di fissare regole che tenessero nel massimo 
conto le ragioni della salute e della tutela dei consumatori: ma questo � un preciso obbligo comunitario, 
a carattere trasversale, che deve improntare qualunque azione o politica comunitaria, 
come ricordato nel terzo �considerando� della direttiva in collegamento con l'art. 129 del trattato 
CE (ora, ancor pi� chiaramente, nel nuovo art. 152 CE). 

Contraria posizione era stata assunta dalla Germania e dalle imprese del tabacco, che avevano 
sostenuto errata la base giuridica della direttiva in quanto la stessa, avendo ad oggetto primario 
ed essenziale la tutela della salute e dei consumatori, avrebbe dovuto essere adottata 
all'unanimit�. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

176 

77. -Orbene, l'art. 129, n. 4, primo trattino, del Trattato esclude qualsiasi armonizzazione 
delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri dirette a 
proteggere e a migliorare la salute umana. 
78. -Tale disposizione non implica, tuttavia, che provvedimenti di armonizzazione 
adottati sul fondamento di altre disposizioni del Trattato non possano avere 
un'incidenza sulla protezione della salute umana. L'art. 129, n. 1, terzo comma, prevede, 
del resto, che le esigenze di protezione della salute costituiscono una componente 
delle altre politiche della Comunit�. 
79. -Tuttavia, non pu� farsi ricorso ad altri articoli del Trattato come fondamento 
giuridico al fine di aggirare l'espressa esclusione di qualsiasi armonizzazione 
sancita all'art. 129, n. 4, primo trattino, del Trattato. 
80. -Nella fattispecie, il ravvicinamento delle normative nazionali in materia di 
pubblicit� e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, previsto dalla direttiva, 
� stato effettuato sul fondamento degli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 del Trattato. 
La Corte ha accolto questa seconda tesi dichiarando invalida la direttiva in quanto fondata 
su una base giuridica errata. 

La Corte ha osservato che le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli 
Stati membri in materia di pubblicit� e sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco, che la 
direttiva intenderebbe perseguire, sono, in realt�, provvedimenti nazionali che perseguono la 
maggior parte obiettivi di politica della sanit� pubblica, la cui armonizzazione non � consentita 
dall'art. 129 n. 4 (ex) del trattato. Il fatto che le esigenze di protezione della salute costituiscano 
-ai sensi dell'art. 129 n. 1 -una componente delle altre politiche della comunit�, s� che provvedimenti 
di armonizzazione adottati sul fondamento di altre disposizioni del trattato possano 
avere una incidenza sulla protezione della salute umana, non significa che possa farsi ricorso a 
tali disposizioni al fine di aggirare l'espressa esclusione di qualsiasi armonizzazione sancita dall'art. 
129 n. 4. Esaminato l'impatto della pubblicit� e della sponsorizzazione dei prodotti del 
tabacco sulla libera circolazione degli strumenti pubblicitari e sulla libera prestazione dei servizi, 
nonch� sulla concorrenza nell'ambito del mercato interno, la Corte ha escluso che il legislatore 
comunitario possa fondarsi sulla necessit� di eliminare ostacoli ad esse per adottare la direttiva 
sulla base dell'art. 100 A (e degli artt. 57 n. 2 e 66 del Trattato). 

La Corte ha solo ammesso che tali norme avrebbero permesso l'adozione di una direttiva 
che si fosse limitata a vietare talune forme di pubblicit� e di sponsorizzazione a favore dei prodotti 
del tabacco, -quali la pubblicit� sulle riviste, sui periodici e sui quotidiani, al fine di garantire 
la libera circolazione di questi prodotti della stampa, analogamente alla direttiva 89/552, che 
vieta la pubblicit� televisiva dei prodotti del tabacco al fine di promuovere la libera trasmissione 
dei programmi televisivi, o quali talune sponsorizzazioni in competizioni sportive che, in 
quanto autorizzate o vietate dai vari Stati membri, possono portare a distorsioni di concorrenza 
-, ma un annullamento solo parziale della direttiva per far salvi questi divieti comporterebbe la 
modifica ad opera della Corte delle disposizioni della direttiva adottata con carattere generale, 
modifica che spetta solo al legislatore comunitario. 

Queste ultime precisazioni lasciano spazio alla Comunit� per adottare una nuova direttiva 
sulla pubblicit� e la sponsorizzazione dei prodotti del tabacco sulla base dell'art. 95 (ex art. 100 
A) del trattato che contenga una disciplina realmente indirizzata al miglioramento del mercato 
interno, salva ovviamente la possibilit� di interventi pi� decisivi, su altra base giuridica (che 
richieda l'unanimit� dei consensi) a tutela della salute umana. 


PARTE I, SEZ. li, GillRISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

81. -L'art. 100 A, n. 1, del Trattato attribuisce al Consiglio la competenza ad 
adottare, deliberando in conformit� della procedura di cui all'articolo 189 B del 
Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 251 CE) e previa consultazione del 
Comitato economico e sociale, i provvedimenti relativi al ravvicinamento delle 
disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che 
hanno per oggetto l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno. 
82. -Conformemente all'art. 3, lett. c), del Trattato CE [divenuto, in seguito a 
modifica, art. 3, n. 1, lett. c), CE], il mercato interno � caratterizzato dall'eliminazione, 
fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle 
persone, dei servizi e dei capitali. L'art. 7 A del Trattato CE (divenuto, in seguito a 
modifica, art. 14 CE), che prevede le misure da adottare al fine dell'instaurazione 
del mercato interno, precisa, al n. 2, che il detto mercato comporta uno spazio senza 
frontiere interne, nel quale � assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, 
dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del Trattato. 
83. -Dalla lettura combinata di tali disposizioni risulta che le misure di cui all'art. 
100 A, n. 1, del Trattato sono destinate a migliorare le condizioni di instaurazione e di 
funzionamento del mercato interno. Interpretare tale articolo nel senso che attribuisca 
al legislatore comunitario una competenza generale a disciplinare il mercato interno 
non solo sarebbe contrario al tenore stesso delle disposizioni citate, ma sarebbe altres� 
incompatibile con il principio sancito all'art. 3 B del Trattato CE (divenuto art. 5 
CE), secondo cui le competenze della Comunit� sono competenze di attribuzione. 
84. -Inoltre, un atto adottato sul fondamento dell'art. 100 A del Trattato deve 
avere effettivamente per oggetto il miglioramento delle condizioni di instaurazione 
e di funzionamento del mercato interno. Se la semplice constatazione di disparit� tra 
le normative nazionali e del rischio di ostacoli alle libert� fondamentali o di distorsioni 
della concorrenza che ne potrebbero derivare fosse sufficiente a giustificare la 
scelta dell'art. 100 A come fondamento giuridico, il controllo giurisdizionale del 
rispetto del fondamento giuridico potrebbe essere privato di ogni efficacia. Alla 
Corte sarebbe allora impedito di svolgere la funzione, che le spetta ai sensi dell'art. 
164 del Trattato CE (divenuto art. 220 CE), di assicurare il rispetto del diritto nel1'
interpretazione e nell'applicazione del Trattato. 
85. -Cos�, nel controllare il rispetto del fondamento giuridico dell'art. 100 A, 
la Corte deve verificare se l'atto la cui validit� � controversa persegua effettivamente 
gli obiettivi fatti valere dal legislatore comunitario (v., in particolare, sentenza 
Spagna/Consiglio, gi� citata, punti 25-41, e 13 maggio 1997, causa C-233/94, 
Germania/Parlamento e Consiglio, Racc., I-2405, punti 10-21). 
86. -� vero che, come rilevato dalla Corte al punto 35 della citata sentenza 
Spagna/Consiglio, il ricorso all'art. 100 A come fondamento giuridico � possibile al 
fine di prevenire l'insorgere di futuri ostacoli agli scambi dovuti all'evoluzione eterogenea 
delle legislazioni nazionali. Tuttavia, l'insorgere di tali ostacoli dev'essere 
probabile e la misura di cui trattasi deve avere per oggetto la loro prevenzione. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

178 

87. -Le considerazioni che precedono si applicano all'interpretazione del combinato 
disposto degli artt. 57, n. 2, e 66 del Trattato, quest'ultimo riferito espressa-ili 
mente alle misure volte a facilitare l'accesso alle attivit� di prestazione di servizi e ~ 
l'esercizio di queste. Infatti, le dette disposizioni hanno altres� lo scopo di conferire ,, 
al legislatore comunitario una specifica competenza ad adottare misure volte a lli__� 
migliorare il funzionamento del mercato interno. ~ 
88. -Inoltre, qualora le condizioni per far ricorso agli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 
come fondamento giuridico siano soddisfatte, non pu� impedirsi al legislatore 
comunitario di basarsi su tali fondamenti giuridici per il fatto che la tutela della sanit� 
pubblica sia determinante nelle scelte da operare. Al contrario, l'art. 129, n. 1, 
terzo comma, stabilisce che le esigenze di protezione della salute costituiscono una 
componente delle altre politiche della Comunit� e l'art. 100 A, n. 3, esige espressamente 
che, nell'attuazione dell'armonizzazione, sia garantito un livello elevato di 
protezione della salute delle persone. 
89. -Occorre pertanto verificare se, alla luce di quanto precede, la direttiva 
avrebbe potuto essere adottata sul fondamento degli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 del 
Trattato. 
La direttiva 

90. -Nel primo �considerand0� della direttiva, il legislatore comunitario constata 
l'esistenza di divergenze fra le normative nazionali in materia di pubblicit� e 
di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco e rileva che, poich� tale pubblicit� 
e tale sponsorizzazione superano le frontiere degli Stati membri, le disparit� 
sono tali da creare ostacoli alla circolazione dei prodotti che costituiscono il supporto 
materiale delle suddette attivit� e alla libera prestazione dei servizi in materia, 
nonch� da provocare distorsioni di concorrenza e da ostacolare in tal modo il funzionamento 
del mercato interno. 
91. -Ai sensi del secondo �considerand0� della direttiva, occorre eliminare tali 
ostacoli e, a questo scopo, ravvicinare le norme relative alla pubblicit� e alla sponsorizzazione 
a favore dei prodotti del tabacco, pur lasciando agli Stati membri la 
possibilit� di stabilire, a determinate condizioni, le prescrizioni da essi ritenute 
necessarie per garantire la protezione della salute delle persone. 
92. -La direttiva vieta, all'art. 3, n. 1, ogni forma di pubblicit� o di sponsorizzazione 
a favore dei prodotti del tabacco e, all'art. 3, n. 4, qualsiasi distribuzione 
gratuita che abbia lo scopo o l'effetto di promuovere i detti prodotti. 
Restano tuttavia fuori dal suo ambito di applicazione le comunicazioni tra professionisti 
che operano anche nel settore del commercio del tabacco, la pubblicit� 
negli esercizi di vendita e quella inserita nelle pubblicazioni edite e stampate 
in paesi terzi che non siano prevalentemente destinate al mercato comunitario 
(art. 3, n. 5). 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

93. -La direttiva vieta altres� l'utilizzo dello stesso nome sia per i prodotti 
del tabacco che per altri prodotti e servizi a partire dal 30 luglio 1998, ad eccezione 
dei prodotti e dei servizi messi in commercio prima di tale data con un 
nome anch'esso utilizzato per un prodotto del tabacco, per i quali l'utilizzazione 
di tale nome � autorizzata a determinate condizioni (art. 3, n. 2). A partire dal 
30 luglio 2001, i prodotti del tabacco non dovranno recare il nome, il marchio, 
il simbolo o ogni altro segno distintivo di qualsiasi altro prodotto o servizio, 
a meno che tale prodotto del tabacco non sia gi� stato messo in commercio 
con questo nome o marchio o simbolo o ogni altro segno prima della detta data 
[art. 3, n. 3, lett. a)]. 
94. -Conformemente al suo art. 5, la direttiva non pregiudica la facolt� degli 
Stati membri di stabilire, nel rispetto del Trattato, prescrizioni pi� rigorose da essi 
ritenute necessarie per garantire la protezione della salute delle persone in materia 
di pubblicit� o di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco. 
95. -� opportuno, pertanto, verificare se la direttiva contribuisca effettivamente 
all'eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione 
dei servizi, nonch� all'eliminazione di distorsioni della concorrenza. 
L'eliminazione di ostacoli alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione 
dei servizi 

96. -Si deve ammettere che, date le disparit� esistenti tra le legislazioni 
nazionali in materia di pubblicit� dei prodotti del tabacco, esistono o possono 
verosimilmente insorgere ostacoli alla libera circolazione delle merci o alla libera 
prestazione dei servizi. 
97. -Per quanto riguarda, per esempio, le riviste, i periodici e i quotidiani che 
contengono pubblicit� dei prodotti del tabacco, � vero che, come dimostrato dalla 
ricorrente, attualemnte non esiste alcun ostacolo all'importazione di tali prodotti 
della stampa negli Stati membri che vietano tale pubblicit�. Tuttavia, data l'evoluzione 
delle legislazioni nazionali in direzione di un acrescente restrittivit� nei confronti 
della pubblicit� dei prodotti del tabacco, che corrisponde alla convinzione 
che tale pubblicit� comporti un aumento sensibile del consumo del tabacco, � verosimile 
che in futuro possano insorgere ostacoli alla libera circolazione dei prodotti 
della stampa. 
98. -L'art. 100 A del Trattato potrebbe pertanto consentire, in linea di principio, 
l'adozione di una direttiva che vieti la pubblicit� dei prodotti del tabacco sulle 
riviste, sui periodici e sui quotidiani, al fine di garantire la libera circolazione di questi 
prodotti della stampa, analogamente alla direttiva 89/552, che, all'art. 13, vieta la 
pubblcit� televisiva dei prodotti del tabacco al fine di promuovere la libera trasmissione 
dei programmi televisivi. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

180 

99. -Tuttavia, per gran parte delle forme di pubblicit� dei prodotti del tabacco, 
il loro divieto, che risulta dall'art. 3, n. 1, della direttiva, non pu� essere giustificato 
dalla necessit� di eliminare ostacoli alla libera circolazione degli strumenti pubblicitari 
o alla libera prestazione dei servizi nel settore della pubblicit�. Ci� vale, in 
particolare, per il divieto della pubblicit� su manifesti, ombrelloni, portacenere e 
altri oggetti utilizzati negli alberghi, nei ristoranti e nei caff�, nonch� per il divieto 
di messaggi pubblicitari al cinema, divieti che non contribuiscono in alcun modo a 
facilitare gli scambi dei prodotti interessati. 
100. -Vero � che un atto adottato sulla base degli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 del 
Trattato pu� contenere disposizioni che non contribuiscono ad eliminare ostacoli 
alle libert� fondamentali qualora esse siano necessarie per evitare l'elusione di 
determinati divieti aventi tale scopo. E' tuttavia evidente che ci� non avviene per 
quanto riguarda i divieti controversi menzionati al punto precedente. 
1O1. -Inoltre, la direttiva non garantisce la libera circolazione dei prodotti che 
siano conformi alle sue disposizioni. 

102. -A questo proposito, contrariamente a quanto sostenuto dal Parlamento e 
dal Consiglio, l'art. 3, n. 2, della direttiva, relativo ai prodotti di diversificazione, 
non pu� essere interpretato nel senso che, ove le condizioni previste dalla direttiva 
siano soddisfatte, prodotti del genere il cui commercio sia autorizzato in uno Stato 
membro possano liberamente circolare negli altri Stati membri, anche in quelli in 
cui i detti prodotti sono vietati. 
103. -Infatti, in conformit� all'art. 5 della direttiva, gli Stati membri conservano 
il potere di stabilire, nel rispetto del Trattato, prescrizioni pi� rigorose da essi 
ritenute necessarie per garantire la protezione della salute delle persone in materia 
di pubblicit� o di sponsorizzazione di prodotti del tabacco. 
104. -Per giunta, la direttiva non contiene alcuna clausola che sancisca la 
libera circolazione dei prodotti conformi alle sue disposizioni, a differenza di altre 
direttive che lasciano agli Stati membri la possibilit� di adottare misure pi� rigorose 
per la protezione di interessi generali [v., in particolare, l'art. 7, n. 1, della 
direttiva del Consiglio 17 maggio 1990, 90/239/CEE, concernente il ravvicinamento 
delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati 
membri riguardanti il tenore massimo di catrame delle sigarette ( GU L 137, 36) e 
l'art. 8, n. 1, della direttiva del Consiglio 13 novembre 1989, 89/622/CEE, concernente 
il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
degli Stati membri riguardanti l'etichettatura dei prodotti del tabacco 
(GUL 359, 1)]. 
105. -Di conseguenza, occorre constatare che il legislatore comunitario non 
pu� fondarsi sulla necessit� di eliminare ostacoli alla libera circolazione degli strumenti 
pubblicitari e alla libera prestazione dei servizi per adottare la direttiva sulla 
base degli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 del Trattato. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

L'eliminazione delle distorsioni della concorrenza 

106. -Nell'ambito del controllo della legittimit� di una direttiva adottata sulla 
base dell'art. 100 A del Trattato, la Corte verifica se le distorsioni della concorrenza 
che l'atto � volto ad eliminare siano sensibili (sentenza biossido di titanio, gi� 
citata, punto 23). 
107. -In mancanza di una tale condizione, la competenza del legislatore comunitario 
non avrebbe praticamente limiti. Infatti, le normative nazionali spesso differiscono 
nelle condizioni di esercizio delle attivit� da esse considerate, il che si riflette 
direttamente o indirettamente sulle condizioni di concorrenza delle imprese 
interessate. Ne consegue che interpretare l'art. 100 A e gli artt. 57, n. 2, e 66 del 
Trattato nel senso che il legislatore comunitario potrebbe fondarsi sui detti articoli 
al fine di eliminare distorsioni minime di concorrenza sarebbe incompatibile con il 
principio, gi� ricordato al punto 83 della presente sentenza, secondo cui le competenze 
della Comunit� sono competenze d'attribuzione. 
108. -Occorre pertanto verificare se la direttiva contribuisca effettivamente 
all'eliminazione di sensibili distorsioni della concorrenza. 
109. -Per quanto concerne, in primo luogo, le agenzie di pubblicit� e i fabbricanti 
di supporti pubblicitari, le imprese con sede nel territorio degli Stati membri 
meno restrittivi in materia di pubblicit� dei prodotti del tabacco sono certamente 
avvantaggiate in termini di economie di scala e di incremento dei profitti. 
Tuttavia, gli effetti di tali vantaggi sulla concorrenza sono lontani e indiretti e non 
costituiscono distorsioni che possano essere qualificate sensibili. Essi non sono 
paragonabili alle distorsioni della concorrenza provocate dalle differenze di costi di 
produzione come quelle che hanno in particolare indotto il legislatore comunitario 
ad adottare la direttiva del Consiglio 21 giugno 1989, 89/428/CEE, che fissa le 
modalit� di armonizzazione dei programmi per la riduzione, al fine dell'eliminazione, 
dell'inquinamento provocato dai rifiuti dell'industria� del biossido di titanio 
(GUL 201, 56). 
11 O. -� vero che le differenze esistenti tra talune nomative in materia di pubblicit� 
del tabacco possono comportare sensibili distorsioni della concorrenza. 
Come hanno fatto presente la Commissione e i governi finlandese e del Regno 
Unito, il divieto della sponsorizzazione in alcuni Stati membri e la sua autorizzazione 
in altri portano talvolta allo spostamento di competizioni sportive, con notevoli 
ripercussioni sulle condizioni di concorrenza delle imprese in relazione a tali 
eventi. 

111. -Tuttavia, simili distorsioni, che potrebbero giustificare il ricorso all'art. 
100 A del Trattato al fine di vietare certe forme di sponsorizzazione, non consentono 
di utilizzare il detto fondamento giuridico per un divieto generale della p.bblicit� 
come quello formulato dalla direttiva. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� 

182 

112. -Per quanto riguarda, in secondo luogo, le distorsioni della concorrenza 
sul mercato dei prodotti del tabacco, e senza che sia necessario prendere posizione 
sulla questione sollevata dalla ricorrente, secondo cui simili distorsioni non sareb-~ 
bero considerate dalla direttiva, � giocoforza constatare che neanche in questo set-�I 
tore la direttiva � tale da eliminare sensibili distorsioni della concorrenza. 
~ 

113. -Certamente, come fatto presente dalla Commissione, i produttori e i ven~ 
ditori dei prodotti del tabacco devono ricorrere alla concorrenza sui prezzi per influire 
sulla loro posizione sul mercato negli Stati membri che hanno una normativa 
restrittiva; tuttavia, una simile circostanza non costituisce una distorsione della concorrenza, 
bens� una restrizione delle modalit� di concorrenza che si applica allo stesso 
modo a tutti gli operatori economici in tali Stati membri. Vietando ampiamente 
la pubblicit� dei prodotti del tabacco, la direttiva generalizzerebbe per il futuro una 
simile restrizione delle modalit� di concorrenza, limitando in tutti gli Stati membri 
i mezzi di cui gli operatori economici dispongono per accedere al mercato o per
. . 

nmanervt. 

114. -Di conseguenza, occorre constatare che il legislatore comunitario non 
pu� basarsi sulla necessit� di eliminare distorsioni della concorrenza, vuoi nel settore 
della pubblicit� vuoi nel settore dei prodotti del tabacco, per adottare la direttiva 
sulla base degli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 del Trattato. 
115. -Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, una misura come 
la direttiva non pu� essere adottata sul fondamento degli artt. 100 A, 57, n. 2, e 66 
del Trattato. 
116. -Pertanto, occorre concludere che i motivi relativi al fatto che gli artt. 100 
A, 57, n. 2, e 66 del Trattato non costituiscono un fondamento giuridico appropriato 
per la direttiva sono fondati. 
11 7. -Come rilevato ai punti 98 e 111 della presente sentenza, l'art. 100 A del 
Trattato avrebbe permesso l'adozione di una direttiva che vietasse talune forme di 
pubblicit� e di sponsorizzazione a favore dei prodotti del tabacco. Tuttavia, dato il 
carattere generale del divieto della pubblicit� e della sponsorizzazione a favore dei 
prodotti del tabacco sancito dalla direttiva, l'annullamento parziale di quest'ultima 
comporterebbe la modifica ad opera della Corte delle disposizioni della direttiva, 
modifica che spetta al legislatore comunitario. Non � dunque possibile che la Corte 
annulli parzialmente la direttiva. 
118. -Poich� i motivi relativi al carattere erroneo della scelta degli artt. 100 A, 
57, n. 2, e 66 del Trattato come fondamento giuridico sono stati dichiarati fondati, 
non occorre esaminare gli altri motivi dedotti dalla ricorrente. La direttiva � annullata 
in toto. 
(omissis) 


SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA 
DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 marzo 1999 n. 1764 -Pres. Sgroi -Rei. Carbone 
-P.M Ceniccola (conf.) -Ministero della Difesa (avv. Stato Laporta) c. 

A.A.T.B.F. (avv. G. Piras). 
Espropriazione per pubblica utilit� -Terreni occupati d'urgenza per esigenze 
militari -Qualificazione edificatoria dell'area espropriata -Momento di 
riferimento -� quello della disposta occupazione. 
(legge 8 agosto 1992, n. 359, art. 5 bis). 

Correttamente � riconosciuta l'edificabilit� legale e di fatto di un terreno, 
occupato d'urgenza per esigenze militari, con riferimento alla classificazione dell'area 
come zona d'interesse edificatorio-turistico al momento dello spossessamento 
sub�to dal privato a seguito del/' ordinanza emessa dal/' autorit� militare ai 
sensi dell'art. 76 legge n. 235911865, anzich� alla diversa qualificazione impressa 
al terreno (poi espropriato) all'epoca della dichiarazione di pubblica utilit� (1). 

(omissis) 

Con l'unico motivo del proposto ricorso principale si censura l'impugnata sentenza 
per violazione e falsa applicazione dell'art. 5 bis legge 359 del 1992 per aver il 
giudice del merito ritenuto edificatoria quella parte del suolo espropriato, occupata 
d'urgenza sin dal 30 marzo 1965, con ordinanza del comandante della seconda regione 
aerea, senza tenere presente, onde applicare i criteri del terzo comma della nuova 
disposizione, che ai fini della qualificazione della natura edificatoria di un terreno, si 
deve trattare di possibilit� legali ed effettive di edificazione, con valutazione da compiersi 
al momento dell'apposizione del vincolo e cio� della dichiarazione di pubblica 
utilit�, avvenuta nella fattispecie solo nel 1970, quando erano ormai entrati in 
vigore la legge ponte n.765 del 1967 ed i relativi standards urbanistici. 

La censura non � fondata. 

Il complesso motivo concerne il momento in cui valutare le possibilit� legali ed 
effettive dell'area edificabile, onde consentire l'individuazione, nella fattispecie, 
delle possibilit� edificatorie, anche legali, ai fini del controllo della riconosciuta edificatoriet� 
dei suoli occupati d'urgenza nel 1965. 

(1) Ulteriori implicazioni della �peculiarit�� delle occupazioni militari, alla quale peraltro 
non sembra attagliarsi il richiamo al carattere sub-procedimentale da riconoscere, in generale, alle 
occupazioni d'urgenza preordinate all'esproprio. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sotto il profilo letterale la censura invoca una lettura unicamente formale della 
disposizione richiamata senza tenere conto del diritto vivente venuto a formarsi a 
seguito dell'intervento della Corte costituzionale. Infatti la lettura del dato normativo 
dell'art. 5 bis, 3� comma, d.l. 11 luglio 1992 n. 333 -convertito, con modificazioni, 
nella legge 8 agosto 1992 n. 359, contenente misure urgenti per il risana.; 
' 
mento della finanza pubblica -che richiede, per la valutazione dell'edificabilit� 
dell'area, la presenza di �possibilit� legali ed effettive di edificazione esistenti al 
momento dell'apposizione del vincolo preordinato all'esproprio�, non pu� essere 
effettuata senza tenere nel dovuto conto l'interpretazione che ne ha fornito il giudice 
della legittimit� costituzionale delle leggi (Corte cast., 16 dicembre 1993 n. 
442). Quest'ultimo nel respingere la censura di incostituzionalit�, sotto il profilo 
della inadeguatezza dei nuovi criteri di indennit� di espropriazione, per la possibile 
modificazione della disciplina urbanistica dell'area tra il momento di apposizione 
del vincolo preordinato all'esproprio ed il decreto di espropriazione, in riferimento 
agli artt. 42, 3� comma, e 97 Cast., ha affermato che l'indifferenza del 
vincolo espropriativo va verificata al momento del verificarsi della vicenda ablativa, 
in modo da consentire, a quella data, una ricognizione della qualit� edificatoria 


o meno dell'area espropriata, pienamente aderente alle possibilit� �legali ed effettive
� di edificazione. Solo tenendo ben presente questa interpretazione non letterale, 
in relazione al momento del verificarsi della vicenda ablativa, la Corte ha ritenuto 
infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 5 bis, 3� comma, 
circa l'inadeguatezza dei nuovi criteri di indennit� di espropriazione per la possibile 
modificazione della disciplina urbanistica dell'area tra il momento di apposizione 
del vincolo preordinato all'esproprio ed il decreto di espropriazione. 

Nella specie, la vicenda ablativa � iniziata dal momento dell'occupazione militare, 
avvenuta d'urgenza nel 1965, con ordinanza del comandante della seconda 
regione aerea che, richiamando l'art. 76 della legge 25 giugno 1865 n. 2359, ha disposto 
l'immediata sottrazione del suolo al privato per la realizzazione di impellenti 
opere stabili e permanenti, quali le postazioni missilistiche del comando interalleato, 
con tutte le infrastrutture di protezione e di servizi. Ci� ha comportato, inesorabilmente, 
non la mera apposizione di un vincolo, ma il definitivo e completo spossessamento 
degli immobili al privato, per realizzare l'urgente e indifferibile 
installazione di opere di difesa militare del poligono di missili interforze del Salto 
di Quirra. L'avvenuto spossessamento ha pertanto impedito alla societ�, sin dal 
1965, di assecondare la naturale vocazione turistica del suolo occupato d'urgenza 
dall'autorit� militare. Vocazione edificatoria, non contestata con riferimento al 
1965, ampiamente riconosciuta da entrambe le consulenze richiamate dal giudice 
del merito e dalla successiva pianificazione urbanistica, che classificava come zone 
di interesse edificatorio-turistico le fasce costiere confinanti con i terreni espropriati, 
non pi� considerati sotto il profilo della programmazione e pianificazione urbanistica, 
perch� stabilmente inseriti nella zona militare del poligono di missili interforze 
del Salto di Quirra. 

Orbene, in base all'interpretazione funzionale della norma, consentita da Corte 
cast., 16 dicembre 1993 n. 442, si deve ritenere che le possibilit� edificatorie, legali 
ed effettive, da considerare, vanno ancorate al momento del definitivo spossessamento 
subito dal privato nel 1965, a seguito dell'occupazione disposta dall'autorit� 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 

militare, ai sensi dell'art.76 legge 2359 del 1865, senza limiti di tempo che lo privava, 
in via definitiva, della possibilit� di realizzare quella destinazione turistica edificatoria 
che hanno invece avuto le fasce costiere confinanti non facenti parte del 
poligono missilistico. 

In tal senso pu� rilevarsi come l'occupazione d'urgenza abbia, in generale, 
perso le caratteristiche e i connotati di un istituto autonomo e meramente collegato 
all'espropriazione, ed � divenuto una mera fase subprocedimentale del pi� ampio 
procedimento espropriativo che inizia appunto con l'occupazione d'urgenza, di 
regola preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilit�, non necessaria peraltro per 
le occupazioni militari da effettuarsi �in caso di assoluta urgenza� dal comandante 
militare e non dal prefetto. In questo mutato scenario che riconosce omogeneit� 
morfologica e funzionale tra occupazione d'urgenza ed espropriazione, le sezioni 
unite, risolvendo un contrasto, hanno ritenuto che l'indennit� di occupazione non si 
determina pi� sul valore venale, ma sull'ammontare dell'indennit� di esproprio 
(Cass., sez. un. 20 gennaio 1998 n. 493). 

Ma v'� di pi�: nella specie si tratta di un'occupazione d'urgenza avvenuta prima 
dei tentativi di razionalizzazione dell'occupazione d'urgenza, ad opera delle leggi 
865/1971, 247/1974 e 10/1977, e soprattutto di un'occupazione di �assoluta urgenza
� per ragioni militari, regolata non dagli artt. 72 e 73 della legge fondamentale 25 
giugno 1865 n. 2259, quali occupazioni temporanee di durata biennale, ma dall'art. 
76 della legge, facente parte d�l capo III �delle espropriazioni militari�, che prevedeva 
l'occupazione d'urgenza, ad opera non del prefetto, ma dell'autorit� militare 
che ha il comando locale per una durata illimitata e comunque senza il limite biennale 
del precedente art. 73 (Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 1972 n. 167; Cass., 24 
novembre 1983, n. 7027). 

Di fronte a questa occupazione di assoluta urgenza per scopi militari quali l'installazione 
di batterie di missili, ad una radicale e incisiva perdita "del possesso del 
suolo da parte del privato, messo nell'impossibilit� sia giuridica che effettiva di utilizzare 
il fondo occupato, a scopi turistici, cos� come avvenuto per quelli limitrofi, 
l'Amministrazione ricorrente vorrebbe obliterare del tutto questo momento, per ancorare 
le possibilit� legali ed effettive solo al successivo profilo formale dell'apposizione, 
inutiliter data, del vincolo preordinato all'esproprio, quando il privato aveva gi� 
da tempo perduto il possesso del bene, divenuto parte integrante ed irreversibile del 
poligono di tiro di Salto di Quirra. Infatti la ricorrente invoca una destinazione urbanistica 
diversa da quella ritenuta dalla Corte d'Appello in base alle previsioni edificatorie, 
all'epoca dell'occupazione d'urgenza, affermando che le aree prescelte nel territorio 
del Comune di Villaputzu per la realizzazione della sede del poligono di tiro 
avessero, al momento della dichiarazione di pubblica utilit�, dei vincoli limitativi 
all' edificatori et� dovuti agli standard urbanistici, introdotti dall'art. 41 quinquies della 
legge urbanistica 1150 del 1942, sul punto novellata dall'art. 17 della legge ponte 765 
del 1967. Il tutto avvenuto alcuni anni dopo lo spossessamento del suolo subito dalla 
societ� resistente con l'occupazione d'assoluta urgenza per ragioni militari con il verificarsi 
cio� della prima, ma irreversibile fase del procedimento espropriativo. 

Tale censura gi� proposta innanzi alla Corte territoriale, ha ricevuto una risposta 
adeguata, in quanto il giudice del merito ha affrontato e risolto il problema, soffermandosi 
in motivazione, sull'ininfluenza delle successive destinazioni dovute 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'f6'

186 

alla zonizzazione introdotta con gli standard urbanistici e con il programma di fabbricazione 
del 1973. Va, pertanto, ritenuta congruamente e sufficientemente motivata 
l'edificatoriet� di fatto e di diritto desunta dalle caratteristiche oggettive del 
bene quali emergono al momento della perdita di esso da parte del privato con l'occupazione 
�d'assoluta urgenza� per ragioni militari. 

In altri termini, ai fini dell'applicabilit� alla fattispecie dei criteri di cui 
all'art. 5 bis comma terzo, rileva unicamente la previsione urbanistica, con la 
conseguente conformazione del suolo privato, secondo i vincoli di zona, legali ed 
effettivi, previsti dalle scelte urbanistiche al momento in cui il profilo dell'interesse 
pubblico prevale su quello privato, incidendo realmente sulle facolt� dominicali 
del cjttadino, o perch� degrada il diritto soggettivo in un diritto affievolito 
a seguito della dichiarazione di pubblica utilit�, o perch� lo priva stabilmente del 
possesso del suolo e quindi delle possibilit� di utilizzazione del bene in conformit� 
delle previsioni urbanistiche legali ed effettive, come nel caso di specie, in 
cui la dichiarazione di pubblica utilit� � preceduta dall'occupazione dettata dall'assoluta 
urgenza dovuta a ragioni militari. La motivazione della sentenza impugnata 
non si pone in contrasto con la predetta disposizione, allorch� fa riferimento 
alle possibilit� oltre che effettive di edificazione anche di quelle legali, 
derivanti dalla configurazione urbanistica ali' epoca del definitivo spossessamento 
del bene, sottratto definitivamente ed irreversibilmente al privato, con il primo 
atto d'imperio che, questa volta, non � stata la dichiarazione di pubblica utilit�, 
peraltro non necessaria, ma il decreto del Comandante della Regione Aerea di 
occupazione d'assoluta urgenza dovuta al carattere militare delle installazioni di 
posizioni missilistiche. 

L'occupazione per ragioni militari ha caratteristiche ontologiche ampiamente 
giustificate dall'assoluta urgenza, dovuta alle ragioni militari, sicch� pu� prescindere 
sia dal termine biennale previsto invece per tutte le altre occupazioni d'urgenza, 
sia dalla previa dichiarazione di pubblica utilit�, sia dall'organo competente, che 
non � il prefetto, ma il comandante militare. Una tale occupazione di assoluta urgenza 
rappresenta, pertanto, il primo atto che abbia impresso all'immobile la destinazione 
ad opera pubblica, impedendo definitivamente al privato di realizzare quelle 
aspettative edificatorie, legali ed effettive, all'epoca ancora possibili. Se cos� non 
fosse, la tesi della ricorrente, oltre ad urtare con �il cuore� dell'interpretazione costituzionale, 
porterebbe a riconoscere una iniziale carenza di potere ed un'occupazione 
sostanzialmente sine titulo, da parte della P.A., circostanze, invece, ritenute come 
pacifiche e coperte da preclusioni processuali. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 marzo 2000, n. 66 -Pres. Bile -Rel. Evangelista 
-P.M Dettori -Ministero dell'Interno (avv. Stato Pampanelli) c. L.S. 

Lavoro -Ordinanza di precettazione prevista dall'art. 8 della legge 12 giugno 
1990, n. 146 -Violazione da parte del lavoratore tenuto all'ottemperanza Relativa 
sanzione pecuniaria contemplata dall'art. 9 della legge n. 146/90 Necessit� 
di contestazione dell'infrazione prima della irrogazione della sanzione 
ex art. 14 della legge 24 novembre 1981 n. 689 -Esclusione. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

187 

La preventiva contestazione del! 'infrazione, con le modalit� previste dal! 'art. 14 
della legge 24 novembre 1981, n. 689, non costituisce requisito di legittimit� dei 
decreti con cui, a norma dell'art. 9 della legge 12 giugno 1990, n. 146, sull'esercizio 
del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, vengono irrogate le sanzioni 
amministrative pecuniarie per l'inosservanza, da parte dei prestatori di lavoro, 
delle disposizioni impartite dal! 'autorit� competente con ordinanza emanata a 
norma del!' art. 8 della stessa legge, al fine di imporre adeguati livelli di funzionamento 
del servizio ovvero il differimento dell'azione di protesta e di assicurare in tal 
guisa protezione a diritti inviolabili della persona, senza che tale disciplina contrasti 
con precetti sovraordinati, in quanto al procedimento delineato dalla legge speciale 
per il conseguimento di tali finalit� non sono estranee articolazioni che comportano 
adeguate possibilit� di conoscenza e di difesa preventiva rispetto all'atto di 
esercizio della pretesa punitiva del! 'Amministrazione, ancorch� nelle forme che si 
discostano dal modello generale per essere pi� coerenti con le peculiari esigenze di 
tutela di quei diritti (1). 

(1) Le Sezioni Unite della Suprema Corte sanciscono l'irrogabilit� della sanzione prevista 
dall'art. 9 della legge n. 146/1990 per sciopero in violazione della c.d. ordinanza di precettazione 
senza preventiva contestazione dell'infrazione. 
1. -Con la importante sentenza che si annota, le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione 
intervengono nella delicata materia dell'esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici 
essenziali, affrontando in particolare la problematica connessa al procedimento di applicazione 
delle sanzioni contemplate dall'art. 9 della legge 12 novembre 1990, n. 146, a carico dei 
lavoratori che non ottemperino alla ordinanza prevista dall'art. 8 della medesima legge (c.d. Ordinanza 
di precettazione). 
Invero, l'Amministrazione dell'Interno, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, aveva 
impugnato dinanzi alla Suprema Corte una sentenza, emessa dal Pretore di Lamezia Terme, che 
aveva accolto l'opposizione interposta da un Vigile del Fuoco avverso il decreto con il quale il 
Ministero dell'Interno gli aveva inflitto sanzione amministrativa pecuniaria per inosservanza dell'ordinanza 
di precettazione ex art. 8 della legge n. 146/1990 cit. 

Il Giudice di prime cure aveva accolto la domanda, annullando il decreto, non essendo stata 
rispettata la procedura di preventiva contestazione della infrazione prevista dall'art. 14 della legge 

n. 689 del 24 novembre 1981, disposizione questa dettata a garanzia del diritto di difesa e ritenuta 
di carattere generale ed inderogabile. 
L'Avvocatura dello Stato, nell'impugnativa in Cassazione, aveva lamentato violazione e 
falsa applicazione dell'art. 9 della legge 12 giugno 1990, n. 146, degli artt. 14 e ss. della legge 24 
novembre 1981, n. 689, nonch� del principio generale di specialit�. 

Secondo il suddetto Organo legale, l'art. 9 della legge n. 146 del 1990 coerentemente 
limita il rinvio alla legge n. 689 del 1981 soltanto agli artt. 22 e segg. -che regolano il procedimento 
di opposizione -escludendo la contestazione delle sanzioni di cui all'art. 14. 
Infatti l'art. 8, quarto comma, della legge pi� recente prevede un sistema del tutto peculiare di 
comunicazione e diffusione della conoscenza dell'ordinanza di cui al primo comma dell'art. 
8 (anche mediante affissione nei luoghi di lavoro e ricorso ai mezzi di comunicazione di 
massa), s� che non sarebbe necessaria la formale contestazione della violazione ai singoli e 
spesso numerosissimi contravventori. Inoltre l'art. 14 non esprimerebbe l'unica forma possibile 
di rispetto dei diritti di difesa dell'ingiunto, al quale �, appunto, garantita la procedura di 
opposizione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

188 

(omissis) 

Ritengono le Sezioni unite che debba essere accordata preferenza a questo 
secondo orientamento. 
Pur senza negare che la legge n. 689 del 1991 rechi nel Capo primo una disciplina 
anche sostanziale, tendenzialmente generale dell'illecito amministrativo e del 

procedimento diretto alla sua repressione, sicch� l'interprete, q.ante volte si tratti 
dell'applicazione di sanzioni di omologa natura, deve a quella disciplina rivolgersi 
per ricavarne principi e disposizioni non incompatibili con le norme speciali che 
regolano le particolari ipotesi di volta in volta considerate, occorre nondimeno riconoscere 
come il tessuto precettivo apprestato dalla legge n. 146 del 1990 esibisca 
aspetti che ne indicano una sostanziale irriducibilit�, per quanto concerne l'irrogazione 
della sanzione comminata ai lavoratori che esercitino lo sciopero in violazione 
dell'ordinanza di precettazione, entro gli schemi della suddetta disciplina generale, 
nella parte concernente la previa contestazione dell'infrazione. 

2. -Con la sentenza 4 maggio 1998, n. 4420, la Corte di Cassazione, Sez. I, in fattispecie 
relativa al medesimo sciopero dei Vigili del Fuoco, aveva ritenuto indispensabile (in caso d'inosservanza 
dell'ordinanza di cui all'art. 8 della legge n. 146 del 1990), la preventiva notificaI


~

zione dell'addebito al trasgressore, ai sensi dell'art. 14 della legge n. 689 del 1981, escludendo 

~ 

che possa trarsi qualsiasi argomento contrario dal fatto che nell'art. 9 della legge pi� recente (a 

� 
differenza di quanto previsto nel precedente art. 4 che contiene invece un espresso rinvio all'art. !% 

w.
14 cit.) vi � solo un richiamo agli artt. 22 e seguenti della legge pi� antica. <':; 

I 
~ 

Aveva, in particolare, osservato la Corte come le sanzioni amministrative pecuniarie previ


f~

ste dall'art. 9 rappresentino l'estremo rimedio per assicurare la tutela dei diritti che la legge inten-. 
de garantire quali limiti al diritto di sciopero. Tale natura del provvedimento sanzionatorio costituisce 
il momento di collegamento con il disposto dell'art. 12 della legge n. 689 del 1981, ove si 
impone l'osservanza delle disposizioni di cui al Capo I della legge stessa (e quindi anche dell'art. ~ 
14) per tutte le violazioni che prevedono il pagamento di una somma di denaro. 

La forza espansiva del citato art. 12 scaturirebbe dall'oggetto stesso del richiamo, che 

I I 
I 
riguarda i principi fondamentali della depenalizzazione, s� che essa, in caso di leggi successive, 
potrebbe essere limitata soltanto in virt� di una deroga espressa, non presente nella disciplina in 
questione. 

In diverso ordine di idee, ma pur sempre con riguardo al medesimo sciopero, la sentenza 22 
giugno 1998, n. 6190, Sez. Lavoro, aveva, invece, sancito il principio per cui la preventiva contestazione 
non costituisce requisito di legittimit� dei provvedimenti sanzionatori, essenzialmente in 
quanto il diritto di difesa del singolo e le esigenze di un effettivo contraddittorio sono comunque 
assicurate dalle articolazioni del procedimento ex art. 8 della legge n. 146 del 1990, che prevede 
l'emanazione dell'ordinanza a conclusione di .una specifica fase di consultazione e confronto, ed � 

I quindi portata a conoscenza dei destinatari mediante comunicazione da effettuarsi, a cura dell'autorit� 
che l'ha emanata, ai soggetti interessati, dandosene altres� notizia attraverso i mezzi di comu


I

nicazione di massa. In sostanza, il fatto genetico della violazione delle ordinanze di precettazione 

i::

ha una matrice del tutto diversa -secondo quest'ultima sentenza -dall'ipotesi di cui al precedente 

i:' 

art. 4, nella quale l'obbligo di preventiva contestazione trae origine dalla natura disciplinare dell'infrazione 
(ed � quindi riconducibile al generale ambito di cui all'art. 7 della legge n. 300/1970). 

ri

A seguito di tale insorto contrasto tra le Sezioni semplici, il ricorso in parola � stato portato 
al vaglio delle Sezioni Unite della Suprema Corte. 

~ 

3. -La sentenza in esame -che si allinea all'orientamento della Sez. Lavoro -deve sen~[


z'altro ritenersi condivisibile. 

1:: 

7

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PARTE I, SEZ. III, GWRISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

189 

Sorreggono questa conclusione elementi interpretativi sia di tipo letterale, sia di 
tipo logico e sistematico. 

Il legislatore si � certamente posto il problema del coordinamento, in parte qua, 
fra le due leggi, come � reso palese dai ripetuti richiami espressi dalla pi� recente 
alla pi� antica. 

Ci� dicasi, in particolare, dell'art. 4, comma quarto della legge n.146 del 1990, 
il quale dispone che �i preposti al settore nell'ambito delle amministrazioni pubbiche 
e i legali rappresentanti, o i preposti ad unit� produttive da essi formalmente 
delegati, degli enti e delle imprese erogatrici dei servizi di cui al comma 1 dell'art. 
1, i quali non osservino le disposizioni previste dal comma 2 dell'art. 2, sono soggetti 
ad una sanzione amministrativa pecuniaria, irrogata con decreto del Ministro 
per la funzione pubblica o, rispettivamente, del Ministro del lavoro e della previdenza 
sociale, su denuncia dell'Ispettorato provinciale del lavoro competente per 
territorio, consistente nel pagamento di una somma di denaro, rapportata alla gTavi-

Da un punto di vista di ermeneutica letterale, infatti, come evidenziato dall 'Amministrazione 
ricorrente, non pu� accedersi a quanto sostenuto dalla citata sentenza n. 4420/98 della Suprema 
Corte, per la quale, ai sensi della clausola di riserva di cui all'art. 12 della legge n. 689/1981 
(<<. .. in quanto applicabili e salvo che non sia diversamente stabilito ... �), nell' ipotesi -quale 
quella in questione -in cui la legge successiva, che preveda sanzioni amministrative, non contenga 
una espressa disciplina derogatoria delle �disposizioni generali� dettate dal Capo I della 
legge n. 689/1981, l'applicazione amministrativa e giurisprudenziale delle sanzioni medesime � 
regolata dalle �norme principio� contenute nella legge generale, previa verifica della loro compatibilit� 
(applicabilit� in concreto) con l'oggetto della nuova legge. 

Ed invero, e viceversa, la clausola di riserva sopracitata, contenuta dall'art. 12 della legge n. 
689/1981, non postula l'ammissibilit� -in base alla sua formulazione -soltanto di deroghe 
espresse alle disposizioni di cui al menzionato Capo I della stessa legge, ma si limita pi� genericamente 
a disporre l'applicazione delle �disposizioni generali� in questione �salvo che non sia 
diversamente stabilito�. 

Sul punto, le Sezioni Unite osservano che, nell'impianto della legge n. 146 del 1990, il procedimento 
di repressione delle infrazioni di che trattasi ha ricevuto una configurazione ad elevato 
tasso di specialit�, tale da sottrarlo ad automatica soggezione alla vis espansiva della disciplina 
generale delle sanzioni amministrative, non avendo altrimenti senso l'espressa previsione, 
rispetto ad alcune ipotesi, della limitata applicabilit� delle disposizioni di cui al Capo primo della 
legge di depenalizzazione, e, rispetto ad altre, della applicabilit� della sola disciplina del procedimento 
giurisdizionale di opposizione all'ordinanza di ingiunzione. 

Ci�, del resto, secondo le Sezioni Unite, � pienamente coerente con i limiti che la stessa 
legge pone alla propria latitudine di applicazione, essendo espressamente disposto dall'art. 12 che 
questa soggiace alla verifica della �compatibilit�� e �salvo che non sia diversamente stabilito�. 

4. -Sotto altro e pi� generale profilo, poi, la Suprema Corte sottolinea l'alta funzione garantistica 
demandata alla c.d. precettazione, la quale assume l'aspetto di strumento residuale del 
potere pubblico nel conflitto collettivo, finalizzato non all'esercizio dell'autotutela, ma ad un 
bilanciamento di interessi che rappresenta la ratio dell'intera legge; e nell'inserirsi nel reticolo di 
regole e presupposti previsto per l'individuazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero, 
la stessa appunto garantisce, come risulta dalle enunciazioni di principio che si rinvengono 
nell'art.I della legge n. 146/1990, effettivit� a diritti della persona costituzionalmente garantiti e 
coordinamento dei medesimi con il diritto di sciopero. 
Vengono, per�, nel contempo evidenziati, in sentenza, i meccanismi di salvaguardia che circondano 
l'emissione della ordinanza di precettazione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

190 

t� del comportamento, non inferiore a lire 200.000 e non superiore a lire 1.000.000, 
e, in caso di reiterata violazione, alla sanzione amministrativa della sospensione dal1 
'incarico per un periodo non superiore a sei mesi. Si applicano, in quanto compatibili 
gli artt. 6, terzo e quarto comma, 7, 11, 14, 16, primo comma, 18, terzo, quarto 
e quinto comma, 26, 27 e 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689�. 

Il successivo art. 9, nel comminare, ai lavoratori che non osservino le disposizioni 
contenute nell'ordinanza di precettazione, una sanzione amministrativa, da un minimo 
di lire 100.000 ad un massimo di lire quattrocentomila, per ogni giorno di inottemperanza 
ed in relazione alla gravit� dell'infrazione, nonch� alle condizioni economiche 
dell'agente stabilisce, al quarto comma, che �le sanzioni sono irrogate con decreto della 
stessa autorit� che ha emanato l'ordinanza. Avverso il decreto � proponibile impugnazione 
ai sensi degli articoli 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689�. 

Le Sezioni Unite ribadiscono, pertanto, gli indefettibili presupposti sostanziali e procedimentali 
cui � ancorato il potere di precettazione (su cui gi� la Corte si era pronunziata con la sentenza 
6 novembre 1997, n.10889) ed aggiungono l' importante precisazione, sempre sul piano 
delle garanzie procedimentali, che la dimensione individuale e concreta del precetto si completa 
con il carattere recettizio del provvedimento che lo contiene, divenendo esso produttivo di effet


I 
ti nel momento in cui giunge nella sfera di conoscenza o conoscibilit�, come � dato argomentare 
dal tenore letterale dell'art. 9, comma quarto, della legge n. 146 del 1990, ove � stabilito che 
�l'ordinanza viene portata a conoscenza dei destinatari mediante comunicazione da effettuarsi, a 

Icura dell'autorit� che l'ha emanata, ai soggetti che promuovono l'azione, alle amministrazioni o 
alle imprese erogatrici dei servizi ed alle persone fisiche i cui nominativi siano eventualmente . indicati nella stessa, nonch� mediante affissione nei luoghi di lavoro� ed altres� facendo uso di ,

I

I(�adeguate forme di pubblicazione sugli organi di stampa nazionali e locali o mediante diffusione 
attraverso la radio e la televisione pubblica�. 

5. -Da questo complessivo sistema normativo, la Corte deduce la tipicit� dell'ordinanza ex 
art. 8 della legge n. 146/1990 ed un modulo conseguentemente semplificato di accertamento della 
Ii:!

violazione, che fa da riscontro alla notevole complessit� procedimentale della fase che prelude 
all'adozione della misura. 

~== 

Secondo le Sezioni Unite, pertanto, escluso che l'assetto normativo possa essere in contra


lli

sto con principi sovraordinati e segnatamente con quelli di cui agli artt. 3, 24 e 97 Cost. (problematica 
alla quale, pure, � data diffusa trattazione nella decisione), va senz'altro ritenuto che �in 
un procedimento articolato e complesso quale quello de quo non trova spazio una fase di contestazione 
della violazione secondo il modello delineato dagli artt. 14 e ss. della legge n. 79 del 
1981, che si sovrapporrebbe inutilmente a garanzie gi� sostanzialmente apprestate dalla legge 
speciale e si risolverebbe in una remora alla tempestivit� dell'intervento sanzionatorio, cui �, per 
larga parte, affidata la tutela dei diritti della persona costituzionalmente garantiti che la legge stessa 
intende sottrarre al vulnus causalmente ricollegabile a scioperi indiscriminati�. 

Da tale ultima affermazione -che appare fondamentale nell'iter argomentativo della decisione 
-traspare la (giustificata) preoccupazione della Corte di fornire una interpretazione del sistema 
normativo che consenta lo spiegarsi con tempestivit� degli interventi sanzionatori, prendendo le 
distanze da una suggestiva ermeneutica che giunga, per�, in buona sostanza, attraverso una generalizzata 
applicazione di una fase prodromica in sede amministrativa, a legittimare una duplicazione 
di garanzie, indebolendo la effettivit� e rapidit� di operativit� delle misure sanzionatorie. 

Ci� a fronte della violazione di una ordinanza di precettazione di cui le Sezioni Unite hanno 
-come visto -evidenziato la natura di strumento di extrema ratio di intervento del potere pubblico 
nel conflitto collettivo, specificamente previsto per tutelare i diritti della persona costituzionalmente 
garantiti e che pure devono essere salvaguardati da quegli scioperi non a caso giornalisticamente 
definiti �selvaggi�. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

191 

Questi richiami dimostrano con chiarezza che, nell'impianto della legge n. 146 
del 1990, il procedimento di repressione delle infrazioni suddette ha ricevuto una 
configurazione ad elevato tasso di specialit�, tale da sottrarlo ad automatica soggezione 
alla vis espansiva della disciplina generale delle sanzioni amministrative, non 
avendo, altrimenti , senso l'espressa previsione, rispetto ad alcune ipotesi, della 
limitata applicabilit� delle disposizioni di cui al Capo primo della legge di depenalizzazione, 
e, rispetto ad altre, della applicabilit� della sola disciplina del procedimento 
giurisdizionale di opposizione all'ordinanza ingiunzione. 

In altre parole l'avere la sopravvenuta legge in tema di esercizio del diritto di 
sciopero nei servizi pubblici essenziali stabilito, in relazione alle diverse tipologie di 
illecito in essa previste, quali disposizioni della disciplina generale debbano trovare 
applicazione, presuppone necessariamente il rifiuto di un'integrale operativit� di 
quest'ultima e la ricezione della medesima nei soli limiti del richiamo, con esclusione 
di qualsiasi possibilit� di estensione che si correli ad una verifica di compatibilit� 
affidata all'interprete. 

D'altro canto, deve notarsi come l'orientamento assunto dalla Suprema Corte con la decisione 
in questione, rappresenti una totale inversione di indirizzo rispetto a quanto costantemente ritenuto 
dalla giurisprudenza di merito, che aveva postulato la imprescindibilit� della fase della previa 
contestazione dell'addebito in sede amministrativa, annullando in varie circostanze numerosissimi 
provvedimenti sanzionatori emessi dalle Amministrazioni omettendo tale fase prodromica. 

6. -Peraltro, la sentenza delle Sezioni Unite vede accrescere, per cos� dire, la propria valenza, 
tenuto conto delle nuove disposizioni dettate dalla recente legge 11 aprile 2000, n. 83, titolata 
�Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio del diritto 
di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona 
costituzionalmente tutelati�. 
Precisamente, l'art. 8 di detta legge modifica ed amplia la portata del testo originario dell'art. 
9 della legge n. 14611990, stabilendo che l'inosservanza da parte �dei singoli prestatori di 
lavoro, professionisti o piccoli imprenditori� (non pi� quindi solo �prestatori di lavoro subordinato 
o autonomo�) delle disposizioni contenute nell'ordinanza di precettazione � assoggettata 
alla sanzione amministrativa pecuniaria, per ogni giorno di mancata ottemperanza, determinabile, 
con riguardo alla gravit� dell'infrazione ed alle condizioni economiche dell'agente, da un 
minimo di Lire 500.000 ad un massimo di Lire 1.000.000 (mentre in precedenza l'importo era 
fissato da Lire 100.000 a Lire 400.000). 

Inoltre, con previsione innovativa, il nuovo testo dell'art. 9 introdotto dal citato art. 8 della 
legge n. 83/2000, dispone che: �le organizzazioni dei lavoratori, le associazioni e gli organismi 
di rappresentanza dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che non ottemperano 
all'ordinanza di cui all'articolo 8 sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria 
da Lire 5.000.000 a Lire 50.000.000 per ogni giorno di mancata ottemperanza, a seconda della 
consistenza economica dell'organizzazione, associazione o organismo rappresentativo e della 
gravit� delle conseguenze dell'infrazione. Le sanzioni sono irrogate con decreto della stessa autorit� 
che ha emanato l'ordinanza e sono applicate con ordinanza-ingiunzione della Direzione Provinciale 
del Lavoro -Sezione Ispettorato del Lavoro�. 

Anche dopo l'entrata in vigore della c.d. riforma della legge n. 146/1990, pertanto, la decisione 
delle Sezioni Unite appare certamente restare un fondamentale punto fermo in tema di interpretazione 
della normativa sul procedimento di applicazione delle sanzioni pecuniarie per inottemperanza 
alla ordinanza di precettazione. 

GIANCARLO PAMPANELLI 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

192 

E, d'altra parte, una verifica del genere, quand'anche consentita, non potrebbe 
che svolgersi nell'ambito di disposizioni non direttamente contemplate dalla fonte 
sopravvenuta, ai fini del suo coordinamento con quella anteriore; ne rimarrebbe, 
quindi, comunque preclusa la conclusione dell'applicabilit� della regola della previa 
contestazione dell'addebito, posta dall'art. 14 della legge n. 689 del 1981: essa, 
come si � detto, � oggetto del richiamo di cui all'art .. 4 della prima di tali leggi (in 
tema di sanzioni a carico dei preposti), onde non potendo trascurarsi l'unitario contesto 
nel quale si collocano questa norma e quella dell'art. 9, non pu� non desumersene 
la ricomprensione della medesima regola nel novero di quelle con riferimento 
alle quali il legislatore ha direttamente provveduto, in un caso stabilendone l'operativit� 
e nell'altro escudendola. 

Ci�, del resto, � pienamente coerente con i limiti che la stessa legge ora detta 
pone alla propria latitudine di applicazione, essendo espressamente disposto dall'art. 
12 che questa soggiace alla verifica della �compatibilit�� e �salvo che non sia diversamente 
stabilito�. 

Va, poi, posto in luce che la diversa soluzione adottata dalla legge per il caso delle 
sanzioni a carico dei preposti e per quello delle sanzioni a carico dei lavoratori che non 
ottemperano alla precettazione non � casuale, ma risponde ad una logica ben precisa. 

Le infrazioni di cui all'art. 4, quarto comma, si ricollegano ai numerosi obblighi 
imposti alle amministrazioni ed alle imprese erogatrici dei servizi, al fine di 
garantire le prestazioni indispensabili e di stabilirne, nel contempo, modalit� e procedure 
di erogazione. 

Il loro accertamento comporta, pertanto, l'identificazione dei responsabili, cio� 
di coloro che rivestono la condizione di �preposti�, �legali rappresentanti� o �delegati
�, e dei comportamenti specifici nei quali si ravvisa la violazione. 

V'�, da un lato, il coacervo di precetti, generali ed astratti e, dall'altro, la situazione 
di fatto che va ad essi commisurata, per ricavarne una valutazione sussuntiva 
di intervenuto concretamento dell'ipotesi di illecito, sicch� la preventiva contestazione 
dell'addebito costituisce il solo strumento idoneo a dare conto ad un determinato 
soggetto del contesto degli elementi che si ritengono verificati e sui quali si 
assume fondata la sua responsabilit�. 

In questo quadro di riferimento, la contestazione della violazione effettivamente 
costituisce ineludibile momento di collegamento fra carattere necessariamente 
individuale della responsabilitf\ e direzione della norma agendi verso una serie indeterminata 
di destinatari, fra modello di comportamento delineato dalla norma di previsione 
ed attivit� effettivamente avveratasi. 

Nulla di tutto ci� nel caso di violazione dell'ordinanza di precettazione, ivi sussistendo, 
in presenza di gi� acquisita riferibilit� del precetto a soggetti nel medesimo 
determinati, assoluta assenza di una qualsiasi valutazione del tipo suddetto, al 
fine della trasmigrazione dall'astrattezza della fattispecie incriminatrice alla concretezza 
della responsabilit� personale, sicch� l'amministrazione � chiamata a compiere, 
ai fini dell'applicazione della sanzione, soltanto un materiale riscontro di sussistenza 
o meno della prestazione lavorativa dalla quale ciascuno dei singoli precettati 
aveva divisato di astenersi. 

Ma la peculiarit� dell'intimazione contenuta nella suddetta ordinanza discende 
anche dalle particolari garanzie che circondano l'emissione del relativo provvedimento. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Intanto � da rilevare che la dimensione individuale e concreta del precetto, si 
completa con l'indubbio carattere recettizio del provvedimento che lo contiene, divenendo 
esso produttivo di effetti nel momento in cui giunge nella sfera di conoscenza 

o conoscibilit�, come � dato argomentare dal tenore letterale dell'art. 9, comma 4 
legge n. 146 del 1990, ove � stabilito che �l'ordinanza viene portata a conoscenza dei 
destinatari mediante comunicazione da effettuarsi, a cura dell'autorit� che l'ha emanata, 
ai soggetti che promuovono l'azione, alle amministrazioni o alle imprese erogatrici 
dei servizi ed alle persone fisiche i cui nominativi siano eventualmente indicati 
nella stessa, nonch� mediante affissione nei luoghi di lavoro� ed altres� facendo 
uso di �adeguate forme di pubblicazione sugli organi di stampa nazionali e locali o 
mediante diffusione attraverso la radio e .la televisione pubblica�. 
Inoltre, come � gi� stato posto in luce da questa Corte con la sentenza 6 novembre 
1997 il potere di precettazione � ancorato ad un duplice presupposto, sostanziale 
e procedimentale. 

Il primo consiste nell'esistenza di un fondato pericolo di grave ed imminente 
(ancorch� non necessanamente irreparabile) pregiudizio che il mancato funzionamento 
dei servizi indispensabili pu� cagionare ai diritti della persona costituzionalmente 
garantiti. 

Il secondo, delineato in modo unitario dai primi due commi dell'art. 8 legge 

n. 146 del 1990, si svolge, indefettibilmente, attraverso le tre fasi dell'invito alle 
parti a desistere rivolto dal Presidente del Consiglio dei ministri (o da ministro da 
lui delegato), della proposta e dell'esperimento del tentativo di conciliazione e-in 
caso di esito negativo -dell'invito alle parti ad attenersi alla proposta della Commissione 
di garanzia. Se, ci� nonostante, la situazione di pericolo permane, il Presidente 
del Consiglio deve, ove possibile, sentire ancora le parti interessate, acquisendo 
altres� i pareri dei'rappresentanti degli enti locali. 
Solo a tal punto pu� essere emanata l'ordinanza, che segue quindi un percorso 
procedimentale obbligato e nettamente scandito, il quale, come si � ritenuto nella 
ricordata occasione, ne condiziona la legittimit�, ne esclude ogni sovrapposizione 
all'istituto delle ordinanze contingibili e urgenti e, infine, ruota sul cardine della funzione 
mediatrice svolta dalla Commissione di garanzia, in qualit� di soggetto terzo 
ed imparziale, idoneo a salvaguardare le esigenze del contraddittorio, non solo nei 
confronti della parti collettive, ma anche nei confronti dei singoli lavoratori interessati, 
come � reso manifesto dal disposto dell'art. 14 della legge n. 146 del 1990. 

La precettazione assume, cos�, l'aspetto di strumento residuale d'intervento del 
potere pubblico nel conflitto collettivo, finalizzato non all'esercizio dell'autotutela, 
ma a quel bilanciamento d'interessi che rappresenta la ratio dell'intera legge; si inserisce 
nel reticolo di regole e presupposti previsto per l'individuazione delle prestazioni 
indispensabili in caso di sciopero, garantisce, come risulta chiaro dalle solenni 
enunciazioni di principio che si rinvengono nell'art. 1, effettivit� a diritti della persona 
costituzionalmente garantiti e coordinamento dei medesimi col diritto di sciopero. 

Tutto ci� comporta una forte tipicit� del provvedimento, destinata ad avere ricadute 
sul piano dell'operativit� del precetto in esso contenuto, nel senso che alla complessit� 
procedimentale della fase che preclude all'adozione di questa misura fa 
riscontro un modulo logicamente semplificato dell'accertamento della violazione, nel 
quale il dato fondamentale � costituito dall'aspetto individualizzante di un'intima



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATC� 

zione indirizzata, cui � connaturata l'alternativa fra ottemperanza ed infrazione, cos� 
da risultarne anche il comportamento rispondente a questa seconda eventualit� partecipe 
del medesimo aspetto, in funzione di sostanziale equipollenza rispetto ad una 

fil

contestazione ex post: e ci� tanto rileva che, ulteriormente accentuandosi, rispetto 

m

all'intervento dell'autorit�, il taglio garantistico sul quale � stata tarata la legge, l'art. ~ �: 
1 O consente l'opposizione davanti al giudice amministrativo, avverso l'ordinanza di ..;. 
precettazione (con correlativo potere del TAR di sospendere, anche parzialmente, 
l'ordinanza stessa), non solo ai soggetti promotori dello sciopero ed alle amministrazioni 
o imprese, ma anche a dei singoli lavoratori destinatari del provvedimento. 

Non pu�, poi, trascurarsi che, ai sensi dell'art. 5, le amministrazioni o le 
imprese erogatrici del servizio �sono tenute a rendere pubblico tempestivamente 
il numero dei lavoratori che hanno partecipato allo sciopero, la durata dello stesso 
e la misura delle trattenute effettuate secondo la disciplina vigente�. 

L'adempimento di quest'obbligo comporta una precisa ricognizione delle persone 
dei lavoratori scioperanti, ai quali devono essere effettuate le relative ritenute 
e, in presenza di un'ordinanza di precettazione rimasta inattuata, assume sostanziale 
valore di una contestazione della violazione. E quest'attivit� ricognitiva, affidata 
al datore di lavoro, mentre �, fra l'altro, strumentale all'esercizio del potere sanzionatorio 
da parte dell'autorit� amministrativa, risulta condizionata nei contenuti dalla 
diligente osservanza dell'onere, gravante sul lavoratore interessato, di provare che 
la sua assenza dal lavoro in coincidenza con lo sciopero � da attribuire, non alla par-~ 
tecipazoione all'agitazione sindacale, ma a legittimo e giustificato impedimento. 

I 

Ne risulta un sistema nel quale il regime dell'adempimento dell'obbligazione r. 
lavorativa, si risolve, attraverso la correlativa osservanza degli obblighi imposti ai I 
datori di lavoro in caso di sciopero, nella possibilit� di utilizzazione di codesta prova I~:,:� 
in funzione preventiva della sanzione per violazione dell'ordinanza di precettazione. 

Appare chiaro, dunque, che in un procedimento cos� articolato e complesso non 
trova spazio una fase di contestazione della violazione secondo il modello delineato 
dagli artt. 14 e ss. della legge n. 79 del 1981, che si sovrapporrebbe inutilmente a g 
garanzie gi� sostanzialmente apprestate dalla legge speciale e si risolverebbe in una ~ 
remora alla tempestivit� dell'intervento sanzionatorio cui �, per larga parte, affidata l!:l 
la tutela dei diritti della persona costituzionalmente garantiti che la legge stessa 
intende sottrarre al vulnus causalmente ricollegabile a scioperi indiscriminati. @ 

Questo assetto normativo manifestamente non si pone in contrasto con principi ~ 
sovrordinati e segnatamente con quelli di cui agli artt. 3, 24 e 97 Cost. I 
Il principio del �giusto procedimento� non pu� dirsi assistito in assoluto da 

I 
garanzia costituzionale, ed opera solo come criterio di orientamento sia per il legislatore 
che per l'interprete (v. Corte cost. n. 83 del 1966, n. 189 del 1974, n. 23 del � 
1978, n. 234 del 1985, n. 503 del 1987). Ben vero, la riconosciuta non operativit� -~=,'=.�.
dell'art. 24 Cost. nei procedimenti amministrativi ( v. Corte cost. nn. 21 O e 312 del ?:' 
1995) non esclude che la disciplina di questi ultimi sia rimessa alla discrezionalit� li 

1

f::

del legislatore nei consueti limiti del rispetto della ragionevolezza e del rispetto ~: 
degli altri principi costituzionali; ma non � men vero che limiti siffatti appaiono, 

ll\_. 

nella specie, all'evidenza, rispettati, sia perch�, come si � detto. il procedimento de ~ 
quo consente al lavoratore, ancorch� in modi e forme diversi da quelli propri del 

I 

suddetto modello generale, adeguate possibilit� di conoscenza e difesa preventiva 

I 

& 

~ 

r.-,.;.-.-.-.c.-_,;.-.-.-....c.�a~"�"'f.'"'f.�""""""�'9.'""'f."-'ff.""'"'""h""'"-""$�wm.�.wnmm.�.w.�.�.��,.�.�.�.��.�.�.�.�.�.w.�.�m,:.�.�.�.'p.�.�.�,.;�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.�.��.w.�.�.�.�.�.���.�.�.�...-.�.�.�.'.�.,� .�.��)';"-'N{N.�.�;.�.,�.�;.�...-;.�m~ 

~"'~-�-ll�~llll1'r.Jll'-� 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA �fVILE 

rispetto all'esercizio del potere sanzionatorio (il che rende il procedimento stesso 
non contrastante con la generale valenza della quale la legge 7 agosto 1990, n. 241 
accredita il principio del contraddittorio); sia perch� tale diversit� si correla ad esigenze 
di equo bilanciamento della tutela dei menzionati diritti fondamentali e del 
diritto di sciopero. Ed �, del resto, significativo che il giudice delle leggi abbia precisato, 
che nei procedimenti amministrativi la salvaguardia della possibilit� del 
contraddittorio, deve ritenersi costituzionalmente rilevante solo quando �garantisca 
un nucleo essenziale di valori inerenti a diritti inviolabili della persona�, il che, con 
riguardo alla materia dei r�ipporti di lavoro, pu� ritenersi verificato, quando dal procedimento 
siano per derivare misure compromissive della conservazione del posto 

(v. sent. n. 356 del 1995), vale a dire quelle conseguenze di massima rilevanza, 
estranee per definizione all'apparato sanzionatorio dell'art. 9 della legge del 1990, 
che non ha natura disciplinare, a differenza di quello contemplato dall'art. 4, primo 
comma, che, peraltro, inibisce allo stesso datore di lavoro, in caso di violazione, da 
parte dei lavoratori, degli obblighi di cui all'art. 2, l'irrogazione di sanzioni consistenti 
nell'estinzione del rapporto o nella determinazione di mutamenti definitivi 
dello stesso. 
N�, in tale situazione, sarebbe appropriato il richiamo all'art. 97 Cost., in senso 
dirimente della legittimit� del diverso trattamento, ricollegabile rispettivamente alla 
disciplina speciale ed a quella generale, dovendo anche al riguardo notarsi che la 
procedimentalizzazione dell'amministrazione giusta modelli contenziosi o paracontenziosi 
non � affatto riconducibile al criterio della pi� corretta organizzazione, prescritto 
dal suddetto articolo, il quale non comporta la continua partecipazione deisoggetti 
privati al procedimento, nel presupposto che �con norme di condotta 
eccessivamente minuziose, imposte all'amministrazione pubblica, lungi dall'ottenersi 
sempre fattiva garanzia, potrebbero, invece, sussistere inconvenienti, anche 
gravi, di ristagno� (cos� Corte cost. n. 234 del 1985). 

Deve, in conclusione, formularsi il principio di diritto per cui �la preventiva 
contestazione dell'infrazione, con le modalit� previste dall'art. 14 della legge 24 
novembre 1981, n. 689, non costituisce requisito di legittimit� dei decreti con cui, 
a norma dell'art. 9 della legge 12 giugno 1990, n. 146 sull'esercizio del diritto di 
sciopero nei servizi pubblici essenziali, vengono irrogate le sanzioni amministrative 
pecuniarie per l'inosservanza, da parte dei prestatori di lavoro, delle disposizioni 
impartite dall'autorit� competente con ordinanza emanata a norma dell'art. 
8 della stessa legge, al fine di imporre adeguati livelli di funzionamento del servizio 
ovvero il differimento dell'azione di protesta e di assicurare in tal guisa protezione 
ai diritti inviolabili della persona, senza che tale disciplina contrasti con precetti 
sovrordinati, in quanto al procedim�nto delineato dalla legge speciale il 
conseguimento di tali finalit� non sono estranee articolazioni che comportano adeguate 
possibilit� di conoscenza e di difesa preventiva rispetto all'atto di esercizio 
della pretesa punitiva dell'amministrazione, ancorch� nelle forme che si discostano 
dal modello generale per essere pi� coerenti con le peculiari esigenze di tutela 
di quei diritti�. 

Il ricorso va, pertanto, accolto, cassandosi, in applicazione dell'esposto principio, 
la sentenza impugnata, siccome pronunciata sulla base di opposte conclusioni. 

(omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

196 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 novembre 2000 n. 14570 -Pres. Carnevale Rei. 
Salm� -P.M Uccella (diff.) -S.p.a. R. c. Ministero del Bilancio. 

Arbitrato -Lodo -Impugnazione di nullit� -Judicium rescindens -Omissione 
-Effetti. 
(art. 829 cod. proc. civ.). 

Va cassata senza rinvio la sentenza che, omettendo del tutto la fase rescindente 
dell'impugnazione ex art. 829 c.p.c., dichiari la nullit� del lodo arbitrale pronunciando 
direttamente sul merito, senza preventivo accertamento della sussistenza 
di vizi della pronuncia degli arbitri (1 ). 

(omissis) 

E opportuno iniziare l'esame del ricorso dal quarto motivo con il quale la ricorrente, 
lamentando la falsa applicazione dell'art. 829 c.p.c., osserva che la corte territoriale, 
pur condividendo il principio di diritto enunciato dagli arbitri secondo cui 
le rinunce alla revisione prezzi e al risarcimento dei danni per l'anomalo andamento 
dei lavori potevano considerarsi valide solo a condizione che i diritti rinunciati 
fossero determinati o determinabili, nella loro estensione e nel loro contenuto, al 
momento della sottoscrizione degli atti aggiunti di �sottomissione�, � pervenuta a 
conclusioni opposte rispetto a quelle degli arbitri, che avevano dichiarato la nullit� 
di dette rinunce. Con ci�, sostiene la ricorrente, sarebbe stata violata la disciplina 
dell'impugnazione del lodo, di cui alla richiamata norma processuale, la quale consente 
di passare al giudizio di merito solo dopo che sia stata accertata la nullit� del 
lodo, mentre nella specie la corte territoriale non avrebbe individuato alcun vizio 
della pronuncia arbitrale, neppure per quanto attiene alla motivazione. 

Il motivo � fondato. 

Senza che sia necessario affrontare la questione, puramente teorica, della natura 
dell'impugnazione del lodo arbitrale, disciplinata dagli articoli 828 e 829 c.p.c., 
� sufficiente rilevare che tale impugnazione non abilita il giudice dell'impugnazione 
a riesaminare direttamente nel merito la decisione arbitrale, bens� ad un giudizio 
rivolto ad accertare dapprima se sussista o meno taluna delle nullit� previste 
dall'art. 829 c.p.c. e solo se quest'ultimo giudizio si conclude con l'accertamento 
di una delle suddette nullit�, � possibile il riesame del merito (in questi termini v. 
Cass. n. 1124/1992, 540/1984). 

La ratio decidendi della sentenza impugnata si esaurisce invece nella dichiarazione 
di infondatezza dell'affermazione degli arbitri relativa alla incertezza, dell' an 
e del quantum, dei diritti oggetto delle rinunce e a tale conclusione la corte territoriale 
� pervenuta valutando direttamente le circostanze ?i fatto emergenti dagli atti 

( 1) Come si desume dalla sentenza in rassegna, la Corte di merito non aveva riscontrato vizi 
di motivazione o errori di diritto nel lodo impugnato, limitandosi a sostituire il proprio apprezzamento 
dei fatti a quello operatone dagli arbitri. 
Residua nondimeno qualche perplessit� sulla formula definitoria del giudizio, che appare 
collocarsi in un non precisato ambito d'applicazione dell'art.384, 1� co., c.p.c. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA �:r\!ILE 

di causa, senza individuare alcun vizio del lodo. Infatti, l'affermazione finale relativa 
all'accoglimento del secondo, terzo e quarto motivo di impugnazione del lodo 
(aventi ad oggetto, rispettivamente: a) la violazione delle norme in tema d'interpretazione 
dei contratti e sui poteri del commissario straordinario di governo; b) l'omessa, 
insufficiente e contraddittoria motivazione del lodo; e) l'erroneit� della 
dichiarazione di nullit� delle rinunce) contenuta nella motivazione e la stessa dichiarazione 
di nullit� del lodo contenuta nel dispositivo, non trovano in realt� alcun 
riscontro nelle argomentazioni che la precedono. 

Quanto al vizio di motivazione del lodo � noto che tale vizio, riconducibile 
all'art. 829, n. 5, in relazione all'art. 823 c.p.c. � deducibile solo nei limiti dell'error 
in procedendo .(per inesistenza, cio�, o mera apparenza della motivazione stessa), 
mentre la nullit� del lodo arbitrale per inosservanza di regole di diritto in iudicando 
� circoscritta entro i medesimi confini della violazione o falsa applicazione di 
legge deducibile con il ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c.; e, pertanto, 
solo quando sia prospettata la negazione o il fraintendimento di una norma astratta 
esistente o ne sia stata fatta applicazione ad una fattispecie da essa non regolata, in 
modo da giungere a conseguenze giuridiche contrarie a quelle volute dalla legge. La 
denuncia di tale vizio, quindi, deve essere ancorata agli elementi accertati dagli arbitri 
e postula solo l'allegazione esplicita dell'erroneit� del canone di diritto applicato 
rispetto a detti elementi. 

Ora, la corte territoriale, per un verso, non ha neppure preso in considerazione 
l'osservanza del dovere di motivazione da parte degli arbitri e, per altro verso, ha 
espressamente dichiarato di condividere il principio di diritto secondo cui per la 
validit� della rinuncia � necessario che sia determinato o determinabile l'oggetto del 
negozio abdicativo, posto dagli arbitri a fondamento della dichiarazione di nullit� 
delle rinunce stesse, ritenendo tuttavia che le circostanze di fatto acquisite le consentissero 
di ritenere determinati e determinabili i diritti oggetto di rinuncia. 

Ma, ci� facendo, la corte territoriale si � mossa come se, invece di un'impugnazione 
ex art. 829 c.p.c., dovesse giudicare in un ordinario giudizio d'appello, 
omettendo del tutto la fase rescindente, nella quale deve essere solo accertata la 
sussistenza di vizi del lodo, e passando direttamente al giudizio di merito. In senso 
contrario, si ripete, non � sufficiente il rilievo che nel dispositivo della sentenza si 
dichiari la nullit� del lodo e nella parte finale della motivazione si parli di accoglimento 
dei motivi di impugnazione, perch� la portata precettiva della sentenza va 
individuata tenendo conto non solo delle statuizioni formali contenute nel dispositivo 
o delle mere enunciazioni della motivazione, ma dell'effettiva ratio decidendi, 
che deve essere individuata anche alla stregua delle specifiche argomentazioni 
utilizzate. 

L'accoglimento del quarto motivo comporta, l'assorbimento degli altri con i 
quali la ricorrente ha dedotto a) la falsa applicazione degli articoli 81 e 84 della 
legge n. 219 dei 1981 (illegittimit� delle ordinanze commissariali per esorbitanza 
dai limiti del potere derogatorio); b) la falsa applicazione dell'art. 829 c.p.c. (diversa 
qualificazione della fattispecie contrattuale); e) la falsa applicazione degli articoli 
1326 e 1362 e.e. (erronea individuazione della natura degli atti di sottomissione e 
di quelli di controllo); d) la falsa applicazione dell'art. 1346 e.e. (erroneit� del giudizio 
di determinatezza o determinabilit� dell'oggetto delle rinunce); e) altro profi



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

198 

lo di falsa applicazione degli articoli 81 e 84 della legge n. 219/81 e vizio di motivazione 
(contraddittoriet� tra la qualificazione delle ordinanze come proposte negoziali 
e l'affermazione dell'estraneit� di detti provvedimenti alla fattispecie contrattuale; 
illegittimit� delle ordinanze per violazione di principi generali di diritto);}) la 
falsa applicazione dell'art. 1341 e.e .. 

In conseguenza del motivo accolto la sentenza deve essere cassata senza rinvio. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 dicembre 2000 n. 16028 -Pres. Rocchi -Rei. 
VerucGi -P.M. Golia (conf.) -Ministero dei trasporti e della navigazione c. P. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione legittima -Indennit� 


Determinazione -Parametrazione su quella d'esproprio in concreto 

spettante. 

(legge 25 giugno 1865 n. 2359, artt. 71e72; legge 8 agosto 1992 n. 359, art. 5 bis). 

I

La determinazione del/ 'indennit� di occupazione legittima, in quanto frutto di 
un sub procedimento amministrativo non pi� autonomo, ma funzionalmente collegato 
rispetto a quello espropriativo, va effettuata, in ogni caso (e, dunque, anche in 

I ipotesi di indennit� di esproprio definitivamente determinata e riconosciuta in misura 
superiore a quella che risulterebbe dal/' applicazione dei criteri normativi) 

I

secondo il criterio degli interessi legali rapportati alla somma comunque determinata 
a titolo di indenit� di esproprio (1 ). 

I

I 

(omissis) 

Con l'unico motivo, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 71 

I

e 72 legge 2359/1865, 20 legge 865/71 e 5 bis legge 359/92, in relazione all'art. 360 

n. 3 c.p.c., l'Amministrazione ricorrente lamenta che la Corte territoriale abbia comI


misurato l'indennit� di occupazione d'urgenza -legittimamente liquidata con il 

I ~ 

criterio degli interessi legali per ogni anno -al valore venale del terreno anzich� 
all'ammontare dell'indennit� di esproprio dovuta ai sensi dell'art. 5 bis legge 
359/92: secondo la ricorrente, poi, nessun rilievo pu� assumere la circostanza che 
nel caso di specie l'indennit� di espropriazione non sia stata concretamente fissata 

I m 

~ 

(I) La massima � quella �Ufficiale�. 
I 
~ 

Nella specie, respinta l'opposizione dell'espropriato all'indennit� relativa (rimasta perci�in 
difetto di �riconvenzionale� dell'espropriante -definitivamente fissata nell'ammontare liquidato 
in via amministrativa, bench� lo stesso risultasse superiore a quello dovuto ex art. 5 bis legge 

n. 359/1992), la Corte Suprema ha escluso che l'indennit� di occupazione legittima, giudizialmente 
rivendicata, dovesse parametrarsi (in misura pari agli interessi legali) su quella �virtuale� 
d'esproprio (quale, cio�, sarebbe spettata secondo il criterio di legge applicabile). Si ribadisce, per 
tal modo, il carattere �accessorio� dell'indennit� di occupazione temporanea d'urgenza: adiscapito 
per� -come sembra -della �legalit�� del criterio di determinazione degli indennizzi (sul 
quale � fatta prevalere, quasi con l'intangibilit� del giudicato, la stima in concreto effettuata del 
bene, sebbene impugnata da uno soltanto dei soggetti del rapporto). 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

con i nuovi criteri legali, atteso che la maggior somma determinata in sede amministrativa 
non � stata ridotta per ragioni esclusivamente processuali, rappresentate 
dalla mancanza di una domanda riconvenzionale da parte di essa espropriante. 

La censura � fondata nei limiti di seguito precisati. 

Per effetto della sentenza n. 493/98 delle Sezioni Unite, nella giurisprudenza di 
questa Corte si � consolidato l'orientamento secondo cui, attese l'omogeneit� morfologica 
e funzionale delle indennit� spettanti al proprietario in relazione all' espropriazione 
ed all'occupazione d'urgenza, l'indennit� da attribuire a tale secondo titolo 
-ove determinabile ai sensi dell'art. 72, comma 4, legge 2359/1865 -deve 
essere sempre liquidata in misura corrispondente ad una percentuale, legittimamente 
identificabile nel saggio degli interessi legali, dell'indennit� che spetta o sarebbe 
spettata per l'espropriazione dell'area occupata e non con riferimento al valore del 
bene, anche nel caso in cui la determinazione o rideterminazione giudiziale dell'indennit� 
espropriativa sia soggetta ai criteri di cui all'art. 5 bis d.1. 333/92, convertito, 
con modificazioni, nella legge n. 359/92 (per tutte, da ultimo, Cass. 1210/2000). 

Pur richiamandosi ad un indirizzo giurisprudenziale all'epoca adottato, la Corte 
catanzarese ha erroneamente ritenuto che l'indennit� di occupazione sia svincolata 
dall'indennit� di esproprio, cos� liquidandola con il calcolo degli interessi legali sul 
valore venale dell'immobile: sul punto, quindi, la sentenza impugnata non resiste 
alla critica del Ministero ricorrente. 

Occorre precisare, tuttavia, che non pu� essere condivisa la tesi dello stesso 
Ministero, secondo cui nella specie l'indennit� di occupazione andrebbe parametrata 
non all'indennit� di esproprio determinata in via amministrativa ed attribuita definitivamente 
in sede giurisdizionale, ma a quella virtualmente calcolabile in base ai 
criteri di cui al citato art. 5 bis. 

Premesso che non sono in discussione n� l'astratta applicabilit� dei criteri 
indennitari ex art. 5 bis, n� l'impossibilit� di operare la riduzione dell'indennit� stabilita. 
in via amministrativa, per mancanza di specifica richiesta o domanda riconvenzionale 
dell'espropriante ( cfr. Cass. 10680/2000, 10785/97, 1891/96), va rilevato 
che il riferimento all'indennit� di esproprio virtualmente calcolata -quale 
parametro di liquidazione dell'indennit� di occupazione -opera in tutte le ipotesi 
in cui detta indennit� non sia stata determinata e/o attribuita (ovvero, di c.d. occupazione 
appropriativa), mentre non v'� ragione di ricorrere al metodo virtuale quando 
l'indennit� di espropriazione sia stata fissata. 

Una volta che l'indennit� di esproprio sia definitivamente determinata e riconosciuta 
in misura superiore a quella che risulterebbe dall'applicazione dei criteri normativi 
(come � avvenuto nel caso di specie, poich� l'Amministrazione espropriante 
non ha adottato i criteri ex art. 5 bis e tale determinazione � rimasta ferma in sede giurisdizionale), 
� a questa indennit� che va rapportata quella di occupazione legittima, 
non gi� ad un'indennit� di esproprio virtualmente calcolata con i criteri di legge. 

A tale conclusione conduce non solo la ricordata omogeneit� morfologica e 
funzionale dei rispettivi fenomeni, ma anche la considerazione che, diversamente 
opinando, si verificherebbe un irragionevole distacco tra le due indennit�, s� da far 
venir meno lo stesso fondamento del criterio di liquidazione dell'indennit� di occupazione 
in misura percentuale dell'indennit� di esproprio e, quindi, degli interessi 
legali su quest'ultima indennit�. Non a caso, infatti, questa Corte ha affeflJ:1:ato che 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

200 

la determinazione -o rideterminazione giudiziale -dell'indennit� di occupazione 
va effettuata in misura percentuale della somma comunque determinata a titolo 
di indennit� di esproprio: nell'ipotesi in cui vi sia contestualit� di determinazione o 
rideterminazione delle due indennit�, quella di occupazione deve essere liquidata in 
una percentuale -che ben pu� essere costituita dagli interessi legali-dell'indennit� 
di espropriazione concretamente attribuita all'opponente (cos�, in motivazione, 
Cass. 5537/98; v. anche Cass. 6309/98). 

Ma v'� di pi�. 

La determinazione dell'indennit� di occupazione legittima sulla base di una 
percentuale dell'indennit� di esproprio trova fondamento non solo nel ricordato 
legame funzionale, ma anche e soprattutto nel fatto che detta indennit� ha la specifica 
funzione di ricostituire il patrimonio del soggetto espropriato nella parte in cui 
viene depauperato d�lla somma corrispondente ai frutti civili che avrebbe percepito 
se gli fosse stata corrisposta l'indennit� di esproprio al momento dello spossessamento 
(SS.UU. 8596/98, Cass. 12359/99 e 5513/2000): ne deriva che, al fine di 
assolvere a tale funzione, l'indennit� di occupazione legittima deve necessariamente 
essere rapportata a quella di esproprio concretamente attribuita e non a quella che 
spetterebbe astrattamente all'espropriato in base ai criteri dell'art. 5 bis. 

In altri termini, la ricostituzione del patrimonio dell'espropriato, depauperato dei 
frutti civili che avrebbe percepito se l'indennit� di esproprio gli fosse stata corrisposta 
all'epoca dello spossessamento, nel caso di specie non pu� avvenire se non con 
l'attribuzione di una percentuale -legittimamente riferibile al saggio degli interessi 
legali -dell'indennit� di esproprio che � stata determinata in via amministrativa 
e confermata in sede giurisdizionale, indipendentemente dall'astratta applicabilit� dei 
criteri ex art. 5 bis per la determinazione dell'indennit� di esproprio: si tratta, infatti, 
di frutti civili su quella somma e non sull'altra ipoteticamente dovuta. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 22 dicembre 2000, n. 1325 -Pres. Panzarani 
-Rei. Giannantonio -P.M. Cinque ( conf.) -S.R. ed altri ( avv. Marino) c. Cassa 
DD.PP. (avv. Stato Nunziata). 

Enti pubblici -Cassa Depositi e Prestiti -� ente pubblico economico -Controversie 
relative al rapporto di lavoro del personale dipendente -Giurisdizione 
dell' A.G.O. 

Dalla natura di ente pubblico economico da riconoscere alla cassa DD.PP. 
consegue l'appartenenza alla giurisdizione del giudice ordinario delle controversie 
relative al rapporto di lavoro del personale dipendente. 

(omissis) 

Gli enti pubblici economici sono stati definiti dal r.d. 16 giugno 1938 n. 1303 
come gli enti pubblici, comunque denominati, operanti nel campo della produzione 
e svolgenti una attivit� esclusivamente o prevalentemente economica (in tal senso 
anche l'art. 37 della legge 20 maggio 1970 n. 300 e l'art. 39 della legge 6 dicembre 
1971 n. 1034, istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Occorre dunque che si tratti di un ente pubblico, ossia di un ente che persegua 
un fine pubblico e sociale e non gi� un mero fine di lucro; occorre inoltre che l'ente 
svolga un'attivit� imprenditoriale, ossia un'attivit� che sia improntata a criteri di 
economicit� e a realizzare almeno quanto occorra per compensare i fattori produttivi 
impiegati. Economicit� e non lucro: e quindi non necessariamente un guadagno, 
ma almeno una gestione senza perdite, un equilibrio tra costi e ricavi, una autosufficienza 
economica. 

In base a questi principi, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto enti pubblici 
economici quelli che per la realizzazione dei loro fini istituzionali svolgono 
attivit� di conservazione, di scambio, di produzione di beni o di servizi, improntata 
a criteri di economicit�; un'attivit�, cio�, diretta al procacciamento di entrate remunerative 
dei fattori produttivi e non solo al perseguimento di fini sociali. 

L'ente pubblico economico pu� svolgere esclusivamente attivit� imprenditoriale 
o anche un'attivit� mista, in parte imprenditoriale e in parte autoritativa. In quest'ultimo 
caso, � necessario tuttavia, come ha precisato la giurisprudenza di questa 
Corte, che l'attivit� imprenditoriale sia predominante su quella pubblica. 

I criteri di individuazione degli enti pubblici, sono dunque il fine pubblico e lo 
svolgimento di un'attivit� imprenditoriale a carattere di economicit�, strumentale al 
fine pubblico e prevalente sull'attivit� di carattere autoritativo dell'ente. 

L'accertamento di tali elementi pu� avvenire esclusivamente in base alla legge 
che istituisce o regola gli enti pubblici economici, ovvero, quando manchi una normativa 
di base, in base agli atti costitutivi, agli statuti e ai regolamenti. 

Nel caso in esame, in base ai criteri sopra annunciati, si deve ritenere che la 
Cassa depositi e prestiti abbia natura di ente pubblico economico. 

Ha natura di Ente pubblico, in quanto il legislatore ha attribuito espressamente 
alla Cassa una propria personalit� giuridica per il perseguimento di fini di interesse 
economico generale e in particolare: a) per ricevere i depositi, con la garanzia dello 
Stato, da parte di Amministrazioni statali, Regioni, Enti locali e altri Enti pubblici, 
nonch� di privati; b) per concedere finanziamenti, sotto qualsiasi forma, allo Stato, 
alle Regioni, agli Enti locali, agli altri enti pubblici, ai gestori di pubblici servizi, alle 
societ� a cui la Cassa partecipa e agli altri soggetti indicati dalla legge; e) per gestire 
fondi e svolgere attivit� per conto delle Amministrazioni pubbliche e, nei casi e 
per le finalit� previsti dalla legge, di altri soggetti; d) per svolgere altre attivit� e altri 
servizi a essa assegnati (art. 1 del decreto legislativo sul riordino della Cassa depositi 
e prestiti ai sensi dell'art. 11, comma 1, lett. A della legge 15 marzo 1997).Ha 
natura di ente pubblico economico in quanto l'attivit� prevalente della Cassa � costituita 
dall'impiego del risparmio pubblico e privato in modo da realizzare se non un 
lucro, quanto meno l'equiparazione dei costi ai ricavi; e perch� tale attivit� � svolta 
dalla Cassa con una propria autonomia ordinamentale, organizzativa, patrimoniale e 
di bilancio (art. 1, cit. ). 

Dalla natura di Ente pubblico economico deriva che le controversie relative al 
rapporto di lavoro del personale dipendente della Cassa, disciplinato dalla contrattazione 
collettiva e dalle leggi che regolano il rapporto di lavoro privato (art. 5 del 

d.l. 15 marzo 1997), appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario. Difatti, 
come ha gi� affermato questa Corte, il fatto che lo Stato intervenga nell'attivit� della 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

202 

Cassa, fissando da un lato alcuni elementi dei contratti della Cassa stessa, dall'altra 
disciplinando l'accesso degli enti al credito da essa concesso, attiene alla pubblicit� 

dell'Ente e alla natura strumentale della sua attivit� per il perseguimento dei fini ~ 

della politica finanziaria dello Stato, ma non incide sulla economicit� dell'Ente e 
sulla sua autonomia, formalmente riconosciuta con l'attribuzione con legge della 
personalit� giuridica. (Cass. 23 febbraio 1998 n. 1948). 

Si deve perci� dichiarare che le domande proposte dai ricorrenti rientrano nella 
giurisdizione del giudice ordinario. (omissis) 

CORTE D'APPELLO DI FIRENZE, Sez. I, 4 dicembre 2000 n. 1992 -Pres. Massetani 
-Rei. Occhipinti -I.G. ed altri (avv. Bruni) c. Ministero dell'Interno 
(avv. Stato Cortigiani). 

Responsabilit� civile della P.A. -Illegittima sospensione licenza di commercio 
-Risarcimento danni -Esclusione. 
(art. 2043 cod.civ.) 

L'illegittimit�, accertata con giudicato, del/' atto amministrativo (nella specie, 
per vizio di motivazione del provvedimento di sospensione di licenza per il 
commercio ali 'ingrosso di metalli preziosi) non � sufficiente a radicare una obbligazione 
risarcitoria della P.A., occorrendo all'effetto la prova che la lesione dell'interesse 
-non illegale -del singolo sia in rapporto di effetto a causa con un 

comportamento colpevole del/ 'Amministrazione (1 ). 

(omissis) 

1. -L'appello � infondato e va rigettato, seppure con una motivazione diversa 
da quella data dal Tribunale nella impugnata sentenza. 
Dopo la recente decisione, sopra citata, delle S.U. della Cassazione la questione 
della risarcibilit� del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo sembra 
avviata ad una definitiva soluzione, da tempo auspicata dalla dottrina, secondo 
cui l'atteggiamento �pietrificato� della S.C. urtava contro esigenze pratiche di giustizia 
divenute oggi intrascurabili. 

(1) La sentenza, che rappresenta una delle prime applicazioni dei principi di Cass., S.U., 22 
luglio 1999, n. 500 (in questa Rassegna, 1999, I, 408, con nota di A. LINGUITI ed ulteriori richiami), 
denota -a quel che pare -un non indifferente sforzo nella ricerca dell'uhi consistam in 
una materia nella quale il �ripensamento� delle Sezioni Unite a riguardo di una consolidata lettura 
dell'art. 2043 cod. civ. non sembra essersi accompagnato a sicure indicazioni per quanto concerne 
l'indagine da compiersi dai giudici di merito, specie in ordine alla dicotomia illegittimit�illiceit� 
(che nella stessa pronuncia della Corte regolatrice appare, al tempo stesso, affermata col 
negare che l'imputazione dell'evento di danno alla P.A. possa avvenire �sulla base del mero 
dato obbiettivo della illegittimit� dell'azione amministrativa� -e negata, col rilievo secondo cui 
l'illegittimit� dell'azione amministrativa costituisce uno degli �elementi costitutivi� della fattispecie 
di cui all'art. 2043 e.e.). 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Ne consegue che l'identificazione della situazione soggettiva fatta valere a base 
della richiesta risarcitoria non costituisce pi� per nessuna delle parti il tema decisionale 
di fonde, dato che il Ministero mostra di accettare, in linea di principio, la 
risarcibilit� degli interessi legittimi, affermata dalla sentenza n. 500, mentre dal 
canto loro gli appellanti propendono sempre per la tesi del diritto soggettivo, sia 
pure nella figura del diritto �ad espansione�, corrispondente a quella specie d'interesse 
legittimo che la pi� recente dottrina chiama �oppositivo�. Il contendere s'incentra 
ora su due punti essenziali, ugualmente implicati nel discorso innovativo 
aperto dalla sentenza delle S.U. pi� volte citata: la colpa della pubblica amministrazione 
ed il nesso di causalit�, che sono, assieme alla situazione giuridica lesa, di cui 
abbiamo appena detto, gli altri due termini della responsabilit� risarcitoria enunciata 
dall'art. 2043 e.e. 

Vediamoli distintamente. 

2. -Sostiene il Ministero che la risarcibilit� del danno suppone, a norma dell'art. 
2043 e.e., la colpevolezza, nella forma del dolo o in quella della colpa, della pubblica 
amministrazione, ma che questa colpevolezza non � presuntivamente insita nel 
fatto stesso di avere emesso un provvedimento illegittimo o ritenuto tale da un'apposita 
decisione di annullamento del giudice amministrativo, e, conseguentemente, non 
esonera il danneggiato dall'onere della prova. In altri termini, illegittimit� e illiceit� 
dell'atto amministrativo non sono la stessa cosa: pur vertendosi in ipotesi di lesione 
di interessi legittimi (il discorso � fuori discussione per il diritto soggettivo) il risarcimento 
del danno pu� conseguire soltanto ad un comportamento illecito, e non 
anche semplicemente illegittimo, della pubblica amministrazione. E in questo, l'appellato 
trova conforto nella citata sentenza 500 delle S.U., che, sovrapponendosi ad 
un indirizzo contrario consolidato, cos� si esprime:�... la colpa, (unitamente al dolo) 
costituisce infatti componente essenziale della fattispecie della responsabilit� aquiliana 
ex art. 2043 e.e.; e non sar� invocabile, ai fini dell'accertamento della colpa, il 
principio secondo il quale la colpa della struttura pubblica sarebbe in re ipsa nel caso 
di esecuzione volontaria di atto amministrativo illegittimo, poich� tale principio, 
enunciato dalla giurisprudenza di questo S.C. con riferimento all'ipotesi di attivit� 
illecita, per lesione di un diritto soggettivo, secondo la tradizionale interpretazione 
dell'art. 2043 e.e. (sent. n. 884/61; n. 814/67; n. 16/78; n. 5361/84; n. 3293/94; 
n. 6542/95), non � conciliabile con la pi� ampia lettura della suindicata disposizione, 
svincolata dalla lesione di un diritto soggettivo; l'imputazione non potr� quindi avvenire 
sulla base del mero dato obiettivo della illegittimit� dell'azione amministrativa, 
ma il giudice ordinario dovr� svolgere una pi� penetrante indagine, non limitata al 
solo accertamento dell'illegittimit� del provvedimento in relazione alla normativa ad 
esso applicabile, bens� estesa anche alla valutazione della colpa, non del funzionario 
agente (da riferire ai parametri della negligenza o imperizia), ma della p.a. intesa 
come apparato (in tal senso v. sent. n. 5883/91), che sar� configurabile nel caso in cui 
l'adozione o l'esecuzione dell'atto illegittimo (lesivo dell'interesse del danneggiato) 
sia avvenuta in violazione delle regole d'imparzialit�, di correttezza e di buona 
aniministrazione alle quali l'esercizio della funzione amministrativa deve ispirarsi e 
che il giudice ordinario pu� valutare, in quanto si pongono come limiti esterni alla 
discrezionalit��. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

204 

E qui s'impone una riflessione. Certamente la tradizionale vlSlone della 
responsabilit� aquiliana -da cui la sentenza in discorso mira a svincolarsi -collega 
in modo imprescindibile l'essenza della illiceit� alla violazione di un diritto 
soggettivo, e ci� tanto nei rapporti fra privati che in quelli fra il privato e il sog


getto pubblico; l'antigiuridicit� di un comportamento rileva come illiceit�, e non 
come semplice difformit� al precetto normativo, quando ad esso consegue la violazione 
di una situazione di diritto soggettivo. Correlativamente, un problema 
della �colpa� della pubblica amministrazione nello spiegamento di un'attivit� illegittima 
prima d'ora non si poneva -civilisticamente parlando -se non qu�ndo 
veniva in discussione la lesione di un diritto soggettivo, problema che invece 
diventa onnipresente una volta che, rovesciata la chiave di lettura dell'art. 2043 
e.e., sussistenza e misura della responsabilit� aquiliana non dipendono pi� dalla 
violazione di un diritto soggettivo, ma sono espressione diretta dell'antigiuridicit� 
comportamentale, come una specificazione all'interno della pi� ampia categoria 
della illegittimit�. Il concetto di danno ingiusto, insito nel principio del �neminem 
ledere�, ossia nel dover rispettare il diritto (soggettivo) altrui, pare in tal 
modo volgersi in senso squisitamente oggettivo, e da cui la posizione dei singolo 
pare trarre un beneficio riflesso, quasi incidentale: il che avvalora l'idea di un 

I

avvicinamento sostanziale, e non soltanto di ordine giurisdizionale, fra diritto 
soggettivo e interesse legittimo. Ci� premesso, occorre prendere atto che � pur 
vero che la precedente giurisprudenza, anche in decisioni pi� recenti (v. ad esem


l pio Cass., sez. I, 1 settembre 1997, n. 8297) di quelle citate nella sentenza 500/99 
delle S.U., ha sempre considerato la colpa come una componente intrinseca della 

I

illegittimit�, purch� sanzionata dall'annullamento dell'atto illegale, senza uno 

~ 

specifico riguardo alle sue conseguenze:�L'elemento soggettivo della colpa non 
esige prova specifica da parte dell'attore nel giudizio di responsabilit� civile, con~ 
figurandosi esso come diretta conseguenza dell'annullamento dell'atto pronunciato 
dal competente giudice amministrativo� (n. 8297/97); dalla nuova lettura dell'art. 
2043 e.e., tuttavia, la C.S. trae la ulteriore conclusione che la lesione 
risarcibile del diritto, come quella dell'interesse legittimo, supponga di necessit� 
la colpa della pubblica amministrazione, ma non anche una pronuncia di annullamento 
dell'atto a cui la lesione sia correlata. Non solo; colpa e illegittimit� dell'atto 
parrebbero adesso reciprocamente svincolate e il giudizio su quest'ultima, 
rilevante ai fini risarcitori, reso autonomo da quello sulla legittimit� amministrativa 
dell'atto, fino al punto, forse, da potersi considerare colpevole la pubblica 
amministrazione anche in presenza di una legittimit� formale dell'atto, conseguita 
per mancata impugnativa o addirittura per pronuncia del giudice amministrativo. 
� certo un ulteriore problema che viene a porsi, anche perch� � difficile pensare 
che illegittimit� e colpa non siano concetti coincidenti, dal momento che la 
illegittimit�, intesa in senso ampio, come non conformit� al dettato normativo, 
implica per definizione la colpa, nella sua accezione pi� generale e pi� ricorrente 
di violazione di legge. 

3. -La preoccupazione che ha spinto le S.U. a svincolare il giudizio sulla colpa 
dal giudizio sulla legittimit� dell'atto � stata indubbiamente quella di evitare una 
eccessiva dilatazione dell'illecito ed il rischio di aprire la risarcibilit� alle pi� dis

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

parate situazioni individuali. A questo scopo, forse, � utile concentrare l'attenzione, 
pi� che sulla colpa, sull'altra componente dell'illecito aquiliano, cio� sul nesso di 
causalit�, che � il nodo, a parere di questa Corte, in cui s'incentra, e si risolve, il 
tema della fattispecie presente. 

La configurazione dell'illecito esige che fra la illegittimit�, intesa come 
colpa, e la lesione della situazione protetta, sia essa diritto o interesse legittimo, 
s'inserisca un nesso di causalit�, ossia una relazione in base alla quale la lesione 
si presenti come conseguenza non dell'atto in s� stesso, ma del suo carattere illegittimo, 
una relazione perci� non semplicemente meccanicistica, ma di ordine 
logico-giuridico. E' compito del giudice ordinario cogliere questo nesso, che, 
generalmente, e salvo eccezioni di legge, non interessa al giudice amministrativo. 
In tale linea di pensiero, �la accertata illegittimit� assume rilevanza di autosufficiente 
ed autoevidente titolo di colpa, pur ferma restando la necessaria distinzione 
fra il giudizio amministrativo vertente sulla illegittimit� degli atti e il giudizio 
civile vertente sulla illiceit� degli stessi per quanto concerne i rispettivi presupposti 
(con riferimento a un danno ingiusto risarcibile e ad un nesso causale fra l'attivit� 
amministrativa e il danno, in difetto dei quali l'atto illegittimo non sarebbe 
qualificabile come illecito)� (cos� Cass., sez. I, 1 settembre 1997, n. 8297). Perci�, 
la ragione perch� il danno possa essere considerato ingiusto � in relazione 
diretta con la colpa, che vuol dire non con il semplice fatto, quale che ne sia la 
causa, dell'illegittimit� del provvedimento, ma con quel tipo specifico d'illegittimit� 
che coinvolge negativamente l'essere stesso della situazione tutelata. � proprio 
il caso che c'interessa da vicino: il Questore emette un provvedimento -la 
sospensione della licenza di p.s. -ritenuto illegittimo dal giudice amministrativo 
per un vizio formale -una colpa -costituito da difetto di motivazione, di per 
s� ininfluente al fine di dare un giudizio di legittimit� della situazione lesa e di stabilire 
se si tratta veramente di un danno ingiusto. In questo caso la lesione del1 
'interesse del soggetto � in relazione certamente con l'atto illegittimo, ma non 
con la ragione dell'illegittimit�, cio� con la colpa accertata in sede di annullamento. 
L'atto pu� essere illegittimo, ma non per questo il danno diventa senz'altro 
ingiusto e quindi risarcibile, dato che non � stato leso un diritto soggettivo, la 
cui esistenza -occorre non dimenticarlo -� del tutto autonoma rispetto all' operato 
dell'amministrazione, a differenza di quanto avviene per l'interesse legittimo. 
Cos�, ad esempio, il Questore nega illegittimamente (poniamo per errate 
informazioni) il porto d'armi ad un incensurato che ha in animo di commettere un 
omicidio: certamente il provvedimento arreca a questo soggetto un danno, dal 
punto di vista del suo interesse, ma questo danno � in relazione con la causa dell'illegittimit� 
del provvedimento? Diventa �danno ingiusto� per la colpa del Questore, 
consistita nel non aver dato un permesso che qualsiasi altro questore, pi� 
accorto di lui, avrebbe dato? Abbiamo in questo esempio l'illegittimit� del provvedimento, 
ma il danno non � in relazione diretta con la causa dell'illegittimit�. 

La fattispecie in esame non � dissimile, sul piano metodico, s'intende, dall'e
�sempio ora fatto. Il provvedimento di sospensione del Questore di Firenze era illegittimo, 
ma non per questo il danno subito dai titolari della licenza sospesa diveniva 
ingiusto, in quanto la qualificazione di esso, come giusto o ingiusto, non 
av~va alcuna relazione col tipo di vizio che aveva determinato l'annullamento. La 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

206 

colpa del Questore non � nell'avere emesso il provvedimento -che, con ogni 
probabilit�, era pressoch� doveroso, malgrado la discrezionalit� -ma nell'averlo 
emesso in quella forma, sotto un vizio di legittimit� che lasciava assolutamente 
irrisolto il problema della qualificazione del danno. Forse se il vizio non ci fosse 
stato, l'interessato avrebbe potuto dire di non avere avuto danno? Evidentemente 
no: e quindi il danno non dipende dal vizio, ma dal fatto che il provvedimento � 
stato emesso. 

E l'onere della prova, la prova della colpa per la quale il danno sarebbe da qualificare 
�ingiusto�, non poteva non gravare che sugli attori, secondo un principio di 
ordine generale, non avendo nel caso specifico la pronuncia di illegittimit� dell'atto, 
per la ragione che si � detta, alcun rilievo al riguardo. Ci� vuol dire che il giudice 
far�, n� pi� n� meno, quello che ha fatto sempre, ossia verificare se sussista una 
situazione di contrasto fra illegalit� del comportamento della pubblica amministrazione 
e interesse non illegale del singolo; in altre parole, se le tre componenti dell'illecito 
aquiliano, comportamento colpevole, nesso causale e danno ingiusto, siano 
in linea. 

Impostata la questione in tali termini, la soluzione � agevole, senza che serva 
neppure fermarsi ad aspettare l'esito del processo penale che vede l'I. gi� pesantemente 
condannato per illeciti commessi in relazione all'attivit� commerciale a cui la 
licenza si riferiva. Avrebbero dovuto gli appellanti, perch� l'operato del Questore 
potesse risultare �ingiusto� nei loro confronti, dimostrare che egli non avrebbe potuto 
legittimamente sospendere la licenza, nel qual caso il danno conseguente alla 
sospensione sarebbe stato risarcibile. L'interesse (che si assume) legittimo non sta 
nell'esigere la rimozione del vizio del provvedimento, ma la rimozione del provvedimento 
in s� stesso: manca, in altre parole, l'interesse alla legittimit�, riguardo al 
vizio in questione, dell'operato della pubblica amministrazione. 

Su questa base logica non restava agli attori che dare conto del perch�, nella 
situazione specifica in cui versavano, il Questore, pur nell'ambito del suo potere discrezionale, 
non avrebbe potuto correttamente emettere il provvedimento di sospensione, 
in guisa che, se lo avesse emesso, sarebbe incorso in un colpevole eccesso di 
potere. Si potrebbe dire che non ci hanno nemmeno tentato; il pericolo alla pubblica 
sicurezza dall'attivit� della M. si coglie a piene mani dalle imputazioni per le 
quali l'I. � stato condannato il 9 febbraio 1999 dal Tribunale di Firenze, e per le quali 
la societ� sarebbe sorta esclusivamente per commettere reati. Se l'imputazione corrisponde 
al vero, il risarcimento di vari miliardi che oggi viene domandato allo Stato 
sotto forma specifica di danno emergente e di lucro cessante, corrisponde, rispettivamente, 
al profitto dei reati commessi e di quelli da commettere. E sul punto la sola 
risposta che gli appellanti hanno potuto dare � che la sentenza non � ancora irrevocabile; 
ma questo significa che il Questore, in una tale situazione, avrebbe dovuto 
restarsene ad aspettare per anni l'esito del giudizio penale, lasciando in piedi il pericolo 
che per tutto questo tempo gl'indagati continuassero a sfruttare per i loro illeciti 
affari la licenza da lui rilasciata? Sarebbe stato illecito un intervento di questo 
tipo da parte del Questore, pur nella prospettiva, pi� o meno remota, di una possibile 
assoluzione? O sarebbe stato illecito starsene a guardare, come avrebbero preferito 
gli indagati? 

L'appello deve essere pertanto respinto. (omissis) 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

207 

TRIBUNALE DI PORDENONE, Giud. lav. Costa, 25 ottobre 2000 -Li.Si.Po. c. 
Ministero dell'Interno. 

Impiego pubblico -Sindacati -Condotta antisindacale esaurita -Ricorso ex 
art. 28 legge 20 maggio 1970 n. 300 -Ammissibilit� -Esclusione. 

L'attualit� della condotta antisindacale, che costituisce presupposto necessario 
per l'esperibilit� dell'azione ex art. 2 8 cit., in quanto diretta ad una pronunzia costitutiva 
e non di mero accertamento, non � esclusa dall'esaurirsi della singola azione 
antisindacale del datore di lavoro, ove il comportamento illegittimo di questi 
risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo. 

In ipotesi di esaurimento della condotta antisindacale � inammissibile la 
domanda di condanna in futuro, esperibile solo allorquando il comportamento illegittimo 
si dimostri destinato a protrarsi nel tempo (1 ). 

(1) Condotta antisindacale: pronuncia di mero accertamento e condanna in futuro. 
Il giudice del lavoro di Pordenone, senza esaminare il merito della controversia (materia, 
peraltro, resa di scottante attualit� dal fatto che vede direttamente coinvolta l'ampiezza dei poteri 
del Questore nell'organizzare un servizio di ordine pubblico) ha affrontato la peculiare natura 
del provvedimento disciplinato dall'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. 

Com'� noto, oggetto sostanziale dello speciale procedimento approntato dal legislatore � la 
repressione della condotta antisindacale e, pi� precisamente, la repressione dei comportamenti 
datoriali �diretti ad impedire o limitare l'esercizio della libert� o dell'attivit� sindacale nonch� del 
diritto di sciopero�. 

La descrizione della condotta in termini cos� ampi risponde a una scelta tecnica del legislatore, 
consapevole del fatto che, nella realt� del conflitto aziendale, la libert� sindacale e il 
diritto di sciopero possono essere violati in una variet� di modi difficilmente tipizzabili a priori 
in un testo di legge (al riguardo si noti che per Cassazione, SS.UU. 5295 del 12 giugno 1997 
in R.G.L. 1998, II, 353 con nota di REALE rileva il solo dato oggettivo della lesione, potendosi 
prescindere dall'esame della legittimit� formale dell'atto e dalla sussistenza dell'elemento 
soggettivo). 

