......... . .:-:.-:".:-:.:.>: .. ...":":":":"::. .. .:. Spedizione zrt abbanam: .. ...":":":":"::. .. .:. Spedizione zrt abbanam. Presupposto per il riconoscimento delle libert di circolazione e soggiorno , dunque, una residenza legale, ovverossia nel rispetto delle legislazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno. (8) Comunicazione della Commissione 7 marzo 1985 sugli orientamenti per una politica comunitaria delle migrazioni; decisione della Commissione 8 luglio 1985 sulle procedure di concertazione delle politiche migratorie; libro bianco della Commissione del 1985; Comunicazione 7 dicembre 1988 sui controlli alle frontiere; Comunicazioni dell'll ottobre 91e29 febbraio 94 sulle politiche di immigrazione; Comunicazione 10 dicembre 1993 sui controlli alle frontiere. A ci si aggiungano le modifiche al Trattato (art. 8 A, ora 18) apportate dall'Atto Unico Europeo. (9) Si ricorda che la materia della Cooperazione rafforzata oggetto di radicale riforma da parte del Trattato di Nizza, che ha inserito dei principi generali al titolo VII. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT6 156 Sull'effetto diretto delle disposizioni controverse nella causa a qua 39. -In via preliminare occorre ricordare che, secondo la costante giurispru< lenza della Corte, una disposizione di un accordo stipulato dalla Comunit con paesi terzi va considerata direttamente efficace qualora, tenuto conto del suo tenore letterale nonch dello scopo e della natura dell'accordo, essa implichi un obbligo chiaro e preciso la cui esecuzione ed i cui effetti non siano .mbordinati all'adozione di alcun atto ulteriore (v., in particolare, sentenza 4 maggio 1999, causa C-262/96, Siiriil, Racc., 1-2685, punto 60). = ~I 40. -Occorre quindi verificare se gli artt. 13 dell'accordo di associazione e 41 del protocollo addizionale soddisfino tali criteri. Sull'effetto diretto dell'art. 13 dell'accordo di associazione 41. -Al riguardo, si deve rilevare che la Corte ha gi dichiarato che l'art. 12 del1' accordo di associazione ha una portata essenzialmente programmatica e che le sue disposizioni non sono sufficientemente precise e incondizionate per costituire norme di diritto comunitario direttamente efficaci nell'ordinamento interno degli Stati membri (sentenza 30 settembre 1987, causa 12/86, Demirel, Racc., 3719, punti 23 e 25). 42. -Ora, giocoforza constatare che, come il citato art. 12, relativo alla libera circolazione dei lavoratori, l'art. 13 dell'accordo di associazione si limita apre- Ancora una volta, dunque, risulta confermata e con il valore che assume la previsione da parte della Carta fondamentale (10)-la giurisdizione domestica degli Stati in materia di immigrazione, con l'obbligo tuttavia da parte di questi di rispettare i diritti fondamentali quando agiscono nel quadro del diritto comunitario. Non pu tuttavia tralasciarsi di considerare come vada mano a mano configurandosi, in un sostanziale equilibrio tra il rispetto delle competenze degli Stati membri ed il progressivo aumento dell'azione comunitaria, uno <O.>OO.>OOOO'"'fo..,.,.;;-,,.,_.,,.,...,,:;::.,.;,.,,,.,.,,.,:;.,_.,;:-:;.,,.::,;:::,.,,:;..,.,,.;.;-,,,,.:;::;,,.;::_.,.,,,.,,,,;f.:;,,,.,_.N::lil..N;,_,,,,,.""Wn<>Jll,,:ffi,,.::,,,,,,.,.:;.,,.}ii,,.,""'""''''"""""'' PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 165 32. -Il governo belga e i governi danese, olandese, finlandese e del Regno Unito, che intervengono a suo sostegno, fanno valere che, non avendo modificato il decreto n. 157 /88 per conformarsi alla sentenza Delhaize, il Regno di Spagna ha violato gli obblighi che ad esso incombono in forza dell'art. 5 del Trattato. 33. -Nel controricorso il governo spagnolo sostiene che nella sentenza Delhaize la Corte non si pronunciata sulla conformit delle disposizioni spagnole al diritto comunitario. Afferma che nel diritto di quasi tutti gli Stati membri produttori di vino esistono disposizioni analoghe a quelle esaminate dalla Corte. A suo parere, la vigente normativa spagnola conforme all'interpretazione dell'art. 34 del Trattato data dalla Corte nella sentenza Delhaize e rispetta pienamente la normativa comunitaria. Non sussiste alcun divieto di esportazione di vino sfuso. Per, proprio per la mancanza di imbottigliamento in zona delimitata, ilvino sfuso destinato all'esportazione non potr essere considerato vino di qualit e non potr utilizzare la denominazione d'origine. Non sussistono quindi ragioni per ipotizzare che una regolamentazione nazionale sull'imbottigliamento in zona delimitata di vini di qualit possa costituire un ostacolo alle esportazioni, vietato dall'art. 34 del trattato. Il prodotto vino sfuso -giova ripeterlo -non sottoposto ad alcuna limitazione di circolazione, n all'interno n verso altri Stati membri; non si verifica, per tale prodotto, alcuna differenza di trattamento tra il commercio interno ed il commercio d'esportazione; non si procura alcun vantaggio alla produzione nazionale: il vino sfuso, sia esso esportato, sia immesso in consumo nel territorio nazionale, trattato allo stesso modo: non potr utilizzare la menzione di qualit perch a causa della mancanza di imbottigliamento in zona delimitata, non diventato vino di qualit. Si ritenuto utile aggiungere che nessuna restrizione all'esportazione esiste per il vino che, imbottigliato -quando previsto -in zona delimitata, abbia titolo ad utilizzare la menzione di qualit. Si tratta insomma di prodotti diversi: il vino sfuso, che non ancora un vino di qualit e non potr esserlo se non sar imbottigliato in zona delimitata (quando previsto), ma che pu circolare liberamente come tale -cio come vino sfuso comune -sia all'interno dello Stato membro che all'interno della Comunit; il vino imbottigliato in zona delimitata (quando previsto) che ha assunto il titolo di vino di qualit e che, anch'esso, pu circolare liberamente ovunque. Sulla base delle considerazioni che precedono, si dunque escluso qualsiasi fondamento alla violazione dell'art. 34 del Trattato, contestata alla Spagna. 7. -Con la seconda argomentazione, proposta in via subordinata, stata appoggiata la tesi difensiva della Spagna, osservando che la violazione addebitata a tale Stato membro, ove ritenuta sussistente, sarebbe stata da considerare giustificata, sia ai sensi dell'art. 36 CEE (divenuto art. 30 CE), sia per l'esigenza imperativa di tutelare i consumatori. Anzitutto -si dedotto -l'applicabilit, in astratto, del citato art. 36, a tutela della propriet industriale e commerciale, stata ammessa dalla Corte nella sentenza DELHAIZE, ai punti 16 -18 della motivazione in diritto. Ragioni importanti di tutela della propriet industriale e commerciale, cos come di tutela della qualit del prodotto (che una delle finalit dell'organizzazione comune di mercato) ricorrono tuttavia anche in concreto. Ed al riguardo stato richiamato quanto dedotto in proposito dalla Spagna nel suo controricorso. stato poi sottolineato che taluni vini traggono le loro caratteristiche peculiari dal condizionamento in bottiglia, quale elemento integrante delle pratiche di invecchimento, al fine di assicurare quel potenziale di ossido riduzione necessario al mantenimento ed alla esaltazione delle caratteristiche intrinseche di quel particolare vino di qualit. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 166 34. -Di conseguenza, in presenza di un ricorso per inadempimento, occorre esaminare i motivi cos dedotti onde verificare se il Regno di Spagna sia effettivamente venuto meno agli obblighi che ad esso incombono in forza dell'art. 34 del Trattato. 