�SEGNA 
AVVOCATUJRA 
DELLO STATO 


Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. 


ANNO XLIX -N. 1-4 GENNAIO -DICEMBRE 1997 


MS�EGNA 


AVvO<C.ATuRA 


DELLO STATO 


PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 


ROMA 1998 


ABBONAMENTI ANNO 1997 

ABBONAMENTO ANNUO L. 65.000 
UN NUMERO SEPARATO )) 17.000 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Marketing e Commerciale 


Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 

Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 !iel 13 luglio 1966 
(1219013) Roma, 1998 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. 




INDICE 
Parte prima: GIURISPRUDENZA 
Sezione prima: 
Sezione seconda: 
Sezione terza: 
Sezione quarta: 
Sezione quinta: 
Sezione sesta: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura di 
Ignazio Francesco Caramazza) ................. 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura di Oscar Fiumara) ................ 
GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA 
CIVILE (a cura di Sergio Laporta), . .............. 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura di 
Raffaele Tamiozzo) .......................... 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura di Carlo 
Bafile) .................................... 
GIURISPRUDENZA PENALE (a cura di Paolo di 
Tarsia di Be/monte) .......................... 
pag. 
)) 
)) 
)) 
)) 
)) 
3 
55 
115 
187 
279 
314 
Parte seconda: DOTTRINA-QUESTIONI DI LEGITTIMIT� 
COSTITUZIONALE -CONSULTAZIONI 
DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE ............�..... 
CONSULTAZIONI .......................................... . 
pag. 
)) 
)) 
3 
37 
59 
Comitato di redazione: C. Aiello -F. Basilica -P. Gentili D. 
Giacobbe -G. Mangia -G. Palmieri -P. Palmieri -
G.P. Palizzi -F. Quadri -F. Sc/afani -L. Ventre/la 
Hanno collaborato inoltre al presente numero: Giuseppe 
Arpaia -Filippo Arena -Gianni Cortigiani -Giustina Noviello Lionello 
Orca/i -Marina Russo 
.. 
La pubblicazione � diretta da 
PLINIO SACCHETTO 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 


G. 
ARPAIA, Domande nuove e rispetto del principio del contraddittorio nel-
l'arbitrato rituale .......................................... . 
C. 
BAFILE, Sul tennine per l'iscrizione a ruolo delle imposte liquidate in 
base alla dichiarazione a nonna dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600173 ... 
F. 
BASILICA, Cumulo di interessi e rivalutazione sui crediti previdenziali 
dei pubblici dipendenti: la parola all'Adunanza Plenaria ........... . 
F. 
BASILICA, Fideiussione omnibus e ius superveniens: la Consulta conferma 
l'irretroattivit� della novella che impone l'indicazione di un importo 
massimo garantito ......................................... . 
l.F. CARAMAZZA, Da una amministrazione senza giudice verso una giustizia 
senza amministrazione? .................................... . 
P. DI TARSIA DI BELMONTE, fl processo delle foibe: problemi in limine di ricusazione 
e di giurisdizione italiana ............................. . 
O. FI'!~� n. ce;tific_ato protettivo complementare per i medicinali: condiz1om 
per il rilascio ......................................... . 
O. 
FIUMARA, Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee 
pronunciate nel corso dell'anno 1997 in cause alle quali ha partecipato 
11talia ................................................... . 
O. 
FIUMARA, Il Sovrano Militare Or.dine di Malta (SMOM) e l'Associazione 
dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare Ordine di Malta (ACISMOM) 
nel �diritto vivente� in Italia ................................. . 
G. 
NOVIELLO, Le Sezioni unite fanno chiarezza in materia di responsabilit� 
degli insegnanti per culpa in vigilando ......................... . 
L. 0RCALI, Alcune questioni processuali relative agli artt. 26-27 L. 4129 e al 
C.P.C. novellato .................... -� ..................... . 
F. QuAD~, _L'embargo_ne~ confronti della Repubblica federale di Iugoslavia 
nel diritto comumtano ..................................... . 
I, 184 
I, 290 
I, 211 

I, 36 
II, 3 
I, 325 
I, 88 

I, 55 

I, 345 
I, 163 
II, 23 
I, 68 


PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


APPALTO DELLE OPERE PUBBLICHE 

-: 
.:ruserve . dell'.impresa -Decadenza -
Rjnunziabilit� da parte dell'Amministrazione 
appaltante -Esclusione, 169. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Accesso ai documenti -Diritto -Prevalenza 
-:ruservatezza dei terzi -Rapporti, 
193. 

AUTORIZZAZIONE E CONCESSIONE 

-Cave e torbiere -Attivit� di escavazione 
-Art. 13 legge reg. Veneto n. 44 del 
1982 -Superficie da destinare all'attivit� 
di cava -Criterio di computo, 254. 

COMUNIT� EUROPEE 

-Corte di giustizia delle Comunit� 
europee -JQnvio pregiudiziale -Regolamento 
CEE del Consiglio 26 aprile 
1993, n. 990 -Divieto di scambi con la 
Repubblica federale di Jugoslavia Comportamenti 
posti in essere in alto 
mare -Applicabilit� -Confisca carico Compatibilit�, 
con nota di F. QUADRI, 

68. 
-Libera circolazione delle merci -Protezione 
delle indicazioni geografiche e 
delle denominazioni di origine -Denominazione 
�montagna� per prodotti 
.agricoli e alimentari, 98. 
-Norme CEE -Direttive in tema formazione 
specialistica medici -Diretta 
applicabilit� -Esclusione, 273. 
-Politica commerciale comune -Divieto 
di scambio con la Repubblica federale 
di Jugoslavia -Limiti, con nota di F. 
QUADRI, 67. 
-Ravvicinamento delle legislazioni Acque 
minerali naturali -Nozione Acque 
con propriet� salutari, 110. 
-Tutela della propriet� intellettuale Brevetti 
-Certificato protettivo complementare 
per i medicinali -Possibilit� 
di concedere pi� certificati: limiti Rifiuto 
del titolare dell'autorizzazione 
all'immissione in commercio di fornirne 
copia a chi richiede il certificato, 
con nota di O. FIUMARA, 88. 

CONCESSIONE 

-Finanziamento statale di interventi 
per la salvaguardia ambientale -Parere 
negativo del Consiglio di Stato su 
schema di convenzione -Posizioni 
reciproche di obblighi e di diritti 
nascenti dalla concessione dei finanziamenti 
-Giurisdizione G.O., 249. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-Questione di legittimit� costituzionale 
-Giudice istruttore civile in funzione 
di giudice monocratico -Legittimazione, 
con nota di F. BASILICA, 36. 

COSA GIUDICATA 

-Qualificazione giuridica della fattispecie 
-Impugnazione intesa a contestare 
l'applicabilit� della corrispondente 
disciplina -Giudicato sulla qualificazione 
-Inconfigurabilit�, 171. 

DEMANIO E PATRIMONIO DELLO 
STATO 

-Locazione -Canoni-Rivalutazione Presunta 
disparit� di trattamento Inammissibilit�, 
12. 

ELEZIONI 

-Liste dei candidati -Presentazione Autenticazione 
delle firme -Necessit� 
-Materiale porgitore della lista Esclusione, 
244. 

ELEZIONI COMUNALI 

-Dimissioni consiglieri comunali ultra 
dimidium -Non simultaneit� -Scioglimento 
Consiglio comunale -Esclusione, 
235. 

-Indebita ammissione di una lista -Annullamento 
proclamazione eletti a 
seguito di azione popolare -Effetti, 

266. 
-Presentazione delle liste -Formalit� Firme 
dei sottoscrittori su moduli non 
recanti indicazione dei candidati Inammissibilit�, 
266. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

VI 

-Ricorso cumulativo in veste di candidato 
ed elettore -Ammissibilit�, 266. 

ELEZIONI PER IL RINNOVO DEL CONSIGLIO 
COMUNALE 

-Liste dei candidati -Presentazione Certificato 
elettorale dei sottoscrittori 
-Esibizione -Necessit�, 240. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Anomalia procedimentale -Opposizione 
a stima da parte dell'espropriante 
-Termine -Decorrenza, 150. 

-Occupazione acquisitiva d'immobile Risarcimento 
danni -Ricorso per cassazione 
-Ius superveniens -Questioni 
di costituzionalit� -Irrilevanza -Cassazione 
con rinvio, 155. 

-Occupazione acquisitiva di terreno 
destinato ad opere di edilizia popolare 
ed economica -Determinazione risarcimento 
-Legge 23 dicembre 1996 n. 
662, art. 3, 65� co. -Applicabilit�, 147. 

-Occupazione appropriativa di terreni Danni 
-Prescrizione quinquennale Decorrenza, 
115. 

-Occupazione d'urgenza -Termini Norma 
soprawenuta -Decreto di proroga 
posteriore alla scadenza -Illegittimit� 
-Offerta indennit� provvisoria 
di espropriazione -Deposito di somme 
non corrispondenti -Decreto di espropriazione 
-Illegittimit�, 226. 

-Termini -Inizio e ultimazione della 
procedura -Proroga -Casi di forza 
maggiore -Individuazione, 231. 

-Termini -Termine ex art. 1 terzo 
comma l. n. 1 del 1978 -Natura accelttratoria, 
231. 

FIDEIUSSIONE �OMNIBUS� 

-Diritto transitorio -Diversit� di regimi 
e disparit� di trattamento -Esclusione 
-Questione infondata, con nota di F. 
BASILICA, 36. 

FORZE ARMATE 

-Obiezione di coscienza -Rifiuto del 
servizio civile sostitutivo -Pena -Violazione 
del principio di eguaglianza Illegittimit�, 
48. 

GIUDIZIO PENALE 

-Chiusura delle formalit� di apertura 
del dibattimento -Contestazione suppletiva 
di reati -Rinvio ad altra udien


za per termini a difesa -Costituzione 
di parte civile -Ammissibilit�, 314. 


-Istanza di ricusazione del G.U.P. che 
in sede di prowedimento cautelare ha 
come G.I.P. prospettato il difetto di 
giurisdizione -Inammissibilit� (art. 34 
e 37 c.p.p.), con nota di P. DI TARSIA DI 
BELMONTE, 325. 

-Reati commessi in territorio italiano 
successivamente sottoposti a sovranit� 
di altro Stato -Giurisdizione italiana Non 
sussiste, con nota di P. DI TARSIA 
DI BELMONTE, 325. 

GIURISDIZIONE 

-Giurisdizione ordinaria e contabile Responsabilit� 
civile -Amministrazione 
pubblica -Danno ad alunno Culpa 
in vigilando del docente -Evocazione 
in lite anche del dipendente Giurisdizione 
ordinaria, 162. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Interesse alla impugnazione -Atto 
incidente sul territorio comunale Impugnazione 
da parte del Comune Ammissibilit�, 
254. 

-Ricorso per ottemperanza -Inammissibilit� 
-Fattispecie, 203. 
-Ricorso per revocazione -Ammissibilit� 
-Condizioni, 187. 

IMPIEGO PUBBLICO 

-Atti amministrativi della Presidenza 
della Repubblica -Dipendenti del Segretariato 
Generale della Presidenza Giurisdizione 
giudice amministrativo Sussistenza, 
219. 

-Dirigente Generale -Nomina -Dirigente 
gi� in aspettativa per mandato 
parlamentare e collocato a riposo 
medio termine -Ricostruzione di carriera 
-Esclusione, 263. 

-Inquadramento -Dipendente Universit� 
-Personale non docente -Natura 
prowedimentale -Sussistenza -Insorgenza 
credito rivalutazione monetaria 
e interessi -Data di emanazione del 
decreto di inquadramento, 246. 

I 

-Legittimazione alla tutela giurisdizionale 
-Interesse morale al corretto esercizio 
del potere di nomina a scelta 


I 

Sufficienza -Fattispecie , 219. 
-Regione Liguria -Dipendenti regionali 

11

-Collocamento a riposo -Domanda di 

f:
trattenimento in servizio -Diritto 


I i:'

Esclusione -Accettazione da parte dell'amministrazione 
-Legittimit�, 33. 




INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

-Revoca o riforma di atti amministrativi 
preesistenti -Onere di ampia motivazione 
sulla necessit� di rivalutare 
la situazione pregressa -Sussistenza, 

220. 
-Sospensione cautelare dal servizio Cessazione 
dall'impiego nelle more del 
procedimento penale per dispensa per 
inidoneit� fisica -Successiva condanna 
penale -Mancato inizio del procedimento 
disciplinare -Decadenza ex tunc 
degli effetti della sospensione, 198. 
-Stipendi, assegni ed indennit� -Interessi 
e rivalutazione su crediti previdenziali 
-Rapporti pendenti ed ambito 
applicativo delle leggi n. 412/1991 e n. 
724/1994, con nota di F. BASILICA, 210. 
-Stipendi -Rivalutazione -Natura Parte 
integrante del credito di lavoro Adempimento 
parziale -Rivalutazione 
-Debito retributivo -Rivalutabile ulteriormente 
sino al soddisfo, 246. 
- 
Svolgimento di fatto di mansioni superiori 
-Rilevanza -Esclusione, 206. 

IMPUGNAZIONI 

-Sentenza di non doversi procedere 
perch� estinto il reato per prescrizione 
-Responsabilit� civile -Impugnazione 
-Inammissibilit� -Esclusione, 319. 

ISTRUZIONE E SCUOLE 

-Conservatori di Musica -Corsi di chitarra 
Legge 2 maggio 1984 n. 106 Valore 
legale -Condizioni, 258. 

-Insegnante universitario presso la 
facolt� di Magistero -Soppressione 
facolt� di Magistero -Istituzione 
facolt� di lettere e filosofia terza Universit� 
di Roma -Trasferimento -Art. 
2 legge 7 agosto 1990 n. 245 -Legittimit�, 
252. 

-Istituto tecnico professionale -Personalit� 
giuridica -Rapporti con Ministero 
della pubblica istruzione -Autonomia 
amministrativa, 128. 

-Universit� -Scuole specializzazione Medicina 
-Art. 8 d.lgs 8 agosto 1991 n. 
257 -Questione di costituzionalit� Manifesta 
infondatezza, 273. 

-Universit� -Scuole specializzazione Medicina 
-Posizione soggettiva specializzandi 
-Interesse legittimo, 273. 

-Universit� -Scuole specializzazione Medicina 
-Specializzandi dei corsi 
anteriori al 1991 -Remunerazione Speciale 
punteggio concorsuale -Non 
spettanza, 273. 

MISURE DI SICUREZZA 

-Diritto di difesa -Avviso sulla facolt� 
di presentare difese -Illegittimit� 
costituzionale parziale, 21. 

OBBLIGAZIONI E CONTRATTI 

-Obbligazioni pecuniarie -Inadempimento 
-Svalutazione -Risarcimento 
del maggior danno -Pubblica amministrazione 
creditore -Ricorso ad elementi 
presuntivi -Esclusione -Onere 
di provare esatto ammontare del 
danno subito -Necessit�, 152. 

OPERE PUBBLICHE 

-Appalto -Rescissione del contratto ai 
sensi degli artt. 340 L. n. 2248/1865, 
all. F. e 27, 28 e 29 RD n. 350/1865 Dichiarazione 
formale -Necessit� Comunicazione 
all'appaltatore -Notificazione 
-Necessit� -Esclusione, 157. 

-Appalto -Sospensione dei lavori Durata 
-Facolt� dell'appaltatore di 
chiedere lo scioglimento del contratto 
senza indennit� -Legittimit� della 
sospensione -Necessit�, 157. 

-Revisione prezzi e prezzo chiuso Determinazione 
-Meccanismo della 
maggiorazione del 5% in ragione della 
durata dei lavori -Computabilit� anche 
nel primo anno -Sussistenza, 135. 

PENA 

-Condannato all'ergastolo -Revoca del 
beneficio della liberazione condizionale 
-Nuova concessione -Esclusione Violazione 
della finalit� rieducativa 
della pena -Illegittimit� costituzionale, 
25. 

PRESCRIZIONE E DECADENZA 

-Risarcimento danni da illecito -Fatto 
costituente reato -Cause di interruzione 
o sospensione della prescrizione 
relativa al reato -Irrilevanza, 125. 

PROCEDIMENTO ARBITRALE 

-Domande nuove -Mancata fissazione 
di un nuovo termine per deposito di 
memorie e documenti in relazione ai 
nuovi quesiti -Violazione del principio 
del contraddittorio -Sussistenza, con 
nota di G. ARPAIA, 183. 

PROCEDIMENTO CMLE 

-Garanzia impropria -Scindibilit� del 
rapporto -Effetti, 117. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

VIII 

-Notificazione -Residenza, domicilio, 
dimora -Ufficio del destinatario ex art. 
139, primo comma cod. proc. civ. Notifiche 
-Notificazione a persona 
investita di funzione di amministratore 
municipale -Idoneit�, 121. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Giudice delle indagini preliminari Custodia 
cautelare in carcere disposta 
dopo rinvio a giudizio -Omessa previsione 
dell'interrogatorio entro cinque 
giorni -Illegittimit�, 3. 

-Principio dell'immutabilit� del giudice 
-Rinvio dell'udienza -Diversa composizione 
del Collegio -Nullit� -Esclusione, 
319. 

PROTEZIONE CIVILE E SERVIZI 
ANTINCENDIO 

-Servizio antincendi negli aeroporti Assistenza 
alle operazioni di rifornimento 
carburante ad aeromobili con 
passeggeri a bordo -Gratuit� -Esclusione, 
171. 

RESPONSABILIT� CIVILE 

-Amministrazione pubblica -Atti del 
dipendente -Danno a terzi -Atti dolosi 
o colposi estranei ai fini istituzionali 
-Responsabilit� solidale della P.A. Esclusione, 
128. 

-Amministrazione pubblica -Atti del 
dipendente -Danno a terzi -Atti estranei 
ai fini istituzionali -Responsabilit� 
solidale della P.A. -Esclusione -Limiti, 
139. 

-Amministrazione pubblica -Atti del 
dipendente -Danno a terzi -Atto doloso 
(reato) -Condotta complessiva non 
estranea ai fini istituzionali -Responsabilit� 
solidale della P.A. -Sussiste, 

139. 
-Amministrazione pubblica -Atti del 
dipendente -Danno a terzi -Colpa 
lieve del dipendente -Giudizio risarcitorio 
-Legittimazione passiva esclusiva 
della P.A., 162. 

-Amministrazione pubblica -Atti del 
dipendente -Danno a terzi -Concorso 
del fatto colposo del danneggiato ex 
art. 1227 co. 2 e.e. -Ordinaria diligenza 
-Nozione -Condotta attiva per limitare 
il danno, 139. 

- 
Amministrazione pubblica -Danno ad 
alunno -Culpa in vigilando del docente 
-Docenti di Istituto tecnico profes


sionale con personalit� giuridica Legittimazione 
passiva della P.A. Ministero 
della pubblica istruzione Sussiste 
-Istituto tecnico -Non sussiste, 
128. 

-Amministrazione pubblica -Danno ad 
alunno -Culpa in vigilando del docente 
-Giudizio risarcitorio -Legittimazione 
passiva del docente -Esclusione 
ex art. 61 co. 2, l. n. 312 del 1980 -Altre 
condotte dannose dolose o gravemente 
colpose del docente -Giudizio risarcitorio 
-Legittimazione passiva del 
docente -Sussistenza ex art. 23, d.P.R. 

n. 3 del 1957, 162. 
-Amministrazione pubblica -Danno ad 
alunno -Culpa in vigilando del docente 
-Giudizio risarcitorio -Legittimazione 
passiva del docente -Esclusione 
ex art. 61, co. 2, I. n. 312 del 1980 Legittimazione 
passiva esclusiva della 

P.A. -Sussiste -Successiva rivalsa Ammissibilit� 
-Limiti -Dolo o colpa 
grave dell'insegnante, con nota di G. 
NOVIELLO, 162. . 
-Amministrazione pubblica -Danno ad 
alunno -Culpa in vigilando del docente 
-Giudizio risarcitorio -Legittimazione 
passiva del docente -Esclusione 
ex art. 61, co. 2, I. n. 312 del 1980-Portata 
applicativa -Danno cagionato da 
alunno ad altro alunno o a terzi Applicabilit� 
-Danno cagionato da 
alunno a se stesso -Applicabilit�, con 
nota di G. NOVIELLO, 162. 

-Amministrazione pubblica -Opere 
pubbliche -Strade -Situazione di pericolo 
occulto (c.d. insidia o trabocchetto) 
-Caratteristiche oggettive e soggettive 
-Responsabilit� dell'ANAS Fattispecie, 
177. 

- 
Danni da attivit� giudiziaria del giudice 
-Fattispecie -Regime anteriore alla 
legge 13 aprile 1988 n. 117 -Applicabilit� 
esclusiva degli artt. 55 e 74 
cod. proc. civ., 180. 

SENTENZA 

-Motivazione -Omessa valutazione 
delle ragioni di una delle parti -Motivazione 
apparente -Nullit�, 317. 

TITOLI DI CREDITO 

-Importazione ed esportazione di titoli 
di credito -Infrazioni valutarie -Violazione 
della disciplina di cui agli artt. 3 
e 5 del d.l. n. 167 del 1990, convertito 
in legge n. 227 del 1990 -Requisiti 
oggettivi e soggettivi, 174. 



INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA 

TRATTATI, CONVENZIONI E ORGANISMI 
INTERNAZIONALI 

-Sovrano Militare Ordine di Malta 
(SMOM) e Associazione dei Cavalieri 
Italiani del Sovrano Militare Ordine di 
Malta (ACISMOM) -Posizione giuridica 
-Soggettivit� internazionale -Riconoscimento 
delle prerogative della 
sovranit�: immunit� e privilegi -Ipotesi 
di abuso d'ufficio o di omissione di 
atti d'ufficio -Insussistenza, con nota 
di 0. FruMARA, 345. 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Liquidazione delle 
imposte ex art. 36 bis d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 600 -Termine per l'iscrizione 
a ruolo -� quello del 31 
dicembre dell'anno successivo -Termine 
dell'art 17 primo comma del d.P.R. 
29 settembre 1973 n. 602 -Irrilevanza, 
con nota di C. BAFILE, 290. 

-Accertamento -Motivazione -Indicazione 
degli elementi di prova Esclusione, 
279. 

-Dichiarazione -Ritrattazione dopo il 
decorso di un mese -Inammissibilit� Rimborso 
di somme pagate in conformit� 
della dichiarazione -Esclusione, 

288. 
- 
Imposta sul reddito delle persone fisiche 
-Indennit� conseguite a titolo 
di risarcimento -Art. 6 t.u. 22 dicembre 
1986 n. 917 -Applicabilit� ai 
periodi anteriori per effetto dell'art. 
36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, 

297. 
- 
Imposta sul reddito delle persone 
fisiche -Reddito di lavoro dipendente 
-Indennit� di fine rapporto -Periodi 
volontariamente riscattati con 
onere ad esclusivo carico del dipendente 
-Detrazione delle somme corrispondenti 
alla quota di contributi versati 
dal lavoratore -Esclusione, 301. 

-Imposte sul reddito delle persone fisiche 
-Redditi di lavoro dipendente Pensioni 
-Pensioni privilegiate ordinarie 
civili e militari -Sono soggette alla 
imposta, 303. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Accertamento -Motivazione -Requisiti 
-Prova del valore di beni -Distinzione, 
280. 

-Imposta di successione -Vendita 
immobili nei sei mesi antecedenti la 
morte -Reinvestimento del denaro in 
BOT -Omessa esenzione -Legittimit�, 
17. 

-Imposta sul valore aggiunto -Detrazione 
-Omessa dichiarazione -Computo 
nel mese di competenza -� sufficiente 
per ottenere il diritto alla 
detrazione, 284. 

-Imposta sul valore aggiunto -Esercizio 
di impresa -Costruzione di unico 
fabbricato -Sufficienza, 308. 

-Tasse automobilistiche -Domanda di 
accertamento di perdita del possesso Difetto 
di legittimazione passiva della 
Amministrazione finanziaria dello 
Stato, 283. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Azione di 
accertamento negativo -Difetto di 
provvedimento di imposizione -Inammissibilit�, 
306. 

-Contenzioso tributario -Ricorso -Sottoscrizione 
del solo originale diretto 
all'ufficio tributario -Nullit� -Sanatoria, 
299. 

-Fallimento del contribuente -Insinuazione 
tardiva -Decreto del giudice 
delegato che rigetta in parte la domanda 
-Illegittimit� -Rimedi -Ricorso per 
cassazione, 309. 

-Interessi -Fallimento -Periodo successivo 
alla dichiarazione -Misura legale-� quella dell'art. 1284 e.e., 286. 


INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

3 aprile 1997, n. 77 .................................. , ..��...... pag. 3 
8 aprile 1997, n. 88 ............................................ . � 12 
16 maggio 1997; n. 137 ................................ ; ....... . � 17 
23maggio 1997, n. 144 ........................................ . � 21 
4 giugno 1997, n. 161 ......................................... . � 25 
4 giugno 1997, n. 162 ......................................... . � 33 
27 giugno 1997, n. 204 ........................................ . � 36 
11 dicembre 1997, n. 382 ...................................... . � 48 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE.COMUNIT� EUROPEE 

Plenum, 14 gennaio 1997, nella causa C-124/95 ...... ; ............. . pag. 67 
6a sez., 23 gennaio 1997, nella causa C-181/95 ...................... . � 88 
Plenum, 27 febbraio 1997, nella causa C-177 /95 .................... . � 68 
5asez., 7 maggio 1997, nelle cause riunite C-321-324/94 ............. . � 98 
l"'sez., 17 luglio 1997, nella causa C-17/96 .............. ; ......... . 110 


GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 3 gennaio 1997 n. 11 .................................... . pag. 279 
Sez. I, 14 gennaio 1997 n. 288 .................................. . � 280 
Sez. I, 16 gennaio 1997 n. 410 .................................. . � 283 
Sez. I, 17 gennaio 1997 n. 464 .................................. . � 115 
Sez. I, 20 gennaio 1997 n. 544 .................................. . � 284 
Sez. I, 20 gennaio 1997 n. 546 .................................. . � 117 
Sez. I, 27 gennaio 1997 n. 795 .................................. . � 286 
Sez. lavoro, 14 febbraio 1997 n. 1359 ............................. . � 121 
�� Sez. un., 18 febbraio 1997 n. 1479 ............................... . � (~~~) 
Sez. III, 25 marzo 1997 n. 2605 ........................... ~ ..... . � 128 
Sez.'I, 7 maggio 1997 n. 3978 ................................... . � 288 
Sez. I, 13 maggio 1997 n. 4181 .................................. . � 135 
Sez. III, 14 maggio 1997 n. 4232 ................................ . � 139 
Sez. I, 21maggio1997 n. 4535 .................................. . � 147 
Sez. I, 29 maggio 1997 n. 4748 .................................. . � 150 
Sez. I, 7 luglio 1997 n. 6111 .................................... . � 152 
Sez. I, 28 luglio 1997 n. 7036 ................................... . � 155 
Sez. I, 29 luglio 1997 n. 7088 ................................... . � 290 
Sez. I, 9 agosto 1997 n. 7450 ................................... . � 157 
_�.(}z. un,, 11agosto1997 n. 7454 ................................. . 
Sez. I, 26 agosto 1997 n. 8014 ................................... . :: q~~ 
Sez. I, 4 settembre 1997 n. 8485 ................................. . � 171 
Sez. I, 11ottobre1997 n. 9893 .................................. . � 297 
Sez. I, 28 ottobre 1997 n. 10583 ................................. . � 299 
Sez. I, 28 ottobre 1997 n. 10584 ................................. . � 301 
Sez. I, 29 ottobre 1997 n. 10646 ................................. . � 303 
Sez. I, 15 novembre 1997 n. 11337 ............................... . � 174 
Sez. III, 24 novembre 1997 n. 11763 ............................. . � 177 
Sez. I, 26 novembre 1997 n. 11860 ............................... . � 180 



.��: 

XII RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Sez. I, 9 dicembre 1997 n. 12448 ................................. pag. 306 
Sez. I, 13 dicembre 1997 n. 12630 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 308 
Sez. I, 23 dicembre 1997 n. 13008 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 309 

CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 

9 gennaio 1997 n. 1 ............................................ pag. 183 


GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad. plen., 22 gennaio 1997 n. 3 .................................. . pag. 187 
Ad. plen., 4 febbraio 1997 n. 5 .................................. . 193 
Ad. plen., 6 marzo 1997 n. 8 .................................... . )) 198 
Ad. plen., 19 maggio 1997 n. 9 .................................. . )) 203 
Ad. plen., 4 settembre 1997 n. 20 ................................ . )) 206 
Ad. plen., 17 novembre 1997 n. 21 ............................... . )) 210 
Sez. IV, 3 marzo 1997 n. 173 ................................... . )) 219 
Sez. IV, 14 luglio 1997 n. 715 ................................... . )) 226 
Sez. IV, 11 dicembre 1997 n. 1383 ............................... . )) 231 
Sez. IV, 11 dicembre 1997 n. 1386 ............................... . )) 235 
Sez. V, 3 febbraio 1997 n. 137 .................................. . )) 240 
Sez. V, 3 febbraio 1997 n. 138 .................................. . )) 244 


I
Sez. VI, 5 marzo 1997 n. 365 ................................... . )) 246 
Sez. VI, 25 marzo 1997 n. 508 .................................. . )) 249 
Sez. VI, 9 settembre 1997 n. 1307 ................................ . )) 252 
Sez. VI, 9 settembre 1997 n. 1308 ................................ . 254 


I Sez. VI, 31ottobre1997 n. 1533 ................................. . )) 258 
Sez. VI, 31ottobre1997 n. 1534 ................................. . )) 263 

I

TAR TOSCANA 

I ~= 
Sez. I, 3 novembre 1997 n. 4 70 .................................. . pag. 273 
Sez. Il, 23 ottobre 1997 n. 668 .................................. . )) 266 

GIURISDIZIONI PENALI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. III penale, 2 luglio 1997 n. 6308 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 314 

I 

Se~. IV penale, 4 luglio 1997 n. 1310 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 317 
Sez. IV penale, 17 dicembre 1997 -22 gennaio 1998 n. 854 . . . . . . . . . . . . . � 319 

TRIBUNALE DI ROMA 

Collegio per i reati ministeriali, decreto di archiviazione 9 ottobre 1997 .. pag. 345 
Sez. GIP, 13 novembre 1997 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 325 

I 

CORTE D'APPELLO DI ROMA 

Sez. IV ordinanza 12 novembre 1997 n. 160 ........................ pag. 325 


I 

I ~ 

I 
I 
f.� 



PARTE SECONDA 

DOTTRINA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 3 

RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: 
QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE: 

I -Norme dichiarate incostituzionali. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 37 
Ib -Ammissibilit� della richiesta di referendum popolare . . . . . . . . . . . . . . � 44 
II -Questioni dichiarate non fondate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 47 

CONSULTAZIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ,, 59 


PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 3 aprile 1997, n. 77 -Pres. Granata -Red. 
Vassalli -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato di Tarsia). 

Procedimento penale -Giudice delle indagini preliminari -Custodia cautelare 
in carcere disposto dopo rinvio a giudizio -Omessa previsione dell'interrogatorio 
entro cinque giorni -illegittimit�. 
(Cost., artt. 3, 24; c.p.p., artt. 294, co. 1 e 302). 

Viola sia ilprincipio di eguaglianza sia il diritto alla difesa l'omessa previsione 
dell'interrogatorio entro cinque giorni da quello in cui � disposta la custodia 
in carcere, quando tale misura sia stata adottata dopo la richiesta di rinvio 
a giudizio e fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento (1). 

(omissis) 1. -Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o 
analoghe. I relativi giudizi vanno, dunque, riuniti per essere decisi con un'unica 
sentenza. 

(1) Con la sentenza qui riportata la Corte supera la giurisprudenza di legittimit� 
che aveva, prima dell'ordinanza 21 dicembre 1995 pi� volte e decisamente ritenuto 
manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalit� sollevata in casi consimilt. 
Si coglie nella motivazione della sentenza una particolare attenzione al valore 

insostituibile dell'interrogatorio, quale massima garanzia conferita all'imputato rispet


to alla misura cautelare. 

In relazione all'assolutezza di tale principio la Corte disattende tutti gli argomen


. ti che pure razionalmente avevano supportato la legittimit� delle norme: rispetto alle 
due funzioni essenziali dell'interrogatorio, quella di far conoscere all'indagato gli elementi 
a suo carico e quella di consentirgli il pi� ampio spazio di difesa, i giudici costituzionali 
non contestano la possibilit� di realizzare la prima anche senza l'interrogatorio 
una volta che con la chiusura delle indagini preliminari egli abbia la possibilit� 
di conoscere in modo esauriente il fascicolo depositato nella cancelleria. Essi tuttavia 
ritengono non realizzata integralmente la funzione garantista dell'interrogatorio sotto 
l'altro profilo delle possibilit� dell'imputato di discolparsi direttamente dinanzi al giudice. 
In tale prospettiva la Corte non ritiene parificabile al mancato interrogatorio successivo 
alla misura cautelare neppure quello reso dallo stesso imputato in sede di 
udienza preliminare, in quanto incentrato sul meritum causae anzich� sulla sussistenza 
e sul permanere delle condizioni legittimanti la custodia. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

4 

2. -Comune oggetto di censura � il combinato disposto derivante dagli 
artt. 294, comma 1, e 302 del codice di procedura penale, nella parte in cui 
non prevede che l'interrogatorio �di garanzia� contemplato dalla prima delle 
due disposizioni (interrogatorio da eseguirsi �immediatamente e comunque 
non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della custodia�) debba essere 
espletato anche quando la privazione della liberta' personale abbia inizio 
in epoca successiva alla richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico 
ministero e che alla omessa effettuazione del detto interrogatorio nel termine 
indicato dall'art. 294 debba conseguire la perdita di efficacia della misura. 
Per la verit� una delle ordinanze di rimessione, quella emessa dal Tribunale 
di Lecce in sede di appello avverso un provvedimento di diniego di dichiarazione 
di estinzione della misura cautelare, si limita a denunciare il solo art. 
294, comma 1, del codice di procedura penale; ma dalla motivazione del 
provvedimento rimessivo risulta evidente, anche per ragioni direttamente 
connesse alla rilevanza, considerato pure ilpetitum divisato nel gravame proposto 
avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari, il 
diretto coinvolgimento nei dubbi di legittimit� sottoposti all'esame della 
Corte dell'art. 302 del codice di procedura penale. 
Tutte le ordinanze di rimessione indicano, quali parametri di raffronto, 
gli artt. 3 e 24 della Costituzione. 

Relativamente alle dedotte Violazioni del principio di uguaglianza e del 
diritto di difesa, peraltro, ciascuno dei giudici a quibus anche qui per ragioni 
direttamente ricollegabili al requisito della rilevanza, circoscrive le sue 
doglianze alla mancata previsione dell'interrogatorio nel periodo corrente tra 
la richiesta di rinvio a giudizio e la conclusione dell'udienza preliminare: cos� 
la Corte di cassazione, che richiama espressamente il disposto dell'art. 422, 
comma 3, del codice di procedura penale, il quale prescrive che �in ogni caso 
l'imputato pu� chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio, per il quale si 
applicano le disposizioni degli artt. 64 e 65�; ma pi� ancora il tribunale di 

Evidentemente la pronuncia che si annota riconosce una completa autonomia al 
giudizio sulla misura cautelare, al punto da non ritenere per esso sufficienti neppure le 
garanzie accordate all'imputato nel pi� ampio contesto in cui si valuta il merito delle 
ipotesi accusatorie. Secondo tale linea interpretativa la piena conoscenza degli atti 
delle indagini preliminari non basta a tutelare adeguatamente l'indagato, neppure in 
quanto gli consente di ricorrere ad impugnazioni della misura cautelare ben pi� consistenti 
sul piano del merito. Si tratta della massima affermazione del principio per cui 
il soggetto destinatario di una misura restrittiva della libert� deve comunque prendere 
immediato contatto con il giudice, un'affermazione per arrivare alla quale un peso 
significativo va sicuramente attribuito alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti 
dell'uomo, la cui violazione era stata eccepita da una parte privata costituita nel giudizio 
costituzionale. A tale richiamo non � rimasta insensibile la Corte che richiama la 
Convenzione come pure il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, sia 
pure con un inciso della motivazione che tuttavia risulta molto eloquente. 

G.P.P. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Napoli, che accenna alle incerte cadenze cronologiche della fase che va dalla 
richiesta di rinvio a giudizio all'effettivo espletamento della udienza preliminare 
ove potr� soccorrere l'interrogatorio poc'anzi ricordato; analogamente 
l'ordinanza del tribunale di Lecce, pur facendo genericamente riferimento 
all'assoggettamento dell'imputato alla misura cautelare dopo l'esercizio dell'azione 
penale da parte del pubblico ministero prima della presa di contatto 
dell'imputato stesso con il giudice ai sensi dell'art. 405, comma l, del codice 
di procedura penale, si inserisce in un contesto da assimilare a quello in cui 
sono state pronunciate le altre ordinanze di rimessione sia con riguardo alla 
fase in cui � intervenuta l'ordinanza di diniego della dichiarazione di estinzione 
della misura (l'udienza preliminare) sia in relazione al petitum perseguito 
dal rimettente. 

Ne consegue che la questione sottoposta all'esame della Corte resta rigorosamente 
delimitata alla denuncia degli artt. 294, comma 1, 302 del codice 
di procedura penale, nella parte relativa alla mancata previsione, per la fase 
che va dalla richiesta di rinvio a giudizio alla conclusione dell'udienza preliminare, 
tanto del dovere del giudice di procedere all'interrogatorio dell'imputato 
in stato di custodia cautelare in carcere quanto dell'effetto caducatorio 
della misura in caso di mancato espletamento del detto interrogatorio nel 
termine di cinque giorni dalla esecuzione della misura stessa. 

Pi�' precisamente, ove si consideri che -stando ad un ormai consolidato 
indirizzo interpretativo -alla stregua del combinato disposto dell'art. 279 
del codice di procedura penale e dell'art. 91 delle norme di attuazione, la competenza 
del giudice per le indagini preliminari nella materia de libertate non 
si consuma con l'emissione del decreto di cui all'art. 429 dello stesso codice 
ma si protrae nella particolare fase processuale compresa tra la pronuncia del 
decreto che dispone il giudizio e la trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, 
la questione, investendo le norme denunciate fino al termine ultimo 
di cognizione del giudice per leindagini preliminari in materia di libert� personale, 
si estende a coinvolgere la fase ricompresa tra la richiesta di rinvio a 
giudizio e l'apertura della fase degli atti preliminari al dibattimento (art. 465 
e seguenti del codice di procedura penale). 

3. -Ci� premesso in relazione all'effettivo thema decidendi demandato 
all'esame della Corte, va ricordato come, ancora con riferimento alla violazione 
dell'art. 24 della Costituzione, taluni dei giudici a quibus oltre a rimarcare 
la natura di strumento di difesa dell'interrogatorio di �garanzia�, ed il 
pregiudizio che conseguentemente discende dall'omissione del suo espletamento 
nei confronti dell'imputato che venga privato dello status libertatis 
non mancano di richiamare pure la violazione dell'art. 5, numero 3, della 
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali, 
firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa esecutiva in Italia con 
legge 4 agosto 1955, n. 848 (�Ogni persona arrestata o detenuta nelle condizioni 
previste dal paragrafo 1 c del presente articolo, deve essere tradotta al 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

6 

pi� presto dinanzi a un giudice o a un altro magistrato autorizzato dalla legge 
ad esercitare funzioni giudiziarie�) e dell'art. 9, numero 3, del Patto internazionale 
relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 19 settembre 
1966, reso esecutivo in Italia con legge 25 ottobre 1977, n. 881 (�Chiunque sia 
arrestato o detenuto in base ad un'accusa di carattere penale deve essere tradotto 
al pi� presto dinanzi a un giudice o ad altra autorit� competente per 
legge ad esercitare funzioni giudiziarie�). 

Infine, la Corte di cassazione invoca quale ulteriore parametro costituzionale 
l'art. 76 della Costituzione, in relazione dell'art. 2, numero 5, della 
legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, il quale detta la disciplina delle modalit� 
dell'interrogatorio in funzione della sua natura di strumento di difesa. 

4. -Il richiamo all'art. 76 della Costituzione e, per suo tramite, all'art. 2, 
numero 5, della legge-delega non ha fondamento. 
La norma interposta nel limitarsi a prescrivere, nella sua terza sub-direttiva, 
la disciplina delle modalit� dell'interrogatorio in funzione della sua 
natura di strumento di difesa, resta, infatti, sovrastata dall'art. 2, numero 60, 
della stessa legge-delega, che determina la specifica disciplina dell'interrogatorio 
dell'imputato in stato di custodia cautelare, circoscrivendo il detto 
dovere alla fase delle indagini preliminari, con l'enunciare norme-principio 
peraltro riprodotte, pressoch� alla lettera, dalle disposizioni denunciate. Una 
verifica che occorre subito effettuare allo scopo di delimitare, anche sul 
piano ermeneutico, l'ambito prescrittivo della disposizione del legislatore 
delegante, per poi appurarne l'effettivo coinvolgimento nella quaestio de legitimitate 
sottoposta al vaglio della Corte. 

5. -Risulta chiaro come l'interpretazione della norma censurata ad opera 
dei giudici a quibus sia conforme, non soltanto alla lettera degli artt. 294, 
comma 1, e 302 del codice di procedura penale, ma anche alla strutturazione 
sistematica dello stesso codice nella delimitazione, avente puntuale valore 
precettivo, tra la fase delle indagini preliminari e la fase del processo che, nell'ipotesi 
di ordinario procedimento davanti al tribunale e alla corte di assise, 
ha il suo inizio con la richiesta di rinvio a giudizio, secondo le sequenze indicate 
dall'ultima parte del comma 1 dell'art. 405 e dall'art. 416 del codice di 
procedura penale. Con la conseguenza, pressoch� incontestata sul piano 
interpretativo, che la richiesta di rinvio a giudizio, quale atto di esercizio dell'azione 
penale, rappresenta il momento che pone fine alla fase delle indagini 
preliminari per dare inizio al vero e proprio processo. Il tutto, del resto, 
conformemente al disposto dell'art. 60 del codice di procedura penale alla cui 
stregua assume la qualit� di imputato la persona alla quale � attribuito un 
reato nella richiesta di rinvio a giudizio (oltre che nella richiesta di giudizio 
immediato, di decreto penale di condanna, di applicazione della pena a 
norma dell'art. 447, comma l, nel decreto di citazione a giudizio emesso a 
norma dell'art. 555 e nel giudizio direttissimo). 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Ci� per sottolineare come le perplessit� problematicamente avanzate dal 
Tribunale di Napoli circa il momento di effettiva chiusura delle indagini preliminari 
siano state correttamente superate dal giudice a quo, pervenendo a 
risultati interpretativi da considerare ormai ius receptum nella giurisprudenza 
della Corte di cassazione. 

6. -Poich� tutte le fattispecie sottoposte all'esame di questa Corte concernono 
ipotesi di misure cautelari eseguite dopo la richiesta di rinvio a giudizio 
(e prima della chiusura dell'udienza preliminare), appare necessario 
precisare come il momento di effettiva privazione dello status libertatis viene 
di regola assunto come punto di riferimento obbligato al fine di determinare 
se sia o no operante il regime di cui agli artt. 294, comma 1, e 302 del codice 
di procedura penale, rivestendo valore del tutto marginale la circostanza che 
la misura sia stata disposta prima o dopo la chiusura delle indagini prelim�nari; 
nel senso che, poich� nei confronti di chi sia privato dello status libertatis 
dopo la richiesta di rinvio a giudizio viene predisposto un regime di 
cognizione delle fonti (e degli eventuali elementi) di prova raccolti che consente 
un compiuto apprestamento del diritto di difesa anche in relazione alla 
misura cautelare adottata, diverrebbe del tutto ininfluente verificare il 
momento di emissione del provvedimento che applica la misura, per essere il 
sistema predisposto in modo tale da permettere in ogni caso a chi si trovi in 
vinculis di contestare i fatti posti a base della custodia. 
Una soluzione alla quale pu� tuttavia addebitarsi di non considerare come 
la misura cautelare rimane comunque oggetto di valutazione per gli elementi 
posti a base di essa all'atto della sua adozione, contestabili dall'inquisito proprio 
in funzione del momento in cui il provvedimento � stato disposto; con la 
conseguenza che non diverrebbe sempre ininfluente il fatto che la misura sia 
stata adottata nel corso delle indagini preliminari (e, quindi, sulla base delle 
fonti di prova ritenute rilevanti in quel momento) ovvero dopo la richiesta di 
rinvio a giudizio (e, quindi, sulla base di una valutazione -pure comparativa 
-delle fonti di prova e degli elementi di prova acquisiti a norma dell'art. 422 
del codice di procedura penale o a mezzo dell'incidente probatorio). Cos� da 
delineare un diverso contenuto dell'interrogatorio di garanzia espletato dopo la 
richiesta di rinvio a giudizio, a seconda che il provvedimento sia stato adottato 
antecedentemente o successivamente all'inizio dell'azione penale. 

7. -Ma, prescindendo da tali rilievi, che attengono non al se ma al contenuto 
dell'interrogatorio, rimane come soluzione interpretativa cos� collaudata 
da essere ormai assurta al ruolo di �diritto vivente� la statuizione scaturita 
anche da una decisione delle Sezioni unite della Corte di cassazione, 
non contestata dalla giurisprudenza che ne � seguita -in base alla quale se 
la custodia cautelare viene disposta in una fase successiva alla chiusura delle 
indagini preliminari ovvero se la persona contro la quale � stato emesso il 
provvedimento custodiale viene catturata dopo la conclusione di quella fase, 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

8 

ancorch� l'ordinanza custodiale sia stata emessa durante le indagini preliminari 
-non sussiste pi� l'obbligo dell'interrogatorio nei termini indicati dall'art. 
294 del codice di procedura penale e non pu� attivarsi la relativa comminatoria 
di cessazione di efficacia del titolo ex art. 302 dello stesso codice 
(cos� Cass., Sez. un., 18 giugno 1993, Dell'Omo). 

Poich� una simile statuizione, oltre a costituire un interpretativo pressoch� 
incontrastato in giurisprudenza, risulta anche rispondente alla lettera delle 
disposizioni sottoposte al vaglio di questa Corte, incentrandosi le residue, e 
peraltro superate, perplessit� ermeneutiche esclusivamente sull'individuazione 
del momento di chiusura delle indagini preliminari, occorre a questo punto 
individuare le ragioni che hanno determinato la Corte di cassazione ad affermare 
la puntuale coerenza tra l'interpretazione letterale e l'interpretazione logico-
sistematica delle disposizioni sottoposte a censura nonch� a pervenire, per 
due volte, alla dichiarazione di manifesta infondatezza della questione di legittimit� 
costituzionale sottoposta, invece, ora al vaglio di questa Corte. 

8. -La ratio decidendi alla base della ricordata interpretazione delle 
Sezioni unite � nel senso che, poich� l'interrogatorio ex art. 294 del codice di 
procedura penale ha la funzione di assicurare in termini brevi, attraverso il 
contatto diretto dell'indagato con il giudice e l'attivazione di una immediata 
possibilit� di discolpa, l'acquisizione di ogni elemento utile per una urgente 
verifica della sussistenza dei presupposti per l'applicazione di una misura 
cautelare, la detta esigenza deve intendersi superata quando, concluse le 
indagini preliminari, il pubblico ministero eserciti l'azione penale con la formulazione 
dell'imputazione in uno dei modi previsti dai titoli II, III, IV e V 
del libro sesto owero con la richiesta di rinvio a giudizio. 
Una ratio che appare maggiormente evidenziata da quelle decisioni che 
hanno perentoriamente disatteso le questioni di legittimit� degli artt. 294, 
comma 1, e 302 del codice di procedura penale, incentrate sempre sugli artt. 
3 e 24 della Costituzione, sul presupposto che, una volta chiusa la fase delle 
indagini preliminari, l'indagato, ormai divenuto imputato, ha gi� avuto occasione 
di far conoscere le prove a suo favore nel corso dell'udienza preliminare 
o comunque il giudice ha avuto la possibilit� di valutare le dette prove 
(Cass., Sez. I, 1 dicembre 1993, D'Ambrosi); owero, con pi� specifico riferimento 
a fattispecie vicine alle ipotesi all'esame di questa Corte, che, una volta 
richiesto il rinvio a giudizio ad opera del pubblico ministero, i tempi sono 
obbligati, dovendo l'udienza preliminare essere fissata .entro un termine non 
superiore a trenta giorni, conseguentemente potendo il controllo giurisdizionale 
attivarsi anche sullo status custodiae dell'imputato che pu� cos� esporre 
le proprie difese; senza contare la proposizione della richiesta di riesame a 
mezzo della quale � consentito all'imputato, nei termini brevi di cui all'art. 
309, comma 9, del codice di procedura penale, di essere sentito e di svolgere 
ogni difesa davanti al tribunale della libert�, limitatamente alla legittimit� 
della misura cautelare (Cass., Sez. I, 6 febbraio 1995, Castiglia). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

9. -Le disposizioni denunciate contrastano sia con l'art. 3 sia con l'art. 24 
della Costituzione. 
Relativamente alla violazione del principio di eguaglianza non pu� omettersi 
di rilevare come l'affermazione secondo cui, una volta chiusa la fase 
delle indagini preliminari, avendo l'indagato (ormai divenuto imputato) la 
possibilit� di conoscere il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione 
relativa alle indagini espletate (oltre che i verbali degli atti compiuti 
davanti al giudice per le indagini preliminari) trasmessi al momento 
della richiesta di rinvio a giudizio da parte del pubblico ministero (art. 416, 
comma 2), documentazione depositata nella cancelleria del giudice, con notificazione 
dell'avviso al difensore della facolt� di prendere visione degli atti e 
delle cose trasmessi a norma dell'art. 416, comma 2, e di presentare memorie 
e produrre documenti (art. 419, comma 2), risulti fondata su una non 
compiuta individuazione della funzione dell'interrogatorio di garanzia. 

Secondo l'interpretazione giurisprudenziale, per effetto della richiesta di 
rinvio a giudizio l'imputato � posto in condizione di conoscere gli elementi a 
suo carico, cos� da rendere inutile l'espletamento dell'immediato interrogatorio 
davanti al giudice, ed eccessivo l'effetto caducatorio previsto nell'art. 302, 
tanto pi� nel periodo che va dalla richiesta di rinvio a giudizio alla celebrazione 
dell'udienza preliminare; senza contare che, a norma dell'art. 421, 
comma 2, l'imputato pu� chiedere di essere sottoposto all'interrogatorio per 
il quale si applicano le disposizioni degli artt. 64 e 65. 

Ma al riguardo � da considerare: a) che il termine tra la data della richiesta 
e la data dell'udienza, essendo un termine che per legge (art. 418, comma 
2) pu� arrivare a trenta giorni, non esclude l'eventualit� che, quanto meno 
per tale periodo di tempo, l'imputato in vinculis possa essere sottratto alla 
prima presa di contatto con il giudice avente ad oggetto esclusivo la legittimit� 
dello status custodiae; b) che, per giunta, detto termine, � da ritenere 
soltanto ordinatorio e dunque non esclude la possibilit� che l'interrogatorio 
possa essere ulteriormente differito; e) che l'interrogatorio in sede di udienza 
preliminare di cui all'art. 421, comma 2, secondo periodo -incentrato sul 
meritum causae salva la possibilit� di richiedere, in quella sede, la revoca 
della misura -differisce profondamente dall'interrogatorio previsto dall'art. 
294, avente ad esclusivo oggetto la verifica da parte del giudice della sussistenza 
e del permanere delle condizioni legittimanti la custodia: e ci� in 
un'ottica non sempre collegata al contesto indiziario a carico, assumendo 
particolare rilievo le esigenze cautelari che, proprio in forza delle dichiarazioni 
dell'imputato, potrebbero assumere una pi� limitata valenza fino a 
determinare il giudice a rimettere l'imputato in libert� ovvero ad applicare 
nei suoi confronti una misura meno gravosa. 

In ogni caso, la cognizione degli atti delle indagini preliminari non � elemento 
da solo sufficiente a differenziare le due situazioni in misura da rendere 
esorbitante, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, l'effettuazione dell'interrogatorio 
di garanzia (e, quel che pi� conta, a non compromettere l'eser



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

10 

cizio del diritto di difesa, inscindibile, per questo profilo, dal giudizio sulla 
conformit� della norma all'art. 3 della Costituzione). Se � vero, infatti, che ci 
si trova di fronte a momenti procedimentali diversi, la detta diversit� non 
risulta in grado di rendere razionalmente giustificata nel secondo caso l'omissione 
dell'interrogatorio di cui all'art. 294 del codice di procedura penale. 

10. -A risultarne compromessa � pure, dunque, l'osservanza dell'art. 24, 
secondo comma, della Costituzione, privandosi l'imputato in vinculis del pi� 
efficace strumento di difesa avente ad esclusivo oggetto la cautela disposta; 
di quel colloquio, cio�, con il giudice relativo alle condizioni che hanno legittimato 
l'adozione della misura cautelare ed alla loro permanenza. Non a caso, 
sia il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (in vigore 
per l'Italia dal 1977) sia la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo 
e delle libert� fondamentali del 1950 (entrata in vigore per l'Italia nel 
1955), chiedono la pi� tempestiva presa di contatto con il giudice della persona 
arrestata .o detenuta, a prescindere dalla fase procedimentale in cui la 
privazione dello status libertatis � awenuta. Il tutto con precisi riverberi sul 
diritto alla libert� personale protetto dall'art. 13 della Costituzione, trascurandosi 
altrimenti che l'interrogatorio rappresenta una sorta di controllo successivo 
sulla legittimit� della custodia tanto da collegarsi direttamente al 
diritto al writ ofhabeas corpus secondo le opzioni seguite durante il dibattito 
all'Assemblea Costituente. Cos� da condurre alla conclusione che il diretto 
collegamento con la tutela della libert� personale attraverso un modello procedimentale 
costruito in funzione di verifica e di controllo esclude di norma 
la compatibilit� con il diritto di difesa di limiti al dovere di procedere all'interrogatorio 
previsto dall'art. 294, comma l, per motivi collegati unicamente 
alla fase in cui la custodia cautelare abbia il suo inizio, perseguendo tale atto 
�lo scopo� -come enuncia espressamente il comma 3 dell'art. 294 del codice 
di procedura penale -�di valutare se permangono le condizioni di applicabilit� 
e le esigenze cautelari previste dai precedenti artt. 273, 274 e 275� (v. 
sentenza n. 384 del 1996). 
11. -N�, al fine di superare ilcontrasto con i parametri costituzionali pi� 
volte ricordati, pu� utilmente farsi riferimento alla possibilit� per l'imputato 
di proporre la richiesta di riesame o di domandare la revoca del prowedimento 
cautelare. 
11.1. -Quanto al primo rimedio, � agevole contrapporre che il procedimento 
di riesame costituisce una fase incidentale che prescinde dall'interrogatorio 
di garanzia, tanto che l'omissione di tale atto � deducibile (almeno di 
regola) non come motivo di riesame ma soltanto attraverso un'apposita richiesta 
da far valere davanti al giudice che ha emesso il prowedimento impugnato 
e, in caso di reiezione della richiesta, davanti allo stesso �tribunale del riesame� 
con l'appello previsto dall'art. 310 del codice di procedura penale. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Il fatto, poi, che a norma del comma 8 dell'art. 309, al procedimento di 
riesame, svolgendosi nelle forme previste dall'art. 127 del codice di procedura 
penale, possa partecipare l'imputato, non pu� venire enfatizzato. Vero � 
che il comma 4 dello stesso art. 127 (articolo appositamente richiamato dall'art. 
309, comma 8) prevede il rinvio dell'udienza se sussiste un legittimo 
impedimento dell'imputato che ha chiesto di essere sentito personalmente e 
che non sia detenuto o internato in luogo diverso da quello in cui ha sede il 
giudice (nel quale caso potr� essere sentito a sua richiesta prima del giorno 
dell'udienza dal magistrato di sorveglianza, a meno che non si imponga �la 
diretta assunzione del medesimo affinch� il giudice stesso possa formarsi il 
convincimento nel modo diretto e completo�; v. sentenza n. 45 del 1991). Ma 
al riguardo appare decisivo il rilievo che mentre �audizione� non equivale ad 
�interrogatorio�, l'oggetto dell'audizione stessa rester� strettamente circoscritto 
al contenuto delle doglianze fatte valere con il gravame. Inoltre la partecipazione 
al procedimento di riesame, inserendosi in una procedura che 
non coinvolge il giudice che ha adottato il provvedimento cautelare, non pu� 
essere in alcun modo assimilata all'interrogatorio previsto dall'art. 294 del 
codice di procedura penale: un atto che, per espressa disposizione di legge, 
pu� provocare, anche d'ufficio, la revoca della custodia cautelare, secondo il 
disposto dell'art. 294, comma 3. 

N� pu� essere trascurato che l'attivazione del procedimento di riesame � 
riservata all'indagato (o all'imputato) ovvero al suo difensore, laddove l'interrogatorio 
previsto dall'art. 294, comma 1, del codice di procedura penale 
costituisce preciso dovere del giudice, un dovere da assolvere in un termine 
immediatamente a ridosso dell'inizio della custodia. Con in pi� l'impossibilit� 
di effetti caducatori della misura al di fuori di quelli scaturenti dal combinato 
disposto dei commi 5, 9 e 10 dell'art. 309, la cui ratio viene esclusivamente 
a ricollegarsi a precise intempestivit� ritenute processualmente rilevanti 
nell'ambito della procedura incidentale. 

� 11.2. -Ad analoga conclusione deve pervenirsi in relazione all'interrogatorio 
che il giudice � tenuto ad assumere in caso di richiesta di revoca della 
misura. 

A parte il fatto che l'istituto in parola si colloca in una serie procedimentale 
profondamente diversa rispetto a quella in cui si inserisce l'interrogatorio 
di cui all'art. 294 del codice di procedura penale e fisiologicamente 
coesiste con tale interrogatorio, presupposto per il compimento di tale atto � 
che l'istanza di revoca o di sostituzione della misura sia basata su elementi 
nuovi o diversi rispetto a quelli gi� valutati (art. 299, comma 3-terdel codice 
di procedura penale, introdotto dall'art. 13 della legge 8 agosto 1995, n. 332). 

12. -Va pertanto dichiarata la illegittimit� costituzionale dell'art. 294, 
comma 1, nella parte in cui non prevede l'interrogatorio della persona in 
stato di custodia cautelare in carcere fino alla trasmissione degli atti al giu

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

12 

dice del dibattimento, e dell'art. 302; limitatamente alle parole �disposta nel 
corso delle indagini preliminari� (cos� da adattare il dettato di questa disposizione 
alla nuova configurazione normativa dell'art. 294) (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 8 aprile 1997, n. 88 -Pres. Granata -Red. 
Santosuosso -Presidente del Consiglio dei Ministri (aw. Stato Sica). 

Demanio e patrimonio dello Stato -Locazione -Canoni -Rivalutazione Presunta 
disparit� di trattamento -Inammissibilit�. 

(Cost., artt. 3, 41 e 97; legge 23 dicembre 1994, n.724, artt. 32 co. 1 e 2). 

� inammissibile la questione di legittimit� costituzionale con cui si 
denuncia l'illegittimit� dell'aumento dei canoni di locazioni di beni pubblici 
ritenuto discriminante rispetto ai contratti di diritto privato ove il giudice a 
quo abbia omesso di considerare l'intero quadro normativo in cui sono inserite 
le norme denunciate (1). 

(omissis) 1. -Nel corso di un procedimento civile instaurato da Pisani 
Anna Maria nella qualit� di titolare della ditta l'Escalier, conduttrice di locali 
ad uso commerciale al centro di Roma, contro il Ministero delle finanze, il 
pretore di Roma ha sollevato questione di legittimit� costituzionale, in riferimento 
agli artt. 3, 41 e 97 della Costituzione, dell'art. 32, comma 1, della legge 
23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). 

(1) La sentenza che si riporta pone in luce una particolare prospettiva del giudizio 
di costituzionalit� che la Corte potrebbe valorizzare per contenere I'imput di questioni, 
tanto pi� nel momento in cui ipotizzate riforme normative potrebbero incrementare 
il numero dei soggetti legittimati a richiedere il suo giudizio. 
Diversamente da quanto awenuto in passato con pronunce della Corte che hanno 
esse stesse arricchito il quadro normativo presentato dal giudice a quo (fino al punto 
di suggerire talora una diversa interpretazione del sistema complessivo) onde poter 
compiutamente valutare la portata della questione sollevata, qui la Consulta si limita a 
prendere atto dell'omessa valutazione da parte del remittente di due leggi successive a 
quella denunciata, che riguardano la stessa materia, per dedurre la inammissibilit� dell'incidente. 


Potrebbe trattarsi di un segnale inviato ai giudici circa la necessit� di esercitare 
in modo pi� approfondito quel preliminare vaglio delle questioni che � il presupposto 
essenziale per la funzionalit� del giudizio di costituzionalit�, articolato tra una valutazione 
sommaria attribuita a molteplici organi giudicanti ed una valutazione definitiva 
accentrata nell'organo costituzionale. 

Diversamente non si capirebbe perch� la Corte, una volta richiamate le altre 
norme rilevanti per inquadrare l'aumento dei canoni nel contesto di una manovra volta 
a moralizzare un mercato permissivo di sperequazioni inaccettabili a spese delle finanze 
dello Stato, non sia direttamente passata a valutare la questione sollevata. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

13 

Osserva il giudice a quo che la norma impugnata -nel prevedere che i 
canoni di locazione dei beni patrimoniali dello Stato vengano rivalutati, a 
decorrere dal 1995, di un coefficiente pari a 2,5 volte il canone dovuto per 
l'anno 1994 -crea un'evidente disparit� di trattamento, tra soggetti conduttori 
di beni pubblici di analogo valore, a seconda della data di stipulazione 
del relativo contratto; ci� perch� l'aumento del canone sulla base di un coefficiente 
fisso porta inevitabilmente a tale sperequazione. 

Oltre al contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poi, la norma denunciata 
sarebbe in conflitto anche con gli artt. 41 e 97 della Costituzione: col 
primo, perch� l'eccessivo costo del contratto di locazione potrebbe determinare 
l'estromissione dal mercato di alcune imprese, senza alcuna contropartita 
per l'interesse generale; col secondo, perch�, essendo l'aumento del canone 
imposto ex lege, la pubblica amministrazione verrebbe costretta ad applicare 
la maggiorazione senza alcun margine di discrezionalit� in ordine alle 
condizioni economiche dei diversi casi, con lesione dei principi di imparzialit� 
e buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione. 

In punto di rilevanza, il pretore osserva che la questione sollevata � 
decisiva nel giudizio a quo, promosso dalla conduttrice contro l'Amministrazione 
per vedersi riconoscere l'illegittimit� della richiesta di aumento 
del canone e la conseguente operativit� del canone a suo tempo liberamente 
concordato. 

2. -Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale � intervenuto il 
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura 
generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile 
o, comunque, infondata. 
Preliminarmente, la difesa erariale ha rilevato che le questioni sono state 
sollevate senza alcun riferimento alla situazione concreta ed in via di mera 
ipotesi, il che dovrebbe condurre ad una decisione di inammissibilit�. 

Nel merito, l'Avvocatura dello Stato ha sostenuto che le lamentate violazi~
ni dei precetti costituzionali non sussistono. 

Resta da vedere se i giudici remittenti leggeranno nella sentenza solo un richiamo 
ad una maggiore accuratezza nelle motivazioni delle ordinanze di remissione, o 
anche l'implicita valutazione negativa della sollevata questione arricchita da un 
panorama normativo pi� ampio e tale quindi da affievolire le lamentate disparit� di 
trattamento. 

Su tale dubbio si pu� osservare che la omessa valutazione di normativa vigente 
addebitata al giudice a quo risulta diversa dalle restituzioni degli atti per jus superveniens, 
posto che solo quest'ultimo impone al remittente una riconsiderazione del caso 
concreto in base alla modifica del quadro normativo, mentre la prima si risolve in una 
pi� significativa indicazione del giudice delle leggi circa la possibilit� che l'approfondimento 
dell'indagine di diritto consenta di risolvere in sede di merito il sospetto di 
incostituzionalit�. 

G.P.P. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

14 

La lesione del principio di uguaglianza, infatti, � esclusa dal fatto che il 
legislatore � in precedenza intervenuto nella materia dettando l'art. 12, 
comma 5, del d.-1. 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con modificazioni, nella 
legge 26 giugno 1990, n. 165. Da tanto deriva che, avendo quest'ultima norma 
gi� disposto un aumento dei canoni diversificato a seconda che i contratti in 
corso fossero stati stipulati in data anteriore o posteriore al 1 gennaio 1982, 
l'ulteriore incremento conseguente alla norma oggi impugnata non crea le 
disparit� prospettate dal giudice a quo. Parimenti, non sussistono le violazioni 
degli artt. 41 e 97 della Costituzione perch� gli aumenti dei canoni non 
comportano n� l'estromissione di alcune imprese dal mercato, n� l'obbligo 
per la pubblica amministrazione di agire in senso contrario ai principi costituzionali 
di imparzialit� e buon andamento. 

3. -Nel giudizio si � costituita anche la ditta l'Escalier di Pisani Anna 
Maria, chiedendo l'accoglimento della questione di legittimit� costituzionale 
sollevata dal pretore di Roma. 
In prossimit� dell'udienza la stessa parte ha presentato ulteriori deduzioni, 
insistendo per l'accoglimento delle gi� formulate conclusioni. 

4. -Nel corso di altro procedimento civile instaurato da alcuni conduttori 
di appartamenti destinati ad uso abitativo contro il Ministero delle finanze, 
il pretore di Roma ha sollevato analoga questione di legittimit� costituzionale, 
in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 97, primo comma, della 
Costituzione, dell'art. 32, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 724 
(Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). 
Il giudice a quo, dopo aver premesso considerazioni analoghe a quelle 
della precedente ordinanza sotto il profilo della rilevanza, ha osservato che la 
norma in oggetto confligge con l'art. 3 della Costituzione sotto due profili: in 
primo luogo perch� pone in situazione deteriore i conduttori titolari di un 
rapporto con lo Stato rispetto ai conduttori titolari di un rapporto in regime 
di libero mercato; in secondo luogo perch� discrimina senza motivo tra locazioni 
con canone minore in quanto stipulate in data remota e locazioni di 
data recente, con canone maggiore. 

Per ci� che riguarda l'art. 97 della Costituzione, il pretore ha svolto rilievi 
del tutto simili a quelli di cui alla precedente ordinanza. 

5. -Anche nell'ambito di tale giudizio si sono costituite le parti private, 
chiedendo l'accoglimento della prospettata questione. 
La difesa dei conduttori degli immobili, oltre a ribadire alcune considerazioni 
gi� formulate a proposito dell'altro giudizio, ha evidenziato che l'aumento 
dei canoni � tanto pi� irragionevole in quanto � stato disposto nella 
misura del doppio o del quintuplo, sulla base di due sole aliquote di reddito 
complessivo del nucleo familiare dei conduttori. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Considerato in diritto 

1. -Il pretore di Roma, con due diverse ordinanze, dubita della legittimit� 
costituzionale dell'art. 32, commi 1 e 2, della legge 23 dicembre 1994, n. 
724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). Tali disposizioni si 
porrebbero in contrasto: 
a) con l'art. 3 della Costituzione, per la discriminazione che si verrebbe 
a creare tra conduttori di beni di analogo valore, tutti locati dallo Stato, a 
seconda dell'epoca in cui � stato concluso il contratto (la doglianza, contenuta 
in entrambe le ordinanze, concerne sia le locazioni commerciali sia quelle 
abitative); 

b) con l'art. 3 della Costituzione, per l'irragionevole disparit� di trattamento 
tra diversi conduttori, a seconda che il contratto sia stato stipulato con 
la pubblica amministrazione o con un privato; 

e) con l'art. 41 della Costituzione perch�, in conseguenza dell'eccessivo 
aumento del canone disposto dalla norma, alcune imprese potrebbero essere 
temporaneamente o definitivamente estromesse dal mercato, senza alcuna 
contropartita per l'interesse generale; 

d) con l'art. 97 della Costituzione perch�, essendo l'aumento dei canoni 
in oggetto imposto senza alcun margine di discrezionalit�, il sistema risulterebbe 
contrario ai principi di imparzialit� e buon andamento della pubblica 
amministrazione. 

2. -I due giudizi, concernendo questioni analoghe, possono essere riuniti 
e decisi con un'unica sentenza. 
I rimettenti sottopongono all'esame di questa Corte sostanzialmente le 
seguenti questioni: quella della legittimit� costituzionale di un intervento 
autoritativo dello Stato nella determinazione dei canoni di locazione dei beni 
pubblici, discriminante rispetto ai contratti di diritto privato stipulati in regime 
di libero mercato, e quella secondo cui la rivalutazione in base a coefficienti 
fissi porterebbe a risultati sperequati, non tenendosi conto della diversit� 
delle date dei diversi contratti, e con estromissione dal mercato delle 
imprese obbligate a corrispondere canoni eccessivi. 

3. -Le questioni devono ritenersi inammissibili. 
Va premesso che, come � stato evidenziato anche nelle ordinanze di 
rimessione e negli atti di costituzione e di intervento davanti a questa Corte, 
la norma impugnata non costituisce un unicum nel suo genere, poich� negli 
ultimi anni si sono avuti diversi interventi legislativi finalizzati all'obiettivo di 
adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici, e ci� sia per consentire allo 
Stato una maggiorazione delle entrate, sia per rendere i predetti canoni pi� 
equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati. Quest'ultimo 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

16 

aspetto, com'� noto, aveva raggiunto livelli inaccettabili, traducendosi in 
gravi sperequazioni. 

Giova segnalare a questo riguardo, per indicare solo gli interventi pi� 
recenti, l'art. 12, commi 5 e 6, del d.-1. 27 aprile 1990, n. 90, convertito, con 
modificazioni, nella legge 26 giugno 1990, n. 165, che ha disposto l'incremento 
dei canoni fino al sestuplo o fino al quadruplo, a seconda che i medesimi 
fossero stati stabiliti in data anteriore o posteriore al 1 gennaio 1982; 
l'art. 9 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, che ha disposto, a decorrere 
dal 1 gennaio 1994, l'incremento dei canoni degli alloggi concessi a propri 
dipendenti dall'Amministrazione dello Stato e ad altri utenti di beni demaniali, 
aumento da determinarsi �sulla base dei prezzi praticati in regime di 
libero mercato per gli immobili aventi analoghe caratteristiche e, comunque, 
in misura non inferiore all'equo canone�; successivamente la norma 
impugnata nel presente giudizio (art. 32 della legge n. 724 del 1994), la 
quale � stata oggetto di chiarimenti e completamenti da parte di ulteriori 
disposizioni. 

In particolare, con l'art. 5, comma 6, del d.l. 2 ottobre 1995, n. 415, convertito 
in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 
novembre 1995, n. 507, il legislatore, oltre a stabilire i criteri per la corresponsione 
degli aumenti dei canoni di cui alla norma in questione, si � anche 
dato carico di evitare sperequazioni rispetto ai contratti con i privati, garantendo 
-come tetto massimo della rideterminazione dell'ammontare complessivo 
dei canoni per i beni pubblici -che questo �non pu� comunque 
essere superiore alla media dei prezzi praticati in regime di mercato per 
immobili aventi caratteristiche analoghe�. 

Pertanto, l'aumento autoritativo dei compensi che i privati sono chiamati 
a corrispondere si fonda su di un bilanciamento con i valori di mercato, 
che costituiscono il limite massimo dell'incremento, riconosciuto dallo 
stesso legislatore. Il comma 7-bis del citato articolo, inoltre, ha stabilito che 
il canone determinato in base all'aumento � fisso per la durata di sei anni, a 
decorrere dal 1 gennaio 1996, fermo restando l'aumento annuale �in misura 
corrispondente alla variazione dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie 
di operai e impiegati accertata dall'ISTAT�. 

4. -Ora, il pretore di Roma non ha menzionato le norme appena richiamate 
in alcuna delle due ordinanze, bench� entrambe siano successive all'entrata 
in vigore della disposizione impugnata. Con ci�, i giudici a quibus 
hanno dimostrato di non aver valutato l'impatto che le nuove norme potevano 
avere sulle questioni di legittimit� costituzionale oggi poste all'esame di 
questa Corte. Ne deriva, quindi, che l'art. 5, commi 6, 7 e 7-bis, del d.l. 2 ottobre 
1995, n. 415, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, 
della legge 29 novembre 1995, n. 507, chiarendo e completando la portata 
della norma impugnata, imponeva al rimettente un'adeguata riflessione sulla 
permanenza o meno dei lamentati vizi di costituzionalit�. ' 

PARTE I, SEZ. I; GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

17 

��Tale omissione si traduce nella� conseguente inammissibilit� della questione 
posta all'esame della Corte, e ci� per due ordini di ragionL 
Innanzitutto, perch� l'aver omesso di considerare norme gi� in vigore nel 
momento incui le questioni sono state sollevatesi traduce in un'incompleta 
cognizione del quadro normativo, coni consequenziali riflessi sul giudizio di 
legittimit� costituzionale; inoltre, le norme tralasciate sono di fondamentale 
importanza perch�, contenendo la facolt� di aumento dei canoni entro precisi 
limiti corrispondenti alla media dei prezzi delle locazioni in libero mercato, 
si riflettono proprio sulle doglianze sollevate dai giudici a quibus. 

Ne consegue, pertanto,l'inammissibilit� delle questioni in esame (omissis). 

CORTE .COSTITUZIONALE, 16 maggio 1997, n. 137 -Pres. Granata -Red. 
Santosuosso -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Palatiello) 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Vendita immobili nei sei 
mesi antecendenti la morte -Reinvestimento deldeJ:lart) in BOT -Omessa 
esenzione -Legittimit�. 
(Cost., art. 3; d.P.R 26 ottobre 1972 n. 637, art. 9). 

� legittima la soggezione all'imposta di successione delle somme ricavate 
dalla vendita dei beni immobili compiuta nei sei mesi antecedenti la morte, 
ancorch� esse siano state reinvestite in BOT che il legislatore ha dichiarato 
espressamente esenti da imposte. (1) 

(omissis) 1. -Nel"torso di unFontroversia tributaria avente ad oggetto 
l'inclusione nell'attivo ereditario, ai fini dell'imposta di successione, di 
alcune somme ricavate dalla vendita di un immobile da parte del de cuius 

(1} La.sentenza in rassegna pi� che una pronuncia del giudice delle leggi sembra 
una decisione del giudice di legittimit�. 

Non a caso si era eccepita la inammissibilit� della questione rilevando che il giudice 
a quo poteva accogliere la tesi difensiva del contribuente (per quanto erronea essa 
fosse) senza provocare l'incidente di costituzionalit�. 

Laporte tuttavia non ha accettato tale impostazione della questione ma l'ha superata, 
osservando che il rigetto della tesi del contribuente imposto dalla normativa in 
esame avrebbe comportato -secondo il giudice a quo -l'assoggettamento ad imposizione 
fiscale di beni ritenuti dal legislatore meritevoli di esenzione (i BOT). 

Si potrebbe opporre che se questo fosse stato il dubbio del giudice remittente probabilmente 
altro sarebbe stato il parametro di costituzionalit� e non l'art.3 invocato 
sotto il profilo della disparit� di trattamento . 

.. Ma una volta entrata nel merito della questione peraltro la Corte l'ha puntualmente 
ritenuta infondata sottolineando il fondamento giustificativo nella duplice finalit� 
dell'esclusione della doppia imposizione e nel contempo del depauperamento dell'attivo 
ereditario. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

18 

nei sei mesi precedenti il decesso, e reimpiegate nell'acquisto di BOT, la 
Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna, con ordinanza emessa 
il 15 giugno 1991, pervenuta alla Corte costituzionale il 15 maggio 1996, 
ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 9, terzo comma, 
lettera b) del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle 
successioni e donazioni). 

A parere del giudice rimettente sarebbe evidente la disparit� di trattamento 
ove si assoggettassero ad imposizione fiscale le somme reinvestite in titoli di 
Stato che il legislatore ha espressamente dichiarato esenti da imposta. 

D'altra parte, osserva il giudice a quo, l'art. 8 della legge delega n. 825 del 
1971, al punto 4) statuisce la irrilevanza, ai fini della determinazione dell'imponibile 
sulle successioni ereditarie, delle alienazioni di beni poste in essere 
dal dante causa negli ultimi sei mesi di vita ove non venga fornita la prova del 
reinvestimento, che nel caso di specie appare, al contrario, sussistente; ne 
consegue che i beni in questione andrebbero detratti dal valore degli immobili 
alienati proprio in quanto esiste la prova del reinvestimento delle somme 
incassate, pur se le stesse non sono colpite da imposizione per effetto della 
norma eccezionale di esenzione. 

2. -Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale � intervenuto il 
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura 
generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente 
inammissibile o manifestamente infondata. 
Ha osservato la difesa erariale che il rimettente, affermando che la 
norma impugnata deve essere interpretata nel senso che i beni soggetti ad 
imposta sono anche quelli esenti, ha espressamente evidenziato l'irrilevanza 
della questione in quanto, per accogliere la tesi difensiva del contribuente, 
la Commissione non aveva bisogno di sollevare la questione di legittimit� 
costituzionale. 

Nel merito, la questione sarebbe manifestamente infondata in quanto 
questa Corte ha gi� ritenuto la norma impugnata coerente con i criteri della 
delega fissati dall'art. 8 della legge 9 ottobre 1971, n. 825, volti appunto aprevenire 
l'evasione del tributo successorio; ed invero, a tal fine, si considerano 
compresi nell'attivo ereditario quei beni che siano stati trasferiti a terzi negli 

Su questi presupposti � risultato del tutto vano il tentativo di prospettare una 
improbabile disparit� di trattamento nel fatto che l'esenzione dei BOT dipenderebbe 
dalla data del loro acquisto (prima o dopo i fatidici sei mysi), dal momento che tale 
periodo rileva in funzione della vendita degli immobili il cui ricavato sia poi reinvestito 
in BOT. 

L'autorevolezza della soluzione della controversia tributaria compensa in parte la 
durata complessiva del giudizio, che si � prolungato in modo inspiegabile a causa del 
ritardo di ben cinque anni con cui l'ordinanza di rimessione � stata trasmessa alla 
Corte dalla Commissione Tributaria di Ravenna. 

G.P.P. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ultimi sei mesi di vita del defunto, prevedendosi altres� che dal valore di tali 
beni sia detratto l'ammontare delle somme reinvestite nell'acquisto di beni 
soggetti ad imposta. 

Considerato in diritto 

1. -La Commissione tributaria di secondo grado di Ravenna dubita della 
legittimit� costituzionale dell'art. 9, terzo comma, lettera b) del d.P.R. 26 
ottobre 1972, n. 637 (Disciplina dell'imposta sulle successioni e donazioni), 
nella parte in cui prevede l'assoggettabilit� ad imposta delle somme ricavate 
dalla vendita di immobili effettuata dal de cuius nei sei mesi antecedenti il 
decesso nel caso in cui le stesse siano state reinvestite nell'acquisto di BOT. 
A parere del giudice a quo, che nel dispositivo dell'ordinanza di rimessione 
non ha indicato alcun parametro costituzionale, la disposizione impugnata 
si porrebbe in contrasto, come si ricava dalla motivazione, con l'art. 3 
della Costituzione, in quanto l'assoggettamento ad imposta di somme reinvestite 
in titoli di Stato �determinerebbe una ingiustificata disparit� di trattamento, 
avendo il legislatore all'origine escluso l'imposizione tributaria�. Con 

questa espressione il rimettente sembra riferire tale disparit� alla situazione 
tributaria di coloro che hanno acquistato gli stessi titoli in un periodo non 
sospetto. 

2. -Deve preliminarmente esaminarsi l'eccezione di inammissibilit� sollevata 
dall'Awocatura dello Stato. Si sostiene che il giudice a quo, affermando 
che la norma impugnata deve essere interpretata nel senso che i beni soggetti 
ad imposta sono anche quelli esenti, avrebbe con ci� stesso evidenziato 
l'irrilevanza della questione; e ci� in quanto, nel ritenere corretta la tesi interpretativa 
sostenuta dal contribuente, la Commissione poteva accogliere la 
tesi medesima, senza bisogno di sollevare la questione di legittimit� costituzionale. 
L'eccezione va disattesa. 

Occorre in proposito rilevare che il rimettente, sollevando la questione, 
afferma che la norma di cui all'art. 9, lettera b) del d.P.R. n. 637 del 1972, ai 
sensi della quale possono essere detratte dall'attivo ereditario le somme 
solo se reinvestite in beni �soggetti ad imposta�, -comporta che, ove le 
somme ricavate dalla vendita effettuata negli ultimi sei mesi di vita del de 
cuius siano, come nel caso, reinvestite in BOT, i titoli in questione devono 
essere considerati come beni presuntivamente afferenti all'asse ereditario e 
quindi soggetti all'imposta di successione pur se esenti. Il giudice, quindi, 
ritenendo di dovere -in base a tale interpretazione -assoggettare ad imposta 
i titoli in questione, dubita della legittimit� costituzionale della norma, in 
quanto in tal modo vengono ad essere colpiti da imposizione beni che il legislatore 
ha invece ritenuto meritevoli di esenzione di tipo oggettivo. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

20 


3. -Nel merito la questione deve essere dichiarata non fondata. 
Dal punto di vista testuale l'art. 9 del d.P.R. n. 637 del 1972, dopo aver 
fissato la regola secondo cui si considera compreso nell'attivo ereditario il 
valore dei beni trasferiti a terzi a titolo oneroso negli ultimi sei mesi di vita 
del de cuius, rende detraibili da tale valore le somme reinvestite, ma esplicitamente 
limitando le detraibilit� ai soli reinvestimenti in beni �soggetti ad 
imposta�. Tale espressione ha riguardo ai beni che vanno effettivamente a 
foi:mare la base imponibile, con conseguente esclusione dei beni che godano 
esenzioni del predetto tipo. 

La ratio di tale disposizione � evidente, e ne costituisce un valido fondamento 
giustificativo, in quanto: da un lato, si vuole evitare una doppia imposizione, 
e, dall'altro, scongiurare depauperamenti dell'attivo ereditario, 
preordinati, in virt� della loro collocazione temporale, a ridurre il carico 
impositivo dell'erede. Come viene osservato dalla giurisprudenza della 
Cassazione, rispetto a tale finalit� devono considerarsi equivalenti l'ipotesi 
della vendita con pura e semplice monetizzazione del valore trasferito e quella 
seguita dall'impiego della somma ricavata nell'acquisto di beni esenti dal 
tributo successorio. 

In proposito va inoltre evidenziato che questa Corte -dopo aver pi� 
volte riconosciuto che il ricorso alle presunzioni legali in materia tributaria � 
lecito, essendo volto a proteggere l'interesse generale alla riscossione contro 
ogni tentativo di evasione -ha avuto modo di affermare, in un'altra ipotesi 
ma con specifico riferimento alla norma della cui legittimit� ora si dubita 
(ordinanza n. 982 del 1988), che � ragionevole presumere, da un lato, che le 
alienazioni compiute negli ultimi sei mesi di vita del dante causa siano intese 
ad eludere l'imposta di successione, e, dall'altro, che l'impiego della 
somma ricavata nell'estinzione di una passivit� vada detratta dall'attivo ereditario, 
allo scopo di evitare una doppia tassazione. 

Per quanto riguarda pi� direttamente l'ipotesi in esame, � decisivo considerare 
che non pu� essere ritenuta sussistente la denunciata disparit� di 
tr~ttamento per il fatto che il godimento dell'esenzione dei BOT dipenderebbe 
dalla data del loro acquisto da parte del contribuente, in quanto, 
come anche correttamente osservato dalla Corte di cassazione, la norma 
impugnata non tocca l'esenzione prevista p~r tali titoli, ma ha riguardo 
esclusivamente al diverso atto che ha preceduto l'acquisto degli stessi: � la 
vendita dei beni del de cuius effettuata nei sei mesi antecedenti il decesso 
che viene considerata non idonea a determinare una decurtazione dell'imponibile 
esistente all'epoca della sua stipulazione. In altri termini, la eccezione 
(prevista dal terzo comma, lettera b), dell'art. 9) alla presunzione di 
cui al primo comma opera unicamente nel caso in cui il ricavato della vendita 
del bene sia reinvestito in altri beni �Soggetti ad imposta�; altrimenti il 
tributo successorio colpisce i beni venduti che si considerano ancora compresi 
nell'asse ereditario (omissis). 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

21 

CORTE COSTITUZIONALE, 23 maggio 1997, n. 144 -Pres. Granata -Red. 
Vari -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mazzella). 

Misure di sicurezza -Diritto di difesa -Avviso sulla facolt� di presentare difese 
-illegittimit� costituzionale parziale. 
(Cost., art. 24; legge22 luglio 1996 n. 607, art. 1). 