La questione portata all'esame del Tribunale di Pordenone concerne i diritti di informazione 
e consultazione sindacale nel settore pubblico (si veda al riguardo Cassazione, Sezione Lavoro, 
8 ottobre 1998 n. 9991 edita, con ampia nota di commento di ALBI, in R.1.D.L. 1999, II, 697 
e ss.) ed � strettamente correlata al tipo di provvedimento che l'organizzazione sindacale pu� 
invocare dal giudice. � 

Il decreto in commento, quindi, sembra allinearsi all'orientamento da tempo consolidato 
della Corte di Cassazione, attestato nel ritenere che, nella ipotesi in cui non siano riscontrabili, in 
relazione ad una condotta antisindacale ormai esaurita, perduranti effetti lesivi, non possa essere 
pronunciata una sentenza di mero accertamento del carattere antisindacale della condotta; ci� in 
quanto il procedimento di repressione della condotta antisindacale � uno strumento tipicamente 
condannatorio, tendente cio� a far cessare un comportamento illegittimo; tale vocazione presuppone 
necessariamente l'attualit� della condotta stessa perch� il giudice possa valutarla nella sua 
intrinseca obiettivit� e adottare quei provvedimenti che la fattispecie, in quel determinato momento, 
richiede (cos� Cassazione 29 novembre 1983, n. 7181 in Giur. lt. 1985, I, 87; in senso conforme 
si veda Cass. 5 aprile 1991 n.3568, in N.G.L., 1991, 246 ove si richiama SS.UU. 13 giugno 
1977 n.2443 unitamente a numerosi altri precedenti). 

La decisione in commento, inoltre, collega inscindibilmente all'attualit� del comportamento, 
o, comunque al perdurare dell'effetto lesivo l'ammissibilit� della condanna �in futuro�. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT�

208 

(omissis) 

Il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 

Ed, invero, la Federazione Sindacale di Polizia Li.Si.Po. -So.Di.Po. (di seguito, 
per brevit�, denominata F.S.P.), nell'atto introduttivo del presente giudizio ha 
riferito di essere tra le Organizzazioni Sindacali maggiormente rappresentative sul 
piano nazionale e di figurare firmataria dei contratto nazionale di lavoro per il personale 
della Polizia di Stato, recepito dal d.P.R. 16 marzo 1999 n. 254. 

Ha, quindi, lamentato la ricorrente che il 26 settembre 2000 la Questura di Pordenone 
aveva predisposto per le giornate del 29 e del 30 settembre successivo un 
orario di servizio diverso da quello previsto in sede di Accordo Nazionale Quadro, 
comunicandole la modifica solo in data 27 settembre 2000 ( doc. 1 del fascicolo di 
parte della F.S.P.), in aperta violazione del disposto di cui all'art. 24 del d.P.R. 
254199, il quale, viceversa, impone che la comunicazione suddetta che, nella specie, 
si rendeva doverosa in quanto afferente l'articolazione dell'orario obbligatorio giornaliero 
di lavoro, materia oggetto di informativa preventiva ai sensi dell'art. 24 
comma 20 lettera a) del d.P.R. 254/99 pervenga alle organizzazioni sindacali con 
congruo anticipo. 

In realt�, perch� possa parlarsi propriamente di condanna in futuro � necessario che il provvedimento 
giudiziale specifichi in modo dettagliato il comportamento datoriale vietato in futuro, 
dovendosi altrimenti riconoscere un'efficacia di mero fatto ai dispositivi caratterizzati da estrema 
genericit�, ovvero a dispositivi che si risolvono in una ripetizione dell'astratto precetto legislativo 
(cfr. LUNARDON, La Condotta antisindacale, in Diritto del Lavoro Commentario diretto da F. 
CARINCJ, Torino, 1998, I, 430). 

Invero, laddove si tratti di un comportamento in atto si esuli dall'accezione di una pronuncia 
inibitoria in senso proprio, ben potendosi il provvedimento inquadrare nell'ordine di cessazione 
o di rimozione degli effetti espressamente previsto dall'art. 28. 

Il vero e proprio nodo interpretativo consiste quindi nella configurabilit� del potere di porre 
in essere dei veri e propri precetti, ossia ordini di astensione da una data attivit� o comandi di 
porre in essere puntuali comportamenti. Sotto questo profilo il giudicante ha mostrato di condividere 
l'orientamento dottrinale che esclude recisamente in capo al magistrato il potere di emanare 
condanne per il futuro e cos� stabilire che il datore di lavoro, ove si verifichi in futuro una 
determinata situazione, debba adottare il provvedimento prescrittogli per non conculcare le libert� 
sindacali. E ci� in ossequio al principio, di rango costituzionale, che non consente all'autorit� 
giudiziaria di creare una vera e propria norma giuridica (penalmente sanzionata), sia pure con 
riferimento ad un caso concreto (cos� ScoGNAMIGLIO, voce Condotta antisindacale, I, Disciplina 
sostanziale, EGT, 1988, 12 e 18; contra, in senso possibilista VACCARELLA, Il procedimento di 
repressione della condotta antisindacale, Milano, 1977, 169 e ss). 

Peraltro, l'ansia di collegare l'ammissibilit� di una condanna in futuro al perdurare del comportamento 
o dell'effetto lesivo rivela un'ambiguit� di fondo presente in giurisprudenza, divisa 
dalle contrapposte esigenze di assicurare un'efficace tutela nel caso concreto e di salvaguardare 
il principio di separazione dei poteri che informa il nostro ordinamento. Tale ambiguit� � ben 
documentata dalla sentenza n. 9991/1998 della Cassazione precedentemente citata, laddove, dopo 
aver affermato in linea di principio di non condividere l'orientamento giurisprudenziale che 
ammette la condanna in futuro, finisce per fame propria l'impostazione allorch� fa riferimento, 
in motivazione, �ai casi in cui l'attivit� antisindacale esprima non una condotta episodica, ma 
destinata a protrarsi nel tempo�. 

LORENZO CAPALDO 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA �VILE 

E si �, secondariamente, lagnata del fatto che in data 30 settembre 2000, nel 
rispondere ad una istanza di esame congiunto, ex art. 25 del d.P.R. 254/99, avanzata 
dalla propria Segreteria Provinciale (ibidem doc. 2), la Questura di Pordenone ha 
negato tale diritto (ib. doc. 3), ponendo cos� in essere un comportamento palesemente 
lesivo dei diritti sindacali. 

Ha, pertanto, concluso chiedendo che il Giudice, a norma dell'art. 28 della 
legge 20 maggio 1970 n. 300, �previa declaratoria dell'illegittimit� della condotta 
tenuta dalla Questura di Pordenone voglia ordinare alla stessa .. la cessazione del 
comportamento illegittimo, con il ripristino ... del diritto dell'Organizzazione Sindacale 
ad essere ieformata preventivamente, potendo cos� porre in essere le iniziative 
sindacali consentite dalla legge, oltre al rispetto sia del C. C.NL., sia 
dell'A.NQ. siglato in data 15 maggio 2000�. 

Nel costituirsi per il Ministero dell' Interno (ente del quale fa, in effetti, parte 
anche la resistente Questura), l'Avvocatura dello Stato ha, preliminarmente, eccepito 
il difetto di giurisdizione dell'autor�t� giudiziaria ordinaria, assumendo che l'art. 
68 comma 3� del decreto legislativo 3 febbraio 1993 n. 29 fa riferimento esclusivamente 
al personale �privatizzato�, dal cui ambito esula, dunque, il personale appartenente 
alla Polizia di Stato, con conseguente (residua) applicazione del 7� comma 
dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori, che prevede la cognizione del Tribunale 
Amministrativo Regionale, qualora il ricorso, censurando una condotta plurioffensiva, 
mira ad ottenere la rimozione del provvedimento che si assume illegittimo. 

Sempre in via preliminare, il Ministero resistente ha eccepito la inammissibilit� 
del ricorso, sia perch� diretto ad ottenere il mero accertamento della natura antisindacale 
della condotta tenuta dalla Amministrazione, sia per la carenza del presupposto 
necessario per l'esperibilit� del rimedio previsto dall'art. 28 cit., rappresentato 
dall'attualit� della condotta antisindacale o, almeno, degli effetti di essa. 

Nel merito ha, infine, rilevato l'infondatezza della domanda, posto che dalla semplice 
lettura dell' art. 24 del d.P.R. 254/99 deve ricavarsi che le determinazioni degli 
orari di lavoro e degli altri istituti contemplati dalla norma si riferiscono a periodi 
quanto meno trimestrali ed a tutto il personale, nel mentre, nella circostanza in contestazione, 
il Questore, per far fronte ad una straordinaria evenienza di ordine pubblico 
non disponibile e, dunque, sottratta alla contrattazione decentrata e centrale, ha disposto 
dei servizi esclusivamente per due giorni e, rispettivamente, per cinque e quattro 
dipendenti, non consentendo un tanto alcuno spazio per attivare il richiesto esame congiunto. 
In subordine, il Ministero ha escluso la sussistenza dell'elemento soggettivo. 

Ci� premesso, va, anzitutto, disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria, per l'assorbente rilievo che la norma invocata dal1'
Avvocatura dello Stato (comma 7� dell'art. 28 della legge 300170, che attribuiva 
alla cognizione dei TAR i procedimenti di repressione della condotta antisindacale 
proposti contro le amministrazioni statali nel caso in cui le organizzazioni sindacali 
intendessero chiedere la rimozione di provvedimenti lesivi di situazioni soggettive 
inerenti al pubblico impiego) � stata espressamente abrogata dall'art. 4 della legge 
11 aprile 2000 n. 83. 

Passando, quindi, all'esame dell'ulteriore eccezione preliminare sollevata dal1'
Avvocatura dello Stato, va precisato che, come chiarito dalla Suprema Corte ( cfr. 
Cassazione civile, sez. lav., 2 giugno 1998 n. 5422, peraltro menzionata dalla dife



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA.'TO

210 

sa della F.S.P.), l'attualit� della condotta antisindacale, che costituisce presupposto 
necessario per l'esperibilit� dell'azione ex art. 28 cit., in quanto diretta ad una pronunzia 
costitutiva e non di mero accertamento, non � esclusa dall'esaurirsi della sin~ 
gola azione antisindacale del datore di lavoro, ove il comportamento illegittimo di 
questi risulti tuttora persistente ed idoneo a produrre effetti durevoli nel tempo, sia 
per la sua portata intimidatoria, sia per la situazione di incertezza che ne consegue, 
tale da determinare una restrizione o un ostacolo al libero svolgimento dell'attivit� 
sindacale (nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione la Amministrazione aveva 
tenuto un comportamento effettivamente discriminatorio nei confronti di un dipendente, 
avendogli negato un permesso, per contro accordato a dirigente di altra sigla 
sindacale, cos� creando una situazione di incertezza, sulla configurabilit� di un potere 
discrezionale della P.A. al riguardo). 

Assume, allora, rilievo centrale il tema dell'attualit� della condotta, che il Giudice 
reputa, tuttavia, non sussistente nel caso di specie, dato che, una volta resa operativa 
la decisione di modifica dell'orario di servizio nelle due giornate indicate in 
premesse, non potendosi pi� dar corso alla previa informativa alle parti sociali, il 
comportamento antisindacale denunciato deve dirsi in effetti esaurito. 

Sotto questo profilo deve, senz'altro, escludersi (secondo la tesi di gran lunga 
prevalente: cos� Cassazione 5422/98 cit.; oltre che Cassazione civile, sez. lav., 19 
agosto 1987 n. 6946) la possibilit� di una pronuncia di mero accertamento. 

N� a diversa conclusione � dato pervenire in virt� del principio sancito dalla 
Suprema Corte nella sentenza n. 9991 dell'8 ottobre 1998 (invocata a sostegno delle 
proprie tesi dalla ricorrente), posto che in tale decisione si era ritenuto configurabile 
l'interesse del sindacato ad una siffatta pronuncia nel vigore della ripartizione 
della giurisdizione in materia di repressione della condotta antisindacale del datore 
di lavoro pubblico tra Pretore e Tribunale Amministrativo Regionale, di cui agli 
abrogati commi 6� e 7� dell'art. 28 dello Statuto dei lavoratori e per un caso, dunque, 
ben diverso da quello che ci occupa. 

E va, del pari, negata la possibilit� di una condanna c.d. in futuro (potendosi 
intendere in questo senso quella parte della domanda volta ad ottenere l'ordine di 
cessazione del comportamento illegittimo, con ripristino dei diritto della organizzazione 
sindacale ad essere informata preventivamente), anch'essa consentita nelle 
sole ipotesi in cui l'attivit� antisindacale esprima non una condotta episodica, ma 
sia, invece, destinata a protrarsi nel tempo, dovendosi, per quanto sopra detto, negare 
l'esperibilit�, nella specie, del procedimento ex art. 28 cit., poich� si verificherebbe, 
come recepito dalla giurisprudenza (si vedano, ad esempio, Cassazione civile 
18 gennaio 1984 n. 441 e Cassazione civile 5 aprile 1991 n. 3568), un caso in cui, 
in contrasto con quanto stabilisce l'art. 25 comma 2 della Costituzione, il datore di 
lavoro potrebbe essere colpito da una sanzione penale, per aver tenuto un comportamento 
non incriminato dalla legge all'epoca in cui si � verificato. 

In buona sostanza, la giurisprudenza ha ritenuto ammissibile l'azione ex art. 28 
volta ad ottenere una pronuncia di mero accertamento (giustificandola in considerazione 
della ormai superata ripartizione di giurisdizione tra A.G.O. e G.A.) o una 
condanna in futuro, solo nel caso di attualit� della condotta antisindacale del datore 
di lavoro o, quantomeno, degli effetti di questa, circostanze che, per quanto detto, 
vanno escluse nel caso di specie. (omissis) 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO EPROCEDURA CNILE 

211 

TRIBUNALE DI ROMA, Sez. Il, 11 febbraio 2000 n. 4119 -G.!. Curatola -S.L. 
ed altri, Codacons, Associazione FUMO NO (avv. Ramadori) c. P.M.C.S. lnc., 
Amministra"Zione autonoma dei Monopoli di Stato (avv. Stato Mazzella). 

Risarcimento dei danni da fumo -Responsabilit� del produttore di sigarette Art. 
2050 e.e. -Non � attivit� pericolosa -Non sussiste res!)onsabilit�. 

Risarcimento dei danni da fumo -Responsabilit� del produttore disigarette 
-Art. 2043 e.e. -Non sussiste pi� il comportamento determinante del 
danneggiato. 

L'attivit� di produzione di sigarette non pu� essere considerata pericolosa, ai 
sensi dell'art. 2050 e.e., perch� il prodotto finale di tale attivit� non ha in s� una 
capacit� di provocare situazioni dannose mentre pu� diventare dannoso, e quindi 
pericoloso, l'uso reiterato nel tempo dello stesso prodotto che � in definitiva attribuibile 
ad un comportamento dell'utilizzatore (consumatore). 

Il comportamento del danneggiato se determinante, decisivo e consapevole 
(nella specie: consumo di due/tre pacchetti di sigarette al giorno per pi� di cinquanta 
anni) esclude la responsabilit� del produttore di tabacco ai sensi dell'art. 
2043 e.e. in quanto la sua attivit� non pu� ritenersi causa di per s� dell'evento dannoso 
dedotto in lite (nella specie: morte per cancro polmonare del consumatore) (1). 

(1) Ancora in tema di responsabilit� per danni da fumo. 
Il Tribunale di Roma (seconda sezione civile -decisione 4119 dell'8 gennaio 2000, depositata 
l' 11 febbraio 2000, non ancora notificata) si � occupato per la seconda volta di un caso di pretesa 
responsabilit� dell'Amministrazione dei Monopoli (oggi Ente Tabacchi Italiani) per danni da fumo. 

Come nel caso Stalteri (la cui decisione � stata commentata in questa Rassegna con nota: 
LUIGI MAZZELLA: La responsabilit� per danni da fumo: un caso giudiziario, 1996, Il, 43 ss.) gli 
attori, dopo aver rilevato che il loro dante causa aveva contratto il vizio del fumo sin dall'et� di 
17 anni, consumando regolarmente pi� di due pacchetti di sigarette al giorno (in un primo tempo 
di Nazionali senza filtro, poi di Muratti e Philip Morris) e contraendo una gravissima e letale 
forma di tumore polmonare, avevano chiesto la condanna dei Monopoli e della Philip Morris al 
risarcimento di tutto il danno (morale, patrimoniale e biologico) da loro subito in conseguenza 
della morte del loro congiunto. 

Come nel caso Stalteri, anche in questa controversia promossa dagli eredi S., il Tribunale di 
Roma ha rigettato la domanda, compensando tra le parti le spese di giudizio. 

Nella difesa dell'Amministrazione, l'Avvocatura dello Stato aveva rilevato che la causa 
incardinata presso il Tribunale era perfettamente analoga nei suoi termini essenziali ad altra gi� 
decisa dal Tribunale medesimo ed attualmente pendente in grado di appello e che nella sentenza 
emessa il 14 marzo 1997, depositata in cancelleria il 14 aprile successivo, il Tribunale, sezione 
prima (sentenza n. 7698), aveva rigettato la domanda stessa. Sottolineava l'organo legale che le 
uniche note differenziali tra il processo promosso dagli eredi Stalteri rispetto a quello oggi incardinato 
dalle eredi del sig. S. erano nel fatto che accanto alle eredi S. si ponevano in veste di attori 
per pretendere il risarcimento del danno �morale ed anche ai propri fini statutari� il Codacons 
e l'Associazione �FUMO NO� e che il danno richiesto dalle eredi S. non era solo quello morale 
e patrimoniale ma anche quello biologico. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

212 

(omissis) 

3. -Prima di entrare nel merito della controversia occorre, innanzitutto, verificare 
la questione relativa alla legittimazione attiva delle parti attrici �Codacons� e 
�Fumo No�. 
Dalla documentazione prodotta in giudizio, si evince che il <(Codacons� � una 
associazione che agisce per la difesa dell'ambiente e per la tutela dei diritti degli 
utenti e dei consumatori; in particolare, costituisce un coordinamento di varie associazioni 
che agiscono nello stesso ambito e per i medesimi fini, tra le quali rientra 
l'altra parte attrice �Associazione Fumo No� (aderente al �Codacons�). 

Nella veste di cui sopra, il �Codacons� ha promosso varie iniziative pubbliche 
proponendo anche azioni giudiziarie avanti agli organi competenti (tribunali amministrativi 
e giudici ordinari). 

Dal punto di vista normativo, le associazioni costituite a difesa dei diritti dei 
consumatori, oltre a trovare una tutela generale nella Costituzione, hanno avuto una 
legittimazione giuridica sia in specifiche disposizioni (v. art.1469 sexsies e.e.) sia, 
da ultimo, nella legge 30 luglio 1998 n. 281 (�Disciplina dei diritti dei consumatori 
e degli utenti�). 

La legge in oggetto, in effetti, ha riconosciuto e garantito i diritti e gli interessi 
individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti, riconoscendo come fondamentali 
�i diritti alla tutela della salute, alla sicurezza e alla qualit� dei prodotti e dei 
servizi, ad una adeguata informazione ed ad una corretta pubblicit�, all'educazione 
al consumo, alla correttezza, trasparenza ed equit� nei rapporti contrattuali concernenti 
beni e servizi, alla promozione e allo sviluppo dell'associazionismo libero, 
volontario e democratico tra i consumatori e gli utenti, alla erogazione di servizi 
pubblici secondo standard di qualit� e di efficienza�. 

L'art. 3 della legge, inoltre, ha riconosciuto alle associazioni dei consumatori e 
degli utenti (associazioni da inserire in un apposito elenco, v. D.M. 19 gennaio 1999 

n. 20) una specifica legittimazione ad agire a tutela degli interessi collettivi, richiedendo 
al giudice competente: a) di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli inte-
Si aggiungeva che le parti attrici avevano chiesto la condanna dei produttori di sigarette non 
solo per omissione dei �warning>> -come avevano fatto gli eredi Stalteri -ma anche per la 
messa in commercio di un �bene differente da quello promesso�. 

Sulla legittimazione attiva di Codacons e Associazione �FUMO NO� e sul loro preteso diritto 
ad un risarcimento del danno provocato dalla lesione dei loro diritti statutari (locuzione che 
stava per indicare un danno morale) l'Avvocatura rilevava che nel caso di specie, non trattandosi 
di danno conseguente a reato (com'era, invece, nel caso del processo De Lorenzo, da esse citato) 
non v'era spazio per ipotizzare un danno morale, pacificamente escluso nelle cause d'illecito 
solo civile e che, d'altro canto, la sussistenza di un danno proprio a carico delle due Associazioni 
non era stata provata, n� poteva esserlo. 

Sul punto della legittimazione attiva, per�, il Tribunale ammettendola � andato in contrario 
avviso -ma ha ugualmente rigettato, come si � detto, le domande di tutti gli attori, escludendo 
una responsabilit� dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli sia sotto il profilo dell'art. 
2050 e.e. che dell'art. 2043 dello stesso codice. 

LUIGI MAZZELLA 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

ressi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o 
eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; e) di ordinare la pubblicazione 
del provvedimento su uno o pi� quotidiani a diffusione nazionale oppure locale 
nei casi in cui la pubblicit� del provvedimento pu� contribuire a correggere o eliminare 
gli effetti delle violazioni accertate�. 

Agendo nel presente giudizio, il �Codacons� e la �Associazione Fumo No� 
hanno sostenendo la richiesta di risarcimento proposta dagli eredi di S. C. e, nel contempo, 
hanno chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del �danno morale 
e ai propri fini statutari subito� in conseguenza dei fatti dedotti in lite. 

� evidente, quindi, che nel caso di specie deve essere ravvisato un collegamento 
diretto tra l'interesse delle associazioni attrici, in relazione ai fini statutariamente 
previsti, e quello posto a fondamento della domanda proposta nel presente giudizio, 
la cui decisione comporta una valutazione complessiva dei diritti per la cui tutela 
operano le predette associazioni. 

Tenuto conto di quanto sopra, deve essere dichiarata l'effettiva sussistenza della 
legittimazione attiva in capo a tutte le parti attrici. 

4. -Passando all'esame delle domande formulate nel presente giudizio, va in 
primo luogo rilevato che gli attori, avendo preso atto della estraneit� alla lite della 
�P.M.C.S. Inc.� non hanno formulato alcuna domanda nei confronti della predetta 
societ� (v. precisazione delle conclusioni all'udienza del 4 maggio 1999). 
Di conseguenza, la richiesta risarcitoria avanzata con la citazione in giudizio 
non deve essere esaminata nel merito, fatta salva la questione relativa alle spese di 
lite, che verr� affrontata a conclusione della presente esposizione. 

5. -Motivando giuridicamente la richiesta di risarcimento proposta in questa 
sede, le parti attrici hanno dedotto una responsabilit� dell' �Amministrazione Autonoma 
dei Monopoli di Stato� sia ai sensi dell'art. 2043 e.e. che dell'art. 2050 e.e. 
Per quanto attiene a quest'ultimo aspetto, la questione pu� essere agevolmente 
risolta partendo da un esame dei principi fissati dalla giurisprudenza della Suprema 
Corte negli ultimi anni, principi da ritenere ormai assolutamente consolidati. 

Come � noto, sono ritenute attivit� pericolose, ai sensi del citato art. 2050 e.e., 
le attivit� cos� specificate da norme destinate a prevenire sinistri e a tutelare l'incolumit� 
pubblica ovvero quelle per le quali la pericolosit� trova riscontro nella natura 
delle cose e dei beni adoperati (Cass. Sez. In. 10951 del 9 dicembre 1996). 

In difetto di specifiche norme, il giudizio di pericolosit� � demandato al giudice 
del merito e non � sindacabile in sede di legittimit� se della relativa decisione sia 
stata data congrua e logica motivazione. 

Il giudizio non deve essere espresso ex post sulla base dell'evento dannoso 
effettivamente verificatosi (se cos� fosse ogni attivit� andrebbe qualificata come 
pericolosa) ma secondo una prognosi postuma che deve essere compiuta sia sulla 
base di nozioni desunte dalla comune esperienza sia tenuto conto delle circostanze 
di fatto che si presentavano al momento dell'esercizio dell'attivit� ed erano conosciute 
o conoscibili dall'agente in considerazione del tipo di attivit� esercitata (Cass. 

n. 13530/92). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

214 

In concreto, deve essere ritenuta pericolosa quell'attivit� che per la natura stessa 
o per i mezzi impegnati renda probabile e non semplicemente possibile il verificarsi 
dell'evento dannoso (Cass. n. 9205/95) ovvero presenti di per s� una notevole 
potenzialit� di danno a terzi (Cass. n. 814/97). 

Dalle attivit� pericolose devono essere tenute distinte, invece, quelle nelle quali 

l'eventuale pericolosit�, non configurabile in re ipsa, pu� insorgere solo ove intervengano 
errori o colpe da parte di terzi. 

Come si pu� notare da quanto sopra esposto, l'ambito di efficacia dell'art. 2050 
e.e., anche a voler condividere le tesi meno restrittive, deve essere comunque strettamente 
collegato ad una attivit� e al suo svolgimento. 

Ci� non vuol dire, naturalmente, che il risultato dell'attivit� produttiva non 
possa incidere sul giudizio di pericolosit� della stessa attivit� ( � evidente -tanto 
per rifarsi ai casi esaminati di recente dalla Suprema Corte -che la pericolosit� 
delle sostanze emoderivate da destinare alla produzione di farmaci determina la 
necessaria pericolosit� della stessa attivit� di produzione, attivit� il cui svolgimento, 
verosimilmente, non potrebbe essere ritenuto di per s� �pericoloso�). 

Nel caso in cui la potenzialit� dannosa non derivi in maniera immediata dalle 
modalit� del processo produttivo (come al contrario avviene, ad es., in caso di produzione 
di energia atomica o di rifiuti tossici), occorre per� che il bene finale (il prodotto) 
abbia una propria intrinseca potenzialit� lesiva, tale da costituire di per s� un 

I

sicuro pericolo per l'incolumit� delle persone. 
Nel caso in esame, il prodotto finale dell'attivit� produttiva, rappresentato dalla If 
sigaretta, non ha in s� una capacit� di provocare situazioni dannose mentre pu� i!1 

~ 

diventare dannoso, e quindi pericoloso, l'uso reiterato nel tempo dello stesso proi


g

dotto (la lesivit� del bene, quindi, pu� derivare solo da un comportamento dell'utilizzatore 
o meglio del consumatore, comportamento che deve protrarsi peraltro per 

i

un periodo oggettivamente apprezzabile). 
In casi del genere, l'attivit� di produzione del bene non pu� essere considerata 

'

pericolosa ai sensi dell'art. 2050 e.e. per cui l'eventuale responsabilit� del produttore 
pu� essere dichiarata secondo la regola generale posta dall'art. 2043 e.e. (aderen'


lIdo alla tesi contraria, dovrebbero farsi rientrare nella previsione dell'art. 2050 e.e. 
una serie di attivit�, come ad es. quelle dirette alla produzione di bevande alcooliche, 
i cui beni finali, se assunti in maniera reiterata e in quantit� eccessive, provocano 
certamente danni rilevanti alla integrit� fisica del consumatore, ovvero, al limi


I

te, anche le attivit� dirette alla produzione di autoveicoli, il cui uso imprudente causa ill 
la morte di migliaia di persone). 

.

6. -Le argomentazioni esposte in relazione all'art. 2050 e.e. possono valere 
solo in parte con riferimento alla responsabilit� extracontrattuale prevista dall'art. . 
2043 e.e., responsabilit� il cui accertamento non presuppone necessariamente la 
pericolosit� dell'attivit� industriale esercitata dal preteso danneggiante. i: 
lI 

f.: 

6.1 -Prima di esaminare nel merito la questione, occorre chiarire l'oggetto 
della domanda formulata in questa sede dagli attori in modo da fissarne con esat~ 
i: 
tezza i limiti e il quadro normativo di riferimento. i: 
~j

i 

~ 
!~ 

~ 

-



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

In effetti, va sottolineato, per non creare equivoci di sorta, che la richiesta di 
risarcimento avanzata nel presente giudizio � stata diretta contro l'�Amministrazione 
Autonoma dei Monopoli di Stato� (ora �Ente Tabacchi Italiani�) e contro la 

�P.M.C.S. Inc.� (domanda poi abbandonata dagli attori) in quanto soggetti che 
hanno provveduto alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti (sigarette) 
che, a giudizio delle stesse parti attrici, avrebbero causato la morte del loro 
congiunto. 
L'esame della domanda, quindi, dovr� essere incentrato sulla eventuale sussistenza 
di una responsabilit� extracontrattuale dei convenuti per aver prodotto e posto 
in vendita dei beni ritenuti dannosi dalla controparte, mentre esula completamente 
dal presente giudizio ogni valutazione inerente sia alla pericolosit� sociale dell'assunzione 
del fumo da sigaretta sia alla tutela pubblica del diritto alla salute (tutela 
che compete, in primo luogo, all'autorit� legislativa, che deve provvedere all' emanazione 
delle norme ritenute necessarie a tal fine, e, in secondo luogo, alle autorit� 
esecutive ed amministrative, che nell'ambito dei poteri attribuiti ex lege devono 
adottare tutti i provvedimenti e devono svolgere tutta l'attivit� di controllo necessaria 
al fine di salvaguardare l'incolumit� dei cittadini). 

Eventuali contestazioni inerenti alle misure e alle forme con cui � stata realizzata 
la tutela in oggetto, pur se sindacabili ex art. 2043 e.e. (nei limiti fissati, tra 
l'altro, dalla recente Cass. Sez. Un. 22 luglio 1999 n. 500), non possono essere 
quindi validamente sollevate nel presente giudizio, il cui oggetto � delimitato dalla 
causa petendi e dal petitum dell'atto di citazione (peraltro, tali azioni risarcitorie 
dovrebbero essere proposte nei confronti dell'autorit� amministrativa cui spettano 
i poteri esecutivi e di controllo, poteri che non competono all'Amministrazione 
convenuta). 

6.2 -Ci� premesso, occorre valut?-re se nella fattispecie in esame pu� essere 
effettivamente ravvisata una responsabilit� per fatto illecito dell'Amministrazione 
convenuta. 
La materia della responsabilit� extracontrattuale, come � noto, � stata rivisitata 
e reinterpretata dalla Suprema Corte con la citata sentenza n. 500/99, sentenza che 
ha assunto un'importanza fondamentale specie in tema di responsabilit� per fatto 
illecito della pubblica amministrazione. 

Ripercorrendo il percorso indicato nella predetta sentenza ed applicando i principi 
ivi esposti al caso di specie, va innanzitutto sottolineato che nessun dubbio pu� 
sussistere in ordine alla sussistenza di un evento dannoso e di un danno ingiusto. 

Nulla da dire ovviamente per il primo aspetto, l'attenzione deve essere posta al 
secondo requisito, la cui portata � stata definitivamente chiarita dalla Cassazione 
con la sentenza n. 500/99. 

Secondo tale ultimo orientamento, infatti, l'ingiustizia deve essere riferita non 
tanto alla condotta (teoria tradizionale) quanto al danno stesso, in relazione alla sua 
incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, �che pu� essere indifferentemente 
un interesse tutelato nelle forme dell'interesse soggettivo (assoluto o relativo) 
ovvero nelle forme dell'interesse legittimo ..o altro interesse (non elevato ad 
oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante�. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

216 

Nella fattispecie, l'interesse dei soggetti che si ritengono danneggiati coincide 
con il diritto alla salute, diritto fondamentale della persona, costituzionalmente garantito 
come bene primario (art. 32 Cost.). 

La tutela apprestata dalla Costituzione a tale posizione soggettiva, anzi, assume 
una particolare rilevanza in quanto la lesione del diritto alla salute pu� fondare da 

sola la richiesta di risarcimento dei danni ex art. 2043 e.e., stante lo stretto collegamento 
tra quest'ultima disposizione di legge e l'art. 32 Cost. (v. Corte Cost. sentenza 
7 maggio 1991 n. 202). 

Di conseguenza, non vi � alcun dubbio che il danno lamentato dalle parti attrici 
nel presente giudizio deve essere qualificato ingiusto e, in quanto tale, � meritevole 
di tutela ai sensi dell'art. 2043 e.e. 

6.3 -D'altra parte, per poter dichiarare la responsabilit� extracontrattuale del1'
Amministrazione convenuta bisogna verificare se l'evento dannoso dedotto in lite ~ 
sia o meno riferibile ad una condotta illegittima (positiva od omissiva) della stessa 
I 

Amministrazione. 

In particolare, bisogna verificare se la convenuta, avendo curato la produzio-,~ 
ne e la messa in commercio del bene (sigaretta) utilizzato dal dante causa degli 
attori, ha ottemperato a tutte le prescrizioni previste dalle disposizioni vigenti .1 
all'epoca dei fatti o, comunque, abbia adempiuto a tutti gli obblighi gravanti sul ~ 
produttore, con specifico riguardo alla necessaria tutela del diritto alla salute dei j 
consumatori. j 

Per quanto attiene al primo aspetto (prescrizioni di legge) nessun addebito � �= 
stato mosso alla convenuta nel presente giudizio n� risulta che l'Amministrazione ~

; 

non abbia rispettato la normativa dettata in materia. 

1

Gli attori, semmai, hanno contestato, in maniera anche decisa, l'assoluta caren-~ 
za dei provvedimenti legislativi ed amministrativi adottati nel corso degli anni dagli I~=.,. 

organi competenti (� stata sottolineata, tra l'altro, l'assoluta tardivit� e l'inadegua-, 
tezza delle disposizioni introdotte con la legge 29 dicembre 1990 n. 428 e, in particolare, 
delle avvertenze prescritte dall'art. 46 della legge). 

I 

Tali doglianze, condivisibili o meno, esulano per� dal presente giudizio, che cdome 
sdottolineato in ~recefrdenz~d-11non p~� estendere il campo oltre le specifiche ::J 
oman e proposte nei con ontl e e parti convenute. ~ 

Non resta, quindi, che esaminare il secondo aspetto (adempimento degli obbli-I 
ghi gravanti sul produttore) al fine di accertare se l'Amministrazione convenuta ~ 
abbia agito in maniera da ledere colpevolmente il diritto alla salute legittimamente 

I 

vantato dagli attori in nome del proprio dante causa. ~ 
Nel merito di tale questione, i richiedenti hanno sostenuto, da un lato, che la li 
parte convenuta non avrebbe adempiuto all'obbligo di informare adeguatamente i " 

~:

consumatori della nocivit� del prodotto venduto e, dall'altro, che la produzione e la ;, 
conseguente commercializzazione del prodotto avrebbe causato di per s� una lesio-I 
ne del diritto alla salute, direttamente ed immediatamente risarcibile ai sensi degli f, 
artt. 32 Cost. e 2043 e.e. 

f:_. 

Le tesi formulate dalla parte attrice non appaiono fondate. !i 

i 

I 

�1a�L1a1�1,,rlllllll�l�lll�ti~a 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

6.4 -Quanto al primo punto, va premesso che l'obbligo di informare i consumatori 
sui possibili danni da fumo � stato introdotto solo con l'art. 46 della legge 29 
dicembre 1990 n. 428, norma che ha prescritto l'espressa indicazione di alcune 
�avvertenze� da apporre su ogni confezione di tabacchi lavorati posta in commercio 
(sulla adeguatezza di tale misura, contestata dalla stessa parte attrice a fronte di 
altre soluzioni pi� efficaci, si � detto in precedenza). 
In generale, si pu� dire senza tema di smentita che la tutela apprestata al consumatore, 
tuttora carente per molti aspetti, si � andata intensificando solamente nel 
corso degli ultimi anni, essendo diventata sempre pi� pressante l'esigenza di garantire 
una adeguata informazione sulle caratteristiche dei beni venduti e, nel contempo, 
un efficace controllo sulla sicurezza dei prodotti da parte delle Autorit� competenti 
(a tal fine, sono state decisive, da un lato, le direttive adottate in sede comunitaria e, 
dall'altro la sempre maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica). 

Basta pensare alle disposizioni introdotte in tema di prodotti difettosi o comunque 
non sicuri ( d.P.R. 24 maggio 1988 n. 24 e d.lgs. 17 marzo 1995 n. 115) ovvero 
alle leggi emanate in tema di diritti dei consumatori, con specifico riferimento alla 
corretta informazione sulla qualit� dei prodotti venduti e alle forme di tutela dei consumatori 
(legge 10 aprile 1991 n. 126, legge 30 luglio 1998 n. 281). 

Pur non potendosi riconoscere un effetto retroattivo alle predette disposizioni di 
legge, non vi � dubbio che i principi utilizzati dalle stesse norme per la regolamentazione 
della responsabilit� del produttore possono trovare una generale applicazione 
in tema di responsabilit� extracontrattuale. 

In effetti, lesistenza di un obbligo per il produttore di informare i consumatori 
e gli utenti delle modalit� d'uso e delle precauzioni da adottare per evitare possibili 
conseguenze dannose pu� essere desunta direttamente dallo stesso art. 2043 e.e. 
ossia dalla necessit� di non arrecare conseguenze pregiudizievoli ingiuste ad altri 
soggetti (la necessit� di un vero e proprio obbligo giuridico di impedire l'evento, 
ribadito pi� volte in giurisprudenza -v. Cass. n. 9590/98 -� stato escluso da ultimo 
dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella recente sentenza n. 550/99, in cui 
si � precisato che �la norma sulla responsabilit� aquiliana non � norma secondaria 
volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme primarie bens� norma primaria 
volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto 
per effetto dell'attivit� altrui�). 

L'obbligo gravante sul produttore, per�, quando non sia stato espressamente 
sanc�to da specifiche disposizioni di legge, pu� ragionevolmente sussistere solo nel 
caso in cui il prodotto posto in commercio abbia una pericolosit� intrinseca (in relazione 
all'uso normale del bene) e sempre che l'utilizzatore non sia stato posto in 
grado di rappresentarsi la possibilit� di eventuali conseguenze dannose (correlate ad 
un determinato uso). 

In questi casi, � evidente che il consumatore, ove non correttamente informato 
del pericolo concretamente esistente, viene tratto in inganno dal produttore il quale, 
se da un lato lo invita ad utilizzare il bene (anche mediante una adeguata attivit� 
pubblicitaria) dall'altro, con una attivit� omissiva illecita, non fa presente l'esistenza 
di possibili conseguenze dannose. 

Diverse, invece, sono le ipotesi in cui il pregiudizio per l'incolumit� del consumatore 
(e, in generale, per la sua salute) deriva da un anomalo utilizzo del bene (non 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

218 

prevedibile dal produttore o comunque estraneo alla normale destinazione del prodotto) 
o da una consapevole accettazione, da parte dello stesso consumatore, dei 
rischi palesemente conseguenti ad un determinato utilizzo. 

Nel caso in esame, la nocivit� del consumo di sigarette � certamente un dato che 
rientra nella comune esperienza. 

Si pu� discutere, infatti, sulle modalit� che deve assumere il consumo (in relazione 
alla quantit� e alla durata) affinch� si possano determinare conseguenze lesive 
anche gravi (insorgenza di malattie inguaribili) ma quello che non pu� essere 
assolutamente posto in dubbio � l'oggettiva nocivit� alla salute del fumo (ammessa, 
del resto, sia pure entro certi limiti, dagli stessi produttori). 

Al di l� delle cognizioni scientifiche e del grado di cultura dei singoli consumatori, 
appare difficile sostenere che un qualsiasi fumatore abbia utilizzato il prodotto 
senza essere sufficientemente consapevole della potenzialit� dannosa del fumo 
da sigaretta e della oggettiva difficolt� di interrompere l'uso. 

Anche sotto quest'ultimo aspetto -contrariamente a quanto sostenuto dagli 
attori -si deve ragionevolmente escludere che la conoscenza del consumatore 
medio non sia arrivata al punto di sapere che l'assunzione del fumo in maniera ripetuta 
e costante pu� provocare una sorta di dipendenza (anche questo dato, infatti, � 
sempre stato di comune esperienza in quanto facilmente constatabile, da chiunque, 
nella normale vita di relazione). 

La potenzialit� dannosa di cui si tratta, peraltro, non � certamente circoscritta ai 

IItabacchi lavorati ma pu� essere ravvisata in molti prodotti, non intrinsecamente 
pericolosi, il cui uso smodato o imprudente pu� causare danni alla salute anche di 
notevole gravit� (basta pensare alle bevande alcooliche o ad altri alimenti da assuI 
mere con la necessaria moderazione). 

In questi casi, l'ordinamento statale pu� scegliere di tutelare la salute dei propri 
cittadini con le misure ritenute pi� idonee (proibizionismo, controllo pi� o meno 
intenso sulla produzione e sul consumo, capillare informazione dei consumatori 
sulle possibili conseguenze lesive, completa libert� di mercato) e tali scelte potranno 
essere sindacate sotto l'aspetto socio-politico o contrastate con tutti i rimedi giuridici 
possibili. 

In assenza di specifiche prescrizioni normative, per�, la mancata informazione 
del produttore in ordine a circostanze sostanzialmente di comune esperienza non 
pu� essere qualificata come attivit� omissiva illecita (facendo un parallelismo con le 
ipotesi di prodotti difettosi, significativo appare il disposto di cui ali' art. 1 O del 

d.P.R. n. 24/88, secondo il quale �il risarcimento non � dovuto quando il danneggiato 
sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivi e nondimeno 
vi si sia volontariamente esposto�). 
6.5 -Passando al secondo aspetto, sostiene la parte attrice che, a prescindere 
dall'obbligo di informazione, l'attivit� commerciale realizzata dal produttore 
dovrebbe essere considerata illecita in quanto di per s� lesiva del diritto alla salute 
tutelato dall'art. 32 Cost. 
Pur dovendosi riconoscere -come rilevato in precedenza-l'immediata portata 
prescritiva della norma costituzionale, in collegamento con l'art. 2043 e.e., la 
tesi formulata dagli attori non appare fondata. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 

Nel caso in esame, infatti l'evento dannoso lamentato dagli attori consiste nella 
morte del loro congiunto, evento che non pu� essere ritenuto conseguenza immediata 
e diretta dell'attivit� di produzione e commercializzazione posta in essere dal1'
Amministrazione convenuta. 

Dando in questa fase per ammesso che la malattia irreversibile contratta dallo 

S. sia stata causata (anche) dalla prolungata assunzione del fumo (circostanza verosimile 
anche se da accertare), non vi � dubbio che tra la vendita del prodotto (sigaretta) 
e l'evento dannoso (decesso) si � inserito un fattore assolutamente determinante, 
costituito dal comportamento reiterato, protrattosi per pi� di cinquant'anni, 
dello stesso danneggiato. 
Di conseguenza, appare logico concludere che l'attivit� produttiva realizzata dal1'
Amministrazione convenuta -oggetto della contestazione mossa nel presente giudizio 
-non ha causato di per s� l'evento dannoso dedotto in lite (come la vendita di 
bevande alcooliche non pu� essere ritenuta causa determinante ex art. 2043 e.e. delle 
morti dovute ad un abuso nella assunzione da parte del consumatore finale). 

In effetti, se � pur vero che l'esistenza di un nesso eziologico va riconosciuta 
con riguardo ad ogni antecedente che abbia contribuito direttamente ed indirettamente 
alla produzione dell'evento, pi� volte si � precisato in giurisprudenza che 
tale regola generale trova un temperamento nel principio della causalit� efficiente, 
non solo in relazione al fatto sopravvenuto che degradi il fatto antecedente a mero 
presupposto occasionale ma anche nell'ipotesi in cui una delle azioni cui sia riferibile 
l'evento di danno sia attribuibile allo stesso danneggiato e renda giuridicamente 
irrilevante il comportamento del presunto responsabile (v. Cass. n. 1937/87 
e Cass. n. 11087/93, secondo la quale �per causa sopravvenuta e sufficiente da sola 
a causare l'evento, ai sensi dell'art. 41 c.p.p., deve intendersi quella indipendente 
dal fatto del presunto responsabile, avulsa dalla sua condotta ed operante con assoluta 
autonomia�). 

Nel caso in esame, a fronte di una condotta svolta nel rispetto delle disposizioni 
di legge vigenti in materia si � verificato un evento successivo, assolutamente 
determinante e decisivo, dello stesso danneggiato, il quale, in maniera del tutto consapevole, 
ha consumato imprudentemente il prodotto in quantit� rilevanti (2-3 pacchetti 
al giorno) per un lunghissimo arco di tempo (pi� di 50 anni). 

L'evento lesivo per cui causa, quindi, appare riconducibile proprio a tale comportamento 
mentre la vendita del prodotto, di per s�, deve essere considerata un fatto 
antecedente, oggettivamente ricollegabile all'evento, ma privo del necessario nesso 
di causalit� immediata e diretta. 

7. -L'accertata esclusione di una condotta illecita delle parti convenute rende 
superfluo l'accertamento degli ulteriori elementi posti a fondamento della richiesta 
di risarcimento (in particolare, l'accertamento delle cause che hanno condotto al 
decesso del dante causa degli attori e la valutazione della riconducibilit� di tale 
evento alla reiterata assunzione delle sigarette prodotte dalla �Amministrazione 
Autonoma dei Monopoli di Stato�). 
Per tutte le considerazioni sopra esposte, la domanda proposta dalle parti attrici 
deve essere respinta in quanto infondata. (omissis) 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 25 gennaio 2000 n. 10 -Pres. Laschena Est. 
Borioni ~Ministero delle Finanze (avv. Stato Polizzi) c. L. A. M. (avv. 
Pellegrino). 

Impiego pubblico -Svolgimento di fatto di mansioni superiori -Rilevanza Criteri. 


Il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento 
economico relativo alla qualifica immediatamente superiore, va riconosciuto, 
con carattere di generalit�, a decorrere dall'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 
1998 n. 387. Si tratta di un riconoscimento legislativo che possiede un evidente 
carattere innovativo e che non riverbera in alcun modo la propria efficacia su 
situazioni pregresse (1 ). 

(omissis) 
FATTO 


Con ricorso del 1988 la signora A.M.L., coadiutore meccanografo inquadrata 
nella quinta qualifica funzionale ex art. 4, comma 8, legge 11luglio1980 n. 312, in 
servizio presso l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Taranto, adiva il T.A.R. 

per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, chiedendo: 
a) l'annullamento dell'ordine di servizio 29 aprile 1988 n. 1 (prot. n. 5293) 
del predetto Ufficio distrettuale, recante ristrutturazione dell'ufficio e riconduzione 
dell'istante a compiti di quinto livello; 
b) la declaratoria del proprio diritto ad essere inquadrata nella settima qualifica 
funzionale di cui alla legge 11luglio1980 n. 312 e ad essere assegnata a compiti 

(1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha accolto l'appello del Ministero delle 
Finanze ribadendo degli importanti principi in materia di svolgimento di mansioni superiori svolte 
dai dipendenti pubblici. 
In particolare, il Consiglio di Stato ha specificamente affermato che, prima dell'entrata in 
vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n.387, lo svolgimento di mansioni superiori del dipendente pubblico 
, in mancanza di espressa previsione normativa, non pu� dar luogo ad alcuna variazione del 
trattamento economico. 

Sull'argomento, cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 16 maggio 1991n.2, in!! Cons. Stato, 
1991, I, 825 ss.; Cons. Stato, Ad.Plen. 18 novembre 1999 n. 22, in Foro amm. 1999, 2376; Cons. 
Stato, Sez. V, 19 marzo 1999 n. 290, in questa Rassegna, 1999, I, 140, con nota di P. PALMIERI. 

G.M. 

PARTE I, SEZ. IV, GWRISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

corrispondenti a detta qualifica, ovvero, in via subordinata, ad essere inquadrata nella 
sesta qualifica funzionale, ovvero, in ulteriore subordine, ad ottenere il riconoscimento 
quanto meno economico delle funzioni svolte, quali risultanti da atti formali 
della stessa amministrazione, con ogni effetto legale, oltre a rivalutazione e interessi. 

Ella accampava lo svolgimento dal 1972 delle mansioni di settima qualifica 
funzionale, comprovate dal 1980 da vari ordini di servizio e, prima, dai rapporti 
informativi annuali, o almeno il diritto alla sesta qualifica. 

In ogni caso riteneva dovuta la remunerazione di livello pari a quello delle mansioni 
espletate a pena, altrimenti, di indebito arricchimento della stessa P.A.. 

Il T.A.R., con una prima sentenza, dichiarava inammissibile il ricorso quanto 
all'impugnativa dell'ordine di servizio, mentre riservava di pronunciarsi sulla pretesa 
economica subordinata a seguito di incombenti. 

Con la sentenza 25 agosto 1992 n. 297, la Prima Sezione di Lecce del T.A.R. 
per la Puglia, dopo aver respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione, richiamando 
giurisprudenza della Corte costituzionale e l'art. 36 della Costituzione, ha accolto 
la pretesa economica nei termini che seguono: 

-dal 1� luglio 1976 al 24 settembre 1980 spettanza delle differenze retributive 
tra il trattamento economico iniziale della qualifica di concetto e quello in godimento 
nella qualifica posseduta della carriera esecutiva; 

-dal 25 settembre 1980 al 1� maggio 1988 spettanza delle differenze retributive 
tra il trattamento economico della VII qualifica funzionale e quello della qualifica 
di appartenenza, il tutto con rivalutazione ed interessi. 

Con ricorso depositato l' 11 dicembre 1992 l'Amministrazione delle finanze ha 
proposto appello avverso l'anzidetta sentenza, sia per quanto riguarda la giurisdizione 
(perch� il T.A.R. aveva ragionato con gli strumenti dell'indebito arricchimento, 
giudicando l'istituto comunque connesso al rapporto di impiego), sia nel merito, 
tanto in punto di diritto, quanto in punto di fatto. 

In diritto, ha sostenuto la peculiarit� della soluzione della Corte costituzionale 
rispetto all'impiego sanitario e l'insufficienza del richiamo all'art. 36 Costituzione, 
in mancanza di superamento della prova selettiva ad hoc. 

In fatto, ha assunto il travisamento da parte del primo giudice degli ordini di 
servizio e la trascuranza di altri documenti. 

La L. si � costituita con controricorso e appello incidentale. In sede di resistenza 
la dipendente ha difeso la soluzione del T.A.R.; con il gravame incidentale ha 
lamentato il mancato riconoscimento economico per il periodo dal 1972 al giugno 
197 6 e la sottovalutazione economica -in sesta invece che in settima qualifica funzionale 
-delle prestazioni svolte fra il luglio 1976 ed il settembre 1980. 

La Quarta Sezione, dubitando della legittimit� della tesi che nega la possibilit� 
di riconoscere rilevanza economica all'esercizio di mansioni superiori nell'ambito 
del pubblico impiego, ha ritenuto che, data la peculiare situazione dell'appellata 
e considerate le modifiche sopravvenute nel quadro normativo di riferimento, 
vi sia spazio per una diversa interpretazione delle norme generali sul pubblico 
impiego e, poich� la questione potrebbe dare luogo a contrasti giurisprudenziali, 
con ordinanza 19 aprile 1999 n. 647, ha rimesso la pronunzia sul ricorso all 'Adunanza 
Plenaria. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

222 

Con memoria depositata l' 11 novembre 1999, l'appellante ha ulteriormente 
illustrato le argomentazioni a sostegno del gravame. 

Con memoria depositata il 18 novembre 1999, l'appellata ha ribadito le proprie 
tesi difensive, chiedendo il rigetto dell'appello principale, l'accoglimento dell' appello 
incidentale e, in subordine, la sospensione del giudizio per il vaglio di legittimit� 
costituzionale alla stregua degli artt. 3 e 36 della Costituzione dell'art. 25, ultimo 
comma, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (che ha sostituito l'art. 56 del d.lgs. 3 
febbraio 1993 n. 29), ove nello stesso possa intravedersi un ostacolo alla retribuzione 
delle mansioni superiori. 

DIRIITO 

Il Ministero delle Finanze appella la decisione del T.A.R. di Lecce che, attribuendo 
valore precettivo a principi desumibili a livello costituzionale, ha riconosciuto 
alla signora A.M.L, dipendente di quel Ministero, il diritto al trattamento 
economico corrispondente alle superiori mansioni svolte dal 1� luglio 1976 al 1� 
maggio 1988. 

L'appellante ripropone anzitutto l'eccezione di difetto di giurisdizione, disattesa 
dal primo giudice, perch� la configurazione della domanda, prospettata dalla 
ricorrente come azione di indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ., comporterebbe 
necessariamente la devoluzione della controversia al giudice ordinario. 

L'eccezione � infondata. La domanda, nonostante la prospettazione conferitale 
dalla ricorrente, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 
giacch� si ricollega in via immediata e diretta al rapporto di pubblico impiego 
ed ai diritti ad esso inerenti (Cass., SS.UU., 17 gennaio 1986 n. 279 e 25 gennaio 
1989 n. 433). 

Nel merito, l'Adunanza Plenaria � nuovamente investita della questione relativa 
alla retribuibilit� o meno del servizio prestato dal pubblico dipendente per adempiere 
compiti di una superiore qualifica. 

La tesi difensiva del Ministero appellante, che deduce l'impossibilit� per l 'Amministrazione 
di compensare l'appellata per lo svolgimento di compiti eccedenti la 
qualifica ricoperta, va condivisa. 

Sul punto rAdunanza non ha motivo di discostarsi nella vertenza in esame dalla 
soluzione negativa data al problema con la pronuncia 18 novembre 1999 n. 22, anche 
se il nuovo esame della questione offre spunti per arricchire il processo di riflessione, 
alla luce dei rilievi formulati sia dall'ordinanza di rimessione sia dall'appellata. 

Ne sono oggetto (tralasciando aspetti gi� risolti con la citata decisione n. 22) 
considerazioni che fanno perno in sostanza sulla recente normativa, costituita dagli 
artt. 56 e 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, i quali son parsi estrinsecazione di un 
principio generale, idoneo a fondare anche per il passato il diritto del dipendente alle 
differenze retributive. 

Ora, non sfugge al Collegio che la cd. privatizzazione del pubblico impiego 
operata dal decreto n. 29/1993 abbia costituito una riforma radicale (non una semplice 
correzione di aspetti secondari), destinata perci� ad investire la forma precedente 
nei suoi principi direttivi. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Senonch� una modifica ab imis di un istituto complesso postula quasi sempre 
un'attuazione graduale, con la conseguenza che alcuni tratti della riforma (come la 
disciplina delle mansioni superiori), elaborati sul fondamento di una pronta effettivit� 
del rinnovato assetto, mancando questa, debbano poi essere differiti, potendo 
altrimenti innescare risultati non voluti. Ci� spinge il legislatore ad ulteriori interventi: 
le modifiche al d.lgs. n. 29 sono state singolarmente numerose e denotano le 
difficolt� emerse, sul piano pratico, per inquadrare la realt� fattuale nel nuovo orizzonte 
normativo. 

� agevole comprendere, pertanto, come il legislatore, dopo aver introdotto 
all'art. 57 del d.lgs. n. 29 una disciplina generale del conferimento di mansioni 
(immediatamente) superiori, valida per tutte le amministrazioni pubbliche -quale 
fenomeno eccezionale e temporaneo (limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale 
periodo, ma con conferimento ad altro dipendente)-ne abbia subito rinviato l'applicazione, 
subordinandola all'emanazione, in ciascuna amministrazione, dei provvedimenti 
di ridefinizione delle strutture organizzative. Ed ha, poi, rinnovato pi� 
volte la proroga sino all'abrogazione della norma. 

Di fronte agli espliciti interventi del legislatore per differire l'attuazione della 
puntuale (e, tutto sommato, limitativa) disciplina delle mansioni superiori recata 
dall'art. 57, protrartisi sino alla sua caducazione, � arbitrario scorgere in esso l'espressione 
di un principio generale di pi� ampia portata e ritenerlo applicabile -in 
aperto conflitto con la contraria volont� espressa dal legislatore con i ripetuti rinvii 
-a far tempo dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore. 

Attualmente la materia � disciplinata dall'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo 
sostituito con l'art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), che ha regolamentato (ben 
pu� dirsi ex novo, per la significativa apertura nei �onfronti del mansionismo) l'istituto 
dell'attribuzione temporanea di funzioni superiori nell'ambito del pubblico 
impiego. E' prova eloquente del mutato atteggiamento del legislatore l'affermazione, 
per la prima volta rinvenibile in un testo normativo di portata generale per il pubblico 
impiego, che al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la 
qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni 
ivi previste (art. 56 cit., quinto comma). 

Anche questa volta l'operativit� della norma � stata rinviata. Il sesto comma 
dell'art. 56 stabiliva, infatti, che �le disposizioni del presente articolo si applicano 
in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista 
dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita ... Fino a tale data, in 
nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza 
pu� comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici 
nell'inquadramento professionale del lavoratore�. 

Ma in seguito l'art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 ha soppresso le parole 
�a differenze retributive o�. Con tale ultimo intervento il legislatore ha manifestato 
la volont� -non � possibile attribuire altro significato alla modifica -di rendere 
anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56, almeno con riguardo al diritto 
del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico 
relativo alla qualifica immediatamente superiore. 

Tale diritto, pertanto, va riconosciuto con carattere di generalit� a decorrere dal1'
entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

224 

E poich�, ad avviso del Collegio, il riconoscimento legislativo del diritto di che 
trattasi, nei termini appena precisati, possiede un evidente carattere innovativo e non 
riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse, esso non pu� 
trovare applicazione nei confronti della L., che ha cessato di svolgere mansioni 
superiori nel 1988. 

A questo punto non resta che affrontare la questione di costituzionalit� dedotta 
dall'appellata, per l'ipotesi che il suo diritto non potesse altrimenti essere riconosciuto, 
nei confronti dell'art. 56 (come introdotto dall'art. 25 del d.lgs. n. 80/1998). 

Essa, a seguito della modifica operata con il citato d.lgs. n. 387, conserva rilevanza 
per la sola supposta violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale a causa 
dell'ingiustificata disuguaglianza, sotto il profilo temporale, della disciplina dello 
svolgimento di mansioni superiori, non remunerabile per il passato. 

La questione � manifestamente infondata. � sufficiente al riguardo constatare 
che, secondo la giurisprudenza del Giudice delle leggi, non infrange il principio di 
eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, 
ma in momenti diversi nel tempo, giacch� lo stesso fluire di questo costituisce di per 
s� elemento differenziatore. 

Per le ragioni sin qui esposte l'appello principale va accolto. Per l'effetto, in 
riforma della sentenza appellata, deve respingersi il ricorso di primo grado. Va parimenti 
respinto l'appello incidentale, con cui la L. ha lamentato il disconoscimento 
delle mansioni superiori per il periodo dal 1972 al giugno 1976 e la sottovalutazione 
economica delle prestazioni svolte fra il luglio 1976 ed il settembre 1980. 

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio 
grado di giudizio. 

(omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 29 dicembre 2000 n. 17 -Pres. Laschena-Est. 
Barioni -S.P. ed altri (avv.ti Sala e Manzi) c. Ministero della Pubblica Istruzione 
(avv. Stato D'Avanzo). 

Impiego pubblico -Dimissioni di dipendenti di istituti scolastici -Accettazione 
-Termine di sessanta giorni indicato dal D.M. 11 luglio 1991 n. 212 per 
l'accettazione delle dimissioni -Decorrenza -Non gi� dalla data di presentazione 
della domanda, ma dalla data in cui le dimissioni divengono 
irrevocabili. 

Il termine di sessanta giornifi.ssato dal D.M 11luglio1991 n. 212 per l'accettazione 
delle dimissioni dei dipendenti dell'amministrazione scolastica decorre 
dalla scadenza del termine, indicato all'art. 10, co. 4, d.l. 357189 per la revoca delle 
stesse (1). 

(I) Con la decisione in esame, il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, risolve il contrasto 
giurisprudenziale che, con l'entrata in vigore della legge 24 dicembre 1993 n. 537, si era formato 
sull'interpretazione della disciplina in tema di dimissioni del personale scolastico. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

225 

(omissis) 

L'appello � infondato. 

Gli appellanti, allora dipendenti dell'amministrazione scolastica, deducono l'illegittimit� 
dei provvedimenti con i quali sono state accettate le loro dimissioni dall'impiego, 
in quanto adottati dopo la scadenza del termine di legge. In concreto, le 
loro dimissioni, presentate prima del 15 agosto 1993, sono state accolte con provvedimenti 
dell'll aprile 1994. Per conseguenza, gli appellanti hanno subito, donde 
il loro interesse al ricorso, la riduzione del trattamento pensionistico stabilita dal1'
art. 11, comma XVI, della legge 24 dicembre 1993, n. 5 3 7, alla quale si sarebbero 
sottratti, a norma del comma successivo, se le domande fossero state accolte prima 

L'art. 11, comma 16, della citata legge n. 537 (finanziaria per il 1994) stabilisce infatti, nei 
confronti dei pubblici dipendenti �che conseguono il diritto a pensione anticipata con un 'anzianit� 
contributiva inferiore a trentacinque anni� la riduzione dell'importo �del relativo trattamento 
pensionistico�. 

Al successivo comma 18 � per� precisato che il nuovo regime non si applica ai <<Soggetti la 
cui domanda di pensionamento sia stata accolta prima del 15 ottobre 1993 dalle competenti 
amministrazioni�. 

Il punto nodale della controversia consisteva, quindi, nello stabilire se potesse ritenersi correttamente 
applicato il nuovo regime pensionistico nei confronti degli appellanti, dipendenti del1 
'Amministrazione scolastica, le cui domande di dimissioni, pur presentate prima del 15 ottobre 
1993, erano state accolte successivamente alla data di operativit� della nuova disciplina. 

Sino a quel momento, infatti, la prassi seguita dall'Amministrazione era stata nel senso di 
provvedere sulle istanze di dimissioni decorso il termine stabilito per l'eventuale revoca delle 
medesime da parte del richiedente; detta revoca, in base a quanto previsto all'art. 10, comma 4� 
della legge n. 417/89, poteva essere presentata dal personale della scuola sino al 31 marzo del1'
anno di decorrenza della pensione, divenendo, dopo tale data, irrevocabile la scelta effettuata. 

Tuttavia, nel nuovo quadro normativo, tale modo di operare aveva pregiudicato le posizioni 
dei ricorrenti, i quali si dolevano di avere subito le riduzioni del trattamento pensionistico, ci� che 
non sarebbe awenuto se l'Amministrazione avesse accolto le dimissioni entro sessanta giorni 
dalla presentazione delle relative domande. 

L'Adunanza plenaria respinge la pretesa dei dipendenti, facendo chiarezza dei diversi profili 
giuridici, ancora controversi, della questione, in ordine ai quali il Consiglio di Stato aveva 
manifestato opposte soluzioni. �' 

In particolare, vengono espressamente disattesi i principi espressi in alcune pronunce della 
Sezione Sesta ( 5 dicembre 1997 n. 1798; 9 ottobre 1998 n. 1372), le quali muovevano dalla premessa, 
fermamente contestata dall'Amministrazione, che non fosse necessario, ai sensi dell'art. 
10 d.l. n. 357 del 1989, l'atto di accettazione per rendere immediatamente efficaci le dimissioni, 
secondo un'anticipata �impostazione di tipo contrattuale che caratterizza l'istituto delle dimissioni 
nella disciplina della contrattazione collettiva, conseguente alla c.d. privatizzazione del 
pubblico impiego�. 

Valorizzando il carattere preliminare della questione (necessit� di un formale atto di accettazione) 
la sentenza in esame -chiarito che il quadro normativo di riferimento � costituito dalla 
disciplina generale e speciale del pubblico impiego (i provvedimenti impugnati sono infatti di 
data anteriore alla sottoscrizione del primo contratto collettivo per il comparto della scuola: 

D.P.C.M. 21maggio1995 n. 214)-si allinea all'orientamento maggioritario che reputa comunque 
necessaria un'accettazione formale delle dimissioni, in conformit� dei principi in materia di 
pubblico impiego. 
Sulla base di tali premesse, che si fondano su una lettura coordinata dell'art. 1 O commi 4 e 
5, D.L. n. 357 del 1989 e dei principi vigenti in materia di pubblico impiego, appare obbligata la 
soluzione della seconda questione, riguardante la decorrenza del termine di sessanta giorni indicato 
dal D.M. 11 luglio 1991 n. 212 per l'accettazione delle dimissioni. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

226 

del 15 ottobre 1993. Fra le questioni sottoposte all'Adunanza plenaria ha carattere 
preliminare quella concernente la necessit� di un formale atto di accettazione delle 
dimissioni del personale della scuola, che alcuni precedenti giurisprudenziali hanno 
escluso (Cons. Stato, sez. VI, 9 ottobre 1998, n. 1372; 5 dicembre 1997, n. 1798). 

Va precisato che nella specie trovano applicazione le norme vigenti alla data di 
entrata in vigore del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, giacch� i provvedimenti impugnati 
sono stati adottati prima della sottoscrizione del primo contratto collettivo per 
il comparto della scuola (D.P.C.M. 21 maggio 1995, n. 214) e l'art. 72, comma 1, 
dello stesso d.lgs. n. 29 sancisce l'inapplicabilit� delle norme generali e speciali del 
pubblico impiego �a seguito della stipulazione dei contratti collettivi disciplinati dal 
presente decreto in relazione ai soggetti e alle materie dagli stessi contemplati�. 

La disciplina generale sulla cessazione del rapporto di impiego, posta dall'art. 
124 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, imponeva all'impiegato dimissionario di �proseguire 
nell'adempimento dei doveri di ufficio finch� non gli venga comunicata 
l'accettazione delle dimissioni� (comma II). Vigente tale norma, la giurisprudenza 
ha pi� volte affermato che le dimissioni sono accettate con un provvedimento avente 
natura autoritativa (da ultimo, Cons. Stato, 5 settembre 1996, n. 1196) e che, dopo 
la sua adozione, le dimissioni divengono irrevocabili (da ultimo, Cons. Stato, sez. V, 
16 dicembre 1993, n. 1313; sez. IV, 15 luglio 1993, n. 716). Per il personale docente 
e non docente della scuola il d.1. 6 novembre 1989, n. 357, convertito con legge 
27 dicembre 1989, n. 417, dispone che le dimissioni divengono irrevocabili �dopo 
il 31 marzo successivo� ( art.1 O, comma 4) e, se presentate �dopo tale data, ma prima 
dell'anno scolastico successivo, hanno effetto dal 1 settembre dell'anno che segue il 
suddetto anno scolastico�; (art. 10, comma 5). 

La norma ora citata non offre indicazioni decisive per la risoluzione della questione, 
poich� sebbene non richiami la disciplina generale, neppure esclude che, comunque, 
l'estinzione del rapporto di impiego del personale della scuola richieda un provvedimento 
dell'amministrazione. La sua esatta portata deve allora essere determinata 
facendo applicazione dei consueti criteri di interpretazione logica e sistematica. Sotto il 
primo profilo, � palese che la norma � diretta a soddisfare esclusivamente finalit� di 
carattere organizzativo, connesse con l'esigenza di assicurare il regolare inizio dell'anno 
scolastico e garantire la continuit� didattica per tutta la sua durata. Ci� posto, non 
pu� convenirsi che, ai fini dell'estinzione del rapporto, abbia assunto esclusivo rilievo, 
secondo la speciale disciplina dettata dall'art. 1 O del d.1. n. 41 7 /1989, la volont� del1 
'interessato, che, se cos� fosse, sarebbe titolare di una posizione di diritto soggettivo. 

Nell'escludere, infatti, la ricorrenza di un qualsiasi inadempimento nell'attivit� procedimentale 
seguita dall'Amministrazione, l'Adunanza conferma la legittimit� di un accoglimento 
delle dimissioni che tenga conto della possibilit�, concessa al richiedente dall'art. IO, comma 4, 
d.!. n. 357/89, di revocare quella scelta entro il 31 marzo successivo alla data di presentazione 
della domanda. 

In tal modo, il termine di sessanta giorni fissato dal regolamento per l'accettazione delle 
dimissioni dei dipendenti dell'amministrazione scolastica non decorre dal momento di presentazione 
di queste ultime, bens� dalla scadenza del termine per la revoca delle stesse, e, quindi, dal 
1� aprile successivo. 

G.D. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Essendo la norma indirizzata alla realizzazione di finalit� pubblicistiche, deve, invece, 
ritenersi che la posizione del personale manteneva, pur dopo la sua entrata in vigore, la 
configurazione tipica dell'interesse legittimo, il quale � istituzionalmente correlato 
all'esercizio di una potest� autoritativa. Ed � irrilevante, sotto tale profilo, se l'atto adottato 
dall'amministrazione abbia un contenuto discrezionale o vincolato, giacch� siffatta 
distinzione va fatta, come la giurisprudenza ha pi� volte affermato, considerando se 
la norma sia diretta in via primaria a tutelare interessi pubblici ovvero posizioni soggettive 
dei privati (fra le altre, da ultimo, Ad. Plen. 5 luglio 1999, n. 18; in tema di pubblico 
impiego, Ad. Plen. 26 ottobre 1979, n. 25). D'altra parte, il citato art. 10 si colloca 
in un contesto nel quale la posizione giuridica dell'impiegato nell'ambito della 
amministrazione pubblica trovava definizione, gi� dalla nomina e fino all'estinzione 
del rapporto, in atti adottati nell'esercizio di potest� autoritative. In mancanza di elementi 
letterali che depongano diversamente, ragioni di intrinseca coerenza impongono 
di ritenere che lo stesso principio valesse anche per il personale della scuola. 

Da quanto precede si evince, in conclusione, che il disposto del citato art. 1 O del 

d.l. 357/1989 ha come destinataria immediata l'amministrazione, alla quale impone 
di stabilire, quale data di estinzione del rapporto di impiego, la fine dell'anno scolastico: 
di quello in corso, per le domande presentate prima del 31 marzo, di quello 
successivo, per le domande presentate dopo il 31 marzo. Restano, invece, immutati 
sia la configurazione della posizione soggettiva del personale della scuola (interesse 
legittimo) sia il modulo procedimentale (domanda dell'interessato, accettazione 
da parte dell'amministrazione scolastica). 
Ci� posto, si tratta ora di accertare se nella specie sia stato violato il D.M. 11 
luglio 1991, n. 212, con il quale il Ministro della pubblica istruzione ha stabilito, in 
attuazione dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, il termine di sessanta giorni 
per l'accettazione delle dimissioni. 

A questo riguardo, va rilevato, anzitutto, che il provvedimento di accettazione 
delle dimissioni aveva, per il personale della scuola, come per la generalit� dei 
dipendenti della pubblica amministrazione, efficacia costitutiva, essendo diretto a 
modificare, mediante l'estinzione del rapporto di impiego, la situazione giuridica 
precedente. Inoltre, il provvedimento aveva, come rilevato in precedenza, carattere 
vincolativo per il dipendente, in linea di stretta consequenzialit� con la natura di atto 
espressivo della potest� organizzatoria dell'amministrazione. 

� regola generale, rispondente ai principi di razionalit� e di buon andamento, 
che i provvedimenti amministrativi siano adottati soltanto in presenza. degli atti 
aventi, rispetto ad essi, funzioni di presupposti. 

Le dimissioni del personale della scuola, dichiarate dall'ordinamento suscettibili 
di revoca fino al successivo 31 marzo, sono, fino a questa data, inidonee ad 
assolvere la funzione di atti presupposti del provvedimento di risoluzione del rapporto 
di impiego, posto che il verificarsi di tale effetto rimarrebbe comunque subordinato 
alla mera volont� del dipendente. Deve, pertanto, ritenersi che l'obbligo per 
l'amministrazione di provvedere sorga soltanto dopo la scadenza del termine predetto, 
che segna il momento in cui la domanda acquisisce il requisito di effettivit� e 
il provvedimento, la capacit� di produrre l'effetto costitutivo cui � preordinato. 

Tanto premesso, il termine di sessanta giorni stabilito dal citato D.M. n.212/1991, 
alle cui previsioni va attribuito un significato coerente con la disciplina primaria, 
decorre non gi� dalla data di presentazione della domanda, come vorrebbero gli appel



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

228 

lanti, ma dal 31 marzo successivo, come � stato gi� affermato in sede sia consultiva 
(Cons. Stato, sez. Il, 7 maggio 1997, n. 1713) sia giurisdizionale (Cons. Stato, sez. VI, 
15 aprile 1999, n. 472; 14 aprile 1999, n. 431; 18 agosto 1998, n. 1155). Per conseguenza 
all'amministrazione non pu� essere addebitato nella specie alcun inadempimento 
e, in particolare, gli atti impugnati sono indenni dal vizio dedotto. 

Quanto alla prospettata questione di illegittimit� costituzionale della disciplina 
introdotta dal citato art. 11 della legge n. 537/1993, va osservato, in primo luogo, 
che difetta il requisito della rilevanza, poich� tale norma non regola l'esercizio della 
potest� provvedimentale in tema di gestione del rapporto di pubblico impiego, ma, 
assumendo quale data di discrimine fra il nuovo e vecchio regime la data di accoglimento 
d~lle dimissioni, detta un criterio che incide esclusivamente sulla misura 
della pensione. In concreto, la richiesta pronunzia di incostituzionalit� non inciderebbe 
sulla legittimit� dei provvedimenti impugnati, ma, semmai, in via diretta e 
immediata, sul solo diritto alla pensione rivendicato dagli appellanti. 

In ogni caso, giova ricordare che la Corte Costituzionale ha ritenuto esente da 
vizi di costituzionalit� la norma citata anche con esplicito riferimento al personale 
della scuola (Corte Cost�tuzionale 27 dicembre 1996, n. 417). In particolare, ha 
osservato che la scelta di privilegiare il momento temporale coincidente con l'accoglimento 
delle dimissioni non pu� considerarsi viziata n� fonte di ingiustificate discriminazioni, 
perch� trova plausibile spiegazione, sul piano giuridico, nella natura 
costituiva del relativo provvedimento. 

Per le ragioni esposte, l'appello va rigettato. (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, ordinanza 20 settembre 2000, n. 4647 -Pres. de 
Lise -Est. Lamberti -Ministero della Giustizia (avv. Stato G. Palmieri) c. S.L. 
(avv. Mazzucato), C.A. (avv. Sanino), G.S. ed altri (n.c.) e nei confronti di Z.C., 

R.C. (n.c.). 
Concorso per esami a posti di notaio -Prova di preselezione informatica -Mancato 
superamento -Domanda cautelare -Insussistenza del fumus iuris Ammissione 
con riserva alle prove scritte del concorso -Accoglimento. 

In accoglimento dell'appello del Ministero della Giustizia va respinta la 
domanda cautelare proposta nei confronti dei provvedimenti di diniego di ammissione 
alle prove scritte del concorso a posti di notaio per mancato superamento 
della prova di preselezione informatica, in considerazione della circostanza assorbente 
di ogni valutazione in ordine al danno -che i motivi del ricorso di 
primo grado non appaiono assistiti da adeguato fumus boni iuris (1 ). 

(1) Ritorna all'esame del Consiglio di Stato la nota questione della prova di preselezione al 
concorso di notaio (per l'illustrazione dei profili generali ed un commento alle prime decisioni 
dei giudici in materia, cfr., ordinanza TAR Lazio, Sez. I, 24 febbraio 1999, n. 684 e ordinanza 
Cons. Stato, Sez. IV, 2 marzo 1999, n. 421, in questa Rassegna, 1999, I, 193 e ss. con nota di G. 
PALMIERI; in tema di preselezione informatica nel concorso per uditore giudiziario, ordinanze 
Cons. Stato, Sez. IV, 3-7 dicembre 1999 n. 2275 e Ad. Plen., 20 dicembre 1999 n. 2, ibidem, 458 
e ss., con nota di G. PALMIERI). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

229 

(omissis) 

Considerato che il carattere lesivo della clausola del bando di concorso, dove la 
durata massima della prova preselettiva � stabilita in quarantacinque minuti, comportava 
la sua immediata impugnazione, che non � stata tempestivamente esperita; 

Considerato altres� che il bando non appare in contrasto con l'art. 4, comma 5, 

D.M. 24 febbraio 1997, n. 74 e successive modifiche (del pari non tempestivamente 
impugnato), il quale determina in settanta minuti la durata massima della prova 
preselettiva, consentendo pertanto all'Amministrazione di stabilire anche una durata 
minore; 
Nel caso in esame, per�, a differenza dei precedenti, si sono per cos� dire invertite le parti, 
poich� � stato il TAR del Lazio ad accogliere le istanze cautelari di coloro i quali non avevano 
superato la prova di preselezione informatica ed il Consiglio di Stato a ribaltare la pronuncia 
cautelare del giudice di primo grado, senza peraltro farsi condizionare dalla decisione dell 'A.P. 

n. 2/1999, cit. 
La motivazione del Consiglio di Stato n. 4647/99 � ampia ed � una vera decisione anticipata 
di merito, non solo perch� si sofferma a confutare, seppure con la brevit� che caratterizza la 
delibazione sommaria, le censure dei ricorsi di primo grado, ma anche e soprattutto perch� 
espressamente riconosce importanza assoluta a tale profilo (di merito) per negare ingresso alla 
tutela cautelare in materia. 

Sarebbe riduttivo ipotizzare che tale decisione abbia avuto il solo scopo di �salvare� lo svolgimento 
delle prove scritte del concorso ed �, invece, pi� corretto ritenere che il giudice amministrativo 
di secondo grado, che in precedenza aveva dimostrato perplessit�, abbia infine compreso 
la necessit� della prova di preselezione per rendere ancora praticabile, a fronte della partecipazione 
di migliaia di candidati, lo svolgimento di prove concorsuali secondo il metodo tradizionale, 
che � stato elaborato, invece, con riferimento ad una realt� rappresentata da un numero decisamente 
pi� ridotto di partecipanti. 

Correttamente, ed in conformit� all'orientamento giurisprudenziale formatosi soprattutto in 
tema di impugnazione di bandi di gara, il Consiglio di Stato ha argomentato dall'immediata lesivit� 
della clausola del bando di concorso in questione, che stabilisce in quarantacinque minuti la durata 
della prova preselettiva, la necessit� di immediata impugnazione, decorrente dalla pubblicazione 
sulla G.U. del bando stesso, senza attendere l'esito (sfavorevole) della prova preselettiva stessa. 

D'altronde, il D.M. 24 febbraio 1997 n. 74, in particolare l'art. 4, 5� comma, attuativo della 
legge 26 luglio 1995, n. 328, che ha introdotto la prova di preselezione informatica nel concorso 
notarile, disponendo espressamente che �la durata massima della prova � di settanta minuti�, non 
preclude all'Amministrazione di stabilire una durata inferiore, essendo stato, evidentemente, fissato 
il solo limite massimo e non anche quello minimo di durata. 

Va rilevato che quando il legislatore non ha inteso lasciare alcun margine all'Amministrazione 
l'ha chiaramente specificato (ad esempio sul numero dei quesiti o sul numero dei partecipanti 
alle prove scritte). 

Va, infine, segnalato che il Consiglio di Stato ha tenuto ben presente, caricandolo di significato, 
un dato di fatto costituito dal numero elevato di candidati che ha superato la prova di preselezione, 
non tanto come prova del perfetto funzionamento del meccanismo preselettivo (tesi del 
Ministero appellante), ma soprattutto per escludere la preponderanza dell'elemento mnemonico a 
fronte della preparazione culturale, superando, in via di rimeditazione costruttiva, l'impostazione 
della citata ordinanza dell' A.P. dello stesso Consiglio di Stato resa peraltro nella-solo per qualche 
verso analoga -questione della prova di preselezione informatica del concorso per uditore 
giudiziario. 

G.P. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

230 

Ritenuto che il numero dei concorrenti che ha superato la prova preselettiva, 
maggiore rispetto a quello determinato dalla legge n. 328/95 in cinque volte il numero 
dei posti messi a concorso, induce, almeno ad un primo esame, a ritenere che non 
si sia avuta la preponderanza dell'elemento mnemonico a fronte della preparazione 
culturale; 

Ritenuto che gli altri motivi dei ricorsi di primo grado non appaiono assistiti da 
adeguato fumus; 
Ritenuto, infine, che la mancanza difumus assorbe ogni considerazione in ordine 
al danno; 

P.Q.M. 
Accoglie l'appello (Ricorso numero 7634/2000) e, per l'effetto, in riforma dell'ordinanza 
impugnata, respinge le istanze di sospensione proposte nei confronti dei 
provvedimenti impugnati in primo grado. (omissis) 

I 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 10 novembre 2000 n. 6058 -Pres. Giovannini Est. 
Chieppa -TV I. s.p.a. e B.T. s.p.a. (avv.ti Pace e Grandinetti) c. T. s.p.a., 
P.TV s.p.a., T.N., E. TV s.p.a., T.B. ed O. TV s.p.a. (avv.ti Presutti e Vaccaro) 
e nei confronti del Ministero delle comunicazioni ( avv. Stato Quadri) e R. A; 

I

R. A s.r.l. (avv. Sorrentino) c. T. s.p.a., P. TV s.p.a., T.N., E. TV s.p.a., T.B. ed ~ 
I 
~ 

O. TV s.p.a., e nei confronti del Ministero delle Comunicazioni (avv. Stato fil 
P. 
Quadri). 
Poste e radiotelecomunicazioni -Dismissione terza rete -Concessioni televisive 
per trasmissioni codificate in ambito nazionale -Cessione -Esclusione 
-Disattivazione -Legittimit�. 

I 

(legge 31luglio1997 n. 249, art. 3). 

Sussiste la legittimazione delle societ� appellanti a far valere l'invalidit� e l 'inefficacia 
degli atti di cessione e di permuta degli impianti anche in mancanza di 
previa contestazione in via giurisdizionale da parte dell'amministrazione degli stessi 
atti di cessione e permuta. 

Sussistono l'interesse al ricorso e la legittimazione delle societ� appellanti in 
quanto assegnatarie delle frequenze oggetto dei provvedimenti di disattivazione, la 
cui perdita � conseguenza dell'accoglimento del ricorso di primo grado. 

Il Ministero delle comunicazioni � legittimato ad appellare in via incidentale 
una sentenza emessa su ricorso contro provvedimenti di disattivazione da esso 
adottati prima dell'entrata in funzione dell'Autorit� per le garanzie nelle comunicazioni. 


Il ricorso per l'annullamento di provvedimenti di disattivazione di impianti, 
notificato allorquando non siano ancora individuati i soggetti assegnatari delle frequenze 
dismesse, ma siano noti i criteri di assegnazione, non necessita di notifica 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

231 

nei confronti di controinteressati. Dopo l'assegnazione �, invece, ammissibile l'intervento 
volontario in giudizio delle societ� assegnatarie (1). 

Da un sistema in cui il governo del!' etere spetta allo Stato, che conferisce ai 
privati la disponibilit� in via esclusiva delle frequenze con provvedimento di 
natura concessionaria, deriva il principio di incommerciabilit� delle frequenze. 
Sono legittimi i provvedimenti con cui il Ministero delle comunicazioni ha individuato 
impianti e frequenze da dismettere senza tenere conto degli atti di trasferimento 
(2). 

Sono manifestamente infondate e comunque irrilevanti le questioni di legittimit� 
costituzionale dell'art. 3, commi 8-11 della legge n. 249197 per contrasto con gli 
articoli 3, 21 e 41 della Costituzione (3). 

(1) La vicenda delle cessioni delle frequenze da parte delle reti T. attraverso vendite e permute 
di impianti segna una nuova -e forse definitiva -tappa. 
Gi� in passato il Garante per la radiodiffusione e l'editoria, con decisione n. 160/TP del 28 
ottobre 1996, aveva accertato che la vendita da parte di Fininvest, nel 1990, delle proprie frequenze 
dismesse alle tre emittenti T. aveva garantito la conservazione da parte della cedente del 
loro controllo. 

La sentenza del Consiglio di Stato ha il merito di aver stabilito con estrema chiarezza che le 
frequenze sono beni extra commercium e non ne � ammessa la disponibilit� da parte dei concessionari 
allo scopo di aggirare le norme �anticoncentrazione�. 

La risoluzione delle questioni preliminari sollevate in gran numero dalle appellate e, pi� 
limitatamente, dalle societ� appellanti si allinea alla prevalente giurisprudenza. 

Sulla mera efficacia inter partes con conseguente inopponibilit� all'Amministrazione della cessione 
della concessione per l'esercizio di impianti di carburanti, fino alla pronuncia del provvedimento 
di decadenza sanzionatoria cfr. Cass., Sez. I, 18 novembre 1988, n. 6235, citata in motivazione; 
in senso conforme Cass., Sez. I, 26 marzo 1977 n. 1192. Sulla non cedibilit� della concessione 
cfr. Cass., Sez. 5�, 9 agosto 2000 n. 10468. Sulla legittimazione dell'intervenuto ad appellare cfr. 
C.d.St., Sez. 6�, 7 aprile 1999 n. 6; nonch� C.d.St., Sez. 6�, 25 marzo 1996 n. 500, in cui � stabilito 
che la legittimazione ad impugnare spetta anche a quei soggetti che, pur non rivestendo il molo di 
controinteressati in senso tecnico, e non qualificabili pertanto come parti necessarie del giudizio, 
siano nondimeno titolari di situazioni soggettive caratterizzate da un interesse sostanziale di segno 
opposto a quello fatto valere con il ricorso in primo grado; C.d.St., Sez. 6�, 20 maggio 1995 n. 498; 
C.d.St., Sez. 4�, 13 aprile 1989 n. 215. Di segno contrario: C.d.St., Sez. 5�, 6 maggio 1997 n. 456. 

Sulla legittimazione ad appellare dell'Autorit� emanante l'atto impugnato, parte necessaria 
del giudizio, v. C.d.St., Sez. 6�, 3 gennaio 2000 n. 20; C.d.St., Sez. 6�, 17 luglio 1998 n. 1099, 
anche nel caso in cui essa non sia costituita in primo grado. 

Sulla necessaria individuabilit� -c.d. elemento formale -del controinteressato, cfr. C.d.St., 
Sez. 6�, 20 novembre 1998 n. 1586; Sez. 5�, 17 dicembre 1998 n. 1806; nel senso che non rilevano 
i fatti e le situazioni sopravvenute al provvedimento impugnato C.d.St., A.P., 24 luglio 1997 n. 15. 

(2) Nel merito, due sono le questioni principali che il Consiglio di Stato ha affrontato. La prima, 
in fatto, concerne l'esatta interpretazione degli atti di indirizzo nel tempo succedutisi, compresa la circolare 
del Ministero delle comunicazioni dell '8 luglio 1992, con cui l'Amministrazione imponeva a 
prescindere da qualsiasi valutazione in ordine alla validit� ed efficacia delle cessioni delle frequenze 
-il mantenimento da parte del soggetto cessionario del marchio utilizzato (Tele+3). L'osservanza 
di detto obbligo avrebbe costituito poi lo strumento di individuazione delle frequenze da dismettere 
a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 3, comma 11 della legge n. 249/97 (per l'analisi della 
normativa -GIORGIO D'AMATO, L'autorit� di garanzie nel settore delle comunicazioni di massa, 
Milano, 1997). Con detta norma, infatti, � stabilito che i soggetti che alla data di entrata in vigore 
della legge eserciscano pi� reti televisive in ambito nazionale in forma codificata devono, dal 31 
dicembre 1997, trasferire via cavo o via satellite le trasmissioni irradiate da una delle loro reti. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

232 

(omissis) 

1. -Preliminarmente deve essere disposta la riunione del ricorso n. 2287 /2000 
al ricorso n. 1839/2000, in quanto proposti avverso la medesima sentenza. 
2. -Le eccezioni preliminari sollevate dalle societ� appellate sono infondate. 
Una prima eccezione riguarda la carenza di interesse e legittimazione delle 
appellanti per la mancata impugnazione o contestazione degli atti di cessione e di 
permuta degli impianti. 
Le societ� del gruppo T. richiamano il principio di cui all'art. 157 c.p.c., secondo 
cui una nullit� non pu� essere dichiarata se la legge non lo disponga espressamente 
ed un precedente della Cassazione, in base al quale � stata ritenuta l'efficacia 
inter partes di un contratto traslativo della propriet� di un impianto per la distribuzione 
di carburante, pur in assenza dell'autorizzazione dell'autorit� che ha rilasciato 
la concessione (Cass., I, n. 6235/88). 
La T. s.r.l., in ottemperanza a dette disposizioni, sceglieva come emittente codificata da trasferire 
su satellite Tele+3. Di conseguenza, di tutti gli impianti che risultavano trasmettere con il 
marchio Tele+3, indipendentemente dalla loro propriet�, veniva ordinata la disattivazione dopo il 
31 dicembre 1997. 
Il Consiglio di Stato mostra, a riguardo, di non condividere l'assunto del primo giudice, 
secondo cui l'utilizzazione del logo Tele+ va considerata solo come modalit� di esercizio degli 
impianti da parte del concessionario, preferendo la tesi secondo cui l'utilizzo del marchio � da 
considerarsi criterio per la ricognizione degli impianti. 
Particolare rilievo assume la pronuncia sulla questione di diritto concernente la trasmissibilit� 
delle frequenze da parte del concessionario. 
L'amministrazione aveva sostenuto in giudizio a 
favore dell'intrasmissibilit� che 
l'etere 
� un bene comune naturalmente limitato e perci� non fruibile da tutti ( c.d. phisical scarcity), 
ma soggetto a limiti e controlli da parte della P.A. e che proprio in ci� trova giustificazione il principio 
della concessione (c.f.r. Corte Costituzionale 26 marzo 1993 n. 112), che si realizza attraverso 
il governo pubblico dell'etere. Il pericolo prospettato di fronte all'ammissione di atti dispositivi 
era quello di una pianificazione di fonte privatistica, in assoluto contrasto con il principio 
della pianificazione pubblica. Veniva inoltre considerato che la pianificazione pubblica, supportata 
da norme quali quelle contenute nella legge n. 24911997, perseguiva il fine comune 
anche 
al settore delle trasmissioni in forma codificata di 
evitare la concentrazione delle frequenze in 
capo ad un ristretto numero di soggetti secondo i principi stabiliti dalla Corte Costituzionale nella 
sentenza n. 420 del 1994. Si evidenziava come attraverso le cessioni tale principio sarebbe stato 
completamente eluso, finendo col perdere le norme anticoncentrazione ogni effettivit�. 
A questa tesi, sostenuta con dovizia di argomenti anche dalle societ� appellanti principali, 
ha aderito il Consiglio di Stato attraverso una compiuta disamina della giurisprudenza della Corte 
Costituzionale. Particolare rilievo, in tale ambito, assume la sentenza 5 dicembre 1994 n. 420, con 
cui la Corte ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale dell'art. 15, comma 4 della legge 6 agosto 
1923 n. 223 nella parte in cui consentiva ad uno stesso soggetto di essere titolare di tre concessioni 
nazionali televisive. L'esigenza di un idoneo limite alla concentrazione in materia di radiodiffusione 
televisiva risponde allo scopo di garantire il �pluralismo esterno� (ossia quella pluralit� 
di voci propria di un sistema misto di radiodiffusione) sancito dall'art. 21 della Costituzione 
(sul concetto di pluralismo v. PLINIO SACCHETTO, Cultura e Televisione, in Da sudditi a cittadini, 
Milano, 1997, 175). Proprio dai principi affermati in detta sentenza � poi scaturita l'adozione 
della legge 31 luglio 1997 n. 249 contenente norme tra 
cui l'art. 3 volte 
ad impedire la concentrazione 
del settore della radiodiffusione televisiva. 
$ 
* 


PARTE I, SEZ. IY, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

233 

In realt� la stessa giurisprudenza citata dimostra proprio che l'amministrazione, 
nell'assumere i provvedimenti impugnati, non doveva previamente contestare in via 
giurisdizionale i menzionati atti di cessione e permuta degli impianti. 

Infatti la Cassazione ha solamente affermato il principio dell'efficacia inter partes 
dei contratti traslativi fatto salvo il potere dell'amministrazione di disporre la 
decadenza della concessione se la cessione � avvenuta in violazione della normativa 
vigente. 

Nel caso in esame, l'amministrazione ha proprio rilevato che gli atti di cessione 
e permuta erano avvenuti in violazione della disciplina vigente ed ha adottato gli 
impugnati provvedimenti, che presuppongono la non opponibilit� all'amministrazione 
degli atti di trasferimento degli impianti. 

Oggetto del presente giudizio � la legittimit� di detti provvedimenti e, quindi, 
anche l'interesse e la legittimazione delle societ� controinteressate non dipende in 
alcun modo dalla previa contestazione degli atti di cessione degli impianti. 

3. -La seconda eccezione concerne la carenza di interesse e legittimazione 
delle appellanti per l'insussistenza del presupposto della carenza di copertura, ri-
Anche il principio della concessione (su cui v. Corte Costituzionale, 26 marzo 1993 n. 112, 
in Foro it., 1993, I, 1339, con nota di CARINGELLA; Cass., S.U., 19 giugno 1996 n. 5623 in questa 
Rassegna, 1997, 267; C.d.S., Sez.6�, 28 aprile 1994, n. 620; C.d.S., Sez. 6�, 26 marzo 1992 n. 184) 
� messo in luce nella sentenza in commento e viene confermato dall'esame delle norme contenute 
nella legge Mamm�, particolarmente in quella di cui all'art. 32, concernente l'autorizzazione ex 
lege all'esercizio in via provvisoria degli impianti utilizzati al momento dell'entrata in vigore della 
legge 223/90. � appena il caso di osservare come a tutt'oggi -ed a distanza di oltre tre anni dall'entrata 
in vigore della legge n. 249, che doveva porre fine al sistema transitorio -non sia ancora 
ultimata l'assegnazione delle concessioni nazionali, essendo controversa ed oggetto di un nutrito 
contenzioso l'assegnazione dell'ottava concessione. 

Da segnalare �, altres�, la distinzione che il Consiglio di Stato opera tra cessione di 
impianti e di frequenze -non ammessa -e cessione di imprese o di quote di societ�, ammessa 
dalla legge Mamm� e, peraltro, costituente specifico oggetto della sentenza della stessa 
Sezione n. 1756/96. 

Di rilievo � altres� il riconoscimento della applicabilit� della deroga alla intrasmissibilit� contenuta 
nel decreto legge 19 ottobre 1992 n. 407, convertito in legge 17 dicembre 1992 n. 482, 
relativamente al settore radiofonico, e nel decreto legge 27 agosto 1993 n. 323 convertito in legge 
27 ottobre 1993 n. 422, relativamente al settore televisivo -al solo ambito dell'emittenza locale, 
nonch� dell'irretroattivit� dell'art. 6 comma 1 della stessa legge n. 422 del 1993. 

Anche il richiamo al parere della prima Sezione n. 1295 del 6 luglio 1994 ed alla sentenza 

n. 1756/96 � operato allo scopo di sottolineare la diversit� tra le fattispecie affrontate in quella sede 
(trasferibilit� impianti tra soggetti autorizzati ex art. 321 legge 223/90, su cui v. anche della stessa 
Sezione, sentenza 28 aprile 1998 n. 566) e quella sottoposta ora al vaglio del Consiglio di Stato. 
(3) La rilevanza nel giudizio a quo della questione di legittimit� costituzionale dell'art. 3 e 
249/97, che obbliga alla dismissione della terza rete, viene esclusa a causa della mancata impugnazione 
dei precedenti atti con cui si individuava la rete (Tele+3) con beneplacito dell'interessata. Sulla 
necessit� di impugnazione degli atti applicativi ai fini del giudizio di rilevanza, cfr. Corte Cost., 21 
febbraio 1994 n. 68; Corte Cost., 30 giugno 1986 n. 186; C.d.S., 20 settembre 1999 n. 1112. 
F.Q. 

RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

234 

chiesto dall'art. 11, comma 3, della legge n. 249/97 per la successiva assegnazione 
delle frequenze dismesse. 

Si rileva che, ai fini della sussistenza dell'interesse al ricorso e della legitti-~ 
mazione ad agire, � sufficiente che le societ� controinteressate siano risultate asse-~ 

rn 

gnatarie delle frequenze oggetto degli impugnati provvedimenti di disattivazione, ~ 

derivando loro un danno attuale ed immediato in ipotesi di accoglimento del ricor-~ 
so in primo grado, consistente nella perdita delle frequenze assegnate. 
Ogni eventuale contestazione degli atti di assegnazione delle frequenze alle controinteressate 
da parte di soggetti legittimati � estranea all'oggetto del presente giudizio. 

4. -Altra eccezione � relativa alla carenza di legittimazione della sola TV I. 
s.p.a., che, secondo le appellate, fino al luglio del 1999 poteva trasmettere solo programmi 
esteri, mentre invece operava come impresa di diffusione con conseguente 
obbligo dell'amministrazione di adottare un provvedimento di decadenza del titolo. 
Anche in questo caso le appellate cercano di introdurre una questione del tutto 
estranea all'oggetto del giudizio e in alcun modo collegata, agli impugnati provvedimenti. 


Ogni soggetto legittimato pu� sollecitare l'amministrazione ad adottare provvedimenti 
sanzionatori nei confronti di societ� concessionarie che abbiano violato la 
normativa vigente e, in caso di ulteriore inerzia, agire in via giurisdizionale con gli 
strumenti previsti dall'ordinamento. 

Un'asserita violazione da parte di una delle societ� appellanti non pu� invece 
essere dedotta in via incidentale al fine di far derivare da un ipotetico provvedimento 
di decadenza del titolo concessorio la carenza di interesse o legittimazione. 

5. -Le appellate sostengono che anche Rete A sarebbe priva di legittimazione 
ed interesse, non essendo stato rilasciato il titolo concessorio con conseguente obbligo 
di cessare le trasmissioni in data 31 luglio 1999. 
� nota l'esistenza di una complessa controversia concernente il rilascio dell'ottava 
concessione nazionale ad emittenti radiotelevisive. 

A prescindere dall'esito dei ricorsi pendenti da cui deriva la possibilit� del rilascio 
della concessione per R. A, � sufficiente rilevare che R. A � assegnataria di 
alcune delle frequenze oggetto degli impugnati provvedimenti di disattivazione 
emessi nei confronti del gruppo T., che quanto meno fino ad una certa data non � in 
contestazione la legittimit� della diffusione dei programmi da parte di Rete A e che 
in assenza di provvedimenti definitivi circa l'assegnazione dell'ottava concessione 
permane l'interesse al ricorso da parte di R. A. 

6. -Un'ultima eccezione preliminare delle societ� appellate riguarda l'appello 
incidentale proposto dal Ministero delle comunicazioni e l'asserita carenza di legittimazione 
ed incompetenza assoluta del Ministero per aver perso ogni competenza 
in materia a seguito dell'entrata in funzione dell'Autorit� per le garanzie nelle 
comunicazioni. 
Innanzitutto le appellate riferiscono la predetta incompetenza dell'amministrazione 
in relazione ai provvedimenti di assegnazione delle frequenze alle societ� controinteressate, 
che, come gi� detto, non sono in contestazione nel presente giudizio. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

In secondo luogo non � contestabile che i due provvedimenti impugnati, da cui 
� derivata la disattivazione degli impianti (telex del 4 febbraio 1998 e circolare del 
28 gennaio 1998) sono stati adottati dal Ministero sicuramente prima dell'entrata in 
funzione della menzionata Autorit� e ci� � sufficiente per la sussistenza della legittimazione 
ad agire e dell'interesse all'appello di una sentenza che ha annullato provvedimenti 
emessi dal Ministero stesso. 

7. -Con il primo motivo di ricorso, comune alle societ� appellanti, � stata 
dedotta la violazione delle norme sul contraddittorio e l'inammissibilit� del ricorso 
in primo grado, perch� non notificato alle societ� controinteressate. 
Il motivo � infondato. 
Con gli atti impugnati � stata disposta la disattivazione degli impianti ritenuti in 
esercizio da parte di O. TV e non anche l'assegnazione delle frequenze �liberate�. 

Pur essendo al momento della proposizione del ricorso in primo grado gi� 
stato adottato il D.M. 20 febbraio 1998, con cui si stabilivano i criteri per l'assegnazione 
delle frequenze dismesse, non era ancora immediatamente percepibile 
l'individuazione dei soggetti assegnatari di dette frequenze, avvenuta solo in data 
3 giugno 1998. 

Non si poteva certo chiedere alle societ� ricorrenti di svolgere in astratto l'attivit�, 
poi svolta dall'amministrazione e che ha condotto all'assegnazione delle 
frequenze. 

L'assegnazione delle frequenze alle� societ� controinteressate, avvenuta in corso 
di giudizio, ha invece legittimato l'intervento in giudizio ed il presente appello delle 
tre societ�, portatrici di un interesse al mantenimento dell'assetto derivante dagli 
atti, annullati dal giudice di primo grado. 

8.1. -Respinte tutte le eccezioni proposte in via preliminare dalle parti pu� ora 
essere affrontato il merito della questione. 
Il TAR del Lazio ha fondato l'impugnata decisione di accoglimento del ricorso 
sui seguenti punti: 
a) distinzione tra l'appartenenza ad un soggetto determinato della rete di telecomunicazione 
(complesso di strumenti che consentono la trasmissione di onde elettromagnetiche 
irradiate su predeterminate bande di frequenze) e il modus di utilizzazione 
della rete; nel caso di specie, l'amministrazione, rilevata la diffusione di 
programmi con l'utilizzo del marchio della societ� cedente, avrebbe illegittimamente 
adottato i provvedimenti di disattivazione, anzich� imporre le corrette modalit� di 
utilizzazione degli impianti stessi; 

b) l'affermazione del principio secondo cui, una volta intervenuto l'atto di 
concessione per la trasmissione su determinate frequenze, possono verificarsi 
vicende traslative, che esplicano effetti sul trasferimento o voltura dell'atto autoritativo 
ampliativo della sfera giuridica del privato, consentendo la normativa vigente 
il trasferimento del complesso aziendale, del ramo di azienda o dei singoli 
impianti radiotelevisivi. Il giudice di primo grado, dopo aver ricostruito il quadro 
normativo e citato diverse disposizioni che consentono la cessione delle frequenze, 
ha evidenziato che solo a partire dall'entrata in vigore della legge n. 650/96 � 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

236 

stato introdotto il divieto per le emittenti televisive criptate di porre in essere siffatti 
trasferimenti; 

e) invalidit� derivata dei singoli provvedimenti di disattivazione a seguito 
della riconosciuta illegittimit� degli atti di direttiva assunti dal Ministero. 

8.2. -Sia le societ� appellanti in via principale che il Ministero appellante incidentale 
hanno dedotto due principali motivi nei confronti dell'impugnata sentenza: 
a) la violazione e falsa applicazione dell'art. 3, comma 11, della legge 

n. 249/97 e l'insufficiente e contraddittoria motivazione sul contenuto del telex del 
4 febbraio 1998, che indicava il marchio Tele+ 3 non quale causa della disattivazione, 
ma come criterio per la ricognizione degli impianti da disattivare; 
b) la violazione della disciplina che gi� all'epoca degli atti di cessione e permuta 
sanciva il divieto di commerciabilit� delle frequenze, non applicandosi alla fattispecie 
in esame alcuna delle deroghe introdotte dal legislatore. 

8.3. -Entrambi i motivi sono fondati. 
I

Secondo il TAR i provvedimenti di disattivazione degli impianti sarebbero stati 
assunti sulla base del presupposto, costituito dall'utilizzo del logo Tele+3, che inveI 
ce poteva al limite consentire provvedimenti diretti a ripristinare il corretto uso della 
rete di telecomunicazione. 

I 

Il giudice di primo grado ha travisato il contenuto del telex del Ministero del 4 

~ 

febbraio 1998 e della richiamata circolare n. 40 del 28 gennaio 1998. !'! 
Oggetto dei due atti di indirizzo � l'individuazione degli impianti da dismettere 
ai sensi dell'art. 3, comma 11 della legge n. 249/97. 
Infatti, a seguito dell'entrata in vigore delle limitazioni del numero delle concessioni 
televisive per trasmissioni codificate in ambito nazionale su frequenze ter


restri, introdotte a partire dal 31 dicembre 1997 dalla citata disposizione, T. s.p.a., 
societ� di controllo delle emittenti P. TV s.p.a., E. TV s.p.a. e O. TV s.p.a., aveva 
risposto alla richiesta del 24 dicembre 1997 del Ministero delle comunicazioni, indi


Icando in O. TV l'emittente che avrebbe cessato l'attivit�, allegando l'elenco di 126 
impianti oggetto di dismissione. Nell'elenco non erano compresi 68 impianti ceduti 
da O. TV a P. TV ed E. TV. 

Il Ministero non ha in alcun modo inteso sanzionare con la disattivazione il non 
corretto utilizzo del logo Tele+3, ma ha indicato quale criterio di ricognizione degli 
impianti eserciti da O. TV l'uso del marchio Tele+3, rete da dismettere alla data del 
31 dicembre 1997. 

Nella circolare n. 40 del 28 gennaio 1998 il Ministero ha espressamente indicato 
che �indipendentemente dall'esistenza di eventuali comunicazioni di trasferimenti 
o permute di impianti, costituiscono oggetto di dismissione ai sensi dell'art. 
3, comma 11, della legge n. 249/97 le frequenze esercite dall'emittente T. prima del1'
avvenuta dismissione�. 

Con il successivo telex del 4 febbraio 1998 lo stesso Ministero ha ribadito che 
�tali impianti dovranno in ogni caso essere oggetto di disattivazione in capo agli 
attuali esercenti, se all'atto della dismissione della rete esercita da O. TV con marchio 
Tele+3, tali impianti erano eserciti con tale marchio�. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

� evidente che il presupposto dei provvedimenti di disattivazione � l'esercizio 
di impianti assegnati ad O. TV, da dismettere ai sensi del citato art. 3, comma 11 e 
che l'utilizzo del marchio Tele+3 viene indicato quale criterio per la ricognizione di 
detti impianti. 

8.4. -L'ulteriore motivo di appello investe invece una questione di diritto: i 
limiti della commerciabilit� degli impianti di diffusione radiotelevisiva. 
Innanzitutto occorre precisare che le societ� appellate oppongono l'avvenuto 
trasferimento degli impianti non solo con riferimento alle attrezzature atte a trasmettere, 
ma soprattutto con riguardo alle relative radiofrequenze. 

In sostanza, con la cessione degli impianti le societ� appellate hanno inteso 
trasferire anche le relative frequenze e tale possibilit� � stata invece esclusa dal 
Ministero. 

� noto che l'attivit� radiotelevisiva viene definita come utilizzazione delle onde 
elettromagnetiche per la diffusione circolare di messaggi sonori e visivi. 

La stessa Corte Costituzionale, fin dalle sue prime pronunce in materia, ha evidenziato 
la limitata possibilit� di utilizzare l'etere al fine della radiotelecomunicazione 
circolare attraverso l'irradiazione di onde in determinate gamme di frequenza 
dello spettro radioelettrico (cfr., Corte Cost., n. 59/1960 e n. 225/1974), segnalando 
la sussistenza di una disponibilit� dell'etere non sufficiente a garantire il libero 
accesso nello stesso (Corte Cost., n. 202/76). 

In presenza di tali elementi il governo complessivo dell'etere spetta allo Stato, 
che conferisce ai privati la disponibilit� in via esclusiva di determinate utilit� (le frequenze), 
con provvedimenti di natura tipicamente concessoria ( cfr., Corte Cost., 

n. 112/93); proprio la non illimitatezza delle frequenze impone il ricorso al regime 
concessorio (cfr., Corte Cost. n. 420/94). 
Tale quadro non � smentito dalla legge n. 223/90, che ha previsto una disciplina 
a regime di tipo concessorio (art. 16), accanto ad una disciplina transitoria di tipo 
autorizzatorio (art. 32) in funzione della temporanea cristallizzazione della situazione 
esistente in attesa della riforma della disciplina a regime ( cfr. sempre Corte Cost., 

n. 420/94). 
Da tale quadro di riferimento deriva l'impossibilit� della fruizione dell'etere da 
parte di privati se non a seguito di provvedimento amministrativo abilitativo, come 
sancito anche dall'art. 16, comma 1, della legge n. 223/90. 

Nel sistema delineato dal legislatore del 1990 la concessione non � trasferibile 
(art. 16, comma 2) e, come gi� detto, viene dettata una normativa transitoria, con cui 
i privati che gi� eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva sono 
autorizzati a proseguire nell'esercizio degli impianti stessi fino al rilascio della concessione 
(art. 32, comma 1). 

Vengono espressamente vietate ogni modificazione della funzionalit� tecnico 
operativa degli impianti, salvo interventi autorizzati dal Ministero (art. 32, comma 
2) e la detenzione da parte di privati di frequenze non indispensabili per l'illuminazione 
dell'area di servizio e del bacino (art. 32, comma 4). 

Da tali disposizioni non pu� non ricavarsi un principio di incommerciabilit� 
delle frequenze, che solo lo Stato pu� assegnare a soggetti privati. 


.. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

238 
~' 

Del resto, dal citato art. 32 della legge n. 223/90 si ricava proprio la-volont� del 
legislatore di cristallizzare l'esistente con divieto di ogni modificazione nell'esercizio 
degli impianti non autorizzata. 

La stessa cessione di un impianto con la relativa frequenza integrerebbe il presupposto 
della non indispensabilit� della frequenza da parte dell'impresa cedente 

con la sanzione della disattivazione dell'impianto stesso ai sensi dell'art. 32, commi 
4 e 5, della legge n. 223/90. 

8.5. -Le societ� appellate sostengono che dagli artt. 13, 15, comma 2 e 17 della 
legge n. 223/90 si ricaverebbe l'ammissibilit� �degli atti di trasferimento degli 
impianti, ove non ricorra la nullit� prevista dalle citate norme. 
In realt� tali disposizioni non riguardano la fattispecie in esame (cessione di 
impianti), ma si riferiscono agli atti di cessione di imprese o di quote di societ� operanti 
nel settore; in sostanza, concernono il cambio di propriet� o del soggetto esercente 
al fine del rispetto dei limiti di concentrazione delle risorse nel settore delle 
telecomunicazioni. 

Sulla base di tali considerazioni viene quindi smentita la tesi delle societ� 
appellate secondo cui, essendo i trasferimenti avvenuti tra il 1991 e la primavera del 
1993, questi erano consentiti dalla legge n. 223/90. 

8.6. -Secondo il TAR anche una serie di disposizioni intervenute successivaI


mente confermerebbe l'ammissibilit� del trasferimento degli impianti con effetto 
anche sulle relative bande di frequenza. 
Proprio le norme citate dal giudice di primo grado, invece, confermano che le 
deroghe introdotte dal legislatore al divieto di commerciabilit� delle frequenze non 

Isi applicano alla fattispecie in esame. 

~ 

Infatti con il D.L. n. 323/93, convertito in legge n. 422/93, � stata introdotta una 
speciale disposizione derogatoria, che in sostanza sana per il passato le compraven


I

dite nel frattempo intervenute. 

La deroga non � stata introdotta in modo espresso, ma con un inciso contenuto 
nel secondo comma dell'art 1, con cui si stabilisce che l'atto di concessione consente 
esclusivamente l'esercizio degli impianti e dei connessi collegamenti di telecomunicazione, 
censiti ai sensi dell'art. 32 della legge n. 223/90 ed eventualmente 
modificati dallo stesso esercente �O da altro soggetto dal quale l'esercente li abbia 
acquisiti�. 

Il riferimento all'acquisizione di impianti confermerebbe la validit� degli atti di 
cessioni. 

La norma si riferisce per� ai soggetti autorizzati a proseguire nell'esercizio di 
impianti per la radiodiffusione televisiva �in ambito locale� ai sensi del comma precedente 
e, del resto, anche il TAR ha riconosciuto l'applicabilit� della disposizione 
ai soli soggetti esercenti in ambito locale ( cfr. sentenza impugnata pag. 15). 

A conferma di tale interpretazione si rileva che lo stesso art. 1, comma 3, della 
legge n. 422/93 nell'autorizzare la prosecuzione dell'esercizio della radiodiffusione 
televisiva in ambito nazionale prevede l'utilizzo degli impianti censiti ai sensi dell'art. 
32 della legge n. 223/90 e modificati ai sensi del comma 2 della stessa norma 
(ovvero previa autorizzazione dei Ministero), senza fare alcun riferimento all' avve



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

nuta acquisizione da altro soggetto, a differenza del precedente comma riferito al 
solo ambito locale. 

Si ricorda che ai sensi dell'art. 11, comma 2 bis, alle emittenti che trasmettono 
in forma codificata si applicano le disposizioni previste per i concessionari privati 
che operano in ambito nazionale. 

8.7. -La limitazione della possibilit� (eccezionale) di trasferire impianti e frequenze 
� confermata dall'art. 6, comma 1 della legge n. 422/93, che all'epoca consentiva 
il trasferimento di.impianti o rami d'azienda fra concessionari televisivi operanti 
in ambito locale e fra questi e i concessionari nazionali esercenti una sola rete. 
Anche in questo caso la disposizione (che peraltro si applica solo per il futuro 
e non a sanatoria come il precedente art. 1) non riguarda la fattispecie in esame, in 
quanto il gruppo T. opera in ambito nazionale e non esercisce una sola rete. 

In pratica, il legislatore in assenza di una normativa definitiva nel settore ha con 
diverse disposizioni, aventi evidente carattere eccezionale, derogato al principio del 
divieto di commerciabilit� delle frequenze, gi� vigente ai sensi della legge 

n. 223/90, ma nessuna di dette deroghe si applica alle cessioni intervenute all'interno 
del gruppo T. 
8.8. -Le societ� appellate richiamano due precedenti del Consiglio di Stato: il 
parere della 1� Sezione n. 1295/94 e la sentenza di questa Sezione n. 1756/96. 
Con il citato parere non � stata affrontata la questione dei limiti della commerciabilit� 
di impianti e licenze, n� tanto meno l'applicabilit� delle deroghe introdotte 
dalla legge n. 422/93 ai soggetti operanti in ambito nazionale con pi� reti e in forma 
codificata. 

Il parere ha affrontato una questione diversa: l'ammissibilit� dei trasferimenti 
consentiti dalla legge n. 422/93 solo tra soggetti gi� autorizzati ai sensi dell'art. 32 
della legge n. 223/90; � stato in pratica escluso che attraverso la cessione di impianti 
potessero entrare sul mercato soggetti nuovi rispetto alla cristallizazione dell'esistente 
operata dalla legge n. 223/90. 

Ci� premesso, con il predetto parere non sono stati in alcun modo delineati i 
limiti previsti dalla stessa legge n. 422/93 al trasferimento degli impianti e delle 
relative frequenze. 

Anche con la citata sentenza, inerente peraltro emittenti esercenti in ambito 
locale, la Sezione si limita a riaffermare il principio della ammissibilit� dei riferimenti 
tra soggetti autorizzati ai sensi della legge n. 223/90 e non tra soggetti nuovi 
senza affrontare la questione relativa a quali trasferimenti siano consentiti dalla normativa 
vigente. 

8.9. -Sulla base di tali considerazioni il divieto di trasferire gli impianti e le 
relative frequenze non � stato introdotto per la prima volta ad opera del D.L. 
n. 545/96, convertito in legge n. 650196, ma gi� era vigente, quanto meno con riferimento 
alla posizione delle societ� appellate, fin dall'entrata in vigore della legge 
n. 223/90. 
La citata legge del 1996, a conferma dell'intenzione del legislatore di convogliare 
via cavo o via satellite le trasmissioni in forma codificata (v. art. 11, comma 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

240 

1 della legge n. 422/93), ha espressamente vietato il trasferimento di impianti o dii

I:,'':,_. 

rami d'azienda da parte delle emittenti televisive criptate (art. 1, comma 13, della . 
legge n. 650/96, richiamato dall'art. 3, comma 19 della legge n. 249/97 e dall'art 1, 
comma 7, della legge n. 122/98). 
Come gi� detto, il legislatore ha poi dettato specifiche disposizioni per limitare @, 

progressivamente il numero delle concessioni televisive per trasmissioni codificate 
in ambito nazionale su frequenze terrestri (art. 3, commi 6-11, della legge n. 249/97, 
in base a cui il gruppo T. ha dovuto dismettere la rete T., esercita da O. TV). 