35. -Per quanto riguarda quest'ultima disposizione, si deve appurare nell'ordine, sulla base dei motivi e degli argomenti addotti dalle parti, se, nelle circostanze del caso di specie, il subordinare l'uso della denominazione di origine all'obbligo di imbottigliare il vino nella regione di produzione (in prosieguo: la condizione controversa ) costituisca una restrizione alla libera circolazione delle merci e, eventualmente, se essa sia autorizzata dalla normativa comunitaria in materia di v.q.p.r.d oppure se sia giustificata da uno scopo di interesse generale tale da prevalere sulle esigenze della libera circolazione delle merci. evidente, in tali casi, che il semplice rispetto degli altri requisiti del disciplinare di produzione non sufficiente a garantire l'esistenza ed il mantenimento delle suddette caratteristiche organolettiche. Per ottenere tale garanzia necessario anche l'imbottigliamento all'origine. Tenendo in disparte i rischi di sofisticazioni e di frodi, non pu negarsi invero che il prodotto esportato sfuso subisce determinati stati di alterazione o di non idonea conservazione delle caratteristiche minime previste dal disciplinare di produzione, collegate all'acquisizione dei caratteri organolettici, che pu avvenire solo tramite l'imbottigliamento in zona. Come ha riconosciuto anche l'Office Intemational de la Vigne et du Vin (Gruppo di regolamentazione e controllo della qualit -XXV Sessione del 16 maggio 1990) la pratica del! 'imbottigliamento in zona di produzione costituisce l'atto finale del!' elaborazione del vino. Per quanto riguarda le esigenze imperative di tutela dei consumatori, stato fatto notare che un vino Marsala prodotto con uve della zona di Trapani ed imbottigliato in quella zona, costituisce senza dubbio un prodotto diverso da un vino ( c.d. Marsala) prodotto come sopra ma imbottigliato, ad esempio, in Finlandia. E se vero che esistono le etichette, anche certo che quando il consumatore vede una bottiglia di Marsala superiore non immagina certamente che quel vino possa aver viaggiato sfuso per migliaia di chilometri per essere infine imbottigliato, ad esempio, in Finlandia, le cui condizioni climatiche non sono certamente simili a quelle della Sicilia. 8. -La sentenza in rassegna (che deve essere stata molto sofferta, se si considera che stata pubblicata dopo pi di un anno e mezzo dall'udienza e dopo pi di i.in anno dalle conclusioni del!' Avvocato generale Saggio) respinge la prima argomentazione e conferma che la normativa spagnola controversa costituisce una misura d'effetto equivalente a restrizioni quantitative all'esportazione, vietata dall'art. 34 del Trattato (punto 42 della motivazione di diritto). Finisce tuttavia per accogliere la seconda argomentazione e per ritenere che la normativa controversa sia giustificata ai sensi dell'art. J6 del Trattato. Sono importanti, in particolare, due passaggi del ragionamento che ha condotto la Corte a tale conclusione. In primo luogo, l'affermazione che le denominazioni d'origine rientrano nel campo del diritto di propriet industriale e commerciale (punto 54 della motivazione in diritto). In secondo luogo, il nesso che la Corte riconosce esistente tra la reputazione che la denominazione pu godere presso i consumatori, la conseguente sua immagine e la qualit del prodotto (punto 56). Appare inutile commentare qui tutte le ragioni per le quali la normativa spagnola controversa considerata giustificata dalla Corte, perch diretta a preservare la notevole reputazione del vino Rioja (punto 75). PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 167 Sull'esistenza di una restrizione alla libera circolazione delle merci 36. -Il governo belga e i governi intervenuti a suo sostegno fanno valere che la condizione controversa si risolve in una limitazione quantitativa delle esportazioni di vino Rioja sfuso ai sensi dell'art. 34 del Trattato, come la Corte avrebbe gi dichiarato nella sentenza Delhaize. 37. -Il governo spagnolo, sostenuto dai governi italiano e portoghese, afferma che la normativa spagnola in oggetto non limita affatto la quantit di vino prodotto nella regione della Rioja che pu essere esportato sfuso. Essa avrebbe l'unico scopo e l'unico effetto di vietare qualsiasi uso indebito e incontrollato della denominaci6n de origen calificada Rioja. Il governo spagnolo sottolinea che la vendita di vino sfuso all'interno della regione non , in generale, consentita in quanto qualsiasi spedizione di vino all'interno della regione deve essere previamente autorizzata dal comitato di tutela del Rioja ed essere destinata esclusivamente alle imprese di imbottigliamento autorizzate dal detto comitato di tutela. Infatti, nella regione esisterebbero imprese che non sono autorizzate e che hanno scelto di dedicarsi alla commercializzazione di vini ivi prodotti, ma non tutelati dalla denominaci6n de origen calificada Pertanto, nel caso di specie, la normativa spagnola non rientrerebbe nell'ipotesi trattata dalla Corte nella sentenza Delhaize. Tale ipotesi sarebbe stata costituita da una normativa nazionale applicabile a vini a denominazione di origine che limita il quantitativo di vino che pu essere esportato sfuso e che autorizza invece la vendita di vino sfuso all'interno della regione di produzione. 38. -Va ricordato che la condizione controversa comporta che il vino prodotto nella regione e rispondente alle altre condizioni cui subordinato l'uso della denominaci6n de origen calificada Rioja non pu pi essere imbottigliato al di fuori della regione, pena la perdita di tale denominazione. L'impressione complessiva che se ne trae che, attraverso l'enunciazione di un grande numero di ragioni giustificative, la Corte abbia voluto dare un segnale: la deroga al divieto di cui all'art. 34 giustificata soltanto se necessaria a salvaguardare la notevole reputazione di cui gode incontestabilmente la denominaci6n de origen califcada Rioja. In altri termini, l'imbottigliamento in zona delimitata non potr legittimamente costituire strumento per restringere la commercializzazione di ogni vino di qualit sfuso. Anche tra i vini di qualit c' da distinguere tra quelli che negli anni si sono costruiti una solida reputazione fra i consumatori (e questa va salvaguardata, pure a scapito della libert di circolazione del vino sfuso) e vini che non hanno ancora raggiunto siffatta notevoleed incontestata reputazione. Se questa impressione corrisponde alla reale portata della sentenza in rassegna, sar ancora una volta da lodare il pragmatismo e l'equilibrio della Corte, che da un lato ha salvaguardato situazioni veramente specifiche e meritevoli (come il Rioja o, si pu aggiungere, il Chianti o il Marsala), ma dall'altro non ha generalizzato la deroga in modo tale da compromettere il fondamentale principio della libera circolazione delle merci. Ivo MARIA BRAououA RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 168 39. - vero che, in una certa misura, il trasporto alla rinfusa del vino che pu fregiarsi della detta denominazione limitato anche all'interno stesso della regione di produzione e che questo pu essere un elemento da prendere in considerazione nell'ambito ;::,~_'._.. dell'esame della giustificazione della condizione controversa. Tuttavia, tale circostanza . non pu essere invocata per negare gli effetti restrittivi della detta condizione. ~ ., 40. -Infatti, la condizione controversa comporta in ogni caso che un vino trasportato sfuso all'interno della regione conserva il diritto alla denominaci6n de origen calificada se viene imbottigliato in cantine autorizzate. 