Per adeguare al canone costituzionale di tutela del diritto di difesa la 
nonna che consente al Questore di imporre ai soggetti responsabili di atti di 
violenza durante competizioni sportive di presentarsi negli uffici di polizia in 
orari corrispondenti a quelli di successive competizioni, comunicando tale 
misura al Procuratore della Repubblica affinch� questi se lo ritenga ne chieda 
la convalida al GIP, � sufficiente prevedere che l'interessato sia espressamente 
avvisato della facolt� di presentare personalmente o a mezzo di difensore 
memorie o deduzioni al GIP stesso (1). 

(omissis) 1.1. -Con ordinanza 26 ottobre 1995 (r.o. n. 426 del 1996), la 
Corte di cassazione, sezione I penale, ha sollevato, in riferimento agli artt. 13 
e 24, secondo comma, della Costituzione, questione incidentale di legittimit� 
costituzionale dell'art. 6, comma 3, della legge 13 dicembre 1989, n. 401 

(1) Va sottolineata la misura con cui la Corte ha inteso intervenire in questa delicata 
materia delle misure cautelari applicate a soggetti responsabili di atti di violenza 
in occasione di competizioni sportive. Era stata la stessa Cassazione a rilevare che le 
possibili gravi limitazioni della libert� personale richiedevano il riconoscimento al soggetto 
destinatario di una �integrale difesa�. 
Il divieto di accedere agli stadi, nonch� alle stazioni ferroviarie ed ai caselli autostradali 
in occasione di incontri di calcio, nella sua singolarit�, pu� costituire una limitazione 
della libert� tale da giustificare un apparato procedimentale le cui garanzie siano 
corrispondenti a quelle previste per la convalida dell'arresto o del fermo di polizia? 

Tra i due estremi di una risposta del tutto positiva o del tutto negativa la Corte ha 
sapientemente dosato una soluzione intermedia, ricorrendo al principio gi� applicato 
in precedenti sentenze, secondo cui �il diritto di difesa ammette una molteplicit� di 
discipline in rapporto alla variet� dei contesti�. 

Non � stato quindi necessario cancellare una norma la cui funzione cautelare � 
universalmente riconosciuta solo perch� il legislatore non l'aveva adeguatamente 
costruita in punto di garanzie della difesa, n� � stato ritenuto opportuno gravare di 
complessi adempimenti un procedimento per il quale la speditezza � essenziale. 

� bastato introdurre una forma semplificata di contraddittorio, ampliando quel 
diritto di carattere generale che consente sempre alle parti ed ai loro difensori di presentare 
memorie e richieste scritte (art. 121 c.p.p.), con �addizione� dell'obbligo dell'avviso 
all'interessato circa l'esistenza di tale possibilit�. 

Tale intervento correttivo della Corte si ispira evidentemente a quella tendenza 
normativa che ha trovato compiuta espressione nella legge 241/90, secondo la quale 
una delle migliori garanzie che si possono dare al privato dinanzi al potere dell'autorit� 
� quella di avvisarlo non solo del procedimento che lo riguarda, ma altres� dei diritti 
che la legge gli riconosce in quella situazione, in modo che sia egli stesso a valutare 
se e come esercitarli. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

22 

(Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e tutela della 
correttezza nello svolgimento di competizioni agonistiche), come sostituito 
dall'art. 1 della legge 24 febbraio 1995, n. 45 (Conversione in legge, con modificazioni, 
del d.l. 22 dicembre 1994, n. 717, recante misure urgenti per prevenire 
fenomeni di violenza in occasione di competizioni agonistiche), nella 
parte in cui non prevede lesercizio del diritto di difesa nel corso del giudizio 
di convalida celebrato dinanzi al giudice per le indagini preliminari presso la 
pretura, avente ad oggetto il provvedimento adottato dal questore. 

Premette l'ordinanza che, con provvedimenti 1 marzo 1995, il questore 
di Genova ha fatto divieto a Zangara Marcello, Barletta Angelo, Carminata 
Fabio, Resasco Davide, Fabbri Marco e Rossi Michele, di accedere per il 
periodo di un anno agli stadi, alle stazioni ferroviarie di Genova Brignole e 
Genova Principe, al casello autostradale di Genova est e allo scalo aereo e 
portuale di Genova, in occasione di incontri di calcio, di campionati e tornei 
nazionali ed internazionali. Quanto sopra essendosi i predetti resi responsabili 
di episodi di violenza durante l'incontro di calcio Genoa-Milan disputatosi 
il 29 gennaio 1995 in Genova. 

Avendo, altres�, il questore prescritto agli stessi di presentarsi presso il 
Commissariato della Polizia di Stato di San Fruttuoso, nell'orario e nelle circostanze 
indicate, i relativi provvedimenti sono stati convalidati dal giudice 
per le indagini preliminari presso la Pretura cirwndariale di Genova, con 
ordinanza 4 marzo 1995 che ha formato oggetto di ricorso per cassazione da 
parte di alcuni tra i soggetti sopra indicati. 

1.2. -Tanto premesso, il rimettente osserva che la norma censurata �prevede 
gravi limitazioni alla libert� personale che possono protrarsi anche per 
un periodo di tempo non certo breve (fino ad un anno)�, senza contemplare, 
nella fase di convalida del provvedimento dinanzi al giudice per le indagini 
preliminari, l'intervento di un difensore �essendo l'ordinanza di convalida 
emessa inaudita altera parte�. 
Di qui la violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, in 
quahto, �nel procedimento nel quale -come quello in esame -viene in questione 
davanti ad un giudice l'interesse della libert� personale, spetta sempre al 
soggetto il diritto all'esercizio di un'integrale difesa�, oltre che dell'art. 13, norma 
che, come risulta dalla sentenza della Corte costituzionale n. 53 del 1968, conferisce 
�alla libert� personale una propria e particolare rilevanza costituzionale 
e con essa il diritto, in relazione ai procedimenti che alla libert� si riferiscono, 
ad una effettiva integrale difesa di questo supremo interesse del cittadino�. 

La valenza positiva di questo avviso si rivela sempre pi� utile anche in un contesto 
interdisciplinare che consente di attingere principi comuni da diversi settori del diritto per 
saggiarne la praticabilit� in altri ambienti che presentino problematiche consimili. 

Nessuno meglio della Corte pu� giovarsi di questa metodica dato il carattere 
peculiare della sua giurisdizione che opera in modo �trasversale� in tutti i settori del1'
ordinamento. 

G.P.P. 

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.�. 

L.3. .:.�� il��frhsi<lenw de~ Consiglio <:lei Mllrlstrii rappresentato e tlifeso 
dall':A\ivocatur� genera}e dello S)ito, � i:lltervenuto per� chiedere ch� la quesd?
J.1.~;N~n~~ dichiarata in�iintmssibile.� infondat~k� 
.� .�.� .. � .. �.�.��.�..�.�.�.�.�.�.�� 

.. �. �::�:\)/::/:):::::::::~1:::)j::1::11]]j::1::1:~::~'.; :=.=:�:=:.:=:.:":-:;.:..-:�.�>.::�.<� .� .. ::�:: �.�.�.��-<::. ::-: :.......::. .�.�...::.. �.� � .. �.�.�.�.� �.�...: .�.. . . . ... . 


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.... J~ l'.t~�~ #Brr~~t�z~~ ii~ilt1 $vdtg{m�nt6>di comp�tizfonf agol1iStkhe), �� djm� 
.... ��$~~ijt~i9�~~ilft;, tael;l~l�gg~�24�fehbr~fo��t995,��n:�4s���(�oriveri>fo~e�ili legge; 

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�... ~t�A9��~~ 90#!p~tj~~9#~� �t~�~@���~�q\l~�~�.� ��gg~#l.��.��<:iii~f()r~ PH~�.l'r~sp,iy~l"ealtresi di somfi~n~~ ~*~~kt'filPp~<fo~ S?m~ngoAii?Ql~~ iJl ?i#J-9 ��iAl'~1>
9 ~el ~qq.q<;li, temf>9 ~iq9aj~ ~i sy9lg()I),9 l~ �pinpetizjqtri sp9rtive per le 
44~:YiS,~JttiC:hiWP~t9 pj;gyy~m~lit91fit�J'.:~td\ro (�oll1ma 2).� Prei>crizione 

qi~~@tiffi~i~~~'~~.. �@~~~=~t1f?9mma ~.. ~.P9~~~�:~!~~�.d~~trn�i.~d..e�. sqmq~ 
.. ffi�~~9!~?m1'~t~W~li;�~~~()te g~~~J?Hkkll�~ p~�so}~ PJ!~JYr~ �h-c9n.�
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Pan~i#(;i# nof\ Pi.~vede ltffit�fve.t~ 4ll:J.n di~~!�sor~u.eUafase� <;U �onyalida 
clelproV:\'ediinentri d~l.. questore �clapar:te delgil,lclice perle. indagl.i preliminari 
pres~9J~pretnra; si ponednc�ntrasto�.cQn.l'ari��. u della:..Cdstituzione 
attes(l �he ia nonna: �prevede graVi limitazionialla libert� personale, che. possono 
ptotrarsiper un peJ:iodo� ditempo non certo breve (fino ad un anno)~), e 
con l'art~ 24;. secondo .comma,. della Costituzione poich� �nel procedimento 
nel quale .,...,,... come quello in esame-viene in questione davanti ad un giudice 
l'interesse dellaJibert� personale, spetta sempre al soggetto il diritto all'esercizio 
diuna integrale difesa�~ 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

3. -La questione � fondata per quanto di seguito esposto. 
Nel prowedimento che impone l'obbligo di comparire presso l'ufficio o 
il comando di polizia territorialmente competente, in orario compreso nel 
periodo di tempo in cui si svolgono le competizioni sportive, la Corte ha gi� 
avuto occasione di ravvisare una misura che incide sulla sfera della libert� 
personale del destinatario (sentenze nn. 143 e 193 del 1996). Di qui l'esigenza 
che l'adozione della stessa sia circondata, sul piano processuale, da quelle 
garanzie che la giurisprudenza ha da tempo indicato quando, pur ammettendo 
che prowedimenti prowisori possano essere adottati dall'autorit� di 
pubblica sic:urezza in situazioni caratterizzate da necessit� ed urgenza, ha 
stabilito che gli stessi, qualora si risolvano in misure limitative della libert� 
personale, debbano essere sottoposti al vaglio dell'autorit� giudiziaria (sentenze 
nn. 27 del 1959 e 74 del 1968). Quanto sopra al fine di garantire un controllo 
sul prowedimento da parte del giudice, in conformit� di quanto disposto 
dall'art. 13 della Costituzione, nonch� per assicurare, in detta occasione, 
la garanzia del diritto di difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione. 

Nel quadro di tali principi occorre, dunque, valutare la questione sottoposta 
dal rimettente, il quale attraverso l'evocazione di entrambi i parametri 
sopra accennati, prospetta essenzialmente una possibile lesione del diritto di 
difesa derivante, a suo avviso, dalla emissione dell'ordinanza di convalida 
inaudita altera parte. Ma il diritto di difesa, come la Corte ha gi� rilevato in 
altre occasioni, ammette una molteplicit� di discipline, in rapporto alla 
variet� dei contesti, delle sedi e degli istituti processuali in cui esso � esercitato 
(sentenza n. 48 del 1994), al punto che la stessa assistenza del difensore 
pu� e deve trovare svolgimento in forme adeguate sia alla struttura del singolo 
procedimento o dell'atto che va adottato (sentenza 160 del 1995), sia alle 
esigenze sostanziali del caso sottoposto all'esame del giudice. 

Il ricorso, nella disposizione oggetto di denuncia, al modello della convalida 
non impone, dunque, necessariamente di assegnare al procedimento le 
medesime garanzie previste per la convalida dell'arresto e del fermo di polizia 
giudiziaria. La identica qualificazione data al procedimento stesso, sul 
piario degli istituti processuali, non consente, infatti, di trascurare che il 
prowedimento qui assunto da parte del giudice per le indagini preliminari ha 
portata e conseguenze molto pi� limitate sulla libert� personale del destinatario, 
rispetto a quelle delle anzidette misure pre-cautelari o di altre ancora 
che, comunque, incidono in maniera ben pi� rilevante, sullo stesso bene. 

Detti rilievi appaiono ancor pi� pertinenti ove si consideri che, nella fattispecie 
oggetto della disposizione censurata, la necessit� di garantire all'interessato 
una adeguata difesa va coniugata con la celerit� nell'applicazione 
della misura, condizione necessaria perch� la stessa possa rivelarsi efficace, 
s� da giustificare, in un equilibrato rapporto fra esigenze in giuoco, l'adozione 
di forme semplificate attraverso le quali possa esplicarsi il contraddittorio. 

D'altra parte, nel caso di specie non sussiste neppure la paventata impossibilit� 
per l'interessato di interloquire nel procedimento, giacch�, anche alla 
stregua del principio generale che nel processo penale consente alle parti <'\d 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

25 

ai difensori di presentare al giudice memorie o richieste scritte (art. 121 cod. 
proc. pen.), non si pu� ritenere impedito all'interessato di esercitare la facolt� 

�di esporre le proprie ragioni al giudice per le indagini preliminari. Poste tali 
premesse, le argomentazioni del giudice a quo non sono, tuttavia, prive di 
una qualche plausibilit� sotto il diverso profilo della esigenza di assicurare 
all'interessato la concreta ed effettiva conoscenza delle facolt� di difesa di cui 
pu� fruire. In questi limiti, per eliminare il vizio di costituzionalit� dell'attuale 
disciplina, il destinatario del provvedimento deve essere espressamente 
avvisato della facolt� di presentare, personalmente o a mezzo di difensore, 
appositamente nominato, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari. 
Detta facolt� dovr� evidentemente essere esercitata con modalit� 
tali da non interferire con la definizione del procedimento di convalida, nei 
termini previsti dalla legge. Resta ovviamente salvo il potere del legislatore di 
apprestare una specifica disciplina al riguardo. 

La disposizione denunciata va, pertanto, dichiarata illegittima nella 
parte in cui non prevede che la notifica del provvedimento adottato dal questore 
contenga il predetto avviso (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 giugno 1997, n. 161 -Pres. Granata -Red. 
Chieppa -Presidente del Consiglio dei Ministri. 

Pena -Condannato all'ergastolo -Revoca del beneficio della liberazione condizionale 
-Nuova concessione -Esclusione -Violazione della finalit� rieducativa 
della pena -illegittimit� costituzionale. 

(Cost., art. 27; cod. pen. art. 177, primo comma). 

� illegittimo, per violazione dell'art. 27, terzo comma Cost., l'art. 177, 
primo comma, Cod. Pen. nella parte in cui non prevede che il condannato alla 
pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa 
essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i relativi 
presupposti in quanto in tal modo il condannato risulta escluso in via permanente 
ed assoluta dal processo rieducativo e di reinserimento sociale (1). 

(omisiss) 1. -Il tribunale di sorveglianza di Firenze solleva, in relazione 
ai condannati alla pena dell'ergastolo, incidente di legittimit� costituzionale 
dell'art. 177, primo comma, ultimo periodo, del codice penale nella parte in 

(1) La Corte ribadisce che la liberazione condizionale � l'unico istituto idoneo a 
rendere lergastolo compatibile con il principio rieducativo della pena, come affermato 
sin dalla sent. 7 novembre 1974 n. 264 in cui si legge che detto istituto �consente l'effettivo 
reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile senza che possano 
ostarvi le sue precarie condizioni economiche�. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

cui detta norma dispone che i condannati nei cui confronti la liberazione 
condizionale gi� concessa sia stata revocata non possono essere riammessi a 
detto beneficio. 

Per i condannati alla pena dell'ergastolo questa preclusione varrebbe a 
rendere immodificabile la perpetuit� della pena loro inflitta, e ci� in contrasto 
con la finalit� rieducativa assegnata a tutte le pene dall'art. 27, comma 
terzo, della Costituzione. 

A sostegno della denuncia di incostituzionalit� della disposizione menzionata 
l'ordinanza del giudice a quo fa valere le varie sentenze rese in passato 
dalla Corte costituzionale in materia di ergastolo, e segnatamente la sentenza 
n. 264 del 1974, con la quale la Corte stessa, nel respingere la tesi della 
incostituzionalit� di detta pena, ha posto in rilievo il valore rappresentato 
dalla ammissibilit� del condannato all'ergastolo alla liberazione condizionale 
(a quell'epoca dopo ventotto anni di esecuzione della pena, secondo la 
prima riforma dell'istituto intervenuta con la legge 25 novembre 1962, n. 
1634), nonch� la sentenza n. 270 del 1993, la quale pur dichiarando la inammissibilit� 
della questione allora sollevata in relazione alla computabilit� 
nella durata della pena del periodo trascorso in libert� vigilata dal condannato 
all'ergastolo liberato condizionalmente, ebbe a riconoscere espressamente 
che le argomentazioni svolte nella sentenza n. 282 del 1989 circa la 
necessit� di computare, ai fini di determinare la pena residua, in caso di revoca 
della liberazione condizionale il periodo scontato in libert� vigilata �vanno 
ribadite anche nei confronti del condannato all'ergastolo, riguardo al quale la 
perpetuit� della pena irrogata non pu� costituire un ostacolo sufficiente per 
precludere in assoluto la medesima opera di scomputo�. E ci�, sia perch� 
altrimenti -prosegue la Corte nel passo della predetta sentenza n. 270 del 

In precedenza, con sentenza n. 204 del 1974, era stata dichiarata incostituzionale 
la norma che attribuiva al Ministro della Giustizia la facolt� di concedere la liberazione 
condizionale in quanto sottraeva tale istituto alle garanzie proprie del procedimento 
giurisdizionale, rimettendolo alle scelte discrezionali del potere politico. 

Successivamente si segnalano la sent. 21 settembre 1983 n. 274 (con cui � stata 
dichiarata l'illegittimit� dell'art. 54 legge 26 luglio 1975 n. 354 nella parte in cui non 
prevedeva la possibilit� di concedere anche al condannato all'ergastolo la riduzione di 
pena ai soli fini del computo della quantit� di pena cos� detratta nella quantit� scontata, 
richiesta per l'ammissione alla liberazione condizionale); la sent. 17 maggio 1989 n. 
282 (che ha dichiarato l'illegittimit� dell'art. 177 c.p. nella parte in cui, in caso di revoca 
della liberazione condizionale, non consentiva al Tribunale di sorveglianza di determinare 
la pena detentiva ancora da espiare). 

Con la decisione che si annota il condannato all'ergastolo acquista la possibilit� di 
essere riammesso alla liberazione condizionale pur dopo la revoca di detto beneficio. 
Resta ora il problema di disciplinare le condizioni per la riammissione; al riguardo la 
Corte, nell'auspicare un intervento del legislatore, rileva che non ci si potr� limitare ad 
estendere in modo automatico i presupposti temporali fissati dalla legge per la riproposizione 
della domanda respinta, bens� sar� necessario prevedere che sia il Tribunale di 
sorveglianza a valutare se ricorrono i presupposti per la nuova concessione del beneficio. 

F.S. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

1993 richiamato dal giudice rimettente -al condannato all'ergastolo �sarebbe 
riservato un trattamento di maggior rigore rispetto al condannato a pena 
temporanea sia perch� alla funzione rieducativa della pena non pu� essere 
sottratto il condannato all'ergastolo senza che ne risulti vulnerato l'art. 27, 
terzo comma, della Costituzione�. 

Per risolvere questo problema, la cui esistenza � gi� stata riconosciuta 
dalla Corte costituzionale, non rimarrebbe -osserva l'ordinanza del giudice 
a quo -che riconoscere la fondatezza della questione ora sollevata eliminando 
come incostituzionale, per il condannato all'ergastolo, la preclusione 
ad una nuova concessione della liberazione condizionale. 

N� -conclude sempre l'ordinanza -vi sarebbero altri ostacoli a detta 
soluzione, dato che anche la nuova eventuale concessione dovrebbe essere 
subordinata ad una valutazione di merito del tribunale di sorveglianza, che 
verifichi l'entit� delle ragioni che hanno portato all~ revoca e valuti se e quando 
sussistano i presupposti per una nuova ammissione all'esperimento della 
liberazione condizionale. 

2. -La questione, rigorosamente limitata, nella impostazione e negli 
svolgimenti dell'ordinanza del giudice a quo ai problemi posti dalla vigente 
disciplina nei confronti dei soli condannati all'ergastolo, � fondata. 
3. -L'art. 177 del codice penale, il cui primo comma � dedicato alla disciplina 
della revoca della liberazione condizionale, trae origine dall'art. 17 del 
codice penale del 1889, che per la prima volta introdusse in Italia l'istituto 
della liberazione condizionale e di questa disciplin� i presupposti (art. 16). 
Esso ricalcava tutto il sistema del detto art. 17, nel quale figuravano, come 
presupposti della revoca, la commissione di un reato che importi pena restrittiva 
della libert� personale o, alternativamente, l'inadempimento delle condizioni 
imposte al condannato, e, come conseguenze della revoca stessa, il divieto 
di computare nella pena residua il periodo trascorso in liberazione condizionale 
e il divieto di ammissione ad una nuova liberazione condizionale. 
Questo sistema era relativo, tanto nel codice del 1889 quanto nella formulazione 
originaria del codice vigente, ai soli condannati a pena detentiva 
temporanea, non essendo allora considerata l'ammissibilit� alla liberazione 
condizionale per i condannati alla pena dell'ergastolo. Viceversa, per i condannati 
all'ergastolo, l'ammissione alla liberazione condizionale fu prevista 
dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 (Modificazioni alle norme 
del codice penale relative all'ergastolo e alla liberazione condizionale) e ribadita 
con l'art. 8 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 (Modifiche alla legge sull'ordinamento 
penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative 
della libert�), la quale ultima ridusse il periodo di esecuzione della pena 
richiesto per l'ammissibilit� al beneficio da ventotto a ventisei anni. 

Con quest'ultima legge veniva inoltre disciplinato in modo pi� favorevole 
ai condannati l'istituto denominato �liberazione anticipata�, gi� introdot



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

28 

to con l'art. 54 dell'ordinamento penitenziario del 1975 per i condannati che 
nell'espiazione della pena abbiano dato prova di partecipazione all'opera di 
rieducazione, ai fini del loro pi� efficace reinserimento nella societ� (questa 
la prima formulazione dell'art. 54). Veniva infatti elevato a quarantacinque 
giorni per ogni semestre di pena scontata il periodo massimo di detrazione e 
veniva sancita la detrazione di pena anche per i condannati all'ergastolo. 
Quest'ultima modificazione consacrava anche formalmente, sul piano legislativo, 
la pronuncia resa da questa Corte con sentenza n. 274 del 1983, che 
aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo il suddetto art. 54 dell'ordinamento 
penitenziario �nella parte in cui non prevede la possibilit� di concedere 
anche al condannato all'ergastolo la riduzione di pena, ai soli fini del 
computo della quantit� di pena cos� detratta nella quantit� scontata, richiesta 
per l'ammissione alla liberazione condizionale�. Per effetto di tali modificazioni 
il periodo minimo di durata della pena effettivamente scontata perch� 
il condannato all'ergastolo potesse essere ammesso alla liberazione condizionale, 
stabilito nel 1962 in anni ventotto e ridotto nel 1986 ad anni ventisei, 
veniva a poter essere diminuito, in caso di fruizione delle riduzioni proprie 
della liberazione anticipata, in modo assai consistente. 

4. -Riassunti come sopra i precedenti legislativi relativi all'ammissione alla 
liberazione condizionale dei condannati all'ergastolo, oggetto, con gli altri presupposti 
generali dell'istituto stesso, dell'art. 176 del codice penale, deve ricordarsi 
che anche l'art. 177 dello stesso codice, concernente la revoca, ha conosciuto, 
nel corso dei decenni successivi al 1930, modificazioni ad opera del legislatore, 
decisioni di parziale illegittimit� costituzionale e messe a punto della 
giurisprudenza ordinaria, segnatamente della giurisprudenza di legittimit�. 
Le modificazioni legislative, intervenute ad opera dell'art. 2 della menzionata 
legge 25 novembre 1962, n. 1634, hanno rappresentato soltanto un 
allineamento alle modificazioni introdotte con la stessa disposizione nell'art. 

176: sospensione, in caso di ammissione alla liberazione condizionale, della 
misura di sicurezza detentiva a cui eventualmente il condannato a pena 
detentiva temporanea sia stato sottoposto, e, nel secondo comma, previsione 
di un termine (cinque anni) per la liberazione definitiva del condannato 
all'ergastolo a seguito di esperimento positivo del periodo di liberazione condizionale. 
L'intervento di questa Corte si concret� invece nella declaratoria di illegittimit� 
costituzionale di una delle due proposizioni dell'ultimo periodo del 
primo comma, e precisamente del comma suddetto �nella parte in cui, in 
caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di 
sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo 
conto del tempo trascorso in libert� condizionale, nonch� delle restrizioni di 
libert� subite dal condannato e del suo comportamento in tale periodo� (sentenza 
n. 282 del 1989). Ovviamente detta sentenza si riferiva soltanto alle 
pene detentive temporanee. 



' PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Infine � da considerarsi rilevante l'intervento compiuto dalla giurisprudenza 
di legittimit� su uno dei due presupposti alternativamente previsti per 
la revoca, e precisamente sul presupposto attinente alla �trasgressione agli 
obblighi inerenti alla libert� vigilata, disposta ai termini dell'art. 230, n. 2�. 
Con alcune sentenze dell'ultimo decennio la Corte di cassazione ha statuito 
che ai fini di stabilire l'esistenza di una trasgressione degli obblighi inerenti 
alla libert� vigilata �non � sufficiente la mera segnalazione degli organi di 
polizia incaricati della sorveglianza, ma occorre accertare in primo luogo la 
volontariet� del fatto, dovendosi ovviamente escludere le infrazioni incolpevoli, 
ed in particolare, poi, se la violazione degli obblighi inerenti la libert� 
vigilata sia di tale gravit� da investire tutto il regime di vita al quale il liberato 
� stato sottoposto e da costituire sicuro elemento per ritenere, con giudizio 
penetrante e completo tradotto in adeguata motivazione, la insussistenza 
nella realt� di quel ravvedimento, sicch� il liberato sia immeritevole dell'anticipato 
reinserimento nella vita sociale�. 

Con questi interventi la Corte di cassazione, svolgendo opera interpretativa 
guidata da criteri di razionalit� e di aderenza alle finalit� degli istituti in 
questione, veniva incontro non solo ad un voto formulato sin dai tempi delle 
prime revisioni del codice penale vigente, ma anche ad una chiara presa di 
posizione incidentale (sorretta peraltro da una serie di analitiche proposizioni) 
di questa Corte, che nella ricordata sentenza n. 282 del 1989 aveva ricordato 
le critiche all'automatismo della revoca, qualificando tale automatismo 
come �frutto di una visiorie ingiustificatamente punitiva� di tale istituto. 

Tale il quadro normativo e giurisprudenziale nel quale si deve collocare la 
presente decisione, la quale riguarda -cos� come richiesto dall'ordinanza del 
giudice a quo -entrambi i casi di revoca della liberazione condizionale: quello 
determinato dalla commissione di un �delitto o contravvenzione della stessa 
indole� e quello determinato dalla �trasgressione agli obblighi della libert� vigilata, 
disposta a termini dell'art. 230, n. 2� del codice penale. 

5. -Della compatibilit� della pena dell'ergastolo con la funzione rieducativa 
assegnata alla pena in generale dall'art. 27, comma terzo, della 
Costituzione, e pi� in generale della pena dell'ergastolo, questa Corte ebbe ad 
occuparsi pi� di una volta. 
Con la sentenza n. 264 del 1974, la Corte, chiamata a riesaminare la legittimit� 
dell'ergastolo, espose a sostegno della infondatezza della questione vari 
argomenti, tra i quali assume indubbiamente valore preminente quello incentrato 
sulla legge 25 novembre 1962, n. 1634 che ammise la liberazione condizionale 
anche per i condannati a detta pena. Scrisse allora la Corte che �l'istituto 
della liberazione condizionale disciplinato dall'art. 176 cod. pen. -modificato 
dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 -consente l'effettivo 
reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile senza che possano 
ostarvi le sue precarie condizioni economiche: invero ... la concessione della 
liberazione condizionale � subordinata all'adempimento delle obbligazioni 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

30 

civili, semprech� il condannato abbia la possibilit� di prowedervi, che altri


t 

menti potr� dimostrare di trovarsi nell'impossibilit� di adempierle senza subire 
alcun pregiudizio�. E questa posizione fu rinforzata, nella sentenza stessa, 
con il dare rilievo alla precedente sentenza n. 204 dello stesso anno 1974, con 
la quale era stata dichiarata l'illegittimit� costituzionale della norma attributiva 
della facolt� di concedere la liberazione condizionale al Ministro della giustizia 
(art. 43 r.d. 28 maggio 1931, n. 602), conseguentemente attribuendosi la 
facolt� stessa all'autorit� giudiziaria �che con le garanzie proprie del procedimento 
giurisdizionale accerter� se il condannato abbia tenuto un comportamento 
tale da far ritenere sicuro il suo rawedimento�. 

Questi motivi furono ripetutamente ripresi in decisioni successive, tra le 
quali spicca la sentenza n. 274 del 1983, nella quale -a premessa della estensione 
del gi� ricordato istituto della riduzione di pena, che va sotto il nome di 
�liberazione anticipata�, ai condannati all'ergastolo -pu� leggersi che la finalit� 
rieducativa voluta dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione si riferisce 
senza ombra di dubbio anche a detti soggetti e che ci� Ǐ fatto palese dalla 
estensione in loro favore dell'istituto della liberazione condizionale, operata 
dalla legge n. 1634 del 1962>>: a proposito della quale -prosegue la sentenza 
-fu enunciato, nella relazione governativa che accompagnava la presentazione 
alla Camera dei deputati del disegno di legge, il proposito di �completare ed 
integrare, con speciale riferimento all'ergastolo, la progressiva umanizzazione 
della pena, rendendo pi� concreta e funzionale anche nell'ergastolo l'azione 
intesa alla rieducazione del condannato�. La recuperabilit� sociale del condannato 
all'ergastolo, mediante la possibilit� della sua liberazione condizionale, 
segnava perci� nella nostra legislazione penale una svolta di evidente rilievo: 
una svolta sottolineata anche da questa Corte, la quale, nel dichiarare, con 
la ricordata sentenza n. 264 del 1974, non fondata la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 22 del codice penale, sollevata in riferimento all'art. 27, 
comma terzo, della Costituzione, faceva perno, tra l'altro, proprio sulla intervenuta 
ammissione della liberazione condizionale, in quanto essa �Consente 
l'effettivo reinserimento dell'ergastolano nel consorzio civile�. 

6. -Alla stregua di queste premesse non pu� non essere rilevata la illegittimit� 
costituzionale della disposizione che, vietando per i condannati 
all'ergastolo la riammissione alla liberazione condizionale, li esclude in modo 
permanente ed assoluto dal processo rieducativo e di reinserimento sociale. 
La pena dell'ergastolo, per il suo carattere di perpetuit� si distingue dalle 
altre pene restrittive della libert� personale; oltre a comportare, per chi vi � 
sottoposto, una serie di conseguenze, di tipo interdittivo e di tipo penitenziario, 
che sono, in tutto o in parte, estranee alle altre pene. Ma questo suo connotato 
di perpetuit� non pu� legittimamente intendersi, alla stregua dei principii 
costituzionali, come legato, sia pure dopo l'esperimento negativo di un 
periodo trascorso in liberazione condizionale, ad una preclusione assoluta 
dell'ottenimento, ove sussista il presupposto del sicuro rawedimento, di una 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

nuova liberazione condizionale. Il mantenimento di questa preclusione nel 
nostro ordinamento equivarrebbe, per il condannato all'ergastolo, ad una sua 
esclusione dal circuito rieducativo, e ci� in palese contrasto -come gi� si � 
visto -con l'art. 27, comma terzo, della Costituzione, la cui valenza � stata 
gi� pi� volte affermata e ribadita, senza limitazioni, anche per i condannati 
alla massima pena prevista dall'ordinamento italiano vigente. 

Se la liberazione condizionale � l'unico istituto che in virt� della sua esistenza 
nell'ordinamento rende non contrastante con il principio rieducativo, 
e dunque con la Costituzione, la pena dell'ergastolo, vale evidentemente la 
proposizione reciproca, secondo cui detta pena contrasta con la Costituzione 
ove, sia pure attraverso il passaggio per uno o pi� esperimenti negativi, fosse 
totalmente preclusa, in via assoluta, la riammissione del condannato alla 
liberazione condizionale. 

Certamente, in concreto, il condannato all'ergastolo potr� dalla competente 
autorit� giudiziaria essere ritenuto non meritevole della riammissione 
al beneficio della liberazione condizionale; e l'autorit� stessa potr� graduare 
anche nei tempi la nuova ammissione, tenuto conto sia della prova data dal 
detenuto durante la detenzione sia della prova data durante i precedenti 
periodi trascorsi in libert� vigilata, prendendo ovviamente in considerazione 
anche la concreta gravit� delle violazioni che ebbero a dar luogo alla revoca. 
Ma questa possibilit� di non riammissione o di riammissione dilazionata nel 
tempo non equivale ad una esclusione totale per divieto di legge. 

7. -A quest'ultimo proposito, e cio� in relazione ai presupposti di una 
nuova concessione del beneficio della liberazione condizionale al condannato 
all'ergastolo nei cui confronti precedenti concessioni siano state revocate, 
� necessaria qualche precisazione ulteriore. 
L'ordinanza del giudice a quo si occupa espressamente di questo tema 
quando scrive che la normativa che deriverebbe dalla sentenza di accoglimento 
prospettata alla Corte costituzionale non richiederebbe integrazione alcuna. Si 
potrebbe cio� discutere se debbano valere �le stesse regole dettate per la rinnovazione 
della istanza dopo il provvedimento di rigetto, con una equiparazione a 
questo del provvedimento di revoca�, mentre per le altre condizioni di ammissibilit� 
�non vi � ragione che non debbano valere le stesse condizioni richieste 
per la ammissione al beneficio, come accade, ad esempio, per la semilibert� 
dopo una precedente revoca�. Inoltre l'ordinanza stessa aggiunge che dovr� 
essere valutato seriamente, nel merito, il ravvedimento del condannato in presenza 
dell'insuccesso della prima concessione; e che in tale quadro dovranno 
essere valutate anche le ragioni della revoca, la cui gamma Ǐ assai ampia e pu� 
andare da situazioni di gravit� relativa ad altre di gravit� estrema�. 

Ora, quanto al problema dei termini da osservare in vista di una nuova 
ammissione alla liberazione condizionale, � evidente che non � dato a questa 
Corte alcun potere di intervento, spettante soltanto, nel rispetto dei presupposti 
e dei limiti costituzionali, ad una eventuale iniziativa legislativa. In par



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

32 

ticolare non sembra possibile estendere in modo automatico i presupposti 
temporali fissati dalle leggi vigenti per la riproposizione della domanda del 
condannato dopo che � stata respinta una sua domanda diretta ad ottenere la 
liberazione condizionale: diverse sono infatti le due situazioni, anche se una 
certa analogia tra le stesse non pu� essere negata. A carico di chi sia incorso 
nella revoca del beneficio, pu� rilevarsi che l'esperienza fatta in concreto ha 
segnato in modo negativo l'effettivit� del suo ravvedimento, mentre, a suo 
favore, non si pu� dimenticare che il lungo periodo precedentemente trascorso 
in carcere lo aveva fatto ritenere meritevole del beneficio, diversamente da 
colui al quale il beneficio aveva dovuto essere negato. Solo una penetrante 
valutazione condotta dal tribunale di sorveglianza, competente ai sensi dell'art. 
70 dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive 
modificazioni), potr� portare a concludere per la maggiore rilevanza delle 
valutazioni concernenti l'uno o l'altro periodo (quello trascorso in detenzione 
e quello trascorso in libert� vigilata), tenuto ovviamente conto anche della 
prova data dal condannato nel periodo di privazione della libert� personale 
successivo alla revoca. In assenza di un intervento legislativo sul punto, il termine 
richiesto dalla legge vigente per la riproposizione della domanda respinta 
potrebbe essere per il giudice un utile punto di riferimento. 

Altrettanto deve dirsi per le altre condizioni per la nuova ammissione al 
beneficio successivamente alla revoca. Varranno ovviamente anche qui i parametri 
propri dell'istituto della liberazione condizionale, fissati nell'art. 176 del 
codice penale, che nell'ultima sua redazione esige che durante l'esecuzione 
della pena sia stato tenuto dal condannato �Un comportamento tale da far ritenere 
sicuro il suo ravvedimento�. Ovviamente, in caso di condannato che, 
come nella fattispecie qui considerata, abbia gi� usufruito di un periodo di liberazione 
condizionale in libert� vigilata, dovr� il tribunale tener conto anche di 
tale periodo; e in questo contesto di valutazioni rientrer� anche un esame delle 
ragioni che dettero luogo alla revoca e della loro maggiore o minore gravit�. Su 
tutto dovr� operare il rispetto della finalit� rieducativa, intesa come reinserimento 
del reo nella societ�, secondo le formule pi� volte adottate dalla Corte in 
questa materia (v. particolarmente, anche per la liberazione condizionale del 
condannato all'ergastolo, la sentenza n. 274 del 1983). 

PER QUESTI MOTIVI 

LA CORTE COSTITUZIONALE 

Dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 177, primo comma, ultimo 
periodo, del codice penale, nella parte in cui non prevede che il condannato 
alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, 
possa ess~re nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i 
relativi presupposti (omissis). 



-


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

33 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 giugno 1997, n. 162 -Pres. Granata -Red. 

Chieppa -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Russo) c. 

Regione Liguria (avv. Sorrentino). 

Impiego pubblico -Regione Liguria -Dipendenti regionali -Collocamento a 

riposo -Domanda di trattenimento in servizio -Diritto -Esclusione 


Accettazione da parte dell'amministrazione -Legittimit�. 

(Cost., art. 3, 97 e 177; legge reg. Liguria riapprovata il 10 aprile 1996, art. unico). 

Dall'art. 16 d. lgs. 30 dicembre 1992 n. 503 non si desume un principio fondamentale 
della legislazione statale, e vincolante per il legislatore regionale, 
secondo il quale i dipendenti pubblici avrebbero un diritto incondizionato al 
mantenimento in servizio per un biennio dopo il sessantaciquesimo anno d'et�; 
pertanto � infondata la questione di legittimit� costituzionale della legge della 
regione Liguria riapprovata il 1 O aprile 1996, art. unico, nella parte in cui, al 
terzo comma, conferisce all'amministrazione la facolt� di accettare o meno, 
per motivata esigenza di servizio, la domanda di trattenimento in servizio fino 
ad un massimo di due anni presentata dai dipendenti regionali (1). 

(omissis) 1. -La questione di legittimit� costituzionale, sottoposta all'esame 
della Corte dal ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri, riguarda l'articolo 
unico della legge della regione Liguria recante �Norme sul collocamento a 
riposo dei dipendenti regionali�, riapprovata il 10 aprile 1996 a seguito di rinvio 
governativo, nella parte in cui, al comma 3, conferisce all'amministrazione la 
facolt� di accettare; per motivate esigenze di servizio, la domanda di trattenimento 
in servizio del personale di cui si tratta, fino ad un massimo di due anni 
oltre il raggiungimento del limite del sessantacinquesimo anno di et�. 

La questione � prospettata sotto il profilo della violazione dell'art. 117 
della Costituzione, per contrasto con un principio fondamentale della legislazione 
statale, di cui sarebbe espressione l'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 
503, che rimette la permanenza in servizio dei dipendenti civili dello Stato e 
degli enti pubblici non economici per un biennio oltre i limiti di et� alla facolt� 

(1) La Corte esclude l'esistenza di un limite unico di et� per la cessazione dal servizio 
previsto in via generale per tutto il pubblico impiego e ribadisce che nel prolungamento 
dell'et� pensionabile il legislatore regionale ha un'ampia discrezionalit� con 
il limite della manifesta arbitrariet� ed il divieto di stabilire in via generale un'et� massima 
per il collocamento a riposo superiore a quella fissata dalle leggi statali per la corrispondente 
categoria di dipendenti. 
Con tale pronuncia si afferma peraltro che il principio fondamentale della legislazione 
statale (ex art. 16 d. lgs. 30.12.1992 n. 503) non � di riconoscere un diritto 
incondizionato del dipendente a permanere in servizio per un biennio bens� quello 
secondo il quale il trattenimento in servizio oltre i limiti di et� pu� awenire solo su 
istanza dell'interessato. 

Sull'ampia discrezionalit� del legislatore in materia di prolungamento dell'et� pensionabile 
si vedano le sentenze C. Cost. n. 422 del 1994; n. 374 del 1992; n. 491 e 440 del 
1991; n. 186 del 1990 nonch� le ordinanze n. 252 del 1993; nn. 349, 362 e 442 del 1992. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

34 

dei dipendenti stessi; degli artt. 3 e 97 della Costituzione, per la disparit� di trattamento 
che si determinerebbe tra i dipendenti della regione Liguria e quelli 
dello Stato o di altre regioni, in contrasto con i principi di uguaglianza, di 
ragionevolezza, di equit� e imparzialit� della pubblica amministrazione. 

Inoltre, per l'eventualit� che la Corte ritenga, in conformit� alla interpretazione 
governativa, che l'art. 16 del decreto legislativo n. 503 del 1992 per 
un verso si applichi ad ogni settore del pubblico impiego, e abbia valore di 
principio vincolante per la legislazione regionale, per l'altro attribuisca al 
dipendente un diritto incondizionato al mantenimento in servizio, la regione 
Liguria ha posto il dubbio della legittimit� costituzionale del predetto art. 16 
per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, in quanto consentirebbe 
applicazioni lesive del principio di buon andamento dell'amministrazione e 
di ragionevolezza. 

2. -Il ricorso � privo di fondamento. 
Il principio fondamentale della legislazione statale, che si desume dall'art. 
16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, e' quello secondo il quale il trattenimento 
in servizio oltre i limiti di et� pu� avvenire solo su istanza dell'interessato, 
essendo giuridicamente protetta la posizione del dipendente pubblico 
diretta ad ottenere il collocamento a riposo al compimento dei limiti di et� 
previsti (in via generale o per il determinato settore di impiego pubblico). 

La prosecuzione d~l rapporto di impiego oltre il limite di et� � stata configurata 
dal legislatore come eccezione alla regola posta in tema di limiti di 
et� per il servizio (rimasti, si nota, immodificati), prevedendosi una prosecuzione 
del rapporto su domanda dell'interessato �per un periodo massimo di 
un biennio�. La suddetta disposizione di carattere eccezionale, anche se 
introdotta con finalit� di contenimento della spesa pubblica in ordine ai trattamenti 
di previdenza e di quiescenza (permanendo tuttavia il carico del trattamento 
di servizio attivo e degli oneri riflessi, in genere complessivamente 
maggiori rispetto a quelli connessi a nuove assunzioni, meramente eventuali 
anche in relazione a ricorrenti blocchi), non � incompatibile con le disposizioni 
normative che prevedono la sussistenza di requisiti per la continuazione 
del rapporto di pubblico impiego (come l'idoneit� fisica, l'assenza di 
incompatibilit�, la persistenza del posto ecc.). 

Dalle disposizioni invocate dal ricorrente non pu� trarsi, invece, un principio 
fondamentale della legislazione statale (tale da vincolare il legislatore 
regionale) secondo cui esisterebbe un diritto incondizionato del dipendente 
pubblico al mantenimento in servizio per un biennio. 

3. -D'altro canto, in materia di limiti di et� e di trattenimento in servizio 
di dipendenti regionali, il legislatore regionale non � tenuto a conformarsi 
pedissequamente alle singole disposizioni statali relative al pubblico impiego, 
tanto pi� nel caso in cui -come nella specie -la norma statale interposta, 
invocata come parametro di valutazione, sia contenuta in un decreto delegato 
emanato in base a delega sulla previdenza, con oggetto e criteri direttivi 
non estesi a tutti i dipendenti pubblici, ma limitati al settore dei dipendenti 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (art. 3 della legge 23 
ottobre 1992, n. 421). 

Il legislatore regionale, nell'esercizio della competenza in materia di 
impiego pubblico regionale (cui � ascrivibile la legge impugnata recante 
norme sul collocamento a riposo di ufficio e sul limite di et�), � vincolato dai 
principi fondamentali della legislazione statale, che �possono consistere in 
un complesso articolato di criteri direttivi risultanti dalla regola generale 
vigente nel settore ed integrata dalle possibili deroghe stabilite dalla medesima 
legislazione. Pertanto lo stesso legislatore dovr� attenersi alla regola 
generale e potr� distaccarsene soltanto con la previsione di discipline derogatorie 
identiche a quelle dettate dalle leggi dello Stato, owero riconducibili 
alla medesima ratio .... La regola consiste nel divieto per il legislatore regionale 
di stabilire in via generale una disciplina che preveda per il personale 
della Regione un'et� massima per il collocamento a riposo superiore a quella 
fissata dalle leggi statali per la corrispondente categoria dei dipendenti� 
(sentenze n. 186 del 1990 e n. 238 del 1988). 

Certamente nella materia di cui si tratta deve escludersi la esistenza di 
un limite unico di et� generale per l'intero settore pubblico, essendo previsti 
limiti diversi a seconda delle categorie di personale (argomentando dalle sentenze 
n. 238 del 1988 e n. 422 del 1994); inoltre, relativamente al prolungamento 
dell'et� pensionabile devesi riconoscere un'ampia discrezionalit� del 
legislatore con il solo limite della manifesta arbitrariet� (da ultimo, ordinanza 
n. 380 del 1994 e sentenza n. 422 del 1994). Tale discrezionalit� deve essere 
riconosciuta anche al legislatore regionale, la cui scelta, nella fattispecie in 
esame, deve ritenersi tutt'altro che arbitraria o irragionevole, per avere 
espressamente attribuito all'amministrazione un potere di valutare motivatamente 
la coincidenza con esigenze di interesse pubblico attinenti al servizio 
della facolt� esercitata dal dipendente di rimanere in attivit�, per un ulteriore 
periodo massimo di due anni, in aggiunta al limite di et� di 65 anni, previsto 
dall'ordinamento regionale. 

Tale potere di valutazione da parte dell'amministrazione regionale (certamente 
conforme alle esigenze di buon andamento rilevanti sul piano costituzionale), 
in quanto esercizio di una discrezionalit� amministrativa, deve 
essere caratterizzato da una puntuale motivazione, il cui obbligo � rinforzato 
dal preciso limite, posto dalla norma primaria, della rilevanza delle sole 
�esigenze di servizio� ai fini del rifiuto di accettazione della domanda. In altri 
termini, solo in caso di dimostrata e motivata mancanza di esigenze di servizio 
(come, ad es., nel caso di sovrabbondanza di personale con identiche funzioni; 
di accertata non rispondenza delle condizioni fisiche del dipendente 
allo svolgimento delle funzioni specifiche di istituto; di soppressione di ufficio 
a seguito di delega a enti locali; ed altri) la regione -in una razionale e 
corretta interpretazione della norma -potr� esercitare la facolt� di non 
accettare la domanda di trattenimento in servizio. 

Di conseguenza deve essere esclusa ogni violazione dei principi di eguaglianza, 
ragionevolezza, equit� ed imparzialit� invocati nel ricorso (artt. 3 e 
97 della Costituzione). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

36 

4. -Dal rigetto del ricorso principale proposto dallo Stato consegue che 
non deve essere esaminata la eccezione di legittimit� costituzionale dell'art. 
16 del decreto legislativo n. 503 del 1992, sollevata dalla regione Liguria in via 
meramente subordinata e nella sola eventualit� di accoglimento della interpretazione, 
data nel ricorso, della predetta norma. 
PER QUESTI MOTM 
LA CORTE COSTITUZIONALE 

Dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale della 
legge della regione Liguria, riapprovata il 10 aprile 1996, (Norme sul collocamento 
a riposo dei dipendenti regionali), sollevata, in riferimento agli artt. 
117, 3 e 97 della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei Ministri, con 
il ricorso in epigrafe (omissis). 

CORTE COSTITUZIONALE, 27 giugno 1997, n. 204 -Pres. Granata -Est. 
Mirabelli -Terziroli (avv. Valcavi) c. Banca commerciale italiana: interv. 
Pres. Cons. Ministri (avv. Stato Laporta). 

Corte costituzionale -Questione di legittimit� costituzionale -Giudice istruttore 
civile in funzione di giudice monocratico -Legittimazione. 

Fideiussione �omnibus� -Diritto transitorio -Diversit� di regimi e disparit� 
di trattamento -Esclusione -Questione infondata. 

� ammissibile la questione di legittimit� costituzionale sollevata dal giudice 
istruttore civile in funzione di giudice monocratico. 

� infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1938 cod. 
civ., in riferimento agli art. 3 e 47 Cast., poich� la validit� delle fideiussioni 
omnibus senza indicazione dell'importo massimo garantito, stipulate prima 
dell'entrata in vigore della legge di riforma (art. 10 legge 17.2.1992, n. 154), 
non d� luogo a disparit� di trattamento, n� viola il precetto costituzionale di 
tutela del risparmio (1). 

(omisiss) 1. -Con ordinanza emessa il 4 aprile 1996 nel corso di un giudizio 
promosso per far dichiarare la nullit� di una fideiussione per obbligazioni 
future (cosiddetta �fideiussione omnibus�), prestata prima della legge 

(1) Fideiussione omnibus e ius superveniens: la Consulta conferma l'irretroattivit� 
della novella che impone l'indicazione di un importo massimo garantito. 
I. Con la sentenza che si annota, l'ampia produzione giurisprudenziale relativa alla 
fideiussione omnibus si arricchisce di un ultimo (importantissimo) tassello: la tesi (consolidata 
nella giurisprudenza della Cassazione) della validit� dei contratti stipulati 
prima della riforma del 1992 (attuata con la nota legge sulla trasparenza bancaria n. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

37 

17 febbraio 1992, n. 154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi 
bancari e finanziari) -che, all'art. 10, ha stabilito debba essere previsto 
l'importo massimo garantito -il giudice istruttore del tribunale di Varese ha 
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 47, primo comma, della Costituzione, 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 1938 cod. civ., che, anche dopo 
la modifica apportata con la legge n. 154 del 1992, continuerebbe a considerare 
valide ed efficaci le fideiussioni di importo illimitato stipulate prima del 
9 luglio 1992 (data di entrata in vigore della legge di riforma). 

Il giudice rimettente ritiene che le fideiussioni per obbligazioni future, 
con garanzia illimitata, siano tuttora valide ed efficaci. Difatti la disposizione 
che prevede l'obbligo di indicare l'importo massimo garantito avrebbe 
carattere innovativo e non sarebbe una norma di interpretazione autentica 
del precedente testo dell'art. 1938 cod. civ., da riconoscere solo se l'intervento 
del legislatore fosse stato destinato a porre fine al dibattito dottrinale e giu


154/1992), che ha definitivamente bandito dall'ordinamento i contratti di garanzia 
caratterizzati dalla cd. clausola omnibus riceve l'imprimatur della Corte costituzionale, 
la cui decisione merita di essere segnalata sia per i profili di merito della questione risolta, 
che per i profili processuali evidenziati dall'Awocatura che � intervenuta in giudizio. 

II. L'evoluzione della fideiussione omnibus pu� essere sommariamente storicizzata, 
attraverso l'enucleazione di tre tappe fondamentali del dibattito dottrinale e giurisprudenziale. 
a) In una prima fase (a partire cio� dagli anni Sessanta (1) fino alla fine degli 
anni Ottanta) il dibattito sulla fideiussione omnibus si incentrava soprattutto sul profilo 
della validit� della garanzia, la cui peculiarit� era data dalla circostanza di essere 
prestata in favore di una banca e di avere ad oggetto tutti i debiti presenti o futuri di 
un certo debitore, senza che vi fosse l'indicazione dell'importo massimo garantito. Il 
parametro normativo era stato individuato nell'art. 1938, che consente la fideiussione 
avente ad oggetto un credito futuro (o condizionato): secondo lo schema del contratto 
ad oggetto futuro, si spiegava, sorge subito l'impegno a carico del garante a prestare la 
garanzia, ma tale impegno si attualizza naturalmente quando sorge il credito (o si verifica 
la condizione). Durante la fase di quiescenza o pendenza del rapporto, il garante 
non pu� revocare il proprio impegno e s� entrambi i soggetti del rapporto di garanzia 
grava l'obbligo di comportarsi secondo correttezza. 

Da questo paradigma normativo si arriv� ad elaborare la figura della fideiussione 
omnibus, connotata dalla peculiarit� che la garanzia si estende a �tutti� i crediti 
futuri che il creditore garantito (normalmente una banca) andr� a costituire nei confronti 
di quello stesso debitore. � noto tuttavia che la giurisprudenza oscillava tra due 
soluzioni estreme: vi era da un lato la tesi prevalente della piena validit� e vincolativit� 
del contratto; si opponeva dall'altro la tesi decisamente minoritaria della relativa nullit� 
(in funzione di tutela del fideiussore che appariva esposto all'arbitrio insindacabile 
della banca garantita). 

(1) La dottrina concorda nel sostenere che il dibattito sulla fideiussione omnibus ha inizio in 
termini significativi al declinare degli anni sessanta, a seguito della diffusione dei moduli ABI d.I. 
1964-66: in tal senso cfr. DoLMETIA, La fideiussione bancaria attiva nell'evoluzione giurisprudenziale 
e dottrinale, in Fideiussione omnibus e buona fede, a cura di Munari, 1992, 3 (e gli Autori indicati 
alla nota 4). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

38 

risprudenziale che si era sviluppato, particolarmente per i rapporti bancari, 
sulla validit� delle fideiussioni per obbligazioni future senza limite di importo 
garantito. Queste, secondo un orientamento interpretativo minoritario, 
erano da considerare nulle, perch� l'oggetto del contratto non sarebbe stato 
determinato o determinabile (art. 1346 cod. civ.); mentre, secondo l'interpretazione 
dominante, tali fideiussioni erano valide, giacch� l'oggetto del contratto 
poteva essere determinato con riferimento al contratto bancario (per lo 
pi� un'apertura di credito) cui la garanzia accedeva. 

Affermata, in conformit� all'interpretazione prevalente, la non retroattivit� 
dell'art. 10 della legge n. 154 del 1992, l'obbligo di prevedere, nelle fideiussioni 
per obbligazioni future, l'importo massimo garantito non potrebbe trovare 
applicazione alle fideiussioni prestate in precedenza, i cui effetti, quindi, permarrebbero; 
con la conseguenza che situazioni identiche, ad avviso del giudi-

Mentre infatti una parte della dottrina (2) e la giurisprudenza di merito (3) dubitavano 
della validit� del contratto per l'indeterminatezza ed indeterminabilit� del suo 
oggetto ex art. 1346 cod. civ., che difetta proprio per la preminenza dell'aspetto potestativo 
(che lascia la banca ed il cliente liberi di intrattenere quanti rapporti vorranno, 
in assenza di una limitazione preventiva, al momento della stipula del contratto), 
nella giurisprudenza della Cassazione (4) era prevalsa nettamente la tesi della piena 
validit� della fideiussione omnibus, in base alla spiegazione (S) che la possibilit� di 
abusi della banca in danno del garante sarebbe stata in realt� scongiurata dal fatto 
che l'esercizio dell'attivit� bancaria �, per diritto positivo, sottoposto ad un'articolata 
regolamentazione di carattere pubblicistico. Secondo l'impostazione dominante, l'oggetto 
della garanzia, bench� non determinato, appariva comunque determinabile per 

(2) Tra i critici della fideiussione omnibus si possono annoverare: STOLFI, In tema di fideiussione 
per debiti futuri, in Riv. dir. comm., 1971, 1, 225; GALGANO, in Riv. crit. dir. priv., 1983, l; 
PORTALE, in Le garanzie bancarie internazionali, Milano 1989, 24, il quale arriva a sostenere che il 
contratto con clausola omnibus esonera la banca da ogni rischio d'impresa e trasforma il negozio 
in un Garantievertrag (e cio� in un contratto autonomo di garanzia; RoPPO, Fideiussione �omnibus
�: valutazioni critiche e spunti ricostruttivi, in Banca, borsa e tit. cr., 1987, 137; VALCAVI, in Foro 
it., 1985, I, 509, ma anche negli altri suoi scritti in materia; SIMONETTO, La fideiussione prestata dai 
privati, Padova, 102. Per una panoramica: cfr. Bozzr, voce Fideiussione omnibus, in Enc. giur., XIV, 
Torino, 1989, agg. 1993; e ancora VIALE, Le garanzie bancarie, in Tratt. dir. comm., diretto da 
GALGANO, Padova, 1994, 16. 
(3) Va ricord�ta innanzitutto la decisione con la quale si diede inizio al dibattito nella giurisprudenza 
di merito: Trib. Milano, 6 settembre 1979, in Dir. fall., 1981, II, 419. Nella stessa direzione 
si ricordano, tra le altre: Trib. Pistoia, 17 ottobre 1991, in ll fallimento, 1992, 937 (�La fideiussione 
omnibus � nulla per indeterminatezza dell'oggetto ai sensi dell'ad. 1418 e.e.�); App. Milano, 
4 ottobre 1988, in Giur. comm., 1989, II, 571, con nota di OLGIATI, ma anche in Banca borsa e tit. 
cr. 1989, II, 607 (�E'nulla per assoluta indeterminabilit� dell'oggetto la fideiussione prestata a favore 
di una banca a garanzia di tutte le obbligazioni presenti e future del debitore principale (c.d. 
fideiussione omnibus)�; App. Milano, 27 maggio 1988, in Giust. civ. ,1988, I, 2976, con nota di 
COSTANZA, ma anche in Dir. Fall. ,1989, II, 405, con nota di SIMONETTO, Ancora meditate sentenze 
di merito contrarie alla fideiussione c.d. omnibus; Trib. Roma, 27 maggio 1985, in Giust. civ. , 1986, 
I, 2000, con nota di PIAZZA. 
(4) Si ricordano, ex plurimis: Cass. 4 febbraio 1965, n. 182; Cass. 20 luglio 1967, 1887; Cass. 
29 ottobre 1971, n. 3037, in Foro it., 1972, I, 396, con nota di MARTINELLI, ma soprattutto in Banca, 
borsa e tit. cr., II, 22, con nota di REscIGNO; Cass. 15 gennaio 1973, n. 118, in Giust. civ. 1973, I, 
1548, con nota critica di Dr AMATO; Cass. 1� agosto 1987, n. 6656, in Foro it., 1988, I, 1947, con nota 
critica di VALCAVI. 
(5) Cfr. in tal senso: Cass. 27 gennaio 1979, n. 615 in Banca borsa e tit. cr., 1981, Il, 266, con 
nota di LAURINI, Determinabilit� dei crediti e fideiussione omnibus. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

39 

ce rimettente, sarebbero disciplinate diversamente, in violazione del principio 
costituzionale di eguaglianza (art. 3 della Costituzione). 

L'ordinanza di rimessione indica anche, quale ulteriore parametro per il 
giudizio di legittimit� costituzionale, l'art. 47, primo comma, della 
Costituzione, che prevede sia incoraggiato e tutelato il risparmio e che sia 
disciplinato e controllato l'esercizio del credito. 

2. -� intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, 
rappresentato e difeso dall'Awocatura generale dello Stato, chiedendo che la 
questione sia dichiarata inammissibile o infondata. 
relationem, essendo ex antea definiti i criteri che consentono poi la determinazione 
dell'oggetto (con una �relatio� non formale, si precis�, ma sostanziale), che consistono: 
a) nella natura del debito del garante, che � solo pecuniario; b) nell'individuazione 
dei soggetti, parti del rapporto obbligatorio, e nelle loro qualit�, che si riflettono 
nel genere delle relazioni di fatto tra loro intercorrenti e sulle presumibili obbligazioni 
che ne potranno sorgere; c) nella natura delle operazioni economiche tra banca e 
debitore, che debbono rientrare tra quelle professionalmente proprie degli istituti di 
credito e quindi svolgersi secondo criteri di normalit�. 

Di fronte a tale �granitico� indirizzo della Suprema Corte, vi fu chi (6) ironicamente 
fece notare che le critiche sollevate dalla dottrina avevano �avuto la singolare 
ventura di essere maggiormente apprezzate dagli stessi istituti di credito, che non dalla 
Suprema Corte. Infatti, esse hanno pesato notevolmente nella revisione dei nuovi 
moduli fideiussori, adottati dall'associazione bancaria, con circolare n. 20 del 17 giugno 
1987�. In effetti, la maggioranza dei nuovi moduli ABI proponeva testi base di 
fideiussione con indicazione espressa dell'importo massimo garantito e concretamente 
questi testi hanno cominciato gradualmente a sostituire, nella prassi bancaria, i precedenti 
moduli di fideiussione con clausola omnibus. 

b) Sul finire degli anni Ottanta cominci� a farsi strada una soluzione pi� equilibrata 
dell'annosa querelle ed ebbe inizio quella che pu� essere definita seconda fase 
evolutiva della controversa figura: con cinque decisioni della Suprema Corte del luglio 
del 1989 (7), si apr� in effetti un nuovo corso e la discussione abbandon� �il terreno, 
pi� astratto, della validit� di tale forma di fideiussione per porsi sul terreno, pi� concreto, 
dei limiti al suo operare (8). 

La Cassazione, pur non modificando la conclusione tradizionale in ordine alla 
validit� del contratto, ridimension� la vincolativit� della garanzia attraverso una particolare 
ed innovativa applicazione del principio generale di buona fede oggettiva (9), 

(6) VALCAVI, op. cit., 1948. 
(7) Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, in Giur. It. 1990, I, I, 1137, con nota di VALIGNANI; Cass. 20 
luglio 1989, n. 3386, in Giur. It. 1990, I, I, 622, con nota di VALCAVI (che avevano ad oggetto una 
fideiussione illimitata) e Cass. 3385/1989; 3387/1989 e 3388/1989 (che avevano invece ad oggetto 
una fideiussione limitata). 
(8) DI MAJo, La fideiussione �omnibus� ed il limite della buona fede, nota a Cass. 18 luglio 
1989, n. 3362, in Foro it., 1989, I, 2753; ma cfr. pure dello stesso Autore, Clausola �omnibus� nella 
fideiussione e buona fede, in Fideiussione omnibus e buona fede, cit., 41. 
(9) Sull'incidenza della buona fede, si vedano le puntuali ed approfondite osservazioni di DI 
MAJo, op. cit., 2762; nonch�, l'ampia riflessione di DOLMETTA, op. cit., 20. Molto chiaro � poi lo scritto 
di MARICONDA, Fideiussione omnibus e principio di buona fede: la Cassazione a confronto, in 
Foro it., 1989, I, 3102, che correttamente distingue le sentenze dell"89 in due distinti sottogruppi. 
Merita poi di essere segnalato -per la sua consueta chiarezza -il contributo di CANTILLO, La 
buona fede nella fideiussione �omnibus� secondo l'attuale orientamento della Corte di Cassazione, 
in Fideiussione omnibus e buona fede, cit., 57. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

40 

� Ad avviso dell'Awocatura, la questione non poteva essere sollevata dal giudice 
istruttore, il quale, per il compimento degli atti istruttori, non avrebbe 
dovuto fare applicazione della norma denunciata, destinata ad essere applicata 
nella fase della decisione della causa, la sola fase nella quale l'incidente di 
legittimit� costituzionale potrebbe essere rilevante. Difatti la modifica della 
composizione del tribunale, quando giudica quale organo monocratico, determinerebbe 
l'identificazione in una stessa persona fisica delle figure del giudice 
istri:tttore e del giudice unico (decidente), ma non muterebbe le rispettive attribuzioni, 
che resterebbero distinte. E, ai fini della rilevanza della questione, dal-

come correttezza comportamentale che penetra nella struttura del rapporto, orientandone 
lo svolgimento: per la Suprema Corte (10) infatti, �la fideiussione omnibus, al 
pari della clausola del relativo contratto, con cui il garante dispensi l'istituto medesimo 
dall'onere di conseguire specifica autorizzazioI).e per nuove concessioni di credito in 
caso di mutamento delle condizioni patrimomali del debitore principale (art. 1956 c. 
c.), devono ritenersi valide ed efficaci, in considerazione della determinabilit� per relationem 
dell'oggetto della fideiussione, sulla base di atti di normale esercizio dell'attivit� 
creditizia, sottratti al mero arbitrio della banca, nonch� in considerazione della 
disponibilit� dei diritti del fideiussore, in ordine alla valutazione dell'opportunit� dei 
finanziamenti in presenza di mutate situazioni economiche del debitore principale; 
peraltro, la banca beneficiaria di detta garanzia non si sottrae ai principi generali di 
correttezza e buona fede, che devono inderogabilmente presiedere al comportamento 
delle parti anche nella fase di esecuzione del rapporto (art. 1375 cod. civ.), sicch� l'operativit� 
di quella garanzia fideiussoria, o di quella clausola di dispensa, va esclusa 
non solo quando la banca abbia agito con il proposito di recare pregiudizio, ma anche 
quando non abbia osservato canoni di diligenza, schiettezza e solidariet�, violando 
l'obbligo tassativo di ciascun contraente di salvaguardare gli interessi degli altri, nei 
limiti in cui ci� non comporti un apprezzabile sacrificio a proprio carico�. 

Si trattava di una �grande novit��, soprattutto tenuto conto della (notoria) scarsa 
propensione del nostro giudice di legittimit� all'utilizzazione della clausola generale 
di buona fede: ferma restando la determinabilit� per relationem dell'oggetto del contratto 
ed il carattere non meramente potestativo della facolt� della banca di ampliare 
il credito garantito, con operazioni successive, la Corte spostava finalmente l'angolo 
prospettico dal profilo della fattispecie (che l'aveva portata nella descritta prima fase 
ad occuparsi esclusivamente della validit� o nullit� della �fattispecie�, appunto) al profilo 
dell'attuazione del rapporto (nel cui ambito poteva operare il principio di buona 
fede). Sulla base di tali premesse teori�he, si arrivava ad affermare per la prima volta 
che l'impegno del garante pu� essere reso inefficace qualora l'erogazione del credito al 
debitore principale sia awenuto in violazione delle regole di correttezza e buona fede 
comportamentale, che imponevano alla banca l'obbligo di salvaguardare la posizione 
del fideiussore. 

Si trattava di un'importante applicazione della teoria dei cd. obblighi di protezione, 
elaborata in Italia dal MENGONI (11) e sviluppata dal BENATTI (12), cui la 

(10) Cass. 18 luglio 1989, n. 3362, cit. 
(11) MENGONI, Obbligazioni �di risultato� ed obbligazioni �di mezzi� in Riv. dir. comm., 
1954, I, 185, 280 e 366. 
(12) BENATTI, Osservazioni in tema di doveri di protezione, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1960, 
1324 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

41 

l'ordinanza di rimessione non risulterebbe che, nel giudizio principale, si fosse 
passati dalla fase dell'istruttoria a quella della decisione. 

Nel merito, l'Avvocatura ritiene che il richiamo all'art. 47, primo comma, 
della Costituzione non sia pertinente, neppure con riferimento alla disciplina 
ed al controllo dell'esercizio del credito, che non riguarderebbero un contratto 
di garanzia. 

Non sarebbe, inoltre, violato l'art. 3 della Costituzione, perch�, riconosciuta 
la perdurante efficacia di un contratto posto in essere prima che una 
norma lo escluda dall'ordinamento, la diversa valutazione nel tempo, da 
parte del legislatore, di un medesimo fatto o comportamento non potrebbe 

Cassazione pervenne con sottili argomentazioni (ci si riferisce alla sentenza n. 
3362/89), che facevano leva, appunto, sulla distinzione tra il piano della fattispecie ed 
il piano dell'esecuzione e, perci�, tra struttura del negozio nella sua fase genetica 
(nella quale andavano a collocarsi gli eventuali abusi di un contraente sull'altro) e 
attuazione del rapporto (nel momento successivo della sua esecuzione). Fase quest'ultima 
in cui il principio di buona fede integrativa doveva operare anche �al di l�� 
e �contro� le specifiche previsioni contrattuali, permettendo di escludere la responsabilit� 
del fideiussore nei confronti della banca, per le anticipazioni effettuate in favore 
del debitore garantito, in violazione del dovere integrativo di salvaguardia del 
fideiussore (13). 

c) Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 204/1997, che si annota (14), si 
chiude, in un certo senso, la terza fase della descritta evoluzione della fattispecie, fase 
che era stata inaugurata dall'entrata in vigore della legge sulla trasparenza bancaria 
(legge 17 febbraio 1992, n. 154), il cui art. 10, modificando l'art. 1938 cod. civ., richiede 
la necessaria indicazione, a pena di nullit� della fideiussione, dell'importo massimo 
garantito, con l'effetto di bandire dal nostro sistema le garanzie per importo non determinato 
o determinabile ex antea, secondo un'impostazione che � stata mutuata dall'esperienza 
giuridica tedesca (15). Un problema diverso (non certo meno importante, ma 
che comunque esorbita dalla presente indagine) pone invece la modifica dell'art. 1956, 
nella parte in cui esclude l'autorizzazione preventiva da parte del fideiussore all'erogazione 
del credito al debitore principale, qualora quest'ultimo abbia mutato la propria 
consistenza patrimoniale, rendendo pi� gravoso il soddisfacimento del credito. 

III. La Corte conferma il sistema �binario� sancito dalla giurisprudenza della 
Cassazione, che ha costantemente escluso la retroattivit� della novella, con la conseguenza 
di riconoscere la perdurante validit� dei contratti stipulati anteriormente all' entrata 
in vigore della legge, sebbene destinati a produrre i loro effetti successivamente. Il 
(13) Nella stessa direzione si veda la pi� recente Cass., sez. I. 19 gennaio 1995, n. 558, in Giur. 
It., 1996, I, 1, 671, per la quale �la fideiussione omnibus � valida in virt� della detenninabilit� per 
relationem dell'oggetto, sulla base di atti di nonnale esercizio dell'attivit� bancaria, sottratti, in quanto 
tali, al mero arbitrio della banca; alla validit� del negozio, sul piano strutturale, corrisponde l'obbligo 
della banca di comportarsi secondo buona fede nel momento esecutivo, obbligo che non incide 
sulla validit� del contratto stesso, o di sue singole clausole, in relazione al criterio di meritevolezza 
attinente alla fattispecie, ma che trova rilievo, perl'appunto, nella fase attuativa,,. 
(14) Tra i primi commentatori si segnalano: PISELLI, La responsabilit� del garante � senza 
limiti solo per i debiti sorti prima della rifonna, in Guida al diritto, 19 luglio 1997, 27, 40; nonch�, 
LOMBARDI, in Corr. Giur., 1998, n. 1, 32. 
(15) Lo rileva CALDERALE, nella voce Fideiussione omnibus, in Dig. disc. priv., sez. civ., VIII, 
Torino, 1992, 277. Si segnala lo studio comparatistico di RAN!Eru, La fideiussione �Omnibus� nell'esperienza 
giuridica straniera, in Fideiussione omnibus e buona fede, cit., 69. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

42 

costituire termine di comparazione per verificare il rispetto del principio di 
eguaglianza. Sarebbe, anzi, ragionevole tutelare l'affidamento e la certezza 
delle relazioni giuridiche, mantenendo gli effetti di un rapporto intersoggettivo 
in conformit� alla disciplina della legge vigente al momento in cui il contratto 
� sorto. 

Considerato in diritto 

1. -La questione di legittimit� costituzionale investe l'art. 1938 del codice 
civile, che disciplina la fideiussione per obbligazioni future. Questa disposizione 
prescrive, a seguito delle modifiche apportate con l'art. 10 della legge 
17 febbraio 1992, n. 154 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei sergiudice 
delle leggi ha infatti dichiarato infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 1938 cod. civ., sollevata in riferimento agli artt. 3 e 47, primo comma, Cost., 
dal giudice istruttore presso il Tribunale di Varese, con ordinanza emessa il 4 aprile 
1996 (16), pronunciandosi per la prima volta sulla figura della fideiussione omnibus. 

L'occasione � stata fornita da un'azione di nullit� di un contratto di fideiussione 
omnibus stipulato anteriormente all'entrata in vigore della legge 17 febbraio 1992, n. 
154 (il cui art. 10, riformulando la norma codicistica sulla fideiussione per obbligazione 
futura dell'art. 1938, richiede, a pena di nullit�, la necessaria indicazione dell'importo 
massimo garantito). La Banca, naturalmente, sosteneva la validit� del contratto, 
facendo leva sul carattere irretroattivo della riforma, in assenza di una disposizione 
transitoria diretta a disciplinare la sorte delle fideiussioni ad importo illimitato sorte 
anteriormente alla legge del 1992, ma con effetti che si protraggono oltre la data della 
sua entrata in vigore. Il giudice a quo aderisce alla tesi (prevalente nella giurisprudenza 
della Cassazione) del carattere non retroattivo della modifica normativa, ma da ci� 
fa derivare la disparit� di trattamento tra le fattispecie regolate dalla vecchia norma e 
le fattispecie che (a far data dal 9 luglio 1992) sono regolate dalla novella, che ha bandito 
dal nostro sistema le fideiussioni per importo illimitato. In sostanza, dunque l'art. 
1938 risulterebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., perch� situazioni identiche sarebbero 
assoggettate a regolamentazioni diverse (solo ad colorandum si assume la violazione 
anche dell'art. 47, primo comma, Cost., poich� il giudice remittente non giustifica l'assunto 
con alcuna motivazione). 

L'Avvocatura � intervenuta eccependo l'inammissibilit� della questione, perch� 
sollevata dal giudice istruttore civile presso il Tribunale, e ci� sul presupposto che questi 
� sprovvisto di legittimazione a sollevare questioni di costituzionalit� su norme di 
cui non pu� fare diretta applicazione, perch� riferite alla fase decisoria rimessa al collegio. 
La peculiarit� del caso di specie era offerta dalla competenza anche per il merito 
del giudice istruttore rimettente quale giudice unico, che per� ad avviso 
dell'Avvocatura non valeva a modificare l'indirizzo restrittivo. 

a) Soffermandoci innanzitutto sui profili processuali della questione, la Corte 
ha affrontato per la prima volta il problema della legittimazione del giudice istruttore 
a sollevare incidenti di costituzionali, con riguardo a norma applicabile e rilevante 

(16) L'ordinanza di rimessione � pubblicata in Foro it., 1996, I, 1834, con nota di richiami, 
ma anche in Banca, borsa e tit. cr., 1996, II, 597. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 43 

vizi bancari e finanziari), che sia previsto l'importo massimo garantito. Lo 
stesso limite non varrebbe, tuttavia, per le fideiussioni prestate prima dell'entrata 
invigore (9 luglio 1992) della legge di riforma, le quali sarebbero tut� 
tora.valid� ed efficaci. Sicch�, ad avviso del giudice istruttore del Tribunale 
diVarese; sarebbe violato l'art; 3 della Costituzione, in presenza di una disciplina 
ingiustificatamente diversa per situazioni analoghe, oltre che l'art. 47, 
primo comma, della Costituzione. 

"L'eccezione, proposta dall'Avvocatura dello Stato, di inammissibilit� 

27 
della questione di legittimit� costituzionale, perch� sollevata dal giudice 
istrutt�>re, non pu�)essere accolta ... � 
L'Avvocat.ra ritiene che, nella fase istruttoria, il giudice non avrebbe 
potuto valutare la rileva.za e la non manifesta infondatezza del dubbio di 
legittimit� costituzionale della norma che disciplina il merito della causa, da 
apprezzare invece nella fase di decisione. 
L'eccezione di inammissibilit� presuppone che, anche dopo la legge 26 
novembre 1990; h. 353, che ha modificato la disciplina del processo civile, 

nella fase decisoria del giudizio, dopo la trasformazione del Tribunale in organo monocratico. 
� 

Secondo la tesi dell'Awocatura il difetto di legittimazione ricorreva anche nell'ipotesi 
del giudice istruttore in funzione digiudice unico (ex art. 190 bis c.p.c.), ove non 
cisia stato ancora ilpassaggio della causa dalla fase istruttoria a quella decisoria, perch� 
�l'identificazione in una stessa persona fisica delle figure del giudiee istruttore e 
del giudice unico. non comporterebbe anche l'identificazione delle rispettive attribuzioni 
(che resterebbero nettamente distinte e separate, in funzione della preparazione 
della causa per il giudizio owero della decisione della lite)�. 

La giurisprudenz� della Corte si arricchisce, al riguardo, di un'importante precisazione: 
Per indirizzo costante del giudice delle leggi: 

-sussiste la l�gittimazfone del giudice iStruttore a sollevare incidente di costituzionalit� 
solo �con riferimento a questioni concernenti disposizioni di legge che tale 
giudice deve applicare per protivedimenti che rientrano nell'ambito della sua competenza
� (ex miiltis: ord. n. 436/94); . 

-non sussiste �quando la nonna impugnata assume rilevanza per la risoluzione 
del merito della causa, in quanto in tal caso la competenza spetta al collegio� (cfr. 
ord. citata, nonch� le ordinanze nn. 215 e 147 del 1992); 

Nel solco di tale impostazione si inserisce la sentenza che si annota, nella quale si 
precisa che �la legittimazione del gi.udice ( ...) � dunque ancorata alla rilevanza concreta 
ed attuale della questione, che pu� essere sollevata solo dal giudice nel momento in 
cui � chiamato ad applicare la nonna della cui legittimit� costituzionale dubita�. 

Questa regola viene ora applicata alle novit� introdotte dalla novella che ha riformato 
il processo civile. Gi� una precedente ordinanza (la n. 295/96) aveva chiarito che 
tale impostazione poteva valere solo per i giudizi anteriori o pendenti alla data (il 30 
aprile 1995) di entrata in vigore dell'art. 190 bis, che ha trasformato il giudice istruttore 
in giudice unico, perch� in tale nuovo contesto -precisa la sentenza in rassegna 


�allo stesso giudice istruttore spetta, nelle cause delle quali ( ...)ha esclusiva cognizione, 
individuare fa nonna da applicare alla questione sottoposta al suo giudizio. N� occorre 
attendere il momento conclusivo del processo ( ...), quando � chiaro che dalla sua soluzione 
dipende la decisione della causa e, ancor prima, lo sviluppo istruttorio di esso�. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

44 

valga la precedente distinzione tra giudice istruttore e tribunale, anche quando 
quest'ultimo sia a composizione monocratica, giacch� vi sarebbe identit� nelle 

I 

persone fisiche ma distinzione degli organi e delle fasi del procedimento. 
La giurisprudenza costituzionale ha, sino ad ora, affermato che il giudice 

I

~ 

istruttore nel processo civile non pu� sollevare questioni di legittimit� costi
�= 
tuzionale delle norme da applicare per la definizione della controversia, la cui 
identificazione e valutazione � riservata al tribunale, il quale, nella sua composizione 
collegiale, � chiamato a giudicare del merito (ordinanza n. 295 del 
1996; ordinanza n. 503 del 1995; ordinanze nn. 436 e 424 del 1994; sentenza 

n. 1104 del 1988; sentenza n. 125 del 1980). Il giudice istruttore pu�, invece, 
proporre incidente di costituzionalit� relativamente alle norme che egli stesso 
debba applicare, per adottare provvedimenti attribuiti alla sua competenza 
(sentenza n. 84 del 1996; sentenza n. 278 del 1994; ordinanza n. 199 del 1990). 
b) Passando al merito della questione, il giudice a quo aveva rilevato che -aderendo 
alla tesi giurisprudenziale dominante (17) sul carattere innovativo della novella, 
che non pu� applicarsi retroattivamente ai rapporti preesistenti -le garanzie ad importo 
illimitato stipulate anteriormente (in assenza di una disposizione transitoria che 
regoli le situazioni pregresse) continuano ad essere efficaci, con la conseguenza che si 
avrebbero situazioni analoghe disciplinate diversamente in violazione dell'art. 3 Cost. 
La Corte ha invece escluso che la riformulazione dell'art. 1938 introduca una disparit� 
di trattamento, in quanto la �vecchia� norma non acquista carattere ultrattivo e perci� 
investe solo i rapporti di garanzia sorti prima della legge, non quelli successivi. E la 
diversit� di disciplina tra fideiussioni omnibus anteriori alla novella (che rimangono 
efficaci per la sua irretroattivit�) e quelle successive (che sono vietate se ad importo illimitato) 
non d� luogo ad alcuna disparit� di trattamento di fattispecie identiche, �ma 
rispecchia, piuttosto, la diversa qualificazione degli atti, nel tempo, da parte del legislatore, 
il quale, nel dettare una nuova regola attinente ad un requisito del contratto, 
non travolge gli obblighi gi� sorti in base alla normativa precedente�. 

In realt�, l'art. 10 primo comma della legge sulla trasparenza bancaria, che riformula 
gli artt. 1938 e 1956 cod. civ. esigendo la previsione dell'importo massimo garantito 
e negando la possibilit� di preventiva rinuncia del fideiussore ad invocare la propria 
liberazione per crediti concessi nonostante le difficolt� economiche del debitore, 
� stato oggetto di vivaci discussioni in dottrina. Alcuni Autori (18) sostenevano, infatti, 
che quella citata era norma di �interpretazione autentica che sostanzialmente accoglie 
l'interpretazione data da quegli autori e giudici di merito che hanno :.. sostenuto, 
de jure condito, opinioni consone a quelle oggetto dell'odierno art. 1 O, anche in costanza 
delle vecchie nonne�, con la conseguenza che tutte le fideiussioni per obbligazioni 
future anteriori alla novella dovevano ritenersi nulle, ove mancasse l'indicazione del


(17) La giurisprudenza della Cassazione sul punto � pressoch� unanime. Tra le prime decisioni 
si segnalano: Cass. 25 agosto 1992, 9839, in Banca, borsa e tit. cred., 1993, Il, 237, con nota 
di DDLMETIA, �Fideiussioni �chiuse" e legge sulla trasparenza: una massima della Cassazione; Cass. 
19 marzo 1993, n. 3291, in Foro it., 1993, I, 2171, con nota critica di VALCAVI, Sul carattere innovativo 
della nonna che vieta le fideiussioni �omnibus" illimitate e sulla sua applicazione retrospettiva 
alle liti pendenti, oppure in Corr. giur., 1993, 692, con nota di MARICONDA, Fideiussioni omnibus, 
irretroattivita della novella, clausola �a prima richiesta,,. 
(18) Cfr.: VALCAVI, Sulla nullit� �ope legis" delle fideiussioni �omnibus" e sulle relative conseguenze, 
in Foro it., 1992, I, 795; lACUANIELLO BRUGGI, La fideiussione �omnibus" tra recente passato 
e prossimo futuro, in Giur. it., 1992, I, 1, 1311. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 45 

La legittimazione del giudice a proporre incidente di legittimit� costituzionale 
�, dunque, ancorata alla rilevanza concreta ed attuale della questione, 
che pu� essere sollevata solo dal giudice nel momento in cui � chiamato 
ad applicare la norma della cui legittimit� costituzionale dubita. 

Questa regola porta ora a conclusioni diverse rispetto a quelle delineate 
in passato, essendo mutata la configurazione dei poteri del giudice istruttore, 
secondo la disciplina del processo civile quale risulta a seguito delle modifiche 
apportate dalla legge n. 353 del 1990. 

Fuori dei casi espressamente riservati alla cognizione collegiale, in materia 
civile il tribunale �decide in persona del giudice istruttore� (art. 48 
dell'Ordinamento giudiziario, modificato con l'art. 88 della legge n. 353 del 
1990), che si configura, dunque, quale giudice unico con tutti i poteri del col


l'importo massimo garantito. Ma era prevalsa anche in dottrina (19) la tesi opposta 
(assolutamente dominante in Cassazione) (20) del carattere irretroattivo della norma 
in parola, che portava ad un sistema �binario�, con i contratti fideiussori �vecchi� (sottratti 
alla normativa sulla trasparenza bancaria) e contratti fideiussori <<nuovi� (integralmente 
soggetti ad essa). 

Subito la dottrina pi� attenta (21) aveva paventato il rischio, insito in tale ultima 
impostazione: �non si vede -scriveva DoLMETTA, anticipando la censura prospettata 
dal giudice a quo -quale ragione sostanziale di fondo possa giustificare una cos� grande 
disparit� di trattamento�. 