8.1 O. -Accertato che gli atti di trasferimento degli impianti, invocati dalle 
societ� appellanti, non sono idonei a trasferire le frequenze assegnate dall'amministrazione, 
ne consegue l'inefficacia di detti atti nei confronti del Ministero delle 
Comunicazioni ed il conseguente obbligo per il gruppo T. di dismettere gli impianti 
(e le frequenze) eserciti da O. TV. 
Con gli impugnati provvedimenti il Ministero ha quindi correttamente individuato 
impianti (e frequenze) da dismettere senza tenere conto degli ininvocati atti di 
trasferimento. 

L'utilizzo del marchio Tele+3 � stato dunque solo uno dei criteri utilizzabili per 
la ricognizione degli impianti (e delle frequenze) da disattivare. 

In alcun modo rileva, a favore della tesi delle societ� appellate, la c.d. circolare 
Guidarelli del 8 luglio 1992 con cui il Ministero precisava che in caso di trasfer�-~ 
mento di impianti di radiodiffusione, tali impianti dovevano continuare a diffonde-I 
re i programmi dell'emittente che ne ha denunciato l'esercizio ai sensi dell'art. 32 ,~ 

della legge n. 223/90. 

i�=. 

Con tale circolare, adottata prima dell'entrata in vigore delle sopra menzionate 
deroghe introdotte dal legislatore, il Ministero ha inteso ribadire che in alcun caso 
le frequenze potevano essere oggetto di atto di trasferimento. I~ 

Del resto, appare evidente che, in quadro normativo indirizzato verso il trasfe-~,:, 
rimento via cavo o via satellite delle trasmissioni in forma codificata, gli avvenuti 
trasferimenti degli impianti (e delle relative frequenze) hanno costituito il tentativo I'; 
di eludere l'obbligo di dismettere impianti (e frequenze) di una delle reti esercite dal 

I 

grupl?o T. (T. esercita da O. TV). 
E significativo il fatto che nel corso del 1996, in presenza di una contestazione 

da parte dell'amministrazione in ordine ad un impianto trasferito da O. TV ad E. TV @ 
e che continuava a trasmettere i programmi di T., entrambe le societ� del gruppo 
hanno sostenuto la risoluzione dell'accordo di cessione, allegando come prova della 
non esecuzione della cessione proprio la prosecuzione della trasmissione dei programmi 
di T.3 (v. doc. 23, prodotto dalle appellanti TV I. s.p.a. e B.T. s.p.a. e non 
contestato da controparte). :: 

Non pu� certamente consentirsi che le societ� di un gruppo di emittenza, quale 

t,,:!::�� 

T., possano porre in essere atti di trasferimento di impianti e frequenze, peraltro in i' 
violazione della vigente normativa, e possano poi invocare la risoluzione degli ~: 

accordi o la validit� di questi a seconda delle contestazioni mosse dall'amministrazione, 
e in ragione della disciplina di settore, come progressivamente modificata dal 
legislatore. 

j 

��J!~-�1111��IJ!4'����1�-~~:;;;::~::; 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIV� 

9. -Le societ� appellate hanno riproposto i motivi di illegittimit� costituzionale 
sotto vari profili dell'art. 3, commi 8-11, della legge n. 249/97. 
Le questioni sollevate sono manifestamente infondate e comunque non rilevanti 
nei sensi che seguono: 
a) la disposizione di cui all'art. 3, comma 11 della legge n. 249/97, che limita 
per ciascun soggetto ad una le concessioni televisive su frequenze terrestri in ambito 
nazionale per programmi in forma codificata non contrasta con gli artt. 3, 21 e 41 
della Costituzione, per la diversa situazione in cui si trovano le emittenti che trasmettono 
in criptato, per� le quali il legislatore pu� liberamente optare per il progressivo 
passaggio verso le trasmissioni via cavo o via satellite, in considerazione 
anche della limitatezza delle frequenze terrestri. La questione non � comunque rilevante, 
considerato che la stessa doveva al limite essere proposta mediante l'impugnazione 
degli atti applicativi della disposizione con cui il Ministero ha invitato il 
gruppo T. ad indicare la rete da dismettere, mai contestati invece dalle societ� appellate 
La rilevanza della questione di costituzionalit� di una norma postula, infatti, un 
rapporto diretto tra la norma sospettata di incostituzionalit� ed il provvedimento 
impugnato, che non ricorre nel caso, come quello in esame, in cui l'applicazione 
della norma asseritamente illegittima sia stata effettuata con diverso e inoppugnato 
provvedimento, che costituisce un presupposto di quello impugnato: nel caso di specie, 
il gruppo T. non ha mai impugnato la nota del 16 dicembre 1997 con cui il Ministero, 
in diretta applicazione della norma sospettata di incostituzionalit�, ha chiesto 
l'indicazione della rete da dismettere (vedi anche la risposta del 27 dicembre 1997 
della capofila T. s.p.a., che ha appunto indicato la rete da dismettere in quella esercita 
da O. TV). Di conseguenza, l'incostituzionalit� della normativa che limita le 
trasmissioni in forma codificata su frequenze terrestri non pu� essere dedotta ora in 
sede di impugnazione di provvedimenti applicativi della non contestata individuazione 
della rete da dismettere e relativi alla sola ricognizione degli impianti della 
rete, indicata per la dismissione dallo stesso gruppo T.; 

b) per le stesse ragioni � infondata e non rilevante la questione relativa alla 
asserita incostituzionalit� della norma, nella parte in cui esclude dalla riassegnazione 
delle frequenze dismesse le emittenti che trasmettono in forma codificata (anche 
in questo caso la questione doveva al limite essere proposta nel giudizio avverso gli 
atti di riassegnazione delle frequenze e comunque appare coerente con il disegno del 
legislatore diretto al passaggio via cavo o via satellite dei programmi in criptato); 

e) non � rilevante anche la questione della mancata previsione di una deroga 
dell'obbligo di copertura per le emittenti che trasmettono in criptato, tenuto conto 
che il punto attiene non alla disattivazione degli impianti eserciti dalla rete da dismettere, 
ma alla mancanza della deroga per le due reti residue; 

d) non � rilevante la questione della prevista condizione per la prosecuzione del1'
esercizio della rete terrestre della contemporanea trasmissione via cavo o via satellite, 
perch� anche in questo caso riguarda le reti residue, e non quella da dismettere; 

e) non rileva ed esula completamente dall'oggetto della controversia l'ulteriore 
questione dell'attribuzione all'Autorit� garante del potere di stabilire il termine 
entro cui i programmi in criptato dovranno essere trasmessi esclusivamente via cavo 

o via satellite; 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO StAt�

242 

j) per le ragioni sopra esposte al punto a) � non rilevante, oltre che infondata, 
la questione di costituzionalit� dell'art. 3, comma 11, della legge n. 249/97 in relazione 
agli artt. 3 e 41 della Costituzione ed al principio dell'affidamento. 

10. -In conclusione, assorbito l'ultimo motivo proposto dalle appellanti in 
relazione all'illegittimit� derivata dei singoli provvedimenti di disattivazione, gli 
appelli riuniti devono essere accolti e, in riforma della sentenza impugnata, devono 
essere respinti i ricorsi proposti in primo grado. (omissis) 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 dicembre 1999 n. 14673 -Pres. Grieco-Rel. 
Fioretti -P.G. (diff.) Cafiero -D. e altri c. Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Laporta). 

Tributi erariali diretti -Irpef -Redditi diversi -Plusvalenze da esproprio Percepite 
dopo il 31 dicembre 1991 in virt� di atti o provvedimenti anteriori 
al 31dicembre1988 -Imponibilit�-Esclusione. 
(legge 31dicembre1991n.413, art. Il commi 1, 5, 6 e 9). 

Le plusvalenze realizzate per effetto di procedimenti espropriativi, in base ad 
atti ablatori anteriori al 31 dicembre 1988, se percepite dopo il 31 dicembre 1991, 
non sono imponibili (1 ). 

(omissis) 
MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione del 
comma 9 dell'art. 11 legge 413/91 con riferimento ai commi 5, 6 e 7 stesso articolo, 
assumendo che le somme percepite in qualunque momento sulla base di atti volontari 
o di provvedimenti emessi prima del 31 dicembre 1988 in nessun caso possono 

(1) La Corte rileva, da una parte, che in base al TUIR (art. 82) i redditi diversi sono imponibili 
in quanto percepiti nel periodo d'imposta (principio di cassa), dall'altra, che la nuova impo-� 
sizione delle plusvalenze da esproprio, pur confermando, al comma 5, tale principio, in dissenso 
dalla precedente decisione 12882/98, prevede una specifica disciplina transitoria, che, pur dando 
alla nuova imposta -assolta mediante ritenuta d'imposta del 20 per cento -una limitata retroattivit� 
(ne sono escluse le indennit� percepite in base ad atti anteriori al 31 dicembre 1988 e riscosse 
nel triennio 31 dicembre 1988 -31 dicembre 1991) il presupposto impositivo non sarebbe dato 
dalla riscossione della somma, ma dal decreto di esproprio (o dall'atto equipollente) che determina 
l'incremento di valore del bene ablato. La percezione non sarebbe che un elemento che 
completa la fattispecie impositiva. L'eccezionale rilevanza del titolo al credito deriverebbe dal 
collegamento tra tale atto e il triennio di retroattivit�, il che confermerebbe la idoneit� di tali atti 
a esprimere una attuale espressione di capacit� contributiva incidibile. La motivazione non � condivisibile 
ed � invero contraddittoria, sol che si ponga in evidenza come, se la fattispecie impositiva 
non � completata dalla percezione dell'indennit�, essa non sussiste. 
La conclusione cui perviene la sentenza di cui sopra � stata ribaltata dalla pi� recente e corretta 
giurisprudenza della Cassazione, Sez. tributaria, ormai consolidata (v. sentenza n. 1214/ 
2000; 1315/2000; 2543/2000 e 14451/2000, quest'ultima pubblicata alla successiva pag. 329). 

R.d.F. 

"" 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

244 

essere soggette alla ritenuta di cui ai commi 5, 6 e 7 del citato art. 11, ci� perch� il 
legislatore, nel successivo comma 9, assume come presupposto e, quindi, come 
momento impositivo quello della emissione dell'atto ablatorio o della stipula dell'atto 
volontario e non quello della erogazione delle somme dovute per l'espropriazione. 

Nel caso in esame l'atto ablatorio, che costituisce il cosiddetto presupposto 
impositivo, risalirebbe al 1981 e cio� ad un epoca anteriore di ben 11 anni rispetto 
all'entrata in vigore della legge e 8 anni rispetto all'inizio del periodo per il quale la 
legge in via del tutto eccezionale ha sancito la retroattivit�. 

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano il contrasto della decisione impugnata 
con altra decisione della stessa Commissione Tributaria in identica materia, che 
con sentenza n. 421/2/95, pronunciata il 10 ottobre 1995, avrebbe accolto il ricorso 
proposto dagli eredi di O.W., aderendo alla tesi sostenuta dagli attuali ricorrenti. 

Chiedono, infine, i ricorrenti, in via subordinata, di rimettere gli atti alla Corte 
Costituzionale, ritenendo censurabile il comma 9 dell'art. 11 della legge 413/91 
nella ipotesi in cui venga interpretato nel senso che le indennit� di esproprio, corrisposte 
e percepite successivamente all'l gennaio 1989, anche se scaturenti da provvedimenti 
ablativi od atti volontari emessi o stipulati in data anteriore al 31 dicembre 
1988, siano assoggettabili alla ritenuta alla fonte di cui all'art. 11 della legge 

n. 413/91. 
Il ricorso � fondato per quanto di ragione. 
L'art. 11, comma 1, lett. f) della legge 31 dicembre 1991, n. 413, modificando 
l'art. 81, comma 1, lett. b) del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (T.U. delle imposte 
sui redditi ), ha incluso tra i redditi diversi �le plusvalenze realizzate a seguito di 
cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo 
gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione�. 

L'art. 11 cit., stabilisce, al quinto comma, che le disposizioni di cui all'art. 81, 
comma 1, lett. b ), ultima parte, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato 
con d.P.R 22 dicembre 1986, n. 917, introdotta dal su riportato comma 1, lettera f), 
si applicano anche alle plusvalenze conseguenti alla percezione, da parte di soggetti 
che non esercitano imprese commerciali, di indennit� di esproprio o di somme 
percepite a seguito di cessioni volontarie nel corso di procedimenti espropriativi 
nonch� di somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente 
ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente a terreni destinati ad 
opere pubbliche o ad infrastrutture urbane all'interno delle zone omogenee di tipo 
A, B, C, D di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, definite dagli strumenti urbanistici 
ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica ed economica e popolare 
di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni. 

Il comma 6 dell'art. 11 estende il regime impositivo dei redditi diversi anche 
alle indennit� di occupazione ed agli interessi comunque dovuti sulle somme di cui 
al comma 5. 

Il successivo comma 7 definisce le modalit� impositive dei redditi in questione. 

Infine, il comma 9, stabilisce che le disposizioni di cui ai commi 5, 6 e 7 si 
applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti anche volontari o provvedimenti 
emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in 
vigore della legge, se l'incremento di valore non � stato assoggettato all'imposta 
comunale sull'incremento di valore degli immobili. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

245 

Com'� agevole constatare dal su riferito quadro normativo, il legislatore ha 
incluso tutte le nuove fattispecie impositive, introdotte con i commi 1, 5 e 6 dell'art. 
11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, nella categoria reddituale dei �redditi 
diversi�, di cui all'art. 81 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U. delle imposte 
sui redditi). 

I �redditi diversi�, come si evince dal primo comma dell'art. 82 del citato 
d.P.R., ed in particolare dall'espressione �corrispettivi percepiti nel periodo di 
imposta�, vengono tassati in base al principio di cassa, il che significa che l'obbligazione 
tributaria sorge non nel momento della loro maturazione (principio di competenza), 
ma in quello della loro percezione. 

La tassabilit� in base a detto principio � ribadita anche dal comma 5 dell'art. 11 
della legge n. 413/91 su riportato, che fa riferimento al momento della �percezione
�, e dal successivo comma 7, che impone all'ente erogante di operare una ritenuta 
a titolo di imposta nella misura del 20 per cento �all'atto della corresponsione 
delle somme� dovute. 

Questa corte, valorizzando esclusivamente detto momento, ha affermato il principio 
secondo cui la plusvalenza conseguita a seguito di risarcimento del danno da 
accessione invertita, corrisposto in epoca successiva all'entrata in vigore della legge 
31 dicembre 1991 n. 413, � soggetta all'imposizione prevista dall'art. 11, commi 
quinto, sesto e settimo, della citata legge, ancorch� il trasferimento del bene in virt� 
dell'occupazione acquisitiva sia avvenuto in epoca precedente al 31 dicembre 1988, 
essendo indifferente, ai fini della imposizione, la data della cessione volontaria o 
della emissione dei provvedimenti espropriativi o che accertino la accessione invertita, 
rilevando soltanto il momento della riscossione, che costituisce il presupposto 
impositivo (cfr. cass. n. 12882/98). 

Questo collegio ritiene di non poter condividere tale orientamento giurisprudenziale. 


Il comma 9 dell'art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, su riportato, prevede 
l'applicazione retroattiva delle disposizioni dei precedenti commi, 5, 6 e 7, statuendo 
che dette disposizioni si applicano anche alle somme percepite in conseguenza 
di atti anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 
dicembre 1988 e fino alla data di entrata in vigore della legge. 

Da tale disposizione si evince che non � sufficiente, perch� i redditi in questione 
possano essere assoggettati a tassazione, che le relative somme siano state 
percepite nel periodo compreso tra il 31 dicembre 1988 e la data di entrata in 
vigore della legge n. 413/91, ma � necessario che siano state percepite �in conseguenza 
di atti anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 
dicembre 1988�. 

Data la sua genericit�, appare necessario chiarire a cosa abbia inteso riferirsi il 
legislatore con l'espressione �atti anche volontari o provvedimenti�. 

A parte le indennit� di occupazione e gli interessi di cui al comma 6, le altre 
fattispecie, che qui interessano, previste dal comma 5 della legge 30 dicembre 
1991, n. 413, sono costituite da plusvalenze, da intendere come incremento del 
valore di scambio di un bene fra il momento in cui esso entra nel patrimonio di un 
soggetto e quello in cui ne esce (vedi in tal senso sentenza n. 315 del 1994 della 
Corte Costituzionale). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

246 

La plusvalenza presente nel patrimonio di un soggetto (cio� il suindicato incremento 
di valore) non � assoggettabile a tassazione fino a quando non viene realiz


I zata. L'art. 81, comma 1, lett. b) del d.P.R. n. 917/86, nel cui ambito di applicazione 
rientrano anche le ipotesi previste dal comma 5 dell'art. 11 della legge n. 413/91, 

I 

stabilisce, infatti, che costituiscono redditi diversi le plusvalenze �realizzate fil 
mediante cessioni a titolo oneroso�. Da tale disposizione si ricava altres� che la realizzazione 
della plusvalenza richiede un atto di trasferimento della propriet� a titolo 
oneroso, in altre parole la realizzazione della plusvalenza � �conseguenza� di detto 
�trasferimento�. Senza trasferimento non si ha realizzazione della plusvalenza e, 

I

quindi, non esiste reddito tassabile. 

L'art. 11, comma 5, della legge n 413/91 prevede tre ipotesi: a) la ipotesi in cui 
il trasferimento della propriet� avviene attraverso la emanazione di un decreto di 
espropriazione ed in tal caso �la realizzazione� della plusvalenza � �conseguenza� 
della emanazione di detto decreto; b) la ipotesi in cui il trasferimento della propriet� 
avviene a seguito di cessione volontaria nel corso del procedimento espropriativo 
ed in tal caso �la realizzazione� della plusvalenza �consegue� alla stipulazione dell'atto 
di cessione; c) la ipotesi in cui �il trasferimento� della propriet� (pi� propria


mente l'estinzione del diritto di propriet� del privato e l'acquisto dello stesso diritto 
in capo all'ente al quale appartiene l'opera pubblica, che ha determinato la 
radicale ed irreversibile trasformazione del fondo del privato) si verifica per effetto 
�di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime
� ed in tal caso la �realizzazione� della plusvalenza � �conseguenza� della �ccupazione 
acquisitiva. 

Alla luce delle considerazioni che precedono, la espressione �le disposizioni di 
cui ai commi 5, 6 e 7 si applicano anche alle somme percepite in conseguenza di atti 
anche volontari o provvedimenti emessi successivamente al 31 dicembre 1988�, di 
cui al comma 9 dell'art. 11 della legge 413/91, deve essere intesa nel senso che le 
disposizioni dei commi suindicati si applicano anche alle somme percepite, vale a 
dire alle plusvalenze realizzate, �in conseguenza� di decreti di espropriazione, cessioni 
volontarie avvenute nel corso del procedimento espropriativo, occupazioni 
acquisitive, intervenuti successivamente al 31 dicembre 1988, essendo questi gli atti 
che segnano il momento in cui il bene esce dal patrimonio di un soggetto e, quindi, 
gli atti cui �consegue�, vale a dire, che costituiscono �causa� della realizzazione 
della plusvalenza e, che, pertanto, devono essere presi in considerazione al fine di 
stabilire il limite di retroattivit� della norma. 

Appare opportuno osservare, incidentalmente, che nella generica espressione 
�atti anche volontari� pu� farsi rientrare anche l'occupazione acquisitiva, fondandosi 
questa su un �atto�, anche se illecito, della Pubblica Amministrazione. 

La bont� della su esposta interpretazione del comma 9 dell'art. 11 trova ulteriore 
conferma nel fatto che, nella ipotesi in cui, in diverse procedure espropriative, 
i decreti di esproprio siano stati pronunciati nella medesima data oppure vi siano 
occupazioni acquisitive verificatesi nello stesso momento, consente di escludere che 
le plusvalenze realizzate siano o meno assoggettate ad imposizione in dipendenza 
della maggiore o minore durata della procedura di liquidazione della indennit� di 
espropriazione o del risarcimento del danno a causa delle pi� varie vicende -tra le 
quali la maggiore o minore sollecitudine della Pubblica Amministrazione nel com



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

247 

pimento degli adempimenti dovuti o dell'autorit� giudiziaria chiamata a risolvere le 
relative contestazioni -, quindi, di escludere una situazione di irragionevolezza 
della disciplina legislativa, che, come giustamente osservato da autorevole dottrina, 
porrebbe la norma in aperto contrasto con l'art. 3 della Costituzione. 

Alla luce di quanto precede, non appare condivisibile il principio, affermato da 
questa corte con la sentenza n. 6620 del 1997, secondo il quale non rileva, ai fini 
del prelievo fiscale retroattivo, previsto dall'art. 11, comma 9, della legge 30 
dicembre 1991, il momento in cui si � verificata l'occupazione acquisitiva, rilevando 
che cadano nel triennio, compreso tra il 31 dicembre 1988 e la data di entrata 
in vigore della citata legge, sia la sentenza che ha liquidato la somma dovuta per 
il risarcimento del danno sia la percezione di tale somma, quale espressione di 
capacit� contributiva. 

Detta sentenza, infatti, non costituisce certamente l'atto mediante il quale viene 
realizzata la plusvalenza-che, come su dimostrato, � l'atto in virt� del quale l'immobile, 
che ha avuto un incremento di valore dal momento del suo acquisto, esce 
dal patrimonio del proprietario -e lega la imposizione della plusvalenza alle vicende 
liquidatori e dei risarcimento del danno (o della indennit� di esproprio), ponendo 
cos� la disposizione in parola in aperto contrasto con il principio di ragionevolezza 
sancito dall'art. 3 della Costituzione. 

A questo punto devesi osservare che la data del decreto d'esproprio, quella dell'atto 
di cessione volontaria, quella in cui devesi ritenere verificata la occupazione 
acquisitiva non costituiscono soltanto il momento al quale occorre fare riferimento 
per determinare la portata retroattiva del comma 9 dell'art. 11 della legge n. 413/91, 
che contempla la ipotesi in cui la percezione delle somme, che rilevano come plusvalenza 
realizzata, sia avvenuta prima dell'entrata in vigore della legge, ma segna 
anche l'ambito di applicazione dei commi 5, 6 e 7 dell'art. 11 anzi citato, nella ipotesi 
in cui la percezione delle somme, costituenti plusvalenza, sia avvenuta dopo 
l'entrata in vigore della legge. 

La legge, come gi� detto, considera tra i redditi diversi non la mera riscossione 
di una somma di danaro, ma la plusvalenza realizzata, fattispecie che richiede, 
perch� venga ad esistenza, il concorso dei seguenti elementi: 1) un incremento del 
valore di scambio di un bene fra il momento in cui entra nel patrimonio di un soggetto 
e quello in cui ne esce (incremento di valore in cui si sostanzia la plusvalenza); 
2) un atto di cessione del bene a titolo oneroso; 3) il pagamento di un corrispettivo 
superiore al prezzo di acquisto ( che fa emergere la plusvalenza e ne 
costituisce realizzazione). 

La riscossione del corrispettivo (o meglio della somma di danaro corrispondente 
all'incremento di valore) non costituisce, pertanto, �il presupposto impositivo�, 
come sembrerebbe opinare la sentenza n. 12882/98, ma soltanto l'elemento che 
completa la fattispecie impositiva; infatti, una determinata somma di danaro pu� 
qualificarsi realizzazione di una plusvalenza soltanto nel collegamento con gli altri 
elementi sopra indicati. 

Data la struttura della fattispecie impositiva, costituita dalla plusvalenza realizzata, 
� evidente che la riscossione costituisce attuazione di un diritto che, nelle fattispecie 
in esame, normalmente sorge con l'atto di esproprio o di cessione volontaria 
o con il verificarsi della occupazione acquisitiva; pertanto la legge che preveda 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

248 

nuove fattispecie impositive, come avvenuto con l'art. 11 della legge n. 413/91, ed 
entri in vigore dopo che sono intervenuti i fatti dai quali scaturisce il diritto di credito 
(diritto all'indennit� di esproprio o diritto al risarcimento del danno), ma prima 
che tale diritto abbia avuto attuazione con la riscossione del credito, in realt� viene 
a colpire, con effetto retroattivo, un diritto gi� entrato in precedenza nel patrimonio 
di un determinato soggetto. 

Tale conclusione trova conferma nella formulazione del comma 9 dell'art. 11 
della legge n. 413/91, e precisamente nel fatto che il legislatore non si � limitato 
ad ancorare la retroattivit� della norma alla sola percezione delle somme, qualificabili 
come plusvalenza, successivamente al 31 dicembre 1988 e prima della 
entrata in vigore della legge, ma anche all'ulteriore fatto che successivamente al 
31 dicembre 1988 fossero intervenuti il decreto di esproprio o la cessione volontaria 
dell'immobile nel corso del procedimento espropriativo o la occupazione 
acquisitiva, cos� riconoscendo la idoneit� di tali fatti ad incidere sulla portata 
retroattiva della legge. 

Atteso quanto precede, si impone la conclusione della imponibilit� delle plusvalenze 
di cui al comma 5 dell'art. 11 della legge n. 413 del 1991, percepite dopo 
il 1 � gennaio 1991, cio� dopo l'entrata in vigore della legge, soltanto se gli atti 
(decreto di esproprio, cessione volontaria dell'immobile nel corso del procedimento 
espropriativo, occupazione acquisitiva), mediante i quali viene realizzata la plusvalenza, 
sono intervenuti in epoca successiva al 31 dicembre 1988. 

Nel caso che ne occupa, la percezione delle somme, qualificabili come plusvalenza, 
� avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge su citata, mentre i decreti di 
esproprio degli immobili di propriet� dei ricorrenti sono stati emessi prima del 31 
dicembre 1988. 

Pertanto, deve essere esclusa la imponibilit� della plusvalenza in questione, 
atteso che il suo riconoscimento attribuirebbe alla norma (comma 5 dell'art. 11 su 
citato) una portata retroattiva superiore a quella prevista dal legislatore. 

Per quanto precede il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, non 
avendo alcuna rilevanza il denunciato contrasto della decisione impugnata con altra 
decisione della stessa commissione tributaria, emessa in identica materia, ma nei 
confronti di soggetti diversi. Conseguentemente la sentenza impugnata deve essere 
cassata. (omissis) 

CORTE di CASSAZIONE, Sez. I, 5 gennaio 2000 n. 64 -Pres. Sensale -Rei. Di 
Palma -P. G. ( conf.) Sepe -Ministero delle Finanze ( avv. Stato De Giovanni) c. 

S. e altra. 
Tributi erariali indiretti -Registro -Accertamento -Immobili non attributari 
di rendita catastale -Richiesta di valutazione automatica -Differenza tra 
il valore risultante dalla valutazione, dopo l'attribuzione di rendita, e quello 
dichiarato -Imposizione -Liquidazione -Definizione della lite ex art. 2 
quinquies d.l. 564/94 -Esclusione. 

(d.l. 30 settembre 1994 n. 564 conv. in legge 30 novembre 1994 n. 656, art. 2 quinquies). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

249 

La controversia avente a oggetto l'avviso di liquidazione per il recupero della 
differenza d'imposta tra quella calcolata sul valore dichiarato e quella risultante 
dalla successiva valutazione automatica dell'immobile trasferito, sulla base della 
rendita attribuita dall'UTE, non � definibile ai sensi dell'art. 2 quinquies d.l. 
564194, trattandosi di lite su mero calcolo dell'imposta sulla base di dati forniti dal 
contribuente e non su valutazioni ulteriori dell'Ufficio (1). 

(omissis) 

Considerato in diritto 

-che, con l'unico motivo (con cui deduce �violazione e mancata applicazione 
dell'art. 2-quinquies della legge 30 novembre 1994 n. 656-conv. d.l. 30/09/94 

n. 564 -; violazione del d.P.R. 26/4/86 n. 131), il ricorrente sostiene che -siccome, 
alla specie, si applica il combinato disposto degli artt. 52 comma 4 del d.P.R. 
n. 131 del 1986 e 12 del d.l. n. 70 del 1988, conv., con mod., nella legge n: 154 del 
1988: valutazione automatica in base a reddito catastale, su richiesta delle parti essendo 
preclusa ogni attivit� di accertamento dell'ufficio e, quindi, ogni possibilit� 
di controversia -sarebbe inapplicabile la definizione agevolata prevista dal 
condono del 1994; aggiunge, poi, che eventuali somme gi� versate dai resistenti 
non sarebbero rimborsabili, secondo quanto disposto dal predetto art. 2-quinquies 
comma6; 
-che il ricorso merita accoglimento, tenuto conto delle argomentazioni svolte 
da questa Corte, ed integralmente condivise dal Collegio, nella sent. n. 6611 del 1999; 

-che il citato art. 2-quinquies del d.l. 30 settembre 1994 n. 564 (Disposizioni 
urgenti in materia fiscale), introdotto dalla legge di conversione, con modificazioni, 
30 novembre 1994 n. 656, relativamente alle liti pendenti su atti impositivi che non 
riguardino esclusivamente l'irrogazione di sanzioni, accorda al contribuente la possibilit� 
di determinarne l'estinzione mediante pagamento di una somma correlata al 
valore della lite medesima, identificando tale valore con la maggior somma reclamata 
o reclamabile dall'ufficio (commi 1, 2 e 4); 

-che tali norme, alla luce del collegamento logico delle relative disposizioni, 
degli adempimenti stabiliti per la definizione e della ratio propria di ogni disciplina 
di condono tributario (riduzione del contenzioso a fronte di incassi immediati dell'Erario, 
anche se eventualmente inferiori a quelli conseguibili in esito alle decisioni 
delle cause), sono riferibili soltanto alle liti pendenti su pretese creditorie dell 'Amministrazione 
finanziaria, ulteriori rispetto a quelle desumibili dagli elementi offerti 
dal contribuente, e, dunque, non sono invocabili per le controversie che hanno ad 
oggetto esclusivamente la correttezza di atti liquidatori, esaurendosi in un controllo 
sui criteri di fissazione del quantum dell'obbligazione tributaria secondo gli stessi 
dati fomiti dal debitore d'imposta al fine della determinazione della base imponibile; 

-che la concreta fattispecie � integrabile nella seconda delle cennate ipotesi, 
in quanto attiene alla liquidazione dell'in.v.im. in conformit� dell'opzione -vin


(1) Decisione di indubbia esattezza che corrisponde ad un orientamento ormai consolidato 
nella giurisprudenza della Cassazione, Sez. tributaria. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

250 

colante -effettuata dai contribuenti, ai sensi dell'art. 12 d.l. n. 70 del 1988, conv., 
con mod., nella legge n. 154 del 1988, per ancorare l'imponibile al valore derivante 
dalla rendita assegnata all'immobile in sede di accatastamento, e, quindi, non � 
rivolta a rimettere in discussione richieste avanzate dall'Ufficio in via di revisione 
del valore dichiarato, ma soltanto a contestare le modalit� e le regole applicate per 
il computo del tributo dovuto rispetto ad una base di tassazione pacifica; 

-che, pertanto, in adesione alle osservazioni svolte dal ricorrente, deve rilevarsi 
la carenza dei presupposti per l'estinzione dei giudizio a quo, annullarsi la 
pronuncia che tale estinzione ha confermato e disporsi il rinvio della causa, per l'esame 
nel merito delle questioni sollevate, ad altra Sezione della medesima Commissione 
tributaria regionale, la quale provveder� anche a regolare le spese del 
presente grado di giudizio. (omissis) 

CORTE di CASSAZIONE, Sez. I, 25 gennaio 2000 n. 81 O -Pres. Sgroi -Rei. Forte 
-P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze c. Soc. A.T.T.T. 

Convenzioni internazionali -Italia -USA -Royalties a soggetti statunitensi Esenzione 
-ILOR -Inapplicabilit�. 

(d.P.R. 30 dicembre 1980 n 897, art. 31; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 19; d.P.R. 29 
settembre 1973 n. 599, art. 1; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 25, u.c.; Convenzione 30 
marzo 1955 ratificata con legge 19 luglio 1956 n. 943; scambio di note del 13 dicembre 1974 
ratificato con legge 6 aprile 1977 n. 233). 
Nel regime di cui alla Convenzione Italia-Usa del febbraio 1955, sono esenti 
dalle imposte sul reddito le royalties percepite da soggetti statunitensi, dopo l'entrata 
in vigore dell'art. 43 d.P.R. 897180, che ha reso imponibile con ritenuta d'imposta 
tale fonte di reddito prima esclusa dalle stesse, solo per l'IRPEG e l'IRPEF, 
sole imposte richiamate dallo scambio di note del 13 dicembre 19 74; di conseguenza, 
le royalties, non imponibili con ritenuta IRPEG, sono imponibili con l'ordinaria 
aliquota ILOR (1 ). 

(omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Nel 1987, la societ� statunitense A.T.T.T. impugnava dinanzi alla Commissione 
tributaria di 1 � grado di Milano il rigetto dalla locale Intendenza di Finanza delle 
sue istanze del 1986 di rimborso dell'Ilor versata per il 1985 su imponibili costituiti 
da compensi per uso di brevetti (royalties) coni.spostile in quell'anno da imprese 
in Italia. In parziale accoglimento del ricorso, la Commissione rideterminava al 10% 
l'aliquota dell'Ilor dovuta e ordinava il rimborso della differenza tra detta aliquota 
e quella del 16,2 pagata, in quanto la nuova convenzione tra Italia e Stati Uniti sulle 
doppie imposizioni, riguardava la sola conclusione del periodo d'imposta cui si rife


(1) Vedi il commento alla sentenza 14253/00, pubblicata alla successiva pag. 304. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

riva l'Ilor. Su gravame d'ambedue le parti la Commissione regionale per la Lombardia, 
con la sentenza di cui, in epigrafe, riformava la decisione, disponendo il rimborso 
richiesto dalla ricorrente, che aveva sostenuto con l'appello che l'art. 31 del 

d.P.R. 28 novembre 1980 n. 897 aveva assoggettato a ritenuta d'imposta le royalties, 
escludendo ogni altro tributo compresa l'Ilor; poich� l'art. 25 del d.P.R. 660/73, 
modificato dall'art. 43 d.P.R. 897 /80, dal 1� gennaio 1982, assoggetta i compensi da 
royalties a ritenuta d'imposta del 30% sul 70% del loro ammontare e implicitamente 
escludeva ogni altra imposta mentre in precedenza il divieto di altre imposizioni 
riguardava le sole imposte erariali e non l 'Ilor, doveva ritenersi che il nuovo testo 
normativo assoggettasse le royalties alla sola ritenuta indicata con esenzione dall'Ilor 
per effetto dell'art. 1 d.P.R. 599/73. La legge 11 dicembre 1985 n. 763 di ratifica 
della convenzione Italia-U.S.A. del 17 aprile 1984, in vigore dal 30 dicembre 
1985, sanciva all'art. 28 che, per le imposte diverse da quelle prelevate alla fonte, 
l'accordo aveva effetto dal periodo d'imposta iniziato il 1� gennaio di quell'anno o 
successivamente, e quindi, per l'Ilor di cui alla richiesta di rimborso, era da evitare 
la doppia imposizione. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il Ministero 
delle Finanze per due motivi e la societ� non si difende. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. -Il primo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 1, 
co. 2, lett. c), d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, in relazione all'art. 25, ultimo co. 
d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, modificato ex art. 43 d.P.R. 30 dicembre 1980 
n. 897, e all'art. 8 della convenzione Italia-USA del febbraio 1955, resa esecutiva con 
legge 9 luglio 1966 n. 943 e allo scambio di note diplomatiche tra i due paesi del 13 
dicembre 1974, approvato con legge 9 aprile 1977 n. 233, in relazione all'art. 360, 1� 
co. n. 3 c.p.c. e all'art. 62, 1� co., d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546. Per le royalties 
percepite da societ� degli Stati Uniti prima del vigore della legge 11 dicembre 1985 
n. 763, di ratifica della convenzione Italia-USA del 17 aprile 1984, la Cassazione ha 
sempre affermato che esse �percepite in Italia, nel vigore della disciplina transitoria 
di cui allo scambio di note tra i due stati del 13 dicembre 1974, approvato con legge 
6 aprile 1977 n. 233, si sottraggono all'Irpef e all'Irpeg e non all'Ilor che � dovuta, 
perch� l'art.1 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, escludendone la debenza per i redditi 
assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, si riferisce ai soli proventi che 
effettivamente subiscono tale ritenuta, non a quelli che, pur essendo ad essa astrattamente 
esposti, godono in concreto d'esenzione� (in ricorso si citano le Cass.n.ri 
8320/97, 1872/95, 3637/93). In base alla convenzione Italia-Usa del 30 marzo 1955 
ratificata con legge 943/66 il regime per evitare la doppia imposizione si fondava sul 
criterio della �residenza del percepiente� e non su quello del �luogo della fonte del 
reddito�, con esenzione per le imprese degli U.S.A. da ogni imposta statale allora 
vigente (art. 8 conv. del 1955) e non da quelle locali: con la riforma del sistema tributario 
italiano vi fu un accordo per continuare ad applicare la convenzione del 1955, 
con riferimento all'Irpef e all'Irpeg e senza accenno all'Ilor per la quale, nel regime 
transitorio, non v'era esenzione, non potendo qualificarsi imposta statale. Le modifiche 
apportate dagli artt. 31 e 43 del d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, applicabili ai 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�.

252 

redditi prodotti dal 1�gennaio 1982, comportavano che nel 1985 erano soggette a 
tributi statali e a ritenute le royalties percepite da imprese estere per l'art. 19, 1� co. 

n. 9 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 per l'Irpef, richiamato dall'art. 22, 2� co. d.P.R. 
29 settembre 1973 n. 598 per l'Irpeg, con ritenuta del 30% sul 70% dei redditi (art. 
25, 3� co. d.P.R. 600/73, che richiama i compensi dell'art. 19 n. 9 d.P.R. 597/73, 
modificato dal d.P.R. 897/80); tali redditi, per l'art. 1, 2� comma, lett. c), d.P.R. 
599/73, erano esenti dall'Ilor, perch� assoggettati a ritenuta. Dato che nel 1985 il 
regime speciale convenzionale transitorio per le societ� statunitensi che percepivano 
royalties in Italia non era ancora quello della ritenuta alla fonte ma l'altro di esenzione 
da Irpeg e Irpef, di cui al richiamato art. 8 della convenzione del 1955, per lo 
stesso art. 1 del d.P.R. 599/73, l'imponibile esente poteva essere soggetto ad Ilor, a 
differenza di quello assoggettato a ritenuta d'imposta; � irrilevante per il Ministero 
l'astratta assoggettabilit� del reddito a ritenuta alla fonte se questa non si � avuta in 
concreto, avvenendo l'imposizione negli Stati Uniti. 

2. -Il primo motivo � fondato perch� l'art. 28 della convenzione del 1984 testualmente 
afferma: �l. La presente convenzione sar� ratificata secondo le relative procedure 
di ciascuno stato contraente e gli strumenti di ratifica verranno scambiati a Washington 
non appena possibile. 2. La convenzione entrer� in vigore alla data dello 
scambio degli strumenti di ratifica e le sue disposizioni si applicheranno: a) con riferimento 
alle imposte prelevate alla fonte, alle somme pagate o accreditate il, o successivamente 
al, primo giorno del secondo mese successivo alla data in cui la presente 
convenzione entra in vigore; b) con riferimento alle altre imposte ai periodi 
d'imposta che incominciano il, o successivamente al, 1� gennaio dell'anno in cui la 
presente convenzione entra in vigore. 3 .... La convenzione per evitare le doppie imposizioni 
e per prevenire le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito firmata a 
Washington il 30 marzo 1955 e lo scambio di lettere concernente I 'applicazione di 
detta convenzione effettuato a Roma il 13 dicembre 1974 sono abrogati. Le loro disposizioni 
cesseranno d'avere effetto con riferimento alle imposte alle quali s'applicheranno 
le disposizioni della presente convenzione in conformit� al paragrafo 2�. La 
norma esclude ogni effetto della nuova convenzione fino allo scambio degli strumenti 
di ratifica da avvenire �appena possibile� a Washington e cio� non prima della 
vigenza della legge italiana di ratifica dell'll dicembre 1985 n. 763, che per l'art. 3, 
decorre dal giorno successivo alla pubblicazione nella G.U del 28 dicembre 1985, 
data d'entrata in vigore della legge di ratifica, dopo la quale pu� concepirsi lo scambio 
di strumenti di ratifica, con l'efficacia della convenzione che quindi deve ritenersi 
sia iniziata solo nel 1986, in quanto prima di tale anno, sia per la lettera A che per 
la lettera B del n. 2 dell'art. 28 cit., la convenzione del 1984 non era vigente. Per l'anno 
1985, cui si riferisce questo giudizio, quindi, i compensi per royalties erano sog-@ 
getti alla disciplina di cui allo scambio di note del 1974 e l'Ilor non era dovuta solo se i:: 
fosse stata in concreto effettuata la ritenuta alla fonte delle imposte di cui all'art. 25 !~ 

d.P.R. 600/73 per i compensi dell'art. 19 n. 9 del d.P.R. 579/73 (Irpef) richiamato dal-;:= 
l'art. 22 del d.P.R. 598/73 per l'Irpeg. Deve quindi accogliersi il primo motivo di ricor-1:� 
so, essendo stata violata dalla Commissione la convenzione del 1955 citata ancora ili 
vigente nel 1985, anno nel quale l'Ilor era dovuta per i compensi da sfruttamento di ~ 
brevetti o licenze che le societ� italiane corrispondevano a quelle degli Stati Uniti d'A-~: 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

merica, che non erano assoggettati alla ritenuta alla fonte prevista per altre societ� 
estere che ricevevano redditi dello stesso tipo, per cui era da escludere ogni esenzione 
Ilor ex art. 1 d.P.R. 599/ 73, concernendo questa i soli redditi �assoggettati� in concreto 
a ritenuta e non quelli che alla stessa erano solo astrattamente soggetti in quanto 
tassati nello Stato del percipiente. Esclusa l'esistenza di qualsiasi ritenuta alla fonte 
sia nel regime della convenzione Italia-USA del 1955 che in quello successivo dello 
scambio di note diplomatiche di cui alla legge 9 aprile 1977 n. 233, i compensi per 
sfruttamento di licenze o brevetti di imprese U.S.A. erano esenti da Irpeg e Irpef e non 
assoggettati a ritenuta alla fonte nel 1985, e l'Ilor, costituente tributo locale e non erariale, 
doveva pagarsi, perch� non c'era l'esenzione dell'art. 1 d.P.R. 599/73 relativa ai 
soli imponibili assoggettati a ritenuta d'imposta erariale alla fonte. 

3. -Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione 
dell'art. 1, co. 2�, lett. c), d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, modificato dall'art. 43, 
d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897 e dalla legge 11dicembre1925 n. 763, di ratifica della 
convenzione Italia-U.S.A. 17 aprile 1984, in rapporto agli artt. 360 n. 3 c.p.c. e 62, 1� 
co., D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 546, sostenendosi erroneamente nella sentenza impugnata 
che l'Ilor a decorrere dal 1985, sarebbe stata regolata dall'accordo Italia-USA 
del 1984, esecutivo con legge 763/85, in vigore dal dicembre 1985; in effetti l'art. 28 
della nuova convenzione farebbe retroagire la sua efficacia al l 0 gennaio 1985, per le 
imposte che non siano prelevate alla fonte (come l'Ilor), prelievo invece consentito a 
decorrere dal 1� febbraio 1986, con esenzione conseguente dall'Ilor dall'inizio del 
1986 per l'art. 1, co. 2 lett. c), d.P.R. 599/72. La convenzione nuova consente l'esenzione 
Ilor delle royalties soggette a ritenuta alla fonte e, poich� l'assoggettamento � 
previsto dal 1� febbraio 1986, solo da tale data l'esenzione � da ritenersi operante. Il 
secondo motivo di ricorso ripete quanto dedotto nel primo, perch� la sentenza ha falsamente 
applicato la convenzione del 1984, inefficace nel 1985, dovendosi escludere 
l'applicabilit� in Italia di essa prima del 1986, per le ragioni esposte. 
4. -La sentenza della Commissione Tributaria regionale va quindi cassata e 
non essendo necessari altri accertamenti di fatto, ex art. 384 c.p.c., va rigettata la 
richiesta di rimborso dell'Ilor versata nel 1985 sui redditi da royalties percepiti dalla 
societ� intimata. Equa � la totale compensazione delle spese di causa, per le difficolt� 
interpretative derivanti dalla successione delle convenzioni internazionali nel 
tempo in rapporto all'anno 1985. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 28 gennaio 2000 n. 993 -Pres. Cantillo 
-Rei. Marziale -P.G. (conf.) Nardi -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Cenerini) c. P.C. e altro. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Attivo -Diritto alla liquidazione 
della quota di una societ� semplice di cui era socio il defunto Rettificabilit� 
-Esclusione. 

(e.e. artt. 2284, 2289; d.P.R. 637/72, artt. 20, 21, 22; d.lgs. 31ottobre1990 n. 346, artt. 16 
e 18 D). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

254 

Nel vigore del d.P.R .. 637172 non erano soggetti a rettifica di valore, ai fini 
della liquidazione della imposta di successione, i diritti di credito, tra i quali rientra 
il diritto degli eredi al compenso per la liquidazione della quota della societ� 
semplice di cui il de cuius era socio; la diversa soluzione adottata dal testo Unico 

I 

delle Successioni del 1990 non � retroattiva (1). 

I 

(omissis) 

3. -L'Amministrazione finanziaria censura la sentenza impugnata sotto un 
duplice profilo, per aver escluso: 
a) che il valore del diritto degli eredi alla liquidazione della quota sociale, indicato 
nella denunzia di successione, potesse -nel vigore del d.P.R. 26 agosto 1972, 

n. 637, applicabile al caso di specie -essere oggetto di verifica da parte dell'Amministrazione 
ai sensi dell'art. 26 del suddetto decreto; 
b) che ai fini della determinazione del valore delle quote sociali potesse tenersi 
conto anche dell'avviamento. (omissis) 

5. -La censura puntualizzata nella lettera �a� del � 3 � ammissibile, ma 
infondata. 
Invero, la morte del socio di una societ� semplice determina lo scioglimento del 
rapporto sociale tra tale socio e la societ� e fa sorgere, in capo ai soci superstiti, l 'ob


I

bligo di liquidare la quota agli eredi (art. 2284 e.e.). Gli eredi -sempre che i soci 

I ~ 

superstiti non decidano lo scioglimento anticipato della societ� o di continuare con 
essi la societ� -hanno diritto ad una somma �di danaro� pari al valore della quota, 

che deve essere loro corrisposta entro il termine di sei mesi dal giorno in cui si verifica 
lo scioglimento (art. 2289 e.e.). 
Quest'ultima disposizione precisa, nel secondo comma, che la liquidazione 
della quota Ǐ fatta in base alla situazione patrimoniale della societ� nel giorno in 

I

cui si verifica lo scioglimento� del rapporto e, quindi, attribuendo ai beni il loro f 
valore effettivo e tenendo conto, altres�, del valore di avviamento, oltre che degli utili 
e delle perdite sulle operazioni in corso. Tale principio non ha peraltro natura cogente 
e pu� quindi essere derogato dalle parti, prevedendo, ad esempio, che la liquidazione 
sia effettuata in base all'ultimo bilancio di esercizio approvato e, quindi, sulla 
base di criteri prudenziali (art. 2423 bis e.e.) che non riflettono il valore reale del 
patrimonio sociale, e possono quindi portare ad una sottovalutazione della quota 
(Cass. 3 luglio 1967, n. 1622; 6 maggio 1969, n. 1534). 

5.1. -Di qui la domanda se, ai fini dell'imposta di successione, il valore del 
diritto alla liquidazione della quota del defunto, acquisito dagli eredi ai sensi degli 
artt. 2284 e 2289 e.e., debba essere, anche in tal caso, rapportato al valore effettivo 
della quota sociale e, quindi, tenendo conto anche dell'eventuale valore di 
avviamento. 
(1) Massima che si condivide pienamente. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Questa Corte, con reiterate pronunce, ha escluso che l'Amministrazione 
finanziaria, nel vigore del r.d. 30,dicembre 1923, n. 3270, avesse il potere di rettificare 
il valore indicato dagli eredi nella denunzia di successione come corrispondente 
al diritto alla liquidazione della quota sociale spettante al de cuius 
ponendo in evidenza che oggetto di successione, nell'ipotesi considerata, non � la 
quota gi� spettante al defunto, ma il diritto di credito alla sua liquidazione che, in 
quanto tale, non poteva essete oggetto di accertamento di maggior valore (Cass. 3 
luglio 1967, n. 1622; 6 maggio 1969, n. 1534). Il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, 
ha tenuto fermo tale principio, prevedendo la possibilit� di un accertamento di 
maggior valore solo in relazione ai beni e ai valori specificamente menzionati 
dagli artt. 20 (beni immobili e diritti reali immobiliari), 21 (aziende, navi e aeromobili) 
e 22 (azioni, obbligazioni e quote sociali) dello stesso decreto. E deve 
quindi ritenersi -come riconosciuto dalla stessa Amministrazione finanziaria 
(Nota 27 novembre 1975, n. 321033) -che le conclusioni in precedenza raggiunte 
avessero conservato tutta la loro validit� anche dopo l'emanazione del 

d.P.R. n. 637/72, dal momento che l'imposta di successione doveva pur sempre 
essere commisurata all'incremento di ricchezza conseguito dall'erede e che, anche 
nel vigore delle nuove norme, tale valore poteva non coincidere con il valore effettivo 
della quota sociale. 
5.2. -Non rileva che il nuovo testo unico delle disposizioni in tema di imposta 
sulle successioni e donazioni, approvato con il d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, richiami 
per la determinazione della base imponibile del diritto alla quota della liquidazione 
degli eredi i criteri stabiliti dall'art. 16 per la determinazione del valore delle 
quote sociali (art. 18, lett. d) e riconosca all'Ufficio, in relazione a tutti i beni e i 
diritti rientranti nell'attivo ereditario, il potere di rettificare i valori dichiarati dal 
contribuente (art. 32, terzo comma). 
Vuoi perch� tale disciplina, chiaramente innovativa, non � applicabile alle successioni 
aperte, come nel caso di specie, in epoca anteriore al 1 � gennaio 1991 (art. 
63), vuoi perch� la formulazione dell'art. 16, facendo riferimento �al valore ... del 
patrimonio netto ... risultante dall'ultimo bilancio pubblicato� e prevedendo che 
solo �in mancanza di bilancio o inventario� possa prendersi in considerazione il 
�valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all'ente o alla societ� al netto 
delle passivit��, indica che le partecipazioni sociali non quotate vanno stimate, in 
linea di massima, al valore di bilancio che, per quanto si � detto, non riflette quello 
effettivo del patrimonio sociale (retro, � 5). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 18 febbraio 2000 n. 1841 -Pres. Cantillo 
-Rei. Graziadei -P. G. ( diff.) Palmieri -Ministero delle Finanze ( avv. Stato 
Laporta) c. Coop. C. 

IVA-Obblighi del contribuente-Fatturazione-Irregolare-Obbligo di regolarizzazione 
-Fattispecie di erronea fatturazione come esente di prestazione 
imponibile -Obbligo di regolarizzazione -Esclusione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 artt. 21 e 41 co. V). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAfo

256 

L'obbligo del soggetto Iva di regolarizzare le fatture ricevute e annotate � limitato 
ai vizi che evidenzino la divergenza dallo schema legale della fattura, per errori, 
incompletezze o lacune, nelle indicazioni di cui all'art. 21 del d.P.R. 633172, e non 
si estende al sindacato della imponibilit� o meno della operazione, atteso che ilprecetto 
tende solo ad assicurare alla A.F. completezza informativa su quest'ultima e 
non il versamento del tributo, anche se omesso dal soggetto passivo emittente (1). 

I

(omissis) 
SVOLGIMENTO DEL .PROCESSO 

L'Ufficio-iva di Genova, in rettifica della dichiarazione presentata per il 
1989 dalla S. coop. r.l. Compagnia unica fra i lavoratori delle merci varie del 
porto di Genova, leha contestato violazione dell'art. 41 quinto comma del d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 633, per non aver regolarizzato le fatture che erano state emesse, 
senza applicazione dell'imposta, dal Consorzio autonomo del porto di Genova, 
relativamente ai canoni percepiti per la cessione in godimento di aree e fabbricati 
demaniali; ha reclamato il pagamento dell'imposta evasa ed applicato le 
connesse sanzioni pecuniarie per un ammontare complessivo di lire 409.583.000. 

I

La Compagnia ha impugnato il relativo avviso, contestando l'applicazione di % 
detta norma e comunque delle pene pecuniarie. 

I

La tesi principale � stata condivisa dalla Commissione tributaria di primo grado 
di Genova. 
La Commissione tributaria regionale della Liguria ha respinto l'appello propo


l

sto dall'Ufficio, osservando: 

,

-che le fatture rilasciate dal Consorzio erano correttamente intestate, identifi,. 
cavano il canone riscosso, lo definivano quale versamento per il rinnovo di conces


Isione demaniale marittima, e poi, nello spazio riservato al conteggio dell'iva, qualificavano 
il canone stesso come compenso non sottoposto a tassazione ai sensi 
dell'art. 1 del d.P.R. n. 633 del 1972; 

-che la Compagnia, ricevendo fatture complete, non era tenuta a �denunciare
� l'emittente, prospettando l'eventuale debenza dell'imposta, anche alla luce della 
qualit� del Consorzio di ente pubblico e del ragionevole affidamento sulla conformit� 
a legge del suo operato; 

-che rimaneva di conseguenza ininfluente stabilire se le suddette operazioni 
fossero o meno soggette adiva (questione dibattuta in separata controversia fra l'Ufficio 
ed il Consorzio). 

(1) La decisione non � condivisibile. L'obbligo di regolarizzazione impone l'integrazione 
dei requisiti di cui all'art. 21, quindi, sicuramente, di tutti i requisiti formali dell'atto, ma va ricordato 
che dalla stessa pu� sorgere un obbligo di pagamento della maggiore imposta dovuta (ad 
esempio, per omissione sostanziale di una parte delle operazioni fatturate). Tale sindacato del soggetto 
tenuto alla regolarizzazione si estende anche al merito; poi, tra i requisiti di cui all'art. 21 
c'� l'aliquota, la prestazione esente � ad aliquota zero e quindi chi riceva una fattura con l'aliquota 
errata riceve una fattura irregolare. 
R.d.F. 
i~ 

Ii; 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

L'Amministrazione delle finanze, con ricorso notificato il 5 gennaio 1998, ha 
chiesto la cassazione della sentenza della Commissione regionale. 

Premesso che la cessione in godimento di beni demaniali rientra fra le operazioni 
imponibili, ai sensi degli artt. 1, 3 e 4 del d.P.R. n. 633 del 1972, ove effettuata 
da un ente pubblico economico nell'esercizio d'attivit� d'impresa, l'Amministrazione 
sostiene che la responsabilit� della Compagnia, per non aver rilevato 
l'applicabilit� dell'imposta ed effettuato gli adempimenti stabiliti dal citato art. 41 
quinto comma, non poteva essere esclusa in base al principio della tutela dell'affidamento 
incolpevole, trattandosi d'istituto estraneo all'ordinamento tributario e 
comunque non invocabile in via di deroga a specifici obblighi di legge. 

La Compagnia ha replicato con controricorso e contestuale ricorso incidentale 
condizionato, rinnovando le deduzioni avanzate in sede di merito; ha poi depositato 
memoria illustrativa. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

I ricorsi devono essere riuniti, ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. 

L'art. 41 quinto comma lett. b) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (riformulato 
dal d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24 e dal d.l. 2 marzo 1989 n. 69, convertito in legge 
27 aprile 1989 n. 154, poi abrogato dal d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 471 e sostituito 
dalle disposizioni dell'art. 6 di quest'ultimo), in base al quale il cessionario di un 
bene od il committente di un servizio, ricevendo fattura irregolare, � tenuto a �regolarizzare 
l'operazione�, con la presentazione di un documento integrativo contenente 
tutte le indicazioni prescritte dall'art. 21 e con il versamento dell'imposta dovuta, 
restando soggetto in caso d'omissione pure a sanzione pecuniaria, implica 
l'obbligo di supplire alle mancanze commesse dall'emittente in ordine all'identificazione 
dell'atto negoziale ed alla notizia dei dati di fatto fiscalmente rilevanti, non 
anche di controllare e sindacare le valutazioni giuridiche espresse dall'emittente 
medesimo, quando, in fattura recante l'esatta annotazione di tutti i suddetti estremi, 
inserisca l'esplicita dichiarazione di non debenza dell'imposta (dichiarazione prevista 
dal sesto comma di detto art. 21 ), indipendentemente dalla questione della tassabilit� 
o meno dell'operazione. 

Questo principio, che comporta la reiezione del ricorso dell'Amministrazione, 
senza che occorra indagare sull'applicabilit� dell'iva al rapporto sostanziale, e l'assorbimento 
del ricorso condizionato della Societ�, discende dalle considerazioni 
seguenti. 

La norma in esame chiama il cessionario od il committente ad emendare �irregolarit�
� commesse dal debitore d'imposta in sede di fatturazione, e, quindi, 
ponendo obblighi correlati alla redazione di un documento, � riferibile ai vizi che 
ne evidenzino nel caso concreto la divergenza dallo schema legale, per errori, incompletezze 
o lacune di contenuto. 

L'uso di detto termine nel suo significato proprio trova inequivoca conferma nel 
rilievo che la regolarizzazione richiesta al cessionario o committente consiste nel 
fornire le indicazioni dell'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale appunto elenca 
gli elementi da inserirsi nella fattura. 


RASSEGNA AVVOCATU1{A DELLO STATO

258 

L'inclusione, fra i compiti del cessionario o committente, di un apprezzamento 
critico, su quanto l'emittente di fattura completa dichiari in ordine alla non imponibilit� 
dell'operazione, trasformerebbe l'obbligato in rivalsa in un collaboratore con 
supplenza in funzioni di esclusiva pertinenza dell'ufficio finanziario, e, dunque, 
andrebbe oltre la ratio di assicurare all'ufficio medesimo la conoscenza piena dei 
fatti rilevanti ai fini impositivi, introducendo una sorta di accertamento �privato� in 
rettifica della dichiarazione del debitore d'imposta. 

Una dilatazione delle incombenze in discorso, nel senso voluto dall' Amministrazione, 
non sarebbe del resto coerente con il contestuale obbligo del soggetto 
tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l'imposta non versata o versata 
in misura insufficiente. 

La tesi porterebbe ad esigere quel versamento prima che l'ufficio abbia controllato 
ed eventualmente rettificato la suddetta dichiarazione di non tassabilit� dell'operazione, 
e quindi ad imporre il soddisfacimento di un credito non ancora accertato 
e fatto valere nel rapporto con il soggetto passivo, sulla mera base della 
prefigurabilit� di una successiva iniziativa dell'ufficio stesso; il risultato sarebbe 
anomalo, e non scevro da dubbi di compatibilit� con i precetti di cui agli artt. 3, 24 
e 53 della Costituzione, in quanto si richiederebbe al cessionario o committente, solo 
perch� debitore �finale� in esito alla rivalsa, una solutio di tipo anticipatorio e cautelativo 
rispetto a credito d'imposta non ancora esercitato. 

La natura e la novit� della problematica affrontata rendono equa la compensazione 
delle spese di questa fase del processo. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 18 febbraio 2000 n. 1850-Pres. Cantillo-
Rel. Graziadei-P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato De Stefano) c. S.p.a. F. 

Tributi in generale -Rimborso -Interessi anatocistici -Spettano. 
(art. 1283 e.e.) 

Sul credito da rimborso di tributi (nella specie, I. V:A.) spettano gli interessi 
anatocistici ai sensi dell'art. 1283 e.e. (1). 

(omissis) 

La Corte, considerato: 
-che la S.p.a. F., impugnando il silenzio-rifiuto dell'Ufficio-iva di Roma, ha 

chiesto ed ottenuto dalla Commissione tributaria di primo grado di Roma il riconoscimento 
degli interessi di cui all'art. 1283 cod. civ. con riguardo a rimborso d'imposta; 
-che la Commissione regionale del Lazio, con la sentenza dinanzi indicata, 

respingendo l'appello dell'Ufficio, ha condiviso la precedente decisione; 

(I) Orientamento consolidato. Contra, la nota Cass., Sez. I, 23 settembre 1998 n. 9497, in 
questa Rassegna, 1999, I, 211. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

-che l'Amministrazione finanziaria, con ricorso notificato il 19 novembre 
1998, ha domandato la cassazione di detta sentenza, contestando l'applicabilit� della 
citata norma rispetto ai crediti d'imposta, soggetti a disciplina speciale, non integrabile 
con le norme privatistiche; 

-che la Societ� non ha presentato controdeduzioni; 

-che l'art. 1283 cod. civ., secondo il quale gli interessi scaduti e dovuti almeno 
per sei mesi possono essere capitalizzati, producendo ulteriori interessi cosiddetti 
composti od anatocistici dal giorno della domanda giudiziale (o per effetto di convenzione 
posteriore alla scadenza), � norma dettata in generale per le obbligazioni 
pecuniarie, e come tale � idonea ad includere, in difetto di ragioni d'incompatibilit� 

o di difforme previsione, i debiti pecuniari che nascano dal rapporto tributario, dato 
che la genesi e la funzione pubblicistiche del rapporto medesimo non toccano la 
paritariet� sostanziale delle posizioni di dare ed avere da esso costituite; 
-che ragione d'incompatibilit� non � ravvisabile nelle regole del processo tributario, 
accordanti tutela al contribuente in via d'impugnazione dello sfavorevole 
provvedimento dell'Amministrazione finanziaria, perch� l'impugnazione stessa non 
perde i connotati della domanda giudiziale, e, se integri esercizio di un credito, 
devolve al giudice tributario anche il potere-dovere di emettere pronuncia di condanna 
all'adempimento (v. art. 19 primo comma del d.lg. 31dicembre1992 n. 546, 
ed in precedenza artt. 16, sesto e settimo comma, e 20, quarto comma, del d.P.R. 26 
ottobre 1972 n. 636); 

-che situazione d'incompatibilit� non pu� essere colta nella diversit� di trattamento 
che si verificherebbe in pregiudizio della Amministrazione finanziaria, 
quando la controversia insorga con impugnazione di atto impositivo, atteso che 
l'indicata pariteticit� delle posizioni delle parti del rapporto obbligatorio tributario 
consente all'Amministrazione stessa, opponendosi ali' impugnazione, di tradurre la 
pretesa creditoria, esercitata con quell'atto, in domanda giudiziale, con la conseguenziale 
reclamabilit� degli interessi in discorso nel concorso dei requisiti posti 
dall'art. 1283 cod. civ.; 

-che eccezione alla disciplina codicistica, in tema d'iva, non � identificabile 
nell'art. 38 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, perch� la norma si occupa degli 
interessi sulle somme da rimborsare, stabilendone decorrenza e tasso, e dunque 
deroga soltanto in proposito alle comuni disposizioni privatistiche, senza alcun riferimento 
all'eventualit� in cui il credito per interessi ultraseme~trali scaduti rimanga 
a sua volta insoddisfatto e sia fatto valere in giudizio; 

-che i riportati principi con i quali il Collegio aderisce e d� continuit� al pi� 
recente orientamento di questa Corte, espresso con la sentenza n. 552 del 22 gennaio 
1999 e poi ribadito con la sentenza n. 9273 del 3 settembre 1999 (in dissenso rispetto 
alla precedente sentenza n. 631 O del 1 O luglio 1996, peraltro resa in materia d'imposta 
di fabbricazione), hanno trovato indiretto conforto nell'ordinanza della Corte 
costituzionale n. 266 del 19 luglio 1996, la quale ha dichiarato manifestamente 
infondata la questione d'incostituzionalit� del menzionato art. 38 bis, sollevata sotto 
il profilo dell'ingiustificata deroga all'applicazione dell'art. 1283 cod. civ., negando 
che siffatta deroga sia introdotta dalla norma tributaria; 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

260 

-che i principi medesimi impongono la reiezione del ricorso dell' Amministrazione; 
-che non vi � luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio in assenza 
d'attivit� difensiva della parte intimata; 

P.Q.M. 
-rigetta il ricorso. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 18 febbraio 2000 n. 1851 -Pres. Cantillo 
-Rei. Graziadei -P.G. (conf.) Nardi -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
De Bellis) c. Spa C.S.L. 

IVA -Detrazione -Canoni di leasing-Detrazione da parte del concedente Mancata 
consegna del bene da parte del fornitore al concessionario, all'insaputa 
del concedente -Spettanza della detrazione -Insussistenza. 

(art. 19 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 633). 

Il concedente di un bene in leasing a utilizzatore che detto bene non abbia ricevuto 
dal fornitore, all'insaputa del concedente medesimo, non pu� detrarre l 'iva 
assolta sulla fattura di acquisto del bene dal fornitore, perch� mancando la messa 
a disposizione del concessionario di tale bene non si realizza la causa tipica del 
contratto di leasing, sicch� ! 'intera operazione � radicalmente inesistente (1 ). 

(omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

L'Ufficio-iva di Torino, in rettifica della dichiarazione presentata per il 1986 dalla 

S.p.a. C.S.L., ha escluso che questa potesse detrarre la somma di lire 53.460.000, 
addebitatale in rivalsa dalla S.n.c. CMT con fatture inerenti alla fornitura di beni 
oggetto di leasing, sul rilievo dell'inesistenza delle corrispondenti operazioni. 
L'impugnazione del relativo avviso da parte della contribuente � stata respinta 
dalla Commissione tributaria di primo grado di Torino. 

La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha invece annullato l'accertamento, 
osservando che detta detrazione era in s� giustificata dal fatto che la C.S.L., 
come risultava dalla sua regolare documentazione contabile (bolle di ac


(1) Dato che il leasing � un contratto trilatero la simulazione di parte di esso ad opera di 
due dei contraenti, e la stretta connessione tra le obbligazioni delle parti comportano la nullit� 
del contratto nel suo insieme; ma, e questo rileva soprattutto ai fini dell'IVA (al fine di escludere 
che l'acquisto del bene da parte del concedente ignaro possa dare diritto alla detrazione), 
possa la prima operazione (acquisto finanziato) causa la simulazione del contratto e non realizza 
le finalit� d'impresa tipiche; non essendo inerente, non d� luogo a deduzione. 
R.d.F. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

compagnamento e verbale di consegna), aveva effettivamente versato, in qualit� di 
concedente-finanziatrice, le somme (comprendenti l'iva) fatturate dalla CMT per la 
fornitura di beni destinati agli utilizzatori, e che non era influente l'eventualit� di un 
accordo illecito fra la CMT e gli utilizzatori, nel senso della stipulazione di vendite 
apparenti allo scopo di finanziarsi con il denaro versato dalla C.S.L., non essendo 
dimostrata la partecipazione di quest'ultima al relativo patto simulatorio. 

L'Amministrazione delle finanze, con ricorso notificato il 13 marzo 1998, ha 
chiesto la cassazione della sentenza della Commissione regionale, con due censure 
connesse, criticandola per aver ritenuto regolare la contabilit� della C.S.L., senza 
vagliare gli elementi contrari offerti dal verbale della Guardia di finanza e senza 
considerare l'assenza di reali rapporti commerciali fra la CMT e la C.S.L., ed inoltre 
per non aver tenuto conto che l'indicato patto fraudolento, indipendentemente 
dalla partecipazione della concedente, comunque determinava l'indetraibilit� dell'iva 
da essa versata per operazioni inesistenti. 

La C.S.L. ha replicato con controricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Il ricorso � fondato, sulla scorta e nei limiti delle osservazioni seguenti. 

La cosiddetta locazione finanziaria integra un'operazione trilaterale, la quale si 
articola in due contratti, strettamente collegati ed entrambi stipulati dalla societ� 
concedente: l'acquisto per conto dell'utilizzatore di un determinato bene dal fornitore 
e la sua cessione in godimento (e poi eventualmente in propriet�) all'utilizzatore 
medesimo. 

Il preminente interesse dell'utilizzatore, in ordine alla scelta della cosa, alla 
puntualit� della sua consegna ed al controllo della rispondenza della stessa alle previsioni 
negoziali, pu� comportare, e di regola comporta che dette fasi del rapporto 
siano direttamente seguite dall'utilizzatore, senza intervento del concedente. 

Tali aspetti della vicenda, oltre che implicare esonero del concedente da responsabilit� 
per inadempimento del fornitore all'obbligo della consegna o per vizi del 
bene (v. Cass. nn. 10926 del 2 novembre 1998, 6412 del 30 giugno 1998, 4367 del 
16 maggio 1997, 2885 del 3 aprile 1997), rendono ipotizzabile un accordo fra fornitore 
ed utilizzatore nei termini prospettati dalla Commissione regionale, nel senso 
cio� della simulazione della compravendita, all'insaputa del concedente, per tradurre 
il prezzo da quest'ultimo sborsato in un prestito. 

Nella predetta ipotesi si altera radicalmente la consistenza del rapporto, perch� 
viene a mancare ab initio il trasferimento del bene in propriet� del concedente (non 
soltanto il passaggio della disponibilit� di esso per effetto di omessa consegna), e 
quindi viene a mancare l'antecedente necessario della cessione all'utilizzatore, 
restandosi sul piano del mero finanziamento. 

L'assenza di un atto traslativo osta a che il concedente possa portare in detrazione 
l'ammontare che la fattura rilasciata dal fornitore (o meglio dall'apparente fornitore) 
indichi quale iva addebitata a titolo di rivalsa. 

Tale detrazione, al sensi dell'art. 19 primo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 633, non riguarda ogni somma che le parti definiscano come addebito d'iva da 

... 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

aggiungersi al corrispettivo di compravendita, non dipende dalla sola enunciazione 
nella fattura di detta causale, ma esige che il relativo versamento sia il prezzo paga


I � 
to per acquistare un bene inerente all'esercizio d'impresa; dunque postula l'effettivit� 
dell'acquisto e dell'ingresso del bene stesso nel patrimonio del compratore, 
quale presupposto indispensabile per la configurabilit� (ed il riscontro) dell'indicata 
inerenza, e va esclusa, in caso contrario, a prescindere da un diverso convincimento 
del solvens, anche se incolpevole. 

Il principio, in linea con l'indirizzo espresso da questa Corte con la sentenza 
n. 5038 del 24. maggio 1999, si armonizza con la �neutralit�� dell'iva per i 
beni inerenti all'attivit� d'impresa, giustificata proprio dall'effettivit� della loro 
acquisizione finalizzata a succe.ssivi passaggi verso il consumatore �finale�, ed 
inoltre trova inequivoca conferma nel rilievo che il concedente in buona fede, 
avendo sub�to addebito per iva in relazione ad un bene che in realt� non � mai 
entrato nel suo patrimonio e non � stato conferito in godimento all'utilizzatore, 
ha facolt� di recuperare dal fornitore (apparente) il pagamento non dovuto, di 
modo che verrebbe a beneficiare di un arbitrario arricchimento se potesse anche 
portare in deduzione la stessa somma; coerente si appalesa invece l'assoggetta


mento del fornitore, che ha posto in essere (d'accordo con l'utilizzatore) la fittizia 
compravendita, tanto all'azione di ripetizione del concedente, quanto alla perdita 
dell'iva versata all'Amministrazione (art. 21 ultimo comma del d.P.R. n. 633 
del 1972), vertendosi in tema di sanzione per il suo comportamento fiscalmente 
illecito. 

Al riportato criterio non si � attenuta la Commissione regionale, che, dopo aver 
ritenuto possibile un accordo �truffaldino� fra la CMT e gli utilizzatori con il contenuto 
sopra indicato, doveva indagare sul verificarsi in concreto della relativa ipotesi, 
in ragione di quanto sopra considerato sull'ininfluenza, ai fini in discussione, 
del mancato coinvolgimento e della buona fede della C.S.L. 

Pertanto, con l'accoglimento del ricorso, va cassata la pronuncia impugnata, e 
disposta la prosecuzione della causa in sede di rinvio, per un riesame che si conformi 
al principio dinanzi enunciato. 

Al Giudice di rinvio, da designarsi in altra Sezione della medesima Commissione 
regionale, si affida anche la statuizione sulle spese del giudizio di legittimit�. 
(omissis) 

CORTE di CASSAZIONE, S.U., 25 febbraio 2000 n. 45 -Pres. Vela -Rei. Olla 


P.G. (conf.) Cinque -Fallimento Soc. E.S. c. Ministero delle Finanze (avv. 
Stato De Stefano). 
IVA -Rettifica -Ispezione -Libri e documenti di cui � rifiutata l'esibizione Utilizzabilit� 
-Esclusione -Condizioni -Dolo -Necessit�. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, art. 52, comma V). 
L'inutilizzabilit� delle scritture contabili e dei documenti non esibiti in sede 
di ispezione, a favore del contribuente che successivamente impugni l'avviso di 
rettifica, richiede un positivo e doloso comportamento di rifiuto di esibizione, 


PARTE !, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

263 

non rilevando una mera dichiarazione di non possedere le scritture, per quanto 
la diligente conservazione delle stesse sia un dovere sanzionato anche in caso di 
colpa (1). 

(omissis) 

Nella dichiarazione ai fini I.V.A. relativa all'anno 1980, la contribuente Societ� 

E.S. s.r.l. rappresent� un credito di imposta di L. 44.000.000, e ne chiese il rimborso. 
Ai fini dell'accertamento della fondatezza dell'istanza, l'Ufficio I.V.A. di 
Cagliari effettu� una verifica presso la sede della societ�, nel frattempo dichiarata 
fallita, alla presenza del Curatore fallimentare. 

Nel corso dell'accertamento non vennero rinvenute alcune fatture, pur annotate 
nei registri contabili. Sulla base di questa constatazione, con avviso notificato 
1'11 novembre 1982, l'Ufficio ridetermin� il credito di imposta riducendolo a 

L. 15.892.000, ed inflisse una sanzione pecuniaria pari a L. 18.692.000. 
L'Amministrazione fallimentare impugn� l'accertamento davanti alla Commissione 
Tributaria di 1� grado di Cagliari. Nel corso del relativo processo, produsse le 
fatture e la documentazione idonea dimostrare la sussistenza del diritto al rimborso 
dell'I.V.A. nell'ammontare indicato nella dichiarazione presentata nel 1981. 

L'Ufficio eccep� che, a norma dell'art. 52 comma 5 d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 633, quella documentazione non poteva essere presa in considerazione perch� 
non era stata prodotta in sede di verifica. 
L'Amministrazione fallimentare replic� sostenendo che la disposizione normativa 
invocata dall'Ufficio trova applicazione unicamente nell'ipotesi in cui il contribuente 
abbia dichiarato falsamente di non possedere la documentazione, e non 
anche quando l'omessa esibizione consegua all'effettiva mancanza del possesso, da 

(1) Le Sezioni Unite compongono un contrasto (ricordato in sentenza) fra tre orientamenti, 
l'uno che affermava sufficiente la coscienza e volontariet� della dichiarazione di non possedere le 
scritture richieste in sede di accesso e ispezione, l'altro che richiedeva altres� la sussistenza dell'elemento 
psicologico, indifferentemente il dolo o la colpa, secondo i principi generali in materia di 
sanzioni amministrative, l'ultimo il dolo, ai fini della operativit� della preclusione di utilizzare a 
proprio vantaggio le scritture non esibite. La tesi accolta dipende dalla esegesi del termine rifiuto 
contenuto nella disposizione, termine che indica un comportamento necessariamente volontario e 
previsto, intenzionale. Ora, il quinto comma prevede anche che al rifiuto � equiparata la 'dichiarazione 
di non possedere' dette scritture. Tale comportamento equivalente sarebbe un 'sintomo' del 
rifiuto, un comportamento tipico che lo fa presumere: indubbiamente anche la 'dichiarazione di 
non possedere' � un comportamento che richiede quanto meno la colpa, non essendo sufficiente la 
coscienza e volont�; chi la rende, infatti, si priva del diritto alla difesa e riceve una sanzione, quindi 
-essendo suo dovere tenere le scritture e indicare l'eventuale depositario delle stesse -deve 
valutarne il significato. D'altronde la non disponibilit� delle scritture pu� dipendere da un colpevole, 
ma obiettivo, smarrimento; ad ammettere la sufficienza della colpa si finisce per sanzionare 
il mero non possesso. La conclusione � che la dichiarazione deve essere falsa, dolosamente non 
veridica, per poter essere ragionevolmente equiparata al rifiuto. La lettura della norma � conforme 
alla giurisprudenza prevalente, e non � etimologicamente giustificabile un significato 'colposo' del 
termine suddetto; chi rifiuta vuole e si oppone. 
R.d.F. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

264 


qualsiasi ragione determinato, ed a fortiori se incolpevole. Tanto � proprio quello 
che si era verificato nella specie, atteso che i documenti necessari ai fini della dimostrazione 
della sussistenza del credito d'imposta, non si trovavano nella sede della 
societ�, per essere stati inviati a Milano ai fini della loro produzione in un giudizio 

~ 

in corso davanti a quel Tribunale. 

Con decisione 6 luglio 1983, la Commissione tributaria adita fece propria l'interpretazione 
dell'art. 52 comma 5 d.P.R n. 633/1972 prospettata dalla Amministrazione 
fallimentare; dichiar� che i documenti dalla stessa prodotti in sede contenziosa potevano 
essere presi in considerazione; ed accolse il ricorso per quanto di ragione. 

La pronuncia fu confermata dalla Commissione Tributaria di 2� grado di Cagliari, 
davanti alla quale l'Ufficio aveva proposto appello, con decisione del 10 gennaio 1984. 
La statuizione � stata riformata dalla Commissione Tributaria Centrale -alla 
quale l'Ufficio aveva proposto impugnazione -con la decisione 11 novembre 1996 

n. 5650. 
La Commissione Centrale ha fondato la pronuncia sul principio che la �sanzione
� di cui al comma 5 dell'art. 52 d.P.R. n. 633/1972 trova applicazione per il 
�semplice fatto che oggettivamente i documenti sono stati sottratti alla verifica�, e, 
dunque, pure in presenza di un �comportamento anche semplicemente omissivo del 

I 
I&contribuente ... anche in buona fede ... [e dovuto ad] errore non scusabile anche di 
fatto: dimenticanza, disattenzione, carenze amministrative, ecc.�. 

Il Fallimento s.r.l. Societ� E.S. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un 
unico motivo d'annullamento illustrato da due memorie. 

L'intimata Amministrazione Finanziaria dello Stato resiste con controricorso. 

II 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

' 

1. -L'art. 52 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 (sia nel testo in vigore nel 1980epoca 
dei fatti in ordine ai quali � controversia -che nel testo successivamente 
novellato) dispone che ai fini dell'accertamento dell'imposta sul valore aggiunto, 
nonch� della repressione dell'evasione e delle violazioni, possono essere effettuati 
�accessi� -e nel loro corso, �ispezioni documentali, verificazioni, ricerche ed ogni 
altra rilevazione ritenuta utile� -innanzi tutto, nei locali del contribuente destinati 
all'esercizio d'attivit� commerciali, agricole, artistiche o professionali; inoltre, 
purch� previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica ed in presenza di specifiche 
circostanze, in locali del contribuente adibiti �anche ad abitazione�, ed in 
ulteriori �locali diversi�. 
Il medesimo articolo, poi, nel disciplinare in particolare le �ispezioni documentali
� consentite negli accessi, stabilisce, nel quarto comma, che l'ispezione �si 
estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali, compresi 
quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie�; nonch�, nel quinto 
comma, sia che �i libri, registri, scritture e documenti di cui � rifiutata l 'esibizione 
non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini 
dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa�, e sia che �per rifiuto di 
esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti 
e scritture e la sottrazione di essi alla ispezione�. 


PARTE I, SEZ. V, GWRISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Con riferimento alla specifica ipotesi della �dichiarazione di non possedere i 
libri, registri, documenti, scritture� sono state proposte tre opzioni ricostruttive della 
fattispecie astratta cui la norma ricollega l'effetto della preclusione alla successiva 
valutazione dei documenti non esibiti nel corso dell'accesso. 

a) Il primo orientamento (peraltro mai recepito dalla giurisprudenza di questa 
Corte Suprema) ritiene sufficiente la coscienza e la volontariet� della dichiarazione 
di non possedere. 

Da ci� il principio che la preclusione consegue alla mera circostanza che, per 
effetto della dichiarazion~ di non possedere, nel corso dell'accesso non � stato possibile 
effettuare l'ispezione del documento richiesto. 

b) Il secondo orientamento (recepito dalla sentenza della 1 a sezione civile 

n. 7161 dell'8 febbraio 1995) nega, preliminarmente, che possa essere condivisa 
l'affermazione circa la sufficienza, ai fini dell'elemento psicologico della fattispecie, 
della sola coscienza e volont� della dichiarazione di non possedere. Tanto, sulla 
base del rilievo che nell'ambito dell'ordinamento positivo tributario, per l'applicabilit� 
di qualsiasi sanzione (e, dunque, anche della preclusione della quale si tratta, 
qualunque ne sia la natura giuridica) occorre, oltre che la coscienza e la volont� della 
condotta, anche la sussistenza dell'elemento psicologico del dolo o della colpa. 
Sostiene, poi, che, peraltro, al predetto fine non � necessario il dolo, ma � sufficiente 
la colpa; e che siffatto elemento psicologico sussiste quando l'evento che il 
precetto mira ad evitare (la mancata ispezione dei documenti da parte dell'agente 
che effettua l'accesso) sia causato da negligenza, imprudenza ed imperizia, ovvero 
da inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. 

Ne trae che la fattispecie (oggettiva e soggettiva) determinante la preclusione si 
verifica tutte le volte che la dichiarazione di non possedere, anche se veritiera, consegua 
ad un mancato possesso colpevole. Pi� analiticamente, che -stante il dovere 
del contribuente IVA di tenere i documenti a disposizione degli agenti accertatori 
-detta fattispecie sussiste tutte le volte: che la dichiarazione non sia veritiera; 
che il documento si trovi in luogo diverso da quello indicato nelle dichiarazioni ex 
art. 35 d.P.R. n. 633/1975, salvo che il contribuente indichi la persona del possessore, 
esibisca la specifica attestazione di questo terzo circa l'effettivo possesso, ed il 
terzo non si opponga all'accesso o non esibisca a sua volta il documento; che il 
documento, infine, non sia effettivamente rinvenibile, ma per una ragione al cui 
verificarsi abbia concorso l'imprudenza, la negligenza o l'imperizia del contribuente: 
ad esempio, lo smarrimento o il mancato rinvenimento determinati da scarsa cura 
del contribuente nella sua tenuta a conservazione, e non ne sia possibile l'immediata 
esibizione ed ispezione. 

Ne trae, altres�, che, stante la presunzione di sussistenza della colpa, ai fini dell'ammissibilit� 
della �presa in considerazione� dei documenti dei quali nel corso dell'accesso 
aveva dichiarato il mancato possesso e dei quali sostenga poi di avere riacquistato 
la disponibilit�, il contribuente ha l'onere di dimostrare, oltre che la veridicit� 
della dichiarazione, la legittimit� dello spostamento del documento e l'incolpevolezza 
del non possesso, in quanto conseguente a forza maggiore o a caso fortuito. 

Nel contempo, fonda su tre distinte ragioni, di carattere e portata sistematica, il 
nucleo centrale della costruzione accolta, ossia la sufficienza dell'elemento psicologico 
della colpa. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

266 


-La prima ragione � ancorata all'assunto che il divieto di prendere in considerazione 
i documenti non esibiti all'atto dell'accesso si configura quale �sanzione accessoria
� (giustificata preminentemente dalla volont� di scongiurare verifiche vanificabili 
da una tardiva esibizione) della sanzione amministrativa pecuniaria �comminata per 
gli stessi fatti� dall'art. 45 c. l d.P.R. n. 633/1972. Inoltre, alla deduzione secondo cui, 
dal dato positivo che ad integrare l'elemento psicologico legittimante la sanzione principale 
� sufficiente la colpa, discende necessariamente che anche ai fini dell'applicazione 
della sanzione accessoria non pu� che essere sufficiente la colpa. 

-La seconda .ragione si riallaccia alla disposizione di cui al comma 1 O dello 
stesso art. 52 (introdotta dall'art. 33 c. 6 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600) per la 
quale �se il .contribuente dichiara che le scritture contabili o alcune di esse si trovano 
presso altri soggetti deve esibire una attestazione dei soggetti stessi recante la 
specificazione delle scritture in loro possesso. Se l'attestazione non � esibita o il 
soggetto che l'ha rilasciata si oppone all'accesso o non esibisce in tutto in o in parte 
le scritture, si applicano le disposizioni del quinto comma�, cio� le �scritture non 
possono essere prese in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento 
in sede amministrativa o contenziosa�. 

Difatti, si osserva, nell'ipotesi del comportamento negativo del terzo la sanzione 
ricade sul contribuente nonostante che un suo �dolo ... sia difficile da configurare
�, e questo rilievo non pu� che legittimare la conclusione che anche nell'ipotesi 
principale della quale si tratta non pu� che essere sufficiente la colpa. 

-La terza ragione, da ultimo, � ravvisata nella �equiparazione normativa quoad 
ejfectum [della dichiarazione di non possesso] al rifiuto di esibizione e nella ragione 
d'essere di tale equiparazione, sicuramente individuabile nell'esigenza di contemperare 
il diritto di difesa del cittadino col principio di buona amministrazione, parimenti 
costituzionale (art. 97 Cost.) e, quindi, non disinvoltamente sacrificabile in presenza 
di comportamenti che ne ostacolino ingiustificatamente la realizzazione�. 

c) Il terzo orientamento (del tutto prevalente, in quanto accolto dalle sentenze 
della 1 a Sezione civile 3 agosto 1990 n. 7804, 17 gennaio 1995 n. 480, 9 maggio 
1997 n. 4058, nonch� nella sentenza -non massimata ed inedita-1 O agosto 1995 

n. 8772 che ha escluso l'elemento soggettivo in presenza della dichiarazione di un 
curatore fallimentare di non avere ancora reperito la documentazione richiesta o che 
la stessa � momentaneamente irreperibile) ritiene necessaria, invece, l'intenzionalit� 
del comportamento, e quindi, il dolo. 
L'argomentazione proposta a giustificazione dell'affermazione ha la sua premessa 
nel rilievo che la ricostruzione del precetto normativo deve essere condotta 
sulla base di un'interpretazione sistematica dell'intero disposto del quinto comma 
dell'art. 52. 

Su questa premessa assume, da un canto, che l'indagine esegetica non pu� prescindere 
dalla constatazione che tra l'ipotesi che ne occupa e le altre disciplinate nel 
quinto comma dell'art. 52 esiste un inscindibile collegamento, e che queste ultime 
sono univocamente dolose; dall'altro che questi dati non possono che imporre la 
conclusione che, ai fini della realizzazione degli elementi oggettivi e soggettivi del 
comportamento che determina la preclusione, occorre -in ogni caso e, perci�, 
anche nell'ipotesi della dichiarazione di non possedere -oltre che la coscienza e la 
volont� della dichiarazione, anche il dolo, ossia la volont� del contribuente di impe



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dire l'ispezione del documento; con la conseguenza, allora, che ad integrare i presupposti 
della preclusione non � sufficiente �neppure la dichiarazione di non essere 
in grado, per mera negligenza, di reperire al momento i documenti�. 

Ad ulteriore conforto, soggiunge, vale la difficolt� di individuare i presupposti 
della colpa (in concreto, dei doveri del contribuente strumentali all'ispezione dei 
documenti gi� in sede di accesso) �non imponendo la legge alcun obbligo di collaborazione 
al contribuente assoggettato a ispezione della Guardia di Finanza� (Cass. 
9 maggio 1997, n. 4058). 

2. -Nella sua decisione ora impugnata in sede di legittimit�, la Commissione 
Tributaria Centrale ha fatto proprio il secondo dei richiamati orientamenti. 
Infatti, ha affermato che a legittimare la successiva inammissibilit� della 
presa in considerazione dei documenti non esibiti in sede di accesso con la giustificazione 
del loro mancato temporaneo possesso, non occorre la volont� di impedire 
l'ispezione dei documenti, ma � sufficiente la colpa; ed ha conseguentemente 
statuito che le fatture delle quali in sede d'accesso, il curatore (subentrato al 
contribuente fallito nelle more) aveva dichiarato di non avere la disponibilit�, non 
possono essere prese in considerazione a conforto della tesi difensiva, nonostante 

�fosse rimasto accertato che le stesse erano state momentaneamente trasferite altro


ve, per essere prodotte in un giudizio civile pendente davanti ali' Autorit� giudi


ziaria ordinaria. 

Col suo unico motivo del ricorso per cassazione il Fallimento della Societ� E.S. 
denuncia che cos� statuendo il giudice tributario ha interpretato in modo erroneo l'art. 
52 comma 5 d.P.R. n. 633/1972, in quanto dalla corretta esegesi del suo precetto risulta 
che ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo della fattispecie occorre il dolo, 
per le ragioni enunciate dalla giurisprudenza prevalente di questa Corte. 

Il ricorso, dunque, ripropone la questione sulla quale, nell'ambito della 1 a 
Sezione civile di questa Corte � sorto il contrasto, avanti enunciato, relativamente al 
punto se l'applicazione della regola di cui al quinto comma dell'art. 52 d.P.R. 

n. 633/1972 (la preclusione a che in sede amministrativa o contenziosa siano presi 
in considerazione i documenti che, nel corso di una verifica tributaria il contribuente 
abbia dichiarato di non possedere) richieda, oltre che la coscienza e la volont� dell'omessa 
esibizione, anche il dolo, ovvero sia sufficiente la mera omessa esibizione 
determinata da colpa non scusabile. 
Da ci� l'assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374 
comma 2 Cod. proc. civ., per la composizione del contrasto. 

3. -Ai relativi fini non rileva il nuovo regime dettato nei Decreti legislativi 18 
dicembre 1997 n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative 
per la violazione delle norme tributarie) e 19 dicembre 1997 n. 471 (Riforma delle 
sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore 
aggiunto e di riscossione dei tributi, che, tra gli altri, ha abrogato l'art. 45 d.P.R. 26 
ottobre 1972 n. 633 fissando, nel suo art. 9, una diversa disciplina della materia) perch� 
queste fonti legislative non disciplinano le controversie che, come quella in 
esame, abbiano ad oggetto comportamenti posti in essere anteriormente alla loro 
entrata in vigore. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

268 

4. -La soluzione del quesito impone un'indagine che non pu� rimanere circoscritta 
al solo tema avente ad oggetto l'identificazione dell'elemento psicologico di 
supporto alla dichiarazione di non possedere; ma deve essere estesa all'intero precetto 
di cui al quinto comma dell'art. 52, dato che -come emerge dalla precedente 
esposizione dei termini del problema, e risulter� meglio dal prosieguo dell'analisi 
-il contrasto ha la sua genesi remota nella diversit� di opinioni in tema di 
ricostruzione della struttura della regola, nonch� dell'elemento oggettivo della condotta, 
positiva od omissiva, che determina la preclusione. 
5. -In proposito, dal dettato del quinto comma dell'art. 52 emerge che la fattispecie 
astratta ivi delineata prevede quale sua componente oggettiva, non gi� tre 
comportamenti materiali del contribuente intrinsecamente ed ontologicamente 
distinti tra loro (il rifiuto di esibire i documenti richiesti, la dichiarazione di non 
possederli, la loro sottrazione all'ispezione) ma un solo comportamento: il rifiuto 
di esibizione, del quale la dichiarazione di non possedere e la sottrazione sono soltanto 
forme sintomatiche per legge. 
Lo si evince, in particolare, dalla formulazione della seconda parte del comma 
(<<per rifiuto di esibizione dei documenti richiesti si intendono anche la dichiarazione 
di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi all'ispezione
�). il cui tenore letterale e logico denota in modo univoco che la dichiarazione 
di non possedere e la sottrazione operano, non in s� e per s� ed in modo 
autonomo, ma soltanto in quanto sintomi, presuntivi, del rifiuto di esibizione. 

In altri termini, l'elemento oggettivo dell'illecito � sempre costituito dal rifiuto 
di esibire il documento, a prescindere dalle forme e dalle modalit� con cui viene realizzato, 
e dunque, anche con forme e modi che, mentre per il loro apparente tenore 
non esprimono un formale diniego, lo realizzano nella sostanza. E questo �, appunto, 
per presunzione di legge, il caso della dichiarazione di non possedere, ove giustificata 
in modo apodittico o con ragioni incongrue, ovvero allorquando risulti non 
veritiera. 

Correlativamente, si deve escludere che nell'ipotesi di �dichiarazione di non 
possedere� l'elemento oggettivo della fattispecie sia costituito dal mancato possesso 
del documento, come invece e presupposto, sia pure implicitamente, nella richiamata 
sentenza n. 716111995. 

La conclusione trova conferma nella disposizione di cui al successivo comma 
10, una volta che la stessa ricollega l'effetto preclusivo non gi� al mancato possesso 
del documento, in se e per se considerato, sebbene alla circostanza che il contribuente 
non ha dimostrato attraverso la prescritta attestazione e la successiva produzione 
del documento la veridicit� della sua dichiarazione di non poter esibire il 
documento perch� posseduto da un terzo. Vale a dire, che la fattispecie si concretizza, 
in modo essenziale ed ontologico, in una situazione obiettiva che, stante la mancata 
dimostrazione della veridicit� della dichiarazione attraverso le prescritte modalit�, 
si risolve, per presunzione di legge, in un rifiuto di esibizione. 

N�, d'altronde, potrebbe essere diversamente sol che si consideri che, come 
risulta dal necessario collegamento dei precetti di cui ai comma quattro e cinque, l'effetto 
preclusivo si estende anche a registri, documenti e scritture �la cui tenuta e conservazione 
non sono obbligatorie�, e che, correlativamente, non devono essere tenu



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARJA 

ti nel luogo indicato nelle dichiarazioni di cui all'art. 35 d.P.R. n. 633/1972. Tanto, 
manifestamente, rende incontestabile innanzi tutto che, quanto meno in relazione a 
questi documenti, al contribuente non si pu� fare carico del loro mancato possesso, 
quand'anche volontario; inoltre, e conseguentemente, che, sempre in relazione a questi 
documenti, la fattispecie oggettiva non pu� che essere costituita dalla non veridicit� 
della dichiarazione di non possesso e dal sostanziale rifiuto della loro esibizione. 

D'altra parte la diversa lettura qui contestata porterebbe ad un'estensione dell'elemento 
oggettivo della fattispecie ex art. 52 comma 5 d.P.R. n. 633/1972 affatto 
inammissibile. 

In via assorbente perch� il precetto normativo � di stretta interpretazione, una 
volta che comporta una limitazione del diritto di difesa -costituzionalmente garantito 
-del contribuente. In ogni caso perch� non sussiste alcun dato letterale, sistematico 
o razionale che legittimi non solo un'interpretazione analogica del precetto 
positivo, ma neanche un'interpretazione del dettato normativo tanto estesa da ricondurvi 
anche il fatto del �non possesso� anche se volontario. 

6. -Il comportamento integrante l'elemento oggettivo deve essere posto in 
essere con coscienza e volont�. 

Su ci� v'� unanimit� di consensi. 

Nel contempo, � certo che ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo, la 
coscienza e la volont� della condotta non � sufficiente, ma occorre un'ulteriore componente 
psicologica. Lo si evince, non solo e non tanto dall'intero sistema positivo 
che esclude una siffatta sufficienza, quanto, e soprattutto, dalla struttura della disposizione 
in esame, che depone in modo univoco in tale senso. 

Del resto, sul punto, nell'ambito della giurisprudenza di questa Corte non v'� 
contrasto; questo, infatti, riguarda solo l'ulteriore questione se sia sufficiente la 
colpa, ovvero occorra il dolo. 

7 .1. -Gli argomenti valorizzati a sostegno del primo dei detti orientamenti 
(quello minoritario) non sono condivisibili; n�, d'altronde, � dato individuarne altri 
idonei alla bisogna. 
7.2. -Come s'� detto nel corso dell'esposizione delle contrapposte opzioni 
interpretative, al riconoscimento della sufficienza della colpa � connesso in modo 
inscindibile ed ineludibile il corollario secondo cui la preclusione opera anche ove 
la dichiarazione di non possedere sia veritiera, ma consegua ad un evento non 
volontario (smarrimento, furto, calamit� naturali e simili) al cui verificarsi abbia 
concorso o la negligenza, imprudenza ed imperizia del contribuente nella conservazione 
e nella custodia della documentazione rilevante ai fini dell'applicazione 
dell'IVA; ovvero, pi� in generale, la violazione dell'obbligo del contribuente immanente 
alla disciplina di questo tributo -di tenere e conservare in modo diligente 
quella documentazione nei luoghi indicati nelle dichiarazioni ex art. 35 
d.P.R. n. 633/1972, s� da non pregiudicare in alcun modo l'attivit� di accertamento 
del tributo. 
Sennonch� una ricostruzione del precetto normativo comportante un siffatto 
corollario, non pu� essere accolta per una duplice ragione. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAT� 

270 

La prima � connessa alla constatazione che tale costruzione realizza una mutazione 
dell'elemento oggettivo della fattispecie rispetto a quello fissato nel paradigma 
normativo. 

Alla sua stregua risulta sanzionata non gi� la dichiarazione non vera di non possedere 
(nel che, � utile ribadirlo, consiste l'elemento oggettivo dell'ipotesi in esame) 
ma il non possesso del documento, cagionato, in modo determinante o concorrente, 
dalla colpa del contribuente estrinsecatasi nelle modalit� avanti enunciate. 

Si tratta, per�, di un'estensione dell'elemento oggettivo che, come s'� accertato, 
non � ammissi.bile. 

La seconda ragione si riallaccia al dato, anch'esso precedentemente acquisito, 
per il quale la preclusione opera anche ove la dichiarazione di non possedere riguardi 
documenti �la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie�, o che del tutto 
legittimamente possono essere tenuti in luoghi diversi da quelli indicati nelle dichiarazioni 
ex art. 35 d.P.R. n. 633/1972. 

Per vero, in virt� di questo dato � indubbio, per un verso, che la preclusione non 
� intrinsecamente collegata al dovere di diligente conservazione della documentazione; 
e, per altro verso, che quanto meno con riferimento alla documentazione della 
quale non � obbligatoria la tenuta e la conservazione, un mancato possesso per colpa 
non � configurabile giuridicamente, n� concretamente, con la conseguenza che, 
rispetto a questi documenti, la fattispecie non pu� che essere dolosa. 

Tanto, posto che nessun dato testuale legittima una differenziazione del regime 
dell'elemento psicologico a seconda della tipologia dei documenti, non pu� che portare 
ad escludere la sufficienza della colpa anche per quanto attiene ai documenti la 
cui tenuta e conservazione � obbligatoria. 

Se ne trae, in definitiva, che la costruzione incentrata sulla sufficienza della colpa 
contrasta in modo non componibile con la struttura normativa della fattispecie. 
Non pu� che conseguirne, allora, gi� sotto questa prima assorbente prospettiva, 
l'inaccettabilit� dell'opzione ora in esame. 

7.3.1. -Rispetto alla soluzione del quesito, la disposizione di cui all'art. 45 
comma 1 d.P.R. n. 633/1972 non assume alcuna rilevanza. 
Il contrario avviso (al quale l'orientamento minoritario �ncora in modo pressoch� 
esclusivo il proprio convincimento sulla sufficienza della colpa) si sviluppa sulla 
base dei due asserti per i quali, rispettivamente: la figura di cui all'art. 45 comma 1 � 
necessariamente colposa; e la fattispecie di cui all'art. 52 comma 5 attiene �agli stessi 
fatti� considerati nell'art. 45 comma 1, sicch� si configura quale �sanzione accessoria
� rispetto alla sanzione principale prevista da quest'ultima norma. Inoltre, sulla 
deduzione che, pertanto, anche ai fini dell'integrazione dell'elemento psicologico 
della fattispecie determinante la sanzione accessoria � sufficiente la colpa. 

Le affermazioni costituenti la premessa dell'argomentazione non sono fondate. 

7.3.2. -L'assunto secondo cui la fattispecie di cui al primo comma dell'art. 45 
� necessariamente colposa � contrastato dalla dottrina unanime, per la quale, invece, 
occorre il dolo; ed in effetti non pu� essere seguito. 
Infatti, stante il suo inequivoco dettato questa norma richiede l'intenzionalit� e 
la volont� dell'evento e, dunque, solo ed esclusivamente il dolo. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

N� in contrario possono essere utilmente richiamati i principi per i quali in 
ordine alle sanzioni amministrative ivi comprese quelle tributarie in materia di 
IVA, ad integrare l'elemento soggettivo dell'illecito � sufficiente la colpa e questa 
si presume. 

La regola per cui le sanzioni amministrative possono essere, indifferentemente, 
dolose o colpose, di modo che ai fini della configurazione dell'elemento soggettivo 
� sufficiente la colpa, ha effettivamente carattere generale. Tanto per�, non esclude 
sia che, in taluni casi, per l'intrinseca natura dell'infrazione o per la tecnica di formulazione 
legislativa, talune fattispecie concrete siano soltanto dolose; e sia che in 
questi casi per la stessa punibilit� dell'infrazione � essenziale l'accertamento del 
dolo e non � sufficiente la colpa. 

Ed � questo, appunto, il caso dell'infrazione prevista dall'art. 45 comma 1, perch� 
non solo la tecnica della formulazione legislativa, ma la stessa natura dell'illecito 
presuppongono il dolo. 

7.3.3. -Diversamente da quanto ritenuto dall'orientamento minoritario, i 
precetti di cui agli artt. 52 comma 5 e 45 comma 1 sono autonomi e non collegati 
tra loro. 
� certo che non hanno ad oggetto �gli stessi fatti�. 

All'uopo soccorre il rilievo che mentre la seconda delle dette disposizioni sanziona 
soltanto il rifiuto (in senso ampio) di esibizione dei documenti dei quali la 
tenuta e la conservazione sia obbligatoria e sempre che ne risulti l'esistenza, la preclusione 
opera anche in assenza di questi requisiti. Quindi, l'istituto di cui all'art. 52 
ha uno spettro d'azione ben pi� ampio, nonch� effetti in un certo senso pi� gravi e 
pregiudizievoli rispetto alla sanzione pecuniaria di cui all'art. 45, posto che pu� incidere 
sulla capacit� del contribuente sia di contestare la pretesa tributaria principale 
che di sottrarsi alle conseguenti sanzioni. 

Deve essere tenuto fermo, poi, che la sanzione processuale di cui all'art. 52 
comma 5 prescinde non solo dall'applicazione della sanzione pecuniaria ex art. 45 
comma 1, ma anche dalla stessa contestazione della relativa infrazione, ed � applicata 
in modo autonomo. 

Risulta esclusa, allora, tanto l'attribuzione alla preclusione della natura giuridica 
di �sanzione accessoria� rispetto alla sanzione amministrativa pecuniaria di cui 
all'art. 45; quanto, e soprattutto, la fondatezza anche del secondo dei presupposti 
dall'argomentazione in esame. 

7.3.4. -L'infondatezza degli asserti che ne costituiscono l'indefettibile presupposto, 
evidentemente, travolge l'intera argomentazione, ed esclude che dal precetto di 
cui all'art. 45 possano trarsi elementi a favore della soluzione del problema in esame. 
7.4. -Parimenti, allo stesso fine non pu� essere valorizzato il disposto del decimo 
comma dell'art. 52. 
Nel caso di impedimento proveniente dal terzo, quel che fonda la responsabilit� 
del soggetto passivo di imposta, non � direttamente il fatto del terzo, bens� la correlata 
presunzione assoluta di non veridicit� (che ha la sua base di fatto nel comportamento 
del terzo) della dichiarazione del contribuente che le scritture si trovano, in 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

272 

tutto o in parte, presso un terzo. Ci� significa che anche in questo caso il fatto � imputato 
al contribuente non gi� a titolo di colpa, ma come conseguenza di un suo comportamento 
(dichiarazione non veridica) qualificato soggettivamente dal suo dolo. 

8. -L'inconfigurabilit� di argomenti atti a suffragare in modo valido la conclusione 
secondo cui ai fini dell'integrazione dell'elemento soggettivo dell'ipotesi 
della dichiarazione di non possedere � sufficiente la colpa, nonch� le relative ragioni 
depongono, indirettamente, per l'opposta opzione interpretativa. 
In ogni caso, la fondatezza di quest'opzione discende, autonomamente, dall'esegesi 
normativa del precetto in esame. 

� unanime convincimento (condiviso anche dalla sentenza n. 7161/1995) che 
l'ipotesi del �rifiuto dell'esibizione� Ǐ, per definizione, dolosa�, cos� come lo � 
quella di sottrazione della documentazione, di modo che, ai fini della sua perfezione 
e dell'applicabilit� della sanzione esige, oltre che la coscienza e la volont� del 
rifiuto, l'intenzione del contribuente di impedire che l'accertatore proceda, in sede 
e nel corso dell'accesso, all'ispezione del documento. 

Da questo dato e da quello, precedentemente acquisito circa l'immedesimazione 
essenziale tra le ipotesi del rifiuto di esibizione e della dichiarazione non veritiera 
di non possedere (nel senso, appunto, che questa dichiarazione altro non � che, 
per presunzione di legge, un diniego di esibizione) discende necessariamente che 
anche questa particolare ipotesi di rifiuto � necessariamente dolosa; dunque, che la 
dichiarazione di non possedere integra la fattispecie legale solo quando non corrisponda 
al vero e sia diretta ad impedire l'ispezione del documento, il che pu� essere 
accertato con qualsiasi mezzo di prova, anche di natura meramente indiziaria. 

Pertanto, non integrano i presupposti applicativi della preclusione, le dichiarazioni 
(il cui contenuto corrisponda al vero) dell'indisponibilit� del documento, non 
solo se l'indisponibilit� sia ascrivibile a forza maggiore o a caso fortuito (ad esempio, 
documentazione rubata, smarrita o temporaneamente dispersa per calamit� 
naturali e poi rinvenuta, sequestrata e poi rimessa nella disponibilit� del contribuente), 
ma anche se imputabile a colpa, quale, ad esempio, la negligenza e l'imperizia 
nella custodia e conservazione. 

9. -Di conseguenza, il contrasto giurisprudenziale deve essere composto nel 
senso (seguito dalla giurisprudenza prevalente) che, a norma dell'art. 52 comma 5 
d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 63 3, perch� la dichiarazione resa dal contribuente nel corso 
di un accesso, di non possedere i libri, registri, scritture e documenti -compresi 
quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie -richiestigli in esibizione 
determini la preclusione a che gli stessi possano essere presi in considerazione 
a suo favore ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa, 
occorre: la sua non veridicit� o, pi� in generale, il suo strutturarsi quale sostanziale 
rifiuto di esibizione, evincibile anche da meri indizi; la coscienza e la volont� della 
dichiarazione stessa; ed il dolo, costituito dalla volont� del contribuente di impedire 
che, nel corso dell'accesso, possa essere effettuata l'ispezione del documento. 
1O. -Come � manifesto, la Commissione Tributaria Centrale non si � uniformata 
a tale principio; perci� � incorsa nella violazione dell'art. 52 d.P.R. n. 633/1972 
denunciata dal ricorrente. (omissis) 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTAR1A 

273 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 3 marzo 2000 n. 2390 -Pres. Cantillo 

-Rei. Altieri -P.G. (conf.) Ceniccola -Ministero delle Finanze (avv. Stato 

Palizzi) c. A.D. S.p.a. 

Accertamento -Atti di amministrazione fiscale estera -Valutazione -Necessit�. 
(Convenzione Italia -Usa del 27 aprile 1984, art. 26). 

Accertamento -Redditi di capitale-Utili-Di societ� di capitali con base societaria 
ristretta e familiare -Distribuzione in nero degli utili non contabilizzati 
ai soci -Presumibilit�. 

Le segnalazioni dell'Amministrazione federale statunitense non sono documenti 
inutilizzabili ma costituiscono fonte di prova nel procedimento e nel processo 
tributario (1 ). 

� ragionevole e sufficientemente grave la presunzione di integrale distribuzione 
degli utili non contabilizzati ai soci di una societ�, ancorch� di capitali, a base 
sociale ristretta e familiare, in proporzione della quota di partecipazione (2). 

(omissis) 
� J. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

L'ufficio delle imposte dirette di Bassano recuperava a tassazione, nei confronti 
della A.D. s.p.a., redditi esteri non dichiarati per 499.846 dollari U.S.A. (oltre 600 
milioni di lire al cambio vigente nel 1988), che sarebbero stati pagati, come risultava 
da segnalazione pervenuta dal Dipartimento del Tesoro americano, a titolo di 
interest, dalla A.J. LTD di New York. 

In risposta al questionario dell'ufficio la A. s.p.a. contestava di aver ricevuto nel 
1988 tale somma, dichiarando di avere riscosso, all'inizio del 1989, una somma di 
pari importo a fronte di tre fatture emesse a carico della consociata americana per 
forniture di preziosi. 

Contro l'accertamento la societ� proponeva ricorso alla commissione tributaria 
di primo grado di Bassano del Grappa, la quale lo accoglieva, soprattutto in considerazione 
dell'inidoneit� probatoria del documento posto a base dell'accertamento, 
privo di sottoscrizione e d'indicazioni specifiche, e per non avere l'ufficio fornito 
elementi concreti per far ritenere il pagamento collegato a presupposti diversi da 
quelli affermati dalla societ�. 

La decisione veniva impugnata dall'ufficio con ricorso alla Commissione regionale 
del Veneto. 

Successivamente, sulla base del predetto accertamento, l'ufficio emetteva altro 
avviso con il quale accertava che non era stata operata a carico della societ�, e quindi 
versata, la ritenuta d'acconto del 10% ex art. 27 d.P.R. n. 600/73 sulle somme 
recuperate a tassazione col precedente atto, per le quali doveva presumersi la distri


(l-2) Orientamento consolidato. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

274 

buzione ai soci in misura proporzionale alle quote di partecipazione, trattandosi di 

s.p.a. a ristretta base azionaria, rappresentata dai familiari del socio legale rappresentante 
della societ�. 
Quest'ultima impugnava tale accertamento e la commissione di primo grado 
accoglieva il ricorso, annullando l'atto per difetto di motivazione, osservando che 
l'ufficio non aveva fornito prova dell'esistenza di maggiori utili in capo alla societ�, 
nonch� dell'effettiva distribuzione al socio di tale presunto maggior reddito, non 
essendo applicabile alle societ� di capitali la presunzione prevista dall'art. 5 del 

d.P.R. 917 /86 per le societ� di persone. 
L'appello dell'ufficio veniva respinto dalla Commissione tributaria regionale 
del Veneto con sentenza 9 maggio -6 giugno 1997, con la seguente motivazione: 
-doveva essere condivisa la motivazione dei primi giudici circa l'inidoneit� 
probatoria della comunicazione del Dipartimento del Tesoro U.S.A., priva di indicazioni 
circa la sua attribuzione ad un funzionario responsabile e, comunque, non 
confermata da altri elementi; la societ� aveva, inoltre, fornito la prova documentale 
circa la riferibilit� del trasferimento di somme, non alla causale di cui all'accertamento, 
ma ad una normale transazione commerciale avvenuta nel 1989; 

-era illegittimo il ricorso alla presunzione prevista dall'art. 5 del d.P.R. 
917 /86 per le societ� di capitali; 

-in conformit� a quanto ritenuto dalla stessa Commissione regionale con precedente 
sentenza, confermativa della decisione di primo grado, la quale aveva 
annullato gli accertamenti in capo alla societ� per il maggior reddito, doveva essere 
annullato anche l'accertamento concerente il mancato versamento della ritenuta 
d'acconto. 

Avverso tale sentenza il Ministero delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione, 
sulla base di due mezzi d'annullamento. 
Resiste la A.D. s.p.a. con controricorso. 

� 2. ] MOTIVI DI RICORSO E LE QUESTIONI SVOLTE DALLA CONTROR/CORRENTE 

2.1. -Col primo motivo l'Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione 
dell'art. 39 d.P.R. n. 600/73, in relazione all'art. 26 della Convenzione tra la 
Repubblica italiana e gli Stati Uniti d'America, firmata il 17 aprile 1984 e ratificata 
con legge 11 dicembre 1985, n. 763; omessa o comunque insufficiente motivazione 
su un punto decisivo della controversia; in relazione all'art. 360, n. 3 e 5, cod. 
proc. civ. 
Lamenta che erroneamente sia stata ritenuta l'inidoneit� probatoria del documento 
proveniente dal Dipartimento del Tesoro U.S.A. L'art. 26 della Convenzione 
prevede che le autorit� dei due Stati si scambino le informazioni necessarie in materia 
d'imposte sul reddito, mantenendole segrete e con possibilit� di comunicarle alle 
autorit� incaricate dell'accertamento, ovvero nel corso di giudizi. Stante la prevista 
utilizzabilit� non pare contestabile che tali informazioni possano avere la funzione 
probatoria stabilita dall'art. 39, lett. c), del d.P.R. n. 600/73, che menziona genericamente 
gli �altri atti e documenti in possesso del/ 'ufficio�. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Non sussiste, inoltre, che si tratti di documento anonimo, essendone incontrastata 
la provenienza. 
Quanto all'assenza di sottoscrizione, non � possibile ritenere che i documenti di 
provenienza estera abbiano gli stessi requisiti formali di quelli formati in Italia. 

La ricorrente censura, inoltre, la motivazione della sentenza impugnata, l� dove 
ha ritenuto l'inesistenza di accertamenti sulla natura delle operazioni compiute, in 
quanto non avrebbe tenuto conto degli accertamenti bancari e della verifica compiuta 
sulle fatture e sui documenti contabili, i quali non risultavano idonei a giustificare 
l'importo riscosso .. 

Del pari insufficiente sarebbe la motivazione circa le giustificazioni date dalla 
societ� sul movimento di cifra d'identico importo di quello in contestazione, avvenuta 
nel 1989. In proposito, l'Amministrazione rileva di avere dedotto, nel ricorso 
avverso la decisione di primo grado: a) che i pagamenti effettuati da una societ� ad 
un'altra per acquisto o vendita di merci non sono soggetti a ritenute da parte dello 
Stato italiano o americano; b) la segnalazione proviene dal Ministero del Tesoro 
americano ed � indirizzata allo Schedario generale dei titoli azionari, dove confluiscono 
tutte le indicazioni circa i modelli RAD ed i redditi di varia classificazione 
percepiti all'estero, non certo le segnalazioni relative ad acquisto e vendita di merci; 
c) essendo la segnalazione del 1988, non possono essere addotte come giustificativi 
fatture del 1989, che oltre tutto, risultano pagate nel mese di marzo; d) l'importo 
complessivo delle fatture (dollari 631.276,99) � diverso da quello del pagamento in 
contestazione; e) infine, la tesi della societ�, secondo cui vi sarebbero stati degli 
acconti e dei saldi, non risulta in alcun modo dimostrata. 

Su tali rilievi la sentenza impugnata non contiene alcuna motivazione. 

2.2. -Col secondo mezzo l'Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione 
dell'art. 5 del d.P.R. n. 917 /86, nonch� omessa motivazione su altro punto 
decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ. 
Secondo la ricorrente, limitandosi a rilevare l'inapplicabilit� alle societ� di 
capitali dell'art. 5 del d.P.R. 917 /86, la sentenza avrebbe adottato un sistema, non 
consentito, di motivazione per relationem nei confronti della decisione di primo 
grado, in quanto avrebbe totalmente ignorato la problematica posta dall'ufficio, che 
di seguito ripropone. 