41. -Trattasi dunque di una misura nazionale che ha l'effetto di restringere specificamente le correnti di esportazione per quanto riguarda il vino cui pu essere attribuita la denominaci6n de origen calificada e di determinare cosi una differenza di trattamento tra il commercio interno di uno Stato membro e il suo commercio di esportazione, ai sensi dell'art. 34 del Trattato. 42. -Pertanto, la normativa spagnola in oggetto costituisce una misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative all'esportazione ai sensi dell'art. 34 del Trattato. Sulla portata del/' art. 18 del regolamento n. 82318 7 43. -Il governo spagnolo, sostenuto dai governi italiano e portoghese, ricorda che la normativa comunitaria in materia di v.q.p.r.d. non ha carattere esaustivo e consente agli Stati membri di emanare norme nazionali pi rigorose. A tal riguardo cita l'art. 18 del regolamento n. 823/87, il quale autorizza gli Stati membri produttori a definire condizioni di produzione e di circolazione complementari o pi rigorose all'interno del loro territorio. L'uso, in tale disposizione, del termine circolazione sarebbe particolarmente significativo in quanto la condizione controversa farebbe innegabilmente parte delle disposizioni relative alla circolazione dei v.q.p.r.d. 44. -Il governo belga sottolinea che nella sentenza Delhaize la Corte ha gi disatteso l'argomento fondato sull'art. 18 del regolamento n. 823/87. Sostiene peraltro che la condizione controversa in contrasto con gli usi leali e tradizionali in materia di imbottigliamento negli Stati membri importatori di vino. 45. -Occorre ricordare che nella sentenza Delhaize la Corte ha affermato (punto 26) che l'art. 18 del regolamento n. 823/87 non pu essere interpretato nel senso che autorizza gli Stati membri a imporre condizioni contrastanti con le norme del Trattato relative alla circolazione delle merci. Pertanto, tale disposizione non pu di per s legittimare la condizione controversa. 46. -Per contro, e contrariamente a quanto sostenuto dal governo belga, di per s la detta disposizione non vieta un obbligo di imbottigliamento nella regione di produzione solo perch autorizza prescrizioni nazionali complementari tenuto conto degli usi leali e costanti. Infatti, la locuzione tenuto conto di non PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNZINALE ha il senso, pi restrittivo, di un'espressione che enunci una condizione positiva, come purch esista, o negativa, come senza pregiudicare. In una situazione come quella del caso di specie, che alla data dell'adozione del decreto n. 157/88 era caratterizzata dalla coesistenza, non contestata dalle parti, dell'uso di imbottigliare nella regione di produzione e dell'uso di esportare il vino sfuso, la formulazione dell'art. 18 del regolamento n. 823/87 implica semplicemente una presa in considerazione dei detti usi. Quest'ultima pu dar luogo ad una ponderazione degli interessi in questione, in esito alla quale pu esser data preferenza, in considerazione di determinati. obiettivi, ad un uso piuttosto che all'altro. Sulla giustificazione della condizione controversa 47. -Tanto i governi spagnolo, italiano e portoghese quanto la Commissione ritengono che l'imbottigliamento faccia parte integrante del procedimento di produzione del vino. Esso costituirebbe una fase dell'elaborazione del prodotto, sicch solo il vino imbottigliato in una determinata regione potrebbe effettivamente essere considerato originario di tale regione. 48. -Ne discenderebbe che un vino imbottigliato al di fuori della regione della Rioja che recasse la denominaci6n de origen calificada Rioja violerebbe il diritto esclusivo di usare tale denominazione, il quale spetta alla collettivit dei produttori della regione il cui vino soddisfi le condizioni per fruire della denominazione, compresa quella dell'imbottigliamento nella regione. Pertanto, gli effetti restrittivi della condizione controversa sarebbero giustificati da motivi di tutela della propriet industriale e commerciale di cui all'art. 36 del Trattato. Infatti, la condizione sarebbe necessaria per garantire che la denominaci6n de origen calificada risponda al suo specifico scopo, che in particolare quello di garantire l'origine del prodotto. 49. -Ai fini della soluzione della presente controversia occorre non tanto stabilire se si debba considerare come una fase del procedimento d'elaborazione di un vino che pu fruire di una denominaci6n de origen calificada il suo imbottigliamento nella regione di produzione, quanto piuttosto valutare i motivi per cui, secondo il governo spagnolo, tale operazione dev'essere effettuata nella regione di produzione. Infatti, la condizione controversa pu essere considerata conforme al trattato malgrado i suoi effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci solo ove detti motivi siano di per s idonei a giustificarla. 50. -Per quanto riguarda tali motivi, il governo spagnolo sottolinea la specificit del prodotto e la necessit di tutelare la fama connessa alla denominaci6n de origen calificada Rioja preservando, mediante la condizione controversa, le caratteristiche particolari, la qualit e la garanzia di origine del vino Rioja. La condizione controversa, sarebbe pertanto giustificata dall'esigenza di tutelare la propriet industriale e commerciale di cui all'art. 36 del Trattato. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STAT. 170 51. - vero che, come ricordato dal governo belga e dai governi intervenuti a suo sostegno, nella sentenza Delhaize la Corte ha dichiarato che non era > -come avevano fatto gli eredi Stalteri -ma anche per la messa in commercio di un bene differente da quello promesso. Sulla legittimazione attiva di Codacons e Associazione FUMO NO e sul loro preteso diritto ad un risarcimento del danno provocato dalla lesione dei loro diritti statutari (locuzione che stava per indicare un danno morale) l'Avvocatura rilevava che nel caso di specie, non trattandosi di danno conseguente a reato (com'era, invece, nel caso del processo De Lorenzo, da esse citato) non v'era spazio per ipotizzare un danno morale, pacificamente escluso nelle cause d'illecito solo civile e che, d'altro canto, la sussistenza di un danno proprio a carico delle due Associazioni non era stata provata, n poteva esserlo. Sul punto della legittimazione attiva, per, il Tribunale ammettendola andato in contrario avviso -ma ha ugualmente rigettato, come si detto, le domande di tutti gli attori, escludendo una responsabilit dell'Amministrazione Autonoma dei Monopoli sia sotto il profilo dell'art. 2050 e.e. che dell'art. 2043 dello stesso codice. LUIGI MAZZELLA PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE ressi dei consumatori e degli utenti; b) di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; e) di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o pi quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicit del provvedimento pu contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate. Agendo nel presente giudizio, il Codacons e la Associazione Fumo No hanno sostenendo la richiesta di risarcimento proposta dagli eredi di S. C. e, nel contempo, hanno chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento del danno morale e ai propri fini statutari subito in conseguenza dei fatti dedotti in lite. evidente, quindi, che nel caso di specie deve essere ravvisato un collegamento diretto tra l'interesse delle associazioni attrici, in relazione ai fini statutariamente previsti, e quello posto a fondamento della domanda proposta nel presente giudizio, la cui decisione comporta una valutazione complessiva dei diritti per la cui tutela operano le predette associazioni. Tenuto conto di quanto sopra, deve essere dichiarata l'effettiva sussistenza della legittimazione attiva in capo a tutte le parti attrici. 