� chiaro che l'entit� dei problemi di diritto transitorio posti dai rapporti pendenti 
al momento dell'entrata della novella dovrebbe subire nella prassi un notevole 
ridimensionamento, ma a parte ci� sembra che la risposta della Corte ai dubbi di 
incostituzionalit� sollevati dal giudice istruttore presso il Tribunale di Varese sia 
convincente e pienamente giustificata. La sentenza che si annota si conforma infatti 
ad un criterio gi� altre volte applicato dalla Corte (22) secondo il quale �il principio 

(19) Cfr.: Pommou, Le garanzie autonome ed il rischio del creditore, Padova, 1992, 201. La 
letteratura sul tema � vastissima: SASSI, Efficacia temporale della 1. 17 febbraio 1992 n. 154 e rilevanza 
probatoria degli estratti di saldaconto bancario nella fideiussione �omnibus� , in Riv. Giur. 
Sarda, 1997, 84; GIUGGIOLI, Ancora sulla fideiussione �Omnibus�, in Contratti, 1996, 43; MARzm, La 
fideiussione �Omnibus�: retroattivit� o meno della 1. n. 154 del 1994, in Nuovo Dir., 1996, 212; 
GALLO, La fideiussione �Omnibus� tra il vecchio ed il nuovo regime, in Nuova Giur. civ., 1994, I, 42; 
PANZIRONI, La fideiussione �omnibus�: validit� e limiti dopo la 1. 17 febbraio 1992 n. 154, in Vita 
Notar.,1994, 701; Scorn GALLETTA, La fideiussione c.d. omnibus e la disciplina della trasparenza 
bancaria, in Dir. banca e mercato fin., 1994, I, 219; F'RANZONI, Fideiussione omnibus e jus superveniens, 
in Contratto e Impr., 1993, 428; TARTAGLIA Limiti alla fideiussione omnibus e disciplina della 
�trasparenza�, in Foro it. 1992, I, 1394. 
(20) Tra le pi� recenti sentenze, cfr.: Cass. civ., sez. I, 20 maggio 1997, n. 4469, in Mass., 1997; 
Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 1995, n. 558, in Giur. It., 1996, I, I, 671 (�La nuova disciplina in tema 
di fideiussione cosiddetta �omnibus�, introdotta dall'art. 10, 1. n. 154/1992, � irretroattiva, in quanto 
apporta innovazioni sostanziali non inquadrabili nella categoria delle norme interpretative, e ci� 
per difetto di esplicita indicazione in tale senso del legislatore, per la loro struttura, e, infine, per la 
previsione di una loro efficacia differita che mal si concilia con una pretesa portata interpretativa�); 
Cass. civ., sez. I, 29 agosto 1995, n. 9099, in Banca, borsa e tit. cr. 1996, II, 596; Cass. civ., sez. I, 25 
novembre 1995, n. 12213, in Mass., 1995; Cass. civ., sez. I, 19 gennaio 1995, n. 569, in Contratti, 
1996, 38, con nota di Giuggioli. 
(21) DOLMETIA, op. ult. cit., 243. 
(22) Cfr. tra le tante: C. Cost. ord. n.185/1996; sent. n. 12711996; sent. n. 73/1996; sent., n. 
500/1995; sent. n. 378/1994. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

46 

legio. Allo stesso giudice istruttore spetta, nelle cause delle quali, come nel 
caso in esame, ha esclusiva cognizione, individuare la norma da applicare 
alla questione sottoposta al suo giudizio. N� occorre attendere il momento 
conclusivo del processo per sollevare il dubbio di legittimit� costituzionale, 
quando � chiaro che dalla sua soluzione dipende la decisione della causa e, 
ancor prima, lo sviluppo istruttorio di essa. Inoltre i termini del giudizio 
risultano gi� definiti dalle domande, eccezioni e conclusioni proposte dalle 
parti negli atti introduttivi (artt. 163 e 167 cod. proc. civ.) e sono determinati 
sin dalla prima udienza di trattazione (art. 183 cod. proc. civ.). A Ci� si 
aggiunga che il solo giudice istruttore, in funzione di giudice unico, � competente 
a compiere ogni atto ed a decidere nel merito, sicch� -come con 

di uguaglianza non impedisce un differente trattamento che trovi nello stesso fluire 
del tempo un elemento discretivo� (sent. n. 73/1996): infatti, �la Corte ha ( ... )pi� 
volte riconosciuto, in materia di successioni di leggi nel tempo, il potere discrezionale 
del legislatore d'introdurre una nuova disciplina, anche se con effetti pi� favorevoli 
o comunque diversi per il cittadino, senza che per questo si possa ravvisare 
una disparit� di trattamento con riguardo alle posizioni non rientranti nella nuova 
disciplina� (sent. n. 500/1995, che richiama come precedenti le sentt. n. 238/1984, n. 
55/1983, n. 113/1977). 

Ora, l'argomentazione che sorregge la soluzione adottata � assolutamente coerente 
e merita di essere sottolineata. Per la Corte, infatti, se va riconosciuta la �irretroattivit�
� della novella, deve altres� riconoscersi la �non ultrattivit�� della vecchia norma, 
dovendosi conseguentemente escludere �che la garanzia personale prestata dal fideiussore 
assista non solo le obbligazioni sorte prima dell'entrata in vigore della legge n. 154 
del 1992, ma anche quelle successive, in modo da attribuire efficacia permanente alla 
illimitatezza del rapporto di garanzia�. In tal modo, nella summa divisio tra contratti 
di fideiussione omnibus �anteriori� e �successivi� alla novella si inserisce una ulteriore 
distinzione con riferimento ai primi. 

Le fideiussioni stipulate �dopo� l'entrata in vigore della riforma (e cio� successive 
al 9 luglio 1992) che contengano la clausola omnibus (o un patto in deroga al 1956) 
sono certamente nulle (rectius: illecite, per contrariet� a norme imperative). 

Per le fideiussioni stipulate �prima� della novella e non ancora �esaurite� (nel 
senso che per esempio sia gi� intervenuto il pagamento del debitore principale) si pone 
invece l'esigenza di distinguere la garanzia per le obbligazioni principali sorte prima 
dell'entrata in vigore della riforma, da quella relativa alle obbligazioni principali sorte 
dopo tale data, perch� la Corte giustamente ammette la validit� ed efficacia della 
prima, mentre esclude che, nel secondo caso, la fideiussione possa continuare a dirsi 
efficace (imperando ormai la nuova legge alla quale essa certamente non si conforma). 

La soluzione appare dogmaticamente rigorosa. Se infatti la legge in questione ha 
introdotto innovazioni di carattere sostanziale nella normativa che regola la fideiussione 
per obbligazione futura, prevedendo nuovi requisiti di �validit�� del contratto, la 
sua portata irretroattiva esclude che si possa configurare la nullit� sopravvenuta di 
tutte le fideiussioni �vecchie�, perch� appunto stipulate nel vigore di una diversa disciplina. 
Ma sul piano dell'efficacia il discorso � pi� complesso e la Corte coglie puntualmente 
questo profilo, sancendo -per cos� dire -l'inutilizzabilit� della fideiussione 
quando si intenda estendere l'efficacia della garanzia alle obbligazioni principali �successive 
(alla novella, si intende), in modo da attribuire efficacia permanente alla illimitatezza 
del rapporto di garanzia� 

FEDERICO BASILICA 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

riguardo al pretore, che gi� in precedenza, nelle cause civili, ha sollevato, 
senza che fosse posta in dubbio la sua legittimazione, questioni di legittimit� 
costituzionale anche prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni 
-deve ritenersi che il giudice istruttore, quale giudice monocratico, 
sia abilitato ad individuare le norme delle quali deve fare applicazione per 
il giudizio ed a valutare se il dubbio di legittimit� costituzionale sia concretamente 
rilevante. 

3. -Nel merito la questione non � fondata. 
Il giudice rimettente, aderendo alla interpretazione prevalente, ritiene 
che la legge n. 154 del 1992, nello stabilire, sostituendo il testo dell'art. 1938 
cod. civ., che la fideiussione prestata per un'obbligazione futura debba prevedere 
l'importo massimo garantito, abbia carattere innovativo e non si 
applichi, retroattivamente, ai rapporti preesistenti. 

Ci� non implica, tuttavia, che la disciplina precedente -la quale, secondo 
l'interpretazione dominante, consentiva la prestazione di una garanzia illimitata 
per le obbligazioni future il cui oggetto fosse determinabile -acquisti 
carattere ultrattivo, tale da consentire che la garanzia personale prestata 
dal fideiussore assista non solo le obbligazioni principali sorte prima della 
entrata in vigore della legge n. 154 del 1992, ma anche quelle successive, in 
modo da attribuire efficacia permanente alla illimitatezza del rapporto di 
garanzia. 

In altri termini l'innovazione legislativa, che stabilisce la nullit� delle 
fideiussioni per obbligazioni future senza limitazione di importo, non tocca 
la garanzia per le obbligazioni principali gi� sorte, ma esclude che si producano 
ulteriori effetti e che la fideiussione possa assistere obbligazioni principali 
successive al divieto di garanzia senza limiti. 

In questo contesto interpretativo, la diversit� di disciplina tra fideiussioni 
prestate prima o dopo l'entrata in vigore della legge n. 154 del 1992 non 
configura alcuna ingiustificata disparit� di trattamento di situazioni identiche, 
ma rispecchia, piuttosto, la diversa qualificazione degli atti, nel tempo, 
da parte del legislatore, il quale, nel dettare una nuova regola attinente ad un 
requisito del contratto, non travolge gli obblighi gi� sorti in base alla normativa 
precedente. 

Tanto vale ad escludere la denunciata violazione dell'art. 3 della 
Costituzione. 

4. -La questione non � fondata anche con riferimento all'art. 47, primo 
comma, della Costituzione. 
La disposizione costituzionale prevede la tutela del risparmio, la disciplina 
ed il controllo dell'esercizio del credito. Ma non � dedotto, n� � rilevabile, 
alcun profilo che induca a mettere in relazione la previsione costituzionale 
con le modalit� di disciplina del contratto di fideiussione, poste in 
discussione (omisiss). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

48 

CORTE COSTITUZIONALE, 11 dicembre 1997, n. 382 -Pres. Granata -Rel. 
Zagrebelsky-Presidente del Consiglio dei Ministri (non costituito). 

Forze armate -Obiezione di coscienza -Rifiuto del servizio civile sostitutivo 
-Pena -Violazione del principio di eguaglianza -illegittimit�. 
(legge 15 dicembre 1972 n. 772, art. 8, comma 1, sost. da art. 2, legge 24 dicembre 1974 n. 695). 

� costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 3 Cast., l'art. 8 
primo comma della legge 15 dicembre 1972 n. 772 nella parte in cui prevede 
per il reato di rifiuto del servizio sostitutivo del servizio militare una pena 
diversa da quella determinata per il delitto del rifiuto globale del servizio 
militare di cui al secondo comma (1). 

(omisiss) 1. -Richiesto dall'imputato, con il consenso del pubblico ministero, 
di pronunciare sentenza di applicazione di pena concordata, a norma 
dell'art. 444 cod. proc. pen., in ordine al reato previsto dall'art. 8, primo 
comma, della legge 15 dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento 

(1) Con la sentenza in rassegna la Corte perviene alla parificazione quoad poenam 
delle due fattispecie di reato previste nel comma primo e nel comma secondo dell'art, 
8 della legge 772 del 1972, cos� ricomponendo l'equilibrio nel sistema sanzionatorio 
dell'articolo,fortemente compromesso dalla precedente sentenza 409/1988. 
Ripercorriamo brevemente i passaggi della vicenda prima di evidenziare gli aspetti 
pi� interessanti della ultima pronuncia. 

L'ipotesi di reato prevista nel primo comma dell'art. 8 consiste nella condotta del 
soggetto che rifiuti il servizio sostitutivo del servizio militare, dopo avere ottenuto l'ammissione. 
La pena per il delitto de quo era identica, nella originaria formulazione della 
norma, a quella prevista per il connesso reato dell' �obiettore totale� di cui al comma 
secondo del medesimo articolo, cio� del soggetto che, adducendo motivi di coscienza, 
al di fuori dei casi di ammissione al servizio sostitutivo, rifiuti il servizio militare prima 
di assumerlo. 

Investita della questione di legittimit� costituzionale del secondo comma, relativamente 
alla misura della sanzione, la Corte, con sentenza 409/89, giungeva ad equiparare 
la sanzione per il reato del rifiuto globale del servizio militare a quella prevista dal1'
art. 151 c.p.m.p., per il militare che manca alla chiamata alle armi senza alcun motivo 

o per motivi futili. Ne conseguiva una notevole riduzione di pena (6 mesi nel minimo 2 
anni nel massimo) rispetto alla pena del delitto di rifiuto del servizio sostitutivo di cui 
al comma primo rimasta invariata (2 anni nel minimo -4 anni nel massimo). 
Lo squilibrio nel nuovo assetto punitivo dell'art. 8 era palese. E la Corte ha risolto 
la questione con la pronuncia in epigrafe, provocata dal pretore di Pavia, che ha denun>.
ciato l'illegittimit� costituzionale del comma primo dell'art. 8 per violazione dell'art. 3 

�

della Costituzione, sotto il profilo dell'irrazionale trattamento diverso di fattispecie 

[:

analoghe. I motivi di censura della norma sollevati dal giudice a quo sono stati sostan


!i

zialmente accolti nella sentenza. 1~: 
Nella motivazione si precisa che l'identit� originaria di pena per i reati in questiom 


r.:

ne esprimeva una identica valutazione legislativa circa la gra'l{it� dei fatti da essi pre'!'.
� 
visti, che troverebbe ulteriore conferma nella stretta connessione tra le due fattispecie 'j:
che, seppure oggettivamente e soggettivamente diverse, finirebbero per coincidere 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

49 

della obiezione di coscienza), come sostituito dall'art. 2 della legge 24 dicembre 
1974, n. 695 (Modifich.e agli artt. 2 e 8 della legge 15 dicembre 1972, n. 
772, recante norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza), concernente 
il rifiuto di prestazione del servizio sostitutivo civile da parte di 
persona gi� ammessa a svolgerlo, il giudice per le indagini preliminari presso 
la pretura di Pavia ha sollevato, con ordinanza del 14 febbraio 1997, questione 
di legittimit� costituzionale della richiamata disposizione penale, in 
riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della 
Costituzione. 

2. -La norma impugnata, della quale il giudice a quo deve fare applicazione 
alla stregua della contestazione portata a giudizio e delle risultanze del 
procedimento, prevede, per chi, �ammesso ai benefici della (presente) legge, 
sotto il profilo del significato delle condotte. La fattispecie di cui al primo comma, 
infatti, viene ricostruita, con ragionamento non del tutto lineare, come comprensiva 
dei fatti delittuosi descritti nel secondo comma, come una sorta di obiezione totale a 
�formazione progressiva�. 

Con queste argomentazioni, la Corte motiva l'attesa riduzione della sanzione per 
il reato di rifiuto del servizio sostitutivo al fine di equipararla a quella gi� prevista per 
il rifiuto globale del servizio militare. 

La pronuncia in esame si segnala per alcuni interessanti elementi. 

Tra questi, l'applicazione, sempre pi� diffusa nella giurisprudenza della Corte, del 

c.d. �giudizio di ragionevolezza� in tema di sanzioni penali (cfr. sentt. Corte Cost. 
25/94, 333/92, 32/96 ed ordinanza 220/96). In base al principio de quo, anche se spetta 
al legislatore la determinazione della qualit� e quantit� della sanzione penale, rientra 
nei poteri della Corte la possibilit� di sindacare la ragionevolezza delle valutazioni 
compiute dal legislatore in ordine al rapporto tra la sanzione prevista per il reato e la 
sua effettiva gravit�, anche alla luce (come nel caso in rassegna) del confronto con fattispecie 
analoghe o comunque compatibili con quella censurata. 
Altro aspetto meritevole di attenzione � l'adozione di un dispositivo di natura 
�Sostitutiva� in tema di congruit� tra reati e pene. La Corte, cio�, non si � limitata ad 
accogliere la questione di illegittimit� costituzionale censurando la norma, ma ha contestualmente 
indicato la pena da applicare in luogo di quella dichiarata illegittima, con 
riferimento alla pena prevista per un altro reato, tertium comparationis nel giudizio 
sulla ragionevolezza della norma impugnata. I precedenti in materia non sono numerosi, 
il pi� significativo � offerto proprio nella ricordata sentenza 409/89, attesa la resistenza 
incontrata da questi c.d. interventi �manipolativi� del Giudice costituzionale in 
un settore tanto delicato e coperto da riserva assoluta di legge (cfr. MODUGNo-R. 
D'ALESSIO, Verso una soluzione legislativa del problema dell'obiezione di coscienza?, in 
Giur. it., 1990, V, 97 ss.; A. PuGioTTo, Dottrina del diritto vivente e ridefinizione delle 
sentenze additive, in Corte Cost., 1992, 3694, ss.; REscIGNo, Riflessioni sulle sentenze 
manipolative da un lato e sulla delimitazione della questione di costituzionalit� dall'altro, 
suggerite dalla sent. 139189, in Corte Cost., 1989, I, 654 ss.). 

In ultimo, si segnala il profilo certamente pi� interessante della sentenza in 
oggetto, attinente, latu sensu, ai suoi presupposti. Come gi� segnalato, infatti, la Corte 
� intervenuta con l'attuale pronuncia al fine di ristabilire un equilibrio nell'assetto 
sanzionatorio interno all'art. 8, da essa stessa sbilanciato per effetto di una precedente 
pronuncia. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

50 

rifiuti il servizio militare non armato o il servizio sostitutivo civile�, la sanzione 
della reclusione tra un minimo di due anni e un massimo di quattro 
anni. Questa previsione sanzionatoria appare al rimettente di dubbia costituzionalit�, 
sotto un duplice profilo. 

Per un primo aspetto, la misura della pena edittale sarebbe ingiustificatamente 
maggiore rispetto a quella applicabile nei riguardi dell'obiettore 
totale, vale a dire di colui che rifiuti il servizio militare, adducendo un motivo 
previsto dalla legge, al di fuori dei casi e delle procedure di ammissione a 
uno dei servizi sostitutivi. Per questi, infatti, in applicazione del secondo 
comma dell'art. 8 della legge n. 772 del 1972, la misura della pena � stabilita 
nella reclusione da sei mesi a due anni, a seguito della sentenza della Corte 
costituzionale n. 409 del 1989, che, in virt� del raffronto tra il reato di rifiuto 
globale del servizio e quello di mancanza alla chiamata (art. 151 cod. pen. 
mil. pace), ha sostituito la pena stabilita dal secondo comma dell'art. 8 pena 
originariamente determinata in misura uguale a quella prevista nell'attuale 
primo comma -con quella prevista dalla norma del codice militare 

Atteso che la fattispecie del primo comma appariva gi� intimamente legata, per 
l'aspetto del trattamento sanzionatorio, a quella del secondo comma (come testimoniato 
dall'originario richiamo testuale �alla stessa pena soggiace ... � con il quale si apriva 
il secondo comma) c'� da chiedersi se ed entro quali limiti la Corte, pronunciandosi 
sulla pena prevista per il reato di cui al comma secondo, avrebbe potuto estendere 
l'esame all'identica pena prevista nel primo comma per l'altro delitto, al fine di conservare 
l'assetto sanzionatorio voluto dal legislatore. 

Una risposta a questo interrogativo, non pu� che essere ricercata all'interno del 
quadro normativo che delimita i poteri della Corte. Ed in quest'ottica il riferimento � 
offerto dall'art. 27 della legge 87/53 che disciplina l'illegittimit� costituzionale consequenziale: 
"���la Corte dichiara altres� quali sono le altre disposizioni legislative la cui 
illegittimit� deriva come conseguenza della decisione adottata�. 

L'interpretazione dell'istituto de quo, tuttavia, non � pacifica neppure nella giurisprudenza 
della Suprema Corte. A volte l'illegittimit� consequenziale viene riferita alle 
ipotesi in cui la causa dell'illegittimit� � la pronuncia medesima, ed in questo senso la 
Corte dovrebbe rimuovere gli �effetti incostituzionali� della sua pronuncia, altre volte, 
invece, viene ricondotta alle norme che risulterebbero illegittime perch� inficiate dagli 
stessi vizi della norma specificatamente censurata. 

In base al diverso orientamento adottato, talvolta l'illegittimit� derivata � stata 
contenuta nei minimi termini, con riguardo a quelle norme strumentali o di dettaglio, 
che sarebbero comunque rese inapplicabili dall'annullamento della disciplina che esse 
presuppongono (o sulla quale si fondano). Altre volte, essa � stata utilizzata �per analogia
�, caducando norme che sarebbero rimaste �sbilanciate� (SANDULLI, Il giudizio 
sulle leggi, Milano, 1967) qualora fossero sopravvissute all'annullamento della disciplina 
specificatamente impugnata (cfr. il caso esemplare, sempre in tema di reati militari, 
della sentenza 26/1979). 

� evidente che la sentenza esaminata riflette le problematiche e le incertezze connesse 
all'applicazione dell'illegittimit� costituzionale consequenziale, e, in primis, la 
difficolt� di conciliarla con il generale principio della corrispondenza chiesto-pronunciato. 


G.P.P. 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

(reclusione da sei mesi a due anni). Ne � derivato, secondo la prospettazione 
del giudice rimettente, uno squilibrio dell'assetto punitivo interno all'art. 8, 
irragionevolmente deteriore per chi rifiuti il servizio sostitutivo dopo esservi 
stato ammesso (primo comma) rispetto a chi rifiuti tout court il servizio 
(secondo comma): pur non essendo le condotte richiamate del tutto omogenee, 
il disvalore sociale a ciascuna di esse attribuito dal legislatore sarebbe 
stato originariamente, e sarebbe tuttora, il medesimo. Varrebbe come indice 
l'identit� delle pene previste per le rispettive incriminazioni nel testo dell'art. 
8 anteriore alla sentenza. 

Per un secondo e collegato aspetto, l'attuale diversificazione sanzionatoria 
pare al giudice a quo contrastare altres� con il finalismo rieducativo della 
pena (art. 27, terzo comma, della Costituzione), quale principio che impone 
il rispetto del criterio di proporzione tra offesa e sanzione, dovendosi tenere 
conto, nel bilanciamento degli interessi che � presupposto alla determinazione 
della sanzione, del mutato assetto normativo derivante dalla ricordata 
pronuncia della Corte costituzionale. 

Del resto, ad avviso del giudice rimettente, la differenziazione punitiva 
censurata non � neppure coerente con la disciplina, contenuta nello stesso 
art. 8, che regola le speciali cause estintive del reato o della pena in caso di 
successiva richiesta -accolta -di assegnazione a un servizio sostitutivo 
(quarto e settimo comma dell'art. 8), giacch� questa disciplina di incentivazione 
del �recupero� dell'obiettore non differenzia in alcun modo le due fattispecie 
incriminatrici cui � riferita, quanto a condizioni ed effetti; anche 
sotto tale profilo, ne risulterebbe confermata l'intenzione legislativa originaria 
della piena equiparazione tra i due casi. 

La questione sollevata � rilevante -conclude il rimettente -perch� incide 
sulla valutazione della congruit� della pena, concordata dalle parti, allo 
stato, in base ai limiti edittali vigenti. 

Considerato in diritto 

1. -Il giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Pavia dubita 
della legittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 
27, terzo comma, della Costituzione, dell'art. 8, primo comma, della legge 15 
dicembre 1972, n. 772 (Norme per il riconoscimento della obiezione di 
coscienza), come sostituito dall'art. 2 della legge 24 dicembre 1974, n. 695 
(Modifiche agli artt. 2 e 8 della legge 15 dicembre 1972, n. 772, recante norme 
per il riconoscimento della obiezione di coscienza), il quale punisce con la 
reclusione da due a quattro anni colui che, ammesso ai benefici previsti dalla 
legge, rifiuta la prestazione del servizio militare non armato o il servizio sostitutivo 
civile. 
Ritiene innanzitutto il giudice rimettente che la misura della pena comminata 
per il reato in questione sia ingiustificatamente diversa e maggiore 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

52 

rispetto a quella prevista dal secondo comma del medesimo articolo per il 
fatto del cosiddetto �obiettore totale�, cio� di colui il quale, al di fuori dei casi 
di ammissione ai benefici del servizio militare non armato o del servizio civile, 
adducendo i motivi di coscienza previsti dall'art. 1 della legge n. 772 del 
1972, rifiuta, in tempo di pace, prima di assumerlo, il servizio militare di leva. 
La pena prevista per tale ipotesi di reato era originariamente fissata nella 
stessa misura di quella prevista nel primo comma. Ma con la sentenza n. 409 
del 1989 di questa Corte, a seguito del raffronto operato tra il reato di rifiuto 
globale del servizio (secondo comma dell'art. 8) e quello di mancanza alla 
chiamata previsto dall'art. 151 cod. pen. mil. pace, la pena della reclusione da 
due a quattro anni stabilita per il primo � stata sostituita con quella meno 
grave della reclusione da sei mesi a due anni, prevista per il secondo. Analoga 
riduzione non essendosi determinata con riguardo alla pena comminata per 
il reato previsto nel primo comma, ne sarebbe derivato, ad avviso del giudice 
rimettente, un ingiustificato squilibrio tra le pene relative ai reati rispettivamente 
previsti nei due primi commi dell'art. 8. Da qui la prospettata violazione 
dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, sotto il profilo dell'irrazionale 
trattamento diverso di fattispecie analoghe. 

In secondo luogo, il giudice rimettente ritiene rotta la proporzione tra la 
gravit� dell'offesa e la misura della sanzione. La prevista pena da due a quattro 
anni di reclusione risulterebbe infatti eccessiva rispetto al disvalore del 
fatto, il quale sarebbe da misurare alla stregua delle considerazioni contenute 
nella sentenza n. 409 del 1989 di questa Corte, riferibili anche all'ipotesi di 
reato del primo comma dell'art. 8, tenuto conto altres� della comune possibilit�, 
prevista dal quarto comma del medesimo articolo, riconosciuta all'imputato 
o al condannato, di formulare (nell'ipotesi prevista dal secondo 
comma) o di riformulare (in quella prevista dal primo comma) domanda di 
assegnazione al servizio militare non armato o a un servizio civile sostitutivo: 
domanda che, se accolta, produce in entrambe le ipotesi gli effetti estintivi 
indicati nel settimo comma del medesimo articolo. Da qui la censura d'incostituzionalit� 
per violazione del principio della finalit� rieducativa della 
pena previsto dall'art. 27, terzo comma, della Costituzione. 

La proposta questione mira in definitiva a ottenere, attraverso una decisione 
d'incostituzionalit� di questa Corte, un riallineamento della misura 
delle pene per i reati previsti nei due primi commi dell'art. 8 della legge n. 772 
del 1972, al livello determinato per il reato di �obiezione totale� dalla sopra 
ricordata sentenza n. 409 del 1989 di questa Corte. 

2. -La questione � fondata. 
L'ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 8 presuppone che il soggetto, 
avendone fatto domanda sulla base dei motivi di coscienza indicati dall'art. 
1 della legge, abbia ottenuto l'ammissione al servizio militare non arma




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

to o al servizio sostitutivo civile. Il reato consiste nel fatto di colui che successivamente 
rifiuta -perusare la formula della legge -i �benefici� ai quali 
� stato ammesso. L'ipotesi prevista dal secondo comma, invece, prevede il 
caso di colui che, adducendo i motivi di coscienza indicati dall'art. l, al di 
fuori dei casi di ammissione al servizio militare non armato o al servizio 
sostitutivo civile, rifiuta, prima di assumerlo, il servizio militare di leva. 

Le due ipotesi di reato sono dunque diverse tanto dal punto di vista soggettivo 
quanto da quello oggettivo. Ci�, se non consente interventi omologanti 
sulle fattispecie, ognuna delle quali � dotata di una sua autonoma 
ragion d'essere (cos� la sentenza n. 422 del 1993 di questa Corte), non esclude 
peraltro che possa essere compiuta una valutazione comparativa in ordine 
alla razionalit� delle diverse misure delle pene, dal punto di vista dei caratteri 
delle due condotte: una valutazione sull'arbitrariet� delle scelte legislative 
che, nei limiti dell'evidenza, compete a questa Corte senza che ci� comporti 
invasione nella discrezionalit� del legislatore (sentenze n. 84 del 1997, 

n. 313 del 1995, n. 341del1994). 
Al fine di tale valutazione � sufficiente considerare che i primi due 
commi dell'art. 8 della legge n. 772 hanno a che vedere con ipotesi di reato 
che, dal punto di vista del significato delle condotte che prevedono, possono 
finire per coincidere. Il primo comma dell'art. 8 prevede il caso di chi, all'inizio, 
avendo avanzato motivi di coscienza contro il servizio militare armato, 
ottiene per questo di essere ammesso al servizio militare non armato o al servizio 
sostitutivo civile e poi, in un momento successivo, rifiuta di assoggettarsi 
anche a queste diverse prestazioni. Nella fattispecie prevista dal primo 
comma dell'art. 8 potrebbero perci� rientrare casi di obiezione totale che vengono 
a determinarsi per fasi successive. 

� bens� vero che la fattispecie prevista da tale primo comma ha una portata 
pi� comprensiva, riguardando il rifiuto del servizio militare non armato 
e del servizio sostitutivo civile tanto per i motivi di coscienza previsti dall'art. 
1, quanto per qualunque altro diverso motivo. Ed � dunque vero che l'equiparazione 
della previsione del primo comma a quella del secondo, sotto l'anzidetto 
profilo del medesimo significato delle condotte, in astratto potrebbe 
essere fatta solo nel primo caso, e non nel secondo. Ma � il legislatore e solo 
il legislatore che, volendo, avrebbe potuto distinguere, considerando rilevante 
la natura dei motivi del rifiuto opposto alla soggezione al servizio militare 
non armato o al servizio sostitutivo civile. In mancanza di una tale distinzione 
legislativa, � giocoforza considerare unitariamente la fattispecie del primo 
comma dell'art. 8, sotto il profilo della medesima gravit� dei fatti che in essa 
ricadono. Ci� che appare decisivo, ai fini del presente giudizio di costituzionalit�, 
� allora la stretta connessione fra le fattispecie dei due primi commi 
dell'art. 8 della legge n. 772 e l'identit� di valutazione del legislatore circa la 
gravit� dei fatti che essi prevedono, identit� di valutazione che si esprimeva 
originariamente nell'identit� di pene, stabilita l'una con una formula di rinvio 
all'altra (�Alla stessa pena soggiace ... �). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

54 

Il sistema delineato dalle disposizioni in esame, a seguito della sentenza n. 
409 del 1989 che, in relazione comparativa col reato previsto dall'art. 151 cod. 
pen. mil. pace, ha gi� pi� che dimezzato la pena per la fattispecie prevista nel 
secondo comma dell'art. 8, risulta dunque manifestamente privo di razionalit� 
e quindi incostituzionale per violazione dell'art. 3, primo comma, della 
Costituzione. Il rimedio che � consentito a questa Corte apprestare non pu� 
consistere in altro che in una pronuncia d'incostituzionalit� del denunciato 
primo comma del medesimo art. 8 dalla quale consegua la rinnovata equiparazione 
delle pene nella misura attualmente prevista dal secondo comma. 

3. -La predetta dichiarazione d'incostituzionalit� dell'art. 8, primo 
comma, della legge n. 772 del 1972 per violazione dell'art. 3, primo comma, 
della Costituzione assorbe la censura prospettata per violazione dell'art. 27, 
secondo comma, della Costituzione (omissis). 

SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


Le sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� europee pronunciate nel 
corso dell'anno 1997 in cause alle quali ha partecipato 11talia. 

Nel corso del 1997 la Corte di Giustizia delle Comunit� europee ha emesso 
35 sentenze in cause cui ha partecipato l'Italia (di cui 7 in ricorsi della 
Commissione C.E. contro l'Italia, 1 in un ricorso dell'Italia contro la 
Commissione, 28 in cause pregiudiziali promosse, ai sensi dell'art. 177 del 
trattato C.E. da giudici italiani o di altri paesi comunitari). Tre sono state le 
sentenze del Tribunale di primo grado. 

Quelle della Corte di giustizia sono state, oltre quelle pubblicate per esteso 
nel presente numero di questa Rassegna, le seguenti (alcune delle quali 
saranno pubblicate per esteso nei prossimi numeri della Rassegna): 

-9 gennaio 1997, nella causa C-255/95, Soc. Agri c. Regione Veneto, con 
la quale la Corte, in tema di aiuti alla estensivizzazione della produzione agricola, 
ha statuito che �l'art. 1 ter, n. 3, lett. c), del regolamento (CEE) del 
Consiglio 12 marzo 1985, n. 797, relativo al miglioramento dell'efficienza delle 
strutture agrarie, come modificato con regolamento (CEE) del Consiglio 15 
giugno 1987, n. 1760, ambedue modificati con regolamento (CEE) del 
Consiglio 25 aprile 1988, n. 1094, e l'art. 4, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) 
della Commissione 21 dicembre 1988, n. 4115, che stabilisce le modalit� di 
applicazione del regime di aiuto all'estensivizzazitme della produzione, devono 
essere interpretati nel senso che non consentono ad uno Stato membro, in 
caso di calo della produzione verificatosi durante il periodo intermedio compreso 
tra la fine del periodo di riferimento e l'inizio del periodo di impegno, di 
subordinare comunque la concessione dell'aiuto alla 'estensivizzazione' alla 
condizione che la produzione realizzata nel corso del periodo intermedio 
venga ridotta, durante il periodo di impegno, di una quantit� corrispondente 
almeno al 20% della produzione del periodo di riferimento�. 

-23 gennaio 1997, nella causa C-314/95, Commissione c. Italia, dove la 
Corte, in tema di rawicinamento delle legislazioni in materia sanitaria, ha 
dichiarato che �avendo omesso di adottare entro i termini prescritti le disposizioni 
legislative, regolamentari e amministrative necessarie a conformarsi: 
-alla direttiva del Consiglio 16 giugno 1992, 92/45/CEE, relativa ai problemi 
sanitari e di polizia sanitaria in materia di uccisione di selvaggina e di 
commercializzazione delle relative carni; -alla direttiva del Consiglio 16 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

56 


giugno 1992, 92/46/CEE, che stabilisce le norme sanitarie per la produzione 
e la commercializzazione di latte crudo, di latte trattato termicamente e di 
prodotti a base di latte; -alla direttiva del Consiglio 13 luglio 1992, 
92/65/CEE, che stabilisce norme sanitarie per gli scambi e le importazioni 
nella Comunit� di animali, sperma, ovuli e embrioni non soggetti, per quanto 
riguarda le condizioni di polizia sanitaria, alle normative comunitarie specifiche 
di cui all'allegato A, sezione I, della direttiva 90/425/CEE; -alla direttiva 
del Consiglio 26 ottobre 1992, 92/88/CEE, che modifica la direttiva 
74/63/CEE relativa alle sostanze e ai prodotti indesiderabili nell'alimentazione 
degli .animali; -alla direttiva del Consiglio 1 7 dicembre 1992, 
92/116/CEE, che modifica e aggiorna la direttiva 711118/CEE relativa a problemi 
sanitari in materia di scambi di carni fresche di volatili da cortile; alla 
direttiva del Consiglio 17 dicembre 1992, 92/117/CEE, riguardante le 
misure di protezione dalle zoonosi specifiche e la lotta contro agenti zoonotici 
specifici negli animali e nei prodotti di origine animale allo scopo di evitare 
focolai di infezioni e intossicazioni alimentari; e -alla direttiva del 
Consiglio 17 dicembre 1992, 92/118/CEE, che stabilisce le condizioni sanitarie 
e di polizia sanitaria per gli scambi e le importazioni nella Comunit� di 
prodotti non soggetti, per quanto riguarda tali condizioni, alle normative 
comunitarie specifiche di cui all'allegato A, capitolo I, della direttiva 

89/662/CEE e, per quanto riguarda i patogeni, alla direttiva 90/425/CEE; la 

Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza, 

rispettivamente, degli artt. 23, 32, 29, 2, 3, 17 e 20 di tali direttive.� 

-18 marzo 1997; nella causa C-343/95, Cal� c. Servizi ecologici porto di 
Genova S.p.A., in tema di concorrenza, dove � stato statuito che �l'art. 86 del 
Trattato CE va interpretato nel senso che un'attivit� di sorveglianza antinquinamento 
che un ente di diritto privato � stato incaricato di svolgere da parte 
dei pubblici poteri in un porto petrolifero di uno Stato membro non rientra 
nella sfera d'applicazione cli detto articolo, nemmeno nel caso in cui gli utenti 
del porto debbano versare un contributo destinato a finanziare detta attivit��. 

-5 giugno 1997, nella causa C-105/97, Celestini, con la quale, in relazione 
all'organizzazione comune di mercato del settore vitivinicolo, la Corte ha 
deciso che: � 1. -gli artt. 30 e 36 del Trattato CE devono essere interpretati 
nel senso che non ostano a che uno Stato membro assoggetti il vino prodotto 
in un altro Stato membro a un controllo idoneo allo scopo di accertarne la 
conformit� alle norme comunitarie, anche se il vino � accompagnato da regolari 
certificati di analisi rilasciati da laboratori debitamente autorizzati nello 
Stato membro d'origine, qualora i detti controlli vengano applicati in maniera 
non discriminatoria e rispettino il principio di proporzionalit� e qualora si 
tenga conto, in particolare, dei controlli gi� effettuati nello Stato membro d'origine; 
2. -spetta al giudice nazionale stabilire, in base alle norme processuali 
vigenti nel suo Stato membro, se il metodo d'analisi dei vini denominato 
�determinazione del rapporto isotopico 0121016 dell'acqua contenuta nel 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

vino� sia conforme ai criteri di esattezza, di ripetibilit� e di riproducibilit� 
sanciti dall'art. 74, n. 2, lett. c), del regolamento (CEE) del Consiglio 16 marzo 

1987, n. 822, relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo�. 

-17 giugno 1997, nella causa C-70/95, Sodemare s.a. c. Reg. Lombardia, 
con la quale, in tema di libert� di stabilimento e libera prestazione di senizi 
la Corte ha dichiarato che. �1:-il diritto comunitario, in particolare l'art. 190 
del Trattato, non pone condizioni alla motivazione di una normativa nazionale 
di portata generale rientrante nel diritto comunitario; 2.-gli artt. 52 e 58 
del trattato CE non ostano a che uno Stato membro consenta ai soli operatori 
privati che non perseguono fini di lucro di concorrere alla realizzazione del 
sistema di assistenza sociale con la stipula di convenzioni che danno diritto al 
rimborso da parte dello Stato dei costi di servizi d'assistenza sociale a rilevanza 
sanitaria; 3. -l'art. 59 del Trattato CE non riguarda la situazione di una 
societ� che, stabilitasi in uno Stato membro per gestire strutture per anziani, 
fornisca servizi agli ospiti che, a tal fine, soggiornino permanentemente o a 
tempo indeterminato in tali strutture; 4. -gli artt. 85 e 86, in combinato 
disposto con gli artt. 3, lett. g) 5 e 90 del Trattato CE, non si applicano ad una 
normativa nazionale che consenta ai soli operatori privati che non perseguano 
fini di lucro di partecipare alla realizzazione di un sistema socio-assistenziale 
mediante la stipula di convenzioni che danno diritto al rimborso da parte 
dello Stato dei costi di servizi socio-assistenziali a rilevanza sanitaria�. 

-25 giugno 1997, nella causa C-285/94, Italia c. Commissione, con la quale 
la Corte ha respinto il ricorso italiano diretto ad ottenere l'annullamento del 
reg. CEE della Commissione 27 luglio 1994, n. 1840, che fissa le rese di olive e 
di olio per la campagna 1993/94, ai fini della corresponsione di aiuti comunitari 
ai produttori, con modalit� che erano state ritenute troppo riduttive. 

-25 giugno 1997, nelle cause riunite 304/94 ed altre, Tombesi, dove, in 
tema di ambiente, � stato statuito che �la nozione di 'rifiuti' figurante all'art. 
1 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, 
come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE, cui 
rinviano l'art. 1, n. 3 della direttiva del Consiglio 12 dicembre 1991, 
91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e l'art. 2, lett. a), del regolamento 
(CEE) del Consiglio 1� febbraio 1993, n. 259, relativo alla sorveglianza e al 
controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunit� europea, nonch� 
in entrata e in uscita dal suo territorio, non deve essere intesa nel senso 
che essa esclude sostanze od oggetti suscettibili di riutilizzazione economica, 
neanche se i materiali di cui trattasi possono costituire oggetto di un 
negozio giuridico, ovvero di una quotazione in listini commerciali pubblici 

o privati. In particolare, un processo di inertizzazione dei rifiuti finalizzato 
alla loro semplice innocuizzazione, l'attivit� di discarica dei rifiuti in depressione 
o in rilevato e l'incenerimento dei rifiuti costituiscono operazioni di 
smaltimento o di recupero che rientrano nella sfera d'applicazione delle pre

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

58 

citate norme comunitarie. Il fatto che una sostanza sia classificata nella 
categoria dei rifiuti riutilizzabili senza che le sue caratteristiche e la sua 
destinazione siano precisate � al riguardo irrilevante. Lo stesso vale per la 
triturazione di un rifiuto�. 


-25 giugno 1997, nella causa C-45/95, Commissione c. Italia, con la 
quale, in materia di NA la Corte ha dichiarato che, �avendo istituito e mantenendo 
in vigore una normativa che non esenta dall'imposta sul valore 
aggiunto le cessioni di beni che erano destinati esclusivamente all'esercizio di 
un'attivit� esentata o in altro modo esclusi dal diritto a detrazione, la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza 
dell'art. 13, parte B, lett. c), della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 
77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri 
relative alle imposte sulla cifra di affari -Sistema comune d'imposta sul 
valore aggiunto: base imponibile uniforme� 


-'--tre sentenze collegate, tutte in data 10 luglio 1997, nelle cause riunite 
c~94 e 95195, Bonifaci c. INPS, nella causa C-261/95, Palmisani c. INPS, e 
nella causa C-373/95, Maso c. INPS, in tema di tutela dei lavoratori in caso di 
insolvenza del datore di lavoro, con le quali la Corte ha statuito: -nella 
prima, che �l'applicazione retroattiva e completa delle misure di attuazione 
della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento 
delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavoratori 
subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, permette di 
rimediare alle conseguenze pregiudizievoli della tardiva attuazione di tale 
direttiva, a condizione che la direttiva stessa sia stata regolarmente recepita. 


�Tuttavia, spetta al giudice nazionale far s� che il risarcimento del danno subito 
dai beneficiari sia adeguato. Un'applicazione retroattiva, regolare e completa 
delle misure di attuazione della direttiva sar� a tal fine�sufficiente, a 
meno che i beneficiari non dimostrino l'esistenza di danni ulteriori da essi 
eventualmente subiti per non aver potuto fruire a suo tempo dei vantaggi 
pecuniari garantiti dalla direttiva e che dovrebbero quindi essere anch'essi 
risarciti�; -nella seconda, che �il diritto comunitario, al suo stato attuale, 
non osta a che uno Stato membro imponga, per la proposizione di ogni ricorso 
diretto ~risarcimento del danno subito a seguito della tardiva attuazione 
della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 80/987/CEE, concernente il ravvicinamento 
delle legislazioni degli Stati membri relative alla tutela dei lavo


I

ratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, un termine di 
decadenza di un anno a decorrere dalla recezione nel suo ordinamento giu


I 

ridico interno, purch� tale modalit� procedurale non sia meno favorevole di 
quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna�; -nella terza che: 
�l -nell'ambito del risarcimento del danno subito da taluni lavoratori a 


I

seguito della tardiva attuazione della direttiva del Consiglio 20 ottobre 1980, 
80/987/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati 


I 

membri relative alla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del 

I 

~ 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

datore di lavoro, uno Stato membro pu� legittimamente �pplicare con efficacia 
retroattiva nei loro confronti le misure di attuazione adottate tardivamente; 
tvi cotnpresele norme anticumulo o le altre limitazioni dell'obbligo 
dipagamento dell'organismo di garanzia, .a condizione che la direttiva sia 
stata regolarmente recepita. Tuttavia; spetta al giudice nazionale far s� che 
il :t�~~rcimento del . danno. .. subito dai.. . beneficiari sia adeguato. 
Un'applicazione tetto�hiv�, � r�g�fare �c�mpleta delle niisute di �attuazione 
dellkdirettiva sar� � tal fine suffi21ente, a 11len� che i b�nef�dialinotid1mostrino 
l'esistenza di danni ulteriori da e$si �eventualmente subiti'. per non aver 
pbtuto friti:fe � s\lo tempodei vantaggi pecunfarl gar�ntit� dalla difettiva e 
che dovrebbero qwndi essere arich'ess� risarciti; 2. -l'insorgete dell'insolvenza 
deldatore di lavoro� di cui agli artC.3, n. 2, e 4, n. 2 della direttiva 
80/987c�msponde alla data della domanda diretta all'apertura delprocedimento 
di soddisfacimento collettivo dei creditori, fernio restando che la 
gara,rgja n()J}; puq essere C()nceSSa prima della decl.siqne di apertura di tale 
pr6ceditJ::1ento o d,ell'accertament() della chi.sura definitiva dell'impresa, in 
ca59 di ins.fficienza cl,ell'attivo; 3 .. """'.:: gli artt. 4, n� 3, e 10 della.i:lii;ettiva 
80/987.vapn{).interp:retati nel senso.phe uno Stato membro non pu� vietare 
il �.Ul,ulo degli imp()rtl garantiti.dalla.direttiva con. un'indepnit� quale l'indepnit�:
t� di mobilit� prevista 4agli a,rtt .. 4 e 16 della legge 23)uglio.l99l, n. 
243, che .f:. diretta a sowenire ai bisogni di .un lavoratore licenziato durante 
i tre 11lesis.uccessivi alla 2essazione del rapporto cl.i lavoro; 4. -l'espressione 
'ultimi tre mesi del contratto di lavoro o del rapporto di lavoro' figurante 
all'art.A, n. 2 della direttiva 80/987 dev'essere interpretata nel senso che designa 
tre.wesi di calendarjq�. 

:....... 17 luglio 1997, nella causa CA3/97, Commissione c. Italia , con la 
quale la Corte, in parziale accoglimento del ricorso della Commissione, ha 
dichiarato che,�. �non avendo adottato nel termine stabilito le disposizioni 
legislative, regolamentari ed amministrative necessarie per conformarsi alla 
direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/36/CEE, che coordina le procedure 
di aggiudicazione degli appalti pubblit:i di forniture, la Repubblica italiana 
� venuta meno agli obblighi che ad essa incombono aisensi dell'art. 34, n. 
l, primo comma,� di questa direttiva�, respingendo il ricorso per il resto. 

. ..�� .��. . . . . .. . .. 

-19 sett(;!m~re 1997, nella causa C-279/94, Commissione c. It~a, con la 
quale la� Corte ha parzialmente accolto il. ricorso della Commissfone dichiarando 
che �avendo emanato la legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione 
dell'impiego dell'amianto, senza notificarla previamente alla 
Commissione allo st�to di progetto, la Repubblica italiana � venuta meno agli 
obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 8, n, 1, primo comma, della 
direttiva del Consiglio 28 marzo 1983, 83/189/CEE, che prevede una procedura 
di informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, 
come modificata dalla direttiva del Consiglio 22 marzo 1988, 
88/182/CEE�; l'inadempimento, per�, � stato dichiarato esclusivamente con 

-



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

60 

riferimento all'obbligo della previa notifica del progetto di legge nel suo complesso, 
avendo poi la Corte affermato che ben poteva comunque l'Italia mettere 
in vigore immediatamente, e quindi senza attendere i risultati della procedura 
d'esame prevista dalla direttiva, le disposizioni della legge stessa non 
costituenti �regole tecniche� ai sensi della direttiva stessa. 

-17 settembre 1997, nella causa C-83/96, Prov. di Trento c. Dega di 
Depretto, con la quale, in materia di tutela dei consumatori, � stato statuito 
che l'art. 3, n. 1. punto 6, della direttiva del Consiglio 18 dicembre 1978, 
79/112/CEE, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri 
concernenti l'etichettatura e la presentazione dei prodotti alimentari destinati 
al consumatore finale, nonch� la relativa pubblicit�, dev'essere interpretato 
nel senso che la locuzione �Stabilito nella Comunit��, in esso contenuta, si 
riferisce al solo venditore. 

-17 settembre 1997, nella causa C-322/95, Iurlaro c. INPS, dove, in 
materia di libera circolazione delle persone, si � statuito che �gli artt. 48-51 
del Trattato CE, l'art. 9 bis. del regolamento (CEE) del Consiglio 14 giugno 
1971, n. 1408, relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori 
subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano 
all'interno della Comunit�, nella versione modificata ed aggiornata dal regolamento 
(CEE) del Consiglio �2 giugno 1983, n. 2001, in seguito modificato 
dal regolamento (CEE) del Consiglio 18 luglio 1989, n. 2332, e l'art. 15, n. 1, 
lett. f), punto ii), del regolamento (CEE) del Consiglio 21marzo1972, n. 574, 
che stabilisce le modalit� d'applicazione del regolamento n. 1408/71, nella 
versione modificata ed aggiornata dal regolamento n. 2001/83, devono essere 
interpretati nel senso che non obbligano uno Stato membro a prolungare il 
periodo di riferimento previsto dalla sua normativa per la determinazione del 
requisito minimo di assicurazione, ai fini dell'attribuzione di una prestazione 
d'invalidit�, nella misura di un periodo equivalente ai periodi di disoccupazione 
compiuti dall'interessato ai sensi della normativa di un altro Stato 
membro, che, a differenza di quella del primo Stato membro, consente tale 
prolungamento allorch� i periodi di disoccupazione sono compiuti nel territorio 
nazionale. Inoltre, gli artt. 48-51 del Trattato non ostano a che la normativa 
di uno Stato membro neghi la presa in considerazione, ai fini della 
determinazione del requisito minimo di assicurazione connesso all'attribuzione 
di una prestazione d'invalidit�, dei periodi di assicurazione contro la 
disoccupazione compiuti durante un determinato periodo precedente il verificarsi 
dell'evento oggetto di assicurazione in base alla normativa di un altro 
Stato membro, oltre a quelli che sono presi in considerazione dalla normativa 
del primo Stato membro durante lo stesso periodo�. 

-16 ottobre 1997, nella causa C-304/96, Hera S.p.a., con la quale, in tema 
di appalti pubblici, � stato statuito che l'art. 30, n. 4, della direttiva del Consiglio 
14 giugno 1993, 93/37/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

appalti pubblicidi lavori, dev'essere interpretato nel senso che non consente 
all'amministrazione aggiudicatrice, dopo il 31 dicembre 1992, di rifiutare le 
offerte che presentano un carattere anormalmente basso senza osservare la 
procedura di verifica prevista al primo comma della stessa disposizione�. 

-16 ottobre 1997, nelle cause riunite C-69/96 ed altre, Garofalo c. Min. 
sanit�, con la quale la Corte ha dichiarato che: �1.-Il Consiglio di Stato, 
quando emette un parere nell'ambito di.un ricorso straordinario, costituisce 
una giurisdizione ai sensi dell'art. 177 del Trattato; 2. -l'art. 36, n. 2, della 
direttiva del Consiglio 5 aprile 1993, 93/16/CEE, intesa ad agevolare la libera 
circolazione dei medici e il reciproco riconoscimento dei loro diplomi, certificati 
ed altri titoli-che ha sostituito l'art. 7, n. 2 della direttiva del Consiglio 
15 settembre 1986, 86/457/CEE, relativa alla formazione specifica in medicina 
generale -dev'essere interpretato nel senso che uno Stato membro pu� 
determinare i diritti acquisiti dei medici di medicina generale, in relazione a 
situazioni anteriori al 1� gennaio 1995, alla sola condizione che riconosca ai 
medici che vi si sono stabiliti in forza della direttiva del Consiglio, 16 giugno 
1975, 75/362/CEE, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati 
ed altri titoli di medico e comportante misure destinate ad agevolare 
l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi, 
anteriormente al 1� gennaio 1995, il diritto di esercitare l'attivit� di 
medico di medicina generale nell'ambito del suo regime previdenziale, anche 
qualora essi non siano in possesso di un formazione specifica in medicina 
generale e non abbiano instaurato alcun rapporto di servizio con il regime 
previdenziale di tale Stato�. 

-23 ottobre 1997, nella causa C-158/94, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte, in tema di monopoli nazionali a carattere commerciale, ha 
respinto il ricorso della Commissione contro l'Italia relativamente ai diritti 
esclusivi di importazione ed esportazione di energia elettrica riconosciuti in 
ambito nazionale all'ENEL, rilevando che a norma dell'art. 90, nn. 1 e 2, del 
trattato C.E. pu� essere giustificata la concessione, da parte di uno Stato 
membro, a un'impresa incaricata della gestione di servizi di interesse economico 
generale di diritti esclusivi contrari, in particolare, all'art. 37 del 
Trattato stesso, qualora l'adempimento della specifica missione affidatale 
possa essere garantito unicamente grazie alla concessione di tali diritti e purch� 
lo sviluppo degli scambi non risulti compromesso in misura contraria 
agli interessi della comunit�. Spetta allo Stato membro che si richiami all'art. 
90 n. 2 -ha precisato la Corte -dimostrare che ricorrono i presupposti per 
l'applicazione della norma, ma tale onere della prova non pu� tuttavia estendersi 
fino a pretendere dallo Stato membro -allorch� espone in maniera circostanziata 
le ragioni per cui, in caso di abolizione dei provvedimenti contestati, 
risulterebbe pregiudicato l'assolvimento, in condizioni economicamente 
accettabili, delle funzioni di interesse economico generale di cui ha incaricato 
un'impresa -di andare ancor oltre per dimostrare, in positivo, che nes



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

62 

sun altro provvedimento immaginabile, per definizione ipotetico, potrebbe 
garantire l'assolvimento di tali funzioni alle stesse condizioni. E spetta alla 
Commissione, che contesti l'applicabilit� dell'art. 90 n. 2, provare che, a 
causa del mantenimento dei diritti esclusivi contestati, gli scambi intracomunitari 
si sono sviluppati e continuano a svilupparsi in misura contraria 
agli interessi della Comunit�. 

-4novembre 1997, nella causa C-337/95, Parfum Christian Dior c. Evora, 
con la quale, in materia di tutela dei diritti di marchio, la Corte ha statuito 
quanto segue: �Nel caso in cui venga sollevata una questione relativa all'interpretazione 
della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, 
sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi 
d'impresa, nell'ambito di un procedimento instaurato in uno degli Stati membri 
del Benelux e vertente sull'interpretazione della legge uniforme del Benelux 
in materia di marchi d'impresa, un organo giurisdizionale avverso le cui decisioni 
non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, come nel 
caso di specie tanto la Corte del Benelux quanto lo Hoge Raad, � tenuto a rivolgersi 
alla Corte di giustizia, ai sensi dell'art. 177, terzo comma, del trattato CE. 
Tale obbligo diventa privo di causa e quindi di contenuto quando la questione 
sollevata � materialmente identica a una questione gi� decisa in via pregiudiziale 
nell'ambito della medesima causa nazionale; 2. -gli artt. 5 e 7 della 
direttiva 89/104 devono essere interpretati nel senso che, qualora vengano 
immessi sul mercato comunitario prodotti contrassegnati con un marchio dal 
titolare stesso del marchio o con il suo consenso, il rivenditore ha, oltre alla 
facolt� di mettere in vendita tali prodotti, anche quella di usare il marchio per 
promuovere l'ulteriore commercializzazione dei prodotti stessi; 3. -il titolare 
di un marchio non pu� inibire, in forza dell'art. 7, n. 2, della direttiva 89/104, 
a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli della medesima natura ma 
non necessariamente della medesima qualit� dei prodotti contrassegnati con il 
marchio, l'uso del marchio stesso, conformemente alle modalit� correnti nel 
suo settore di attivit� al fine di promuovere l'ulteriore commercializzazione di 
quei prodotti, a meno che non venga dimostrato, alla luce delle circostanze di 
ciascun caso di specie, che l'uso del marchio a tal fine nuoce gravemente al 
prestigio del marchio stesso; 4. -gli artt. 30 e 36 del Trattato CE devono essere 
interpretati nel senso che il titolare di un diritto di marchio o di un diritto 
d'autore non pu� inibire a un rivenditore, che smercia abitualmente articoli 
della medesima natura ma non necessariamente della medesima qualit� dei 
prodotti tutelati, l'uso di tali prodotti, conformemente alle modalit� correnti 
nel suo settore di attivit�, al fine di promuovere la loro ulteriore commercializzazione, 
a meno che non venga dimostrato alla luce delle circostanze di ciascun 
caso di specie, che l'uso dei detti prodotti a tal fine nuoce gravemente al 
prestigio del marchio�. 

-6 novembre 1997, nella causa C-164/96, Regione Piemonte cl Saiagricola, 
con la quale la Corte ha statuito che �la direttiva del Consiglio 17 aprile 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

63 

1972, 72/159/CEE, relativa all'ammodernamento delle aziende agricole, e il 
regolamento (CEE) del Consiglio 12 marzo 1985, n. 797, relativo al miglioramento 
dell'efficienza delle strutture agrarie, vanno interpretati nel senso che 
essi non consentano agli Stati membri che istituiscono un albo inteso a determinare 
i beneficiari del regime di aiuti instaurato dalla direttiva 72/159 di 
escludere dall'iscrizione all'albo talune persone giuridiche per il solo motivo 
della loro forma giuridica e di prevedere un regime d'individuazione speciale 
mediante la creazione di un albo specifico destinato alle sole persone fisiche�. 

-6 novembre 1997, nella causa C-261/96, Conserchimica, in materia di 
recupero di dazi doganali, con la quale la Corte ha statuito che �l'art. 2, n. 1, 
secondo comma, del regolamento (CEE) del Consiglio 24 luglio 1979, n. 1697, 
relativo al recupero �a posteriori� dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione 
che non sono stati corrisposti dal debitore per le merci dichiarate 
per un regime doganale comportante l'obbligo di effettuarne il pagamento, 
non si applica ai dazi non riscossi per una merce dichiarata a norma di un 
regime doganale qualora l'obbligo di pagare i detti dazi sia sorto in un 
momento precedente l'entrata in vigore del medesimo regolamento�. 

-20 novembre 1997, nella causa C-244/95, Moskof, con la quale la 
Corte, in materia di premi comunitari ai produttori di tabacco, ha ritenuto 
che non vi fossero elementi atti a inficiare la validit� dell'art. 5 del reg. CE 
della Commissione 17 dicembre 1993 n. 3477, relativo ai tassi di conversione 
agricoli da applicare nel settore del tabacco. 

-20 novembre 1997, nella causa C-90/96, Petrie, con la quale, in tema di 
libera circolazione dei lavoratori, � stato statuito che gli artt. 5 e 48, n. 2 del 
Trattato non ostano ad una normativa nazionale che riservi unicamente ai professori 
di ruolo e ai ricercatori confermati la possibilit� di ottenere supplenze 
nell'insegnamento universitario, escludendo i lettori di lingua straniera, a 
meno che laccesso alle supplenze sia consentito ad altre categorie professionali 
il cui accesso all'insegnamento universitario non avvenga mediante concorsi 
pubblici e le cui competenze didattiche e scientifiche non siano soggette ad una 
valutazione analoga a quella prescritta per i ricercatori, mentre i lettori di lingua 
straniera che fruirebbero, in base al diritto nazionale, dello stesso status e 
svolgerebbero funzioni equivalenti sarebbero esclusi da tali supplenze. 

-27 novembre 1997, nella causa C-369/95, Somalfruit, dove si � statuito 
che l'esame del regolamento (CEE) del Consiglio 13 febbraio 1993, n. 404, 
relativo all'organizzazione comune dei mercati nel settore della banana, alla 
luce della quarta convenzione ACP-CEE, firmata a Lom� il 15 dicembre 1989 
e approvata con decisione del Consiglio e della Commissione 25 febbraio 
1991, 91/400/CECA, CEE, non ha posto in evidenza alcun elemento atto ad 
inficiarne la validit�. 

-2 dicembre 1997, nella causa C-188/95, Fantask, con la quale la Corte 
ha dichiarato che �lart. 12, n. 1, lett. e), della direttiva del Consiglio 17 luglio 

lll�lllflllPllllMlllllllllllllJIMrlllllllfllll�lllllllll~ 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

64 

1969, 69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, 
va interpretato nel senso che, per avere carattere remunerativo, gli importi 
riscossi per l'iscrizione nel registro delle societ� per azioni e delle societ� a 
responsabilit� limitata e degli aumenti di capitale effettuati da tali societ� 
devono essere calcolati soltanto in base al costo delle formalit� di cui trattasi, 
restando inteso che tali importi possono altres� coprire le spese derivanti 
da operazioni minori che siano effettuate gratuitamente. Per calcolare tali 
importi, uno stato membro pu� prendere in considerazione tutti i costi connessi 
con le operazioni di registrazione, compresa la parte delle spese generali 
ad esse imputabili. Inoltre, uno Stato membro ha la facolt� di prevedere 
diritti forfettari e di stabilire i relativi importi per una durata indeterminata, 
purch� verifichi, ad intervalli regolari, che tali importi continuino a non 
superare il costo medio delle operazioni di cui trattasi; 2. -il diritto comunitario 
osta a che azioni dirette al rimborso di tributi riscossi in violazione 
della direttiva possano essere respinte sul motivo che l'imposizione di tali tributi 
� conseguenza di un errore scusabile delle autorit� dello Stato membro, 
in quanto i tributi di cui trattasi sono stati riscossi per un lungo periodo 
senza che n� questi n� i soggetti passivi dei tributi fossero consapevoli della 
loro illegittimit�; 3. -allo stato attuale, il diritto comunitario non vieta ad 
uno Stato membro, che non ha attuato correttamente la direttiva 69/335, 
come modificata, di opporre alle azioni dirette al rimborso di tributi riscossi 
in violazione di tale direttiva un termine di prescrizione nazionale che decorra 
dalla data di esigibilit� dei tributi di cui trattasi, qualora tale termine non 
sia meno favorevole per i ricorsi basati sul diritto comunitario di quello dei 
ricorsi basati sul diritto interno e non renda praticamente impossibile o 
eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico 
comunitario; 4. -il combinato disposto dell'art. 10 e dell'art. 12, n. 1, 
lett. e) della direttiva 69/335. come modificata, attribuisce ai singoli diritti 
che essi possono far valere davanti ai giudici nazionali�. 

-4 dicembre 1997, nella causa C-207/96, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte. in parziale accoglimento del ricorso dell'esecutivo comunitario, 
ha dichiarato che �la Repubblica italiana, avendo mantenuto in vigore 
nel proprio ordinamento giuridico disposizioni che stabiliscono il divieto di 
lavoro notturno per le donne in violazione dell'art. 5, della direttiva del 
Consiglio 9 febbraio 1976, 76/207/CEE, relativa all'attuazione del principio 
della parit� di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso 
al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni 
di lavoro, � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del 
diritto comunitario.�; l'inadempimento italiano � stato, per�, constatato solo 
per il periodo successivo alla denuncia da parte dell'Italia, avvenuta nel febbraio 
1993, della convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro 
(OIL), mentre � stato respinto il ricorso della Commissione per la parte 
riguardante una richiesta di pronuncia di inadempimento a partire dal termine 
ultimo per conformarsi alla direttiva sopracitata. 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

-4 dicembre 1997, nella causa C-225/96, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte ha dichiarato che �la Repubblica italiana, -avendo omesso di 
designare le acque richiedenti protezione o miglioramento per consentire la 
vita e lo sviluppo dei molluschi, conformemente all'art. 4 della direttiva del 
Consiglio 30 ottobre 1979 79/923/CEE, relativa ai requisiti di qualit� delle 
acque destinate alla molluschicoltura; -avendo omesso di stabilire programmi 
per la riduzione dell'inquinamento, conformemente all'art. 5 della 
direttiva 79/923; -e avendo omesso di fissare i valori per i parametri di cui 
ai punti 8 e 9 dell'allegato, ad eccezione del mercurio e del piombo, a norma 
dell'art. 3 direttiva 79/923; � venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in 
virt� della direttiva 79/923.� 

-11 dicembre 1997, nella causa C-55/96, Job centre coop. r.l., con la 
quale, in relazione alla libera prestazione dei servizi in materia di collocamento 
dei lavoratori, la Corte ha statuito che �gli uffici pubblici di collocamento 
sono soggetti al divieto dell'art. 86 del Trattato nei limiti in cui l'applicazione 
di tale disposizione non vanifichi il compito particolare loro conferito. 
Lo Stato membro che vieti qualunque attivit� di mediazione e interposizione 
tra domanda e offerta di lavoro che non sia svolta dai detti uffici 
trasgredisce l'art. 90, n. 1, del Trattato CE se d� origine ad una situazione in 
cui gli uffici pubblici di collocamento saranno necessariamente indotti a 
contrawenire alle disposizioni dell'art. 86 del Trattato. Ci� si verifica in particolare 
qualora ricorrano i seguenti presupposti: -gli uffici pubblici di collocamento 
non sono palesemente in grado di soddisfare, per tutti i tipi di 
attivit�, la domanda esistente sul mercato del lavoro; -l'espletamento effettivo 
delle attivit� di collocamento da parte delle imprese private viene reso 
impossibile dal mantenimento in vigore di disposizioni di legge che vietano 
le dette attivit� comminando sanzioni penali e amministrative; -le attivit� 
di collocamento di cui trattasi possono estendersi a cittadini o territori di 
altri Stati membri�. 

-11 dicembre 1997, nella causa C-42/96, Soc. Immobiliare SIF, in 
tema di tassazione di conferimenti di immobili in societ� di capitali, la 
Corte ha dichiarato che: �l. -la direttiva del Consiglio 17 luglio 1969, 
69/335/CEE, concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali, 
nella versione risultante dalle direttive del Consiglio 9 aprile 1973, 
73179/CEE, che modifica il campo d'applicazione dell'aliquota ridotta dell'imposta 
sui conferimenti prevista, in favore di talune operazioni di ristrutturazioni 
di societ�, all'articolo 7, paragrafo 1, lettera b), della direttiva concernente 
le imposte indirette sulla raccolta di capitali, 9 aprile 1973, 
73/80/CEE, che fissa le aliquote comuni dell'imposta sui conferimenti, 7 
novembre 1974, 74/553/CEE, che modifica l'articolo 5 paragrafo 2, della 
direttiva 69/335, e 10 giugno 1985, 85/303/CEE, che modifica la direttiva 
69/335, va interpretata nel senso che non si applica ad un'imposta nazionale 
che colpisca l'eventuale incremento di valore di un immobile constatato 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

66 

all'atto del conferimento del medesimo ad una societ� di capitali. La direttiva 
69/335, come modificata, si applica viceversa all'imposta di registro, 
all'imposta ipotecaria ed all'imposta catastale; 2. -l'art. 12 della direttiva 
69/335, come modificata, va interpretato nel senso che autorizza uno Stato 
membro, in deroga al divieto previsto all'art. 10 della detta direttiva, a 
riscuotere, all'atto dell'aumento del capitale sociale di una societ� di capitali 
attuato mediante conferimento di immobili, imposte quali l'imposta di 
registro, l'imposta ipotecaria e l'imposta catastale, a condizione che imposte 
siffatte non siano superiori a quelle applicabili alle operazioni similari 
nello Stato membro che le riscuote�. 

-16 dicembre 1997, nella causa C-316/96, Commissione c. Italia, con la 
quale la Corte ha dichiarato che �non avendo adottato entro i termini st�biliti 
le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per 
conformarsi alle direttive del Consiglio 24 giugno 1993, 93/53/CEE, recante 
misure comunitarie minime di lotta contro talune malattie dei pesci, 14 
dicembre 1993, 93/113/CE, relativa all'utilizzazione e alla commercializzazione 
degli enzimi, dei microorganismi e di loro preparati nell'alimentazione 
degli animali, e 14 dicembre 1993, 93/114/CE, che modifica la direttiva 
70/524/CEE relativa agli additivi dell'alimentazione degli animali, la 
Repubblica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi 
degli artt. 20, n. 1, primo comma, della direttiva 93/53, 8, n. 1, primo comma, 
della direttiva 93/113 e 2, n. 1, primo comma, della direttiva 93/114�. Invero, 
con il d.P.R. 3 luglio 1997, n. 263, era stata attuata, nelle more del giudizio, 
la prima delle suddette direttive, ma la Commissione non si era premurata, 
contrariamente alla prassi costante, di rinunciare per tale parte al ricorso per 
la sostanziale cessazione della materia del contendere. 

Le tre sentenze del Tribunale di primo grado sono tutte in data: 

-24 ottobre 1997, nelle cause T-239/94, EISA, T-243/94, British Steel, e 
T -244/94, Wirtschaftsvereinigung Stahl, con le quali il Tribunale ha respinto 
i ricorsi proposti da alcune imprese siderurgiche europee contro la 
Commissione, appoggiata dall'Italia, per l'annullamento delle decisioni con le 
quali l'esecutivo comunitario aveva autorizzato la concessione di aiuti di 
Stato ad altre imprese siderurgiche di vari Stati membri, fra le quali il gruppo 
italiano IL V A. Il Tribunale ha riconosciuto il legittimo uso da parte della 
Commissione del potere attribuitole dall'art. 95 del trattato CECA di concedere 
deroghe individuali al principio del divieto generale degli aiuti enunciato 
all'art. 4 lett. c) del trattato stesso, al di fuori del cosiddetto codice degli 
aiuti, per motivi eccezionali ed una tantum, in quanto ritenuti necessari per 
raggiungere gli obiettivi del trattato, nell'ambito di un programma globale di 
ristrutturazione dell'industria siderurgica e di riduzione della capacit� di produzione 
nella Comunit�, secondo valutazioni di merito della Commissione 
non sindacabili dal giudice comunitario. 

OSCAR FIUMARA 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

I 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 14 gennaio 
1997, nella causa C-124/95 -Pres. Rodr�guez Iglesias -Rel. 
Kapteyn -A vv. Gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dalla Court of Appeal (England and Wales) nella causa CentroCom 
s.r.l. c. HM Treasury e Bank of England. Interv.: Governi belga 
(ag. Devadder), britannico (ag. Collins), italiano (avv. Stato Braguglia), 
olandese (ag. Lammers) e Commissione delle C.E. (ag. Gilsdorf e 
Bury). 

Comunit� Europee -Politica commerciale comune -Divieto di scambio con 
la Repubblica federale di Jugoslavia -Limiti. 

(Trattato C.E., artt. 113 e 234; reg. CEE del Consiglio 20 dicembre 1969, n. 2603; reg. CEE del 
Consiglio 1giugno1992, n. 1432). 

La politica commerciale comune prevista dall'art. 113 del Trattato 
CEE, come attuata con il regolamento (CEE) del Consiglio 1 giugno 1992, 

n. 1432, che proibisce il commercio tra la Comunit� economica europea e 
le repubbliche di Serbia e Montenegro, e con il regolamento (CEE) del 
Consiglio 20 dicembre 1969, n. 2603, relativo all'instaurazione di un regime 
comune applicabile alle esportazioni, osta a che uno Stato membro A, 
per garantire l'efficace applicazione della risoluzione 757 (1992) del 
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, emani provvedimenti i quali 
vietano che fondi serbi o montenegrini depositati nel suo territorio siano 
sbloccati ai fini del pagamento di merci esportate da un cittadino di uno 
Stato membro B da questo Stato in Serbia o in Montenegro per il motivo 
che lo Stato membro A consente il pagamento solo se l'esportazione avviene 
dal suo territorio ed � previamente autorizzata dalle sue autorit� competenti 
ai sensi del regolamento n. 1432192, laddove le merci di cui trattasi 
siano qualificate dal comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite prodotti 
ad uso strettamente medico e siano provviste di un'autorizzazione 
all'esportazione rilasciata dalle autorit� competenti dello Stato membro B 
conformemente al regolamento n.1432192. Dei provvedimenti nazionali 
che risultano contrastare con la politica commerciale comune prevista dall'art. 
113 del Trattato e con i regolamenti comunitari che attuano tale politica 
sono giustificati con riguardo all'art. 234 del Trattato CEE soltanto se 
sono necessari per consentire allo Stato membro interessat.o di adempiere 
nei confronti di paesi terzi obblighi derivanti da una convenzione stipulata 
prima dell'entrata in vigore del Trattato o dell'adesione di tale Stato 
membro (1). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

II 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Plenum, 27 febbraio 
1997, nella causa C-177/95, Pres. Rodr�guez Iglesias -Rei. K.apteyn-Aw. 
Gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal 
Consiglio di Stato italiano nella causa Ebony Maritime SA, Loten 
Navigation Co. Ltd c. Prefetto della Provincia di Brindisi ed altri -Interv.: 
Governi italiano (aw. Stato Fiorilli), francese (ag. Dobelle), del Regno 
Unito (ag. Collins), e Commissione delle C.E. (ag. Gussetti). 

Comunit� Europee -Corte di giusti.zia delle Comunit� europee -Rinvio pregiudiziale 
-Regolamento CEE del Consiglio 26 aprile 1993, n. 990 -Divieto 
di scambi con la Repubblica federale di Jugoslavia -Comportamenti posti 
in essere in alto mare -Applicabilit� -Confisca carico -Compatibilit�. 

(Reg. CEE del Consiglio 26 aprile 1993 n. 990, artt. 1 e 10; decisione 26 aprile 1993, 

n. 93/235/CECA; d.!. 15 maggio 1993, n. 144, conv. in legge 16 luglio 1993, n. 230). 
L'art. 1, n. l, lett. c) ed), del regolamento (CEE) del Consiglio 26 aprile 
1993, n. 990, relativo agli scambi tra la Comunit� economica europea e la 
Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro), vieta non soltanto 
l'ingresso effettivo del traffico di natura commerciale nelle acque territoriali 
della Repubblica federale di Iugoslavia, bens� anche i comportamenti posti in 
essere in alto mare che lasciano ragionevolmente supporre che la nave considerata 
si diriga in tali acque territoriali a fini di traffico commerciale. E' 
compatibile con il regolamento, e in particolare con l'art 1 O del medesimo, 
una nonna nazionale che prevede, in caso di accertata violazione di uno dei 
divieti di cui all'art. 1, la confisca del carico trasportato da uno dei mezzi di 
trasporto contemplati dall'art. 10, secondo comma, del regolamento (2). 

I 

(omisiss) 1. Con ordinanza 27 maggio 1994, pervenuta in cancelleria 1'11 
aprile 1995, la Court of Appeal (England and Wales), ha sottoposto a questa 
Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, due questioni pregiudiziali vertenti 

(1-2) L'embargo nei confronti della Repubblica federale di Iugoslavia nel diritto comunitario. 


Le due sentenze della Corte di Giustizia delle Comunit� Europee affrontano il delicato 
tema dell'embargo adottato nei confronti della Repubblica federale di Iugoslavia 
(Serbia e Montenegro). 

In entrambi i giudizi -aventi ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale 
proposta dai giudici nazionali ai sensi dell'art. 177 del trattato CE sull'interpretazione 
di diversi regolamenti CEE relativi al blocco degli scambi tra la Comunit� economica 
europea e la Repubblica federale di Iugoslavia(sulla seconda v. ordinanza del Consiglio 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

69 

sull'interpretazione degli artt. 113 e 234 dello stesso Trattato nonch� del regolamento 
(CEE) del Consiglio 1 giugno 1992, n. 1432, che proibisce il commercio 
tra la Comunit� economica europea e le Repubbliche di Serbia e di 
Montenegro (GU L 151, pag. 4; in prosieguo: il �regolamento sulle sanzioni�). 

2. Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di un ricorso proposto 
dalla Centro-Com s.r.l. (in prosieguo: la �Centro-Com�), societ� di diritto italiano, 
contro il mutamento della prassi seguita dalla Bank of England e quattro 
decisioni con cui questa, agendo per conto del Treasury, ha negato alla 
Barclays Bank di Londra l'autorizzazione a versare alla Centro-Com, prelevandole 
da un conto iugoslavo, le somme necessarie per pagare taluni presidi 
medici e diagnostici esportati dall'Italia in Montenegro. 
di Stato in data 8 maggio 95 n. 327/95, in Consiglio di Stato, 1995, I, 613) -viene prospettata, 
quale questione di fondo, l'estraneit� del diritto comunitario a materia che, in 
quanto concernente la politica estera e di sicurezza delle nazioni, rimane circoscritta 
alla competenza degli Stati. 

Verso tale obiettivo si dirigono, invero, sia l'argomento sollevato, nella prima 
causa, in merito al rapporto tra le misure di politica estera e di sicurezza e la politica 
commerciale comune dell'Unione Europea di cui all'art. 113 del trattato, sia quello, 
proposto nel secondo giudizio dal Governo italiano e dagli Stati intervenuti (specificamente 
dal Regno Unito), concernente l'inapplicabilit� del regolamento comunitario in 
una fattispecie in cui non si rinviene alcun elemento di collegamento tra Comunit� e 
violazione dell'embargo -trattandosi di nave che al momento della violazione si trovava 
in alto mare, batteva bandiera di un paese terzo e apparteneva, insieme al suo 
carico, ad una societ� non comunitaria -ed in cui lo Stato italiano agisce in esecuzione 
diretta degli obblighi su di esso gravanti in virt� della risoluzione del Consiglio 
di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 820 del 17 aprile 1993. 

La Corte risolve in entrambi i casi la questione a favore dell 'applicabilit� del diritto 
comunitario. 

Nel primo caso, pi� diffusamente, il giudice comunitario afferma che le competenze 
in materia di politica estera e sicurezza, pur essendo riservate agli Stati, vanno 
esercitate nel rispetto del diritto comunitario e comunque sono sottoposte ai principi 
derivanti dall'applicazione dell'articolo 113 del Trattato in materia di politica commerciale 
comune. Ed invero, proprio in virt� di tale prlncipio gli Stati si determinano 
ad adottare misure comunitarie di cooperazione politica dirette ad attuare nell'ambito 
comunitario le sanzioni stabilite dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 

Ne deriva l'obbligo per gli Stati membri di osservare le misure comunitarie pur in 
occasione dell'adozione di atti che abbiano lo scopo di garantire l'applicazione delle 
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. 

Nella seconda causa, pur senza affrontare direttamente l'argomento dell'applicabilit� 
del diritto comunitario a questione concernente la politica estera e di sicurezza 
dello Stato membro (proposta con dovizia di argomenti dal Governo italiano che aveva 
tra l'altro ricondotto la fattispecie a quella del blocco navale -istituto tradizionale 
della guerra marittima applicabile, mutatis mutandis, al blocco in tempo di pace attuato 
attraverso le misure adottate con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle 
Nazioni Unite) la Corte, muovendo da argomenti letterali, perviene alla conclusione 
che il regolamento � applicabile a qualsiasi imbarcazione (quale che sia la bandiera o 
la nazionalit� del proprietario) ed anche quando la violazione sia awenuta fuori dal 
territorio della Comunit�. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

70 

3. Il 30 maggio 1992 il Consiglio cli sicurezza delle Nazioni Unite, basandosi 
sul capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, ha adottato la risoluzione 
757 (1992), che stabilisce talune sanzioni nei confronti della Repubblica 
federale cli Iugoslavia {Serbia e Montenegro). 
4. In base al paragrafo 4, lett. c), della risoluzione 757 (1992), tutti gli 
Stati devono impedire la vendita o la fornitura, da parte dei loro cittadini o 
a partire dal loro territorio, di qualsiasi prodotto base o merce, originario o 
no del loro territorio, a qualsiasi persona fisica o giuridica nella Repubblica 
federale cli Iugoslavia (Serbia e Montenegro) o a qualsiasi persona fisica o 
giuridica ai fini di qualsivoglia attivit� commerciale svolta nel, o a partire 
dal, territorio di detta Repubblica. Non ricadono per� sotto questo divieto le 
forniture di prodotti ad uso strettamente medico e di generi alimentari; tali 
forniture devono essere notificate al Comitato istituito ai sensi della risoluzione 
724 (1991). 
5. Del pari, secondo il paragrafo 5 della risoluzione 757 (1992), tutti gli 
Stati devono impedire ai loro cittadini e a qualsiasi persona presente nel loro 
II

territorio cli trasferire dal loro territorio o cli mettere altrimenti a disposizione 
di imprese commerciali e industriali o aziende di pubblica utilit� fondi o 
altre risorse finanziarie o economiche, nonch� cli versare fondi a persone fisii'! 
che o giuridiche nella Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e I 


ili

Montenegro), fatta eccezione per i pagamenti relativi esclusivamente a forni


fil 

ture strettamente mediche o umanitarie o a forniture di generi alimentari. 

I & 

Una volta ritenuta l'applicabilit� del regolamento alla fattispecie, il giudice comunitario 
ne fornisce un'interpretazione idonea a garantire la pi� ampia operativit� del 

I 

divieto nonch� la possibilit� per lo Stato membro di prevedere (non gi� in conformit� ~ 
con il testo della risoluzione delle Nazioni Unite, bens� secondo quanto previsto dal 
regolamento comunitario alla luce dei testi redatti nella maggior parte delle lingue uffi


I

ciali) la confisca per il carico della nave autrice della violazione e lascia infine al giudice 
nazionale il compito di stabilire se la sanzione presenti un carattere dissuasivo, effettivo 
e proporzionale tenuto conto della finalit� di interesse generale del regolamento. 

La pronuncia si allinea, nella sostanza, alla precedente sentenza 30 luglio 1996 in 
causa C-84/95, Bosphorus (ln Racc., 1996, I, 3953) in cui era gi� stato affermato come 
il regolamento 990/93 andasse interpretato conformemente al contenuto delle risolu


I

zioni del Consiglio di Sicurezza, tenuto conto dell'identico interesse perseguito dai provvedimenti, 
consistente nella fine dello stato di guerra e delle violazioni dei diritti dell'uomo. 


I 

Dunque, se da una parte la Corte non accetta (e lo dimostra in entrambe le deci


~ 

sioni riportate) una limitazione all'applicazione del diritto comunitario in base al ~ 
richiamo ad obblighi di diritto internazionale (nonostante l'operativit� di tali obblighi, 
~= 
pur se conf)iggenti con il diritto comunitario e -nello sforzo di renderli con esso com! 
patibili, sia tuttavia riconosciuta dallo stesso art. 234 del Trattato) dall'altra deve considerarsi 
come essa pervenga ad una perfetta equiparazione della portata delle norme 
comunitarie rispetto alle misure adottate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. 


I 

FRANCESCA QUADRI 

I 



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

6. Nella Comunit� il Consiglio ha attuato la risoluzione 757 (1992) emanando 
il regolamento sulle sanzioni. 
7. Ai sensi dell'art. l, lett. b), di detto regolamento, dal 31maggio1992 � 
vietata l'esportazione nella Repubblica di Serbia e di Montenegro di qualsiasi 
prodotto originario o proveniente dalla Comunit�. 
8. A tenore dell'art. 2, lett. a), dello stesso regolamento, tale divieto non si 
applica tuttavia �all'esportazione verso le Repubbliche di Serbia e di 
Montenegro di prodotti destinati a scopi strettamente medici e derrate alimentari, 
notificati al comitato istituito a norma della risoluzione 724 (1991) 
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite� (in prosieguo: il �Comitato per 
le sanzioni�). 
9. L'art. 3 dispone inoltre che �le esportazioni verso le Repubbliche di 
Serbia e di Montenegro di prodotti destinati a scopi strettamente medici e 
derrate alimentari sono soggette ad un'autorizzazione preventiva di esportazione 
da rilasciarsi dalle competenti autorit� degli Stati membri�. 
10. Il 4 giugno 1992, in conformit� all'art. 1 dello United Nations Act 
1946, il governo del Regno Unito ha emanato il Serbia and Montenegro 
(United Nations Sanctions) Order, il quale fa divieto a chiunque non sia 
munito di un'autorizzazione rilasciata dal Secretary of State di fornire o consegnare 
merci di qualsiasi genere a persone aventi legami con la Serbia o con 
il Montenegro. 
11. L'art. 10 dello stesso Order stabilisce poi che, tranne che su autorizzazione 
del Treasury o a nome di questo, nessuno pu� effettuare pagamenti 
o cedere oro, azioni o altri valori mobiliari qualora tali pagamenti o cessioni 
possano servire a mettere a disposizione di persone aventi legami con la 
Serbia o con il Montenegro fondi o altre risorse finanziarie o economiche 
oppure a trasferire fondi a tali persone o a loro beneficio. 
12. Con un comunicato 8 giugno 1992, la Bank of England precisava, a 
nome del Tesoro, che avrebbe esaminato le domande di autorizzazione ad 
effettuare addebiti su conti bancari serbi e montenegrini per pagamenti a fini 
di carit� o umanitari. La sua prassi consisteva segnatamente nell'autorizzare 
addebiti sui conti serbi e montenegrini per il pagamento delle esportazioni, 
dal Regno Unito o da altri paesi, di prodotti d'indole medica e umanitaria in 
Serbia o in Montenegro approvate dalle Nazioni Unite. 
13. Dopo aver ottenuto l'approvazione del Comitato per le sanzioni delle 
Nazioni Unite e l'autorizzazione previa delle autorit� italiane prescritta dall'art. 
3 del regolamento sulle sanzioni, la Centro-Com esportava dall'Italia, tra 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

72 


il 15 ottobre 1992 e il 6 gennaio 1993, quindici partite di medicinali e di 
attrezzature per l'analisi del sangue destinate a due grossisti aventi sede nel 
Montenegro. 