Essendo la A. s.p.a. a ristretta base azionaria, con un'organizzazione aziendale 
prevalentemente familiare (A.G., padre e socio legale rappresentante; M.B., madre; 
A.D., P., M., R. e P., soci e figli), trova applicazione il principio di trasparenza, tipico 
delle societ� di persone, in forza del quale i redditi prodotti dalla societ� vengono 
imputati ai soci indipendentemente dalla effettiva percezione. La rigorosa separazione 
tra la posizione della societ� di capitali e quella dei soci non pu�, quindi, costituire 
uno schermo invalicabile, tale da sottrarre i soci dall'obbligo di corrispondere i tributi 
dovuti, quando risulti l'esistenza di maggiori utili percepiti extra bilancio. 

In tal caso soccorre la prova presuntiva, la quale porta a ritenere che gli utili 
sociali non contabilizzati siano entrati nella disponibilit� dei soci. Secondo la 
giurisprudenza di legittimit�, la ristretta base familiare della societ� pu� essere 
elemento atto a far presumere che il maggior utile non contabilizzato sia stato 
distribuito ai soci. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

276 

Incorrerebbe, infine, in difetto di motivazione il mero rinvio ad altra sentenza 
della stessa commissione regionale. 

2.3. -Nel controricorso si ribadisce la validit� delle argomentazioni della sentenza 
impugnata e si deduce inoltre: 
a) anche ammessa l'esistenza della distribuzione di utili non contabilizzati, l 'Erario 
non avrebbe diritto di pretendere il pagamento dell'imposta da parte del sostituto 
(la societ�) in caso di omessa effettuazione delle ritenute d'acconto: vi sarebbe altrimenti 
duplicazione della pretesa fiscale nei confronti del sostituto e del sostituito. 
Poich� nel caso di ritenuta d'acconto su redditi presunti il sostituto non � soggetto passivo 
dell'obbligazione tributaria (che fa capo soltanto a chi dovrebbe subire la ritenuta) 
alla societ� non poteva certamente essere richiesto il pagamento dell'imposta. 

La violazione dell'obbligo di effettuare la ritenuta avrebbe comportato soltanto 
l'applicazione delle sanzioni amministrative che vi sono connesse; 

b) illegittimamente l'ufficio avrebbe irrogato, oltre alla sanzione per l'infedele 
dichiarazione dei sostituti d'imposta, le soprattasse indicate dagli articoli 92 e 95 
del d.P.R. n. 602/1973, rispettivamente previste per l'omesso versamento e l'omessa 
effettuazione delle ritenute da parte del sostituto d'imposta. Tale cumulo di sanzioni 
sarebbe illegittimo, come riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimit� (sent. 
94/10568), non essendo ipotizzabile una duplicazione di soprattassa a carico del 
sostituto che, non avendo operato la ritenuta, non abbia neppure provveduto al versamento 
diretto in esattoria. 

� 3. MOTIVI DELLA DECISIONE 

3.1. -Il primo motivo merita accoglimento. 
Il documento che costituisce base dell'accertamento nei confronti della societ� 
non pu� essere, infatti, considerato alla stregua di un'informazione anonima. 
Costituisce principio ormai comunemente accettato che la documentazione del1'
attivit� amministrativa, soprattutto quando la stessa consiste in certificazioni o 
accertamenti di fatto, o nella riproduzione del contenuto di altri atti, non richiede, ad 
substantiam, l'indicazione della persona fisica titolare dell'organo o addirittura la 
sottoscrizione della stessa, essendo sufficiente la sicura riconducibilit� del documento 
(e quindi dell'atto di cui viene riprodotto il contenuto) all'amministrazione 
(si vedano, fra le altre, le sentenze 20 gennaio 1994, n. 522; 11 ottobre 1996, 

n. 8881; 6 marzo 1999, n. 1923; 7 maggio 1999, n. 4567). 
Nella specie non veniva neppure contestata la provenienza del documento dall'Amministrazione 
finanziaria federale U.S.A., per cui sussisteva il dovere del giudice 
di merito di prendere in esame e valutare la natura ed il contenuto del documento 
stesso, inviato all'Amministrazione finanziaria italiana nell'ambito dei 
rapporti di collaborazione stabiliti dall'art. 26 della Convenzione Italia -U.S.A. del 
27 aprile 1984. 

Devesi, inoltre, osservare che, come ha esattamente rilevato la difesa erariale, i 
requisiti di validit� formale del documento sono stabiliti dall'ordinamento di origine. 


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

277 

Pertanto, il rifiuto dei giudici di merito di valutare la natura e il contenuto del 
documento costituisce, oltre che violazione di legge sotto i diversi profili denunciati 
dall'Amministrazione ricorrente, anche omessa motivazione ai sensi dell'art. 360, 

n. 5, cod. proc. civ. 
Sono altres� da condividere le censure circa l'omesso esame delle questioni svolte 
dall'ufficio (e riproposte nel motivo di ricorso) sulle ragioni che renderebbero non 
verosimile il riferimento dell'informazione del Dipartimento del Tesoro, non ad un 
trasferimento di capitali per interest nel 1988, ma a pagamenti di merci nel 1989. 

� evidente che tali rilievi dovevano essere considerati nel loro valore indiziario 
nel complessivo giudizio sulla prova della pretesa fiscale. 

Anche sul predetto punto, quindi, la sentenza non ha adempiuto al dovere di 
motivazione, non essendo, ovviamente, sufficiente la mera e generica constatazione 
che la societ� aveva, attraverso la produzione di documentazione contabile <ifornito 
giustificazione ... circa il movimento di una cifra esattamente corrispondente a quella 
qui in esame, awenuto nei primi mesi del 1989, a seguito di normale transazione 
commerciale�. 

Appare evidente come tale frase non spieghi in alcun modo perch� i documenti 
prodotti (di cui non viene neppure indicata la natura) forniscano la prova dell'assunto 
difensivo della societ�, n� si dia carico dei rilievi formulati in merito dall'ufficio. 

3.2. -Anche il secondo mezzo deve essere accolto, nei limiti che saranno di 
seguito precisati. 
Una volta stabilito che la titolarit� delle azioni e l'organizzazione aziendale 
erano concentrate in una stretta cerchia familiare, i giudici di merito non potevano 
escludere la distribuzione ai soci di utili non contabilizzati limitandosi ad enunciare 
l'inapplicabilit� dell'art. 5 del d.P.R. n. 917/86. 

Nel caso di societ� di capitali, pur non sussistendo -a differenza delle societ� 
di persone -una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, viene 
generalmente ammesso che l'appartenenza della societ� ad una stretta cerchia familiare 
possa costituire sul piano degli indizi, prova dell'avvenuta distribuzione. 

La correttezza logico-giuridica di tale criterio d'imputazione ai soci degli utili 
extracontabili di una societ� di capitali � stata ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza 
di questa Corte, sulla considerazione della �complicit�� che normalmente 
avvince i membri di una ristretta compagine sociale (si vedano, fra le altre, le 
sentenze 17 febbraio 1986, n. 941e25 maggio 1995, n. 5729). 

Pertanto la censura dell'amministrazione, mentre � infondata per quanto concerne 
l'affermata violazione dell'art. 5 del d.P.R. 917/86, la cui regola non � suscettibile 
di applicazione analogica, deve essere accolta con riguardo all'omesso esame 
del valore indiziario della ristrettezza della base azionaria. 

3.3. -L'accoglimento dei motivi di ricorso, nel senso sopra precisato, comporta 
la cassazione con rinvio della sentenza impugnata. 
Per quanto concerne la censure, dedotte dal resistente e dichiarate assorbite 
dalla Commissione regionale, le stesse non possono essere esaminate in questa sede, 
non costituendo ratio decidendi della sentenza impugnata, mentre potranno essere 
riproposte nel giudizio di rinvio. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

278 

3.4. -I giudici di rinvio dovranno quindi, uniformandosi ai principi di diritto 
sopra enunciati: 
a) esaminare il contenuto della nota trasmessa dalle autorit� statunitensi e allegata 
all'accertamento e valutarne il rilievo probatorio, anche in riferimento alle questioni 
svolte dalla difesa dell'Amministrazione finanziaria circa i trasferimenti di 
somme secondo le modalit� dedotte dalla societ�; 

b) ad esito del predetto esame, ed in caso di confermata esistenza degli utili 
non contabilizzati di cui all'accertamento dell'ufficio, valutare le circostanze della 
ristretta base azionaria e della organizzazione aziendale a prevalente partecipazione 
familiare quali indizi dell'avvenuta distribuzione ai soci di tali utili; 

c) dare conto di tali accertamenti e valutazioni con adeguata motivazione; 
d) decidere sulle spese del presente giudizio di legittimit�. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 20 marzo 2000 n. 3251 -Pres. Carnevale 
-Re/. Altieri-P.G. (diff.) Maccarone -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Palmieri P.) c. Spa T.P. 

Convenzioni internazionali -Italia -Regno Unito di Gran Bretagna, Scozia e 
Irlanda del Nord -Royalties -Imponibilit� -Sussistenza -Limiti: 8%. 
(Convenzione -Italia /Regno Unito del 21 ottobre 1988, art. 12). 

Le royalties corrisposte a soggetti britannici devono essere soggette a imposizione 
in Italia con ritenuta del!' 8%: l'art. 12 della Convenzione 21 ottobre 1988 
(legge 5 novembre 1990 n. 329) non attribuisce allo Stato di residenza una facolt� 
di scelta circa l'istituzione di una competenza impositiva sussidiaria, concorrente 
con quella ordinaira spettante allo Stato di residenza del percipiente, ma 
attribuisce a ciascuno Stato contraente la potest� impositiva con il previsto anzidetto 
limite insuperabile dell'otto per cento dell'ammontare delle royalties (1). 

(omissis) 

La T.P. s.p.a., con sede in Torino, avendo corrisposto alla societ� P.I., avente 
sede in Gran Bretagna, diritti per uso e sfruttamento di marchi e brevetti, aveva operato 
una ritenuta dell'8% sul totale portato nella fattura 21 luglio 1994, provvedendo 
poi al pagamento del tributo, in misura di lire 16.182.000. 

(1) Decisivo � l'argomento interpretativo della Convenzione, il cui oggetto � quello di limitare 
la potest� tributaria delle Alte parti contraenti; ci� posto, una semplice sussidiariet� della 
imposizione italiana sarebbe priva di senso perch� non lascerebbe alcuna certezza -pur nei 
limiti di aliquota -sulla portata di detta limitazione e comporterebbe la necessit� di continui 
atti attuativi. Il 'possono essere tassati' di cui al citato art. 12 non � che un 'possono continuare 
a essere tassati' a norma delle vigenti leggi; ecco che non � necessario allora nemmeno determinare 
l'aliquota se essa � sup~riore a11'8%, mentre una aliquota maggiore -nei confronti di 
impresa comunitaria -sarebbe vietata pel principio di non discriminazione. 
R.d.F. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Successivamente presentava alla Direzione Regionale delle Entrate di Torino 
istanza ex art. 38 del d.P.R. n. 602/73. 

Sul silenzio serbato dall'Amministrazione la societ� adiva la Commissione tributaria 
di primo grado di Torino, sostenendo l'intassabilit� in Italia delle royalties in 
base alla Convenzione con la Gran Bretagna del 21 ottobre 1988 e, in subordine, 
l'applicazione della ritenuta nella minore misura del 5,6% sull'ammontare lordo dei 
canoni, pari all'8% del 70% di tale ammontare, secondo quanto stabilito dall'art. 27 
del d.P.R. n. 600 del 1973. 

La Commissione accoglieva il ricorso e l'Amministrazione presentava appello 
alla Commissione tributaria regionale del Piemonte la quale, con sentenza 29 maggio 
-8 luglio 1997, rigettava il gravame, osservando che, secondo l'art.12 della 
legge 329/90, con la quale era stata ratificata la Convenzione, la tassazione delle 
royalties doveva avvenire nel Paese del percipiente; che, inoltre, la stessa norma 
concedeva allo Stato in cui era avvenuto il pagamento la facolt� di istituire un prelievo 
alla fonte dell'8%, facolt� di cui il Governo italiano non si era avvalso. 

Avverso tale sentenza l'Amministrazione delle Finanze ha proposto ricorso per 
cassazione, sulla base di un mezzo d'annullamento. 
La T.P. resiste con controricorso. 

� 2. 1L MOTIVO DI RICORSO 

Denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della legge 5 novembre 
1990, n. 329, in relazione all'art. 360, n. 3, cod. proc. civ., l'Amministrazione 
deduce che la decisione si sarebbe fondata su un'erronea interpretazione della citata 
norma della Convenzione. 

Tale norma, infatti, dispone che il sistema di tassazione � quello della ripartizione 
fra i due Stati, con tassazione definitiva nel Paese del beneficiario e tassazione 
ridotta in quella della fonte, prevedendo espressamente la tassabilit� in Italia e 
determinando l'aliquota. 

Il secondo comma dell'art. 12 prevede infatti, quale eccezione al principio 
generale della tassazione nello Stato di residenza stabilito dal primo comma, che: 

�Tuttavia, tali canoni possono essere tassati anche nello Stato contraente dal quale 
essi provengono e in conformit� alla legislazione di detto Stato, ma, se la persona 
che percepisce i canoni ne � l'effettivo beneficiario, l'imposta cos� applicata non 
pu� eccedere 1'8% dell'ammontare lordo dei canoni�. 

La Convenzione �, quindi, operativa di per s�, avendo esplicitamente previsto 
la condizione di tassazione applicabile alle varie tipologie di reddito, oltretutto differenziata 
rispetto alla ritenuta alla fonte applicata in Italia, ai sensi dell'art. 27 del 

d.P.R. 600/73, per lo stesso tipo di reddito. 
2.2. -Nel controricorso viene preliminarmente eccepita l'inammissibilit� del 
ricorso, in quanto lo stesso si limiterebbe ad enunciazioni teoriche, senza contenere 
censure alla ratio decidendi della sentenza impugnata. 
La T.P. ripropone, inoltre, la domanda subordinata di rimborso dell'eccedenza 
versata oltre il 5,6% dei canoni. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

280 

� 3. MOTIVI DELLA DECISIONE 

La censura merita accoglimento, basandosi la decisione impugnata su un'erronea 
interpretazione dell'art. 12 della Convenzione. 

Non pu� sostenersi, innanzitutto, che tale norma si limiti ad attribuire allo Stato 
di residenza del soggetto erogante una facolt� di scelta circa l'istituzione di una 
competenza impositiva sussidiaria, concorrente con quella ordinaria spettante allo 
Stato di residenza del percipiente. 

Il termine <<possono� impiegato dalla Convenzione deve essere, infatti, inteso 
nel senso di attribuzione della potest� impositiva, e non di una scelta discrezionale 
conferita a .ciascuno Stato contraente. Una scelta unilaterale, e cio� non subordinata 
ad un procedimento di concertazione tra i due Stati firmatari, di ricorrere ad una tassazione 
sussidiaria non sarebbe, infatti, coerente col fine della Convenzione. Le convenzioni 
sulla doppia imposizione sono, infatti, caratterizzate dalla rinuncia, da 
parte di uno Stato, al potere impositivo su un determinato reddito, rinuncia alla quale 
deve corrispondere normalmente l'attribuzione del potere all'altro Stato contraente. 

D'altra parte, la norma non pu� essere letta nel senso di attribuire alle autorit� 
fiscali una scelta dell'aliquota applicabile, fino ad un massimo dell'8%. 

Tale interpretazione implicherebbe, infatti, una decisione di ciascuno Stato contraente, 
da adottarsi nelle forme e con le competenze previste dai relativi ordinamenti, 
preceduta da uno specifico accordo tra i due Stati firmatari. 

Poich� non pu� ammettersi, almeno per l'ordinamento costituzionale italiano, 
informato al principio di riserva di legge in materia tributaria, una scelta, generale o 
concreta, dell'autorit� amministrativa circa l'aliquota applicabile nell'esercizio del 
potere impositivo sussidiario sulle royalties, la norma in questione deve essere interpretata 
nel senso che il concreto esercizio di tale potere non pu� avere, come risultato, 
l'applicazione di un'imposta eccedente l'otto per cento dell'importo lordo dei 
canoni (o, secondo la tesi subordinata sostenuta dalla societ�, del settanta per cento 
di tale importo). In altri termini, lo Stato di residenza dell'erogante deve applicare 
la propria disciplina d'imposizione diretta (� ... in conformit� alla legislazione di 
detto Stato ...�) e determinare l'imposta dovuta, col limite insuperabile dell'otto per 
cento dell'ammontare delle royalties. 

Tale percentuale ha, quindi, la funzione di limitare, in modo definitivo e svincolato 
da scelte discrezionali, il potere impositivo sussidiario attribuito allo Stato di 
residenza dell'erogante. 

Deve, pertanto, concludersi nel senso che l'applicazione della norma in esame 
non implica l'adozione di ulteriori atti normativi di diritto internazionale e/o di diritto 
interno, contenendo tutti gli elementi per la sua applicazione da parte delle autorit� 
fiscali degli Stati contraenti. 

Quanto alla domanda subordinata riproposta dalla controricorrente ( applicazione 
di ritenuta pari al 5,6% dell'ammontare lordo dei canoni pagati), la Corte non pu� 
adottare alcuna statuizione su questione che non costituisce ratio decidendi della 
sentenza impugnata. 

3 .2. -L'accoglimento della censura comporta la cassazione della sentenza 
impugnata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Commissione tributaria 
del Piemonte. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

281 

I giudici di rinvio dovranno, quindi, procedere a nuovo giudizio, uniformandosi 
al principio di diritto sopra enunciato, e decidere anche sulla domanda subordinata 
della T.P. di applicazione di una ritenuta del 5,6 % del totale dei canoni pagati (e 
cio� dell'8% calcolato sul 70% del detto totale), nonch� sulle spese del presente giudizio 
di legittimit�. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 24 marzo 2000 n. 3547 -Pres. Cantillo 
-Rei. Altieri -P.G. (diff.) Nardi -Ministero delle Finanze (avv. Stato Del 
Gaizo) c. Soc. S. 

Convenzioni internazionali -Doppia imposizione -Italia-Francia -Redevances 

o royalties -Corrisposte da impresa italiana a impresa francese -Imponibilit� 
-Condizioni -Stabile organizzazione in Italia dell'impresa francese 
-Controllo quasi totalitario dell'impresa italiana -Equivalenza a stabile 
organizzazione-Conseguenze sul reddito dell'impresa italiana -Natura di 
costo delle redevances. � 
(Convenzione Italia-Francia del 29 ottobre 1959, art. 11, par. 1). 

Attesa l'autonomia dei due soggetti, le redevances corrisposte da societ� italiana 
a controllante straniera sono comunque costi deducibili dal reddito d 'impresa 
della prima, a nulla rilevando che la societ� straniera -nella specie, francese 
-sia, per espressa deroga al principio della esenzione delle redevances, equiparata 
ad una stabile organizzazione e quindi tassata in Italia per detti proventi, in 
ragione della sua partecipazione societaria. 

(omissis) 
� 5. IL MOTIVO DEL RICORSO INCIDENTALE 

Con un unico motivo, denunciando violazione dell'art. 11 della Convenzione 
Italia-Fran�ia stipulata il 29 ottobre 1959, la S. censura -in via condizionata la 
sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto l'equivalenza tra il 
possesso quasi totalitario delle azioni di una societ� e l'esistenza di una stabile 
orgamzzaz1one. 

Infatti, il testo dell'art. 11 �Questa regola rimane applicabile nel caso che alla 
stabile organizzazione venga sostituita una partecipazione in una societ��) deve 
riferirsi soltanto ad ipotesi storiche verificatesi negli anni in cui la Convenzione era 
stata negoziata, in cui, per sfuggire al regime sulle stabili organizzazioni, queste ultime 
erano state sostituite con partecipazioni in societ�. 

Nella specie, invece, non vi � stata alcuna �sostituzione�, essendo sempre esistita 
solo la partecipazione della societ� francese in quella italiana. 

Tale tesi risulta confermata nella nota del 5 ottobre 1989 tra i Ministri delle 
Finanze allora in carica, prodotta dalla S., nella quale veniva stabilito che l'equiparazione 
esiste solo �lorsqu 'un �tablissement stabile d�j� existant est transform� en une 
soci�t� de personnes ( dans le cas de l 'Italie) dans laquelle la personne qui poss�dait 
l'�tablissement stabile d�tient, directement ou indirectement, la majorit� des droits�. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

282 

Rileva, inoltre, la ricorrente che proprio il principio affermato nella sentenza di 
questa Corte richiamata nella decisione impugnata porta a confermare l'esattezza 
della tesi sopra sostenuta. 

In tale sentenza, infatti, veniva escluso che il processo verbale di una riunione 
della Commissione mista franco-italiana tenutasi a Roma dall '8 all' 11 luglio 1988, 
contenente un'interpretazione dell'art. 11 conforme a quella ivi sostenuta, potesse 
avere valore normativo, in quanto gli accordi previsti dall'art. 26 (quelli necessari 
per l'esecuzione della Convenzione; quelli emanati per dare interpretazione alle 
norme della conve.nzione; quelli rivolti.ad evitare -ad istanza del contribuente le 
doppie imposizioni) devono essere stipulati, secondo l'art. 27, tra le Autorit� 
fiscali dei due Paesi. Il verbale in questione, invece, documentava mere trattative. 

Invece, l'accordo concluso mediante lo scambio di lettere del 5 ottobre 1989 � 
intervenuto tra i due Ministri delle finanze ed ha, quindi, valore normativo. 

� 6. MOTIVI DELLA DECISIONE 

Preliminarmente deve essere disposta la riunione dei ricorsi, proposti nei confronti 
della stessa sentenza. 

6.1. -Il ricorso principale non merita accoglimento. 
� necessario, per�, apportare alla motivazione in diritto della sentenza impugnata 
alcune integrazioni e correzioni, ai sensi dell'art. 384, comma secondo, cod. 
proc. civ. 

Come ha esattamente osservato la Commissione Regionale, l'art. 11, �1, della 
Convenzione non svolge, nella presente controversia, il ruolo preteso dalla difesa 
dell'Amministrazione. 

I trattati bilaterali in materia di doppia imposizione hanno la funzione di dettare 
norme internazionali di conflitto le quali eliminino la sovrapposizione dei sistemi 
fiscali nazionali perch�, diversamente, i contribuenti dovrebbero subire, in relazione 
al proprio reddito percepito all'estero, un maggior carico fiscale, con conseguente 
ostacolo all'attivit� economica e di investimento internazionale. Tale scopo viene 
perseguito mediante l'attribuzione del potere d'imposizione fiscale (definito impropriamente 
nella sentenza impugnata come giurisdizione tributaria) ad uno Stato 
contraente e, corrispondentemente, con la rinuncia all'esercizio di tale potere da 
parte dell'altro Stato. 

Nel caso dell'accordo italo-francese, la regola generale del conferimento della 
potest� impositiva in materia di redevances allo Stato di residenza del percipiente 
subisce una deroga nel caso in cui quest'ultimo abbia una stabile organizzazione 
ovvero (secondo la tesi seguita dalla giurisprudenza di questa Corte: sentenza 24 
maggio 1988, n. 3610) una partecipazione societaria nel territorio dello Stato del 
soggetto erogatore. 

Tale deroga comporta quindi, nel caso di redevances pagate da una societ� 
avente sede in Italia, nella quale una societ� francese abbia una partecipazione, che 
quest'ultima � soggetta ad imposizione fiscale diretta in Italia, e non, secondo la 
regola generale, in Francia. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ma l'oggetto del dibattito non � qui la soggezione dei compensi ricevuti dalla 
societ� madre alla potest� impositiva dello Stato italiano. L'accertamento dell'ufficio 
concerne, infatti, non il reddito prodotto dalla societ� francese, ma il trattamento 
fiscale del pagamento fatto dalla societ� italiana, che questa ha considerato come 
componente negativa del proprio reddito, componente disconosciuta dall'ufficio. 

6.2. -Le ragioni per cui il costo rappresentato dal pagamento delle redevances 
-secondo la tesi dell'Amministrazione -dovrebbe essere disconosciuto non sono 
condivise dalla Corte. 
Si sostiene che tale pagamento � stato effettuato a favore di un soggetto che s'identifica 
col soggetto erogatore, in forza dell'equazione: organizzazione stabile = 
partecipazione in societ� in Italia. 

� alquanto difficile cogliere l'esatto senso di tale argomentazione. Non si capisce, 
infatti, se essa esprima una regola giuridica, ovvero una sorta di presunzione di 
fatto della natura fittizia di un compenso pagato da una societ� figlia alla societ� 
madre per l'utilizzazione di beni immateriali. 

Sotto il primo profilo, l'ordinamento giuridico non pu� certamente impedire 
che un 'impresa -costituita in forma societaria -decida di operare all'estero, anzich� 
attraverso un'organizzazione stabile priva di soggettivit� giuridica, mediante 
costituzione di una societ� o acquisizione di partecipazioni societarie. Il fatto che la 
prima impresa abbia il controllo della seconda non esclude che le due imprese siano 
distinti soggetti giuridici e che, quindi, i loro rapporti siano giuridicamente regolati 
nelle forme previste dall'ordinamento. 

Nulla vieta, perci�, che l'utilizzazione, da parte della societ� figlia, di beni, 
immateriali pertinenti alla societ� madre avvenga dietro pagamento di un corrispettivo, 
e ci� comporta che tale pagamento non possa non sottostare alla disciplina 
delle componenti negative del reddito d'impresa. 

Sotto il secondo aspetto, il collegamento tra le due imprese non pu� costituire, 
di per se stesso, una presunzione della natura fittizia dell'operazione, dovendo l'ufficio 
finanziario dimostrare la non inerenza o non congruit� del compenso, caratteristiche 
che, nella specie, non sono state neppure prospettate. 

Ad ulteriore riprova dell'infondatezza della tesi dell'Amministrazione sta il 
fatto che, se si considerano le redevances pagamenti fatti da un soggetto a favore di 
se stesso, ci� comporterebbe che, cos� come il soggetto erogatore non � ammesso a 
portarsi in detrazione tali pagamenti, il soggetto beneficiario non dovrebbe vedere 
incrementato, in corrispondente misura, il proprio reddito. 

6.3. -Vi �, ancora, da considerare che i principi della libert� d'impresa e di iniziativa 
economica non consentono limitazioni alla capacit� contrattuale di una 
impresa nel regolamento dei suoi rapporti con imprese collegate, tanto pi� quando 
le imprese, come nel caso di specie, abbiano la loro sede nel territorio dell'Unione 
Europea e siano, quindi, soggette all'applicazione del diritto comunitario. 
Come pi� volte riconosciuto dalla Corte di Giustizia delle Comunit� Europee 
(si vedano, in particolare, le sentenze 14 febbraio 1995, C-279/93, Finanzamt KolnAltstadt 
c. Roland Schumacker e 12 maggio 1998, C-336/96, Coniugi Gilly c. 
Directeur des services fiscaux du Bas -Rhin), il fatto che l'imposizione fiscale 
diretta non sia materia attribuita alla competenza comunitaria non esclude che le 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

284 

convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione e i diritti nazionali debbano 
rispettare il diritto comunitario, e in particolare il principio di non discriminazione e 
il diritto di stabilimento (articoli 6 e 52 del Trattato). 

Infatti, se una norma di convenzione bilaterale (come l'art. 11, �1, dell'accordo 
italo-francese) dovesse essere interpretata nel senso di escludere l'ammissibilit� di 
un costo da redevances perch� le stesse sono state pagate da una societ� a favore 
della societ� madre avente sede nell'altro Stato contraente, tale interpretazione comporterebbe 
una discriminazione rispetto a identici pagamenti fatti da societ� figlia a 
societ� madre, entrambe aventi sede in Italia, e limiterebbe il diritto di stabilimento 
della seconda. 

Come affermato dalla Corte di Giustizia comunitaria nella sentenza 28 gennaio 
1986, C-270/83, Commissione c. Francia, l'art. 52 del Trattato CE, il quale conferisce 
agli operatori economici il diritto di scegliere liberamente la forma giuridica 
appropriata per l'esercizio delle loro attivit� in un altro Stato membro, vieta agli 
Stati membri di limitare tale facolt� di scelta attraverso disposizioni fiscali che discriminino 
i non residenti a beneficio dei residenti. 

6.4. -In conclusione, l'art. 11, �1, della Convenzione non impedisce l'applicazione 
della disciplina all'epoca vigente in materia di costi nell'ambito della determinazione 
del reddito d'impresa, e cio�, secondo quanto ritenuto nella sentenza impugnata 
ed espressamente richiesto dalla S. nel ricorso contro la decisione di primo 
grado, del d.P.R. n. 597 /73. Quanto alla richiesta di applicazione retroattiva del d.P.R. 
n. 917 del 1986, in forza dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, si tratta di 
domanda inammissibile perch� proposta per la prima volta in sede di legittimit�. 
Il rigetto del ricorso dell'Amministrazione dispensa la Corte dall'esame del 
ricorso incidentale, essendo state con lo stesso dedotte censure subordinate all'accoglimento 
del ricorso principale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 8 maggio 2000 n. 5776 -Pres. Delli 
Priscoli -Rei. Sotgiu -P.G. (conf.) Velardi -P. e altri contro Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Cenerini). 

Tributi erariali indiretti -Registro -Accertamento -Immobili -Valutazione Stima 
Ute -Contenzioso -Poteri delle commissioni -Valutazione officiosa 
-Sussistenza. 
(art. 7 d.lgs. 31dicembre1992 n. 546). 

Le commissioni tributarie possono acquisire aliunde, prescindendo dalle stime 
di parte, gli elementi per addivenire alla valutazione dell'imponibile, anche ove 
ritengano la stima dell'Ufficio insufficiente, senza che ci� violi il principio dell 'onere 
della prova (1). 

(1) Principio generale recentemente riaffermato (sent. 16171/00, pubblicata a pag. 338, al 
cui commento si rinvia). 

PARTE I, SEZ. V, GillRISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

In sede di costituzione della Societ� �Immobiliare B. s.a.s.� con atto notarile 19 
maggio 1992 R.P. donava contestualmente, con separato atto, ai figli B. e A.P. e alla 
moglie M.R.M. una quota pari ai 24/100 di un appezzamento di terreno (esteso complessivamente 
mq. 26250), che veniva conferita nella predetta societ�, con attribuzione 
di valore pari a L. 81.900.000. L'Ufficio del Registro di Chieti, sulla base di 
stima UTE, accertava per detto conferimento, il valore di L. 189.000.000, che veniva 
contestato dalla Immobiliare B. e dai singoli soci, per carenza di motivazione del1'
avviso di accertamento. 

La Commissione Tributaria Regionale dell'Aquila con decisione 3 novembre 
1997, confermativa della pronuncia del primo giudice, ha ridotto il valore accertato 
a L. 126.000.000, ottenuto mediando fra la stima UTE e la perizia redatta da tecnico 
incaricato dai contribuenti, tenuto conto dell'indice di edificabilit� dell'area e 
della sua ottima esposizione. 

B.P., in proprio e quale rappresentante della B. s.a.s., R. e A.P. e M.R.M. hanno 
chiesto la cassazione di tale decisione sulla base di due motivi. Il Ministero delle 
Finanze resiste con controricorso. I ricorrenti hanno proposto memoria. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Col primo motivo di ricorso, i ricorrenti adducono la violazione da parte dei 
giudici tributari dell'art. 51 del d.P.R. 131 del 1986 e dell'art. 62 del d.l.vo 546 del 
1992, nonch� vizio di motivazione per avere la Commissione Regionale sostituito la 
propria valutazione a quella dell'Ufficio, che aveva l'onere di dimostrare, nel corso 
del giudizio che il valore accertato corrispondeva a quello determinato nell'avviso 
di accertamento. A tale onere l'Ufficio non ha adempiuto, ove si consideri che la 
stima UTE, su cui � basato l'accertamento, � stata ritenuta inattendibile, per cui su 
di essa non poteva essere basata una decisione, neppure equitativa, che tenesse conto 
anche delle osservazioni tecniche di controparte, giudicate tra l'altro esaurienti. 

Col secondo motivo di ricorso, ulteriormente adducendo le medesime violazioni, 
i ricorrenti insistono nella censura di difettosa motivazione della decisione impugnata, 
che non poteva avvalersi di un criterio equitativo, facendo la media fra due 
stime fondate su differenti situazioni esistenti fra gli atti di riferimento, in particolare, 
per quanto attiene la stima UTE, sulla indicazione di terreni aventi caratteristiche 
edificatorie del tutto diverse da quella dell'area oggetto di tassazione. 

Il ricorso � infondato. 

Se � vero infatti che ove il contribuente contesti la legittimit� dell'accertamen


to spetta all'Amministrazione Finanziaria dimostrare la congruit� del valore da essa 

attribuito all'immobile nell'avviso di accertamento (Cass. 3235/95) e che la conte


stazione dell'accertamento da parte del contribuente contiene un'implicita afferma


zione che il bene non ha valore indicato dall'Ufficio, il quale ha pertanto l'onere di 

provarlo in giudizio (Cass. 8995/95), � vero altres� che la constatazione che tale 

prova non � stata offerta dal Fisco rientra pur sempre nei poteri dei giudici tributa



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

286 

ri, i quali possono dunque addivenire ad una estimazione in concreto del bene in 
contestazione (Cass. 4565/93; 3235/95 cit.), proprio a seguito del fallimento di tale 
prova. 

Sostiene nondimeno il ricorrente che alle Commissioni Tributarie non competerebbe 
tale potere estimativo sostitutivo di quello, spiegato in via puramente ammi


nistrativa, dall'Ufficio. 

L'assunto non pu� essere condiviso. 

L'art. 7 del d.l.vo 31dicembre1992 n. 546 assegna infatti alle Commissioni tributarie 
ampi poteri istruttori, ricomprendenti la possibilit� di acquisire elementi 
conoscitivi mediante la richiesta di apposite relazioni affidate ad organi tecnici del1 
'Amministrazione, con la sola eficlusione, fra le prove ammissibili, del giuramento 
e dell'assunzione di testimoni. 

Tali poteri sono conferiti proprio in funzione della valutazione, ad esse affidata, 
dalla legittimit� e della congruit� delle pretese dell'Ufficio; i giudici tributari di 
merito possono cio� acquisire �aliunde�, prescindendo dagli accertamenti dell'Ufficio, 
gli elementi di decisione, di cui compiono una valutazione autonoma, rispetto 
all'assunto dell'Ufficio. 

Nella fattispecie, dunque, la Commissione Regionale, ha fatto corretto uso di 
tali poteri, avendo ritenuto congruo il valore determinato in punto di fatto dai giudici 
di primo grado mediante la parziale utilizzazione, da un lato, dell'accertamento 

I

dell'Ufficio, che poteva essere liberamente valutato, non essendo assistito da presunzione 
di legittimit� (Cass. 7180/94), dall'altro della perizia di parte, anch'essa I 
liberamente apprezzata in sede di merito. 

Non sussiste, dunque il lamentato difetto di motivazione della decisione impu


I 
gnata, la quale ha dato ulteriore conto, con riferimento alle caratteristiche dell'area, , 
alla sua esposizione e all'indice di edificabilit� attribuito alla stessa, del proprio con


I

vincimento. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 22 maggio 2000 n. 6631 -Pres. Can


I

tillo -Rei. Papa-P.G. (diff.) Gambardella -M.L. c. Ministero delle Finanze. 

IVA -Rettifica -Elementi -Ricarico calcolato sulla base di dichiarazioni delle 
parti accertate e dei cartellini dei prezzi -Legittimit�. 
(artt. 51e54 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633) 

Sono indizi gravi, precisi e concordanti, ai fini della ricostruzione dell'imponibile 
Iva, le medie di ricarico calcolate sui cartellini dei prezzi di vendita al pubblico 
delle merci (1). 

fil 

i: 
(1) La sentenza affronta il profilo della sufficienza motivazionale della sentenza impugna1
� 
ta. La non veridicit�, in particolare, dei dati ricavati come sopra, attiene al merito (e allo specifi~\ 


co onere della parte di provare il contrario di quanto appaia). lli 

R.d.F. 
~t 

.... -�-... �1. 

�: 

�~�11�����1111����!,,:;,::'~ 
~ 


PARTE I, SEZ. V, GIDRISPRUDENZA TRIBUTARIA 

(omissis) 

La violazione di legge, complessivamente denunziata, si incentra sulla mancanza 
dei requisiti di gravit�, precisione e concordanza, in ordine agli elementi 
presuntivi utilizzati per la rettifica, in contrasto con l'art. 2729 e.e., sostanzialmente 
richiamato dall'art. 54 comma 2 d.P.R. 633/1972 e, pi� in generale, dall'art. 
39 comma 1 lett. d) d.P.R. 600/1973. Il primo aspetto considerato attiene, in 
concreto, all'erronea valutazione delle risultanze del processo verbale di constatazione, 
da parte del giudice �a quo�: in realt�, di nessuna ammissione pu� farsi 
carico alla contribuente, che invece, in quella sede, si riserv� di far valere le proprie 
ragioni, circostanza confermata da altre decisioni, a lei favorevoli, sui medesimi 
fatti -in particolare, da quelle relative ad i.r.pe.f. ed i.lo.r. per lo stesso 
anno e dalla sentenza penale di proscioglimento in ordine alle imputazioni corrispondenti 
-. Tuttavia, nella sentenza impugnata, non si parla di �ammissioni
�della ricorrente odierna soltanto dandosi atto che il verbale fu a suo tempo 
�redatto in contraddittorio con la contribuente� e che la percentuale di ricarico 
del 44%, fissata �con il concorso� di lei, apparve sensibilmente inferiore a quella 
effettiva, la quale, �desunta in maniera analitico contabile dal nucleo in verifica
� risult� superiore all'80%. Talch� i dati, che la ricorrente considera sotto il 
profilo del vizio di motivazione, sono quelli inerenti il ricarico dichiarato e quello 
accertato in sede di verifica. Ma, in ordine al primo -del resto agevolmente 
desumibile dalla stessa dichiarazione annuale, avuto riguardo al corrispondente 
volume di affari -, non si ravvisa alcuna specifica dogli;mza di segno contrario, 
come peraltro positivamente emerge dalla parte conclusiva del ricorso (in particolare, 
p. 11 ), l� dove si sostiene che i due dati, se correttamente considerati, non 
avrebbero dato luogo ~l rilevato contrasto. In ordine al secondo, invece, deduce 
che il ricarico ritenuto effettivo venne malamente e parzialmente desunto da 
�venti cartellini rinvenuti sulla merce (o parte di essa?) esposta in un dato giorno
� in realt� idonei ad individuare unicamente il �prezzo di esposizione�, di 
norma tuttavia non corrispondente a quello di vendita, il quale ridurrebbe il presunto 
ricarico effettivo (quale risultante dal cartellino) al 44%, ipotizzando �un 
semplice sconto del 20% (pressoch� usuale in una �boutique�)�, l� dove uno 
sconto del 50% sarebbe addirittura frequente (e ridurrebbe il ricarico reale, 
secondo quanto si sostiene, al 10%) �nei casi di liquidazione o saldi di fine stagione
�. Si tratta, a ben vedere, di rilievi che non attingono la motivazione, risolvendosi 
in diverse valutazioni di merito, non apprezzabili in questa sede, in 
assenza di errori intrinseci di carattere logico-giuridico. Difatti, l'affermazione 
secondo cui la percentuale di ricaric6� effettivo venne desunta dagli operatori per 
effetto di ricostruzione analitico-contabile non risulta scalfita dalle osservazioni 
che precedono, da cui, mentre non emerge alcun rapporto fra gli articoli che si 
assumono direttamente considerati e quelli globalmente trattati -in maniera da 
escludere il carattere significativo dei primi -, si fanno poi derivare conseguenze 
di segno diverso, mediante ricorso a semplici argomentazioni. Ne deriva, alla 
stregua della motivazione contrastata, la corretta affermazione dei requisiti di 
gravit�, precisione e concordanza, in ordine agli elementi, acquisiti in via diretta 
e quindi utilizzabili pure in presenza di contabilit� regolare. (omissis) 


RASSEGNA AVVOCAl'URA DELLO STAT(J

288 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 20 giugno 2000 n. 8340 -Pres. Delli 
Priscoli -Rei. Altieri -P.G. (diff.) Apice -Soc. M. c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Volpe). 

Tributi doganali -Diritti di statistica e per i servizi amministrativi -Contrasto 

con il Trattato CEE -Azione di rimborso -Onere della prova -Bollette 

doganali indicate ma non prodotte dall'attore -Dovere di esibizione da 

parte della P.A. -Sussistenza. 

(art. 210 c.p.c.;.art. 116 c.p.c.; art. 2697 e.e.; art. 18, 2� co., legge 241/90; art. 91, T.U. 
43/73). 

La prova dell'assorbimento di tributi di effetto equivalente a dazi intracomunitari 
vietati dal Trattato Cee, nella relativa azione di rimborso, pu� essere fornita anche 
mediante argomenti di prova tratti dal comportamento della convenuta Amministrazione 
che, ai sensi dell'art. 18, legge 241190, ha il dovere di esibire gli originali delle 
bollette doganali in suo possesso, a nulla rilevando l'onere, prescritto per la sola fase 
amministrativa, del creditore di allegare le stesse all'istanza di rimborso (1). 

(1) Onere probatorio del privato e del fisco nel procedimento e nel processo di rimborso. 
Pu� darsi per pacifico che i diritti di cui alla causa in oggetto ostassero al chiaro disposto 
degli artt. 9 e 13 del Trattato Cee (per tutte, cfr. CGCE C 39/82, DONNER). La convenuta pu� per� 
provare che tali diritti sono effettivamente remunerativi di un servizio prestato all'importatore e 
per il costo effettivo (principio del rimborso spesa). Ci� � per� difficilmente riscontrabile per i 
servizi in questione che sembrano piuttosto effettuati nell'esclusivo interesse dello Stato quando, 
addirittura, non assumano la natura di mera tassa o contributo speciale aggiuntivo (massime per 
i diritti sui �servizi amministrativi�). 

2. -Ci� precisato, � d'uopo esaminare il procedimento di rimborso, che prescrive l'allegazione 
all'istanza di rimborso, da presentarsi entro il termine di decadenza di cinque anni, della 
bolletta in originale.Termine generalizzato alle azioni di rimborso di tutto quanto pagato in relazione 
ad operazioni doganali dall'art. 29, primo comma, legge 428/90, e ridotto a tre anni dal 1 
gennaio 1991. Ovviamente, in caso di rigetto dell'istanza, il contribuente non � pi� in possesso 
degli originali. 

3. -Occorre, inoltre, puntualizzare che l'istanza di esibizione delle bollette, unico mezzo per 
recuperare l'originale delle stesse, a fronte della contestazione delle fotocopie operata dalla difesa 
erariale, non era stata accolta dal Tribunale, e che avverso tale ordinanza non era stato formulato 
specifico motivo di appello incidentale. Pertanto la Corte di Appello di Venezia aveva escluso 
di dover provvedere in tal senso. 
4. -Tale accadimento, secondo le regole del processo, precludeva effettivamente il potere 
I 

della Corte di ordinare l'esibizione? No, infatti trattasi di atto adottabile, sia pure discrezional


~ 

mente, ma di ufficio. Invero, l'omesso esercizio di poteri discrezionali da parte del giudice non � i: 

f: 
sindacabile, per costante giurisprudenza, in sede di legittimit�. 

~~ 

~~

5. -La suprema Corte glissa su tali aspetti del processo, ed afferma il dovere della P.A. di f: 
applicare il principio di cui all'art.18, secondo comma, legge 241/90, norma che prevede che il ! 
funzionario istruttore acquisisca di ufficio i documenti, gi� in possesso della P.A., donde risulti! 
no circostanze rilevanti ai fini dell'istanza del cittadino. Tale norma attiene al procedimento, non 
al processo. E nel procedimento ex art. 91, T.U. 43/73, la P.A. � gi� in possesso delle bollette. Perci� 
non deve applicare l'art. 18, secondo comma, della legge 241/90. 
I 

I

~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

289 

1. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
(omissis) 

La ditta A.M. i conveniva dinanzi al Tribunale di Venezia l'Amministrazione 
delle Finanze dello Stato, chiedendone la condanna al pagamento della somma di lire 
77.646.976, oltre ad interessi ed accessori, versata a seguito di importazioni di cereali 
attraverso le dogane di Venezia e di Verona a titolo di �diritto di statistica�, � diritto 
per i servizi amministrativi� e �tasse di sbarco�, sostenendo che gli stessi non erano 
dovuti per contrasto col di.ritto comunitario, essendo equivalenti a dazi doganali. 

L'Amministrazione si costituiva in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda. 

Nel corso del giudizio di primo grado si costituiva la M &.C. s.p.a. in concordato 
preventivo, proveniente dalla M.& C. s.a.s. di E. e M. M. & C., nella quale era 
stata trasformata l'originaria impresa individuale. 

Con sentenza 28 aprile -11 luglio 1994 il Tribunale accoglieva parzialmente la 
domanda. 

6. -N� tale richiamo pu� far dedurre un principio relativo al processo e, addirittura, condurre 
all'inversione dell'onere della prova. Trattasi infatti di una mera norma sul procedimento, 
e sulla relativa istruttoria, facilitata delegando alla P.A. l'onere di raccogliere le �prove� gi� in 
suo possesso. 
L'argomento appare quindi non pertinente. 

7. -Fondato, invece, � l'argomento ex art. 116 c.p.c. Non v'� dubbio che chi sia in possesso 
delle prove, per un onere imposto sin dalla fase amministrativa, deve prendere una posizione 
chiara e precisa sulla esistenza e rilevanza delle stesse. Diversamente, � difficile pensare che non 
si sia compiuta una violazione del generale dovere di lealt� e probit� processuale, e che non si 
possano trarre da ci� argomenti presuntivi (per esempio, dalla produzione di fotocopie contestata 
in modo generico o incompleto). 
8. -Ma l'attore non aveva prodotto nemmeno le fotocopie, bens� un elenco riepilogativo, e 
la Corte d'Appello ne dava atto, reputandone l'insufficienza. 
9. -Sembra dunque che il principio di diritto affermato: 
-sia erroneo nel richiamo all'art. 18 della legge 241/90; 
-nell'affermare che la Corte di rinvio dovrebbe lasciar esperire alla parte le opportune 
forme di tutela atte ad acquisire gli originali, non tiene conto della preclusione processuale maturata 
per mancata rinnovazione nell'atto di appello dell'istanza ex art. 210 c.p.c. 

10. -La Corte, dunque, rovescia l'onere della prova (nella sostanza) ma, ancor prima, confonde 
il piano del processo -per cui non � configurabile un dovere, del giudice, ad instar della 
P.A., di acquisire d'ufficio le prove in possesso di soggetti diversi dall'attore, ma solo una facolt�, 
soggetta ad onere di congrua motivazione se sollecitata e non utilizzata. Tali le ragioni del dissenso 
dalla sezione, e la segnalazione d�lla prevedibile difficolt� del giudice di rinvio di provvedere 
senza violare i principi che configurano tale fase come un processo ad istruzione chiusa. 
Dovr� il giudice interpellare la P.A. con richiesta d'informazioni, che sembra la strada pi� percorribile? 
O meglio, dovr� trarre argomenti di prova dalla -gi� avvenuta -mancata risposta 
della P.A. alle deduzioni attoree? In questo caso, si preconizza che una corretta decisione sulla 
insufficienza degli elementi in atto per determinare il quantum sia bastevole a confermare la cassata 
decisione. E tale decisione, invero, era gi� stata adottata poich� la Corte, rimarcata l'assenza 
di fotocopie, aveva stimato insufficienti i prospetti informali prodotti dall'attore, nella consapevolezza 
della mancata doverosa risposta della P.A. sulle bollette. 
ROBERTO DE FELICE 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�

290 

La Corte d'Appello di Venezia accoglieva il gravame dell'Amministrazione con 
sentenza 9 ottobre -12 novembre 1997, cos� motivata: 

-come dedotto dall'Amministrazione fin dalla comparsa di risposta in primo 
grado, l'appellata non aveva prodotto le bollette doganali costituenti la prova del 
pagamento dei diritti di cui veniva chiesta la restituzione; 

-l'appellata -che aveva in primo grado concluso affinch� la causa fosse 
rimessa sul ruolo, perch� venisse ordinato all'Amministrazione di esibire le bolle in 
suo possesso -non aveva reiterato tale richiesta in appello, e non aveva prodotto 
neppure fotocopia delle bolle; 

-gli unici documenti prodotti erano gli elenchi riepilogativi delle operazioni 
doganali che dichiarava di aver effettuato, asserendo di aver consegnato gli originali 
delle bollette all'Amministrazione, a corredo della domanda di rimborso in via 
amministrativa. Tali elenchi non contenevano alcuna indicazione che ne comprovasse 
la provenienza ufficiale; 

-pur dovendosi condividere l'indirizzo affermato dalla giurisprudenza di legittimit�, 
secondo cui l'onere di corredare l'istanza di rimborso con le bollette doganali 
(articoli 95 e 97 del d.P.R. n. 65/1986 e 91 d.P.R. n. 43/1973) si riferisce alla sola 
fase amministrativa e, comunque, ai soli casi di errori di calcolo o di applicazione di 
un diritto diverso da quello fissato in tariffa, doveva in conclusione ritenersi che i 
detti prospetti fossero privi di qualsiasi valenza probatoria degli avvenuti pagamenti; ili 

ili

-l'argomentazione secondo cui l'esibizione delle bolle avrebbe dovuto far 

I ~ 

carico all'Amministrazione si risolveva, in pratica, in un rovesciamento dell'onere 
della prova. 

Avverso tale sentenza la M. S.p.a., nel frattempo posta in liquidazione, ha proi~ 
posto ricorso per cassazione, sulla base di quattro mezzi d'annullamento. . 

L'Amministrazione finanziaria dello Stato resiste con controricorso. , ' 

.

l, 

2. J MOTIVI DI RICORSO 
2.1. -Col primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applii


cazione dell'art. 2697 cod.civ. in relazione all'art. 2033 stesso codice, nonch� degli '� 
articoli 115 e 116 cod. proc. civ. ; motivazione contraddittoria, lamenta che la Corte 
di merito, dopo aver statuito di accogliere il secondo motivo d'appello, riguardante 
il difetto di legitimatio ad causam, ha invece deciso nel senso di ritenere il difetto di 

i 

prova del diritto al rimborso. 
Sotto tale profilo, deduce che la pronuncia non rispetta il principio affermato da 
Cass.12911/95, secondo cui l'azione di ripetizione di tributi doganali indebitamen


I te versati non esige necessariamente l'allegazione della bolletta doganale di pagaI 
mento, cos� come � disposto per l'istanza di rimborso in via amministrativa (art. 91 
del d.P.R. n. 43/73), con la conseguenza che la prova del pagamento pu� essere 
offerta con qualsiasi mezzo. 

I 

2.2. -Col secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente o conii 
traddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia; violazione o falsa ~ 
applicazione dell'art. 91 del d.P.R. n. 43 del 1973 e dell'art. 24 della Costituzione. 
... ... .� I,:I 

r1���1z�1111111��1-lr�1�11�1��I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Deduce che, nel respingere la domanda per mancata produzione delle bollette, 
la Corte di merito non avrebbe considerato che tali documenti erano in possesso del1 
'Amministrazione, per averle la societ� allegate alla domanda di rimborso in via 
amministrativa. . 

Tale ragionamento finisce col risolversi in una violazione dell'art. 24 della 
Costituzione perch�, non avendo l'Amministrazione contestato la detta allegazione, 
la produzione in giudizio dei documenti rappresentava una prova impossibile per la 
societ�. 

Peraltro quest'ultima aveva formulato istanza di esibizione degli originali delle 
bolle ai sensi dell'art. 210 cod. proc. civ. Tale domanda era stata rigettata dal Tribunale 
con l'osservazione che non si trattava di �documentazione comune alle parti�, 
ignorandosi che i documenti in questione sono composti da due parti, madre e figlia. 
Solo quest'ultima viene corisegnata all'importatore, e appunto le �figlie� originali 
erano state allegate alla domanda di rimborso. 

D'altra parte, gli elenchi prodotti contenevano tutti gli elementi necessari per 
individuare le bolle relative ai diritti in contestazione. 

2.3. -Col terzo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione 
dell'art. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ.; omessa ed illogica motivazione circa 
un punto decisivo della controversia. 
Lamentando violazione dei principi in tema di onere della prova, deduce che la 
Corte di merito, a differenza di quanto correttamente ritenuto dal Tribunale, non 
aveva considerato che la mancata contestazione dell'Amministrazione circa la precedente 
allegazione delle bollette fosse un comportamento processuale qualificabile 
come mezzo di prova. 

2.4 -Col quarto motivo, denunciando illogica motivazione su un punto decisivo 
della controversia, la ricorrente deduce che, negando la sussistenza di un onere 
di produrre le bollette doganali, la Corte d'Appello avrebbe, implicitamente, riconosciuto 
che vi era stata l'allegazione degli originali in sede di istanza amministrativa 
di rimborso. 
Deduce, inoltre, l'erroneit� dell'affermazione secondo cui sarebbe stata sufficiente 
la produzione di fotocopie. Queste ultime, infatti, avrebbero avuto lo stesso 
valore probatorio degli originali solo se la loro conformit� con questi fosse stata 
attestata da pubblico ufficiale, ovvero se la controparte non le avesse disconosciute. 
Vi era, infatti, da ritenere che l'Amministrazione, avendo reiterato in appello la 
richiesta alla societ� di produrre gli originali, avrebbe disconosciuto le fotocopie 
degli stessi. 

3. MOTIVI DELLA DECISIONE 
Le censure, che possono essere congiuntamente esaminate, meritano accoglimento, 
anche se per ragioni giuridiche non del tutto coincidenti con quelle svolte 
dalla societ� ricorrente. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

292 

Come risulta dalla sentenza impugnata ed � incontestato fra le parti, l'importatrice 
aveva fatto espresso riferimento, nell'atto introduttivo del giudizio, a specifiche 
operazioni d'importazione, esattamente individuate, in relazione alle quali 
aveva affermato di aver presentato istanze di rimborso in via amministrativa, allegando 
le bollette recanti l'attestazione del pagamento dei diritti doganali di cui chiedeva 
la restituzione. 

La Corte di merito ha ritenuto che, pur essendo il disposto dell'art.91 del d.P.R. 

n. 43 del 1973 -il quale prescrive che alla domanda di rimborso debbano essere 
allegate le bollett~ doganali -applicabile nella sola fase amministrativa, la M. non 
avesse fornito la prova del diritto, e cio� l'avvenuto pagamento dei diritti. 
Si� deve, innanzitutto, condividere l'indirizzo espresso dalla giurisprudenza 
della Corte ( si vedano, oltre a quella richiamata dalla Corte d'Appello, le sentenze 
84/3798 e 95/12911 ), il quale ammette che la prova del pagamento dei diritti doganali 
indebitamente versati non sia costituita esclusivamente dalla bolletta doganale, 
ma pu� essere desunta anche aliunde. 

Pertanto, nel caso in cui il soggetto che chiede il rimborso affermi di non poter 
presentare gli originali delle bollette perch� gli stessi sono gi� stati consegnati 
all'amministrazione, si pone il problema degli idonei mezzi di prova dell'avvenuto 
pagamento. 

Secondo l'Amministrazione, la prospettazione della ricorrente, la quale pone a 
carico del l'Amministrazione stessa la materiale impossibilit� di produrre in giudizio 
i documenti in questione si risolverebbe in una indebita inversione dell'onere 
della prova. 

Senonch� tale tesi, pur corretta in via generale, non tiene conto di fondamentali 
principi che regolano la prova dei fatti nei rapporti con la pubblica amministrazione. 

L'art. 18, comma secondo, della legge sul procedimento amministrativo 7 
agosto 1990, n. 241, stabilisce che �Qualora l'interessato dichiari che fatti, stati e 
qualit� sono attestati in documenti gi� in possesso della stessa amministrazione 
procedente o di altra pubblica amministrazione, il responsabile del procedimento 
provvede d'ufficio all'acquisizione dei documenti stessi o di copia di essi�. 

Tale norma, per la quale, a differenza di altre parti della stessa legge n. 241/90 
(e cio� le norme sulla partecipazione al procedimento amministrativo, in forza della 
disposizione di cui all'art. 13, secondo comma) non � esclusa l'applicabilit� ai procedimenti 
tributari, costituisce espressione di un principio di carattere generale, operante 
anche nel processo (si veda la decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio 
di Stato 13 ottobre 1998, n. 7). 

Pertanto, quando in qualunque processo, pur retto dal principio dispositivo, il 
privato interessato affermi che un fatto risulta attestato in documenti in possesso del1'
amministrazione resistente, la prova del fatto pu� essere fornita anche attraverso il 
mero riscontro di tali documenti compiuto dalla stessa amministrazione. 

In caso di contestazione circa il possesso dei documenti o sul contenuto degli 
stessi si aprono diverse strade, quali la domanda di esibizione o la richiesta d'informazioni 
alla P.A. 

Non vi � dubbio che, nel caso di specie, la prova del pagamento dei diritti da parte 
della societ� importatrice possa essere desunta attraverso un mero riscontro delle bollette 
doganali, ove le stesse siano in possesso dell'Amministrazione finanziaria. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Pertanto, pur non avendo la societ� fatto espresso riferimento al principio enunciato 
dall'art. 18, secondo comma, della legge n. 241/90, la precisa indicazione delle 
importazioni e dei pagamenti effettuati e la dichiarazione di aver consegnato le bollette 
all'Amministrazione doganale faceva sorgere il dovere di quest'ultima di dare 
una risposta sul possesso di tali documenti e sul loro contenuto. 

In conclusione, il principio di collaborazione tra P.A. e privato comporta indubbiamente 
una diversa ricostruzione dei loro rapporti, anche nel momento processuale, 
per quanto attiene alla ripartizione dell'onere probatorio. 

� ovvio che la mancaja applicazione del predetto principio travolge tutte le statuizioni 
dei giudici di merito sulla valutazione del materiale probatorio, essendo 
necessario acquisire le risposte dell'Amministrazione, la quale non pu�, pertanto, 
limitarsi ad invocare l'art. 91 della legge doganale n. 43 del 1973. 

In presenza di un rifiuto generico o immotivato, il giudice di merito (come � 
stato ritenuto nella citata sentenza di questa Corte n. 12911/95) pu� dedurre la prova 
del pagamento anche attraverso il comportamento processuale dell 'Amministrazione 
finanziaria. 

L'accoglimento delle censure, nel senso sopra precisato, comporta la cassazione 
della sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della 
Corte d'Appello di Venezia, la quale decider� anche sulle spese del presente giudizio 
di legittimit�. 

I Giudici di rinvio si uniformeranno al seguente principio di diritto: 

�Nel caso in cui l'importatore, che ha agito per la restituzione di diritti doganali 
non dovuti, indichi con precisione le operazioni doganali compiute e dichiari che le 
bollette doganali di pagamento, a lui precedentemente rilasciate, sono in possesso 
dell'amministrazione, quest'ultima, in applicazione del principio di cui all'art.18, 
secondo comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241, dovr� fornire risposte circa il 
possesso e il contenuto dei documenti stessi. In caso di rifiuto, o di risposte generiche 
e/o immotivate la parte privata potr� esperire le forme di tutela opportune per 
l'acquisizione dei documenti, e il giudice potr�, eventualmente, trarre argomenti di 
prova dal comportamento processuale dell'Amministrazione�. 

P. Q.M 
La Corte di Cassazione; 
accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata. (omissis) 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 12 ottobre 2000 n. 1092 -Pres. Panzarani Rei. 
Marziale -P.G. (conf.) Iannelli -A.K. c. Ministero delle Finanze (avv. 
Stato De Bellis). 

Tributi in generale -Riscossione -Ingiunzione fiscale -Istituzione dei concessionari 
della riscossione -Procedura esecutiva ingiunzionale, anteriore alla 
riforma -Applicabilit� -Condizioni -Notifica dell'ingiunzione in data 
anteriore al 1 gennaio 1990. 

(R.D. 14 aprile 1910 n. 639; d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43, art. 130). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STAfO 

294 

IVA -Riscossione -Ingiunzione -Opposizione -Poteri del giudice -Sospensione 
-Non sussiste. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 62, III co.; R.D. 14 aprile 1910 n. 639, artt. 3, 5, 29, 31). 
Giurisdizione -Ingiunzione fiscale -Per IVA -Commissioni tributarie -Opposizione 
di terzo -Idem. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 1 D). 
La procedura esecutiva per ingiunzione si applica a tutte le ingiunzioni fiscali 
notificate anteriormente al 1 gennaio 1990, data di entrata in vigore del nuovo sistema 
della riscossione mediante concessionario (1). 

Nell'opposizione a ingiunzione fiscale per IVA, notificata anteriormente al 1 
gennaio 1990, la Commissione Tributaria non ha il potere di sospendere l'atto, 
stante il mancato richiamo dell'art. 3 del R.D. 6391910 da parte dell'art. 62 III co. 

d.P.R. 633172 (2). 
La giurisdizione delle Commissioni Tributarie sul!' opposizione a ingiunzione per 
i tributi di cui al d.P.R. 636172 si estende alla opposizione all'esecuzione (3). 

(omissis) 

1. -Con ricorso depositato il 13 gennaio 1988 presso la cancelleria della Pretura 
di Merano, il signor A.K. proponeva opposizione alla procedura esecutiva 
instaurata nei suoi confronti dall'Ufficio IVA di Bolzano ai sensi dell'art. 62, d.P.R. 
26 settembre 1972, n. 633 e degli artt. 5 ss. r.d. 14 aprile 1910, n. 639, e sfociata nel 
pignoramento mobiliare eseguito il precedente 8 gennaio, esponendo: 
-che il credito fatto valere era sorto nei confronti di sua madre, nel frattempo 
deceduta; 
-che l'eredit� era stata accettata con beneficio d'inventario; 
-che, in ogni caso, i beni pignorati non erano di provenienza ereditaria; 

-che gli atti ingiuntivi, in base ai quali la procedura era stata avviata, erano 
stati intestati e notificati (e per l'intero ammontare del credito) solo ad esso ricorrente 
e non anche agli altri coeredi. 

Tanto premesso, il ricorrente chiedeva che, previo accertamento dell'irregolarit� 
formale del titolo esecutivo, della sua notificazione e dell'impignorabilit� dei beni 
staggi ti: 

� fosse disposta preliminarmente la sospensione dell'esecuzione per gravi 
motivi, ai sensi dell'art. 624 c.p.c.; 
� fosse quindi dichiarata la nullit� del titolo esecutivo, del pignoramento e di 
tutti gli altri atti della procedura, previo accertamento dell'illegittimit� del titolo esecutivo, 
della sua notificazione e della impignorabilit� dei beni pignorati. 
(1, 2 e 3) Principi pacifici. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

1.1. -Il Tribunale di Bolzano, al quale gli atti erano stati rimessi per competenza: 
-dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario sia in relazione 
alla domanda di sospensione dell'esecuzione che relativamente all'opposizione, per 
la parte in cui era diretta a contestare il diritto dell'Amministrazione finanziaria di 
procedere all'esecuzione coattiva; 
-rigettava, quanto al resto, l'opposizione perch� sfornita di prova. 

L'appello proposto dal K. era respinto dalla Corte territoriale che, a sua volta, 
dichiarava d'ufficio, in toto, il difetto di giurisdizione dell'a.g.o.: quindi anche in 
relazione alla dedotta impignorabilit� dei beni, negando che la domanda proposta 
potesse configurarsi, a tale riguardo, come opposizi�ne di terzo. La Corte rilevava 
inoltre che, comunque, l'appellante non aveva fornito la prova di aver accettato l'eredit� 
con beneficio d'inventario. 

1.2 -Il K. chiede la cassazione di tale sentenza con tre motivi. L'Amministrazione 
finanziaria resiste. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 

2. -Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente -denunziando violazione e 
falsa applicazione degli artt. 615, 617, 624 c.p.c.; delle disposizioni del r.d. 14 aprile 
1910, n. 639; dell'artt. 37 c.p.c.; degli artt. 485, secondo comma, e 487, secondo 
comma, e.e.; nonch� vizio di motivazione-censura la sentenza impugnata per aver 
dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda 
di sospensione, senza considerare che, nel caso di specie, la procedura esecutiva era 
gi� stata iniziata. 
2.1. -La censura, in tali termini formulata, � infondata. 
Giova premettere che la procedura esecutiva, della cui legittimit� si controverte 
nel presente giudizio, � tuttora regolata dalle norme contenute nel r.d. 14 
aprile 1910, n. 639, ancorch� l'art. 130, d.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43 abbia disposto, 
a far data dal 1� gennaio 1990, l'abrogazione di tutte le disposizioni che 
-al pari dell'art. 62, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 -regolano 
la riscossione coattiva delle imposte �e di ogni altra entrata, diritto o accessorio� 
mediante rinvio al regio decreto n. 639 del 1910; prevedendo, inoltre, che per le 
entrate scadute e non riscosse entro quella data, ivi comprese quelle per le quali 
la procedura esecutiva abbia gi� avuto inizio, l'ente impositore deve provvedere 
alla formazione del ruolo secondo le modalit� dettate dall'art. 67, d.P.R. n. 43/88. 
Quest'ultima prescrizione, infatti, si riferisce alle ingiunzioni non ancora definite 
per assenza o difetto di notifica e non riguarda, quindi, le ingiunzioni che, 
come nel caso di specie, siano state ritualmente notificate prima di tale data 
(Cass. 22 giugno 1990, n. 6325): le procedure esecutive avviate sulla base di tali 
provvedimenti continuano pertanto ad essere disciplinate dalle norme precedentemente 
in vigore. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

296 

2.2. -L'art. 62, terzo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 stabiliva che la 
riscossione coattiva, nel caso in cui il contribuente non avesse effettuato il pagamento 
richiesto dopo la notifica dell'ingiunzione, era regolata dagli artt. da 5 e 29 e 
31 del r.d. 639 del 1910. Era cos� omesso ogni riferimento all'art 3, il cui secondo 
comma attribuisce al giudice adito per l'opposizione il potere di sospendere �il procedimento 
coattivo�, e questo rendeva evidente che il potere di sospensione era 
riservato in via esclusiva all'autorit� amministrativa, come poteva del resto desumersi 
dall'art. 31 dello stesso decreto. 

Tale prescrizione, per quanto si � detto, � ancora operante rispetto alla procedura 
esecutiva oggetto di esame nel presente giudizio, e deve conseguentemente 
ribadirsi che, rispetto alla domanda di sospensione avanzata dal debitore, vi � difetto 
assoluto di giurisdizione, essendo il relativo potere riservato, in via esclusiva, 
all'autorit� amministrativa (C. cast. 1� aprile 1982, n. 63; Cass., Sez. Un. 5 ottobre 
1987, n. 7423; 22 giugno 1990, n. 6325). 

2.3. -Non vale osservare, in contrario, che la procedura esecutiva era gi� stata 
avviata, in quanto l'eventuale sospensione dell'esecuzione finirebbe per incidere sul1'
esecutivit� d'ingiunzione fiscale che, per quanto si � detto, deve ritenersi sottratta, 
in materia tributaria, ad ogni possibilit� d'intervento da parte dell'autorit� giudiziaria 
(retro, � 2.2). 
Ancor meno pertinente �, poi, il riferimento all'art. 8, r.d. 30 ottobre 1933, 

n. 1611, trattandosi di norma che attiene alla competenza territoriale e che, non diversamente 
dall'art. 9 c.p.c., deve essere coordinata con la disciplina del contenzioso tributario 
e, per quel che concerne il presente giudizio, alla disciplina dell'I.V.A. 
L'art. 1, secondo comma, lett. d), d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 devolveva 
espressamente alle commissioni tributarie le controversie in tema di IVA ed analoga 
previsione � contenuta nell'art. 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Il rinvio operato 
dall'art. 62, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, rendeva d'altro canto evidente, come 
si � gi� posto in evidenza, che la procedura di riscossione coattiva poteva essere 
sospesa solo dall'autorit� amministrativa. 

3. -La perdurante applicabilit�, nel presente giudizio, del rinvio operato dal 
secondo comma dell'art. 62 d.P.R. 633/72 al testo unico delle disposizioni di legge 
relative alla riscossione delle entrate patrimoniali dello Stato, approvato con il r.d. 
n. 639 del 1910, porta a ritenere infondato anche il secondo motivo, con il quale la 
sentenza impugnata viene censurata per aver ritenuto che l'opposizione all'esecuzione 
fondata sulla contestazione della legittimit� (per ragioni formali e sostanziali) 
dell'ingiunzione fiscale esulasse dalla giurisdizione del giudice ordinario. 
Invero, il mancato richiamo degli artt. 3 e 4 del citato decreto n. 639 del 1910, 
escludeva che l'opposizione all'ingiunzione in materia tributaria potesse essere pro


il' 

posta davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria, come del resto era confermato dal1'
art. 31 dello stesso decreto (Cass. 22 giugno 1990, n. 6325; 5 ottobre 1987, n. 7423). i''f:

~�� 

Il potere di sindacare la legittimit� dell'ingiunzione spettava, invece, alle commis~,, 
sioni tributarie, alla cui cognizione erano (e sono) riservate le controversie in tema di 1~ 

I.V.A. (art. 1, secondo comma, lett. d), d.P.R. 633/72; art. 2, primo comma, lett b), 
d.lgs. 546/92). (omissis) 
~�� 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

297 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 20 ottobre 2000 n. 13916-Pres. Cantillo 
-Rei. Marziale -P.G. (conf.) Cennicola -Ministero delle Finanze c. 

B.d.R. S.p.a. 
IRPEG -Cessione di azienda per corrispettivo dilazionato -Cessione del relativo 
credito a prezzo molto inferiore -Perdita su crediti -Insussistenza Natura 
di sconto finanziario -Deducibilit� in pi� esercizi. 

(e.e. artt. 1260, 1267; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, artt. 58, 61 III co. e 66, II co.). 
La cessione di un credito, contestuale alla acquisizione del medesimo, a seguito 
di una cessione di pacchetto azionario totalitario di altra azienda, per un prezzo 
molto inferiore al valore nominale, � una operazione finanziaria di sconto del detto 
credito e come tale non configura una perdita parziale del credito, ma un onere 
deducibile in pi� esercizi (1). 

(omissis) 

1. -In esecuzione delle intese raggiunte con la F.A. S.p.a., l'A.R. S.p.a.: 
-il 30 dicembre 1986, ma con effetto dal 1� gennaio 1987, confer� il proprio 
complesso aziendale alla A.L. S.p.a. appositamente costituita e controllata dall'altra 
societ�; 

(1) Interessi impliciti in operazioni finanziarie. 
1. -Davvero un cattivo affare. Scorporata l'azienda e conferitala in un'altra societ� ad hoc, 
la holding residua trasferiva il pacchetto azionario ad una societ� dello stesso settore produttivo, 
a un prezzo fortemente dilazionato. Successivamente il credito era ceduto a una ulteriore societ�, 
controllante, infine la �scatola vuota�, ossia la ex holding, era incorporata, previo acquisto totalitario 
delle azioni, da un istituto di credito; in sede di bilancio di fusione la enorme differenza tra 
il prezzo di cessione del credito e quello pattuito era evidenziato come perdita su crediti, della 
quale, evidentemente, si sarebbe giovata la banca. 
2. -Non era difficile immaginare che dietro la complessa operazione si celava un prestito 
all'altra impresa, acquirente dell'impresa, o meglio, del settore produttivo della stessa previamente 
conferito nella societ� ad hoc. La stessa infatti avrebbe cominciato a pagare dopo 7 anni, 
la banca si limitava ad anticipare il 50% dell'importo dell'operazione (segno che quello era il vero 
prezzo di cessione, e il sovrappi� gli interessi), infine, in un gioco abile, acquisiva lo stesso cedente 
del credito, che faceva figurare in bilancio l'enorme perdita data dalla differenza. 
3. -Le censure della parte all'accertamento, accolte nei due gradi di merito, consistono, fondamentalmente, 
nella abusiva interpretazione del contratto come mutuo, ma la Corte Suprema 
ribalta il problema, com'� ovvio, sul piano della qualificazione giuridica del contratto stesso. Evidenziata 
la natura abnorme della mancata pattuizione di interessi in sede di cessione del pacchetto 
azionario, nonostante la estrema dilazione del pagamento, e richiamato l'art. 1815 e.e., la Corte 
osserva che a norma dei principi contabili approvati dal Consiglio dell'ordine dei Commercialisti, 
di cui pi� volte � stata raccomandata l'adozione alle Societ� di revisione (da ultimo con la 
Comunicazione 88450/99), i crediti futuri vanno iscritti in bilancio al valore attualizzato, cio� al 
netto degli interessi impliciti che incorporano; di conseguenza, solo attualizzando il credito � possibile 
calcolare il valore di cessione e verificare se vi siano minusvalenze. Compito rimesso al 
giudice di rinvio. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

298 

-il 2 gennaio 1987 trasfer� alla F.A. la sua partecipazione in detta societ� per 
il corrispettivo di L. 134 miliardi e, per il prezzo di L. 133 miliardi, partecipazioni 
in altre societ�, da versarsi in cinque rate annuali a partire dal 1� gennaio 1993, senza 
alcun aggravio di interessi; 

-il 10 aprile 1987 cedette il credito verso la F.A., del valore nominale di 

L. 267 miliardi, alla propria controllante F. s.p.a. per la somma di L. 130 miliardi da 
corrispondersi in unica soluzione entro il 30 aprile 1987. 
4. -Il Principio contabile 15 III recita: 
�D.111 .ATTUALIZZAZIONE 
D./11.a) -I crediti che si originano dallo scambio di merci, prodotti e servizi sono valori 
numerari e costituiscono la contropartita dei relativi ricavi. Essi rappresentano conti di disponibilit� 
di denaro a termine. La disponibilit� di denaro a termine comporta un immobilizzo fmanziario; 
pertanto, le condizioni di pagamento hanno un effetto diretto sull'ammontare dei ricavi che 
originano il credito. Se i termini di pagamento sono lunghi, il mantenimento di condizioni finanziarie 
fisiologiche comporta la necessit� di ottenere un corrispettivo, ossia un interesse, per il 
periodo di indisponibilit� del numerario. Tale interesse pu� essere chiaramente esplicitato ovvero 
deve ritenersi implicito nel ricavo e quindi nel credito. Nel primo caso l'interesse esplicito deve 
essere un interesse appropriato; nel secondo caso si rende necessario scorporare dal prezzo un 
interesse appropriato, cio� il corrispettivo finanziario. 

Vi possono quindi essere tre situazioni. Quella meno complessa � data dal caso di crediti originati 
da ricavi chiaramente scindibili, a causa delle condizioni contrattuali stabilite dalle parti, 
tra prezzo di vendita di beni o servizi ed interessi per dilazione di pagamento. In tal caso, parte 
degli interessi addebitati devono essere considerati di competenza dello o degli esercizi successivi, 
sino alla scadenza del credito. 

L'altra situazione � rappresentata dal caso di crediti a media e lunga scadenza, con interesse 
non esplicitato per i quali vi sono motivi per ritenere che il credito contenga una componente di 
interessi anche se ci� non � stato esplicitamente stabilito od evidenziato. Vi � inoltre la situazione 
in cui gli interessi espliciti siano notevolmente inferiori a quelli che devono ritenersi appropriati. 

D./11.b) -La presenza di crediti con termini lunghi di incasso pone il problema dello scorporo 
dell' interesse, ossia dell' attualizzazione di tali crediti e si rende quindi necessario identificare: 

-quali crediti devono essere attualizzati; 

-il tasso d'interesse da utilizzare; 

-il periodo in cui il credito va attualizzato. 

D./11.b.l) -Ai crediti di cui all'ultimo capoverso del paragrafo D.111.a) che rappresentano il 
diritto ad esigere ammontari a date future determinate o determinabili e che non comportano un 
interesse o che comportano un interesse irragionevolmente basso va attribuito, alla data in cui il 
credito sorge, un interesse ad un tasso appropriato: si raccomanda di attualizzare tali crediti con 
iscrizione degli interessi impliciti a riduzione dei ricavi che hanno originato il credito che comporta 
l'interesse implicito e, in contropartita, tra i risconti passivi. Il risconto parteciper� alla formazione 
dei risultati futuri in funzione della maturazione degli interessi attivi. 

L'interesse attivo va riconosciuto sulla durata del credito. L'interesse da rilevarsi in ciascun 
periodo amministrativo o frazione in cui dura il credito deve essere quello maturato in tale periodo. 
L'interesse, cio� la differenza tra il valore nominale del credito (inclusivo dell'interesse se � 
esplicito) ed il suo valore attuale va riconosciuto sulla durata del credito proporzionalmente al 
credito in essere. Tale differenza va quindi ripartita in modo tale che l'interesse venga riconosciuto 
ad un tasso costante sul credito residuo finch� non sia interamente incassato. 

D.111.b.2) -La scelta del tasso d'interesse da compararsi con il tasso d'interesse esplicito per 
accertarne la ragionevolezza o per scorporare l'interesse implicito nel ricavo richiede appropriata 
valutazione. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

299 

1119 giugno 1987 la societ� B.d.R. S.p.a) che successivamente avrebbe assunto la 
denominazione di B.d.R. s.p.a.) acquist� dalla F. le azioni rappresentative dell'intero 
capitale sociale della A.R. (che nel frattempo aveva assunto la denominazione di �F.M. 
S.p.a�); quindi, in data 8 agosto 1987, deliber� di incorpolarla. 

La fusione fu attuata il 26 novembre 1987. 

Nel bilancio di fusione, chiuso al 25 novembre 1987, la societ� incorporata (F.M. 
S.p.a.) evidenzi�, nell'ambito di una perdita complessiva di L. 229 miliardi, una perdita 
su crediti di L. 137 miliardi derivante dalla differenza tra il valore del credito a 
suo tempo ceduto alla F. (L. 267 miliardi) e l'ammontare del prezzo ricevuto (L. 130 
miliardi). E tale perdita venne evidenziata dalla societ� incorporata nella dichiarazione 
presentata per l'anno 1987 ai fini IRPEG e fu portata dalla incorporante in diminuzione 
dei propri redditi ai sensi dell'art. 1, d.l. 18 giugno 1986, n. 277, convertito, 
con modificazioni, nella legge 8 agosto 1986, n. 487. 

2. -Con avviso di accertamento notificato il 29 dicembre 1993, l'Ufficio 
delle Imposte Dirette di Roma rettific� la dichiarazione dei redditi presentata dal1 
'incorporata, riducendo di L. 129.920.312.000 l'ammontare complessivo delle 
L'obiettivo teorico dovrebbe essere quello di approssimare il tasso che sarebbe risultato se due 
parti indipendenti avessero negoziato un'operazione similare con termini e condizioni comparabili 
con l'opzione di pagare ad un prezzo a pronti o ad un prezzo a termine e tale ultimo prezzo avesse 
tenuto conto di un appropriato tasso d'interesse di mercato per il tempo della dilazione. Da un punto 
di vista pratico, il riferimento immediato va pertanto al tasso d'interesse di mercato prevalente per 
il finanziamento di crediti con dilazione ed altri termini e caratteristiche similari (omissis)�. 

5. -I principi de quibus, lungi dall'essere precettivi per le singole imprese, sono raccomandati 
alle societ� di revisione contabile. Possono perci� essere motivatamente non applicati, nel 
rispetto dei principi di verit� del bilancio. Sembra allora azzardato ritenere che si tratti di fonti 
integrative delle norme di legge. Sono regole dell'arte. Tuttavia, riconducendo il nostro argomentare 
ali' arte giuridica, non si pu� non riconoscere, in un contratto tra soggetti economici, per 
importi elevatissimi, con dilazione parimenti rilevante, un interesse implicito incluso nel prezzo, 
ove l'interesse reale non sia esplicitato. 
6. -Che ci� sia questione di interpretazione o qualificazione dipende dalla natura oggettiva 
della argomentazione addotta. Quindi la Corte poteva sindacare in modo s� profondo le diverse 
conclusioni sul contratto concluso. 
7. -La perdita su crediti dunque va verificata attualizzando il credito. Quale, invece, la sorte 
degli interessi impliciti? Nel caso di specie chi li lucra � la banca, sicch� la questione non si pone. 
Ma se si fosse in presenza di una vendita con corrispettivo includente interessi impliciti? 
8. -Pare ovvio ritenere che l'intero credito non possa essere iscritto senza ricorrere, per la 
quota interessi, ai risconti passivi, cio� alla iscrizione di poste che evidenzino la non attuale percezione 
degli interessi, da ridurre anno per anno. 
9. -Incidentalmente, la corte non ha accolto la intera ricostruzione operata dall'Erario, giungendo 
a conclusioni ulteriori. Nel ricorso ci si era limitati ad asserire che la perdita evidenziata 
dal cessionario era un costo pluriennale. Con una ricostruzione logica e rigorosa si � escluso poter 
parlare di perdita prima ancora che, attualizzato il credito, la perdita fosse verificata; nella specie, 
poi, il �cost0� dello sconto non sussiste, trattandosi della ovvia cessione, in una col credito, degli 
interessi maturandi. 
ROBERTO DE FELICE 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

300 

perdite imputabili all'esercizio 1987. La rettifica motivata con il rinvio al verbale 
di constatazione redatto il 7 dicembre 1987 dagli Ispettori del SECIT, nel quale si 
era posto in evidenza che la somma di L. 137.000.000 indicata in bilancio quale 
�perdita su crediti� non costituiva, in realt�, una perdita, ma rappresentava l 'onere 
�finanziari0� pagato per l'anticipato incasso (l'attualizzazione) del credito. Di 
qui la conclusione che la somma sopra indicata, non rappresentando una perdita, 
non poteva essere imputata, per il suo intero ammontare, all'esercizio 1987, ma 
doveva essere dedotta, anno per anno per l'intero arco temporale dell'anticipazione, 
sulla base dell'interesse composto del 10% stabilito dalle parti. A nulla rilevando 
che la cessione dei crediti fosse stata convenuta <<pro-soluto�, dal momento 
che la cessione dei crediti �. negozio �a causa variabile� e che, nel caso di 
specie, il trasferimento dei crediti era stato preordinato al fine di procurare alla 
societ� cedente una disponibilit� liquida immediata con la riscossione anticipata 
dei crediti ceduti. 

3. - 
La B.d.R. proponeva ricorso, assumendo, in particolare: 
-che la configurazione dell'operazione come negozio �di liquidit�� con funzione 
di prestito si fondava su un'interpretazione delle pattuizioni intercorse tra le 
parti che trascurava del tutto, in palese violazione dell'art. 1362 e.e., la volont� effettiva 
dei contraenti, i quali avevano inteso puramente e semplicemente disporre il tra-. 
sferimento dei crediti per un determinato prezzo; 
-che,.in ogni caso, la cessione, quando (come nel caso di specie) viene stipulata 
<<pro-soluto� non si presta a realizzare un'operazione di prestito, dal momento che 
il cedente non risponde, in tal caso, del mancato adempimento da parte del debitore 
ceduto, ma solo dell'esistenza del credito al momento della cessione (art. 1266 e.e.); 
-che, pertanto, non essendovi stata nel caso di specie alcuna anticipazione di 
somme, ma soltanto il pagamento di un prezzo per il trasferimento dei crediti, la differenza 
tra il valore nominale dei crediti ceduti e il prezzo corrisposto dalla cessionaria 
costituiva per la societ� cedente una �perdita�, da imputare tra le componenti 
reddituali del periodo d'imposta secondo le regole generali. 

3.1. -Il ricorso era accolto dalla Commissione adita, la quale -pur riconoscendo 
che con la cessione si era inteso pervenire al �realizzo immediato�, in capo 
alla cedente, degli investimenti effettuati nell'ambito dell'operazione di trasferimento 
delle attivit� dell 'A.R. al gruppo F. -affermava che l'operazione aveva 
avuto esclusivamente finalit� traslative e che non aveva quindi avuto una causa 
finanziaria. 
La decisione era confermata dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, 
che respingeva l'appello dell'Ufficio, ponendo in evidenza: 

-che l'indiscussa volont� di pervenire ala smobilitazione del proprio complesso 
aziendale, mediante il suo trasferimento ad altra societ�, portava ad escludere 
che la cessione dei crediti fosse preordinata alla concessione di un finanziamento 
in favore della societ� cedente; 

-che tale conclusione era avvalorata dall'assenza di qualsiasi obbligo restitutorio 
da parte della societ� cedente. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

L'appello incidentale, proposto in via condizionata dalla B.d.R., era dichiarato 
assorbito. 

4. -L'Amministrazione finanziaria chiede la cassazione di tale sentenza con un 
motivo di ricorso. La societ� intimata resiste. 
MOTIVI DELLA DECISIONE 

5. -Con un unico motivo di ricorso, l'Amministrazione finanziaria -denunziando 
violazione e falsa applicazione degli artt. 1260 e 1267 e.e., nonch� degli artt. 
66, secondo comma, 61, terzo comma, e 58, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 censura 
la sentenza impugnata per aver ritenuto che la differenza (L. 137 miliardi) 
tra il valore nominale dei crediti ceduti e il corrispettivo stabilito per la loro cessione 
stipulata tra l'A.R. S.p.a e la F. S.p.a il 10 aprile 1987 fosse deducibile per il suo 
intero ammontare, quale componente negativa di reddito, nel bilancio relativo a 
quell'esercizio, senza considerare: 
-che la scadenza del credito ceduto �era fortemente differita e rateizzata�, 
mentre il prezzo della cessione doveva essere versato dal cessionario in unica soluzione, 
con largo anticipo rispetto alla data di scadenza delle singole rate; 

-che, pertanto, lo scarto tra il valore nominale del credito ceduto e il prezzo 
di cessione costituiva, per il cedente, (non una perdita, ma) un costo �finanziario�, 
correlato al vantaggio, da lui conseguito, di percepire anticipatamente il valore economico 
di una prestazione non ancora esigibile. 

6. -La societ� resistente assume, in via preliminare, che il ricorso sarebbe 
inammissibile: 
-perch� diretto alla ricerca e all'individuazione di un intento pratico delle 
parti diverso da quello ritenuto dal giudice del merito con apprezzamento di fatto 
incensurabile in questa sede di legittimit�; 

-perch�, comunque, l'esistenza di un errore nell'interpretazione del contratto 
sarebbe stata, addotta senza indicare, neppure in via approssimativa, i canoni interpretativi 
che sarebbero stati violati; 

-perch� la censura, in tali termini prospettata, sarebbe stata formulata per la 
prima volta in questa sede di legittimit�. 

6.1. -� per� agevole replicare che le censure della ricorrente non investono 
l'accertamento della �comune intenzione� manifestata dall' A.R. e dalla sua controllante 
F. con la scrittura del 10 aprile 1987 e, quindi, l'interpretazione di detto 
contratto, ma (semmai) la sua qualificazione giuridica, che va ricercata sulla base di 
criteri rigorosamente oggettivi e del tutto distaccati dalla volont� privata (Cass. 20 
febbraio 1993, n. 2048; 16 giugno 1997, n. 5387). 
L'Amministrazione finanziaria non contesta, infatti, che i crediti siano stati 
effettivamente �ceduti� dalla societ� A.R., n� che la cessione sia stata stipulata pro 
soluto. Essa assume, tuttavia, che quando (come nel caso di specie) la cessione ha 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

302 

per oggetto un credito non ancora scaduto, il minor ammontare del prezzo di cessione 
rispetto al valore nominale del credito ceduto non � espressivo di una diminuzione 
del valore intrinseco del credito ceduto, ma rappresenta il costo finanziario 
dell'operazione sostenuto per ottenere la riscossione anticipata del credito. 

6.2. -N� pu� sostenersi che le deduzioni svolte in questa sede dall'Amministrazione 
finanziaria a sostegno della legittimit� della pretesa avanzata nei confronti 
della societ� resistente siano �nuove� e, come tali, inammissibili. 
Invero, fin d�il verbale di constatazione del 7 dicembre 1993, espressamente 
richiamato dall'avviso di accertamento e a suo tempo notificato alla contribuente, si 
era posto in evidenza, da un lato, che il pagamento dei crediti vantati dall 'A.R. nei 
confronti della F.A. doveva essere effettuato �in cinque rate annuali costanti e senza 
interessi a partire dalla fine del sesto anno dalla data di inizio della nuova societ� 
previsto per il 1 gennaio 1987� (j 3); dall'altro, che il pagamento del prezzo della 
cessione avrebbe dovuto essere effettuato entro il 30 aprile 1987 (j. 5). E da tale 
duplice constatazione si era tratta la conclusione che lo scarto di 137 miliardi rispetto 
al valore nominale, non essendo ricollegabile ad una loro parziale inesigibilit�, 
rappresentava l'onere (il costo) finanziario posto a carico del cedente per l'anticipata 
riscossione di tali crediti. 

Le deduzioni formulate in questa sede non presentano pertanto alcun elemento 
di novit� rispetto alle argomentazioni poste a fondamento dell'atto impugnato e non 
posson~ quindi essere considerate tardive. 

7. -Pu� cos� passarsi ad esaminare la fondatezza del gravame. 
Contrariamente a quel che assume la resistente, l'Amministrazione finanziaria 
non mette in dubbio l'idoneit� della cessione di credito a giustificare l'iscrizione al 
passivo della (eventuale) perdita (minusvalenza) corrispondente alla differenza tra 
l'importo del credito e il corrispettivo della cessione, del resto chiaramente riconosciuta 
dall'art. 57, lett. c, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, prima ancora che dall'art. 
66, primo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Essa contesta, invece, che 
il valore del credito ceduto il 1 O aprile 1987 dall 'A.R. alla F. potesse essere individuato 
nel suo valore nominale e che, quindi, il minor importo del corrispettivo 
rispetto a tale valore rappresentasse una perdita (minusvalenza) deducibile secondo 
quanto previsto dal citato art. 66. 

7 .1. -La doglianza in tali termini formulata � fondata. 
Invero, una somma capitale il cui pagamento sia differito nel tempo incorpora 
sempre un interesse �implicito� che � tanto maggiore quanto pi� lontano � il termine 
fissato per l'adempimento del debitore. Ci� � di agevole riscontro per i crediti che 
derivano da un contratto di compravendita, in quanto il prezzo dovuto dal compratore 
� in linea di massima diverso, a seconda che il suo pagamento debba essere 
effettuato alla consegna del bene o in un momento successivo. Ma � non meno vero 
per i crediti �finanziari�, dal momento che, salvo diversa volont� delle parti, la 
dazione di una somma di denaro con facolt� del ricevente di disporne nel proprio 
interesse con obbligo di restituzione, importa la corresponsione di interessi in favore 
del debitore (art. 1815 e.e.). 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Appare quindi evidente che se un credito a lunga scadenza, per il quale non sia 
separatamente prevista la corresponsione di interessi, � valutato in bilancio al suo 
valore nominale, e quindi per l'intera somma capitale, vengono computati all'attivo 
di quell'esercizio valori che matureranno solo negli esercizi successivi, in violazione 
del principio di competenza, che rappresenta uno dei cardini della disciplina del 
bilancio di esercizio, anche ai fini tributari (art. 75, primo comma, d.P.R. 22 dicembre 
1986, n. 917; art. 74, 29 settembre 1973, n. 597). 

Appunto per questo si ritiene ormai da tempo che detti crediti debbano essere 
�attualizzati�, e cio� valutati per il valore che essi hanno al momento della iscrizione 
in bilancio, al netto degli interessi (impliciti) che matureranno negli esercizi 
successivi fino al momento della riscossione. Come del resto � riconosciuto dai 
�Principi Contabili� (doc. n. 6 e n. 15), ai quali la CONSOB, nell'esercizio della 
sua funzione regolatrice dei principi e dei criteri adottare per la revisione contabile 
(art. 10, d.P.R. 31 marzo 1975, n. 138 e, ora, art. 162, secondo comma, lett. c, 
d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58), ha espressamente riconosciuto, fin dal 1982, il ruolo 
di fonte integrativa delle norme di legge in tema di redazione del bilancio di esercizio 
(Comunicazioni 8 aprile 1982, n. 1075; 31 marzo 1993, n. 2423; 1 marzo 
1994, n. 1751; 1� dicembre 1999, n. 88450). 

7 .2. -Deve quindi escludersi che il minor importo del prezzo di cessione 
rispetto al valore nominale del credito ceduto sia espressivo di una perdita (minusvalenza) 
deducibile in bilancio quale componente negativa del reddito d'impresa 
quando la cessione abbia ad oggetto un credito non ancora scaduto per il quale non 
sia separatamente prevista la corresponsione di interessi. Il suo valore, come si � 
posto in evidenza, � minore del suo valore nominale e deve quindi ritenersi che il 
prezzo di cessione � indicativo di una perdita solo se inferiore al valore �attualizzato
� (cio� calcolato al netto degli interessi �impliciti� non ancora maturati) del 
credito ceduto. 
Di ci� non ha tenuto conto la Commissione tributaria regionale, che ha ritenuto 
di poter identificare una perdita deducibile nella differenza del prezzo di cessione 
rispetto al valore nominale del credito ceduto. La sentenza impugnata deve 
essere quindi cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria 
regionale del Lazio, che valuter� la fondatezza dell'appello proposto in via 
principale dall'Amministrazione finanziaria attenendosi al seguente principio di 
diritto: �Il valore dei crediti non ancora scaduti, per i quali non sia separatamente 
prevista la corresponsione di interessi, � inferiore al loro valore nominale poich� 
la somma capitale incorpora in tal caso un interesse implicito, tanto maggiore 
quanto pi� lontana � la data fissata per l'adempimento; pertanto la loro cessione, 
ad un prezzo inferiore al loro valore nominale non rappresenta una perdita (minusvalenza) 
deducibile ai sensi dell'art. 57, lett. c, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; 
una perdita deducibile � configurabile solo se il prezzo di cessione � inferiore al 
valore attualizzato dei crediti ceduti, e cio� al valore dei crediti ceduti calcolato al 
netto degli interessi �impliciti� non ancora maturati al momento della cessione�. 

(omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

304 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 28 ottobre 2000 n. 14253 -Pres. Cantillo 
-Rei. Altieri -P.G. (conf.) Apice -Soc. S.I. c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato De Stefano). 

Convenzioni internazionali -Italia/USA -Royalties -Imponibilit� ILOR nel 
regime della Convenzione del 1955 -Esclusione. 

(d.P.R. 30 dicembre 1980 n. 897, art. 31; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 19; d.P.R. 29 
settembre 1973 n. 599 art. l; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 25, u.c.; Convenzione 30 
marzo 1955 ratificata con legge 19 luglio 1956 n. 943; scambio di note del 13 dicembre 1974 
ratificato con legge 6 aprile 1977 n. 233). 
Nel regime della convenzione Italia/Usa del 30 marzo 1955 contro le doppie 
imposizioni le royalties, corrisposte a soggetto statunitense da soggetto italiano, sono 
esenti anche dall'ILOR, ancorch� detta imposta non sia menzionata tra quelle oggetto 
della Convenzione, come integrata dallo scambio di note del 13dicembre1974, in 
forza del principio di non discriminazione derivante dal diritto comunitario (1 ). 

(1) Una impropria applicazione del Trattato Cee. 
1. -Deve premettersi che sino al d.P.R. 897/80 le royalties non erano imponibili non essendo 
considerate, dall'art. 19 d.P.R. 597/73, richiamato per l'ILOR dall'art. 3, 1 co. d.P.R. 599/73, 
prodotte nel territorio dello Stato, in conformit� a quanto gi� disposto da numerose convenzioni 
internazionali. Dopo tale riforma esse furono assoggettate ad una ritenuta d'imposta IRPEF 
/IRPEG pari al 30% del 70% del loro ammontare. Ma la Convenzione Italia -Usa del 1955 le rendeva 
comunque esenti da una serie di imposte (ante -riforma) poi precisate, con lo scambio di 
note del 1974, nell'IRPEG e nell'IRPEF, per la evidente ragione (da parte americana erano esenti 
dalla sola imposta federale sul reddito) di escludere dall'ambito della convenzione le imposte 
locali (e tale doveva essere considerata la ILOR). 
2. -Di conseguenza, detta fonte di reddito, se fosse stata soggetta alla ritenuta (e non lo 
poteva, per la cennata esenzione pattizia) sarebbe stata esclusa dalla ILOR per il diritto interno 
(art. 1 comma II lett. C d.P.R. 599/73); diversamente, come ritenuto dalla A.F. in base a una interpretazione 
letterale della Convenzione, attesa l'autonomia della ILOR, che colpisce anche i redditi 
esenti dalle altre due imposte sul reddito (art. 1, 1� co. d.P.R. cit.) avrebbe dovuto scontare la 
sola ILOR, oltre, s'intende, quanto dovuto allo Stato di residenza del percipiente. Ci� tra il 1 gennaio 
1982, data di entrata in vigore, ex art. 45, comma IV, d.P.R. 897/80, del novellato art. 19 
d.P.R. 597, alla entrata in vigore della nuova convenzione Italia/Usa del 1984. 
3. -Insorta questione relativa alle pretese erariali per tale periodo di tempo, la Corte, con la 
sentenza in oggetto, preceduta dalla 2 ottobre 2000 n. 12997(pres. Cantillo, rel. Altieri) ha ritenuto 
fondate le doglianze dei contribuenti. 
Con un primo non condivisibile argomento tratto dal diritto internazionale, la Corte ha ritenuto 
che siffatta interpretazione di una Convenzione tendente ad evitare le doppie imposizioni, 
rende il soggetto da essa protetto in posizione fiscale pi� sfavorevole, dovendo pagare l'ILOR in 
Italia e le sue imposte negli Usa. L'argomento non pare avere un peso determinante. Non � la 
Convenzione del 1955 a imporre tale trattamento deteriore, ma il legislatore italiano, con il d.P.R. 
897/80. Peraltro il legislatore, ut talis, pu� derogare -salva la sua responsabilit� internazionale 
-alle convenzioni che non esprimano principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti 
(art. 10 Cost.), ma anche in tale caso la norma in questione sarebbe al pi� incostituzionale. 
Va da s� che la inclusione/esclusione dell'ILOR dal campo della Convenzione non viola un principio 
di diritto internazionale generale. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

305 

(omissis) 

J. -SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 
La societ� S.I., con sede in Westfield (U.S.A.) e priva di stabile organizzazione 
in Italia, chiedeva all'Intendenza di Finanza di Roma il rimborso dell'ILOR e della 
relativa addizionale, versate in sede di dichiarazione dei redditi per gli anni 1982, 
1983, 1984 e 1985 per redditi da royalties corrisposte da licenziatari italiani. 

Formatosi il silenzio -rifiuto la societ� adiva la commissione tributaria di primo 
grado di Roma, la quale accoglieva i ricorsi limitatamente agli anni 1984 e 1985. 

Le decisioni venivano impugnate dalla S. e dall'ufficio finanziario. 

La commissione tributaria di secon.do grado accoglieva il ricorso della societ� 
per il 1982, confermando le altre decisioni. 
Di conseguenza entrambe le parti ricorrevano alla Commissione Tributaria 
Centrale: l'ufficio per il 1982, 1984 e 1985, la S. per il 1983. 
Con decisione 12 dicembre 1996 -19 marzo 1997 la C.T.C., riuniti i ricorsi, accoglieva 
quelli proposti dall'Amministrazione finanziaria e rigettava quello della societ�. 

4. -Con il secondo e pi� rilevante argomento, riconoscendo al diritto comunitario la funzione 
di terza dimensione dell'ordinamento italiano, e ravvisata in esso l'esistenza di un principio 
di non discriminazione ex art. 12 Trattato Ue, in base al quale devono essere interpretate le 
Convenzioni internazionali ex art. 307 Trattato Ue, richiamato l'obbligo -programmatico -di 
eliminare la doppia imposizione all'interno dell'Unione, la Corte ritiene che sia possibile, senza 
disapplicare il diritto interno, interpretarlo in modo evolutivo, e, in conformit� alla sentenza 
1122/2000 (sulla Convenzione Italia/Regno Unito) accoglie il ricorso. 
5. -Due serie di osservazioni. Posto che gli Usa sono uno stato terzo, appare fuori luogo 
richiamare l'art. 293 del Trattato che si riferisce, expressis verbis alla doppia imposizione all'interno 
dell'Unione (i negoziati e le iniziative ivi previste sono a 'favore dei cittadini' Ue). Considerato 
che gli Usa sono uno Stato terzo, e che l'art. 12 vieta la discriminazione 'nell'ambito di 
applicazione del presente Trattato' esso sembra non pertinente. Ci� posto, la funzione dell'art. 
307 (ex 234) non � quella di estendere indiscriminatamente agli Stati terzi i diritti e gli obblighi 
del Trattato, ma quello -trattasi di norma finale -di dirimere conflitti tra il Trattato e gli altri 
trattati posti in essere tra gli Stati membri e i paesi terzi ANTERIORMENTE AL 1 GENNAIO 1958. Tale 
limes conferma che si tratta di una disposizione atta a regolare tale tipo di conflitti. L'interpretazione 
di tali trattati in senso conforme alla Magna charta � semmai riduttiva di clausole di maggior 
favore adottate da Stati terzi, contro i quali la Ue ben pu� dichiarare una 'guerra' commerciale 
e tariffaria (artt. 26 e 27, 131 ss., Tr.). 
L'incidenza del Trattato sembra dunque nulla. 

6. -Ma la sentenza offre il fianco ad ulteriore critica perch� sulle premesse -erronee di 
cui sopra sviluppa un ragionamento a sua volta non condivisibile. In sostanza -si legge che, 
se per i non residenti ... l'esclusione delle rovalties dall'ILOR � condizionata all'effettivo 
assoggettamento a imposizione diretta (ritenuta secca ... ) a pi� forte ragione tale esclusione deve 
valere per i soggetti che ... residenti negli Usa ... sono sottoposti. secondo un regime convenzionale. 
soltanto alla potest� impositiva dello Stato di residenza. Quod est demonstrandum. Da dimostrare 
� proprio che la Convenzione Italia/Usa escluda le royalties da ogni e qualsiasi imposizione 
diretta; s'impone, invece, per lo scambio di note del 1974, conclusione contraria, e, pi� in 
generale, conclusione contraria per tutte le imposte dirette locali (non incluse nella conv. del 
1984, art. 2, che invece includeva la sola ILOR). 
ROBERTO DE FELICE 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STA'fO

306 

La decisione seguiva il principio affermato dalla giurisprudenza di legittimit� nelle 
sentenze 4301/92, 3637/93, 1872/95, 8169/96, secondo cui dalla combinata applicazione 
dell'art.19 del d.P.R. 597/73, nel testo modificato dall'art.31 del d.P.R. 897/80, degli 
articoli 1 del d.P.R. 599/73 e 25 del d.P.R. 600/73 e della Convenzione Italia/U.S.A. contro 
la doppia imposizione del 1955 derivava l'applicabilit� dell'ILOR, stante il mancato 
assoggettamento dei compensi in questione ad effettiva ritenuta (IRPEF o IRPEG). Nella 
decisione si rilevava, inoltre, che la modifica alla Convenzione contenuta nello scambio 
di note del 13 settembre 1974 non faceva menzione di tale imposta. 

Avverso tale decisione la S.I. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di 
un unico mezzo d'annullamento. 

L'Amministrazione Finanziaria dello Stato resiste con controricorso. 

2. -]L MOTIVO DI RICORSO 
Con un unico, articolato motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione 
degli articoli 1, secondo comma, lette), del d.P.R. 599/73; 25, ultimo 
comma, e 75 del d.P.R. 600/73; 35 del d.P.R. 602/73; 128 del d.P.R. 917/86; 3, 
comma 2, 19, comma 2 e 8 della Convenzione Italia /USA del 30 marzo 1955, ratificata 
da legge n. 943/1966 e successive modificazioni, nonch� dello scambio di 
note del 13 dicembre 1974; omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia 
(art. 360, n. 3 e 5, cod.proc.civ. e 111 Cost.). 

Lamenta, innanzitutto, che la decisione non abbia preso in considerazione le 
argomentazioni svolte dalla societ�, limitandosi a recepire acriticamente l'indirizzo 
affermato dalle sentenze della Cassazione. 

Ci�, secondo la ricorrente, si risolverebbe in assoluta carenza di esposizione 
della ratio decidendi. 

Quanto al merito deduce che la disposizione dell'art. 19, primo comma, n. 9, 
del d.P.R. 597/73, nel testo in vigore dal primo gennaio 1982 a seguito delle modifiche 
introdotte dall'art. 31 del d.P.R. 897 /80 (il quale considera prodotti nel territorio 
dello Stato i compensi corrisposti per l'utilizzazione di beni immateriali da 
soggetti residenti a non residenti) deve essere letta in combinazione con l'art. 25 
del d.P.R. n. 597/73, il cui ultimo comma (inserito anch'esso dal d.P.R. 897/80) 
stabilisce l'assoggettamento di tali compensi percepiti da non residenti ad una ritenuta 
del trenta per cento, commisurata al settanta per cento del loro ammontare 
lordo. 

Da ci� consegue, in forza dell'art. 1, secondo comma, lett. e), del d.P.R. n. 599/ 
73, l'inapplicabilit� dell'ILOR sulle royalties percepite da soggetti non residenti. 

L'innesto su tale sistema delle norme della Convenzione del 1955, le quali 
esonerano da imposizione di retta i compensi percepiti da un soggetto, residente 
in uno Stato contraente, nell'altro Stato, avrebbe -secondo la tesi dell' Amministrazione, 
condivisa dalla decisione impugnata -la conseguenza della sottoposizione 
ad ILOR di tali compensi, in quanto non assoggettati a ritenuta in forza del 
regime convenzionale, e anche perch�, nel citato scambio di note del 1974, veniva 
deciso il mantenimento di tale regime anche a seguito della riforma tributaria 
del 1972/73. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Tale ragionamento condurrebbe, innanzitutto, ad un risultato aberrante sotto il 
profilo sistematico, in quanto l'applicazione di una Convenzione contro la doppia 
imposizione finirebbe col rendere il regime fiscale pi� gravoso, rispetto a quello 
operante per un soggetto non residente cui non si applica la Convenzione. 

La ricorrente espone, quindi, le seguenti osservazioni a critica l'interpretazione 
accolta da questa Corte a partire dalla sentenza n. 4301/92: 

a) non dovrebbe, per prima cosa, stante la mancanza di un rigore semantico 
della legislazione fiscale, essere attribuito un dec�sivo valore interpretativo all'espressione 
assoggettati, che, secondo la tesi dell'Amministrazione, dovrebbe indicare 
una concreta applicazione dell'imposta. 

L'argomento tratto dall'art. 9 della legge delega n. 825/1971, che prevede l'esclusione 
da ILOR per taluni redditi che "saranno assoggettati ad imposta sostitutiva" 
non offrirebbe alcun sostegno alla tesi dell'Amministrazione, essendo tale 
norma di tenore assolutamente identico a quello dell'art. 1 del d.P.R. 599/73. 

b) le predette norme non si occupano specificamente dell'imposizione sulle 
royalties, per cui le argomentazioni fondate sulle stesse non tengono conto delle peculiarit� 
di tali compensi rispetto alle forme reddituali di cui si occupa la legge delega; 

c) le argomentazioni contenute nelle pi� recenti sentenze della Corte di Cassazione 
non eliminerebbero le critiche di ordine sistematico mosse alla tesi del1 
'Amministrazione. 

Rileva, inoltre, la ricorrente che la scelta del prelievo alla fonte come forma 
d'imposizione segna un definitivo distacco dalle forme di prelievo ordinarie e costituisce 
una fattispecie distinta, s� che non sarebbe possibile alcuna reviviscenza del 
tributo. In altre parole, l'effetto surrogatorio della ritenuta rispetto al regime ordinario 
si realizza immediatamente e definitivamente, gi� al momento della previsione 
normativa. 

Il regime convenzionale si limiterebbe semplicemente, in coerenza con la sua 
natura e funzione, ad eliminare gli effetti della norma che prevede il prelievo sostitutivo 
(l'art. 25 del d.P.R. 600/73), senza alcuna modificazione della ripartizione tra 
regime sostitutivo e tassazione ordinaria. 

L'effetto assegnato dalla tesi criticata alla norma di una convenzione contro la 
doppia imposizione �, inoltre, assolutamente contrario alla funzione di tali accordi, 
i quali possono soltanto delimitare il potere normativo degli Stati (Grenznormen), 
ma non modificare o ampliare le disposizioni degli ordinamenti interni. 

Infatti, sarebbe assegnato alla norma convenzionale l'effetto di qualificare un 
reddito ai fini dell'applicazione di un tributo. 

Rileva, ancora, la ricorrente che l'ILOR pagata in Italia, non essendo in alcun 
modo riconosciuta dagli U.S.A. come imposta dovuta in Italia, risulta estranea ad 
ogni riconoscimento da parte delle autorit� fiscali statunitensi, le quali applicano i 
loro tributi, finendo col gravare gl'importi di una ingiusta duplicazione. 

In definitiva, l'interpretazione accolta dai giudici tributari finirebbe col gravare 
proprio i soggetti per i quali vige un regime convenzionale contro la doppia imposizione, 
rispetto a quelli di altri Paesi ( magari paradisi fiscali) 

La tesi contrastata, infine, non tiene conto del principio dell'interpretazione 
secondo buona fede, contenuto nell'art. 31 della Convezione di Vienna sull'interpretazione 
dei trattati. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� 

In via subordinata, la ricorrente invoca l'art. 128 del d.P.R. n. 917/86 (applicabile 
nella specie per effetto dell'art. 36 del d.P.R. 4211988), secondo cui pu� essere 
data applicazione alle norme interne, ove pi� favorevoli al contribuente di quelle 
contenute in convenzioni internazionali. 

Sotto altro profilo, l'inapplicabilit� dell'ILOR conseguirebbe dal difetto di presupposti, 
in quanto il reddito percepito dalla societ� americana, che � indubbiamente 
reddito d'impresa, non � prodotto in Italia. 

La mancata menzione dell'ILOR nello scambio di note del 13 novembre 1974 
non costituisce argomento decisivo a favore della tesi della tassabilit�. 

Solo la Convenzione Italia/USA del 1955 non conteneva, come altre convenzioni, 
una formula di salvaguardia, che estendeva il regime convenzionale anche alle 
imposte future di natura identica o analoga (come l'art. 1, par. 2, la Convenzione col 
Regno Unito del 4 luglio 1960). 

Peraltro, l'indicazione espressa dell'IRPEF e l'IRPEG, da parte di citato scambio 
di note, il cui scopo era quello di estendere la Convenzione al nuovo regime dell'imposizione 
statale sui redditi, non poteva avere valore tassativo, ma costituiva 
soltanto una mera ricognizione del sistema d'imposizione statale diretta. 

In realt�, nonostante la qualificazione del tributo come locale, non sussisterebbero 
dubbi circa la natura erariale dello stesso. 
La mancata previsione dell'ILOR deve spiegarsi soltanto con l'originario convincimento 
che si trattasse di imposta locale. 

La possibilit� d'interpretare la Convenzione come contenente una generale previsione 
di escludere le royalties da ogni forma d'imposizione erariale sui redditi, 
deriverebbe, inoltre, dalla considerazione che la clausola di salvaguardia contenuta 
in altre convenzioni contro la doppia imposizione costituirebbe soltanto applicazione 
di un principio di carattere generale, pur non affermato espressamente nella Convenzione 
stessa. 

D'altra parte, allo scambio di note non pu� essere assegnato l'effetto di caducazione 
dell'originario regime convenzionale del 1955, in base al quale non poteva 
escludersi l'esenzione dall'ILOR. 

3. -MOTIVI DELLA DECISIONE 
3.1. -Il ricorso merita accoglimento, anche se per ragioni giuridiche non completamente 
coincidenti con quelle svolte dalla ricorrente. 
Deve sgombrarsi il campo, anzitutto, dalla censura di violazione di legge per 
asserita impossibilit� di ricostruzione della ratio decidendi. Trattandosi di decisione 
della Commissione Tributaria Centrale, la stessa � soggetta a ricorso per cassazione 
ex art. 111 Costituzione, e perci� soltanto per violazione di legge, e non per insufficienza 
della motivazione. 

Secondo la costante giurisprudenza di legittimit�, tale mezzo straordinario 
d'impugnazione, per quanto attiene alla motivazione, � esperibile soltanto quando 
quest'ultima sia del tutto mancante o contraddittoria, e cio� tale da impedire una 
ricostruzione delle ragioni che hanno determinato la decisione. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Tale situazione non si � certamente verificata nella specie, avendo la Commissione 
Centrale spiegato le ragioni per cui i redditi in questione dovevano ritenersi 
soggetti ad ILOR. 

La mancata presa in considerazione delle argomentazioni della ricorrente non 
costituisce, pertanto, vizio di legittimit�, censurabile nell'ambito del ricorso straordinario 
ex art.111 Costituzione. 

3.2. -Sulla questione dell'assoggettabilit� ad ILOR delle royalties corrisposte 
a residenti italiani a societ� aventi sede negli U.S.A. secondo il regime della convenzione 
bilaterale contro la doppia imposizione del 30 febbraio 1955 e lo scambio 
di note 13 dicembre 1974 questa Corte si � di recente pronunciata in senso negativo 
con sentenza 16374/98, ud. 10/12/99), con la quale non � stato condiviso il precedente 
indirizzo, seguito dalla decisione impugnata. 
3.3. -Nelle precedenti pronunce di questa Corte era stato ritenuto che il regime 
fiscale delle royalties percepite da societ� statunitensi non aventi stabile organizzazione 
in Italia, nel periodo successivo alla riforma tributaria del 1973 e anteriormente 
all'entrata in vigore in Italia della nuova convenzione bilaterale 17 aprile 
1984, comporta la soggezione di tali compensi all'ILOR. 
Sar� bene sintetizzare i diversi orientamenti delineatisi sul problema. 
La tesi dell'esclusione dall'ILOR si basa sulle seguenti considerazioni: 
a) per il regime generale di diritto interno sono esclusi dall'ILOR i <<redditi assoggettati 
a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta>> (art. 1, lett. c) del d.P.R. n. 599/73). 

Il regime impositivo delle royalties percepite da societ� straniere senza stabile 
organizzazione in Italia (che fino al 1981 comportava esenzione totale da imposta), 
dal 1982 � quello della tassabilit� in Italia, in base all'art. 19, n. 9, del d.P.R. 
597/73 (modificato dal d.P.R. n. 897/80), richiamato per l'IRPEG dall'art. 22 del 

d.P.R. n. 598/73 e per l'ILOR dall'art. 3 del d.P.R. n. 599/73, con un regime particolare 
di riscossione dell'imposta e di aliquote applicabile dal 1� gennaio 1982 (art. 
25 del d.P.R. n. 600173, modificato dal d.P.R. n. 897/80), e cio� ritenuta alla fonte 
pari al 30 per cento del 70 per cento dell'ammontare delle royalties. 
Per assoggettamento alla ritenuta alla fonte, la quale ha carattere omnicomprensivo 
e perci� esclusivo dell'ILOR, deve intendersi, non l'effettivo prelievo, ma 
il regime giuridico applicabile, come emergerebbe dall'art. 115, lett. e), del d.P.R. 4 
febbraio 1986, n. 917, nel cui testo, a differenza dell'art. 1, lett. c) del d.P.R. 

n. 599/73 in cui si parlava di �redditi assoggettati a ritenuta alla fonte�, l'esclusione 
dall'ILOR concerne �i redditi soggetti a ritenuta alla fonte�. Norma, questa, 
applicabile anche ai redditi prodotti nel 1984 per l'espressa previsione dell'art. 36 
del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42; 
b) per quanto attiene al regime convenzionale, l'accordo Italia U.S.A. del 30 
marzo 1955, ratificato con la legge n. 643/56, attribuiva (art. 8) la competenza 
impositiva secondo il criterio della residenza del percipiente. Regime, questo, pi� 
favorevole di quello stabilito con altri trattati stipulati dall'Italia e uniformatisi al 
modello OCSE, per i quali viene concesso anche allo Stato della fonte del reddito 
un limitato potere impositivo. 