4. -Passando all'esame delle domande formulate nel presente giudizio, va in primo luogo rilevato che gli attori, avendo preso atto della estraneit alla lite della P.M.C.S. Inc. non hanno formulato alcuna domanda nei confronti della predetta societ (v. precisazione delle conclusioni all'udienza del 4 maggio 1999). Di conseguenza, la richiesta risarcitoria avanzata con la citazione in giudizio non deve essere esaminata nel merito, fatta salva la questione relativa alle spese di lite, che verr affrontata a conclusione della presente esposizione. 5. -Motivando giuridicamente la richiesta di risarcimento proposta in questa sede, le parti attrici hanno dedotto una responsabilit dell' Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato sia ai sensi dell'art. 2043 e.e. che dell'art. 2050 e.e. Per quanto attiene a quest'ultimo aspetto, la questione pu essere agevolmente risolta partendo da un esame dei principi fissati dalla giurisprudenza della Suprema Corte negli ultimi anni, principi da ritenere ormai assolutamente consolidati. Come noto, sono ritenute attivit pericolose, ai sensi del citato art. 2050 e.e., le attivit cos specificate da norme destinate a prevenire sinistri e a tutelare l'incolumit pubblica ovvero quelle per le quali la pericolosit trova riscontro nella natura delle cose e dei beni adoperati (Cass. Sez. In. 10951 del 9 dicembre 1996). In difetto di specifiche norme, il giudizio di pericolosit demandato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimit se della relativa decisione sia stata data congrua e logica motivazione. Il giudizio non deve essere espresso ex post sulla base dell'evento dannoso effettivamente verificatosi (se cos fosse ogni attivit andrebbe qualificata come pericolosa) ma secondo una prognosi postuma che deve essere compiuta sia sulla base di nozioni desunte dalla comune esperienza sia tenuto conto delle circostanze di fatto che si presentavano al momento dell'esercizio dell'attivit ed erano conosciute o conoscibili dall'agente in considerazione del tipo di attivit esercitata (Cass. n. 13530/92). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 214 In concreto, deve essere ritenuta pericolosa quell'attivit che per la natura stessa o per i mezzi impegnati renda probabile e non semplicemente possibile il verificarsi dell'evento dannoso (Cass. n. 9205/95) ovvero presenti di per s una notevole potenzialit di danno a terzi (Cass. n. 814/97). Dalle attivit pericolose devono essere tenute distinte, invece, quelle nelle quali l'eventuale pericolosit, non configurabile in re ipsa, pu insorgere solo ove intervengano errori o colpe da parte di terzi. Come si pu notare da quanto sopra esposto, l'ambito di efficacia dell'art. 2050 e.e., anche a voler condividere le tesi meno restrittive, deve essere comunque strettamente collegato ad una attivit e al suo svolgimento. Ci non vuol dire, naturalmente, che il risultato dell'attivit produttiva non possa incidere sul giudizio di pericolosit della stessa attivit ( evidente -tanto per rifarsi ai casi esaminati di recente dalla Suprema Corte -che la pericolosit delle sostanze emoderivate da destinare alla produzione di farmaci determina la necessaria pericolosit della stessa attivit di produzione, attivit il cui svolgimento, verosimilmente, non potrebbe essere ritenuto di per s pericoloso). Nel caso in cui la potenzialit dannosa non derivi in maniera immediata dalle modalit del processo produttivo (come al contrario avviene, ad es., in caso di produzione di energia atomica o di rifiuti tossici), occorre per che il bene finale (il prodotto) abbia una propria intrinseca potenzialit lesiva, tale da costituire di per s un I sicuro pericolo per l'incolumit delle persone. Nel caso in esame, il prodotto finale dell'attivit produttiva, rappresentato dalla If sigaretta, non ha in s una capacit di provocare situazioni dannose mentre pu i!1 ~ diventare dannoso, e quindi pericoloso, l'uso reiterato nel tempo dello stesso proi g dotto (la lesivit del bene, quindi, pu derivare solo da un comportamento dell'utilizzatore o meglio del consumatore, comportamento che deve protrarsi peraltro per i un periodo oggettivamente apprezzabile). In casi del genere, l'attivit di produzione del bene non pu essere considerata ' pericolosa ai sensi dell'art. 2050 e.e. per cui l'eventuale responsabilit del produttore pu essere dichiarata secondo la regola generale posta dall'art. 2043 e.e. (aderen' lIdo alla tesi contraria, dovrebbero farsi rientrare nella previsione dell'art. 2050 e.e. una serie di attivit, come ad es. quelle dirette alla produzione di bevande alcooliche, i cui beni finali, se assunti in maniera reiterata e in quantit eccessive, provocano certamente danni rilevanti alla integrit fisica del consumatore, ovvero, al limi I te, anche le attivit dirette alla produzione di autoveicoli, il cui uso imprudente causa ill la morte di migliaia di persone). . 6. -Le argomentazioni esposte in relazione all'art. 2050 e.e. possono valere solo in parte con riferimento alla responsabilit extracontrattuale prevista dall'art. . 2043 e.e., responsabilit il cui accertamento non presuppone necessariamente la pericolosit dell'attivit industriale esercitata dal preteso danneggiante. i: lI f.: 6.1 -Prima di esaminare nel merito la questione, occorre chiarire l'oggetto della domanda formulata in questa sede dagli attori in modo da fissarne con esat~ i: tezza i limiti e il quadro normativo di riferimento. i: ~j i ~ !~ ~ - PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE In effetti, va sottolineato, per non creare equivoci di sorta, che la richiesta di risarcimento avanzata nel presente giudizio stata diretta contro l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato (ora Ente Tabacchi Italiani) e contro la P.M.C.S. Inc. (domanda poi abbandonata dagli attori) in quanto soggetti che hanno provveduto alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti (sigarette) che, a giudizio delle stesse parti attrici, avrebbero causato la morte del loro congiunto. L'esame della domanda, quindi, dovr essere incentrato sulla eventuale sussistenza di una responsabilit extracontrattuale dei convenuti per aver prodotto e posto in vendita dei beni ritenuti dannosi dalla controparte, mentre esula completamente dal presente giudizio ogni valutazione inerente sia alla pericolosit sociale dell'assunzione del fumo da sigaretta sia alla tutela pubblica del diritto alla salute (tutela che compete, in primo luogo, all'autorit legislativa, che deve provvedere all' emanazione delle norme ritenute necessarie a tal fine, e, in secondo luogo, alle autorit esecutive ed amministrative, che nell'ambito dei poteri attribuiti ex lege devono adottare tutti i provvedimenti e devono svolgere tutta l'attivit di controllo necessaria al fine di salvaguardare l'incolumit dei cittadini). Eventuali contestazioni inerenti alle misure e alle forme con cui stata realizzata la tutela in oggetto, pur se sindacabili ex art. 2043 e.e. (nei limiti fissati, tra l'altro, dalla recente Cass. Sez. Un. 22 luglio 1999 n. 500), non possono essere quindi validamente sollevate nel presente giudizio, il cui oggetto delimitato dalla causa petendi e dal petitum dell'atto di citazione (peraltro, tali azioni risarcitorie dovrebbero essere proposte nei confronti dell'autorit amministrativa cui spettano i poteri esecutivi e di controllo, poteri che non competono all'Amministrazione convenuta). 6.2 -Ci premesso, occorre valut?