14. Poich� le somme destinate al pagamento di tali forniture dovevano 
essere prelevate da un conto vincolato intrattenuto dalla Banca nazionale di 
Iugoslavia presso la Barclays Bank, quest'ultima chiedeva alla Bank of 
England, per ciascuna partita, l'autorizzazione ad addebitare il conto suddetto. 
Il 23 febbraio 1993 undici delle quindici domande erano state accolte 
dalla Bank. of England e quindi la Barclays Bank aveva pagato alla CentroCom 
le relative somme. 
15. Dopo aver ricevuto rapporti in cui si denunciavano abusi relativi alle 
autorizzazioni rilasciate dal Comitato per le sanzioni per le esportazioni di 
merci in Serbia e in Montenegro -descrizione inesatta di merci e inattendibilit� 
dei documenti rilasciati, o apparentemente rilasciati, dal detto 
Comitato -, il Treasury decideva di modificare la sua prassi e di autorizzare 
il pagamento di merci esonerate dalle sanzioni, come i presidi medici, 
mediante fondi serbi o montenegrini solo nei casi in cui tali merci fossero 
esportate dal territorio del Regno Unito. 
16. Come emerge dall'ordinanza di rinvio, uno dei motivi principali della 
nuova prassi risiedeva nel fatto che essa consentiva alle autorit� britanniche 
di esercitare un efficace controllo sulle merci esportate in Serbia e in 
Montenegro onde accertarsi che queste corrispondessero effettivamente alla 
loro descrizione e che non venissero autorizzati addebiti su conti intrattenuti 
presso banche britanniche per pagare forniture di prodotti non destinati a 
scopi di natura medica o umanitaria. 
17. Di conseguenza, con lettera 25 febbraio 1993, la Bank of England 
faceva sapere alla Barclays Bank che in avvenire non avrebbe pi� riservato 
esito positivo alle domande di autorizzazione ad addebitare su conti serbi e 
montenegrini intrattenuti presso banche britanniche somme destinate al 
pagamento di merci esportate in Serbia o in Montenegro da paesi diversi dal 
Regno Unito. Essa respingeva quindi, con quattro distinte decisioni, le 
domande della Barclays Bank ancora pendenti. 
18. La Court of Appeal, alla quale � stata sottoposta la conseguente controversia, 
nutre dubbi sulla compatibilit� del suddetto mutamento di prassi 
con l'art. 113 del Trattato e con il regolamento sulle sanzioni. Pertanto, essa 
ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto alla Corte di giustizia le seguenti 
questioni pregiudiziali: 
1) Se sia conforme alla politica commerciale comune della Comunit� 
e, in particolare, all'art. 113 del Trattato CE e al regolamento (CEE) del 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Consiglio 1 giugno 1992, n. 1432, che proibisce il commercio tra la 
Comunit� economica europea e le Repubbliche di Serbia e di Montenegro 
(GU L 151, del 3.6.92, pag. 4), il fatto che uno Stato membro A adotti misure 
nazionali che vietano lo sblocco di fondi depositati nel medesimo Stato 
membro, ma appartenenti a persone residenti in Serbia o in Montenegro, 
nel caso in cui: 

1) lo sblocco dei fondi sia richiesto al fine di pagare un cittadino di 
uno Stato membro B per le merci da lui esportate dallo stesso Stato in Serbia 

o in Montenegro; 
2) a} le merci siano state riconosciute, nelle debite forme, come aventi 
finalit� rigorosamente mediche dal Comitato delle Nazioni Unite per le sanzioni, 
conformemente alla risoluzione n. 757 del Consiglio di sicurezza delle 
Nazioni Unite; 

b) esse siano state esportate in base a previa autorizzazione all'esportazione 
rilasciata dalle competenti autorit� dello Stato membro B in 
conformit� al regolamento n. 1432/92; 

3) le misure nazionali consentano lo sblocco di fondi per il pagamento 
di merci di tal genere esportate dallo Stato membro A qualora l'autorizzazione 
all'esportazione di cui al precedente punto 2, lett. b), sia stata rilasciata 
dalle competenti autorit� dello Stato membro A; e 

4) lo Stato membro A abbia deciso che l'adozione di misure nazionali 
di tal genere � necessaria od opportuna per far s� che la risoluzione n. 757 del 
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite trovi effettiva applicazione. 

5) Se sulla soluzione della questione 1 incidano le disposizioni dell'art. 
234 del Trattato CE�. 

Sulla prima questione 

19. Con la prima questione il giudice di rinvio chiede in sostanza se la 
politica commerciale comune prevista dall'art. 113 del Trattato CE, come 
attuata con il regolamento sulle sanzioni, osti a che uno Stato membro A, per 
garantire l'efficace applicazione della risoluzione 757 (1992) del Consiglio di 
sicurezza delle Nazioni Unite, emani provvedimenti i quali vietano che fondi 
serbi o montenegrini depositati nel suo territorio siano sbloccati ai fini del 
pagamento di merci esportate da un cittadino di uno Stato membro B da questo 
Stato in Serbia o in Montenegro, per il motivo che lo Stato membro A 
consente il pagamento solo se l'esportazione avviene dal suo territorio ed � 
previamente autorizzata dalle sue autorit� competenti ai sensi del regolamento 
sulle sanzioni, laddove le merci interessate siano qualificate dal 
Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite prodotti ad uso strettamente 
medico e siano provviste di un'autorizzazione all'esportazione rilasciata dalle 
autorit� competenti dello Stato membro B conformemente al regolamento 
sulle sanzioni. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

74 

20. Con tale questione il giudice di rinvio solleva due problemi relativi 
all'interpretazione delle norme vigenti in materia di politica commerciale 
comune. 
21. Il primo problema concerne il rapporto tra le misure di politica estera 
e di sicurezza, come le misure che mirano a garantire l'efficace applicazione 
della risoluzione 757 (1992), e la politica commerciale comune. 
22. Il secondo problema attiene alla portata della politica commerciale 
comune e degli atti pertinenti emanati in base all'art. 113 del Trattato. 
nrapporto tra le misure di politica estera e di sicurezza e la politica commerciale 
comune 

23. Il governo del Regno Unito sostiene che i provvedimenti nazionali 
controversi nella causa principale sono stati emanati in forza della sua competenza 
nazionale in materia di politica estera e di sicurezza, in cui si iscrivono 
i suoi obblighi derivanti dalla Carta e dalle risoluzioni delle Nazioni 
Unite. La validit� dei detti provvedimenti non sarebbe scalfita dalla competenza 
esclusiva della Comunit� in materia di politica commerciale comune n� 
dal regolamento sulle sanzioni, che, dal canto suo, costituirebbe soltanto l'esplicazione, 
a livello comunitario, della competenza nazionale nel campo 
della politica estera e di sicurezza. 
24. A questo proposito va rilevato che gli Stati membri hanno conservato 
le loro competenze nel campo della politica estera e di sicurezza. 
Ali'epoca dei fatti della causa principale la loro reciproca collaborazione in 
materia era disciplinata segnatamente dalle disposizioni del titolo III 
dell'Atto unico europeo. 
25. Si deve ricordare, per�, che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare 
le competenze da loro conservate nel rispetto del diritto comunitario (v. 
sentenze 10 dicembre 1969, cause riunite 6/69 e 11/69, Commissione/Francia, 
Racc. pag. 523, punto 17; 7 giugno 1988, causa 57/86, Grecia/Commissione, 
Racc. pag. 2855, punto 9; 21 giugno 1988, causa 127/87, Commissione/
Grecia, Racc. pag. 3333, punto 7, e 25 luglio 1991, causa C-221/89, 
Factortame e a., Racc. pag. 1-3905, punto 14). 
26. Del pari, essi non possono stabilire che provvedimenti nazionali aventi 
l'effetto di impedire o di limitare l'esportazione di taluni prodotti esulino 
dall'ambito della politica commerciale comune per il motivo che perseguono 
scopi di politica estera e di sicurezza (v. sentenza 17 ottobre 1995, causa C70/
94, Werner, Racc. pag. I-3189, punto 10). 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

27. Di conseguenza, anche se spetta agli Stati membri adottare, nell'esercizio 
della loro competenza nazionale, misure di politica estera e di sicurezza, 
tali misure devono rispettare le norme emanate dalla Comunit� nel 
campo della politica commerciale comune contemplata dall'art. 113 del 
Trattato. 
28. Proprio nell'esercizio della loro competenza nazionale in materia di 
politica estera e di sicurezza gli Stati membri si sono espressamente pronunciati 
a favore dell'adozione di una misura comunitaria, che si � concretata nel 
regolamento sulle sanzioni, basato sull'art. 113 del Trattato. 
29. Infatti, come emerge dai suoi 'considerando', il regolamento sulle 
sanzioni fa seguito ad una decisione della Comunit� e dei suoi Stati membri, 
che � stata presa nell'ambito della cooperazione politica e che manifestava la 
volont� di emanare un atto comunitario per attuare nella Comunit� taluni 
aspetti delle sanzioni adottate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 
nei confronti delle Repubbliche di Serbia e di Montenegro. 
30. Risulta da quanto precede che, anche se nell'esercjzio della competenza 
nazionale in materia di politica estera e di sicurezza sono stati emanati 
taluni prowedimenti, come quelli di cui si discute nella causa principale, 
essi devono rispettare le norme comunitarie che rientrano nella politica commerciale 
comune. 
La portata della politica commerciale comune e degli atti pertinenti emanati 
in base all'art. 113 del Trattato 

31. Il governo del Regno Unito considera che, in ogni caso, prowedimenti 
nazionali che, come quelli controversi nella causa principale, comportano 
restrizioni dello sblocco di fondi non costituiscono misure di politica 
commerciale e quindi esulano dalla politica commerciale comune. 
32. Si deve ricordare a questo proposito che, anche se siffatti prowedimenti 
non costituiscono misure di politica commerciale, essi possono nondimeno 
contrastare con la politica commerciale comune attuata nella 
Comunit� qualora disattendano la normativa comunitaria emanata nell'ambito 
di tale politica. 
33. Occorre pertanto accertare se dei prowedimenti come quelli contestati 
nella causa principale siano compatibili non solo con il regolamento sulle 
sanzioni, ma anche con il regolamento (CEE) del Consiglio 20 dicembre 1969, 
n. 2603, relativo all'instaurazione di un regime comune applicabile alle esportazioni 
(GU L 324, pag. 25; in prosieguo: il �regolamento sulle esportazioni�). 

76 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

34. Il regolamento sulle sanzioni non contiene espresse disposizioni sui 
pagamenti relativi ad esportazioni da esso autorizzati. 
35. Tale regolamento, in quanto vieta, nell'art. 1, lett. b), le esportazioni 
in Serbia e in Montenegro, deroga al regolamento sulle esportazioni. 
36. Tuttavia, questa deroga non si estende all'esportazione in Serbia e in 
Montenegro di prodotti destinati a scopi strettamente medici che soddisfano 
i requisiti stabiliti negli artt. 2, lett. a), e 3 del regolamento sulle sanzioni. Ne 
consegue.che l'esportazione di tali prodotti resta soggetta al regime comune 
previsto dal regolamento sulle esportazioni. 
37. Ai sensi dell'art. 1 del regolamento sulle esportazioni, �le esportazioni 
della Comunit� economica europea verso i paesi terzi sono libere, vale a 
dire non soggette a restrizioni quantitative, ad eccezione di quelle applicate 
in conformit� delle disposizioni del presente regolamento�. 
38. L'art. 11 dello stesso regolamento prevede una deroga del genere 
disponendo che, �senza pregiudizio di altre disposizioni comunitarie, il presente 
regolamento non � di ostacolo all'adozione od all'applicazione, da parte 
degli Stati membri, di restrizioni quantitative all'esportazione giustificate da 
motivi di moralit� pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di 
tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione 
dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico 
nazionale, o di tutela della propriet� industriale e commerciale�. 
39. Il governo del Regno Unito dubita, anzitutto, che le restrizioni dello 
sblocco di fondi depositati in una banca possano costituire restrizioni quantitative 
delle esportazioni in paesi terzi ai sensi dell'art. 1 del regolamento 
sulle esportazioni. 
40. A tale proposito si deve ricordare che l'art. 1 del detto regolamento 
attua il principio della libert� d'esportazione a livello comunitario e quindi 
dovrebbe essere interpretato nel senso che si riferisce anche ai provvedimenti 
degli Stati membri i cui effetti equivalgono ad una restrizione quantitativa 
qualora la loro applicazione possa risolversi in un divieto di esportazione (v. 
sentenza Werner, gia citata, punto 22, e sentenza 17 ottobre 1995, causa C83/
94, Leifer e a., Racc. pag. 1-3231, punto 23). 
I 

41. Orbene, i provvedimenti di uno Stato membro che subordinano lo 
sblocco di fondi serbi o montenegrini per il pagamento di merci legittimamente 
esportabili in Serbia e in Montenegro alla condizione che le merci 
I siano esportate dal territorio del detto Stato pongono restrizioni al pagamento 
del prezzo delle merci che, come la fornitura dei beni, costituisce un 

I

elemento essenziale dell'operazione di esportazione. 

~ 

r: 
I i: 


PARTE I, SEZ. II, GIURlSPRUDENZA COMUNITARlA E INTERNAZIONALE 

42. Siffatti prowedimenti nazionali, che limitano la libert� di esportazione 
sul piano comunitario, equivalgono a una restrizione quantitativa poich� 
la loro applicazione osta al pagamento di somme come corrispettivo di 
merci spedite da altri Stati membri e quindi impedisce tali operazioni di 
esportazione. 
43. Il governo del Regno Unito sostiene poi che l'obbligo di esportare i 
prodotti dal suo territorio � giustificato da motivi di pubblica sicurezza. Date 
le difficolt� connesse all'applicazione del regime delle autorizzazioni rilasciate 
dal Comitato per le sanzioni, tale obbligo sarebbe necessario per garantire 
l'effettiva applicazione delle sanzioni stabilite dalla risoluzione 757 
(1992) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite poich� consentirebbe 
alle autorit� britanniche di verificare direttamente la natura delle merci 
esportate in Serbia e in Montenegro. 
44. Riguardo a questo argomento occorre ricordare che la nozione di 
pubblica sicurezza ai sensi dell'art. 11 del regolamento sulle esportazioni 
comprende tanto la sicurezza interna degli Stati membri quanto la loro sicurezza 
esterna e che, di conseguenza, il rischio di perturbazioni gravi dei rapporti 
internazionali o della coesistenza pacifica dei popoli pu� minacciare la 
sicurezza esterna di uno Stato membro (v. citate sentenze Werner, punti 25 
e 27, e Leifer e a., punti 26 e 28). 
45. Pertanto, un prowedimento inteso all'applicazione delle sanzioni 
stabilite da una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite allo 
scopo di pervenire a una soluzione pacifica della situazione esistente in 
Bosnia-Erzegovina, che costituisce una minaccia per la pace e per la sicurezza 
internazionali, rientra nell'eccezione prevista dall'art. 11 del regolamento 
sulle esportazioni. 
46. Tuttavia, non � pi� giustificato awalersi dell'art. 11 del regolamento 
sulle esportazioni quando una normativa comunitaria preveda misure necessarie 
per garantire la tutela degli interessi menzionati nel detto articolo (v., a 
proposito dell'applicazione dell'art. 36 del Trattato CEE, sentenza 10 luglio 
1984, causa 72/83, Campus Oil e a., Racc. pag. 2727, punto 27). 
47. Orbene, il regolamento sulle sanzioni, che mira ad attuare uniformemente 
nell'intera Comunit� taluni aspetti delle sanzioni adottate dal 
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, precisa i presupposti sussistendo 
i quali le esportazioni di presidi medici nelle Repubbliche di Serbia e di 
Montenegro sono consentite, vale a dire la notifica di tali operazioni al 
Comitato perle sanzioni e il rilascio di un'autorizzazione all'esportazione da 
parte delle autorit� competenti degli Stati membri. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

78 

48. Di conseguenza, i provvedimenti nazionali di uno Stato membro che 
consentano lo sblocco di fondi serbi o montenegrini a fronte dell'esportazione 
di merci nelle dette Repubbliche soltanto se le autorit� di tale Stato membro 
abbiano previamente verificato la natura delle merci e rilasciato l'autorizzazione 
all'esportazione non sono giustificabili, giacch� l'efficace applicazione 
delle sanzioni pu� essere garantita dalla procedura di autorizzazione 
attuata, conformemente al regolamento sulle sanzioni, negli altri Stati membri, 
in particolare nello Stato membro dal quale le merci sono esportate. 
49. A questo proposito, deve regnare fra gli Stati membri una fiducia 
reciproca per quanto concerne i controlli effettuati dalle autorit� competenti 
dello Stato membro dal quale le merci considerate sono spedite (v. sentenze 
25 gennaio 1977, causa 46/76, Bauhuis, Racc. pag. 5, punto 22, e 23 maggio 
1996, causa C-5/94, Hedley Lomas, Racc. pag. 1-2553, punto 19). 
50. Inoltre, niente consente di ritenere che il sistema di autorizzazioni 
degli Stati membri previsto dall'art. 3 del regolamento sulle sanzioni non 
abbia funzionato correttamente nel caso di specie. 
51. Infine, si deve ricordare che, in ogni caso, l'art. 11 del regolamento 
sulle esportazioni, in quanto eccezione al principio della libert� di esportazione 
enunciato nell'art. 1 dello stesso regolamento, dev'essere interpretato in 
modo da non estenderne gli effetti oltre quanto � necessario per la protezione 
degli interessi che esso mira a tutelare (citata sentenza Leifer e a., punto 33). 
52. Nella fattispecie uno Stato membro pu� garantire la tutela degli interessi 
di cui trattasi attraverso misure meno restrittive per la libert� di esportazione 
rispetto all'obbligo di esportare le merci dal suo territorio. Cos�, lo 
Stato membro che nutra precisi dubbi sull'esattezza della descrizione delle 
merci menzionate in un'autorizzazione all'esportazione rilasciata dalle competenti 
autorit� di un altro Stato membro pu�, in particolare, prima di autorizzare 
l'addebito di conti intrattenuti nel suo territorio, avvalersi della reciproca 
collaborazione istituita dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 maggio 
1981, n. 1468, relativo alla mutua assistenza tra le autorit� amministrative 
degli Stati membri e alla collaborazione tra queste e la Commissione per 
assicurare la corretta applicazione della regolamentazione doganale o agricola 
(GU L 144, pag. 1). 
53. Alla luce delle considerazioni sopra svolte, si deve dichiarare che la 
politica commerciale comune prevista dall'art. 113 del Trattato, come attuata 
con il regolamento sulle sanzioni e con il regolamento sulle esportazioni, 
osta a che uno Stato membro A, per garantire l'efficace applicazione della 
risoluzione 757 (1992) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, emani 
provvedimenti i quali vietano che fondi serbi o montenegrini depositati nel 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

suo territorio siano sbloccati ai fini del pagamento di merci esportate da un 
cittadino di uno Stato membro B da questo Stato in Serbia o in Montenegro 
per il motivo che lo Stato membro A consente il pagamento solo se l'esportazione 
avviene dal suo territorio ed � previamente autorizzata dalle sue autorit� 
competenti ai sensi del regolamento sulle sanzioni, laddove le merci di 
cui trattasi siano qualificate dal Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite 
prodotti ad uso strettamente medico e siano provviste di un'autorizzazione 
all'esportazione rilasciata dalle autorit� competenti dello Stato membro B 
conformemente al regolamento sulle sanzioni. 

Sulla seconda questione 

54. Con la seconda questione il giudice nazionale chiede in sostanza se 
dei provvedimenti nazionali che risultano contrastare con la politica commerciale 
comune prevista dall'art. 113 del Trattato e con i regolamenti comunitari 
che attuano tale politica siano nondimeno giustificati con riguardo 
all'art. 234 del Trattato CEE giacch� lo Stato membro interessato intendeva 
conformarsi, con tali provvedimenti, agli obblighi derivanti da una convenzione 
stipulata con altri Stati membri e con paesi terzi prima dell'entrata in 
vigore del Trattato CEE o dell'adesione del detto Stato membro. 
55. Il detto art. 234 dispone, nel primo comma, che le norme del Trattato 
non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse 
prima dell'entrata in vigore del Trattato stesso fra uno o pi� Stati membri da 
una parte e uno o pi� Stati terzi dall'altra. 
56. Secondo una costante giurisprudenza, tale disposizione � diretta a 
precisare, conformemente ai principi di diritto internazionale, che l'applicazione 
del Trattato non pregiudica l'impegno dello Stato membro interessato 
di rispettare i diritti degli Stati terzi derivanti da una convenzione anteriore 
e di adempiere gli obblighi corrispondenti (sentenza 28 marzo 1995, causa C324/
93, Evans Medicale Macfarlan Smith, Racc. pag. 1-563, punto 27). 
57. Conseguentemente, per stabilire se una norma comunitaria possa 
essere resa inoperante da una convenzione internazionale anteriore, � necessario 
esaminare se questa imponga allo Stato interessato obblighi il cui 
adempimento pu� essere ancora preteso dagli Stati terzi che sono parti contraenti 
della convenzione (sentenza Evans Medicale Macfarlan Smith, citata, 
punto 28). 
58. Tuttavia, non spetta alla Corte, nell'ambito di un procedimento pregiudiziale, 
bens� al giudice nazionale accertare quali siano gli obblighi imposti 
da una convenzione internazionale anteriore allo Stato membro interes

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

80 

sato e definirne i limiti in modo da stabilire in quale misura tali obblighi ostino 
all'applicazione delle norme di diritto comunitario di cui trattasi (sentenza 
Evans Medical e Macfarlan Smith, citata, punto 29). 

59. Pertanto il giudice nazionale deve accertare se, nelle circostanze della 
fattispecie sottoposta al suo esame, in cui le esportazioni sono state approvate 
dal Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite e autorizzate dalle competenti 
autorit� del paese esportatore, tanto il mutamento di prassi quanto le 
quattro decisioni che vietano lo sblocco di fondi siano necessari per consentire 
allo Stato membro interessato di adempiere gli obblighi ad esso incombenti 
in base alla Carta delle Nazioni Unite ed alla risoluzione 757 (1992) del 
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. 
60. Occorre inoltre rilevare che, quando una convenzione internazionale 
consente a uno Stato membro di adottare un provvedimento che appare contrario 
al diritto comunitario, senza tuttavia obbligarlo in tal senso, lo Stato 
membro deve astenersi dall'adottarlo (sentenza Evans Medical e Macfarlan 
Smith, citata, punto 32). 
61. Si deve pertanto dichiarare che dei provvedimenti nazionali che risultano 
contrastare con la politica commerciale comune prevista dall'art. 113 
del Trattato e con i regolamenti comunitari che attuano tale politica sono giustificati 
con riguardo all'art. 234 del Trattato soltanto se sono necessari per 
consentire allo Stato membro interessato di adempiere obblighi nei confronti 
di paesi terzi derivanti da una convenzione prima dell'entrata in vigore del 
Trattato o dell'adesione di tale Stato membro (omisiss). 
II 

(omisiss) 1. Con ordinanza 11 aprile 199 5, pervenuta in cancelleria il successivo 
6 giugno, il Consiglio di Stato ha sottoposto alla Corte, ai sensi dell'art. 
177 del Trattato CE, tre questioni pregiudiziali relative all'interpretazione 
degli artt. 1, n. 1, lett. c) ed), e 10 del regolamento (CEE) del Consiglio 26 
aprile 1993, n. 990, relativo agli scambi tra la Comunit� economica europea 
e la Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro) (GU L 102, pag. 
14; in prosieguo: il �regolamento�), e degli artt. 1, lett. c) ed), e 10 della decisione 
dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di 
Consiglio 26 aprile 1993, 93/235/CECA, relativa agli scambi tra la Comunit� 
europea del carbone e dell'acciaio e la Repubblica federale di Iugoslavia 
(Serbia e Montenegro) (GU L 102, pag. 17). 

2. Tali questioni sono sorte nell'ambito di un ricorso d'annullamento proposto 
dalla Ebony Maritime, societ� di diritto liberiano, e dalla Loten 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Navigation, societ� di diritto maltese, contro la decisione del Prefetto della 
provincia di Brindisi 22 luglio 1994, che disponeva il sequestro della nave 
Lido II, in applicazione del decreto legge 15 maggio 1993, n. 144, convertito 
nella legge 16 luglio 1993, n. 230, recante: �Embargo nei confronti degli Stati 
della ex Iugoslavia� (GUR!I n. 166 del 17 luglio 1993). 

3. Secondo quanto risulta dal preambolo, il regolamento ha lo scopo di 
dare attuazione nella Comunit� a taluni aspetti delle sanzioni decise nei confronti 
della Repubblica federale di Iugoslavia dal Consiglio di sicurezza delle 
Nazioni Unite, il quale, sulla base del capitolo VII della Carta delle Nazioni 
Unite, ha adottato le risoluzioni 713 (1991), 752 (1992), e 787 (1992), e ne ha 
rafforzato le sanzioni con la risoluzione 820 (1993). 
4. All'art. 1, n. 1, lett. c) ed), il regolamento prevede quanto segue: 
�1. A decorrere dal 26 aprile 1993, sono vietati: 
(...) 

e) l'ingresso di qualsiasi forma di traffico commerciale nelle acque territoriali 
della Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro); 
d) qualsiasi attivit� avente per oggetto o effetto, diretto o indiretto, la 
promozione delle transazioni di cui alle lettere a), b) oc); 

( ... )�. 

5. Ai sensi dell'art. 9 del regolamento, tutte le imbarcazioni, veicoli da trasporto, 
materiale rotabile, aeromobili e aerei da carico sospettati di aver violato 
o di violare il regolamento vengono trattenuti dalle autorit� competenti 
degli Stati membri durante le indagini. 
6. L'art. 10 del regolamento � formulato nei seguenti termini: 
�Ciascuno Stato membro determina le sanzioni da imporre in caso di 
violazione delle disposizioni del presente regolamento. 
Qualora sia accertato che imbarcazioni, veicoli da trasporto, materiale 
rotabile, aeromobili e aerei da carico hanno violato il presente regolamento, 
tali mezzi di trasporto possono essere confiscati dallo Stato membro le cui 
autorit� competenti li hanno(... ) trattenuti�. 

7. Ai sensi dell'art. 11, il regolamento � applicabile �nel territorio della 
Comunit�, ivi compreso il suo spazio aereo, e a bordo di qualsiasi aeromobile 
o imbarcazione soggetti alla giurisdizione di uno Stato membro, o a qualsiasi 
cittadino di uno Stato membro altrove stabilito o a qualsiasi organismo stabilito 
altrove registrato o costituito ai sensi della legge di uno Stato membro�. 
8. In Italia i provvedimenti adottati in attuazione delle disposizioni comunitarie 
succitate si trovano in particolare all'art. 2, nn. 2 e 3, lett. b), del decreto 
legge n. 144, convertito, con talune modifiche, nella legge n. 230, citata. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

82 

9. In forza del detto articolo, i mezzi di trasporto indicati dall'art. 9 del 
regolamento possono essere trattenuti e ispezionati a fini di indagine dalle 
autorit� doganali. Qualora dalla ispezione risulti accertata la violazione del 
regolamento, l'autorit� competente confisca sia i mezzi di trasporto sia il 
carico colpito dall'embargo. Nel caso in cui il mezzo di trasporto non batta 
bandiera italiana e non appartenga a un soggetto di cittadinanza o nazionalit� 
italiana, viene dapprima posto sotto sequestro, e confiscato soltanto se lo 
Stato interessato non l'abbia ritirato entro un determinato termine. 
10. La Lido II, nave cisterna appartenente alla societ� Loten Navigation 
e battente bandiera maltese, era salpata dal porto tunisino di La Skhira in 
direzione di Fiume (Croazia), con un carico di prodotti petroliferi appartenenti 
alla societ� Ebony Maritime. 
11. Dopo aver subito un'ispezione nel porto di Brindisi (Italia), nell'ambito 
delle operazioni di vigilanza sul rispetto delle sanzioni nei confronti della 
Repubblica federale di Iugoslavia, la nave ripartiva il 30 aprile 1994, in direzione 
del porto di Fiume. Quando, durante il tragitto, la nave iniziava ad 
imbarcare acqua, il comandante lanciava segnali di soccorso, comunicando 
che modificava la rotta in direzione della costa montenegrina pi� vicina, con 
lo scopo dichiarato di farla arenare. Tuttavia, prima che la nave entrasse nelle 
acque territoriali iugoslave, un elicottero delle forze NATO-UEO atterrava sul 
ponte e un commando militare olandese assumeva il controllo della nave, che 
veniva in seguito rimorchiata fino al porto di Brindisi, dove veniva posta a 
disposizione delle autorit� italiane. 
12. Con provvedimento 22 luglio 1994 il Prefetto della provincia di Brindisi 
ordinava il sequestro della nave e la confisca del carico, in applicazione dell'art. 
2, n. 3, lett. b), del decreto legge n. 144, convertito nella legge n. 230. 
13. La Ebony Maritime e la Loten Navigation chiedevano l'annullamento 
del provvedimento prefettizio al Tribunale amministrativo regionale della 
Puglia. Il ricorso veniva respinto dal TAR con sentenza 6 dicembre 1994, che 
veniva impugnata dalle due societ� dinanzi al Consiglio di Stato, il quale 
disponeva la sospensione del procedimento e deferiva alla Corte di giustizia 
le seguenti questioni pregiudiziali: 
�l) Se l'art. 1, lett. c), della decisione 93/235/CECA dei rappresentanti 

degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio del 26 aprile 1993, relativa agli 
scambi tra la Comunit� europea del carbone e dell'acciaio e la Repubblica 
federale di Iugoslavia (Serbia e Montenegro), e l'art. 1, lett. c), del regolamento 
(CEE) n. 990/93 del Consiglio del 26 aprile 1993, relativo agli scambi 
tra la Comunit� economica europea e la Repubblica federale di Iugoslavia 
(Serbia e Montenegro), debbano essere interpretati nel senso che costituisce 
violazione del divieto ivi enunciato il solo comportamento consistente nel-I 
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PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

l'effettivo ingresso nelle acque territoriali della Repubblica federale di 
Jugoslavia di una nave o altro mezzo di trasporto recante merci destinate a 
traffico commerciale nelle dette acque territoriali, o se invece rientri nella 
previsione normativa anche un comportamento posto in essere in acque 
internazionali che, per le concrete modalit� di ideazione e realizzazione, lasci 
fondatamente presumere che la nave o altro mezzo di trasporto sia in rotta 
verso le acque territoriali suddette, a fini di traffico commerciale. 

2) Se l'art. 1, lett. d), della decisione e del regolamento sopra citati, 
nella parte in cui vietano qualsiasi attivit� avente per oggetto o per effetto, 
diretto o indiretto, la promozione delle transazioni di cui alla lett. c), includa 

o meno nella propria previsione anche la navigazione in acque internazionali 
di una nave o altro mezzo di trasporto che rechi merci destinate presumibilmente 
a traffico commerciale nelle acque territoriali nella Repubblica 
federale di Iugoslavia. 
3) Se sia, o meno, compatibile con la normativa comunitaria, ed in 
particolare con l'art. 10, primo e secondo comma, della decisione e del regolamento 
sopra citati, una norma nazionale che preveda espressamente, in 
caso di accertata violazione di taluno dei divieti di cui al precedente art. 1, la 
confisca -obbligatoria owero facoltativa -del carico trasportato da taluno 
dei mezzi di trasporto indicati nello stesso art. 10, secondo comma�. 

14. Va anzitutto rilevato che gli scambi di prodotti petroliferi non rientrano 
nell'ambito di applicazione del Trattato CECA. Poich� la causa principale, 
come descritta nell'ordinanza di rinvio, verte esclusivamente su tali 
scambi, la decisione 93/235 non trova applicazione. Occorre quindi limitarsi 
a precisare la portata delle norme del regolamento. 
Sull'ambito di applicazione del regolamento 

15. In via preliminare il governo del Regno Unito come pure i governi 
francese e italiano sottolineano che il regolamento, ai sensi dell'art. 11 del 
medesimo, � applicabile soltanto nel territorio, comprensivo delle acque territoriali, 
degli Stati membri, alle imbarcazioni soggette alla giurisdizione di 
uno Stato membro, ai cittadini di uno Stato membro e alle imprese costituite 
in societ� o in altra forma ai sensi della legge di uno Stato membro. Il regolamento, 
pertanto, non sarebbe applicabile in un caso quale quello oggetto 
della causa a qua, dal momento che la nave di cui trattasi, al momento del1'
assunzione di controllo da parte delle forze NATO-UEO, si trovava in alto 
mare, batteva bandiera di un paese terzo e apparteneva, come pure il carico, 
ad una societ� non comunitaria. 
16. Va rilevato in proposito che l'art. 9 del regolamento, in combinato 
con l'art. 1, n. 1, lett. c), impone alle autorit� competenti degli Stati membri 
di trattenere, in attesa delle indagini, tutte le imbarcazioni e i carichi sospet

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

tati di aver violato il divieto d'ingresso nelle acque territoriali della 
Repubblica federale di Iugoslavia a fini di traffico commerciale. Ai sensi del-r 
1'art. 10, lo Stato membro interessato pu�, una volta accertato che le imbarcazioni 
e i carichi hanno violato il divieto, procedere alla loro confisca. 
-: 



:: 

17. Dal tenore di tali norme si desume che i provvedimenti di sequestro 
e di confisca riguardano qualsiasi imbarcazione a prescindere dalla bandiera 
o dal proprietario della medesima. Inoltre, l'applicazione di tali misure non � 
subordinata alla condizione che la violazione dei divieti sanciti dal regolamento 
avvenga nel territorio della Comunit�. Una violazione del divieto d'ingresso 
nelle acque territoriali della Repubblica federale di V2Iugoslavia, previsto 
all'art'art, 1, n. 1, lett. c.), del regolamento, pu� peraltro prodursi soltanto 
fuori del territorio comunitario. 
18. Le autorit� competenti dello Stato membro interessato devono pertanto, 
in forza dell'art. 9 del regolamento, trattenere tutte le imbarcazioni sospettate 
di aver violato le sanzioni adottate nei confronti della Repubblica federale 
di Iugoslavia,. anche qualora battano bandiera di un paese terzo, appartengano 
a cittadini o societ� non comunitari o l'asserita violazione delle sanzioni sia 
avvenuta fuori del territorio della Comunit�. Del pari, le autorit� nazionali possono, 
ai sensi dell'art. 10, secondo comma, del regolamento, confiscare le dette 
imbarcazioni e i loro carichi, qualora la violazione risulti accertata. 
19. Poich�, in forza dell'art. 11, il regolamento si applica nell'intero territorio 
comunitario, gli artt. 9 e 10 trovano applicazione non appena le imbarcazioni 
si trovino nel territorio di uno Stato membro e dunque nella sfera territoriale 
di questo, anche se l'asserita violazione sia avvenuta fuori del suo 
territorio. 
20. Questa interpretazione � avvalorata dalla lettera e dallo scopo della 
risoluzione 820 (1993) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, il quale, 
per rafforzare le sanzioni gi� decise, ha previsto all'art. 28 il divieto di ingresso 
nelle acque territoriali della Repubblica federale di Iugoslavia (Serbia e 
Montenegro) di tutto il traffico marittimo commerciale, disponendo all'art. 
25 che �tutti gli Stati tratterranno, in attesa di un'inchiesta, qualsiasi nave 
( ... ) e carico trovato sul loro territorio e che si sospetta sia stato o sia impiegato 
in violazione delle risoluzioni 713 (1991), 757 (1992) o 787 (1992), o 
della presente risoluzione, e, se risultano in infrazione, tali navi ( ... ) saranno 
sequestrate e, eventualmente, potranno essere confiscate unitamente al loro 
carico dallo Stato che le trattiene�. 
21. Dunque l'art. 25, cui gli artt. 9 e 10 del regolamento hanno dato attuazione 
nella Comunit�, prevede espressamente che tutte le imbarcazioni 
sospettate di violazione che si trovino nel territorio di uno Stato vengano trattenute 
e, eventualmente, confiscate da tale Stato. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Sulle questioni prima e seconda 

22. Con la prima e la seconda questione il giudice a quo intende 
sostanzialmente chiarire se l'art. 1, n. 1, lett. c) ed), del regolamento vieti 
soltanto l'ingresso effettivo del traffico commerciale nelle acque territoriali 
della Repubblica federale di Iugoslavia o anche i comportamenti posti in 
essere in alto mare che lasciano ragionevolmente supporre che l'imbarcazione 
interessata si diriga verso tali acque territoriali a fini di traffico commerciale. 
23. A questo proposito va rilevato che l'art. 1, n. 1, lett. c), del regolamento 
vieta l'ingresso del traffico commerciale nelle acque territoriali 
iugoslave. 
24. Questa disposizione � intesa ad impedire ogni effettivo ingresso del 
traffico commerciale in tali acque. Essa � stata introdotta a seguito della risoluzione 
820 (1993), che aveva lo scopo di rafforzare le sanzioni decise nei 
confronti della Repubblica federale di Iugoslavia con le precedenti risoluzioni 
del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Per garantire l'efficacia delle 
dette sanzioni � in effetti sembrato indispensabile vietare ogni forma di traffico 
commerciale nelle acque territoriali iugoslave. 
25. Ebbene, per l'efficace prevenzione di qualsiasi traffico commerciale 
nelle acque territoriali iugoslave � necessario che il divieto sancito dall'art. 1, 
n. 1, lett. c), del regolamento si applichi non solo ai casi di ingresso effettivo, 
bens� anche ai tentativi di ingresso nelle dette acque territoriali da parte delle 
navi che si trovano in alto mare. Ogni altra interpretazione rischierebbe di 
privare il divieto di ogni effetto utile. 
26. Inoltre, l'art. 1, n. 1, lett. d), del regolamento, che vieta qualsiasi 
attivit� avente per oggetto la promozione, diretta o indiretta, dell'ingresso 
nelle acque territoriali della Repubblica federale di Iugoslavia di ogni 
forma di traffico commerciale, conferma che un comportamento posto in 
essere in alto mare pu� configurare violazione delle sanzioni istituite dal 
regolamento. 
27. Occorre pertanto risolvere la prima e la seconda questione dichiarando 
che l'art. 1, n. 1, lett. c) ed), del regolamento vieta non soltanto l'ingresso 
effettivo del traffico di natura commerciale nelle acque territoriali 
della Repubblica federale di Iugoslavia, bens� anche i comportamenti 
posti in essere in alto mare che lasciano ragionevolmente supporre che la 
nave considerata si diriga in tali acque territoriali a fini di traffico commerciale. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Sulla terza questione 

28. Con la terza questione, il giudice a quo intende stabilire se sia o meno 
compatibile con il regolamento, e in particolare con l'art. 10, una norma nazionale 
che prevede, in caso di violazione accertata di taluno dei divieti di cui 
all'art. 1 del regolamento, la confisca del carico trasportato da uno dei mezzi di 
trasporto indicati nell'art. 10, secondo comma, del regolamento stesso. 
29. Va rilevato anzitutto che la versione in lingua italiana dell'art. 10, 
secondo comma, del regolamento non prevede che gli Stati membri possano 
confiscare il carico. 
30. Tuttavia, come la Corte ha gi� ripetutamente affermato, la necessit� 
che i regolamenti comunitari siano interpretati in modo uniforme esclude la 
possibilit� di prendere in considerazione un solo testo ed impone invece, in 
caso di dubbio, d'interpretarlo e di applicarlo alla luce dei testi redatti nelle 
altre lingue ufficiali (sentenza 17 ottobre 1996, causa C-64195, Lubella, Racc. 
pag. I-0000, punto 17). 
31. Ebbene, fatta eccezione per le versioni italiana e finlandese, tutte le 
versioni linguistiche dell'art. 10, secondo comma, del regolamento prevedono 
che, in caso di accertata violazione del regolamento, i carichi possono 
essere confiscati dallo Stato membro interessato. Questa formulazione corrisponde 
a quella dell'art. 25 della risoluzione 820 (1993), citato al punto 20 
della presente sentenza. Oltre ai mezzi di trasporto, il detto articolo menziona 
espressamente, tra i beni che possono essere confiscati in caso di violazione 
delle misure decise con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle 
Nazioni Unite, i carichi. E' pertanto chiaro che la versione italiana del regolamento, 
che contiene l'espressione �aeromobili e aerei da carico� anzich� 
l'espressione �aeromobili e carichi�, � inficiata da un errore materiale. 
32. In ogni caso, l'art. 10, secondo comma, del regolamento non pu� essere 
interpretato nel senso che limiti la facolt� generale degli Stati membri di 
determinare le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni 
del regolamento, prevista all'art. 10, primo comma. 
33. Il regolamento non osta pertanto all'applicazione di una norma nazionale 
che prevede la confisca del carico in caso di violazione del regolamento. 
34. Nondimeno, le ricorrenti nella causa principale sostengono che la 
norma nazionale adottata in attuazione dell'art. 10, secondo comma, del 
regolamento disconosce il principio �nulla poena sine culpa�, nei limiti in cui 
prevede la confisca del carico senza esigere la prova della colpa del suo proprietario 
e istituisce quindi un regime di responsabilit� penale oggettiva. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Inoltre, il principio di proporzionalit� risulterebbe leso in quanto il proprietario 
del carico sarebbe sanzionato in misura pari all'armatore, a prescindere 
dal grado della rispettiva partecipazione all'infrazione. 

35. Occorre ricordare in proposito che, secondo una giurisprudenza 
costante, qualora un regolamento comunitario non contenga alcuna disposizione 
specifica che preveda una sanzione in caso di trasgressione o faccia rinvio, 
al riguardo, alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative 
nazionali, l'art. 5 del Trattato CE impone agli Stati membri di adottare tutte le 
misure atte ad assicurare la portata e l'efficacia del diritto comunitario. A tal 
fine, pur mantenendo la scelta delle sanzioni, essi devono segnatamente vegliare 
a che le violazioni del diritto comunitario siano punite, sotto il profilo 
sostanziale e procedurale, in forme analoghe a quelle previste per le violazioni 
del diritto interno simili per natura e importanza e che, in ogni caso, conferiscano 
alla sanzione stessa un carattere effettivo, proporzionale e dissuasivo 
(sentenze 21 settembre 1989, causa 68/88, Commissione/Grecia, Racc., pag. 
2965, punti 23 e 24; 10 luglio 1990, causa C-326/88, Hansen, Racc. pag. I-2911, 
punto 17, e 26 ottobre 1995, causa C-36/94, Siesse, Racc. pag. I-3573, punto 20). 
36. D'altro canto, la Corte ha gi� ammesso che un sistema di responsabilit� 
penale oggettiva che sanzioni la violazione di un regolamento non �, di 
per s�, incompatibile con il diritto comunitario (v. sentenza Hansen, citata, 
punto 19). 
37. Di conseguenza, anche supponendo che, come sostengono le ricorrenti, 
la norma italiana che prevede la confisca del carico istituisca un sistema 
di responsabilit� penale oggettiva o non tenga conto del grado di coinvolgimento 
dei diversi operatori interessati, spetta al giudice nazionale valutare 
se tale sanzione sia rispettosa dei principi della giurisprudenza citata e, 
in particolare, se presenti un carattere dissuasivo, effettivo e proporzionale. 
38. Procedendo a tale valutazione il giudice nazionale deve segnatamente 
tenere conto del fatto che l'obiettivo perseguito dal regolamento, consistente 
nel porre fine allo stato di guerra nella regione interessata nonch� alle 
massicce violazioni dei diritti dell'uomo e del diritto umanitario internazionale 
nella Repubblica di Bosnia-Erzegovina, presenta un interesse generale 
fondamentale per la comunit� internazionale (sentenza 30 luglio 1996, causa 
C-84/95, Bosphorus, Racc. pag. I-3953, punto 26). 
39. La terza questione va dunque risolta dichiarando che � compatibile 
con il regolamento, e in particolare con l'art. 10 del medesimo, una norma 
nazionaVzle che prevede, in caso di accertata violazione di uno dei divieti di cui 
all'art. 1, la confisca del carico trasportato da uno dei mezzi di trasporto contemplati 
dall'art. 10, secondo comma, del regolamento (omisiss). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

88 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 6a sez., 23 gennaio 
1997, nella causa C-181195 -Pres. Mancini -Rel. Hirsch -Aw. Gen. Fennelly 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal de commerce 
di Nivelles nella causa Biogen Inc. c. Smithkline Beecham Biologicals Sa -
Interv.: Governi francese (ag. de Salins), svedese (ag. Brattg�rd) e italiano 
(aw. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Nolin e Drijber). 

Comunit� europee -Tutela della propriet� intellettuale -Brevetti -Certificato 
protettivo complementare per i medicinali -Possibilit� di concedere pi� 
certificati: limiti -Rifiuto del titolare dell'autorizzazione all'immissione 
in commercio di fornirne copia a chi richiede il certificato. 

(Reg. CEE del Consiglio 18 giugno 1992, n. 1768). 

Allorch� un medicinale � protetto da pi� brevetti base, il regolamento 
(CEE) del Consiglio 18 giugno 1992, n. 1768, sull'istituzione di un certificato 
protettivo complementare per i medicinali, non osta a che sia concesso un 
certificato protettivo complementare a ciascun titolare di un brevetto base. Il 
regolamento stesso non impone al titolare dell'autorizzazione di immissione 
in commercio di fornire al titolare di un brevetto copia della detta autorizzazione, 
menzionata all'art. 8, n. 1, lett. b), ma qualora il titolare del brevetto 
base e il titolare dell'autorizzazione di immissione in commercio del prodotto 
in quanto medicinale siano persone diverse e il titolare del brevetto base 
non sia in grado di Eomire copia di tale autorizzazione, la domanda di certificato 
non deve, per questo motivo, essere respinta (1). 

(Omissis) 1. -Il tribunal de commerce di Nivelles ha sottoposto alla 
Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, quattro questioni pregiudiziali 
relative all'interpretazione del regolamento (CEE) del Consiglio 18 giugno 
1992, n. 1768, sull'istituzione di un certificato protettivo complementare per 
i medicinali (GU L 182, pag. 1, in prosieguo: il �regolamento�). 

(1) Il certificato protettivo complementare per i medicinali: condizioni per il rilascio. 
1 -Il regolamento CEE del Consiglio 18 giugno 1992, n. 1768, sull'istituzione di un 
certificato protettivo complementare per i medicinali, consente agli uffici nazionali dei 
brevetti di prolungare la durata di un brevetto, concedendo un certificato di protezione 
complementare (C.C.P.), qualora oggetto del brevetto sia un principio attivo che abbia 
dato luogo ad un medicinale. Il certificato consente nella sostanza di prolungare la dura


ta del brevetto in relazione a quel medicinale per un periodo rapportato a quello in cui la 
specialit� medicinale non � stata commercializzata, con alcuni limiti temporali. Si � voluto 
cos� assicurare una protezione pi� efficace ed effettiva del brevetto riconoscendogli 
una durata ritenuta sufficiente ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca, 
attraverso il recupero da parte del titolare del brevetto, entro certi limiti, del periodo 
intercorrente fra il deposito della domanda di brevetto e l'autorizzazione di immissione 
in commercio del medicinale. 



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

89 

2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una controversia 
sorta tra la Biogen Inc. (in prosieguo: la �Biogen�) e la Smithkline Beecham 
Biologicals SA (in prosieguo: la �SKB�) in ordine al rifiuto di quest'ultima di 
fornire alla Biogen, al fine di completare una domanda di certificato protettivo 
complementare, copie delle autorizzazioni belghe di immissione in commercio 
di un vaccino combinato contro l'epatite B, denominato �Engerix-B�. 
3. -La Biogen � titolare di due brevetti europei del 21 dicembre 1979 e 
del 19 novembre 1985, riferentisi a medicinali o, pi� precisamente, sequenze 
e mediatori ADN, usati per la produzione di vaccini contro l'epatite B. 
L'art. 2 del regolamento prevede che ogni prodotto protetto da un brevetto e soggetto, 
in quanto medicinale, prima dell'immissione in commercio, ad una procedura di 
autorizzazione amministrativa pu� formare oggetto di un certificato alle condizioni e 
secondo le modalit� dettate negli articoli seguenti. L'art. 3 dispone che il certificato 
viene rilasciato se: a) il prodotto (cio� il principio attivo o la composizione di principi 
attivi di un medicinale) � protetto da un brevetto di base in vigore; b) per il prodotto in 
quanto medicinale � stata rilasciata un'autorizzazione in vigore di immissione in commercio 
(A.I.C.); c) il prodotto non � stato gi� oggetto di un certificato; d) l'A.I.C. di cui 
sopra � la prima A.I.e. del prodotto in quanto medicinale. L'art. 4 precisa che nei limiti 
della protezione conferita dal brevetto di base, la protezione conferita dal certificato 
riguarda il solo prodotto oggetto dell'A.I.C. del medicinale corrispondente, per qualsiasi 
impiego del prodotto in quanto medicinale, che sia stato autorizzato prima della 
scadenza del certificato. E l'art. 8 aggiunge che la domanda di certificato deve contenere, 
fra l'altro, a) una richiesta per il rilascio di un certificato che contenga in particolare 
....... il numero e la data della prima A.I.e. del prodotto in quanto medicinale 
....... ; b) una copia dell'A.I.C. di cui sopra, �da cui risulti l'identit� del prodotto e che 
contenga, tra l'altro, il numero e la data dell'autorizzazione, nonch� il riassunto delle 
caratteristiche del prodotto....�. 

2 -Con riferimento a questo quadro normativo il Tribunale di commercio di 
Nivelles aveva posto alla Corte di Giustizia alcuni quesiti, con i quali si prospettavano, 
nella sostanza, due problematiche: una prima, relativa alla ampiezza del diritto al 

C.P.C. spettante al titolare del brevetto di base e alla possibilit� di farlo valere in caso 
di mancato spontaneo rilascio di copia dell'A.l.C. da parte del titolare di quest'ultima; 
una seconda relativa all'eventuale concorrenza di due richieste di C.P.C. avanzate da 
diversi titolari di due brevetti di base in relazione allo stesso medicinale. 
La Corte ha pienamente condiviso le considerazioni svolte dal Governo italiano 
intervenuto in giudizio. 

3 -Quanto alla prima problematica (sostanzialmente unica, che la Corte affronta 
nella risposta alle questioni prima, terza e quarta), occorre partire dalla enunciazione del 
diritto al C.P.C. fatta dall'art. 6 del regolamento 1768/92. La norma, in collegamento con 
il precedente art. 4, attribuisce al titolare di un brevetto base utilizzato per un determinato 
medicinale il diritto ad una protezione complementare del brevetto stesso, in relazione 
alla sua utilizzazione per quello stesso medicinale: dato lo stretto ed esclusivo collegamento 
fra il brevetto base e il medicinale, � necessario che, prima della concessione 
della protezione complementare, sia verificata la sussistenza di tale collegamento 
mediante l'esibizione dell'autorizzazione all'immissione in commercio del medicinale, la 
quale contiene anche gli estremi per l'esatta identificazione del prodotto di base. 

La norma intende tutelare il titolare del brevetto, assicurandogli uno sfruttamento 
pi� lungo. Solo eventualmente questa protezione pu� risolversi in un vantaggio 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

90 

4. -La SKB produce e mette in commercio, in varie forme di condizionamento 
e/o indicazione, l'Engerix-B, il cui principio attivo � I'�HBsAG� 
(antigene di superficie purificato del virus dell'epatite B).A tal fine, la SKB, 
si avvale delle licenze di brevetti concessele dai titolari di brevetti o dai loro 
aventi causa. Secondo gli accertamenti del giudice nazionale, l'Engerix-B 
risulta dall'applicazione congiunta di pi� brevetti di cui sono titolari, in particolare, 
la Biogene l'Istituto Pasteur. 
5. -In forza di un contratto di licenza stipulato il 28 marzo 1988, la SKB 
versa alla Biogen diritti per la durata di validit� dei brevetti. 
anche per il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio del medicinale 
(diverso dal titolare del brevetto e titolare a sua volta di una licenza rilasciatagli da quest'ultimo), 
potendo egli godere di un supplemento di validit� della licenza esclusiva di 
sfruttamento: ma � un vantaggio solo eventuale, perch� la durata della licenza potrebbe 
essere contrattualmente delimitata e non estesa automaticamente all'intero periodo 
di validit� del brevetto e perch� comunque la prosecuzione della licenza implica di 
norma il pagamento da parte del licenziatario dei compensi in favore del titolare del 
brevetto. L'interesse protetto dalla regolamentazione comunitaria � dunque solo quello 
del titolare del brevetto sul prodotto di base del medicinale. 

Il diritto riconosciuto dalla norma pu� essere esercitato dal titolare del brevetto 
con l'adempimento di alcune formalit�, fra le quali la produzione dell'autorizzazione 
all'immissione in commercio, che consente l'identificazione del prodotto di base utilizzato 
per il medicinale di cui si tratta. Poich�, al di fuori del caso di coincidenza nella 
stessa persona della titolarit� sia del brevetto che dell'A.I.C. (nel qual caso non si pone 
alcun problema), l'esercizio del diritto del titolare del brevetto implica la produzione di 
un documento rilasciato ad altri, si � posto il problema se il titolare dell'autorizzazione 
sia obbligato a consegnare copia del documento al titolare del brevetto ovvero se, in 
caso di insussistenza dell'obbligo o di inadempimento ad esso, il titolare del brevetto 
possa richiederne l'acquisizione all'organo amministrativo che lo ha rilasciato, direttamente 
o attraverso l'organo competente al rilascio del C.P.C. 

Un obbligo di consegna del documento da parte del titolare dell'A.I.C. pu� sussistere, 
al di fuori di un impegno contrattuale -come hanno osservato sia la 
Commissione che tutti gli Stati membri intervenuti -solo se espressamente previsto 
dalla norma. E la norma nulla prevede. Ma un problema si porrebbe in ogni caso, 
anche se sussistesse un obbligo legale o convenzionale, ove l'obbligato si rifiutasse di 
adempiere o ritardasse o ponesse ostacoli ad un tempestivo adempimento. 

Poich� per� � impensabile un diritto sfornito di una tutela e poich� in definitiva 
il documento necessario all'esercizio del diritto � rilasciato da una pubblica autorit� 
nell'interesse della collettivit� e non certo nell'interesse -se non quello strumentale 
-della persona alla cui attivit� inerisce, � ragionevole e logico interpretare la norma, 
il cui silenzio non appare impeditivo di una siffatta interpretazione, nel senso che, a 
richiesta del titolare del brevetto di base che intende esercitare il suo diritto al C.P.C. 
-ed eventualmente per il tramite dell'autorit� competente al rilascio di quest'ultimo 
-debba l'autorit� (sanitaria) che ha rilasciato l'A.l.C. provvedere al rilascio di una 
copia di essa per completare la documentazione necessaria al rilascio del C.P.C. 

L'art. 6 del reg. 1768/.92 parla esplicitamente di un �diritto al certificato� che spetta 
al titolare del brevetto di base. Questo diritto � attribuito al titolare del brevetto, 
quale che possa essere l'interesse del titolare dell'A.I.C. Esso dunque si sovrappone al 
secondo, che perde qualsiasi rilevanza. Se v'� un �diritto� non pu� non esservi anche 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

91 

6. -La SKB � a sua volta titolare di quattro autorizzazioni di immissione 
in commercio dell'Engerix-B nel mercato belga. La pi� remota, risalente 
al 14 novembre 1986, � stata la prima autorizzazione di immissione in commercio 
per questo vaccino nella Comunit�. 
7. -Il 30 giugno 1993 la Biogen presentava all'Office de la propri�t� industrielle 
del ministero degli Affari economici belga domande di certificato protettivo 
complementare relative ai suoi due brevetti europei. Poich� a tali 
domande dovevano essere accluse copie delle autorizzazioni di immissione in 
commercio dell'Engerix-B, la Biogen si rivolgeva pi� volte alla SKB per ottenere 
da quest'ultima simili copie, ma questa si rifiutava. Per contro, la SKB trasmetteva 
una copia della sua prima autorizzazione di immissione in commercio 
all'Istituto Pasteur, con il quale aveva stipulato il suo primo contratto di 
licenza, e che poteva pertanto ottenere un certificato relativo al suo brevetto. 
una �tutela� dello stesso correlata alla norma costitutiva del diritto. Se per l'esercizio 
del diritto � necessaria la produzione di un documento rilasciato dalla pubblica autorit�, 
non si vede come al rilascio di un tale documento possa non essere tenuta la stessa 
pubblica autorit�, se non � nelle possibilit� giuridiche e di fatto dell'interessato di 
procurarselo. La logica della norma comunitaria appare nel senso che l'obbligo di rilascio 
da parte dell'autorit� amministrativa scaturisca da essa stessa senza la mediazione 
di una norma nazionale pi� esplicita. 

Non � sembrato ostare ad una siffatta soluzione -proposta dal Governo italiano 
nella perplessit� degli altri intervenuti e condivisa poi dalla Corte -una esigenza di 
riservatezza del documento e dei dati in esso contenuti. L'art. 8 del reg. 1768/92 richiede 
�una copia dell'autorizzazione di immissione in commercio ..... da cui risulti l'identit� 
del prodotto e che contenga, fra l'altro, il numero e la data dell'autorizzazione, nonch� 
il riassunto delle caratteristiche del prodotto.....�. Trattasi di dati che non presentano 
alcuna segretezza o riservatezza, quantomeno nei rapporti fra gli operatori del 
settore. Secondo le direttive in materia di specialit� medicinali (65/65/CEE, 
75/319/CEE, 83/570/CEE, 87/21/CEE, attuate in Italia da ultimo con decreto legislativo 
29 maggio 1991, n. 178) il documento autorizzativo di immissione in commercio deve 
approvare le etichette, le quali devono sempre indicare il numero di autorizzazione, ed 
i fogli illustrativi delle specialit� medicinali, nonch� il riassunto delle caratteristiche 
del prodotto: e mentre l'etichetta e il foglio illustrativo fanno parte addirittura della 
confezione medicinale offerta al pubblico, il riassunto delle caratteristiche del prodotto 
rientra necessariamente quantomeno nella pubblicit� del medicinale presso gli operatori 
sanitari (cfr. la direttiva 92/28/CEE concernente la pubblicit� dei medicinali per 
uso umano, attuata in Italia con il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 541). 

Tutto ci� prescinde dalle disposizioni nazionali, a quanto pare non omogenee, 
circa la pubblicit� del documento di A.I.e. 

In Italia, invero, il gi� citato decreto legislativo 29 maggio 1991, n. 178, prevede la 
pubblicazione del decreto di autorizzazione all'immissione in commercio nella 
Gazzetta Ufficiale nazionale, ma la pubblicazione viene fatta per estratto, contenente 
gli estremi di identificazione e le indicazioni essenziali sulle caratteristiche del prodotto, 
senza gli allegati approvati con il provvedimento stesso. Non v'�, per�, alcun ostacolo 
alla acquisizione d'ufficio al fascicolo degli atti inerenti la richiesta di un C.P.C. di 
una copia integrale del provvedimento medesimo (anche se non espressamente prevista 
da alcuna norma), pur senza il consenso del titolare dell'autorizzazione stessa. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

92 

8. -Il ministero della Sanit� belga si rifiutava del pari di fornire alla 
Biogen, senza il consenso della SKB, copie delle autorizzazioni di immissione 
in commercio. 
9. -Conseguentemente, il 16 settembre 1994 la Biogen intentava un'azione 
nei confronti della SKB dinanzi al tribuna! de commerce di Nivelles, al fine 
di sentir dichiarare che la SKB, rifiutandosi di fornirle copie certificate conformi 
alle sue autorizzazioni di immissione in commercio relative al vaccino 
Engerix-B, pur avendole trasmesse all'Istituto Pasteur, aveva commesso un atto 
discriminatorio nei suoi confronti, che sarebbe contrario agli usi onesti commerciali 
ai sensi dell'art. 93 della legge belga 14 luglio 1991 sulle pratiche del 
commercio e sull'informazione e la tutela del consumatore. La Biogen chiede 
quindi la cessazione immediata dell'asserito atto discriminatorio e, di conseguenza, 
la condanna della SKB a fornirle, sotto pena di sanzioni, copie certificate 
conformi delle pertinenti autorizzazioni di immissione in commercio. 
Per queste ragioni, quindi, si era proposto di rispondere ai quesiti numeri 1, 3 e 4 
posti dal giudice remittente nel senso che �l'autorit� nazionale competente ad emettere 
il prowedimento autorizzativo all'immissione in commercio di un medicinale � 
tenuta a rilasciare copia integrale del prowedimento stesso a richiesta dell'autorit� 
competente al rilascio dei certificati protettivi complementari per i medicinali di cui al 
reg. CEE n. 1768/92, attivata in tal senso dal titolare di un brevetto di base che abbia 
prodotto domanda per il rilascio del certificato stesso�. 

E la Corte ha condiviso appunto questa soluzione. 

4 -Con l'altro quesito il giudice nazionale aveva chiesto se possano essere rilasciati 
pi� certificati protettivi complementari quando �Un unico prodotto � protetto da 
pi� brevetti base appartenenti a vari titolari�. Il dubbio era sorto perch� l'art. 3 del 
regolamento 1768/92 dispone che il C.P.C. viene rilasciato se � ....... c) il prodotto non � 
gi� stato oggetto di un certificato�. 

Invero tale norma va collegata con la definizione di prodotto dettata dal precedente 
art. 1, secondo cui � � .... b) prodotto, il principio attivo o la composizione di principi 
attivi di un medicinale�. Orbene � possibile che un brevetto riguardi non solo un 
prodotto che costituisce �un principio attivo�, ma anche un prodotto che � �la composizione 
di pi� principi attivi�: in ogni caso unico � il titolare del brevetto. 

Ma � altres� possibile che il medicinale sia non solo il frutto di un unico brevetto 
(con uno o pi� principi attivi), ma anche il frutto di pi� brevetti appartenenti eventualmente 
a due titolari diversi. Orbene in quest'ultimo caso il medicinale si fonda su 
due o pi� �prodotti� protetti da altrettanti brevetti di base, sicch� per ciascun brevetto 
si pu� chiedere o ottenere autonomamente la protezione complementare indipendentemente 
dalla richiesta per l'altro o per gli altri brevetti. E non osta a ci� la disposizione 
dell'art. 3 del regolamento, la quale vieta la reiterazione della protezione per lo stesso 
prodotto, cio� in relazione ad un unico brevetto, e non il rilascio di due certificati 
uno per ciascun brevetto base, pur in relazione allo stesso medicinale. 

Si era quindi proposto (sia da parte italiana che da parte della Commissione e 
degli altri Stati intervenuti) di rispondere alla seconda questione posta dal giudice 
nazionale nel senso che �quando un medicinale � protetto da pi� brevetti base, il reg. 
1768/92 non osta al rilascio di un certificato protettivo complementare per ciascuno di 

essi�. E la Corte ha sostanzialmente aderito. 

OSCAR FIUMARA 

.....,.,...1111��--~



PARTE I, SBZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA EINTERNAZIONALE 

!O; >-La SKB; fondandosi sul regolamento, sostiene di avere diritto di 
consegnare un solo certificato per prodotto, che la validit� dei brevetti della 
Biogen era incerta e che la disparit� di trattamento tra . quest'ultima e 
l'Istituto Pasteur si giustificava, sul piano economico, con il differente livello 
dei diritti percepiti;.� 

:�.. :::::::.::�:���� 

U. ~ lUsul~ dal. terzo edalquarto/considerando' delregolamento che, 
ptima della�sua adozione; la durata della protezione effettiva conferita dal 
brev�tto per�r:tul:tortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca farmaceuti�a
�era. insiifficierite/ n. regolamento� mira .per l'appunto a.� ovviare a� tale 
carenza con l'istihtzione � dl un certificato protettivo .complementare per i 
rnedicinalt � 
(omissis) . 

S�lla.secondtil questione: 

� ZO� .... Con la seconda questione, che occorre esaminare in primo luogo, il 
giudice nazionale chiede in sostanza se,. allorch� un medicinale � protetto da 
pi� brevetti base, il regolamento osti a che un certificato protettivo complementare 
sia ooncesso a ciascun titolare di brevetto base.� 

21. ~ La Biogen,. i governifrancese e italiano, nonch� la Commissione, 
ritengono che il regolamento non osti� a che,� in�una situazione quale quella 
oggetto della controversia a.qua, sia concesso un certificato protettivo complementare 
� ciascun titolare di brevetto base; 
22. -La Biogen sostiene in particolare che, avuto riguardo all'obiettivo 
perseguito dal regolamento; vale a dire il miglioramento della protezione in 
modo da ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca farmaceutica, 
��inconcepib�le che; allorch� un medicinale � protetto da pi�.. brevetti base 
appartenenti a diversititolari, le ricerche delfono o dell'altro titolare di brevett� 
base siano escluse dalla tutela connessa al sistema di certificato protettivo 
complementare, nel caso in cui, come nella fattispecie, tali ricerche siano 
pervenute, ciascuna separatamente, a innovazioni brevettate:.�� 
23, �Il governo italiano e la Commissione sottolineano come l'art. 3 del 
regolamento, che vietala proroga della protezione per lo stesso prodotto, vale 
a dire relativamente ad un unico brevetto, non osti tuttavia al rilascio di due 
certificati (uno per ciascun brevetto base) anche in relazione al medesimo 
medicinale. 

24 -Secondo il governo francese, interpretare l'art. 3, lett. c), del regolamento 
nel senso che esso riservi il diritto al certificato protettivo complementare 
al primo titolare di brevetto che ne faccia domanda porterebbe a 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

94 

scegliere arbitrariamente il beneficiario della proroga del periodo di protezione 
tra societ� che, alla luce degli obiettivi e dell'oggetto del regolamento, 
vi hanno parimenti diritto. 

25. -La SKB ritiene, al contrario, che nel sistema istituito possa essere 
rilasciato soltanto un unico certificato per prodotto, ossia per principio attivo 
identico, anche qualora pi� brevetti siano alla base del prodotto in questione. 
A suo parere, il regolamento non si prefigge di ricompensare tutti i 
titolari di brevetti base, bens�, in modo ben pi� generale, di salvaguardare e 
promuovere lo sviluppo di medicinali in Europa e, pi� in particolare, nella 
Comunit�. Tale sviluppo di nuovi medicinali sarebbe, nella specie, in gran 
parte riconducibile agli sforzi di ricerca e investimento compiuti da chi ha 
ottenuto alla fine un'autorizzazione di immissione in commercio. L'obiettivo 
perseguito dal regolamento verrebbe pienamente raggiunto se il titolare del!'
autorizzazione di immissione in commercio fosse disposto a collaborare 
con il titolare del singolo brevetto, con il quale tratter� le condizioni di una 
collaborazione che includano il rilascio di una copia dell'autorizzazione di 
immissione in commercio, la quale consenta al detto titolare di brevetto di 
ottenere un certificato protettivo complementare. 
26. -Va ricordato, al riguardo, che l'adozione del regolamento viene 
motivata, al terzo e al quarto 'considerando', con l'insufficiente durata della 
protezione effettiva conferita dal brevetto per ammortizzare gli investimenti 
effettuati nella ricerca farmaceutica. Il regolamento mira dunque a colmare 
tale insufficienza mediante la creazione di un certificato protettivo complementare 
per i medicinali che pu� essere ottenuto dal titolare -di un brevetto 
nazionale o europeo alle stesse condizioni in ciascuno Stato membro. 
27 -L'art. 6 del regolamento conferma che il diritto al certificato spetta 
al titolare del brevetto base o al suo avente causa. L'art. 1, lett. c), menziona 
i brevetti base che possono essere designati ai fini della procedura di rilascio 
del certificato, vale a dire quelli che proteggono un prodotto in quanto tale, 
un processo di fabbricazione o un impiego di un prodotto. Il regolamento ha 
quindi lo scopo di far s� che i titolari di tali brevetti si giovino della protezione 
complementare, senza stabilire ordini preferenziali tra loro. 

28. -Ne consegue che, allorch� un prodotto � protetto da pi� brevetti 
base in vigore, eventualmente appartenenti a pi� titolari, ciascuno di questi 
brevetti pu� essere designato ai fini della procedura di rilascio del certificato. 
Ai sensi dell'art. 3, lett. c), del regolamento, non pu� tuttavia essere rilasciato 
pi� di un certificato per ciascun brevetto base. 
29. -Peraltro, come emerge dall'art. 13 del regolamento, la durata di questi 
certificati � calcolata in maniera uniforme in funzione della data della 
prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunit�. 

PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

30. -Occorre pertanto risolvere la seconda questione nel senso che, allorch� 
un medicinale � protetto da pi� brevetti base, il regolamento non osta a 
che sia concesso un certificato protettivo complementare a ciascun titolare di 
un brevetto base. 
Sulle questioni prima e terza 

31. -Con la prima e la terza questione, che occorre esaminare congiuntamente, 
il giudice nazionale chiede in sostanza se il regolamento imponga al 
titolare dell'autorizzazione di immissione in commercio di fornire al titolare 
del brevetto una copia della detta autorizzazione, menzionata all'art. 8, n, 1, 
lett. b), dello stesso regolamento. 
32. -La Biogen sostiene che iltitolare dell'autorizzazione di immissione in 
commercio, allorch� gli � richiesto dal titolare del brevetto base il rilascio di 
una copia certificata dell'autorizzazione destinata a regolarizzare una domanda 
di certificato protettivo complementare, non pu� rifiutarsi di fornire tale 
copia. Infatti, il titolare dell'autorizzazione di immissione in commercio non 
potrebbe ostacolare l'esercizio del diritto di cui all'art. 6 del regolamento. 
33. -La SKB, i governi francese e italiano, nonch� la Commissione, ritengono 
che il regolamento non imponga al titolare dell'autorizzazione di 
immissione in commercio alcun obbligo specifico di fornirne una copia al 
titolare del brevetto, richiedente il certificato. 
34. -La SKB sottolinea in particolare come, nel sistema del certificato, 
l'autorizzazione di immissione in commercio abbia il valore di un titolo autonomo 
connesso al medicinale e costituisca una componente essenziale del 
nuovo sistema di protezione istituito dal regolamento. Spetterebbe quindi al 
possessore di tale titolo decidere liberamente a chi rilasciarne copia e a quali 
condizioni. Un'interpretazione del regolamento che imponga al titolare dell'autorizzazione 
obblighi a vantaggio del titolare di un brevetto, dei quali le 
parti, come nella fattispecie di cui al procedimento a quo, non abbiano potuto 
tener conto al momento della stipulazione dei contratti di licenza (il 28 marzo 
1988) recherebbe grave pregiudizio al principio della certezza del diritto. 
35. -I governi francese e italiano, nonch� la Commissione, ritengono che 
un obbligo di rilascio del documento da parte del titolare dell'autorizzazione 
di immissione in commercio pu� sussistere, al di fuori di un impegno contrattuale,
solo se esso sia espressamente previsto dalla norma in questione la 
quale, tuttavia, nulla disporrebbe al riguardo. Il problema sollevato andrebbe 
quindi risolto nell'ambito dei rapporti contrattuali tra il titolare del brevetto 
e il titolare dell'autorizzazione. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

36. -� sufficiente rilevare, al riguardo, che sebbene in forza dell'art. 8, n. 
l, lett. b), del regolamento la domanda di certificato debba contenere una 
copia dell'autorizzazione di immissione in commercio del medicinale, nessuna 
disposizione del regolamento impone al titolare dell'autorizzazione di fornirne 
copia al titolare del brevetto base. Invero, l'esercizio del diritto al certificato 
di cui all'art. 6 del regolamento non dipende affatto da un atto di 
volont� del titolare dell'autorizzazione di immissione in commercio. 
37. -Il regolamento non osta tuttavia a che, avuto riguardo alle circostanze 
del caso di specie, simile obbligo sia considerato inerente ai rapporti 
contrattuali tra le parti. 
38. -Occorre pertanto risolvere le questioni prima e terza nel senso che 
il regolamento non impone al titolare dell'autorizzazione di immissione in 
commercio di fornire al titolare di un brevetto copia della detta autorizzazione, 
menzionata all'art. 8, n. 1, lett. b), dello stesso regolamento. 
Sulla quarta questione 

39. -Tenuto conto della struttura e degli obiettivi del regolamento, per 
fornire una soluzione utile al giudice nazionale, occorre intendere la quarta 
questione nel senso che essa mira in sostanza ad accertare se, nel caso in cui 
il titolare del brevetto base e il titolare dell'autorizzazione di immissione in 
commercio siano persone differenti e il titolare del brevetto non sia in grado 
di fornire una copia dell'autorizzazione conformemente all'art. 8, n. 1, lett. b), 
del regolamento, la domanda di certificato non debba per questo solo motivo 
essere respinta. 
40. -La Biogen e il governo italiano sostengono che l'autorit� amministrativa 
che ha concesso l'autorizzazione di immissione in commercio non 
pu� sic et simpliciter rifiutarsi di fornirne copia al titolare del brevetto base 
che ne faccia richiesta al fine di completare una domanda di certificato. 
41. -La Biogen osserva in particolare che, tenuto conto del fatto che la 
valutazione dell'opportunit� di una domanda di certificato va riservata al 
titolare del brevetto base, l'autorit� amministrativa non pu� addurre nei confronti 
del titolare del brevetto motivi diversi dal carattere riservato dell'autorizzazione 
di immissione in commercio. Nel caso in cui un'ipotetica riservatezza 
dell'autorizzazione di immissione in commercio dovesse precludere la 
sua comunicazione al titolare del brevetto base, esisterebbero altre possibilit� 
di contemperare l'esigenza di riservatezza dell'autorizzazione con la realizzazione 
degli obiettivi del regolamento. In particolare, l'autorit� amministrativa 
che dispone di una copia certificata dell'autorizzazione potrebbe vuoi 
fornire al titolare del brevetto base una copia nella quale venga cancellato 



PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

ogni dato quantitativo, non essendo tali informazioni indispensabili per identificare 
il medicinale al quale la domanda di certificato si riferisce, vuoi trasmettere 
la copia certificata dell'autorizzazione direttamente all'autorit� 
incaricata di trattare le domande di certificato, senza farla transitare per il 
titolare del brevetto base. La riservatezza delle informazioni contenute nel!'
autorizzazione di immissione in commercio sarebbe in tal modo rispettata. 

42. -Secondo la SKB, i governi francese e svedese, nonch� la Commissione, 
il regolamento non prevede alcun obbligo per un'autorit� amministrativa 
di fornire una copia dell'autorizzazione al titolare del brevetto. 
43. -La SKB sostiene in particolare che consentire all'amministrazione 
di disporre di questo titolo, senza alcun fondamento giuridico, a favore di un 
terzo titolare di un brevetto base equivarrebbe a spogliare definitivamente il 
titolare dell'autorizzazione, senza contropartita n� giustificazione, di entrate 
su cui esso ha diritto di contare come compensazione per gli sforzi e i costi 
delle ricerche sostenuti per ottenere l'autorizzazione. 
44. -Al riguardo, occorre ricordare che la prescrizione di cui all'art. 8, n. 
1, lett. b), del regolamento, di accludere una copia dell'autorizzazione di 
immissione in commercio alla domanda di certificato protettivo complementare, 
ha lo scopo di identificare il prodotto e di verificare l'osservanza del 
termine massimo per il deposito della domanda, nonch�, eventualmente, la 
durata della protezione complementare. Si tratta pertanto di una condizione 
di forma finalizzata alla dimostrazione dell'esistenza di un'autorizzazione di 
immissione in commercio del prodotto in quanto medicinale. 
45. -Orbene, qualora il titolare del brevetto base e il titolare dell'autorizzazione 
di immissione in commercio siano persone differenti e il titolare 
del brevetto base non sia in grado di fornire alle autorit� nazionali competenti, 
in conformit� dell'art. 8, n. 1, lett. b), del regolamento, una copia di questa 
autorizzazione concessa di autorit� di questo stesso Stato membro, la 
domanda di certificato non deve per questo solo motivo essere respinta. 
Invero, una semplice collaborazione consente all'autorit� nazionale che rilascia 
il certificato di procurarsi copia dell'autorizzazione di immissione in 
commercio presso l'autorit� nazionale competente per il rilascio di quest'ultima 
(v. in tal senso sentenza 12 novembre 1996, causa C-201/94, Smith e 
Nephew, Racc. pag. 0000, punto 28). In caso contrario, il diritto al certificato 
conferito al titolare del brevetto base dall'art. 6 del regolamento sarebbe 
privato del suo effetto utile. 
46. -Per quanto riguarda gli argomenti della SKB, va peraltro ricordato 
che, ai sensi dell'art. 5 del regolamento, il certificato conferisce gli stessi diritti 
che vengono attribuiti dal brevetto base ed � soggetto alle stesse limitazioni 
e agli stessi obblighi. 

98 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO '47. -Conseguentemente si deve risolvere la quarta questione nel senso 
che, qualora il titolare del brevetto base e il titolare dell'autorizzazione di 
immissione in commercio del prodotto in quanto medicinale siano persone 
diverse e il titolare del brevetto base non sia in grado di fornire una copia di 
questa autorizzazione in conformit� dell'art. 8, n. l, lett. b), del regolamento, 
la domanda di certificato non deve, per questo solo motivo, essere respinta 
(omissis). 
I'. 
' 
. 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, 5a sez., 7 maggio 
1997, nelle cause riunite C-321-324/94 -Pres. Moitinho de Almeida -Rel. 
Gulmann -Avv. Gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta 
dalla Corte di cassazione francese nei procedimenti penali contro 
J. Pistre ed a. -Interv.: Governi italiano (avv. Stato Braguglia), francese 
(ag. Belliard e Martinet), ellenico (ag. Georgakopoulos) e Commissione 
C.E. (ag. Buhigues). 
Comunit� europee -Libera circolazione delle merci -Protezione delle indicazioni 
geografiche e delle denominazioni di origine -Denominazione 
�montagna� per prodotti agricoli e alimentari. 
(Trattato C.E., artt. 30 e 36; reg. CEE del Consiglio n. 2081192 del 14 luglio 1992, art. 2). 
nregolamento (CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, relativo alla 
protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei 
prodotti agricoli ed alimentari, non osta all'applicazione di una normativa 
nazionale, come quella prevista dall'art. 34 della legge 9 gennaio 1985, n. 8530 
e dal decreto 26 febbraio 1988, n. 88-194, che stabilisce i requisiti perl'uso 
della denominazione 0�montagna222� per i prodotti agricoli e alimentari. L'art. 
30 del Trattato CE osta all'applicazione di una normativa nazionale, come 
quella prevista dall'art. 34 della legge n. 85-30 e dal decreto n. 88-194, che 
riserva l'uso della denominazione �montagna� ai soli prodotti fabbricati nel 
territorio nazionale ed elaborati a partire da materie prime nazionali� (1). 
(omissis) 1. -Con sentenze 3 ottobre 1994, pervenute in cancelleria il 9 
dicembre successivo, la Cour de Cassation francese ha sottoposto a questa 
Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CE, una questione pregiudiziale rela(
1) Si tratta della prima causa relativa all'interpretazione del regolamento (CEE) 
n. 2081del1992, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni 
d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari. 
Anche se i quesiti proposti dalla Corte di Cassazione francese non erano espliciti sul 
punto, si poteva ipotizzare che la Corte di giustizia si occupasse anche dell'ambito d'applicazione 
del suddetto regolamento, con particolare riferimento alla sorte delle indicazioni 
geografiche e delle denominazioni d'origine nazionali, rilasciate dagli Stati membri 
prima dell'entrata in vigore del regolamento stesso. 


PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

99 

tiva all'interpretazione dell'art. 2 del regolamento (CEE) del Consiglio 14 
luglio 1992, n. 2081, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e 
delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari (GU L 208, 
pag. 1), nonch� degli artt. 30 e 36 del Trattato CE. 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di azioni penali promosse 
nei confronti della signora Mich�le Barthes e dei signori Jacques Pistre, 
Yves Milhau e Didier O berti (in prosieguo: gli �imputati�), perseguiti a causa 
di etichettature atte a indurre in errore il consumatore sulla qualit� o sull'origine 
dei prodotti. 
3. -Gli imputati, cittadini francesi, amministrano societ� stabilite in 
Lacaune, nel dipartimento del Tarn in Francia, che producono e mettono in 
commercio prodotti di salumeria. Essi sono stati perseguiti penalmente, nel 
1991, per aver posto in commercio salumi la cui etichetta conteneva le denominazioni 
�montagna� o �Monts de Lacaune�, senza aver ottenuto, per i 
detti prodotti, l'autorizzazione all'uso delle indicazioni riservate alle zone 
montane prescritta dall'art. 34 della legge 9 gennaio 1985, n. 85-30, relativa 
allo sviluppo e alla protezione delle zone montane (JORF 10 gennaio 1985, 
pag. 320, in prosieguo: la �legge n. 85-30�) e dal decreto 26 febbraio 1988, n. 
88-194, che stabilisce i requisiti per l'uso dell'indicazione di provenienza 
�montagna� per i prodotti agricoli e alimentari (JORF 27 febbraio 1988, pag. 
2747, in prosieguo: il �decreto n. 88-194�). 
4. -Con sentenze 26 maggio 1992, il tribunal de police di Castres ha 
assolto gli imputati, rilevando che la normativa sull'indicazione di provenienza 
�montagna� era incompatibile con il principio della libera circolazione 
delle merci sancito dal Trattato CEE, divenuto Trattato CE, e inapplicabile 
anche nei confronti dei produttori nazionali, stante il rischio di una discriminazione 
alla rovescia. 
5. -In seguito all'appello interposto dal pubblico ministero, la cour d'appel 
di Tolosa ha annullato le sentenze pronunciate dal tribunal de police di 
Castres, dichiarando gli imputati colpevoli dei fatti loro contestati. Essi sono 
L1talia -ed altri Stati membri -hanno nel tempo costituito un rilevante patrimonio 
di diritti a protezioni esclusive, sia in ambito nazionale che internazionale. La 
preoccupazione che la pronuncia richiesta alla Corte di giustizia potesse giungere a 
stabilire il rapporto tra le discipline nazionali anteriori ed il regolamento (CEE) n. 
2081/92 ha indotto il Governo italiano ad intervenire per sostenere che il suddetto regolamento 
non ha reso inapplicabili, a livello nazionale, le discipline statali anteriori. 

Tuttavia, l'importante questione non � stata affrontata dalla Corte nella sentenza 

in rassegna. Di conseguenza, essa � stata riproposta per il Governo italiano in altre 

cause (cause riunite C-129 e C-130/97) tuttora pendenti. 

l.M.B. 
a 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

100 

stati condannati al pagamento di ammende di diversa entit�. La cour d'appel 
di Tolosa ha considerato che le disposizioni di cui trattasi, che riservavano 
l'uso dell'indicazione di provenienza �montagna� ad alcuni prodotti nazionali 
e miravano a garantire la tutela degli interessi dei produttori contro la concorrenza 
sleale nonch� quella dei consumatori contro indicazioni atte a 
indurli in errore, non erano, ad onta della disparit� di trattamento che da 
esse deriva tra prodotti nazionali ed importati, di natura tale da ostacolare le 
importazioni. 

6. -Awerso tali sentenze gli imputati hanno presentato un ricorso dinanzi 
alla Cour de cassation,f facendo valere, in particolare, che le disposizioni 
controverse, le quali subordinano la messa in vendita di un prodotto al previo 
rilascio di un'autorizzazione amministrativa, costituiscono misure di 
effetto equivalente a restrizioni quantitative agli scambi tra gli Stati membri, 
vietate dagli artt. 30 e 36 del Trattato. 
7. -Nelle sentenze di rinvio la Cour de cassation osserva, da una parte, 
che le disposizioni pertinenti della legge n. 85-30 e del decreto n. 88-194 
prevedono che la delimitazione delle aree di montagna si estende alle zone 
montane, a quelle caratterizzate dalla presenza di rilievi di una certa entit� 
nonch� alle zone dei dipartimenti d'oltremare situate ad un'altezza superiore 
ai 100 metri, e comportano deroghe rilevanti all'obbligo di localizzazione 
del processo di produzione, ammettendo in particolare che la materia 
prima rientrante nella composizione del prodotto non provenga dall'area 
geografica considerata o che il prodotto non sia interamente fabbricato 
in tale area. 
8. -D'altro canto, essa rinvia al regolamento n. 2081/92 rilevando come 
quest'ultimo, entrato in vigore il 26 luglio 1993, circoscriva la tutela delle 
indicazioni di provenienza ai soli prodotti originari di una regione delimitata, 
rispetto ai quali una determinata qualit� o un'altra caratteristica pu� attribuirsi 
all'origine geografica e la cui produzione avviene in loco, istituendo 
uno speciale procedimento di registrazione comunitaria delle denominazioni 
esistenti. 
9. -La Cour de cassation, ritenendo che si ponga, conseguentemente, la 
questione della compatibilit� della legge n. 85-30 e del decreto n. 88-194 con 
le disposizioni, apparentemente pi� restrittive, del regolamento n. 2081/92, 
ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia 
la seguente questione pregiudiziale: 
�Se il combinato disposto degli artt. 30 e 36 del Trattato CE e 2 del regolamento 
(CEE) del Consiglio 14 luglio 1992, n. 2081, osti o meno all'applicazione 
di una normativa nazionale come quella risultante dalla legge 9 gennaio 
1985, n. 85-30, e dal suo decreto di attuazione 26 febbraio 1988, n. 88-194�. 



PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 101 

1O. -Per risolvere la questione posta dal giudice a quo, occorre in primo 
luogo, dopo aver ricordato le principali disposizioni della normativa nazionale 
di cui trattasi, procedere all'interpretazione del regolamento n. 2081192 
che, pur essendo entrato in vigore posteriormente al verificarsi dei fatti all'origine 
delle azioni promosse nell'ambito dei procedimenti principali, potrebbe 
incidere sull'esito degli stessi in forza del principio riconosciuto dal diritto 
nazionale in argomento che sancisce la retroattivit� della norma penale 
pi� favorevole. Qualora, al termine di questo primo esame, emerga che il 
detto regolamento non osta all'applicazione di una normativa nazionale 
come quella in esame nelle cause principali, si dovr� valutare la compatibilit� 
della stessa con gli artt. 30 e 36 del Trattato. 

La normativa nazionale controversa 

11. -Ai sensi dell'art. 1 della legge n. 85-30, �La montagna costituisce 
un'entit� geografica, economica e sociale in cui i rilievi, il clima e il patrimonio 
naturale e culturale richiedono la definizione e l'attuazione di una politica 
mirata di sviluppo, di assetto del territorio e di tutela(... )�. La legge contempla 
diversi interventi in tal senso tra cui la previsione di una protezione 
della denominazione �montagna�. 
12. -Gli artt. 3-4 della legge n. 85-30 circoscrivono le zone montane. 
L'art. 3 dispone infatti quanto segue: 
�Le zone montane sono caratterizzate dall'esistenza di svantaggi significativi 
che comportano condizioni di vita pi� disagevoli e limitano l'esercizio 
di determinate attivit� economiche. Esse comprendono, nel territorio metropolitano, 
i comuni o le parti dei comuni caratterizzati da una notevole limitazione 
delle possibilit� di utilizzazione delle terre e da un incremento consi-� 
derevole dei costi di lavoro derivanti: 

1) dalla presenza, dovuta all'altitudine, di condizioni climatiche molto 
difficili che si riflettono nella particolare brevit� del periodo di vegetazione; o, 

2) dalla presenza, a bassa quota, nella maggior parte del territorio, di 
pendii ripidi che non consentono la meccanizzazione o che richiedono l'utilizzazione 
di macchinari specifici particolarmente costosi; o, 

3) dalla combinazione di questi due fattori quando l'entit� dello svantaggio 
derivante da ciascuno di essi, considerato separatamente, risulti meno 
accentuata; in tale ipotesi, lo svantaggio derivante da questa combinazione 
deve essere equivalente a quello prodotto dalle situazioni descritte sopra ai 
nn. 1e2. 

La determinazione di ciascuna zona avviene con decreto ministeriale�. 

13. -L'art. 4 circoscrive le zone montane nei dipartimenti d'oltremare. 

102 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

14. -L'art. 34, collocato nella Sezione IV del Titolo III della legge relativa 
allo sviluppo dei prodotti agricoli e alimentari di qualit�, era, nella stesura 
vigente all'epoca dei fatti, del seguente tenore: 
�L'indicazione di provenienza �montagna� ed i riferimenti geografici 
specifici alle zone montane come definite dalla presente legge, quali i nomi 
di un massiccio, di una vetta, di una valle, di un comune o di un dipartimento, 
sono tutelati. L'uso dell'indicazione di provenienza e dei riferimenti sopra 
menzionati � subordinato al rispetto, per tutti i prodotti immessi sul mercato, 
delle condizioni stabilite con decreto emanato previa consultazione del 
Conseil ci'Etat e sentito il parere delle organizzazioni professionali rappresentative 
in materia di certificazione di qualit�. Tale decreto determina in 
particolare le tecniche di fabbricazione, il luogo di fabbricazione e la provenienza 
delle materie prime che consentono l'uso dei riferimenti geografici 
sopramenzionati�. 

15. -Il decreto n. 88~194 precisa i requisiti cui devono rispondere.i prodotti, 
le loro materie prime ed i metodi applicati nella loro fabbricazione per 
poter fruire di indicazioni che facciano riferimento alla montagna o ad una 
zona geografica determinata. 
l; ~ 

16. -Ai sensi dell'art. 2 di tale decreto, la zona geografica di produzione, f: 
allevamento, ingrasso, macellazione, preparazione, fabbricazione, affinatura 
.

e condizionamento dei prodotti di cui trattasi, nonch� il luogo di provenien' 


.' 

za delle materie prime utilizzate per la fabbricazione dei prodotti trasformati, 
devono essere situati nelle zone montane come definite nelle condizioni ~ 
fissate dagli artt. 3 e 4 della legge. I 


Ifil 

17. -L'art. 3 del decreto n. 88-194 prevede talune deroghe all'art. 2. Cos�, 
l'obbligo di provenienza da zone montane non si applica alle materie prime 
ili

che, per ragioni naturali, non vengono prodotte nelle dette zone e il luogo di 

I 
I
ru 

macellazione del bestiame utilizzato per la fabbricazione dei prodotti a base 
di carne trasformati, nonch� il luogo di macellazione e condizionamento 
della carne venduta allo stato fresco, possono non essere situati nelle zone 
montane come definite dagli artt. 3 e 4 della legge n. 85-30. I 

18. -Ai sensi dell'art. 4 del decreto n. 88-194, i prodotti in argomento 
devono essere prodotti, preparati o elaborati conformemente ai procedimenI


ti di fabbricazione stabiliti con decreto emanato congiuntamente dal ministro 
dell'agricoltura e dal ministro per la tutela dei consumatori, previo parere 
della commissione nazionale dei marchi e delle commissioni regionali dei 

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prodotti alimentari di qualit�. 

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19. -L'art. 5 del decreto n. 88-194 dispone che �L'autorizzazione all'uso 
dell'indicazione �provenienza montana� o di ogni altro riferimento geografi-j, 
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 103 

co specifico alle zone montane � rilasciata con decreto emanato congiuntamente 
dal ministro dell'agricoltura e dal ministro incaricato della tutela dei 
consumatori, previa consultazione della commissione regionale dei prodotti 
alimentari di qualit��. � previsto inoltre che �Il beneficiario dell'autorizzazione 
deve apporre sui suoi prodotti un segno distintivo definito dal ministro 
dell'agricoltura�. 

20. -I partecipanti al procedimento svoltosi dinanzi alla Corte e, in particolare, 
gli imputati, il governo francese e la Commissione si sono espressi 
in merito alla qualificazione della normativa nazionale di cui trattasi. 
21. -Gli imputati fanno valere che le condizioni cui � subordinato l'uso 
della denominazione �montagna� sono troppo generiche e flessibili perch� 
questa possa considerarsi alla stregua di un'indicazione geografica ai sensi 
dell'art. 2 del regolamento n. 2081192. Tale denominazione non troverebbe 
giustificazione nelle qualit� intrinseche dei prodotti; si tratterebbe esclusivamente 
di una dicitura informativa che fa riferimento alla forma di un rilievo 
caratterizzato da un'altitudine pi� o meno elevata. Il termine sarebbe meramente 
descrittivo, generico e non circoscritto. Gli imputati affermano inoltre 
che, in realt�, la normativa nazionale mira a garantire uno sbocco ai prodotti 
originari delle zone montane riservando loro una protezione mediante una 
denominazione di fantasia. 
22. -Il governo francese osserva che la denominazione �montagna� si 
avvicina maggiormente ad una denominazione di qualit� che non ad un'indicazione 
di provenienza. Esso sottolinea come le condizioni oggettive e 
alquanto rigorose relative alla preparazione e alla fabbricazione dei prodotti 
alimentari che possono recare la dicitura �montagna� sull'etichettatura rivelino 
che lo scopo della normativa � quello di garantire al consumatore, 
mediante quella dicitura, il rispetto di determinate prescrizioni relative alla 
qualit� dei prodotti. Le condizioni poste dall'art. 2 del decreto n. 88-194 
sarebbero dirette, in particolare, ad assicurare al consumatore che il prodotto 
recante la denominazione �montagna� presenti effettivamente le qualit� 
attribuite dal consumatore ai prodotti provenienti dalle zone montane. La 
normativa nazionale subordinerebbe quindi il rilascio dell'autorizzazione per 
l'uso della denominazione alle caratteristiche intrinseche dei prodotti. Si tratterebbe 
in realt� di una normativa che mira ad un'informazione leale del consumatore, 
cercando nel contempo di promuovere in una certa misura i prodotti 
provenienti dalle zone montane. 
23. -La Commissione condivide nella sostanza l'opinione del governo 
francese relativa alla qualificazione della normativa nazionale. A suo parere, 
la denominazione �montagna� pu� essere assimilata ad una indicazione di 
provenienza semplice che, alla luce delle disposizioni del decreto n. 88/194, 

104 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

costituisce un marchio di qualit� diretto a promuovere i prodotti delle zone 
montane, posto che tale origine � atta a valorizzare i prodotti agli occhi dei 
consumatori. 

Il regolamento n. 2081192 

24. -Poich� la questione sollevata in relazione a tale regolamento � diretta 
ad accertare se esso osti all'applicazione di una normativa nazionale come 
quella in. esame nei presenti procedimenti, occorre ricordare l'obiettivo e le 
principali disposizioni del regolamento stesso. 
25. -Il regolamento n. 2081192 ricorda, nel settimo e nel nono 'considerando', 
-che le prassi nazionali di elaborazione e di attribuzione delle denominazioni 
di origine e delle indicazioni geografiche sono attualmente eterogenee; 
che � necessario prevedere un'impostazione comunitaria; che, in effetti, 
un quadro normativo comunitario recante un regime di protezione favorirebbe 
la diffusione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d' origine 
poich� garantirebbe, tramite un'impostazione pi� uniforme, condizioni 
di concorrenza uguali tra i produttori dei prodotti che beneficiano di siffatte 
diciture, ci� che farebbe aumentare la credibilit� dei prodotti in questione 
agli occhi dei consumatori; 

-che il campo d'applicazione del regolamento si limita ai prodotti 
agricoli e alimentari in ordine ai quali esiste un nesso fra le caratteristiche del 
prodotto e la sua origine geografica. 

26. -Ai sensi dell'art. 2, n. 2, del regolamento n. 2081192, si intende per 
�a) �denominazione d'origine�: il nome di una regione, di un luogo 
determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto 
agricolo o alimentare: 
-originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e 
-la cui qualit� o le cui caratteristiche siano dovute essenzialmente o 

esclusivamente all'ambiente geografico comprensivo dei fattori naturali ed 
umani e la cui produzione, trasformazione ed elaborazione avvengano nell'a~ 
rea geografica delimitata; 


b) �indicazione geografica�: il nome di una regione, di un luogo deter


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minato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto 
agricolo o alimentare 
-originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e 

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-di cui una determinata qualit�, la reputazione o un'altra caratteriI 


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stica possa essere attribuita all'origine geografica e la cui produzione e/o ?: 

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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 105 

trasformazione e/o elaborazione avvengano nell'area geografica determinata
�. 

27. -L'art. 4, n. l, del regolamento n. 2081/92 dispone che �Per beneficiare 
di una denominazione d'origine protetta (DOP) o di un'indicazione geografica 
protetta (IGP), i prodotti devono essere conformi ad un disciplinare�. 
Risulta dal n. 2 della medesima disposizione che il disciplinare comprende, 
in particolare, �gli elementi che comprovano che il prodotto agricolo o alimentare 
� originario della zona geografica ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 
2, lettera a) o b), a seconda dei casi�. 
28. -In forza dell'art. 8 del regolamento, �Le menzioni �DOP�, �IGP� o 
le menzioni tradizionali equivalenti possono figurare solo su prodotti agricoli 
ed alimentari conformi al(... ) regolamento�. 
29. -Secondo l'art. 13 le denominazioni, registrate dalla Commissione, 
sono tutelate, in particolare, contro qualsiasi impiego commerciale diretto o 
indiretto di una denominazione registrata per prodotti che non sono oggetto 
di registrazione, nella misura in cui questi ultimi siano comparabili ai prodotti 
registrati con questa denominazione o nella misura in cui l'uso di tale 
denominazione consenta di sfruttare indebitamente la reputazione della 
denominazione protetta. 
30. -L'art. 13, n. 2, stabilisce che gli Stati membri possono tuttavia, sempre 
che siano rispettate talune condizioni, mantenere le misure nazionali che 
autorizzano l'impiego delle espressioni di cui al n. 1, lett. b), per un periodo 
massimo di cinque anni dalla data di pubblicazione del presente regolamento. 
31. -Risulta quindi dal regolamento n. 2081/92 che la protezione delle 
denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche presuppone una registrazione 
la quale implica che i prodotti considerati soddisfino le condizioni 
poste dal regolamento, e in particolare quelle relative al nesso diretto fra la 
qualit� o le caratteristiche del prodotto per il quale � richiesta l'autorizzazione 
e la sua origine geografica specifica. 
32. -I partecipanti al procedimento dinanzi alla Corte osservano che la 
normativa nazionale in esame nelle cause principali non subordina il rilascio 
dell'autorizzazione all'uso della denominazione �montagna� all'esistenza 
di un nesso del genere, di modo che le denominazioni da essa tutelate non 
corrispondono ad alcuna delle definizioni figuranti nell'art. 2 del regolamento 
n. 2081/92. 
33. -Secondo gli imputati, ne consegue che tale regolamento osta all'applicazione 
della normativa nazionale di cui trattasi. Essi ritengono infatti che 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

106 

uno Stato membro non possa consentire che permanga la possibilit� per un 
prodotto di fluire di un'indicazione di provenienza che non trova giustificazioni 
in base al regolamento. 

34. -Il governo francese e la Commissione considerano per contro che 
una normativa come quella in esame nelle cause principali non sia in contrasto 
con il regolamento n. 2081/92 in quanto esula dal suo ambito di applicazione. 
35. -A tale riguardo, si deve constatare che una normativa nazionale 
come quella in esame nelle controversie principali, che stabilisce le condizioni 
per l'uso della denominazione �montagna� per i prodotti agricoli e alimentari, 
non pu� essere considerata applicabile ad una denominazione d'origine 
o a un'indicazione geografica ai sensi del regolamento n. 2081/92. 
Infatti, la denominazione �montagna� riveste un carattere del tutto generico 
che trascende le frontiere nazionali, mentre, secondo l'art. 2 del regolamento 
n. 2081/92, deve esistere un nesso diretto tra la qualit� o le caratteristiche del 
prodotto e la sua origine geografica specifica. 
36. -In termini pi� generali, la denominazione �montagna� non costituisce 
neppure un'indicazione di provenienza, nel senso in cui tale nozione � 
stata definita dalla Corte nella sua giurisprudenza relativa agli artt. 30 e 36 
del Trattato. Infatti, secondo quest'ultima, le indicazioni di provenienza sono 
destinate ad informare il consumatore del fatto che il prodotto che le reca 
proviene da un luogo, da una regione o da un paese determinati (sentenza 10 
novembre 1992, causa C-3/91, Exportur, Racc. pag. I-5529, punto 11). 
37. -In queste circostanze, occorre constatare che, com'� stato rilevato 
dal governo francese e dalla Commissione, una normativa nazionale, quale 
quella in esame nelle cause principali, la quale si limita a dare una protezione 
di carattere generale a una denominazione che evoca nel consumatore 
qualit� legate in astratto alla provenienza dei prodotti da zone montane, � 
troppo lontana dall'ambito di applicazione ratione materiae del regolamento 
n. 2081/92 perch� questo possa opporsi al suo mantenimento in vigore. 
38. -� irrilevante, al riguardo, che la normativa nazionale di cui trattasi 
tuteli non solo la denominazione geografica generale �montagna� in quanto 
tale, ma anche, e alle medesime condizioni, i riferimenti geografici specifici 
alle zone montane, come il riferimento �Monts de Lacaune�. 
39. -Come ha rilevato l'awocato generale al paragrafo 30 delle sue conclusioni, 
bench� il riferimento �Monts de Lacaune� indichi una zona montana 
specifica e potrebbe di conseguenza costituire oggetto di registrazione ai 
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PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 107 

sensi del regolamento n. 2081/92 qualora i legami tra le caratteristiche del 
prodotto di cui trattasi e la detta zona soddisfacessero i requisiti posti dal 
regolamento, legami del genere non sono necessari per ottenere l'autorizzazione 
all'uso di tale denominazione ai sensi della normativa nazionale controversa. 
Risulta, infatti, che quest'ultima tutela i riferimenti geografici di tal 
genere soltanto nei limiti in cui essi evochino una �provenienza montana� e 
non in quanto siano rapportabili a zone montane determinate. 

40. -Occorre dichiarare conseguentemente che il regolamento n. 2081/92 
non osta all'applicazione di una normativa nazionale, come quella prevista 
dall'art. 34 della legge n. 85-30 e dal decreto n. 88-194, che stabilisce i requisiti 
per l'uso della denominazione �montagna� per i prodotti agricoli e alimentari. 
Gli artt. 30 e 36 del Trattato 

41. -Quanto alla seconda parte della questione, il governo francese e la 
Commissione osservano, in via preliminare, che i fatti delle cause principali 
sono circoscritti al territorio nazionale, dato che le azioni penali sono state 
esercitate nei confronti di cittadini francesi, in relazione a prodotti francesi 
messi in commercio nel territorio francese. Secondo il governo francese, tali 
azioni penali non rientrano pertanto nell'ambito di applicazione degli artt. 30 
e 36, che riguardano la libera circolazione delle merci tra Stati membri, e non 
occorrerebbe quindi risolvere la questione della compatibilit� con le dette 
disposizioni di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nelle 
cause principali. 
42. -Questa tesi non pu� essere accolta. 
43. -Infatti, per giurisprudenza costante (sentenza 11 luglio 1974, causa 
8/74, Dassonville, Racc. pag. 837, punto 5), il divieto sancito dall'art. 30 del 
Trattato riguarda ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa 
ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi 
intracomunitari. 
44. -Pertanto, se � vero che l'applicazione di un prowedimento nazionale 
che non riguarda in alcun modo l'importazione delle merci non rientra 
nella sfera dell'art. 30 del Trattato (sentenza 15 dicembre 1982, causa 286/81, 
Oosthoek's Uigeversmaatschappij, Racc. pag. 4575, punto 9), ci� nondimeno 
quest'ultima disposizione non pu� essere disattesa per il solo fatto che, nella 
fattispecie concreta sottoposta all'esame del giudice nazionale, tutti gli elementi 
si collocano all'interno di un solo Stato membro. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

108 

45. -Infatti, in una situazione del genere l'applicazione del provvedimento 
nazionale pu� altres� incidere sulla libera circolazione delle merci tra 
gli Stati membri, in particolare quando tale provvedimento agevoli l'immissione 
in commercio delle merci di origine nazionale a scapito delle merci 
importate. In simili circostanze, l'applicazione del provvedimento, sia pure 
limitatamente ai soli produttori nazionali, fa sorgere e mantiene di per s� una 
differenza di trattamento tra queste due categorie di merci, ostacolando, per 
lo meno potenzialmente, gli scambi intracomunitari. 
46. -Nel caso di specie, il governo francese sottolinea come la normativa 
nazionale di cui trattasi nelle cause principali non viene applicata 
dalle autorit� francesi ai prodotti importati dagli altri Stati membri. Sin 
dalla sua entrata in vigore nel 1988, non � stata esercitata alcuna azione 
penale riguardante prodotti importati dagli Stati membri e recanti la dicitura 
�montagna�. Alla luce di quanto sopra, non si potrebbe sostenere che 
la normativa in esame costituisca attualmente una misura di effetto equivalente 
a una restrizione quantitativa ai sensi dell'art. 30 del Trattato. Il 
governo francese riconosce tuttavia che la lettera dell'art. 34 della legge n. 
85-30 non esclude espressamente dalla sua sfera di applicazione i prodotti 
importati da altri Stati membri e che, di conseguenza, pu� essere formulata 
l'ipotesi che l'immissione in commercio di prodotti importati, 
recanti diciture che facciano riferimento alla montagna, sia considerata 
contrastante con la normativa in esame, non avendo essi ottenuto l'autorizzazione 
prevista. 
47. -Il governo francese afferma inoltre che, nei limiti in cui l'applicazione 
della normativa nazionale fosse idonea a costituire un ostacolo alla 
libera circolazione delle merci, quest'ostacolo sarebbe giustificato da motivi 
connessi alla tutela dei consumatori e alla lealt� dei negozi commerciali. 
48. -Poich� il governo francese ha ammesso che la normativa nazionale 
in esame pu� essere applicata ai prodotti importati da altri Stati membri, si 
deve anzitutto constatare che essa costituisce un ostacolo agli scambi intracomunitari 
ai sensi dell'art. 30 del Trattato. 
49. -Si deve poi rilevare che una normativa come quella in esame nelle 
cause principali � discriminatoria nei confronti delle merci importate dagli 
altri Stati membri in quanto riserva l'uso della denominazione �montagna� 
ai soli prodotti fabbricati nel territorio nazionale e elaborati. a partire da 
materie prime nazionali (v., in tal senso, sentenza 12 ottobre 1978, causa 
13/78, Eggers, Racc. pag. 1935, punto 25). 
50. -Infatti, risulta dall'art. 2 del decreto n. 88-194 nonch� dagli artt. 
3-5 della legge n. 85-30 che un prodotto pu� beneficiare della denomina

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 109 

zione �montagna� o dei riferimenti geografici specifici alle zone montane a 
condizione che la produzione, la preparazione, la fabbricazione e il condizionamento 
di tale prodotto vengano effettuati in zone montane situate nel 
territorio francese. Emerge quindi che la normativa esclude che i prodotti 
importati possano soddisfare i requisiti cui � subordinato il rilascio del!'
autorizzazione all'uso della denominazione �montagna�. 

51. -Del pari, il rilascio della detta autorizzazione � subordinato, ai sensi 
dell'art. 2 del decreto n. 88-194, all'uso, nel procedimento di fabbricazione dei 
prodotti trasformati, di materie prime provenienti da zone montane situate 
nel territorio francese. Ai termini di tale normativa, i prodotti importati non 
possono quindi rientrare nel procedimento di fabbricazione dei prodotti trasformati 
recanti la denominazione �montagna�. 
52. -Per giurisprudenza costante, una normativa nazionale di tal genere, 
poich� ha carattere discriminatorio, pu� trovare una giustificazione, se 
del caso, soltanto in uno dei motivi previsti dall'art. 36 del Trattato (v., in tal 
senso, sentenza 17 giugno 1981, causa 113/80, Commissione/Irlanda, Racc. 
pag. 1625, punti 8-11). 
53. -Nel caso di specie, si deve constatare che nessuno dei motivi elencati 
nell'art. 36 consente di giustificare la normativa considerata. Infatti, tra 
i detti motivi, soltanto la tutela della propriet� industriale e commerciale, 
vale a dire, nella specie, la protezione delle indicazioni di provenienza, pu� 
essere presa in considerazione. Ebbene, risulta dal punto 36 della presente 
sentenza che la denominazione �montagna�, come protetta dalla normativa 
nazionale di cui trattasi, non pu� essere qualificata alla stregua di un'indicazione 
di provenienza. 
54. -La seconda parte della questione posta dev'essere pertanto risolta 
dichiarando che l'art. 30 del Trattato osta all'applicazione di una normativa 
nazionale) come quella prevista dall'art. 34 della legge n. 85-30 e dal decreto 
n. 88-194, che riserva l'uso della denominazione �montagna� ai soli prodotti 
fabbricati nel territorio nazionale ed elaborati a partire da materie prime 
nazionali. 
55. -Alla luce di quanto sopra, non occorre esaminare la questione 
diretta ad accertare se -e, eventualmente, a quali condizioni -una normativa 
nazionale analoga alla normativa francese in esame, ma che non 
comporti discriminazioni nei confronti dei prodotti importati dagli altri 
Stati membri, possa essere conforme a quanto prescritto dagli artt. 30 e 36 
del Trattato (omissis). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

110 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, la sez., 17 luglio 
1997, nella causa C-17 /96 -Pres. S�von -Rel. Wathelet -Avv. Gen. Elmer 
-Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesvetwaltungsgericht 
nella causa Badische-Er&ischungs-Getranke GmbH c. Land 
Baden Wilrttemberg -lnterv.: Governi francese (ag. Salins), irlandese 
(aw. O' Reilly), italiano (aw. Stato Fiumara) e del Regno unito (aw. 
Ridly) e Commissione delle C.E. (ag. Schmidt). 

Comunit� europee -Ravvicinamento delle legislazioni -Acque minerali naturali 
-Nozione -Acque con propriet� salutari. 
(Direttiva CEE del Consiglio 15 luglio 1980, n. 80/777; decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 105). 

n combinato disposto dell'art. 1, n. 1, e dell'allegato I, parte I, punti 1 e 
2, della direttiva del Consiglio 15 luglio 1980, n. 801 777/CEE, in materia di 
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri sull'utilizzazione e la 
commercializzazione delle acque minerali naturali, va interpretato nel senso 
che osta a che uno Stato membro esiga che un acqua abbia propriet� salutari 
per poter essere riconosciuta come acqua minerale naturale (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 31 agosto 1995, giunta alla Corte il 19 gennaio 
1996, il Bundesvetwaltungsgericht ha sollevato, ai sensi dell'art. 177 del 
Trattato CE, tre questioni concernenti l'interpretazione della direttiva 15 
luglio 1980, 80/777/CEE, in materia di ravvicinamento delle legislazioni degli 
Stati membri sull'utilizzazione e la commercializzazione delle acque minerali 
naturali (GU L 229, pag. 1; in prosieguo: la �direttiva�). 

2. -Le questioni sono sorte nell'ambito di una controversia fra la 
Badische Er&ischungs-Geriinke GmbH & CO. KG, societ� per lo sfruttamen(
1) Dall'incerto testo della direttiva, le cui diverse versioni linguistiche autorizzavano 
pi� interpretazioni, la Corte ha tratto la soluzione meno rigida, negando che 
un'acqua per dirsi minerale (a prescindere da quelle preesistenti alla direttiva stessa) 
debba avere, oltre che determinate caratteristiche di provenienza, di composizione e di 
igiene, anche �propriet� favorevoli alla salute�: escluso, del resto, che queste possano 
identificarsi in propriet� di prevenzione, cura o guarigione di una �malattia� -intesa 
questa come una condizione patologica e abnorme dell'organismo, un'alterazione pi� 
o meno grave della salute-, nel qual caso l'acqua viene classificata fra i medicinali, 
riuscirebbe difficile individuare oggettivamente e realmente diverse propriet� favorevoli 
in generale alla �salute� -intesa questa come lo stato fisiologico di benessere fisico 
e di armonico sviluppo dell'organismo. 
La normativa italiana di attuazione che considera �acque minerali naturali le 
acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una 

o pi� sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e 
propriet� favorevoli alla salute� (art. 1, n. 1, decreto legislativo 25 gennaio 1992 n. 105), 
va quindi ridimensionata per l'ultimo requisito richiesto. � 
O.F. 

PARTE I, SEZ. II, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 111 

to di acque minerali, e il Land del Baden-Wiirttemberg in ordine al diniego 
da parte di quest'ultimo del riconoscimento come acqua minerale naturale 
dell'acqua di una delle sorgenti della societ�. 

3. -Verso la fine degli~'80 la Badische Erfrischungs-Getrlinke rinveniva 
una sorgente. Dall'analisi e dagli esami degli effetti fisiologico-nutrizionali 
dell'acqua che ne proveniva risultava un contenuto ridotto di sodio e di cloruro, 
cosa che secondo la Badische Erfrischungs-Getrlinke la rendeva particolarmente 
indicata nelle diete povere di sodio e per combattere l'ipertensione. 
4. -La Badische Erfrischungs-Getranke presentava al Land del BadenWiirttemberg 
una domanda di riconoscimento dell'acqua come �acqua minerale 
naturale�. 
5. -Con provvedimenti 28 novembre 1989 e 2 aprile 1990, il Land del 
Baden-Wiirttemberg la respingeva per il motivo che l'acqua non poteva avere 
gli �effetti fisiologico-nutrizionali� richiesti dalla normativa tedesca senza un 
certo contenuto positivo di componenti essenziali. 
6. -Infatti, l'art. 2, punto 2, della Mineral-und Tafelwasser Verordnung 
(decreto sulle acque minerali e da tavola) dispone quanto segue: 
�Si intende per �acqua minerale naturale� l'acqua che possieda i requisiti 
seguenti (. .. ) 

2. -� caratterizzata dalla purezza originaria ed ha determinati effetti 
fisiologico-nutrizionali a causa del contenuto di minerali, oligoelementi o 
altri componenti�. 
7. -La Badische Erfrischungs-Getranke presentava un ricorso al 
Verwaltungsgericht di Karlsruhe, che lo ha respinto con sentenza 8 novembre 
1991. Tale pronuncia � stata confermata il 30 novembre 1993 dal 
Verwaltungsgerichtshof del Baden-Wilrttemberg in quanto la societ� non 
aveva provato che l'acqua aveva effetti fisiologico-nutrizionali risultanti dai 
suoi componenti, come esige la disciplina tedesca. Secondo il giudice d'appello, 
l'assenza o il contenuto estremamente ridotto di talune sostanze non 
sono sufficienti a conferire la qualit� di acqua minerale naturale. 
8. -Adito con ricorso per cassazione (�Revision�), il Bundesverwaltungsgericht 
ha confermato che la disciplina tedesca doveva interpretarsi nel 
senso che deve esistere un nesso di causalit�'tra il contenuto di componenti 
dell'acqua e i suoi effetti fisiologico-nutrizionali. 
9. -Il Bundesverwaltungsgericht si interroga per� sulla compatibilit� di 
tali requisiti con la direttiva, la quale armonizza la definizione di acque minerali 
naturali e i presupposti del loro riconoscimento nonch� il regime di sfruttamento 
e distribuzione. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

112 

10. -L'art. l, n. l, della detta direttiva dispone: 
�La presente direttiva riguarda le acque estratte dal suolo di uno Stato 
membro e riconosciute dall'autorit� responsabile di tale Stato membro come 
acque minerali naturali conformi alle norme contenute nell'allegato I, parte I�. 

I punti 1 e 2 dell'allegato I, parte I (�Definizione�) recitano: 

�l. Per �acqua minerale naturale� si intende, ai sensi dell'articolo 5, 
un'acqua batteriologicamente pura, la quale abbia per origine una falda o un 
giacimento sotterranei e provenga da una sorgente con una o pi� emergenze 
naturali o perforate. 
L'acqua minerale naturale si distingue nettamente dall'acqua ordinaria 
da bere: 
a) per la sua natura, caratterizzata dal tenore in minerali, oligoelementi 
o altri costituenti ed eventualmente per taluni suoi effetti; 

b) per la sua purezza originaria; 
caratteristiche, queste, rimaste intatte data l'origine sotterranea dell'acqua 
che � stata tenuta al riparo da ogni rischio di inquinamento. 

2. Queste caratteristiche, che sono tali da conferire all'acqua minerale 
naturale le sue propriet� salutari, devono essere state valutate: 
a) sui piani 

1) geologico e idrologico, 

2) fisico, chimico e fisico-chimico, 

3) microbiologico, 

4) se necessario, farmacologico, fisiologico e clinico; 

b) secondo i criteri indicati nella parte II; 
c) secondo i metodi scientificamente riconosciuti dall'autorit� 
responsabile. 

(...)�. 

11. -Il Bundesverwaltungsgericht nutre dubbi in ordine alla questione 
se la direttiva subordini il riconoscimento della qualit� di acqua minerale 
naturale al possesso di propriet� salutari e, eventualmente, se le dette propriet� 
debbano essere comprovate. In tal caso, esso si domanda se le propriet� 
salutari possano risultare dall'assenza di un componente nell'acqua di 
cui trattasi ovvero dalla presenza ridotta di tale componente. Infine, tenuto 
conto dell'uso delle parole �effetti fisiologico-nutrizionali� nella normativa 
tedesca, il Bundesverwaltungsgericht si interroga sulla portata delle nozioni 
di �effetti� e di �propriet� salutari� di cui ai punti 1 e 2 dell'allegato I, parte 
I, della direttiva. 
12. -Il Bundesverwaltungsgericht ha pertanto sospeso il procedimento al 
fine di sottoporre alla Corte le seguenti questioni: 
�1) Se il combinato disposto dell'art. 1, n. 1, e dell'allegato I (parte I, 
Definizione) della direttiva del Consiglio 15 luglio 1980, 80/777/CEE, debba 


PARTE I, SEZ. Il, GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 113 

essere interpretato nel senso che -a prescindere dal gruppo delle �acque 
preesistenti� di cui all'allegato I, parte I, Definizione, punto 2, secondo 
comma -un'acqua pu� essere riconosciuta come acqua minerale naturale 
solo se ha propriet� salutari e, in caso affermativo, che tali propriet� devono 
essere dimostrate. 

2) Se le propriet� salutari eventualmente richieste possano risultare 
anche dal basso tenore o dall'assenza dei costituenti indicati nel titolo I, 
punto 1, lett. a) dell'allegato I (ad esempio acque a basso tenore di sodio). 

3) In che modo le nozioni di �propriet� salutari� di cui alla parte I, 
punto 2, dell'allegato I e di �taluni(... ) effetti� di cui alla parte I, punto 1, lett. 
a), dell'allegato I (v. anche parte II, punto 1.4.1 dell'allegato I) debbano essere 
distinte l'una dall'altra�. 

Sulla prima questione 

13. -Il Land del Baden-Wilrttemberg, sostenuto dai governi francese e 
italiano, afferma che un'acqua pu� essere riconosciuta come acqua minerale 
naturale solo se abbia propriet� salutari. L'acqua minerale naturale non verrebbe 
definita unicamente con riferimento alla sua origine, al suo tenore e al 
suo stato, bens� anche con riferimento ai suoi effetti fisiologico-nutrizionali, 
i quali risultano dal contenuto di minerali, oligoelementi o altri componenti 
che determinano la natura dell'acqua. Dall'allegato I, parte I, punto 2, risulterebbe 
che le propriet� salutari dell'acqua devono essere comprovate. La 
disposizione del punto 2 integrerebbe e chiarirebbe il punto 1 esigendo una 
valutazione delle caratteristiche elencate al punto 1 al fine di accertare concretamente 
l'esistenza di propriet� salutari. 
14. -La Commissione ritiene che i punti 1 e 2 dell'allegato I, parte I, che 
costituiscono ambedue elementi della definizione di acqua minerale naturale, 
vadano letti nel loro complesso. Le versioni tedesca, inglese, olandese e 
danese del punto 2 sarebbero simili e tutte equivoche per quanto riguarda la 
questione sollevata. Invece le versioni francese, italiana e spagnola del punto 
2 non lascerebbero emergere dubbi sul fatto che l'acqua minerale naturale 
deve sempre possedere siffatte propriet�. 
15. -Va rilevato anzitutto che il punto 1 dell'allegato I, parte I, che definisce 
l'acqua minerale naturale, non menziona le �propriet� salutari�. Infatti, 
il primo comma del punto 1 definisce l'acqua minerale naturale come un'acqua 
batteriologicamente pura di origine sotterranea. Quanto al secondo 
comma, esso si limita a precisare che l'acqua minerale naturale si distingue 
dall'acqua ordinaria da bere per due caratteristiche, e cio� in primo luogo per 
la sua natura, caratterizzata dal tenore in minerali, oligoelementi o altri costituenti 
ed eventualmente per taluni suoi effetti e in secondo luogo per la sua 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

114 


purezza originaria, oltre al fatto che l'origine sotterranea consente di conservarle 
intatte. La nozione di �propriet� salutari� viene menzionata solo nel 
punto 2 dell'allegato I, parte I. 

16. -A questo proposito il Consiglio non ha seguito la proposta di direttiva 
della Commissione (GU 1970, C 69, pag. 14), che conteneva il requisito inerente 
alle propriet� salutari nel punto 1. Tale mutamento di collocazione induce 
a ritenere che il Consiglio non intendesse subordinare il riconoscimento di 
un'acqua come acqua minerale naturale al possesso di propriet� salutari. 
17. -Quest'interpretazione � corroborata dal fatto che la direttiva non 
contiene una definizione della nozione di propriet� salutari. Se il Consiglio 
avesse voluto che il possesso di propriet� salutari costituisse una caratteristica 
delle acque minerali naturali, la direttiva, che � precisa e particolareggiata, 
avrebbe contenuto norme su tale punto, come ha giustamente osservato 
l'avvocato generale nel paragrafo 18 delle conclusioni. 
18. -Infine, la frase �che sono tali da conferire all'acqua minerale naturale 
le sue propriet� salutari� si limita a citare un possibile effetto delle caratteristiche 
dell'acqua. La sua portata meramente descrittiva contrasta in modo 
netto con il contenuto vincolante della proposizione principale della frase, 
in forza della quale le caratteristiche dell'acqua minerale, di cui al punto 1, 
�devono� essere state valutate su diversi piani, secondo determinati criteri 
e secondo i metodi scientificamente riconosciuti dall'autorit� responsabile 
(v. l'allegato I, parte I, punto 2, prima frase). 
19. -Alla luce delle considerazioni sin qui svolte si deve risolvere la 
prima questione dichiarando che il combinato disposto dell'art. 1, n. 1, e dell'allegato 
I, parte I, punti 1 e 2, della direttiva va interpretato nel senso che 
osta a che uno St�ito membro esiga che un'acqua abbia propriet� salutari per 
poter essere riconosciuta come acqua minerale naturale. 
Sulla seconda e terza questione 

20. -Tenuto conto della soluzione della prima questione, non occorre 
risolvere la seconda e la terza questione (omissis). 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA DI DIRITTO 
E PROCEDURA CMLE 


CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 17 gennaio 1997 n. 464 -Pres. Lipari -Rel. 
Rordorf-P.M. Di Zenzo (conf.) -A.N.A.S. (avv. Stato Baglietto) c. Russo 
(avv. Amato). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione appropriativa di terreni Danni 
-Prescrizione quinquennale -Decorrenza. 
(cod. civ., art. 2947). 

n termine quinquennale del diritto al risarcimento dei danni per occupazione 
appropriattiva d'un terreno irreversibilmente trasformato dopo lo spirare 
del termine di occupazione legittima decorre dalla data della radicale modificazione 
delle caratteristiche strutturali dell'immobile, restando irrilevanti la 
data della formale ultimazione dell'opera o quella del suo collaudo (1). 

(omissis) 1.-I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono 
essere riuniti, a norma dell'art. 335 c.p.c. 

2. -Il ricorso principale avanzato dall'ANAS appare fondato. 
Com'� ben noto, dopo alcune incertezze interpretative, questa Corte ha 
ripetutamente avuto modo di chiarire che l'azione del privato, volta ad ottenere 
il pagamento di una somma di denaro corrispondente al valore del 
fondo perduto a seguito di occupazione illegittima e d'irreversibile trasformazione 
dello stesso fondo in opera pubblica, soggiace al termine quinquennale 
di prescrizione stabilito dall'art. 2947, primo comma, e.e. L'acquisto a 
titolo originario della propriet� in capo alla pubblica amministrazione � 
effetto dell'impossibilit� di restituzione del bene, ma questa a propria volta 
dipende da un comportamento illecito dell'amministrazione medesima, consistente 
nella realizzazione dell'opera pubblica con violazione delle norme 
che fissano i casi ed i modi per il sacrificio della propriet� privata ai fini di 
interesse generale. Donde consegue che la suddetta azione inerisce non ad un 
credito di controvalore, rispondente ad un lecito acquisto della propriet� a 
titolo originario, bens� ad un vero e proprio credito risarcitorio per fatto illecito. 
Nulla perci� consente di sottrarre tale credito alla regola fissata, in tema 

(1) Nello stesso senso, ex multis, Cass. 12 aprile 1994 n. 3403, in Riv. giur. edilizia 
1994, I, 753; e, specificamente per l'irrilevanza della data del collaudo Cass. 13 
luglio 1994 n. 6561. 

116 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

di prescrizione dell'azione aquiliana, dal primo comma del citato art. 2497 
(cfr., tra le altre, Cass., sez. un., 25 novembre 1992, n. 12546; Cass., sez. un., 
2 ottobre 1993, n. 9826; Cass. 14 giugno 1994, n. 5748; Cass., sez. un., 6 
dicembre 1994, n. 10467; Cass. 4 maggio 1995, n. 4853; Cass. 4 maggio 1995, 

I

n. 4862; e Cass. 4 giugno 1996, n. 5130). 
Da tale ormai consolidato orientamento non v'� motivo di discostarsi nel 
presente caso. 
L'impugnata sentenza della Corte d'appello di Napoli, nella parte in cui 
ha invece ritenuto applicabile il pi� lungo termine di prescrizione decennale, 
dev'essere perci� annullata. 

3. -Quanto appena osservato rende per� necessario esaminare anche il 
ricorso incidentale (implicitamente condizionato all'accoglimento di quello 
principale) con cui la Societ� intimata ha censurato l'impugnata sentenza 
della Corte napoletana per aver fatto decorrere il termine di prescrizione del 
diritto al risarcimento dei danni di cui si discute dalla data del compimento 
dell'opera pubblica implicante l'irreversibile trasformazione del suolo privato. 
A parere della ricorrente incidentale, viceversa, la prescrizione avrebbe 
dovuto essere computata a partire da un momento successivo, e, se cos� avesse 
fatto, la corte si sarebbe agevolmente resa conto che, quando la societ� 
Russo richiese giudizialmente i danni conseguenti alla perdita della disponibilit� 
del fondo, neppure il termine quinquennale era ancora scaduto. 
La doglianza appare peraltro formulata in modo tale da suggerire che 
essa si articoli in un duplice profilo: giacch�, per un verso, la ricorrente incidentale 
afferma che i lavori per la realizzazione dell'opera sarebbero stati 
�terminati nel 1982�; e, per altro verso, sostiene che solo l'accertamento in 
sede di collaudo dell'idoneit� dell'opera a soddisfare l'interesse pubblico accertamento 
in concreto verificatosi nel 1983 -determinerebbe l'irreversibilit� 
della modificazione impressa al suolo di propriet� privata e causerebbe, 
quindi, l'effetto ablativo della propriet� medesima in favore della pubblica 
amministrazione. Ragion per cui la domanda proposta nel dicembre 1986 
sarebbe valsa ad interrompere tempestivamente detto termine. 

Nessuno dei due indicati profili di doglianza (il primo dei quali, oltre 
tutto, collide con il diverso accertamento insindacabilmente compiuto al 
riguardo, in punto di fatto, dal giudice di merito) coglie per� nel segno. 

Nel caso di opera eseguita sul presupposto di una dichiarazione di pubblica 
utilit�, ma dopo lo spirare del termine di occupazione legittima del 
suolo, il fenomeno della cosiddetta accessione invertita -per effetto del 
quale la pubblica amministrazione acquisisce la propriet� del terreno su cui 

I

l'opera insiste -si verifica non appena tale opera, nel modificare radical


~ 

mente la situazione del suolo ed impedirne ogni altra autonoma utilizzazio@ 


t 

ne, abbia assunto caratteristiche strutturali tali da far s� che essa sia tipoloi 
gicamente riconducibile al relativo progetto e non sia pi� eliminabile senza ~ 

I 

I:
un'ulteriore rilevante trasformazione di quanto gi� costmito. � questo, infat


I ' 

ti, che consente di parlare di una trasformazione del suolo, ormai divenuto 

I 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 117 

parte integrante della struttura su di esso eretta, ed al medesimo tempo rende 
tale trasformazione irreversibile, a cagione della prevalenza che dev'essere 
accordata ad un'opera destinata a soddisfare ragioni di pubblica utilit� e del 
peculiare regime da cui, di conseguenza, l'opera pubblica � connotata. 

Non assumono perci� rilievo, in tale contesto, n� la data della formale 
ultimazione dell'opera, se successiva a quella in cui essa ha ormai acquisito i 
suindicati connotati strutturali, n�, tanto meno, quella del suo collaudo: perch� 
anche prima di questi momenti non sarebbe ipotizzabile, in presenza di un'irreversibile 
trasformazione gi� verificatasi (nel senso sopra chiarito) del fondo 
occupato, un provvedimento che, ordinando la restituzione al privato della 
disponibilit� di detto fondo, per ci� stesso attribuirebbe a quanto ivi realizzato 
una destinazione diversa da quella impressagli dalla pubblica amministrazione 
in conformit� all'originaria dichiarazione di pubblica utilit� (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 gennaio 1997, n. 546. -Pres. Borruso Est. 
Rovelli -P.M. Martone (conf.) -Commissario ad acta del Ministero 
dei Lavori Pubblici per la disciolta Agenzia per la promozione e sviluppo 
del Mezzogiorno (avv. Stato G. Arena) c. COGIELTE S.p.a. (avv. 
Felisari) e Comune di Seulo (avv. Menghini e Murgia). 

Procedimento civile -Garanzia impropria -Scindibilit� del rapporto -Effetti 
(c.p.c., artt. 106, 324, 329, 332, 342; cod. civ., art. 2969). 

L'azione principale e quella di garanzia impropria sono autonome e scindibili, 
cos� che il rapporto di subordinazione logica o pregiudizialit� fra le 
stesse pu� venir meno nel giudizio di gravame. Peraltro, il giudicato formatosi 
sul rapporto principale non estende i suoi effetti al chiamato in garanzia, 
che pu� impugnare la sentenza di primo grado sul rapporto principale limitatamente 
all'ambito del rapporto di garanzia e solo per i riflessi che detta 
decisione pu� avere su di esso.(1) 

(omissis) Con l'atto introduttivo, la Societ� COGIELTE evocava in giudizio 
il Comune di Seulo, per sentirlo condannare al pagamento del residuo 
prezzo di alcune opere eseguite dall'impresa attrice per ordine dell'ente pub


(1) La sentenza annotata, riaffermando il principio della scindibilit� in sede di 
gravame delle cause connesse per garanzia impropria, nonch� affrontando la questione 
degli effetti di detta scindibilit� sulla legittimazione e l'interesse ad impugnare, 
offre lo spunto per sintetizzare i principi fondamentali cui � improntato l'ormai consolidato 
indirizzo della Suprema Corte sull'argomento. Gi� dal 1981 (Cass. S.U. 24 
luglio 1981 n. 4779, in Giust. Civ. 1982, I, pp. 989 ss. e giurisprudenza ivi richiamata), 
le Sezioni Unite hanno avuto modo di ricondurre ad unit� i due principali orientamenti 
espressi sulla questione dalle singole sezioni. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

118 


blico. Si costituiva il Comune assumendo che i corrispettivi dovuti alla 
societ� appaltatrice dovevano essere eseguiti dalla CASMEZ -ente finanziatore 
-chiedendone la chiamata in causa per la manleva. La CASMEZ, 
ritualmente evocata, eccepiva, in principalit� l'incompetenza per territorio 
del Tribunale, in subordine, l'inesistenza del debito essendo stati riscontrati 
vizi di esecuzione delle opere appaltate. L'adito Tribunale di Milano rigettava 
l'eccezione d'incompetenza territoriale, condannava il Comune di Seulo a 
pagare all'attrice la somma capitale di L. 19.211.193 e la CASMEZ a manlevare 
il Comune. Avverso tale sentenza proponeva appello la sola Agenzia per 
la Promozione dello Sviluppo nel Mezzogiorno (gi� CASMEZ) eccependo l'intervenuta 
decadenza di COGIELTE a pretendere (oltre al saldo) l'importo 
della revisione prezzi, richiesta oltre il termine di decadenza di cui all'art. 2 
decr. leg. C.p.S. 6 dicembre 1947 n. 1501, nonch� il difetto di giurisdizione 

Da un lato, vi � un indirizzo secondo cui -in presenza di un rapporto di garanzia 
impropria, nel quale l'azione principale e quella accessoria sono fondate su titoli 
distinti -esiste fra le stesse una relazione di accessoriet�, tale da legittimare il chiamato 
in garanzia allo svolgimento delle sole attivit� processuali rientranti nell'ambito 

delle eccezioni e domande riconvenzionali proposte dal convenuto chiamante, con 
conseguente esclusione di un'autonoma legittimazione del chiamato in garanzia ad 
impugnare le statuizioni sul rapporto principale. 

Dall'altro, vi � l'impostazione -diametralmente opposta -secondo cui il chiamato 
in garanzia, bench� la sua posizione sia accessoria e subordinata a quella dell'obbligato 
principale, pu� esercitare autonomamente tutti i poteri della parte principale, 
ivi compreso quello di appellare le statuizioni sul rapporto principale, seppure 
limitatamente all'ambito del rapporto di garanzia e per i riflessi che la decisione pu� 
avere su di esso. In definitiva, secondo questa tesi, l'interdipendenza fra le cause trattate 
unitariamente in primo grado pu� venir meno per gli effetti processuali nella fase 
di impugnazione, cos� che la decisione di primo grado, pur passando in giudicato 
rispetto alle parti del rapporto principale, non estende i suoi effetti rispetto al chiamato 
in garanzia ed al rapporto di questi con il chiamante. 

Dal punto di vista logico, quest'ultima impostazione sembra senz'altro la pi� corretta, 
sol che si consideri che il chiamato in garanzia ha un autonomo interesse a contestare 
la sentenza che condanni l'obbligato principale. Ci� in quanto -rimuovendo 
tale condanna -egli �fa venir meno il presupposto della responsabilit� di colui che � 
stato chiamato dal convenuto stesso soltanto in garanzia impropria� (Cass. sez. I, n. 
5151 del 27 luglio 1983 in Mass. Foro it. 1983, 1060). 

Il fatto che la posizione del chiamato tragga comunque origine da un titolo diverso 
rispetto a quello posto a base dell'obbligazione principale, peraltro, non � privo di 
rilevanza neppure secondo tale ultimo indirizzo giurisprudenziale. 

Infatti, l'autonoma legittimazione ad impugnare i capi di sentenza che statuiscono 
sul rapporto principale � giustificata dalla S. C. solo ove ricorrano certe situazioni, 
e cio� se il chiamato in garanzia non si sia limitato a contestare detto rapporto, ma 
abbia partecipato al dibattito sullo stesso (Cass. sez. I, n. 807 del 20 febbraio 1978, in 
Mass. Foro it. 1978, 158), oppure se la chiamata in causa del garante non sia avvenuta 
solo in vista della rivalsa, ma anche in virt� di una strettissima connessione tra rapporto 
accessorio e principale, tale da renderne imprescindibile la trattazione unitaria. Tale ultima 
situazione � ravvisata ad esempio quando il fatto generatore dell'obbligazione principale 
sia addebitato esclusivamente ~terzo chiamato, oppure quest'ultimo non si limi



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 119 

dell'A.G.O., non essendo stato adottato dal Comune il provvedimento formale 
di concessione della revisione stessa, quale presupposto dell'insorgenza del 
diritto soggettivo; rilevava, infine, l'esistenza di vizi nell'esecuzione dell'appalto. 
La Corte d'appello di Milano, con sentenza depositata il 17 dicembre 
1993, rigettava l'appello. Osservava che la sentenza del Tribunale � passata in 
giudicato rispetto alle statuizioni della causa principale fra le parti originarie. 
Quanto al rapporto di garanzia impropria, rilevava che la decadenza 
doveva essere eccepita dal Comune, nella causa principale, e non poteva essere 
rilevata d'ufficio dai primi giudici; che anche la questione di giurisdizione 
� preclusa dal giudicato, mentre infondata � la doglianza relativa ai vizi. 

Avverso detta sentenza, il Commissario ad acta del Ministero dei LL.PP. 
(per la disciolta Agenzia per la Promozione dello Sviluppo del Mezzogiorno) 
proponeva ricorso per cassazione, affidato a due mezzi di annullamento. 
Resistevano le parti intimate, notificando controricorso. 

MOTM DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo, la ricorrente Amministrazione, deducendo violazione 
degli artt. 106. 324, 329, 332, 342 c.p.c., 2969 e.e. e vizio di motivazione, 
osserva che, la Corte di merito, rilevando l'omessa deduzione da parte del 
Comune -convenuto principale -delle questioni relative al decorso del termine 
di decadenza dal difetto di giurisdizione, ha omesso di' decidere sui 
motivi di appello, in proposito formulati dalla Cassa, erroneamente ritenendo 
che le questioni fossero coperte dal giudicato. 

Con il secondo motivo, deducendosi vizio di mqtivazione, si rileva che la 
Corte non ha accertato che l'appaltatrice era risultata inadempiente, essendo 
emerse, in sede di collaudo, gravi deficienze in ordine all'esecuzione di alcune 
opere. 

Tali motivi non appaiono fondati alla stregua delle osservazioni che 
seguono. 

ti a contestare il rapporto di garanzia, ma, come accade anche nella sentenza in commento, 
estenda la contestazione alla stessa esistenza di quello principale (Cass. s.u. 
4779/81 cit.). 

Invero, la decisione che qui si commenta risolve un caso nel quale tutti i presupposti 
ed i limiti individuati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite con riferimento al 
potere di impugnativa del chiamato in garanzia impropria relativamente a statuizioni 
sul rapporto principale, indiscutibilmente ricorrono: tanto ci� vero, che il rigetto del 
ricorso proposto dall'Agenzia non viene dalla Corte fondato sulla reiezione del motivo 
riguardante l'erronea statuizione della Corte d'Appello in ordine alla pretesa formazione 
del giudicato, bens� solo sull'osservazione che l'intervenuto riconoscimento del diritto 
dell'attore ad opera dell'obbligato principale � preclusivo rispetto alla maturazione 
della decadenza invocata dal chiamato in garanzia. 

M.R. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

120 

Devesi rammentare che, nel caso di chiamata in causa per garanzia 
impropria -che si verifica allorch� colui che sia stato convenuto in giudizio 
dall'attore intende essere rilevato dal garante di quanto sia eventualmente 
condannato a pagare -l'azione principale e quella di garanzia sono fondate 
su titoli diversi, con la conseguenza che le due cause sono distinte e scindibili, 
sussistendo fra loro un vincolo di subordinazione logica o di pregiudizialit�-
dipendenza che, in quanto tale, pu� venir meno nella fase di gravame 

(v. Cass. 22 gennaio 1987 n. 577; 22 gennaio 1985 n. 376). Qualora pertanto, 
come nella specie, manchi, da parte del convenuto rimasto soccombente, 
l'impugnazione della pronuncia sulla causa principale, la definizione di tale 
causa, con il passaggio in giudicato della decisione in essa resa tronca ogni 
relazione processuale tra la causa principale e quella dipendente. Peraltro, 
data la autonomia dei due rapporti, il giudicato formato sul rapporto principale, 
tra le parti di questo, non estende i suoi effetti al chiamato in garanzia 
impropria, nel rapporto con il soggetto garantito, s� che resta consentito contestare 
l'esattezza di detta decisione di merito, nel limitato ambito del rapporto 
di garanzia e per i riflessi che la stessa decisione pu� avere su di esso. 
Pertanto l'appello del solo chiamato in garanzia ha implicato il passaggio in 
giudicato della sentenza nel rapporto fra le parti della causa principale, ma il 
giudicato che si forma sulla stessa non estende i suoi effetti al chiamato in 
garanzia impropria in ordine al rapporto col chiamante, ed il chiamato pu� 
impugnare la statuizione sul rapporto principale solo nell'ambito del rapporto 
di garanzia e per i riflessi che la decisione pu� avere su di esso (v. Cass. 9 
aprile 1990 n. 2943; 27 aprile 1981 n. 4779). 
Peraltro, per quanto concerne l'eccepito difetto di giurisdizione 
dell'A.G.O. -nella controversia fra il Comune e l'impresa appaltatrice (in 
ordine alla spettanza della revisione prezzi) -, devesi rilevare che I'eccezione 
non attiene alla �sostanza� del rapporto: non implica contestazione della 
debenza di tale voce di corrispettivo, ma si esaurisce sul piano processuale 
(non essendo peraltro in questione la giurisdizione in ordine alla decisione di 
merito sul rapporto di garanzia). Dovendosi, comunque, ribadire che la Corte 
d'appello, ha fatto riferimento alla sentenza del Tribunale -secondo cui il 
Comune ha esercitato il proprio potere discrezionale riconoscendo il diritto 
dell'attrice alla revisione prezzi. 

Per quanto si riferisce alla eccepita decadenza del diritto dell'appaltatore 
a pretendere (oltre al saldo del prezzo pattuito), l'importo della revisione 
prezzi, richiesta oltre il termine decadenziale di cui all'art. 2 D. Leg. C.p.S. n. 
1501 del 194 7, essa introduce una questione che concerne lentit� dell'importo 
dovuto; e la decisione, sfavorevole per il garantito, nella causa principale, 
non pu� di per s� pregiudicare la rilevabilit� della questione nel rapporto di 
garanzia. Al riguardo, la sentenza impugnata, inesattamente osserva che il 
Comune convenuto non ha eccepito la decadenza e che la stessa non poteva 
essere rilevata ex officio. A tale riguardo, in considerazione della possibilit� 
di rilievo officioso, data la rilevanza pubblicistica degli interessi coinvolti, 


PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 121 

anche il chiamato in garanzia impropria, al solo fine di far escludere il proprio 
obbligo di manleva � legittimato a far valere le eccezioni inerenti il rapporto 
principale. � vero che, in primo grado la Cassa non ha sollevato l'eccezione 
preclusiva (essendosi limitata ad eccepire l'esistenza di vizi), ma essa 
era processualmente legittimata a proporre appello sul punto, data la rilevabilit�, 
ex officio, della decadenza. 

Senonch�, come emerge dalla medesima sentenza d'appello attraverso 
il richiamo a quella di primo grado, anche su tale punto la Pubblica 
Amministrazione interessata (vale a dire il Comune committente) aveva gi� 
esercitato il proprio potere discrezionale con il riconoscere (lettera 25 ottobre 
1983) il diritto dell'impresa appaltatrice alla revisione prezzi. 
Riconoscimento che, non tanto vale, sul piano sostanziale a impedire la 
decadenza ex art. 2966 e.e., quanto costituisce legittimo esercizio, da parte 
del soggetto nei cui confronti � fatto valere il diritto soggetto a decadenza, 
di una facolt� spettantegli come pubblico amministratore. Dovendosi, 
comunque, rilevare che il motivo di ricorso non censura la sentenza perviolazione 
dell'art. 2966 e.e. (su cui la sentenza della Corte ha espressamente 
fondato, in alternativa alla preclusione da cosa giudicata, la propria decisione 
in ordine all'infondatezza dell'eccezione di decadenza sollevata dal 
garante). 

Il secondo motivo appare destituito di fondamento, avendo il giudice di 
merito motivatamente escluso la sussistenza di vizi nell'esecuzione dell'opera, 
in base al rilievo che: �nel verbale di collaudo, eseguito da un tecnico di 
nomina della Cassa, in data 16 dicembre 1982, si conclude positivamente il 
collaudo stesso, il che importa accettazione da parte della Cassa che ha fatto 
eseguire il collaudo� (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. lavoro, 14 febbraio 1997 n. 1359 -Pres. 
Rapone -Rel. Ianniruberto -P.M. Fedeli (conf.) -Istituto provinciale del 
lavoro di Salerno (avv. Stato Patierno) c. Comune di Agropoli (avv. 
Acone). 

Procedimento civile -Notificazione -Residenza, domicilio, dimora -Ufficio 
del destinatario ex art. 139, primo comma cod. proc. civ. -Notifiche Notificazione 
a persona investita di funzione di amministratore municipale 
-Idoneit�. 
(cod. proc. civ., artt. 139, 140, 156; legge 689/1981, artt. 6 e 14). 

In tema di notificazione a norma dell'art. 139 cod. proc. civ., per ufficio 
del destinatario deve intendersi non soltanto quello da lui creato, organizzato 
o diretto per la trattazione di propri affari, ma anche quello dove svolga 
attivit� lavorativa o presti servizio, come la casa comunale, nel caso di per



122 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

sona investita di funzioni di amministratore municipale, con la conseguenza 
che l'essere destinatario dell'atto non quale sindaco ma quale comune cittadino, 
non esclude la regolarit� della notiBca effettuata presso il Comune (1). 

(omissis) Con distinti ricorsi al Pretore di Vallo della Lucania, sezione 
distaccata di Agropoli, il Comune di Agropoli in persona del dr. Paolo Caputo 
ed Angelo Buccino proponevano opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione 
n. 1682 del 27 luglio 1991, con la quale l'Ispettorato Provinciale del 
Lavoro di Salerno aveva loro ingiunto il pagamento di L. 25.000.000, quale 
sanzione amministrativa per violazione degli artt. 11, 13 e 18 1. 264/1949 e 
successive modifiche, 15, 16 e 261. n 56/87, 4 d p r. n. 494/87. 

(1) Con la sentenza sopra riportata, la Corte affronta nuovamente la questione del 
significato da attribuire al termine �ufficio�, ai fini della notifica ai sensi dell'art. 139 
c.p.c., confermandone ancora una volta l'ampia accezione gi� individuata in precedenti 
decisioni (Cass. 19 febbraio 1976 n. 543, in Mass. Foro it., 1976, 121; Cass. 19 marzo 
1990 n. 2201, in Giust. Civ., 1990, I, 2374 con nota di Ennio Mazzocco). Peraltro, prima 
di commentare la scelta in tal senso operata dalla S.C., sembra opportuno compiere un 
passo indietro, brevemente richiamando i principali orientamenti della Cassazione a 
proposito della notificazione ai sensi dell'art. 139 c.p.c. Deve infatti in primo luogo evidenziarsi 
che la stessa Corte ha pi� volte sottolineato (Cass. 23 ottobre 1984 n. 5385, in 
Mass. Foro it. 1984, 1062; Cass. 23 febbraio 1985 n. 1621, in Mass. Foro it. 1985, 311) 
come la citata norma stabilisca una �Successione preferenziale� solo tra i luoghi di residenza, 
dimora e domicilio del destinatario dell'atto da notificare mentre -una volta 
individuato quello fra detti luoghi in cui la notifica deve awenire -la scelta dell'ufficiale 
giudiziario tra casa di abitazione ed ufficio � del tutto libera. 
Trattasi di un orientamento senz'altro condivisibile, sol che si consideri come lo 
scopo della notificazione sia quello di determinare una situazione di astratta e presumibile 
conoscibilit� dell'atto (in dottrina si veda MANDRIOLI �Corso di diritto processuale 
civile, I, par. 70, 390 ss) da parte del destinatario, situazione pienamente realizzata 
nel momento in cui l'atto � portato nella sfera di disponibilit� del destinatario (in 
dottrina, PUNZI Delle Comunicazioni e notificazioni, in Commentario al c.p.c. diretto 
da E. ALLORIO, I, Torino, 1973, 1455) a prescindere dall'effettiva conoscenza che questi 
ne abbia o meno. Orbene, la �sfera di disponibilit�� del destinatario pu� ritenersi individuata 
tanto dalla casa di abitazione, quanto dall'ufficio, luoghi -questi -perfettamente 
succedanei e, all'atto pratico, tra loro equivalenti. 

� quindi corretto ritenere che l'ufficiale giudiziario non sia in alcun modo tenuto 
a recarsi prima in un luogo, e solo in caso di insuccesso nell'altro, potendo egli, al contrario, 
scegliere in assoluta discrezionalit� dove tentare prima la notificazione. 

Risolto il problema -logicamente anteriore -della successione preferenziale fra 
i luoghi elencati all'art. 139 c.p.c. -la Corte viene chiamata ad affrontare la questione 
del significato da attribuire al termine �ufficio� e -come gi� detto sopra -riconferma 
un'interpretazione lata gi� resa in passato, secondo la quale la categoria in parola 
� comprensiva sia dell'ufficio creato dal destinatario dell'atto per lo svolgimento di attivit� 
propria.sia del luogo di abituale prestazione del servizio. 

� bene sottolineare che il precedente sopra richiamato (Cass. 2201/90), appare 
confermato pienamente dalla decisione della S.C. oggetto del presente commento, trattandosi 
in entrambi i casi di �Ufficio� costituito dalla casa comunale e di atto destinato 
ad un amministratore comunale (il sindaco), non in quanto tale, bens� quale privato 
cittadino. 

! 

. II 

-


PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 123 

Il .Pretore adito, riunite le cause, accoglieva le opposizioni ed annullava 
le ordinanze ingiunzioni. 

Per quanto rileva ai fini del presente giudizio, osservava il Pretore che si 
era verificata restinzione dell'obbligazione di pagamento della sanzione irrogata 
in quantola notificazione al Buccino era da ritenersi nulla, perch� eseguita 
irregolarmente presso il Comune Agropoli, laddove, trattandosi di una 
obbligazione. derivante da una responsabilit� personale e non nella qualit� di 
Sindaco di quel Comune, la notifica andava eseguita a m.ani proprie o nella 
sua casa di abitazione o dove aveva l'ufficio o esercitava l'industria o il commercio, 
ovvero negli ulteriori modi previsti dagli artt. 140 e segg. c.p.c. 

Quanto poi all'opposizione proposta dal Comune di Agropoli, riteneva il 
Pretore che l'estinzione dell'obbligazione per il Buccino si estendeva anche 
all'altro opponente. 

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l'Ispettorato Provinciale del 
Lavoro di Salerno con un unico motivo. 

Il Comune di Agropoli ha depositato procura. 

Il Buccino non si � costituito. 

MOTIVI DELLA DECISIONE 

1. Con l'unico articolato motivo il ricorrente chiede l'annullamento della 
sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 14 1. 
689/1981 e degli artt. 139, 140, 156 c.p.c., nonch� omessa, erronea ed illogica 
Ma v'� di pi�: non solo la S.C., con la presente decisione e con i richiamati precedenti 
in termini, ha rep:utato idonea la notifica presso l'ufficio inteso quale sede di prestazione 
di attivit� lavorativa o di servizio nel senso ampio sopra riportato, ma ha 
anche avuto modo di precisare che, atteso ch� -ove la notifica sia effettuata in tale 
luogo -l'atto pu� essere consegnato a persona addetta all'ufficio, deve intendersi per 
addett.o all'ufficio chiunque ivi presti attivit� lavorativa subordinata o servizio. 

Per completezza � bene sottolineare che, naturalmente, l'onere della eventuale 
prova dell'insussistenza del rapporto di lavoro subordinato o del servizio, ai fini dell'invalidazione 
della notifica, � a carico del destinatario dell'atto (Cass. lav. n. 1907 del 
22.2.1988, in Mass. Foro it., 1988, 280). 

Da ultimo, � opportuno evidenziare un'altra importante statuizione contenuta 
nella decisione in esame, e gi� anticipata in alcuni precedenti (Cass., Sez. I, n. 2184 del 
22.2.1992, in Archivio Giuridico della Circolazione e Sinistri Stradali, 1992, fase. 7, 
pag. 662; Cass., Sez. I, n. 2099 del 13 marzo 1996, ibidem, 1996, fase. 7, pag. 530), 
secondo la quale il regime di sanatoria delle nullit� (per conseguimento dello scopo), 
sancito dagli artt. 156-160 c.p.c. si estende anche al procedimento di ingiunzione e relativa 
opposizione ex 1. 689/81. 

Tale estensione viene dalla S.C. giustificata in base al richiamo che detta normativa 
compie alla disciplina delle notifiche contenute nel c.p.c. 
Ne discende che l'intervenuta tempestiva opposizione alla ingiunzione ex 1. 689/81 
� idonea a sanare eventuali vizi di nullit� della notifica. 

M.R. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

124 

motivazione in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., in quanto la notificazione 
dell'illecito amministrativo � avvenuta nel termine di 90 giorni, nel rispetto 
dell' art. 139 c.p.c., presso l'ufficio del Buccino ed a persona addetta all'ufficio; 
in ogni caso, la notifica aveva prodotto i propri effetti, in quanto questi, 
non solo negli scritti ex art. 18 1. 689/81, aveva chiesto di essere sentito di persona 
ma aveva proposto rituale opposizione dinanzi al giudice competente. 
Del resto, aggiunge il ricorrente, il fatto, che ha dato luogo alla emissione 
della ordinanza-ingiunzione, � imputabile al sindaco, quale capo dell'amministrazione 
comunale, che pertanto assume la responsabilit� personale degli 
atti posti in essere per conto dell'ente. 

Con un ulteriore profilo di censura si assume che, anche a voler ritenere 
avvenuta l'estinzione dell'obbligazione del Buccino, tale effetto non si sarebbe 
verificato nei confronti del Comune di Agropoli. 

2. La censura � fondata. 
Il problema sollevato � se, ai sensi e per gli effetti dell'art. 139 c.p.c., 
possa considerarsi ufficio, ove � consentito effettuare la notifica degli atti 
giudiziari, il comune, quando destinatario degli atti sia il sindaco, anche per 
affari che non attengano a tale sua funzione: il Pretore, infatti, partendo dal 
presupposto che la responsabilit� ex lege 689/1981 � personale e che la qualit� 
di rappresentante di una persona giuridica rileva solo ai fini dell'eventuale 
responsabilit� solidale di quest'ultima, ne ha tratto la conseguenza che 
era ininfluente, ai fini della notificazione dell'ordinanza-ingiunzione, la qualit� 
di sindaco. 

Questa Corte (Cass. 19 febbraio 1976 n. 543, 19 marzo 1990 n. 2201) ha 
avuto gi� modo di occuparsi del problema ed ha ritenuto che per �ufficio del 
destinatario�, secondo la lettera dell'art. 139 c.p.c., deve intendersi non solo 
quello da lui creato, organizzato e diretto per la trattazione degli affari propri, 
ma anche quello dove egli presta comunque servizio o svolga una sua attivit�, 
con la conseguenza che l'essere destinatario dell'atto non quale sindaco, ma 
quale comune cittadino, non esclude la regolarit� della notifica effettuata 
presso il comune. Del resto, il termine �ufficio� nella sua estrema genericit� 
sta ad indicare il luogo in cui il soggetto, al quale � indirizzato l'atto, svolga 
un qualunque servizio ed a qualunque titolo -quindi anche se si tratti di 
un'attivit� per la quale non sia previsto un corrispettivo -senza che rilevi il 
fatto che si tratti di attivit� privata o pubblica o che il rapporto, in forza del 
quale l'attivit� sia svolta, abbia carattere stabile (Cass. 5 luglio 1993 n. 7329). 

� appena il caso di aggiungere che la censura � fondata anche nella parte 
con la quale si assume che, in ogni caso la eventuale nullit� si sarebbe sanata 
per aver raggiunto il suo scopo: in effetti, questa Corte (Cass. 22 febbraio 
1992 n. 2184, 13 marzo 1996 n. 2099) ha avuto modo di affermare che la 
legge 689 prevede che la notificazione dell'ordinanza-ingiunzione � eseguita. 
secondo le modalit� previste dal codice di procedura civile, il che rende applicabili 
gli artt. 156 e 160 c.p.c., con la conseguenza che la proposizione di una 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 125 

tempestiva e rituale opposizione ha efficacia sanante delle nullit� della notifica 
dell'atto opposto. 

In questa situazione, la ritenuta nullit� della notifica non ha ragion d'essere, 
per cui la sentenza impugnata, che ha deciso la controversia sulla base 
di quella sola nullit� deve essere cassata, rendendosi in questa sede superfluo 
l'esame di ogni altra argomentazione prospettata dal ricorrente. 

3. La questione della estensione della estinzione della sanzione al coobbligato 
resta ovviamente assorbita, una volta ritenuto che la regolarit� della 
notificazione al Buccino non abbia fatto venir meno l'ordinanza-ingiunzione 
(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 18 febbraio 1997 n. 1479, -Pres. !annotta 
-Rei. Varrone -P.M. Morozzo Della Rocca (conf.) Ministero Difesa (aw. 
Stato Gentili) c. Scimia (aw. Lopardi). 

Prescrizione e decadenza -Risarcimento danni da illecito -Fatto costituente 

reato -Cause di interruzione o sospensione della prescrizione relativa al 

reato -hrilevanza. 

(cod. civ., art. 2947) 

Quando il fatto dannoso � considerato dalla legge come reato e per il 
reato � stabilita una prescrizione pi� lunga, quest'ultima si applica anche 
all'azione civile, ma le eventuali cause di interruzione o sospensione della 
prescrizione relative al reato non rilevano ai fini della decorrenza della prescrizione 
del diritto al risarcimento del danno (1). 

(omissis) Con il primo mezzo i ricorrenti, denunciando la violazione e la 
falsa applicazione dell'art. 2947, 3� co., e.e. e l'omesso esame di un punto 
decisivo della controversia prospettato nei gradi di merito, in relazione 
all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., lamentano che il giudice dell'appello non abbia 
rilevato che alla data della costituzione di parte civile dello Scimia nel processo 
a carico del Caolino (20/6/77) era gi� trascorso anche il maggior termine 
(quinquennio) di prescrizione del reato di lesioni colpose rispetto al giorno 
dell'evento infortunistico (18/8171). 

La censura coglie nel segno. Va al riguardo premesso che, pacifiche 
essendo le date di cui sopra nonch� della richiesta formale dei danni, rivolta 
dal procuratore dello Scimia ai responsabili, con telegramma del 3-4/10/80, il 

(1) Il principio � enunciato a composizione del contrasto interpretativo manifestatosi 
a riguardo dell'art. 2947, terzo co., cod. civ. -La sentenza 22 gennaio 1968 n. 175, 
richiamata in motivazione, si legge in Foro it. 1968, I, 977. 

126 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

giudice del gravame ha correttamente richiamato il principio giurisprudenziale 
alla stregua del quale se la costituzione di parte civile nel processo penale 
d� luogo a vera e propria proposizione di domanda risarcitoria, la quale 
comporta l'interruzione della prescrizione del diritto al risarcimento del 
danno per tutta la durata del processo penale sino alla data in cui diviene 
irrevocabile la sentenza che definisce il procedimento, tale interruzione, tuttavia 
si verifica solo se, iniziatosi il procedimento penale e non ancora esaurito 
il termine prescrizionale, la parte lesa abbia realmente esercitato la 
facolt� di costituirsi come parte civile (Cass. 21aprile1976 n. 1421 ex plurimis). 
Ma ha aggiunto che tale essendo il quadro di riferimento normativo, 
occorreva vedere �Se il diritto vantato dall'appellante si era prescritto alla 
data del 3 e 4 ottobre 1980, cio� alla data di costituzione in mora dei debitori
�. Invece, secondo i ricorrenti, doveva accertarsi se alla data del 20 giugno 
1977 di costituzione di parte civile, il termine quinquennale di prescrizione 
dell'azione risarcitoria fosse gi� trascorso, a nulla rilevando eventuali cause 
di interruzione della prescrizione relative al reato (art. 160 c.p.). 


Ora questa prospettazione, da un lato deve ritenersi ammissibile ancorch� 
sia stata adottata specificatamente solo nel giudizio di appello, perch� 
proprio in quel grado -acquisita la prova della costituzione di parte civile 
non offerta in prime cure -era sorto l'interesse degli appellati a dedurla; dal-Jj 
1'altro, ripropone il problema se gli atti interruttivi della prescrizione interve:::; 
nuti in sede penale spieghino influenza o meno sulla permanenza in vita del 
diritto al risarcimento del danno al fine dell'applicabilit� dell'art. 2947, 3� co., y;

I 
e.e., riguardo al quale esiste un contrasto nella giurisprudenza di questa 1:: 
Corte. Ed infatti, come indicato nell'ordinanza 24 novembre 1995 di rimesi:~ 
sione degli atti al Primo Presidente, ad un'isolata affermazione secondo la 

I

i:= 

quale l'art. 2947 e.e., nel disporre che, in ogni caso, se il fatto � considerato 

fil 

~

dalla legge come reato e per il reato � stabilita una prescrizione pi� lunga, i:= 
questa si applica anche all'azione civile, recepisce -sia per l'ampiezza della i:: 
formula del richiamo, sia per la ratio di fare effettivamente corrispondere, nel ~ 
concreto, la prescrizione dell'azione civile a quella del reato -l'intera normativa 
della prescrizione del reato, compresa quella parte di essa concernen


I

te l'efficacia degli atti interruttivi ex art. 160 c. p. ( Cass. 14 febbraio 1987 n. ili 
1636), si contrappongono altre due pronunce, nelle quali si � ritenuto che 
~ 

Iili 

�non assumono rilievo eventuali cause di interruzione o sospensione della 
prescrizione relative al reato, essendo ontologicamente diversi l'illecito civile 
e quello penale� (Cass. 29 marzo 1990 n. 2585 e 1� marzo 1994 n. 2012). 

I 
. 
. 
In realt� quest'ultimo indirizzo era stato per la prima volta affermato a ' 
chiare lettere nella sentenza 22 gennaio 1968 n. 175 (ancorch� la relativa . 
massima ufficiale non ne evidenzi tutta la portata pur sottolineando, signifi


Icativamente, la mancanza, nel nostro sistema normativo, di una norma generale 
che importi la sospensione del termine di prescrizione dell'azione civile 
fino a quando � in vita l'azione penale od � in corso il processo penale), con 
una motivazione cos� esaustiva d'avere convinto anche la dottrina interessa-

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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 127 

ta all'argomento (ivi compreso, chi, da ultimo, si � indotto ad aderirvi, pur 
rilevandone il contrasto con la presumibile ratio dell'art. 2947 e.e. volta ad 
evitare che, dichiarata la responsabilit� penale, resti escluso l'obbligo di risarcimento 
della vittima del reato, in conseguenza della maturata pi� breve prescrizione 
civile). Ed allora proprio tale motivazione va richiamata e ribadita, 
rilevando che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cagionato 
dal reato, sebbene raccordata sotto il circoscritto profilo del periodo di durata, 
alla disciplina della prescrizione dettata per il reato, si inserisce nel quadro 
generale dell'istituto della prescrizione civile, senza comprometterne la 
sostanziale autonomia rispetto all'analogo istituto regolato nel sistema penale. 
Se si eccettua tale collegamento, ciascuno dei due istituti costituisce un 
c9mplesso normativo in s� chiuso e perfetto, con la conseguenza che, ai fini 
del diritto al risarcimento, operano esclusivamente le cause di interruzione 
previste nella disciplina civilistica, senza possibilit� di mutua integrazione o 
di interferenze fra le due discipline. 

A tacere delle innumerevoli complicazioni che, in via teorica e nell'applicazione 
pratica, sorgerebbero dall'esigenza di comporre, in un'opera di 
difficile coordinamento, un sistema unificato, ma indubbiamente composito 
ed eterogeneo, delle cause interruttive previste in ognuna delle due discipline, 
l'esposta opinione trae in primo luogo conferma dal rilievo che gli atti 
interruttivi della prescrizione della presa punitiva dello Stato, in quanto 
hanno per punto di obiettiva incidenza una materia diversa dal diritto al 
risarcimento del danno e non provengono dal titolare di quest'ultimo diritto, 
non possono direttamente influire sulla sua persistenza. Ove, poi, si 
potesse prescindere dal computo dei termini di prescrizione sulla base della 
pena edittale stabilita per il reato (costituente, nel contempo, titolo per il 
risarcimento) e dare rilievo, invece, ai sopravvenuti atti interruttivi di cui 
all'art. 160 c.p., non si avrebbe un unico termine di prescrizione, ma una 
variabile molteplicit� di termini per un solo tipo di reato, a seconda delle 
diverse vicende processuali verificatesi, in relazione a ciascun caso pratico, 
in sede penale. Ora, non si pu� sottovalutare l'evidente pregiudizio per le 
parti private, le quali non potrebbero contare, al fine di vigilare sulle proprie 
pretese o di difendersi da quelle avverse, su di un preciso ed immutabile 
dato di riferimento (salvo l'intervento delle ordinarie cause interruttive 
di cui agli artt. 2943 e ss. e.e.) ma dovrebbero tenere conto di atti ed eventi 
la cui esistenza potrebbero persino ignorare. Vi �, infine, da ritenere fondatamente 
che, in coerenza con quanto stabilito dai primi due commi del1'
art. 2947, il legislatore abbia voluto accogliere un criterio fondato sull'unicit� 
del termine prescrizionale per ogni tipo di reato. 

Del resto, l'incompleta parificazione dei termini di prescrizione dell'azione 
civile e di quella penale � ammessa anche dalla relazione ministeriale 
al codice civile e trova ulteriore conforto nel vigente codice di procedura 
penale, che ha dettato una disciplina volta ad accentuare l'autonomia del processo 
civile da quello penale. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Concludendo e componendo il contrasto giurisprudenziale, va affermato 
che �quando il fatto dannoso � considerato dalla legge come reato e per il 
reato � stabilita una prescrizione pi� lunga, quest'ultima si applica anche 
all'azione civile, ma le eventuali cause di interruzione o sospensione della 
prescrizione relative al reato non rilevano ai fini della decorrenza della prescrizione 
del diritto al risarcimento del danno�. 

Orbene, applicando l'esposto principio al caso di specie, � agevole rilevare 
che la motivazione adottata nell'impugnata sentenza non vi si � uniformata 
dal momento che -pur senza un'espressa statuizione sul punto -ritenendo 
che all'atto di costituzione di parte civile -non essendosi prescritto 
reato -non si era neppure prescritto il diritto al risarcimento del danno, ha 
implicitamente esteso la rilevanza degli eventuali atti interruttivi della prescrizione 
del reato anche alla prescrizione dell'azione civile. 

Il primo mezzo va, pertanto, accolto, restando assorbito l'altro motivo, 
che attiene esclusivamente alle vicende del processo penale. 

Peraltro, stante l'irrilevanza ai fini della interruzione della prescrizione 
civile degli atti di instaurazione del processo penale ed essendo pacifico che l'unico 
atto in tesi rilevante ai fini della prescrizione civile �, nella specie, la costituzione 
di parte civile, pacificamente avvenuta il 20 giugno 1977, rispetto all'evento 
lesivo del 18 agosto 1971, risulta certo, senza necessit� di ulteriori accertamenti 
di fatto, che alla predetta data del 20 giugno 1977 il diritto era gi� prescritto 
per decorrenza del maggior termine (quinquennale) previsto per il reato. 

La Corte quindi, decidendo nel merito ex art. 384, 1� co., c.p.c. novellato, 
rigetta la domanda risarcitoria proposta dallo Scimia, essendo estinto il 
relativo diritto per prescrizione (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 25 marzo 1997, n. 2605 -Pres. Grossi -Est. 

M. Finocchiaro -P.M. Dettori (conf.) -Ministero della pubblica istruzione 
(avv. Stato Tortora) c. Pastorello e altro (avv. Palermo, Scrivano). 
Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Atti del dipendente Danno 
a terzi -Atti dolosi o colposi estranei ai fini istituzionali Responsabilit� 
solidale della p.a. -Esclusione. 
(Art. 28 cost.; art. 22, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 59, d.lvo 3 febbraio 1993 n.29). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Danno ad alunno -Culpa 
in vigilando del docente -Docenti di Istituto tecnico professionale con 
personalit� giuridica -Legittimazione passiva della p.a. -Ministero della 
pubblica istruzione -Sussiste -Istituto tecnico -Non sussiste. 
(Art. 28 cost.; art. 22, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 59, d.lvo 3 febbraio 1993 n. 29). 

Istruzione e scuole -Istituto tecnico professionale -Personalit� giuridica Rapporti 
con Ministero della pubblica istruzione -Autonomia amministrativa. 
(legge 15 giugno 1931 n. 889). 


PARTE I, SEZ. ill, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 129 

Ai sensi della vigente normativa (art. 28 cast.; art. 22, d.P.R. 10 gennaio 
1957 n.3; art.59, d.lvo 3 febbraio 1993 n.29), la pubblica amministrazione 
risponde dei� danni arrecati� a terzi dai propri dipendenti, salvo che il comportamento 
dell'agente, doloso o colposo, non sia diretto al conseguimento 
dei flni istituzionali propri dell'ufficio o del servizio di appartenenza, ma sia 
determinato da motivi strettamente personali ed egoistici, tanto da escludere 
ognicollegamento di �occasionalit� necessaria� tra le incombenze affidategli 
e l'attivit�produttiva del danno (l). 

In caso di danno patito da un alunno di un istituto tecnico professionale 
dotato di personalit� giuridica a causa della omessa vigilanza di un insegnante 
statale, sussiste la legittimazione passiva del Ministero della pubblica 
istruzione a cui il docente � legato da rapporto di servizio e non gi� la legittimazione 
dell'istituto tecnico, a cui il docente � legato da mero rapporto 
organico (2). 

Gli istituti tecnico professionali, pur godendo di personalit� giuridica ex 

I. 15 giugno 1931 n.889, sono sottoposti a vigilanza del Ministero della pubblica 
istruzione e godono di mera autonomia amministrativa da quest'ultimo. 
(omissis) l. I diversi ricorsi, tutti proposti avverso la stessa sentenza 
devono riunirsi, ai sensi dell'art. 335 c.p.c. 