RASSEGNA AVVOCATI.IRA DELLO STATO' 

310 


Il raffronto tra il regime originario e quello della nuova convenzione, con cui 
si consentiva allo Stato della fonte un'imponibilit� fino al 10%, confermerebbe la 

I i

tesi dell'esenzione in Italia da tutte le imposte statali, e fra esse l'ILOR, nel periodo 
1974 -1984. 
Lo scambio di note tra Italia ed U.S.A. del 13 dicembre 1974 (ratificato con la 
legge 6 aprile 1977, n. 233) consentiva espressamente l'estensione al nuovo regime 

I 

tributario del principio dell'esenzione dalle imposte statali e, quindi, all'IRPEF e 
all'IRPEG e non all'ILOR. Questa, per�, a seguito dell'unificazione del sistema di 
riscossione con autotassazione, era divenuta �statale�, e quindi ricompresa nell'esenzione 
prevista dalla convenzione del 1955. 

La contraria tesi, accolta dalle citate sentenze della Corte, si fonda sulle seguenti 
ragioni: 

a) la modifica del sistema italiano entrato in vigore nel 1974 non aveva inciso 
in modo definitivo sul regime convenzionale. In attesa di una regolamentazione 
definitiva, veniva instaurato col citato scambio di note un regime transitorio, col 
quale continuava ad applicarsi la convenzi0ne del 1955, con espresso riferimento 
all'IRPEF e all'IRPEG. 

La tassativit� della previsione precludeva qualsiasi interpretazione estensiva o 
applicazione analogica del regime speciale, pur riconoscendosi l'erroneit� della qualificazione 
dell'ILOR come imposta locale. 

Pertanto, nel detto periodo le royalties restavano soggette all'applicazione dell'ILOR, 
se e in quanto consentito dalle norme interne; 

b) secondo la disciplina di diritto interno, applicabile ai redditi prodotti dal 1 � 
gennaio 1982 al 1984, la percezione dell'IRPEF e dell'IRPEG sulle royalties si attua 
mediante ritenuta alla fonte nella misura del 30% sull'ammontare lordo del 70% dei 
compensi. Per espressa previsione normativa art. 1, secondo comma, lett. c ), del 

d.P.R. n. 599/73 tale regime comporta l'esclusione dall'ILOR. 
Essendo il regime convenzionale transitorio vigente nel detto periodo per le 
societ� statunitensi che avessero percepito royalties in Italia quello dell'esenzione 
da IRPEF e da IRPEG,e non quello della ritenuta, tra i due criteri previsti dall'art. 1 
del d.P.R. n. 599/73 (quello generale di sottoposizione ad ILOR di tutti i redditi 
esenti da IRPEF o da IRPEG, e quello eccezionale di esclusione dall'ILOR per i redditi 
assoggettati a ritenuta alla fonte), non pu� che applicarsi il criterio generale. 

Tale principio era stato gi� affermato da questa Corte nella sentenza 8 aprile 
1992, n. 4301, riguardante la convenzione Italia -Regno Unito ratificata con legge 
12 agosto 1962, n. 1378; 

e) anche volendo interpretare l'art. 1, secondo comma, lett. c) del d.P.R. 

n. 599/73 nel senso che l'assoggettamento a ritenuta alla fonte non indichi il concreto 
prelievo, ma il regime giuridico, era decisivo il rilievo che il mancato assoggettamento 
dei redditi in questione non � una situazione contingente, ma costituisce 
proprio il regime giuridico di quei soggetti di imposta per quel tipo di reddito, non 
sottoposto a ritenuta alla fonte in virt� del regime convenzionale. 
3.4. -La Corte ritiene che il problema debba essere integralmente rimeditato, 
alla luce dei principi di diritto internazionale che regolano le convenzioni in materia 
di doppia imposizione e, soprattutto, di quelli del diritto comunitario. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Sotto il primo profilo appare singolare che il risultato dell'applicazione di una 
convenzione, la quale prevede una attribuzione della potest� impositiva al Paese di 
residenza del scggetto percipiente, con esclusione di quella del Paese della fonte, 
comporti, in forza di un meccanismo di diritto interno, un trattamento fiscale nel 
secondo Paese complessivamente pi� sfavorevole, in quanto all'imposizione diretta 
nel Paese di residenza si aggiungerebbe quella ILOR in Italia. 

Occorre considerare -come premessa orientativa generale e senza che la stessa 
possa costituire una regola inderogabile -che le convenzioni in materia di doppia 
imposizione, nella loro natura di norme di diritto internazionale di conflitto, 
hanno il fine di eliminare le sovrapposizioni dei sistemi fiscali nazionali, perch�, in 
tal caso, le pretese fiscali degli Stati si sommerebbero, e i soggetti obbligati dovrebbero 
subire, per i loro redditi e patrimoni all'estero, un carico pi� gravoso, che finirebbe 
con l'ostacolare le attivit� internazionali economiche e d'investimento. Lo 
scopo di tali trattati �, pertanto, quello di stabilire che ad un potere impositivo su un 
determinato oggetto di uno Stato deve corrispondere una rinuncia all'esercizio del 
potere impositivo da parte dell'altro Stato. 

Secondo la pi� autorevole dottrina giuridica dei Paesi in cui tali norme hanno 
grande rilievo nei rapporti economici internazionali (soprattutto negli U.S.A., in 
Gran Bretagna e in Germania), la stessa funzione delle convenzioni sulla doppia 
imposizione comporta che nel sistema da essi introdotto costituisca principio regolatore 
fondamentale il divieto di discriminazione, anche nei trattati, come quello di 
cui si discute, non conformi al modello OCSE, e non contenenti una specifica clausola 
che recepisca tale principio, come l'art. 24 del nuovo trattato Italia -U.S.A. del 
17 aprile 1984. 

Se si riconosce la validit� di tali premesse, deve convenirsi che il ragionamento 
dell'Amministrazione conduca ad una conclusione inaccettabile, in quanto proprio 
una convenzione contro la doppia imposizione, in quanto impedisce la concreta 
applicazione di una forma d'imposizione sostitutiva del regime ordinario di 
tassazione, provocherebbe l'applicazione del tributo sostituito, rendendo pi� gravoso 
il regime fiscale rispetto a quello che si sarebbe applicato se la convenzione non 
fosse stata operante. 

3.5. -Per quanto attiene al secondo profilo, deve in via generale ricordarsi che 
il diritto comunitario entra in gioco come terza dimensione nella geometria dell' ordinamento 
giuridico, e che lo stesso svolge la sua influenza, pur con differente intensit�, 
anche nell'interpretazione ed applicazione di trattati internazionali conclusi da 
Paesi membri dell'Unione Europea (o, in precedenza, della Comunit� Europea), tra 
loro e con Paesi terzi. 
Riguardo a tale specie di trattati � necessario, per�, verificare se la disciplina 
convenzionale applicabile sia anteriore o posteriore all'entrata in vigore del Trattato 
di Roma (1 gennaio 1958). 

L'art. 234 (307 nella versione consolidata a seguito del Trattato di Amsterdam), 
primo comma, del Trattato CE, fa salve le convenzioni internazionali concluse dagli 
Stati membri prima di tale data, per cui i diritti e gli obblighi sorti da tali convenzioni 
restano immodificabili e non subiscono l'influenza del diritto comunitario. 
Tale regola viene comunemente ricondotta al principio pacta sunt servanda ed � 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

stata ribadita dalla Corte di Giustizia CE nelle sentenze 14 ottobre 1980, C-812/79, 
procedimento penale c. Juan C. Burgoa; 11 marzo 1986, C-121/85, Conegate Limi


ted c. HM Customs & Excise. 

Il secondo comma dell'art. 307 prevede che gli stati membri devono assumere 
le necessarie misure per rimuovere le divergenze col diritto comunitario che possano 
derivare dall'applicazione di tali trattati. 

Dalle predette disposizioni si ricava, a contrario, che i trattati internazionali 
conclusi dagli Stati membri con Paesi terzi successivamente all'entrata in vigore del 
Trattato di Roma devono conformarsi al diritto comunitario, primario e secondario. 

Prendendo in considerazione le convenzioni bilaterali miranti ad evitare la doppia 
imposizione, vi � da considerare, anzitutto, che la materia dell'imposizione diretta 
non rientra nelle competenze normative comunitarie. L'art. 220 (293 nella versione 
consolidata) prevede che gli Stati membri avviino tra loro, <<per quanto 
occorra, negoziati intesi a garantire, a favore dei loro cittadini ... l'eliminazione 
della doppia imposizione fiscale all'interno della Comunit��. 

Nella sentenza 14 febbraio 1995, C-279/93, Finanzamt Koln-Altstadt c. Roland 
Schumacker, la Corte di Giustizia comunitaria ha enunciato i seguenti principi: 

a) bench� la materia delle imposte dirette non rientri, in quanto tale, nella 
competenza della Comunit�, l'esercizio da parte degli Stati membri di questa competenza 
loro attribuita non pu� prescindere dal diritto comunitario; 

b) il principio di non discriminazione previsto in generale dall'art. 6 (12 nella 
versione consolidata) del Trattato, e ribadito in altre norme, quale l'art.48 nei confronti 
dei lavoratori dipendenti, osta a che la normativa di uno Stato membro in 
materia d'imposte dirette conceda ai residenti il beneficio di particolari procedure 
(nel caso di specie, il conguaglio annuale delle ritenute alla fonte a titolo d'imposta 
sulle retribuzioni), ma lo neghi a persone fisiche che percepiscano risorse di natura 
retributiva nel suo territorio, ma non abbiano ivi residenza. 

Tali principi devono essere applicati anche al trattamento d'imposizione fiscale 
diretta percepiti da una societ� non avente sede nel Paese della fonte, essendo la 
regola generale di non discriminazione, testualmente riferita dall'art. 12 (ex 6) alle 
persone fisiche, ritenuta pacificamente applicabile anche alle societ�. 

L'applicabilit� del principio di non discriminazione nel campo dell'imposizione 
fiscale diretta � stata ripetutamente affermata dalla Corte di Giustizia: si vedano 
soprattutto le sentenze 28 gennaio 1985, C-270/83, Commissione c. Francia; 13 
luglio 1993, C 330/91, Commerzbank; 12 aprile 1994, C-1193,Halliburton Services; 
15 maggio 1997, C-250/95, Futura Participations. 

Il principio di non discriminazione in materia fiscale, dapprima applicato con 
riferimento alla libera circolazione dei lavoratori, ha finito con l'assumere un'estensione 
assai pi� ampia, includendo tutte quelle forme dissimulate, basate sulla residenza 
o su sistemi differenziati di tassazione, che si traducono in discriminazioni 
basate sulla nazionalit� e finiscono col limitare la libera circolazione dei capitali 
(art. 58, ex 73 D, del Trattato). 

Esso deve, pertanto, essere applicato anche al trattamento d'imposizione fiscale 
diretta dei redditi percepiti in uno Stato membro da una societ� avente sede in un 
altro Stato membro. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

In base a quanto gi� osservato, anche per i trattati coi Paesi terzi, pertanto, l'applicazione 
delle norme convenzionali nell'ambito intra -comunitario e dell'ordinamento 
dello Stato membro contraente incontra i limiti del principio di non discriminazione 
e del rispetto delle libert� fondamentali garantite dal Trattato. 

La soggezione al diritto comunitario -nell'ambito della Comunit� europea 
-del contenuto dei trattati coi Paesi terzi comporta quindi, l'obbligo del giudice 
nazionale e della pubblica amministrazione di interpretare le disposizioni convenzionali 
in modo conforme al diritto comunitario e, nei casi in cui tale interpretazione 
conforme non sia possibile, di trarre tutte le conseguenze che derivano 
dal contrasto tra le norme dei due ordini, prima fra tutte l'obbligo di disapplicare 
le norme (interne o di diritto internazionale pattizio) contrastanti con le disposizioni 
e principi di diritto comunitario, primario o secondario, che abbiano diretta 
applicabilit�. 

3.6. -Tanto premesso, occorre verificare se la disciplina convenzionale vigente 
all'epoca della percezione delle royalties in contestazione fosse anteriore o posteriore 
all'entrata in vigore del Trattato CEE. 
La Convenzione con gli Stati Uniti d'America, stipulata il 30 marzo 1955, ratificata 
e resa esecutiva in Italia con legge 19 luglio 1956, n. 943, non pu� considerarsi 
la fonte della disciplina normativa regolante i rapporti in contestazione. 

Infatti, a seguito dell'introduzione della riforma tributaria del 1972, la quale 
istituiva un nuovo sistema d'imposte sul reddito, interveniva uno scambio di note tra 
i due Paesi contraenti il 13 dicembre 1974, reso esecutivo in Italia con la legge 6 
aprile 1977, n. 233, col quale si stabiliva di estendere l'applicazione della Convenzione 
all'IRPEF e all'IRPEG. Tale estensione non si esauriva, quindi, in una manifestazione 
della volont� di mantenere in vigore la convenzione, ma in quella dell'adozione 
di un nuovo regime, essendo radicalmente modificato il sistema nazionale 
d'imposizione diretta nel quale doveva essere innestato il regime convenzionale. 
Pertanto, con lo scambio di note sopra citato, la Repubblica Italiana non si limit� ad 
apportare limitate modificazioni alla convenzione. 

Ne deriva, quindi, che il regime convenzionale sull'imposizione diretta dei redditi 
in contestazione, percepiti nel 1984, deve ritenersi pienamente soggetto -per 
quanto riguarda i suoi contenuti -al diritto comunitario. 

3.7. -Posti tali principi, non pu� contestarsi che l'interpretazione sostenuta dal1 
'Amministrazione conduca, inevitabilmente, ad una discriminazione dei soggetti 
residenti negli Stati Uniti d'America nei confronti dei residenti in Italia e dei residenti 
in Paesi diversi dagli U.S.A. nell'ambito intra -comunitario. Infatti, l'indiscriminata 
applicazione del meccanismo della ritenuta secca quale condizione per 
l'esclusione delle royalties dall'ILOR comporta, per i residenti negli U.S.A., l'impossibilit� 
di poter usufruire di tale beneficio, in quanto, in forza del regime convenzionale, 
essi non hanno possibilit�, neppure in astratto, di subire la ritenuta, 
dovendo assolvere al debito tributario diretto nello Stato di residenza. 
Il principio di non discriminazione, previsto in via generale dall'art. 6, deve, 
quindi, essere coniugato con la specifica funzione delle convenzioni dirette ad evitare 
la doppia imposizione ed acquista, in tale contesto, un pregnante significato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

314 

La Corte ritiene che, per evitare tale discriminazione, non sia necessario giungere 
alla disapplicazione del diritto interno, essendo possibile interpretare quest'ultimo 
nelle sue connessioni con la disciplina convenzionale in modo conforme 
ai principi del diritto comunitario, nel senso che, se per i residenti in Paesi diversi 
dagli U.S.A. l'esclusione delle royalties dall'ILOR � condizionata all'effettivo 
assoggettamento alla ritenuta secca, (comprensiva d� tutte le forme d'imposizione 
diretta o, se si vuole, sostitutiva di queste), a pi� forte ragione tale esclusione deve 
valere per i soggetti che, essendo residenti negli U.S.A., sono sottoposti, secondo 
un regime convenzionale, soltanto alla potest� impositiva diretta dello Stato di 
residenza. 

L'interpretazione che qui si accoglie (in conformit� alla citata sentenza e a quella 
1122/2000, resa sugli analoghi problemi suscitati dalla Convenzione Italia Regno 
Unito del 4 luglio 1960) lascia, ovviamente, impregiudicato il problema della 
validit� della tesi sostenuta dall'Amministrazione per i rapporti non regolati dalla 
Convenzione. 

3.7. -Il ricorso dev'essere, pertanto, accolto, e la decisione dev'essere cassata, 
con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio. 
I giudici di rinvio si uniformeranno al seguente principio di diritto: 
�I redditi da royalties corrisposti da residenti italiani a societ� aventi sedi negli 

U.S.A. e prive di stabile organizzazione in Italia, in base alla disciplina risultante dal 
diritto interno nelle sue connessioni con la Convenzione Italia -U.S.A. 30 marzo 
1955, modificata con scambio di note 13 dicembre 1974, sono esclusi dall'ILOR�. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 30 ottobre 2000 n. 14281 -Pres. Cantillo 
-Rei. Merone -P.G. (conf.) Pivetti -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
De Stefano) c. soc. S.C. 

Contenzioso -Questioni preliminari -Lite su spettanza di esenzione decennale 
-Lite su rimborso delle imposte versate in uno dei dieci anni, nell'attesa 
del provvedimento di esenzione -Continenza reciproca. 

(c.p.c., art. 39, II co.). 

Contenzioso -Nuovo rito -Divieto di sospensione del processo tributario Questioni 
pregiudiziali rimesse ad altro giudice tributario -Sospensione 
necessaria -Opera. 

(c.p.c., art. 295; d.lgs. 31dicembre1992 n. 546, art. 39). 

La lite vertente sulla spettanza della esenzione decennale ILOR prevista dal! 
'art. 26 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, e quella relativa al rimborso, per uno dei 
periodi d'imposta interessati, dell'ILOR provvisoriamente assolta sono in rapporto 
di continenza reciproca, la prima essendo in rapporto di pregiudizialit� necessaria 
rispetto alla seconda, e da essa parzialmente contenuta, ma contenendo a sua volta 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

315 

la prima per la maggiore ampiezza della questione (sopra il decennio anzich� l'anno) 
trattata (l). 

Nel processo tributario l'art. 39 del d.lgs. 546192, nel vietare la sospensione del 
medesimo, salvo la pregiudizialit� di questioni di stato o di querela di falso, si riferisce 
ai rapporti con altri processi pendenti innanzi al giudice ordinario; di conseguenza, 
la sospensione necessaria del processo opera nel caso di questioni pregiudiziali 
rimesse ad altro giudice tributario (2). 

(1-2) Osservazioni in tema di continenza, pregiudizialit� e sospensione necessaria nel 
nuovo rito tributario. 

1. 
-La controversia. 
La fattispecie oggetto della sentenza della Cassazione, sezione tributaria, n. 14281100, pu� 
essere sinteticamente rappresentata come segue: 
1) una societ�, esercitante la sua attivit� imprenditoriale nel Mezzogiorno, chiedeva con due 
distinte istanze: 
a) l'accesso alle agevolazioni fiscali di cui agli artt. 26 del d.P.R. 601/73 e 105 del d.P.R. 
218/78. 
b) Il rimborso delle somme pagate, avendo la stessa, nelle more della procedura per l'accertamento 
del diritto alle agevolazioni fiscali, versato per intero le imposte alla scadenza di 
legge. 
2) Rigetto, da parte degli uffici competenti, di entrambe le istanze con distinti provvedimenti. 
3) Impugnazione, da parte della societ�, di entrambi i provvedimenti con distinti ricorsi 
(l'uno per l'accertamento del diritto alle agevolazioni per 10 anni, l'altro per il rimborso delle 
somme relative gi� pagate per il solo anno 1987). 
4) Il ricorso contro il rigetto dell'istanza di rimborso, respinto in primo grado, viene accolto 
in appello, sulla base di sentenza favorevole di primo grado, non passata in giudicato, relativa 
al ricorso contro l'altro provvedimento di diniego del diritto all'agevolazione. 
5) L'Amministrazione finanziaria presenta ricorso alla Suprema Corte, la quale decide con 
la sentenza in commento, accogliendo il ricorso stesso, per essere stata, la sentenza impugnata, 
decisa sulla base di un acritico recepimento della sentenza emessa nel processo relativo all' accertamento 
del diritto alle agevolazioni, senza che la stessa fosse passata in giudicato. 

2. 
-Rapporto di continenza. Le domande esaminate. 
Il primo problema che la sentenza in commento impone e che, infatti, viene affrontato dal 
collegio giudicante, � quello relativo al rapporto sussistente fra le due cause (quella relativa 
all'accertamento del diritto alle agevolazioni e quella relativa alla domanda di rimborso). 
In via preliminare occorre, a tal fine, verificare la totale o parziale identit� degli elementi 
identificativi delle due azioni. Sotto questo profilo, si rileva l'identit� dei soggetti (medesima 
societ� contro Amministrazione finanziaria), parziale identit� di causa petendi (elemento comune 
� il titolo in base al quale vengono esercitate le due domande: disposizioni legislative che prevedono, 
sussistendo certi presupposti, il diritto alle agevolazioni, cui si aggiungono, nella causa 
di rimborso, le altre condizioni della indebiti condictio, e in particolare la solutio), ma differenza 
di petitum (da un lato, annullamento del diniego della agevolazione richiesta e accertamento del 
relativo diritto; dall'altro, rimborso). Tali parziali differenze, pertanto, portano all'esclusione 
della litispendenza, ma lasciano aperto il problema circa l'eventuale sussistenza di un rapporto di 
continenza fra cause. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) 

1. -FATTO E MOTIVI DEL RICORSO 
1.1. -Il Ministero delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato 
e difeso ex lege dalla Avvocatura Generale dello Stato, ricorre contro la S.C. 
s.r.l., esercente attivit� edile, per la cassazione della sentenza specificata in epigrafe, 
con la quale la Commissione Tributaria Regionale di L'Aquila ha riconosciuto 
alla societ� intimata il diritto al rimborso dell'ILOR e dell'IRPEG versate per l'anno 
1987, sulla bas.e della esibizione di una decisione di un'altra Commissione Tributaria, 
�con la quale sono state accordate le agevolazioni richieste dalla S.C. in precedenza 
negate dall'Amministrazione Finanziaria� (p. 2 della sentenza impugnata). 
2.1.(segue) -Rapporto di continenza tra cause. In generale. 
S'�mpone, a questo punto, una breve analisi circa la nozione di continenza. Secondo la concezione 
tradizionale, ancora dominante in dottrina (MANDRIOLJ (1), LORENZETTO-PESERICO (2), 
MoNTELEONE (3)), la continenza di cause �si verifica quando una delle azioni contiene l'altra per 
la maggior ampiezza del petitum ferma la coincidenza di tutti gli altri elementi� ( 4). Secondo questa 
impostazione, pertanto, due cause in rapporto di continenza sono come due cerchi concentrici, 
di cui uno contiene per intero l'altro. 
Tornando al caso di specie, pertanto, assumendo tale nozione tradizionale di continenza, si 
perverrebbe alla conclusione che, nella fattispecie in oggetto, non sussisterebbe tale rapporto fra 
le due cause. I petita delle stesse, infatti, non sono tali per cui uno contiene per intero l'altro, 
bens� sono parzialmente coincidenti, avendo ciascuno qualcosa in pi� dell'altro e qualcosa in 
meno, fermo restando un nucleo comune ad entrambi. Si consideri, infatti, che con una causa si 
chiede l'accertamento del diritto alle agevolazioni per dieci anni, con l'altra, l'accertamento del 
diritto alle agevolazioni per il solo 1987 (accertamento, quindi, molto pi� ristretto rispetto a 
quello dell'altra causa che, come appena ribadito, si estende al maggiore periodo di dieci anni), 
nonch� la condanna della P.A. al rimborso (elemento in pi� rispetto alla prima causa). Per tornare 
alla metafora geometrica dei cerchi quindi, nel caso di specie, pi� che due cerchi concentrici, 
abbiamo due cerchi intersecantisi. 
Tale nozione ristretta e tradizionale di continenza, limitata alla continenza del petitum, tuttavia, 
non � accolta dalla giurisprudenza dominante, la quale � pervenuta ad una estensione dell'area 
della continenza oltre i limiti che essa tradizionalmente aveva, ricomprendendovi anche 
ipotesi in cui fra due cause vi sia un rapporto di necessaria pregiudiziali� logico-giuridica, per cui 
l'una causa non pu� essere decisa senza la previa definizione della questione oggetto dell'altra 
causa(5). Ci� comporta un allargamento del giudizio di continenza all'area della causa petendi. 
Infatti, in una delle ipotesi tipiche di continenza 'pretoria', quale il rapporto tra due domande di 
accertamento di obbligazioni contrapposte sorgenti dallo stesso rapporto, il fatto costitutivo di 
entrambe le domande � il titolo (esistenza e validit�, ad esempio, di un contratto sinallagmatico); 
tale fatto � integrato e specificato da fatti secondari (inadempimento di Tizio, inadempimento di 
Caio). Quindi, la causa petendi, che, come � rioto, consiste nei fatti costitutivi della domanda, � 
parzialmente comune nelle due domande contrapposte, quindi in rapporto tra loro di continenza. 

(1) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 2000, voi. I, 250. 
(2) LORENZETTO-PESERICO, La continenza di cause, 1992, 7. 
(3) MONTELEONE, ve. Continenza, in Enciclopedia giuridica. 
(4) MANDRIOLI, Diritto processuale civile, 2000, voi. I, 250. 
(5) Si vedano, fra le molte, Cass. Civ., sez. III, 4 aprile 1997, n. 2922, inResp. civ. e prev., 1997, 1108. Ancora, 
Cass.civ., sez. lav., 23 marzo 1994, n. 2803. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

317 

1.2. -In fatto, per quanto risulta dal ricorso e dalla decisione impugnata, la 
societ�: 
a) con istanza del 27 dicembre 1986 (la diversa data del 27 dicembre 1996, 
indicata nel ricorso, deve essere frutto di un evidente errore materiale), ha chiesto 
all'Ufficio II.DD. di Chieti, le agevolazioni fiscali di cui agli artt. 26 d.P.R. 601/73 
e 105 d.P.R.218/78; 

b)con successiva istanza del 31 maggio 1989, ha chiesto il rimborso dell'ILOR 
e del 50% dell'IRPEG versate contestualmente alla presentazione della dichiarazione 
dei redditi per il 1987. 

In questa ipotesi, secondo fa giurisprudenza dominante, dovrebbe operare il meccanismo di 
cui all'art. 39 co. 2 c.p.c. con la conseguente riunione delle due cause, in considerazione delle fondamentali 
esigenze di evitare il contrasto di giudicati e di garantire l'armonia e la coerenza del1'
ordinamento. 

Va aggiunto, per�, che per la dottrina dominante, questa impostazione finisce per determinare 
un offuscamento dei confini fra la nozione di connessione per pregiudizialit� e guella 
di continenza, facendo rientrare nella seconda ipotesi che pi� correttamente dovrebbero rientrare 
nella prima. Secondo tale impostazione(6) le esigenze di coerenza e armonia dell'ordinamento 
possono, pi� correttamente, essere perseguite attraverso il meccanismo della sospensione 
di cui all'art. 295 c.p.c., prevista proprio per le ipotesi di connessione per pregiudizialit�, 
senza scomodare l'art. 39 co. 2, che, in verit�, risponde ad una logica parzialmente diversa da 
quella che ispira l'art. 295 c.p.c .. La disciplina della continenza, infatti, rinviene la sua ratio 
nell'esigenza di evitare un'in�tile e dispendiosa reiterazione di attivit� giurisdizionale, quale si 
avrebbe qualora non fossero riunite dinanzi al medesimo giudice due cause, di cui una ricomprende 
per intero l'altra. La ratio della sospensione ex art. 295 c.p.c. invece consiste nell'evitare 
semplicemente che una questione, comune a due cause e pregiudiziale in una di esse, sia 
decisa diversamente nelle due sentenze. Per la dottrina, quindi, attesa la diversit� di ratio, le 
regole della continenza non si possono applicare per analogia alle ipotesi di connessione per 
necessaria pregiudizialit�. 

Si ritiene condivisibile l'analisi circa la diversit� di rationes che ispirano, rispettivamente, 
l'art. 295 c.p.c. e l'art. 39 co.2 c.p.c., ma non si condivide la conclusione relativa all'inapplicabilit� 
della continenza in ogni caso in cui, pur sussistendo un rapporto di necessaria pregiudizialit� 
logico-giuridica, non sussista una situazione in cui il petitum di una causa risulti interamente 
ricompreso nel petitum dell'altra. Si � gi� visto, sopra, che il rapporto di continenza pu� essere 
valutato anche con riferimento alla causa petendi, e tale � il caso in cui la continenza ricorra tra 
cause in cui un fatto costitutivo di ambo le domande sia comune. 

Si consideri, in proposito, la fattispecie oggetto della sentenza in analisi. In tale fattispecie, 
come gi� visto, si ravvisa una parziale identit� di petita e di causa petendi fra le due cause in considerazione, 
per cui, accanto ad un nucleo comune, si ravvisa, in ognuna delle due, qualcosa in 
pi� e qualcosa in meno rispetto all'altra. 

Risulta evidente, inoltre, che l'accertamento circa la sussistenza del diritto alle agevolazioni 
per il 1987, risulta pregiudiziale alla domanda di rimborso; da ci� consegue la sussistenza, nel 
caso di specie di un rapporto di necessaria pregiudizialit� logico-giuridica della causa relativa 
all'accertamento del diritto alle agevolazioni rispetto a quella relativa alla domanda di rimborso. 
In virt� di tale relazione fra le due azioni, la Suprema Corte, nella sentenza in analisi, ha ravvisato, 
conformemente alla giurisprudenza dominante, un'ipotesi di continenza. 

(6) Vedi supra, note I, 2. 

318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
Gli Uffici Finanziari competenti, con distinti provvedimenti, hanno respinto le 
istanze. La societ� ha impugnato entrambi i dinieghi, determinando l'insorgere di un 
doppio contenzioso sulla medesima (almeno in parte) questione. 
Il ricorso proposto avverso il diniego di rimborso (vale a dire, quello proposto 
avverso il rigetto della istanza sub b), dal quale trae origine il giudizio nel cui ambito 
� stato proposto l'odierno ricorso) � stato respinto in primo grado. In appello, 
invece, come gi� accennato, sono state accolte le istanze della societ� (sulla base di 
una decisione favorevole ottenuta nell'ambito dell'altro procedimento, quello sorto 
a seguito del mero diniego delle agevolazioni) e di ci� si duole, in questa sede, 
l'Amministrazione Finanziaria. 
1.3. -A sostegno del ricorso, il Ministero deduce: 
a) violazione e falsa applicazione degli artt. 295 c.p.c. e 2909 e.e., oltre a vizi 
di motivazione in relazione alla applicazione delle stesse disposizioni, in quanto i 
giudici di merito, dinanzi alla esibizione della sentenza relativa alla �questione� pre-
Tale soluzione, in verit�, appare, contrariamente all'impostazione tradizionale sopra esposta, 
coerente con la ratio individuata nell'art. 39 co.2 c.p.c .. Se quest'ultimo, infatti, � ispirato 
all'esigenza di evitare un'inutile duplicazione di attivit� giurisdizionale, allora dovr� ritenersi 
applicabile anche nei casi, come quello in oggetto, nei quali il giudice � chiamato a pronunciarsi, 
almeno in parte (nel caso di specie relativamente all'accertamento del diritto all'agevolazione 
per il 1987), in due cause diverse, sulla medesima questione con efficacia di giudicato. In questi 
casi, infatti, esattamente come in quelli di continenza tradizionalmente intesa, si ravvisa un duplice 
esercizio di attivit� giurisdizionale sulla medesima questione, che potrebbe, o forse dovrebbe, 
giustificare, per esigenze di economia processuale, la riunione dei due giudizi ex art.39 co.2 c.p.c. 
(come affermato dalla Suprema Corte), in quanto la ratio che giustifica questa norma si ravvisa 
anche nel caso in questione. 
Si sottolinea, inoltre, che tale duplicazione di attivit� giurisdizionale si ravvisa qualora, 
come nel caso di specie, il giudice della �causa pregiudicata� (nella situazione specifica quello 
della domanda di rimborso) sia chiamato a pronunciarsi con efficacia di giudicato anche sulla 1�; 
�questione pregiudiziale�. In questa ipotesi, pi� correttamente, come affermato dalla Suprema 
Corte, si dovrebbe parlare, pi� che di �questione pregiudiziale�, di �causa pregiudiziale�, a voler ~I.;. 
sottolineare il fatto che quest'ultima � parte del petitum di quella relativa al rimborso e che, per, 
tanto, il giudice di quest'ultima non potr� limitarsi a definire tale questione incidenter tantum, ma 
dovr� decidere sulla stessa con efficacia di giudicato, determinando, quindi, proprio ed esclusivamente 
per questo, una duplicazione di attivit� giurisdizionale sulla medesima questione. 
Si vuole ribadire che tale ultimo effetto non si verificherebbe nel caso di �Questione pregiudiziale
� in senso stretto. vale a dire di questione su cui il giudice sia chiamato a pronunciarsi incidente~ 
tantum 
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e no? con heffi~acia di giu~ica~o. 
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E per ta e rag10ne c e, m quest'ultima ipotesi, non potr� trovare app icazione l'art. 39 co.2 
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c.p.c., la cui ratio, come appena visto, presuppone la suddetta reiterazione di attivit� giurisdiziof,[ 
nale, la quale non si verificherebbe nel caso di pronuncia su una questim~e soltanto in via incif:
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dentale, con assenza di ogni rischio di duplicazione di attivit� giurisdizionale. 
Tornando al caso di specie, non vi � dubbio che, nell'ambito del giudizio sulla domanda di 
rimborso, la questione relativa all'accertamento del diritto alle agevolazioni si ponga come �causa 
pregiudiziale� e non come mera questione. Cio' per diverse ragioni: in primo luogo, perch�, come 
emerge dal testo della sentenza, si ravvisa l'esplicita domanda di una delle parti in merito, su cui, 
pertanto, il giudico, P"' il disposto dell'mt34 e.p.e., doveva decid"'e eon effieoeia di giudieoto. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

319 

giudiziale della spettanza o meno delle agevolazioni fiscali (dalle quali poteva derivare 
il diritto al rimborso), avrebbero dovuto accertare, innanzitutto, se la decisione 
esibita nell'interesse della S.C. era divenuta o meno definitiva (circostanza contestata 
dalla ricorrente la quale assume di aver impugnato la decisione stessa) e soltanto 
nel primo caso avrebbero potuto accogliere l'appello della societ�; altrimenti, 
avrebbero dovuto disporre la sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 c.p.c.; 

b) violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 8 d.P.R. 602/73 e dei principi 
generali in materia di esenzioni, con riferimento alla affermazione di principio, contenuta 
nella decisione impugnata, secondo la quale �nelle more dell'istruttoria della 
richiesta di esenzione nulla � dovuto per legge�. 

e) Violazione e falsa applicazione degli artt. 105 T.U. 218/78 e 28 d.P.R. 
601/73, in quanto, nella specie, mancherebbero i presupposti di fatto previsti dal 
legislatore per beneficiare delle esenzioni richieste. 

In secondo luogo, perch� l'asserito diritto alle agevolazioni non costituisce soltanto un 
antecedente logico del diritto al rimborso, ma costituisce fatto costitutivo dello stesso. Da 
cio' deriva che l'accertamento del diritto alle agevolazioni debba essere effettuato, nell'ambito 
della causa sul rimborso, con efficacia di giudicato, in quanto non � configurabile l'ipotesi dell'accertamento 
incidentale rispetto ad una materia che inerisca al fatto costitutivo del diritto dell'attore 
(7). Si consideri, inoltre, che, ai fini dell'individuazione dell'estensione del giudicato, la 
giurisprudenza (8) afferma che l'autorit� del giudicato copre non solo le ragioni giuridiche fatte 
valere in giudizio (giudicato esplicito), ma anche tutte le altre -proponibili sia in via di azione 
che in via di eccezione -le quali, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono, tuttavia, 
antecedenti logici essenziali e necessari della pronuncia (giudicato implicito). 

In terzo luogo, l'esigenza di risolvere con efficacia di giudicato la questione relativa alla 
sussistenza del diritto alle agevolazioni, deriva anche dal fatto che tale decisione implica un 
sindacato sulla legittimit� dell'atto di diniego del suddetto diritto, soggetto a impugnativa 
necessaria in termini decadenziali (art. 19 H d.lgs. 546/92) con conseguente annullamento giudiziale 
del provvedimento, qualora ne venga accertata l'illegittimit�. � evidente, pertanto, che 
a tale risultato non potr� pervenirsi in virt� di un accertamento effettuato soltanto in via incidentale 
perch� il giudice tributario pu� disapplicare solo gli atti generali o i regolamenti (art. 
7, V CO., d.lgs. 546/92). 

Da quanto sin qui detto, pertanto, deriva la conclusione secondo cui le due cause in oggetto 
sono, come affermato dalla Suprema Corte, in rapporto di continenza fra di loro, con la conseguente 
applicabilit� dell'art. 39 co.2 c.p.c .. 

3. 
-La continenza. Effetti. 
L'art. 39 co. 2 c.p.c. prevede un meccanismo di operativit�, secondo il quale �nel caso di 
continenza di cause, se il giudice preventivamente adito � competente anche per la causa proposta 
successivamente, il giudice di questa dichiara con sentenza la continenza e fissa un termine 
perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa dinanzi al primo giudice. Se questi 
non � competente anche per la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza 
e la fissazione del termine sono da lui pronunciate. 

(7) Giurisprudenza costante, per tutte si vedano: Cass., n. 8174/1991; Cass., S.U., n. 6468/1988. 
(8) Fra le molte, si vedano: Cass., 16 marzo 1996, n. 2205; in Mass. Giust. Civ., 1996, 369. Ancora, Cass., 
20 luglio 1995, n.7891, in Mass. Giust. Civ., 1995, 1405. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

320 

2. -MOTIVI DELLA DECISIONE 
2.1 -IL ricorso merita accoglimento per quanto di ragione. 
2.2. -Con il primo motivo, sostanzialmente, l'Amministrazione Finanziaria 
assume che il giudizio sul diritto alle esenzioni, attivato dalla societ� mediante ricorso 
avverso il provvedimento generale di disconoscimento del diritto invocato, sarebbe 
pregiudiziale rispetto al giudizio avente ad oggetto la richiesta di rimborso delle 
imposte gi� versate, e, quindi, la Commissione Regionale, avendo avuto contezza 
della esistenza della questione pregiudiziale, avrebbe dovuto sospendere il giudizio 
in corso, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., a meno che la sentenza pronunciata nel giudizio 
�pregiudiziale� non fosse gi� passata in giudicato. 
2.2.1. -Il motivo appare fondato nei termini appresso specificati. La risposta 
che il Collegio � chiamato a dare, in punto di diritto, passa attraverso la soluzione di 
una serie di quesiti. 
La prevenzione � determinate dalla notificazione della citazione� (nel rito tributario, il deposito 
del ricorso, atteso che la semplice notifica non seguita da deposito, non produce gli effetti di quiescenza 
della lite di cui all'art 171 c.p.c., ma direttamente la inammissibilit� insanabile dell'atto). 

Si determiner�, quindi, a seguito della riassunzione della causa proposta successivamente 
davanti al giudice preventivamente adito o dell'altra davanti a quello successivamente adito, qualora 
il primo giudice sia incompetente, la riunione delle due cause davanti al medesimo giudice. 

Tale riunione, tuttavia, non potr� realizzarsi, nel caso in cui le due cause pendano in gradi 
diversi di giudizio (9), nonch� nel caso, in cui pendano entrambe in fase di gravame dinanzi ad 
uffici giudiziari diversi. Cio' per il carattere funzionale ed inderogabile della competenza del giudice 
di secondo grado, nonch� per le peculiarit� del processo di impugnazione, circoscritto alle 
questioni specificamente proposte e non compatibile con l'inserimento successivo di problematiche 
ulteriori (10). 

Quanto da ultimo affermato, a maggior ragione, vale nel caso in cui una delle cause penda 
davanti al giudice del rinvio, in quanto l'operare della continenza determinerebbe un'inammissibile 
riforma della sentenza della Suprema Corte (11). 

In queste ipotesi, pertanto, per evitare il rischio della contraddittoriet� dei giudicati e per 
garantire le esigenze di coerenza e armonia dell'ordinamento, non rester� che il ricorso all'istituto 
della sospensione necessaria del processo ex art. 295 c.p.c. (12), che quindi operer� anche in 
ipotesi di continenza di cause, in tutti i casi in cui la riunione delle stesse non risulti possibile. 

Alle medesime conclusioni deve giungersi anche nell'ipotesi della causa di opposizione a 
decreto ingiuntivo, che � devoluta in via funzionale e inderogabile al medesimo giudice che ha 
pronunciato il decreto opposto. Pertanto, ove sussista un rapporto di continenza con altra causa 
pendente davanti ad altro ufficio giudiziario, il giudice dell'opposizione non pu� rimetterla a 
detto giudice, ma deve deciderla, salva la sospensione ex art. 295 c.p.c., ove ne sussistano i presupposti 
(13) (Cass., 3745/96; Cass., 6300/96). 

(9) Si veda Cass., sez. I, n. 5007 /1995. 
(10) Vedi Cass., sez. I, 26 novembre 1997, n. 11867, in Giust. Civ., 1998, I, 684. 
(11) Ibidem. 
(12) Si veda Cass., sez. I, 28 aprile 1998, n. 4326, con riferimento all'ipotesi di continenza fra cause pendenti 
in grado diverso. 
(13) Si vedano: Cass., n. 3745/1996; nonch� Cass., 6300/1996. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

321 

Innanzitutto, occorre chiarire quale sia il reale rapporto tra le due vicende processuali. 
La societ� S.C. ha intentato un primo giudizio, il cui oggetto � costituito 
dall'accertamento della mera spettanza del diritto alle agevolazioni previste per talune 
attivit� imprenditoriali aventi sede nel Mezzogiorno. Con il secondo giudizio, 
invece, avendo provveduto, nel frattempo, a versare le imposte (per le quali gi� 
aveva chiesto, invano, l'esenzione con il primo giudizio), la societ� chiede il rimborso 
delle stesse (per la parte non dovuta e limitatamente all'anno 1987), sempre 
sul presupposto della inesistenza dell'obbligo tributario. 

Quindi, il secondo giudizio ha ad oggetto un doppio accertamento: l'inesistenza 
del debito e il conseguente diritto al rimborso delle somme versate. La prima 
parte dell'accertamento, relativa alla esistenza del diritto all'esenzione, � comune ai 
due giudizi ed � pregiudiziale rispetto all'accertamento del diritto al rimborso. In 
forza di questa considerazione, l'Amministrazione ricorrente deduce che la Com


4. 
-Sospensione del giudizio tributario. 
Con riferimento al caso oggetto della sentenza in commento, che attiene alla materia tributaria, 
con relativa applicazione dell'apposito rito di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, l'applicabilit� 
dell'art.295 c.p.c. risulta, peraltro, tutt'altro che pacifica, stante il disposto dell'art. 39 
del suddetto decreto legislativo. Tale articolo, infatti, stabilisce che: �il processo � sospeso quando 
� presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato 

o la capacit� delle persone, salvo che si tratti della capacit� di stare in giudizio� 
Ci si domanda se tale norma comporti l'esclusione, all'interno del processo tributario, di 
ogni ipotesi di sospensione per pregiudizialit� al di fuori dei casi in essa espressamente previsti. 
La Corte costituzionale, investita del problema, lo ha affrontato con la sentenza n. 31/1998 
(14), nella quale ha affermato che l'art. 39 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 �ha limitato nel 
processo tributario l'ambito della sospensione necessaria per pregiudizialit� ai soli casi in cui 
sia stata presentata querela di falso o debba essere decisa -in via pregiudiziale -una questione 
sullo stato o la capacit� delle persone, salvo che si tratti della capacit� di stare in giudizio. 

Pertanto.ferma restando l'applicabilit� di altre ipotesi di sospensione (quali, a titolo esemplif�cativo, 
la sospensione per proposizione di regolamento di giurisdizione, di cui all'art. 367 

c.p.c. in relazione all'art. 3 co. 2 del d. lgs. 546 del 1992, per instaurazione del procedimento di 
ricusazione di cui all'art. 52 co. 3 c.p.c. in relazione all'art. 6 co. 1 del d.lgs. 546192, per questione 
incidentale di legittimit� costituzionale di una norma di legge sollevata ai sensi del/' art. 
23 co. 2 della legge 11marzo1953 n. 87), il giudice tributario deve decidere, incidenter tantum, 
tutte le questioni pregiudiziali diverse da quelle contemplate dalla disposizione denunciata, salvo 
il diritto delle parti di svolgere le difese relative a tali questioni . 
...Nella specie, con la norma denunciata il ler,:islatore ha inteso rendere oi� rapida e agevole 
la definizione del processo tributario oberato da una rilevante mole di contenzioso. Finalit� 
in s� del tutto legittima anche sotto l'aspetto, non certo secondario, della tutela dei diritti del 
contribuente�. 

Da tale sentenza emerge, quindi, un'impostazione fortemente restrittiva dell'ambito di 
applicazione dell'istituto della sospensione del processo nell'ambito del rito tributario, impostazione 
confermata anche da parte della dottrina (15). 

(14) Confermata successivamente da tre ordinanze di manifesta infondatezza: n. 88/99, n. 136/99, n. 330/00. 
(15) BATISTONI FERRARA F., Appunti sul processo tributario, 1995, 90. Ancora, D'ANGELO B., D'ANGELO A., 
Manuale del nuovo processo tributario con rassegna di giurisprudenza, 1994, 227 e segg.; GERLIN T., GROSSO A., 
MARCHESE S., RAMONDA L., La riforma del processo tributario, 1998, 121 e segg .. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

322 

missione Regionale adita, �verificata la pendenza di una causa pregiudiziale avverso 
il provvedimento di diniego dell'esenzione, avrebbe dovuto accertare se la causa 
pregiudiziale ... fosse definita e, nell'ipotesi negativa avrebbe dovuto sospendere la 
causa sul diritto al rimborso delle imposte pagate per una delle annualit� interessate 
dalla domanda di esenzione, ai sensi dell'art. 295 c.p.c.�, per evitare possibili con


flitti di giudicato ed inutili reiterazioni di iniziative processuali (almeno parzialmente) 
identiche (ne bis in idem). 

2.2.2. -Come � noto, ragioni di economia e di armonia del sistema processuale 
impongono che situazioni processuali come quella in esame vengano riportate su 
un binario processuale che garantisca coerenza ed unicit� di decisione. Pertanto, 
l'Amministrazione ricorrente invoca l'applicazione dell'art. 295 c.p.c., sul presupposto 
del carattere pregiudiziale del giudizio avente ad oggetto l'accertamento del 
Nella sentenza in commento, tuttavia, si ridimensiona tale impostazione restrittiva sulla base 
.>di convincenti argomentazioni, che prendono le mosse da una lettura dell'art. 39 del d.lgs. 546/92, 
nel contesto della legge 30 dicembre 1991n.413, con la quale � stata conferita la delega al governo 
per l'emanazione della nuova disciplina del processo tributario, realizzatasi con il d.lgs. 
546/92. La suddetta legge delega, all'art. 30 lett. g) n. 3, dopo aver stabilito che le norme del processo 
tributario dovevano adeguarsi a quelle del processo civile, aggiungeva che la disciplina 
della sospensione dovesse ispirarsi �al fine di abbreviare la pendenza del processo in relazione 
all'inerzia delle parti�. 

�Conseguentemente, la limitazione normativa � riferita alle ipotesi di sospensione nelle 
quali vi sia un potere dispositivo delle parti, non certo alle ipotesi nelle quali il giudice � obbligato 
ad eliminare d'ufficio specifiche anomalie processuali. Come quella della duplicazione dei 
processi, che � un fenomeno che si pone in contrasto con le esigenze di economia processuale che 
il legislatore delegante ha inteso privilegiare proprio con le norme in esame�. Da queste premesse 
la Corte conclude per l'esclusione dell'applicabilit�, nel processo tributario, dell'art. 296 c.p.c. 
(sospensione su istanza delle parti). 

In secondo luogo, la Suprema Corte afferma che la disposizione in esame risulta finalizzata 
all'esigenza di garantire l'autonomia della giustizia tributaria rispetto alla giustizia civile ordinaria, 
mediante l'attribuzione al giudice tributario del potere di decidere, in via incidentale, le questioni 
pregiudiziali di competenza del giudice civile, salve le ipotesi nell'articolo stesso espressamente 
previste. Di conseguenza l'art. 39 del d.lgs. 546/92 si riferirebbe soltanto ai casi di 
pregiudizialit� esterna, relativa, cio�, ai rapporti esterni con la giurisdizione civile, �non anche ai 
rapporti interni tra i processi tributari, per i quali, giusto il disposto dell'art. 1 co. 2 del d.lgs. 
546192, valgono le disposizioni del codice di procedura civile . 

.. .In definitiva, quando dinanzi a differenti giudici tributari siano pendenti controversie tra 
loro interdipendenti e non sia possibile procedere alla riunione dei procedimenti, non pu� trovare 
applicazione il disposto di cui all'art. 296 c.p.c. (sospensione su istanza delle parti), mentre 
pu� trovare applicazione il disposto dell'art. 295 c.p.c., al di fuori delle ipotesi escluse dall'art. 
39 del d.lgs. 546192, della pregiudiziale civile�. 

L'interpretazione appena esposta, data dalla Corte alla disposizione che si sta esaminando, 
risulta, come chiaramente esposto dallo stesso Collegio giudicante, imposta da fondamentali 
ragioni, �alla base della stessa credibilit� della funzione giurisdizionale, come quella di evitare 
il rischio di giudicati contrastanti e della non reiterabilit� delle iniziative giudiziarie. 
Tali ragioni non possono essere travolte da una disposizione, come l'art. 39, che ha il solo 
fine di stringere i tempi del processo tributario proprio nella medesima ottica di economia 
processuale�. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

323 

diritto alla esenzione rispetto a quello che ha ad oggetto anche l'accertamento del 
diritto al rimborso. Questa soluzione, per�, non pu� essere sempre praticata. Non 
perch� vi osti, sempre e comunque, il disposto dell'art. 39 d. lgs. 31dicembre1992, 

n. 546 (sul quale si torner�), quanto perch� la patologia processuale della duplicazione 
di giudizi, trova la sua soluzione naturale nella applicazione delle norme che 
disciplinano la litispendenza, o, meglio ancora, nel caso di specie, la continenza. 
Infatti, entrambi i procedimenti, pendenti tra i medesimi soggetti (ma dinanzi a 
diversi giudici tributari), hanno ad oggetto l'accertamento del diritto alla esenzione 
e, quindi, entrambi i giudjci sono investiti della medesima questione. L' antecedenza 
cronologica del giudizio avente ad oggetto il solo accertamento del diritto alla 
esenzione, ovviamente, non rileva sul piano della antecedenza logica dei giudizi, 
sulla quale, invece, � costruita la figura della pregiudizialit�. In altri termini, sia il 
primo che il secondo procedimento hanno ad oggetto, come gi� detto, l'accertamento 
(pregiudiziale) del diritto alle agevolazioni fiscali. La pregiudizialit� dell' accertamento 
del diritto alla esenzione, che esaurisce l'oggetto del primo giudizio, � 
soltanto una parte dell'oggetto del giudizio intentato per ottenere il rimborso e, quindi, 
in questo secondo giudizio, la .sua pregiudizialit� opera soltanto all'interno del 
La Corte, infine, sottolinea che il peso di queste argomentazioni non puo' trovare un limite 
nella sopra citata sentenza della Corte costituzionale relativamente all'art.39 del d.lgs. 546/92 
(16), stante il suo carattere di sentenza di rigetto, che, quindi, �non ha effetti generali, ma limitati 
al caso deciso� (17), con la conseguente assenza di vincolativit� per i giudici dell'ordinamento, 
i quali potranno, conseguentemente, interpretare la norma anche in maniera diversa da come 
sostenuto dalla Corte costituzionale, a meno che la stessa non abbia espressamente qualificato, 
con sentenza interpretativa di rigetto, incostituzionale, una determinata interpretazione, ipotesi, 
questa, che non sembra assolutamente ipotizzabile nel caso di specie. 

Si ritiene, in conclusione, perfettamente condivisibile la soluzione data dalla Suprema Corte, 
relativamente all'applicabilit� dell'art. 295 c.p.c. al rito tributario. 

Appare, peraltro, irragionevole sacrificare le esigenze fondamentali di coerenza e 
armonia dell'ordinamento per quelle di accelerazione dei tempi della decisione. Tali ultime, 
infatti, non possono comportare una deroga al principio fondamentale di certezza del diritto, 
il quale verrebbe certamente minato nel processo tributario, ove quest'ulti.io restasse privo 
di strumenti a garanzia della non contraddittoriet� dei giudicati, nell'ipotesi di rapporti di 
pregiudizialit� fra cause pendenti davanti al giudice tributario. 

Il problema, gravissimo in Italia, della lentezza dei processi, infatti, non puo' trovare soluzione 
in scelte che finiscano per minare, come � stato affermato dalla stessa Suprema Corte nella 
sentenza in commento, �la credibilit� della funzione giurisdizionale�, come conseguenza della 
contraddittoriet� delle sue manifestazioni. 

5. -Conclusioni. 
Con la sentenza che si commenta, in conclusione, la Suprema Corte ha voluto individuare 
gli strumenti che, all'interno del processo tributario, possono essere utilizzati per far fronte a 
situazioni in cui si ravvisa un rapporto di necessaria pregiudizialit� logico-giuridica fra pi� cause 
pendenti davanti al giudice tributario. 

(16) Corte cost., n. 3111998. 
(17) CRISAFULLI V., L'ordinamento costituzionale italiano, 1984, 394. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATIY 

giudizio complessivo, che si pone rispetto all'altro in termini di continenza. Pertanto, 
non siamo in presenza di una situazione nella quale questioni differenti, ma logicamente 
interdipendenti, siano all'esame di diversi giudici. Siamo invece in presenza 
di una situazione processuale nella quale pi� giudici sono investiti (anche) della 
medesima questione (la quale, per�, all'interno della causa continente � logicamente 
pregiudiziale alla soluzione della parte della causa non comune). In casi del genere, 
il modello di disciplina processuale al quale bisogna fare riferimento per prevenire 
un possibile conflitto di giudicati ed impedire il proliferare dei giudizi sulla 
medesima questione, � quello contenuto nell'art. 39 c.p.c., il cui recepimento tra le 
regole di procedura del contenzioso tributario, in forza dell'art. 1 del d.lgs. 546/92, 
non incontra controindicazioni in altre disposizioni del medesimo decreto. 

Nella specie, per�, il ricorso alle procedure (della cancellazione e della riunione, 
rispettivamente in caso di litispendenza e di continenza) previste dall'art. 39 c.p.c., 
poteva essere ipotizzato (in presenza di tutti gli altri presupposti di legge) soltanto se 
la decisione esibita in giudizio, sulla quale si basa la sentenza oggetto dell'odierno 
ricorso, non fosse gi� passata in giudicato (ai sensi dell'art. 324 c.p.c.); nel qual caso 
bene avrebbe fatto la Commissione Regionale a riconoscere il diritto all'esenzione, 
ai sensi dell'art. 2909 e.e., ma avrebbe dovuto darne conto in motivazione. 

2.2.3. -I giudici di merito non si sono assolutamente posti i problemi sopra 
esposti. Hanno soltanto recepito, acriticamente, il contenuto della decisione esibita. 
Conseguentemente, la decisione impugnata appare viziata sia sotto il profilo della 
carenza di motivazione che sotto il profilo della violazione di legge. 
La Corte prende le mosse dalla constatazione che casi come quello risolto con la sentenza 
in commento risultano molto frequenti, in considerazione della prassi dei contribuenti di richiedere 
preventivamente il riconoscimento del diritto alle agevolazioni e di effettuare il pagamento 
dell'intero, qualora, al momento in cui debba effettuarsi il pagamento, non sia intervenuta la pronuncia 
preventiva, salva la richiesta di rimborso delle somme asseritamente non dovute in virt� 
delle agevolazioni. In queste ipotesi, inoltre, se le agevolazioni si riferiscono a pi� anni, vi saranno 
tanti processi quanti sono gli anni per i quali si chiede il rimborso, in aggiunta al processo iniziale 
sulla spettanza del diritto alle agevolazioni. 

La Corte non esita a definire patologica questa situazione in assenza di strumenti idonei a 
ricondurre tutti questi contenziosi all'interno di un alveo unitario. Questi strumenti sono stati 
individuati, nell'ordine, nella riunione dei processi ex art. 39 co. 2 c.p.c., nella sospensione 
necessaria della causa pregiudiziale ex art. 295 c.p.c., che soccorrer� nelle ipotesi in cui risulti 
impossibile la suddetta riunione e, infine, nell'effetto vincolante del giudicato ex art. 2909 e.e. 

Quest'ultima disposizione consente il recepimento della sentenza passata in giudicato relativamente 
alla causa pregiudiziale, nell'ambito del processo sulla causa pregiudicata. Tale recepimento, 
peraltro, come espressamente affermato dalla Corte, presuppone l'acquisizione dell'autorit� 
di cosa giudicata della sentenza sulla causa pregiudiziale e, quindi, la definitiva conclusione 
del relativo processo, in assenza della quale le esigenze di armonia dell'ordinamento e, in generale, 
di eliminazione della suesposta situazione patologica, dovranno realizzarsi ricorrendo alla 
disciplina della continenza e, nelle ipotesi in cui questa non possa operare, a quella della sospensione 
ex art. 295 c.p.c .. 

PAOLA LOMBARDO 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Come gi� � stato detto, la prima indagine che la Commissione avrebbe dovuto 
svolgere sarebbe stata quella di accertare se la decisione impugnata era gi� passata 
in giudicato, per potere poi attribuire, eventualmente, alla stessa gli effetti previsti 
dall'art. 2909 e.e. Dalla motivazione non risulta che tale indagine sia stata fatta. 
Risulta soltanto che la decisione � stata recepita sic et simpliciter, violando, quindi, 
il precetto contenuto, ex adverso, nel citato art. 2909 e.e. in forza del quale la sentenza 
che non sia passata in giudicato non fa stato tra le parti. 

Se, invece, come assume la ricorrente, la decisione era stata impugnata o, 
comunque. non era passata in giudicato, il giudice del merito doveva imboccare una 
delle altre strade predisposte dal legislatore per garantire il risp_etto del fondamentale 
principio di diritto (e di diritto processuale in particolare) del ne bis in idem. Vale 
a dire, nell'ordine: 

a) la riunione dei giudizi dinanzi alla commissione preventivamente adita, ai 
sensi dell'art. 39, 2� comma. c.p.c., nel caso in cui fossero stati ravvisabili tutti gli 
altri presupposti processuali della fattispecie della continenza; 

b) la sospensione del giudizio sul rimborso delle imposte versate per il 1987, 
in attesa della decisione della controversia sulla spettanza delle esenzioni per l'intero 
decennio. 

2.3.4. -Come gi� � stato ripetutamente sottolineato, non pare che, nella specie, 
possa ravvisarsi tra i due giudizi un rapporto di pregiudizialit�, ma, semmai, di parziale 
identit�, o di identit� incrociata. Il giudizio sulla spettanza delle agevolazioni per 
un decennio, � continente rispetto a quello relativo alla richiesta di rimborso per un 
solo anno, basata sul diritto alla esenzione decennale; il giudizio sulla richiesta di rimborso, 
anche se per un solo anno, a sua volta, � continente rispetto al giudizio di mero 
accertamento del diritto alle agevolazioni fiscali, perch� implica tale giudizio di accertamento. 
L'accertamento del diritto alla esenzione, che esaurisce l'oggetto del giudizio 
nato dalla impugnazione del provvedimento di diniego, quindi, � parte del giudizio 
che nasce dal ricorso per il mancato accoglimento della richiesta di rimborso, nel 
quale questa Corte � chiamata a pronunciarsi. Conseguentemente, in questo secondo 
giudizio, l'accertamento del diritto all'esenzione, che pure � in rapporto di priorit� 
logica rispetto all'accertamento del diritto al rimborso, non rappresenta una semplice 
questione incidentale, che in quanto tale, pu� essere risolta incidenter tantum: � il contenuto 
della stessa causa principale (in entrambi i giudizi), sulla quale il giudice deve 
decidere con efficacia di giudicato per esplicita domanda di una delle parti. 
Come � noto, il fenomeno della pregiudizialit�, intesa come progressione logica 
delle questioni da affrontare per giungere alla soluzione di una controversia, pu� 
riguardare �punti� pregiudiziali (cio�, un antecedente logico non controverso), 
�questioni� pregiudiziali (cio�, una controversia �incidentale� che si presenta sulla 
strada della decisione e che il giudice, appunto, pu� decidere incidenter tantum) o 
�cause� pregiudiziali (cio�, controversie che devono essere risolte con sentenza che 
possa, poi, acquistare efficacia di giudicato). 

2.3.5. -Il caso all'esame di questa Corte Suprema rientra in quest'ultima tipologia 
processuale, della causa� pregiudiziale. In casi del genere, al giudice (tributario 
e non) non si pone l'alternativa di sospendere il giudizio, in attesa della decisio

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

326 

ne pregiudiziale, o di decidere direttamente, incidenter tantum, la �causa�, proprio 
perch� non si tratta di decidere una �questione� pregiudiziale, �incidentale� della 
causa, ma si tratta di decidere la causa stessa. 

Intanto si pu� parlare di questione incidentale pregiudiziale, in quanto la �questione
� pregiudiziale, pendente dinanzi ad altro giudice, abbia appunto il carattere 
della incidentalit� necessaria nell'ambito del giudizio principale. Se, invece, la 
�questione� pregiudiziale � oggetto diretto del petitum nell'ambito di due diversi 
procedimenti, allora la fattispecie si risolve in una ipotesi di litispendenza o di continenza 
e come tale deve essere disciplinata. 

Nella specie, dunque, trattasi di un caso di continenza, caratterizzato dal fatto 
che la parte comune delle due cause, che esaurisce la causa sul diritto alle agevolazioni, 
� anche pregiudiziale alla decisione sul diritto al rimborso, su cui deve pronunciarsi 
soltanto il secondo giudice. Lo strumento per la reductio ad unum dei procedimenti 
� previsto specificamente dall'art. 39, comma 2, c.p.c., in forza del quale 

�Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito � competente 
anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con sentenza 
la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono 
riassumere la causa davanti al primo giudice. Se questi non � competente anche per 
la causa successivamente proposta, la dichiarazione della continenza e del termine 
sono da lui pronunciate�. 

In definitiva, secondo quanto disposto dalla citata disposizione, la regola generale 
da far valere dinanzi ai giudici tributari, in casi come quello in esame, � quella 
della riassunzione della causa dinanzi al giudice preventivamente adito, attesa la 
comune competenza per materia delle Commissioni Tributarie. 

2.3.6. -Quid iuris se i due procedimenti si trovavano, o dovessero trovarsi a 
seguito del rinvio, in gradi diversi di giudizio? 
Dinanzi alla Commissione Regionale, competente per l'appello, � stata prodotta 
la decisione di primo grado della Commissione Tributaria di Chieti. Quindi, vi � 
motivo di ritenere che i due procedimenti procedessero su binari cronologici non 
sfalsati e che, quindi, vi sarebbe anche stata la possibilit� di risolvere il problema del 
bis in idem mediante il criterio della competenza preventiva, sempre che, con riferimento 
alla parte comune, entrambi i giudizi di appello fossero stati promossi sulla 
base degli stessi motivi. Se cos� non era, o se cos� non sar� nel momento in cui la 
Commissione Regionale dovr� pronunciarsi in sede di rinvio, il problema andava, o 
andr�, risolto in forza dell'art. 295 c.p.c. Sempre che nel frattempo la decisione pregiudiziale 
non sia passata in giudicato. 

2.3.7. -Come � noto, in forza dell'art. 295 c.p.c., �Il giudice dispone che ilprocesso 
sia sospeso in ogni caso in cui egli stesso o altro giudice deve risolvere una 
controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa�, quando non 
siano previsti pi� specifici rimedi per prevenire il rischio di giudicati contrastanti e/o 
la antieconomica reiterazione di attivit� processuali funzionali alla adozione di una 
decisione unica sulla medesima questione. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

In sostanza, quando non sia possibile procedere alla riunione dei procedimenti 
che siano in rapporto di continenza-pregiudizialit�, perch� i procedimenti stessi 
sono pendenti in gradi diversi, allora la pregiudizialit� della causa �contenuta� 
diviene presupposto per l'applicazione estensiva dell'art. 295 c.p.c. 

� noto, per�, che l'art. 39 della legge sul nuovo contenzioso tributario (d.lgs. 
546/1992) sembra limitare le ipotesi di sospensione del processo soltanto ai casi in 
essa espressamente previsti. La norma dispone testualmente: <<Il processo �sospeso 
quando � presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una 
questione sullo stato o la capacit� delle persone, salvo che si tratti della capacit� di 
stare in giudizio�. 

Ritiene il Collegio che, nel caso di specie, non operi lo sbarramento previsto 
dalla norma citata, la quale � diretta a limitare la possibilit� di fare ricorso all'istituto 
della sospensione, quando questa non sia assolutamente necessaria e possa, invece, 
provocare un prolungamento della pendenza del processo per ragioni di inerzia 
delle parti. Infatti, l'art. 39, cit., deve essere letto nel contesto della legge delega 
(413/91, art. 30, lett. g, n. 3), la quale stabiliva che le norme del processo tributario 
dovevano adeguarsi a quelle del processo civile, stabilendo specificamente, che la 
disciplina della sospensione fosse ispirata al fine di abbreviare la pendenza del 
processo in relazione all'inerzia delle parti�. 

Conseguentemente, la limitazione normativa � riferita alle ipotesi di sospensione 
nelle quali vi sia un potere dispositivo delle parti, non certo alle ipotesi nelle quali 
il giudice � obbligato ad eliminare di ufficio specifiche anomalie processuali. Come 
quella della duplicazione dei processi, che � un fenomeno che si pone in contrasto 
con le esigenze di economia processuale che il legislatore delegante ha inteso privilegiare 
proprio con le norme in esame. 

Fatta questa premessa di principio, si deve anche osservare che il tenore letterale 
dell'art. 39, d. lgs. 546/92, sembra diretto, essenzialmente, a garantire l'autonomia 
della giustizia tributaria rispetto alla giustizia civile ordinaria, riconoscendo al 
giudice tributario il potere di decidere incidenter tantum anche le questioni di competenza 
del giudice civile (fatte salve le due eccezioni espressamente previste, in 
materia di querela di falso, di stato o capacit� delle persone, quando non si tratti 
della capacit� di stare in giudizio). 

L'art. 295 c.p.c., che prevede la sospensione necessaria del processo, riguarda 
sia i casi di pregiudizialit� interna al giudizio civile (o al giudizio tributario), sia i 
casi di pregiudizialit� esterna (relativa cio� a controversie che devono essere risolte 
da giudici amministrativi o penali). In tutti i casi, il giudice deve disporre la sospensione. 
L'art. 39, del d.lgs. 546/92, invece, disciplina soltanto i rapporti (esterni) con 
la giurisdizione civile, non anche i rapporti (interni) tra processi tributari, per i quali, 
giusto il disposto dell'art. 1, comma 2, del medesimo d.lgs. 546/92, valgono le disposizioni 
del codice di procedura civile. 

Tenuto conto della volont� del legislatore delegante di contrastare i comportamenti 
dilatori imputabili alle parti, l'art. 3 9, cit. : 
a) per un verso, esclude che al processo tributario possa applicarsi l'art. 296 

c.p.c. (sospensione su istanza delle parti); 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

b) per altro verso, esclude l'obbligo della sospensione del processo tributario 
(nell'ambito della casistica prevista dall'art. 295 c.p.c.) quando non si tratti di una 
delle ipotesi specificamente previste dallo stesso art. 39; 

e) nulla dice con riferimento alla ipotesi in cui la decisione della causa tributaria, 
pendente dinanzi ad un giudice tributario, dipenda dalla risoluzione di 
un'altra controversia tributaria, pure pendente dinanzi ad un altro giudice tributario, 
la quale, quindi, necessariamente ricade nell'ambito della disciplina residua 
dell'art. 295 c.p.c. 

In definitiva, quando dinanzi a differenti giudici tributari siano pendenti controversie 
tra loro interdipendenti, e non sia possibile procedere alla riunione dei procedimenti, 
non pu� trovare applicazione il disposto di cui all'art. 296 c.p.c. (Sospensione 
su istanza delle parti), mentre, invece, pu� trovare applicazione il disposto 
dell'art. 295 c.p.c., al di fuori delle ipotesi escluse dall'art. 39 d.lgs. 546/92, della 
pregiudiziale civile. 

L'art. 295 c.p.c., come appare evidente, � ispirato a ragioni che sono alla base 
della stessa credibilit� della funzione giurisdizionale, come quella di evitare il 
rischio di giudicati contrastanti e della non reiterabilit� delle iniziative giudiziarie. 
Tali ragioni non possono essere travolte da una disposizione, come l'art. 39, che ha 
il solo fine di �stringere i tempi� del processo tributario, proprio nella medesima 
ottica di economia processuale. 

D'altra parte, la disposizione contenuta nell'art. 39, d.lgs. 546/92, non pu� 
essere ritenuta esaustiva della disciplina di tutte le possibili ipotesi di sospensione 
determinate dalla necessit� di attendere la decisione su un'altra questione pregiudiziale. 
Basti pensare alle ipotesi di sospensione necessaria del processo nel 
caso di rimessione alla Corte Costituzionale di una questione di legittimit� costituzionale 
di una norma che abbia rilevanza nel giudizio tributario; ovvero, al caso 
di rimessione alla Corte di Giustizia Europea di una questione interpretativa pregiudiziale, 
ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE. Altri casi di sospensione obbligatoria 
del processo tributario, sono stati individuati nel regolamento preventivo 
di giurisdizione e nel ricorso per ricusazione del giudice (Corte Cost. sentenza 

n. 31 del 1998). 
2.3.8. -� noto che, nella prassi, i contribuenti sono soliti richiedere preventivamente 
il riconoscimento del diritto alle agevolazioni, poi al momento di effettuare 
il pagamento delle imposte, in mancanza di una pronuncia sulla richiesta 
preventiva, effettuano i versamenti in misura ridotta, oppure versano l'intero 
richiedendo il rimborso della parte asseritamente non dovuta, in ragione delle agevolazioni 
invocate. Nel caso di agevolazioni che si protraggono negli anni, come 
nella specie, v'� il rischio concreto che nascano tanti processi per quanti sono gli 
anni per i quali i benefici possono essere concessi (oltre al contenzioso sull' eventuale 
rifiuto iniziale). Una situazione del genere � palesemente patologica e non 
pu� essere tollerata dal sistema, che deve trovare al suo interno le regole per ricondurre 
il flusso dei processi in un alveo fisiologico. Tali regole, nell'ordine, sono 
quelle della riunione (preventiva) dei procedimenti ai sensi dell'art. 39 c.p.c., della 
sospensione ai sensi dell'art. 295 c.p.c., ovvero dell'effetto vincolante (successi-
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vo) del giudicato, ai sensi dell'art. 2909 e.e. Tutte queste regole sono espressione 
del (e derivano dal) principio del ne bis in idem (ovvero della regola secondo la 
quale electa una via non datur recursus ad alteram), su cui si basa la stessa certezza 
del diritto. 

Non ignora il Collegio che la Corte Costituzionale, nel dichiarare manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 39 d.lgs. 
546/92, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., ha interpretato 
l'art. 39 nel senso che non consente ipotesi di sospensione diverse da quelle 
ivi eccezionalmente previste. Ma -a parte il rilievo che l'interpretazione posta 
dalla Corte Costituzionale a fondamento di sentenze di rigetto non � vincolante, 
fuori dal giudizio a quo, a meno che la.stessa Corte non indichi tale interpretazione 
come �l'unica compatibile� con i parametri costituzionali -va osservato che 
nella suddetta sentenza non sono state prese in esame le fattispecie qui considerate, 
nelle quali la sospensione del processo, ancorch� non espressamente prevista 
da una specifica disposizione, � conseguenza necessaria dell'applicazione di altri 
istituti processuali -quale, appunto, la continenza -vigenti anche nel processo 
tributario, in relazione ai quali si determinano ipotesi di pregiudizialit� ricadenti 
nella previsione dell'art. 295 c.p.c., in questi limiti applicabile perch� non derogato 
dall'art. 39 d. lgs. 546/92 (come gi� affermato da questa Corte con la sentenza 
10 aprile 2000, n. 4509). 

Pertanto l'esegesi di tale disposizione va precisata nel senso ora detto, per cui 
la deroga all'obbligo di sospensione � limitata ai soli casi di pregiudizialit� esterna, 
ci� che � coerente con le finalit� di �rapida ed agevole definizione del processo 
tributario�, valorizzate dalla Corte Costituzionale, corrispondendo alla duplice 
esigenza di evitare il contrasto di giudicati e la reiterazione della stessa attivit� 
giurisdizionale. 

2.3.9. -In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata nella parte 
in cui ha deciso la controversia sulla base di una decisione presa nell'ambito di un 
altro giudizio, senza prima accertare se si trattasse di sentenza passata in giudicato 
o se, invece, si dovesse procedere ai sensi degli artt. 39 o 295 c.p.c. 
Conseguentemente, gli atti vanno rimessi alla Commissione Regionale che 
dovr�, appunto, accertare, sulla base della situazione esistente nel momento in cui 
sar� chiamata a pronunciarsi, quale delle disposizioni indicate debba essere applicata, 
sulla base delle indicazioni fomite da questa Corte. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 6 novembre 2000 n. 14451 -Pres. Carnevale 
-Rei. Falcone -P.G. (diff.) Nardi -B. c. Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Laporta). 

Tributi erariali diretti -Irpef -Redditi diversi -Plusvalenze da esproprio Percepite 
dopo il 31 dicembre 1991 per titolo anteriore al 31 dicembre 1988 
-Imponibilit�. 

(legge 30 dicembre 1991 n. 413, art. 11 commi 5, 7, 9). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

330 

Le indennit� di espropriazione ed i proventi equipollenti , costituenti, a regime, 
redditi diversi dal 1gennaio1992, sono imponibili anche ove percepite nel triennio 
antecedente in forza di titoli non anteriori allo stesso; ove percepite dopo il 31 
dicembre 1991, quale che sia l'epoca del titolo, sono imponibili secondo il principio 
di cassa (1). 

(omissis) 
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Nel 1992 e net 1993 il Comune di Certaldo ha corrisposto a S.B. delle somme 
dovute a titolo di indennit� da espropriazione di terreni disposta nel 1981, e su queste 
somme ha operato la ritenuta Irpef prevista dall'art. 11 legge n. 413/91. 

II contribuente ha chiesto il rimborso dell'imposta ritenuta non dovuta perch� 
relativa ad un presupposto verificatosi prima della entrata in vigore della norma, ed 
ha impugnato il silenzio rigetto. 

La Commissione Tributaria di primo grado ha accolto la domanda, ma la decisione 
� stata poi riformata dalla Commissione Tributaria Regionale. 
Ha proposto ricorso il contribuente deducendo i seguenti due motivi: 

1) Violazione, e falsa applicazione dell'art. 11, commi quinto, settimo, e nono 
della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (art. 360, n. 3, c.p.c.) per avere il giudice di 
appello ipervalutato il ruolo, e la portata della �percezione� delle plusvalenze, senza 
invece dare il giusto significato, ai fini impositivi, al momento ablativo e genetico 
della plusvalenza che, se anteriore al 31 dicembre 1988, esclude la tassabilit� delle 
somme percepite; 

2) Violazione, e falsa applicazione dell'art. 11, quinto comma della legge 

n. 413/91 e del d.m. 2 aprile 1968, nonch� dell'art. 2697 e.e, e dei principi in tema di 
onere della prova (art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.); omessa o insufficiente motivazione relativamente 
ad un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.), avendo il giudice 
di merito omesso di valutare adeguatamente che il bene espropriato ricadeva in 
zona di tipo F, e quindi in zona esclusa dall'ambito di applicazione della norma. 
L'Amministrazione delle Finanze si � costituita per contrastare, entrambi i 
motivi del ricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Il problema da esaminare riguarda l'ambito di applicabilit� in astratto ed in concreto 
della disciplina contenuta nell'art. 11 della legge n. 413/91. 

(1) La decisione tiene conto correttamente del principio di cassa, valorizzando il comma 7 
che tratta degli obblighi della P.A. espropriante e sostituto d'imposta (ma solo dal 1 gennaio 1992, 
per tutte le somme, quindi quale che sia l'et� del titolo). 
In senso contrario all'ormai consolidato orientamento interpretativo della Corte di cui � 
espressione la sentenza di cui sopra, vedasi la sent. Cass. Sez. I, 29 dicembre 1999 n. 14673, pubblicata 
retro, pag. 243, con annotazione critica. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Esaminando il primo profilo, deve rilevarsi che questa norma ha esteso la disciplina 
tributaria per le plusvalenze costituenti redditi diversi, prevista dall'art. 81, 
lett. b) del Tuir, alle somme percepite a seguito di procedure ablative o di occupazione 
di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria, da soggetti che non esercitano 
imprese commerciali. 

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 315/94, ha sostenuto che questa 
estensione � stata operata dal legislatore con la formulazione di nuove fattispecie 
sostanzialmente riconducibili alla medesima ratio di quelle gi� disciplinate dall'art. 
81 cit.; che gi� prima della entrata in vigore della legge n. 413/91 vi era un orientamento 
secondo il quale i trasferimenti onerosi coattivi (derivanti da procedimenti 
posti in essere dalla P.A.) potevano farsi rientrare nella disciplina delle plusvalenze 
connesse alla cessione di immobili, tanto che per queste nuove fattispecie la Corte 
ha parlato di un �elemento di prevedibilit� dell'imposta�. 

In questa ottica, certamente condivisibile, il legislatore del 1991 ha solo formulato 
una disciplina pi� compiuta della materia, senza incorrere in previsioni irrazionali 
o illegittime, posto che ha bene utilizzato il potere discrezionale consistente 
nella individuazione di somme tassabili, purch� si tratti di somme che esprimono 
una capacit� contributiva. Nella specie, la plusvalenza che si realizza si inquadra 
perfettamente nell'incremento del valore di scambio di un bene fra il momento in 
cui esso entra nel patrimonio del soggetto e il momento in cui ne esce, senza che 
possa avere alcun rilievo il titolo in base al quale esso esce. L'imposta, a prescindere 
dal titolo giuridico che produce l'uscita del bene, � ricollegabile esclusivamente 
al dato economico oggettivo dell'incremento di valore realizzato, sicch� la ratio 
della tassabilit� � la stessa in tutte le ipotesi ricadenti ormai nella disciplina dell'art. 
81, comma 1, lett. b) del Tuir. 

Le nuove fattispecie regolate sul piano sostanziale dai commi 5 e 6 del citato 
art. 11 riguardano il futuro, nel senso che esse sono configurabili allorch� le plusvalenze 
si realizzano attraverso la percezione delle somme verificatasi dopo l'entrata 
in vigore della legge n. 413/91. 

Le norme in esame significativamente non contengono alcun riferimento al 
�tempo� di emissione del provvedimento ablativo, o della redazione dell'atto di 
cessione volontaria, o della occupazione da parte della P.A. La mancata previsione 
non � casuale, ma si inquadra perfettamente nel sistema dell'Irpef, che conosce 
come unico presupposto il �possesso� del reddito, giusta quanto � previsto nell'art. 
1 del Tuir. Normalmente, in via generale, la novella ricchezza diventa reddito tassabile 
allorch� essa entra nel patrimonio del soggetto passivo (ed � questo il senso 
del principio di cassa), mentre solo in via eccezionale diventa tassabile in un 
momento anteriore (ed � questo il criterio della competenza, previsto per il reddito 
di impresa). In coerenza con questa impostazione di fondo del sistema, correttamente 
nelle nuove fattispecie si � fatto riferimento solo alla percezione delle 
somme, essendo ininfluente ogni altro riferimento temporale ( cfr. in questi sensi le 
sentenze n. 1214/2000, 1315/2000, 2543/2000, che hanno superato l'orientamento 
minoritario espresso nella sentenza n. 14673/1999). 

L'indicazione del titolo in base al quale le somme vengono percepite serve solo 
ad individuare la tassabilit� delle somme ed a consentire una corretta qualificazione 


RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO

332 

del reddito alla stregua delle categorie indicate nell'art. 6 del Tuir (onde poi applicare 
nel concreto le norme dettate per la determinazione di quel tipo di reddito), ma 
non serve ad individuare il presupposto dell'Irpef. Questo presupposto � dato esclusivamente 
dal possesso del reddito. 

In aderenza a questa impostazione, il comma 7 dell'art. 11 disciplina sul piano 
procedimentale gli obblighi del sostituto, obblighi che possono trovare attuazione 
ovviamente solo dopo l'entrata in vigore della legge n. 413/91, allorch� il sostituto 
paga somme di quel tipo, senza alcuna differenza derivante dal �tempo� del fatto o 
atto giuridico operativo della uscita del bene dalla sfera giuridica del contribuente. 
Questa norma conferma che per il futuro (rispetto alla data di entrata in vigore della 
legge n. 413/91) il prelievo � collegato esclusivamente al tempo del pagamento, e 
quindi al tempo in cui la novella ricchezza entra nella sfera giuridica del soggetto 
passivo che diventa cos� �possessore� di un reddito tassabile (reddito che ha una 
disciplina particolare sul piano delle aliquote, come emerge dal diritto di opzione 
riconosciuto dal comma 7). 

La legge in esame, accanto alle nuove fattispecie disciplinate nei commi 5 e 6, 
ha previsto nel comma 9 una fattispecie con effetti retroattivi parziali, con riferimento 
a somme �percepite� in conseguenza, per�, di atti anche volontari o provvedimenti 
emessi successivamente al 31 dicembre 1988 e fino alla data di entrata in 
vigore della legge stessa, se l'incremento di valore non � stato assoggettato all'imposta 
comunale sull'incremento di valore degli immobili. Se questa norma (ritenuta 
legittima dalla Corte Costituzionale) non ci fosse stata, chiaramente non sarebbero 
potute essere sottoposte a tassazione le somme percepite prima dell'entrata in 
vigore della legge medesima, proprio perch� il presupposto (possesso del reddito) si 
era verificato prima dell'entrata in vigore della fattispecie impositiva (che qualifica 
come tassabili quelle tali somme). 

L'asprezza della retroattivit� � stata temperata dal riferimento al �tempo� degli 
atti di cessione e dei provvedimenti ablativi, tempo che � chiaramente limitativo 
della retroattivit�. E il secondo periodo del comma 9 offre lo strumento procedimentale 
da utilizzare per una sola volta (la dichiarazione dei redditi che andava presentata 
nel 1992) al fine di attuare il pagamento di quella imposta che, per essere 
retroattiva, � del tutto eccezionale, riferendosi alle somme gi� percepite prima della 
entrata in vigore della legge n. 413/91, ma non sottoposte a tassazione da nessun 
sostituto perch� al momento della corresponsione le somme non erano tassabili. E 
la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 315/94, ha legittimato la retroattivit� proprio 
con riferimento al breve lasso di tempo in cui tale retroattivit� (riferita evidentemente 
alla percezione gi� avvenuta prima della entrata in vigore della legge) � 
destinata ad operare. 

Da tutto ci� emerge che la percezione di somme verificatasi dopo il 1 � gennaio 
1992 non pu� in alcun caso sfuggire alla tassazione prevista dal citato articolo 11, 
poich� � del tutto ininfluente accertare se il titolo che giustifica l'attribuzione patrimoniale 
� stato formato prima dell'entrata in vigore della legge n. 413/91. L'unico 
dato rilevante � costituito dal �possesso� del reddito, possesso che in questi casi 
chiaramente si realizza dopo l'entrata in vigore della legge. (omissis) 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

333 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 15 dicembre 2000 n. 15888 -Pres. Carbone 
-Rei. Merone -P.G. (diff.) Gambardella -G.A. c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Criscuoli). 

Accertamento -Spese non contabilizzate -Onere della prova -Del contribuente. 


(art. 75, IV CO. TUIR). 

Accertamento -Spese non contabilizzate -Indeducibilit� -Abrogazione della 
relativa norma -Retroattivit�. 

(art. 75, VI co. Tuir abr. ex art. 5 d.P.R. 9 dicembre 1996 n. 695). 

Spetta al contribuente la prova rigorosa dei costi d'impresa non contabilizzati, 
in sede di contestazione dell'accertamento -dovendo essi risultare da elementi certi 
e precisi (1). 

L'abrogazione della indeducibilit� dei costi d'impresa non contabilizzati, disposta 
dal d.P.R. 695/96, � retroattiva, avendo la norma abrogata natura sanzionatoria 
(2). 

(omissis) 

2.3.3. -Il G. eccepisce poi la errata applicazione dell'art. 75 TUIR in quanto 
non sarebbero stati dedotti i costi inerenti ai ricavi recuperati a tassazione, bench� 
sulla base di elementi privi dei requisiti di certezza. Il motivo appare generico, in 
(1-2) Interessante decisione, che fa il punto sulla questione della indeducibilit� dei costi non 
annotati. Non vi � dubbio che in sede civile ben potrebbe l'imprenditore provare aliunde tali costi. 
Gi� l'art. 74 d.P.R. 597173 poneva due preclusioni, la prima, relativa all'erronea imputazione (art. 
74, 2� co.), la seconda, alla omessa o irregolare registrazione (purch� non si trattasse di irregolarit� 
meramente formale) ex art. 74, 3� co. Esse furono recepite ai commi 4� e 6� dell'art. 75 Tuir, 
con la significativa ed equivoca eccezione, per la prima preclusione, della risultanza dei costi non 
imputati o erroneamente imputati da elementi certi e precisi, salvo che non si incorresse nella 
seconda preclusione. In sostanza, i costi cos� risultanti dovevano essere anche stati annotati, l'errore 
di imputazione allora non era un'irregolarit� �sostanziale� -ci si � ben chiesti. Con l'art. 2 
comma 6� bis del d.l. 27 aprile 1990 n. 90 convertito in legge 26 giugno 1990 n. 165, la norma � 
stata interpretata autenticamente nel senso che i costi de quibus, oltre ad esser stati annotati, dovevano 
aver contribuito al risultato del conto profitti e perdite, indipendentemente dalla loro 'specifica 
evidenza' in tale documento. 

In tal senso si introduceva un ulteriore ostacolo, quello della computazione degli stessi ai 
fini del risultato finale. Dunque, nel diritto tributario dette omissioni producevano, in deroga al 
diritto civile, preclusioni probatorie. Trattasi di una sanzione, soggetta al principio della retroattivit� 
dello jus superveniens favorevole ( art.3 d.lgs. 4 72/97)? O di un mero effetto legale della violazione 
di una norma, che come tale non richiede alcuna valutazione n� irrogazione? Tale ultima 
essendo, all'evidenza, la risposta, la Suprema Corte, con eleganza argomentativa, ha configurato 
tale effetto come un effetto accessorio della specifica sanzione ex art. 51 d.P.R. 600173, operante 
ex lege, sicch�, abrogata la norma che lo disponeva, pei principi generali in tema di sanzioni, non 
pu� pi� essere applicato. 

ROBERTO DE FELICE 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

334 

quanto non sono specificati i costi che avrebbero dovuto essere dedotti. Dalla lettura 
della sentenza impugnata si apprende invece che �1 'Ufficio ha ammesso in 
deduzione costi e spese non contabilizzate specificamente afferenti i ricavi accertati 
nella misura risultante dal processo verbale di constatazione di verifica generale 
(in particolare, il costo dell'acquisto dei cofani, pi� significativo ed oneroso)� 

(p. 10 e 11). 
A fronte di tale affermazione perentoria il ricorrente avrebbe dovuto indicare 
specificamente i costi non dedotti, gi� eventualmente indicati nei precedenti gradi, 
e denunciare, se del caso, il conseguente vizio della motivazione. Invece, ha riproposto 
valutazioni di merito sulla tenuta dell'assetto probatorio, che, peraltro gi� i 
giudici di appello hanno respinto in quanto non contenute nel ricorso introduttivo 

(p. 10). 
Peraltro, la stessa formulazione della censura appare contraddittoria visto che il 
ricorrente lamenta la mancata deduzione di costi relativi ad incassi che lo stesso 
ricorrente assume che siano privi del carattere della certezza. Come � noto, l'art. 75, 
comma 4, TUIR consente la deduzione dei costi non registrati, �se e nella misura in 
cui risultano da elementi certi e precisi. Il G. non pu� eccepire la incertezza dei ricavi 
e, contemporaneamente, la certezza dei costi inerenti. In realt�, poi, i ricavi sono 
risultati certi, anche sulla base delle stesse ammissioni del G. (oltre che per i riscontri 
analitici effettuati dai verificatori, come ha ricordato lo stesso ricorrente), mentre 
nessuna certezza vi � su altri pretesi costi inerenti, oltre quelli gi� dedotti dall'Ufficio 
e quelli riconosciuti dalla sentenza impugnata. 

2.3.4 -Quanto alla dedotta illegittimit� dell'accertamento induttivo, in presenza 
di una corretta tenuta delle scritture contabili ed alla conseguente inversione dell'onere 
della prova, il ricorrente, evidentemente, confonde la regolarit� formale 
delle scritture contabili con la regolarit� sostanziale. Il rinvenimento della documentazione 
extracontabile (con i riscontri e le ammissioni riconosciuti dallo stesso 
ricorrente) ha fornito la prova che le scritture contabili ufficiali non erano veritiere, 
n� onnicomprensive. E quindi, legittimamente l'ufficio ha proceduto alle riprese in 
contestazione. Infatti, �il rinvenimento di una seconda contabilit� informale costituisce 
indizio grave preciso e concordante della esistenza di imponibili non registrati 
nella contabilit� ufficiale, valido per sorreggere l'accertamento induttivo ai fini delle 
imposte dirette� (Cass. Civ., sez. I, 13 maggio 1993, n. 5446; id., 17 dicembre 1992, 
n. 13331; id., 18 febbraio 1999, n. 1349; id., 3 marzo 1999, n. 1768; id., 7 luglio 
1999, n. 7045). 
� 2.3.5. -Il G. lamenta anche la carenza di motivazione sulle richieste istruttorie 
intese a dimostrare la infondatezza, o quanto meno la eccessivit�, dei recuperi 
anche a causa della mancata deduzione di costi. Su questo punto per�, la Commissione 
Regionale ha motivato di non poter adire alle richieste di parte perch� introducevano 
un thema giudiziario nuovo. N� il ricorrente dimostra che tale thema era 
stato gi� prospettato con il ricorso introduttivo. Eccepisce che l'assenza di contraddittorio 
in primo grado (nel senso che ignorava le motivazioni dei singoli recuperi; 
tesi, per�, gi� esaminata e respinta) non gli aveva consentito di contestare analiticamente 
le singole riprese; eccezione che di per s� � un riconoscimento della 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

novit� del motivo di appello. Ma, a parte quanto gi� detto, in ordine alla conoscenza 
che il G. aveva o doveva avere dell'esito dei controlli effettuati dalla guardia 
di finanza, che gli avrebbe consentito di spiegare ab imis una difesa �a tutto 
campo�, i limiti della controversia, entro i quali dovevano restare anche i mezzi di 
impugnazione, sono stati fissati dal G., il quale, accanto alla contestazione dell'avviso 
di accertamento e dei recuperi in esso contenuti avrebbe potuto e/o dovuto 
introdurre immediatamente il tema della deducibilit� dei costi inerenti, magari in 
via subordinata. Non avendolo fatto, appare corretta la decisione dei giudici di 
appello. Peraltro, la doglianza relativa alla mancata effettuazione di indagini bancarie 
� irrilevante in linea di principio, perch� l'eventuale esito negativo, presupposto 
dal ricorrente, non avrebbe portato �acqua al suo mulino�, atteso che �le vie 
del denaro� non hanno necessariamente percorsi bancari inderogabili. Se invece la 
richiesta istruttoria fosse stata finalizzata a dimostrare i pagamenti anticipati dal 
ricorrente, questo avrebbe dovuto e/o potuto allegare e produrre la prova positiva 
del proprio assunto gi� in primo grado. 

2.4. -Anche il ricorso incidentale � privo di fondamento. 
2.4.1. -Il Ministero si duole della applicazione retroattiva della abrogazione del 
comma 6 dell'art. 75 TUIR, avvenuta in virt� dell'art. 5 d.P.R. 9 dicembre 1996, n. 
695. In forza di tale applicazione il giudice a quo ha riconosciuto tra i componenti 
negativi del reddito di impresa anche il costo non contabilizzato di lire 56.026.000 
relativo a somme di denaro corrisposte �fuori busta� ai dipendenti. 
Ritiene il Collegio che la conclusione alla quale giunge la Commissione Regionale 
possa essere condiVisa. Il comma 6 dell'art. 75 TUIR disponeva testualmente: 
�Le spese e gli altri componenti negativi, di cui � prescritta la registrazione in apposite 
scritture contabili ai fini delle imposte sui redditi, non sono ammessi in deduzione 
se la registrazione � stata omessa o � stata eseguita irregolarmente, salvo che 
si tratti di irregolarit� formale�. La norma, sostanzialmente, precludeva la possibilit� 
di provare la esistenza di costi, altrimenti deducibili, che non fossero stati regolarmente 
registrati. Tale limite probatorio (o, se si vuole, prova legale dei costi soggetti 
a registrazione) costituiva un effetto sanzionatorio, aggiuntivo, della violazione 
dell'obbligo di registrazione. Ne deriva che l'abrogazione della citata disposizione 
ha determinato, per un verso, un ampliamento delle facolt� di prova del contribuente, 
e, per altro verso, una riduzione del carico sanzionatorio connesso alla violazione 
degli obblighi di registrazione. Come � noto, sia in materia processuale che in 
materia sanzionatoria, � consentita l'applicazione �retroattiva� dello jus supervenlens. 
In materia processuale, come � noto, vige il principio tempus regit actum, che 
prescinde dalla legge regolatrice del rapporto sostanziale. Pi� che di efficacia 
retroattiva si tratta di non ultrattivit� della legge abrogata. Quanto al profilo sanzionatorio, 
anche in materia tributaria � stato codificato il principio del favor rei, in 
forza del quale la eliminazione delle sanzioni opera anche in relazione ai fatti pregressi 
(art. 3 d. lgs. 472/97). Conseguentemente, la nuova disciplina pu� trovare 
applicazione nei procedimenti pendenti, quale che sia la normativa che disciplina i 
profili sostanziali del contenzioso. (omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT0" 

336 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 22 dicembre 2000 n. 16091 -Pres. 

Delli Priscoli -Rei. Marziale -P.G. (conf.) Gambardella -Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Polizzi) c. S.M. 

Contenzioso -Definizione agevolata -Avvisi di liquidazione per imposta di 

registro -Esito di procedimento ex art. 12, d.l. 70/88 -Definibilit� 


Esclusione. 

(d.l. 30 settembre 1994 n. 564 conv. in legge 30 novembre 1994 n. 636, art. 2 quinquies; d.l. 
14 marzo 1988 n. 70 conv. in legge 13 maggio 1988 n. 154). 
L'avviso di liquidazione dell'imposta di registro calcolata sull'imponibile 
differenziale tra il valore dichiarato e quello risultante dalla valutazione parametrica 
ex art. 52, quarto comma TUR, emesso all'esito di attribuzione, su 
richiesta della parte, della rendita catastale di cui l'immobile era privo ali' atto 
del trasferimento, � un atto fondato sui dati indicati dalla parte e non su ulteriori 
variazioni officiose, pertanto esso non � definibile ai sensi dell'art. 2 quinquies 

d.l. 564194 (1). 
(omissis) 
RITENUTO IN FATTO 

-Che con atto tempestivamente depositato presso la Commissione tributaria di 
primo grado di Pesaro, la signora S.M. proponeva ricorso avverso l'avviso, con il 
quale l'Ufficio del Registro di Pesaro aveva liquidato l'imposta dovuta in relazione 
all'atto di vendita di un immobile registrato il 17 gennaio 1991, a seguito della 
comunicazione della nuova rendita catastale attribuita all'immobile in questione, ai 
sensi dell'art. 12, d.l. 14 maggio 1988, n. 79, convertito, con modificazioni, nella 
legge 13 maggio 1988, n. 154; 

-che nelle more del giudizio il ricorrente presentava domanda di definizione 

agevolata della controversia ai sensi dell'art. 2 quinquies, d.l. 30 settembre 1994, 

n. 564 (convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 656), chiedendo 
che fosse dichiarata l'estinzione del giudizio; 
-che l'Ufficio si opponeva alla declaratoria di estinzione, assumendo che l'art. 
2 quinquies era nella specie inapplicabile, dal momento che determinazione del 
valore dell'immobile compravenduto sulla base della nuova rendita catastale era 
stata effettuata a richiesta delle parti; 

-che la richiesta di estinzione veniva accolta dalla Commissione tributaria 
regionale, sul rilievo che la controversia rientrava tra quelle che potevano essere ili~. 
definite con la procedura agevolata prevista dall'art. 2 quinquies d.l. 564/94, dal 
momento che la liquidazione dell'imposta era basata sulla determinazione di un ~ 

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valore maggiore di quello indicato dalle parti; m 

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(1) Conforme alla 64/2000, pubblicata retro, pag. 248. 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

-che l'Amministrazione finanziaria chiede la cassazione di tale decisone con 
un motivo di ricorso; 
-che l'intimata, alla quale il ricorso � stato notificato il 1� aprile 1998, non 
resiste. 

CONSIDERATO IN DIRITTO 

-che l'Amministrazione finanziaria ricorrente -denunziando violazione e 
falsa applicazione dell'art. 2 quinquies, d.1. 30 settembre 1994, n. 564, convertito, 
con modificazioni, nella legge 30 novembre 1994, n. 636 -censura la sentenza 
per aver ritenuto che la controversia rientrava tra quelle che potevano essere 
�definite� con la procedura agevolata prescritta dalla disposizione sopra 
indicata; 

-che il citato art. 2 quinquies, con riguardo alle liti pendenti su atti impositivi, 
accorda al contribuente la possibilit� di definirle, presentando apposita istanza 
e versando una somma correlata al valore della causa con effetto estintivo del 
giudizio; 

-che la norma, alla luce del testuale riferimento agli atti impositivi e alla 
ratio propria di ogni disciplina di definizione agevolata (riduzione del contenzioso 
con incassi per l'erario immediati, anche se eventualmente inferiori a quelli 
conseguibili in esito alla decisione delle cause), riguarda le liti pendenti su pretese 
creditorie dell'Amministrazione, ulteriori rispetto a quelli discendenti dagli elementi 
indicati o richiamati dallo stesso contribuente per la determinazione del1 
'imposta e, dunque, non trova applicazione per le contese che investano atti 
liquidatori e si esauriscano in un controllo sui criteri di quantificazione dell' obbligazione 
tributaria; 

-che la vicenda in esame rientra nella seconda delle riportate ipotesi, in quanto, 
con l'impugnazione della liquidazione dell'imposta di registro e dell'INVIM, 
effettuata in conformit� della scelta dei contribuenti di ancorare l'imponibile al valore 
risultante dalla rendita attribuita all'immobile in sede di accatastamento, si contestano 
la correttezza dell'individuazione dei parametri di calcolo e il successivo 
conteggio, non i presupposti di un maggior credito d'imposta; 

-che l'eventuale esercizio da parte di contribuenti della facolt� di mettere in 
discussione, impugnando l'avviso di liquidazione, la classificazione e la stima 
catastale poste a base della liquidazione stessa (C. Cost. 26 ottobre 1995, n. 463) 
non muta la natura della controversia, restando il dibattito sempre incentrato sul1'
identificazione degli elementi cui poi automaticamente si ricollega il quantum 
dell'imponibile e dell'imposta, ed anzi conferma l'esorbitanza della causa da 
quelle contemplate dall'art. 2 quinquies, dato che la richiesta di sindacato sulla 
legittimit� dell'accatastamento non apre una lite su una pretesa creditoria e non ha 
un valore in relazione al quale sia prospettabile una definizione mediante pagamento 
parziale; 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

338 

-che i rilievi svolti esprimono adesione ad un indirizzo di questa Corte da ritenersi, 
dopo la sentenza 18 febbraio 1999, n. 1343, ormai consolidato (Cass. 26 giugno 
1999, n. 6611; 27 novembre 1999, n. 13243; 5 gennaio 2000, n. 64; 16 marzo 
2000, n. 3046; 24 maggio 2000, n. 6789; 9 giugno 2000, n. 7906); 

-che non ricorrono, quindi, i presupposti per dichiarare l'estinzione del giudizio 
ai sensi dell'art. 2 quinquies, del citato d.l. 564/94; 
-che il ricorso deve essere pertanto accolto (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Tributaria, 23 dicembre 2000 n. 16171 -Pres. 
Cantillo -Rei. Amari -P.G. (diff.) Nardi -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Polizzi) c. N.A. 

Contenzioso -Poteri del giudice -Integrazione delle prove offerte dalle parti 
-Doverosit� -Dovere di ricostruire l'imponibile quale giudice del rapporto 
-Doverosit� -Necessaria motivazione in caso di non uso di tale 
potere integrativo. 
( d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, art. 7). 

� affetta da vizio di motivazione la sentenza del giudice di merito il quale, nel/'
indicazione espressa da taluni atti rilevanti ai fini della doverosa ricostruzione dell'imponibile, 
si limiti a rigettare per carenza di prova le domande dell'Amministrazione 
Finanziaria, dovendo egli fare uso motivato dei poteri di integrazione 
istruttoria concessigli dall'art. 7 d.lgs. 546192 (1). 

(1) Onere della prova e poteri officiosi del giudice tributario alla luce del suo compito 
fondamentale. 
1. -La giurisdizione tributaria � tale per attribuzione di materia. Non stupisce perci� che nel 
relativo giudizio, accanto ad azioni di accertamento (penso all'azione di rimborso nel sistema del 
d.P.R. 636) e di condanna (idem con il d.lgs. 546, art. 69) o cautelari, in s� non soggette a termini 
se non quelli sostanziali di decadenza, vi sia un accesso al giudice generalmente strutturato 
come processo di impugnazione di nominati atti entro un termine di rigore, come nel processo 
amministrativo di pura legittimit�. N� ci� pare incongruo temperando l'interesse dello Stato a 
proocurarsi i mezzi di sussistenza con quello del privato alla difesa, e realizzando una maggiore 
certezza del diritto. 
2. -Seconda premessa: l'Amministrazione persegue il suo scopo pratico mediante procedimenti 
e provvedimenti ispirati al principio di legalit�. Il contribuente cittadino ha quindi anche 
interesse a censurare detti atti per vizi formali. 
3. -Ne consegue che il processo tributario d'impugnazione pu� concludersi o con un annullamento 
dell'atto ovvero -se l'atto � formalmente legittimo -con una decisione sulla pretesa 
sostanziale, in cui lo Stato resistente � attore sostanziale e onerato della prova dei fatti allegati 
nell'atto (il cui oggetto delimita l'ambito della materia del contendere). 
4. -Questa ricostruzione appare rilevante al fine di configurare meglio i doveri del giudice 
verso lo Stato -attore del processo. Il primo dei quali, al di l� delle censure formali sull'atto che 
occasiona il processo, � decidere sulla domanda sostanziale, proposta nell'atto stesso, e non oitre 
i limiti di essa. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

339 

(omissis) 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

1. -Con atto rogato il 30 maggio 1988 dal notaio Di Cardio di Latina, A.N. vendeva 
alla C. Immobiliare s.r.1. con sede in Sermoneta, un terreno di complessivi Ha 
2.84.89 per il prezzo dichiarato di L. 80.000.000. 
Sulla base di giudizio di stima dell'UTE, l'Ufficio del Registro di Latina elevava 
il valore finale dichiarato da L. 80.000.000 a L. 228.000.000. 
Il N. proponeva ricorso alla Commissione Tributaria, sostenendo che l'accertamento 
era nullo perch� immotivato. 
L'Ufficio resisteva al gravame, facendo rilevare che -come emergeva dalla 
stima dell'UTE, nel P.R.G. il terreno venduto rientrava in zona �Industriale S. Donato
� con destinazione urbanistica in parte a zona artigianale e piccole industrie e in 
parte a viabilit�, ed era soggetto a servit� di elettrodotto ed oleodotto. Aggiungeva 

5. -Esclusa quindi ogni commistione tra il tema probatorio -che comporta, in caso di 
omissione, la reiezione della domanda -e quello motivazionale (che, ove carente, comporta 
l'annullamento dell'atto) sovente riscontrata nella pratica, il giudice del rapporto dovr� basarsi sui 
fatti allegati dalle parti, senza i quali, a dire il vero, pu� dubitarsi della stessa legittimit� formale 
dell'atto, esclusa ogni possibilit� d'integrazione in sede processuale. 
6. -Indi, le prove offerte -anche qui si segnala nella pratica una notevole confusione tra le 
prove dell'accertamento e le prove della pretesa fiscale, irrilevanti formalmente le prime. L'art. 
7, I co., d.lgs. 546 consente al giudice del merito di servirsi, ex officio, di tutti i poteri spettanti 
agli Uffici in sede di accertamento, poteri di esibizione e poteri di disporre verificazioni o anche 
consulenze tecniche. Evidentemente non � un processo in cui vale il principio dispositivo. Che, 
poi, allo stato puro nemmeno esiste (cfr. artt. 116-118, 191, 213, 240-243, 257 c.p.c., fattispecie 
tutte riferite al rito solenne, ordinario e collegiale). Tuttavia, se l'art. 115 c.p.c. pone il principio 
quale regola generale -derogatissima -del processo civile, l'art. 7 pone invece il principio 
opposto in quello tributario. 
7. -Non convince l'opposta tesi (BELLAGAMBA, Il contenzioso tributario, Torino, UTET, 
1996, 65 ss.) che vede nel nuovo rito un rito pi� spostato -in forza dell'obbligatoria assistenza 
tecnica delle parti -verso il principio dispositivo. L'art. 7 � in termini assoluti formulato. Si ritiene, 
in definitiva, che si tratti di un processo inquisitorio, in cui le prove possono essere raccolte 
d'ufficio, anzi lo devono se necessario, con il solo limite dell'allegazione dei fatti, esattamente 
come nel rito del lavoro accade da trent'anni. 
8. -L'assunto, coraggioso e condiviso, della sezione, � che il mancato esercizio di tali 
poteri, se non motivato, � sindacabile. Nella specie, l'accertamento era motivato su una stima 
dell'UTE che a sua volta richiamava i prezzi praticati da un consorzio nucleo di industrializzazione 
per i terreni compresi nella zona; la Commissione, attesa la mancata produzione degli 
atti in questione, aveva rigettato la tesi della P.A. confermando i valori assunti dalle parti ricorrenti. 
La Sezione invero non � chiara; resta ferma (clausola in stile) sul principio dispositivo e 
sulla insindacabilit� dei poteri integrativi, ma altres� asserisce che � dovere del giudice stimare 
il bene anche in carenza dei documenti. Ci� comporta evidentemente la necessit� di motivare 
sull'uso o sul non uso di tali poteri, il che nega lo stilema iniziale sulla latissima discrezionalit� 
del giudice. Il potere, se � esercitato in contraddittorio, e in uno Stato di diritto, non � 
mai insindacabile. 
ROBERTO DE FELICE 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

340 

che il valore complessivo era stato determinato sulla base degli indennizzi che venivano 
pagati sugli espropri dal Consorzio per l'Area di Sviluppo Industriale di 
Roma-Latina, notoriamente inferiori ai normali valori di mercato. 

Con decisione n. 2655/03/91 del 13 novembre 199111 aprile 1992 la Commissione 
tributaria di 1 � grado affermava che l'accertamento era illegittimo perch� 
�privo di riferimenti a precedenti valutazioni� e di �indicazioni del metodo comparativo 
adottato� e che pertanto il valore indicato dal contribuente doveva essere ritenuto 
congruo. 

L'Ufficio proponeva appello lamentando illogicit� della decisione, sia perch� 
non era vero che non era stato indicato il metodo di valutazione adottato, sia perch� 
il valore unitario era stato determinato con puntuale riferimento ai prezzi di esproprio 
dei terreni aventi la stessa destinazione urbanistica, sia perch� l'eventuale illogicit� 
dell'accertamento non comportava, ipso facto, la congruit� del valore dichiarato 
dalla parte, che il giudice tributario avrebbe dovuto accertare con adeguato 
giudizio estimativo. 

Con decisione n. 97 /31/024 7 del 22 maggio/18 agosto 1997 la Commissione 
Tributaria Regionale respingeva l'appello, definendolo infondato e non dimostrato. 

2. -Avverso questa decisione l'Amministrazione Finanziaria propone ricorso 
per Cassazione. 
Con il 1� motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli 
artt. 112 c.p c., 2697 ss. e.e., 7, d.lgs. 31dicembre1992, n. 546, e dei principi generali 
in tema di contenzioso tributario, ed omessa ed insufficiente motivazione su 
punti decisivi della controversia, in relazione all'art. 360, nn. 3, 4 e 5 c.p.c. ed all'art. 
62, primo comma, d.lgs. 31dicembre1992, n. 546. 

L'Amministrazione deduce che la Commissione Tributaria di primo grado 
aveva ignorato che l'avviso di accertamento era basato sulla corretta applicazione 
del metodo comparativo, in quanto il valore dell'immobile venduto era stato desunto 
dai valori di esproprio praticato dal Consorzio A.S.I. 

Tale punto non era stato congruamente esaminato neppure dal giudice di appello, 
che aveva emesso una decisione sommaria e sostanzialmente immotivata, tutta 
concentrata nella affermazione che l'Ufficio non aveva fornito prova del proprio 
assunto. 

Senonch�, da un lato i suddetti valori avevano carattere di notoriet� per chiunque 
avesse esperienza nel settore e trovavano riscontro nella stima tecnica 
dell'U.T.E., d'altro lato le deduzioni dell'Ufficio sul punto non richiedevano prova 
specifica, non essendo state in alcun modo contestate dalla controparte. Inoltre, ove 
mai avesse voluto dubitare della veridicit� di tali affermazioni, il giudice tributario 
non avrebbe potuto omettere di fare uso dei poteri istruttori a lui conferiti dall'art. 35 

d.P.R. 636/72 e poi ribaditi dall'art. 7 del d.lgs. 546/92, trattandosi di chiarire e definire 
alcuni aspetti decisivi che erano gi� dotati, quanto meno, di un principio di prova. 
Con il 2� motivo l'Amministrazione finanziaria deduce la violazione e falsa 
applicazione dei principi generali dei contenzioso tributario ed omessa, insufficiente 
e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, in relazione 
all'art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c. ed all'art. 62, primo comma, d.lgs. n. 546 
del 1992. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Deduce l'Amministrazione che dai pretesi vizi di legittimit� non derivava la 
congruit� dei valori esposti dal contribuente, ma piuttosto l'obbligo del giudice di 
formulare un adeguato giudizio estimativo, atteso che il giudizio tributario non � 
limitato ai soli profili di legittimit� dell'atto impugnato ma si estende al merito del 
rapporto. 

L'Amministrazione ricorrente conclude per l'annullamento della sentenza 
impugnata, con declaratoria della legittimit� degli avvisi di accertamento, ovvero, in 
subordine, con rinvio della causa ad altro giudice per un nuovo esame. 

Resiste con controricorso il contribuente eccependo l'assenza della prova documentale 
delle asserzioni dell'Amministrazione e che il giudice tributario non era 
affatto tenuto a sostituirsi alla parte che non aveva ottemperato, come nella specie la 
ricorrente, al proprio onere probatorio sulla fondatezza delle pretesa tributaria. 

Chiede, pertanto, il rigetto del ricorso. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

3. -Osserva il Collegio, esaminando congiuntamente i motivi del ricorso, che 
in tema di imposta di registro e di INVIM l'obbligo della motivazione dell'avviso 
di accertamento in rettifica del valore dichiarato mira a delimitare l'ambito delle 
ragioni adducibili dall'Ufficio nell'eventuale successiva fase contenziosa, ed altres� 
a consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa. Pertanto, � sufficiente 
che l'avviso enunci, anche facendo richiamo ad altro atto a conoscenza del contribuente 
(nel caso di specie, stima dell'U.T.E.), i criteri astratti in base ai quali � stato 
determinato il diverso valore, con le specificazioni che si rendano in concreto necessarie 
per il raggiungimento di detto obiettivo. 
Ci� � avvenuto nella vicenda in questione, con il riferimento fatto dall'Ufficio. 
anche mediante richiamo alla stima dell'UT.E., ai vincoli esistenti nella zona e agli 
indennizzi corrisposti sugli espropri dal Consorzio per l'area di sviluppo industriale 
di Roma-Latina. 

Per quanto concerne la sede contenziosa, vero � che sussiste l'onere dell'Ufficio 
di provare gli elementi di fatto giustificativi del �quantum� accertato nel 
quadro dei parametri prescelti, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione 
di legittimit� dell'avviso di accertamento; che, contrariamente a quando 
sembra ritenere l'Amministrazione finanziaria a proposito dell'indennit� di 
espropriazione nella zona, non sussiste nel nostro ordinamento giuridico un principio 
che imponga alla parte l'onere di contestare specificamente i fatti dedotti 
dalla controparte (giurisprudenza consolidata); e che l'esercizio della facolt� di 
disporre accertamenti istruttori ad integrazione delle prove offerte dalle parti 
costituisce una valutazione discrezionale (e perci� insindacabile) delle Commissioni 
tributarie. 

Tuttavia, va considerato che il processo tributario non � annoverabile tra quelli 
di �impugnazione -annullamento� ma tra quelli di �impugnazione merito�, in quanto 
non diretto all'eliminazione giuridica dell'atto impugnato ma alla pronunzia di 
una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia 
dell'accertamento dell'Ufficio. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO"

342 

Ora, il rilievo che l'Ufficio possa non avere provato la sussistenza in concreto 
di uno pi� parametri cui si fa astratto riferimento nell'avviso di accertamento, non 
comporta che il giudice tributario debba ritenere automaticamente congrui i valori 
dichiarati dal contribuente; detto giudice deve, invece, formulare un proprio giudizio 
estimatorio sulla base degli elementi provati o comunque incontroversi. 

Nel caso di specie, il giudice di appello avrebbe dovuto porre a fondamento del 
predetto esame di merito la descrizione dettagliata dell'immobile risultante dalla 
stima dell'UT.E. e i vincoli gravanti su di esso in base alle concordi dichiarazioni 
delle parti; non trascurando, nell'esprimere detto giudizio, di valutare che la progettata 
viabilit� prevista in parte della zona dal P.R.G., destinazione che il contribuente 
e la Commissione di 1� grado hanno ritenuto incidere negativamente sul valore 
del terreno, per l'Ufficio costituirebbe invece una sua caratteristica positiva. 

( cfr. atto di appello). 

Erroneamente la Commissione regionale ha fatto, quindi, derivare automaticamente 
dalla mancanza di prova documentale di un parametro di riferimento (misura 
delle indennit� di espropriazione pagate per i terreni della zona dal Consorzio) la 
congruit� dei valori dichiarati dal N. 