-re se nella fattispecie in esame pu essere effettivamente ravvisata una responsabilit per fatto illecito dell'Amministrazione convenuta. La materia della responsabilit extracontrattuale, come noto, stata rivisitata e reinterpretata dalla Suprema Corte con la citata sentenza n. 500/99, sentenza che ha assunto un'importanza fondamentale specie in tema di responsabilit per fatto illecito della pubblica amministrazione. Ripercorrendo il percorso indicato nella predetta sentenza ed applicando i principi ivi esposti al caso di specie, va innanzitutto sottolineato che nessun dubbio pu sussistere in ordine alla sussistenza di un evento dannoso e di un danno ingiusto. Nulla da dire ovviamente per il primo aspetto, l'attenzione deve essere posta al secondo requisito, la cui portata stata definitivamente chiarita dalla Cassazione con la sentenza n. 500/99. Secondo tale ultimo orientamento, infatti, l'ingiustizia deve essere riferita non tanto alla condotta (teoria tradizionale) quanto al danno stesso, in relazione alla sua incidenza su un interesse rilevante per l'ordinamento, che pu essere indifferentemente un interesse tutelato nelle forme dell'interesse soggettivo (assoluto o relativo) ovvero nelle forme dell'interesse legittimo ..o altro interesse (non elevato ad oggetto di immediata tutela ma) giuridicamente rilevante. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 216 Nella fattispecie, l'interesse dei soggetti che si ritengono danneggiati coincide con il diritto alla salute, diritto fondamentale della persona, costituzionalmente garantito come bene primario (art. 32 Cost.). La tutela apprestata dalla Costituzione a tale posizione soggettiva, anzi, assume una particolare rilevanza in quanto la lesione del diritto alla salute pu fondare da sola la richiesta di risarcimento dei danni ex art. 2043 e.e., stante lo stretto collegamento tra quest'ultima disposizione di legge e l'art. 32 Cost. (v. Corte Cost. sentenza 7 maggio 1991 n. 202). Di conseguenza, non vi alcun dubbio che il danno lamentato dalle parti attrici nel presente giudizio deve essere qualificato ingiusto e, in quanto tale, meritevole di tutela ai sensi dell'art. 2043 e.e. 6.3 -D'altra parte, per poter dichiarare la responsabilit extracontrattuale del1' Amministrazione convenuta bisogna verificare se l'evento dannoso dedotto in lite ~ sia o meno riferibile ad una condotta illegittima (positiva od omissiva) della stessa I Amministrazione. In particolare, bisogna verificare se la convenuta, avendo curato la produzio-,~ ne e la messa in commercio del bene (sigaretta) utilizzato dal dante causa degli attori, ha ottemperato a tutte le prescrizioni previste dalle disposizioni vigenti .1 all'epoca dei fatti o, comunque, abbia adempiuto a tutti gli obblighi gravanti sul ~ produttore, con specifico riguardo alla necessaria tutela del diritto alla salute dei j consumatori. j Per quanto attiene al primo aspetto (prescrizioni di legge) nessun addebito = stato mosso alla convenuta nel presente giudizio n risulta che l'Amministrazione ~ ; non abbia rispettato la normativa dettata in materia. 1 Gli attori, semmai, hanno contestato, in maniera anche decisa, l'assoluta caren-~ za dei provvedimenti legislativi ed amministrativi adottati nel corso degli anni dagli I~=.,. organi competenti ( stata sottolineata, tra l'altro, l'assoluta tardivit e l'inadegua-, tezza delle disposizioni introdotte con la legge 29 dicembre 1990 n. 428 e, in particolare, delle avvertenze prescritte dall'art. 46 della legge). I Tali doglianze, condivisibili o meno, esulano per dal presente giudizio, che cdome sdottolineato in ~recefrdenz~d-11non p~ estendere il campo oltre le specifiche ::J oman e proposte nei con ontl e e parti convenute. ~ Non resta, quindi, che esaminare il secondo aspetto (adempimento degli obbli-I ghi gravanti sul produttore) al fine di accertare se l'Amministrazione convenuta ~ abbia agito in maniera da ledere colpevolmente il diritto alla salute legittimamente I vantato dagli attori in nome del proprio dante causa. ~ Nel merito di tale questione, i richiedenti hanno sostenuto, da un lato, che la li parte convenuta non avrebbe adempiuto all'obbligo di informare adeguatamente i " ~: consumatori della nocivit del prodotto venduto e, dall'altro, che la produzione e la ;, conseguente commercializzazione del prodotto avrebbe causato di per s una lesio-I ne del diritto alla salute, direttamente ed immediatamente risarcibile ai sensi degli f, artt. 32 Cost. e 2043 e.e. f:_. Le tesi formulate dalla parte attrice non appaiono fondate. !i i I 1aL1a11,,rlllllllllllti~a PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 6.4 -Quanto al primo punto, va premesso che l'obbligo di informare i consumatori sui possibili danni da fumo stato introdotto solo con l'art. 46 della legge 29 dicembre 1990 n. 428, norma che ha prescritto l'espressa indicazione di alcune avvertenze da apporre su ogni confezione di tabacchi lavorati posta in commercio (sulla adeguatezza di tale misura, contestata dalla stessa parte attrice a fronte di altre soluzioni pi efficaci, si detto in precedenza). In generale, si pu dire senza tema di smentita che la tutela apprestata al consumatore, tuttora carente per molti aspetti, si andata intensificando solamente nel corso degli ultimi anni, essendo diventata sempre pi pressante l'esigenza di garantire una adeguata informazione sulle caratteristiche dei beni venduti e, nel contempo, un efficace controllo sulla sicurezza dei prodotti da parte delle Autorit competenti (a tal fine, sono state decisive, da un lato, le direttive adottate in sede comunitaria e, dall'altro la sempre maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica). Basta pensare alle disposizioni introdotte in tema di prodotti difettosi o comunque non sicuri ( d.P.R. 24 maggio 1988 n. 24 e d.lgs. 17 marzo 1995 n. 115) ovvero alle leggi emanate in tema di diritti dei consumatori, con specifico riferimento alla corretta informazione sulla qualit dei prodotti venduti e alle forme di tutela dei consumatori (legge 10 aprile 1991 n. 126, legge 30 luglio 1998 n. 281). Pur non potendosi riconoscere un effetto retroattivo alle predette disposizioni di legge, non vi dubbio che i principi utilizzati dalle stesse norme per la regolamentazione della responsabilit del produttore possono trovare una generale applicazione in tema di responsabilit extracontrattuale. In effetti, lesistenza di un obbligo per il produttore di informare i consumatori e gli utenti delle modalit d'uso e delle precauzioni da adottare per evitare possibili conseguenze dannose pu essere desunta direttamente dallo stesso art. 2043 e.e. ossia dalla necessit di non arrecare conseguenze pregiudizievoli ingiuste ad altri soggetti (la necessit di un vero e proprio obbligo giuridico di impedire l'evento, ribadito pi volte in giurisprudenza -v. Cass. n. 9590/98 - stato escluso da ultimo dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella recente sentenza n. 550/99, in cui si precisato che la norma sulla responsabilit aquiliana non norma secondaria volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme primarie bens norma primaria volta ad apprestare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell'attivit altrui). L'obbligo gravante sul produttore, per, quando non sia stato espressamente sancto da specifiche disposizioni di legge, pu ragionevolmente sussistere solo nel caso in cui il prodotto posto in commercio abbia una pericolosit intrinseca (in relazione all'uso normale del bene) e sempre che l'utilizzatore non sia stato posto in grado di rappresentarsi la possibilit di eventuali conseguenze dannose (correlate ad un determinato uso). In questi casi, evidente che il consumatore, ove non correttamente informato del pericolo concretamente esistente, viene tratto in inganno dal produttore