2. Come accennato in parte espositiva la Corte di appello di Bologna ha 
ritenuto che un incidente verificatosi il 23 gennaio 1981 all'interno 
dell'Istituto Tecnico Industriale Odone Belluzzi di Bologna allorch� il minore 
Gieri Mauro era stato �sgambettato� e fatto cadere dai compagni di classe 
Pastorello Daniele e Raisi Daniele, cos� riportando gravi danni, poich� imputabile 
a difetto di vigilanza di un insegnante -dipendente dello Stato [non 
identificato] il quale, essendo gi� concluso l'intervallo e ripresa l'attivit� 
didattica, aveva omesso di controllare l'accesso della scolaresca nell'aula delle 
proiezioni, dove egli attendeva gli allievi per iniziare la lezione, fosse direttamente 
riferibile alla responsabilit� della Amministrazione dello Stato, con 
conseguente legittimazione passiva al giudizio del Ministero [della Pubblica 
Istruzione] appellato, ancorch� il detto Istituto tecnico fosse dotato di propria 
personalit� giuridica, distinta da quella dello Stato, atteso -in sintesi che 
tale circostanza non escludeva la sua qualit� di istituto pubblico dello 
Stato, integralmente inserito nell'organizzazione statale. 
(1) Principio pacifico. Ex pluribus cfr. Cass., sez. III, 3 dicembre 1991 n. 12960, 
in Rass. Avv. Stato, 1991, I, 3, 525. 
(2) In terminis per la legittimazione passiva del Ministero della pubblica istruzione 
Cass. 17 gennaio 1996 n. 341, inedita, ma in CED Cassazione, RV 495460. Contra, 
per la legittimazione passiva dell'istituto tecnico industriale avente personalit� giuridica 
autonoma, e del quale l'insegnante diviene organo, Cass., 30 maggio 1969 n. 1931, 
in Foro amm. 1970, I, 1, 81. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

130 

3. La riassunta statuizione � censurata -in questa sede -dal Ministero 
della Pubblica Istruzione con un unico motivo, con il quale si denuncia �violazione 
e falsa applicazione dell'art. 28 Costituzione, dei principi generali in 
tema di responsabilit� della Pubblica Amministrazione e della legge 15 giugno 
1931, n. 889�. 
Osserva il ricorrente, in particolare, che la sentenza gravata, �ponendosi 
consapevolmente in contrasto coll'assolutamente pacifico orientamento della 
Suprema Corte in materia ... perviene ad affermare la responsabilit� risarcitoria 
del Ministero della Pubblica Istruzione sul presupposto della natura statale 
dell'Istituto di istruzione secondaria�. 

In realt�, osserva l'Amministrazione ricorrente, l'Istituto nel cui ambito 
si � verificato l'infortunio in questione � persona giuridica pubblica, distinta 
dallo Stato, e costituente, come tale, autonomo centro di imputazione di interessi, 
di diritti, di obblighi e di responsabilit�, non solo per quel che attiene 
all'attivit� lecita, ma anche in caso di attivit� illecita, fonte di responsabilit� 
extracontrattuale. 

Quanto -in particolare -al personale di ruolo, direttivo, insegnante, 
amministrativo, tecnico e di vigilanza in servizio presso gli Istituti di istruzione 
secondaria che siano anche persona giuridica -prosegue il Ministero 
ricorrente -� vero che o stesso � qualificato, legislativamente, come statale, 
ma �esso deve considerarsi anche e in primo luogo, come appartenente e 
dipendente dagli istituti, facendo parte dei rispettivi organici� tenuto presente 
che tale personale � in r~pporto organico con l'Istituto scolastico, senza 
che rilevi, chi eroghi la retribuzione o eserciti il potere disciplinare su tale 
personale. 

4. Nel resistere alla riassunta censura i controricorrenti e ricorrenti incidentali 
Pastorello e Raisi oppongono, in limine, l'inosservanza -da parte del 
Ministero -in occasione della sua costituzione in causa nel corso del giudizio 
di primo grado, del precetto di cui all'art. 4, legge 25 marzo 1958 n. 260, 
atteso che la P.A. allorch� rileva �un vizio di carenza di legittimazione passiva, 
nel formulare la relativa eccezione deve indicare, contemporaneamente, 
il diverso ente pubblico, a proprio dire legittimato e ove ci� non accada... il 
vizio resta sanato�. 
5. Tale ultima eccezione � infondata, sotto due, concorrenti, profili. 
5 .1. In primis si osserva che gi� nel corso del giudizio di primo grado con 
la comparsa di risposta in data 17 dicembre 1984 (e, quindi, con il primo atto 
difensivo) il Ministero convenuto ha eccepito, in via preliminare (pag. 2 -3 
della comparsa), �il proprio difetto di legittimazione passiva a subire l'azione 
risarcitoria�, atteso che �l'I.T.I.S. Odone Belluzzi � Istituto Tecnico 
Industriale avente propria personalit� giuridica fornito di autonomia patrimoniale 
.e assoggettato a mera vigilanza del Ministero della P.I. ... �. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 131 

5.2. In secondo luogo, anche a prescindere da quanto precede erroneamente 
nella specie � invocata l'applicabilit� dell'art. 4, della legge 25 marzo 
1958, n. 260 (secondo cui �l'errore di identificazione della persona alla quale 
l'atto introduttivo del giudizio ed ogni altro atto doveva essere notificato, 
deve essere eccepito dall'Avvocatura dello Stato nella prima udienza, con la 
contemporanea indicazione della persona alla quale l'atto doveva essere notificato
�), atteso che tale ultima disposizione deve essere letta con riferimento 
all'eventualit� nell'evocare in giudizio una Amministrazione dello Stato, l'atto 
relativo sia notificato a mani di altra Amministrazione. 
Diversamente, nella specie, la questione non � nei detti termini, atteso 
che il ricorrente principale non censura alcun errore in cui controparte 
sarebbe incorsa in sede di notifica dell'atto introduttivo del giudizio, ferma la 
titolarit� del rapporto controverso in capo allo Stato, ma oppone -in radice 
-che lo Stato � estraneo alle vicende che hanno condotto alla presente controversia, 
attesa la personalit� giuridica dell'Istituto Tecnico Industriale 
Odone Belluzzi, totalmente distinta rispetta a quella dell'Amministrazione 
statale e, in particolare, del Ministero della Pubblica Istruzione, cui in alcun 
modo sarebbero riferibili le condotte -sia lecite che illeciti -dei suoi insegnanti 
(Sempre in questa ottica, cfr., del resto, Cons. Stato, sez. VI, 7 luglio 
1986 Il. 489). 

6. Pur se in rito ammissibile, la censura svolta dal Ministero con il proprio 
ricorso principale, peraltro, � comunque infondata, in base alle osservazioni 
che seguono. 
6.1. Si ricava -oltre che dalla legislazione speciale in tema (cfr., artt. 20 
-23, d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e, ora, art. 59, comma 1, d.lg. 3 febbraio 
199 3, n. 2 9, come sostituito dall'art. 2 7, d.lg. 23 dicembre 199 3, n. 546) dallo 
stesso art. 28 cost., che �i funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti 
pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e 
amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti� e che �In tali casi 
la responsabilit� civile si estende allo Stato e agli enti pubblici�. 
Ne deriva, pertanto, salvo che il comportamento dell'agente, doloso o 
colposo, non sia diretto al conseguimento dei fini istituzionali propri dell'ufficio 
o del servizio al quale � addetto, ma sia determinato da motivi strettamente 
personali ed egoistici, tanto da escludere ogni collegamento di 
necessaria occasionalit� tra le incombenze affidategli e l'attivit� produttiva 
del danno (cfr., ad esempio, Cass. 3 dicembre 1991 n. 12960), che la 
Pubblica Amministrazione risponde dei danni arrecati a terzi dai propri 
dipendenti, in forza del rapporto di impiego che sussiste, tra la stessa e questi 
ultimi. 

Pacifico e non controverso che nella fattispecie ora in esame il Ministero 
della Pubblica Istruzione � stato evocato in giudizio nella sua qualit� di datore 
di lavoro degli insegnanti che sono venuti meno ai loro doveri di sorve



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

132 

glianza degli alunni, cos� rendendo possibile il fatto illecito in cui � rimasto 
coinvolto il minore Gieri Mauro, e pacifico, altres�, che il Ministero ricorrente 
in alcun modo nega l'esistenza di tale rapporto di lavoro, � palese che � irrilevante 
-al fine del decidere -che detti insegnanti, anzich� svolgere la propria 
attivit� didattica presso un istituto statale, fossero -da un punto di vista 
organico -inseriti in un istituto tecnico professionale dotato di una propria 
personalit� giuridica. 

In altri termini nel rapporto d'impiego degli insegnanti di tali istituti pu� 
-in tesi -operarsi una distinzione (non diversamente, ad esempio, da 
quanto si verifica in tema di segretari comunali), fra rapporto di servizio e 
rapporto organico, il primo svolgentesi con l'amministrazione statale (della 
quale sono impiegati) che � la sola competente in merito ai provvedimenti di 
stato che li riguardano (disciplinati direttamente dal legislatore), il secondo 
svolgentesi con l'amministrazione dei singoli istituti tecnici nella quale essi 
sono funzionalmente inseriti. 

Con l'ulteriore corollario che la responsabilit� del Ministero della 
Pubblica Istruzione, per eventuali fatti illeciti posti in essere, a danni di terzi, 
da tali insegnanti rimane ferma, anche se gli stessi esercitano le loro funzioni 
inseriti in una struttura amministrativa (l'Istituto Tecnico Industriale) 
dotata di propria personalit� giuridica. 

6.2. In termini opposti -ancora -rispetto a quanto si assume in ricorso, 
deve escludersi che esista, in tema, un orientamento �assolutamente pacifico
� di questa Corte regolatrice nel senso che il Ministero della Pubblica 
Istruzione non risponda dei fatti illeciti posti in essere dai propri dipendenti 
-insegnanti ove questi prestino la propria attivit� presso istituti tecnici 
industriali dotati, in quanto tali, di personalit� giuridica, a norma della legge 
15 giugno 1931, n. 889. 
A quel che risulta, infatti, il problema specifico risulta affrontato -dalla 
giurisprudenza di questa Suprema Corte -unicamente in due occasioni. 

In una prima-abbastanza remota (Cass. 30 maggio 1969 n. 1931)-si 
� affermato che il personale statale, destinato a svolgere compiti di insegnamento 
negli istituti tecnici industriali, centri dotati di personalit� giuridica, 
continua a dipendere organizzativamente dallo Stato, che conserva i poteri 
disciplinari ed amministrativi, ma � tuttavia inserito in un centro di funzioni 
di competenza dei detti istituti, i quali si avvalgono del personale predetto per 
esercitare i loro compiti istituzionali, con la conseguenza che gli insegnanti 
ne divengono organi. 

In termini opposti, in altra occasione, molto pi� vicina nel tempo 
(Cass. 17 gennaio 1996 n. 341) si � affermato -invece -che il personale 
docente degli istituti professionali di Stato -che costituiscono organi dello 
Stato muniti di personalit� giuridica ed inseriti nella organizzazione statale 
-si trova in rapporto organico con la Amministrazione della Pubblica 
Istruzione dello Stato e con i singoli istituti, che sono dotati di mera auto



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 133 

nomia amministrativa per la realizzazione dei fini di istruzione pubblica e, 
pertanto, gli atti, anche illeciti, posti in essere dal menzionato personale 
sono riferibili direttamente al ministero della Pubblica Istruzione e non ai 
singoli istituti. 

6.3. La tesi di parte ricorrente (fatta propria -come accennato -da 
Cass. 30 maggio 1969 n. 1931) prende le mosse da due presupposti, assolutamente 
inaccettabili, a giudizio di questo Collegio. 
6.3. 1. Precisa, in particolare la ricordata pronuncia del 1969 �il t.u. 10 
gennaio 1957 n. 3 disciplina il pubblico impiego in generale ed ha riguardo 
pertanto unicamente al rapporto di dipendenza non all'inserimento del 
dipendente in un centro di funzioni (rapporto organico), mentre d'altra 
parte, non ha alcuna rilevanza, ai fini del decidere, stabilire a chi spetti il 
potere disciplinare o quello amministrativo contabile in quanto tali poteri 
vanno riferiti tutti al rapporto di dipendente (o di lavoro in senso lato) e 
non al rapporto organico�, per cui, sussistendo nel caso concreto un rapporto 
di organico [esclusivamente] tra gli insegnanti di cui si discute e gli 
Istituti tecnici professionali, solo questi ultimi rispondono dei fatti illeciti 
di costoro. 
Come anticipato l'assunto -in contrasto con la chiara lettera della 
norme positive -in materia non pu� seguirsi. 

L'art. 28 cost. menziona da una parte i �funzionari�, dall'altra i �dipendenti
� dello Stato e prevede che sia per i primi che per i secondi sussiste, per 
gli atti dagli stessi compiuti in violazione dei diritti, la [diretta] �responsabilit� 
civile� dello Stato e degli enti pubblici datori di lavoro (in perfetto pendant, 
del resto con l'art. 2049 e.e.) e pacifico, come si � osservato sopra che 
gli insegnanti degli istituti tecnici professionali in primis �dipendenti� del 
Ministero della Pubblica Istruzione, � palese che � assolutamente irrilevante 
la circostanza che tali insegnanti siano in rapporto �organico� non con il 
Ministero, ma con i singoli Istituti. 

Contemporaneamente non pu� non sottolinearsi che se -come riconosce 
anche il Ministero ricorrente -il Ministero della Pubblica Istruzione 
conserva integri, nei confronti degli insegnanti in questione, i propri compiti 
disciplinari e di controllo (non diversamente che per gli insegnanti di altri 
tipi di scuole) � del tutto irrazionale affermare che lo stesso Ministero -che 
ove avesse esercitato adeguatamente la vigilanza del caso su quei dipendenti 
avrebbe evitato la lesione dei diritti dei terzi -non risponde di quei fatti illeciti 
che doveva e poteva impedire. 

6.3.2. Al riguardo, infine, non pu� tacersi che la legge 15 giugno 1931 n. 
889 nel prevedere (art. 3) che le scuole e gli istituti di istruzione tecnica ivi 
indicati �sono riconosciuti come enti dotati di personalit� giuridica e di auto

giudici che ove opportunamente vagliato avrebbe potuto condurre ad una 
diversa conclusione della lite (omissis). 
giudici che ove opportunamente vagliato avrebbe potuto condurre ad una 
diversa conclusione della lite (omissis). 
RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

134 

nomia nel loro funzionamento e sono sottoposti alla vigilanza del Ministero ... 
della Pubblica Istruzione� lungi dall'istituire dei nuovi enti pubbli�:i in contrapposizione 
con lo stesso apparato dello Stato e cui sia demandato -in via 
esclusiva -il �compito di diffondere l'insegnamento� (come si adombra 
nella pi� volte citata Cass. 30 maggio 1969, n. 1931), attua -molto pi� semplicemente 
-un mera autonomia amministrativa di tali istituti che se rileva 
per alcuni aspetti (ad esempio quanto al reperimento delle sedi ed alle altre 
funzioni rimesse agli �enti pubblici locali� cfr., artt. 22-24 della legge, nonch� 
Cass. sez. un., 11 aprile 1995, n. 4150) non incide in alcun modo sulla 
posizione degli insegnanti. 

Precisa, infatti, l'art. 34 della legge che agli insegnanti di ruolo degli 
istituti di istruzione tecnica si applicano, in quanto non sia diversamente 
stabilito ... le disposizioni dello stato giuridico degli insegnanti degli istituti 
di istruzione media classica, scientifica e magistrale e il successivo art. 45 avverte, 
ancora, che �il personale di ruolo direttivo, insegnante ... degli istituti 
di istruzione tecnica, che non sia fornito dagli enti pubblici locali, � 
personale statale ...�, espressioni queste tutte incompatibili con la invocata 
esistenza, per i fatti illeciti eventualmente posti in essere da tali insegnanti, 
di una responsabilit� dell'istituto in alternativa a quella del Ministero 
della Pubblica Istruzione come � la regola per tutto il personale insegnante 
statale. 

7. Con l'unico motivo del ricorso incidentale i controricomenti denunciano 
la sentenza gravata �a mente dell' art. 360 c.p.c. per omessa o contraddittoria 
motivazione su un punto decisivo della sentenza�. 
Si osserva, in particolare, che �in effetti bilanciando la responsabilit� 
collegata alla grave negligenza dell'insegnante, rispetto a quella legata al 
comportamento ludico ed al limite tacciabile appena di vivacit� dei giovanetti, 
appare immotivatamente riduttivo non ritenere assorbente la colpa 
dell'adulto contrattualmente e professionalmente tenuto alla sorveglianza 
degli allievi�. 

8. Il motivo non pu� trovare accoglimento, attesa la sua estrema genericit� 
ed apoditticit�. 
A prescindere da quelli che sono i limiti del giudizio di legittimit� -che 
non � un giudizio di merito di terzo grado e nel quale, pertanto, � preclusa 
qualsiasi doglianza diretta ad ottenere una nuova valutazione delle risultanze 
di fatto, diversa da quella compiuta dai giudici di merito -la laconicit� 
della censura non permette neppure di comprendere in quale �contraddizione
� logica siano incorsi i giudici del merito nel motivare il proprio convincimento, 
n� quale elemento di causa sia stato totalmente pretermesso da quei 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 135 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 13 maggio 1997, n. 4181 -Pres. Borruso -
Rel. Milani -P.M. Maccarone (diff.) -Telespazio spa ( avv. D'Ercole) c. 
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero Coordinamento e 
Protezione civile (avv. Stato Cosentino). 

Opere pubbliche -Revisione prezzi e prezzo chiuso -Determinazione Meccanismo 
della maggiorazione del 5% in ragione della durata dei 
lavori -Computabilit� anche nel primo anno -Sussistenza. 
(legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 33). 

Il c.d. prezzo chiuso, rispondendo a finalit� diverse rispetto all'istituto 
della revisione prezzi, � un sistema alternativo edincompatibile rispetto a quest'ultimo. 
In particolare attraverso il prezzo chiuso si realizza un meccanismo 
che opera ex ante, sulla base del duplice presupposto dell'importo netto dei 
lavori e della durata contrattuale prevista perla loro esecuzione. Ne deriva che 
fin dalla stipulazione del contratto si determina un prezzo unico composto dal 
prezzo base d'asta aumentato tante volte del 5% per quanti sono gli anni contrattualmente 
previsti per l'esecuzione del contratto. Detto aumento annuale, 
pertanto, entra a far parte del corrispettivo dell'appalto. La maggiorazione del 
5% va, quindi, applicata includendo nel calcolo l'intera durata contrattuale 
prevista per l'esecuzione dei lavori, ivi compreso il primo anno (1). 

(omissis) Preliminarmente, deve procedersi alla riunione dei ricorsi, ex 
art. 335 c.p.c. 

1. Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione 
degli artt. 12 e 14 delle preleggi, 33 della legge 28 febbraio 1986 n. 41, 
nonch� omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censura l'interpretazione 
fornita dalla Corte d'appello circa i presupposti ed il funzionamento del 
�prezzo chiuso�, interpretazione che, escludendo il primo anno dall'applicazione 
della maggiorazione del 5%, urta -secondo la ricorrente -contro il 
tenore letterale della norma ed estende indebitamente all'ipote�.i del �prezzo 
chiuso� la disciplina prevista per la diversa ipotesi della revisione prezzi. 
(1) Non constano precedenti sul punto. Sull'istituto della revisione prezzi in generale 
si veda CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Giuffr�, 1993, 709 ss.; 
STECCANELLA -ROBALDO La legge quadro in materia di lavori pubblici, Giuffr�, 1995, 21 
ss., con particolare riferimento ai successivi provvedimenti legislativi che hanno soppresso 
l'istituto. Sulla nuova disciplina introdotta dall'art. 26 della legge 109 del 1994 
si veda CARULLO -CLARIZIA, La legge quadro in materia di lavori pubblici, Cedam, 1994, 
534 ss.; STECCANELLA -ROBALDO op. cit., 105 ss. L'istituto del prezzo chiuso ha avuto 
scarsa elaborazione giurisprudenziale. Si segnalano Corte Conti, 9 luglio 1987, n. 812, 
in Cons. Stato, 1987, II, 1576; Cons. Stato, III sez., parere 12 maggio 1987, n. 540, in 
Cons. Stato, 1987, I, 1707. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Per valutare la fondatezza o meno di questo motivo e per rispondere 
agli interrogativi posti dalla presente e dalle successive censure, occorre 
procedere ad una analisi dell'istituto del �prezzo chiuso�, introdotto dal 


comma 4 dell'art. 5 della legge finanziaria 1986 (legge 28 febbraio 1986 n. i= 

@

41), nei seguenti termini: �Per i lavori di cui al comma secondo � introdot-: 
ta altres� la facolt�, esercitabile dall'amministrazione, di ricorrere al prezzo 
chiuso, consistente nel prezzo del lavoro al netto del ribasso di asta, aumentato 
del 5 per cento per ogni anno intero previsto per l'ultimazione dei lavori. 
Nel caso di contratto a prezzo chiuso non � ammesso il ricorso alla revisione 
prezzi�. 


Il richiamato comma 2 � cos� redatto: �Per i lavori relativi ad opere pubbliche 
da appaltarsi, da concedersi o da affidarsi dalle amministrazioni e 
dalle aziende dello Stato, anche con ordinamento autonomo, dagli enti locali 
o da altri enti pubblici, aventi durata inferiore all'anno, non � ammessa la 
facolt� di procedere alla revisione dei prezzi�. 

Il primo problema che si pone � il rapporto tra prezzo chiuso e revisione 
prezzi. 

Sembra evidente come tale rapporto si presenti in termini di assoluta 
altemativit�, desumibile, oltre che dall'incompatibilit� logica tra �prezzo 
chiuso� e �revisione dei prezzi�, dalla stessa lettera della legge, che esclude 
espressamente la facolt� di procedere alla revisione dei prezzi quando si sia 
adottato il contratto a prezzo chiuso. 

In tale prospettiva, il richiamo al precedente comma 2 non pu� che essere 
limitato alla elencazione dei lavori cui � applicabile il contratto a prezzo 
chiuso, con esclusione del dettato normativo, attinente esclusivamente alla 
diversa ipotesi della revisione prezzi. Non avrebbe senso, infatti, richiamare, 
in materia di prezzo chiuso, il divieto di procedere alla revisione prezzi per i 
contratti di durata inferiore all'anno, quando la possibilit� di ricorrere alla 
revisione prezzi � gi� in ogni caso esclusa, e, per i contratti di durata inferiore 
all'anno, non � possibile neppure la maggiorazione del 5% prevista per il 
prezzo chiuso, che � applicabile soltanto �per ogni anno intero�. 

I due istituti, del resto, rispondono a finalit� ed esigenze diverse. Mentre 
la revisione prezzi tende a ristabilire il rapporto sinallagmatico tra prestazione 
dell'appaltatore e contro-prestazione dell'amministrazione, adeguando il 
corrispettivo alle variazioni dei prezzi di mercato, qualora superino la soglia 
prevista dell'alea contrattuale, il prezzo chiuso risponde al criterio di un'alea 
convenzionale e forfettizzata che, mentre assicura all'amministrazione certezza 
dei bilanci, cristallizzando il corrispettivo dell'appalto in una cifra fissa 
e predeterminata, indennizza, anche se parzialmente, l'appaltatore della svalutazione 
monetaria intervenuta nel corso del rapporto contrattuale (all'epoca, 
il tasso reale di svalutazione annuale era decisamente superiore al 5%), e, 
se non perviene all'adeguamento in termini reali del corrispettivo, evita d'altra 
parte i rischi relativi alla revisione prezzi (alea elevata al 10%, congelamento 
del primo anno). 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 137 

Configurato quindi il contratto a prezzo chiuso come alternativo ed 
incompatibile rispetto al sistema della revisione prezzi, occorre interpretarne 
le disposizioni in maniera autonoma, senza riferimento alla diversa disciplina 
regolante il sistema revisionale. 

Riprendendo quindi la definizione normativa, il prezzo chiuso deve 
intendersi come prezzo del lavoro, al netto del ribasso d'asta, aumentato del 
5% per ogni anno intero previsto per l'ultimazione dei lavori. 

Tenute presenti le finalit� perseguite dall'istituto, sembra potersi ritenere 
che l'interpretazione pi� aderente alla lettera e alla ratio della legge sia 
quella (condivisa dalla pi� autorevole dottrina) di un meccanismo che opera 
ex ante, sulla base del duplice presupposto dell'importo netto dei lavori e 
della durata contrattualmente prevista per la loro esecuzione. Fin dalla stipulazione 
del contratto viene quindi a determinarsi un prezzo unico, composto 
dal prezzo base d'asta aumentato tante volte del 5% per quanti sono gli 
anni contrattualmente previsti per l'esecuzione dei lavori: il prezzo cos� determinato 
resta �chiuso�, cio� fisso ed invariabile per tutta la durata del contratto, 
insensibile alle successive vicende del medesimo. 

La maggiorazione del 5% per ogni anno entra pertanto a far parte del 
corrispettivo dell'appalto, quale componente intesa ad indennizzare forfettariamente 
e convenzionalmente l'appaltatore degli aumenti dei prezzi di mercato 
durante il periodo di esecuzione dei lavori. 

Cos� disegnate le linee strutturali dell'istituto, pu� ora rispondersi ai vari 
quesiti sorti nell'interpretazione del contratto d'appalto oggetto del presente 
giudizio. 

Con riferimento al problema sollevato nel primo motivo di ricorso, deve 
ritenersi che la maggiorazione del 5% vada applicata includendo nel calcolo l'intera 
durata contrattualmente prevista per l'esecuzione dei lavori, ivi compreso il 
primo anno. Non � infatti ravvisabile ragione alcuna per escludere dal computo 
il primo anno: la norma non prevede tale esclusione, che non pu� essere consentito 
introdurre in via d'interpretazione, utilizzando un meccanismo previsto 
esclusivamente per la revisione prezzi, non applicabile -per le ragioni sopra 
illustrate -alla diversa ed incompatibile ipotesi del prezzo chiuso. 

Del resto, una volta considerata la maggiorazione del 5% come compo


nente del corrispettivo dell'appalto, da calcolarsi ex ante, l'inclusione anche 

del primo anno ne deriva come logica conseguenza, del tutto conforme alla 

disciplina ed alle finalit� dell'istituto. 

La prima censura risulta dunque fondata. 

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia un vizio di extrapetizione 
e di omesso esame nella sentenza della Corte d'appello che, nel fissare alla 
stipulazione del contratto (6 aprile 1987) anzich� all'apertura del cantiere (24 
luglio 1986) il momento iniziale del rapporto, non aveva considerato: a) che 
la stessa amministrazione aveva abbandonato l'eccezione avanzata in tal 
senso, accettando l'impostazione della Telespazio circa la durata ultraquin

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

138 

quennale dell'appalto (essendo il termine di ultimazione previsto per il settembre 
1991); b) che l'esecuzione anticipata dei lavori, rispetto alla formale 
stipulazione del contratto, era stata concordata con l'amministrazione, in 
osservanza dei tempi stabiliti dalla delibera del CIPE. 

Anche questo problema va impostato e risolto alla luce delle considerazioni 
svolte c�rca le linee da seguire nell'interpretazione dell'istituto del prezzo 
chiuso. 

Preliminarmente, peraltro, va in ogni caso esclusa la possibile sussistenza 
del vizio di extrapetizione lamentato dalla ricorrente. La questione 
della durata dell'appalto � materia di interpretazione ed applicazione di 
legge, sottratta alla disponibilit� delle parti e quindi alla disciplina dell' eccezione 
in senso proprio: la posizione assunta dalle parti in proposito ha 
valore unicamente di argomentazione difensiva, che non vincola in alcun 
modo la decisione del giudice, il quale pu� ritenere conforme a legge una 
tesi, anche se non sostenuta dalla parte che vi avrebbe teoricamente avuto 
interesse. 

Allo scopo, ora, di determinare in concreto nella specie la data di decorrenza 
per l'applicazione della maggiorazione del 5%, va considerato che il 
rapporto in oggetto si � svolto con le modalit� della trattativa privata, per cui 
l'incontro delle volont� per la determinazione del corrispettivo va situato al 
momento della stipulazione del contratto, non rinvenendosi -a differenza 
delle procedure di gara, comportanti bando, offerta ed aggiudicazione alcun 
atto anteriore, giuridicamente significativo, di determinazione delle 
clausole contrattuali, con particolare riferimento alla fissazione del prezzo 
dell'appalto. 

E poich� la maggiorazione del 5% deve essere calcolata sul prezzo contrattuale, 
la decorrenza non pu� essere anteriore alla data in cui si � venuta 
a creare la stessa base di calcolo, cio� alla stipulazione del contratto, non 
essendo concepibile che la maggiorazione possa retroagire rispetto al prezzo 
da maggiorare, e che una componente del corrispettivo abbia una decorrenza 
anteriore rispetto al corrispettivo stesso. 

La circostanza, quindi, che nel contratto si dia atto della apertura anticipata 
del cantiere, in ottemperanza alla citata delibera del CIPE, non pu� 
avere influenza sul dies a quo per il calcolo della maggiorazione, non perch� 
venga disattesa la data di effettivo inizio dell'esecuzione dei lavori indicata 
nel contratto, ma perch� la determinazione del corrispettivo dell'appalto, su 
cui applicare la maggiorazione, � intervenuta con la stipulazione del contratto, 
e non � possibile far retroagire la maggiorazione rispetto al corrispettivo 
da maggiorare. 

Del resto, � da ritenere che le parti, nella determinazione del prezzo dell'appalto 
alla data di stipulazione del contratto, abbiano tenuto conto dei 
lavori precedentemente eseguiti, conglobandone il prezzo nel corrispettivo 
pattuito. 

La seconda censura risulta dunque infondata. 


PARTE I, SEZ. ill, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 139 

3-4. Il terzo ed il quarto motivo riguardano le statuizioni adottate dalla 
Corte d'appello in sede rescissoria, in applicazione dei principi enunciati a 
sostegno della pronuncia d'annullamento: la ricorrente avanza le medesime 
censure gi� mosse per la fase rescindente, lamentando l'erronea determinazione 
della durata del rapporto e della decorrenza della maggiorazione 
del 5%. 

Tali censure sono quindi da ritenersi assorbite nelle pronunce gi� adottate 
in sede di trattazione del primo e del secondo motivo. 

Va ora preso in esame il ricorso incidentale condizionato. Con esso l'amministrazione 
contesta il criterio adottato dalla Corte, d'appello, secondo cui 
per il calcolo della maggiorazione del 5% doveva prendersi a base, per ogni 
anno, il prezzo dell'anno precedente, eventualmente comprensivo della gi� 
operata maggiorazione. Sostiene invece l'amministrazione che la base di calcolo 
doveva rimanere il prezzo originario, sul quale andava applicato l'aumento 
del 5%, per ogni anno successivo al primo. 

La censura � in parte fondata ed in parte infondata. 

Secondo i principi sopra enunciati, infatti, la maggiorazione va applicata 
ex ante sull'intero prezzo originario dell'appalto, in ragione del 5% per ogni 
anno di durata dei lavori, ivi compreso il primo anno. 

Il ricorso principale va dunque accolto per quanto di ragione, cos� come 
il ricorso incidentale (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 14 maggio 1997 n. 4232 -Pres. Sciolle 
Lagrange Pusterla -Est. Marletta -P.M. Gambardella (conf.) -Ente poste 
italiane (aw. Stato N. Bruni) c. Cassa di risparmio di La Spezia (aw. 
Rappelli). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Atti del dipendente Danno 
a terzi -Atti estranei ai fini istituzionali -Responsabilit� solidale 
della P.A. -Esclusione -Limiti. 
(Art. 28 eost.; art. 22, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 59, d.lvo 3 febbraio 1993 n. 29). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Atti del dipendente Danno 
a terzi -Atto doloso (reato) -Condotta complessiva non estranea 
ai fini istituzionali -Responsabilit� solidale della P.A. -Sussiste. 
(Art. 28 eost.; art. 22, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 59, d.lvo 3 febbraio 1993 n. 29). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Atti del dipendente Danno 
a terzi -Concorso del fatto colposo del danneggiato ex art. 1227 
co. 2 e.e. -Ordinaria diligenza -Nozione -Condotta attiva per limitare il 
danno. 

(Art. 1227 e.e.). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

140 


Ai fini della configurabilit� di una responsabilit� extracontrattuale diretta 
della pubblica amministrazione verso terzi ex art. 28 Cast., � riferibile alla 

P.A. la condotta del proprio dipendente che sia esplicazione dell'attivit� dell'ente 
e sia rivolta al conseguimento dei fini istituzionali di esso. Detta 
responsabilit� va esclusa nell'ipotesi in cui il dipendente agisce fuori dalle 
funzioni pubbliche cui � deputato e per fini del tutto personali ed egoistici 
che escludano il rapporto di �necessaria occasionalit�� tra le incombenze 
stesse e l'attivit� che ha determinato il verificarsi del danno (1). 
fl compimento di un fatto doloso, anche se configurante reato, da parte del 
pubblico dipendente non esclude la riferibilit� dell'attivit� alla P.A. allorquando 
sussista un nesso di occasionalit� necessaria tra il comportamento dell'impiegato 
e le incombenze ad esso affidate e dunque la condotta si inserisca in 
una attivit� che, complessivamente valutata, e avuto riguardo alla sua finalit� 
terminale, non risulti estranea rispetto agli interessi e alle esigenze pubblicistiche 
(la Suprema Corte precisa che tale principio vale anche se la condotta illecita, 
che assurga a valenza di reato, si inserisca in attivit� riconducibile a mera 
prassi operativa seguita dal dipendente per fini istituzionali) (2). 

L'art. 1227 secondo comma e.e. impone al danneggiato una condotta 
attiva diretta a limitare le conseguenze dannose dell'altrui fatto illecito e non 
solo l'astensione da attivit� rivolte ad aggravare il pregiudizio gi� verificatosi, 
alla stregua dei principi generali di correttezza e buona fede di cui all'art. 
1175 e.e., con la sola esclusione delle attivit� gravose o eccezionali, o tali da 
comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (3). 

(omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente, deducendo 
violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2043 e.e., e violazione dei principi in 
tema di responsabilit� della Pubblica Amministrazione, si duole che la sentenza 
impugnata, pur avendo accertato nei fatti del dipendente dell'Amministrazione 
Postale un abuso di potere, integrante gli estremi di un delitto doloso, 
finalizzato non al perseguimento dei fini istituzionali dello Stato, bens� di 
finalit� egoistiche dell'agente, abbia riferito tali fatti ad essa ricorrente. 
Accertamento, invero, che il Marsili, il quale agiva gi�-per procurare liqui


(1) Cass., sez. III, 27 novembre 1975 n. 3959, inedita, ma in CED Cassazione, RV 
378238; id. 23 ottobre 1979 n. 5544, ivi, RV 402133; id. 17 dicembre 1986 n. 7631, ivi 
RV 449638; id. 3 dicembre 1991 n. 12960, in Rass. Avv. Stato, 1991, I, 3, 525. 
(2) L'enunciazione della Corte ridimensiona e attenua il rigore del principio, 
sovente rinvenibile nelle massime del giudice di legittimit�, secondo cui la commissione 
di un reato, ove non rivolta ad interesse dell'ente, esclude senz'altro la riferibilit� 
all'ente medesimo dell'attivit� del funzionario. 
(3) In terminisCass., sez. III, 20 novembre 1991n.12439, in G. civile, 1992, I, 969, 
con nota di COSTANZA; id. 9 aprile 1996 n. 3250, in Dir. giur. agr. amb., 1996, II, 518. In 
dottrina BIANCA, Diritto civile, 5 La responsabilit�, Milano 1994, 142 seg. Si rileva incidentalmente 
che l'applicabilit� dell'art. 1227 e.e. anche alle ipotesi di illecito extracontrattuale 
discende dal richiamo a tale norma operato dall'art. 2056 e.e. 
G.N. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 141 

dit� alle casse dell'ufficio -in un �Contesto istituzionale anomalo e trasgressivo
� -certamente non autorizzato dai superiori-, si era impossessato 
del denaro contante in diverse occasioni consegnatogli dall'Agenzia bancaria 
dietro accettazione di una ricevuta di versamento in conto corrente falsificata, 
era evidente che la qualit� di impiegato dell'Amministrazione Postale 
era unicamente una condizione soggettiva �dolosamente sfruttata�, da considerarsi 
�circostanza di collegamento� meramente occasionale, idonea ad 
agevolare la condotta delittuosa, ma non ad attribuire la responsabilit� alla 
Pubblica Amministrazione. 

Tale motivo � privo di fondamento. 

Esso richiama l'orientamento tradizionale, pur autorevolmente sostenuto, 
per cui il requisito della riferibilit� all'amministrazione del fatto del dipendente, 
ai fini della configurabilit� di una responsabilit� extracontrattuale dell'amministrazione 
stessa nei confronti dei terzi, ricorre quando l'attivit� del 
dipendente consiste in una esplicazione dell'attivit� dell'ente di appartenenza 
ed � rivolta al conseguimento dei fini istituzionali di esso: solo in presenza di 
siffatta condizione sarebbe configurabile il rapporto di immedesimazione 
organica sul quale si fonda la responsabilit� diretta della pubblica amministrazione 
a norma dell'art. 28 della Costituzione per i fatti dei dipendenti 
compiuti in violazione di diritti. Detta responsabilit� andrebbe quindi esclusa 
nell'ipotesi in cui il dipendente al di fuori delle funzioni pubbliche cui � 
deputato e per fini del tutto personali ed egoistici, s� da doversi escludere ogni 
rapporto di �necessaria occasionalit�� tra le incombenze stesse e l'attivit� che 
ha determinato il verificarsi del danno (cfr. Cass. 3959/75; Cass. 5544/79; 
Cass. 7631186; Cass. 12960/91, etc.). 

Tale orientamento � stato anche autorevolmente criticato, assumendosi 
che esso finisce con l'escludere nella maggior parte delle ipotesi di attivit� 
dolosa, e particolare di rilevanza penale, del funzionario o comunque del 
dipendente pubblico la riferibilit� di essa all'amministrazione, negando al 
danneggiato la tutela risarcitoria nei confronti di quest'ultima proprio nei 
casi in cui la sua posizione si rivela particolarmente meritevole di tutela. 

� stato peraltro sottolineato da numerose decisioni che il fatto doloso del 
funzionario non � necessariamente non riferibile alla pubblica amministrazione, 
dovendo ritenersene al contrario la riferibilit� allorch� sussista un 
nesso di occasionalit� necessaria tra il comportamento dell'impiegato e le 
incombenze allo stesso affidate: nesso che va accertato -ed � questo il punto 
di decisiva divergenza rispetto all'orientamento tradizionale -considerando 
non solo lo specifico comportamento dell'impiegato pubblico costituente 
abuso, ma il complesso dell'attivit� nella quale esso si riferisce (cfr. Cass. 
36121/79; Cass. 4195/83; Cass. 5333784; etc.). Allorch�, infatti, il comportamento 
doloso si innesta nel meccanismo di una attivit� complessivamente, ed 
avuto riguardo alla sua finalit� terminale, non estranea rispetto agli interessi 
e alle esigenze pubblicistiche dell'amministrazione, quel collegamento non 
pu� non essere ritenuto. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

142 

In tal senso va ravvisata la connessione con le finalit� istituzionali della 
pubblica amministrazione, che pu� essere anche anomala, in presenza di 
un'attivit� riconducibile a prassi di comportamenti distorte, ma pur sempre 
riconducibili ad uno specifico interesse dell'amministrazione. 

�Una siffatta puntualizzazione � dato riscontrare anche in qualche decisione 
recente che sembrerebbe dare adesione alla teoria tradizionale (cfr. la 
gi� citata Cass. 12960/91; cfr. anche Cass. 7631/86, etc.) laddove si precisa 
che per accertare il nesso tra il comportamento del dipendente e le finalit� 
istituzionali proprie dell'ente per il quale egli opera deve aversi riguardo 
allo scopo ultimo che il dipendente deve raggiungere, per cui �l'abuso di 
potere commesso nel corso delle operazioni tendenti a quel fine non esclude 
il collegamento di necessaria occasionalit� con le attribuzioni istituzionali 
del dipendente quando, quale che sia il motivo che lo ha determinato, 
risulti strumentale rispetto alla attivit� d'ufficio o di servizio� -cfr. la decisione 
n. 12960/91. 
La stessa recente decisione (n. 9935 del 1993) che nega la riferibilit� 
all'ente dell'attivit� del pubblico dipendente costituente reato, per definizione, 
ha riguardo ad una fattispecie nella quale l'attivit� del funzionario doganale 
-si concretava in una collaborazione con terzi per eludere i diritti 
doganali, e quindi in un'ottica di evidente contrasto dell'attivit� medesima 
con le finalit� dell'amministrazione: sicch� il riferimento al fatto -reato era 
rilevante in quanto trattavasi di reato il cui soggetto passivo era proprio l'amministrazione. 
Va quindi in tal senso ridimensionata la portata dell'affermazione 
di principio per cui la commissione di un reato, ove non sia rivolta ad 
interesse dell'ente, esclude senz'altro la riferibilit� all'ente medesimo dell'attivit� 
del funzionario. 

La questione della configurabilit� di una responsabilit� indiretta dell'amministrazione, 
a norma degli artt. 2047 e ss. e.e., per fatti dei propri 
dipendenti � stata di recente riproposta, in relazione ad una eventuale culpa 
in vigilando o anche in eligendo, soprattutto in ipotesi di fatti illeciti commessi 
da pubblici dipendenti non titolari di organi e come tali non suscettibili 
di �immedesimarsi� nell'ente stesso: responsabilit� generalmente esclusa 
in giurisprudenza, con particolare riguardo all'ipotesi di cui all'art. 2049 e.e. 
-ma non anche alle ipotesi di cui agli artt. 2047 e 2048 � 

Nella specie, peraltro, tale ultimo aspetto non assume rilievo. 

Ora, la Corte di merito ha ritenuto, con accertamento di fatto congruamente 
e logicamente motivato e perci� non sindacabile -n� peraltro sindacato 
sul punto in esame -che l'attivit� illecita svolta dal Marsili, direttore ed 
unico dipendente dell'Ufficio Postale di Crespiano si innestava in una prassi 
operativa volta ad assicurare all'Ufficio la liquidit� giornalmente necessaria 
per l'assolvimento dei compiti istituzionali dell'Ente -pagamento di pensioni 
e di altri titoli, a richiesta degli utenti-; ci� a causa della persistente deficienza 
di liquidit�, dovuta a sua volta a motivi di sicurezza ed a problemi nel 
servizio di scorta valori. 


PARTE I, SEZ. ID, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 143 

Ed invero, delle somme corrisposte dall'Agenzia di Licciano Nardi della 
Cassa di Risparmio di La Spezia, pari a complessive L. 1.565.000.000, la 
maggior parte e cio� L. 1.005.000.000 complessivamente -era stata effettivamente 
utilizzata per le finalit� dell'Ufficio Postale. 

Correttamente, quindi, la sentenza impugnata, alla stregua dei principi 
di diritto sopra enunciati, ha ritenuto che il Marsili, allorch� nel periodo di 
tempo in questione -tra il maggio 1982 e il gennaio 1984 -si recava presso 
l'agenzia dell'Istituto di credito per acquisire denaro contante, agiva non a 
fini privati ed egoistici, estranei all'Amministrazione di appartenenza, ma 
nell'ambito delle sue attribuzioni e all'espletamento di attivit� proprie 
dell'Ente. Che di egli, abusando della sua qualit� e traendo profitto alla favorevole 
situazione di esser l'unico impiegato all'Ufficio I:'ostale di Crespiano senza, 
quindi, immediati controlli -abbia distratto a proprio profitto da 
parte dei fondi acquisiti anzich� destinarli all'assolvimento degli scopi istituzionale 
dell'Ente, � circostanza che non esclude come la finalit� dell'operazione 
fosse quella di approvvigionare l'Ente di denaro liquido, e che quindi la 
relativa attivit� non possa dirsi estranea all'amministrazione. 

A nulla vale in contrario addurre che la prassi con la quale il denaro 
liquido veniva acquisito -operazioni di versamento di denaro nel conto 
corrente postale intestato alla cassa di Risparmio di la Spezia, compiuto 
per� non presso l'Ufficio Postale, bens� presso i locali dell'Agenzia di 
Licciano Nardi dell'Istituto, distanti circa cinque chilometri dall'Ufficio 
Postale ove giornalmente si recava il Marsili per i prelevamenti, consegnando 
bollettini di versamento apparentemente regolari, anche a volte 
privi del numero di accettazione ed altre volte provvisti di un numero di 
accettazione apposto a penna -fosse anomala, ci� non valendo ad escludere 
il rilievo dato dalla effettiva connessione di esse rispetto a finalit� 
proprie all'amministrazione postale. Trattavasi peraltro di prassi costante 
e risalente nel tempo, come accertato dai giudici di merito, pur se non � 
risultato essere stata conosciuta e autorizzata dall'amministrazione anche 
se di una conoscenza quanto meno effettiva, se non ufficiale, sembra 
far cenno la sentenza impugnata, ricavando la circostanza proprio 
dalla reiterazione nel tempo delle relative operazioni e dal fatto che esse 
�surrogavano� in parte l'invio di denaro liquido da parte della Direzione 
Provinciale (cfr. pagg. 15/16). Il che costituisce, ove mai ve ne fosse bisogno, 
una riprova della stretta inerenza delle operazioni suddette alle finalit� 
dell'amministrazione postale, posto che siffatte modalit� di approvvigionamento 
tenevano in parte luogo di quelle dirette ed ordinarie per le 
quotidiane necessit� dell'Ufficio Postale. 

Con il secondo motivo, denunciandosi violazione e/o falsa applicazione 
dell'art. 1227 e.e. e motivazione insufficiente e contraddittoria, l'amministrazione 
ricorrente deduce che la sentenza impugnata, dopo avere dato atto del 
ritardo con cui erano stati effettuati i controlli del conto corrente, avrebbe in 
modo semplicistico e pure contraddittorio giustificato, agli effetti dell'appli



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

cazione dell'art. 1227 e.e., il minor rigore e la minor frequenza dei controlli 
con il rapporto di fiducia esistente tra le parti e la �legittima aspettativa� di 
operare in un clima di correttezza e di onest�. 

Alla luce dei principi affermati da costante giurisprudenza in tema di 
interpretazione della suddetta norma, avrebbe dovuto, invece, ritenersi che la 
Cassa di Risparmio di La Spezia era concorsa nella causazione del danno o 
ne aveva determinato l'aggravamento per propria condotta omissiva. Il congegno 
criminoso ideato dal Marsili non avrebbe, infatti, conseguito effetti se 
i funzionari dell'Agenzia di Licciana Nardi non avessero consentito, violando 
regolamenti e procedure postali noti a chiunque, di versare denaro al Marsili 
fuori dell'Ufficio Postale, con eccessiva e professionalmente inaccettabile 
fiducia nella persona, e se avessero, con un minimo di attenzione, verificato 
l'autenticit� delle ricevute, posto che i cedolini consegnati dal Marsili erano 
falsi o quanto meno incompleti. 

Dovendosi peraltro valutare nella loro periodica attuazione le successive 
azioni esecutive del medesimo disegno criminoso compiute dal Marsili, per 
considerare in una corretta prospettiva la condotta della parte danneggiata, 
doveva rilevarsi che gli organi di controllo della Banca, nonostante il rilievo 
di ragguardevoli ammanchi nei conti di provenienza dell'Ufficio Postale di 
Crespiano, avevano omesso qualsiasi iniziativa, anche quella pi� elementare 
di mettere sull'avviso l'Agenzia di Licciana Nardi, i cui versamenti in conto 
corrente postale presentavano cos� gravi anomalie. E, posto che l'art. 1227 2� 
comma e.e. richiede al danneggiato non solo di astenersi dall'aggravare il 
danno, ma anche un comportamento positivo che possa evitare il danno o il 
suo aggravamento, non erano giustificabili la negligenza, l'inerzia e, in ogni 
caso, il grave ritardo con cui i funzionari dell'Istituto addetti a tale compito 
avevano affrontato il problema degli ammanchi e segnalato il fatto agli organi 
ispettivi dell'amministrazione postale. 

Anche tale motivo � privo di fondamento. 
� necessario preliminarmente sottolineare che, con riguardo alla fattispecie 
in esame, il problema della applicabilit� in astratto dell'art. 1227 

e.e. si pone con riguardo non al secondo, bens� al primo comma di detto 
articolo. 
Posto, invero, che sono ravvisabili molteplici comportamenti del Marsili 
produttivi di danno e che il problema del concorso del fatto colposo 
dell'Istituto danneggiato si pone con riguardo a ciascuno di essi e per i danni 
che ne sono di volta in volta conseguiti, � del tutto corretta e pertinente l'osservazione, 
contenuta nella sentenza di primo grado, per cui i ritardi e le 
omissioni addebitate all'Istituto non erano in grado di incidere sul danno 
dipendente dai pregressi comportamenti del Marsili -il quale, una volta 
tenuto in possesso del denaro e regolata l'operazione con il rilascio dei cedolini 
gi� descritti, era bene in grado di appropriarsi del denaro stesso senza 
che i successivi comportamenti dell'Istituto potessero impedirlo in alcun 
modo o ridurre le conseguenze dannose delle appropriazioni -, bens� pote-

t 

~ 

1~ 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 145 

vano valere a far cessare per il futuro la condotta del Marsili, prevenendo 
ulteriori atti di appropriazione. 

Il problema, quindi, si pone in termini di configurabilit� di un comportamento 
colposo riferibile alla Cassa di Risparmio che, omettendo di 
attivarsi e di esperire i necessari controlli che avrebbero potuto fa individuare 
gli ammanchi, sarebbe stato idoneo, ad una certa fase della condotta 
criminosa continuata, ad impedire il protrarsi di essa. Ben si vede, quindi, 
come il problema attenga all'ipotizzabilit� di un concorso di colpa del danneggiato 
nella produzione del fatto lesivo (art. 1227 1� comma e.e.) e non di 
una semplice omissione di diligenza idonea a dar luogo o ad aggravare il 
danno senza il concorso nel fatto illecito che era idoneo a produrlo (art. 
1227 2� comma). 

In tale ottica i primi giudici hanno preso in esame tali comportamenti, 
positivi o negativi, addebitati dalla amministrazione postale a funzionari e 
impiegati della Banca, per escludere che essi, sotto il profilo della negligenza, 
della imprudenza o dell'imperizia, potessero configurare azioni od omissioni 
valutabili in termini di colpa per gli effetti di cui al primo comma del1'
art. 1227 e.e. in dipendenza della loro attitudine ad inserirsi nella serie causale 
messa in moto dai comportamenti illeciti del Marsili, agevolandone il 
conseguimento dei risultati voluti dall'agente. 

Le valutazioni svolte dai primi giudici sono state interamente confermate 
dalla sentenza impugnata, la quale ha rilevato, in particolare: 1) Che 
nessun addebito poteva essere mosso agli impiegati dalla Agenzia di 
Licciana Nardi della Cassa di Risparmio di la Spezia per non essersi curati 
di verificare la completezza ed autenticit� delle ricevute di versamento 
da loro accettate e per avere comunque continuato l'attuazione di operazioni 
fuori dall'Ufficio suddetto. 2) Che nessuna responsabilit� poteva 
addebitarsi all'Istituto per avere ritardato il controllo del conto corrente in 
questione. 

Sotto il primo profilo, ha rilevato che le ricevute di versamento -bollettini 
di conto corrente postale -erano rilasciate dal Marsili nella sua qualit� 
di direttore dell'Ufficio Postale di Crespiano ed erano munite di regolari 
bolli, �tondo a calendario� e �lineare� identificativi dell'Ufficio, per cui apparentemente 
non presentavano alcuna irregolarit� -essendo peraltro autentici 
sia nella persona del compilatore, sia nei timbri su di essi apposti -; e 
che il recarsi il personale degli uffici postali presso la sede dell'agenzia di credito 
per approvigionarsi di denaro contante rispondeva ad una prassi costantemente 
seguita e <<normale� in considerazione del fatto che era il titolare 
dell'Ufficio postale a dover ritirare i contanti, sostanzialmente effettuando 
operazioni di �prelevamento�. 

Sotto il secondo profilo, ha argomentato dalla mancanza di un �autonomo 
dovere giuridico� per il danneggiato di attuare determinati comportamenti 
per evitare il danno e comunque, in punto di fatto dal rapporto fiduciario 
esistente tra le parti, in considerazione della qualit� della controparte 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

146 

(una pubblica amministrazione) e della persona per mezzo della quale essa 
agiva (un pubblico impiegato), che ben induceva la �legittima aspettativa� di 
operare in un clima di correttezza e di onest� tali da autorizzare controlli 
meno rigorosi e con frequenza usuale. 

Ora sul piano della motivazione, tali conclusioni appaiono perfettamente 
attendibili, investendo ragioni di fatto accertate con adeguata valutazione 
delle risultanze istruttorie e idonee, sul piano logico, a condurre ai risultati 
cui la sentenza impugnata � pervenuta. 

N� appare insufficiente o contraddittoria la motivazione in ordine alla 
minore frequenza ed intensit� dei controlli effettuati dall'Istituto, ancorata al 
logico rilievo di un rapporto fiduciario particolarmente e giustificatamente 
intenso, anche in funzione della rispondenza delle operazioni effettuate ad 
una prassi costante, che la sentenza impugnata riferisce (cfr. pag. 20) agli 
uffici postali in genere oltre che a quello di Crespiano. 

La correttezza del principio di diritto affermato dalla Corte di merito, 
in ordine alla non �esigibilit�� di un comportamento positivo del danneggiato 
volto ad evitare o ridurre il danno non pu� essere affermata, alla stregua 
della pi� recente interpretazione dell'art. 1227 2� comma e.e., la quale 
ritiene che la norma in esame imponga al danneggiato una condotta �attiva
� diretta a limitare le conseguenze dannose dell'altrui fatto illecito e non 
solo l'astensione da attivit� rivolte ad aggravare il pregiudizio gi� verificatosi, 
alla stregua dei principi generali di correttezza e di buona fede di cui 
all'art. 1175 e.e. con la sola esclusione delle attivit� gravose o eccezionali o 
tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (cfr. Cass. 12439/91; 
Cass. 3250/96. etc.). 

Senonch�, non solo tale argomentazione giuridica non costituisce la 
ratio decidendi, ancorata, come gi� detto, sul rilievo per cui il ritardo e il 
minor rigore dei controlli da parte dell'Istituto erano giustificati da ragioni 
attinenti alla concreta situazione di fatto e alla qualit� delle parti. Ma in ogni 
caso i contestati comportamenti negligenti inciderebbero, a tutto concedere, 
sul piano di un eventuale concorso del fatto colposo del danneggiato, cio� di 
un fattore che si sarebbe inserito nella serie causale che dal comportamento 
illecito del Marsili aveva condotto al verificarsi del fatto lesivo, secondo la 
previsione del primo comma dell'art. 1227 e.e. 

In tale ottica, sarebbe stata necessaria, e non � stata invece operata, una 
delimitazione delle operazioni illecite alla cui commissione quei comportamenti 
avrebbero contribuito e della rispettiva consistenza economica, sul 
piano delle appropriazioni commesse dal Marsili: il che non � stato minimamente 
precisato nel motivo di ricorso, che comunque non si volge a censurare 
l'accertamento di fatto compiuto sul punto dai giudici di merito o, pi� propriamente, 
l'omessa �delimitazione� delle operazioni illecite cui dover riferire 
un eventuale concorso di colpa dell'Istituto bancario e, quindi, del danno 
che l'amministrazione ricorrente era tenuta a risarcire. 

11,ricorso va, pertanto, rigettato (omissis). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 147 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 21 maggio 1997 n. 4535 -Pres. Sensale -Rei. 
Vignale -P.M. Maccarone (conf.) -Ministero Finanze (aw. Stato 
Laporta) c. Comune di Milano e C.l.M.E.P. (aw. Romanelli). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione acquisitiva di terreno 
destinato ad opere di edilizia popolare ed economica -Determinazione 
risarcimento -Legge 23 dicembre 1996 n. 662, art. 3, 65� co. Applicabilit�. 


(I. 23 dicembre 1996, n.662, art. 3; I. 27 ottobre 1988, n.458, art. 3). 
La normativa di cui all'art. 3, co. 65, della legge 23 dicembre 1996 n. 662 
deve ritenersi applicabile, indistintamente, a tutte le occupazioni illegittime 
che, dando luogo ad accessione invertita, non consentano la restituzione dell'immobile 
e, quindi, anche in ipotesi di occupazione illegittima per l'esecuzione 
di opere di edilizia popolare ed economica, in relazione alla quale l'art. 3 
legge 27 ottobre 1988 n. 458 si � limitato a prevedere l'obbligo del risarcimento 
del danno (con esclusione della restituzione del suolo) senza, tuttavia, affatto 
indicare quali debbano essere le modalit� perla liquidazione dello stesso (1). 

(omissis) Con il primo motivo di ricorso, le Amministrazioni erariali 
lamentano che il giudice del merito, per la quantificazione economica del 
danno da loro subito abbia fatto ricorso a criteri validi per la determinazio


(1) Questione, a quanto consta, esaminata per la prima volta dal S.C. Ad opposta 
soluzione � pervenuto Trib. Messina 20 ottobre 1997 n. 1024 (inedita), cos� argomentando: 
�la regola (n.d.r.: dell'accessione invertita) elaborata dalla giurisprudenza � 
stata oggetto di espressa estensione legislativa all'ipotesi di terreno utilizzato per finalit� 
di edilizia residenziale pubblica, agevolata e convenzionata (art. 3 legge 27 ottobre 
1988, n. 458), sicch� l'occupazione appropriativa opera ormai anche in favore di cooperative 
edilizie e di altri soggetti privati, la cui attivit� costruttiva non si concreta nella 
realizzazione di opere pubbliche in senso stretto (anche in totale assenza del decreto di 
esproprio: Corte Cost. 27 dicembre 1991, n. 486, in Foro It., I 1073). 
La considerazione appena sviluppata, direttamente rilevante nel caso di specie, in 
cui l'occupazione � stata disposta in favore di una cooperativa edilizia per la realizzazione 
di alloggi sociali, e quindi per la finalit� di edilizia residenziale pubblica, offre lo spunto 
per affrontare la questione della individuazione del parametro normativo di riferimento, 
che la difesa della cooperativa convenuta identifica con il citato art. 5 bis, come 
modificato dagli interventi successivi, sollecitando implicitamente l'espletamento di una 
nuova indagine tecnica per procedere ad una nuova quantificazione delle somme dovute 
all'attore (v. deduzioni riportate nel verbale d'udienza collegiale del 21maggio1997). 

� infatti noto che, posto nel nulla il tentativo legislativo di operare una totale parificazione 
tra indennit� di esproprio e misura del risarcimento del danno da occupazione 
acquisitiva (Corte Cost. 2 novembre 1996, n. 369, in Foro it., I, 1996, 3257), il legislatore 
� nuovamente intervenuto aggiungendo all'art. 5 bis della legge 8 agosto 1992, 

n. 359, un ulteriore comma, il 7 bis, che detta un nuovo criterio di determinazione del 
risarcimento del danno per i casi di occupazioni illegittime di suoli per causa di pubblica 
utilit� (art. 3, comma 65, legge 23 dicembre 1996, n. 662). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

148 

ne dell'indennit� di esproprio, ma non anche per la liquidazione del danno da 
occupazione illegittima. Sostiene che il danno da occupazione illegittima 
avrebbe dovuto essere liquidato, invece, tenendo conto della lesione patrimoniale 
subita dal danneggiato, da conmmisurarsi, quindi, innanzitutto al 
controvalore dell'immobile. 

� chiaro che, con questa censura, le ricorrenti hanno inteso contestare 
che il giudice del merito abbia correttamente determinato il risarcimento del 
danno per equivalente. Sul punto relativo alla liquidazione del danno, quindi, 
non si � formato il giudicato, tal che si rende applicabile, al procedimento 
in corso, la normativa di cui all'art. 3, co. 65, della legge 23 dicembre 1996 

n. 662, secondo il quale la liquidazione del danno da occupazione illegittima 
per ragioni di pubblica utilit� (liquidazione presupponente, peraltro, che l'ac-
Tuttavia � opportuno sottolineare e ribadire che prima dell'introduzione del citato 
art. 3 la vicenda dell'accessione invertita poteva verificarsi nel settore dell'edilizia 
residenziale pubblica soltanto per una parte delle ipotesi in esso ricomprese, mentre ne 
restavano fuori le ipotesi di opere realizzate comunque da soggetti privati: in altri termini, 
senza il riconoscimento legislativo, la posizione degli assegnatari di alloggi edificati 
mediante occupazione abusiva, pur se strutturalmente analoga a quella dell'ente 
beneficiario dell'opera pubblica, non avrebbe ricevuto tutela (cos� ampiamente, nella 
parte finale della motivazione, le sezioni unite della S.C. nella citata n. 12546/92, Foro 
it., 1993, I, 104-105). 

Da ci� deriva il carattere speciale, anche se non eccezionale, del citato art. 3, 
necessario a paralizzare, in un settore particolare (quello dell'edilizia residenziale pubblica), 
l'effetto restitutorio inevitabilmente connesso ad una occupazione illegittima e 
ad individuare nel risarcimento del danno l'unico obiettivo perseguibile dal proprietario, 
secondo il modello ampiamente elaborato e convalidato dalla giurisprudenza per 
le sole opere pubbliche in senso stretto. 

Ritiene il Collegio che la specialit� della disposizione di cui all'art. 3 della legge n. 
458, confermata dall'indagine sulla sua genesi, consente di argomentare che il settore da 
essa disciplinato e il relativo procedimento di liquidazione del danno in caso di occupazione 
acquisitiva si sottraggono alla nuova disciplina di cui all'art. 5 bis integrato. 

Ed invero l'assunto contrario, sostenuto in dottrina in sede di primo approccio 
alla nuova norma, si fonda per un verso sulla lettera del testo normativo, che non 
distingue le opere realizzate da soggetti pubblici dalle altre, alle prime accomunate 
dalla causa di pubblica utilit� che deve comunque sorreggere l'occupazione, e per altro 
verso sulla tendenza legislativa a realizzare un trattamento paritario di tutto il settore 
della edilizia residenziale pubblica. 

Tuttavia � agevole rilevare la genericit� di quest'ultimo argomento, che desume 
una volont� normativa ben precisa che ha trovato espressione nel citato art. 3, ma che 
� problematico trarre da una disposizione assai stringata, generata esclusivamente alla 
volont� di arginare gli effetti della sentenza n. 369/96 della Corte costituzionale: e non 
a caso la pretesa estensione di effetti viene indicata come una implicazione non compiutamente 
avvertita dal legislatore del 1996. 

Quanto poi alla circostanza che la norma non distingue tra soggetti pubblici e 
non, l'argomento, sul piano strettamente letterale, non si sottrae alla obiezione che non 
poteva sfuggire al legislatore, alla luce della evoluzione illustrata, la diversa �Storia� 
dell'occupazione acquisitiva nei due ambiti e conseguentemente la necessit�, ove questa 
ne fosse stata l'intenzione, di usare una formula pi� esplicita e veramente onnicomprensiva
�. 

S.L. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 149 

certamento della natura del suolo venga eseguito alla stregua del principio 
che possono ritenersi terreni edificatori solo quelli la cui edificabilit� sia legale 
ed effettiva) deve essere eseguita applicando nuovi criteri. 

L'applicabilit� della normativa sopravvenuta alla fattispecie � stata 
contestata dalle Amministrazioni ricorrenti, sulla base di una serie di argomentazioni. 


Secondo la loro tesi, la normativa del 1996 non regola ipotesi di occupazione 
illegittima di terreni per finalit� di edilizia residenziale, in quanto esse 
sono rimaste disciplinate esclusivamente dalla legge n. 458 del 1988, che, 
peraltro, prescinde da una preventiva dichiarazione di pubblica utlit� dell'opera 
da realizzare sul suolo occupato. Questa tesi non pu� essere accolta, 
giacch� la normativa sopravvenuta deve ritenersi applicabile indistintamente 
a tutte le occupazioni illegittime che non consentano la restituzione dell'immobile: 
quindi, essa va applicata tutte le volte che si sia verificata, a favore 
dell'occupante, un'accessione invertita, presupposto indefettibile della quale 
� la preventiva pronuncia di una valida dichiarazione di pubblica utilit�. 
Pertanto, indipendentemente da ogni valutazione circa i rapporti correnti tra 
la legge n. 458 del 1988 e quella n. 662 del 1996, la circostanza che la fattispecie 
possa astrattamente essere inquadrata nel paradigma di cui alla prima 
legge risulta del tutto priva di rilievo quando, nel caso concreto, il giudice del 
merito, con decisione passata in giudicato, abbia accertato che l'occupante 
aveva acquistato la propriet� del suolo privato per �accessione invertita�, tal 
che ne sarebbe stata preclusa la restituzione. In questo caso, infatti, la fattispecie 
deve necessariamente ricadere nella disciplina di cui alla normativa 
che regola l'occupazione preceduta dalla dichiarazione di pubblica utilit�, la 
quale soltanto costituisce titolo per l'accessione invertita. 

N� a porre in dubbio la correttezza di questa conclusione pu� valere l'assunto 
che, con l'art. 3 della legge n. 458 del 1988, l'ordinamento giuridico, in 
relazione alle opere di edilizia popolare ed economica, abbia previsto una 
disciplina particolare, in forza della quale il risarcimento del danno da occupazione 
illegittima di un suolo di propriet� privata dovrebbe necessariamente 
essere commisurato all'integrale suo valore venale. Infatti, la norma del 
1988 si � limitata a stabilire che in caso di occupazione illegittima per I'esecuzione 
di opere di edilizia popolare ed economica, al proprietario del suolo 
a tal fine utilizzato � dovuto solo il risarcimento del danno (con esclusione 
della restituzione del suolo), ma non ha indicato affatto quali debbano essere 
le modalit� per la liquidazione dello stesso. Quindi, queste ben avrebbero 
potuto essere fissate da un'altra legge con criteri diversi da quello della sua 
identificazione con il mero valore venale del suolo. 

In conclusione, la Corte, pronunciando su questo motivo di ricorso, deve 
cassare la decisione impugnata e rinviare la causa ad altro giudice di merito, 
affinch� provveda ad accertare se ed in quale misura l'ammontare della liquidazione 
del danno possa essere modificato; ci� tenendo conto, mutatis 
mutandis, delle osservazioni svolte nella sentenza n. 9872 del 22 novembre 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

150 

1994 (in materia di determinazione dell'indennit� di esproprio) circa l'applicabilit� 
della normativa sopravvenuta nel giudizio d'impugnazione, quando 
l'espropriante abbia prestato acquiescenza alla determinazione giudiziale 
dell'indennit� (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 29 maggio 1997 n. 4748 -Pres. Corda -Rel. 
Macioce -P.M. Buonajuto (conf.) -Assessorato BB.CC. Regione siciliana 
(avv, Stato Laporta) c. Mandello ed altri (avv. Briguglio). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Anomalia procedimentale -Opposizione 

a stima da parte dell'espropriante -Termine -Decorrenza. 

(legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 19) 

Nelle ipotesi in cui, per anomalia procedimentale, il decreto d'esproprio 
notificato al proprietario includa l'indicazione dell'ammontare definitivo dell'indennit� 
prima che questo risulti dal deposito della relazione di stima, il 
termine per l'opposizione da parte dell'espropriante P.A. che, oltre ad essere 
beneficiaria dell'esproprio, abbia adottato il relativo decreto decorre dalla 
data di emanazione del provvedimento ablativo (1). 

(omissis) Venendo, dunque, all'esame della prima censura, e cio� all'esame 
del punto nodale della decorrenza -specifica per lespropriante ( tesi 
della Corte di merito) od omologa per entrambe le parti interessate (tesi della 
ricorrente) -del termine decadenziale di cui all'art.19, pare a questa Corte 
che tre distinti ordini di considerazioni militino contro la persuasivit� della 
tesi sostenuta dall'Avvocatura Erariale. 

1) Collegando la decorrenza del termine decadenziale per lespropriante 
all'esecuzione della notifica del decreto ablatorio all'espropriato (attivit� evidentemente 
rimessa alla discrezionale iniziativa dell'espropriante stesso), si 
perverrebbe alla conseguenza di far dipendere dall'attivit� dello stesso soggetto 
interessato all'attivit� impugnatoria il decorso del termine perentorio per il 
suo compimento, con evidente violazione dei principii di predeterminatezza 
ed alterit� della fonte della decadenza, principii ben evidenziati dalla Corte 

(1) La pronuncia (al pari della successiva, conforme Cass. 7201197) risulta ispirata 
ai rilievi di Corte Cost. 27 luglio 1992 n. 365, che, per�, ebbe a �costruire� (in via additiva) 
l'opposizione all'indennit� di occupazione da parte dell'occupante (non prevista 
dall'art. 20 legge n. 865/1971): situazione diversa, quindi, da quella contemplata dall'art. 
19 della stessa legge (che al secondo comma prevede espressamente l'opposizione a 
stima da parte dell'espropriante, cui non sembrerebbe riservata la �esclusiva� della notificazione 
del decreto ai fini della decorrenza del termine per l'opposizione a stima). 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 151 

delle Leggi nella decisione hinc et inde richiamata, in tema di art. 20 della 
legge 865/71, quando, rimossa l'incostituzionale esclusione della facolt� dell'espropriante 
di impugnare innanzi alla Corte territoriale l'indennit� di occupazione 
temporanea, ha ritenuto di regolare, con pronunzia additiva, il dies a 
quo per l'opposizione dell'occupante collocandolo alla data della ricezione dal 
Comune della comunicazione della stima effettuata e non gi� a quella di notificazione 
all'occupato �non potendosi consentire che sia rimesso alla discrezionalit� 
del Comune espropriante lo stabilire il momento iniziale di decorrenza 
del termine per l'opposizione� (Corte Cost. 27 luglio 1992 n. 365). 

2) La norma espressa in subjecta materia (l'art. 19, 2� comma in esame) 
non obbliga affatto, contrariamente all'opinione della ricorrente, alla divisata 
parificazione: essa, invero, statuisce chiaramente una parificazione di 
�opportunit� impugnatorie�, in ossequio a ragioni di parit� di trattamento 
(neglette, come dianzi detto, nell'art. 20 successivo e pertanto ripristinate con 
la riportata pronunzia additiva); ma n� la lettera n� la ratio del cennato 2� 
comma dell'art. 19 impongono di ritenere awerata una parificazione di 
�regole impugnatorie�, rilevando soltanto, con il letterale rinvio alla opposizione 
proposta dall'espropriato, che l'espropriante possa disporre della stessa 
sede processuale per le proprie contestazioni della stima pur concessa 
all'espropriato. Quando, poi, per la registrata anomalia procedimentale, ci si 
muova in un contesto nel quale neanche l'espropriato veda lo strumento 
impugnatorio concesso perfettamente sovrapponibile a quello disegnato dal 
�modello legale� nulla impedisce all'interprete di conformare la decorrenza 
del termine per l'impugnazione alla stregua della specifica posizione del soggetto 
impugnante. E ci� si badi proprio avendo riguardo a quello specifico 
canone generale alla cui stregua si � pur resa compatibile con il modello legale 
la registrata anomalia procedimentale: il canone della conoscenza legale 
della stima. E di ci� appresso. 

3) Se � vero, come questa Corte ha ripetutamente affermato, che la 
decorrenza del termine per l'opposizione dell'espropriato (nelle menzionate 
ipotesi di anomala distribuzione della sequenza procedimentale) deve essere 
collocata al momento in cui -attraverso la notificazione del decreto ablatorio 
contenente la determinazione definitiva dell'indennit� -egli abbia piena, 
attuale e insuperabile conoscenza della stima, appare chiaro che, per l'espropriante, 
tal conoscenza nei cennati requisiti di attualit� e completezza non 
possa ragionevolmente differirsi al compimento, a suo impulso (vd. sub. 1) e 
in assenza di insuperabili dati normativi (vd. sub 2), di attivit� processuali 
dirette a comunicare all'espropriato la stima stessa, essendosi la conoscenza 
rilevante gi� incontestabilmente maturata con la mera adozione del decreto 
di esproprio che quella stima, come premesso, compiutamente contenga, le 
volte in cui, e tale � il caso di specie, l'espropriante (assessore ai BB.CC.AA. 
della Regione Sicilia) sia la stessa Autorit� che venga ad adottare la misura 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

ablatoria. Se cio� nella ipotesi generale regolata dall'art. 13 L. 865/71 -che 
vede l'espropriante richiedere al Prefetto l'adozione del decreto, ad emettersi 
entro 15 giorni dalla richiesta � lecito porre la conoscenza legale in discorso 
alla data in cui il decreto venga rilasciato in copia autentica amministrativa 
per la notificazione all'espropriato, nell'ipotesi quale quella che occupa 
-di identificazione soggettiva tra espropriante ed Autorit� adottante il 
decreto, tal conoscenza legale non pu� non ritenersi esistente sin dal momento 
in cui il decreto venga dallo stesso Ente ritualmente adottato, irrilevante 
essendo, come dianzi detto, alcuna attivit� di successivo impulso al fine della 
formazione della conoscenza stessa (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 7 luglio 1997 n. 6111 -Pres. Sensale -Rei. 
Vitrone -P.M. Dettori (concl. diff.) Morante Michele (avv. Riitano) c. 
Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato Fiengo). 

Obbligazioni e contratti -Obbligazioni pecuniarie -Inadempimento Svalutazione 
Risarcimento del maggior danno Pubblica 
Amministrazione creditore -Ricorso ad elementi presuntivi -Esclusione 
-Onere di provare esatto ammontare del danno subito -Necessit�. 

(e.e. 1224). 
A differenza di quanto si verifica nei rapporti interprivati, qualora la 
Pubblica Amministrazione creditrice agisca per ottenere il maggior danno da 
svalutazione ha l'onere di dimostrare l'esatto ammontare dei pregiudizio che 
assume di aver subito (1). 

(Omissis) Escluso, quindi, che la parte possa dolersi in via di impugnazione 
dell'omessa pronuncia di estinzione del giudizio per inattivit� delle 
parti, pu� essere esaminato il secondo motivo con il quale viene dedotta la 

(1) Non constano precedenti in termini. Sul versante dei rapporti interprivati, 
invece, come � noto, la giurisprudenza della Corte di legittimit� ha subito un'evoluzione 
che sembra, ora, aver trovato un punto di approdo. 
Infatti, l'orientamento della Cassazione era, originariamente, nel senso della 
necessit� -per il creditore che agisse in giudizio al fine di ottenere il risarcimento del 
danno subito a seguito della svalutazione monetaria verificatasi durante il periodo di 
inadempimento del proprio debitore -di fornire la prova puntuale del danno sofferto 
(Cass. 21 luglio 1975 n. 2881, in Mass. Foro It., 1975, 683; Cass. 19 ottobre 1977 n. 
4463, in Foro It., 1978, I, 336, con nota di AMAruccr). 

Un mutamento di rotta di centottanta gradi si ebbe, poi, con la sentenza della 
Cassazione 30 novembre 1978 n. 5670 (in Giust. civ., 1978, I, 1, 1909, con nota di 
FINOCCHIARO), che, per�, rest� isolata nell'affermare la possibilit�, per il creditore, di 
dedurre il solo fatto notorio della svalutazione, senza necessit� di fornire la prova di 
aver concretamente predisposto il reimpiego della somma dovutagli. 


--
PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 153 

violazione e falsa applicazione degli artt. 1224 e 2697 cod. civ., nonch� dell'art. 
112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., poich� 
il giudice di rinvio avrebbe erroneamente accolto la domanda di risarcimento 
del maggior danno derivante dalla svalutazione monetaria, nonostante 
l'Amministrazione creditrice non abbia fornito alcuna prova di aver subito 
un danno maggiore di quello coperto dalla corresponsione degli interessi 
legali di mora, n� ha indicato alcun parametro di riferimento per la determinazione 
del danno asserito. 

La censura � fondata poich� la sentenza impugnata, pur muovendo dal1'
ovvia considerazione che la Pubblica Amministrazione non pu� disporre 
liberamente dei mezzi economici ad essa attribuiti ma deve impiegarli per la 
soddisfazione dei bisogni della collettivit� cui � istituzionalmente preposta, � 
pervenuta alla inaccettabile conclusione di assolvere l'Amministrazione ere-

Successivamente, intervenne la nota pronuncia delle Sezioni Unite (4 luglio 1979, 

n. 3776, in Giur.It., 1979, I, 1, 1410) che, nel tentativo di trovare un punto di equilibrio 
tra le diverse e confliggenti posizioni, enucle� un criterio interpretativo che faceva riferimento, 
al fine della valutazione (e della prova) del danno derivante dalla svalutazione 
monetaria, a quattro categorie di creditori: era sufficiente provare l'appartenenza ad 
una di queste quattro categorie per ottenere il risarcimento del danno da svalutazione 
nella misura (anch'essa indicata nella citata sentenza) corrispondente a ciascuna figura 
soggettiva di creditore. 
La giurisprudenza successiva si caratterizz� per un sostanziale adeguamento al 
nuovo indirizzo delle Sezioni Unite, ma non mancarono decisioni che risolsero l~ questione 
con accenti diversi (nel senso della possibilit� per il giudice, in assenza di altri 
elementi probatori, di quantificare il danno alla stregua degli interessi bancari, si veda, 
ad esempio, Cass. 29 giugno 1985 n. 3887, in Mass. Giur. It., 1985; ed invece, nel senso 
della assenza di onere probatorio specifico per l'imprenditore, attesa la normale inerenza 
del pregiudizio subito all'ordinario svolgimento dell'attivit� imprenditoriale, v. 
Cass. 7 settembre 1984 n. 4788, in Giur. It., 1985, I, 1, 1090, con nota di INZITARI). 

Anche in considerazione della permanenza di decisioni contrastanti della questione, 
intervennero nuovamente le Sezioni Unite con la sentenza del 5 aprile 1986 n. 
2368 (si pu� leggere in Foro It., I, 1265, con note di PARDOLESI ed AMAruccr; in Giur. It., 
1986, I, 1, 1160, con nota di INZITARI; in Giust. Civ., 1986, I, 1595, con nota di TARTAGLIA; 
in Dir. Lav., 1986, Il, 413, con nota di BuoNCRISTIANO) che ribadirono, sostanzialmente, 
l'orientamento espresso nel 1979, fornendo, peraltro, ulteriori elementi sui caratteri 
delle quattro figure di creditori e sulle modalit� di valutazione del danno. 

La giurisprudenza successiva �, complessivamente, conforme a quest'ultimo indirizzo 
( v., infatti, Cass. 11 febbraio 1987 n. 1492, in Rep. Foro It., 1987, voce Danni civili, 
n. 248; Cass. 5 ottobre 1988 n. 5365, in Rep. Foro It., 1988, voce Danni civili n. 212; 
Cass. 17 gennaio 1989 n. 188, in Mass. Giur. It., 1989, n. 31; Cass. 22 marzo 1991 n. 
3101, in Rep. Foro It., 1991, voce Danni civili, ed altre), pur continuando a non mancare 
decisioni con toni parzialmente diversi (vedi, ad esempio, Cass. 16 gennaio 1988 

n. 305, in Rep. Foro It., 1988, voce Danni civili, n. 261, che ritiene possibile, in assenza 
di altri elementi, il ricorso a criteri equitativi). 
In dottrina, oltre al fondamentale saggio di AscARELLI Obbligazioni pecuniarie, in 
Comm. Scialoja e Branca (artt. 1277-1284), 1959, sul tema specifico del risarcimento 
del danno da inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, con richiami limitati alle 
pubblicazioni meno remote, si veda LIBERTINI, voce Interessi, in Enc. Dir., XXII, 
Milano, 1972, 116 ss.; E. QUADRI, Le obbligazioni pecuniarie, in Trattato di Diritto 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

ditrice da ogni onere di allegazione e di prova, facendo cosi coincidere il 
danno dedotto in giudizio con il tasso di inflazione rilevato dall'I.S.T.A.T. 

� noto al riguardo che questa Corte ha reiteratamente escluso che la 
mora del debitore possa dar luogo ad un qualsiasi automatismo risarcitorio 
in favore del creditore insoddisfatto sulla base degli indici ufficiali della svalutazione 
monetaria (SS.UU. 5 aprile 1986, n. 2368, e successiva giurisprudenza 
sostanzialmente conforme), e, pur riconoscendo che per l'individuazione 
e la quantificazione di tale danno deve ritenersi legittimo il ricorso ad 
elementi presuntivi ed a fatti di comune esperienza, ha affermato, tuttavia, 
che ci� non pu� tradursi nell'applicazione in via generale di parametri fissi, 
n� pu� implicare l'esonero del creditore dall'onere di allegare e provare gli 
elementi di fatto che consentono di determinare, in via presuntiva, il pregiudizio 
economico derivato dall'inflazione monetaria maturata durante la mora 
del debitore. L'onere della prova che incombe sul creditore pu� ritenersi soddisfatto, 
nei rapporti interprivati, quando risulti ritualmente acquisita agli 
atti l'indicazione della qualit� e delle condizioni della categoria di appartenenza 
del creditore, le quali consentano di valutare, secondo criteri di probabilit� 
e di normalit�, le modalit� di utilizzazione del danaro da parte sua e, 
quindi, gli effetti nel caso concreto della ritardata disponibilit� dell'importo 
a lui dovuto. 

Nei confronti della Pubblica Amministrazione creditrice, tuttavia, lo 
sforzo interpretativo della giuriprudenza non offre validi criteri di riferimento 
a tal fine, tenuto conto del corretto rilievo che essa non � libera di disporre 
dei mezzi economici in suo possesso secondo criteri di opportunit� i quali 
le permettano di evitare le conseguenze dell'inflazione monetaria, n� le � consentito 
un indiscriminato ricorso al credito per far fronte ai compiti istitu-

Privato, diretto da P. RESIGNO, Torino, 1986, vol. 9, 433 ss., e, in particolare, 468-469; 
Id., Svalutazione monetaria e principio nominalistico, in Riv. Dir._Civ., 1975, Il, 371 ss.; 
DI MAJo A., Il controllo giudiziale del principio nominalistico, in Credito e Moneta, a 
cura di MAZZONI e NIGRO, Milano, 1982, 777 ss.; Id., Prassi giudiziale e indirizzi legisiativi 
in materia di svalutazione dei debiti pecuniari, in Foro It., 1979, V, 101 ss.; 
MENEGHINI, Note in tema di svalutazione monetaria e risarcimento danni, in Banca 
Borsa e Titoli di credito, 1983, 297 ss.; REALMONTE, Responsabilit� da inadempimento, 
in Riv. Trim. Dir. e Proc. Civ., 1986, 644; BIANCA C.M., La responsabilit�, Milano, 1994, 
193 ss., e spec. 203-215; MASTROPAOLO, Voce Obbligazioni, V, in Enciclopedia giuridica 
Treccani, Roma, 1988, 20 ss .. 

Il profilo delle modalit� di valutazione del danno da svalutazione -e della relativa 
prova -11ell'ipotesi in cui il soggetto creditore sia una Pubblica Amministrazione, 
come rilevato, non era stato mai prima d'ora affrontato dalla Suprema Corte. 

La sentenza in rassegna, muovendo dall'affermazione dell'inapplicabilit� alla P .A. dei 
criteri presuntivi enucleati per le altre categorie di creditori, risolve il problema gravando 
la P.A. dell'onere di provare dettagliatamente il pregiudizio economico che essa assume di 
aver subito. Con ci� ottenendo senz'altro lo scopo di non �privilegiare ingiustificatamente 
la P.A.�, ma giungendo ad un risultato che pone l'Amministrazione, del pari ingiustifi


Il

catamente, in posizione deteriore rispetto a qualunque altro creditore. 

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F.A. 
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I ~~ 
f: 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 155 

zionali cui � preposta nel caso di mancata tempestiva realizzazione delle proprie 
ragioni creditorie. 

A differenza di quanto si verifica nei rapporti interprivati pertanto, la 
Pubblica Amministrazione creditrice, se non � tenuta ad allegare e provare la 
propria appartenenza a una determinata categoria di creditori per fornire idonei 
criteri di valutazione delle proprie disponibilit� economiche, � tenuta, tuttavia 
a dimostrare l'esatto ammontare del pregiudizio che assume di aver subito 
in dipendenza della svalutazione monetaria maturata durante la mora del 
contraente inadempiente nell'esecuzione dell'appalto di servizi a lui affidato. 

A riguardo non � ipotizzabile nei confronti della Pubblica Amministrazione 
un pregiudizio derivante dall'impossibilit� di destinare le proprie 
disponibilit� ad impieghi lucrativi (come si afferma nei confronti delle figure 
dell'imprenditore commerciale, del risparmiatore abituale o del creditore 
occasionale), owero dalla contrazione dei propri bisogni essenziali (come 
avviene per la figura residuale del modesto consumatore), n� � possibile un 
mero richiamo al fatto notorio dell'abituale ricorso della Pubblica Amministrazione 
allo strumento del debito pubblico attraverso l'emissione di buoni 
del tesoro e certificati di credito: ci� non consente perci� alcun ricorso al 
tasso di svalutazione rilevato dall'I.S.T.A.T. se non si vuole reintrodurre un 
automatismo risarcitorio che finirebbe col privilegiare ingiustificatamente la 
Pubblica Amministrazione nei confronti dei privati creditori. 