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4. -Il ricorso va pertanto accolto (omissis). 
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SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. V pen., 2 febbraio 1999, n. 1386 -Pres. Badia Est. 
Cicchetti -P.M Febbraro (parz. diff.) -S. ed altri c. Ministero dell'Interno 
(avv. Stato Sica). 

Responsabilit� civile -Riferibilit� alla P.A. del comportamento illecito del 
dipendente -Presupposti -Necessit� di un collegamento concreto e sostanziale 
tra comportamento criminoso e mansioni affidate. 

(codice civile, art. 2043; codice penale, art. 185; Cost., art. 28). 

Responsabilit� civile della Pubblica Amministrazione -Fatto illecito 
del dipendente -Deviazione dai fini istituzionali -Interruzione del 
rapporto organico -Criteri per l'accertamento -Fattispecie: agente di 
polizia. 

(codice civile, artt. 2043 e 2049; codice penale, art 185; Cost., art. 28). 

In tema di responsabilit� della Pubblica Amministrazione per fatto illecito del 
dipendente, � necessario accertare innanzitutto un �collegamento concreto e sostanziale
� tra comportamento ascritto e mansioni affidate e svolte (�contestualit��), 
nonch� la corrispondenza di queste ultime ai fini istituzionali dello Stato o del/ 'Ente 
pubblico, affinch� rimanga integro il rapporto organico. 

Peraltro, nella valutazione del comportamento concreto lesivo del diritto 
altrui, il giudice dovr� verificare se tale comportamento -ancorch� deviato per 
violazione di norme regolamentari o per eccesso di potere -risulti comunque 
finalizzato al raggiungimento dei fini istituzionali, oppure se la devianza attenga 
proprio al profilo delle finalit�, avendo l'agente sostituito le sue personali a quelle 
proprie della P.A.: in tal caso quest'ultima rimarr� esente da ogni responsabilit� 
civile. 

Diversamente ritenendo, si corre il rischio di individuare il fondamento della 
responsabilit� della P.A. non pi� in un illecito commesso nel/' espletamento degli 
incarichi affidati (�occasionalit� necessaria�), ma in una generica garanzia o esigenza 
solidaristica a favore del terzo danneggiato che non trova alcun riscontro nel 
nostro ordinamento. (Nella fattispecie, relativa a omicidi e rapine commessi da un 
poliziotto, la Suprema Corte censura la decisione dei giudici di merito laddove 
affermano che la qualit� di poliziotto, in s� considerata, rendeva possibile o agevolava 
la commissione dei fatti criminosi) (1 ). 


~ -: . . .-z.� ..�.. _;.-:-� ....-r-...-�.=�:�~:.. . . 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. VI, 15 dicembre 2000, n. 1269 -Pres. Troiano Est. 
Ambrosiani -P.M Iadecola (conf.) -S. ed altri c. Ministero dell'Interno 
(avv. Stato Lancia). 

Responsabilit� civile -Responsabilit� diretta della Pubblica Amministrazione 
-Presupposti -Dipendenza organica e occasionalit� necessaria. 
(codice civile, art. 2043; Costituzione, art. 28). 

La responsabilit� dello Stato per il fatto dei propri dipendenti non pu� essere 
che diretta: la Pubblica Amministrazione risponde -con responsabilit� solidale per 
il fatto che le sono direttamente riferibili gli atti dei dipendenti, compiuti, in 
forza del c.d. rapporto di �dipendenza organica�, per il raggiungimento delle finalit� 
istituzionali sue proprie, nell'ambito dello svolgimento del servizio demandato. 

La diretta riferibilit� viene compendiata nell'unico rapporto tra �mansioni 
espletate e danno prodotto�, in termini di �occasionalit� necessaria� (2). 

(1-2) La �banda della Uno bianca�: l'interruzione del rapporto organico esclude ogni 
responsabilit� della Pubblica Amministrazione. 

La sentenza in commento suscita particolare interesse, oltre che per la gravit� e inverosimiglianza 
dei fatti che hanno dato luogo al procedimento penale in esame, per la rilevanza delle questioni 
di diritto penale e civile affrontate e risolte, sotto certi profili in maniera innovativa, dalla 
Suprema Corte. 

La prima doglianza che la Corte ha esaminato concerne la presunta inesatta interpretazione 
dei giudici di merito, nella parte in cui fanno conseguire la responsabilit� civile della P.A. ad un 
�qualsiasi elemento di contatto tra qualifica e comportamento dell'agente�. 

La disposizione fondamentale in materia di responsabilit� extracontrattuale della P.A. come 
viene ribadito dalla sentenza in commento -� contenuta nell'art. 28 della Costituzione, disposizione 
che affianca, alla responsabilit� �in proprio� delle persone che agiscono quali organi del


1 'Amministrazione, quella di quest'ultima, per i fatti illeciti dei suoi funzionari e dipendenti. 

La giurisprudenza ha chiarito che con l'art. 28 della nostra Costituzione non si � inteso snaturare 
la responsabilit� �diretta� della P.A., in virt� del c.d. �rapporto organico� ed affermare il principio 
della responsabilit� �indiretta� di essa, ma si � voluta sancire, accanto alla responsabilit� del1 
'ente, anche quella del singolo funzionario o dipendente, autore del fatto dannoso, che in passato era 
ritenuta assorbita dalla responsabilit� dell'Amministrazione (Cass., 6 febbraio 1970, n.263, in Giustizia 
civile, 1970, 1, 558; Cass., 27 marzo 1972, n. 976, in Giurisprudenza Italiana, 1973, 1, 234). 

La responsabilit� della P.A. per fatto illecito non trae, quindi, fondamento dalla norma del1'
art. 2049 e.e. (responsabilit� indiretta per fatto del preposto), giacch� la presunzione di �colpa 
in eligendo o in vigilando�, cui la predetta norma s'ispira, non � applicabile all'Amministrazione 
stessa che sceglie i propri dipendenti con cautele predisposte dalla legge, o nell'ambito dei suoi 
poteri discrezionali, di regola sottratti al sindacato dell'autorit� giudiziaria. 

Tale responsabilit� diretta comporta che alla P.A. venga riferito ogni atto del dipendente se 
compiuto nella veste di organo dell'Amministrazione medesima, nell'esplicazione delle funzioni a 
lui demandate, come conseguenza del �rapporto organico� che lega il funzionario all'ente, quale 
che sia la mansione espletata dal dipendente -di concetto o d'ordine, intellettuale o materiale 


(v. Cass., S.U., 17 dicembre 1970, n. 2700, in Giustizia Civile, 1971, 1, 748; Cass., 12 luglio 1974, 
n. 2107, in Giurisprudenza Italiana, Mass., 1974, 581; Cass., 12 agosto 2000, n. 10803). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

345 

I 

(omissis) 

Il ricorrente Ministero dell'Interno nel primo motivo di ricorso censura l'interpretazione 
con cui l'impugnata sentenza fa conseguire la responsabilit� civile della 

P.A. ad un �qualsiasi elemento di contatto tra qualifica e comportamento dell'agente
�, ribadendo la necessit� di un �collegamento concreto e sostanziale� tra comportamento 
ascritto e mansioni affidate svolte e negando, correlativamente, che possa 
Perch� ricorra tale responsabilit� della P.A. non basta, ovviamente, il semplice comportamento 
lesivo del dipendente; deve sussistere oltre al �nesso di causalit�� tra il comportamento e 
l'evento dannoso, la �riferibilit�� all'Amministrazione del comportamento stesso (v. Cass., sez. 
III, 17 settembre 1997, n. 9260). 

La sentenza in epigrafe ribadisce la necessit� di un �collegamento concreto e sostanziale� 
tra condotta ascritta e mansioni affidate e svolte, negando, correlativamente, che possa derivare 
responsabilit� civile della P.A. da attivit� del dipendente non �contestualizzata� con l'incarico 
affidato. La sentenza riporta, in sostanza, il concetto di �occasionalit� necessaria� nell'alveo dello 
svolgimento di mansioni concrete, non esulanti dal rapporto lavorativo. 

Appare opportuno evidenziare il netto �stacco� dal precedente orientamento giurisprudenziale 
che �dilatava� la responsabilit� diretta della P.A. addirittura ritenendola sussistente nell'ipotesi 
di omicidio colposo commesso da una sentinella, nel periodo di tempo in cui aveva 
momentaneamente abbandonato il posto, riconoscendo anche in tale caso la �necessaria occasione
� nel servizio reso dall'imputato ( v. Cass., Sez. IV, 14 aprile 1981, n. 878, in questa Rassegna, 
1981, 432, con nota critica di PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE). 

Invero, quanto alla �occasionalit� necessaria�, la recente giurisprudenza di legittimit� afferma 
che essa, quale presupposto della responsabilit� diretta della P.A. per fatto del proprio dipendente, 
sussiste tutte le volte in cui la condotta di quest'ultimo sia strumentalmente connessa con 
l'attivit� d'ufficio. 

La riferibilit� dell'atto o del comportamento del funzionario alla P.A. va esclusa solo relativamente 
a quelle attivit� strettamente personali, in relazione alle finalit� istituzionali, o non 
legate neppure da un nesso di occasionalit� con i compiti affidatigli (Cass., 13 dicembre 1995, 

n. 12786; Cass., 6 dicembre 1996, n. 10896). 
In questa evoluzione giurisprudenziale del concetto di �occasionalit� necessaria�, superando 
il tradizionale orientamento, � stato peraltro sottolineato da numerose decisioni che il fatto 
�doloso� del funzionario non � necessariamente non imputabile all'Amministrazione, dovendo 
ritenersi, al contrario, la riferibilit� allorch� sussista un nesso di �occasionalit� necessaria� tra il 
comportamento dell'impiegato e le incombenze allo stesso affidate: nesso che va accertato -ed 
� in questo il punto di decisiva divergenza rispetto all'orientamento tradizionale -considerando 
non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente abuso, ma il complesso 
dell'attivit� nella quale esso s'inserisce (v. Cass., 14 maggio 1997, n. 4232; Cass., 12 agosto 
2000, n. 10803). 

Nella sentenza che si commenta la Suprema Corte enuclea i criteri-guida che il giudice di 
merito deve seguire nella valutazione del concreto comportamento lesivo, posto in essere dal pubblico 
dipendente (e senza distinzioni tra attivit� propriamente rappresentativa, nel rapporto organico 
di tipo amministrativo, e attivit� materiale): l'indagine deve avere ad oggetto anzitutto la 
�contestualit�� tra lo svolgimento di mansioni e comportamento criminoso, ovvero deve accertare 
le �specifiche connessioni spazio-temporali� tra attivit� di servizio e consumazione di precisi 
reati, in rapporto ai quali viene chiamato il responsabile civile. 

Tale indagine ha efficacia condizionante rispetto alle successive fasi di valutazione pi� 
�qualificanti�, concernenti l'integrit� o l'eventuale interruzione del �rapporto organico� e i connessi 
profili soggettivi del comportamento dell'agente. 



346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT� 

derivare responsabilit� civile del datore di lavoro da attivit� del dipendente non 
�contestualizzata� con le mansioni o l'incarico affidati. 
Riporta, in sostanza, il concetto di �occasionalit� necessaria� nell'alveo dello 
svolgimento reale di mansioni concrete non esulanti dal rapporto lavorativo. 

Accenna anche alla pi� rigorosa giurisprudenza che pone quale limite invalicabile 
alla responsabilit� della P.A. -sempre di natura diretta -la cessazione, a 
causa del perseguimento di fini esclusivamente personali all'agente, del �rapporto 
organico� che consente di riferire l'attivit� all'Ente pubblico o allo Stato. 

Nel secondo motivo evidenzia, in punto di fatto, non solo l'estraneit� della condotta 
criminosa degli imputati dall'attivit� di servizio (neppure ipotizzata nei capi 

L'impugnata sentenza condannava l'imputato A.S. e gli altri all'ergastolo per i reati di partecipazione 
ed associazione a delinquere finalizzata al compimento di rapine, furti, estorsioni, con 

I 
II modalit� intimidatorie e con l'impiego di armi per evitare la propria individuazione ed assicurarsi 
la fuga; dichiarava, inoltre, la responsabilit� civile del Ministero dell'Interno, condannandolo 
in solido con gli imputati al risarcimento del danno. "' 

A ragione la Suprema Corte ha annullato tale sentenza in relazione alla pronuncia di respon-W 
sabilit� civile della P.A.. Invero la condotta del poliziotto, costituendo una matrice autonoma ed ~--� 
eccezionale, determinata da motivi �strettamente personali�, non � riconducibile al rapporto orga-~ 
nico che lega la P.A. ai suoi dipendenti e quindi non � ad essa imputabile. 

I 

La giurisprudenza ha di recente precisato che, per accertare il predetto �nesso organico� e 

jla conseguente riferibilit� all'Amministrazione dell'evento dannoso, deve aversi riguardo allo i� 
scopo ultimo che il dipendente intende raggiungere (v. Cass., 3 dicembre 1991, n. 12960). Per-ffi 
tanto una :frattura del rapporto organico ha luogo quando il funzionario agisca come semplice pri


1:== 

vato, per finalit� �egoistiche�, nel qual caso l'attivit� da lui posta in essere si configura come r~ 
assolutamente estranea all'ambito delle pubbliche funzioni e si ha soltanto la diretta responsabi-~ 
lit� del dipendente o funzionario. 

I 

Nella f:babttispecie ill: esdame appare palese l'insussistenza.o meglio l'interruzione ?el ndessd~ mi! 
organico: se ene non sia a esc udere1 �tout courf>> -come mvece ritenuto, ta1vota, m se e i

1 ,, 
merito -la responsabilit� dell'Amministrazione quando l'atto illecito del funzionario sia �dolo-=:j 
so� (nel senso dell'esclusione Trib. Aosta, 23 giugno 1962, in Giurisprudenza Italiana, 1964, I, 1=~ 
66), nel caso in questione il poliziotto ha agito deliberatamente contro il suo mandato, fuori dalle 
sue attribuzioni, e per di pi� con un comportamento diretto a realizzare e ad assicurare un proprio 

I 

illecito vantaggio a danno dell'Amministrazione rappresentata, la cui responsabilit� � esclusa per 
il venir meno del nesso di istituzionalit�. ~i.. 
La Corte, in altra occasione (v. Cass. 6 dicembre 1996, n. 10896), ha escluso la responsabi-;, 
lit� della P.A. nell'ipotesi di un carabiniere ausiliario che, mentre prestava servizio in caserma, 

colpiva un collega, ribadendo che non � la natura (dolosa o colposa) dell'elemento soggettivo ad 
escludere o meno il rapporto organico, bens� la semplice �autonoma volontariet�� dell'azione ii! 
svolta al di fuori dei compiti istituzionali (la c.d. �suitas�, cio� la mera consapevolezza e volon-�:I�=.~=_;,_� 

t� della condotta); cos� come in ipotesi in cui un agente di P.S. mostrava al cugino il funziona-, 
mento della pistola di ordinanza e faceva accidentalmente partire un colpo con conseguenze leta-.. 
li (v. Cass., 15 maggio 1987, Zagaria, in Rivista Penale, 1988, 36): poich� � stato volontario l'uso @ 

illegittimo dell'arma, la natura colposa del reato non pu� riportare, sotto il profilo della respon-~l,

ij_=_��.:���-_�._.:

.��_,�.

sabilit� civile, il fatto illecito alle competenze funzionali del suo autore. 
<<A fortiori� la commissione di estorsioni, rapine, omicidi, da parte di un poliziotto, non pu�, 
per la sola incombenza disimpegnata, determinare la responsabilit� dell'Amministrazione di 