il quale, se da un lato lo invita ad utilizzare il bene (anche mediante una adeguata attivit pubblicitaria) dall'altro, con una attivit omissiva illecita, non fa presente l'esistenza di possibili conseguenze dannose. Diverse, invece, sono le ipotesi in cui il pregiudizio per l'incolumit del consumatore (e, in generale, per la sua salute) deriva da un anomalo utilizzo del bene (non RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 218 prevedibile dal produttore o comunque estraneo alla normale destinazione del prodotto) o da una consapevole accettazione, da parte dello stesso consumatore, dei rischi palesemente conseguenti ad un determinato utilizzo. Nel caso in esame, la nocivit del consumo di sigarette certamente un dato che rientra nella comune esperienza. Si pu discutere, infatti, sulle modalit che deve assumere il consumo (in relazione alla quantit e alla durata) affinch si possano determinare conseguenze lesive anche gravi (insorgenza di malattie inguaribili) ma quello che non pu essere assolutamente posto in dubbio l'oggettiva nocivit alla salute del fumo (ammessa, del resto, sia pure entro certi limiti, dagli stessi produttori). Al di l delle cognizioni scientifiche e del grado di cultura dei singoli consumatori, appare difficile sostenere che un qualsiasi fumatore abbia utilizzato il prodotto senza essere sufficientemente consapevole della potenzialit dannosa del fumo da sigaretta e della oggettiva difficolt di interrompere l'uso. Anche sotto quest'ultimo aspetto -contrariamente a quanto sostenuto dagli attori -si deve ragionevolmente escludere che la conoscenza del consumatore medio non sia arrivata al punto di sapere che l'assunzione del fumo in maniera ripetuta e costante pu provocare una sorta di dipendenza (anche questo dato, infatti, sempre stato di comune esperienza in quanto facilmente constatabile, da chiunque, nella normale vita di relazione). La potenzialit dannosa di cui si tratta, peraltro, non certamente circoscritta ai IItabacchi lavorati ma pu essere ravvisata in molti prodotti, non intrinsecamente pericolosi, il cui uso smodato o imprudente pu causare danni alla salute anche di notevole gravit (basta pensare alle bevande alcooliche o ad altri alimenti da assuI mere con la necessaria moderazione). In questi casi, l'ordinamento statale pu scegliere di tutelare la salute dei propri cittadini con le misure ritenute pi idonee (proibizionismo, controllo pi o meno intenso sulla produzione e sul consumo, capillare informazione dei consumatori sulle possibili conseguenze lesive, completa libert di mercato) e tali scelte potranno essere sindacate sotto l'aspetto socio-politico o contrastate con tutti i rimedi giuridici possibili. In assenza di specifiche prescrizioni normative, per, la mancata informazione del produttore in ordine a circostanze sostanzialmente di comune esperienza non pu essere qualificata come attivit omissiva illecita (facendo un parallelismo con le ipotesi di prodotti difettosi, significativo appare il disposto di cui ali' art. 1 O del d.P.R. n. 24/88, secondo il quale il risarcimento non dovuto quando il danneggiato sia stato consapevole del difetto del prodotto e del pericolo che ne derivi e nondimeno vi si sia volontariamente esposto). 6.5 -Passando al secondo aspetto, sostiene la parte attrice che, a prescindere dall'obbligo di informazione, l'attivit commerciale realizzata dal produttore dovrebbe essere considerata illecita in quanto di per s lesiva del diritto alla salute tutelato dall'art. 32 Cost. Pur dovendosi riconoscere -come rilevato in precedenza-l'immediata portata prescritiva della norma costituzionale, in collegamento con l'art. 2043 e.e., la tesi formulata dagli attori non appare fondata. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE Nel caso in esame, infatti l'evento dannoso lamentato dagli attori consiste nella morte del loro congiunto, evento che non pu essere ritenuto conseguenza immediata e diretta dell'attivit di produzione e commercializzazione posta in essere dal1' Amministrazione convenuta. Dando in questa fase per ammesso che la malattia irreversibile contratta dallo S. sia stata causata (anche) dalla prolungata assunzione del fumo (circostanza verosimile anche se da accertare), non vi dubbio che tra la vendita del prodotto (sigaretta) e l'evento dannoso (decesso) si inserito un fattore assolutamente determinante, costituito dal comportamento reiterato, protrattosi per pi di cinquant'anni, dello stesso danneggiato. Di conseguenza, appare logico concludere che l'attivit produttiva realizzata dal1' Amministrazione convenuta -oggetto della contestazione mossa nel presente giudizio -non ha causato di per s l'evento dannoso dedotto in lite (come la vendita di bevande alcooliche non pu essere ritenuta causa determinante ex art. 2043 e.e. delle morti dovute ad un abuso nella assunzione da parte del consumatore finale). In effetti, se pur vero che l'esistenza di un nesso eziologico va riconosciuta con riguardo ad ogni antecedente che abbia contribuito direttamente ed indirettamente alla produzione dell'evento, pi volte si precisato in giurisprudenza che tale regola generale trova un temperamento nel principio della causalit efficiente, non solo in relazione al fatto sopravvenuto che degradi il fatto antecedente a mero presupposto occasionale ma anche nell'ipotesi in cui una delle azioni cui sia riferibile l'evento di danno sia attribuibile allo stesso danneggiato e renda giuridicamente irrilevante il comportamento del presunto responsabile (v. Cass. n. 1937/87 e Cass. n. 11087/93, secondo la quale per causa sopravvenuta e sufficiente da sola a causare l'evento, ai sensi dell'art. 41 c.p.p., deve intendersi quella indipendente dal fatto del presunto responsabile, avulsa dalla sua condotta ed operante con assoluta autonomia). Nel caso in esame, a fronte di una condotta svolta nel rispetto delle disposizioni di legge vigenti in materia si verificato un evento successivo, assolutamente determinante e decisivo, dello stesso danneggiato, il quale, in maniera del tutto consapevole, ha consumato imprudentemente il prodotto in quantit rilevanti (2-3 pacchetti al giorno) per un lunghissimo arco di tempo (pi di 50 anni). L'evento lesivo per cui causa, quindi, appare riconducibile proprio a tale comportamento mentre la vendita del prodotto, di per s, deve essere considerata un fatto antecedente, oggettivamente ricollegabile all'evento, ma privo del necessario nesso di causalit immediata e diretta. 7. -L'accertata esclusione di una condotta illecita delle parti convenute rende superfluo l'accertamento degli ulteriori elementi posti a fondamento della richiesta di risarcimento (in particolare, l'accertamento delle cause che hanno condotto al decesso del dante causa degli attori e la valutazione della riconducibilit di tale evento alla reiterata assunzione delle sigarette prodotte dalla Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato). Per tutte le considerazioni sopra esposte, la domanda proposta dalle parti attrici deve essere respinta in quanto infondata. (omissis) SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 25 gennaio 2000 n. 10 -Pres. Laschena Est. Borioni ~Ministero delle Finanze (avv. Stato Polizzi) c. L. A. M. (avv. Pellegrino). Impiego pubblico -Svolgimento di fatto di mansioni superiori -Rilevanza Criteri. Il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore, va riconosciuto, con carattere di generalit, a decorrere dall'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387. Si tratta di un riconoscimento legislativo che possiede un evidente carattere innovativo e che