Incombe pertanto a carico dell'Amministrazione creditrice l'onere di 
provare l'ammontare del pregiudizio derivante dalla svalutazione monetaria 
dimostrando le variazioni dei tassi dei titoli del debito pubblico con riferimento 
alle singole annualit� durante le quali si � protratta la mora del debitore, 
al fine di consentire il calcolo dell'incremento, anno per anno, del credito 
originario, per la parte non coperta dalla corresponsione dell'interesse di 
mora nella misura legale (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 28 luglio 1997 n. 7036 -Pres. Senofonte -
Rel. Carbone -P.M. Giacalone (conf.) -IACP Provincia Palermo c. 
Pernice e Assessorato Regionale LL.PP. della Sicilia (aw. Stato 
Nunziata). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione acquisitiva d'immobile Risarcimento 
danni -Ricorso per cassazione -Ius supeiveniens Questioni 
di costituzionalit� -Irrilevanza -Cassazione con rinvio. 
(legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3). 

In applicazione dello ius superveniens di cui all'art. 3, 65� co., della legge 
23 dicembre 1996 n. 662, la Corte di cassazione, investita di ricorso in ordine 
alla determinazione del quantum del risarcimento dovuto al proprietario 

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RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

156 

d'un immobile oggetto di occupazione acquisitiva a favore della P.A., deve 
limitarsi a cassare la sentenza di merito, restando riservata al giudice di rinvio, 
cui spetta di provvedere alla concreta applicazione della nonna sopravvenuta, 
la valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza 
delle eventuali questioni di legittimit� costituzionale che dovessero presentarsi 
in sede di riesame dell'ammontare del danno (1). 

(omissis) Con il secondo motivo del ricorso incidentale dell'Amministrazione 
comunale si pone in discussione la determinazione del quantum risarcibile, 
chiedendo la revisione in peius della liquidazione effettuata dal giudice del 
merito, nonch� si censura l'awenuta liquidazione di alcune voci come la perdita 
di manufatti e la riduzione di valore del fondo residuo. 

A sua volta, il Pernice con il proprio ricorso incidentale ha, con il primo 
motivo, impugnato la liquidazione effettuata dal giudice del merito, ritenuta 
inadeguata, mentre con il secondo motivo si duole dell'esatta determinazione 
dell'area occupata, avendo la sentenza impugnata esclusi dal conteggio 638 mq. 
che il privato si era gi� impegnato a cedere gratuitamente all'Am-ministrazione 
comunale con atto pubblico per notar Cassata del 23 novembre 1975. 

Con entrambi i ricorsi incidentali, da versanti opposti, si censura, pertanto, 
l'impugnata sentenza per violazione dei principi sul risarcimento del danno 
in relazione al valore effettivo del bene divenuto opera di interesse pubblico, 
nonch� si rimettono in discussione le singole voci di danno risarcibile. 

I motivi, cos� riuniti, vanno esaminati alla luce dello ius superveniens di 
cui al comma 65, dell'art. 3 della legge 23 dicembre 1996 n. 622. Infatti, essendo 
ancora in corso il processo sulla corretta determinazione del valore venale, 
la fattispecie non pu� che essere disciplinata dalla soprawenuta disposizione 
contenuta nella finanziaria del 1996, secondo cui �in caso di occupazioni illegittime 
di suoli per causa di pubblica utilit�, intervenute anteriormente al 30 

(1) Cass. 23 ottobre 1993, n. 10415, citata in motivazione e relativa all'analogo 
problema suscitato dalla sopravvenienza dell'art. 5 bis legge 359/1992 recante nuovi 
criteri di determinazione dell'indennit� d'espropriazione per suoli edificatori, spiega come 
gi� fatto da Cass. 11giugno1993 n. 6547 (in Giust. Civ. 1993, I, 2954)-che, agli 
effetti della pronuncia rescindente imposta dallo ius superveniens nel giudizio di cassazione, 
le questioni di legittimit� costituzionale della legge sopravvenuta non possono 
essere delibate, perch� ininfluenti (dovendo la Corte stabilire soltanto se, in relazione 
ai motivi di impugnazione formulati dal ricorrente, sussistano gli estremi per 
qualificare �pendente� il procedimento). Questo indirizzo risulta, allo stato, fermo. 
Delle altre sentenze richiamate in motivazione, � �in termini� Cass. 6480/96 con 
la ulteriore precisazione, risalente alla n. 9872/94, che l'applicazione dello ius superveniens 
da parte del giudice di rinvio non potr� mettere capo alla liquidazione d'un risarcimento 
(o di una indennit�) di ammontare inferiore a quello rispetto al quale l'occupante 
(o espropriante) avesse in ipotesi prestato acquiescenza; Cass. 2097/96 e Cass. 
5915/96 escludono, rispettivamente, l'applicabilit� dello ius superveniens entrato in 
vigore prima della proposizione del ricorso ma da questo non invocato; e quando il 
ricorso non investa i criteri determinativi dell'ammontare del risarcimento. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 157 

settembre 1996, si applicano, per la liquidazione del danno, i criteri di determinazione 
dell'indennit� di cui al comma 1, con esclusione della riduzione del 
40 per cento. In tal caso, l'importo del risarcimento � altres� aumentato del 10 
per cento. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche ai procedimenti 
in corso non definiti con sentenza passata in giudicato�. 

Ritiene il Collegio che anche in sede di legittimit� lo ius superveniens 
debba trovare applicazione, in relazione ai ricorsi per cassazione proposti 
prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, purch� non sia intervenuto 
un giudicato, anche se implicito sulla questione, evento non riscontrabile 
nella fattispecie. Infatti, il giudizio di legittimit� � strutturato come un 
processo a critica vincolata, limitato a specifiche censure, tuttavia la questione 
relativa alla determinazione del risarcimento � tuttora aperta come si 
riscontra nella fattispecie in cui non si pone pi� in discussione l'occupazione 
abusiva acquisitiva, affermata dalla sentenza impugnata, ma si continua a 
discutere invece sull'esatta determinazione del valore da attribuire al suolo 
acquistato dalla P.A. a titolo originario. 

Nella valutazione della correttezza costituzionale dello ius superveniens, 
il giudice di legittimit�, sotto il profilo rescindente, provvedendo sul ricorso, 
si limita a cassare con rinvio le questioni non ancora passate in giudicato, 
prendendo atto della nuova normativa che deve regolare la fattispecie, cos� 
rimettendo l'intera questione ai giudici di merito. Questi ultimi, dovendo 
provvedere alla concreta applicazione della nuova disposizione, sono pienamente 
legittimati a valutare, sia la rilevanza, che la non manifesta infondatezza 
di eventuali questioni di legittimit� costituzionale che dovessero presentarsi 
in sede d� riesame dell'ammontare del danno (Cass. 26 giugno 1996, 

n. 5915; Cass. 13 marzo 1996, n. 2097; Cass. 23 ottobre 1993, n. 10415; Cass. 
19 luglio 1996, n. 6480) (omissis). 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 agosto 1997, n. 7450 -Pres. Senofonte Rei. 
Carbone -P.M. Nardi (conf.) -Impresa Cottone Giuseppe (avv. 
Mazzei) c. Assessorato Regionale ai Lavori Pubblici della Regione 
Siciliana (avv. Cosentino). 

Opere pubbliche -Appalto -Sospensione dei lavori -Durata -Facolt� dell'appaltatore 
di chiedere lo scioglimento del contratto senza indennit� Legittimit� 
della sospensione -Necessit�. 

(d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 30). 
Opere pubbliche -Appalto -Rescissione del contratto ai sensi degli artt. 340 

L.n. 2248/1865, all. F. e 27, 28 e 29 RD n. 350/1865 -Dichiarazione formale 
-Necessit� -Comunicazione all'appaltatore -Notificazione Necessit� 
-Esclusione. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

158 

Ai sensi dell'art. 30 d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 la facolt� dell'appaltatore 
di chiedere lo scioglimento del contratto senza indennit�, in caso di 
sospensione dei lavori che superi il periodo stabilito dal citato articolo, si riferisce 
soltanto alle sospensioni legittime dei lavori dovute a ragioni di pubblim 
co interesse o necessit�, non gi� alla protrazione illegittima della sospensio:
ne 
verificatasi per fatto colposo imputabile ad uno dei contraenti (1). 

Alla stregua del combinato disposto degli artt. 340 legge n. 2248 del 
1865, all. F e 27, 28 e 29 R.D. n. 350 del 1895 per l'avviso del procedimento 
di rescissione del contratto di appalto di opera pubblica e per il relativo provvedimento 
occorre una formale dichiarazione in tal senso da parte della 
Pubblica Amministrazione. Non �, tuttavia, necessario che tale dichiarazione 
sia comunicata all'appaltatore nelle forme e con le modalit� degli atti giudiziari, 
essendo sufficiente che sia portata a conoscenza dell'interessato con 
ogni mezzo idoneo (2). 

(omissis) Con il primo motivo del proposto ricorso il Cottone ripropone 
una sua lettura dello svolgimento di fatto del rapporto contrattuale, gi� 
oggetto di accurata analisi da parte dei giudici di merito, censurando l'impu


(1) � principio pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza quello in base al 
quale le ragioni di pubblico interesse o necessit� che legittimano l'esercizio, da parte 
dell'Amministrazione, della facolt� di disporre la sospensione dei lavori devono riguardare 
situazioni obiettive attinenti all'esecuzione dell'opera e non evenienze imputabili 
a negligenza dell'Amministrazione. Per tutti si veda CIANFLONE A., L'appalto di opere 
pubbliche, Giuffr�, 1993, 591 ss. cui si rinvia per i riferimenti giurisprudenziali. La 
sospensione, in tali ipotesi, pu� protrarsi anche oltre i termini stabiliti dall'art. 30 
d.P.R. n. 1062/63, avendo l'appaltatore la scelta tra lo scioglimento del contratto di 
appalto, senza indennizzo, ovvero la sua prosecuzione con diritto alla rifusione dei 
danni derivanti dalla durata della sospensione nel caso in cui l'Amministrazione si 
opponga allo scioglimento. Ove l'appaltatore preferisca, comunque, proseguire i lavori 
non avr� diritto ad ulteriori indennizzi o compensi. La giurisprudenza, sul punto, � 
pacifica. Cass., SU, 14 febbraio 1995, n. 1570. Cass., 4 settembre 1984, n. 4759, in 
Giust. Civ., 1985, I, 1992 con nota di CARBONE P., Considerazione in tema di sospensione 
dei lavori. La sentenza in epigrafe chiarisce, sulla scorta di analoghi precedenti 
giurisprudenziali, che la particolare disciplina contenuta nel citato art. 30 si applica 
soltanto nelle ipotesi in cui la sospensione, rientrando tra le fattispecie da detta norma 
previste, � legittima. In particolare, la situazione non deve essere ricollegabile a fatto 
imputabile ad alcuna delle parti. In tal senso Cass., 5 agosto 1997, n. 7196, Cass., 7 
marzo 1995, n. 2651, in Giust. civ., 1995, I, 2084. Ne deriva che, ove la sospensione sia 
illegittima o diventi tale nella sua durata, l'appaltatore ha diritto ad ottenere la risoluzione 
del contratto di appalto per inadempimento secondo la disciplina generale sui 
contratti, oltre al risarcimento del danno, se sussistono i presupposti previsti dagli artt. 
1453 ss. cc. Cos� Cass., 17 marzo 1982, n. 1728, in Rass. Aw. Stato, 1983, I, 190 con 
nota di VIITORIA P., La sospensione dei lavori disposta per ragioni di pubblico interesse 
o necessit� e il suo perdurare oltre il termine preveduto dall'art. 30, comma 2, d.P.R. 
16 luglio 1962 n. 1063. 
(2) La giurisprudenza ha osservato che ai sensi degli artt. 340 legge 2248/1865, all. 
F. e 27, 28 e 29 r.d. 350/1865 per la rescissione del contratto di appalto � necessaria una 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 159 

gnata sentenza per aver inesattamente ritenuto che l'amministrazione si fosse 
opposta alla richiesta di scioglimento del contratto, opposizione mai espressa 
dall'amministrazione. 

La censura non � fondata. 

Stipulato un contratto di appalto in data 13 gennaio 1973 per la ricostruzione 
della Chiesa di S. Giovanni Bosco in Ribera da effettuarsi entro 
dodici mesi dalla consegna dell'opera avvenuta il 2 marzo 1973, sicch� il termine 
per l'ultimazione era fissato al 21marzo1974, i lavori furono sospesi su 
richiesta dell'impresa in data 7 luglio 1973 per evidenti carenze del progetto 
predisposto dall'impresa, privo dei calcoli esecutivi. Tant'� che i giudici di 
merito hanno accertato che la direzione dei lavori, con un primo ordine di 
servizio del 6 maggio 1974, ordin� all'impresa di presentare i calcoli in 
cemento armato entro 15 giorni e comunque di riprendere i lavori. 

A sua volta l'impresa, con nota del 19 maggio 1974, chiese lo scioglimento 
del contratto, per la perdurante sospensione oltre i termine dell'art. 30 
comma secondo d.P.R. 16 luglio 1962 n. 1063. 

Or non � dubbio che nell'appalto di opere pubbliche, qualora la sospensione 
dei lavori disposta dall'amministrazione, in presenza delle condizioni 
stabilite dall'art. 30, secondo comma, prima parte, d.P.R. 16 luglio 1962 n. 
1063, superi i termini per la medesima previsti, l'appaltatore ha la scelta tra 
lo scioglimento del contratto di appalto, o la sua prosecuzione con diritto alla 
rifusione dei danni derivanti dal prolungamento della sospensione, ove l'amministrazione 
si opponga allo scioglimento, mentre non ha diritto ad ulteriori 
compensi o indennizzi ove preferisca proseguire i lavori (Cass., sez. un., 14 
febbraio 1995, n. 1570). 

Ma l'applicazione del richiamato comma secondo dell'art. 30 d.P.R. 16 
luglio 1962 n. 1063, ed in particolare dell'opzione dell'appaltatore di chiedere 
lo scioglimento del contratto senza indennit�, in caso di sospensione dei 
lavori si riferiscono solo a sospensioni legittime dei lavori, quale che sia stata 
la loro durata, dovute a ragioni di pubblico interesse o necessit�, non gi� alla 
protrazione illegittima della sospensione, verificatasi per fatto colposo imputabile 
ad uno dei contraenti (Cass., 7 marzo 1995, n. 2651). 

Nella specie i giudici di merito hanno accertato che l'appaltatore non 
aveva predisposto i calcoli esecutivi di cemento armato per la ricostruzione 

formale dichiarazione in tal senso da parte dell'Amministrazione. Cos� Cass., 26 febbraio 
1991, n. 2052, dove si precisa che, alla luce delle loro condizioni soggettive ed oggettive 
e le loro finalit�, non sono sufficienti l'ordine impartito all'appaltatore di riprendere i 
lavori sospesi n� il rifiuto di questi all'esecuzione. Per contro, nessuna norma impone la 
notifica del relativo provvedimento. Il citato art. 27, infatti, non prevede alcuna specifica 
forma di comunicazione, mentre nell'art. 23, relativo alle contestazioni insorte tra 
l'Amministrazione e l'appaltatore, i termini �comunicazione� e �notificazione� vengono 
usati indifferentemente, per cui � possibile dedurre che tra di essi vi sia equipollenza. In 
tal senso Cass., 30 luglio 1996, n. 6908, in Foro it., 1997, I, 891. 

D.G. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

160 

della chiesa, sicch� la sospensione dei lavori, disposta dall'amministrazione 
committente su richiesta dello stesso appaltatore, anche se protratta oltre i 
limiti segnati dall'art. 30 del capitolato generale approvato con d.P.R. 16 
luglio 1962, n. 1063, non fa scattare la facolt� dell'appaltatore allo scioglimento 
del rapporto contrattuale. Infatti una siffatta facolt� presuppone 
necessariamente la presenza di cause di forza maggiore o comunque di circostanze 
ostative alla prosecuzione dei lavori a regola d'arte, ovvero ragioni 
di pubblico interesse o necessit� giustificative della sospensione dei lavori, 
che non ricorrono in alcun modo nella fattispecie. 

In altri termini, la sospensione disposta dalla P.A., per dar modo all'appaltatore 
di adempiere all'obbligo di approntare i calcoli esecutivi di cemento 
armato non determina l'obbligo della stessa P.A. di prendere in esame la 
richiesta dell'appaltatore di richiedere lo scioglimento del contratto, in quanto 
tale facolt� presuppone la legittimit� della sospensione, che poi si protragga 
oltre il termine massimo, mentre nella fattispecie la sospensione dei 
lavori risulta disposta non per ragioni di pubblico interesse (forza maggiore, 
condizioni climatologiche, ragioni di pubblico interesse o necessit�), ma per 
supplire a carenze progettuali che incombevano sull'appaltatore -come 
dallo stesso riconosciuto nella lettera del 10 luglio 1973 -che impediscono 
pertanto l'applicazione dell'invocato comma secondo dell'art. 30 d.P.R. 16 
luglio 1962 n. 1063. 

In definitiva, con il secondo ordine di servizio del 14 aprile 197 5, testualmente 
riportato nella sentenza impugnata, la direzione dei lavori invit� l'appaltatore 
a riprendere i lavori con l'assegnazione di un termine perentorio e 
con l'avvertenza che in mancanza, ai sensi degli artt. 27 e 28 R.D. 25 maggio 
1895 n. 350 si provveder� alla rescissione prevista dall'art. 340 legge 20 marzo 
1865 n. 2248 all. F. Non essendo stato rispettato il predetto termine legittimamente 
fu pronunciato il decreto di rescissione, anche se a distanza di 
molti anni dall'intervenuta diffida. 

Con il secondo motivo l'appaltatore ricorrente censura l'impugnata sentenza 
per aver ritenuto onere dell'impresa redigere i calcoli per la struttura di 
cemento armato della chiesa di S. Giovanni Bosco in Ribera demolita senza 
che fossero gi� pronti i progetti esecutivi per la ricostruzione. 

La censura � destituita di ogni fondamento. 

Come si evince dalla sentenza impugnata il Cottone, nonostante i 
numerosi solleciti e le diffide contenute negli ordini di servizio, non ha 
mai provveduto alla redazione dei calcoli esecutivi per la ricostruzione in 
cemento armato della chiesa che era suo onere predisporre. Che siffatto 
onere ricadesse sull'impresa appaltatrice si evince dal contesto delle pattuizioni 
esaminate dal giudice del merito, il quale a riprova del proprio 
convincimento fa ricorso ad un elemento indubitabile e cio� al documento 
del 10 luglio 1973 proveniente dallo stesso Cottone nel quale si riconosce 
l'esistenza di siffatto onere non assolto. Infatti subito dopo la sospensione 
dei lavori avvenuta il 7 luglio del 1973 su richiesta dell'impresa, la 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 161 

sentenza impugnata richiama espressamente la lettera in data 10 luglio 
1973 inviata dall'appaltatore Cottone al Comune di Ribera nella quale 
espressamente � ammesso e confermato come fosse onere dell'appaltatore 
predisporre i necessari calcoli esecutivi. Questa specifica argomentazione 
della sentenza non � stato oggetto di un'apposita censura ed � da sola sufficiente 
a reggere il convincimento del giudice di merito. N� il valore dell'effettuato 
accertamento pu� essere sminuito con l'affermazione contenuta 
in memoria secondo cui all'appaltatore competeva l'onere non di predisporre, 
ma solo di verificare siffatti calcoli, in quanto nella stessa decisione 
si precisa che l'appaltatore nella richiamata lettera rendeva noto di aver 
nominato un proprio tecnico per la redazione (e non del controllo) dei predetti 
calcoli. 

Con il terzo ed ultimo motivo del proposto ricorso si censura l'impugnata 
sentenza per non aver rilevato che erano trascorsi oltre dieci anni dalla 
data della mancata consegna dei lavori, con la conseguenza dell'illegittimit� 
della pronunciata rescissione del contratto ex art. 340 1. 20 marzo 1865 n. 
2248 all. F, nel senso che la P.A., in sede di autotutela non pu� conseguire 
risultati che non potrebbe conseguire con lordinaria azione di risoluzione 
che si prescrive in dieci anni. 

L'assunto non � fondato. 

Occorre premettere che la questione della tardivit� dell'esercizio del 
diritto di rescindere il contratto non risulta affrontata in sede di merito, ma 
proposta per la prima volta in questa sede di legittimit�. 

Inoltre la prospettata equiparazione tra la risoluzione contrattuale e l'ipotesi 
in cui l'amministrazione committente, si avvalga del potere conferitole 
dall'art. 3401. 20 marzo 1865 n. 2248 all. F, risolvendo d'autorit� il contratto 
d'appalto d'opera pubblica, non regge perch� il giudice ordinario, 
nella seconda ipotesi non risolve il contratto, ma si limita ad accertare se 
sussistono i presupposti della risoluzione autoritativa. Neanche sotto il profilo 
temporale regge la prospettata equiparazione in quanto prende le 
mosse dall'avvenuta notifica del provvedimento amministrativo. Al contrario 
secondo la giurisprudenza di questo collegio, se alla stregua del combinato 
disposto degli art. 340 1. n. 2248 del 1865, all. F, e 27, 28 e 29 r.d. n. 
350 del 1895, per l'avviso del procedimento (e del conseguente provvedimento) 
di rescissione del contratto di appalto di opera pubblica, occorre 
una formale dichiarazione in tal senso effettuata dalla P.A., tuttavia tale 
dichiarazione non deve essere necessariamente comunicata all'appaltatore 
nelle forme e con le modalit� della notificazione degli atti giudiziari ed � 
sufficiente che essa sia portata a conoscenza dell'interessato con qualunque 
mezzo idoneo, in quanto l'art. 27 del citato r.d. non prevede alcuna specifica 
forma di comunicazione del provvedimento rescissorio e l'art. 23 dello 
stesso, concernente le contestazioni tra le parti, contiene indifferentemente 
i termini �comunicazione� e �notificazione�, con chiara indicazione di 
equipollenza (Cass., 30 luglio 1996, n. 6908). Infine il motivo arieggia la cd. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

162 

Verwirkung che da un lato non costituisce un principio recepito dal nostro 
ordinamento, sicch� non pu� essere utilizzato per derogare lo ius scriptum, 
dall'altro gravita nell'ambito della prescrizione dei rapporti tra privati, 
come tale non applicabile al provvedimento amministrativo esaminato incidenter 
tantum. 

Il ricorso va pertanto respinto (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 11agosto1997 n.7454 -Pres. Sgroi -Est. 
Vella -Massussi (avv. Alfieri) c. Ministero della pubblica istruzione (avv. 
Stato Nunziata), Minoia e altro (avv. De Santis Mangelli, Tonoletti). 

Giurisdizione -Giurisdizione ordinaria e contabile -Responsabilit� civile Amministrazione 
pubblica -Danno ad alunno -Culpa in vigilando 
del docente -Evocazione in lite anche del dipendente -Giurisdizione 
ordinaria. 
(art. 61, l. 11luglio1980 n. 312). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Atti del dipendente Danno 
a terzi -Colpa lieve del dipendente -Giudizio risarcitorio Legittimazione 
passiva esclusiva della P .A. 
(art. 23, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 59 d.lvo 3 febbraio 1993 n. 29). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Danno ad alunno -Culpa 
in vigilando del docente -Giudizio risarcitorio -Legittimazione passiva 
del docente -Esclusione ex art. 61 co. 2, I. n. 312 del 1980 -Altre condotte 
dannose dolose o gravemente colpose del docente -Giudizio risarcitorio 
-Legittimazione passiva del docente -Sussistenza ex art. 23, 

d.P.R. n. 3 del 1957. 
(art. 61, 1. 11 luglio 1980 n. 312; art. 23, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; art. 59 d.lvo 3 
febbraio 1993 n. 29). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Danno ad alunno Culpa 
in vigilando del docente -Giudizio risarcitorio -Legittimazione 
passiva del docente -Esclusione ex art. 61, co. 2, 1. n. 312 del 1980 Portata 
applicativa -Danno cagionato da alunno ad altro alunno o a 
terzi -Applicabilit� -Danno cagionato da alunno a se stesso Applicabilit�. 
(art. 61, l. 11luglio1980 n. 312). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Danno ad alunno -Culpa 
in vigilando del docente -Giudizio risarcitorio -Legittimazione passiva 
del docente -Esclusione ex art. 61, co. 2, 1. n. 312 del 1980 Legittimazione 
passiva esclusiva della P.A. -Sussiste -Successiva rivalsa 
-Ammissibilit� -Limiti -Dolo o colpa grave dell'insegnante. 
(art. 61, l. 11luglio1980 n. 312; art. 1, l. 14 gennaio 1994 n. 20). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 163 

L'art. 61, I. 11luglio1980 n. 312 non esclude, ma anzi conferma, che sussiste 
la giurisdizione del giudice ordinario, e non gi� della Corte dei Conti, 
sulle domande risarcitorie proposte da soggetti danneggiati dalla condotta di 
alunno sottoposto a vigilanza di un insegnante, i quali abbiano evocato in lite 
quest'ultimo (privo comunque di legittimazione passiva) unitamente alla 
pubblica amministrazione, essendo l'organo giuscontabile giudice della sola 
successiva rivalsa della P.A. nei confronti del proprio dipendente che abbia 
agito con dolo o colpa grave. 

In generale, qualora il pubblico dipendente abbia cagionato un danno 
agendo con colpa lieve, non risponde verso i terzi, ma la responsabilit� diretta 
� della sol� P.A., giusto il disposto dell'art. 23, d.P.R. 1 Ogennaio 1957 n. 3. 

Ai sensi dell'art. 61, co. 2, I. n. 312 del 1980, cos� come interpretato dalla 
Consulta nella sentenza 5 febbraio 1992 n. 64, va esclusa la responsabilit� 
diretta degli insegnanti, e dunque la loro legittimazione passiva, nelle sole 
ipotesi di danni a terzi cagionati perculpa in vigilando sugli alunni del docente, 
mentre in tutti gli altri casi sussiste la responsabilit� diretta verso i terzi 
dell'insegnante, per dolo o colpa grave, prevista dalla generale disciplina dell'art. 
23, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (1). 

La regola codificata nell'art. 61, co. 2, I. n. 312 del 1980, secondo cui va 
esclusa la responsabilit� diretta degli insegnanti, e dunque la loro legittimazione 
passiva, nelle sole ipotesi di danni a terzi cagionati per culpa in vigilando 
sugli alunni del docente, trova applicazione, oltre che nell'ipotesi in cui 
il danno sia cagionato dall'alunno ad altro allievo o a persona estranea all'ambiente 
scolastico, anche nel caso in cui il danno sia subito dall'alunno a causa 
di atti da esso stesso compiuti. 

Ai sensi dell'art. 61, co. 2, I. n. 312 del 1980, cos� come interpretato dalla 
Consulta nella sentenza n. 6411992, va esclusa la responsabilit� diretta degli 
insegnanti, e dunque la loro legittimazione passiva, nelle sole ipotesi di danni 
a terzi cagionati per culpa in vigilando del docente: in tali ipotesi responsabile 
diretta verso i terzi danneggiati � la sola pubblica amministrazione, che, 
ove condannata, gode del potere di rivalsa nei confronti del proprio dipendente 
che abbia agito per dolo o colpa grave (2). 

(Omissis) Con il secondo motivo, il cui esame � pregiudiziale, avendo 
come oggetto una questione di giurisdizione, si eccepisce che competente a 
decidere la causa � la Corte dei conti e non l'Autorit� giudiziaria ordinaria in 

(1) C. cast. 5 febbraio 1992 n. 64, in Foro amm. 1995, 1220, con nota di STADERINI, 
Ancora sulla responsabilit� degli insegnanti. 

Sulla responsabilit� diretta verso terzi del pubblico dipendente in generale v. art. 
28 Cast.; art. 59, d.lvo 3 febbraio 1993 n. 29 che conferma la vigenza della previgente 
normativa, ovvero degli art. 22 e 23, d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, che limitano la 
responsabilit� alle sole ipotesi di dolo o colpa grave. 

(2) Le Sezioni unite fanno chiarezza in materia di responsabilit� degli insegnanti 
per culpa in vigilando. 
1. La pronuncia che si annota fa dovuta chiarezza sull'ambito applicativo della 
limitazione di responsabilit� contenuta nell'art. 61, 1. n. 312 del 1980, che disciplina 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

quanto, ai sensi dell'art. 61 della legge 10 gennaio 1980 n. 312, l'azione di 
responsabilit� per i danni causati ai terzi dal comportamento degli alunni 
sottoposti alla vigilanza degli insegnanti, � esperibile esclusivamente contro 
l'Amministrazione la quale pu� solo successivamente rivalersi verso i propri 
dipendenti che abbiano agito con dolo o colpa grave. Nella specie, invece, il 
Giudice d'appello, avendo riconosciuto la responsabilit� colposa del 
Massussi, ha esercitato i poteri giurisdizionali che, con riguardo all'azione di 
rivalsa dell'Amministrazione, sono propri della Corte dei Conti. 

nmotivo � infondato. 

La giurisdizione appartiene all'Autorit� giudiziaria ordinaria e non a 
quella della Corte dei conti, giacch� la speciale competenza di questa � relativa 
ai soli giudizi di responsabilit� instaurati dallo Stato nei confronti dei 
propri impiegati e funzionari per danni da costoro causategli, nell'esercizio 
delle loro funzioni, sia direttamente, sia per lesioni arrecate ai diritti dei terzi 
verso i quali esso abbia dovuto rispondere (art. 52 r.d.12 luglio 1934 n. 1214; 
art 82 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440) e non si estende, perci�, ai procedimenti, 
come quello promosso dal Minoia, nei quali il danneggiato abbia con-

la responsabilit� degli ins�gnanti statali per culpa in vigilando sugli alunni (per condotte 
diverse da quest'ultima, vige invece la generale disciplina prevista per i pubblici 
dipendenti). 

Il pi� benevolo trattamento riconosciuto dalla 1. n. 312 a tale categoria (a. responsabilit� 
amministrativa, in sede di rivalsa presso la Corte dei Conti, limitata alle sole 
ipotesi di dolo o colpa grave; b. legittimazione passiva della sola P.A. e non del docente 
innanzi al g.o., a fronte di azioni risarcitorie promosse da terzi danneggiati per culpa 
in vigilando dell'insegnante) nasce storicamente per mitigare il rigore della responsabilit� 
ex art. 2048 cod. civ. che in generale regolava, prima della novella 1980, le condotte 
illecite (per culpa in vigilando) degli insegnanti, in virt� del richiamo alla disciplina 
codicistica contenuto nell'art. 23 co. 1, t.u. n. 3 del 1957. 

La normativa � stata ritenuta costituzionalmente legittima da C. cost., 5 febbraio 
1992 n. 64, in Foro amm. 1995, 1220, con nota di STADERINI, Ancora sulla responsabilit� 
degli insegnanti. 

I profili maggiormente rilevanti ai fini �defensionali� della pronuncia che si annota 
attengono alla corretta interpretazione estensiva del secondo comma della norma 
(art. 61 cit.), laddove il giudice di legittimit� afferma espressamente che la regola 
secondo cui va esclusa la responsabilit� diretta degli insegnanti, e dunque la loro legittimazione 
passiva, nelle sole ipotesi di danni a terzi cagionati per culpa in vigilando del 
docente, trova applicazione, oltre che nell'ipotesi in cui il danno sia cagionato dall'alunno 
ad altro allievo o a persona estranea all'ambiente scolastico, anche nel caso in 
cui il danno sia subito dall'alunno a causa di atti da esso stesso compiuti. 

2. Un ulteriore aspetto della materia, di portata sistematica, va rimarcato. 
La sentenza che si annota chiarisce in via generale che qualora un qualsiasi pubblico 
dipendente abbia cagionato un danno agendo con colpa lieve, non risponde civilisticamente 
verso i terzi, ma la responsabilit� diretta � della sola P.A. La Suprema 
Corte aggiunge poi, completando il passaggio motivazionale, che lo Stato, evocato in 
lite dal terzo per il danno cagionato dal pubblico dipendente con colpa lieve, pu� successivamente 
�promuovere l'azione di rivalsa nei suoi confronti (art.18 e 22 del d.P.R. 

n. 3 del 1957)�. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 165 

venuto in giudizio sia l'Amministrazione pubblica, sia il dipendente per ottenere 
il ristoro del pregiudizio sofferto. 

N� pu� ritenersi che lart. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312 abbia fatto 
venire meno la giurisdizione del Giudice ordinario, perch� tale norma, come 
si preciser� nell'esaminare il primo motivo del ricorso, negando al danneggiato 
l'esperibilit� dell'azione risarcitoria nei confronti degli insegnanti, nei 
casi da esso previsti, si � limitata a sopprimere la loro legittimazione passiva, 
mantenendo ferma quella dell'Amministrazione alla quale � consentito promuovere, 
davanti alla Corte dei Conti, l'azione di rivalsa contro il dipendente 
qualora risulti responsabile del danno per dolo o colpa grave. 

Con il primo motivo, denunziandosi la violazione degli art. 18 del d.P.R. 10 
gennaio 1957 n. 3 e 61 della legge 11luglio1980 n. 312, in relazione all'art. 360 
nn. 3 e 5 del codice di procedura civile, si censura la sentenza impugnata per 

Tale conclusione, valida sino a qualche anno fa, va oggi rimeditata, in quanto, alla 
luce della sopravvenuta normativa, nel giudizio di rivalsa innanzi alla Corte dei Conti 
la responsabilit� del pubblico dipendente �, in via generale, attualmente limitata alle 
sole condotte poste in essere con dolo o colpa grave (art. 1, 1. n. 20 del 1994, novellato 
dalla 1. n. 639 del 1996). 

In estrema sintesi, oggi qualsiasi pubblico dipendente risponde civilisticamente 
verso i terzi solo per dolo o colpa grave (art. 23, d.P.R. n. 3 del 1957; art. 59 cl.Ivo 3 febbraio 
1993 n. 29), e, verso la P.A., in sede di rivalsa innanzi alla Corte dei Conti, parimenti 
solo per dolo o colpa grave (art. 1, 1. n. 20 del 1994, novellato dalla 1. n. 639 del 
1996). Per danni a terzi cagionati dal dipendente con colpa lieve risponde innanzi al 

g.o. la sola p.a., che non pu� dunque rivalersi in tale ipotesi nei confronti del proprio 
dipendente. 
La sentenza che si annota non considera (ma la norma non trovava ovviamente 
applicazione innanzi al g.o.) che una delle pi� rilevanti novit� apportate dalla riforma 
del 1996 (1. 20 dicembre 1996 n. 639) all'art. 1, 1. 14 gennaio 1994 n. 20 sulla Corte dei 
Conti ed al previgente sistema della responsabilit� amministrativa, attiene all'elemento 
psicologico dell'illecito erariale. 

Con tale norma si � limitata la responsabilit� amministrativa del pubblico dipendente 
verso la P.A. ai soli comportamenti posti in essere con �dolo o colpa grave�, generalizzando 
cos� il regime in precedenza riservato, in via di eccezione, a settoriali categorie 
di pubblici dipendenti, e che costituiva deroga al generale principio della responsabilit� 
verso la P.A. per �dolo o colpa� in sede giuscontabile. 

Tra le categorie che gi� prima della novella del 1996 beneficiavano, in via di eccezione, 
del pi� favorevole trattamento in ordine all'elemento psicologico in sede di giudizio 
di rivalsa, rientravano proprio gli insegnanti in virt� della legge n. 312 del 1980. 

Oltre che dall'art. 61, co. 2, 1. n. 312 del 1980 (ed oggi dall'art. 574 del d.lg. 26 aprile 
1994 n. 297, e.cl. testo unico sulla scuola) relativo al personale scolastico, la limitazione 
della responsabilit� amministrativo-contabile per dolo o colpa grave nell'ambito 
del giudizio di rivalsa, azionato su denuncia della P.A. innanzi alla Corte dei Conti, era 
in precedenza prevista da settoriali norme solo per alcune peculiari categorie di pubblici 
dipendenti, fisiologicamente esposti a maggiori rischi di danno erariale: vedansi 
l'art. 1, 1. 31dicembre1962 n. 1833 relativa ai conducenti di autoveicoli e mezzi meccanici; 
la legge 17 marzo 1975 n. 69 relativa ai conducenti di navi o aeromobili; l'art. 
6, d.P .R. 30 gennaio 199 3 n. 51 in materia di omessa rilevazione di responsabilit� da 
parte dell'ispettore; l'art. 2-septies, 1. 30 novembre 1994 n. 656 in materia tributaria. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

166 

avere la Corte d'appello ritenuta promovibile l'azione di responsabilit� contro 
l'insegnante di educazione fisica sull'erroneo presupposto che il difetto di legittimazione 
passiva del personale docente della scuola si ha soltanto se il comportamento 
degli alunni abbia causato danno ai terzi e non anche nel caso in 
cui abbia arrecato pregiudizio agli stessi allievi che lo avevano posto in essere. 

In contrario si sostiene che l'azione di responsabilit� non pu� esercitarsi 
direttamente nei confronti dell'insegnante, neanche se l'alunno, soggetto 
alla sua vigilanza, sia la vittima dell'evento dannoso da lui stesso causato, in 
quanto questo, pure in tale ipotesi � da addebitarsi a una carente o insufficiente 
attivit� di vigilanza. 

Si aggiunge che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 64 del 1992, 
ha negato che l'art. 61 della legge n. 312 del 1980 contrasti con l'art. 28 della 
Costituzione (il quale sancisce il principio della responsabilit� diretta degli 

Su tali peculiari ipotesi v. GARRI, I giudizi innanzi alla Corte dei conti, responsabilit�, 
conti, pensioni, Milano, 1998, 185. 

Con la recente generalizzazione del principio della responsabilit� amministrativocontabile 
fondata sul dolo o colpa grave, deve ritenersi che il legislatore abbia preso 
atto del numero ingente e della gravosit� dei doveri posti a carico dei pubblici dipendenti 
dall'ampia normativa esistente nel nostro ordinamento, per attenuare la soglia 
della punibilit�. 

Riteniamo tuttavia che la novella sia condivisibile solo per alcune e limitate categorie 
di dipendenti, esposti ad accresciute forme di responsabilit� a seguito di profondi 
mutamenti legislativi (es. personale dirigente), ma non certo per la maggioranza degli 
impiegati preposti a compiti meramente esecutivi privi di discrezionalit� operativa. 

La riforma potrebbe addirittura prestarsi a dubbi di legittimit� costituzionale, e, 
del resto, della conformit� della previsione agli artt. 97 e 103 cost. ha dubitato la Corte 
dei conti, che, con diverse ordinanze, ha rimesso la questione alla Consulta, ritenendo 
che la norma �appiattisca l'organizzazione dei pubblici uffici su di una forma di 
responsabilit� unica ed indifferenziata� (la questione di legittimit� costituzionale della 
limitazione di responsabilit� solo in caso di dolo o colpa grave, � stata sollevata da C. 
conti, I sez. centrale, 13 dicembre 1996 n. 49/ord., in Panorama giuridico, 1997, n. 3, 

28. Analoga questione era stata gi� sollevata da C. conti, I sez. centrale, 18 giugno-27 
novembre 1996 n. 185, in G.U., I sez. spec., 16 aprile 1997 n. 16. Successivamente, sulla 
stessa questione, vedasi la rimessione di C. conti, I sez. centrale, 25 febbraio 1997 n. 
500, ivi, 27 agosto 1997 n. 35.) 
Sul tema della responsabilit� amministrativa dei pubblici dipendenti dopo la 
novella introdotta dalla legge n. 20 del 1994 (e, per alcuni manuali, anche delle modifiche 
apportate dalla 1. n. 639 del 1996) � sufficiente ricordare, tra gli scritti pi� recenti: 
GARRI, I giudizi innanzi alla Corte dei conti, responsabilit�. conti. pensioni, Milano, 
1998; SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, 1996; DoNNO, Danno 
erariale, 2 ed, Milano, 1997; MELE, La responsabilit� dei dipendenti e degli amministratori 
pubblici, Milano, 1994; STADERINI, La responsabilit� nella Pubblica 
Amministrazione, Milano, 1994; BENNATI, Manuale di contabilit� di Stato, Napoli 1990; 
FAZIO G.-FAZIO M., n bilancio dello Stato (controlli. responsabilit� e giurisdizione), 
Milano 1997; PERULLI, La responsabilit� civile, penale, amministrativa degli amministratori 
pubblici, Milano 1996; TENORE, La responsabilit� amministrativa dei pubblici 
dipendenti dopo le leggi 14 gennaio 1994 n. 20 e 20 dicembre 1996 n. 639, in 
Documenti giustizia, 1997, n. 10. 

GIUSTINA NOVIELLO 


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PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 167 

impiegati per gli atti compiuti in violazione dei diritti), e ha ritenuto che, in 
base ad essa, gli insegnanti statali, in ogni caso di responsabilit� per culpa in 
vigilando, sono passivamente legittimati rispetto alle pretese risarcitorie dei 
terzi nei cui confronti risponde direttamente soltanto l'Amministrazione. 

Questo motivo � fondato. 

Ai fini della decisione � necessario, innanzi tutto, precisare che, ai sensi 
dell'art. 61 della legge n. 312 del 1980: �La responsabilit� patrimoniale del personale 
direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna elementare 
secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali 
per danni arrecati direttamente alla Amministrazione in connessione a comportamenti 
degli alunni, � limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio 
della vigilanza sugli alunni stessi� (1� comma). E �La limitazione di cui al 
comma precedente si applica anche alla responsabilit� del predetto personale 
verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti 
degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa 
grave l'Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilit� 
civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi� (2� comma). 

Tale norma � stata introdotta nell'ordinamento giuridico per limitare 
equamente la responsabilit� troppo gravosa del personale scolastico, connessa 
alla sua attivit� di vigilanza sugli alunni e dovuta a un'interpretazione giurisprudenziale 
particolarmente rigorosa della disciplina legislativa della 
materia. 

In proposito si deve rilevare che, secondo gli art. 22 e 23 del d.P.R. 10 
gennaio 1957 n. 3, l'impiegato dello Stato che, nell'esercizio delle sue funzioni 
abbia cagionato ad altri un danno ingiusto per dolo o colpa grave, � personalmente 
obbligato a risarcirlo, mentre, nel caso che abbia agito con colpa 
lieve, non risponde verso i terzi e la responsabilit� diretta � del solo Stato, il 
quale pu�, tuttavia, promuovere l'azione di rivalsa nei suoi confronti (art. 18 
e 22 del d.P.R. del 1957). Poich� per l'art. 23 �le responsabilit� pi� gravi previste 
dalle leggi vigenti restano salve�, la giurisprudenza di questa Corte 
aveva costantemente affermato che gli insegnanti e lo Stato dovessero rispondere, 
oltre che per le varie ipotesi di responsabilit� disciplinate dal d.P.R. del 
1957, anche per culpa in vigilando, del danno cagionato ai terzi dal fatto illecito 
degli alunni delle scuole pubbliche ai sensi della norma dell'art. 2048 del 
codice civile (sent. nn. 318 del 1990, 894 del 1977, 997 del 1973). 

Con l'art. 61 la responsabilit� civile degli insegnanti, per i danni causati 
ai terzi dalla lesione dei loro diritti, � stata limitata ai casi di dolo e colpa 
grave, e si �, in tal modo eliminata la presunzione sancita dall'art. 2048 del 
codice civile, ponendosi a carico del danneggiato l'onere della prova dell'elemento 
soggettivo della condotta illecita. Con la medesima norma (comma 2�) 
� stata, inoltre, soppressa la legittimazione passiva degli insegnanti stabilendosi 
che, nei confronti dei terzi danneggiati, debba rispondere, in via diretta, 
soltanto l'Amministrazione, la quale pu�, poi, esercitare il diritto di rivalsa 
verso il dipendente che abbia cagionato il danno con comportamento doloso 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

o gravemente colposo. La disposizione, contenuta nel secondo comma dell'art. 
61, di cui era stato denunziato il contrasto con l'art. 28 della Costituzione, per 
essersi con essa esonerato il personale scolastico dalla responsabilit� diretta, 
� stata dichiarata legittima dalla Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza 
n. 64 del 1992 -dopo avere affermato che � consentito al legislatore ordinario 
limitare la resp�nsabilit� diretta dei dipendenti pubblici in relazione 
all'elemento psicologico o anche di escluderla in riferimento a determinate 
fattispecie -ha interpretato la norma dell'art. 61 nel senso dell'esclusione 
della responsabilit� diretta degli insegnanti soltanto nelle ipotesi di responsabilit� 
inquadrabili nella categoria della culpa in vigilando e dell'applicabilit� 
nei loro confronti, in tutti gli altri casi, della disciplina della responsabilit� 
diretta generalmente prevista dal d.P.R. n. 3 del 1957. 
Ci� premesso, ritengono le Sezioni Unite che con la norma dell'art. 61 si 
sia voluta escludere la legittimazione passiva degli insegnanti anche con 
riguardo alle azioni di responsabilit� promosse per danni subiti dagli alunni 
a causa di atti da loro stessi compiuti. Infatti, il secondo comma dell'art. 61 
della legge n. 312 del 1980 -stabilendo che la limitazione della responsabilit� 
degli insegnanti ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza 
sugli alunni si applica anche alla responsabilit� del predetto personale 
verso l'Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per i comportamenti 
degli allievi sottoposti alla vigilanza -ha inteso includere tra i terzi 
lo scolaro che abbia posto in essere la condotta pericolosa o imprudente da 
cui gli sia derivato il pregiudizio, essendo il medesimo, nello stesso tempo, 
autore e vittima dell'azione in ordine alla quale l'insegnante non abbia rispettato 
l'obbligo di vigilanza. 

L'interpretazione restrittiva della norma, riferita cio� alla sola ipotesi di 
danno cagionato dagli alunni ad altri allievi o persone, anche estranee all'ambiente 
scolastico, determinerebbe, in caso di danno prodotto dall'alunno 
sia a s� medesimo sia ad altro scolaro un duplice e diverso effetto sulla legittimazione 
dell'insegnante. Questi, infatti, mentre non sarebbe passivamente 
legittimato rispetto all'azione promossa dall'allievo autore della condotta che 
abbia causato il danno ad altri, sarebbe, invece, legittimato in relazione alla 
pretesa fatta valere per il pregiudizio subito dall'alunno che sia stato solo vittima 
dell'atto del compagno. E si verificherebbe, come � facile rilevare, una 
disparit� ingiustificata di trattamento, pur essendo imputabili i due eventi 
dannosi alla violazione, da parte dell'insegnante, di un identico obbligo di 
vigilanza. 

La stessa Corte Costituzionale nella menzionata sentenza ha interpretato 
nei sensi sopra esposti la disposizione dell'art. 61 cit., avendo ritenuto che 
in tutti i casi nei quali il danno derivi dalla violazione dell'obbligo di vigilanza 
(culpa in vigilando) gli insegnanti statali cessano di essere legittimati personalmente 
verso i terzi. Inoltre, si deve rilevare che la Corte di Cassazione 
ha pi� volte deciso, con riferimento all'ipotesi di responsabilit� sancita dall'art. 
2048 del codice civile, che la colpa pu� riguardare il danno procurato 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 169 

dall'allievo a s� stesso con la sua condotta, perch� l'obbligo di vigilanza dell'insegnante 
� imposto anche a tutela degli allievi a lui affidati (sent. nn. 8390 
del 1995, e 260 del 1972). 

Consegue che del ricorso si deve rigettare il secondo motivo, accogliere 
il primo motivo e, in riferimento ad esso, cassare senza rinvio la sentenza 
impugnata (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 26 agosto 1997 n. 8014 -Pres. Senofonte Rei. 
Vitrone -P.M. Martone (concl. conf.) -CO.GE.I. (avv. Pallottino) c. 
Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Linguiti). 

Appalto opere pubbliche -Riserve dell'impresa -Decadenza -Rinunziabilit� 
da parte dell'Amministrazione appaltante -Esclusione. 

(e.e. 2968; legge 25.05.1895 n. 350, art. 54). 
Pur sussistendo una tendenziale corrispondenza tra i �diritti indisponibili
�, cui fa riferimento la rubrica dell'art. 2968 e.e., e la �materia sottratta alla 
disponibilit� delle parti�, menzionata nel testo della citata disposizione, non 
v'� tra le due espressioni una coincidenza assoluta, in quanto il diritto colpito 
da decadenza pu� essere disponibile, ma ci� non vale ad escludere che la decadenza 
possa essere prevista dalla legge a tutela di un interesse superiore rispetto 
a quello delle parti in contesa, ossia per regolare una materia sottratta alla 
loro disponibilit�. Pertanto, in materia di appalto di opere pubbliche, la circostanza 
che il diritto dell'appaltatore ai maggiori compensi peri quali � stata 
iscritta riserva sia disponibile non consente di ritenere disponibile anche la 
posizione dell'ente pubblico tenuto al pagamento. Tale ente �, infatti, soggetto 
alle norme sulla contabilit� pubblica e non pu�, per questo, rinunziare n� 
in forma espressa, n� in forza di un comportamento tacito concludente, alla 
decadenza disposta dalla legge in ordine alla regolarit� della procedura stabilita 
per l'iscrizione delle riserve nei registri di contabilit� (1). 

(omissis) Con il terzo motivo la societ� ricorrente denunzia la generica 
violazione delle regole del procedimento amministrativo, di quelle che disciplinano 
la formazione della volont� della Pubblica Amministrazione e delle 
regole di ermeneutica contrattuale, nonch� il vizio di insufficiente motiva


(1) Con la sentenza massimata, la Suprema Corte ribadisce l'indirizzo tracciato, 
seppur in altra materia, dalle Sezioni Unite in ordine all'irrinunciabilit� della decadenza 
posta a tutela di un interesse pubblico superiore e sottratto, in quanto tale, alla 
disponibilit� delle parti ( SS.UU., 4 luglio 1989, in Foro It., 1989, I, 2442 ). E ci� anche 
se la materia in esame rientrerebbe, in astratto, tra quelle lasciate dal legislatore alla 
disponibilit� delle parti. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

zione, con riferimento all'affermazione secondo cui il riconoscimento parziale 
delle pretese avanzate con la prima riserva, concretatosi nell'offerta 
dell'importo di L. 91.680.700 in favore dell'appaltatore, non avrebbe comportato 
alcuna rinuncia all'eccezione di tardivit� della riserva medesima. 

Sostiene la ricorrente che erroneamente sarebbe stata svalutata la portata 
del voto espresso dal Comitato Tecnico Amministrativo dell'Ispettorato 
Generale del Ministero dei Lavori Pubblici, poich� esso, pur costituendo un 
atto interno dell'Amministrazione, costituiva imprescindibile elemento di 
interpretazione della volont� espressa dalla stazione appaltante che, prestandovi 
adesione, aveva mostrato di volervisi attenere, senza che la richiesta 
rivolta contestualmente all'appaltatore di dichiararsi tacitato per tutto il resto 
potesse essere interpretata come segno di una offerta globale di transazione. 

La censura non pu� trovare accoglimento poich� la ricorrente, sotto il 
pretesto della denunzia di un vizio di motivazione, tende in realt� a ottenere 
una inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie al fine di pervenire 
a una diversa decisione della controversia, in senso ad essa favorevole. 
Nessun vizio di motivazione � infatti riscontrabile (n�, del resto � stato chiaramente 
denunziato) nella motivazione della sentenza impugnata la quale, 
con valutazione insindacabile in sede di legittimit�, ha escluso che la offerta 
di una somma in favore dell'appaltatore potesse implicare la volont� di una 
rinuncia a far valere la tardivit� della riserva, e ci� in base alla considerazione 
che il parere di un organo consultivo interno in ordine alla liquidazione di 
una somma in parziale accoglimento della prima riserva era stato posto a 
fondamento di una proposta transattiva diretta all'eliminazione del contenzioso 
insorto tra le parti poich� l'offerta della somma di L. 91.680.700 era 
accompagnata dalla richiesta, rivolta all'impresa appaltatrice, di ritenersi 
tacitata di ogni sua domanda. Corretta appare, perci� la conclusione cui sono 
pervenuti i giudici di merito secondo cui tale offerta, effettuata successivamente 
al verificarsi della decadenza dell'appaltatore, era del tutto inidonea, 
per la sua portata, a integrare gli estremi della rinunzia tacita alla decadenza, 
come reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di questa corte in 
ipotesi consimili (Cass. 13 luglio 1983, n, 4759, cit. in motivazione), senza 
alcuna contestazione da parte della ricorrente circa la validit� del riferito 
orientamento interpretativo. 

Nel caso di specie la Corte ha ravvisato il ricorrere della �decadenza legale di ordine 
pubblico� (per questo concetto vedi la decisione su richiamata e, in dottrina, da ultimo, 
ROSELLI, voce Decadenza (dir. civ.), Enciclopedia giuridica Treccani, Roma 1990, 
4 ss.) a proposito della iscrizione tardiva della riserva nel registro di contabilit� da 
parte dell'appaltatore 

In senso conforme alla sentenza in rassegna vedi, oltre alla gi� citata pronuncia 
delle Sezioni Unite, tra le altre, Cass. 27 marzo 1996 n. 2743, in Mass. Foro It., 1996; 
Cass. 1 settembre 1994 n. 7607, in Rep. Foro It., 1994, voce Espropriazioni p.i.: indennit�, 
n. 153; Cass. 14 luglio 1992 n. 8548, in Rep. Foro It., 1992, voce Opere pubbliche, 

n. 565; contra, peraltro in materia di decadenza ex art. 37 legge 28 luglio 1961 n. 830, 
v. Cass 24 marzo 1987 n. 2863, in Rep. Foro It., 1987, voce Previdenza sociale, n. 1126. 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 171 

In ogni caso, -e indipendentemente dalla sussistenza del denunciato 
vizio di motivazione va considerato che, pur non potendo contestarsi la tendenziale 
corrispondenza fra i �diritti indisponibili�, cui fa riferimento la 
rubrica dell'art. 2968 cod. civ., e la �materia sottratta alla disponibilit� delle 
parti�, menzionata nel testo dell'articolo citato, non vi � tra le due espressioni 
una coincidenza assoluta, come acutamente rilevato da una pronuncia di 
questa Corte, resa a sezioni unite (Cass. 4 luglio 1989, n. 3197). Ci� perch� il 
diritto colpito da decadenza pu� bens� essere disponibile, ma ci� non vale a 
escludere che la decadenza possa essere disposta dalla legge a tutela di un 
interesse superiore rispetto a quello delle parti in contesa, e cio� per regolare 
una materia sottratta alla loro disponibilit�. 

Facendo applicazione di tale distinzione alla fattispecie in esame non vi 
� dubbio che il diritto dell'appaltatore ai maggiori compensi per i quali � stata 
iscritta riserva sia disponibile, ma non pu� per ci� solo ritenersi disponibile 
la posizione dell'ente pubblico tenuto al pagamento, il quale � soggetto alle 
norme sulla contabilit� pubblica e non pu� perci� rinunziare alla decadenza 
disposta dalla legge in ordine alla regolarit� della procedura stabilita per l'iscrizione 
delle riserve nei registri di contabilit�. 

Tale orientamento interpretativo, che � stato ulteriormente ribadito 
anche in tema di appalto di opere pubbliche (Cass. 14 luglio 1992, n. 8548), 
e ha trovato ulteriore conferma in tema di decadenza dell'espropriato dalla 
facolt� di opporsi alla stima amministrativa dell'indennit� di espropriazione 
(Cass. 1� settembre 1994), consente perci� di ribadire che la decadenza dell'appaltatore 
dalle riserve relative a domande di maggiori compensi non pu�, 
comunque formare oggetto di rinuncia da parte della Pubblica Amministrazione, 
n� in forma espressa, n� in forza di un comportamento tacito concludente, 
come quello dedotto a carico del Ministero dei Lavori Pubblici convenuto 
in giudizio dalla CO.GE.I. S.p.A. (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 4 settembre 1997 n. 8485 -Pres. Sgroi R. -
Rel. Senofonte -P.M. Gambardella (parz. diff.) -Philippine Airlines ed 
altri (avv. Bertucci) c. Ministero dell'interno (avv. Stato Laporta). 

Cosa giudicata -Qualificazione giuridica della fattispecie -Impugnazione 
intesa a contestare l'applicabilit� della corrispondente disciplina Giudicato 
sulla qualificazione -Inconfigurabilit�. 
(cod. proc. civ., artt. 112 e 324). 

Protezione civile e servizi antincendio -Servizio antincendi negli aeroporti Assistenza 
alle operazioni di rifornimento carburante ad aeromobili con 
passeggeri a bordo -Gratuit� -Esclusione. 
(legge 23 dicembre 1980, n. 930, art. 2). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

L'impugnazione diretta a contestare l'applicabilit� delle nonne regolatrici 
della fattispecie, come qualificata in sentenza, impedisce la cristallizzazione 
della qualificazione giuridica adottata, degradandola a semplice valutazione 
dei fatti accertati di per s� non preclusiva d'una diversa valutazione 
da parte del giudice del gravame (1). 

� legittimo, avendo riguardo alla sua natura di regolamento autorizzato (o 
libero) nonch� al carattere relativo -e non assoluto -della riserva di legge di 
cui all'art. 23 Cost., il decreto ministeriale che, in attuazione della legge 23 
dicembre 1980 n. 930, ha stabilito l'onerosit� del servizio antincendi (ancorch� 
obbligatorio) detenninando le relative tariffe a carico degli utenti (2). 

(omissis) Con i due mezzi di annullamento, le ricorrenti denunciano, 
nell'ordine: 

1) violazione dell'art. 112 c.p.c., per aver la Corte di appello qualificato l'assistenza 
de qua come servizio di vigilanza (in ogni caso oneroso), ancorch� nessuna 
delle parti ne avesse posto in discussione la qualificazione, accolta dal 
Tribunale, di servizio reso in situazioni di imminente pericolo a persone o cose 
e sul punto si fosse, quindi, formato il giudicato, essendosi le appellanti dolute 
soltanto dell'attribuzione a loro libera scelta delle situazioni considerate; 

2) falsa applicazione degli artt. 1 1. 966/1965 e 26 1. 1570/1941, nonch� 
violazione degli artt. 1 e 85 1. 469/1961 e dell'art. 1 1. 966/1965, poich� (a) la 
fattispecie non � riconducibile �per impegno di mezzi e uomini e per l'immanenza 
del pericolo di incendio� al servizio di mera vigilanza (riferito dall'art. 
2/b della 1. 966/65 solo ai locali di pubblico spettacolo e dall'art. 3/b ad 
ambienti -stabilimenti, laboratori, natanti depositi, magazzini e simili sicuramente 
non assimilabili agli aeroporti) e (b) le norme utilizzate dalla 
Corte di appello non esauriscono la disciplina della materia, dovendo essere 
integrate e confrontate con tutte quelle riguardanti prestazioni che presuppongono 
situazioni di pericolo immanente (quali, in particolare, gli artt. 1 e 

851. 469/61 e l'art. 2, punto 7, dello stesso d.m. 1985, che, dando per scontato 
l'immanente pericolo del rifornimento di carburanti con passeggeri a 
bordo, non lo consente negli aeroporti minori, proprio perch� in essi non � 
assicurato dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco il servizio antincendi). 
(1) Principio di chiara evidenza. 
(2) Per il regime anteriore alla legge n. 930/1980, v. Cass. 2198/76 in questa 
Rassegna, 1976, 768 ed ivi, in nota, le perplessit� espresse a riguardo della -allora affermata 
gratuit� necessaria del servizio antincendi negli aeroporti, a tutela di persone 
e cose esposte ad elevato pericolo. 
La chiave di soluzione fornita dalla sentenza surriprodotta dispensa dal tornare 
su quelle perplessit�, e cos� dal soffermarsi nella dimostrazione che gi� per effetto del1'
art. 1 legge 26 luglio 1965 n. 966 l'assistenza alle operazioni di rifornimento carburante, 
in quanto suscettibile d'esser ricompresa tra i �servizi di vigilanza, ai fini della 
prevenzione incendi�, doveva ritenersi servizio �a pagamento�. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 173 

Il ricorso non pu� essere accolto. 

Quanto al primo motivo,� sufficiente rilevare che non � pensabile il giudicato 
sulla qualificazione ove questa sia accompagnata (come nella specie) 
dal diniego di applicabilit� della corrispondente disciplina, posto che la qualificazione 
giuridica della fattispecie materiale si traduce, in principio, proprio 
nel riconoscerle l'attitudine ad attirare l'applicazione di determinate 
norme, il disconoscimento della cui applicabilit� (in ragione di varianti 
riscontrate nel caso singolo) impedisce, quindi, la cristallizzazione della qualificazione 
adottata, in ipotesi, degradandola a semplice valutazione dei fatti 
accertati, eh~. per s�, non ne preclude, certo, una valutazione diversa da parte 
del giudice dell'impugnazione, chiamato a (ri)decidere in ordine alla disciplina 
da applicare al caso concreto e, perci�, a qualificarlo coerentemente nel 
modo ritenuto pi� corretto. 

Ammesso, quindi, concessivamente che, per le articolate ragioni addotte 
dalle appellanti, la situazione di imminente (o immanente) pericolo non 
possa essere addebitata alle Compagnie aeree e che abbia, dunque, errato il 
Tribunale nel ritenere, nondimeno, legittimo il decreto impugnato, non pare, 
tuttavia, che al giudice dell'appello fosse vietato di pervenire allo stesso risultato 
sulla base di un diverso �iter argomentativo�. 

Senza incorrere, per ci� solo, nel vizio di extra petizione (e di violazione 
del giudicato interno), costituendo la questione relativa alla legittimit� -illegittimit� 
del decreto persistente oggetto di dibattito e non potendosi, pertanto, 
considerare estranea al devolutum. 

Passando all'esame del secondo motivo, pu� convenirsi sulle critiche 
mosse dalle ricorrenti alla denunciata sentenza per aver ancorato le legittimit� 
del decreto ministeriale pi� volte citato al coordinato disposto degli artt. 
26, lett. b), 1. 1570 del 1941e11. 966 del 1965 �ignorando� del tutto le disposizioni 
degli artt. 1e851. 469 del 1961 (il primo integrato col comma aggiunto 
dall'art. 101. 996/1970, che assegna al ministero dell'Interno anche il compito 
di provvedere �con il proprio personale all'espletamento dei servizi 
antincendi negli aeroporti civili o aperti al traffico civile�), secondo cui tra i 
servizi gratuiti rientra anche il servizio di prevenzione degli incendi. 

La Corte territoriale avrebbe dovuto, infatti, darsi carico della ricognizione 
e del confronto di tutte le norme citate, scrutinando ed esplicitando le 
ragioni giustificatrici della loro coesistenza all'esito di una preliminare individuazione 
delle nozioni di �servizi di vigilanza� e �servizi di prevenzione�, 
implicante la definizione (omessa) dei rispettivi ambiti, per modo da fornire 
una spiegazione adeguata del diverso trattamento normativo (onerosit� dei 
primi, gratuit� dei secondi). 

Non ritiene, tuttavia, il Collegio che la sentenza possa essere cassata, 
essendo il dispositivo conforme al diritto ed essendo, perci�, sufficiente correggerne 
la motivazione (art. 384 c.p.c.). 

Devesi, al riguardo, premettere che l'art. 2 della 1. 930/1980 (collocato 
sotto la rubrica �Servizio antincendi negli aeroporti� ed espressamente richiamato 
nel preambolo del decreto ministeriale) devolve, tra altro, all'autorit� 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

174 

amministrativa la �elaborazione e l'aggiornamento� della normativa nazionale 
nella materia di cui si tratta. Il decreto all'esame � stato dichiaratamente 
emanato in attuazione di questa legge: di qui la sua legittimit� (anche) nelle 
parti in cui, da un lato, accolla ai fornitori del servizio di assistenza il relativo 
costo e, dall'altro, determina l'ammontare di quest'ultimo facendo riferimento 
alle �tariffe previste dalla legge in vigore� (art. 2, punto 4; art. 40, che richiama 
i �servizi a pagamento�, di cui alla legge 26 luglio 1965 n. 966). 

Conviene aggiungere in via di ulteriore esplicitazione che il prowedimento 
de quo si iscrive nella categoria dei regolamenti �autorizzati>~ (o �liberi� nel 
lessico proposto da autorevole dottrina) e non si presta a sospetti di incostituzionalit�, 
posto che, per ammissione pressoch� unanime, la riserva di legge 
prefigurata dall'art. 23 Cost. (evocato dalle ricorrenti) ha carattere (non assoluto, 
ma) relativo; con la conseguenza che la supposta gratuit� del servizio di 
cui si discute (ancorch� obbligatorio) nel vigore della normativa preesistente 
(ampiamente scrutinata dalla sentenza n. 2203/1976 di questa stessa sezione e 
da altre coeve) deve intendersi, comunque, venuta meno (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 15 novembre 1997 n. 11337 -Pres. Sensale 
-Rel. Papa -P.M. Giacalone -Ministero del tesoro (aw. Stato Arena G.) 

c. Biancalani (aw. D'Ayala Valva). 
Titoli di credito -Importazione ed esportazione di titoli di credito Infrazioni 
valutarie -Violazione della disciplina di cui agli artt. 3 e 5 del 

d.l. n. 167 del 1990, convertito inlegge n. 227 del 1990 -Requisiti oggettivi 
e soggettivi. 
L'infrazione valutaria di cui agli artt. 3, primo comma, e 5 del d.l. n. 167 
del 1990, convertito in legge n. 227 del 1990, relativa all'importazione o 
esportazione di titoli al portatore in lire o valute estere di importo superiore 
a venti milioni, postula sotto il profilo soggettivo un comportamento cosciente 
e volontario, ancorch� non preordinato a fini illeciti, o non consapevole 
dell'illiceit� del fatto, e sotto il profilo oggettivo, l'idoneit� dei suddetti titoli 
alla successiva costituzione di rapporti obbligatori con soggetti non residenti 
nello Stato (1). 

(omissis) Denunzia l'Amministrazione violazione e falsa applicazione 
dell'art. 3 d.l. 167/1990, conv. in 1. 227/1990, in relazione agli artt. 1e2 r.d. 
1736/1933, lamentando la mancata considerazione, ad opera del Pretore, 

(1) La decisione della Suprema Corte si segnala in quanto estende principi gi� 
affermatisi sotto il vigore della disciplina di cui agli artt. 6 e 15 del d.l. n. 476/1956 convertito 
in legge 786/1996, in materia di esportazione di assegni bancari senza la prescritta 
autorizzazione, alle analoghe infrazioni valutarie commesse sotto il vigore della 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CMLE 175 

dei seguenti rilievi: a) un titolo all'ordine pu� circolare anche in bianco, 
purch� sia munito della sottoscrizione del traente, giacch� l'acquisto di un 
titolo incompleto conferisce al portatore i diritti propri del titolo completo; 
b) per questo, l'assegno senza data si considera pagabile a vista, con 
obbligo per l'emittente di lasciare a disposizione del prenditore la valuta 
sufficiente; e) l'incompletezza si ripercuote sull'efficacia esecutiva ma non 
sulla validit� del titolo, che pu� essere riempito dal prenditore, con intuibili 
conseguenze nei rapporti tra successivi prenditori e giratari. 
Puntualizza che l'obbligo di dichiarazione -mediante deposito di specifico 
avviso -imposto a chi sta per attraversare le frontiere � finalizzato 
unicamente alla rilevazione dei capitali in transito, e che la sanzione � correlata 
all'impedimento di tale rilevazione. Osserva infine che �la sentenza 
offre un mezzo semplice per aggirare le disposizioni della legge n. 
227/1990�. 

Il controricorrente afferma l'esattezza della soluzione adottata dal giudice 
a quo: dopo averne richiamato le argomentazioni, insiste sulla nullit� 
dei titoli privi di data, affermando che l'invalidit� colpisce anche la mancanza 
della indicazione del luogo di emissione (non senza rilevare, con riferimento 
all'obbligo di dichiarazione per titoli di importo superiore ai 20 
milioni, di cui al cit. art. 3 co. 1�, che l'unico assegno privo di tale requisito 
soltanto era di importo inferiore). Aggiunge che i due titoli di maggiore 
importo recavano la clausola di non trasferibilit�, onde sicuramente non 
erano al portatore, e conclude che, in dipendenza della rilevata invalidit�, i 
documenti in questione non possono rientrare negli �altri titoli� menzionati 
dallo stesso art. 3, escludendo infine che possano essere sussunti nei 
�valori mobiliari�, pure inclusi nell'obbligo di dichiarazione, stante la loro 
qualit� di documenti non immediatamente monetizzabili. Dopo aver con-

nuova normativa, ove all'autorizzazione ministeriale si sostituisce la mera �dichiarazione 
al seguito� per importi superiori a venti milioni. 

In particolare, oltre a ribadire sotto il profilo dell'elemento soggettivo la necessaria 
e sufficiente presenza di un comportamento cosciente e volontario, anche se non 
diretto a fini illeciti, la S.C. ribadisce sotto il profilo oggettivo che l'idoneit� dei titoli 
alla successiva costituzione dei rapporti obbligatori non � esclusa dalla circostanza 
che i titoli manchino della data, del luogo di emissione o della firma della girata nonch� 
dal fatto che si tratti di assegni postdatati o con data falsa, privi di copertura owero 
non onorabili dalla banca trattaria. Anche in questi casi la non necessit� di intervento 
dell'emittente, stante la possibilit� di successivo riempimento da parte del portatore 
rende astrattamente idoneo il titolo alla costituzione di rapporti obbligatori con 
terzi non residenti e dunque fa s� che gli stessi, ai sensi dell'art. 3 co. 1 e 5 del d.l. 
167/1990 rientrino tra gli �altri titoli� per i quali sussiste l'obbligo della �dichiarazione 
al seguito�. 

Tra le decisioni della Corte di Cassazione sotto il vigore della precedente disciplina 
si segnalano: Cass, I, 25 novembre 1980 n. 6268; Cass. I, 3 dicembre 1979 n. 6291, 
oltre la giurisprudenza richiamata in sentenza. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

176 

testato la pertinenza di uno specifico riferimento giurisprudenziale di controparte 
-relativo alla normale inopponibilit� del successivo riempimento 
ai terzi-, osserva che, a voler seguire l'opposta tesi, si giungerebbe alla 
conclusione della configurabilit� dell'infrazione pure in caso di mancata 
dichiarazione da parte di chi attraversi la frontiera col �libretto degli assegni 
in bianco�. 

Ritiene il collegio sussistente la denunziata violazione di legge, nei termini 
indicati nella seconda parte della censura. 

L'art. 3 co. 1� d.l. 167/1990, conv. nella 1. 227/1990, dispone che �l'importazione 
o l'esportazione al seguito ovvero mediante plico postale o equivalente, 
da parte dei residenti, di somme in lire o valute estere, nonch� di titoli 
al portatore denominati in lire o valute estere, non possono essere effettuate 
per importo superiore a lire 20 milioni; per gli altri titoli o valori mobiliari 
di importo superiore a lire 20 milioni i residenti devono farne dichiarazione 
depositando in dogana uno specifico avviso�. Si tratta, nel caso in esame 
-con evidente riferimento alla seconda parte della disposizione -di stabilire 
se l'obbligo (pacificamente non adempiuto) sussistesse in relazione a tre 
assegni circolari, del complessivo importo di lire 133 milioni, tutti privi della 
indicazione del luogo di emissione e, due (peraltro non trasferibili), altres� 
della data. 

La soluzione deve essere affermativa, apparendo ininfluente il richiamo 
alla disciplina del r.d. 1736/1993 (1. ass.), giacch� qui non si tratta di 
individuare la validit� dei titoli nello stato in cui si trovavano ovvero, sempre 
in detto stato, della loro efficacia esecutiva, e nemmeno -conseguentemente 
-di stabilire se ed in che limiti potesse sopperirsi alle carenze cartolari 
in atto, ma occorre unicamente considerare se, nella richiamata previsione 
legislativa, anche per documenti siffatti sussistesse l'obbligo della 
dichiarazione al momento del transito del confine. � noto che la giurisprudenza 
affermatasi sotto il vigore degli artt. 6 e 15 d.l. 476/1956, conv. in 1. 
786/1956, in materia di esportazione o tentativo di esportazione di assegni 
bancari senza la prescritta atltorizzazione ministeriale, era univocamente 
orientata nel senso della configurabilit� dell'infrazione in concorso di un 
comportamento cosciente e volontario (elemento soggettivo) e -sotto il 
profilo oggettivo, che in questa sede direttamente interessa -della idoneit� 
dei titoli alla successiva creazione di rapporti obbligatori coi non residenti 
nello Stato, idoneit� non esclusa dalla mancanza di indicazione della data 

o del luogo di emissione, ovvero dalla mancanza della firma di girata, nonch� 
dal fatto che si trattasse di assegni postdatati o con data falsa, privi di 
copertura o comunque non onorabili dalla banca trattaria (Cass. 6268 e 
6210/1980; 6291/1979; 5945/1978; 3370/1977). Elemento necessario e suffidente 
� stato infatti ravvisato dalla giurisprudenza nella non necessit� di 
intervento dell'emittente, stante la possibilit� di successivo riempimento da 
parte del portatore. 

-


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 177 

Che tali principi siano applicabili anche sotto il vigore della nuova disciplina, 
� fuor di dubbio, tanto pi� ove si consideri -nell'ottica segnalata 
anche dal la ricorrente Amministrazione -che l'adempimento omesso non � 
inteso ad evitare illeciti trasferimenti di somme, eccedenti le lire 20 milioni, 
all'estero (divieto che la prima parte del co. 1� cit. limita a somme di danaro 

o pi� in generale a titoli al portatore), ma risulta preordinato alla rilevazione 
globale dei movimenti di capitali verso le frontiere, imponendo l'obbligo di 
specifici avvisi, operazione cui non corrisponde alcun onere finanziario; a 
tale complessiva operazione di monitoraggio si sottraggono gli inadempienti, 
nei cui confronti risulta dunque applicabile la sanzione prevista nell'art. 5 
co. 3� cl.I. 167/1990, senza che colga nel segno il rilievo del controricorrente 
circa il possesso di moduli (di titoli) in bianco, proprio alla luce della citata 
giurisprudenza, che consente di ravvisare l'infrazione ogni volta che non sia 
richiesto un ulteriore intervento dell'emittente. 
In dipendenza di quanto precede, ai sensi degli artt. 3 co. 1� seconda 
parte e 5 co. 3� cl.I. 167/1990, conv. in I. 227/1990, rientrano fra gli �altri titoli
�, per i quali esiste l'obbligo della dichiarazione attraverso il deposito in 
dogana di uno specifico avviso, gli assegni bancari privi dell'indicazione della 
data e/o del luogo di emissione, essendo gli stessi idonei a creare rapporti 
obbligatori coi non residenti nello Stato, anche previo riempimento; n� alla 
configurabilit� della violazione � di ostacolo la circostanza che alcuni dei 
titoli rechino anche la clausola di non trasferibilit�, allorquando essi siano 
esportati �al seguito� dal prenditore. 

Da ci� deriva la fondatezza, nei sensi precisati, del ricorso: alla cassazione 
della sentenza impugnata consegue, a norma dell'art. 384 co. 1� cod. 
proc. civ., la pronunzia nel merito, nel senso del rigetto dell'originaria opposizione 
del Biancalani (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. III, 24 novembre 1997, n. 11763 -Pres. Grossi 
-Rei. Perconte Licatesi -P.M. Cafiero -Panitti (avv. Colarieti) c. ANAS 
(avv. Stato Criscuoli). 

Responsabilit� civile -Amministrazione pubblica -Opere pubbliche -Strade 
-Situazione di pericolo occulto (c.d. insidia o trabocchetto) Caratteristiche 
oggettive e soggettive -Responsabilit� dell'ANAS Fattispecie. 


La responsabilit� dell'Amministrazione per danni conseguenti a difetto 
di manutenzione delle strade � configurabile quando risulti violato il limite 
posto alla discrezionalit� amministrativa dalla normq primaria del �neminem 
laedere� e, in particolare, quando le strade presentino perl'utente che fa 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

178 

ragionevole affidamento sulla loro apparente regolarit� una situazione di 
pericolo occulto, in relazione al carattere obiettivo della non visibililt� e a 
quello subiettivo della non prevedibilit� (1). 

(omissis) Con l'unico motivo, denunziando carenza e contraddittoriet� 
di motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.), i ricorrenti sostengono che, contrariamente 
all'avviso della Corte d'appello, il sinistro � riconducibile a un'insidia�, 
rappresentata dall'omessa predisposizione, in violazione del principio del 
�neminem laedere�, delle barriere protettive in un tratto stradale curvilineo, 
dal quale non � visibile l'alveo del fiume Velino. L'ipotesi dello sbandamento, 
in quella curva, di un veicolo, se da un lato doveva essere prevista dall'utente, 
non poteva, dall'altro, essere ignorata dall'ente proprietario della strada, 
sicch� giustamente il Tribunale ne aveva affermato la colpa concorrente. 
Nemmeno si � considerato che, nel caso di specie, l'uscita di strada fu provocata 
da un malore, per cui non v'� dubbio che sussista il nesso eziologico tra 
la negligenza dell'A.N.A.S. e il duplice evento mortale. 

Queste censure non hanno pregio. 

Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte suprema, la 
responsabilit� della pubblica amministrazione per i danni conseguiti a difetto 
di manutenzione delle strade � configurabile solo quando risulti violato il 
limite posto alla discrezionalit� amministrativa dalla norma primaria e fondamentale 
del �neminem laedere�, e particolarmente quando le strade, a 
causa delle condizioni nelle quali sono tenute, prestino, per l'utente che fa 

(1) La Cassazione con la decisione sopra richiamata torna a pronunziarsi -in 
conformit� ai noti principi -sulla questione relativa alla responsabilit� dell'ANAS, o 
comunque, dell'ente proprietario di una strada per danni subiti dagli utenti a causa del 
difetto di manutenzione della stessa (nella specie si trattava della omessa installazione 
di guard-rail sul ciglio di un tratto stradale in curva). 
La Corte respinge il ricorso presentato dagli eredi della vittima di un sinistro stradale 
non ravvisandosi, nel caso in esame, la sussistenza di una situazione di �pericolo 
occulto� ovvero di un'insidia o trabocchetto, situazioni queste, ritenute necessarie per 
poter considerare l'Amministrazione responsabile ex art. 2043 e.e. e tipizzate dalla sussistenza 
di un duplice requisito, oggettivo (non visibilit� del pericolo) e soggettivo (non 
prevedibilit� dello stesso). In senso conforme, tra le tante: Cass., Ili, 28 aprile 1997 n. 
3630; Cass., III 17 gennaio 1996 n.340; Cass., III, 11 agosto 1995 n.8823; Cass., III, 14 
agosto 1991 n. 8840. 

L'indirizzo giurisprudenziale, ormai affermatosi sul problema, lungi dal costituire 
una posizione di ingiustificato privilegio per lAmministrazione ha individuato nel 
principio del neminem laedere un limite alla rilevanza della discrezionalit� della P.A., 
alla quale resta comunque riservato l'apprezzamento degli interessi e dei bisogni pubblici 
e la scelta dei mezzi ritenuti pi� idonei per il loro soddisfacimento. 

In base alla giurisprudenza in esame, tale discrezionalit� -e dunque la relativa 
insindacabilit� del giudice ordinario -trova un limite invalicabile nel dovere 
dell'Amministrazione di osservare nella costruzione e manutenzione di strade, non solo 
le disposizioni di legge e di regolamento ma anche le comuni regole di prudenza e di diligenza 
imposte dal principio fondamentale del neminem laedere. L'Amministrazione, pertanto, 
potr� essere ritenuta responsabile per i danni derivati agli utenti della strada a 
causa dell'inosservanza degli obblighi sopra descritti, semprech� da tale inosservanza 
derivi una situazione di �pericolo occulto�, con i caratteri sopra descritti. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 179 

ragionevole affidamento sulla loro apparente regolarit�, una situazione di 
pericolo occulto, in relazione al carattere obiettivo della non visibilit� e a 
quello subiettivo della non prevedibilit� (Cass. 17 gennaio 1996 n. 340). 

Si � ancora meglio precisato che costituisce insidia stradale ogni situazione 
di pericolo che l'utente medio, usando la normale diligenza richiesta 
dalla particolare situazione in cui si trova, non pu� subiettivamente prevedere; 
onde, al fine di escludere la responsabilit� risarcitoria dell'ente che abbia 
la gestione della strada, � necessaria la dimostrazione, da parte dell'ente stesso, 
che, nonostante lobiettiva esistenza dell'insidia, l'utente fosse soggettivamente 
in grado di prevederla e di evitarla. Il relativo apprezzamento da parte 
del giudice di merito � incensurabile in sede di legittimit�, se correttamente 
e adeguatamente motivato (Cass. 12 gennaio 1996 n. 191). 

Orbene, afferma la Corte d'appello che l'alveo del fiume, scorrente al lato 
della strada, oltre il ciglio esterno, era facilmente visibile da chi percorreva la 
Via Cicolana, di guisa che la possibilit� di precipitare nel fiume era prevedibile 
anche da un utente di diligenza inferiore alla media. 

Resta in tal modo accertata, in punto di fatto, l'assenza di un qualsiasi 
pericolo occulto e quindi di un'insidia, come dianzi definita, per cui correttamente, 
e pertanto insindacabilmente, � stata esclusa ogni responsabilit� 
dell'ente proprietario e il duplice evento letale � stato ascritto alla sola imprudenza 
o negligenza del conducente. 

La Suprema Corte pur richiamandosi ai consolidati principi compie tuttavia una 
importante precisazione l� dove ritiene sussistente la responsabilit� per danni derivanti 
a terzi dall'uso di una strada solo allorquando questa nasconda un pericolo non 
visibile e imprevedibile, cio� una vera e propria insidia e non anche una mera pericolosit� 
(sulla necessit� della sussistenza congiunta dei due profili v. anche Cass. III, 11 
agosto 1995 n. 8823, Cass. III, 25 giugno 1997 n. 5670 nonch� nella giurisprudenza di 
merito Trib. Padova 5 dicembre 1984, in Giur. merito, 1985, 431). 

La precisazione appare rilevante ove si consideri che da alcune parti -in dottrina 
-si � avanzata l'ipotesi che la c.d. insidia o trabocchetto possa rappresentare la 
principale ma non l'unica ipotesi di responsabilit� dell'Amministrazione proprietaria 
di strade in quanto la limitazione operata dalla giurisprudenza in esame finirebbe col 
creare speciali immunit� a favore della P.A. (COMPORTI, Presunzione di responsabilit� 
e danni da manutenzione stradale in Riv. circolaz. e Trasp., 1988, 591; CHIN�, in nota 
a Cass., III, 14 agosto 1991 n. 8840, in Giur. it. 1992, I, 249 e ss.) 

Le rigorose conclusioni della giurisprudenza, ribadite dalla Suprema Corte, tuttavia, 
rappresentano un equilibrato punto di arrivo tra la discrezionalit� dell'Ammi-nistrazione, 
deputata alla gestione e manutenzione delle strade e la responsabilit� oggettiva della stessa, 
in cui si finisce per cadere ogniqualvolta si ritiene di dover collegare alla colpa della 

P.A. qualsiasi situazione di pericolo comunque verificatasi nella circolazione di veicolo. 
La medesima giurisprudenza, pertanto, esclude l'applicabilit� della responsabilit� 
per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 e.e. nei confronti della P.A. proprietaria 
di strade aperte al pubblico transito in quanto l'estensione di tali beni � di portata 
tale da non consentire una vigilanza ed un controllo idonei ad evitare l'insorgenza 
di situazioni di pericolo. 

Infine, sulla insindacabilit� in sede di legittimit� della sussistenza dell'insidia, 
semprech� l'accertamento condotto dal giudice di merito sia assistito da un'adeguata e 
logica motivazione: Cass, III, 7 gennaio 1980 n. 91, -Cass. III, 19 settembre 1986 n. 
5677; Cass., III, 11agosto1995 n. 8823; Cass. III, 28 luglio 1997 n. 7062. 

P.P. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

180 

Occorre meglio ribadire, in risposta alle obiezioni sollevate nel ricorso, 
che sono ininfluenti, -di per s� soli, -sia la difettosa manutenzione della 
strada sia il mancato rispetto dei dettami della sicurezza (che nella specie 
avrebbero consigliato, ma non obbligatoriamente imposto, l'apposizione delle 
barriere protettive nei tratti stradali maggiormente esposti al rischio di fuoriuscita); 
che non rileva insomma una qualunque situazione di pericolo in s� 
e per s�, essendo necessario viceversa che tale pericolo si presenti altres� come 
�Occulto�, ossia connotato a un tempo, come si � gi� accennato, dalla obiettiva 
non visibilit� e dalla subiettiva imprevedibilit� con l'ordinaria diligenza. 

Ne deriva che la stessa omissione delle barriere in tanto pu� costituire in 
colpa l'ente proprietario in quanto concreti anch'essa un pericolo �Occulto� 
(ad esempio per la presenza, sul ciglio, di erba alta che nasconda la sottostante 
scarpata); circostanza, come gi� detto, motivatamente esclusa dal giudice 
di merito (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 26 novembre 1997 n. 11860 -Pres. Borruso 
-Rei. Oll� -P.M. Arena (diff.) -Ministeri Tesoro, Finanze e Grazia e 
Giustizia (avv. Stato de Figueiredo) c. Sinoia Steamship Inc. (avv. 
Crocetta). 