I1

~~~;;.,~:~l'orronoaoon,idoranono oho fa qualit� in"'''""rnndova po,,ibilo o agovola-� 1 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

347 

d'imputazione) quanto anche le egoistiche finalit� economiche antitetiche ai fini 
istituzionali della P.A. 

Con l'unico motivo viene denunziato il vizio logico di motivazione per l' estraneit� 
dei criteri di collegamento, proposti dall'impugnata sentenza, rispetto alle 
fattispecie criminose riguardanti la condanna del responsabile civile (omicidio 
Picello e reato associativo) sotto il profilo della �occasionalit�� come pure della 
�necessari et��. 

Il ricorrente si attarda, poi, a contestare rilevanza, fondatezza e logicit� delle 
affermazioni contenute nella sentenza, relative ai nessi concretamente individuati tra 
condotte/conoscenze per ragioni di servizio e fatti criminosi oggetto delle imputazioni. 
Ritiene questa Corte che il ricorso vada accolto, per quanto di ragione. 

L'art. 28 della Costituzione, collocato nel titolo riguardante i rapporti civili 
della parte dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, prevede la diretta responsabilit� 
dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici, secondo le leggi 
penali, civili ed amministrative, per atti compiuti in violazione di diritti soggettivi. 
Nell'ultima frase � contemplata l'estensione a Stato ed enti pubblici della responsabilit� 
civile. 

La norma, dunque, � rivolta essenzialmente al recupero della responsabilit� personale 
dei dipendenti, cui si aggiunge quella solidale della P.A. 

Allorch� il fatto criminoso s'innesta nel meccanismo di un'attivit� complessivamente estranea, 

o per di pi� confliggente con gli interessi e le esigenze pubblicistiche dell'Amministrazione, quel 
�collegamento funzionale�, costituente fonte di responsabilit�, viene palesemente eliso (v. in dottrina 
P. PASSERONE, Il requisito della riferibilit� alla P.A. del comportamento illecito del pubblico 
dipendente, nell'accertamento della responsabilit� civile della P.A., in Resp. civ. e prev., 1996, 620). 
D'altra parte, il semplice possesso dell'arma o l'acquisizione di conoscenze specifiche e 
riservate, ancorch� trovi titolo nella qualit� dell'agente di appartenente al Corpo di Polizia, non � 
sufficiente, di per s�, a rendere operante il nesso di �occasionalit� necessaria� -da intendersi 
nei termini sopra esposti -poich� essi vanno valutati in relazione al comportamento tenuto e alle 
finalit� perseguite con quell'arma o abusando della propria posizione. 

Tali considerazioni hanno trovato ulteriore conferma nella recente sentenza della Suprema 
Corte, Sez. VI, 15 dicembre 2000, n. 1269, pronunciata nei confronti degli stessi imputati S.A. ed 
altri. La Cassazione ha annullato la sentenza della Corte d'Assise d'Appello di Bologna relativamente 
alla declaratoria di responsabilit� del Ministero dell'Interno, configurata dallo stesso Collegio 
quale �responsabilit� indiretta oggettiva� ex art. 2049 e.e., con riferimento alla teoria del 
�rischio d'impresa�. 

A ragione la Suprema Corte ha ribadito il consolidato principio secondo cui la responsabilit� 
dello Stato per il fatto dei propri dipendenti non pu� essere che �diretta�, ai sensi di quanto 
previsto dall'art. 28 della Costituzione e dell'art. 2043 e.e.: in presenza del rapporto d'impiego o 
servizio si determina una �dipendenza organica�, cui non sembra certo sovrapponibile la responsabilit� 
indiretta dei padroni e committenti ex art. 2049 e.e. 

Diversamente opinando, si configurerebbe una sorta di �responsabilit� di posizione� in capo 
alla P.A., fondata su un nesso del tutto formale ed evanescente o meglio una �garanzia� che, sebbene 
idonea a soddisfare le pur rilevanti esigenze solidaristiche, a favore dei terzi danneggiati, 
darebbe luogo ad una responsabilit� �obiettiva� fondata sul principio �uhi commoda eius incommoda
�, principio portato in tal modo alle estreme conseguenze, poich� la suddetta responsabilit� 
verrebbe a dipendere dalle scelte personali, egoistiche o addirittura folli dei dipendenti, con esclusione 
di qualsiasi prova liberatoria per la Pubblica Amministrazione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

348 

Quest'ultima risponde per il fatto che le sono direttamente riferibili gli atti dei 
dipendenti, compiuti -in forza del c.d. rapporto di immedesimazione organica per 
il raggiungimento delle finalit� istituzionali sue proprie nell'ambito dello svolgimento 
del servizio demandato. 

Pertanto, l'art. 28 della Costituzione ipotizza, nell'ultima parte, la responsabilit� 
diretta (art. 2043 cod. civ.) della P.A., anche se il medesimo giudice delle leggi 
(vedi sentenza 14 marzo 1968 n. 2) ha precisato che quando esistono limitazioni alla 
responsabilit� del funzionario (possibili perch� la norma fondamentale detta soltanto 
il principio programmatico cui il legislatore deve ispirarsi, senza escludere una 
disciplina differenziata rispetto al diritto comune), quella dello Stato pu� trarre origine 
da norme e principi contenuti in leggi ordinarie. 

Una tale precisazione nulla toglie al fatto che, in presenza del rapporto d'impiego 
o servizio, quali che siano le mansioni svolte (nella vasta gamma che va dal1'
attivit� propriamente rappresentativa nel rapporto organico di tipo amministrativo 
all'attivit� materiale) si determina una �dipendenza organica� cui difficilmente pu� 
sovrapporsi la responsabilit� �indiretta� di padroni o committenti ex art. 2049 e.e. 

Questa disposizione, con i meno rigorosi criteri di riferibilit� del fatto illecito 
del preposto al preponente, � stata sempre applicata fuori del rapporto di pubblico 
impiego anche se la giurisprudenza di questa Corte ha mutuato il criterio della 
�occasionalit� necessaria� per sostituirlo a quello della stretta causalit� tra comportamento, 
riferibile all'amministrazione, ed evento dannoso, pur non derogando alla 
regola della responsabilit� diretta ex art. 2043 cod. civ. 

Si rende, pertanto, opportuno analizzare pi� specificamente contenuto e significato 
del criterio di �occasionalit� necessaria� ed individuare esattamente i soggetti 
cui deve essere riferito. 

Evidentemente si tratta della condotta illecita (del dipendente) che deve trovare 
l'occasione �necessariamente� nell'espletamento delle mansioni; queste ultime, cio�, 
vengono a costituire conditio sine qua non del fatto illecito produttivo del danno. 

L'impostazione che opera la distinzione tra due diversi rapporti: 1) comportamento 
del dipendente/evento dannoso, legati da nesso di causalit�; 2) comportamento 
del dipendente/amministrazione, legati da nesso di �riferibilit�� in ragione 
dei fini istituzionali, viene sostanzialmente riassunta nell'unico rapporto tra �mansioni 
espletate� e danno prodotto, in termini di �occasionalit� necessaria�. 

Se costante giurisprudenza esclude l'applicabilit� dell'art. 2050 e.e. (Responsabilit� per l'esercizio 
di attivit� pericolose) e dell'art. 2051 e.e. (Responsabilit� per danni da cose) alla P.A. essendo 
discrezionale il suo potere e sussistendo una presunzione di legittimit� per gli atti amministrativi 
-, come pu� ipotizzarsi, su un altro versante, una piena responsabilit� della P.A. per 
fatto illecito o meglio per qualunque fatto illecito, senza limiti di sorta, che possa commettere un 
suo dipendente che, per il solo fatto di aver indossato una divisa, si sarebbe contemporaneamente 
spogliato di una buona parte di responsabilit�? 

Responsabilit� in relazione ai danni che terzi possano subire a seguito della sua condotta, 
anche se contraria, non solo ai criteri di normale prudenza e diligenza, ma a quel complesso di 
precetti che si riassumono nella fondamentale ed insuperabile esigenza del �neminem laedere�. 

CARMELA PLUCHINO 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Invero, la dizione �mansioni espletate� implica necessariamente un riferimento 
soggettivo all'affidamento da parte del datore di lavoro-committente (sia esso la 

P.A. o un privato) ed altro oggettivo/funzionale alle finalit� del medesimo. 
Viene cos� individuato un parallelismo tra la responsabilit� �diretta� (art. 2043 
e.e.) della P.A. e quella �indiretta� (art. 2049 e.e.) del datore di lavoro-committente 
privato, la cui diversificazione si giustifica in rapporto alla c.d. �immedesimazione 
organica� che involge il primo, senza che i concreti elementi per l'individuazione 
della responsabilit� subiscano sostanziali modifiche. 

� significativo il fatto che anche nel caso in cui, con riferimento a dipendenti di 
datori di lavoro diversi dalla P.A., venga applicata la disposizione dell'art. 2049 e.e., 
la giurisprudenza di questa Corte abbia espresso -anche in presenza del nesso di 
�occasionalit� necessaria� tra illecito commesso e mansioni svolte per conto del 
committente -la necessit� che il primo abbia comunque perseguito finalit� coerenti 
con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalit� proprie 
alle quali il committente non fosse -neppure mediatamente -interessato (Cass. 

civ. 27 marzo 1987, 2994/87, Di Pasquo-Cerimele). 
Una tale precisazione, poi, � sempre contenuta nelle pronunce di questa Corte 
che -pur accogliendo (con riferimento alla responsabilit� della P.A.) il criterio 
della �occasionalit� necessaria� -sottolineano come le mansioni espletate in concreto 
non possano non corrispondere a quelle affidate e queste ultime non debbano 
mai prescindere dai fini istituzionali dello Stato o dell'ente pubblico, affinch� 
rimanga integro il rapporto �organico�, fonte della sua diretta responsabilit� (vedi 
Cass. pen., sez. VI, 6 aprile 1976, n. 4458, imp. L.; 12 febbraio 1981, n. 942, imp. 
C.; 18 luglio 1981, n. 723 , imp. D.P.; 14 giugno 1984, imp. C.; Cass. civ., sez. 1, 7 
ottobre 1993, 9935/93, G. -Min. Difesa; sez. III, 13 dicembre 1995, 12786/95, B. -
Min. Difesa; 6 dicembre 1996, 10896/96, B. -Min. Difesa; 17 settembre 1997, 
9260/97, M. -Min. Difesa). 

Deve essere negato, pertanto, che il fondamento della responsabilit� possa essere 
individuato non pi� in un illecito nell'espletamento delle mansioni affidate, bens� 
in una garanzia o esigenza solidaristica a favore del terzo danneggiato, tale da configurarsi 
�obiettivamente� senza neppure la prova liberatoria su mancanza di culpa 
in vigilando o caso fortuito (principio ubi commoda eius incommoda). 

Seguendo una simile tesi, che � quella caldeggiata dalle parti civili, si corre il 
rischio di pervenire alla configurazione di un nesso del tutto formale ed evanescente 
tra P.A. e comportamento criminoso del dipendente, al fine di riconoscere la 
responsabilit� civile della prima, perdendo di vista l'essenza di concretezza spaziotemporale 
postulata dal concetto di �mansioni� e la stretta funzionalit� ai fini istituzionali 
dello Stato. 

Cos� va censurata l'impugnata sentenza quando finisce con assumere la riferibilit� 
alla P.A. di ogni condotta del soggetto avente la �qualit�� di suo dipendente, 
purch� connotata dall'utilizzazione di conoscenze tecniche o informazioni fattuali 
risalenti al rapporto di servizio. 

L'indagine che il giudice di merito � tenuto a svolgere deve avere ad oggetto 
anzitutto la contestualit� tra svolgimento di mansioni e comportamento criminoso, 
senza mai perdere di vista quanto si � sopra precisato in ordine alle intrinseche caratteristiche 
delle mansioni in rapporto alle finalit� istituzionali dello Stato. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�' 

350 

Sotto tale aspetto, poi, la Corte di merito deve accertare e motivare le specifiche 
connessioni spazio-temporali tra attivit� di servizio e consumazione dei precisi 
reati, in rapporto ai quali � stata ritenuta ammissibile la chiamata del responsabile 
civile, pur tenendo conto della particolare connotazione del delitto associativo. 

Si tratta di un'indagine imprescindibile, siccome atta a condizionare le successive 
fasi di valutazione fattuale spettante al giudice di merito. 

Una conclusione negativa, infatti, renderebbe superfluo l'approfondimento 
della ricerca pi� qualificante per 
la rottura del rapporto organico che ne potrebbe 
conseguire circa 
la corrispondenza delle mansioni conferite a quelle svolte in 
concreto, sotto il duplice profilo delle �modalit�� esecutive e del rispetto dei fini 
istituzionali. 
Invero, se il comportamento concreto pure 
deviato per violazione di norme 
regolamentari o per eccesso di potere risulti 
comunque finalizzato solo al raggiungimento 
di quei fini istituzionali, il rapporto organico rimane integro con la conseguente 
assunzione di responsabilit� diretta della P.A. 
Qualora, invece, la devianza attenga proprio al profilo delle finalit� siccome 
l'agente sostituisca con le sue personali ed egoistiche quelle della P.A. quest'ultima 
rimarr� esente da ogni responsabilit� civile. 
In conclusione l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio anche in 
relazione alla pronuncia di responsabilit� civile del Ministero degli interni. 
Il giudice di rinvio dovr� attenersi ai principi di diritto sopra delineati. (omissis) 
II 
(omissis) 
Il ricorso deve ritenersi fondato, nei limiti e per gli effetti di seguito esposti. 
Questa Corte non ritiene di doversi discostare dall'orientamento giurisprudenziale 
di gran lunga prevalente (espressamente richiamato dalla stessa decisione 
impugnata alle pagg. 346 e ss.) secondo il quale la responsabilit� dello Stato per il 
fatto dei propri dipendenti non pu� essere che diretto, ai sensi di quanto previsto dall'art. 
28 della Costituzione e dall'art. 2043 cod. civ. (v. per tutte: Cass. civ. sez. III, 
sent. 12960 del 3/12/91, E. -Amministrazione della difesa marina; Cass. civ., sez. I, 
sent. 9935 del 7/10/93, Grena service spedition GMBH -Min. Finanze; Cass. civ., 
sez. III, sent. 10896 del 6/12/96, B. -Min. Difesa; Cass. III, sent. 9583 del 30/6/84, 
B.; Cass. IV, sent. 5575 del 21/5/85, A.; Cass. V, sent. 1386 del 2/2/99, S. e altri). 
L'art. 28 Cost. (il cui carattere innovativo appare ravvisabile soprattutto nel 
riconoscimento della responsabilit� personale anche degli agenti dell'amministrazione, 
che in precedenza era veramente limitata o esclusa) stabilisce che �i funzionari 
e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, 
secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di 
diritti. In tali casi la responsabilit� civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. 
La Pubblica Amministrazione, dunque, risponde con 
responsabilit� solidale i 
~: 
per il fatto che a lei sono direttamente riferibili gli atti dei dipendenti, compiuti in 
~� forza del c.d. rapporto di immedesimazione organica per 
il raggiungimento delle ~�finalit� istituzionali sue proprie nell'ambito dello svolgimento del servizio demandato 
con conseguente riferibilit� del comportamento illecito alla pubblica amministra~
�B. 
i!: 
zione quando lo stesso costituisca comunque esplicazione dell'attivit� dell'ente. ~= 
~: . I~ 
' 
. 
'. 

-



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

351 

In presenza del rapporto di impiego o servizio (quali che siano le mansioni svolte, 
nella vasta gamma estesa dall'attivit� strettamente �rappresentativa� a quella meramente 
�materiale�), si determina una �dipendenza organica�, cui non pare certo 
sovrapponibile la responsabilit� �indiretta� di padroni e committenti ex art. 2049 e.e.: 
disposizione questa ultima, che -con i pi� elastici e meno rigorosi criteri di riferibilit� 
al proponente del fatto illecito del proposto (postulandosi all'uopo soltanto l'esistenza 
di un raporto di lavoro e un collegamento tra il fatto dannoso del dipendente e 
le mansioni da questi espletate, senza che sia richiesta la prova di un vero e proprio 
nesso di causalit�, essendo. sufficiente �che l'incombenza svolta abbia determinato una 
situazione tale da agevolare e rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso, e 
ci� anche se il dipendente abbia operato oltre i limiti delle sue incombenze, e persino 
trasgredendo gli ordini ricevuti�; v. infatti: Cass. III civ., sent. 12417 del 10/12/98, 
Ministero P.I. -G.; Cass. I civ., sent. 2574 del 20/3/99, B. di R. S.p.A.; Cass. I civ., 
sent. 6233 del 21/6/99, M. S.p.A. -B. e altri)-� stata sempre applicata fuori del rapporto 
di pubblico impiego; d'altro canto, � proprio con riferimento all'istituto della 
responsabilit� indiretta, ex art. 2049 e.e., che � stato elaborato il criterio della �occasionalit� 
necessaria� (da intendersi nel senso di cui si � appena detto dinanzi). 

Con specifico riguardo al tema della responsabilit� extracontrattuale della Pubblica 
Amministrazione, nei confronti dei terzi, per fatti dei propri dipendenti, proprio 
l'opportuna utilizzazione del criterio su questione (occasionalit� necessaria) ha 
consentito l'ampliamento della riferibilit� all'ente pubblico delle azioni e/o omissioni 
compiute dai dipendenti stessi. 

Secondo l'orientamento tradizionale (si vedano le pronunce gi� citate a proposito 
della �responsabilit� diretta ex artt. 28 Cost. e 2043 C.C.�), infatti, l'attivit� del 
dipendente era �riferibile all'amministrazione� quando consisteva in una esplicazione 
della stessa attivit� dell'ente di apartenenza ed era rivolta al conseguimento dei fini 
istituzionali di esso: solo in presenza di siffatte condizioni, dunque, era configurabile 
il rapporto di �immedesimazione organica�, fondante la responsabilit� diretta della 

P.A. (ex art. 28 Cost.) per i fatti dei dipendenti compiuti in violazione di diritti; detta 
responsabilit� andava, quindi, esclusa nella ipotesi in cui il dipendente avesse agito �al 
di fuori delle funzioni pubbliche cui era deputato e per fini del tutto personali ed egoistici
�, dovendosi in tal caso negare ogni rapporto di �occasionalit� necessaria� tra le 
incombenze stesse e l'attivit� che aveva determinato il verificarsi del danno. 
Tale orientamento deve ritenersi om�ai superato dai condivisibili principi giurisprudenziali 
espressi dalle pronunce pi� recenti e attente a sviscerare tutti gli aspetti 
del tema (si veda, in particolare: Cass. III civ., sent. 4232 del 14/5/97, Ente Poste Italiane 
-C.d.R. La Spezia; pi� in generale sul tema, v. anche: Cass. III civ., sent. 10896 
del 6/12/96, B. -Ministero della Difesa; Cass. III civ., sent. 6617 del 22/5/2000, P. Ministero 
dell'Interno), secondo cui �il fatto doloso del funzionario non � necessariamente 
non riferibile alla pubblica amministrazione�, dovendo ritenersene al contrario 
la riferibilit� allorch� sussista un nesso di occasionalit� necessaria tra il comportamento 
del dipendente e le incombenze allo stesso affidate: nesso che va 
accertato (ed � proprio questo il punto di decisiva divergenza rispetto all'orientamento 
tradizionale) considerando non solo lo specifico comportamento dell'impiegato 
pubblico costituente abuso, ma il complesso dell'attivit� al quale il comportamento 
inerisce; allorch�, infatti, la condotta dolosa si innesta nel meccanismo 



.. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

dell'attivit� complessiva dell'ente, e avuto riguardo alla sua finalit� terminale (non 
estranea rispetto agli interessi e alle esigenze pubblicistiche dell'amministrazione), 
quel collegamento non pu� non essere ritenuto; in tal senso, perci�, va ravvisata la 
connessione con le finalit� istituzionali della pubblica amministrazione, tutte le volte 
in cui l'espletamento delle mansioni inerenti al servizio prestato abbia costituito conditio 
sine qua non del fatto illecito produttivo del danno, quanto meno per averne 
grandemente agevolato (ma pur sempre �in maniera decisiva�) la realizzazione. 

In altre parole -come acutamente sottolineato nella motivazione della citata 
sentenza 1386/99 della sezione V penale di questa stessa Corte -la distinzione 
concettualmente operabile tra due diversi rapporti (quello tra il comportamento 
del dipendente e l'evento dannoso, legati da nesso di causalit�; quello tra il 
comportamento del dipendente e l'amministrazione, legati da nesso di riferibilit� 
in ragione dei fini istituzionali) viene sostanzialmente riassunta e compendiata 
nell'unico rapporto tra �mansioni espletate e danno prodotto� in termini di �occasionalit� 
necessaria�. 

L'espressione �mansioni espletate�, invero, implica necessariamente, per un 
verso, il riferimento soggettivo all'affidamento da parte del datore di lavoro/committente 
(sia esso la pubblica amministrazione o un privato) e, per l'altro, un riferimento 
oggettivo-funzionale alle finalit� dell'affidamento stesso. 

Conseguentemente, il rapporto di �occasionalit� necessaria� deve ritenersi sussistente 
ogniqualvolta l'imputato, pur perseguendo fini propri, in tanto abbia potuto 
consumare il reato in quanto -svolgendo le funzioni assegnategli e avendo cos� 
attinto legittimamente informazioni d'ufficio (poi utilizzate illegalmente) -le 
�informazioni legittimamente assunte, ma illegalmente utilizzate� si siano oggettivamente 
e concretamente dimostrate �indispensabili per l'esecuzione dei reati�. 

Deve escludersi, dunque, che il fondamento della responsabilit� possa essere individuato 
(come, invece, si vorrebbe nella decisione impugnata e nelle tesi delle parti 
civili interessate alla questione in esame) non gi� in un �illecito nell'espletamento 
delle mansioni affidate�, bens� �in una garanzia o esigenza solidaristica a favore del 
terzo danneggiato�, obbiettivamente configurabile e tale da escludere ogni possibilit� 
di prova liberatoria, in base al principio cuius commoda eius et incommoda. 

Seguendo una simile tesi, invero, si rischia di pervenire alla configurazione di 
�un nesso del tutto formale ed evanescente� tra P.A. e comportamento criminoso del 
dipendente (al fine di ravvisare la responsabilit� civile della prima), perdendo di 
vista l'esigenza di concretezza spazio-temporale postulata dal concetto di �mansioni
� e la stretta funzionalit� ai fini istituzionali dello Stato. 

Nel caso di specie, in effetti, la decisione impugnata non ha motivato adeguatamente 
neppure sul punto dell'attingimento e del conseguente illegale utilizzo di ::: 
informazioni di ufficio da parte degli imputati, abbandonandosi in proposito a mere < 
) 
congetture e finendo per ritenere �riferibile alla P.A.� ogni condotta dei soggetti �:� 
aventi la �qualit�� di suoi dipendenti, soltanto perch� connotata dall'asserita e/o 
ipotizzata (ma tutt'altro che rigorosamente provata) utilizzazione di conoscenze tecniche 
o informazioni fattuali ricollegabili al rapporto di servizio (si vedano le considerazioni 
svolte, e i particolari apoditticamente richiamati, alle pagg. 361 e ss. 
della sentenza impugnata: incarichi svolti, correlativi possibilit� di conoscenza e/o 
informazione, asserita disponibilit� di dati riservati). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

353 

Le gravi carenze motivazionali riscontrate impongono, sul punto in questione 
(condanna del Ministero dell'Interno quale responsabile civile), l'annullamento 
della decisione impugnata (con assorbimento degli ulteriori motivi di doglianza proposti 
dal detto ministero) e il rinvio -ex art. 622 C.P.P. -al giudice civile competente 
per valore in grado d'appello. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 13 marzo 2000 n. 1830 -Pres. Losana -P. G. 
(conf.) -Ricorrente Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia). 

Procedura penale -Sentenza di applicazione della pena su richiesta -Falsit� 
materiale in atti pubblici -Omessa dichiarazione della falsit� di un atto 
pubblico -Istanza di correzione di errore materiale -Inammissibilit�. 

(c.p.p. artt. 130, 537 e 444). 
Procedura penale -Istanza di correzione di errore materiale proposta per la 
declaratoria della falsit� diun atto pubblico -Convertibilit� nell'incidente 
di esecuzione ex art. 675 c.p.p. 

(c.p.p. artt. 130 e 675). 
Procedura penale -Sentenza di applicazione della pena su richiesta -Falsit� 
materiale in atti pubblici -Omesso accertamento della difformit� dal vero 
di un atto pubblico -Istanza di declaratoria della falsit� dell'atto pubblico 
proposta mediante incidente di esecuzione -Infondatezza. 

(c.p.p. artt. 444, 537 e 675). 
� inammissibile l'istanza di correzione di errore materiale proposta, a norma 
dell'art. 130 c.p.p, alfine di ottenere la correzione dell'errore contenuto in una sentenza 
emessa ex art. 444 c.p.p., consistente nell'omessa pronuncia della falsit� di 
un atto o documento, a norma dell'art. 537 c.p.p, trattandosi di rimedio diretto ad 
eliminare errori od omissioni la cui eliminazione non comporta una modificazione 
essenziale dell'atto. 

L'istanza di correzione di errore materiale, pur irritualmente proposta, � convertibile 
nel rimedio dell'incidente di esecuzione, ex art. 675, c.p.p., essendo state 
adottate le forme e le garanzie del rito camerale, ed essendo stato investito della 
trattazione l'organo competente per entrambe le procedure. 

� infondata l'istanza di declaratoria della falsit� di un atto o di un documento, 
proposta a norma dell'art. 675, in caso di omesso accertamento della difformit� dal 
vero dell'atto o del documento da parte del giudice che ha emesso una sentenza ex 
art. 444 c.p.p., potendo tale omissione essere utilmente censurata solo mediante 
l'impugnazione prevista dall'art. 537 c.p.p., terzo comma (1). 

(1) Con la sentenza-ordinanza in esame la Corte di Cassazione ha deciso il ricorso per Cassazione 
proposto dal Ministero delle Finanze nei confronti di una ordinanza del Tribunale di 
Crema, con cui era stata rigettata l'istanza di correzione dell'errore materiale contenuto in una 
sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p., consistente nell'omessa dichiarazione della falsit� di 
alcuni fogli di un Registro dell'Ufficio Distrettuale Imposte Dirette di Crema. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

354 

(omissis) 

Ricorre per cassazione il Ministero, denunciando inosservanza di norme processuali, 
in quanto: 
� meramente formalistica la distinzione tra incidente di esecuzione ex art. 675 

c.p.p. e procedura di cui all'art. 130 c.p.p.; 
la sentenza di applicazione della pena a richiesta � per diversi effetti equiparata 
a quella di condanna ed � compatibile con la declaratoria di falsit� di documenti, 
che pu� conseguire anche a sentenza di proscioglimento, a norma dell'art. 537, 
quarto comma, c.p.p.; 

l'interesse � far dichiarare la falsit� di documenti trascende l'accordo tra le 
parti e la relativa declaratoria non rientra tra gli elementi in relazione ai quali la sentenza 
di patteggiamento � inefficace nei giudizi civili o amministrativi. 

Osserva la Corte che nella specie � stata impropriamente proposta istanza ai 
sensi dell'art. 130 c.p.p.: l'applicabilit� di questa procedura per la correzione di 
omissioni, infatti, trova un insuperabile limite negativo nell'intangibilit� sostanziale 
dell'atto da correggere, nel senso che l'eliminazione della omissione non pu� 
comportare una modificazione essenziale dell'atto stesso, poich� deve essere mirata 
unicamente a sanare una difformit� puramente esteriore tra il pensiero del giudice 
e la sua formulazione letterale, risolvendosi in una operazione materiale di 
aggiunta di elementi che dovevano necessariamente fare parte del provvedimento da 
correggere. 

Il giudice di merito aveva fondato la sua decisione sul duplice rilievo che nella corrigenda 
sentenza non � contenuto alcun accertamento della falsit� dei documenti e che comunque la parte 
interessata avrebbe dovuto proporre istanza al giudice dell'esecuzione, ex art. 675 c.p.p., e non 
ricorrere alla procedura di correzione di errore materiale. 

La Corte di Cassazione, ritenuta l'irritualit� del ricorso da parte del Ministero delle Finanze 
all'istituto della correzione materiale, sull'esatto rilievo che la correzione � ammissibile solo 
ove essa sia diretta all'eliminazione di difformit� puramente esteriori tra il pensiero del giudice 
e la sua formulazione letterale, e non comporti una modificazione essenziale dell'atto da correggere 
(cfr., sul punto, Cass., sez. I, 11 novembre 1992, Cal�, in Mass. Cass. Pen., 1993, 
92(m), ha ritenuto di poter esaminare nel merito la doglianza prospettata dal ricorrente. Ci� si 
� reso possibile, in applicazione del principio di economia processuale, essendosi ritenuto convertibile 
l'istanza di correzione materiale, ex art. 130 c.p.p, nel rimedio previsto dall'art. 675 
c.p.p., che consente ad ogni interessato di chiedere al giudice dell'esecuzione la declaratoria 
della falsit� di un documento, accertata a norma dell'art. 537 c.p.p., ma non dichiarata nel dispositivo 
della sentenza. 

Nel caso di specie si � ritenuta la convertibilit� dell'istanza di correzione dell'errore materiale 
nell'incidente di esecuzione ex art. 675 c.p.p., poich� nel caso di specie sono state rispettate 
le forme e le garanzie del rito camerale ed � stato investito della trattazione l'organo competente 
per entrambe le procedure. 

All'applicabilit� di tale rimedio non osta il fatto che la sentenza esecutiva emessa dal Tribunale 
di Crema non riveste la natura giuridica di vera e propria sentenza di condanna, trattandosi 
di sentenza con cui � stata applicata la pena su richiesta (arg. dagli artt. 444 e 445 c.p.p.). 
L'argomento decisivo utilizzato dalla Suprema Corte, per dimostrare la compatibilit� dell'emissione 
di una sentenza di applicazione della pena a richiesta, si fonda sul richiamo al disposto dell'art. 
537, comma 4, c.p.p., a norma del quale le disposizioni in materia di declaratoria della falsit� 
di atti o documenti si applicano anche nel caso di sentenza di proscioglimento. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

355 

La irritualit� del mezzo esperito, tuttavia, � processualmente irrilevante, essendo 
state adottate le forme e le garanzie del rito camerale ed essendo stato investito 
della trattazione l'organo per entrambe le procedure competente. 

� evidente, per�, che il procedimento di cui all'art. 675, primo comma, c.p.p. 
non � surrogatorio o integrativo dell'accertamento che � stato omesso nel giudizio 
di cognizione, poich�, al contrario, esso presuppone la mera verifica in sede esecutiva 
che la falsit� documentale, pur essendo stata accertata a norma dell'art. 537 
c.p.p., non sia stata dichiarata nel dispositivo della sentenza divenuta esecutiva. 

Se, dunque, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, da 
ultimo ribadito dalle Sezioni Unite con la sentenza 3 dicembre 1999 n. 20 (Fraccari), 
il giudice che applica la pena a richiesta delle parti � tenuto a dichiarare 
con la sentenza l'accertata falsit� di atti e documenti, tuttavia deve rilevarsi che, 
ove tale statuizione sia stata omessa, una volta formatosi il giudicato l'utile 
esperibilit� dell'incidente di esecuzione ex art. 675 c.p.p., postula l'avvenuto, 
accertamento nel giudizio di cognizione della difformit� dal vero dell'atto o del 
documento. 

Se anche in tale caso � espressamente prevista la possibilit� di dichiarare nel dispositivo 
della sentenza la falsit� di un atto o documento, ove accertata dal giudice, ben a ragione la Corte 
ha ritenuto che tale possibilit� si estenda all'ipotesi disciplinata dall'art. 444 c.p.p., considerato 
che per diversi effetti la sentenza di applicazione della pena su richiesta � equiparata ad una sentenza 
di condanna, ex art. 445 c.p.p. La decisione in esame � in linea con il consolidato orientamento 
giurisprudenziale della Cassazione in materia ( cfr., oltre alla citata sentenza della Cassazione 
a Sezioni Unite citata nella decisione de qua, Cass., sez. VI, 4 luglio 1992, Cinque, 
pubblicata in Mass. Cass. Pen, 1999, 19 (m); Cass., sez.V, 9 marzo 1993, Di Russo, pubblicata in 
Riv. dir. proc., 1994, 290, n. MONTAGNA; Cass., Sez. V, 13 novembre 1998, Fortunato, in Ced 
Cass., rv. 212643 (m); Cass., Sez. V, 23 giugno 1998, Di Samo, in Ced Cass., rv. 2111513 (m); 
Cass., Sez. V, 22, 4, 1998, Chessa, in Ced Cass., rv. 210533 (m); Cass., Sez. V, 26 aprile 1999, in 
Ced Cass., rv. 213732 (m). Vedi anche, per riferimenti, Cass., VI, 4 gennaio 1996 n. 1687, in questa 
Rassegna, 1996, I, 400, con nota di P. DI TARSIA: La richiesta di patteggiamento contiene 
anche l'implicita rinuncia alla prescrizione del reato?) L'esito sfavorevole del ricorso per Cassazione 
proposto dal Ministero delle Finanze � giustificato dalla circostanza che, nel caso di specie, 
� stato ritenuto mancante, nella sentenza emessa ex art. 444 c.p.p dal Tribunale di Crema, 
l'accertamento della difformit� dal vero dell'atto o del documento. 

L'omesso accertamento della falsit� dell'atto o del documento ha dato luogo nella prospettiva 
del Ministero delle Finanze ad un vizio inficiante il giudizio di cognizione sotteso alla 
sentenza. 

Posta tale premessa, � condivisibile la conclusione cui � giunta la Suprema Corte in ordine 
al rimedio che il Ministero avrebbe dovuto esperire per conseguire il risultato della declaratoria 
di falsit�, individuato nell'impugnazione della pronunzia sulla falsit�, da proporsi con il mezzo 
previsto dalla legge per il capo di sentenza contenente la decisione sull'imputazione, ai sensi dell'art. 
537, comma 3, c.p.p. 

La bont� di tale conclusione � argomentabile a contrario, alla luce del disposto dell'art. 675, 
comma 1, c.p.p., che consente al giudice dell'esecuzione di dichiarare la falsit� di un atto o documento 
solo nell'ipotesi in cui la falsit�, pur non dichiarata nel dispositivo di una sentenza divenuta 
esecutiva, sia stata accertata a norma dell'art. 675 c.p.p., essendo evidente che solo in tale 
ipotesi la dichiarazione di falsit� chiesta dall'interessato si atteggia come attivit� meramente esecutiva 
di un giudicato. 

M.G. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

356 

Nel caso in esame, di un siffatto accertamento non vi � traccia nel testo della 
sentenza, che si limita ad un generico richiamo alla assenza di condizioni per una 
pronuncia assolutoria e, non essendo stata la decisione impugnata (come espressamente 
previsto dall'art. 537, terzo comma, c.p.p.), il giudicato che si � formato non 
� superabile alla stregua degli elementi processuali dei quali dispone, per la propria 
valutazione, il giudice dell'esecuzione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. IV, 22 giugno 2000 n. 3744 -Pres. Frangini-Est. 
Marzano -P.G. ( conf.) -G. c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Greco). 

Procedura penale -Riparazione per l'ingiusta detenzione -Limite massimo 

dell'entit� della riparazione -Elevazione ad un miliardo, per effetto del


l'entrata in vigore della legge n. 479/99 -Applicabilit� dello ius superve


niens ai procedimenti non definiti. 

(c.p.p., art. 315; legge n. 479/99, art. 15, comma 1, lett. a)). 

La norma dettata dal!' art. 315, comma 2, c.p.p., risultante dalla modifica introdotta 
dall'art. 15, comma 1, lettera a), della legge n. 47911999, per effetto della 
quale � stato elevato a[. un miliardo il limite massimo dell'entit� della riparazione 
per l'ingiusta detenzione, � applicabile anche nei procedimenti non ancora definiti 
con statuizione passata in giudicato, trattandosi di norma di natura sostanziale 
per la quale non pu� valere il principio del tempus regit actum. Pertanto deve essere 
accolto il ricorso per Cassazione con il quale si chieda l'applicazione dell'art. 
315, secondo comma, c.p.p. cos� come modificato dall'art. 15, comma 1, lettera a), 
della legge n. 47911999, sebbene tale legge sia entrata in vigore successivamente 
all'ordinanza della Corte di Appello, che si era pronunciata sulla domanda di riparazione 
per l'ingiusta detenzione (1 ). 

(1) In tema di ius superveniens e riparazione per ingiusta detenzione. 
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto da un soggetto 
che aveva attivato il procedimento per la riparazione per I'ingiusta detenzione, ex art. 315 
c.p.p., con cui si mirava ad ottenere l'affermazione del principio di diritto secondo il quale l'entit� 
della riparazione per l'ingiusta detenzione dovesse essere determinata, alla luce dell'art. 15 
della legge n. 479/99 (che ha modificato il secondo comma dell'art. 315 c.p.p., elevando il limite 
massimo dell'ammontare della riparazione a f. un miliardo), anche nel caso di specie, in cui il 
giudice di merito era stato adito, e si era pronunciato, prima della data dell' 1 gennaio 2000. 

Il punto di partenza dell'argomentazione giuridica della Corte di cassazione � rappresentato 
dal rilievo che l'art. 315 c.p.p., nonostante la sua rubrica (�procedimento per la riparazione�), non 
� norma meramente processuale, avendo certamente natura sostanziale il precetto contenuto nel 
secondo comma, che fissa il �tetto� della riparazione. Ne consegue che, non valendo per essa il 
principio del tempus regit actum, la stessa deve trovare applicazione nei procedimenti non ancora 
esauriti al momento della sua entrata in vigore, ossia non ancora definiti con statuizione passata 
in giudicato. 

Il ragionamento della Corte di cassazione non appare coerente. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

357 

(omissis) 

Va premesso che, nella specie, la modifica dell'art. 315.2 c.p.p. (introdotta dall'art. 
15 della legge 16 dicembre 1999, n. 479, quanto al limite massimo dell'indennizzo per 
riparazione da ingiusta detenzione) � intervenuta nelle more del giudizio, dopo l'ordinanza 
dei giudici del merito e prima della proposizione del ricorso che occupa. 

Tale norma novellata ha sicuramente natura sostanziale e non processuale 
(come, del resto, riconosce anche il resistente Ministero del Tesoro, ancorch� ne 

Ci� che si contesta � la possibilit� di inferire direttamente dalla natura di norma sostanziale 
dell'art. 315, comma 2, c.p.p., cos� come modificato dall'art. 15 della legge� n. 479/99, la sua 
applicabilit� ai procedimenti non ancora esauriti, pur in mancanza di disposizioni transitorie che 
tali procedimenti espressamente riguardino. 

Occorre considerare, infatti, il disposto dell'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, 
a norma del quale la legge non dispone che per l'avvenire. 

Si tratta dell'enunciazione di un principio generale dell'ordinamento che, sebbene non costituzionalizzato 
se non limitatamente alla materia penale (cfr. art. 25 Cost.), deve soccorrere l'interprete 
nella delimitazione dell'ambito cronologico di efficacia delle disposizioni normative, laddove 
le stesse non dispongano diversamente. 

Nel caso di specie si tratta di stabilire se il nuovo criterio di determinazione dell'entit� massima 
della riparazione per l'ingiusta detenzione, introdotto nel sistema dall'art. 15 della legge n. 
479/99, sia applicabile anche alle fattispecie di ingiusta detenzione che si siano esaurite anteriormente 
alla modifica dell'art. 315, comma 2, c.p.p. 

Mancando nello ius superveniens qualsiasi riferimento ai procedimenti non ancora definiti, 
� evidente l'arbitrariet� della conclusione raggiunta dalla Cassazione, la cui apoditticit� � malamente 
celata dal richiamo alla giurisprudenza civile della Suprema Corte, in tema di risarcimento 
del danno da occupazione illegittima e di indennit� di occupazione ed espropriazione. 

Il principio generale di irretroattivit� della legge non risulta derogato dall'art. 15 della legge 

n. 479/99, che si � limitato ad innovare, per il futuro, il criterio di determinazione della riparazione 
fissato dall'art. 315, comma 2, c.p.p. 
Ne consegue che, muovendo dalla natura sostanziale della disciplina dettata in materia di riparazione 
per ingiusta detenzione, deve concludersi nel senso che ai procedimenti in corso alla data di 
entrata in vigore della legge n. 479/99, aventi ad oggetto il diritto alla riparazione originato da situazioni 
di ingiusta detenzione esauritesi anteriormente al l gennaio 2000, continua ad applicarsi la 
disciplina sostanziale previgente, desumibile dal testo originario dell'art. 315, comma 2, c.p.p. 

� proprio la natura sostanziale di tale norma, affermata dalla Corte di Cassazione, che impone 
all'interprete di non avere riguardo al fatto che la sua modificazione � intervenuta prima della 
definizione del procedimento introdotto da un'istanza di riparazione per ingiusta detenzione, laddove 
la fattispecie sostanziale costitutiva del diritto azionato si sia esaurita nel vigore della disciplina 
previgente. 

Ragionando diversamente, come ha fatto la Suprema Corte nella sentenza in esame, si applicherebbe 
retroattivamente lo ius superveniens, in contrasto con il principio consacrato nell'art. 
11, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale. 

N� � utilmente invocabile, a sostegno della sentenza de qua, la giurisprudenza civile della 
Corte di Cassazione, richiamata nella parte finale della motivazione. 

Infatti la Suprema Corte si � espressamente preoccupata di giustificare l'applicazione, in 
sede di giudizio di legittimit�, dello ius superveniens costituito dai nuovi criteri di liquidazione 
del danno derivante dall'illegittima occupazione di suoli da parte della P.A., ai fini della costruzione 
di un'opera pubblica, rilevando la natura espressamente retroattiva delle disposizioni di 
legge innovative (cfr., ad esempio, l'art. 3, comma 65, legge n. 662/96, espressamente applicabile 
a tutte le occupazioni anteriori al 30 settembre 1996, purch� oggetto di procedimenti non definiti 
con sentenza passata in giudicato, richiamato in Cass., Sez. I, 20 agosto 1997, n. 7760). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STKI"O

358 

tragga, poi, conseguenze affatto erronee, quanto alla sua applicabilit�; cfr. anche 
Cass., Sez. Un., n. 1/1995: �la norma dell'art. 315 non �, nonostante la rubrica, mera 
norma processuale, ch� il suo secondo comma, il quale vuole che l'entit� della riparazione 
non ecceda il limite o tetto dei cento milioni, non pu� certamente definirsi 
tale�), sicch�, non valendo per essa il principio del tempus regit actum, la stessa 
deve trovare applicazione nei procedimenti non ancora esauriti, ossia non ancora 
definiti con statuizione passata in giudicato; ed il ricorso per cassazione, che tale 
punto investa, impedisce, ovviamente, il passaggio in giudicato della statuizione 
medesima. Ove, dunque (come nella specie), la liquidazione dell'indennizzo per 
riparazione da ingiusta detenzione sia stata effettuata dai giudici del merito con proporzionale 
riferimento, esplicito o implicito, ancorch� non esclusivo, alla misura 
massima dell'indennizzo medesimo stabilita dalla legge, la nuova determinazione 

Dal citato orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione, lungi dal potersi ricavare 
il principio dell'applicabilit� dello ius superveniens alle situazioni non ancora esaurite, si 
ricava la conclusione che tale applicabilit� � necessariamente subordinata alla retroattivit� delle 
disposizioni recanti lo ius superveniens. 

Alla stessa conclusione raggiunta dalla Corte di Cassazione si sarebbe potuto coerentemente 
pervenire muovendo dalla premessa che la disciplina concernente la riparazione per ingiusta 
detenzione non ha natura sostanziale. 

Questa premessa pu� essere ragionevolmente argomentata, considerando che la riparazione 
per ingiusta detenzione, nonostante quanto risulta dal tenore letterale dell'art. 314 c.p.p., non 
costituisce l'oggetto di un diritto soggettivo che possa essere fatto valere, da parte dell'ingiustamente 
detenuto, nei confronti dello Stato-persona, sul piano dei rapporti di diritto sostanziale. 

In altri termini, secondo tale diversa ipotesi ricostruttiva, la disciplina della riparazione per 
ingiusta detenzione non garantisce il conseguimento del bene della vita costituito da una prestazione 
pecuniaria, se non per effetto dell'attivazione di un peculiare procedimento giurisdizionale, 
il cui esito, ove favorevole all'istante, � un provvedimento, non gi� ricognitivo di un diritto 
soggettivo preesistente nella sfera giuridica dell'istante, suscettibile di essere soddisfatto spontaneamente 
dallo Stato-persona, ma esso stesso costitutivo di tale situazione giuridica soggettiva. 

Se la fattispecie costitutiva del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione non pu� essere 
individuata nella custodia cautelare subita dall'istante nei cui confronti sia stata emessa una 
sentenza irrevocabile che lo abbia prosciolto, perch� il fatto non sussiste, per non aver commesso 
il fatto, perch� il fatto non costituisce reato o non � previsto dalla legge come reato, ma nel 
provvedimento giurisdizionale con cui il giudice abbia irrevocabilmente accertato la sussistenza 
di tali presupposti ed abbia conseguentemente determinato la misura dell'indennit� spettante 
all'ingiustamente detenuto, si deve aver riguardo al momento in cui � divenuto definitivo il provvedimento 
giurisdizionale terminativo del procedimento disciplinato dall'art. 315 c.p.p. per risolvere 
la questione giuridica sottoposta all'esame della Suprema Corte nel caso di specie. 

Cos� facendo potr� condividersi l'applicazione dell'art. 315 c.p.p., cos� come risultante per 
effetto dell'entrata in vigore della legge n. 499 del 16 dicembre 1999, alla controversia de qua 
operata dalla Corte di Cassazione, proprio perch� l'interposizione di ricorso per Cassazione da 
parte dell'istante avverso l'ordinanza della Corte di appello di Catanzaro, ha impedito il definitivo 
ingresso nella sua sfera giuridica del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. In tal 
modo la Suprema Corte non avrebbe applicato retroattivamente lo ius superveniens, operazione 
preclusa al giudice, in mancanza di una espressa disposizione normativa che la consenta, ma si 
sarebbe limitata a ricavare la disciplina di una fattispecie a formazione progressiva, tenendo conto 
dell'entrata in vigore di una disposizione legislativa verificatasi in un momento in cui tale fattispecie 
non si era ancora perfezionata. 

MASSIMO G!ANNUZZI 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

legislativa di questo, in presenza di impugnazione della parte al riguardo, comporta 
l'applicazione della nuova norma, con conseguente necessit� di riesame della fattispecie 
da parte dei giudici del merito, alla stregua di tale ius superveniens; ed in tale 
contesto pur sempre considerando che l'equa riparazione per ingiusta detenzione � 
istituto strutturalmente diverso dal risarcimento del danno e che la liquidazione del1 
'indennizzo dovuto, disancorato da rigidi criteri e parametri aritmetici, deve essere 
equitativamente determinata tenuto conto della durata della custodia cautelare ed 
anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla 
privazione della libert� personale (criteri, questi, che �consentono di abbracciare 
qualsiasi danno, patrimoniale e morale, diretto o mediato, che sia in rapporto eziologico 
con la ingiusta detenzione�) valutandosi, altres�, eventuali ulteriori pregiudizi, 
ove gli stessi siano stati specificamente allegati, secondo quanto al riguardo gi� 
ritenuto da questa Corte nella citata sentenza delle Sezioni Unite, n. 111995. 

Giova anche chiarire che, posto che il procedimento in questione ha indubbie 
connotazioni di natura civilistica, il suindicato principio relativo alla applicabilit� 
dello ius superveniens alle situazioni non ancora esaurite ha trovato reiterata 
applicazione nella giurisprudenza civile di questa Corte (come pure richiamato dal 

P.G. requirente), principalmente in tema di risarcimento del danno da occupazione 
illegittima e di indennit� di occupazione ed espropriativa (cfr., ex coeteris, 
Cass. civ., Sez. I, n. 2542/1998; id., Sez. I, n. 7760/1997; id., Sez. I, n. 4116/1997; 
id., n. 362111997; id., n. 285111997; id., Sez. I, n. 2403/1997), non potendosi, 
peraltro, dubitare della applicazione dello stesso anche in tema di fattispecie 
indennitaria e non risarcitoria. (omissis) 
CORTE DI ASSISE DI ROMA, Sez. III, ordinanza emessa in data 1 dicembre 2000 -
Pres. Muscar�-P.M Nebbioso, Salvi, Roselli (parz. conf.) -Imputati B. ed altri Parti 
civili: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa -Responsabile 
civile Ministero della Difesa (avv.ti Stato Nunziata, Giannuzzi, Scino). 

Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Connessione tra il procedimento concernente reati, poi definiti 
con sentenza istruttoria, contestati a diversi imputati a seguito di emissione 
di mandato di comparizione da parte del giudice istruttore, e quello per 
il reato di alto tradimento, contestato successivamente al 24 ottobre 1989, 
quanto meno a titolo di connessione probatoria -Sussistenza. 

(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. vigente, art. 242, comma 2, 
lett. c); c.p.p. 1930, art. 45, n. 4; c.p. artt. 289, 422; c.p.m.p. art. 77). 

Procedura penale -Procedimento concernente il reato di falsa testimonianza 
commesso in data successiva al 24 ottobre 1989 -Ultrattivit� del codice di 
procedura penale anteriormente vigente-Esclusione -Competenza del giudice. 
istruttore -Esclusione -Ordinanza di rinvio a giudizio concernente 
tale reato -Nullit�. 

(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. vigente, artt. 242, lett. c), art. 
245, comma 2, lett. d-h); c.p.p. artt. 207 e 476; c.p. art. 372). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

360 

Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Mancato rispetto del termine previsto dall'art. 242, comma 3, .

I 

disp. att., per il deposito dell'ordinanza di rinvio a giudizio -Nullit� Esclusione. 


I

(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p. vigente, art. 242, comma 3). J

ili 

Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Deposito di note peritali successivamente alla scadenza del termine 
concesso alla difesa per l'esame degli atti -Nullit� delle note peritali Assenza 
di dipendenza sostanziale dell'ordinanza di rinvio a giudizio da 
tali note peritali -Trasmissibilit� della nullit� delle note peritali all'ordinanza 
di rinvio a giudizio -Esclusione. 

(c.p.p. 1930, artt. 185, n. 3, art. 189). 
Procedura penale -Connessione tra il procedimento concernente il reato di I 
strage/disastro aviatorio e quello relativo al reato di alto tradimento, ex 
art. 45, nn. 1-2 del c.p.p. del 1930-Giurisdizione dell'autorit� giudiziaria 

I 

ordinaria -Sussistenza. 

~ 

fil

(c.p.p. 1930, art. 45, nn. 1 e 2; c.p.m.p., art. 264). 
I ili 

Reato previsto e punito dall'art. 77 c.p.m.p. -Rilevanza della qualit� di militare 
solo quoad poenam -Natura di reato circostanziato rispetto a quello 

,

di attentato agli organi costituzionali -Esclusione -Autonomia del reato . . 

p.e p. dall'art. 77 c.p.m.p., quale reato militare, rispetto a quello p.e p. dal~ 


l'art. 289 c.p. ~ 

, ' 

(c.p. artt. 289, 277, 288, 313; c.p.m.p. artt. 37 e 77; r.d.l. n. 1386/41, conv. in legge 560/42, 
art. 3) 
II 

Procedura penale -Questione di legittimit� costituzionale dell'art. 386 c.p.p. 
del 1930, per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. -Manifesta infondatezza. 


(c.p.p. 1930, art. 386; Cost., artt. 3, 24 e 111). 
I

Procedura penale -Questione di legittimit� costituzionale dell'art. 245 disp. 

trans. per contrasto con l'art. 111 Cost. -Manifesta infondatezza. . 
' 
(Norme di attuazione, coordinamento e transitorie del c.p.p., art. 245; Cost. art. 111 ). 

.

I

~:: 

Procedura penale -Modificazione dell'art. 111 Cost., per effetto dell'entrata in ~j~j 
vigore della legge costituzionale n. 2/99 -Abrogazione implicita delle 

!' 

norme del c.p.p. del 1930 -Esclusione. Vi 

~i, 

(art. 111 Cost.; legge cost. n. 2/99; decreto-legge n. 212000, conv. in legge con modificazioffi 


i�=� 

ni dalla legge n. 35/2000). 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

361 

Procedura penale -Questione di legittimit� costituzionale dell'art. 242, 1� e 3� 

comma, disp. trans. per contrasto con l'art. 111 Cost. -Manifesta infonda


tezza ed irrilevanza. 

(Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p., art. 242, commi 1 e 3; Cost. 
art. 111). 

Il procedimento concernente il reato di alto tradimento, reato previsto e punito 
dal combinato disposto degli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., contestato ad alcuni imputati 
in data successiva ali'entrata in vigore del codice di procedura penale attualmente 
vigente, deve ritenersi avvinto dal vincolo di connessione probatoria, ex art. 
45, n. 4 del c.p.p. del 1930, ai vari procedimenti per altri reati, poi definiti con sentenza 
istruttoria, nei quali risultavano certamente soddisfatte le condizioni previste 
dall'art. 242, comma 1, lett. c) (contestazione dei fatti reato ascritti a numerosi 
imputati a seguito di mandato di comparizione emesso dal giudice istruttore) (1). 

La richiesta di contestazione del reato di alto tradimento da parte del P.M 
costituisce il momento conclusivo di un complesso procedimento di acquisizione e 
valutazione di dati probatori, al! 'esito del quale � emersa una ricostruzione della 
sciagura di Ustica non coincidente con quella prospettata dai vertici del! 'Amministrazione 
militare ali'autorit� politica e suscettibile di una unitaria valutazione 
delle condotte penalmente rilevanti addebitabile al personale militare in servizio 
nelle varie basi aeree radaristiche (2). 

Pertanto risulta soddisfatta la condizione cui l'art. 242 lett. c) disposizioni 
transitorie subordina la prosecuzione del procedimento concernente il reato di alto 
tradimento con le norme anteriormente vigenti (3). 

(1-15) L'ultrattivit� del codice di procedura penale del 1930, tra disposizioni transitorie 
e di attuazione del codice di procedura penale del 1968 e principio costituzionale del giusto 
processo. 

Con l'ordinanza in esame la Corte di Assise di Roma ha deciso una nutrita serie di questioni 
preliminari sollevate dai difensori degli imputati dei reati di alto tradimento e di falsa testimonianza, 
ad essi contestati nell'ambito del procedimento penale concernente il tragico disastro 
aviatorio che si consum�, vent'anni or sono, nei cieli di Ustica. 

Preliminarmente la Corte ha dovuto affrontare delicate questioni di diritto intertemporale. 

Una prima questione � stata determinata dalla circostanza che la Corte di Assise di Roma � 
stata investita della trattazione di un procedimento penale introdotto da un'ordinanza di rinvio a 
giudizio, emessa ai sensi dell'art. 374 c.p.p. del 1930, da parte del giudice istruttore, nella quale 
figura anche la contestazione ad alcuni imputati di condotte delittuose integranti il reato di falsa 
testimonianza, che sarebbero state poste in essere successivamente al 24 ottobre 1989, data di 
entrata in vigore del vigente c.p.p. 

Gli imputati del reato previsto e punito dall' art. 372 c.p. hanno dedotto la nullit� dell'ordinanza 
di rinvio a giudizio emessa nei loro confronti, non ritenendo sussistenti le condizioni cui 
l'art. 242, lett. e) disp. trans. subordina la prosecuzione del procedimento secondo le norme del 
codice di rito del 1930 (connessione di procedimenti, a norma dell'art. 45 del c.p.p. abrogato, gi� 
riuniti alla data del 24 gennaio 1989, per i quali le condizioni indicate nelle lettere a) e b) de!Part. 
242, disp. trans., ricorrono anche solo limitatamente ad uno degli imputati od indiziati ovvero ad 
una sola delle imputazioni). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il procedimento concernente il reato di falsa testimonianza contestato ad alcuni 
imputati, avendo ad oggetto condotte penalmente rilevanti commesse oltre il 24 
ottobre 1989, non pu� ritenersi connesso a quello gi� in corso a tale data (4). 

Ne consegue l'inapplicabilit� al primo procedimento dell'art. 242, lett. c) disp. 
trans., che ne consente la prosecuzione con le norme anteriormente vigenti, l 'incompetenza 
funzionale del giudice istruttore ad adottare l'ordinanza di rinvio a giudizio 
nei confronti degli imputati del reato di falsa testimonianza, e la nullit� della 
stessa in parte qua (5). 

La Corte di Assise di Roma ha ritenuto di poter accogliere tale eccezione, pur tenendo conto 
della giurisprudenza della Corte di Cassazione, ampiamente citata dai difensori di parte civile e 
dal pubblico ministero, secondo la quale non sarebbe necessario un formale provvedimento di 
riunio1,rn tra procedimenti connessi ex art. 45 del codice abrogato, per determinare l'ultrattivit� del 

c.p.p. del 1930, ex art. 242, lett. e) disp. att., laddove la notitia criminis relativa al reato contestato 
successivamente alla data del 24 ottobre 1989 sia emersa nell'ambito dell'istruttoria formale. 
La potenzialit� espansiva del procedimento originario, ha argomentato la Corte di Assise, 
non risulta aver mai ricompreso l'ipotesi del reato (non solo contestato ma anche) commesso successivamente 
all'entrata in vigore del c.p.p. vigente. 

Appare particolarmente apprezzabile e persuasiva l'ulteriore linea argomentativa percorsa 
autonomamente dalla Corte per giustificare la conclusione della nullit� dell'ordinanza di rinvio a 
giudizio relativamente all'imputazione di falsa testimonianza, fondata sulla adeguata valorizzazione 
dell'art. 245, comma 2, lett. d-h) disp. trans. che prevede l'applicazione dell'art. 207 c.p.p. 
e dell'art. 476 ai processi che proseguono secondo le norme anteriormente vigenti. 

Da tali disposizioni risulta la netta autonomia tra la valutazione della testimonianza ai fini 
della decisione del processo in cui � stata resa e la persecuzione penale del testimone che abbia 
detto il falso, avendo il giudice che abbia ravvisato indizi del reato previsto e punito dall'art. 372 

c.p. esclusivamente il compito di dare al p.m. notizia del reato, con la decisione che definisce la 
fase processuale in cui il testimone ha deposto, ed essendogli espressamente inibjto l'arresto del 
testimone in udienza per reati concernenti il contenuto della deposizione testimoniale. 
La violazione da parte del giudice istruttore dell'art. 207 c.p.p. del 1988, che comporta la 
netta distinzione tra il procedimento per il reato di falsa testimonianza e quello originario nel quale 
il testimone ha deposto, si risolve, per costante giurisprudenza, nella invasione della sfera di competenza 
giurisdizionale riservata ad altri organi giudiziari dal codice di rito vigente, determinando 
la nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio nella parte concernente il reato di falsa testimonianza. 

L'ultrattivit� del codice di procedura penale del 1930, limitatamente all'imputazione del reato 
di alto tradimento � stata adeguatamente giustificata dalla Corte di Assise, alla luce del consolidato 
indirizzo giurisprudenziale della Corte di Cassazione, secondo il quale, ai fini dell'applicazione 
dell'art. 242, lett. e) disp. trans. e di att., deve considerarsi unico il procedimento teso ad accertare 
la responsabilit� in ordine a fatti la cui rilevanza penale sia progressivamente emersa nell'ambito 
dell'originaria indagine ed i cui responsabili siano stati individuati anche successivamente al 
24 ottobre 1989, indipendentemente dall'adozione di un formale provvedimento di riunione. 

Alla data del 24 ottobre 1989, nel procedimento concernente i reati di strage e disastro aviatorio 
a carico di ignoti, numerosi imputati di vari reati (tra cui figurano quelli di falsa testimonianza ed 
occultamento di atti) essendo stati interrogati a seguito di mandato di comparizione emesso dal giudice 
istruttore, sussistevano i presupposti richiesti dall' art. 242, lett. e), c.p.p., per la prosecuzione del 
procedimento per i reati di strage e disastro aviatorio. con le norme anteriormente vigenti. 

In presenza di un vincolo di connessione tra il procedimento per il reato di alto tradimento 
ed i vari procedimenti per altri reati, poi definiti con sentenza istruttoria, quanto meno ai sensi 
dell'art. 45, n. 4, c.p.p. del 1930 (c.d. connessione probatoria), la Corte di assise ha ritenuto la 
ricorrenza, nel caso di specie, della condizione cui l'art. 242 disp. trans. e att. subordina la ultrattivit� 
del c.p.p. del 1930, limitatamente all'imputazione di alto tradimento. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

363 

Il mancato rispetto del termine di sessanta giorni fissato dal! 'art. 242, comma 
3, disposizioni transitorie, per il deposito del!' ordinanza di rinvio a giudizio, non 
comporta la nullit� del!' ordinanza, n� ulteriori conseguenze processuali idonee a 
determinare l'incompetenza funzionale del giudice istruttore (6). 

Sono nulle, ex art. 185, n. 3, c.p.p. del 1930 le note peritali depositate successivamente 
alla scadenza del termine concesso ai difensori agli imputati per l'esame 
degli atti; tale nullit�, per�, non si trasmette all'ordinanza di rinvio a giudizio, 
essendo da escludere che l'ordinanza sia in rapporto di dipendenza sostanziale con 
tali note peritali (7). 

Il reato di alto tradimento, previsto e punito dal combinato disposto degli artt. 
289 c.p. e 77 c.p.m.p., costituisce un reato autonomo rispetto a quello di attentato 
agli organi costituzionali, e ad esso deve attribuirsi natura militare. 

Infatti, ai sensi dell'art. 37 c.p.m.p., qualunque violazione della legge penale 
militare � reato militare e l'alto tradimento � indicato proprio come il primo dei 

L'ordinanza di rinvio a giudizio � stata ritenuta esente anche dalla nullit� prospettata dalla 
difesa in relazione all'omessa osservanza del termine di deposito fissato in sessanta giorni dall'art. 
242 comma 3 disp. di att., in base al costante insegnamento della Suprema Corte, trattandosi 
di termine ordinatorio, il mancato rispetto del quale non comporta un difetto di attribuzione 
in relazione alla funzione esercitata dal giudice istruttore. 

Pi� articolata � stata la soluzione data dalla Corte di Assise all'ulteriore profilo di nullit� dell'ordinanza 
di rinvio a giudizio prospettato dalla difesa, sul rilievo che tale provvedimento giurisdizionale 
sarebbe fondato sulla valutazione di atti (perizie di ufficio), illegittimamente acquisiti 
al fascicolo processuale, per esser stati depositati oltre la scadenza del termine concesso alla difesa 
per l'esame degli atti. 

La Corte, rilevato che nel caso di specie effettivamente risultano depositate note peritali in data 
successiva all'ultimo termine concesso alla difesa per l'esame degli atti, ha ritenuto la nullit� di tali 
atti istruttori, ai sensi dell'art. 185, n. 3 c.p.p. 1930, e la conseguente inutilizzabilit�, con una estensione 
dell'art. 191 c.p.p. nuovo anche alle norme del vecchio codice di rito che appare condivisibile 
per il principio della immediata applicabilit� delle norme processuali nei giudizi pendenti. 

Da tale esatta premessa, per�, non ha ritenuto possibile ricavare la conclusione della nullit� 
dell'ordinanza di rinvio a giudizio, ex art. 189 c.p.p. 1930, avendo escluso che tale ordinanza sia 
in rapporto di dipendenza esclusiva con tali atti. 

La Corte di Assise, pur non essendo stata espressamente sollecitata da alcuno degli imputati, 
ha sollevato di ufficio la questione della giurisdizione del giudice ordinario ovvero di quello 
militare in relazione al reato di alto tradimento. 

Cos� facendo la Corte ha ritenuto di dover raccogliere alcuni spunti di riflessione forniti dal 
pubblico ministero e dall'Avvocatura generale dello Stato, quale difensore della parte civile Presidenza 
del consiglio dei Ministri, i quali avevano affermato la giurisdizione del giudice ordinario 
sull'assunto che l'art. 77 del c.p.m.p. attribuirebbe rilevanza alla qualifica soggettiva di �militare
� del responsabile del reato previsto e punito dall'art. 289 c.p. solo quoad poenam, cos� 
prevedendo una circostanza aggravante del delitto incriminato dall'art. 289 c.p. e non un'ipotesi 
autonoma di reato militare. 

La Corte di Assise non ha aderito a tale prospettazione sulla base di una duplice considerazione. 


In primo luogo, richiamato il disposto dell'art. 37 c.p.m.p., secondo il quale qualunque violazione 
della legge penale militare costituisce reato militare, la Corte ha affermato che la natura 
militare dell'alto tradimento si desume dal fatto che � indicato come il primo dei reati militari 
contro la fedelt� e la difesa militare, e che � offensivo non soltanto di interessi tutelati dal diritto 
penale comune, ma anche di interessi aventi natura militare. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

364 

reati militari contro la fedelt� e la difesa militare; � inoltre significativo che il legislatore 
(art. 3 r.d.l. 1386141, conv. in legge 560142) abbia stimato necessario prevedere 
quale condizione di procedibilit� per il delitto punito ex art. 77 c.p.m.p., l'autorizzazione 
del Ministro della Giustizia, provvedimento evidentemente superfluo se 
la fattispecie de qua avesse avuto la natura di forma circostanziata del reato previsto 
e punito dall'art. 289 c.p. (8). 

In applicazione dell'art. 264 c.p.m.p., nella formulazione introdotta dalla legge 

n. 167156, che ha innovato la disciplina degli effetti della connessione sulla compe-
Inoltre il carattere ontologicamente militare si desumerebbe anche dalla circostanza che, a 
fronte della previsione della condizione di procedibilit� dell'autorizzazione del ministro della 
giustizia (art. 313 c.p.) in relazione ad alcuni reati disciplinati da norme del codice penale richiamate 
dall'art. 77 c.p.m.p., il legislatore ha ritenuto necessario adottare uno specifico atto legislativo 
(art. 3 r.d.l. 9 dicembre 1941, n. 1386, conv. in legge 7 maggio 1942 n. 560), per introdurre 
analoga condizione di procedibilit� proprio per il delitto di alto tradimento: tale previsione 
sarebbe stata superflua ove si fosse trattato di ipotesi circostanziata del reato previsto e punito 
dall'art. 289 c.p. 

La Corte di Assise tuttavia ha ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione al 
procedimento avente ad oggetto il reato di alto tradimento, aderendo alla soluzione data alla questione 
dal giudice istruttore che si era pronunziato in materia sollecitata da una delle parti civili, 
sul rilievo che gli elementi di fatto accertati nel corso dell'istruzione avevano evidenziato la sussistenza 
del delitto di strage, ci� che precludeva la possibilit� di archiviare il procedimento; ci� 
in quanto la giurisdizione del giudice ordinario in relazione a tale delitto esplicherebbe la propria 
vis attractiva anche nei confronti del reato di alto tradimento, stante la connessione teleologica e 
probatoria tra i relativi procedimenti, secondo i criteri operanti in materia di connessione, ex art. 
40 c.p.p. del 1930, ed alla luce del disposto dell'art. 264 c.p.m.p. 

Come ha giustamente osservato la Corte, la scelta operata dal legislatore (che ha modificato 
l'art. 264 c.p.m.p., innovando la regola dettata dall'art. 49 c.p.p. del 1930, con la legge 

n. 167/56) � stata quella di limitare l'operativit� della connessione tra procedimenti di competenza 
del giudice ordinario e procedimenti di competenza del giudice militare alle sole ipotesi di connessione 
previste dall'art. 45, nn. 1 e 2 c.p.p. del 1930 e, al contempo, di privilegiare in tali casi 
la giurisdizione ordinaria. 
La Corte di Assise ha diligentemente ricostruito l'evoluzione della giurisprudenza della 
Corte di cassazione, che ha condotto la Suprema Corte ad affermare che non trova applicazione, 
ai fini della determinazione del giudice dotato di giurisdizione in relazione ad una determinata 
regiudicanda, il principio secondo il quale il conflitto di competenza, in caso di connessione fra 
pi� reati, � configurabile soltanto in presenza della duplice condizione della connessione oggettiva 
e della pendenza dei relativi procedimenti in fase istruttoria, ci� perch� la diversit� dei giudici 
implica una particolare rigidit� nella determinazione delle rispettive sfere di attribuzioni, che 
non pu� dipendere da circostanze meramente estrinseche alla tipologia del reato ed alla connessione 
dello stesso con un altro, quali la fase processuale in corso relativa all'accertamento dell'uno 
o dell'altro fatto-reato. 

Nel caso di specie la Corte di Assise ha ritenuto che il vincolo di connessione che avvinceva 
il reato di altD tradimento a quello di strage, reato costituente la causa determinante della connessione, 
non si � sciolto per effetto del provvedimento conclusivo dell'istruzione sommaria, dal 
momento che il giudice istruttore, lungi dall'aver disposto l'archiviazione per tale reato, ha emesso 
una sentenza di non doversi procedere per essere ignoti gli autori. 

La Corte di Assise ha dovuto affrontare una serie di questioni di legittimit� costituzionale 
sollevate dalla difesa con riferimento all'art. 111 Cost., come modificato dall'art. 1, legge cost. 

n. 2/99, con cui � stato espressamente introdotto nel nostro ordinamento a livello costituzionale, 
il principio del giusto processo. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

365 

tenza dell'autorit� giudiziaria ordinaria e su quella di giudici speciali, va affermata 
la giurisdizione del giudice ordinario in ordine al reato di alto tradimento, trattandosi 
di reato teleologicamente connesso a quello di strage, certamente di competenza 
del giudice ordinario, la cui sussistenza � stata dichiarata espressamente 
ali'esito dell'istruttoria formale, in quanto, nella prospettazione accusatoria il reato 
di alto tradimento sarebbe stato commesso al fine di impedire o di ostacolare la 
ricostruzione delle cause della sciagura di Ustica (9). 

� manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 386 
c.p.p., prospettata in riferimento agli artt. 3, 24 e lii Cost., sull'assunto che la trasmissione 
al giudice del dibattimento di tutti gli atti del procedimento pregiudicherebbe 
la terziet� del giudice, comportando la conoscenza dell'intero fascicolo (1 O). 

Infatti secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, 
non la mera conoscenza degli atti, ma la valutazione comunque espressa dal giudice 
in ordine alla responsabilit� dell'imputato, sulla base degli atti stessi, comporta 
la violazione del principio di imparzialit� e di terziet� del giudice (11). 

Si deve escludere che, per effetto dell'entrata in vigore della legge costituzionale 

n. 2199, con cui � stato modificato l'art. liI Cost., si sia verificato un fenomeno di abrogazione 
implicita del c.p.p. del 1930. L'art. I, comma 6, del decreto-legge n. 212000, 
In primo luogo � stata eccepita l'incostituzionalit� dell'art. 386 c.p.p. l 930, per contrasto 
anche con gli artt. 3, 24 e l 1 l Cost., sul presupposto che la trasmissione al giudice del dibattimento 
di tutti gli atti del procedimento, comportando la conoscenza da parte dello stesso dell'intero 
fascicolo, pregiudicherebbe la terziet� del giudice. 

La Corte ha potuto agevolmente dichiarare la manifesta infondatezza di tale questione, 
richiamando l'insegnamento della Corte costituzionale, secondo il quale l'imparzialit� e la terziet� 
sono elementi coessenziali alla nozione di giurisdizione, insuscettibili di essere lesi dalla 
mera conoscenza degli atti da parte del giudice che non abbia comunque espresso la sua valutazione, 
sulla base di essi, in ordine alla responsabilit� penale dell'imputato. 

Nel caso di specie, non avendo la Corte di Assise espresso alcuna valutazione di tal fatta, 
non � configurabile alcuna violazione del principio di terziet� del giudice. 

La Corte di Assise ha negato accesso alla Corte Costituzionale anche alla questione concernente 
la costituzionalit� dell'art. 245 disp. trans. att., nella parte in cui non ha previsto l'immediata 
applicazione di gran parte delle disposizioni del nuovo codice ai processi che proseguono 
secondo le norme anteriormente vigenti, ritenendola manifestamente infondata, poich� il suo 
eventuale accoglimento da parte del giudice delle leggi, imporrebbe una pronuncia �additiva�, 
non prevista dalla normativa costituzionale. 

La Corte, pi� propriamente, forse, avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilit� di tale questione, 
poich� l'impossibilit� di adozione di una pronuncia �additiva� costituisce il contenuto di 
una valutazione preliminare, relativa all'ambito del potere sindacatorio della Corte Costituzionale, 
rispetto alla delibazione della non manifesta infondatezza della questione stessa. 

Un'ulteriore eccezione di incostituzionalit� concerne l'art. 242, commi 1 e 3, disp. di att. 
nella parte in cui non prevede che i processi proseguiti secondo le norme del c.p.p. del l 930 siano 
celebrati integralmente secondo le disposizioni del vigente codice di rito, in quanto tale omessa 
previsione sarebbe incompatibile con i principi del giusto processo, ex art. l l 1 Cost., disposizione 
immediatamente applicabile ai processi in corso. 

Tale eccezione � stata sollevata in via subordinata rispetto alla prospettazione della tesi 

secondo la quale, per effetto della recente modificazione dell'art. 11 l Cost., le disposizioni tran


sitorie del codice del 1988 che consentivano l 'ultrattivit� del codice del l 930 sarebbero state 

implicitamente abrogate. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

366 

convertito in legge con modificazioni dalla legge n. 3512000, prevedendo l 'applicazione 
di tutti i commi precedenti anche ai procedimenti che proseguono con le norme di 
procedura anteriormente vigenti presuppone necessariamente l 'ultrattivit� del c.p.p. 
del 1930, nei casi previsti dalle disposizioni transitorie del codice del 1988 (12). 

� manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalit� del!' art. 245 
disp. att., nella parte in cui non ha previsto l'immediata applicazione ai procedimenti 
che proseguono con l'applicazione delle norme anteriormente vigenti, di gran 
parte delle disposizioni del vigente codice di rito, sollevata in riferimento ali' art. 
111 Cast., dal momento che l'eventuale accoglimento della questione imporrebbe 
l'adozione di una pronuncia additiva non prevista dalla normativa costituzionale, 
come da costante giurisprudenza (13). 

� manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 
242, commi 1 e 3, disp. att., nella parte in cui non prevede che i processi proseguiti 
secondo le norme del codice del 1930, siano celebrati integralmente secondo le 
disposizioni del codice vigente, sollevata in riferimento all'art. 111 Cast., poich� la 
proposizione di tale questione prescinde dalla considerazione di tutte le regole contenute 
in tale codice, con particolare riferimento alla fase dibattimentale, che 
appaiono pienamente aderenti al dettato costituzionale (14). 

La stessa questione deve ritenersi irrilevante ove dovesse essere interpretata 
come questione concernente tutte le singole disposizioni del codice del 1930, senza 
specifica indicazione della norma viziata ed in assenza di condizioni tali che consentano 
di ritenere che il giudizio non possa esser definito indipendentemente dalla 
risoluzione della dedotta questione di costituzionalit� (15). 

(omissis) 

Alla data del 24 ottobre 1989 nel procedimento concernente i reati di strage e 
disastro aviatorio a carico di ignoti risultavano soddisfatte le condizioni previste dal1'
art. 242 comma 1� lett. a) disp. trans. in quanto numerosi soggetti imputati di vari 
reati (falsa testimonianza, favoreggiamento, occultamento e soppressione di atti, 
etc.) erano stati interrogati a seguito di mandato di comparizione emesso dal G.I. 

La Corte di Assise, a confutazione di tale tesi, ha rilevato che la disciplina transitoria di attuazione 
dell'art. 111 Cost., contenuta nel decreto-legge n. 2/2000, convertito in legge con modificazioni 
dalla legge n. 35/2000, ha dato per presupposta l'ultrattivit� del c.p.p. del 1930, nei casi previsti 
dalle disposizioni transitorie del c.p.p. del 1988, limitandosi a prevedere, al comma 6, 
l'applicazione dei commi precedenti, a tutti i procedimenti penali in corso, senza distinguere tra 
quelli disciplinati dal nuovo c.p.p. e quelli che proseguono con le norme anteriormente vigenti. 

La questione di costituzionalit� sollevata in via subordinata � stata ritenuta manifestamente 
infondata, per un verso (nella parte in cui essa coinvolge l'intero sistema processuale precedente, 
senza considerare affatto tutte quelle disposizioni del codice Rocco pienamente aderenti al dettato 
costituzionale), ed irrilevante, per un altro, ove interpretata come questione concernente tutte le 
disposizioni del codice del 1930, senza specificazione delle singole norme che sarebbero affette da 
illegittimit� costituzionale, in assenza, quindi, di condizioni tali da giustificare il convincimento 
che il giudizio non possa esser definito indipendentemente dalla risoluzione di tale questione. 

MASSIMO G!ANNUZZI 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Tali reati erano indubbiamente legati nella prospettazione accusatoria da un rapporto 
di connessione teleologica e probatoria con il delitto di strage e disastro aviatorio 
in relazione al quale era stata richiesta la formalizzazione dell'istruttoria in 
data 31 dicembre 1983. Pertanto la prosecuzione dell'istruttoria formale anche per 
tale delitto era legittimata ricorrendo la condizione prevista dalla lettera c) della disposizione 
sopra menzionata stante l'unitariet� del procedimento (cfr. Cass. 7 aprile 
1990, De Gregorio). 

Sempre nell'ambito dello stesso procedimento, in data 21dicembre1991 il P.M. 
richiedeva la contestazione ai Generali B., F., M. e T. del reato di alto tradimento 
previsto dall'art. 77 c.p.m.p. in relazione all'art. 289 c.p. 

Tale reato, come emerge dall'articolata richiesta formulata dal P.M., era connesso 
con il reato di strage-disastro aviatorio da un nesso teleologico sotto il profilo 
di una condotta finalizzata all'occultamento delle reali cause della sciagura. 

Pertanto, ancorch� la circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n. 2 c.p. non 
fosse stata contestata, la cognizione del reato militare spettava all' A.G. ordinaria 
(cfr. Cass. sez. un., 30.5/12.10.1981; 19.6/20.10.1982, F.) stante appunto la connessione 
teleologica che attribuiva la competenza al Giudice ordinario in base alla disposizione 
dell'art. 264 c.p.m.p. introdotta dalla legge n. 176 del 1956 che aveva cos� 
sostanzialmente abrogato il terzo comma dell'art. 49 c.p.p. 1930. 

Sostiene peraltro la Difesa che non risulterebbe soddisfatta la condizione di cui 
alla lettera e) dell'art. 242 disp. trans. in quanto alla data di entrata in vigore del 
codice il procedimento nei confronti degli imputati non era ancora sorto, essendo la 
contestazione sopravvenuta nel 1992, e quindi, a quella data, non vi era ancora 
riunione tra tale procedimento e quello per la strage/disastro aviatorio. 

Osserva in contrario la Corte che, come da consolidata giurisprudenza della 

S.C. (cfr. Cass. 29 ottobre 1990, D.G.; Cass. 2agosto1993, M.), ai fini dell'applicazione 
della suddetta norma deve considerarsi unico il procedimento teso ad accertare 
la responsabilit� in ordine a fatti la cui rilevanza penale sia progressivamente 
emersa nell'ambito dell'originaria indagine e i cui responsabili siano stati individuati 
anche successivamente alla data del 24 ottobre 1989. 
Nella fattispecie la richiesta di contestazione del reato da parte del P.M. costituiva 
il momento conclusivo di un processo di acquisizione e valutazione di dati probatori 
-iniziato sin dal 1980 con le dichiarazioni del Davanzali del 18 dicembre 1980 
e proseguito nel 1989 con il deposito della perizia del collegio Blasi e l'esame testimoniale 
dei ministri Formica e Lagorio e l'acquisizione degli atti della Commissione 
stragi alla quale il Parlamento aveva demandato l'accertamento di eventuali 
responsabilit� politiche -complesso di elementi dai quali emergeva una ricostruzione 
dei fatti non coincidente con quella prospettata dai vertici dell 'Amministrazione 
militare all'Autorit� politica e suscettibile, nell'ambito dell'indagine istruttoria, di 
una unitaria valutazione delle condotte penalmente rilevanti addebitate al personale 
militare in servizio nella varie basi aeree radaristiche. 

Per quanto poi concerne il rilievo della Difesa dell'imputato B. circa il fatto che 
a tale data non vi era alcun indiziato per il connesso reato di strage e che pertanto, 
anche sotto tale profilo, non ricorrerebbe la condizione prevista dall'art. 242 lett. e) 
disp. trans., la Corte osserva che il procedimento per il reato sub A), analogamente 
a quanto gi� rilevato con riguardo al procedimento per il reato di strage/disastro 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

368 

aviatorio, risultava connesso, quantomeno ai sensi dell'art. 45 n. 4 c.p.p. 1930 (connessione 
probatoria), ai vari procedimenti per altri reati, poi definiti con sentenza 
istruttoria, nei quali risultava certamente soddisfatta quella condizione. 

N� varrebbe osservare in contrario che, trattandosi di reato militare, la connessione 
probatoria non avrebbe potuto esser fatta valere. Invero la delimitazione della 
connessione quale prevista dall'art. 264 c.p.m.p. all'epoca vigente risulta applicabile 
soltanto ai fini dell'attribuzione di competenza all' A.G. ordinaria; una volta che 
tale competenza, come appunto avvenuto nella fattispecie, si sia radicata, nulla 
vieta, a fini diversi, l'applicabilit� anche a quel procedimento dell'istituto della connessione 
in tutti i �asi previsti dall'art. 45 c.p.p. 1930, ivi compresa pertanto anche 
l'ipotesi della connessione probatoria. 

I difensori degli imputati del reato di falsa testimonianza hanno eccepito l'incompetenza 
funzionale del G.I. sottolineando che i fatti contestati erano stati tutti commessi 
in epoca successiva al 24 ottobre 1989 e che, ovviamente, il relativo procedimento 
a tale data non poteva essere gi� riunito a quello in corso davanti al G.I. cos� I 
come richiesto dalla disposizione di cui all'art. 242, comma 1�, lett. c), disp. trans. 

Il P.M. ha contestato la fondatezza dell'eccezione sostenendo che non sarebbe 

I 

possibile operare distinzioni tra notizie di reato relative a fatti commessi prima del 2 
24 ottobre 1989 (anche se contestati successivamente) e notizie di reati per fatti 

I

comunque commessi dopo tale data, qualora sussista, anche per questi ultimi, il vin


J. 
colo della connessione, ai sensi dell'art. 45 c.p.p., con le imputazioni originarie e la t f:! 
notizia di reato sia emersa nell'ambito dell'istruttoria formale. Ha inoltre osservato 
che infondato � il rilievo difensivo secondo cui in tal modo si consentirebbe una 

I

dilatazione all'infinito dell'istruzione formale, con riflessi sulla precostituzione del 
Giudice naturale, in quanto il Legislatore ha posto un limite invalicabile stabilendo 

I 

un termine per l'esaurimento dell'istruttoria formale in corso. 
In effetti, con specifico riferimento al reato di falsa testimonianza, ad avviso 

I 

della Corte questi rilievi potrebbero essere ulteriormente suffragati dal fatto che, nel 
sistema processuale anteriore, la disciplina per il procedimento concernente la falsa 

I 
testimonianza prevedeva l'attribuzione al Giudice del procedimento principale della @ 
competenza ad emettere atti coercitivi nei confronti del falso testimone e a giudi


I

carlo, sia pur limitatamente per il G.I. alla pronunzia di sentenza di proscioglimento 
per ritrattazione. 

I

Peraltro, osserva in primo luogo la Corte che la tesi del P.M. appare ben difficilmente 
compatibile con la disposizione dell'art. 242 lett. c), disp. trans., che subillfil 


w

ordina l'operativit� del rito previgente ad una condizione ben espressa: l'esistente ~ 
riunione dei procedimenti alla data di entrata in vigore del codice. In effetti, il riferimento 
della giurisprudenza della Corte di Cassazione alla potenzialit� espansiva 
del procedimento originario non risulta aver mai ricompreso l'ipotesi del reato connesso 
che sia stato commesso in data successiva all'entrata in vigore del Codice. 

Ma soprattutto tale tesi risulta contrastata dal dato normativo costituito dalla 
disposizione dell'art. 245, comma 2, lett. d-h), disp. trans., secondo cui nei procedimenti 
che proseguono con le norme anteriormente vigenti si osservano l'articolo 
207 (Testimoni sospettati di falsit� o reticenza. Testimoni renitenti) nonch� l'art. 
476, comma 2�, del nuovo codice (Non � consentito l'arresto del testimone in udienza 
per reati concernenti il contenuto della deposizione). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Invero l'art. 207 comma 2� impone al Giudice un ben preciso momento per la 
valutazione circa la sussistenza degli indizi del reato previsto dall'art. 372 c.p. e per 
la conseguente trasmissione degli atti al P.M.: il momento in cui avviene la decisione 
definitiva della fase processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio. 

Come emerge dal testo della Relazione al progetto preliminare del Codice del 
1988, la scelta del Legislatore era profondamente innovativa rispetto al sistema precedente, 
sia per le serrate critiche rivolte alla normativa del Codice Rocco, sia in 
conseguenza della struttura del nuovo processo penale. 

Con tale norma, di generale applicazione, si � infatti ritenuto secondo la Relazione 
�che la soluzione pi� naturale sotto tutti gli aspetti sia di introdurre una netta 
separazione fra valutazione della testimonianza, ai fini della decisione nel processo 
in cui � stata resa, ed eventuale persecuzione penale del testimone che abbia 
deposto il falso, attribuendo al Giudice del primo processo il solo compito di dare 
al P.M notizia del reato quando ne ravvisi gli indizi in sede di valutazione complessiva 
di tutto il materiale probatorio acquisito�. �Peraltro, anche in assenza di 
una tale notizia criminis, il P.M potr� promuovere l'azione penale contro il testimone 
in base ad una autonoma valutazione di falsit� della deposizione e in qualsiasi 
momento�. 

In tal senso si � anche espressa la S.C. (Cass., Sez. VI, 29 maggio 1990 

n. 16661, P.) osservando che �In tema di valutazione della testimonianza, il sistema 
introdotto dal nuovo codice di procedura penale separa nettamente la valutazione 
della testimonianza ai fini della decisione del processo in cui � stata resa e la persecuzione 
penale del testimone che abbia deposto il falso, attribuendo al Giudice del 
primo processo il solo compito di dare al P.M. notizia del reato, quando ne ravvisi 
gli indizi in sede di valutazione complessiva di tutto il materiale raccolto�. 
Sempre la S.C. (Cass., sez. V, 26 gennaio 1999 n. 475) ha ulteriormente sviluppato 
tale principio affermando che: �Costituisce causa di ricusazione ex art. 37, 
comma 1 �, lett. b), per indebita manifestazione da parte del Giudice del proprio convincimento 
sui fatti oggetto dell'imputazione, l'immediata trasmissione da parte del 
Giudice al P.M. dei verbali di deposizioni testimoniali sospettate di falsit� o reticenza 
senza attendere, come previsto dall'art. 207 comma 2, cod. proc. pen., la decisione 
della fase processuale nella quale il testimone ha deposto. � contrario infatti 
al principio del giusto processo, che impone la netta distinzione tra il momento di 
acquisizione e quello della valutazione della prova, consentire al Giudice di anticipare 
il convincimento ad un momento anteriore alla completa acquisizione probatoria 
ed alla fase deliberativa�. 

Se questo � vero, la scelta del Legislatore di immediata applicazione della disposizione 
dell'art. 207 nuovo codice, funzionalmente collegata alla struttura del 
nuovo processo penale (scelta alla quale consegue l'immediata abrogazione per 
sopravvenuta incompatibilit� -ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni sulla legge in 
generale -dell'art. 359 c.p.p. 1930, con la sola esclusione del riferimento all'esercizio 
dell'azione penale da parte del P.M.), non pu� non costituire l'espressione della 
volont� di un radicale superamento della disciplina preesistente che attribuiva anche 
al G.I. potest� di impulso nel promovimento dell'azione penale. Tale potest�, invero, 
� stata effettivamente e quindi indebitamente esercitata dal G.I. nella fattispecie, nel 
corso della fase istruttoria, con l'invio agli imputati N., M., A. e P. di comunicazione 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

370 

giudiziaria anche per il reato di falsa testimonianza, nonch� con ripetuti interrogatori 
dei predetti ed anche del B., fino al momento in cui, solo in sede di requisitoria 
finale, il P.M. ha formulato l'imputazione. 

Deve pertanto concludersi che, con riferimento alle posizioni degli imputati, N., 
M., A., P. e B., l'ordinanza di rinvio a giudizio � stata emessa in assenza delle condizioni 
che legittimavano la prosecuzione dell'istruttoria con le norme anteriormen


te vigenti, in quanto il procedimento per il reato di falsa testimonianza doveva 
comunque rimanere nettamente distinto da quello originario nella fase processuale 
nella quale il testimone aveva deposto. 

Ci� considerato, la Corte osserva che la S.C., pronunciandosi in questo stesso 
procedimento sul ricorso proposto da altri imputati (Cass,. sez. V, 8 maggio 1992 

n. 1172), ha affermato che il Giudice istruttore, il quale travalichi la normativa transitoria, 
pur non difettando di ogni potere giurisdizionale, invader� la sfera di competenza 
riservata ad altri organi giudiziari dal nuovo codice, con la conseguenza 
della nullit� degli atti compiuti e dell'impugnabilit� del provvedimento conclusivo 
I 

della fase del processo. Questo principio � stato altres� esposto ampiamente dalle 

S.U. della Suprema Corte (Cass. S.U., 20 luglio 1994, D.L.) con riferimento alla 
analoga ipotesi del provvedimento adottato dal G.I.P. in materia di competenza funzionale 
del Collegio per i reati ministeriali: �L'incompetenza funzionale equivale al 
disconoscimento della ripartizione delle attribuzioni del Giudice in relazione allo 
I

sviluppo del processo e riflette i suoi effetti direttamente sulla idoneit� specifica delfil 
l'organo all'adozione di un determinato provvedimento. Essa, pur non avendo trovato 
un'esplicita previsione neppure nel nuovo codice di procedura penale, proprio 

Iperch� connaturata alla costruzione normativa delle attribuzioni del Giudice ed allo 

ili

sviluppo del rapporto processuale, � desumibile dal sistema ed esprime tutta la sua =~ 
imponente rilevanza in relazione alla legittimit� del provvedimento emesso dal Giudice 
perch� la sua mancanza rende tale provvedimento non pi� conforme a parametri 
normativi di riferimento�. L'incompetenza funzionale d� pertanto luogo, ad avviso 
della S.C., a nullit� assoluta ed insanabile in quanto, trattandosi di un difetto di 
attribuzione del giudice in relazione alla funzione esercitata, lo priva della specifica 
idoneit� all'adozione del provvedimento. 

L'indicazione in sede di discussione di un orientamento giurisprudenziale 
(Cass., sez. VI, 24 novembre 1995, D.; sez. V, 14 novembre 1995, N. ed altri) nel 
senso di una mera irregolarit� in caso di erronea applicazione del rito, non appare 
pertinente in quanto riferito allo svolgimento del processo con l'applicazione del 
nuovo Codice in luogo di quello abrogato ed alla mancanza nelle fattispecie concrete 
di specifiche violazioni dei diritti della difesa. Nella inversa ipotesi, ricorrente 
nella fattispecie, tale violazione deve invece ritenersi immanente per la maggior 
tutela garantita all'imputato dalle nuove norme, sia in via generale ( cfr. Relazione 
nei Lavori preparatori sub art. 245 disp. att.: �...gli istituti ritenuti di immediata 
applicazione, senza alterare la struttura essenziale del processo, ne modificano lo 
svolgimento venendo incontro alle esigenze di semplificazione, avute di mira con la 
riforma del codice ed assicurando alle parti private e ai loro difensori le maggiori 
garanzie previste dalla riforma medesima�) sia con riguardo alla disciplina prevista 
per il reato di falsa testimonianza nella sua totale difformit� da quella dettata dal 
codice del 1930. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Deve pertanto essere dichiarata la nullit� dell'attivit� istruttoria compiuta dal 

G.I. nel procedimento per il reato di cui all'art. 372 c.p. contestato agli imputati P., 
A., M., N. e B., nonch� della conseguente ordinanza di rinvio a giudizio emessa nei 
confronti dei predetti imputati. Gli atti, previa separazione del procedimento, devono 
essere trasmessi al P.M. per l'ulteriore corso. (omissis) 
Del pari infondata appare l'eccezione di nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio 
sollevata dalla Difesa dell'imputato T. per mancato rispetto del termine di deposito 
fissato in giorni sessanta dall'art. 242 comma 3� disp. trans., in quanto per 
costante giurisprudenza della S.C. (Cass., sez. VI, 10 luglio 1995, C. ed altri) la violazione 
di tale termine non � prevista a pena di nullit� o decadenza n� determina altre 
conseguenze processuali tali da determinare una incompetenza funzionale del G.I. 
non comportando un difetto di attribuzione in relazione alla funzione esercitata. 

**** 

Le Difese di alcuni imputati hanno anche sostenuto la nullit� dell'ordinanza di 
rinvio a giudizio in quanto fondata sulla valutazione di atti (perizie di ufficio) illegittimamente 
acquisiti al fascicolo processuale perch� depositati dopo la scadenza 
del termine concesso alla Difesa per l'esame degli atti. 

In effetti, dopo la data del 25 marzo 1999, data di scadenza dell'ultimo termine 
concesso dal G.I. alla Difesa, risultano depositate, 1'8 aprile 1999, �note di conclusione
� dei periti Casarosa-Held e Dalle Mese-Donali-Tiberi e il 7 luglio 1999 
ulteriori note dei periti Casarosa-Held collegate ad una consulenza di parte civile 
depositata il 2 giugno 1999. 

Osserva peraltro la Corte che gli elementi acquisiti nel corso della complessa 
istruttoria fino al momento del deposito degli atti (16 settembre 1998) avevano condotto, 
con ragionevole certezza, all'esclusione della sola ipotesi del cedimento strutturale. 
L'individuazione tra le ulteriori ipotesi (collisione, quasi-collisione, missile, 
esplosione interna) della reale causa del disastro non ha inciso in modo determinante 
sulla prospettazione accusatoria evidenziata dal P.M. e recepita dal G.I. il quale, 
ai fini della contestazione, ha ritenuto che si sia �compiuta una sistematica distruzione 
di prove, in esecuzione di un preciso progetto che doveva impedire ogni ricostruzione 
dei fatti. Progetto che ha colpito in tutti i livelli a salire sino allo Stato 
Maggiore�. (cfr. ordinanza G.I. pag. 4958). 

In questo contesto, ritenuta la nullit�, ai sensi dell'art.185 n. 3 c.p.p. 1930, e la 
conseguente inutilizzabilit� delle note conclusive sopra indicate, � peraltro da 
escludere che l'ordinanza di rinvio a giudizio sia in rapporto di dipendenza sostanziale 
con tali atti, trovando in essi la sua unica giustificazione e la causa esclusiva. 
La nullit� degli atti pertanto, in conformit� della costante giurisprudenza della S.C., 
non pu� trasmettersi all'ordinanza stessa ai sensi dell'art. 189 c.p.p. (Cass., s.u., 24 
giugno 1967). 

La ritenuta nullit� di quelle note conclusive depositate oltre il termine esime la 
Corte dalla valutazione della eccezione di costituzionalit� concernente il mancato 
rispetto del principio del contraddittorio nella formazione di tali elementi di prova 
sollevata, in via subordinata, dalla difesa dell'imputato M. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(J

372 

Ritiene la Corte di non poter prescindere da una approfondita analisi della problematica 
concernente l'attribuzione del procedimento per il reato di alto tradimento 
alla giurisdizione ordinaria ovvero al Tribunale Militare. 

Tale questione, rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, era 
stata affrontata dal Giudice istruttore nell'ordinanza di rinvio a giudizio (p. 54535458) 
in quanto il difensore della parte civile Davanzali aveva dedotto il difetto di 
giurisdizione del giudice ordinario. In particolare il G.I. aveva ritenuto sussistente 
la giurisdizione ordinaria sul presupposto che gli elementi di fatto accertati nell'istruzione 
non comportavano il venir meno del delitto di strage, ma ne mostravano 
con chiara evidenza la sussistenza; pertanto se allo stato non si procedeva perch� 
ignoti erano i suoi autori, il reato sussisteva -e non se ne dichiarava l'archiviazione 
-ed era palesemente connesso secondo la regola dettata in materia di connessione 
dal codice del 1930 �condivisa dal c.p.m.p., che vige in questo procedimento 
-per non essere ricompresa in quelle norme del codice dell'88 che si 
applicano comunque -ai sensi dell'art. 264 c.p.m.p., al delitto ex art.77 c.p.m.p. 
in relazione a quello ex art. 289 c.p.�. 

Nel corso dell'udienza sia il P.M. come il difensore della parte civile Presidenza 
del Consiglio hanno inoltre osservato che, comunque, sussiste la competenza del 
Giudice ordinario in quanto l'art. 77 del c.p.m.p. attribuirebbe rilevanza alla qualit� 
di militare del soggetto responsabile del reato di cui all'art. 289 c.p. solo ai fini del1'
aumento della pena della reclusione cos� prevedendo una circostanza aggravante 
del delitto comune e non una ipotesi autonoma di reato militare. 

Ritiene la Corte che quest'ultima prospettazione non sia da condividere. 

Invero l'art. 37 c.p.m.p. stabilisce che qualunque violazione della legge penale 
militare � reato militare. L'alto tradimento � indicato proprio come il primo dei 
reati militari contro la fedelt� e la difesa militare ed � quindi indubbia la sua natura 
speciale in quanto offensivo non soltanto di interessi tutelati dalla legge penale 
comune ma anche di interessi aventi natura militare ( cfr. Corte Cost. 11 giugno 
1980 n. 81). 

� d'altra parte significativo che per diverse norme del codice penale comune 
egualmente richiamate nell'art. 77 c.p.m.p. (artt. 277 e 288 C.P.) per le quali � 
richiesta (art. 313 c.p.) la condizione di procedibilit� della autorizzazione del Ministro 
della Giustizia, il Legislatore abbia ritenuto necessario emanare uno specifico 
provvedimento (art. 3 r.d.l. 9 dicembre 1941 n. 1386, conv. in legge 7 maggio 1942 

n. 560) di previsione di analoga condizione di procedibilit� per il �delitto punito� 
dall'art. 77 c.p.m.p. provvedimento che sarebbe stato ovviamente superfluo nel caso 
in cui non si fosse trattato di ipotesi autonoma di reato. 
Ci� considerato, rileva la Corte che le argomentazioni sulle quali il G .I. ha fondato 
la sussistenza della giurisdizione del Giudice ordinario appaiono condivisibili. 

Invero in materia di connessione di procedimenti l'art. 264 c.p.m.p., nella formulazione 
introdotta dalla legge 23 marzo 1956, n. 167, stabiliva-innovando la 
regola dettata dall'art. 49 c.p.p. del 1930 -che tra i procedimenti di competenza 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria e i procedimenti dell'autorit� giudiziaria militare 
si ha connessione soltanto quando essi riguardino delitti commessi nello stesso 
tempo da pi� persone riunite o da pi� persone, anche in tempi e luoghi diversi, ma 
in concorso tra loro, o da pi� persone in danno reciprocamente le une delle altre, 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

ovvero delitti commessi gli uni per eseguire o per occultare gli altri o per conseguire 
o assicurarne, al colpevole o ad altri, il profitto, il prezzo il prodotto o l'impunit� 
e che in tali casi � competente per tutti i procedimenti l'autorit� giudiziaria 
ordinaria (salva la facolt� della Cassazione di ordinare con sentenza -su ricorso 
del P.M. ovvero risolvendo un conflitto -la separazione per ragioni di convenienza). 
La scelta del legislatore era pertanto di attribuire rilevanza alle sole ipotesi 
di connessione dettate dall'art. 45 n. 1 e 2 c.p.p. del 1930 (esclusa la connessione 
occasionale), ma al tempo stesso di privilegiare in tali casi la giurisdizione 
ordinaria. Indubbiamente. nel primo periodo di applicazione della nuova norma la 
giurisprudenza della S.C., recependo un principio costantemente affermato in relazione 
ai casi di connessione tra procedimenti pendenti davanti al giudice ordinario 
-aveva ritenuto necessario che i procedimenti fossero nella stessa fase processuale 
perch� la connessione potesse determinare la giurisdizione del giudice 
ordinario sul reato militare. Peraltro emergeva progressivamente un diverso orientamento 
secondo il quale �il principio per cui il conflitto di competenza, nei casi 
di pi� reati fra loro connessi, � configurabile soltanto nel rispetto della duplice 
condizione relativa alla connessione oggettiva e alla pendenza dei relativi procedimenti 
in fase istruttoria, non trova applicazione rispetto ai conflitti di giurisdizione, 
nei quali � in discussione lo stesso potere di ius dicere da parte del giudice 
procedente, comune o speciale, in relazione a determinati fatti costituenti reato� 
(Cass., SS. UU, 17 dicembre 1977, A.; nello stesso senso Cass., SS.UU., 10 gennaio 
1976, C.). Si tratta di un orientamento che � stato ribadito dalla Suprema 
Corte anche in relazione alla nuova disciplina dettata in materia di connessione dal 

C.P.P. del 1998 sul presupposto -logicamente ineccepibile e pienamente condivisibile 
-che �La giurisprudenza elaborata in tema di competenza sotto il vigore 
del codice di procedura penale del 1930, e riaffermata con riferimento al codice 
vigente, secondo la quale la modifica della competenza per connessione opera 
soltanto tra procedimenti pendenti nella medesima fase processuale, non � conferente 
al tema della giurisdizione, poich� la diversit� dei giudici implica una maggiore 
rigidit� nella determinazione delle rispettive sfere operative, che non pu� 
dipendere da circostanze estranee a quelle originarie relative alla tipologia del 
reato ed alla connessione dello stesso con altro, quali la fase processuale in corso 
relativa all'accertamento dell'uno o dell'altro fatto criminoso� (Cass., sez. I, 2 
dicembre 1997, n. 6780). In sostanza, come ha osservato la S. C. in un caso in cui 
il procedimento per il reato militare era nella fase dell'udienza preliminare, mentre 
quello relativo al reato comune connesso era gi� definito con sentenza irrevocabile 
�l'individuazione dell'unico giudice competente per connessione in ordine 
a pi� reati o pi� imputati � operata dalla legge nel momento in cui intervenga un 
secondo procedimento penale per altro reato e per altro imputato e tale attribuzione 
di competenza costituisce effetto processuale di una correlazione sostanziale 
tra ipotizzati reati o imputati; effetto che permane fino a quando sussista la causa 
che ad esso ha dato origine. Ne consegue che se l'intervento di un'eventuale archiviazione 
per uno soltanto dei reati o degli imputati vale a sciogliere il vincolo processuale 
di connessione per l'altro reato o imputato, la competenza per connessione 
permane, invece, nel caso di intervenuta condanna per uno soltanto dei reati 
o degli imputati�. (Cass., sez. 1�, 8 luglio 1992, n. 3312, M.). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

374 I

� indubbio ad avviso della Corte che nel caso specifico il principio affermato 
dalla S.C. non pu� non trovare applicazione in quanto per il reato di strage, che 

costituiva la causa determinante della connessione, � stato emesso un provvedimenfil 
to di non doversi procedere perch� ignoti coloro che hanno commesso il reato e non 
per insussistenza del fatto ovvero per manifesta infondatezza della notizia di reato. 

N�, d'altra parte, pu� assumere rilevanza il fatto che l'eventuale prosecuzione 
dell'indagine per il reato di strage-disastro aviatorio sia disciplinata dalle norme del 
codice del 1988-il che comporterebbe l'impossibilit� di riunione dei procedimenti 
non avendo effetto la connessione in base all'art. 259 disp. trans. c.p.p. -in quanto, 
come affermato dalla S.C. in tema di giurisdizione, la decisione attributiva di 
competenz~ non pu� dipendere da circostanze estranee a quelle originarie relative 
alla tipologia del reato e alla correlazione sostanziale tra i diversi fatti. 

In conclusione, la giurisdizione del Giudice ordinario deve pertanto ritenersi 
sussistente. 

Sulle eccezioni di costituzionalit� proposte dai difensori degli imputati Bartolucci 
e Ferri la Corte preliminarmente osserva che l'art. 2 della legge costituzionale 
23 novembre 1999 n. 2 ha specificamente demandato alla legge ordinaria la normativa 
di applicazione dei principi fissati dal nuovo articolo 111 della Costituzione ai 
procedimenti penali in corso alla data della sua entrata in vigore. 

Il riferimento ai �procedimenti penali in corso� indubbiamente ricomprende 
tutti i procedimenti, anche quelli soggetti alle regole procedurali del codice del 1930 
con l'osservanza di alcune disposizioni del nuovo codice (art. 245 disp. att.). 

La legge ordinaria successivamente emanata (legge n. 35 del 2000) in sede di 
conversione con modificazione del d.l. n. 2/2000 ha fissato la disciplina transitoria 
per i procedimenti in corso stabilendo espressamente che tale disciplina si applica 
anche ai procedimenti che proseguono con le norme del codice di procedura penale 
anteriormente vigente. 

La Corte Costituzionale nei primi giudizi di legittimit� costituzionale promossi 
in riferimento all'art. 111 della Costituzione ha affermato, in primo luogo, che �i 
precetti costituzionali si pongono, rispetto alla legge ordinaria, non solo come parametri 
di legittimit� ma, prima ancora, come essenziali punti di riferimento dell'interpretazione 
conforme a costituzione della disciplina sottoposta a scrutinio di costituzionalit�
�. (Corte cost. sentenza 12-25 ottobre 2000 n. 440). 

In secondo luogo la Corte Costituzionale ha affermato che �il problema della 
perdurante applicabilit� della norma denunciata con riguardo ai processi in corso problema 
che nasce a seguito della successiva disciplina della stessa materia viene 
a porsi non gi� sul piano dei rapporti tra legge ordinaria e legge costituzionale 
posteriore ..... bens� sul versante della successione fra norme dello stesso rango, 
fenomeno che resta senz'altro regolato dai principi generali stabiliti dall'art. 15 delle 
preleggi�. Conseguentemente ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 513 comma 2 c.p.p. 1988 in quanto il 
Giudice rimettente aveva omesso qualsiasi valutazione in ordine alla possibile abrogazione 
di tale norma, almeno in riferimento al procedimento in corso, per incompatibilit� 
con la disposizione del d.l. n. 2/2000 che rende immediatamente applicabili 
in detti procedimenti i principi di cui all'art. 111 della Costituzione (Corte Cast. 
ordinanza 12-25 ottobre 2000 n. 439). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Ci� considerato, la Corte osserva che i principi fondamentali che caratterizzano 
il �giusto processo� quale previsto dall'art. 111, con immediata incidenza applicativa 
sul processo in corso possono essere individuati nei seguenti: 

1) svolgimento del processo nel contraddittorio delle parti in condizioni di 
parit� davanti a giudice terzo ed imparziale; 

2) facolt� dell'imputato davanti al giudice del dibattimento di interrogare o 
fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione 
e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa 
e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore (�principio del contraddittorio 
nella sua dimensione soggettiva quale diritto dell'imputato di 
confrontarsi con il suo accusatore�); 

3) principio del contraddittorio nella formazione della prova �nella sua dimensione 
oggettiva quale metodo di accertamento giudiziale dei fatti�, salvo i casi, dettati 
dalla legge ordinaria, di mancanza del contraddittorio per consenso dell'imputato 
o per accertata impossibilit� di natura oggettiva o per effetto di provata condotta 
illecita; 

4) principio che la colpevolezza dell'imputato non pu� essere provata sulla 
base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si � sempre volontariamente sottratto 
all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. 

In relazione al primo principio la Difesa ha eccepito l'incostituzionalit� dell'art. 
386 c.p.p. per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione in quanto 
la trasmissione al Giudice del dibattimento di tutti gli atti del procedimento pregiudicherebbe 
la terziet� del Giudice comportando la conoscenza dell'intero fascicolo 
in difformit� della disciplina dettata dal vigente codice di rito. 

La questione �, ad avviso della Corte, manifestamente infondata. Invero, la 
Corte Costituzionale gi� aveva enucleato, come anche ha osservato il P.M., in relazione 
al principio di imparzialit�, il principio di terziet� del Giudice come modo 
d'essere della giurisdizione, e aveva altres� affermato che non la mera conoscenza 
degli atti ma la valutazione comunque espressa della posizione dell'imputato in 
ordine alla sua responsabilit� penale comportava la violazione di tale principio con 
la conseguente incompatibilit� del giudice (Corte Cost. 17 ottobre/2 novembre 1996 

n. 371). Nella fattispecie � indubbio che questa Corte non ha operato alcuna valutazione 
lesiva del principio di terziet� come delineato dalla Corte Costituzionale. 
Risulta manifestamente infondata l'eccezione di costituzionalit� con riferimento 
all'art. 245 disp. trans. nella parte in cui non ha previsto l'immediata applicazione 
di gran parte delle disposizioni del nuovo codice ai processi che proseguono 
secondo le norme del codice del 1930. Invero tale eccezione imporrebbe, 
in caso di accoglimento della questione da parte della Corte Costituzionale, una 
pronunzia �additiva� non prevista dalla normativa costituzionale come da costante 
giurisprudenza. 

L'ulteriore eccezione di costituzionalit� concernente l'art. 242, 1� e 3� comma, 
nella parte in cui non prevede che i processi proseguiti secondo le norme del codice 
del 1930 siano celebrati integralmente secondo le disposizioni del nuovo codice, 
ha come presupposto logico la tesi dell'incompatibilit� globale del vecchio sistema 
processuale con i principi dell'art. 111 della Costituzione immediatamente applicabili 
ai procedimenti in corso. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

376 

La questione, sollevata in via subordinata alla tesi della implicita abrogazione 
delle norme del codice del 1930 in conseguenza della abrogazione delle disposizioni 
transitorie del codice del 1988 che ne consentivano l'ultrattivit�, � in parte manifestamente 
infondata, in parte irrilevante. 

Preliminarmente, invero, la Corte osserva che la tesi dell'implicita abrogazione 
immediata del vecchio sistema normativo non sembra in alcun modo emergere 
dalla lettura delle disposizioni della legge n. 35/2000: infatti la norma del 
comma 6� dell'art. 1, prevedendo l'applicazione di tutti i commi precedenti anche 
ai procedimenti che proseguono con le norme del codice di procedura penale anteriormente 
vigente, si limita a dare attuazione al principio dettato dall'art. 2 della 
legge costituzionale n. 2 del 1999 che demanda alla legge ordinaria l'applicazione 
dell'art. 111 ai procedimenti penali in corso senza alcuna distinzione circa la 
disciplina processuale, vecchia o nuova, dalla quale sono regolati. 

Tanto premesso, la questione � manifestamente infondata nella parte in cui la 
doglianza investe l'intero sistema processuale precedente, prescindendo dalla considerazione, 
con particolare riferimento alla fase dibattimentale, di tutte quelle regole 
ivi contenute che non appaiono in contrasto con i nuovi principi o, al limite, sono 
pienamente aderenti al dettato costituzionale ( cfr. ad esempio la disposizione che 
vieta, a pena di nullit�, la lettura, in mancanza di consenso delle parti, delle deposizioni 
testimoniali ricevute dal giudice o dal p.m. nell'istruzione: art. 462 comma 1� 

n. 1 e comma 3�). 
� invece irrilevante nella parte in cui dovesse essere interpretata come questione 
concernente tutte le singole disposizioni del codice del 1930 senza specifica 
indicazione della norma viziata e in assenza di condizioni tali da far ritenere che il 
giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione. 
(omissis) 

CORTE DI ASSISE DI ROMA, Sez. III, ordinanza emessa in data 21 dicembre 2000 -
Pres. Muscar�-P.M Nebbioso, Salvi, Roselli (conf.)-lmputati B. ed altri-Parti 
civili: Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa -Responsabile 
civile Ministero della Difesa (avv.ti Stato Nunziata, Giannuzzi, Scino). 

Procedura penale -Procedimenti .che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Mancato rispetto del termine per il deposito nel fascicolo della 
Cancelleria -Nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio -Esclusione. 

(Nonne di coordinamento, di attuazione e transitorie del c.p.p. vigente, art. 242, comma 3). 

Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Connessione tra il reato di alto tradimento commesso in Roma ed 
il delitto di strage in ordine al quale � competente altra autorit� giudiziaria 
-Sentenza di non doversi procedere in ordine al reato di strage -Rilevanza 
della connessione ai fini della determinazione della competenza 
territoriale per il reato di alto tradimento -Esclusione -Competenza 
territoriale dell'autorit� giudiziaria romana. 

(c.p.p. 1930, artt. 39, 40 e 45). 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

377 

Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Formazione del fascicolo per il dibattimento -Ingresso in tale 
fascicolo di tutti gli atti trasmessi al giudice del dibattimento dal giudice 
istruttore. 

(c.p.p. 1930, art.386; c.p.p. vigente, art. 431; Cost., art. 111; d.1. n. 2/2000, conv. con modif. 
nella legge n. 35/2000). 
Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Ordine di assunzione delle prove -Posposizione dell'interrogatorio 
dell'imputato all'audizione delle parti civili non indicate come testi Assunzione 
della prova chiesta dall'accusa pubblica e privata. 

(c.p.p. 1930, art. 441, comma 2, art. 447; Cost. art.111; d.1. n. 2/2000, convertito con modif. 
nella legge n. 35/2000, art. 1, comma 6). 
Procedura penale -Procedimenti che proseguono con le norme anteriormente 
vigenti -Tecnica di conduzione dell'esame dei testi e dell'interrogatorio 
delle parti -Esame incrociato, seguito eventualmente da domande poste 
dal giudice. 

(Cost. art. 111; d.1. n. 2/2000, conv. in legge con modif., dalla legge n. 35/2000). 

Il mancato rispetto del termine di cinque giorni per il deposito del fascicolo 
nella cancelleria, previsto dall'art. 242, comma 3, disposizioni di attuazione del 
vigente c.p.p., non comporta la nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio. 

La connessione tra il reato di alto tradimento ed il delitto di strage, se assume 
rilevanza in ordine all'individuazione dell'autorit� giudiziaria ordinaria, quale giudice 
dotato di giurisdizione in relazione al procedimento originato dall'inchiesta 
sulla sciagura di Ustica, non � idoneo a determinare una deroga al regime della 
competenza territoriale in relazione al reato di alto tradimento, contestato agli 
imputati di tale procedimento, che risulta essere stato commesso in Roma, una volta 
che non � intervenuto rinvio a giudizio per il delitto di strage. Pertanto deve essere 
dichiarata territorialmente competente l'autorit� giudiziaria romana (1). 

(1-4) Con l'ordinanza in rassegna, la Corte di Assise di Roma, facendo seguito all'ordinanza 
emessa all'esito dell'udienza del l dicembre 2000 (pubblicata in questa Rassegna, 2000, I, 359 
e ss.), ha risolto una serie di questioni preliminari sollevate dalla difesa degli imputati del reato 
di alto tradimento, previsto dal combinato disposto degli artt. 289 c.p. e 77 c.p.m.p., nel processo 
scaturito dall'inchiesta concernente la sciagura di Ustica. 

Riallacciandosi alle considerazioni gi� svolte nell'ordinanza del 1 dicembre 2000, circa il 
carattere meramente ordinatorio del termine per il deposito dell'ordinanza di rinvio a giudizio, 
fissato dall'art. 242, comma 3, disp. att. c.p.p. del 1988, la Corte ha escluso che il mancato rispetto 
del termine di 5 giorni per il deposito del fascicolo nella Cancelleria previsto dalla stessa disposizione 
comporti la nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio. 

L'eccezione di incompetenza territoriale della Corte di Assise di Roma, fondata sul rilievo 
che la connessione tra il reato di strage e quello di alto tradimento determinerebbe la competenza 
di altra autorit� giudiziaria, � stata disattesa previa rigorosa delimitazione della rilevanza della 
connessione. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO, 

In applicazione dei principi costituzionali dell'art. lii Cost., cos� come imposto 
dall'art.I, comma I, della legge n. 3512000, deve ritenersi che ilfascicolo per il 
dibattimento sia costituito da tutti gli atti trasmessi al giudice del dibattimento, 

m

fermo restando il principio che non pu� assumere autonomo valore di prova quanto 
non � stato formato nel contraddittorio delle parti. � riservato al Presidente della 
Corte, ai sensi dell'art. 420 c.p.p. del 1930, il giudizio sull'eventuale sovrabbondanza, 
inammissibilit� e non pertinenza delle testimonianze (2). 

Appare confome all'esigenza di una piena applicazione del principio del contraddittorio, 
consacrato nell'art. lii Cost., che l'interrogatorio dell'imputato deve 
essere preceduto dall'audizione delle parti civili non indicate come testi e dall'assunzione 
ddla prova richiesta dall'accusa pubblica e privata, ci� in quanto il 
momento centrale di formazione della prova a carico, in relazione agli addebiti dai 
quali l'imputato dovr� �discolparsi e difendersi�, s'identifica proprio con l 'acquisizione 
nel dibattimento delle dichiarazioni dei testi e degli imputati in procedimento 
connesso indotti dall'accusa (3). 

La sussistenza di tale connessione, adeguatamente valorizzata dalla Corte nell'ordinanza 
dell' 1 dicembre 2000, per affermare la giurisdizione del giudice ordinario, una volta intervenuta, 
come nel caso di specie, una sentenza di non doversi procedere per il reato esplicante vis attractiva, 
ai fini della connessione, (delitto di strage), alla luce della costante giurisprudenza della Cassazione, 
� stata ritenuta inidonea a giustificare la deroga all'ordinario regime della competenza. 

Essendo indubbio che il focus commissi delicti per il reato di alto tradimento si identifica 
con la capitale, deve essere ritenuta la competenza territoriale dell'autorit� giudiziaria romana, ex 
art. 39, comma 1, c.p.p. 1930. 

Nella seconda parte dell'ordinanza in esame, la Corte di Assise di Roma si � preoccupata di 
fissare le linee guida cui attenersi nella celebrazione del processo, al fine di dare attuazione all'art. 
111 Cost., cos� come modificato dall'art. 1, legge cost. n. 2/99. Tale preoccupazione si giustifica 
ove si ponga mente alla peculiarit� del processo originato dall'inchiesta sulla sciagura di Ustica, 
destinato per ragioni di diritto intertemporale a proseguire con le norme anteriormente vigenti, 
chiarite dalla stessa Corte nell'ordinanza del 1 dicembre 2000, e purtuttavia espressamente assoggettato 
dal legislatore (art. 1, comma 6, del decreto-legge n.2/2000, convertito in legge con modificazioni 
dalla legge n. 35/2000) ai principi costituzionali del giusto processo contenuti nel testo 
novellato dell'art. 111 Cost. 

La Corte ha in primo luogo chiarito che concorrono a formare il fascicolo per il dibattimento 
tutti gli atti che sono stati trasmessi al giudice del dibattimento, ferma restando la regola costituzionale 
che pu� assumere valore di prova solo quanto si sia formato nel contraddittorio delle 
parti. Resta sempre riservato alla Corte, e per essa al suo Presidente, il potere di valutare l'eventuale 
sovrabbondanza, inammissibilit� e non pertinenza delle testimonianze. 

Quanto all'ordine di assunzione delle prove, si � ritenuto necessario al fine di dare attuazione 
integrale al principio del contraddittor~o, consacrato nell'art. 111 Cost., che l'interrogatorio 
dell'imputato, attraverso il quale questa parte processuale esercita il suo diritto di difendersi e di 
discolparsi (art. 441, comma 2, c.p.p. del 1930), sia preceduto dall'audizione delle parti civili non 
indicate come testi e dall'assunzione della prova richiesta dall'accusa pubblica e privata. 

Tale assunzione costituendo il momento essenziale della formazione della prova a carico, 
consente, infatti, all'imputato di individuare con precisione gli addebiti dai quali deve difendersi. 

Meritano di essere condivise le conclusioni cui � giunta la Corte in ordine alle modalit� di 
assunzione delle prove testimoniali e di conduzione dell'interrogatorio degli imputati, anche di 
quelli di reati connessi, sintetizzate nel riferimento alla tecnica dell'esame incrociato, eventualmente 
seguito da eventuali domande del giudice. 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

379 

La piena attuazione dell'art. 111 Cost., nella parte in cui questa disposizione 
costituzionale attribuisce agli imputati la facolt� di interrogare e far interrogare le 
persone che rendono dichiarazioni a loro carico e prevede che il processo debba 
svolgersi in condizione di parit� tra le parti, davanti ad un giudice terzo ed imparziale, 
risulta assicurata dal!' esame in contraddittorio condotto direttamente dalle 
parti, cui deve essere riservata la scelta concernente l'ordine di assunzione delle 
prove testimoniali e degli interrogatori degli imputati di reati connessi, seguito da 
eventuali domande poste dal giudice. Anche l'interrogatorio degli imputati deve 
essere condotto con le regole dell'esame incrociato, seguito solo all'esito da eventuali 
domande del giudice (4). 

(omissis) 

Sulle eccezioni di nullit� dell'ordinanza di rinvio a giudizio proposte dalla difesa 
dell'imputato M. per violazione dell'art. 185 n. 1 e 3 c.p.p. del 1930 sul presupposto 
che il giudice istruttore, avendo proseguito l'attivit� istruttoria oltre il termine 
del 31 dicembre 1997, sarebbe carente di giurisdizione e che comunque tale ulteriore 
attivit� istruttoria sarebbe nulla, osserva che il difensore non ha indicato quali 
siano state le attivit� istruttorie -oltre l'attivit� peritale di cui � stata gi� dichiarata 
la nullit� con l'ordinanza del 1� dicembre 2000 -svolte dal G.I. in epoca successiva 
al predetto termine. Sostanzialmente pertanto la prospettata nullit� dell' ordinanza 
di rinvio a giudizio si fonda esclusivamente sul mancato rispetto del termine 
di cinque giorni per il deposito del fascicolo nella cancelleria previsto dall'art. 242, 
comma 3� disp. att. C.p.p., violazione che non � prevista a pena di nullit� o decadenza, 
cos� come gi� rilevato nella precedente ordinanza in relazione alla analoga 
previsione dettata dalla stessa disposizione di un termine per il deposito dell'ordinanza 
di rinvio a giudizio. Anche per quanto concerne le doglianze in merito alla 
facolt� di consultazione di atti del fascicolo depositato, e al conseguente pregiudizio 
di una piena esplicazione dell'attivit� difensiva, la prospettazione non ha individuato, 
neppure all'esito del successivo, completo esame degli atti, specifiche violazioni 
concretamente incidenti in termini di lesione dei diritti della difesa e riconducibili 
alle ipotesi previste nell'art. 185 n.3 c.p.p. del 1930. 

Sull'eccezione di incompetenza per territorio sollevata dal difensore dell'imputato 
F., e fondata sul rilievo che il dedotto rapporto di connessione con il delitto 
di strage determinerebbe la competenza di altra autorit� giudiziaria, rileva la 
Corte che, a prescindere dalla valutazione sulla esattezza dell'ordinanza in data 23 
aprile 1992 con cui il Giudice Istruttore presso il Tribunale di Roma aveva ritenuto 
la propria competenza, il presente processo ha per oggetto esclusivamente il 
reato di alto tradimento che risulta commesso in Roma. Pertanto il rapporto di 
connessione con il delitto di strage, in ordine al quale non � stato emesso provve-

Appare decisamente in linea con l'esigenza della piena attuazione del principio del contraddittorio, 
all'interno di un processo che si svolga in condizioni di parit� dinanzi ad un giudice terzo 
ed imparziale, la riserva alle parti della scelta dell'ordine di assunzione delle prove testimoniali e 
degli interrogatori di persone imputate di reati connessi. 

M.G. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

380 

dimento di rinvio a giudizio, se assume rilevanza per quanto concerne l'attribuzione 
di giurisdizione alla magistratura ordinaria -come ha osservato la Suprema 
Corte nelle pronunce richiamate nell'ordinanza del 1 � dicembre 2000 -non 
pu� determinare una deroga al regime ordinario della competenza per territorio 
una volta che non � intervenuto rinvio a giudizio per il delitto di strage; invero, 

per costante giurisprudenza della Corte di Cassazione anche sotto la vigenza del 
codice del 1930 (Cass., 4 aprile 1956, L.), venuto meno in fase istruttoria il reato 
che aveva causato la deroga alla normale competenza per territorio, non vi � pi� 
motivo che permanga la deroga alla competenza normale e pertanto la cognizione 
del reato che aveva subito lo spostamento di competenza territoriale ritorna nell'ambito 
della propria competenza territoriale. 

Allo scopo di dare attuazione, come espressamente imposto dall'art. 1 comma 
1, legge 35/2000, ai principi costituzionali dettati dall'art. 111 Cost., gi� richiamati 
nell'ordinanza del 1� dicembre 2000, sentite le parti a norma dell'art. 150 c.p.p. 
1930, con riferimento alle modalit� di svolgimento dell'istruttoria dibattimentale, la 
Corte osserva: 

Il fascicolo del dibattimento � costituito da tutti gli atti che sono stati trasmessi 

I

al Giudice del dibattimento, ferma restando, in linea di principio, la regola che non 
pu� avere autonomo valore di prova quanto non si � formato nel contraddittorio 

I

delle parti. 

~ 

Il giudizio sulla eventuale sovrabbondanza, inammissibilit� e non pertinenza w 

I.' 

delle testimonianze, rimesso dall'art. 420 c.p.p., al Presidente -e, nella fattispecie, m 
non ancora intervenuto giusta la riserva contenuta nel decreto del Presidente del 25 

I~. 

settembre 2000 -ben pu� essere esercitato dalla Corte nel quadro di una funzione : 

;i

di controllo che risulta incidere sulla potest� di richiesta probatoria delle parti in ter.. 
mini meno rilevanti rispetto alla disciplina del nuovo Codice, che prevede un provi 
vedimento espresso di ammissione della prova da parte del Collegio (art. 495 c.p.p. 

I 

1988) in aggiunta alla preliminare delibazione del Presidente circa l'inammissibilit� 
e la sovrabbondanza (art. 460 c.p.p.). 

I:::

.

L'ordine delle prove nel sistema processuale del 1930 (art. 440) non era perentorio 
essendo pacifico il potere discrezionale del Giudice di modificarlo. 

I

In questo contesto, allo scopo di realizzare una piena applicazione del principio rn 
del contraddittorio consacrato nell'art. 111 Cost., la Corte ritiene conforme a diritto rn 
che l'interrogatorio dell'imputato, finalizzato ad acquisirne le discolpe e le difese 
(art. 441 comma 2 c.p.p. 1930), debba essere preceduto dall'audizione delle parti 
civili non indicate come testi (art. 447) e dall'assunzione della prova richiesta dal1'
Accusa pubblica e privata: ci� in quanto, con specifico riferimento alle dichiarazioni 
dei testimoni, nonch� dei soggetti imputati in procedimento connesso, la cui 
-~ 

I�'. 

citazione � richiesta dall'Accusa, il momento centrale di formazione della prova a 

~

i

carico, e quindi di individuazione degli addebiti dai quali l'imputato dovr� �discolparsi 
e difendersi�, si identifica proprio con l'acquisizione di quelle dichiarazioni 
nel dibattimento. lii 

Se � vero che in base all'art. 111 Cost. gli imputati hanno facolt� di interrogare 
e far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a loro carico e che il processo 
deve svolgersi in condizioni di parit� tra le parti, davanti ad un Giudice terzo ~ 

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e imparziale, la piena attuazione di tale principio appare garantita dall'esame in 

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-


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

contraddittorio condotto direttamente dalle parti e seguito da eventuali domande 
del Giudice, in analogia al sistema previsto dal codice del 1988. Nella stessa ottica, 
appare corretto privilegiare la scelta delle parti nell'indicazione dell'ordine di 
assunzione delle prove testimoniali e degli interrogatori liberi di persone imputate 
di reati connessi rispettivamente richiesti, soggetti il cui esame sar� necessariamente 
delimitato, se gi� ascoltati nel corso dell'istruzione formale, dal contenuto 
della deposizione gi� resa. 

Perch� il contraddittorio si esplichi in condizioni di parit� tra le parti e, al tempo 
stesso, sia assicurata nel modo pi� ampio la terziet� del Giudice, � necessario che 
anche l'interrogatorio degli imputati sia condotto con le regole dell'esame incrociato 
seguito, solo all'esito, da eventuali domande del Giudice. 

L'istruttoria dibattimentale si attuer� pertanto secondo le norme del codice di 
rito del 1930, adeguate, nei termini sopra indicati ed in applicazione della legge 
35/2000, ai principi dettati dall'art. 111 Cast. (omissis) 


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PARTE SECONDA 



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DOTTRINA 


Azione cautelare e decisione di merito (*) 

SOMMARIO: 

J. -J PROCEDIMENTI ACCELERATI: GLI ARTT. 3 E 4 DELLA LEGGE N. 20512000. 
2. -J PRECEDENTI �STORICI�. 
3. -IL RITO ABBREVIATO COME STRUMENTO ALTERNATIVO ALLA CAUTELA. 
4. 
-LA NORMA GENERALE: IL PROCEDIMENTO ABBREVIATO DI CUI AGLI ARTT. 3 E 9 
LEGGE N. 20512000. 
5. -J PROCEDIMENTI ABBREVIATI DI CUI ALL'ART. 4 LEGGE N. 20512000. 
6. -OSSERVAZIONI CONCLUSIVE. 
J. -J PROCEDIMENTI ACCELERATI: GLI ARTT. 3 E 4 DELLA LEGGE N. 205100. 
L'intento acceleratorio sotteso alla legge 21 luglio 2000 n. 205 emerge da varie 
sue disposizioni ed, in particolare, da quelle che prevedono forme celeri o �brevi� 
di risoluzione delle controversie: cos� � ad esempio per l'art. 1 nella parte in cui prevede 
che, in pendenza del ricorso, i provvedimenti connessi al suo oggetto siano 
impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti; cos� � per i procedimenti �speciali
� quali quello previsto dall'art. 2 in materia di silenzio della amministrazione; 
cos� � per l'art. 3 nella parte in cui prevede la prioritaria trattazione nel merito del 
ricorso in ordine al quale sia stata accolta la richiesta cautelare. 

Oltre a tali disposizioni, la legge prevede alcuni ulteriori strumenti atti a realizzare 
velocemente la tutela giurisdizionale nel merito, strumenti che tendono cio� 
alla definitivit� del giudizio ed aventi l'attitudine all'impiego di atti processuali idonei 
ad assurgere al rilievo di cosa giudicata. Tali strumenti tendono a rendere inutile 
la decisione cautelare, perch� assorbita nella decisione di merito o, comunque, a 
ridurre il rilievo temporale della stessa tramite un collegamento procedimentalizzato 
tra le due decisioni. 

Fra questi strumenti ci si pu� occupare in particolare di quelli che, sempre in 
funzione acceleratoria, tendono al compattamento della fase cautelare e della fase di 
merito ovvero al ravvicinamento procedimentalizzato fra le due fasi. 

La legge disciplina cos� dei modelli processuali che si discostano da quello 
originariamente disegnato dalla legge n. 1034/1971 e prima ancora dal R.D. 

n. 1054/1924, ordinariamente cadenzato su due udienze, una in camera di consiglio 
per la decisione dell'eventuale istanza cautelare, l'altra in seduta pubblica 
per la decisione del ricorso nel merito: tali modelli processuali, siccome previsti 
(*) Testo della relazione al Seminario di studio organizzato dal Tribunale Amministrativo 
Regionale dell'Emilia-Romagna e dalla Sezione Emilia-Romagna della Societ� Italiana Avvocati 
Amministrativisti, tenutosi a Bologna il 23 novembre 2000. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAf�'

4 

come di generale applicazione al darsi di determinati presupposti ovvero riferiti 
ad una categoria ampia di controversie, assurgono al rilievo di veri e propri �riti 
alternativi�. 

In particolare, ci si riferisce alla disciplina di cui agli artt. 2, 3, 4 e 9 della legge 

n. 205/2000, ove � prevista la possibilit�, ora di carattere generale al ricorrere di 
determinati presupposti ora per specificate categorie di controversie, di decisioni di 
merito in camera di consiglio nonch�, per altre determinate categorie di controversie, 
il ravvicinamento fra la fase cautelare e la fase di merito. 

Le une e le altre procedure possono essere riassuntivamente ricomprese nel 
concetto di procedure accelerate. 

Esempi del primo tipo di procedura (decisioni di merito in camera di consiglio) 
si rinvengono relativamente ai ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione (art. 
2 legge n. 205/2000) ovvero relativamente ai giudizi in materia di accesso agli atti 
amministrativi ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241/1990 (modificato quanto alla 
obbligatoriet� della difesa tecnica dall'art. 4, terzo comma, legge n. 205/2000). 

Ulteriore e significativo esempio di questo tipo di procedura � rappresentato 
dall'art. 3, comma 1, della legge n. 205/2000 che, interpolando l'art. 21 legge 

n. 1034/1971, ha previsto, senza distinzioni in ordine al tipo di competenza giurisdizionale 
esercitata ovvero all'oggetto del ricorso, che in sede di decisione della 
domanda cautelare, il giudice amministrativo, accertata la completezza del contradI 


dittorio e dell'istruttoria e ricorrendone i presupposti, sentite sul punto le parti costi~ 
tuite, possa definire il giudizio con decisione in forma semplificata. 
Un esempio del secondo tipo di procedura (ravvicinamento delle fasi cautelare e 
di merito) si rinviene nella previsione dell'art. 4 legge n. 205/2000, che aggiunge 

I l'art. 23 bis alla legge n. 1034/1971. Tale norma prevede che, nei giudizi aventi ad 
oggetto provvedimenti relativi a determinati ambiti amministrativi, fra i quali le procedure 
di affidamento di incarichi di progettazione e di connesse attivit� tecnicoamministrative 
nonch� le procedure di aggiudicazione, affidamento ed esecuzione di I 
opere pubbliche o di pubblica utilit�, di servizi pubblici e forniture, il giudice amministrativo, 
chiamato a pronunciarsi sulla domanda cautelare, accertata la completez'


i

za del contraddittorio, se ritiene ad un primo esame che il ricorso evidenzi l'illegittimit� 
dell'atto impugnato e la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile, fissa 

I

con ordinanza la data di discussione nel merito alla prima udienza successiva al termine 
di trenta giorni dalla data di deposito dell'ordinanza. 

I 

2. -J PRECEDENTI �STORICI�. 
La previsione di strumenti processuali in funzione acceleratoria non � una novit� 
assoluta della legge n. 205/2000. 

Gi� il progetto di legge delega per l'emanazione delle norme sul processo 
amministrativo n. 1912, approvato alla Camera dei deputati in data 12 ottobre 1989 
(1), ma mai approvato definitivamente, prevedeva, nell'indirizzare il Governo a for



PARTE II, DOTTRlNA 

5 

me abbreviate e semplificate di processo, che nel caso di accoglimento della domanda 
di tutela interinale l'udienza di merito dovesse essere fissata per una data compresa 
entro il termine massimo di sei mesi e che dovessero essere previste forme 
abbreviate e semplificate di provvedimenti giurisdizionali. 

Significativamente, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi in sede consultiva 
su tale disegno di legge (2), suggeriva la previsione di un p:i;ocedimento da 
definirsi con �ordinanza conclusiva concisamente motivata�, nel rispetto del diritto 
di difesa e del principio del contraddittorio, per i ricorsi manifestamente infondati, 
inammissibili, irricevibili; improcedibili, ovvero per quelli che pongano questioni di 
evidente ed immediata soluzione. 

Analogamente suggeriva di ampliare tale modalit� procedurale, prevedendo la 
possibilit�, sempre nel rispetto del principio del contraddittorio, di decisione sul 
merito con ordinanza conclusiva sin dalla sede di decisione sulla domanda di tutela 
interinale, a fronte di causa matura per la definizione e non comportante esame di 
problematiche complesse. 

L'esigenza pratica di coniugare celerit� ed effettivit� della tutela giurisdizionale ha 
condotto qualche giudice amministrativo ad elaborare, pur in assenza di specifica disposizione 
legislativa, ipotesi di trasformazione della fase cautelare di giudizio in fase di 
merito. Significativa in tal senso � la vicenda del T.a.r. Veneto, che ha dato luogo ad un 
vero e proprio <<rito veneziano� (3), in virt� del quale, �se in camera di consiglio, il 
ricorrente, istante per la sospensione del provvedimento impugnato, abbia dichiarato di 
rinunciare alla domanda cautelare e ad ogni termine a difesa, per l'urgenza della decisione 
nel merito, purch� questa, anche se sinteticamente motivata, sia depositata in termini 
brevissimi, e l'amministrazione resistente si sia associata a tale richiesta, parimenti 
rinunciando ai termini a suo favore, il T.a.r. pu� fissare seduta stante l'udienza per la 
trattazione della causa e il collegio pu� redigere la sentenza, richiamando per l'esposizione 
del fatto quanto esposto dalle parti nel ricorso e negli scritti difensivi, e motivando 
solo con l'indicazione dei passaggi essenziali dell'iter logico seguito� (4). 

In tempi pi� recenti, la possibilit� per il giudice amministrativo di decidere il 
ricorso nel merito sin dalla fase cautelare � diventata diritto positivo. 

Infatti, l'art. 19 del d.l. 25 marzo 1997, n. 67, con riferimento al contenzioso in 
materia di opere pubbliche, ha previsto la facolt� del giudice, chiamato a pronunciarsi 
sulla domanda di sospensione, di definire immediatamente il giudizio nel 
merito, con motivazione in forma abbreviata, quando accerti l'irricevibilit� o l'inammissibilit� 
o l'infondatezza del ricorso. 

In sede di conversione, avvenuta con legge 23 maggio 1997, n. 135, il testo 
della norma � stato riformulato eliminandosi il riferimento all'irricevibilit�, inammissibilit� 
o infondatezza del ricorso, con ci� consentendo in linea generale la possibilit� 
di decisione di merito sostitutiva della pronuncia cautelare. 

(2) Parere dell'Adunanza Generale del Consiglio di Stato n. 16 dell'8 febbraio 1990, in Foro 
amm. 1990, I, 270 ss. 
(3) Sul punto si veda, di recente, DEPIERO R., in AA.VV., La giustizia amministrativaCommento 
alla legge 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2000, 76 ss. 
(4) TAR Veneto, sez. I, 19 febbraio 1994, n. 155, in Foro it., 1994, III, 353. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO.

6 

La norma ha poi comunque previsto la celebrazione dell'udienza di discussione 
del merito della causa entro sessanta giorni nel caso di concessione del provvedimento 
cautelare e la dimidiazione dei termini processuali (5). 

Con analogo intento, l'art. 31 bis della legge 11 febbraio 1994, n.109 ha disposto 
che, sempre relativamente ai giudizi amministrativi aventi ad oggetto controversie 
in materia di lavori pubblici in relazione ai quali sia stata presentata domanda di 
provvedimento d'urgenza, i controinteressati e l'amministrazione resistente possano 
chiedere che la questione venga decisa nel merito (6). 

Ulteriormente., l'art. 1, comma 27 della legge 31 luglio 1997, n. 249 in materia 
di provvedimenti dell'autorit� per le garanzie nelle comunicazioni ha previsto che il 
giudice, chiamato a pronunciarsi sulla domanda di sospensione di tali provvedimenti, 
possa definire il giudizio nel merito, con motivazione in forma abbreviata. 

Se le disposizioni citate costituivano settoriale applicazione dell'intento acceleratorio 
di cui si � detto, non estensibile al di fuori delle ipotesi previste (7), la legge 

n. 205/2000 ne generalizza invece l'applicazione senza limitazione ai giudizi in 
determinate materie, contestualmente procedendo all'abrogazione espressa tanto dell'art. 
19 d.l. n. 67/1997 quanto dell'art. 1, comma 27 della legge n. 249/1997 (art. 4). 
Peraltro, non va sottaciuto come strumenti di tal genere si collochino in una 
dimensione di conformit� rispetto al principio di effettivit� della tutela giurisdizionale 
nella sua dimensione comunitaria (8), i cui connotati si sono puntualizza


(5) Abbondante � la giurisprudenza in tema di applicazione della disposizione in esame: ex plurimis, 
C.G.A.S., sez. giur., 8 agostol998, n. 461, in Cons. Stato, 1998, I, 1229; Cons. St., V, 4 luglio 
1997, n. 771, in Foro it., 1998, III, 50; Cons. St., V, 14 ottobre 1998, n. 1473, in Cons. Statol998, I, 
1581; Cons. St., VI, 3 dicembre 1998, n. 1648, in Cons. Stato, 1998, I, 1979; Cons. St., IY, 29 gennaio 
1999, n. 97, in Cons. Stato, 1999, I, 52; TAR Piemonte, Il, 4 febbraio 1999, n. 110; TAR Puglia, 
Bari, Il, 27 ottobre 1997, n. 850; in dottrina, fra i tanti interventi, PAGANO A., Giudice amministrati


I 
~ 

vo e opere pubbliche, in Urbanistica e appalti, 1997, 740; CARULLO A., La nuova riforma del pro, 


.

cesso amministrativo in materia di appalti di opere pubbliche, inRiv. Trim. appalti, 1997, 345; VIRGA 

I

G., Primi orientamenti sul c.d. giudizio abbreviato previsto dall'art. 19 del D.l. n. 6711997, in Giust. 
Amm. Sic., 1997, 1053 e in Giust.it Giustizia amministrativa, http://www.giust.it. 

(6) Sul problema del coordinamento fra l'art. 19 D.l. n. 67/97 e l'art. 31 bis legge n. 109/94, 
si veda DE NICTOLIS R., Il rito in materia di opere pubbliche: dalla legge Merloni all'art. 19 D.l. 
67197, in Urbanistica e appalti, 1999, 1173. 
(7) Sulla natura di norme di stretta interpretazione e sul conseguente divieto di applicazione 
analogica oltre i casi espressamente contemplati delle norme procedurali dettate dall'art. 19 
D.l. n. 67/97, si veda Cons. St., VI, 3 dicembre 1998, n. 1648, in Cons. Stato, 1998, I, 1979; TAR 
Piemonte, II, 4 febbraio 1999, n. 110, in Giust.it Giustizia amministrativa, http://www.giust.it. 
(8) La dottrina sul punto � amplissima: ci si limita a ricordare, unitamente agli ulteriori rifeI


rimenti ivi citati, TESAURO G., Tutela cautelare e diritto comunitario, Riv. It. Dir. Pubbl. li

I*

Comunitario, 1992, 131 ss.; CARANTA R., Effettivit� della garanzia giurisdizionale nei confronti 
della p.a. e diritto comunitario: ilproblema della tutela cautelare, in Foro amm., 1991, 1889 ss.; i:: 

!='

VIVIANI A. Diritto comunitario e potest� cautelare dei giudici nazionali, in Riv. It. Dir. 

i'' 

Comunitario scambi internaz., 1993, 581; CARANTA R., Diritto comunitario e tutela cautelare: 
dall'effettivit� allo ius comune, in Giur. It., 1994, 1,1, 353; CARAMAZZA l.F., Effettivit� della tuteli
� 
la: ottemperanza, in Rass. Avv. Stato, 1994, Il, 93 ss.; PERFETTI L., Tutela cautelare inaudita altera 
parte nel processo amministrativo -Effettivit� della tutela ed effettivit� del giudizio, in Riv. It. 
Dir. Pubbl. Comunitario, 1999, 93 ss.; FARO S., L'effettivit� della tutela cautelare amministrati


I

va: q�estioni ancora aperte, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comunitario, 1999, 1409 ss. 
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PARTE II, DOTTRINA 

7 

ti intorno alla disciplina della tutela cautelare: sar� sufficiente al riguardo ricordare 
le decisioni della Corte di Giustizia nel caso Factortame (9), ove si statu� che i 
giudici degli Stati membri sono tenuti a disapplicare eventuali norme di diritto 
interno ostacolanti l'adozione in via cautelare di disposizioni di fonte comunitaria 
costituenti posizioni soggettive attive dei soggetti, o nel caso Zuckerfabrik 
Suderdithamarschen (10), ove furono individuati i presupposti che legittimano 
l'adozione del provvedimento cautelare di sospensione del provvedimento amministrativo, 
o nel caso Atalanta (11), ove la Corte ha ampliato la tipologia di strumenti 
di tutela cautelare, affermando che gli stessi devono essere tali da garantire 
all'interessato una tutela cautelare realmente satisfattoria, o infine nel caso Alcatel 
(12), ove la Corte .ha affermato che strumenti nazionali che consentano la tutela 
risarcitoria per equivalente non possono che aggiungersi ad altri che tendano alla 
reintegrazione in forma specifica. 

Si osserva, infine, come analogo impulso sia di recente ulteriormente pervenuto 
anche dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, sotto il profilo della violazione 
del �ragionevole termine� del processo di cui all'art. 6 della Convenzione di 
Strasburgo, posto a garanzia del medesimo principio di effettivit� (13). 

3. -]L RITO ABBREVIATO COME STRUMENTO ALTERNATIVO ALLA CAUTELA. 
L'utilizzabilit� del rito abbreviato come strumento alternativo alla cautela emerge 
sin dalla rubrica dalla disposizione di cui all'art. 3 della legge n. 205/2000 che, 
sotto la definizione di �disposizioni generali sul processo cautelare�, prevede la possibilit� 
di trasformazione della fase cautelare in fase di merito. 

Altrettanto significativamente, sotto il profilo della collocazione sistematica, 
tali disposizioni vanno ad inserirsi nell'art. 21 legge 103411971 nell'ambito della 
disciplina processuale della trattazione della domanda cautelare. 

La disciplina del rito � completata dall'art. 9 legge n. 205/2000, rubricato 
�decisioni in forma semplificata� che vanno ad interpolare l'art. 26 della legge 
1034/1971, dedicato alle decisioni di merito, con i commi quarto, quinto e 
sesto (14). 

(9) Corte di Giustizia, 19 giugno 1990, in causa 213/89. 
(10) Corte di Giustizia, 21 febbraio 1991, in cause riunite C-143/88 e C-92/89. 
(11) Corte di Giustizia, 9 novembre 1995, in causa C-465/93. 
(12) Corte di Giustizia, 28 ottobre 1999, in causa C-81/98. 
(13) Corte europea dei diritti dell'uomo -sentenza 5 ottobre 2000, in causa Mennitto 
C. Italia, in Giust.it Giustizia amministrativa, http://www.giust.it., n. 11-2000, con nota 
SAPORITO G. 
(14) Fra i primi commenti alle disposizioni in esame, VIRGA G., I procedimenti abbreviati previsti 
dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, in Giust.it Giustizia amministrativa, http://www.giust.it., n. 102000; 
SANINO M., Il processo cautelare, in AA.VV. Verso il nuovo processo amministrativoCommento 
alla legge 21 luglio 2000, n. 205, a cura di CERULLI lRELLI V., Milano, 2000, 273, ss.; 
DEPIERO R., in AA.VV. La giustizia amministrativa-Commento alla legge 21luglio2000, n. 205, 
cit. ' 76 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

8 

Dispone al riguardo il decimo comma dell'art. 21, nel testo novellato: 
�In sede di decisione della domanda cautelare, il tribunale amministrativo 


regionale, accertata la completezza del contraddittorio e dell'istruttoria ed ove ne 
ricorrano i presupposti, sentite sul punto le parti costituite, pu� definire il giudizio 
nel merito a norma dell'articolo 26. Ove necessario, il tribunale amministrativo 

regionale dispone l'integrazione del contraddittorio e fissa contestualmente la data 
della successiva trattazione del ricorso a norma del comma undicesimo; adotta, ove 
ne sia il caso, le misure cautelari interinali� 

Dispongono il quarto, quinto e sesto comma dell'art. 26, nel testo novellato: 

�Nel caso in cui ravvisino la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilit�, 
inammissibilit�, improcedibilit� o infondatezza del ricorso, il tribunale amministrativo 
regionale e il Consiglio di Stato decidono con sentenza succintamente 
motivata. La motivazione della sentenza pu� consistere in un sintetico riferimento 
al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo, ovvero, se del caso, ad un precedente 
conforme. In ogni caso, il giudice provvede anche sulle spese di giudizio, applicando 
le norme del codice di procedura civile. 

La decisione in forma semplificata � assunta, nel rispetto della completezza del 
contraddittorio, nella camera di consiglio fissata per l'esame dell'istanza cautelare 
ovvero fissata d'ufficio a seguito dell'esame istruttorio previsto dal secondo comma 

II

dell'articolo 44 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con 
regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054, e successive modificazioni. 
Le decisioni in forma semplificata sono soggette alle medesime forme di impuI 


gnazione previste per le sentenze�. 

Ne emerge l'introduzione di una decisione �allo stato degli atti� utile nella 
misura in cui la materia del contendere sia di immediata ed evidente soluzione. 

� solo in tal modo che si conciliano il principio di effettivit� della tutela giurisdizionale 
con quello del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio. 

I

La legittimit� costituzionale di una simile scelta era gi� stata vagliata dalla 
Corte Costituzionale in sede di delibazione di costituzionalit� dell'art. 19 del d.1 

I 

n. 67/1997 convertito nella legge n. 135/1997: con sentenza n. 427 del 10 novembre ij 
1999 (15), la Corte ha statuito che presupposto legittimante la definizione immediata 
del giudizio (che, come tale rende superflua ed inutile una pronuncia sulla misura 
cautelare di sospensiva) � che si tratti di questioni definibili immediatamente o di 
pronta soluzione, escluso ogni carattere di procedura sommaria. Solo in tali ipotesi 
infatti pu� esservi altemativit� rispetto alla pronuncia sulla domanda di sospensione, 
che rimane superata ed assorbita dalla definizione della lite, la quale assicura, 
come decisione finale (processuale o di merito) una effettivit� e completezza di tutela 
giurisdizionale, con esercizio dello stesso potere di cognizione del giudizio ordinario. 
Cos� intesa l'altemativit� della tutela di merito rispetto a quella cautelare, non 
pu� che dedursi per le ipotesi in cui la causa non appaia di evidente soluzione la perI 


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manenza in capo al giudice dell'ordinario potere cautelare (16). i:' 

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(15) In Foro it., 2000, I, 746 ss., con nota di ROMANO A. 
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(16) Corte Cost., 16 luglio 1996, n. 249, in Foro it., 1996, I, 2607 ss. 
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PARTE II, DOTTRINA 

9 

4. -LA NORMA GENERALE: IL PROCEDIMENTO ABBREVIATO DI CUI AGLI ARTT. 3 E 9 LEGGE 
N. 205/2000. 
L'art. 21, decimo comma, legge n. 1034/1971 nel testo modificato dall'art. 3 
della legge n. 205/00 disciplina ora in via generale un rito accelerato nell'ambito del 
quale la fase cautelare � idonea a trasformarsi in fase di merito, mediante la concentrazione 
dell'intero giudizio nell'udienza fissata per la decisione della domanda 
cautelare. E ci� fa senza distinzioni in ordine al tipo competenza giurisdizionale 
esercitata. 

Le disposizioni della novella del 2000 regolano, da un lato, 1) i presupposti processuali 
del rito accelerato e, dall'altro lato, 2) la correlativa disciplina processuale . 
e provvedimentale. 

Sub I) I presupposti processuali. 

Fra i presupposti del procedimento abbreviato � possibile identificare alcuni 
presupposti esplicitati espressamente dalla norma, ai quali si accompagna un presupposto 
implicito. 

I a) Presupposto implicito � certamente l'urgenza della decisione. Si � gi� 
rilevato come il luogo giuridico in cui viene effettuata la scelta di addivenire al rito 
abbreviato � la �decisione della domanda cautelare�, come testualmente recita il 
decimo comma dell'art. 21. Ci� presuppone che si tratti di questione oggettivamente 
urgente, ove l'esecuzione del provvedimento opposto o l'inerzia della pubblica 
amministrazione possa arrecare grave ed irreparabile danno (17). 

Se l'urgenza � l'ovvio presupposto implicito del rito abbreviato in questione, 
pu� porsi il problema della necessit� di dare atto nel contesto motivazionale della 
decisione della sussistenza in concreto dello stesso. La questione pu� avere risposta 
negativa, solo che si consideri che un obbligo motivazionale in tal senso si giustifica 
laddove con l'ordinanza cautelare (sia essa di rigetto o di accoglimento) si regolano 
interinalmente gli effetti del provvedimento oggetto del sindacato giurisdizionale 
ed in buona sostanza i rapporti fra l'amministrazione e la parte ricorrente, 
mentre analoga esigenza non sussiste laddove si addivenga ad una tutela ancora pi� 
piena ed immediata. La Corte Costituzionale, del resto, con la citata sentenza n. 427 
del 1999 ha escluso, sebbene a titolo di obiter dictum, la necessit� che sia valutata 
l'esistenza delpericulum in mora. 

Sotto concorrente profilo, pu� rilevarsi che, se l'urgenza del provvedere � il presupposto 
implicito del rito abbreviato, perch� possa farsi applicazione del comma 
decimo dell'art. 21 in esame, occorrer� che il ricorrente mantenga ferma la domanda 
di decisione cautelare, con l'ovvia conseguenza che a fronte della sua rinuncia 
alla domanda cautelare non si potr� far luogo al procedimento in questione, salva 
l'emanazione della decisione in forma semplificata prevista in generale dall'art. 26 
legge 1034/1971. 

(17) Cos�, DEPIERO R., in AA.VV., La giustizia amministrativa, cit., 78 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

10 

1 b) Presupposti particolari ed espliciti individuati dalla disposizione sono 1 b 
1) la completezza del contraddittorio; 1 b 2) la completezza dell'istruttoria e 1 b 3) 
gli ulteriori presupposti, cui rinvia senza specificazione il decimo comma dell'art. 21. 

L'individuazione espressa dei presupposti in questione, mancante nel testo dell'art. 
19 D.L. n. 79/97, va messa in relazione con l'interpretazione data dalla Corte 
Costituzionale a tale ultima disposizione nella citata sentenza n. 427 del 1999, secondo 
la quale un sistema processuale basato sull'anticipata decisione del merito della 
controversia �non pu� prescindere dal necessario rispetto di alcuni valori processuali, 
tra cui in primo luogo l'integrit� del contraddittorio e la completezza e sufficienza del 
quadro probatorio ai fini della sentenza da adottare. La decisione in forma abbreviata 
immediatamente nella camera di consiglio fissata per la trattazione della domanda 
cautelare� statuisce infatti la Corte nel �salvare� il silente art. 19 �non pu� avere luogo 
se non sono state chiamate in giudizio tutte le parti interessate ovvero se queste non si 
siano costituite in pendenza del relativo termine( ..... ) o se la causa non � matura per 
la decisione, essendo necessario procedere ad ulteriori acquisizioni istruttorie� 

Va conseguentemente osservato che il rito accelerato cos� come previsto dall'art. 
21 legge 1034 sar� applicabile allora solo al contestuale ricorrere di tutti i presupposti 
individuati dalla norma (18). 

Sub 1 b 1) Per poter addivenire al rito abbreviato � necessaria, in primo luogo, la 
completezza del contraddittorio (19). 

L'esigenza di non calpestare il diritto di difesa sotto il profilo del rispetto 
del contraddittorio fra le parti era gi� stata rappresentata, prima della Corte 
Costituzionale, dall'Adunanza Generale del Consiglio di Stato nel citato parere 

n. 
16 del 1990. 
Il contraddittorio, come canone processuale, ha una doppia valenza, soggettiva 
ed oggettiva. 

Sotto il profilo soggettivo, la formulazione scarna della disposizione, che si 
limita a prevedere l'accertamento della completezza del contraddittorio, pu� porre :~

., 
in dubbio che requisito necessario e sufficiente sia il rispetto del contraddittorio :a 
:-: 
meramente formale, realizzato attraverso la notificazione del ricorso all'amministrazione 
e ad almeno uno degli eventuali controinteressati e non anche attraverso la 
costituzione in giudizio degli stessi. 
Sotto il profilo oggettivo, la completezza del contraddittorio postula che le parti 
abbiano esperito o siano state poste in grado di esperire tutti gli incombenti processuali 
per i quali siano ancora in termini. La questione ha gi� avuto l'avallo giurisprudenziale 
sotto il vigore dell'art. 19 D.L. n. 6711997 (20). 

'.' 

(18) Cos�, SANINO M., Il processo cautelare, cit., 275. 
==: 
(19) Si noti come il requisito della completezza del contraddittorio non era espressamente ~:: 
inserito n~ll'origdinario ttesto del D11~D.L.'n. 2934, essendodvi statotpoidinserito dal Sei:iat~ in sede di ~-i 
approvazione e11o s esso ne apn1e 1999, tenen o con o e11e osservaz10m espresse f: 
dall'Adunanza Generale del Consiglio di Stato nel parere n. 1611990. I} 
(20) Cos�, ancora Corte Cost. n. 427/1999; Cons. Stato, V, 13 giugno 1998, n. 830; Cons. -~ 
St., V, 13 settembre 1999, n. 664; Cons.St., IV, 17 febbraio, 2000, n. 865, in Urbanistica e appai-;~ 
ti, n. 4/2000, 407, con nota CARINGELLA F. 
. . .. _ _ kll 

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-~ 

1��1��1�1��1�1'1�ll�IIl�lllllllll��r� 



PARTE II, DOTTRINA 

11 

Cos�, � per esempio con riferimento alla presentazione di motivi aggiunti o del 
ricorso incidentale o del regolamento di competenza. 

La conversione dell'incidente cautelare in decisione di merito non sar� legittimamente 
praticabile laddove l'interessato abbia chiesto il rinvio dell'udienza ai fini 
dell'articolazione del relativo incombente processuale: il rito abbreviato risulter� 
legittimamente applicato in tal caso solo in sede di (nuova) udienza fissata per la discussione 
della domanda cautelare e salvo che il giudice, sull'eventuale insistenza del 
ricorrente, non ritenga di dovere comunque decidere sulla stessa. 

Si ripropone a tale riguardo in generale il problema della necessariet� o meno 
della costituzione in giudizio delle parti, risolto in senso negativo dalla giurisprudenza 
citata sul presupposto che la previsione di una disposizione legislativa astrattamente 
legittimante, al darsi di determinati presupposti, alla trattazione del merito 
della causa sin dall'udienza cautelare � tale da rendere prevedibile tale possibilit� 
con la connessa implicita accettazione della stessa (21). 

La parte intimata sar� pertanto onerata non solo della formale costituzione in 
giudizio, ma altres� della richiesta, da formalizzarsi all'udienza fissata per la trattazione 
della domanda cautelare ovvero da formulare con apposita istanza, di differimento 
della decisione nel merito al fine di consentire l'espletamento dell'incombente 
processuale cui abbia interesse. 

Un'indagine particolare merita l'interferenza tra le regole del rito accelerato e 
la disciplina prevista per il regolamento preventivo di giurisdizione: � noto che, in 
applicazione della regola generale, l'art. 30, terzo comma, legge 1034/1971 disponga 
che la proposizione di tale ricorso non preclude l'esame della domanda cautelare. 
Se ne deve dedurre che la parte che intenda proporre tale istanza, laddove voglia 
scongiurare il rischio del maturarsi della preclusione alla proposizione della relativa 
istanza ex art. 41 c.p.c conseguente alla decisione della causa nel merito, abbia l'onere 
di proporre il ricorso prima dell'udienza fissata per la discussione della domanda 
cautelare ovvero di rappresentare in tale sede tale intenzione, con ci� paralizzando 
l'applicazione del decimo comma dell'art. 21. 

La richiesta della parte tendente al differimento dell'udienza per l'espletamento 
dell'incombente processuale non � insindacabile da parte del giudice, il 
quale, con decisione comunque sindacabile nell'eventuale secondo grado di giudizio, 
dovr� pur sempre valutare la posizione di interesse della parte istante nonch� 
il rilievo della richiesta in relazione al tipo e al contenuto della adottanda decisione 
della controversia. In altre parole, l'istanza di differimento non pu� produrre 
un effetto di automatica e vincolante paralisi della facolt� di definizione immediata 
del giudizio, rimanendo la stessa demandata al giudice attraverso l'esercizio 
degli ordinari poteri valutativi: ne consegue che l'istanza di rinvio potr� essere 
disattesa solo quando risulti irrilevante ai fini della decisione da adottare ovvero 
sia processualmente inammissibile la specifica attivit� difensiva annunciata dalla 
parte (22). 

(21) Sul punto, espressamente, Cons. St., VI, 5 agosto 1999, n. 1018, in Cons Stato, 1999, I, 
1208. 
(22) Cos� espressamente, Corte Cost., n. 427/1999. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

12 

Ulteriore aspetto connesso al rispetto del principio del contraddittorio attiene 
alle questioni rilevabili d'ufficio. 

In ordine a tale questione va segnalato l'orientamento di recente adottato 
dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (23), secondo il quale, prima di 
decidere una questione rilevabile d'ufficio, il giudice amministrativo deve indicarla 
alle parti per consentirne la trattazione, in attuazione del principio del contraddittorio. 


Ritiene lAdunanza Plenaria, infatti, che �in un sistema processuale come quello 
vigente fondato. sul principio del contraddittorio, la rilevabilit� d'ufficio di una 
questione da parte del giudice non significa che, per ci� stesso, tale questione possa 
essere decisa d'ufficio senza essere stata sottoposta al contraddittorio delle parti. In 
questa prospettiva �rilevare d'ufficio� sta per �indicare d'ufficio alle parti� (arg. ex 
art. 183, 3� comma, c.p.c., secondo cui il giudice richiede alle parti, sulla base dei 
fatti allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio di cui 
ritiene sia opportuna la trattazione, ed ex art. 184, 3� comma, c.p.c., secondo cui nel 
caso vengano disposti d'ufficio mezzi di prova, ciascuna parte pu� dedurre, entro lin 
termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari 
in relazione ai primi)�. 

Poich�, poi, il Consiglio di Stato � dell'opinione che l'eventuale omissione di 
segnalazione alle parti delle questioni rilevabili d'ufficio determini un vizio della 
sentenza (24), ne consegue che il rallentamento processuale derivante dalla necessit� 
di rispettare il predetto obbligo si trasformer� in ostacolo all'applicazione della 
possibilit� di decisione nel merito sin dalla fase cautelare. 

Emerge da quanto sopra come la verbalizzazione relativa al dialogo processuale 
tra le parti e tra queste ed il giudice, che si concentrer� principalmente 
all'udienza fissata per la trattazione della domanda cautelare, assurga a luogo 
(quasi) esclusivo per la verifica del rispetto dei presupposti processuali posti 
dalla disposizione in commento, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali 
richiamati. 

Ci� sar� a fortiori, laddove si consideri che la frequenza dei possibili incombenti 
processuali da porre in essere in relazione ad uno stesso giudizio risulta 
aumentata dalla stessa legge n. 205: si pensi, ad esempio, alla introduzione della 
delibazione preventiva ad opera del T.a.r. di manifesta fondatezza del regolamento 
di competenza (art. 31, quinto comma, legge n. 1034 nel testo riformato) ovvero 

(23) Cons. Stato, A.P., 24 gennaio 2000, n. 1, in Foro it., 2000, III, 305 ss., con nota TRAVI 
A.; contra, in precedenza Cons. Stato, V, 15 luglio 1998, n. 1045. 
(24) In ordine all'interpretazione dell'art. 183, terzo comma, c.p.c., si registra in ambito processualcivilistico 