non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse (1 ). (omissis) FATTO Con ricorso del 1988 la signora A.M.L., coadiutore meccanografo inquadrata nella quinta qualifica funzionale ex art. 4, comma 8, legge 11luglio1980 n. 312, in servizio presso l'Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Taranto, adiva il T.A.R. per la Puglia, Sezione staccata di Lecce, chiedendo: a) l'annullamento dell'ordine di servizio 29 aprile 1988 n. 1 (prot. n. 5293) del predetto Ufficio distrettuale, recante ristrutturazione dell'ufficio e riconduzione dell'istante a compiti di quinto livello; b) la declaratoria del proprio diritto ad essere inquadrata nella settima qualifica funzionale di cui alla legge 11luglio1980 n. 312 e ad essere assegnata a compiti (1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha accolto l'appello del Ministero delle Finanze ribadendo degli importanti principi in materia di svolgimento di mansioni superiori svolte dai dipendenti pubblici. In particolare, il Consiglio di Stato ha specificamente affermato che, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 29 ottobre 1998 n.387, lo svolgimento di mansioni superiori del dipendente pubblico , in mancanza di espressa previsione normativa, non pu dar luogo ad alcuna variazione del trattamento economico. Sull'argomento, cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. Plen., 16 maggio 1991n.2, in!! Cons. Stato, 1991, I, 825 ss.; Cons. Stato, Ad.Plen. 18 novembre 1999 n. 22, in Foro amm. 1999, 2376; Cons. Stato, Sez. V, 19 marzo 1999 n. 290, in questa Rassegna, 1999, I, 140, con nota di P. PALMIERI. G.M. PARTE I, SEZ. IV, GWRISPRUDENZA AMMINISTRATIVA corrispondenti a detta qualifica, ovvero, in via subordinata, ad essere inquadrata nella sesta qualifica funzionale, ovvero, in ulteriore subordine, ad ottenere il riconoscimento quanto meno economico delle funzioni svolte, quali risultanti da atti formali della stessa amministrazione, con ogni effetto legale, oltre a rivalutazione e interessi. Ella accampava lo svolgimento dal 1972 delle mansioni di settima qualifica funzionale, comprovate dal 1980 da vari ordini di servizio e, prima, dai rapporti informativi annuali, o almeno il diritto alla sesta qualifica. In ogni caso riteneva dovuta la remunerazione di livello pari a quello delle mansioni espletate a pena, altrimenti, di indebito arricchimento della stessa P.A.. Il T.A.R., con una prima sentenza, dichiarava inammissibile il ricorso quanto all'impugnativa dell'ordine di servizio, mentre riservava di pronunciarsi sulla pretesa economica subordinata a seguito di incombenti. Con la sentenza 25 agosto 1992 n. 297, la Prima Sezione di Lecce del T.A.R. per la Puglia, dopo aver respinto l'eccezione di difetto di giurisdizione, richiamando giurisprudenza della Corte costituzionale e l'art. 36 della Costituzione, ha accolto la pretesa economica nei termini che seguono: -dal 1 luglio 1976 al 24 settembre 1980 spettanza delle differenze retributive tra il trattamento economico iniziale della qualifica di concetto e quello in godimento nella qualifica posseduta della carriera esecutiva; -dal 25 settembre 1980 al 1 maggio 1988 spettanza delle differenze retributive tra il trattamento economico della VII qualifica funzionale e quello della qualifica di appartenenza, il tutto con rivalutazione ed interessi. Con ricorso depositato l' 11 dicembre 1992 l'Amministrazione delle finanze ha proposto appello avverso l'anzidetta sentenza, sia per quanto riguarda la giurisdizione (perch il T.A.R. aveva ragionato con gli strumenti dell'indebito arricchimento, giudicando l'istituto comunque connesso al rapporto di impiego), sia nel merito, tanto in punto di diritto, quanto in punto di fatto. In diritto, ha sostenuto la peculiarit della soluzione della Corte costituzionale rispetto all'impiego sanitario e l'insufficienza del richiamo all'art. 36 Costituzione, in mancanza di superamento della prova selettiva ad hoc. In fatto, ha assunto il travisamento da parte del primo giudice degli ordini di servizio e la trascuranza di altri documenti. La L. si costituita con controricorso e appello incidentale. In sede di resistenza la dipendente ha difeso la soluzione del T.A.R.; con il gravame incidentale ha lamentato il mancato riconoscimento economico per il periodo dal 1972 al giugno 197 6 e la sottovalutazione economica -in sesta invece che in settima qualifica funzionale -delle prestazioni svolte fra il luglio 1976 ed il settembre 1980. La Quarta Sezione, dubitando della legittimit della tesi che nega la possibilit di riconoscere rilevanza economica all'esercizio di mansioni superiori nell'ambito del pubblico impiego, ha ritenuto che, data la peculiare situazione dell'appellata e considerate le modifiche sopravvenute nel quadro normativo di riferimento, vi sia spazio per una diversa interpretazione delle norme generali sul pubblico impiego e, poich la questione potrebbe dare luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza 19 aprile 1999 n. 647, ha rimesso la pronunzia sul ricorso all 'Adunanza Plenaria. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 222 Con memoria depositata l' 11 novembre 1999, l'appellante ha ulteriormente illustrato le argomentazioni a sostegno del gravame. Con memoria depositata il 18 novembre 1999, l'appellata ha ribadito le proprie tesi difensive, chiedendo il rigetto dell'appello principale, l'accoglimento dell' appello incidentale e, in subordine, la sospensione del giudizio per il vaglio di legittimit costituzionale alla stregua degli artt. 3 e 36 della Costituzione dell'art. 25, ultimo comma, del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (che ha sostituito l'art. 56 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29), ove nello stesso possa intravedersi un ostacolo alla retribuzione delle mansioni superiori. DIRIITO Il Ministero delle Finanze appella la decisione del T.A.R. di Lecce che, attribuendo valore precettivo a principi desumibili a livello costituzionale, ha riconosciuto alla signora A.M.L, dipendente di quel Ministero, il diritto al trattamento economico corrispondente alle superiori mansioni svolte dal 1 luglio 1976 al 1 maggio 1988. L'appellante ripropone anzitutto l'eccezione di difetto di giurisdizione, disattesa dal primo giudice, perch la configurazione della domanda, prospettata dalla ricorrente come azione di indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ., comporterebbe necessariamente la devoluzione della controversia al giudice ordinario. L'eccezione infondata. La domanda, nonostante la prospettazione conferitale dalla ricorrente, appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, giacch si ricollega in via immediata e diretta al rapporto di pubblico impiego ed ai diritti ad esso inerenti (Cass., SS.UU., 17 gennaio 1986 n. 279 e 25 gennaio 1989 n. 433). Nel merito, l'Adunanza Plenaria nuovamente investita della questione relativa alla retribuibilit o meno del servizio prestato dal pubblico dipendente per adempiere compiti di una superiore qualifica. La tesi difensiva del Ministero appellante, che deduce l'impossibilit per l 'Amministrazione di compensare l'appellata per lo svolgimento di compiti eccedenti la qualifica ricoperta, va condivisa. Sul punto rAdunanza non ha motivo di discostarsi nella vertenza in esame dalla soluzione negativa data al problema con la pronuncia 18 novembre 1999 n. 22, anche se il nuovo esame della questione offre spunti per arricchire il processo di riflessione, alla luce dei rilievi formulati sia dall'ordinanza di rimessione sia dall'appellata. Ne sono oggetto (tralasciando aspetti gi risolti con la citata decisione n. 22) considerazioni che fanno perno in sostanza sulla recente normativa, costituita dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, i quali son parsi estrinsecazione di un principio generale, idoneo a fondare anche per il passato il diritto del dipendente alle differenze retributive. Ora, non sfugge al Collegio che la cd. privatizzazione del pubblico impiego operata dal decreto n. 29/1993 abbia costituito una riforma radicale (non una semplice correzione di aspetti secondari), destinata perci ad investire la forma precedente nei suoi principi direttivi. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA Senonch una modifica ab imis di un istituto complesso postula quasi sempre un'attuazione graduale, con la conseguenza che alcuni tratti della riforma (come la disciplina delle mansioni superiori), elaborati sul fondamento di una pronta effettivit del rinnovato assetto, mancando questa, debbano poi essere differiti, potendo altrimenti innescare risultati non voluti. Ci spinge il legislatore ad ulteriori interventi: le modifiche al d.lgs. n. 29 sono state singolarmente numerose e denotano le difficolt emerse, sul piano pratico, per inquadrare la realt fattuale nel nuovo orizzonte normativo. agevole comprendere, pertanto, come il legislatore, dopo aver introdotto all'art. 57 del d.lgs. n. 29 una disciplina generale del conferimento di mansioni (immediatamente) superiori, valida per tutte le amministrazioni pubbliche -quale fenomeno eccezionale e temporaneo (limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale periodo, ma con conferimento ad altro dipendente)-ne abbia subito rinviato l'applicazione, subordinandola all'emanazione, in ciascuna amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione delle strutture organizzative. Ed ha, poi, rinnovato pi volte la proroga sino all'abrogazione della norma. Di fronte agli espliciti interventi del legislatore per differire l'attuazione della puntuale (e, tutto sommato, limitativa) disciplina delle mansioni superiori recata dall'art. 57, protrartisi sino alla sua caducazione, arbitrario scorgere in esso l'espressione di un principio generale di pi ampia portata e ritenerlo applicabile -in aperto conflitto con la contraria volont espressa dal legislatore con i ripetuti rinvii -a far tempo dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore. Attualmente la materia disciplinata dall'art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito con l'art. 25 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80), che ha regolamentato (ben pu dirsi ex novo, per la significativa apertura nei onfronti del mansionismo) l'istituto dell'attribuzione temporanea di funzioni superiori nell'ambito del pubblico impiego. E' prova eloquente del mutato atteggiamento del legislatore l'affermazione, per la prima volta rinvenibile in un testo normativo di portata generale per il pubblico impiego, che al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni ivi previste (art. 56 cit., quinto comma). Anche questa volta l'operativit della norma stata rinviata. Il sesto comma dell'art. 56 stabiliva, infatti, che le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita ... Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza pu comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore. Ma in seguito l'art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 ha soppresso le parole a differenze retributive o. Con tale ultimo intervento il legislatore ha manifestato la volont -non possibile attribuire altro significato alla modifica -di rendere anticipatamente operativa la disciplina dell'art. 56, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore. Tale diritto, pertanto, va riconosciuto con carattere di generalit a decorrere dal1' entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 224 E poich, ad avviso del Collegio, il riconoscimento legislativo del diritto di che trattasi, nei termini appena precisati, possiede un evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse, esso non pu trovare applicazione nei confronti della L., che ha cessato di svolgere mansioni superiori nel 1988. A questo punto non resta che affrontare la questione di costituzionalit dedotta dall'appellata, per l'ipotesi che il suo diritto non potesse altrimenti essere riconosciuto, nei confronti dell'art. 56 (come introdotto dall'art. 25 del d.lgs. n. 80/1998). Essa, a seguito della modifica operata con il citato d.lgs. n. 387, conserva rilevanza per la sola supposta violazione dell'art. 3 della Carta fondamentale a causa dell'ingiustificata disuguaglianza, sotto il profilo temporale, della disciplina dello svolgimento di mansioni superiori, non remunerabile per il passato. La questione manifestamente infondata. sufficiente al riguardo constatare che, secondo la giurisprudenza del Giudice delle leggi, non infrange il principio di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, giacch lo stesso fluire di questo costituisce di per s elemento differenziatore. Per le ragioni sin qui esposte l'appello principale va accolto. Per l'effetto, in riforma della sentenza appellata, deve respingersi il ricorso di primo grado. Va parimenti respinto l'appello incidentale, con cui la L. ha lamentato il disconoscimento delle mansioni superiori per il periodo dal 1972 al giugno 1976 e la sottovalutazione economica delle prestazioni svolte fra il luglio 1976 ed il settembre 1980. Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio. (omissis) CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 29 dicembre 2000 n. 17 -Pres. Laschena-Est. Barioni -S.P. ed altri (avv.ti Sala e Manzi) c. Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato D'Avanzo). Impiego pubblico -Dimissioni di dipendenti di istituti scolastici -Accettazione -Termine di sessanta giorni indicato dal D.M. 11 luglio 1991 n. 212 per l'accettazione delle dimissioni -Decorrenza -Non gi dalla data di presentazione della domanda, ma dalla data in cui le dimissioni divengono irrevocabili. Il termine di sessanta giornifi.ssato dal D.M 11luglio1991 n. 212 per l'accettazione delle dimissioni dei dipendenti dell'amministrazione scolastica decorre dalla scadenza del termine, indicato all'art. 10, co. 4, d.l. 357189 per la revoca delle stesse (1). (I) Con la decisione in esame, il Consiglio di Stato, in Adunanza plenaria, risolve il contrasto giurisprudenziale che, con l'entrata in vigore della legge 24 dicembre 1993 n. 537, si era formato sull'interpretazione della disciplina in tema di dimissioni del personale scolastico. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 225 (omissis) L'appello infondato. Gli appellanti, allora dipendenti dell'amministrazione scolastica, deducono l'illegittimit dei provvedimenti con i quali sono state accettate le loro dimissioni dall'impiego, in quanto adottati dopo la scadenza del termine di legge. In concreto, le loro dimissioni, presentate prima del 15 agosto 1993, sono state accolte con provvedimenti dell'll aprile 1994. Per conseguenza, gli appellanti hanno subito, donde il loro interesse al ricorso, la riduzione del trattamento pensionistico stabilita dal1' art. 11, comma XVI, della legge 24 dicembre 1993, n. 5 3 7, alla quale si sarebbero sottratti, a norma del comma successivo, se le domande fossero state accolte prima L'art. 11, comma 16, della citata legge n. 537 (finanziaria per il 1994) stabilisce infatti, nei confronti dei pubblici dipendenti che conseguono il diritto a pensione anticipata con un 'anzianit contributiva inferiore a trentacinque anni la riduzione dell'importo del relativo trattamento pensionistico. Al successivo comma 18 per precisato che il nuovo regime non si applica ai <