un contrasto di opinioni fra la giurisprudenza, tradizionalmente orientata nel 
senso di ritenere il precetto posto dalla disposizione come privo di sanzione (Cass. 10 agosto 
1953, n. 2694), e la dottrina (fra gli altri, MONTESANO, Su alcuni problemi del processo civile, in 
Temi, 1967, 484; DENTI, Questioni pregiudiziali d'ufficio e contraddittorio, in Riv. Dir. Proc., 
1968, 217 ss. ), propensa invece ad affermare la nullit� della sentenza ovvero a suggerire soluzioni 
differenziate in relazione al grado del giudizio o al tipo di eccezione (ORIANI R., L'eccezione 
di merito nei Provvedimenti urgenti per il processo civile, in Foro it., 1991, V, 23). 

PARTE Il, DOTTRINA 

13 

all'ampliamento dell'impugnazione mediante proposizione di motivi aggiunti di 
tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti connessi 
all'oggetto del ricorso stesso (art. 21, primo comma, nel testo riformato). 

Sub I b 2) Ulteriore presupposto processuale indicato espressamente dalla norma � 
la completezza del/ 'istruttoria. 

La previsione del presupposto in esame esclude ogni configurazione di 
cognizione sommaria in relazione al procedimento abbreviato, perch� si tratta di 
decisione, connessa ad un'azione di merito, che presuppone delineato il quadro 
probatorio. 

L'effettiva praticabilit� del rito abbreviato risulta condizionata in maniera rilevante 
da tale presupposto, il quale -a propria volta -risulta condizionato dal 
diverso atteggiarsi dell'onere probatorio nelle varie forme di competenza giurisdizionale 
del giudice amministrativo. 

Per valutare i confini giuridici del rito abbreviato relativamente al requisito in 
esame e quindi la sua utilizzabilit� in concreto, occorre collocare lo stesso nella 
struttura generale del processo amministrativo, con riferimento in particolare al regime 
dell'acquisizione delle prove, al regime dei poteri istruttori del giudice sia collegiali 
e monocratici (presidenziali), al momento e al luogo di decisione e assunzione 
delle prove. 

Sotto il profilo del regime di acquisizione delle prove e dei poteri istruttori 
del giudice, � noto come nel giudizio amministrativo (25), a causa dell'assenza 
di una posizione di parit� tra le parti, il principio ed il metodo dispositivo in ordine 
alla prova sia abbondantemente temperato dal principio e dal metodo acquisitivo: 
nel giudizio amministrativo cio� il ricorrente non � tenuto a fornire la 
prova completa di fatto sulle sue doglianze, ma ha l'onere di fornirne un principio 
di prova in termini di allegazione di elementi di seria consistenza, sui quali 
poi si eserciter� il vaglio di rilevanza e la relativa acquisizione da parte del 
giudice (26). 

Sotto il profilo del momento e del luogo di assunzione delle prove, � altrettanto 
noto come nel processo amministrativo non esista una fase istruttoria in 
senso proprio, per cui il provvedimento istruttorio viene emesso allorch� il materiale 
probatorio fornito dalle parti non venga ritenuto sufficiente con un esame 
che si colloca normalmente nella udienza fissata per la discussione del ricorso nel 
merito. 

(25) Fra i tanti, BENVENUTI, F. L'istruzione nel processo amministrativo, Padova, 1953, 187 
ss.; CAIANIELLO V., Diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 268 ss .. 
(26) Cons. Stato, VI, 13 ottobre 1984, n. 61 O, in Cons. Stato, 1984, I, 1313; la Corte 
Costituzionale, nella stessa sentenza n. 427/1999, qualifica il sistema processuale amministrativo, 
sotto il profilo della formazione del materiale probatorio, come affidato non al principio dispositivo 
puro, ma alla sua applicazione corretta con il metodo acquisitivo, con l'intervento diretto 
del giudice nella ricerca della prova. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

14 

Tutta l'attivit� istruttoria confluisce nell'unica udienza (di merito) cos� come 
disciplinata dall'art. 44 del R.D. 1054/1924, non facendosi frequentemente uso, 
prima di tale udienza, del potere istruttorio monocratico previsto dallo stesso art. 44, 
terzo comma, di istruttoria presidenziale preliminare all'udienza di merito (27). 

A tale proposito, la dottrina (28) ha rilevato come la struttura del processo 
amministrativo sia �monoverifica�: il processo � tutto incentrato in una sola udienza, 
in connessione con la natura di giudizio impugnatorio nel quale il giudice � abilitato 
a decidere la controversia senza il (necessario) contraddittorio dell'amministrazione, 
essendo comunque presente nel giudizio l'atto impugnato. 

Tale struttura; plasmata sulla giurisdizione generale di legittimit�, in verit� non 
muta in relazione alle altre due competenze giurisdizionali speciali ed aggiuntive di 
merito ed esclusiva, pure dopo l'intervento della Corte Costituzionale (sentenza 

n. 146/1987 (29)) che ha astrattamente consentito l'esperibilit� nelle controversie in 
materia di pubblico impiego di tutti i mezzi di prova previsti per il processo del lavoro 
dinanzi al giudice ordinario. 
La legge n. 205/2000 non cambia la descritta struttura di fondo del processo 
amministrativo. 

I

Tuttavia, essa da un lato amplia il novero dei provvedimenti cautelari ammissibili 
(art. 21, settimo comma e ss. legge 1034/1971 nel testo novellato) e dall'altro 
lato estende, con riferimento alle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva, 
la cui tipologia � parallelamente implementata (art. 33 D.Lgs. n. 80/1998, nel testo 

! novellato dall'art. 7, primo comma, della legge n. 205), i mezzi di prova previsti dal fil 
codice di procedura civile, con la sola esclusione dell'interrogatorio formale ed il 
giuramento (art. 35, terzo comma, D.Lgs. n. 80/1998, nel testo novellato dall'art. 7, 
terzo comma, della legge n. 205). 

I

Se ne deve dedurre di conseguenza una dilatazione della domanda di tutela cautelare 
ed una parallela dilatazione di esigenza istruttoria. 

� allora prevedibile che l'uno e l'altro di tali aspetti riducano la concreta praticabilit� 
di trasformazione della fase cautelare in fase di merito sotto il profilo, ora in 
esame, della completezza dell'istruttoria. 

I 

(27) Come opportunamente ricordato anche da VIRGA G., in I procedimenti abbreviati, cit., tale 
possibilit� era, invero, gi� prevista dall'art. 28 del reg. proc. n. 642/1907, il quale tuttavia imponeI


lli

va sulla richiesta di assunzione di mezzi di prova formulata dalle parti, oltre la valutazione positiva 
di utilit� da parte del Presidente, anche l'adesione delle altre parti. Come noto, la disputa circa la 
portata innovativa della disposizione dell'ultimo comma dell'art. 44 rispetto all'art. 28 si concluse 
per la soluzione negativa. La disputa ha rilievo prevalentemente teorico, per lo meno per i giudizi 
dinnanzi al T.a.r., avendo la legge n. 1034/1971 (art. 23, quinto comma: �Il Presidente dispone, ove 
occorra, gli incombenti istruttori�) sganciato i poteri istruttori presidenziali dall'accordo delle parti. 
La soluzione � ora estesa definitivamente per effetto della modifica all'ultimo comma dell'art. 44 

T.U. Cons. St. ad opera dell'art. l, comma 2, della legge n. 205/2000 il quale dispone :�La decisione 
sui mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica, � adottata dal Presidente della sezione o da 
un magistrato da lui delegato ovvero dal collegio mediante ordinanza con la quale � contestualmente 
fissata la data della successiva udienza di trattazione del ricorso�. 
(28) BENVENUTI F., voce Processo amministrativo /(struttura), in Enc. Dir., vol. XXVI, 
Milano, 1987, 460, ss. 
(29) In Foro it., 1987, I, 1350, con nota di BARONE G. 

PARTE II, DOTTRINA 

15 

Infatti, a fronte dell'invariata struttura processuale, sotto il profilo dei tempi e 
dei luoghi dell'ammissione e dell'assunzione della prova, pur con il temperamento 
in ordine al momento della decisione sui mezzi di prova derivante dalla modifica al 
terzo comma dell'art. 44 R.D. n. 1054/1924 operata dall'art. 1, secondo comma, 
della legge n. 205, l'introduzione, con riferimento a tutte le controversie di giurisdizione 
esclusiva, di mezzi istruttori di tipo (anche) orale comporta un possibile e prevedibile 
ampliamento della fase istruttoria (30), ostacolando la ricorrenza del requisito 
della completezza dell'istruttoria sin dalla fase cautelare. 

Sub 1 b 3 ) Gli ulteriori �presupposti�. 

Accanto alla completezza del contraddittorio e dell'istruttoria, la disposizione 
in commento rinvia ad ulteriori e non meglio precisati �presupposti�. 

L'opinione che pare preferibile (31 ), al fine di attribuire un senso logico alla disposizione, 
� quella di considerare tali presupposti come quelli individuati dal successivo 
art. 26, quarto comma, della legge n. 1034/1971 nel testo novellato dall'art. 
9 della legge n. 205 quali presupposti della sentenza succintamente motivata. Tale 
ultima disposizione prevede che per potere emettere una sentenza di tal genere 
debba sussistere a) la manifesta irricevibilit�, improcedibilit�, inammissibilit� del 
ricorso o b) la sua manifesta infondatezza ovvero al contrario c) la sua manifesta 
fondatezza. 

Il richiamo dell'art. 26 compiuto in generale e senza specificazioni (l'art. 26 
disciplina tanto le decisioni �normali� quanto quelle �in forma abbreviata�) dalla 
norma dovr� cos� ritenersi circoscritto alla fattispecie di cui al quarto, quinto e sesto 
comma che disciplinano le sentenza in forma semplificata. Significativamente e di 
rimando, del resto, il quinto comma dell'art. 26 prevede che la decisione in forma 
semplificata sia assunta nel rispetto della completezza del contraddittorio nella 
camera di consiglio fissata per l'esame della domanda cautelare. 

Ci� laddove si reputi che l'esistenza di una causa (in rito o in fatto) che risulti 
�manifestamente� risolutiva della controversia, con ci� esaurendo il novero delle 
cause atte a definire immediatamente il giudizio, sia l'unica circostanza logicamente 
compatibile con l'eliminazione della decisione cautelare cui conduce l'applicazione 
del rito abbreviato. 

Sub 2 La disciplina processuale e provvedimentale. 

Sotto il profilo della disciplina processuale, ci si deve porre il problema del ruolo 
del giudice e delle parti in ordine all'applicazione alla controversia del rito abbreviato. 
Sotto il primo profilo, si nota che il testo della disposizione prevede il potere 
e non il dovere del giudice di far luogo al giudizio abbreviato, a fronte del ricor


(30) Per una prima applicazione dell'atteggiarsi dell'onere probatorio in controversia risarcitoria, 
si veda T.a.r. Friuli-Venezia Giulia, 28 marzo 2000, n. 314 in Giust.it Giustizia amministrativa, 
http://www.giust.it., n. 4/2000. 
(31) Nello stesso senso, SANINO M., Il processo cautelare, cit. 276 e, con qualche distinzione, 
DEPIERO R., La giustizia amministrativa, cit., 80 ss. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

16 


rere dei presupposti indicati (�il tribunale amministrativo regionale ... .pu� definire 
il giudizio nel merito a norma dell'art. 26�). Sul punto, la legge n. 205 ricalca 
la formulazione dell'art. 19 del d.l. n. 67/1997 la legittimit� costituzionale del 
quale � stata affermata proprio in ragione del ruolo del giudice in materia, quale 
organo deputato alla ricerca del punto di equilibrio tra l'esigenza di celerit� ed il 
diritto di difesa, escluso ogni automatismo o effetto automatico sia in un senso che 
nell'altro. 

La previsione in termini di facolt� e non di dovere di percorrere il rito accelerato 
� anche l'unico mezzo per non inibire la necessaria permanenza del potere cautelare 
del giudice (32). 

Sotto il secondo profilo, la novella prevede che sull'immediata definizione nel 
merito del ricorso debbano essere �sentite le parti costituite�. 
Sul punto la disposizione � differente tanto rispetto al testo dell'art. 19 d.l. 

n. 67 /1997, che nulla prevedeva al riguardo, tanto rispetto al testo dell'art. 31 bis 
della legge n. 109/1994 prevedente la richiesta delle parti. 
In ordine all'art. 19, la Corte Costituzionale, con la citata sentenza n. 427 del 
1999, ha ritenuto compatibile con la Costituzione una disposizione che non preveda 
quale presupposto per l'immediata decisione nel merito del ricorso la specifica e 
concorde richiesta delle parti, sul presupposto da un lato dell'inammissibilit� nel 
processo amministrativo della richiesta di sola decisione cautelare cui deve invece 
accedere la domanda di decisione definitiva della lite e dall'altro lato della maggiore 
effettivit� e completezza di tutela giurisdizionale assicurata dalla decisione di 
merito che rende inutile la tutela cautelare. 

Va notato che, se la disposizione consente di ritenere non necessaria una 
richiesta delle parti in ordine alla definizione immediata del giudizio rientrando 
questa nel potere officioso del giudice, � altrettanto vero che l'eventuale opposizione 
manifestata da tutte o alcuna delle parti, pur non potendo avere l'effetto giuridico 
di paralizzare il predetto potere del giudice, tuttavia impone allo stesso un 
obbligo di motivazione specifica sul punto (33). La decisione sul punto, come si � 
gi� ricordato e come affermato espressamente dalla Corte Costituzionale nella 
citata pronuncia, � oggetto di sindacato giurisdizionale nell'eventuale secondo 
grado di giudizio. 

Sotto il profilo della disciplina provvedimentale, il rito abbreviato si chiude con 
sentenza succintamente motivata (34). 

Ci� nell'ipotesi in cui si convenga sulla limitazione del richiamo dell'art. 26 
legge 1034, da parte del decimo comma dell'art. 21, nei soli commi riguardanti la 
decisione in forma semplificata. 

(32) Corte Cost. n. 249/1996, cit. 
(33) SANINO M., Il processo cautelare, cit. 275; DEPIERO R. La giustizia amministrativa, 
cit. 78. 
(34) Sul punto, MARIUZZO F., Decisioni informa semplificata e perenzione dei ricorsi ultradecennali, 
in AA.VV., La giustizia amministrativa, cit., 252 ss.; LAMBERTI A., Le decisioni in 
forma semplificata, in AA.VV., Verso il nuovo processo amministrativo, cit., 337 ss. 

PARTE Il, DOTTRINA 

17 

In tale caso e, nonostante la terminologia ondivaga e ambigua di �sentenza succintamente 
motivata� (quarto comma) o di �decisione in forma semplificata� (quinto 
e sesto comma; il termine ricorre anche per la decisione sul vaglio preliminare di 
fondatezza dell'istanza di regolamento di competenza), si tratta di un provvedimento 
avente forma (oltre che natura) di sentenza. 

Sul punto la scelta del legislatore � pi� coerente con la natura di provvedimento 
decisorio da riconoscere comunque alla decisione in questione: come si ricorder�, 
l'Adunanza Generale del Consiglio di Stato suggeriva la previsione di un'ordinanza 
conclusiva. 

Il che consente al legislatore, poi, di prevedere l'estensione alla sentenza in 
forma semplificata delle medesime forme di impugnazione previste per le sentenze. 

Il contenuto della sentenza in forma semplificata si raccoglie in una motivazione 
succinta perch� consistente in un sintetico riferimento ad punto di fatto e (la disgiuntiva 
del quarto comma non pu� che essere corretta in congiuntiva) in punto di 
diritto ritenuto risolutivo ovvero ad un precedente conforme. 

Si � gi� segnalato in dottrina (35) in proposito come sebbene succinta, la motivazione 
debba essere sufficiente, non potendosi ritenere tale una motivazione che 
espliciti comunque il completo esame della domanda. 

5. -f PROCEDIMENTI ABBREVIATI DI CUI ALL'ART. 4 LEGGE N. 205/2000. 
L'art. 4 della legge n. 205 introduce l'art. 23 bis alla legge n. 1034/1971, proponendo 
un modello di rito abbreviato diverso da quello contestualmente disciplinato 
in linea generale. 

Tale modello si connota come speciale, essendone limitata l'applicazione ad 
alcune tipologie di giudizi, individuati con riferimento al loro oggetto. 

V'� un ampliamento delle materie per le quali � previsto il rito speciale, anche 
se all'apparenza non tutte caratterizzate dalle stesse esigenze di celerit�: non pi� 
solo le controversie in materia di appalti di opere pubbliche e di espropriazione 
per pubblica utilit�, sede originaria del rito abbreviato (art. 19 d.l. n. 67/1997 e art. 
31 bis legge n. 109/1994 ), ma anche quelle aventi ad oggetto provvedimenti di 
aggiudicazione, affidamento ed esecuzione dei servizi pubblici e forniture, delle 
autorit� amministrative indipendenti nonch� quelle relative alle procedure di affidamento 
degli incarichi di progettazione, e cos� via secondo una elencazione da 
considerarsi tassativa. La disposizione, che nel complesso si presenta lacunosa (ad 
es. la dimidiazione dei termini viene eccettuata espressamente per la proposizione 
del ricorso, ma nulla viene detto circa il termine per il successivo deposito o per 
la proposizione del ricorso incidentale), viene qui ricordata quale esempio di rito 
accelerato fondato sulla procedimentalizzazione del rapporto tra fase (ed udienza) 
cautelare e fase (ed udienza) di merito. 

Tale procedimentalizzazione, tuttavia, riguarda la sola ipotesi in cui il ricorso ad 
un primo esame evidenzi l'illegittimit� dell'atto impugnato e la sussistenza di un 

(35) LAMBERTI A., Le decisioni informa semplificata, cit., 341. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAlU

18 

pregiudizio grave e irreparabile: in tal caso infatti � previsto che il giudice fissi la 
data della discussione nel merito del ricorso alla prima udienza successiva al termine 
di trenta giorni, potendo altres�, salvo il potere del giudice di disporre interinalmente 
in via cautelare �in caso di estrema gravit� ed urgenza�. 

La disposizione si presta a critiche ed a censure, anche sotto il profilo della 
legittimit� costituzionale per violazione del principio di uguaglianza, identificando 
il �pregiudizio grave e irreparabile�, elemento condizionante il provvedimento cautelare 
in via ordinaria, come requisito necessario per la fissazione ravvicinata del1 
'udienza di merito e condizionando invece al ben pi� gravoso requisito della� estrema 
gravit� ed urgenza� la concessione delle misure cautelari. 

La disposizione non disciplina inoltre l'ipotesi di reiezione dell'istanza cautelare, 
lasciando aperta la questione della possibile sopravvivenza dell'art. 31 bis legge 

n. 104/1994, che la legge n. 205 non ha espressamente abrogato. 
Pu� pertanto dirsi, con l'intento limitato di descrivere le tipologie di rito abbreviato, 
che la disposizione in esame disegna una procedura di compattamento �tendenziale
� tra la fase cautelare e quella di merito. 

6. -OSSERVAZIONI CONCLUSIVE. 
Da quanto precede, emerge che la concreta praticabilit� del ricorso alle descritte 
forme di procedimenti abbreviati � affidata certamente al giudice, quale organo 
deputato al corretto bilanciamento fra le esigenze di celerit� ed effettivit� della tutela 
giurisdizionale e quelle del diritto alla difesa, ma anche all'impostazione difensiva 
delle parti. 

Rispetto a queste, pu� dirsi che all'interesse all'applicazione del rito abbreviato 
risulter� strumentale un'anticipazione alla fase cautelare delle difese, dell'allegazione 
del materiale probatorio e delle istanze istruttorie. 

In particolare, risulter� determinante il ruolo della difesa dell'amministrazione 
resistente, sia nell'individuazione del materiale probatorio ed istruttorio, del quale ha 
certamente la maggiore disponibilit�, sia nell'immediata indicazione dei motivi di 
manifesta inammissibilit� o irricevibilit� o di fondatezza o infondatezza del ricorso. 

LAURA PAOLUCCI 


� 


PARTE II, DOTTRINA 

19 

Il T.A.R. del Lazio come giudice nazionale della concorrenza (1 ). 

1.-Il diritto antitrust in Italia. 2.-La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 
3. -La competenza esclusiva del Tar Lazio. 4. -Il ruolo del giudice nel 
processo di attuazione della normativa antitrust. 5. -Le principali questioni affrontate. 
6. -Le nuove prospettive dopo la legge 20512000. 

1. -Il diritto antitrust in Italia 
� trascorso poco pi� di un mese dalla celebrazione del decimo anniversario 
dell'entrata in vigore della legge 10 ottobre 1990, n.287 con cui � stata introdotta 
in Italia -con notevole ritardo rispetto agli altri paesi industrializzati -una organica 
disciplina antitrust affidata al controllo dell'Autorit� garante della concorrenza 
e del mercato e soggetta al sindacato giurisdizionale del Tar Lazio e del 
Consiglio di Stato. 

Com'� noto questa legge � stata approvata sotto la spinta del diritto comunitario 
ed ha rappresentato un fenomeno di forte cambiamento, non solo economico ma 
anche giuridico ed in definitiva �culturale�, in un paese come il nostro che era rimasto 
l'unico in Europa a non avere una legislazione antitrust e che anzi aveva ed ha 
ancora una legislazione nazionale incline a favorire alcune restrizioni della concorrenza 
in nome di altri interessi pubblici ritenuti prevalenti (che a volte, tuttavia, finiscono 
per coincidere con interessi corporativi); e ci� nonostante che le regole antitrust 
del Trattato di Roma siano sempre state direttamente applicabili in Italia. 

Per effetto di questa legge la libert� di concorrenza � diventata un principio 
generale anche nell'ordinamento italiano dove � stato espressamente introdotto �in 
attuazione dell'art.41 della Costituzione a tutela e garanzia del diritto di iniziativa 
economica�. 

L'art.I della legge 287 esordisce con queste parole accogliendo una interpretazione 
filoconcorrenziale dell'art.41 Cost. con una formulazione in cui si vuol dire 
che i divieti e limiti alla libert� di iniziativa economica vengono� introdotti per tutelare 
la libert� di tutti ma che in dottrina � stata accusata di �strabismo costituzionale
� sul presupposto che una disciplina rivolta a limitare l'esercizio di una libert� 
preesistente non possa essere posta a garanzia della libert� medesima bens� di altri 
valori che la sovrastano e che vanno identificati nella �utilit� sociale� di cui al 
secondo comma dell'art.41 Cost.( Oppo, 1993). 

La questione non � puramente nominalistica (art. 41, primo o secondo comma 
Cost.) perch� riguarda un aspetto di fondo: altro � considerare la concorrenza come 
un valore in s� (e quindi assoluto), la cui utilit� sociale consiste nel fatto di essere 
un limite interno alla libert� di iniziativa economica -intanto vi pu� essere libera 

(1) Relazione tenuta dall'avvocato Francesco Sclafani al Convegno organizzato dal 
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, con la collaborazione del Centro Italiano di 
Studi Amministrativi, sul tema: �La competenza del T.A.R. del Lazio estesa all'intero territorio 
nazionale: esperienze, bilancio e prospettive�, tenutosi a Roma il 23 novembre 2000. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

20 

iniziativa in quanto vi sia competitivit� sul mercato -altro � considerarla come un 
limite esterno alla suddetta libert� e quindi come un valore (relativo) da tutelare solo 
se ed in quanto nel caso concreto coincide con un sovrastante interesse di utilit� 
sociale. 

Comunque -quale che sia il suo fondamento costituzionale -il principio 
della tutela della concorrenza non solo � di derivazione comunitaria (e questa � gi� 
una base costituzionale) ma, per di pi�, si identifica nel �diritto comunitario vivente
� in quanto per espressa previsione legislativa l'interpretazione della legge 287 � 
� effettuata in base ai principi dell'ordinamento delle Comunit� europee in materia 
di disciplina della concorrenza� (art.I, quarto comma). Ed � evidente che questo 
rinvio interpretativo e vincolante al diritto comunitario d� alla legge antitrust una 
forza �dirompente�, non solo perch� � una legge che nasce con delle consolidate 
chiavi interpretative frutto di quarant'anni di esperienza europea, ma soprattutto perch� 
trapianta nell'ordinamento italiano una cultura comunitaria della concorrenza 
fatta di concetti e nozioni che superano le nostre tradizionali categorie del diritto 
civile e commerciale (si pensi, ad esempio, ai concetti di impresa e di intesa). 

Il compito di realizzare questo trapianto � stato affidato ali' Autorit� garante 
della concorrenza e del mercato mentre al TAR Lazio � stato riservato in via di giurisdizione 
e di competenza esclusive quello di controllare che esso avvenga nel 
rispetto della legge. � 

In questi primi dieci anni di attuazione della normativa antitrust l'Autorit� ha 
svolto un intenso lavoro di tutela della concorrenza �a tutto campo� intervenendo 
nei pi� vari e delicati settori della societ� civile attraverso la repressione sia della 
pubblicit� ingannevole che dei comportamenti anticoncorrenziali, il che ha indotto 
sia i giuristi che gli economisti ad affermare che l'efficacia della legge 287 si � rivelata 
nei fatti di gran lunga superiore alle aspettative, per certi versi cariche di scetticismo, 
che si avevano all'atto della sua approvazione. 

In tale compito l'Autorit� � stata accompagnata, possiamo dire di pari passo, dal 
TAR Lazio perch� molti dei suoi provvedimenti -se non la totalit� di quelli pi� 
importanti -sono stati puntualmente sottoposti al sindacato giurisdizionale il 
quale, sia per la novit� delle questioni che per la rilevanza economica delle liti e 
degli interessi coinvolti, � diventato ormai una costante nel processo di attuazione 
della normativa antitrust oltre ad essere -com'� noto -l'unico controllo a cui � 
sottoposta l'Autorit� garante della concorrenza e del mercato. 

2. -La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo 
L'attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva sui provvedimenti 
dell'Autorit� antitrust (e delle altre autorit� che operano nel diritto pubblico 
dell'economia) si inserisce ormai nella tendenza a ripartire la giurisdizione per 
blocchi di materie anzich� in ragione della situazione soggettiva tutelata e ci� � 
apparso particolarmente opportuno riguardo alla legge 287 stante la difficolt� di 
distinguere i diritti soggettivi dagli interessi legittimi in una materia cos� composita 
in cui si intrecciano valutazioni economiche, discrezionalit� tecnica, potest� sanzionatorie 
e diritto di impresa. 


PARTE Il, DOTTRINA 

Tuttavia, la tesi prevalente in dottrina e condivisa dal TAR Lazio (sent. StetItaltel 
652/1994) � che, in linea generale, non sembrano configurabili posizioni di 
diritto soggettivo delle imprese nei confronti dei provvedimenti dell'Autorit� 
(Malinconico, 1996; Libertini, 1993) il che renderebbe privo di significato pratico il 
riferimento alla giurisdizione esclusiva trattandosi in realt� di una competenza per 
materia su interessi legittimi (Clarich, 1993). 

Comunque, la scelta del giudice amministrativo come giudice dei provvedimenti 
antitrust, trova la sua ragion d'essere nel fatto che esso � il giudice naturale 
della funzione amministrativa e del pubblico interesse e che i provvedimenti 
dell'Autorit� sono atti soggettivamente ed oggettivamente amministrativi con cui si 
persegue il pubblico interesse ad un mercato concorrenziale. Tale soluzione � stata 
avversata da una parte della dottrina che, richiamando l'esperienza di altri ordinamenti 
europei (Germania, Belgio e Francia) ha ritenuto anomala la scelta del legislatore 
italiano (e spagnolo) di sottoporre i provvedimenti antitrust al sindacato di 
sola legittimit� del giudice amministrativo anzich� ad un pieno controllo anche di 
merito da parte del giudice ordinario (G. GHIDINI e V. FALCE, Giurisdizione antitrust: 
l'anomalia italiana, in Mercato concorrenza e regole, 1999, 317). 

Ma nel nostro ordinamento -in cui il sindacato di merito sugli atti amministrativi 
ha sempre pi� carattere recessivo e che appare ancor pi� incompatibile con 
lo status delle autorit� indipendenti -tale posizione appare in netta controtendenza 
soprattutto se la si confronta con alcune recenti iniziative legislative non andate 
a buon fine -e di dubbia compatibilit� con l'art.113, secondo comma Cost. -con 
cui ci si � mossi in senso diametralmente opposto tentando di circoscrivere ulteriormente 
il sindacato di legittimit� del giudice amministrativo sui provvedimenti delle 
autorit� amministrative indipendenti limitandolo ad alcune figure sintomatiche del1'
eccesso di potere (ci si riferisce al disegno di legge sulla giustizia amministrativa, 
divenuto legge n.205 del 2000, che nella sua originaria formulazione, all'art.5, limitava 
il controllo del giudice al �palese errore di apprezzamento� e alla �manifesta 
illogicit� del provvedimento�). 

L'esperienza di questi dieci anni ha dimostrato, invece, che la pienezza del sindacato 
sull'eccesso di potere, con tutte le sue figure sintomatiche affinate attraverso 
una prassi giurisprudenziale di oltre un secolo, appare ancora oggi strumento indispensabile 
-e al tempo stesso sufficiente -per individuare �il punto di giustizia� 
nel conflitto tra la libert� di impresa e l'interesse pubblico al rispetto della concorrenza, 
interesse che non a caso la legge ha riservato alla cura di un'autorit� indipendente 
(dove la parola �riservato� sta a sottolineare che il merito delle scelte anticoncorrenziali 
� oggetto di una riserva di potere dell'Autorit�, mentre la parola 
�indipendente� non significa che essa � irresponsabile ma solo che agisce in posizione 
di autonomia dal Governo senza nessuna esenzione, neppure parziale, dal sindacato 
giurisdizionale di legittimit�). 

Ci� vale ancor di pi� dopo l'entrata in vigore della legge 21 luglio 2000 n. 205 
che consentendo di giudicare l'interesse legittimo con l'ausilio della CTU, ha reso 
potenzialmente pi� incisivo il sindacato sull'eccesso di potere nell'ambito della discrezionalit� 
tecnica, che caratterizza in larga parte i provvedimenti antitrust, ottenendo 
cos� un risultato esattamente opposto a quello che si sarebbe voluto ottenere limitando 
il giudizio alle figure sintomatiche di errori palesi o di manifeste illogicit�. 

:7 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT(:i� 

3. -La competenza esclusiva del Tar Lazio 
L'art.33 della legge 287 dispone che i ricorsi avverso i provvedimenti 
dell'Autorit� �devono essere proposti davanti al TAR Lazio� il quale pertanto in 
questa materia esercita la sua competenza su tutto il territorio nazionale. Bench� la 
norma non la definisca espressamente come tale, si tratta di una vera e propria competenza 
funzionale inderogabile in quanto il legislatore si esprime in termini di 
doverosit� che non consentono di rimettere alle parti le scelta di un foro diverso (si 
veda Cons. Stato, VI, 1 febbraio 1993, n.132). 

La ragione di questa scelta va ricercata essenzialmente nell'esigenza di creare 
un giudice specializzato che in una materia cos� specialistica e di elevato tecnicismo 
possa maturare una specifica professionalit� e nel contempo garantire una uniformit� 
di orientamento giurisprudenziale sin dal primo grado di giudizio. 

Ci� comporta una deroga rispetto alle normali regole di competenza secondo 
le quali il Tar Lazio � competente per gli atti statali a meno che non abbiano 
un'efficacia limitata nel territorio di competenza di un altro Tar. Infatti i provvedimenti 
dell'Autorit� rientrano senz'altro tra gli atti statali (in quanto essa �non 
� un ente munito di personalit� giuridica, distinto dallo Stato�, Cons. Stato, 25 
novembre 1994, n.1716) ma in teoria potrebbero riguardare un comportamento 
anticoncorrenziale di rilevanza territoriale circoscritta nell'ambito di una regione 
e quindi appartenere -secondo le regole generali -alla competenza di qualunque 
Tar. 

Occorre per� osservare che generalmente le' condotte rilevanti per il diritto antitrust 
sono destinate a produrre i loro effetti in un ambito ultraregionale dato che gli 
artt. 2 e 3 della legge 287, nel definire le intese vietate ed i casi di abuso di posizione 
dominante, fanno espresso riferimento al mercato nazionale o ad una sua �parte 
rilevante�. 

Non � questo l'unico caso di competenza nazionale del TAR Lazio nel campo 
del diritto pubblico dell'economia in quanto sette anni dopo la legge 287 il legislatore, 
nell'istituire l'Autorit� per le garanzie nelle comunicazioni, ha confermato la 
scelta sia della giurisdizione che della competenza esclusive del giudice amministrativo 
romano e lo ha fatto con una norma in cui si dice testualmente che la competenza 
di primo grado sui ricorsi avverso i provvedimenti di tale Autorit� Ǐ attribuita 
in via esclusiva ed inderogabile al TAR Lazio� (art. 1, comma 26 legge 31 
luglio 1997, n.249). 

Infine non va dimenticato che anche la legge istitutiva delle autorit� di regolazione 
dei servizi di pubblica utilit� prevede che i ricorsi avverso i provvedimenti di 
tali autorit� �rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e 
sono proposti avanti il TAR ove ha sede l'Autorit�� (art. 2, comma 25, legge 14 
novembre 1995, n.481). 

Tutto ci� appare indicativo della tendenza del legislatore ad individuare nelle 
materie economiche un unico giudice amministrativo specializzato. 

L'esperienza di questo primo decennio di diritto nazionale della concorrenza 
ci induce ad affermare senz'altro che la scelta di concentrare il sindacato giurisdizionale 
presso un unico foro amministrativo si � rivelata opportuna per due 
ragioni: 1) perch� consente al Giudice di affrontare a tutto campo le complesse 


PARTE Il, DOTTRINA 

problematiche di applicazione della legislazione antitrust approfondendo progressivamente, 
e con una visione di insieme, la comprensione di concetti ed istituti 
nuovi per la nostra tradizione giuridica; 2) perch� d� all'Autorit� ed alle 
imprese un unico punto di riferimento sin dal primo grado di giudizio e quindi la 
possibilit� di contare da subito su precedenti giurisprudenziali univoci a cui uniformare 
i propri provvedimenti e comportamenti, il che ha dato luogo ad una dialettica 
Giudice -Autorit� rivelatasi proficua nella messa a fuoco delle regole 
della concorrenza. 

L'esperienza di questo primo decennio ci induce inoltre a non condividere l'idea 
di sottrarre tali controversie al doppio grado di giudizio (si veda il Documento 
conclusivo dell'indagine conoscitiva sulle autorit� amministrative indipendenti 
svolta dalla Camera dei Deputati, pubblicato il 4 aprile 2000). Infatti, a parte il 
rispetto dell' art. 125, secondo comma Cost., la rilevanza e la complessit� delle questioni 
coinvolte nei provvedimenti antitrust rendono quanto mai opportuno mantenere 
proprio in questa materia la consueta duplice verifica giurisdizionale la quale, 
peraltro, dopo la recente legge 205/2000, potr� esaurirsi in tempi estremamente 
ragionevoli. 

4. -Il ruolo del giudice nel processo di attuazione della normativa antitrust 
Fino ad oggi il TAR Lazio ha emesso 79 sentenze sui provvedimenti dell' Autorit� 
ed innumerevoli pronunce cautelari (queste ultime quasi sempre con motivazione 
specifica) dalle quali emergono alcune linee di tendenza che hanno caratterizzato 
questo primo decennio di giurisprudenza. 

La prima � quella di ritenere che l'interesse affidato alla tutela dell'Autorit� sia 
di carattere generale perch� coinvolge tutti i cittadini -o come operatori economici 
o come consumatori -e corrisponda ad una scelta di fondo, di tipo liberista, 
rispetto alla quale la posizione dei singoli che abbiano posto in essere strumenti contrattuali 
ed organizzativi incisivi della libert� di concorrenza ha carattere recessivo 
ed � garantita dalla legge soltanto in quanto corrispondente al suddetto fine di interesse 
generale e quindi con la nota tecnica dell'interesse legittimo (sent. Stet ltaltel, 
652/94). 

Pertanto il sindacato sui provvedimenti antitrust � stato sin dall'inizio esercitato 
attraverso un ordinario giudizio di legittimit� di carattere demolitorio dell'atto 
impugnato, con tutte le conseguenze che questo comporta riguardo ai poteri del 
giudice ed alle norme processuali applicabili, il che appare coerente con quel consolidato 
orientamento giurisprudenziale secondo il quale nelle materie di giurisdizione 
esclusiva non viene meno la distinzione ex art. 103 Cast. tra diritto soggettivo 
ed interesse legittimo a seconda della natura paritaria od autoritativa del 
rapporto (e non v'� dubbio che i poteri attribuiti all'Autorit� abbiano carattere 
autoritativo). 

Il sindacato giurisdizionale ha pertanto avuto ad oggetto l'atto ed il relativo 
procedimento piuttosto che direttamente la fattispecie portata all'esame 
dell'Autorit� (il comportamento restrittivo della concorrenza o il messaggio pubblicitario 
ritenuto ingannevole) fatta eccezione per l'ammontare delle sanzioni 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO' 

24 

dove il TAR ha esercitato un potere riduttivo (a volte anche in sede cautelare) analogo 
a quello riconosciuto al giudice ordinario dalla legge 689/81 (sent. Procal, 
1157/93) e per tre decisioni in cui � stato ritenuto ammissibile un ricorso di mero 
accertamento circa l'inapplicabilit� della legge 287 ad alcune associazioni di 
imprese (sent. ANIA, 1549/93; sentt. Consorzio Prosciutto S. Daniele e di Parma, 
6606/2000 e 6614/2000). 

La seconda linea di tendenza consiste nell'aver ritenuto che il procedimento 
prima ed il processo dopo (sia in materia di concorrenza che di pubblicit� ingannevole) 
sono preordinati ad una tutela oggettiva del libero mercato e non alla garanzia 
di posizioni individuali dei relativi operatori economici. Pertanto le uniche posizioni 
a confronto sono, da un lato, quella dell'Autorit� che esercita un potere repressivo 
e, dall'altro, quella dell'impresa che lo subisce e ne contesta il legittimo esercizio. 
Tra di esse non v'� spazio per un altro interesse privato come quello di un altro 
operatore del mercato (sia esso consumatore o concorrente) il quale intenda rimuovere 
l'altrui comportamento anticoncorrenziale. Costui, anche quando � denunciante, 
non assume la veste di controinteressato rispetto all'impugnazione del provvedimento 
dell'Autorit� effettuata dall'impresa sanzionata e a sua volta non pu� 
assumere quella di ricorrente avverso un provvedimento di non luogo a procedere in 
quanto egli � titolare di un interesse di mero fatto alla tutela del libero mercato e l 'unica 
esigenza che pu� far valere riguarda l'interesse a che l'Autorit� prenda in 
esame e si pronunci sulla sua segnalazione ma non anche che si pronunci in senso 
conforme alle sue aspettative (sentt. Assicurazione rischi di massa 1474/1995; Ema 
1725/1998; Codacons 1966/1998). 

Questo orientamento del TAR Lazio, ormai consolidato, � conforme alla giurisprudenza 
nazionale relativa all'esercizio del potere repressivo e sanzionatorio in 
altri settori dell'ordinamento ed � stato condiviso anche dal Consiglio di Stato (sent. 
Sez. VI, 1792/1996). 

La terza linea di tendenza � stata quella di favorire l'armonizzazione della legge 
287 con il diritto comunitario della concorrenza interpretando le norme nazionali in 
modo da assicurare l'uniforme applicazione della disciplina antitrust nel mercato 
unico (cos� come prescritto dall'art.I, quarto comma della legge 287) attraverso un 
costante riferimento non solo alle regole europee in materia di concorrenza ma 
anche alle pronunce della Commissione e della Corte di Giustizia che di queste 
regole hanno fatto applicazione per quarant'anni. 

Il carattere prevalentemente giurisprudenziale del diritto comunitario ha reso 
necessaria una attenta considerazione del precedente secondo l'approccio tipico 
dei sistemi di common law ma questo non ha comportato una ricezione acritica 
bens� una condivisione ragionata dei principi elaborati dalla giurisprudenza 
comunitaria anche quando si � trattato di applicare categorie estranee alla nostra 
tradizione giuridica. 

L'assenza di una tradizione antitrust nell'ordinamento italiano non ha impedito, 
fino ad oggi, alla nostra giurisprudenza di recepire la cultura comunitaria della 
concorrenza senza sostanziali esitazioni n� compromessi all'italiana e questo � 
stato un fattore di importanza decisiva nel processo di attuazione del diritto antitrust 
a tutto vantaggio sia della certezza del diritto che del processo di integrazione 
europea. 


PARTE Il, DOTTRINA 

25 

5. -Le principali questioni affrontate 
Le questioni esaminate dal Tar Lazio in questi primi dieci anni di applicazione 
della legge 287 sono state molte e tutte di estremo interesse. Appare utile passarne 
in rassegna le pi� importanti senza alcuna pretesa di completezza. 

a) Una delle prime questioni affrontate � stata quella dell'ambito oggettivo di 
applicazione della legge 287 sotto il profilo del rapporto tra il sistema comunitario 
e quello nazionale di tutela della concorrenza e quindi tra la competenza 
dell'Autorit� e quella della Commissione Europea dove, com'� noto, il nostro legislatore 
ha accolto il c.d. criterio della barriera unica disponendo che la legge 287 si 
applica alle fattispecie che non ricadono nell'ambito di applicazione delle norme 
comunitarie (art.I, primo comma). 

Sul punto la giurisprudenza del Tar Lazio � ormai consolidata nel ritenere che 
la suddetta preminenza della competenza comunitaria non vuol dire che di fronte a 
fattispecie che comportano un ipotetico pregiudizio al commercio tra gli stati membri 
l'Autorit� nazionale sia, per ci� solo, incompetente in quanto la suddetta norma 
prevede che essa possa rendersi comunque attiva in mancanza di analoghe formali 
iniziative assunte in sede comunitaria e che rimanga pur sempre competente sulle 
implicazioni circoscritte all'interno del mercato nazionale (sentt. Ania I549/93 e 
605196; Italcementi I576/96; Sip I I40/97; Figurine Panini 96/98). 

Tale orientamento ha dalla sua parte due argomenti: I) nell'epoca della globalizzazione 
� raro trovare fattispecie restrittive della concorrenza in cui si possa 
escludere a priori un ipotetico pregiudizio al commercio tra gli stati membri; 2) 
l'applicazione decentrata del diritto antitrust in Europa non rischia di comprometterne 
l'uniforme interpretazione che � gi� garantita a monte dall'art. I, quarto 
comma. 

b) Per quanto concerne l'ambito soggettivo di applicazione della legge 287 i 
giudici hanno riconosciuto la specificit� della nozione di impresa (e di associazione 
di imprese) nel diritto antitrust la quale, a differenza della corrispondente categoria 
civilistica, comprende qualunque soggetto che svolga una attivit� economica 
e che quindi sia attivo su un determinato mercato (sentt. Amministratori di 
Condominio 476/96; Ania 605/96), pertanto in tale nozione rientrano anche coloro 
che esercitano le professioni intellettuali, bench� nel nostro ordinamento siano soggette 
ad una disciplina diversa. Ci� in quanto il valore giuridico della libera concorrenza 
deve essere garantito �in tutti gli ambiti nei quali si realizzi la prestazione di 
beni o servizi dietro corresponsione di un corrispettivo in regime di libero mercato� 
(sent. Ragionieri e Commercialisti 466/2000). 

c) Analogamente � stata accolta una nozione di intesa restrittiva che ricomprende 
qualsiasi convergenza di volont� diretta a coordinare i comportamenti delle 
imprese, non importa se manifestata in modo del tutto informale senza una veste 
negoziale o comunque un atto giuridicamente valido, anche attraverso soggetti privi 
di poteri rappresentativi dell'impresa oppure tacitamente per atti concludenti (sentt. 
ANIA I549/1993; Amministratori di condominio 476/1996; Assicurazione rischi di 
massa I474/95; ANIA 605/I996; in senso contrario Cons. Stato Assicurazione rischi 
di massa I 792/1996). 

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RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

26 

d) Il Tar ha poi costantemente rilevato che per ravvisare un'intesa anticoncorrenziale 
non � necessario individuare i concreti effetti restrittivi prodotti sul mercato 
essendo sufficiente l'accertamento di un oggetto anticoncorrenziale, anche se 
non portato ad effettiva attuazione, in quanto i due requisiti sono richiesti in via 
alternativa dall'art.2, secondo comma legge 287 (sentt. Procal 1157/1993; ANIA 
1549/1993; Ass. Librai 25111994; Assicurazione rischi di massa 1474/1995; ANIA 
605/1996; Raffinerie di Roma 425/1997). 

Tale principio � stato affermato non solo per gli accordi ma anche per le pratiche 
concordate dove la prova �pu� ritenersi correttamente acquisita anche quando 
non emergano riscontri diretti della sussistenza di concreti elementi intenzionali 
proiettati a falsare il mercato� perch� quel che conta � l'esistenza di indizi gravi 
precisi e concordanti della deviazione da una fisiologica condizione del mercato, 
quale effetto di una concertazione che si dimostri essere l'unica causa efficiente di 
tale deviazione (sent. Vendomusica 873/1999; si veda anche la sent. Caldaie murali 
a gas 1541/2000). 

e) Altra questione di grande rilevanza, � quella della �copertura normativa� 

ovvero della sanzionabilit� di intese anticoncorrenziali che trovano legittimazione in 
norme nazionali. 
In un ordinamento come il nostro, che � arrivato in ritardo alla cultura della concorrenza, 
non mancano i casi di situazioni distorsive derivanti da atti normativi. 
Nell'affrontare tali situazioni il Tar ha escluso che l'Autorit� abbia il potere di reprimere 
condotte anticoncorrenziali poste in essere nell'ambito della partecipazione a 
procedimenti di determinazione di tariffe professionali, previsti dalla legge, ed ha 
affermato che in questi casi �la contestazione dei pretesi comportamenti distorsivi 
pu� essere realizzata solo nelle forme consentite dal!' ordinamento, ossia sollecitando 
l'esercizio dei poteri che possono legittimamente incidere sul provvedimento 
amministrativo, ossia la stessa pubblica amministrazione e le diverse giurisdizioni 
competenti� (sent. Ragionieri e Commercialisti 466/2000). 
Inoltre in un'epoca di vaste liberalizzazioni, come quella che stiamo attraversando, 
si � manifestata la tendenza delle imprese a conservare condotte anticoncorrenziali 
nell'ambito di meccanismi di determinazione del prezzo o di prassi commerciali 
che erano legittime in epoca di prezzi amministrati ma che non lo sono pi� 
in un libero mercato. Ed in tali fattispecie il mutato quadro normativo � stato a volte 
invocato per giustificare la buona fede delle imprese. 
Sul punto il giudizio � evidentemente condizionato dalla particolarit� del singolo 
caso ma la giurisprudenza del Tar sembra essere incline ad escludere la rilevanza 
della buona fede o del legittimo affidamento (sent. TIM -OPI 4504/2000). 
j) Sull'analisi economica compiuta dall'Autorit� non si pu� dire che il sindacato 
del Tar non sia stato penetrante; tant'� che in dottrina si � parlato di �una efficienza 
di analisi superiore a quella dei giudici ordinari� (Ferrari 1999). 
Esso si � svolto attraverso una puntuale verifica degli elementi acquisiti nel 
corso del procedimento ed ha condotto i giudici a censurare pi� di una volta l'individuazione 
del mercato rilevante in quanto non adeguatamente motivata in relazione 
ai dati emersi nell'istruttoria (sentt. Italtel-Mistel 652/1994 ed Italcementi 
1576/1996). lf.~ 
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PARTE II, DOTTRINA 

In proposito il Consiglio di Stato ha avuto modo di puntualizzare che l'individuazione 
del mercato rilevante compiuta dall'Autorit� pu� essere censurata solo 
sotto il profilo della congruit� e logicit� della motivazione, nonch� della completezza 
dell'istruttoria �non potendo il giudice amministrativo sostituire proprie valutazioni 
a quelle riservate all'Autorit�� (sent. Italcementi 1348/2000). 

g) Riguardo al procedimento la giurisprudenza del Tar si � attestata su posizioni 
non formalistiche bens� di tutela sostanziale degli interessi delle parti mostrandosi 
particolarmente attenta nel censurare le violazioni idonee a ledere il diritto di 
difesa, ad esempio per la mancata verbalizzazione di una audizione (sent. Produttori 
vetro cavo 2665/1997), oppure per la mancata notifica tempestiva della comunicazione 
di avvio del procedimento a tutte le imprese partecipanti all'intesa (sent. 
Sacci-Cementir 1473/1995). 

Inoltre vi sono state numerose pronunce in materia di accesso ai documenti 
nelle quali si � affermato che la disciplina speciale contenuta nella legge 287 e nel 
relativo regolamento sui procedimenti istruttori prevale sulla disciplina generale di 
cui alla legge 241/1990, tanto pi� dopo la modifica dell'art. 23 legge 241/1990 
(sentt. Semarpo 1547/1996; Vendomusica 873/1999; Agnesi 2281/2000). Pertanto � 
stato espressamente riconosciuto all'Autorit� il potere di compiere un bilanciamento 
tra i due interessi contrapposti che spesso si fronteggiano dinanzi ad essa: da un 
lato il diritto di difesa dell'impresa che vuole accedere agli atti del procedimento 
aperto nei suoi confronti, dall'altro, il diritto alla riservatezza di altre imprese che 
hanno interesse a che non siano divulgate informazioni commerciali o industriali 
che le riguardano (sent. Vendomusica 873/1999). 

Inoltre � stato affermato che mentre nella fase preistruttoria conclusa con una 
archiviazione � esercitabile il diritto di accesso ai sensi della legge 241/90 (sent. 
Semarpo 1547/1996) tale diritto non pu� essere esercitato nell'ambito delle indagini 
conoscitive in quanto l'attivit� ivi svolta dall'Autorit� non ha carattere amministrativo 
essendo preordinata anche ad eventuali iniziative di segnalazione al Parlamento 
ed al Governo (sent. Unione Naz. Giovani Dottori Commercialisti 1548/1996). 

Tuttavia in una recente sentenza il Tar, pur confermando questo orientamento, 
ha precisato che l'esercizio del diritto di accesso � ammesso nei confronti dei documenti 
appartenenti all'indagine conoscitiva che risultino indicati nella delibera di 
apertura dell'istruttoria quale suo presupposto o nei documenti a loro volta richiamati 
dai primi, oppure di documenti che, per quanto non confluiti in tal modo nel1 
'istruttoria, siano comunque tali da chiarire la posizione delle parti interessate all'istruttoria 
stessa (sent. Medusa Film 7088/2000). 

6. -Le nuove prospettive dopo la legge 20512000 
La recente legge 205/2000 ha introdotto significative novit� nel processo amministrativo 
al fine di: 

1) dare al giudice amministrativo gli strumenti processuali per una effettiva 
tutela sia degli interessi legittimi (anche pretesivi) che dei diritti soggettivi, ora che 
la giurisdizione esclusiva non � pi� un'eccezione; 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e

28 

2) ridurre i tempi del processo senza troppa spesa e senza stravolgimenti di 
organici e del sistema processuale; 

3) dare al giudice amministrativo la giurisdizione sul risarcimento del danno 
per lesione degli interessi legittimi. 

Il primo obiettivo (l'effettivit� della tutela) � stato perseguito attraverso: a) l'attribuzione 
al giudice amministrativo di un potere cautelare analogo a quello del giudice 
ordinario; b) l'ormai inevitabile estensione a tutta la giurisdizione esclusiva dei 
mezzi istruttori del processo civile (che com'� noto era stata gi� introdotta solo per 
alcune materie dal d. 1.vo 80/1998); c) l'introduzione della CTU in tutte le materie 
devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo. 

Sulla tutela cautelare nei giudizi in materia antitrust (per quel poco che ne rimane) 
appare interessante la novit� della sospensiva del provvedimento sanzionatorio 
subordinata alla prestazione di una fideiussione. Si tratta di uno strumento che era 
stato gi� invocato pi� volte dalle imprese prima della nuova legge -ma mai concesso 
dal Tar -e che potr� rivelarsi utile nei casi in cui, ricorrendo gli straordinari 
presupposti per l'accoglimento dell'istanza cautelare previsti dalla novella, l'impresa 
non offra adeguate garanzie di solvibilit�. 

Per quanto concerne i nuovi poteri istruttori nella giurisdizione esclusiva la 
legge 205/2000 lascia aperto il problema del se i mezzi di prova del processo 
civile possono essere utilizzati solo nelle controversie sui diritti soggettivi o 
anche in quelle su interessi legittimi. E questo � un problema che coinvolge in 
pieno il processo sui provvedimenti antitrust il quale, secondo l'attuale giurisprudenza 
del Tar e la prevalente dottrina, ha ad oggetto interessi legittimi e non 
diritti soggettivi. 

Certo non � limitando gli strumenti di conoscenza del fatto da parte del giudice 
amministrativo che si salvaguarda la riserva di potere dell'Autorit�. Tuttavia non va 
dimenticato che nel sindacato sull'interesse legittimo la cognizione del fatto � pur 
sempre mediata dal procedimento dove la vicenda portata all'esame dell'Autorit� � 
gi� stata oggetto di istruttoria nel contraddittorio delle parti (quindi non sembrerebbe 
esservi spazio, ad esempio, per la prova testimoniale). 

Comunque, allo stato attuale del nostro diritto positivo non sembra che si possa 
arrivare ad estendere i mezzi istruttori del processo civile anche alle controversie 
devolute alla giurisdizione esclusiva ma aventi ad oggetto interessi legittimi, colmando 
in via interpretativa una mancata previsione della recente novella. E ci� per 
due ragioni. 

In primo luogo perch� secondo la prevalente giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. 
V, 19.3.1999, n. 284; Sez. IV, 17:2.1997, n. 113; Sez. IV, 22.10.1993, n. 917; Sez. V, 
6.7.1992, n. 611; Sez. V, 6.10.1990, n. 711 e da ultimo T.A.R. Emilia Romagna, 
2.2.2000, n. 861) nelle materie di giurisdizione esclusiva non viene meno la distinzione 
ex art. 103 Cost. tra diritto soggettivo ed interesse legittimo riguardo ai poteri 
che il giudice amministrativo pu� esercitare in relazione alla natura paritaria o 
autoritativa del rapporto su cui � chiamato a giudicare. Ed � per questo che in questi 
dieci anni di processo antitrust il Tar Lazio ha applicato le regole proprie del giudizio 
di legittimit� (sent. 652/1994) 

-



PARTE Il, DOTTRINA 

In secondo luogo perch� anche a voler superare questo orientamento giurisprudenziale 
-ammettendo a tutto campo l'istruttoria civile nella giurisdizione esclusiva 
-si avrebbe l'assurda conseguenza che per gli interessi legittimi rientranti 
nelle materie di giurisdizione esclusiva sarebbero ammessi tutti i mezzi di prova del 
processo civile mentre la stessa regola non varrebbe per quelli appartenenti alla giurisdizione 
generale di legittimit�. 

Per quanto riguarda la CTU, invece, non c'� dubbio che ai sensi della legge 
20512000 essa sia applicabile anche nel sindacato sull'interesse legittimo ma non 
mancano i problemi sull'effettivo uso che dovr� essere fatto di tale strumento di 
indagine. 

Prima dell'entrata in vigore della legge 205/2000 il Consiglio di Stato (con ord. 
17 aprile 2000 n.2292) ha sollevato la questione di costituzionalit� della mancata previsione 
della CTU nel processo amministrativo di legittimit� e lo ha fatto con una 
approfondita motivazione in cui, oltre a dimostrare l'utilit� della perizia nel sindacato 
sulla discrezionalit� tecnica, vengono dettate le prime �istruzioni per l'uso� di questo 
nuovo strumento di conoscenza del fatto da parte del giudice amministrativo. 

In questa ordinanza, mentre da un lato si sottolinea che la discrezionalit� tecnica 
� altra cosa dal merito amministrativo (in quanto un giudizio tecnico scorretto 
non � equiparabile ad una opinabile valutazione di opportunit�), dall'altro non si pu� 
fare a meno di ammettere che in alcuni casi il giudizio tecnico demandato ad una 
pubblica amministrazione -ed ancor di pi� ad un'autorit� indipendente -pu� 
coinvolgere anche scelte di merito qualora si basi sulle risultanze di discipline che 
non sono suscettibili di un apprezzamento neutrale. 

Pertanto, considerato che l'analisi economica non rientra nel novero delle c.d. 
scienze esatte, non sar� affatto facile stabilire la linea di confine tra ci� che appartiene 
al giudizio tecnico e ci� che appartiene alle opinabili ma insindacabili scelte di 
merito demandate all'Autorit� nella valutazione dei comportamenti anticoncorrenziali. 
Spesso si tratta di valutazioni complesse che non appartengono a due momenti 
autonomi e distinti in quanto si intrecciano l'una con l'altra fino a confondersi in 
un 'unica scelta rispetto alla quale non � sempre possibile distinguere ci� che � tecnicamente 
o scientificamente scorretto (e quindi illegittimo) da ci� che invece � opinabile 
(e quindi insindacabile). 

Il rischio � che nell'individuazione di questa linea di confine, che segna il limite 
del sindacato di legittimit�, il giudice finisca per essere troppo condizionato dal 
consulente tecnico d'ufficio il quale, essendo depositario delle regole che disciplinano 
la scienza applicata al caso di specie, potrebbe non resistere alla tentazione di 
esprimere il suo giudizio tecnico anche su ci� che � opinabile bench� scientificamente 
corretto. 

Il secondo obiettivo (la celerit� del processo) viene perseguito dalla nuova 
legge con il sistema dei riti speciali. 

Il nuovo art.23 bis I. Tar prevede un processo speciale per alcune controversie 
tra cui quelle relative ai �provvedimenti adottati dalle autorit� amministrative indipendenti
� e con questa espressione il legislatore ha ormai risolto ogni eventuale 
dubbio sul carattere amministrativo delle autorit� indipendenti e sulla loro conseguente 
soggezione al sindacato giurisdizionale, alla stessa stregua di tutte le altre 
amministrazioni pubbliche. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Tale rito speciale scoraggia la tutela cautelare -per la quale ora � necessario 
un consistente fumus boni iuris (�ragionevole probabilit� sul buon esito del ricorso
�) ed un altrettanto consistente periculum in mora (�in caso di estrema gravit� ed 
urgenza�) -a vantaggio della fissazione di un merito a breve. Quindi non dovremmo 
pi� avere quella prevalenza numerica di ordinanze cautelari rispetto alle sentenze 
che si � registrata in questo primo decennio in quanto le questioni verranno direttamente 
approfondite in sede di merito, il che comporter� una pi� rapida formazione 

del giudicato a tutto vantaggio di quella certezza del diritto di cui il mercato ha bisogno 
in tempi estremamente brevi. 

Tuttavia, come in tutte le novit�, anche in questo nuovo rito speciale non mancano 
gli inconvenienti tra i quali merita di essere segnalata ad esempio l'ingiustificata 
riduzione a met� di tutti i termini processuali, ivi compresi quelli per il deposito 
dei documenti e delle memorie prima dell'udienza, riduzione questa che costringer� 
giudici ed avvocati a leggere a volte migliaia di pagine in pochissimi giorni senza 
minimamente favorire una pi� rapida conclusione del processo. 

Con il terzo obiettivo della legge (dare al giudice amministrativo la tutela risar


I 

citoria dell'interesse legittimo) la giurisdizione e la competenza esclusive del Tar ili 
Lazio in materia di concorrenza sono state estese anche alle controversie relative al 

I� 
risarcimento del danno derivante dai provvedimenti dell'Autorit� (stante la svolta 
della nota sent. Cass. 500/1999). ID 

Qui la scelta del Parlamento non pu� che essere condivisa, non solo perch� evita 

I ~il 
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al danneggiato l'onere di doversi rivolgere a due giudici diversi (quello amministra


f

tivo che con l'annullamento dell'atto rimuova la causa del danno e quello civile che 
lo risarcisca) ma anche e soprattutto perch� l'esperienza maturata e la sensibilit� affinata 
dal giudice amministrativo nel giudicare l'interesse legittimo costituiscono un 
patrimonio irrinunciabile in tutti i giudizi in cui si discute di tale situazione soggetti, 


.

va, sia che si tratti di tutelarla attraverso l'annullamento del provvedimento illegittimo 
sia che si tratti di risarcirne la lesione. ,

I

l 
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.

Tuttavia non mancheranno i problemi che appaiono essenzialmente derivanti 
dalla coesistenza di due diversi sistemi di tutela risarcitoria: da un lato quello dinan, 
, 
zi al giudice ordinario articolato in tre gradi di giudizio attraverso un processo dispositivo 
puro qual'� il processo civile; dall'altro quello dinanzi al giudice ammini


I

strativo articolato in due soli gradi di giudizio attraverso un processo dispositivo con 

I ~ 

metodo acquisitivo qual � il processo amministrativo. 

Inoltre, posto che l'illecito della p.a. per lesione di un interesse legittimo � pur 
sempre riconducibile all'art.2043 cod. civ., l'uniforme interpretazione ed applicazione 
di tale norma dovr� essere garantita dalla Corte di Cassazione, da un lato, e 
'

I

dal Consiglio di Stato, dall'altro, il che render� necessario un qualche coordina


~ 

mento tra i due giudici supremi nei rispettivi ambiti di giurisdizione. 

1~~

Infine non c'� dubbio che, tra le nuove aree della responsabilit� civile, quella 

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relativa al risarcimento della lesione dell'interesse legittimo presenti aspetti di 
notevole complessit� e costituisca una delle sfide pi� impegnative in cui il giudice 1:1 
amministrativo sar� chiamato a cimentarsi. Ed il Tar Lazio avr� in particolare il 
delicato compito di giudicare la responsabilit� di diverse autorit� amministrative 
indipendenti. 

~ 

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~ 


PARTE Il, DOTTRINA 

Non � certo questa la sede per affrontare un tema cos� complesso e ancora 
tutto da approfondire ma � appena il caso di ricordare che l'Autorit� garante della 
concorrenza e del mercato svolge le sue funzioni in posizione di neutralit� attraverso 
un procedimento contenzioso che nella sostanza ha tutte le caratteristiche di 
un vero e proprio processo e si conclude con decisioni che sono atti amministrativi 
a tutti gli effetti ma hanno il contenuto di giudizi emessi da un organo che non 
� certamente un giudice ma applica una logica che si avvicina molto al sillogismo 
giudiziario. 

Quindi nell'individuare i criteri di valutazione di tale responsabilit� non si potr� 
fare a meno di considerare le difficolt� che incontra chi � istituzionalmente chiamato 
ad esprimere giudizi. 

FRANCESCO SCLAFANI 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

32 

La natura giuridica dell'Ente Scuola in relazione al patrocinio dell'Avvocatura 
dello Stato. 

Rilevante � la questione concernente la natura giuridica delle scuole, cui � stata 
conferita la personalit� giuridica e l'autonomia, ai sensi dell'art. 21 della legge 59/97. 

Sembra, infatti, che dalla definizione ontologica delle medesime derivino 
importanti conseguenze sia sul piano sostanziale (rapporto con lo Stato), che su 
quello processuale (legittimazione attiva e passiva nei giudizi e patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato). 

Dottrina e giurisprudenza non hanno a tutt'oggi approfondito in modo significativo 
tali aspetti, inerenti, peraltro, ad una materia -quella scolastica -che non 
� stata particolarmente oggetto di studio sistematico su basi dogmatiche. 

Tenuto conto delle considerazioni dottrinali e giurisprudenziali, formatesi anteriormente 
alla riforma scolastica, si proceder� -pertanto -secondo un'impostazione 
di carattere logico, in base a principi di carattere generale. 

A) La natura giuridica delle Scuole anteriormente alla legge delega 59197. 

Come � noto, anteriormente alla recente riforma scolastica, le Scuole potevano 
essere divise in due categorie: quelle con personalit� giuridica (Istituti di istruzione 
tecnica, professionale ed artistica, convitti), e quelle dotate di una certa autonomia 
amministrativa, ad esse riconosciuta dai c.d. �decreti delegati sulla scuola� ( d.P.R. 
416 del 1974 in attuazione dei principi contenuti nella legge delega 477/1973). 

In relazione alle scuole dotate di autonomia amministrativa, si sono evidenziati 
(1) i seguenti aspetti, che si ritiene opportuno riportare: 

1. -Gli istituti scolastici vanno annoverati tra gli organi dello Stato: ne consegue 
che l'attivit� da essi espletata per mezzo delle persone fisiche che vi operano va 
imputata direttamente allo Stato, costituisce cio� attivit� statuale (2). 
2. -Tuttavia, essendo agli stessi riconosciuta l'autonomia amministrativa-da 
gestirsi tramite organi di natura collegiale -, gli istituti realizzano il principio 
organizzatorio del decentramento funzionale, e sono sottratti al vincolo di subordinazione 
gerarchica nei confronti dell'apparato burocratico (3). 
(1) C. GATTI, S. ZAMBARDI, Autonomia amministrativa e gestione finanziaria delle scuole, 
Jovene, 1976, 31 e segg. 
(2) Il direttore didattico ed il Preside sono al tempo stesso organi di primo grado dello Stato, 
allorch� esplicano attivit� direttamente riferibili a questo, e organi della istituzione scolastica 
(cio� organi statali di secondo grado), quando l'attivit� posta in essere � imputabile all'istituzione 
e solo mediatamente allo Stato. Mentre nel primo caso gli organi considerati, in quanto espressione 
del decentramento burocratico, sono vincolati all'osservanza del principio gerarchico, non 
altrettanto avviene allorch� operano come organi delle istituzioni autonome, che rappresentano 
invece un'ipotesi di decentramento funzionale, cui � estraneo qualsiasi vincolo di subordinazione 
gerarchica. 
(3) In tal senso si era espresso anche il Consiglio di Stato, con parere 1114 del 1983, ripreso 
nella c.m. 12 febbraio 1985 n. 60. 

PARTE Il, DOTTRINA 

33 

3. -Le istituzioni scolastiche sfuggono quindi al rapporto gerarchico che caratterizza 
l'apparato burocratico: i Provveditori, infatti, agiscono non come superiori 
gerarchici ma, piuttosto, come organi di controllo. 
4. -L'inesistenza di un rapporto gerarchico si manifesta in particolare nei 
confronti degli organi collegiali di governo, che non sono organi esecutivi, soggetti 
all'osservanza delle disposizioni impartite dai vertici dell'apparato burocratico, 
ma organi la cui volont� si forma attraverso il concorso delle autonome determinazioni 
dei loro componenti, onde al Provveditore era precluso il potere di 
annullamento delle loro deliberazioni, potere che � espressione tipica del rapporto 
di gerarchia (4). 
5. -Si osservava poi che anche il potere di impartire all'organo sottordinato 
disposizioni vincolanti per mezzo di circolari, istruzioni ecc., trova fondamento 
in un rapporto di gerarchia, sicch� in assenza di tale rapporto, � da ritenersi 
precluso all'Amministrazione, se non nei casi previsti dalla legge, disciplinare 
l'attivit� di tali istituzioni attraverso l'emanazione di direttive per esse vincolanti 
(5). 
Da ci� derivava che le circolari ministeriali, lungi dal rivestire carattere di 
obbligatoriet�, possono essere considerate al pi� come espressione di un potere di 
indirizzo, volto ad assicurare una coordinata gestione della scuola. 

Sul punto si rileva per inciso che -malgrado tale impostazione teorica -le 
fonti di carattere secondario hanno disciplinato in modo penetrante la materia organizzativa 
della scuola, s� da essere ritenute, da parte degli operatori scolastici, quasi 
come la fonte primaria del diritto. 

6. -Il potere di controllo si manifesta, invece, nella possibilit� per il 
Provveditore di scioglimento degli organi collegiali della Scuola in caso di perdurante 
irregolare funzionamento (art. 26 d.P.R. 416/97, poi inserito nell'art. 28 T.U. 
297 /94, relativo alle funzioni di vigilanza del Provveditore agli Studi). 
Al Provveditore spettava, inoltre, il controllo di legittimit� e merito relativi alla 
gestione dei fondi da parte delle scuole, attraverso le autorizzazioni e l'approvazione 
dei bilanci preventivi e consuntivi delle singole istituzioni scolastiche (art. 28 

T.V. 297/94). 
(4) Cfr. GATTI, cit., 96, ove si rileva che �orbene, posto che tra il provveditore e le istituzioni 
scolastiche non esiste rapporto di gerarchia e che tra le attribuzioni previste dall'art. 26 d.P.R. 
416 non � compreso il potere di annullamento degli atti delle istituzioni stesse � agevole rilevare 
che l'organo di vigilanza non ha alcuna facolt� di provvedere in tal senso�. Si rilevava per� che 
le delibere delle istituzioni erano soggette al potere di annullamento da parte del Governo, in 
quanto tale potere, conferito dall'art. 6 del r.d. 3 marzo 1934 n. 383, ha portata generale. Ma si 
segnalava anche che tale potere viene esercitato solo per questioni di alta amministrazione, che 
difficilmente si presentano per le Istituzioni scolastiche. 
(5) GATTI, cit., 97. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

34 

Per gli istituti dotati anche di personalit� giuridica, si era osservato che: 

1. L'acquisto della soggettivit� rileva nei confronti dei terzi, mentre invece nei 
confronti dello Stato la Scuola rimane inserita nella sua organizzazione, sia pure con 
la natura di organo-ente (6). 
Come organi dello Stato, tali scuole esercitano una serie di attribuzioni proprie 
di quest'ultimo (rilascio dei titoli di studio, certificazioni, attivit� di amministrazione 
del personale e di conduzione del rapporto con gli studenti) e, attesa la personalit� 
giuridica di cui sono dotate, entrano nel rapporto con i terzi, nei cui confronti 
possono assumere diritti ed obblighi. 

(6) N. DANIELE, La Pubblica Istruzione, Giuffr�, 1986, 104 e segg. 
Sul punto, anche la chiara sentenza di Cassazione 10982/96, ove si afferma: �L'attribuzione 
agli istituti tecnici della personalit� giuridica (art. 3 secondo comma della legge n. 889 del 1931) 
ne assicura l'autonomia rispetto all'amministrazione centrale della pubblica istruzione, pur se 
soggetta alla vigilanza ed ai controlli di questa. Donde la possibilit� di essere titolari di situazioni 
soggettive ed in particolare di diritti soggettivi nei confronti di altri enti in relazione alla disci


Iplina dell'erogazione di spese e di somministrazioni varie che la legge prevede a carico di questi 
... , pur nella rilevata connotazione di enti strumentali che detti istituti hanno in quanto 

I 

preordinati alla realizzazione di fini principalmente di interesse generale. 
Gli enti strumentali -categoria nella quale, come gi� detto, rientrano gli istituti tecnici, come 

I 

anche gli istituti professionali (cfr. r.d.l. n. 2038 del 1938) e gli istituti d'arte sono caratterizzati dal~
1 
l'esercitare in proprio funzioni e servizi spettanti ad altro ente, al quale ne �ridondano� i risultati). 
La figura dell'organo-ente ricorre poi allorch� all'organo di una persona giuridica viene a 
sua volta attribuita la personalit� giuridica. 

I

i:'

Tale figura, che opera solitamente come organo dell'amministrazione diretta dello Stato, 

i::. 

consegue per lo svolgimento di attivit� strumentali rispetto alla attuazione delle competenze fun


I ~ 

zionali dello Stato�. Pertanto il rapporto �tra l'organo-ente e lo Stato si pone in modo diverso a 
seconda che si tratti di rapporti con i terzi o di rapporti diretti organo-Stato�. In base a tali considerazioni, 
la Cassazione aveva escluso la legittimazione passiva del Ministero della Pubblica 
Istruzione nell'azione risarcitoria per danni provocati da personale della scuola o da sue struttu0 
re, atteso che �l'attivit� del personale, siccome inserita nella struttura dell'Istituto � giuridicamente 
riferibile a quest'ultimo per ci� che attiene ai rapporti con i terzi e comunque al potere


I dovere di disciplina e di vigilanza siccome rivolto a tutela della regolarit� del servizio in 
proiezione del rispetto della sfera giuridica dei terzi. In definitiva il personale scolastico, ancorch� 
dipendente dallo Stato, opera all'interno dell'organizzazione dell'istituto il quale, nei rappor


I ti con i terzi, diventa centro di imputazione della attivit� da detto personale svolta, assumendo , 
rilievo non l'inquadramento di quest'ultimo nei ruoli del personale dello Stato, bens� lo svolgimento 
delle mansioni per il soddisfacimento dell'interesse pubblico specificamente perseguito 
dall'ente strumentale (cfr. per riferimenti Cass. 4835/79, Cass. 2700/70)�.L'imputazione anche ,

I

della attivit� illecita agli istituti scolastici, sulla base delle riportate argomentazioni, sembra pi� {3, 
convincente della posizione contraria assunta dalla cassazione in altre pronunce (v. ad es. Cass. i~ 

r:;

341/96, ove si ritiene sussista la legittimazione passiva del Ministero della Pubblica Istruzione, 
essendo ad esso riferibile l'attivit� illecita degli insegnanti, in quanto dipendenti statali). 
� inoltre da osservarsi, per quanto concerne lo ius postulandi, che specifiche norme attribui


r= 

vano la difesa in giudizio alla Avvocatura dello stato, ai sensi dell'art. 43 r.d. 161111933: v. per gli i::
t'.: 
istituti tecnici: d.P.R. 44611977; per gli altri istituti: d.P.R. 1027/1975: �conferimento }>

'�' 

all'Avvocatura generale dello Stato della rappresentanza in giudizio degli istituti professionali per !: 
l'industria e l'artigianato,per le attivit� marinare, per l'agricoltura, per il commercio, alberghieri e ~ 
femminili�. Per i Convitti: art. 203 T.U. 297/94. 1:: 

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Pl��11r111�ll,flll�!lllll�ll�llllllt.1� 



PARTE II, DOTTRINA 

35 

L'inserimento nell'organizzazione dello Stato si basava sulle seguenti considerazioni: 
a) l'istituzione da parte dello Stato; 
b) la potest� per lo Stato di impartire direttive ed istruzioni per quel che attiene 
l'esercizio della funzione istituzionale; 
c) il personale dell'istituzione � statale; 
d) non � configurabile una confliggenza di interessi tra l'Ente e lo Stato per 
quanto attiene al fine istituzionale. 

Pertanto, si riteneva che la personalit� fosse attribuita solo per assicurare una 
particolare autonomia all'organo e per consentirgli di amministrarsi senza gli inceppi 
della ordinaria azione amministrativa. 

Agli stessi era infatti riconosciuta una maggiore autonomia negoziale, conseguente 
alla possibilit� di gestire un proprio patrimonio (7). 

B) La natura giuridica delle istituzioni scolastiche cui � conferita la personalit� giuridica 
ai sensi della legge 59197. 

1. -La legge 15 marzo 197 n. 59 contiene la delega al Governo per il conferimento 
di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali, per la riforma della 
Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa. Tali funzioni, ai 
sensi dell'art. 2 della legge, sono conferite �nel!' osservanza del principio di sussidiariet�
�. 
Il conferimento, inoltre, secondo il primo comma dell'art. 1, avviene, tra l'altro, 
ai sensi dell'art. 5 Costituzione. 

2. -Come � noto, secondo l'art. 5 della Costituzione, la repubblica �attua, nei 
servizi che dipendono dallo Stato, il pi� ampio decentramento amministrativo; adegua 
i principi ed i metodi della legislazione alle esigenze della autonomia e del 
decentramento� (8). 
Il decentramento comporta che gli organi cui sono state attribuite le funzioni 
�siano attributari e responsabili esclusivi delle materie nelle quali hanno competenza, 
senza rapporto di soggezione gerarchica nei confronti degli organi centrali (e il 
pi� possibile indipendenti da essi), spettando a questi ultimi, in ordine alle materie 
stesse, soltanto poteri di coordinazione e di direzione� (9). 

(7) (cfr. Istruzioni amministrativo-contabili per i circoli didattici, gli istituti scolastici di istruzione 
secondaria ed artistica statali e per i distretti scolastici emanate con D.I. 28 maggio 1975). 
Ai sensi dell'art. 29 T.U. 297/94, ilriscontro della gestione finanziaria amministrativa e patrimoniale 
di tali istituzioni dotate di personalit� giuridica � affidato a due revisori dei conti, dei quali 
uno � nominato dal Ministero della Pubblica Istruzione e l'altro dal Ministero del Tesoro. 

(8) Come osservato da Livia Barberio Corsetti, �il principio di sussidiariet�, in questo caso, 
si estende oltre l'ente locale, titolare della autonomia territoriale, per toccare le singole scuole 
che, in quanto titolari di autonomia funzionale, dovranno essere libere di organizzarsi e realizzare 
autonomamente tutti gli obiettivi coerenti con le loro dimensioni�, in Commento al d.lgs. 
112198, Maggioli, 585. 
(9) Cos� SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, ed. XIII, 365. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

36 

In tale prospettiva, gli atti emanati dall'organo competente assumono carattere 
di definitivit� (1 O). 

Il decentramento si differenzia dalla �delega�, attraverso la quale l'autorit� 
delegante non si priva dei propri poteri, ma demanda al delegato solo l'esercizio 
degli stessi, n� del potere di avocare a s� l'attivit� delegata. 

3. -Oggetto di decentramento � anche la materia dell'istruzione, come � �reso 
palese dal fatto che la stessa legge eccettua dal conferimento le funzioni ed i compiti 
riconducibili ad alcuni �settori� della materia istruzione (ordinamenti scolastici, 
programmi scolastici, organizzazione generale dell'istruzione, stato giuridico del 
personale: art. 1, comma 3, lett. q)� (11). 
L'art. 21 della legge pone come servente il trasferimento delle funzioni rispetto 
all'esercizio dell'autonomia: <<�i fini della realizzazione del/' autonomia delle istituzioni 
scolastiche le funzioni dell'Amministrazione centrale e periferica della pubblica 
istruzione in materia di gestione del servizio di istruzione, fermi restando i 
livelli unitari e nazionali di fruizione del diritto allo studio, nonch� gli elementi 
comuni all'intero sistema formativo, sono progressivamente attribuite alle istituzioni 
scolastiche ... �. 

Come osservato in dottrina (12), l'autonomia delle istituzioni si attua attraverso 
un trasferimento di funzioni e di compiti, attinenti anche alla gestione del servizio, 
direttamente dalla amministrazione statale alle singole scuole. Con la legge 
59/97 si � operato cos� un decentramento di funzioni (e non una semplice delega) 
dallo Stato alle Scuole di determinate funzioni, come peraltro confermato dal dettato 
dell'art. 135 d.lgs.112/98 �fatto salvo il trasferimento di competenze alle amministrazioni 
scolastiche�. 

Peraltro, come sopra rilevato, di decentramento funzionale si parlava gi� a proposito 
delle Scuole dotate di autonomia amministrativa. 

4. -Considerato che l'art. 21 attribuisce anche la personalit� giuridica alle 
scuole (che abbiano la dimensione ottimale prevista dalla stessa disposizione di 
legge e dal regolamento applicativo), ne consegue -a meno che non si ritenga che 
l'attribuzione della personalit� giuridica sia un semplice <iflatus vocis� -che il 
decentramento cos� posto in essere ha natura di decentramento autarchico: con tale 
formula si indica il fenomeno organizzativo contrassegnato dalla creazione, da parte 
dello Stato, di enti distinti da esso ma che perseguono fini di pertinenza dello Stato, 
e quindi ad esso strumentali (esplicitamente Sandulli parla di decentramento autarchico 
a proposito degli istituti dotati di personalit� giuridica). 
Il d.P.R. 275/99 specifica le materie oggetto di conferimento -perch� autorizzato 
dall'art. 21, comma 2, legge 59/97 (13) -e puntualizza, altres�, il carattere di 

(10) Idem, 367. 
(11) A. PAJNo, in Lo Stato autonomista, AA.VV., Il Mulino,1998, 448. 
(12) Idem. 
(13) �Ai fini di quanto previsto nel comma 1, si provvede con uno o pi� regolamenti da adottare 
ai sensi dell'art. 17, comma 2 delle legge 23 agosto 1988 n. 400�. 
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PARTE Il, DOTTRINA 

37 

definitivit� degli atti amministrativi emanati dalle scuole: <<1 provvedimenti adottati 
dalle istituzioni scolastiche . . . divengono definitivi il quindicesimo giorno dalla 
data della loro pubblicazione all'albo della scuola� (art. 14, comma 7). 

Secondo l'art. 14 �a decorrere dal I settembre 2000 sono attribuite alle istituzioni 
scolastiche le funzioni gi� di competenza del! 'amministrazione centrale e periferica 
relative alla carriera scolastica ed al rapporto con gli alunni, ali' amministrazione 
e gestione del patrimonio delle risorse, allo stato giuridico ed economico 
del personale, non riservate, in base ali'art. 15 o ad altre specifiche disposizioni, 
all'amministrazione centrale e periferica�. 

Al conferimento di funzioni alle scuole, corrisponde una importante modifica 
strutturale dell'organizzazione centrale e periferica, la quale assume unicamente 
funzioni di coordinamento, vigilanza in relazione alle funzioni ancora di pertinenza 
dello Stato (14), ma si spoglia della gestione amministrativa delle Scuole (v. d.lgs. 
300199 e regolamento attuativo n. 347/2000). 

Al trasferimento di funzioni amministrative si accompagna il riconoscimento di 
un maggiore spazio di autonomia in materia didattica, che per� non � riconducibile 
ad una funzione propriamente amministrativa ( 15) e costituisce la peculiarit� della 
Scuola, rispetto alle altre strutture amministrative. 

5. -Preso atto della creazione di soggetti distinti dallo Stato, occorre considerare 
se gli stessi siano inseriti nell'organizzazione del medesimo, dando luogo alla 
figura degli �organi-enti�. 
Al riguardo, sembra doversi dare una risposta positiva in considerazione dei 
seguenti elementi: 

1) inserimento del personale dello Stato, e reclutamento ad opera del medesimo 
(procedura esplicitamente sottratta alle singole Scuole, ai sensi dell'art. 15 d.P.R. 
275/99); 

2) responsabilit�, nei confronti dello Stato, del dirigente scolastico, sia disciplinare 
che per risultati: il nucleo di valutazione per la responsabilit� per risultati � 
incardinato nella amministrazione scolastica presieduta dal sovrintendente scolastico 
(o da un dirigente da lui delegato); 

3) autonomia finanziaria limitata. Se � vero che ci sar� maggiore elasticit� 
nella gestione delle risorse, � anche da constatare che le scuole, attingendo le loro 
entrate per la massima parte da denaro pubblico, hanno una limitata autonomia 
finanziaria, non potendo imporre tasse per il servizio scolastico ma solo per specifiche 
attivit�; devono inoltre destinare gran parte delle entrate a spese fisse, gi� predeterminate 
(per il personale ecc.); 

(14) V. d.lgs. 300/99 e d.P.R. di attuazione 347/2000. 
(15) � stato, inoltre, efficacemente notato che l'attivit� didattica -a differenza di quella 
amministrativa -non � direttamente riferibile allo Stato, giacch� per il principio costituzionale 
della libert� di insegnamento ...gli insegnamenti impartiti da ciascun docente -entro i limiti fissati 
dalla legge -possono riferirsi solo a questi, non trovando spazio nell'attuale ordinamento 
costituzionale una dottrina di Stato�, GATTI, cit., 29, nota 8. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

38 

4) il potere di vigilanza e controllo che � rimasto comunque in capo al 
Ministero sia in relazione alla responsabilit� disciplinare dei Capi di Istituto (sussistendo 
per loro, in quanto ancora organi dello Stato per le funzioni rimaste in capo 
al medesimo, il vincolo gerarchico), che alla possibilit� di scioglimento degli organi 
collegiali �in caso di persistenti e gravi irregolarit� o di mancato funzionamento�, 
ai sensi dell'art. 28, comma 7� T.V. 297/94, non abrogato dall'art. 17 del d.P.R. 
275/99. Il controllo di regolarit� amministrativo-contabile � venuto meno in capo al 
provveditore, ed � svolto, come per gli enti con personalit� giuridica, da un collegio 
di revisori dei conti (v. regolamento di contabilit�); 

5) dalle circostanze sopra delineate, sembra non potersi escludere l'inserimento 
del nuovo Ente scuola nella Qrganizzazione statale. Si pu� quindi affermare 
che lo stesso � ente-organo dello Stato. Tale figura non � stata oggetto di particolari 
approfondimenti in dottrina ed in giurisprudenza. Le pi� puntuali pronunce ( 16) 
hanno evidenziato la duplicit� di veste che l'Ente assume: persona giuridica nei confronti 
dei terzi; organo nei rapporti interni con lo Stato. 

In mancanza di una norma che attribuisce esplicitamente il patrocinio 
all'Avvocatura dello Stato, il problema si � posto con riferimento alla legittimazione 
processuale ed alla rappresentanza in giudizio delle predette entit� giuridiche: 
con riferimento ad altre analoghe figure soggettive, si � formata una giurisprudenza 
contrastante: chi sosteneva che il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato fosse obbligatorio 
ai sensi dell'art. 1r.d.1611/1933 (17), chi invece che, prevalendo la qualit� 
di enti diversi dallo Stato, fosse necessaria una norma specifica che attribuisce siffatto 
patrocinio (18). 

6. -In realt�, a parere di chi scrive, la natura giuridica dell'Ente organo non va 
risolta alla stregua della prevalenza dell'una o dell'altra caratteristica di tale figura 
soggettiva, e ci� in ragione del fatto che la stessa non costituisce un tertium genus 
rispetto all'organo ed all'ente. 
(16) Cfr. per tutte Cass. 10982/96, cit., in nota 6 di questo paragrafo. 
(17) E' stato ritenuto obbligatorio il patrocinio dell'AIMA, ai sensi dell'art.1, r.d. 
1611/1933, in quanto amministrazione dello Stato (Cass. 5544/84). Egualmente � stato deciso 
dalla giurisprudenza per altri organi soggettivizzati, quali il Fondo di previdenza del personale 
delle Dogane (Cass. 1983 n. 2293); la CPDEL (Trib. Catania 8 marzo 1979), la Cassa per il 
Mezzogiorno (Trib. Catania 30 aprile 1991). Di recente, con sentenza 8708/2000 il Tar Lazio ha 
negato ad un istituto la legittimazione processuale autonoma rispetto al Ministero, ritenendo che 
�il comportamento processuale della parte che ricorre (Preside di una Istituzione scolastica, difeso 
in proprio), si pone in inammissibile conflitto tra organi della stessa Amministrazione e si configura 
in contrasto con i principi di autorganizzazione dell'Amministrazione�. 
(18) Le SS.UU., con sentenza 18 marzo 1999 n. 155, in relazione al patrocinio della Cassa 
Ufficiali dell'esercito hanno deciso che la stessa, prima della norma attributiva, non godeva del 
patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, non potendo �essere condivisa la contraria e quasi 
coeva pronuncia della sezione lavoro, la quale, attenuando la portata della disposizione ... attributiva 
di personalit� giuridica, la consider� come amministrazione statale ... �: Cass., 1 luglio 
1998 Il. 6450. 

PARTE II, DOTTRINA 

39 

Come implicitamente riconosciuto dalla citata giurisprudenza (che parla di 
�doppia veste� dell'ente-organo), la caratteristica di tale entit� sembra essere quella 
di avere due nature giuridiche: la prima rapportabile al suo essere ente, la seconda 
all'essere ancora organo dello Stato, in quanto inserito nella sua organizzazione. 

Ne deriva che, sotto il profilo sostanziale, alcune attivit� saranno rapportabili 
all'Ente, altre all'organo (19) e, sotto il profilo processuale, per le prime sar� necessaria 
una norma che prevede il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, mentre per le 
seconde le istituzioni scolastiche si varranno automaticamente del patrocinio 
dell'Avvocatura, ai sensi dell'art. 1 r.d. 1611/1993. 

Siffatta distinzione non � n� agevole n� pacifica, considerata la complessit� sul 
piano pratico -che pu� portare un continuo distinguo. 

Sembrerebbe che ad ovviare perplessit� in merito sia sufficiente una norma, 
anche di contenuto regolamentare (20), di carattere simile a quelle gi� previste (per 
i convitti, art. 203 T.U. 297/94: �I convitti possono richiedere, per la tutela dei loro 
interessi e quando non trattasi di contestazioni con lo Stato, l'assistenza dell 'Avvocatura 
dello Stato�). 

Nelle more della sua adozione, sembrerebbe corretto applicare in via di interpretazione 
estensiva (non gi� analogica trattandosi di normativa speciale), la norma 
che attribuisce il patrocinio agli istituti gi� dotati di personalit� giuridica (21 ), o sempre 
in via di interpretazione estensiva -l'art. 1 r.d. 1611/1933 (22). 

Siffatta soluzione sembra essere -allo stato -la pi� rispondente al pubblico 
interesse, considerata la necessit� anche di contenere la spesa pubblica, in relazione 
ad un potenziale contenzioso scolastico alimentato, in sede di prima applicazione, 
anche dalla obbiettiva incertezza della normativa ed alle nuove questioni giuridiche 
che si impongono all'attenzione delle Scuole (23). 

PAOLA MARIA ZERMAN 

(19) Sarebbe allora necessario distinguere le materie attribuite in proprio alle scuole o ad 
esse decentrate (tra cui rientrerebbe anche la gestione del personale, trasferita dal d.P.R. 275/99 
alle scuole, escluso il reclutamento ed altri pochi atti), da quelle che l'istituto gestisce come organo 
dello Stato, per le materie ad esso rimaste. In definitiva, quasi tutte le controversie vedrebbero 
la legittimazione delle istituzioni scolastiche: dalla attivit� negoziale a quella illecita, a quella 
di gestione del personale, salve le eccezioni previste. 
(20) L'art. 43 r.d. 16ll/1933 prevede, infatti, che l'autorizzazione ad avvalersi del patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato pu� essere data con disposizione di legge o di regolamento. 
(21) Per le Universit� si � formato un orientamento giurisprudenziale che ritiene obbligatorio 
il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato a seconda che le stesse agiscano come organi dello 
Stato, o come ente autonomo. Tuttavia, a prescindere dal fatto che esiste una norma che attribuisce 
il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato alle Universit�, tale distinzione �, nella pratica, fonte 
di incertezze, sebbene corretta dal punto di vista teorico. E' pertanto auspicabile, per le scuole, un 
intervento del legislatore. 
(22) Tale disposizione prevede il patrocinio obbligatorio dell'Avvocatura dello Stato per le 
�Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo�; v. in tal senso la 
giurisprudenza richiamata in nota n. 17. 
(23) Occorre infatti non dimenticare che il finanziamento delle Scuole � quasi esclusivamente 
fornito da denaro pubblico, ed il ricorso a professionisti privati comporta un maggiore 
onere di spesa per le Scuole. 

OSSERVATORIO LEGISLATIVO 


2000 

AGRICOLTURA. Decreto-legge n. 8 del 4 febbraio 2000 (G.U. n. 30); convertito 
nella legge n. 79 del 7 aprile 2000 (G. U. n. 82, ivi testo coordinato): Disposizioni 
urgenti per la ripartizione dell'aumento comunitario del quantitativo globale di latte 
per la regolazione provvisoria del settore lattiero-caseario. Decreto legislativo 15 
giugno 2000, n.188 (G.U. n. 159): Disposizioni correttive e integrative del decreto 
legislativo 27 maggio 1999, n. 165, recante soppressione dell'AIMA e istituzione 
dell'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA), a norma dell'articolo 11 della 
legge 15 marzo 1997, n. 59. 

AMBIENTE. Legge n. 33 del 25 febbraio 2000 (G.U. n. 48; testo coordinato G.U. 

n. 48): conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 
1999, n. 500, recante disposizioni urgenti concernenti la proroga di termini per lo 
smaltimento in discarica di rifiuti e per le comunicazioni relative ai PCB, nonch� 
l'immediata utilizzazione di risorse finanziarie necessarie all'attivazione del protocollo 
di Kyoto. Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258 (G. U. n. 218, Suppi. Ord. 
n.153): Disposiz�oni correttive e integrative del decreto legislativo 11maggio1999, 
n. 152, in materia di tutela delle acque dall'inquinamento, a norma dell'articolo 1, 
comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128. 
Decreto-legge n. 279 del 12 ottobre 2000 (G.U. n. 239); convertito nella legge 

n. 365 dell'll dicembre 2000 (G.U. n. 288; testo coordinato G.U. n. 288): Interventi 
urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione 
civile, nonch� a favore delle zone della regione Calabria danneggiate dalle calamit� 
idrogeologiche di settembre ed ottobre 2000. 
D.M. 21dicembre1999 (G.U. n. 53, Suppi. Ord. n. 37): Attuazione della direttiva 
98/69/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1998, relativa 
alle misure da adottare contro l'inquinamento atmosferico da emissioni dei veicoli 
a motore e recante modificazioni alla direttiva 70/220/CEE del Consiglio. 
AMMINISTRAZIONE DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI IN GENERE. D.p.c.m. 9 
marzo 2000 (G. U. n. 62): Definizione dei criteri di privatizzazione e delle modalit� 
di dismissione dell'Acquedotto pugliese S.p.a. D.p.c.m. 15 aprile 2000 (G. U. n. 94): 
Ordinamento delle strutture generali della Presidenza del Consiglio dei Ministri. 

D.P.R. 7 febbraio 2000, n. 115 (G.U. n. 108): Regolamento recante norme per la 
riorganizzazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato a norma 
dell'articolo 17, comma 4-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400. 
Legge n. 150 del 7 giugno 2000 (G. U. n. 136): Disciplina delle attivit� di informazione 
e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni. D.p.c.m. 31 ottobre 
2000 (G. U. n. 272): regole tecniche per il protocollo informatico di cui al d.P.R 
20/10/98 n. 428 (dal 22 novembre sparisce il vecchio protocollo cartaceo della pubblica 
amministrazione, con l'introduzione di regole per le modalit� tecniche da 
apporre ad ogni documento in entrata o in uscita). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

42 

Per altre segnalazioni in materia si vedano le voci Avvocatura dello Stato e 
Impiegato dello Stato. 

AN1 ICHIT� E BELLE ARTI. Legge 21 dicembre 1999' n. 513 (G. u. n. 7): Interventi 
straordinari nel settore dei beni e delle attivit� culturali. D.P.R. 7 settembre 2000, 

n. 283 (G.U. n. 240): Regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni 
immobili del demanio storico e artistico. 

PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

D.p.c.m. 6 ottobre 2000 (G. U. n. 285): Autorizzazione all'Avvocatura dello 
Stato ad assumere la rappresentanza e la difesa dell'Istituto italiano di medicina 
sociale, nei giudizi attivi e passivi avanti alle autorit� giudiziarie, i collegi arbitrali 
e le giurisdizioni amministrative e speciali. 
CARABINIERI. Legge n. 78 del 31 marzo 2000 (G. U n. 79): Delega al Governo 
in materia di riordino dell'Arma dei carabinieri, del Corpo forestale dello Stato, del 
Corpo della Guardia di finanza e della Polizia di Stato. Norme in materia di coordinamento 
delle Forze di polizia. 

CATASTO. D.P.R. 30 dicembre 1999, n. 536 (G.U n. 21): Regolamento recante 
modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1998, n. 139, concernente 
la revisione dei criteri di accatastamento dei fabbricati rurali. 

CONCORSO A PUBBLICO IMPIEGO. D. Min. Grazia e Giustizia 1 febbraio 2000, 

n. 50 (G. U. n. 58): Regolamento recante norme per l'individuazione dei limiti di et� 
per la partecipazione ai concorsi pubblici di accesso ai ruoli del personale del Corpo 
di polizia penitenziaria. D.p.c.m. 16 marzo 2000, n. 112 (G. Un. 107): Regolamento 
recante modifiche al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 luglio 
1987, n. 411, relativo ai limiti di altezza per la partecipazione ai concorsi pubblici. 
CONTABILIT� E BILANCIO DELLO STATO. Ripubblicazione'del testo della legge 23 
dicembre 1999, n. 488, recante: �Disposizioni per la formazione del bilancio annuale 
e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2000)�, corredato delle relative note. 

(G.U. n. 23, Suppi. Ord. n. 23). Legge n. 317 del 23 ottobre 2000 (G.U. n. 257, 
Suppi. Ord.): Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci 
delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2000. Legge n. 293 del 9 
ottobre 2000 (G. Un. 246, Suppi. Ord.): Rendiconto generale dell'Amministrazione 
dello Stato per l'esercizio finanziario 1999. 
D.P.R. 2 novembre 2000, n. 355 (G. U 281): Regolamento recante modifica dell'articolo 
230, sesto comma, del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, concernente 
il regolamento di contabilit� generale dello Stato. 
Legge n. 389 del 23 dicembre 2000 (G.U. n. 302, Suppi. Ord. 220): Bilancio di 
previsione dello Stato per l'anno finanziario 2001 e bilancio pluriennale per il triennio 
2001-2003. 

Legge n. 388 del 23 dicembre 2000 (G.U n. 302, Suppi. Ord. 219): Disposizioni 
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 
2001 ), con riduzioni per Irpeg e Irpef, riordino della tassazione sulla prima 
casa (esenzione dall'Irpef, proroga della detrazione del 36% per le spese di ristrutturazione 
e della riduzione Iva al 10%, aumento delle detrazioni per gli affitti concordati), 
eliminazione dei tickets sui farmaci e riduzione progressiva per quelli sulla 
diagnostica, riduzione del personale della pubblica amministrazione dell' 1 %, benefici 
per gli investimenti al sud, riduzione delle incompatibilit� fra pensione e stipendio, 
aumenti di stipendio per insegnanti, dirigenti, magistrati ed equiparati, ulteriore 
impulso e semplificazione per le dismissioni immobiliari, regole di bilancio 
per regioni, province e comuni, le universit� e gli enti di ricerca, destinazione di 
risorse per la previdenza complementare dei dipendenti pubblici, cartolarizzazione 
dei crediti dello Stato e degli enti pubblici. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAro

44 

CONVENZIONI E TRATTATI INTERNAZIONALI. Legge n. 10 del 27 gennaio 2000 

(G.U. n. 32): Ratifica ed esecuzione del Protocollo di modifica della Convenzione 
di Nairobi del 15 ottobre 1979, tra il Governo della Repubblica italiana ed il 
Governo della Repubblica del Kenya per evitare le doppie imposizioni e per prevenire 
le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito. Legge n. 417 del 20 
dicembre 2000 (G.U. n. 15 del 19/2001, Suppi. Ord.): Ratifica ed esecuzione della 
Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della 
Repubblica del Senegal al fine di evitare le doppie imposizioni in materia di imposte 
sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali, con Protocollo, fatta a Roma il 20 
luglio 1998. 
Legge n. 153 del 26 maggio 2000 (G.U. n. 138): Ratifica ed esecuzione degli 
emendamenti alla Convenzione doganale relativa al trasporto internazionale di 
merci -TIR -conclusa a Ginevra il 14 novembre 1975, adottati dal Comitato 
amministrativo il 27 giugno 1997. Legge n. 148 del 25 maggio 2000 (G.U. n. 135): 
Ratifica ed esecuzione della Convenzione n. 182 relativa alla proibizione delle 
forme peggiori di lavoro minorile e all'azione immediata per la loro eliminazione, 
nonch� della Raccomandazione n. 190 sullo stesso argomento, adottate dalla 
Conferenza generale dell'Organizzazione internazionale del lavoro durante la sua 
ottantasettesima sessione tenutasi a Ginevra il 17 giugno 1999. Legge n. 207 del 18 
luglio 2000 (G. U. n. 174): Ratifica ed esecuzione dell'Accordo per l'esecuzione 
delle sentenze penali tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Cuba e relativo 
scambio di note integrativo, fatti a l'Avana il 9 giugno 1998. 

Legge n. 300 del 29 settembre 2000 (G. U. n. 250, Suppi. Ord.): Ratifica ed esecuzione 
dei seguenti Atti internazionali elaborati in base all'articolo K.3 del Trattato 
sull'Unione europea: Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle 
Comunit� europee, fatta a Bruxelles il 26 luglio 1995, del suo primo Protocollo fatto 
a Dublino il 27 settembre 1996, del Protocollo concernente l'interpretazione in via 
pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunit� europee, di detta 
Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29 novembre 1996, 
nonche' della Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono 
coinvolti funzionari delle Comunit� europee o degli Stati membri dell'Unione europea, 
fatta a Bruxelles il 26 maggio 1997 e della Convenzione OCSE sulla lotta alla 
corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, 
con annesso, fatta a Parigi il 17 dicembre 1997. Delega al Governo per la disciplina 
della responsabilit� amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalit� 
giuridica. 

Legge n. 364 del 15 novembre 2000 (G.U. n. 288, Suppi. Ord.): Ratifica ed 
esecuzione dell'Accordo tra la Comunit� europea ed i suoi Stati membri, da una 
parte, e la Confederazione svizzera, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone, 
con allegati, atto finale e dichiarazioni, fatto a Lussemburgo il 21 giugno 
1999. 

Decreto legislativo 24 marzo 2000 n. 85 (G. U. n. 85): riordino della carriera 
diplomatica, a norma dell'art. 1 legge 28/7/99 n. 266. 
Legge 21dicembre1999, n. 526 (G.U. n. 13, Suppi. Ord. n. 15): Disposizioni t:: 
t: 
t' 

~

per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunit� 
europee -Legge comunitaria 1999 (nuove norme in materia di contratti di agenzia, 

~ 

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~~ 

i: 
~ 

~: 


-


PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

di domicilio per l'iscrizione agli albi professionali, di tutela delle produzioni tipiche, 
di garanzia dei diritti dei lavoratori; di tutela dei consumatori, di liberalizzazione 
delle imprese). 

CORTE COSTITUZIONALE. Legge n. 1 del 17 gennaio 2000 (G. u n. 15; rettifica 

G. U. n. 18; seconda rettifica G. Un. 25): Modifica all'articolo 48 della Costituzione 
concernente l'istituzione della circoscrizione Estero per l'esercizio del diritto di 
voto dei cittadini italiani residenti all'estero. 
CORTE DEI CONTI. Legge n. 202 del 21luglio2000 (G.U n. 171): Disposizioni 
in materia di nomina del Presidente della Corte dei conti (da scegliere fra i magistrati 
della stessa Corte che hanno esercitato per almeno tre anni funzioni direttive o 
equivalenti). 

DEMANIO E PATRIMONIO DELLO STATO. Circolare Min. Lavori Pubblici 1 dicembre 
1999, n.12999 (G.U. n. 52): Art. 23, commi 4 e seguenti, del decreto legislativo 
11 maggio 1999, n. 152 -D.P.R. 18 febbraio 1999, n. 238 -Art. 2 della legge 7 agosto 
1999, n. 290 -Art. 28 della legge 30 aprile 1999, n. 136 -Concessioni in sanatoria, 
decorrenza canoni demaniali e durata concessioni. D .P.R. 7 settembre 2000 

n. 283 (G. U n. 240): regolamento recante disciplina delle alienazioni di beni immobili 
del demanio storico e artistico. 
DIRITTO D'AUTORE. Legge n. 248 del 18 agosto 2000 (G.U n. 206): Nuove 
norme di tutela del diritto d' autore (Stralcio degli articoli 1, 5 e da 7 a 22 del disegno 
di legge C4953, deliberato dall'Assemblea nella seduta del 6 ottobre 1998 ). 

DIRITTO PROCESSUALE PENALE. Ripubblicazione del testo del decreto legislativo 
30 dicembre 1999, n. 507 (G.U n. 22), recante: �Depenalizzazione dei reati minori 
e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell'articolo 1 della legge 25 giugno 
1999, n. 205�, corredato delle relative note. 

Decreto Legge n. 2 del 7 gennaio 2000 (G. U. n. 4), convertito nella legge n. 35 
del 25 febbraio 2000 (G. U. n. 50, ivi testo coordinato): Disposizioni urgenti per I'attuazione 
dell'articolo 2 della legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in materia 
di giusto processo. Legge n. 397 del 7 dicembre 2000 (G. U n. 2/2001 ): 
Disposizioni in materia di indagini difensive. 

DOGANA. Legge n. 213 del 25 luglio 2000 (G.U n. 178): Norme di adeguamento 
dell'attivit� degli spedizionieri doganali alle mutate esigenze dei traffici e 
dell'interscambio internazionale delle merci (gli spedizionieri diventano doganalisti 
con un ruolo rinnovato: � loro attribuito uno specifico potere di rappresentanza con 
l'abilitazione a svolgere compiti attribuiti da enti pubblici statali o periferici, potere 
di asseverazione dei dati, responsabilit� patrimoniale per i danni provocati all'erario; 
sono istituiti centri di assistenza doganale con competenza a riscuotere i diritti 
portuali e svolgere funzioni ispettive). 

ENTI LOCALI. Circolare Ministero del Tesoro 4 febbraio 2000, n. 4 (G. U n. 36): 
�Patto di stabilit� interno� per le province e i comuni. Art. 30 della legge 23 dicembre 
1999, n. 488. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO'

46 

Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (G. U. n. 227, Suppi. Ord. n. 162, 

I 
testo coordinato corredato delle relative note nel Suppi. Ord. n.177): Testo unico f; 
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (concerne l'ordinamento e la struttu-!l 
ra istituzionale, il sistema elettorale, le ineleggibilit� e incompatibilit�, lo stato giu-& 
ridico degli amministratori, il sistema finanziario e contabile, i controlli, l'ordina-f:

=_l, 

mento degli uffici e del personale, i segretari comunali). Circolare Min. Interno 11 .

1

ottobre 2000 n. 7 (G. U. n. 24 7): indicazione della ratio e delle linee guida che fil 

hanno ispirato l'adozione del nuovo Testo Unico. Decreto-legge n. 392 del 27 
dicembre 2000 (G.U. n. 303); convertito nella legge n. 26 del 28 febbraio 2001 

(G.U. n. 50/2001; testo coordinato G.U. n. 50/2001): Disposizioni urgenti in materia 
di enti locali. 
FESTMT�. Legge n. 336 del 20 novembre 2000 (G.U. n. 273): Ripristino della 
festivit� nazionale del 2 giugno, data di fondazione della Repubblica. 

FORZE ARMATE. Decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (G. U. n. 38): Disposizioni 
in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento 
del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di 
finanza, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380. 
Decreto legislativo 31 marzo 2000, n.129 (G.U. n. 118, Suppi. Ord. n.79): 
Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, 
in materia di rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze 
armate, a norma dell'articolo 18 della legge 28 luglio 1999, n. 266. 

Decreto legislativo 27 giugno 2000, n.214 (G. U. n. 178): Disposizioni correttive 
ed integrative del decreto legislativo 28 novembre 1997, n. 464, recante riforma 
strutturale delle Forze armate, a norma dell'articolo 9, comma 2, della legge 31 
marzo 2000, n. 78. Decreto legislativo 28 giugno 2000, n.216 (G. U. n. 180, Suppi. 
Ord. n.127): Disposizioni correttive del decreto legislativo 30 dicembre 1997, 

n. 490, recante riordino del reclutamento, dello stato giuridico e dell'avanzamento 
degli ufficiali, a norma dell'articolo 9, comma 2, della legge 31marzo2000, n. 78. 
Legge n. 356 del 30 novembre 2000 (G.U. n. 283): Disposizioni riguardanti il 
personale delle Forze armate e delle Forze di polizia. 

Legge n. 331del14 novembre 2000 (G.U. n. 269): Norme per l'istituzione del 
servizio militare professionale (delega al Governo per l'abolizione del servizio di 
leva obbligatorio e l'istituzione dell'arruolamento professionale, entro sette anni, e 
conseguente progressiva riduzione a 190mila dell'organico complessivo). 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. Legge n. 205 del 21 luglio 2000 (G. u. n. 173): Disposizioni 
in materia di giustizia amministrativa. 

IMPIEGATO DELLO STATO EPUBBLICO IN GENERE. Contratto collettivo nazionale di 
lavoro per il quadriennio normativo 1998-2001 e per il biennio economico 19981999 
relativo all'area della dirigenza del comparto �Regioni -Autonomie locali�. 

(G. U. n. 3, Suppi. Ord. n. 3). Contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale 
del comparto delle regioni e delle autonomie locali successivo a quello del 1� i 
aprile 1999 (G.U. n. 277, Suppi. Ord. n. 196). Direttiva del presidente del consiglio 
dei ministri 21 gennaio 2000 (G. U. n. 32): Ulteriori linee guida per la definizione ' 
' 
, ' 

'

lI 

&. 


PARTE II, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

dei contratti individuali della dirigenza. Decreto legislativo 24 marzo 2000, n.85 

(G.U. n. 85): Riordino della carriera diplomatica, a norma dell'articolo 1 della legge 
28 luglio 1999, n. 266. Decreto legislativo 7 aprile 2000, n.103 (G.U. n. 98): 
Disciplina del personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche, 
dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura all'estero, a norma dell'articolo 
4 della legge 28 luglio 1999, n. 266. 
Accordo quadro nazionale sul telelavoro nelle pubbliche amministrazioni, in 
attuazione delle disposizioni contenute nell'art. 4, comma 3, della legge 16 giugno 
1998, n. 191 (G.U. n. 94). 

D.p.c.m. 20 dicembre 1999 (G.U. n. 111): Trattamento di fine rapporto e istituzione 
dei fondi pensione dei pubblici dipendenti. Decreto legislativo 19 maggio 
2000, n. 139 (G.U. n. 127, Suppi. Ord. n.84): Disposizioni in materia di rapporto di 
impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell'articolo 1 O della legge 
28 luglio 1999, n. 266. 
Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al quadriennio normativo 1998 
-2001 ed al biennio economico 1998 -1999 del personale del comparto 
�Universit�� (G.U. n. 222, Suppi. Ord. n. 156). 

Contratto collettivo quadro per la ripartizione dei distacchi e dei permessi alle 
organizzazioni sindacali rappresentative nei comparti nel biennio 2000 -2001 
(Suppi. Ord. n. 156). 

Contratto collettivo quadro per la modifica del C.C.N.Q. del 2 giugno 1998 
relativo alla definizione dei comparti di contrattazione (Suppi. Ord. n. 156). 
Contratto collettivo quadro per la modifica del C.C.N.Q. del 24 novembre 1998 
relativo alla definizione delle aree dirigenziali di contrattazione (Suppi. Ord. n. 156). 
Contratto collettivo nazionale quadro per la disciplina del rapporto di lavoro 
del personale assunto con contratto di fornitura di lavoro temporaneo (Suppi. Ord. 

n. 156). 
D.P.R. 8 settembre 2000, n. 324 (G.U. n. 261): Regolamento recante disposizioni 
in materia di accesso alla qualifica di dirigente, a norma dell'articolo 28, comma 
3, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29. Decreto del Dipartimento della funzione 
pubblica 15 novembre 2000 (G. U. n. 286): istituzione delle sezioni nell'ambito 
del ruolo unico della dirigenza, in relazione a specifiche professionalit�. 
INTERESSI. D. Min. Tesoro 11 dicembre 2000 (G. U. n. 292): a partire dal 1� gennaio 
2001 il saggio degli interessi legali passa dal 2,5% al 3,5% annuo. 

INVALIDI. D.p.c.m. 26 maggio 2000 (G. U. n. 239): individuazione delle risorse 
umane, finanziarie, strumentali e organizzative da trasferire alle regioni in materia 
di funzioni di concessione dei trattamenti economici a favore degli invalidi civili 
(dal 1� gennaio 2001 passa alle regioni a statuto ordinario la competenza per l'attribuzione 
dell'assegno mensile, della pensione di inabilit�, delle indennit� di accompagnamento, 
ecc.) 

ISTRUZIONE PUBBLICA. Legge n. 30 del 10 febbraio 2000 (G.U. n. 44): Legge 
quadro in materia di riordino dei cicli dell'istruzione. Legge n. 62 del 10 marzo 2000 

(G. U. n. 67): Norme per la parit� scolastica e disposizioni sul diritto allo studio e 
all'istruzione. D.p.c.m. 13 marzo 2000 (G.U. n. 134): Individuazione e trasferimen

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

e 

to alle regioni, ai sensi dell'art. 144, comma 2, del decreto legislativo n. 11211998, 
degli istituti professionali. 
Legge n. 178 del 23 giugno 2000 (G.U. n. 153): Istituzione del Centro nazionale 
di informazione e documentazione europea. 

IVA. Decreto Legge n. 21 del 15 febbraio 2000 (G.U. n. 37); convertito nella 
legge n. 92 del 14 aprile 2000 (G.U. n. 89): Proroga del regime speciale in materia 
di IVA per i produttori agricoli (testo coordinato G. U. n. 89). 

LAVORO (COLLOCAMENTO E MOBILIT� DELLA MANO D'OPERA). D.p.c.m. 13 gennaio 
2000 (G.U. n. 43): Atto di indirizzo e coordinamento in materia di collocamento 
obbligatorio dei disabili, a norma dell'art. 1, comma 4, della legge 12 marzo 
1999, n. 68. D.P.R. 10 ottobre 2000 n. 333 (G.U. n. 270): regolamento di esecuzione 
della legge 12 marzo 1999 n. 68, recante norme per il diritto al lavoro dei disabili 
(si completa la disciplina del collocamento obbligatorio dei disabili, esteso anche 
alle piccole imprese): Decreto legis1ativo 21 aprile 2000, n. 181 (G.U. n. 154): 
Disposizioni per agevolare l'incontro fra domanda ed offerta di lavoro, in attuazione 
dell'articolo 45, comma 1, lettera a), della legge 17 maggio 1999, n. 144. 

LAVORO (RAPPORTO DI). Decreto legislativo 26 novembre 1999 n. 532 (G.U. 

n. 16): disposizioni in materia di lavoro notturno, a norma dell'art. 17, comma 2, 
legge 5 febbraio 1999 ri. 25 (disciplina applicabile a tutti i lavoratori pubblici e privati, 
ad eccezione dei settori del trasporto aereo, ferroviario, stradale, marittimo, 
pesca e medico). Decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61 (G. U. n. 66): Attuazione 
della direttiva 97 /81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso 
dall 'UNICE, dal CEEP e dalla CES. Legge n. 83 del 11 aprile 2000 (G. U. n. 
85): Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n. 146, in materia di esercizio 
del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti 
della persona costituzionalmente tutelati (le limitazioni sono estese anche a professionisti 
e autonomi; sono inasprite le sanzioni e l'obbligo di garantire prestazioni 
minime -almeno per il 50% del servizio-). Legge n. 171 del 26 maggio 2000 
(G. U. n. 146): Ratifica ed esecuzione dell'emendamento all'articolo 19 dello Statuto 
dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), adottato dalla Conferenza nella 
sua ottantacinquesima sessione a Ginevra il 19 giugno 1997. Legge n. 186 del 30 giugno 
2000 (G. U. n. 157): Modifiche alla legge 28 gennaio 1994, n. 84, in materia di 
operazioni portuali e di fornitura del lavoro portuale temporaneo (adeguamento della 
disciplina del settore alla normativa generale introdotta dalla legge 196/97). 
LEGGE. Legge n. 192 del 22 giugno 2000 (G.U. n. 161): in nome della semplificazione 
amministrativa � modificato l'art. 13 legge 127/97 con l'abrogazione delle 
disposizioni che prescrivono autorizzazioni per l'acquisto di immobili o per accettazione 
di donazioni, eredit� e legati da parte di persone giuridiche; � modificato 
anche l'art. 4 73 cod. civ. nel senso che le accettazioni di eredit� da parte di persone 
giuridiche, associazioni, fondazioni e altri enti devono farsi con beneficio di inventario. 
Legge n. 340 del 24 novembre 2000 (G.U. n. 275, testo ripubblicato con note 
in G. U. n. 296, Suppi. Ord. n. 212): Disposizioni per la delegificazione di norme e 
per la semplificazione di procedimenti amministrativi -Legge di semplificazione 


PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

1999: ha regolato la delegificazione e l'adozione di testi unici di norme concernenti 
procedimenti amministrativi nonch� delle norme che regolano i rapporti di lavoro 
dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche. 

Testo di legge costituzionale (G.U. n. 246): Testo di legge costituzionale approvato 
in seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dai membri 
di ciascuna Camera, recante: �Modifiche agli articoli 56 e 57 della Costituzione 
concernenti il numero di deputati e senatori in rappresentanza degli italiani all'estero�. 
Testo di legge costituzionale (G. U. n. 254): Testo di legge costituzionale approvato in 
seconda votazione a maggioranza assoluta, ma inferiore ai due terzi dai membri di ciascuna 
Camera, recante: �Disposizioni concernenti l'elezione diretta dei Presidenti 
delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano�. 

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO. Ripubblicazione del testo della legge 16 dicembre 
1999, n. 4 79, recante: �Modifiche alle disposizioni sul procedimento davanti al tribunale 
in composizione monocratica e altre modifiche al codice di procedura penale. 
Modifiche al codice penale e all'ordinamento giudiziario. Disposizioni in materia di 
contenzioso civile pendente, di indennit� spettanti al giudice di pace e di esercizio 
della professione forense�, corredato delle relative note. (G.U. n. 13, Suppi. Ord. n. 
16). Legge n. 25 del 16 febbraio 2000 (G. U. n. 39; rettifica G. U. n. 40): Conversione 
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 17 dicembre 1999, n. 480, recante 
nuova disciplina transitoria per i termini di deposito della documentazione prescritta 
dall'articolo 567 del codice di procedura civile per l'istanza di vendita nell'espropriazione 
immobiliare (testo coordinato G.U. n. 39). Decreto-legge n. 291 del 18 
ottobre 2000 (G. U. n. 245); convertito nella legge n. 372 del 14 dicembre 2000 (G. U. 

n. 292; testo coordinato G. U. n. 292): Ulteriore proroga della disciplina transitoria per 
i termini di deposito della documentazione prescritta dall'articolo 567 del codice di 
procedura civile, relativa all'istanza di vendita nell'espropriazione immobiliare. 
Legge n. 242 del 18 agosto 2000 (G.U. n. 204): Autorizzazione al Ministero 
della giustizia a stipulare contratti di lavoro a tempo determinato con soggetti impiegati 
in lavori socialmente utili, al fine di garantire l'attuazione della normativa sul 
giudice unico di primo grado. 

D.P.R. 10 giugno 2000, n.198 (G.U. n. 167): Regolamento recante norme di 
coordinamento e di attuazione del capo I della legge 24 novembre 1999, n. 468, concernente 
il giudice di pace. Decreto legislativo 28 agosto 2000, n.274 (G.U. n. 234, 
Suppi. Ord. n.166): Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a 
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468 (per i reati di diffamazione, 
guida in stato di ebbrezza, appropriazione di cose smarrite, ecc.; in rito, da 
segnalare, accanto all'ordinario sistema di citazione, un meccanismo che attribuisce 
alla persona offesa dal reato un autonomo potere di attivazione in giudizio; l'entrata 
in vigore della riforma � stata rinviata al gennaio 2002). 
Decreto-legge n. 341 del 24 novembre 2000 (G.U. n. 275; rettifica G.U. n. 279); 
convertito nella legge n. 4 del 19 gennaio 2001 (G.U. n. 16/2001; ivi testo coordinato): 
Disposizioni urgenti per l'efficacia e l'efficienza dell'Amministrazione della giustizia. 

PERSONA FISICA E DIRITTI DELLA PERSONALIT�. Legge n. 53 del 8 marzo 2000 

(G. U. n. 60): Disposizioni per il sostegno della maternit� e della paternit�, per il 
diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citt�. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Legge n. 325 del 3 novembre 2000 (G.U. n. 262): Disposizioni inerenti all'adozione 
delle misure minime di sicurezza nel trattamento dei dati personali previste 
dall'articolo 15 della legge 31dicembre1996, n. 675. 

Legge n. 379 del 14 dicembre 2000 (G.U. n. 295): Disposizioni per l'equiparazione 
ai cittadini italiani delle persone gi� residenti nei territori del Trentino -Alto 

Adige appartenuti all'Impero Austro -Ungarico, e dei loro discendenti. 

PERSONA GnJRIDICA. Legge 21 dicembre 1999, n.508 (G.U. n. 2): Riforma delle 
Accademie di belle arti, dell'Accademia nazionale di danza, dell'Accademia nazionale 
di arte drammatica, degli Istituti superiori per le industrie artistiche, dei Conservatori 
di musica e degli Istituti musicali pareggiati. Decreto-legge n. 345 del 24 novembre 
2000 (G. U n. 277), convertito nella legge n. 6 del 26 gennaio 2001 (G. U n. 21; testo 
coordinato G. U n. 21 ): Disposizioni urgenti in tema di fondazioni lirico-sinfoniche 

(viene sostanzialmente ripristinato il testo del d.legs. 134/98 annullato dalla Corte costituzionale 
per eccesso di delega, con conferma dell'acquisizione della personalit� giuridica 
di diritto privato per le nuove fondazioni a far data dal 23 maggio 1998). 

D.P.R. 10 febbraio 2001 n. 361 (G.U. n. 286): regolamento recante norme per la 
semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private e di 
approvazione delle modifiche dell'atto costitutivo e dello statuto (in vigore dal 22 
dicembre 2000, competenza alle regioni nell'ambito delle materie delegate, altrimenti 
ai prefetti, soppressione del registro presso i tribunali ed istituzione di registri 
regionali e prefettizi con funzione di attribuzione dell'efficacia al riconoscimento). 
Per altri riferimenti v. la voce LEGGE. 

RADIOTELEVISIONE. Legge n. 5 del 14 gennaio 2000 (G.U n. 14): Conversione 
in legge, con modificazioni, del decreto-legge 18 novembre 1999, n. 433, recante 
disposizioni urgenti in materia di esercizio dell'attivit� radiotelevisiva locale e di :: 
termini relativi al rilascio delle concessioni per la radiodiffusione televisiva privata 
su frequenze terrestri in ambito locale (Testo coordinato G. U. n. 14). Legge n. 28 del 
22 febbraio 2000 (G. U. n. 43): Disposizioni per la parit� di accesso ai mezzi di infor


I

mazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica. 
D. Min. Comunicazioni 28 febbraio 2000 (G.U n. 65, Suppi. Ord. n. 45): 
Approvazione del piano nazionale di ripartizione delle frequenze. 

REDDITO DELLE PERSONE FISICHE (IMPOSTA SUL). Decreto-legge n. 268 del 30 settembre 
2000 (G.U. n. 230); convertito nella legge n. 354 del 23 novembre 2000 

(G. U. n. 280; testo coordinato G. U. n. 280): Misure urgenti in materia di imposta sui 
redditi delle persone fisiche e di accise. 
REGIONE IN GENERE. Decreto legislativo 28 marzo 2000, n. 76 (G. U. n. 77): Principi 
fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilit� delle 

I

regioni, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, della legge 25 giugno 1999, n. 208. 

I 

RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE E DELLE ENTRATE PATRIMONIALI ED ESATTORIE. D. 1: 

~::

Min. Finanze 4 agosto 2000 (G.U. n. 201, Suppi. Ord. n. 138): Remunerazione del ~:
Servizio nazionale della riscossione tramite ruolo ai sensi dell'art. 17 del decreto 

~:

legislativo 13 aprile 1999, n. 112. 

1� 

~ 

r,

f.: 

& 


PARTE Il, OSSERVATORIO LEGISLATIVO 

SANIT� PUBBLICA. Decreto legislativo 2 marzo 2000, n. 49 (G.U. n. 58): 
Disposizioni correttive del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, concernenti 
il termine di opzione per il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari. 

Legge n. 251 del 1 O agosto 2000 (G. U. n. 208): Disciplina delle professioni 
sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonch� 
della professione ostetrica. Legge n. 401 del 29 dicembre 2000 (G. U. n. 5/2001): 
Norme sull'organizzazione e sul personale del settore sanitario. D.P.R. 16 dicembre 
1999, n. 516 (G.U. 8): Regolamento recante norme per l'esecuzione dell'accordo 
collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private. 
Decreto legislativo 21 dicembre 1999 (G. U. 8, Suppi. Ord. n. 10): Disciplina dei 
rapporti fra Servizio sanitario nazionale ed universit�, a norma dell'articolo 6 della 
legge 30 novembre 1998, n. 419 (anche per i medici universitari � imposta l'opzione 
per l'esercizio della libera professione intra o extramuraria. 

G.U. n. 230, Suppi. Ord. n. 165: d.P.R. 28 luglio 2000, n.270: Regolamento di 
esecuzione dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i 
medici di medicina generale. D.P.R. 28 luglio 2000, n. 271: Regolamento di esecuzione 
dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici 
specialisti ambulatoriali interni. D.P.R. 28 luglio 2000, n. 272: Regolamento di esecuzione 
dell'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici 
specialisti pediatri di libera scelta. 
Circolare Min. Sanit� 29 settembre 2000, n. 14 (G. U. n. 268, Suppi. Ord. 

n. 188): Linee guida applicative del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 336. 
SINDACATI. D.p.c.m. 5 ottobre 1999 (G. U. n. 16): Ripartizione dei contingenti 
complessivi dei distacchi sindacali retribuiti autorizzabili per l'anno 1999 nell'ambito 
delle Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato, Corpo di polizia penitenziaria 
e Corpo forestale dello Stato). Circolare Pres. Cons. Min.-Funz. Pubbl. 9 
marzo 2000, n. 4 (G. U. n. 60): Rilevazione dei dati riguardanti permessi, aspettative 
e distacchi sindacali, aspettative e permessi per funzioni pubbliche per l'anno 1999. 

TRIBUTI IN GENERE. Decreto legislativo 18 gennaio 2000, n. 9 (G. U. n. 30): Disposizioni 
integrative e correttive dei decreti legislativi 18 dicembre 1997, n. 463, e 

n. 466, in materia, rispettivamente, di utilizzazione di procedure telematiche per la 
semplificazione degli adempimenti tributari in materia di atti immobiliari e di ulteriori 
interventi di riordino delle imposte personali sul reddito al fine di favorire la 
capitalizzazione delle imprese. Decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (G.U. 
n. 61): Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell'articolo 10 della 
legge 13 maggio 1999, n. 133 (disposta la soppressione di numerosi trasferimenti 
erariali sostituiti da compartecipazioni regionali all'iva, dall'aumento dell'aliquota 
dell'addizionale regionale all'irpef e da un'aliquota di compartecipazione su base 
regionale all'accisa sulle benzine). Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (G.U. 
n. 76): Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore 
aggiunto, a norma dell'articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205. Decreto legislativo 
30 marzo 2000, n. 99 (G. U. n. 96): Disposizioni integrative e correttive dei 
decreti legislativi 18 dicembre 1997, numeri 471, 472 e 473, in materia di sanzioni 
amministrative tributarie. Legge n. 212 del 27 luglio 2000 (G.U. n. 177): 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

52 

Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente (in vigore dal l 0 agosto 
2000; fra i principi pi� importanti, l'obbligo dell'amministrazione di garantire informazione 
e assistenza al contribuente, il diritto di interpello su questioni controverse, 
limitazione delle disposizioni interpretative e retroattive, tutela dell'affidamento 
e della buona fede del contribuente, equit� e ragionevolezza delle sanzioni, esclusione 
di sanzioni per le violazioni formali, estensione della possibilit� di compensazione, 
istituzione del Garante del contribuente). 

Decreto legislativo 19 luglio 2000, n. 221 (G.U. n. 183): Disposizioni integrative 
e correttive del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, in materia di riordino 
della disciplina tributaria dei redditi di capitale e dei redditi diversi. D. Min. Finanze 
5 ottobre 2000 (G.U. n. 249): elenco degli Stati con i quali � attuabile lo scambio di 
informazioni ai sensi delle convenzioni per evitare le doppie imposizioni. 

D. Min. Finanze 28 settembre 2000, n. 301 (G.U. n. 250): Regolamento recante 
norme per il riordino della Scuola Centrale Tributaria. 
Collegato alla legge di bilancio per l'anno 2000, legge n. 342 del 21 novembre 
2000 (G.U. n. 276, suppi. ord.): Misure in materia fiscale, con disposizioni sul reddito 
d'impresa, le collaborazioni coordinate e continuative (i cui redditi sono ora 
assimilati a quelli di lavoro dipendente), le collaborazioni familiari (i cui oneri 
sono detraibili dal reddito), la riforma delle imposte di successione (in vigore dal 
1� luglio 2000) e donazione (in vigore dal 1� gennaio 2001), la rivalutazione dei 
beni di impresa, la riforma della tassazione dei redditi di lavoro dipendente prodotti 
all'estero. 

TRIBUTI LOCALI. Legge n. 290 del 11 ottobre 2000 (G. U. n. 245): Disposizioni 
in materia di minori entrate delle regioni a statuto ordinario a seguito della soppressione 
dell'addizionale regionale all'imposta erariale di trascrizione e della riduzione 
dell'accisa sulla benzina nonch� disposizioni finanziarie concernenti le province 
e i comuni. 

UNIVERSIT� DEGLI STUDI. D. Min. universit� e ricerca scientifica 3 novembre 
1999 n. 509 (G. U. n. 2): Regolamento sull'autonomia didattica degli atenei. D. Min. 
universit� 21 dicembre 1999 n. 537 (G.U. n. 24): regolamento per l'istituzione e 
l'organizzazione delle scuole di specializzazione per le professioni legali. 

UsuRA. Decreto-legge n. 394 del 29 dicembre 2000 (G.U. n. 303); convertito 
nella legge n. 24 del 28 febbraio 2001 (G. U. n. 49/2001; testo coordinato G. U. 

n. 49/2001): Interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni 
in materia di usura. 
VIGILI DEL FUOCO. Legge n. 246 del 1o agosto 2000 (G. u. n. 206): 
Potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. 

VALUTARIO. Legge n. 326 del 7 novembre 2000 (G.U. n. 264): Modifiche al 
testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, 

n. 148, in materia di sanzioni per le violazioni valutarie. 
GIUSEPPE ALBENZIO 

OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 


Benvenuti a questa seconda edizione dell'osservatorio giuridico su Internet. 
Anche questa sar� caratterizzata da una parte su esperienze nate dalle ricerche ed 
un'altra con la recensione di un sito di particolare interesse giuridico. Per la prima 
parte pi� che partire da singole esperienze ho preferito affrontare qualche problematica 
di ordine generale propria della tipologia della ricerca per parola (quando 
cio� non si � in possesso di dati certi di ricerca) che � quella che pone maggiori problemi. 
Questa scelta nasce anche dalla realt� ormai pi� consolidata dell'uso di Internet 
all'interno dell'Avvocatura Generale dello Stato, per cui mi � sembrato pi� interessante 
affrontare problemi tipici dell'interrogazione di un cos� grande strumento di 
ricerca quali i risultati fuori contesto e la scarsit� di esiti. 

IL CASO E LA NECESSIT� NELLA RICERCA PER PAROLA 

In uno dei suoi racconti pi� famosi Borges narra di un cartografo che per rendere 
la sua carta sempre pi� perfetta finisce per disegnarla altrettanto grande della 
terra stessa che deve rappresentare. Possiamo assumere questa metafora per cercare 
di immaginare la realt� di Internet. Appare allora evidente la difficolt� di navigare 
senza mappe in un oceano di testi e ipertesti. 

Ma mappe non ne esistono e il problema si sente con maggiore evidenza nella 
ricerca per parole: quando, infatti, abbiamo gi� i dati di quel che cerchiamo il problema 
pu� venire solo dalla ridondanza dei risultati; ma quando cerchiamo solo per 
parole allora la ridondanza � massima e non riguarda solo le fonti, ma inerisce alla 
natura stessa dei risultati. � nella natura stessa, infatti, della ricerca per parola il problema 
della pertinenza o meno della stessa al risultato cercato. 

Un problema che spesso si � posto nel mio lavoro di ricerche � quello di non 
riuscire a motivare ad alcuni utenti come sia poco produttivo, a fronte di un certo esiguo 
e non soddisfacente -risultato, riprovare aggiungendo altre parole a quelle 
gi� usate. Apparentemente la richiesta � superflua: se ho dieci documenti a fronte 
di un'interrogazione composta da tre termini, e ne aggiungo altri, � chiaro che i 
risultati non possono che diminuire. Ma riflettiamo sul fatto che spesso quello che 
spiazza i richiedenti non � tanto l'esiguit� del risultato, quanto il suo essere completamente 
fuori campo. Allora giustamente, dal loro punto di vista, chiedono di 
aggiungere altri termini per precisare maggiormente il campo della ricerca. Quello 
che appunto sfugge � ci� che ho chiamato caso e necessit�. Quello che, infatti, � 
necessario per non andare fuori campo � individuare la necessit� di quel significato 
pescandola dal caso della presenza di quella parola in una serie di ricorrenze 
puramente occasionali (ho usato non a caso il concetto di pesca rammentando, mi 
si perdoni il ricordo, come mi chiamava l'avv. Ferri: lei che sa lanciare il suo amo 
e trovare sempre qualcosa). 

La presenza o l'assenza di una certa parola dove ci aspettiamo di trovarla � 
determinata dal contesto in cui quella parola � o meno presente. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

54 

Spassosissimi esempi di parole casuali decontestualizzate nelle espressioni pi� 
incredibili sono stati citati da Umberto Eco in varie Bustine di Minerva (la rubrica I 
che ha sull'Espresso) in cui si divertiva a far tradurre una frase italiana in inglese 
da un programma di traduzione automatica, poi la faceva tradurre in francese, poi 

I

in tedesco, poi in spagnolo e -infine -la faceva ritradurre in italiano. Naturalf'. 


mente la frase alla fine del giro di traduzioni era completamente diversa e sconcertante, 
a volte divertente, a volte semplicemente senza senso. Ma il problema non si 
risolve con un avverbio: il punto � capire perch� fallisca un programma autoapprendente, 
un programma cio� che impara -dalla ripetizione dei termini nelle 


I

varie espressioni -a contestualizzare ogni vocabolo nel suo specifico modo d'uso . 
. Ma il problema � che non � la statistica che pu� determinare il nostro libero arbitrio 
di usare -anche per quella sola, singola, necessaria, volta -quel vocabolo 


in quel contesto. 

Il problema � esattamente lo stesso della reperibilit� di parole necessarie al di 

fuori di contesti casuali. 

Quindi il problema della reperibilit� delle parole diventa il problema di dare 

parole ai contesti. Per cui mi viene da rivalutare quella richiesta di alcuni utenti di 
. aumentare le parole della domanda a fronte di una risposta insoddisfacente. Ma il 
punto chiave non � la proliferazione delle parole domandanti per cercare di aumentare 
surrettiziamente le possibilit� di pesca, bens� l'individuazione di una serie 
alternativa (nel senso di una serie di sinonimi da usare alternativamente) di parole 
aggettivanti nel senso che contestualizzano la parola sostantivo (quella cio� chiave 
della domanda) per tagliare fuori le parole casuali e pescare solo quelle necessarie. 


L'insufficienza e/o l'inesattezza delle risposte non � il solo problema che si pu� 

incontrare solcando la grande carta di Internet ricercando solo per parole: un'altra 

richiesta che spesso, infatti, mi trovo ad affrontare �: �ma non c'� nient'altro?�. 

� questa una di quelle domande a cui verrebbe voglia di rispondere di getto con: 

�se ci fosse altro il computer lo tirerebbe fuori!� (con tanto di punto esclamativo); 

ma il punto � che il computer non tira fuori proprio un bel niente. Siamo noi stessi 

che tiriamo fuori le risposte a seconda di come formuliamo le domande; il compu


ter � l'essere pi� stupido che esiste: � solo il nostro postino. Siamo noi che scrivia


mo le lettere, che le impostiamo e che leggiamo (soprattutto nel senso che decifria


mo) le risposte! 

Qual �, allora, la risposta da dare a questa domanda? Fino a qualche tempo fa 

non sapevo quale fosse la risposta giusta, poi un giorno me l'ha data mia figlia Mor


gana quando le ho portato una ricerca sulla citt� rinascimentale che le serviva per la 

scuola e lei mi ha detto: �tanto sono le stesse identiche cose che ha trovato il pap� 

di Francesca�. 

� a quel punto che una lampadina mi si e accesa e ho pensato: �ma allora le 

mappe di Internet (i famosi motori di ricerca, che tra l'altro funzionano solo attra


verso la ricerca per parola, per cui forniscono quell'enorme e del tutto casuale 

quantit� di risultati che tanto spaventa i neofiti) danno a tutti le stesse risposte, ma 

allora la grande carta di Internet non � poi cos� grande se a tutti d� le stesse rispo


ste, ma allora per riuscire a ingrandire ancora di pi� la carta di Internet e trovare 

risposte originali e non standardizzate bisogna ingegnarsi a cercare sotto diverse 

parole�. 


PARTE II, OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 

55 

Anche in questo caso quindi l'uso dei sinonimi (nel caso specifico: urbanistica, 
architettura, utopia, umanesimo) ha allargato la griglia dei risultati uscendo dalle 
strettoie delle risposte standardizzate. 

Ma non sempre l'uso dei sinonimi riesce a raggiungere l'obiettivo e a questo 
punto si rende sempre pi� indispensabile, per raggiungere la necessit� e saltare il 
caso, il passaggio dalla parola testo alla parola concetto. � singolare che tutti i pi� 
autorevoli esperti di Internet si dichiarino convinti della necessit� di motori di ricerca 
non pi� basati sulla ricerca per parola ma sulla ricerca per concetto. Si rende, 
cio�, necessario lo stesso salto che da anni aspettiamo nella televisione per passare 
da passivi utenti delle tv generaliste ad (inter)attivi utenti di tv tematiche: serve, 
quindi, un salto dal motore di ricerca generalista al motore di ricerca settoriale che 
possegga un suo soggettario o -per meglio dire -thesaurus di concetti in cui 
incasellare le parole e i testi nel loro esatto contesto, sfuggendo cos� alle fauci del 
caso e diventando sempre pi� perfetta necessit�. 

� singolare che anche la carta di Internet abbia bisogno, per essere percorsa e 
resa intelligibile, degli stessi strumenti di navigazione su cui si rompevano la testa i 
monaci medievali: i thesaurus. 

CASO E NECESSIT� 

Parlo di caso e di necessit� perch� leggendo il saggio di Monod mi � sembrato 
di ravvisare una rassomiglianza di comportamento tra l'organismo vivente da lui 
studiato e le forme del linguaggio di cui parlo. Vediamo un p� qualcuna di queste 
rassomiglianze: �L'organismo � una macchina che si costruisce da s�. Non � l'intervento 
di forze esterne a imporgli la sua struttura macroscopica ma questa si costituisce 
in modo autonomo grazie a interazioni costruttive interne� (1 ). 

Se sostituiamo linguaggio a organismo possiamo benissimo sottoscrivere che il 
linguaggio � autoreferenziale per cui nella ricerca dobbiamo sempre tener presente 
la possibilit� di imbatterci in parole che non ci aspettiamo di trovare proprio perch� 
esse non rispettano regole certe. 

Il concetto di presenza casuale di parole in determinati contesti lessicali si esplicita 
in quest'altra citazione: �Quindi due molecole (o regioni di molecole) potranno 
entrare in un'associazione non covalente soltanto se le loro superfici presentano 
aree complementari per cui parecchi atomi dell'una possono entrare in contatto con 
parecchi atomi dell'altra� (2). Se infatti sostituiamo parole a molecole, suoni a 
supeifici e sillabe ad atomi avremo il concetto di presenza di determinate parole solo 
per semplice assonanza. Perch� �sappiamo che ogni fenomeno, ogni avvenimento, 
ogni conoscenza comporta interazioni di per s� generatrici di modificazioni all'interno 
delle componenti del sistema� (3). E questo � particolarmente valido per il lin


(1) JACQUES MONOD, Il caso e la necessit�, Milano, Mondatori, 1970 
(2) lvi. 
(3) lvi. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

56 

guaggio, per cui occorre sempre tener conto del fattore tempo e, quindi, quando si 
fa una ricerca in un largo spettro temporale bisogna tener presente che negli anni pu� 
essere cambiato l'uso di determinate parole per cui, ad esempio, in alcuni anni si 
usava il termine imposta in altri si preferiva tributo e cos� via. 

Concludendo quindi, parafrasando Monod che dice che �a livello di popolazione, 
pertanto, la mutazione non rappresenta affatto un fenomeno eccezionale: � 
la regola� (4), potremmo dire che a livello di linguaggio la mutazione non rappresenta 
affatto un fenomeno eccezionale: � la regola. E questa regola � a maggior 
ragione valida nel linguaggio mutante per eccellenza: quello di Internet . Per 
cui potremmo sintetizzare che, probabilmente, l'unica regola del linguaggio anarchico 
di Internet � la regola della mutazione autogena de Il caso e la necessit� di 
Monod. 

Ma, forse, potremmo anche trovare un'altra regola al magma linguistico d'Internet: 
la velocit� della mutazione. E, caso strano, si ribalta la legge di Darwin per 
cui � ... siamo sempre lenti nel riconoscere i grandi cambiamenti dei quali non vediamo 
le tappe� (5). Oggi che i cambiamenti sono rapidissimi e potremmo, quindi, percepire 
tutte le tappe delle mutazione, � questa stessa velocit� che ci rende inintelligibile 
il mutamento. 

E, infine, davvero concludo -circolarmente come ho iniziato -con Borges 
� ... la confusione e la meraviglia sono operazioni proprie di Dio e non degli uomini
� (6); per cui presumo che al pi� presto saranno pronte mappe tematiche precise 
per percorrere la grande carta di Internet senza fare la fine di quel re di Babilonia 
del racconto � ... in mezzo al deserto, dove egli mor� di fame e di sete� (7). 

PRESENTAZIONE DI UN SITO 

(CAMERA DEI DEPUTATI) 

INDIRIZZO: http://www.camera.it 
Ricerca effettuata in data 17 gennaio 2001 

L'home page del sito si presenta un po' troppo piena e, pertanto, bisogna porre 
una particolare attenzione per trovare quello che serve. 

Le voci che possono essere interessanti sono nella parte sinistra: 

L'ATTIVIT� 

PARLAMENTARE 

I lavori 
Il rapporto con il Governo 
Relazioni internazionali e con l'Unione Europea 


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(4) Ivi. 
(5) CHARLES DARWIN, L'origine della specie, Roma, Editori Riuniti, 1982. 
(6) JORGE LUis BoRGES, L'Aleph, Milano, Feltrinelli, 1977. 
(7) Ivi. 
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PARTE II, OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 

57 

LE BANCHE 
DATI 


Leggi Regionali 
Sindacato Ispettivo 


PRIMA PAGINA 

I siti istituzionali 

nella parte centrale: 

I LAVORI 

Temi e provvedimenti della settimana 

In aula 

Ordine dei giorno 
Calendario 
Resoconti in corso di seduta 


In commissione 
I lavori della settimana 
Resoconti del giorno 
Composizione e convocazioni 


Progetti di legge 
Guida alla consultazione dei documenti legislativi all'esame del Parlamento 
Ricerca per numero 
Ricerca per chiavi 
Da assegnare 
D.d.l. governativi 
Progetti Costituzionali 
Cancellati dall 'odg 


Per non disperdersi la cosa migliore � concentrarsi sulla fascia in alto e sui suoi 
bottoni che rimandano alle voci descritte. Questi bottoni si presentano cos�: 

ORGANISMI LEGGI 13� ORDINE DEL DIRETTA SITI SCRIVI ALLA 

CERCA AIUTO

BICAMERALI LEGISLATURA GIORNO AULA SELEZIONATI CAMERA 

Cliccando su organismi bilaterali entro in un elenco attivo (*) di tutti questi 
organismi che mi permette di avere una scheda attiva della commissione. 

(*) Per attivo intendo che mi permette di entrare nei testi che nomina, le aree attive sono 
scritte in blu e sottolineate. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO. 

58 

Cliccando, invece, su leggi 13� legislatura ho la possibilit� di seguire i seguen


ti itinerari di ricerca: 

� Indici delle leggi: 
-in ordine cronologico 
-per tipologia 
-per aree tematiche 
� Leggi maggiormente richieste 
� Progetti di legge approvati non promulgati o pubblicati 
� Decreti-legge in corso di conversione 
� Decreti legislativi 
Provo quello cronologico che, in genere, � quello pi� diffuso e ottengo questa 
scheda che mi permette di arrivare velocemente al testo desiderato. 

Periodo di promulgazione: 

2001 

Gen. 

2000 

Gen. Feb. Mar. 
Apr. Mag. Giu. 
Lug. Ago. Set. 
Ott. Nov. Dic. 


Cliccando su Gen. 2000 ottengo l'elenco -decrescente -delle leggi promulgate 
in tale mese, cos� presentate: 

Leggi promulgate nel Mese di Dicembre 2000 

L. 409/00 Erogazione del contributo obbligatorio dell'Italia al Fondo multilaterale 
per il Protocollo di Montreal per la protezione della fascia di ozono 
Legge n. 409 del 29 Dicembre 2000, G.U. n. 9 del 12 Gennaio 2001. 

Numeri dei progetti di legge nell'iter parlamentare: 

C. 6898 I S. 4924 
L.408/00 
Ratifica ed esecuzione dell' Accordo fra il Governo della Repubblica 
italiana ed il Governo della Repubblica del Sud Africa per la 
cooperazione nel campo della difesa e degli equipaggiamenti della 
difesa, fatto a Roma il 1 O luglio 1997 

Legge n. 408 del 20 Dicembre 2000, G.U. n. 9 del 12 Gennaio 2001. 

Numeri dei progetti di legge nell'iter parlamentare: 

S. 4271 I C.6692 

PARTE II, OSSERVATORIO GIURIDICO SU INTERNET 

E cos� via, sempre in ordine decrescente. 
Come si pu� notare esiste la possibilit� di accedere ai relativi progetti di leggi. 
Provando ad entrare nel primo, otteniamo la sua scheda: 


Scheda lavori preparatori 
Atto parlamentare: C. 6898 
(Fase iter Camera: la lettura) 

Erogazione del contributo obbligatorio dell'Italia al Fondo multilaterale 
per il protocollo di Montreal per la protezione della fascia di ozono 

Parte/: Documenti 

Stampati Note Scheda lavori preparatori 
c. 6898 iniz. Gov. pres. il 28/3/00 
C. 6898-A relazione della commissione 
presentata il 7 /12/00 
S.4924 numero del progetto trasmesso progetti cancellati dall'odg: 
al Senato c. 6898 
Messaggio progetto approvato definitivamente 
in attesa di promulgazione o 
pubblicazione 

Parte II: Lavori in Commissione 

Sede Commissione � Bollettino del 
Referente III Affari esteri 6.12.2000 
III Affari esteri (conci. esame) 7.12.2000 
Consultiva Comitato pareri I Affari costituzionali(parere) 6.12.2000 
Comitato pareri V Bilancio 6.12.2000 
Comitato pareri V Bilancio (parere) 7.12.2000 
VIII Ambiente (parere) 6.12.2000 
VIII Ambiente (testi) 6.12.2000 

Parte III: Lavori in Assemblea 

Seduta Fase procedimento 
823 del 11 dicembre 200 Discussione: contingentamento tempi discussione generale; 
discussione sulle linee generali; replica del relatore a. c. 6898. 

825 del 13 dicembre 2000 
Discussione: contingentamento tempi seguito esame; esame 
dell'articolo unico a. c. 6898. Ripresa discussione: dichiarazioni 
di voto finale; votazione finale e approvazione. 

Possiamo cos� conoscere tutti gli atti parlamentari della norma. 

Tornando, ora, ai bottoni della fascia in alto dell' home page troviamo ordine del 
giorno che ci informa dell'ordine del giorno in tempo reale, diretta aula che sconsiglio 
perch� � un file audio/video ed � -quindi -molto lento, siti selezionati che 
d� una serie di link istituzionali, scrivi alla camera e aiuto che sono dei bottoni di 
servizio e -infine -cerca che permette di ricercare per parola (con tutte le difficolt� 
di cui alla prima parte della rubrica). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

60 

Nella parte sinistra dell'home page sono utili per il lavoro dell'Avvocatura 
Generale dello Stato I lavori in L'attivit� parlamentare con cui si accede direttamente 
ai lavori parlamentari. 

Nella parte centrale dell' home page c'� la porta pi� veloce per accedere ai disegni 
di legge quando se ne possiede gi� il numero: Ricerca per numero in Progetti 
di legge. 

Complessivamente un sito molto completo sull'attivit� legislativa, ma un po' 
complesso nella struttura e nelle modalit� di navigazione: da visitare solo quando 
serve la storia completa di una norma o quando occorre seguire l'iter di un disegno 
di legge. 

TOMMASO CAPEZZONE 

I 


I 




CONSULTAZIONI 


ACQUE -Acque marine -Concessione di derivazione -Canone -Configurabilit�. 

Se le acque marine siano assoggettabili a rapporto concessorio di derivazione; 
e, nell'affermativa, come vada determinato il relativo canone. (es. 12140/97). 

Art. 1 legge 5 gennaio 1994 n. 36. 

Parere in ordine all'interpretazione dell'art. 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36. 
Se il disposto di cui all'art. 1, lett. e, della legge 8 agosto 1985 n. 831 debba trovare 
applicazione anche per le acque divenute pubbliche in virt� della legge n. 36/94. 
(es. 9632/96) 

Iscrizione elenchi acque pubbliche -Effetti. 

Quali effetti siano da ricondurre all'iscrizione nei pubblici elenchi delle acque 
pubbliche. Conseguenze in ordine alle richieste di concessione di acque non iscritte 
negli elenchi. (es. 14408/98) 

APPALTO -Inadempimento appaltatrice -Sostituzione componente -Prezzo. 

Se sia configurabile come transazione l'accordo tra P.A. ed impresa fornitrice 
con cui quest'ultima -responsabile dell'avaria di una componente meccanica -si 
obblighi alla sua sostituzione con altra componente -diversa e dal costo superiore 
rispetto all'originaria -pretendendo la corresponsione della differenza sul prezzo. 
(es. 12717/98) 

Servizi -Redazione strumenti tecnico-urbanistici ed amministrativo-procedurali Normativa 
applicabile. 

Applicabilit� degli elementi di valutazione di cui al d.p.c.m. 27 febbraio 1997 

n. 116 alla procedura di gara d'appalto di servizio relativo alla redazione di strumenti 
tecnico-urbanistici ed amministrativo-procedurali. (es. 4940/99) 
ARBITRATO -Compensi in favore dei collegi -Criteri. 

Criteri di determinazione dei compensi in favore dei Collegi arbitrali. (es. 
20898/98) 

ASSICURAZIONE -Assicurazioni in favore di dipendenti in missione -Legittimati ad 
agire contro l'istituto assicuratore. 

Questioni relative ai contratti di assicurazione stipulati dal Ministero della 
Difesa a favore dei propri dipendenti inviati in missione ONU; in particolare: a) 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAtd.

62 

soggetto legittimato ad agire contro l'istituto assicuratore per l'erogazione del 
capitale (o a transigere); b) esistenza o meno di un obbligo del Ministero di assicurare 
il personale di che trattasi e conseguenze in caso di mancata assicurazione. 

(es. 6235/00) 

Assicurazioni obbligatorie -Sequestro veicoli in mancanza di copertura assicurativa 
-Dissequestro -Presupposti. 

Veicoli sequestrati perch� posti in circolazione senza essere coperti da assicurazione 
obbligatoria. 

Se, nel caso in cui, nel termine assegnato, vengano pagati il premio di assicurazione 
per almeno sei mesi e parte della pena pecuniaria rateizzata, si possa disporre 
il dissequestro del veicolo (salvo confisca nel caso in cui venga interrotto il 
pagamento delle ulteriori rate della pena pecuniaria). (es. 178/99) 

I 

ATTO AMMINISTRATIVO -Procedimento amministrativo -Accordi tra pubbliche 
amministrazioni sostitutivi o procedimentali -Accordi di programma -Urba


I 

nistica. 

I 

Schema di convenzione tra il Ministero per i beni e le attivit� culturali, Comu1 
ne di Roma e Regione Lazio. Strumenti convenzionali sostitutivi della potest� 
amministrativa di regolamentazione urbanistica ovvero costituenti accordi procedi


I 
mentali su tempi e modalit� di esercizio dei poteri di ciascuna parte pubblica. Autorit� 
legittimata a partecipare all'accordo. Vincoli ambientali. (es. 9499/99). 

I 

AwocATURA DELLO STATO -Consob-Rappresentanza e difesa in giudizio. 

I

Natura del patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato. Se l'Avvocatura 
dello Stato possa assumere il patrocinio della Consob congiuntamente ad avvocati 
che prestano servizio presso la Commissione (es. 2201/00). 

Ente territoriale subentrato allo stato in controversia giudiziaria -Rappresentanza 
e difesa. 

Subentro (in data successiva al 31marzo1996) del Comune di Napoli in controversia 
giudiziaria pendente alla data del 31 marzo 1996 di cui era parte concessionario 
di intervento ex L. 219/81 e relativa ad indennit� di esproprio di 
immobile occorrente per la realizzazione dell'intervento: se la rappresentanza e 
difesa del Comune di Napoli nel suddetto giudizio spettino all'Avvocatura dello 
Stato. (et. 27344/95) 

Policlinici universitari -Patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato. 

Policlinici universitari (art. 4, 5� comma, d.lgs. 502/92): se abbiano capacit� 
processuale ai sensi dell'art. 75 c.p.c. e -nell'affermativa -se godano del patrocinio 
dell'Avvocatura dello Stato. (es. 10685/97). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

BELLEZZE NATURALI -Superfici lacuali -Tutela. 

Se e quali mezzi di tutela siano previsti dall'ordinamento per la tutela delle 
superfici lacuali in relazione alla possibilit� che nelle medesime siano realizzate 
opere non collegate stabilmente al tratto costiero come, ad esempio, pontili fissi 
senza ancoraggio alla battigia. (es. 14495/99) 

BENI -Aziende agricole annesse alle case di reclusione -Affidabilit� gestione a 
terzi -Corrispettivo. � 

Natura delle aziende agricole annesse alle case di reclusione ed esame della 
possibilit� di affidare la gestione delle stesse a soggetti estranei all 'Amministrazione, 
verso il pagamento di un canone inferiore a quello di mercato ed onere per il 
gestore di assumere mano d'opera detenuta. (es. 1681/98 e 777/98) 

Di interesse archeologico -Possesso di privati -Tutela. 

Cose di interesse archeologico rinvenute in possesso, non giustificato, di privati: 
quali iniziative debba assumere l'Amministrazione. (es. 3403/98) 

Realizzazione servizi aggiuntivi da parte di concessionari -Costruzione prefabbricati 
a servizio di aree archeologiche -Licenza edilizia. 

Realizzazione di prefabbricati ed impianti destinati a servizio di aree archeologiche 
da realizzarsi a cura di privati concessionari di servizi aggiuntivi ai sensi 
dell'art. 4 della legge 14 gennaio 1993 n. 4: se occorra l'acquisizione di licenza edilizia 
o trovi applicazione quanto disposto dal d.P.R. 383/94 (in tale seconda ipotesi, 
esame di questioni relative allo svolgimento della procedura descritta dal ridetto 
d.P.R.). (es. 9918/99) 

CIRCOLAZIONE STRADALE -Opposizione all'accertamento di violazioni. 

Opposizione diretta all'autorit� giudiziaria avverso il verbale di accertamento di 
violazioni del codice della strada: a) se spetti al Ministero dell'Interno la legittimazione 
passiva quando l'accertamento provenga da organi di polizia stradale appartenenti 
ad amministrazioni statali diverse dal Ministero stesso; b) se ai fini della tempestivit� 
dell'opposizione valga il termine di cui all'art. 203 cod. strad.; c) se occorra 
delega dell'Avvocatura in favore di funzionario dell'amministrazione diversa da 
quella dell'interno evocata in giudizio; d) giudizio di opposizione contro la cartella 
esattoriale. (es. 5232/95) 

COMUNIT� EUROPEA -Divieto di importazioni -Contingente -Superamento Conseguenze. 


Applicabilit� della sanzione penale di cui all'art. 11, 3�comma, r.d.l. 14 novembre 
1926 n. 1923 a colui che immette in libera pratica nell'Unione europea merce la 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�C

64 

cui importazione non sia vietata in modo assoluto, ma limita ad un certo contingente 
e l'immissione riguardi invece merce oltre il quantitativo previsto dal contingente. 
(es. 13768/98). 

CONCESSIONE -Enti concessionari -Totale finanziamento dello Stato -Conseguenze. 

Interpretazione dell'art. 21bis del d.l. 23 giugno 1995 n. 244 convertito in legge 
8 agosto 1995 n. 341: se per �alloggi prefabbricati costruiti dallo Stato� possano 
intendersi anche le costruzioni prefabbricate realizzate con finanziamento a totale 
carico dello Stato, in regime di concessione o a favore di Enti realizzatori diversi 
dallo Stato. ( cs.15181/98) 

Servizi portuali -rilascio -Competenza. 

Autorit� competente al rilascio delle concessioni per l'esercizio dei servizi portuali 
(con particolare riferimento ai servizi portuali che richiedano l'impiego di 
mezzi nautici). (es. 12139/98) 

DEMANIO -Occupazione abusiva -Sgombero -Comunicazione avvio procedimento 
-Effetti penali. 

Se siano connaturate ai procedimenti amministrativi di ingiunzione di sgombero 
per occupazione demaniale marittima abusiva le particolari esigenze di celerit� 
che, ai sensi dell'art. 7 legge 241190, consentono all'amministrazione di astenersi 
dalla comunicazione ai soggetti interessati all'avvio del procedimento e se, conseguentemente, 
soddisfi l'onere di motivazione dell'atto il semplice richiamo al disposto 
dell'art. 7 legge 241/90. 

Rapporti tra il procedimento amministrativo di ingiunzione e gli obblighi della 

P.A. connessi alla rilevanza penale dell'occupazione. (es. 31717 /97) 
DOGANA -Diritti doganali -Ingiunzione -Controversie. 

Parere su schema di circolare in materia doganale: questioni concernenti l'ingiunzione 
ex art. 82 TULD, l'accertamento dei diritti doganali, la rettifica e la revisione 
dell'accertamento definitivo nonch� il regime delle controversie doganali. 
(es. 10281/99). 

EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA -Acquisto -Successione tra leggi -Disposizioni 
applicabili. 

Se alle istanze d'acquisto degli assegnatari di alloggi di Edilizia Residenziale 
Pubblica non ancora definite alla data di entrata in vigore della legge 24 dicembre 
1993 n. 560 sia applicabile la disciplina di cui alla legge 8 agosto 1977 n. 513 come 
modificata dalla legge 5 agosto 1978 n. 457. (es. 10449/98) 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

ENTI -Funzioni dell 'ANAS -Delega alle province autonome di Trento e Bolzano Rapporti 
-Successione. 

Delega alle province autonome di Trento e Bolzano delle funzioni dell' ANAS 
e soppressione del compartimento ANAS competente per il Trentino Alto Adige 
(d.lgs. 320/97): se ed in quali rapporti risarcitori passivi, in atto alla data dell'l 
luglio 1998, le ridette province succedano all'ANAS; e come debba operarsi ove 
una di queste sia stata condannata per un rapporto rimasto nella titolarit� dell' ANAS. 
(es. 4112/00) 

ESPROPRIAZIONI -Retrocessione -Occupazione dell'amministrazione militare Ammissibilit�. 


Parere in ordine all'istanza di retrocessone di beni occupati dall'amministrazione 
militare. (es. 7445/98) 

IMPIEGO PUBBLICO -Attivit� assistenziale -Presso cliniche ed istituti di ricovero e 
cura convenzionati -Indennit� ex art. 4, legge 213171. 

Personale docente che esplica attivit� assistenziale presso le cliniche e gli istituti 
universitari di ricovero e cura convenzionati ai sensi dell'art. 39 legge 833/78: 
se spetti l'indennit� di cui all'art. 4 della legge 213/71 (c.d. indennit� De Maria) 
anche nell'ipotesi che detto personale sia posto in aspettativa per motivi di studio. 
(es. 3191/00). 

Collegio arbitrale di disciplina -Spese di lite -Assistenza da parte di rappresentante 
sindacale. 

Collegio arbitrale di disciplina (art. 59 d.lgs. 29/93): se possa condannare il soccombente 
al pagamento delle spese di lite; e nell'affermativa se possa irrogare detta 
condanna allorch� la parte vincitrice sia stata assistita non da avvocato ma da rappresentante 
sindacale. (es. 4941/97) 

Facolt� scienze motorie -Personale docente non universitario -Funzioni. 

Trasformazione degli istituti superiori di educazione fisica e istituzione di 
facolt� di scienze motorie: parere in ordine al mantenimento delle funzioni didattiche 
del personale docente non universitario ed alla individuazione di dette funzioni. 
(es. 17504/99) 

Incompatibilit�. 

Incompatibilit� della carica di Presidente o componente del Consiglio di Amministrazione 
dell'ENEA con quella di amministratore o dipendente di societ� operante 
nel settore di intervento dell 'ENEA. (es. 5108/99). 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e

66 

Infermit� o lesione dipendente da causa di servizio -Personale militare o equipa


rato -Costi per procedimenti definiti. 

Procedimenti di riconoscimento di infermit� o lesione dipendente da causa di 
servizio o di concessione di equo indennizzo per il personale militare o equiparato: 
a) se dopo l'emissione del parere del consiglio di Stato che ha ritenuto inapplicabif� 
le al personale militare il d.P.R. n. 349/94 possano essere posti a carico dell' Amministrazione 
della Difesa gli onorari gi� corrisposti all'esperto esterno chiamato a far 
parte della CMO dai dipendenti; b) se riguardo a procedimenti ormai definiti ai sensi 
del d.P.R. 349/94 il personale militare disponga della facolt� di appellarsi alla CM 
di seconda istanza. (es. 2274/99) 

IMPRESA -Contributi a PMI per ricerca -Requisiti -Iscrizione in apposito albo Interpretazione. 


Contributi alle PMI per spese sostenute per lo svolgimento di ricerche di carat


tere applicativo presso laboratori inclusi in apposito albo. Se possano essere ammesse 
a contributo le ricerche svolte presso laboratori non iscritti all'albo, ma legati da 
un rapporto convenzionale con �rganismo gestionale ed amministrativo dotato di 
personalit� giuridica di diritto pubblico operante nell'ambito di un'area per la ricerca 
iscritta all'albo. (es. 938/99) 

NAVIGAZIONE -Gente di mare -Cancellazione a seguito di condanne per reati che 

impediscano l'iscrizione nelle matricole -Sent. Corte Cost. 1 giugno 1995 n. 

220 -Conseguenze. 

Quali siano gli effetti sull'istituto della cancellazione automatica prevista dall'art. 
120 Cod. Nav. per gli iscritti nelle matricole della gente di mare che abbiano 
subito condanna, con sentenza passata in giudicato, per reati che a norma del Reg. 
Nav. Mar. impediscano l'iscrizione nelle matricole a seguito della pronuncia della 
Corte Costituzionale 1 giugno 1995 n. 220 con cui � stata dichiarata l'incostituzionalit� 
dell'art. 1258, c. 1�, del Cod. Nav. e dell'art. 152 n. 4 del Reg. Nav. Mar. che 
prevedevano la sanzione disciplinare della cancellazione automatica dai registri dei 
lavoratori portuali che avessero riportato condanna penale comportante l'incapacit� 
di iscrizione. (es. 3613/99) 

REATO -Fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura -Soggetti gestori -Cattiva 
gestione di rilevanza penale -Conseguenze. 

Natura del rapporto giuridico tra il Ministero del Tesoro ed i soggetti beneficiari 
e gestori dei contributi.del fondo per la prevenzione del fenomeno dell'usura. Se tali 
soggetti acquistino la propriet� dei contributi e se, nel caso di cattiva gestione avente 
rilevanza penale, l'amministrazione possa ottenerne l'immediata restituzione 
ovvero debba attendere l'esito del giudizio instauratosi. (es. 8999/96) 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

RESPONSABILIT� CMLE -Magistrati -Esercizio di funzioni -Transazione. 

Transazione relativa a domanda di risarcimento (ex L. 117/88) dei danni asseritamente 
subiti a seguito di atti e provvedimenti giudiziari posti in essere da magistrati 
nell'esercizio delle loro funzioni. (es. 2536/00) 

RESPONSABILIT� PATRIMONIALE-Garanzie ipotecarie -Surroga -Agevolazioni. 

Surroga nelle garanzie ipotecarie iscritte a carico del debitore: a) se l'Ufficio 
Registri Immobiliari possa eseguire le formalit� di annodamento delle surroghe; b) 
se tali formalit� possano fruire delle agevolazioni fiscali previste dall'art. 15, d.P.R. 
29 settembre 1973 n. 601. (es. 16503/98) 

SUCCESSIONE -Mortis causa -Imbarcazione da diporto -Trascrizione -Titolo. 

Quale sia il titolo idoneo ai fini della trascrizione dell'acquisto mortis causa di 
imbarcazione da diporto. (es. 5024/99) 

TRANSAZIONE -Conclusione nella medesima data di pubblicazione sentenza favorevole 
-Annullabilit�. 

Parere circa la convenienza di un'azione volta ad impedire l'efficacia di una 
transazione stipulata dall'amministrazione -all'esito dello sfavorevole giudizio di 
primo grado -lo stesso giorno della pubblicazione della sentenza con cui veniva 
totalmente accolto l'appello della stessa amministrazione. (es. 133/00) 

TRASPORTI -Gestioni governative di Ferrovie -Indennit� di buonuscita e trattamento 
di fine rapporto -Calcolo. 

Dipendenti di Gestioni governative di Ferrovie: quali compensi ed indennit� da 
loro percepiti vadano a comporre la base di calcolo dell'indennit� di buonuscita e 
del trattamento di fine rapporto. (es. 3683/00) 

TRIBUTI -Agevolazioni -Art. 6 bis d.l. 328197 -Concordato fallimentare -Applicabilit�. 


Applicabilit� della disposizione agevolativa di cui all'art. 6 bis del d.l. 328/97, 
convertito dalla legge n. 410/97 al concordato fallimentare. (es. 3212/99) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT�CC

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Contenzioso tributario -Giudicato penale -Effetti nel giudizio tributario. 

Efficacia del giudicato penale sull'accertamento dell'obbligazione tributaria: se 
a seguito dell'abrogazione dell'art. 12 del d.l. n. 429/82 sia corretto orientare l'azione 
dell'amministrazione finanziaria sul criterio di una �radicale� esclusione dell'effetto 
extra penale del giudicato. (es. 2155/99) 

Imposta di bollo -Esenzione -Cessione volontaria di beni -Contratto di compravendita. 


Parere circa la configurabilit� dell'esenzione dall'imposta di bollo ai sensi dell'art. 
22 della tabella �B� allegata al d.P.R. 26 ottobre1972 n. 642 per gli atti di cessione 
volontaria di beni espropriandi aventi la forma di contratto di compravendita 
di diritto privato. ( cs.15655/98) 

FRANCESCA QUADRI