Responsabilit� civile -Danni da attivit� giudiziaria del giudice -Fattispecie Regime 
anteriore alla legge 13 aprile 1988 n. 117 -Applicabilit� esclusiva 
degli artt. 55 e 74 cod. proc. civ. 

Nel regime anteriore all'entrata in vigore della legge 13 aprile 1988, n. 
117, la materia della responsabilit� diretta del giudice per i danni cagionati 
nell'esercizio di attivit� giudiziaria (nella specie: strumentale alla conservazione 
d'un bene sottoposto a sequestro penale) era regolata dagli artt. 55 e 74 
cod. proc. civ., rimanendo perci� esclusa l'applicabilit� della disciplina generale 
in tema di responsabilit� civile dei dipendenti dello Stato (1). 

(omissis) 2. -Ora, la Sinoia Steamship non ha proposto ricorso incidentale 
avverso l'affermazione della Corte del merito, pregiudizievole nei suoi 
confronti, secondo cui nel regime anteriore alla L. n. 117 /1988 non � confi


(1) La vicenda presa in esame concerneva una nave assoggettata a sequestro penale 
con decreto del Procuratore della Repubblica e risultata, all'atto del dissequestro, 
irrimediabilmente inutilizzabile a causa della negligente custodia e della sua omessa 
, 
manutenzione. 
Nella motivazione viene posto l'accento sulla linea di sostanziale continuit� dei 111 

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principi in materia risultante dalla legge n. 117/1988, cui � ascritto proprio il merito di ~: 
aver adottato una formulazione letterale capace di risolvere ogni dubbio in ordine alla i:= 

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diversa natura delle attivit� del giudice (tutte inequivocabilmente ricondotte sotto la 
medesima disciplina). 

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PARTE I, SEZ. III, GlURISPRUPENZA PI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 181 

gurabile una responsabilit� dello Stato per I'operato dei giudici, oltre i casi in 
cui sussistesse una responsabilit� dei giudici stessi. 

Detta conclusione, pertanto,. � divenuta definitiva. 

Si tratta, comunque, diunaaffermazione affatto corretta; ed in realt� del 
tutto coerente al pressoch� consolidato orientamento di questa Corte 
Suprema sul punto (v. Cass., 8 maggio 1992 n. 5493, 3 aprile 1979 n. 1916, 5 
novembre 1975 n. 3719) che qui si ribadisce. 

3d. -Dj contro, col primo motivo di annullamento le ricorrenti 
Amministraiioni dello Stato contestano l'affermazione della Corte territoriale 
secondo cui, per il regime positivo in vigore avanti la L. n. 117/1988, la limitazione 
della responsabilit� civile dei magistrati (e, quindi, dello Stato) � circoscritta 
alla loro attivit� giurisdizionale, e non riguarda il loro esercizio di 
funzioni giudiziarie a contenuto essenzialmente amministrativo; con la. conseguenza, 
perci�, che in ordine a questa attivit� la disciplina della responsabilit� 
civile dei magistrati trova la propria fonte normativa nelle norme dettate 
in tema di responsabilit� dei dipendenti civili dello Stato, e non gi� negli 
artt. 55 e 74 cod. proc. civ .. 

Col mezzo, le Amministrazioni ricorrenti denunciano, in primo luogo, 
l'apoditticit� di siffatta ricostruzione del regime anteriore alla L. n. 117/1988. 
Indi, e soprattutto, che essa ricostruzione si risolve nella violazione e falsa 
applicazione degli artt. 55 e 74 cod. proc. civ., in quanto in queste norme non 
era �prevista la possibilit� di distinzione dell'attivit� soggettivamente giurisdizionale 
(in quanto esercitata nella �qualit� e funzione� di giudice e, quindi, 
da un� magistrato non quale responsabile di un ufficio del Ministero di 
Grazia e Giustizia, ma quale giudice) tra attivit� oggettivamente giurisdizionali 
e attivit� oggettivamente amministrative�. 

3.2. -In relazione alla questione proposta col motivo, l'esegesi degli artt. 
55 e 74 cod. proc. civ. rende certo che la disciplina dettata in queste norme 
attiene, in generale, a tutta indistintamente la �attivit� giudiziaria� del magistrato 
(giudice o Pubblico ministero) e non soltanto alle sue �attivit� giurisdizionali1>. 
Quindi, regolamenta non soltanto l'attivit� connessa all'esercizio 
di attribuzioni decisorie, ma qualunque attivit� svolta dal magistrato nel 
campo giudiziario, a prescindere dalla natura delle funzioni esercitate (giudicante, 
inquirente, requirente) o dell'attivit� concretamente svolta nell'esercizio 
di tali funzioni: ossia, tanto giurisdizionale di cognizione od esecutiva, 
quanto di volontaria giurisdizione o, addirittura, amministrativa, quale, ad 
esempio, quella del giudice delegato alle procedure concorsuali relativa alla 
direzione ed al controllo dello sviluppo dei procedimenti e, talora, anche alla 
loro gestione attiva. 
La conclusione � imposta, innanzitutto, dal dato testuale. In particola-� 
re: dal rilievo che nel dettato degli artt. 55 e 74 cod. proc. civ. da un canto, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

182 

non si individua alcun elemento che conforti, quanto meno indirettamente, 
la lettura proposta dalla Corte del merito; dalla assoluta genericit� dei precetti 
e dal loro riferirsi, in modo onnicomprensivo ed indistinto, al giudice� 
ed ai �magistrati del Pubblico Ministero� senza alcuna limitazione, il che 
depone in modo inequivoco per l'estensibilit� del regime a tutta la loro attivit�; 
infine, e soprattutto, dall'espressa estensione dell'ipotesi di cui al 
comma 1� n. 2 dell'art. 55 cod. proc. civ., agli atti ricompresi in generale nel 
ministero del giudice. 

Inoltre, dalla considerazione che le ragioni che impongono una limitazione 
positiva della responsabilit� civile del magistrato non ineriscono esclusivamente 
all'esercizio della funzione ontologicamente giurisdizionale, ma� si 
attagliano, in generale, all'esercizio delle funzioni giudiziarie. 

Infine, dalla difficolt� di scindere, nell'ambito di taluna delle attivit� 
devolute al ministero di un giudice, quella giurisdizionale e quella priva �del 
requisito minimo di giurisdizionalit�, in senso oggettivo�; nonch�, in ogni 
caso, di enucleare un criterio atto ad individuare concretamente queste ipotesi, 
specie allorquando, come nel caso del sequestro per il processo penale 
con la nomina del custode, il magistrato ha compiti, non gi� attivi di amministrazione 
e di conservazione del bene (che ricadono invece sul custode) ma 
solo (e diversamente da quanto sembra ritenere la Corte del merito) di integrazione 
dei poteri del custode. 

Del resto, in tale senso � l'orientamento affatto consolidato di questa 
Corte Suprema espresso, oltre che nelle gi� richiamate sentenze n. 
5493/1992, 3719/1975, e 1916/1979, anche nella sentenza 24 marzo 1982 n. 
1879, valorizzata dalla controricorrente a sostegno della costruzione seguita 
dal giudice del merito. Per vero, in questo arresto � stato affermato il principio 
(disatteso, peraltro, come s'� detto, dall'orientaillento prevalente) che a 
mente dell'art. 28 Cost., l'inconfigurabilit� della responsabilit� civile diretta 
del magistrato non limita la responsabilit� civile dello Stato per i danni conseguenti 
ad attivit� colposa posta in essere da quel magistrato nell'esercizio 
di una attivit� amministrativa nel senso ipotizzato dalla Corte di Genova: 
dunque, � stato affermato, indirettamente, che anche siffatta attivit� rimane 
assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 55 e 74 cod. proc. civ., ma che ci� 
� irrilevante nei confronti dello Stato, �non essendovi coincidenza, riguardo 
ai limiti, fra la responsabilit� del funzionario e quella dello Stato per il quale 
egli agisce�. 

A definitivo conforto depone l'evoluzione storica, sul punto, della disciplina 
positiva in tema di responsabilit� diretta del giudice. In particolare, la 
constatazione che, proprio in funzione delle pregresse considerazioni, la L. 

n. 117 del 1988 ha adottato una formulazione tesa a fugare ogni possibile 
dubbio sulla vigenza del principio secondo cui la disciplina particolare 
sulla responsabilit� civile dei magistrati e dello Stato in connessione all'esercizio 
delle funzioni giudiziarie da essa dettata, non � limitata all'attivit� 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 183 

ontologicamente giurisdizionale dei magistrati ma riguarda indistintamente 
tutta la loro attivit� giudiziaria, qualunque ne sia la natura. Non diversamente, 
infatti, si pu� concludere una volta che secondo le espresse previsioni 
della legge: le sue disposizioni devono trovare applicazione nei confronti 
dei magistrati che esercitano �l'attivit� giudiziaria, indipendentemente 
dalla natura delle funzioni� (art. 1 c. 1); le stesse disposizioni riguardano 
il danno ingiusto conseguente ad �un comportamento, un atto o un 
provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa 
grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia� (art. 
2 c. 2), diniego di giustizia che � costituito dal �rifiuto, omissione o ritardo 
del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio� (art. 3 c. 1); �nell'esercizio 
delle funzioni giudiziarie, non pu� dar luogo a responsabilit� l'attivit� 
di interpretazione di norme di diritto, n� quella di valutazione del 
fatto e delle prove�. 

3.3. -Quindi, sotto il regime anteriore all'entrata: �n vigore della L. n. 
117/1988, anche la materia della responsabilit� diretta d�l giudice per i danni 
cagionati dai suoi comportamenti nell'ambito della sua attivit� strumentale 
alla conservazione ed alla manutenzione di un bene sequestrato per il procedimento 
penale, rimane assoggettata alla disciplina di cui agli artt. 55 e 74 
cod. proc. civ .. 
Vale a dire che, in forza di quel regime, per un verso, in tanto � configurabile 
una responsabilit� diretta di quel giudice nei confronti del danneggiato, 
solo in quanto sussistano i presupposti previsti nelle dette norme; e, 
per altro verso, rimane esclusa in modo radicale la applicabilit� della disciplina 
generale in tema di responsabilit� civile dei dipendenti civili dello 
Stato. (omissis) 

CORTE DI APPELLO DI NAPOLI, 9 gennaio 1997, n. 1 -Pres. Cioffi -Est. 
Forte -Presidenza del Consiglio dei ministri -Funzionario delegato 

C.I.P.E. c. Consorzio Edifer. 
Procedimento arbitrale -Domande nuove -Mancata fissazione di un nuovo 
termine per deposito di memorie e documenti in relazione ai nuovi quesiti 
-Violazione del principio del contraddittorio -Sussistenza. 

Le domande nuove proposte in corso di giudizio arbitrale sono ammissibili 
purch� sia rispettato il principio del contraddittorio: quest'ultimo deve ritenersi 
violato con conseguente nullit� del lodo, ai sensi dell'art. 829, 1� �o., n. 9 
c.p.c., allorch� in relazione alle domande nuove proposte da una delle parti con 
rifiuto di accettare il contraddittorio da parte dell'altra, il Collegio Arbitrale le 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

184 

abbia accolte senza fissare nuovi termini per il deposito di memorie e documenti 
e per le successive repliche, ai sensi dell'art. 816, 4� co. c.p.c. (1). 

(omissis) 3. Con il secondo motivo di impugnazione viene lamentata la 
violazione del principio del contraddittorio da parte del collegio arbitrale, in 
contrasto con l'art. 829 n. 9 c.p.c. per avere ammesso quesiti nuovi del 
Consorzio Edifar senza concedere un ulteriore congruo termine al CIPE per 
proporre eventuali controquesiti e depositare propria documentazione; il 
motivo � fondato e da accogliere. 

(1) Domande nuove e rispetto del principio del contraddittorio nell'arbitrato rituale. 
La Corte di Appello di Napoli con la sentenza in parola ha esaminato e deciso un 
caso rientrante nell'ambito della problematica nascente dal rapporto tra proposizione 
di domande nuove in corso di procedimento arbitrale e rispetto del principio del contraddittorio. 
La Corte di Appello, nel ribadire che nel giudizio arbitrale, diversamente 
da quello civile, la proposizione delle nuove domande � sempre possibile (a meno che 
la clausola compromissoria ovvero altro atto antecedente al giudizio arbitrale non 
richiamino la pedissequa applicazione delle norme del codice di rito civile) purch� non 
venga violato il principio del contraddittorio, ha approfondito una fattispecie nella 
quale quest'ultimo appariva solo formalmente rispettato. 
Al riguardo, al fine di evidenziare la portata innovativa della pronuncia, � opportuno 
precisare che il rispetto di tale principio � stato interpretato in modo non univoco 
dalla giurisprudenza, anche in considerazione della libert� che caratterizza il procedimento 
arbitrale. Alcune decisioni meno recenti, risalenti nella vigenza delle norme del 
codice di rito anteriore alla Novella del 5 gennaio 1994 n. 25, hanno affermato, senza riferimento 
alle domande nuove, che non sussiste violazione del principio del contraddittorio 
allorch� gli arbitri abbiano concesso alle parti uno spazio temporale minimo per la 
illustrazione delle proprie difese e delle repliche a quelle avversarie, anche se non � stato 
concesso un formale termine a difesa (cfr. Corte di Cassazione 18 marzo 1981 n. 1595) 
purch� con altre modalit� essi abbiano messo le parti in condizione di presentare osservazioni 
o di fare richieste (cfr. Corte di Cassazione 11 gennaio 1988 n. 64). La ratio sottesa 
a queste pronunce � che il rispetto del principio del contraddittorio sia assicurato 
attraverso una applicazione non rigorosa dell'art. 816, 3� comma. (ora 4� comma.) c.p.c., 
riducendosi il principio in parola alla osservanza della regola �audiatur et al.tera pars�, 
per cui sarebbe sufficiente che cia~cuna parte sia messa in condizione di poter svolgere 
le proprie difese e di potere replicare perch� possa dirsi assicurato il diritto di difesa. 
Tale concezione deve ritenersi messa in crisi dalla entrata .in vigore della legge 5 
gennaio 1994 n. 25 �Nuove disposizioni in materia di arbitrato e disciplina dell'arbitrato 
internazionale�, che ha esplicitamente posto l'osservanza del principio del contraddittorio 
come regola centrale del procedimento arbitrale, la cui violazione costituisce motivo 
aggiunto di nullit� del lodo (art. 829, 1� comma, n. 9 c.p.c.), mentre anteriormente la 
osservanza del principio in parola era desunto dal citato art. 816, 3� (ora 4�) comma c.p.c. 
La Corte di Cassazione, in evidente sintonia con la intervenuta Novella, con la sentenzadel 
22 gennaio 1996 n. 464 ha affermato che si ha violazione del principio del contraddittorio 
�non solo quando gli arbitri decidano immediatamente dopo la chiusura 
dell'istruzione, senza dare alle parti la possibilit� di illustrare le proprie ragioni, ma 
anche quando, concessa a una parte la facolt� di depositare memorie e documenti, non 
sia data comunicazione all'altra parte dell'avvenuto deposito, n� sia assegnato alla stessa 
un congruo termine per eventuali osservazioni, essendo necessario che sia garantita 
non solo un'adeguata attivit� difensiva, ma anche �parit� delle armi� �tra le parti, in 
modo che esse possano esercitare su un piano di uguaglianza le facolt� processuali concesse 
dagli arbitri� (nella specie, per una delle parti il termine di dieci giorni per il deposito 
di memorie e integrazione della documenta;zione si era ridotto a soli quattro giorni 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA DI DIRITTO E PROCEDURA CIVILE 185 

3.1. Appare anzitutto evidente la novit� dei quesiti posti dal Consorzio con 
la prima memoria depositata entro il 31 marzo 1995, dopo l'atto di accesso 
notificato il 3 giugno 1994 ed entro il termine concesso al Cogefar �perch� ... 
eventualmente precisi i propri quesiti� e al funzionario CIPE perch� �formuli 
eventuali controquesiti� e ad ambedue, per il deposito della loro prima 
memoria con documenti. Era poi concesso alle parti un altro termine per la 
replica sulle predette memorie fino al 14 aprile 1995. 
In effetti, gli arbitri stessi chiariscono, alla pag. 3 del lodo, che con la 
prima memoria depositata entro il 31 tnarzo �il Consorzio produceva un 
allargamento del thema decidendum attraverso la formulazione di quesiti 
sostanzialmente nuovi�, ritenendo poi giustamente inapplicabile nel caso il 
divieto di mutatio libelli proprio del giudizio civile; peraltro la questione dell'ammissibilit� 
dei quesiti nuovi esattamente risolta in senso positivo non 
esclude assolutamente l'evidente incongruit� del termine di 15 giorni gi� con-

a seguito della comunicazione per posta del provvedimento di assegnazione del termine). 
Trovasi in tal modo affermata l'esigenza di una congruit� del termine a difesa allo 
scopo di rendere l'attivit� difensiva di ciascuna parte effettiva e paritetica. 

Tale principio ha ricevuto concreta applicazione ed ulteriore sviluppo ad opera della 
Corte di Appello di Napoli con riferimento ai quesiti nuovi proposti nel corso di un procedimento 
arbitrale da un consorzio di imprese, concessionario di opere pubbliche della 
ricostruzione di cui alla legge n. 219/81. In particolare, il Consorzio, dopo avere formulato 
i quesiti nell'atto di accesso ad arbitri, aveva poi aggiunto ulteriori e nuove domande in 
sede di prima memoria, destinata, invece, (secondo quanto fissato inizialmente dagli arbitri) 
alla mera precisazione dei quesiti e deposito documenti perla parte istante (e per controquesiti 
e documenti per l'Amministrazione), mentre era gi� stato prestabilito un successivo 
termine per il deposito di memorie di replica con scadenza dopo quindici giorni. 
L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio per il Funzionario delegato del C.l.P.E., 
controdeduceva sugli originari quesiti, mentre rifiutava di accettare il contraddittorio su 
quelli nuovi. Con il lodo sottoscritto il 5/6/1995 gli arbitri accoglievano le nuove domande 
sostenendo che il principio del contraddittorio doveva ritenersi rispettato per il fatto che 
comunque la difesa dell'Amministrazione aveva avuto �la facolt�, ancorch� non esercitata, 
di controdedurre e documentare adeguatamente nel merito�. 

Tale tesi non � stata ritenuta fondata dalla Corte di Appello di Napoli, che ha 
accolto la impugnazione interposta dalla Amministrazione, annullando il lodo per 
mancata osservanza del principio del contraddittorio. La Corte ha sostenuto la incongruit� 
del termine di 15 giorni per replicare ai nuovi quesiti, essendo stato tale termine 
fissato in funzione degli originari quesiti e, inoltre, al di l� del dato strettamente cronologico, 
ha rilevato che il comportamento degli arbitri si � risolto in un �trattamento 
non paritetico delle parti�, essendosi consentito in sostanza con tale comportamento 
ad una sola delle parti di presentare nuovi quesiti, mentre l'altra ha potuto solo proporre 
controquesiti relativi e connessi a quelli originariamente proposti e non a quelli 
nuovi, potendo solo replicare alle nuove prospettazioni dell'altra parte �In conclusione, 
ha affermato la Corte di Appello, gli arbitri sono incorsi nella violazione dell'art. 
816, 4� comma c.p.c. per non avere assegnato al C.l.P.E. congruo termine per presentare 
documenti e memorie� relativamente ai nuovi quesiti e altro termine ad entrambe 
le parti per le loro repliche. 

Da ci� sembra lecito desumere che il rispetto del contraddittorio debba comportare 
che allorch� una parte, in corso di procedimento arbitrale, proponga nuove 
domande senza che siffatta possibilit� sia stata prevista e disciplinata ex ante dagli 
arbitri, in sede di regolazione dello svolgimento del giudizio , il collegio arbitrale debba 
riformulare il calendario dei termini per il deposito delle memorie e delle repliche allo 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

186 

cesso per la replica sulla precisazione dei quesiti originari al fine di consentire 
una difesa al CIPE paritetica con quella fruita dalla controparte. 

Invero i quesiti proposti con la prima memoria sono nuovi sia per la 
causa petendi che per ilpetitum; la causa della richiesta d'arbitrato � con l'atto 
di accesso l'interpretazione dell'originaria convenzione del 1981 e della 
disciplina in questa contenuta delle anticipazioni e della revisione prezzi 
mentre i nuovi quesiti sorgono dall'esecuzione dell'atto aggiuntivo del 1985, 
relativo all'integrazione delle anticipazioni e ai ritardi della stessa. All'origine 
si chiedeva la restituzione di una somma indebitamente trattenuta e gli interessi 
su questa e successivamente il Consorzio ha invece richiesto interessi su 
somme pagate oltre i termini fissati con l'accordo del 1985 da interpetrare al 
fine di chiarire il dies a quo del decorso degli interessi. 

3.2. � evidente quindi anzitutto, sul piano logico, che, in ordine ai quesiti 
originari, gli arbitri hanno ritenuto necessario un termine di ulteriori 15 
giorni, da aggiungere ai gi� decorsi oltre nove mesi dalla notifica dell'atto 
di accesso, per consentire una idonea difesa al concedente, cui � stato dato 
lo stesso termine per la proposizione dei controquesiti, mentre per i nuovi 
quesiti � stato dato un termine di 15 giorni soltanto, reputato congruo ai 
fini della mera replica e non per la proposizione di controquesiti ulteriori. 
Gi� questa circostanza evidenzia il trattamento non paritetico delle parti 
nel giudizio arbitrale, essendosi consentito in sostanza con tale comportamento 
ad una sola delle due parti di presentare quesiti nuovi, mentre l'altra 
ha potuto solo proporre controquesiti relativi e connessi a quelli originariamente 
proposti e non a quelli nuovi, potendo solo replicare alle nuove 
prospettazioni dell'altra parte. Quindi gli arbitri, nonostante il loro dovere, 
sancito nella clausola, di osservare le norme del codice di procedura civile 
sull'arbitrato, hanno sicuramente disatteso nel caso l'art. 816, 4� co. c.p.c., 
per non avere assegnato al CIPE congruo �termine per presentare documenti 
e memorie� relativariente ai nuovi quesiti proposti per la prima volta 
nel corso del procedimento ed altro termine ad entrambe le parti per le loro 
repliche. Deve in sostanza ritenersi violato il principio del contraddittorio, 
perch� a seguito della proposizione dei nuovi quesiti non costituenti mera 
precisazione di quelli originariamente contenuti nell'atto di accesso, giustamente 
ritenuta ammissibile, non � stato assegnato congruo termine a 
difesa del CIPE, cosi come correttamente era stato fatto dagli arbitri con la 
prima ordinanza relativa ai quesiti proposti nell'atto di accesso al giudizio 
arbitrale. 
La affermata violazione del principio del contraddittorio comporta la 
nullit� del lodo e l'accoglimento per tale profilo dell'impugnazione (omissis). 

scopo di ristabilire una pariteticit� delle posizioni difensive delle parti. Al riguardo, 
andr� valorizzata dagli arbitri la norma di cui all'art. 816 c.p.c. che attribuisce loro la 
facolt� di fissare le regole del procedimento, regolando i termini per le parti in relazione 
anche alla eventualit� di nuove domande, assicurando un sicuro e corretto svolgimento 
del giudizio arbitrale. 

GIUSEPPE ARPAIA 


SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 22 gennaio 1997 n. 3 -Pres. Laschena 


Est. Baccarini -Proweditorato agli Studi di Palermo (aw. Stato Arena 

E.) c. Trinca Cosimo (aw. S. Sangiorgi Paratore) 

Giustizia amministrativa -Ricorso per revocazione -Ammissibilit� 


Condizioni 

(Cod. proc. civ., art. 395) 

Rilevato che, nel caso di omessa pronuncia, errore revocatorio e violazione 
del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non sono 
in relazione di altemativit�, ma il primo � possibile fonte della seconda, l'omissione 
di pronuncia, su domande o eccezioni delle parti, pu� ben costituire 
un errore di fatto revocatorio. L'errore di fatto revocatorio, dunque, pu� 
essere configurabile anche quando cada sull'esistenza o sul contenuto di atti 
processuali e determini una omissione di pronuncia, purch� esso sia identificabile 
attraverso la motivazione della sentenza (1). 

(omissis) 1. -Dopo che con la decisione n. 3 del 1996 il ricorso in revocazione 
� stato dichiarato ricevibile, occorre ora esaminarlo nel merito. 

Con un unico motivo il Prowe�:litorato agli studi di Palermo deduce che 
la sentenza impugnata � viziata da errore di fatto per essersi pronunciata in 
merito al terzo motivo del ricorso di primo grado, riproposto dall'appellante, 
accogliendolo, senza awedersi che il Proweditorato medesimo ne aveva eccepito 
l'inammissibilit� in quanto riproposto senza alcuna censura nei confronti 
del capo della sentenza del TAR che lo aveva dichiarato inammissibile. 

Il ricorso � ammissibile e fondato. 

(1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha ricondotto all'�errore di 
fatto�, motivo di ricorso per revocazione, anche un errore che aveva comportato una 
violazione del principio di necessaria corrispondenza fra le domande e la decisione. 
L'errore di fatto, quindi, pu� ricadere direttamente sugli atti o documenti di giudizio e 
costituisce una di~ergenza tra la pronuncia e la realt� costituita dagli atti di causa. 
Si rileva al riguardo che la giurisprudenza amministrativa prevalente era, prima 
di tale decisione, orientata diversamente. 

Infatti, si riteneva che l'omessa pronuncia su una domanda o una eccezione della 
parte, poich� si configurava come un errore di diritto, non poteva considerarsi come il 
frutto di un errore di fatto, e perci� non poteva essere un motivo di un ricorso per revocazione: 
cfr., ad esempio, Ccins. Stato, sez. VI, 12 marzo 1993 n. 243, in Foro it. 1994, 
III, pag. 44. 

G.M. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

2.1. -Dalla documentazione relativa al giudizio di appello, acquisita in 
seguito all'istruttoria espletata, risulta che nella memoria depositata il 1 � 
marzo 1994 il Provveditorato agli studi di Palermo aveva eccepito l'inammissibilit� 
del motivo d'appello per genericit�, in quanto proposto senza censura 
alcuna contro la dichiarazione di parziale inammissibilit� del ricorso contenuta 
nella sentenza del TAR (p. 7). 
La sentenza d'appello impugnata ha esaminato il motivo nel merito 
senza pronunciare sulla eccezione d'inammissibilit� proposta dall'amministrazione 
resistente. 

La questione da risolvere � se l'omissione di pronuncia -su domande o 
eccezioni delle parti -possa costituire un errore di fatto revocatorio. 

2.2. -Secondo le acquisizioni dell'orientamento prevalente nella giurisprudenza 
del Consiglio di Stato, �l'omessa pronuncia su censure o motivi 
di impugnazione non costituisce un errore di fatto, ma tipico errore di diritto, 
per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato
� (sez. V, 26 maggio 1990 n. 476; sez. VI; 10 maggio 1990 n. 518; sez. 
V, 8 febbraio 1988 n. 56, sez. VI, 21 luglio 1989 n. 904; 31 gennaio 1986 
n. 81; 9 febbraio 1983 n. 71; sez. IV, 29 luglio 1980 n. 790; 24 giugno 1980 
n. 686; 7 giugno 1977 n. 563; sez. VI, 30 ottobre 1973 n. 432; 15 giugno 1973 
n. 278). 
Un manipolo di decisioni, per contro, esaminando fattispecie articolate, 
ha avvertito che l'omissione di pronuncia determinata da erronea percezione 
di atti processuali costituisce errore di fatto revocatorio: 

a) sez. IV, 7 luglio 1965 n. 525, secondo cui �il mancato esame, dovuto a 
svista, di uno dei motivi del ricorso � rilevante ai Eni del decidere; pertanto, 
il fondamento della relativa censura deve essere vagliato in sede di giudizio 
di revocazione�; 

b) sez. V, 20 febbraio 1984 n. 138, che ha ricondotto l'esclusione dell'errore 
revocatorio alla mancanza nel caso di specie dell'erronea percezione di 
atti processuali; 

c) sez. V, 5 febbraio 1985 n. 66, secondo cui �Se � vero che l'omissione di 
pronuncia non costituisce di per s� errore di fatto revocatorio, � vero altres� 
che quest'ultimo, che pu� essere attinente anche ad atti processuali, � motivo 
di revocazione anche se abbia determinato un'omissione di pronuncia�; 

d) C.G.A., 25 febbraio 1994 n. 54, secondo cui, sull'assunto che l'omissione 
di pronuncia � determinata non dall'ignoranza o dalla dolosa violazione 
dell'art. 112 c.p.c., ma dalla disattenzione, �l'omesso esame di un motivo 
di ricorso pu� dar ingresso al giudizio di revocazione della sentenza, in quanto 
costituisce errore di fatto di tipo revocatorio e non gi� errore di diritto attinente 
al difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato�. 

2.3. -Analoghi percor~i argomentativi si rinvengono nella giurisprudenza 
della Corte di cassazione.. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Secondo l'orientamento prevalente, �il vizio di omessa pronuncia, in 
quanto pretesamente incidente sulla sentenza pronunziata dal giudice del 
gravame, � passibile di denunzia esclusivamente col ricorso per cassazione, 
ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., e non gi� con impugnazione per revocazione 
ai sensi dell'art. 394 n. 4 (stesso codice)� (cfr. Cass., 14 gennaio 1992 n. 369; 
24 giugno 1968 n. 2119; 28 giugno 1966 n. 1675; 4 gennaio 1966 n. 48). 

Peraltro, gi� la risalente Cass., 5 marzo 1982 n. 1390 aveva avvertito che 

�nella nozione cli errore di fatto, previsto quale motivo di revocazione dall'art. 
395 n. 4 c.p.c., va compreso non soltanto l'errore relativo ad un elemento 
facente parte del sostrato materiale della fattispecie di diritto sostanziale 
oggetto della controversia, ma altres�, per identit� di ratio, l'errore riguardante 
un elemento del sostrato materiale della fattispecie formale attinente al 
processo, e quindi anche quello che cada sul dettato letterale della domanda, 
univoco ed assolutamente incontestato�. 

In questa prospettiva, si inscrivono: 

a) Cass., 4 giugno 1992 n. 6876, secondo cui �ai fini della valutazione della 
sussistenza o meno del vizio cli omessa pronuncia, in sede di ricorso per revocazione 
cli sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., 
come emendato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 36 del 1991, deve 
aversi riguardo al �Capo� della domanda riproposta all'esame del giudice dell'impugnazione, 
escludendosi il vizio suddetto quante volte la pronunzia su cli 
esso vi sia effettivamente stata, sia pure con motivazione che non abbia preso 
specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi cli 
censura dell'unico capo cli sentenza investito dall'impugnazione stessa�; 

b) Cass., 30 marzo 1994 n. 3137, secondo cui �l'omesso esame di atti 
difensivi della parte, nei cui confronti si sia regolarmente instaurato il contraddittorio, 
� riconducibile nell'errore di fatto, denunciabile con l'impugnazione 
per revocazione, ai sensi dell'art. 395 n. 4 c.p.c., soltanto quando si traduca 
in omissione di pronuncia su domande ed eccezioni della parte medesima, 
ovvero rispetto ad atti che non contengano o non siano idonei a contenere 
tali domande od eccezioni, quando si deduca che detto mancato esame 
abbia comportato una svista percettiva del giudice, evitabile mediante la lettura 
di quegli scritti, in ordine all'esistenza od inesistenza di una circostanza 
fattuale di natura decisiva�. 

2.4. In effetti, anche se non si ritenga di accedere all'autorevole opinione 
dottrinale secondo cui l'errore di fatto altro non � che un errore di percezione 
degli atti o documenti di causa considerati nella loro materialit�, non par 
dubbio che l'errore di fatto revocatorio possa cadere su atti o documenti processuali. 
Ci� posto, l'ovvia constatazione che l'omissione di pronuncia su domande 
o eccezioni delle parti costituisce, di per s�, violazione del principio di corrispondenza 
tra il chiesto e il pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c., o comunque 
difetto di motivazione, non elimina la rilevanza del processo causale che 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

190 

ha determinato l'evento omissivo e non esclude che l'omissione di pronuncia 
possa esser fatta valere non ex se, ma come risultato di un vizio nella formazione 
del giudizio: il dolo del giudice o, come nella specie, lerrore di fatto 
revocatorio. 

Nel caso di omessa pronuncia, infatti, errore revocatorio e violazione del 
principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato non sono in relazione 
di alternativit�, ma il primo � possibile fonte della seconda. 

La violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato pu� 
dipendere da errore di fatto revocatorio o da altra causa. 

Come non � esatto che, giusta l'orientamento finora prevalso, l'omissione 
di pronuncia non possa mai essere il risultato di un errore di fatto, cos� 
non � esatto che, secondo C.G.A., 25 febbraio 1994 n. 54, cit., l'omissione di 
pronuncia, inattendibile essendo l'ipotesi che il giudice ignori il principio 
della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, costituisca sempre errore 
di fatto, salvi i casi di dolo. 

In verit�, l'omessa pronuncia pu� essere determinata non necessariamente 
da una improbabile ignoranza da parte del giudice del principio di corrispondenza 
tra chiesto e pronunciato, ma da un pi� verosimile difetto di 
motivazione della sentenza, nei casi in cui le domande o eccezioni siano state 
volutamente disattese, ma ne sia mancata l'enunciazione delle ragioni. 

Emerge in tal modo la diade: difetto di motivazione -errore di fatto 
revocatorio. 

Ai sensi dell'art. 395 n. 4) c.p.c., infatti, sussiste errore di fatto quando � 
supposto un fatto la cui verit� � incontrastabilmente esclusa ovvero l'inesistenza 
di un fatto la cui verit� � positivamente stabilita: tale supposizione, 
per�, perch� l'errore possa essere riconosciuto con sicurezza, non pu� essere 
implicita, ma deve essere espressa. 

L'errore di fatto, insomma, consiste in una divergenza tra la realt� processuale 
e ci� che risulta espressamente dalla sentenza. 

La motivazione � il criterio formale di emersione dell'errore di fatto ed il 
crinale che separa errore di fatto e difetto di motivazione: come � stato detto 
efficacemente, �un abbaglio dei sensi � incompatibile con l'omissione di 
motivazione, perch� � la motivazione che rivela l'abbaglio� (Ad. plen., 30 
luglio 1980 n. 36). 

L'errore di fatto revocatorio, dunque, pu� essere configurabile anche 
quando cada sull'esistenza o sul contenuto di atti processuali e determini 
un'omissione di pronuncia, purch� esso sia identificabile attraverso la motivazione 
della sentenza. 

2.5. -Applicando i suesposti principi di diritto al caso di specie, dalle 
risultanze processuali emerge che la sentenza impugnata: 
a) ha esaminato nel merito -ed accolto -il terzo motivo d'appello, di 
cui l'Amministrazione resistente aveva eccepito l'inammissibilit�, senza motivare 
sull'eccezione; 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

b) nella parte in fatto della motivazione (cfr. p. 5 della sentenza), strutturata 
in maniera analitica, ha ricordato come difese dell'Amministrazione la 
memoria del 29 giugno 1990 e le difese orali dell'udienza del 16 marzo 1994, 
omettendo qualsiasi richiamo alla memoria del 1� marzo 1994, nella quale, 
per l'appunto, l'Amministrazione medesima aveva eccepito per la prima volta 
l'inammissibilit� del motivo d'appello. 

Dal contenuto in fatto e in diritto della motivazione emerge con evidenza 
che la sentenza impugnata ha pretermesso l'eccezione di inammissibilit� del 
terzo motivo d'appello in quanto ha supposto espressamente l'inesistenza di 
difese scritte ulteriori rispetto alla memoria del 29 giugno 1990 e, dunque, 
della memoria del 1� marzo 1994, nella quale quella eccezione era stata formulata. 


2.6. -Non vi � dubbio che tale errore di fatto abbia carattere decisorio, 
in quanto la sentenza di accoglimento dell'appello si fondava esclusivamente 
sul motivo la cui ammissibilit� era stata eccepita ed andava quindi accertata. 
2.7. -� poi appena il caso di avvertire che l'esistenza della memoria 
dell'Amministrazione del 1� marzo 1994 non � un punto controverso su cui la 
sentenza abbia pronunciato. 
2.8. -Per le suesposte considerazioni, il ricorso va accolto e va pronunciata 
la revocazione della sentenza impugnata. 
Con separata ordinanza si provvede sulla domanda incidentale di 
sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata. 

3.1. -Occorre poi passare, nella fase rescissoria del procedimento, all'esame 
dell'appello del sig. Trinca contro la sentenza del TAR della Sicilia -sez. 
I, 30 dicembre 1990 n. 930. 
3.2. -Con il terzo motivo, che conviene esaminare con priorit�, l'appellante 
deduce l'illegittimit� costituzionale dell'art. 2 comma 3 del d.P.R. 10 
gennaio 1957 n. 3, ora abrogato, che prescriveva il requisito della buona condotta 
per l'accesso al pubblico impiego. 
L'Amministrazione ha eccepito l'inammissibilit� del motivo per generi


cit�, essendo stato lo stesso riproposto in appello senza alcuna censura nei 

confronti del capo della sentenza di primo grado che lo aveva dichiarato 

inammissibile per omessa impugnazione dell'O.M. 2 aprile 1976. 

L'eccezione � fondata. 

La questione se la riproposizione in appello dei motivi di primo grado 
sia sufficiente a soddisfare l'onere di specificazione dei motivi d'appello � 
stata, in termini generali, risolta affermativamente dalle decisioni di questa 
Adunanza plenaria 20 maggio 1980 n. 18 e 21ottobre1980 n. 37, sul rilievo 
che i motivi d'appello operano quali strumenti di determinazione del 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

quantum appellatum, in vista di che altro non occorre, al fini dell'ammissibilit� 
dell'appello, se non la riesposizione delle ragioni fatte valere in primo 
grado. 

Qualora, peraltro, venga appellata una pronuncia di inammissibilit� del 
giudice di primo grado, che accerta cause di inesistenza o di irregolarit� di 
un presupposto processuale, la mera riproposizione dei motivi di primo 
grado senza specifiche censure alla autonoma pronuncia di inammissibilit� 
non costituisce impugnazione della parte della sentenza in questione e non 
impedisce la formazione del giudicato sul punto. 

Nello stesso senso � la pi� avvertita giurisprudenza della Corte di cassazione, 
che ha segnalato l'inammissibilit� dei motivi d'impugnazione non specifici 
nei casi di ricorso per cassazione contro pronuncia d'inammissibilit�, 
per difetto di specificit�, di motivo d'appello (Cass., 9 marzo 1995 n. 2749) e 
di appello contro sentenza di primo grado che, disattendendo l'eccezione 
della parte, ha dichiarato la giurisdizione del giudice adito (Cass., 24 novembre 
1992 n. 12518) ovvero ha dichiarato la domanda improponibile in presenza 
di un compromesso per arbitrato irrituale (Cass., 24 luglio 1986 n. 
4737) ovvero ha dichiarato inammissibile una domanda nuova (Cass., 5 aprile 
1984 n. 2219). 

3.3. -Per completezza, va comunque avvertito, nel merito, che la Corte 
costituzionale, nel pronunciarsi su singole disposizioni di legge attinenti al 
requisito della buona condotta, ha affermato che il requisito della buona condotta 
non pu� essere giudicato in se stesso lesivo di quei principi di ragionevolezza 
ai quali ogni ordinamento � tenuto ad ispirarsi (sent. n. 440 del 1993) 
e che pu� bens� ammettersi la previsione di requisiti attitudinali o di affidabilit�, 
per il corretto svolgimento della funzione o dell'attivit�, desunti da 
condotte del soggetto interessato e che siano oggetto di imparziale accertamento 
e di ragionevole valutazione da parte dell'Amministrazione, salvo il 
sindacato giurisdizionale (sent. n. 311 del 1996). 
4. -Con il primo motivo l'appellante censura l'impugnato provvedimento 
di annullamento d'ufficio dell'incarico di bidello conferitogli, per aver 
disposto con efficacia retroattiva. 
Il motivo � infondato. 

La retroattivit� del provvedimento impugnato non � censurabile n� di 
per s�, in quanto inerisce alla natura dell'annullamento per vizi di legittimit�, 
n� in relazione al giudicato di annullamento cui il provvedimento medesimo 
era conseguente, giacch� il contenuto oggettivo del giudicato di annullamento 
consiste soltanto nel divieto di riprodurre il vizio -nella specie, difetto di 
motivazione -accertato nel provvedimento dichiarato illegittimo. 

5. _ Con il secondo motivo l'appellante lamenta che il provvedimento 
impugnato fosse viziato da intento persecutorio, in quanto le mende a lui 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

attribuite erano estranee al rapporto di servizio ed era illogico fargli carico di 
intenti fraudolenti per aver presentato un certificato civile del casellario giudiziale 
in luogo di quello penale, quando la circostanza era sfuggita all'Amministrazione 
medesima. 

Il motivo � infondato. 

Il provvedimento impugnato era un annullamento d'ufficio dell'atto di 
conferimento dell'incarico di bidello per assenza del requisito della buona 
condotta. 

Come provvedimento di annullamento, dunque di riesame, esso aveva ad 
oggetto il provvedimento annullato, irrilevante restando, se non per quanto 
riguarda la valutazione dell'interesse pubblico all'annullamento, il rapporto 
originato dall'atto. 

Quanto al resto, il provvedimento era fondato sul fatto oggettivo della 
mancanza del requisito della buona condotta, mentre l'apprezzamento del 
comportamento dell'interessato rilevava soltanto ai fini della valutazione dell'interesse 
pubblico. 

Sotto quest'ultimo profilo, comunque, non costituisce eccesso di potere 
che l'Amministrazione, ai fini dell'apprezzamento della personalit� complessiva 
del Trinca e del correlato interesse pubblico all'annullamento, pur 
prendendo atto dell'assoluzione del medesimo dall'imputazione di truffa, 
abbia valutato il suo comportamento, consistito nell'aver presentato ai fin� 
del conferimento dell'incarico -lui che, avendo riportato plurime condanne 
penali e l'applicazione di misure di prevenzione, aveva interesse ad 
occultare tali fatti -un certificato civile del casellario giudiziale in luogo 
del prescritto certificato penale: comportamento la cui valutabilit� non � 
evidentemente esclusa per il fatto che l'Amministrazione non si sia avveduta 
della produzione di aliud pro alio o, pi� propriamente, che gli operatori 
pubblici che ne avevano l'obbligo non abbiano verificato il documento 
presentato. 

6. -Per le suesposte considerazioni, l'appello va respinto (omissis). 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 4 febbraio 1997 n. 5 -Pres. Laschena -Est. 
Salvatore C. -Cacaci (avv. D'Ottavi) c. Regione Marche (avv. Coen) 

Atto amministrativo -Accesso ai documenti -Diritto -Prevalenza Riservatezza 
dei terzi -Rapporti 
(Legge 7 agosto 1990 n. 241) 

L'interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa vigente mediante 
una limitazione del diritto di accesso di cui alla legge 7 agosto 1990 n. 241, 
recede quando l'accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

194 

giuridico, nei limiti ovviamente in cui esso � necessario alla difesa di quell'interesse 
(1). 

(omissis) 1. -La legge 7 agosto 1990 n. 241, nel disciplinare i rapporti fra 
cittadino e Pubblica amministrazione, delinea un ordinamento ispirato, da 
un lato, all'esigenza di un'azione amministrativa celere ed efficiente (art. 1), 
e dall'altro, ai principi di partecipazione dell'amministrato e di conoscibilit� 
del concreto svolgimento della funzione pubblica. Ci�, al fine di assicurare, 
attraverso la salvaguardia del valore della �trasparenza�, l'efficienza dell'Amministrazione 
e, al contempo, la garanzia del privato e la �legalit�� dell'ordinamento 
nel suo insieme. 

Il diritto di accesso ai documenti amministrativi �, infatti, riconosciuto 
(art. 22 della legge n. 241) al fine �di assicurare la trasparenza dell'attivit� 
amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale�. 

Il diritto di conoscibilit� degli atti e documenti amministrativi, inquadrati 
nel contesto pi� generale delle disposizioni contenute nella legge n. 241 
-le quali delineano istituti (diritto di accesso, moduli di amministrazione 
per accordi, partecipazione procedimentale) e modalit� dell'azione e dell'organizzazione 
amministrative (motivazione, certezza dei tempi e responsabile 
del procedimento, predeterminazione dei criteri per ausili economici) preordinate 
alla configurazione di un nuovo modello di organizzazione amministrativa 
e di rapporti di questa con il cittadino -mira ad assicurare la circolazione 
delle informazioni tra Pubbliche amministrazioni e, soprattutto, tra 
Amministrazione e cittadino. 

Il riconoscimento legislativo nel nostro ordinamento del principio di 
pubblicit� dei documenti amministrativi segna un totale cambiamento di 
prospettiva, perch� comporta che se finora il segreto era la regola e la pubblicit� 
leccezione, ora � vero il contrario. 

(1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha espressamente affermato 
che l'�V2accesso, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi giuridici, 
debba prevalere rispetto all'esigenza di riservatezza del terzo� e, quindi, conclude 
la stessa Adunanza Plenaria I'�interesse alla riservatezza, tutelato dalla normativa 
mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l'accesso stesso sia esercitato 
per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti ovviamente in cui esso � necessario 
alla difesa di quell'interesse�. 
Come � noto, nella materia in esame � intervenuta la legge 31dicembre1996, n. 
675 (intitolata �Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati 
personali�): anche dopo l'entrata in vigore di tale legge, si pu� ritenere, nel senso della 
decisione in esame, che trovi ugualmente prevalenza la disciplina di cui alla legge n. 
241 del 1990, sia per espressa disposizione normativa ( cfr. art. 43 della legge n. 675 
citata) sia perch�, come � stato sottolineato in sede di prima interpretazione della legge 

n. 675, l'applicabilit� della nuova normativa sulla privacy non deve far pensare a un 
regime di assoluta riservatezza dei dati. 
Infatti, ogni problema va valutato caso per caso per capire se �sussistono altri 
diritti meritevoli di pari o superiore tutela�. 

G.M. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Di fronte all'esercizio del diritto di accesso, � la Pubblica amministrazione 
che deve giustificare il proprio rifiuto all'accesso, motivandolo con la 
necessit� di proteggere mediante il segreto uno o pi� degli interessi previsti 
dal legislatore. 

L'esigenza di motivazione del segreto fondata sul rapporto fra determinate 
informazioni (che l'Amministrazione ritiene debbano essere segrete) e 
determinati interessi (che il legislatore ha previsto debbano essere protetti) 
indica il passaggio anche nel nostro ordinamento da una concezione soggettiva 
e �personale� del segreto amministrativo ad una concezione oggettiva e 
�reale�, pi� consona ad un'Amministrazione moderna. 

Il segreto amministrativo, cio�, non � pi� rapportato alla �qualit�� della 
persona che lo detiene, bens� alla �qualit�� delle informazioni protette dal 
segreto; nel segreto di nuovo tipo ci� che rileva � la �qualit�� delle informazioni, 
cio� il loro rapporto con determinati interessi, non la �qualit�� del soggetto 
che le detiene, prevale in sostanza l'elemento oggettivo e �reale� costituito 
dalle informazioni oggetto del segreto e quindi, indirettamente, dagli 
interessi che ne formano il vero contenuto. 

Al rispetto di tale nuovo principio, in base al quale la regola generale 
� l'accesso e le ipotesi in cui i documenti possono essere sottratti all'accesso 
sono soltanto eccezioni, � informato anche l'art. 8 del regolamento 
per la disciplina delle modalit� di esercizio e dei casi di esclusione del 
diritto di accesso ai documenti amministrativi, approvato con d.P.R. 27 
giugno 1992 n. 352 in attuazione dell'art. 24 secondo comma della legge 7 
agosto 1990 n. 241. 

La norma, che � intitolata alla �disciplina dei casi di esclusione� all'accesso, 
allorch� dispone (con una formulazione che contiene una doppia negazione) 
che i documenti non possono essere sottratti all'accesso se non quando 
essi siano suscettibili di arrecare un pregiudizio concreto agli interessi di 
cui all'art. 24 della legge n. 241del1990 (secondo comma) e che la sottrazione 
non pu� essere opposta se la conoscibilit� pu� essere differita nel tempo 
(terzo comma), conferma chiaramente che la regola generale � l'eccezionalit� 
dei casi di esclusione. 

Il successivo quinto comma del citato art. 8 prevede, poi, che, nell'ambito 
delle categorie di documenti, normalmente non segreti e quindi accessibili, 
ve ne sono alcuni che, sia pure nel rispetto dei criteri di cui al secondo, 
terzo e quarto comma, possono essere sottratti all'accesso per una serie di 
ragioni specificamente indicate, fra cui quella di cui alla lett. d), che sottrae 
all'accesso i �documenti� che �riguardano la vita privata o la riservatezza di 
persone fisiche ... , con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario 
di cui siano in concreto titolari, ancorch� i relativi dati siano stati forniti 
all'Amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono�. 

L'ultimo inciso della lett. d) stabilisce, per�, che �deve comunque essere 
garantita ai richiedenti la visione degli atti dei procedimenti amministrativi 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro stessi interessi 
giuridici�. 

2. -Alla stregua di tale ultima disposizione, che ribadisce quanto gi� 
stabilito alla lett. d) del secondo comma dell'art. 24 della legge n. 241 del 
1990, ritiene questa Adunanza plenaria che il quesito sottoposto dall'ordinanza 
di rimessione deve essere risolto nel senso che l'accesso, qualora venga 
in rilievo per la cura o la difesa di propri interessi giuridici, debba prevalere 
rispetto all'esigenza di riservatezza del terzo. 
Anche se la norma non prevede che i documenti arrechino o possano 
arrecare un pregiudizio ovvero dalla loro conoscenza possa derivare una 
lesione specifica ed individuata, e ritiene sufficiente, ai fini di escluderne la 
conoscibilit�, che questi documenti �riguardino�, si riferiscano, in senso 
ampio, alla vita privata o alla riservatezza, non sembra esservi dubbio che nel 
conflitto tra accesso e riservatezza dei terzi la normativa statale abbia dato 
prevalenza al primo, allorch� sia necessario per curare o difendere i propri 
interessi giuridici. 

Sia la norma primaria (art. 24 secondo comma lett. d) legge n. 241 del 
1990) sia la norma regolamentare (art. 8 quinto comma, lett. d) d.P.R. n. 352 
del 1992) hanno cercato di contemperare esigenze diverse, stabilendo che i 
richiedenti, di fronte a documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza 
di altri soggetti, non possono ottenere copia dei documenti, n� trascriverli, 
ma possono solo prendere visione degli �atti� di quei procedimenti 
amministrativi che sono relativi ai loro interessi. 

Si deve, pertanto, concludere che l'interesse alla riservatezza, tutelato 
dalla normativa mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando 
l'accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei 
limiti ovviamente in cui esso � necessario alla difesa di quell'interesse. 

3. -Passando all'esame del caso che ha dato luogo alla presente controversia, 
si deve rilevare che il parziale rifiuto all'accesso viene giustificato dalla 
Regione con l'esigenza di salvaguardare la riservatezza di terzi, nella specie 
pazienti tossicodipendenti del Ser.T. di S. Benedetto del Tronto, al fine di non 
deteriorare il rapporto medico-paziente. 
Il diniego, cio�, non riguarda i �documenti� e le informazioni in esso 
contenute, bens� la �qualit�� dei soggetti denunciati, per cui, come ha messo 
in luce l'ordinanza di rimessione, la Regione sembra avere esercitato, sia pure 
per ragioni di rilevante valore sociale, un potere discrezionale di diniego che 
la legge non le conferisce. 

Ove poi si consideri che i sottoscrittori dell'esposto, denunciando le 
disfunzioni del servizio, hanno dato luogo all'apertura del procedimento, nel 
quale l'appellante � parte sostanziale, che quest'ultimo, nella sua qualit� di 
responsabile del servizio � gi� a diretta conoscenza della particolare situazione 
in cui versano i vari pazienti, e, infine, che il contenuto del documento 

���,,,.......,,.,,������,.,,.I 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

attiene alle modalit� di esplicazione delle funzioni connesse alla qualifica del 
richiedente, investono cio� la sfera giuridico-professionale del medesimo, si 
deve concludere che il caso di specie non appare riconducibile alle ipotesi di 
salvaguardia della riservatezza disciplinate dall'art. 8 quinto comma del 

d.P.R. n. 352 del 1992. 
L'appellante ha, quindi, diritto di prendere visione dei documenti rifiutati 
dalla Regione n� vi � ragione per ritenere che da tale conoscenza possano 
derivare possibili ritorsioni nei confronti dei pazienti tossicodipendenti. 

Alle pur apprezzabili preoccupazioni espresse al riguardo dall'Amministrazione 
regionale si � gi� opposto che l'insistenza del ricorrente nell'acquisire 
la conoscenza dei documenti e soprattutto dell'identit� dei loro 
autori, esibita nel corso del procedimento amministrativo e di due gradi di 
giudizio, ha un carattere cos� singolarmente indiziante da costituire per gli 
interessati un autentico salva-condotto, con la conseguenza che ogni comportamento 
nei loro confronti difforme dalla normalit� statistica determinerebbe, 
in fatto, una sorta di presunzione di discriminazione, attirando sul suo 
autore pesanti e plurime responsabilit�. 

A tali considerazioni si pu� aggiungere che la cura o la difesa dei propri 
interessi giuridici costituiscono sia il presupposto per il diritto di prendere 
visione degli atti, altrimenti non accessibili, che il limite della loro utilizzabilit�, 
che non pu� andare oltre le finalit� previste dalla normativa per la deroga 
alla sottrazione dall'accesso. 

Si vuole, cio�, dire che, anche in considerazione della peculiare �qualit�� 
dei pazienti assistiti e dei rapporti che per tale motivo devono intercorrere fra 
questi ed i sanitari preposti, la conoscenza dei documenti non pu� non essere 
finalizzata alla responsabile valutazione delle lamentele espresse dai sottoscrittori 
e all'adozione dei conseguenti rimedi che appariranno utili ed 
opportuni sia per il miglioramento delle prestazioni erogate dal servizio sia 
per riportare il rapporto medico-pazienti al clima di serenit� e comprensione, 
che il particolare status dei soggetti beneficiari del servizio impone. 

Di ci� � consapevole la stessa difesa dell'appellante la quale sottolinea 
(pag. 4 punto VI della memoria depositata il 22 ottobre 1996) che �la conoscenza 
di tali atti permetterebbe al ricorrente non soltanto di difendere le 
proprie ragioni ma anche di comprendere quali migliorie dei servizi resi 
potrebbero essere realizzate a vantaggio degli stessi utenti�. 

In nessun caso, pertanto, la conoscenza di tali atti e documenti potr� 
determinare nei confronti degli utenti comportamenti discriminatori o 
ritorsivi, i quali, ove posti in essere, integrerebbero gravi violazioni dei 
doveri che fanno capo al responsabile del servizio e giustificherebbero l'immediato 
interyento repressivo da parte dell'autorit� deputata alla vigilanza 
del Ser.T. 

L'appello deve, pertanto, essere accolto e in riforma della sentenza 
appellata, deve essere ordinato alla Regione Marche di consentire all'appellante 
di prendere visione dei documenti parzialmente rifiutati (omissis). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

198 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 6 marzo 1997 n. 8 -Pres. Laschena -Est. 

Patroni Griffi-Luigi Cosentino (avv. Carrozzo) c. Ministero dell'Interno 

(avv. Stato Del Gaizo). 

Impiego pubblico -Sospensione cautelare dal servizio -Cessazione dall'im


piego nelle more del procedimento penale per dispensa per inidoneit� 

fisica -Successiva condanna penale -Mancato inizio del procedimento 

disciplinare -Decadenza ex tunc degli effetti della sospensione. 

(Testo Unico 10 gennaio 1957, n. 3 art. 91.). 

La sospensione cautelare dall'impiego, per la natura interinale e prowisoria, 
� destinata a produrre effetti solo fino a quando non intervenga un 
prowedimento definitivo, rawisabile esclusivamente in quello adottato al 
termine del procedimento disciplinare. 

� rimesso all'amministrazione di valutare se iniziare o meno il procedimento 
disciplinare nei termini e secondo le modalit� per esso previsti, in 
seguito a condanna penale del dipendente pubblico quando, nelle more del 
processo penale, sia intervenuta la cessazione dall'impiego. Il mancato inizio 
del procedimento disciplinare comporta il venir meno con effetto ex tunc del 
prowedimento di sospensione cautelare (1). 

(omissis) 1. Vanno richiamati, in punto di fatto, gli elementi salienti 
della vicenda procedimentale. 

(1) La decisione dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato risolve un contrasto 
giurisprudenziale in ordine al problema degli effetti della sospensione cautelare nel 
caso di estinzione del rapporto di servizio precedentemente alla emissione di sentenza 
di condanna. 
Secondo un minoritario orientamento (cfr. CdS, Sez. V, 11 aprile 1995; CdS, Sez. 
V, 22 marzo 1995 n. 455; CdS, Sez. VI, 10 aprile 1989 n. 243 ed, in epoca risalente ed 
anteriore alla dichiarazione della illegittimit� costituzionale della destituzione di diritto, 
CdS, Sez. VI, 24 ottobre 1972 n. 595), stante la previsione, a norma dell'art. 97 del 

T.V. 10 gennaio 1957 n. 3, del diritto del dipendente sospeso cautelarmente dal servizio 
di conseguire gli .emolumenti non percetti nel solo caso in cui il procedimento 
penale si concluda con sentenza di proscioglimento con formula piena, la risoluzione 
del rapporto di impiego anteriore ad una sentenza di condanna determinerebbe l'esaurimento 
della sospensione cautelare, ma non il suo venir meno ex tunc. 
Verrebbe inoltre meno il potere dell'Amministrazione di instaurare o proseguire 
il procedimento disciplinare, per la mancanza di qualsiasi effetto concreto ricollegabile 
all'irrogazione della sanzione. 

Ne consegue l'impossibilit� del dipendente sospeso cautelarmente dal servizio di 
richiedere la corresponsione degli emolumenti non percetti durante la sospensione. 

Tale orientamento poggia, tra l'altro, sul rilievo che, ove la sospensione venisse 
meno ex tunc tutte le volte in cui non sfociasse in un provvedimento sanzionatorio per 
il caso di estinzione del rapporto di impiego, ci� consentirebbe irragionevolmente al 
dipendente incorso in responsabilit� penale di neutralizzare i negativi effetti economici 
della sospensione cautelare mediante la cessazione volontaria dal servizio. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

199 

Il Cosentino � stato sospeso cautelarmente dal servizio in relazione a un 
procedimento penale; poi � stato dispensato dal servizio per inidoneit� fisica; 
successivamente � stato condannato, con sentenza passata in giudicato, in 
sede penale. 

Egli ha pertanto chiesto all'amministrazione -che all'esito del giudizio 
penale non ha intrapreso il procedimento disciplinare -che, previa declaratoria 
di decadenza della sospensione cautelare, gli sia corrisposta la differenza 
tra la retribuzione e l'assegno alimentare percepito, per il periodo intercorrente 
tra la sospensione cautelare e la dispensa dal servizio. 

L'amministrazione ha obiettato di non poter intraprendere un'azione 
disciplinare nei confronti di un dipendente cessato dal servizio e che la situazione 
scaturente dalla sospensione cautelare doveva intendersi oramai cristallizzata. 


Di segno opposto sono quelle decisioni (cfr. Cds, Sez. V, 11dicembre1992 n. 1424 
e CdS, Sez. V, 23 aprile 1993 n. 504 citate nella stessa sentenza, nonch� CdS, IV Sez., 
13 novembre 1995 n. 924) che riconoscono la possibilit� di prosecuzione (o di inizio) 
del procedimento disciplinare pur posteriormente alla cessazione del rapporto di 
impiego, in applicazione in via estensiva dell'art. 118 d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 (concernente 
il diritto al trattamento di quiescenza e di previdenza) ove sussista un interesse 
pubblico o del dipendente, quale � certamente quello ad ottenere somme di denaro 
maturate nel corso del rapporto. 

In particolare, secondo CdS n. 924/95, stante lo stretto legame logico e giuridico tra 
sospensione cautelare e procedimento disciplinare, specie dopo l'espunzione dall'ordinamento 
della destituzione di diritto, non sarebbe ammissibile un consolidamento degli effetti 
della sospensione in assenza, per decadenza dai t�rmini, di un processo disciplinare. 

Tale orientamento viene ora confermato dalla decisione dell'Adunanza Plenaria 
del Consiglio di Stato, che prende le mosse dalla natura interinale della sospensione 
cautelare, destinata a produrre effetti solo fino al provvedimento definitivo idoneo a 
sorreggere stabilmente il rapporto tra amministrazione e impiegato, individuato in via 
esclusiva in quello scaturente dal provvedimento del procedimento disciplinare. Ne 
discende che, in assenza di un provvedimento sanzionatorio definitivo -adottato 
secondo le regole e nei termini perentori dettati per il procedimento disciplinare -ad 
ottenere il quale sussiste un interesse per l'amministrazione anche dopo la cessazione 
del rapporto di impiego agli evidenziati scopi di �salvare� gli effetti della sospensione 
cautelare, questa viene meno ex tunc, con il conseguente obbligo per l'amministrazione 
di restituire le retribuzioni non percepite dall'impiegato durante il periodo di 
sospensione cautelare. 

Nonostante non ne venga fatto cenno in sentenza, non pu� trascurarsi di considerare 
come il risultato cui perviene lAdunanza Plenaria debba considerarsi strettamente 
collegato con l'abrogazione della destituzione di diritto nel pubblico impiego (su 
cui vedasi C. Cost. 12 ottobre 1988 n. 971 che dichiara l'incostituzionalit� degli art. 85 
lett. a) del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 e 236 d. l.p. reg. sic 29 ottobre 1955 n. 6 per contrasto 
con gli artt. 4, 35, 97 e 3 della Costituzione nella parte in cui non � previsto l'esperimento 
del procedimento disciplinare a seguito di condanna per i delitti specificatamente 
indicati; ad essa sono seguite C. Cost. 31 gennaio 1990 n. 40 sulla automatica 
destituzione del notaio; C. Cost. 19 marzo 1990 n. 158 sulla radiazione automatica dall'albo 
dei commercialisti; C. Cost. 595190 sulla sospensione dello spedizioniere doganale; 
C. Cost. 17 ottobre 1990 n. 363 sui militari. � noto come la successiva legge 7 feb




RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

200 

Il Tribunale amministrativo, nell'annullare il provvedimento, ha ritenuto: 


a) che, nonostante la cessazione del rapporto di impiego, la potest� disciplinare 
pu� nondimeno essere esercitata, sia pure con effetti limitati alle conseguenze 
economiche che ne discendono; 

b) che l'azione disciplinare, peraltro, non � soggetta a termini perentori 
e va intrapresa su iniziativa dell'interessato, essendo prevalente l'interesse di 
questi, e non dell'amministrazione, alla definizione del procedimento cautelare, 
al fine di rimuovere gli effetti della sospensione cautelare. 

2. La questione di diritto rimessa dalla Sezione a questa Adunanza generale 
consiste nello stabilire se e con quali modalit� l'amministrazione debba 
iniziare un procedimento disciplinare nei confronti di un ex impiegato, a suo 
tempo sospeso cautelarmente dal servizio in relazione a un procedimento 
penale e poi dispensato dal servizio, ove, dopo l'estinzione del rapporto di 
impiego, intervenga il giudicato penale di condanna. 
3. In linea generale, va ricordato che la prevalente giurisprudenza di questo 
Consiglio di Stato ammette l'esperibilit� del procedimento disciplinare 
nei confronti di un dipendente cessato dal servizio nelle ipotesi in cui sussista 
in concreto un interesse giuridicamente qualificato, dell'impiegato o della 
stessa amministrazione, a una valutazione sotto il profilo disciplinare del 
comportamento tenuto in servizio dal dipendente. 
Si � cosi riconosciuto l'interesse dell'ex impiegato a proseguire il giudizio 
contro la sospensione cautelare, pur dopo la cessazione dal servizio per 
dimissioni, al fine di ottenere la corresponsione della parte di retribuzione 
non percepita (V, 11 dicembre 1992 n. 1424; V, 23 aprile 1993 n. 504). Con 
affermazione di principio di pi� ampia portata si � affermato che spetta 
all'amministrazione il potere di attivare il procedimento disciplinare anche 

braio 1990 n. 19 abbia reso obbligatorio, a seguito della condanna penale, l'espletamento 
di procedimento disciplinare anche per le posizioni gi� definite con provvedimento 
di destituzione automatica nel caso di domanda di riammissione in servizio del 
destituito (art. 10). A seguito della introduzione da parte dell'art. 15, comma 4 octies 
della legge 18 gennaio 1992 n. 16, nel quadro della lotta alla mafia, della decadenza dal 
servizio del dipendente pubblico condannato per talune specie di reati, la Corte 
Costituzionale � nuovamente intervenuta con sentenza 19 aprile 1993 n. 197 dichiarativa 
dell'illegittimit� incostituzionale della norma). 

Essendo venuta meno, invero, in ogni caso di condanna penale, la possibilit� di 
rendere definitivi gli effetti anticipatori della sospensione se non attraverso un provvedimento 
sanzionatorio adottato al termine del procedimento disciplinare e non 
potendosi considerare ad esso equipollente la cessazione dell'impiego per motivi 
diversi, ne consegue l'interesse dell'amministrazione ad intraprendere detto procedimento 
anche al solo scopo di evitare l'annullamento ex tunc degli effetti della sospensione 
e la restituzione degli emolumenti non percetti. 

F.Q. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

nei riguardi dei sospesi dal servizio, dimessisi e collocati in quiescenza, proprio 
allo scopo di valutare la sorte di una possibile reintegrazione patrimoniale 
per il periodo di sospensione cautelare (IV, 24 maggio 1995 n. 360; III, 
par. 3 ottobre 1989 n. 1064/89). 

4. L'Adunanza plenaria ritiene che il problema di fondo sia quello della 
sorte della sospensione cautelare: si tratta di stabilire quale sia il titolo giuridico 
idoneo a sorreggere la sospensione, che per definizione � interinale, a 
seguito dell'estinzione del procedimento penale. 
Le conseguenze del giudicato penale sulla sospensione cautelare sono 
positivamente disciplinate dall'articolo 97 del testo unico n. 3 del 1957, con 
riferimento all'assoluzione dell'impiegato perch� il fatto non sussiste o perch� 
l'imputato non lo ha commesso, nel qual caso la sospensione � revocata 
di diritto con effetto ex tunc; nelle altre ipotesi di assoluzione, l'amministrazione 
� tenuta a iniziare in tempo debito il procedimento disciplinare: se questo 
si conclude con la destituzione, il periodo di sospensione cautelare resta 
�assorbito� nel prowedimento espulsivo, che retroagisce al momento della 
sospensione. 

Uno stretto collegamento tra sospensione cautelare e sanzione disciplinare 
� posto dall'articolo 96 del testo unico n. 3 del 1957, a norma del quale, 
a fronte di sanzioni non espulsive di durata inferiore a quella della sospensione 
cautelare, la misura provvisoria non pu� eccedere quella irrogata in via 
definitiva e si determina quindi un effetto reintegratorio parziale. 

Dallo stretto collegamento positivamente posto tra sanzione disciplinare 
e sospensione cautelare nonch� dalla natura interinale della sospensione 
medesima si evince il principio che la sospensione cautelare per sua natura 
produce effetti solo fino a quando non intervenga un prowedimento definitivo 
che sia idoneo a sorreggere stabilmente il rapporto tra amministrazione e 
impiegato 

In altri termini, gli effetti prodottisi in virt� del prowedimento di sospensione 
cautelare sono per loro natura provvisori; non pu� quindi determinarsi 
-contrariamente a quanto assume l'amministrazione -alcuna �cristallizzazione
� della sospensione in conseguenza della cessazione dal servizio nel corso 
del procedimento penale; all'esito di questo occorre individuare un procedimento 
amministrativo idoneo a costituire un titolo giuridico che sostituisca il 
prowedimento di sospensione cautelare, il quale, con la definizione del procedimento 
penale, � privato della sua causa tipica. 

Tale procedimento non pu� che essere quello disciplinare, al cui esito come 
si � detto -� strettamente correlata la sorte del periodo di sospensione 
cautelare. 

Dalla necessit� che gli effetti interinalmente prodotti dalla sospensione 
cautelare trovino un assetto stabile e definitivo discende la conseguenza che, 
all'esito del procedimento penale, � rimesso all'amministrazione di valutare 
se iniziare o meno il procedimento disciplinare. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

202 

La legge, infatti, ricollega effetti tipici al solo comportamento dell'amministrazione. 
Questa pu� iniziare un procedimento penale e allora la sorte 
della sospensione cautelare seguir� le evenienze del procedimento, come 
sopra descritte. Ovvero l'amministrazione riterr� di non dar corso al procedimento 
disciplinare, e allora gli effetti del provvedimento di sospensione 
cautelare verr�nno meno per il venir meno del titolo giuridico che provvisoriamente 
li sosteneva. 

5. Dal delineato contesto di diritto derivano, con riferimento alla fattispecie 
in esame, le seguenti conseguenze: 
a) l'ordinamento richiede, nell'interesse al definitivo assetto dei rapporti 
giuridici, e attesa la durata interinale degli effetti del provvedimento di 
sospensione cautelare, che, all'esito del procedimento penale, il provvedimento 
di sospensione cautelare sia sostituito da un diverso titolo giuridico 
che disponga. degl� effetti prodotti dalla sospensione; 

b) la sorte del provvedimento di sospensione e degli effetti dallo stesso 
prodotti non pu� che essere rimessa all'iniziativa dell'amministrazione al cui 
comportamento soltanto la legge collega effetti tipici; 

c) a questa, infatti, va riconosciuto, pur essendo intervenuta la cessazione 
del rapporto, il potere di valutare il comportamento dell'impiegato, proprio 
al fine di regolare in maniera definitiva l'assetto degli interessi provvisoriamente 
determinato dal provvedimento di sospensione cautelare; 

e) tale valutazione non pu� che costituire estrinsecazione del potere 
disciplinare, non rinvenendosi nell'ordinamento altro procedimento amministrativo 
a ci� preordinato; 

f) attesa la natura disciplinare, il procedimento non pu� che essere 
assoggettato alle modalit� per lo stesso previste, in particolare ai termini 
per l'inizio del procedimento posti dalla legge, termini questi che, pacificamente, 
hanno natura perentoria e che, nella specie, non sono stati 
rispettati. 

Non pu� quindi ritenersi -contrariamente a quanto affermato dal 
Tribunale amministrativo -che il procedimento disciplinare sia rimesso 
all'inizi�tiva della parte privata interessata e non sia soggetto a termini. 

Tale considerazione -per quanto si � detto -contrasta con la ineludibile 
necessit� che l'assetto degli interessi definiti provvisoriamente con il 
provvedimento di sospensione cautelare trovi una sistemazione definitiva per 
effetto di un comportamento tipicamente valutabile dell'amministrazione. La 
sorte della sospensione cautelare non pu� invece essere rimessa all'iniziativa, 
del tutto eventuale, dell'interessato. 

6. Inconclusione, deve ritenersi che, all'esito del giudicato penale di condanna, 
l'amministrazione possa iniziare un procedimento disciplinare al fine 
di regolare gli effetti della sospensione cautelare disposta nei confronti del 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 203 

pubblico dipendente, ancorch� questi sia cessato dal servizio anteriormente 
al giudicato penale. Tale potere va esercitato nei termini previsti per l'esercizio 
dell'azione disciplinare nei confronti degli impiegati in servizio. Il mancato 
inizio dell'azione disciplinare nei termini comporta il venir meno con 
effetto ex tunc del prowedimento di sospensione cautelare. 

7. L'appello principale deve essere, pertanto, integralmente accolto, con 
la conseguente riforma della sentenza del Tribunale amministrativo. 
L'appello incidentale dell'amministrazione va invece respinto (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 19 maggio 1997 n. 9 -Pres. Laschena -Est. 
Baccarini -Fraticelli Giulio (aw. C. Schwarzenberg) c. Ministero della 
Difesa (aw. Stato de Figueiredo). 

Giustizia amministrativa -Ricorso per ottemperanza -In.ammissibilit� Fattispecie. 


(Legge 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 37, comma 3). 

� inammissibile il ricorso in ottemperanza nei confronti di una decisione 
del Consiglio di Stato nei cui confronti � stato proposto ricorso per 
cassazione; tra l'altro, tale affermazione ha la sua base normativa nel disposto 
dell'art. 37, comma 3, legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che richiama la 
nozione di giudicato degli organi di giustizia amministrativa�, corrispondente 
a quella di �giudicato dell'autorit� giudiziaria ordinaria� di cui al 
comma 1 e, invero, non � dato comprendere come a proposizioni analoghe 
contenute nella medesima disposizione normativa possano attribuirsi significati 
difformi (1). 

(omissis) 1. La definizione del ricorso rimesso dalla sezione IV dipende 
dalla soluzione della seguente questione: se sia ammissibile il ricorso in 
ottemperanza in ordine ad una decisione del Consiglio di Stato nei cui confronti 
� stato proposto ricorso per cassazione. 

Nella specie, nelle more del giudizio di ottemperanza � intervenuta 
anche la sentenza di cassazione (Cass., sez. un., 8 gennaio 1997 n. 91), che ha 
annullato senza rinvio la decisione impugnata nella parte in cui, ai fini dell'ulteriore 
attivit� discrezionale della p.a., ha dichiarato l'obbligo della C.S.A. 

(1) L'Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ribadisce il suo orientamento 
nel senso che il ricorso per lottemperanza non � ammissibile se ;non per sentenze gi� 
passate in giudicato formale, ai sensi dell'art. 324 cod. proc. civ. (cfr. Ad. Plen., 23 
marzo 1979 n. 12, in Cons. Stato 1979, I, 321; Ad. Plen. 1� aprile 1980 n. 10, in Cons. 
Stato 1980, I, 411). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

204 

di porre in ogni caso il ricorrente in posizione poziore rispetto ai pari grado 
di riferimento. 

Tale annullamento, in quanto soltanto parziale, non fa venir meno l'interesse 
del ricorrente all'esecuzione del giudicato, nel contenuto conformativo 
residuato in esito alla sentenza di cassazione. 

2. La questione in esame era stata risolta affermativamente da questa 
Adunanza plenaria, nel periodo precedente alla legge n. 1034 del 1971 sull'istituzione 
dei TAR, con il parametro normativo dell'art. 27 n. 4 del t.u. 26 giugno 
1924 n. 1054 ed in contrasto con l'orientamento della Corte di cassazione, 
con decisione 21 marzo 1969 n. 10, sul rilievo che, riferendosi la fattispecie 
legale al giudicato dei tribunali ordinari, non potevano estendersi all'ottemperanza 
delle decisioni del giudice amministrativo i criteri di cui all'art. 
324 c.p.c. sul giudicato formale. 
3. Entrata in vigore, peraltro, la legge 6 dicembre 1971 n. 1034, il cui art. 
37 fa riferimento all'obbligo dell'autorit� amministrativa di conformarsi al 
giudicato degli organi di giustizia amministrativa�, questa Adunanza plenaria 
ha mutato orientamento, avvertendo che �ai sensi del combinato disposto 
degli artt. 33 e 37 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, l'ambito della esecutivit� 
delle decisioni, in primo grado o in appello, non coincide con quello del giudizio 
di ottemperanza, potendo quest'ultimo condurre all'inserimento della 
determinazione concreta del giudice amministrativo nel contesto amministrativo, 
ond'� che la sua esperibilit� � subordinata al massimo grado di certezza; 
pertanto, � inammissibile il ricorso per ottemperanza, ove la decisione 
(di T.A.R. o del Consiglio di Stato) non sia passata in giudicato a norma dell'art. 
324 c.p.c. (giudicato formale) (Ad. plen., 23 marzo 1979 n. 12 e 1� aprii.
e 
1980 n. 10). 
La giurisprudenza successiva si � uniformata (sez. V, 24 maggio 1983 
n. 172; 26 gennaio 1985 n. 43; sez. VI, 3 febbraio 1988 n. 155), con la sola 
eccezione di sez. IV, 26 giugno 1992 q. 645, che si � richiamata all'orientamento 
precedente. 
4. L'ordinanza di rimessione propugna un ritorno alla giurisprudenza 
degli anni '60, ma le sue argomentazioni non sono persuasive. 
Che il sistema processuale civile contempli istituti non tutti identici a 
quelli del sistema processuale amministrativo � cosa di tutta evidenza, atteggiandosi 
i rapporti tra diritto processuale civile e diritto processuale amministrativo 
secondo lo schema: diritto generale-diritto speciale. 

Che peraltro il sistema processuale civile conosca soltanto il ricorso per 
cassazione per i motivi di cui all'art. 360 c.p.c. e che da ci� si possano trarre 
argomenti contrari all'applicabilit� al processo amministrativo della nozione 
di giudicato in senso formale, non � esatto: l'art. 362 c.p.c., infatti, prevedeva 
il ricorso in cassazione contro le sentenze di un giudice speciale per motivi 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 205 

attinenti alla giurisdizione del giudice stesso, fino all'entrata in vigore dell'art. 
111 Cost., che ha esteso l'ambito del ricorso in cassazione contro le sentenze 
dei giudici speciali alla violazione di legge, salvo che per il Consiglio di Stato 
e la Corte dei conti. 

In ogni caso, nel processo amministrativo non vi sono disposizioni sul 
giudicato formale in deroga all'art. 324 c.p.c. 

5.1. Non giova altres� argomentare che il giudizio di ottemperanza delle 
sentenze amministrative si muoverebbe nell'ambito dell'esecutivit� e non del 
giudicato. 
Tale considerazione trova ostacolo testuale nel disposto dell'art. 37 
comma 3 legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che richiama la nozione di �giudicato 
degli organi di giustizia amministrativa�, corrispondente a quella di 
�giudicato dell'autorit� giudiziaria ordinaria� di cui al comma 1: invero, non 
� dato comprendere come a proposizioni analoghe contenute nella medesima 
disposizione normativa possano attribuirsi significati difformi. 

5.2. Nemmeno giova argomentare dalla progressiva estensione nel processo 
civile dell'ambito della esecutivit� della sentenza soggetta ad impugnazione. 
In primo luogo va rilevato che tale orientamento non � di portata generalissima 
nell'ordinamento processuale: nel processo contabile, infatti, l'appello 
alle sezioni giurisdizionali centrali della Corte dei conti sospende l' esecuzione 
della sentenza impugnata (art. 1 comma 5 ter del d.l. 15 novembre 
1993 n. 453 conv. dalla legge 14 gennaio 1994 n. 19, mod. dall'art. 1 del d.l. 
23 ottobre 1996 n. 543 conv. dalla legge 20 dicembre 1996 n. 639). 

Pi� in generale, vero � che nel processo civile l'art. 337 c.p.c., come 
novellato dall'art. 49 della legge 26 novembre 1990 n. 353, stabilisce che l'esecuzione 
della sentenza non � sospesa per effetto dell'impugnazione di 
essa, salva la sospensione ope judicis, cos� come, del resto, � previsto per le 
sentenze dei tribunali amministrativi regionali dall'art. 33 legge n. 
1034/1971. 

Ma tale esecutivit� � coercibile in virt� dell'art. 474 c.p.c., secondo cui 
l'esecuzione forzata non pu� avere luogo che in virt� di un titolo esecutivo 
per un diritto certo, liquido ed esigibile e sono titoli esecutivi, tra l'altro, le 
sentenze e i provvedimenti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia 
esecutiva. 

Nel processo ammistrativo l'esecuzione della sentenza esecutiva incide 
sugli interessi pubblici, primario e secondari, implicati dal procedimento 
amministrativo e pu� incidere sugli interessi di parti private plurime, in base 
ad atti suscettibili di essere posti nel nulla dalla riforma o dalla cassazione 
della sentenza dalla quale dipendono (art. 336 cpv. c.p.c.). 

L'autorit� amministrativa, inoltre, dispone spesso di poteri discrezionali 
in ordine al modo di eseguire la sentenza. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

206 

Vi sono, pertanto, interessi, contrapposti a quelli della parte vincitrice 
alla immediata attuazione coattiva della sentenza esecutiva, alla non 
modificazione della realt� giuridica e fattuale se non in presenza di un 
giudicato. 

Il bilanciamento di questi contrapposti interessi rientra nella discrezionalit� 
del legislatore ordinario, il quale pu� stabilire per l'esecuzione delle 
sentenze amministrative, cos� come ha stabilito con l'art. 37 legge 1034/1971, 
una regola difforme da quella delle sentenze civili. 

Ci� non toglie che, de jure condendo, nella prospettiva di un rafforzamento 
de.Ila tutela processuale della parte vincitrice, la modifica della regola 
predetta sia possibile o auspicabile, come gi� nel parere di Ad. gen., 8 febbraio 
1990, n. 16, nella prospettiva peraltro di un ritorno alla clausola di 
provvisoria esecuzione. 

5.3. Nessun pregio ha, poi, l'argomento della dissuasione dall'uso a fini 
dilatori del ricorso per cassazione. 
A parte il fatto che, nella specie, questa evenienza non ricorre, atteso che 
il ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di cui si chiede l'ottemperanza 
� stato accolto, va rilevato che, nel contesto interpretativo qui ricostruito, 
tale argomentazione ha carattere pratico e non giuridico e, come tale, 
� inidonea a risolvere la questione. 

6. Per le suesposte considerazioni, non essendosi formato il giudicato al 
momento della proposizione del ricorso, quest'ultimo va dichiarato inammissibile 
(omissis). 
CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 4 settembre 1997 n. 20 -Pres. Laschena Est. 
Allegretta -PreV2%sidenza del Consiglio dei Ministri (aw. Stato Caputi) 

c. Monterossi (aw. Carratelli). 
hnpiego pubblico -Svolgimento di fatto di mansioni superiori -Rilevanza Esclusione. 


Nel pubblico impiego, nei casi di sostituzione vicaria del titolar,e di una 
posizione funzionale superiore ed in genere in quelli concementi posizioni 
non immediatamente disponibili, nei quali sussiste la necessit� e l'urgenza di 
assicurare la continuit� dell'esercizio della funzione, come nelle ipotesi di 
impedimento o assenza del titolare del posto per malattia, ferie, congedo, 
missione, motivi di famiglia e simili, l'attivit� svolta, siccome espressione di 
un dovere istituzionale gravante in capo al sostituto, � compresa tra quelle 
astrattamente esigibili rispetto alla qualifica di appartenenza del titolare 
della posizione funzionale inferiore e, pertanto, rientra per legge tra i suoi 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 207 

compiti. In tali ipotesi, conB.gurandosi come attribuzione propria della qualifica 
rivestita, lo svolgimento di mansioni superiori non pu� dar luogo ad 
alcuna variazione del trattamento economico (1). 

(omisiss) Viene in esame, nella specie, la posizione dell'appellato, funzionario 
di ottava qualifica funzionale del personale di segreteria del 
Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali, il quale dal 15 
marzo 1992 al 16 gennaio 1993 ha svolto le funzioni di segretario generale, a 
norma dell'art. 37 della legge 27 aprile 1982, n. 186, a seguito dell'aspettativa 
concessa al segretario generale titolare, nominato amministratore straordinario 
presso una Unit� sanitaria locale. 

Nella sentenza appellata si perviene al riconoscimento del titolo alla 
retribuzione superiore, attraverso un iter argomentativo che si sviluppa nei 
seguenti passaggi: 

-la fattispecie non rientra in alcuna delle ipotesi contemplate nel citato 
art. 37 della legge n. 186 del 1982 (assenza, impedimento, temporanea vacanza 
del posto), nelle quali le funzioni di segretano generale dei Tribunali amministrativi 
regionali (demandate ad un dirigente) possono essere esercitate dall'impiegato 
presente nell'ufficio che ricopre la pi� elevata qualifica funzionale 
e, in caso di parit�, che abbia maggiore anzianit� nella qualifica �stessa; 

-si verte invece in ipotesi di svolgimento di funzioni di supplenza, di 
durata non predeterminata, involgenti l'attribuzione di un ambito mansionistico 
di livello superiore al compendio di funzioni normativamente rimesse 
alla posizione organico-retributiva (VIII qualifica funzionale) rivestita; 

-non applicandosi l'art. 37 citato, trovano piena espansione i postulati 
civilistici relativi alla retribuibilit� dello svolgimento di mansioni superiori, 
posto che esse concretano un indiscutibile aggravio dell'impegno lavorativo e 
delle correlate responsabilit�; 

-il mancato riconoscimento del relativo trattamento economico confi


gura un indebito arricchimento dell'Amministrazione; 

-esiste dunque uno �spazio normativo, per quanto concerne la fattispecie 
all'esame, che consente di escludere lo svolgimento mansionistico di che 
trattasi dall'ambito delle attribuzioni (anche eventualmente) facenti capo al 
profilo professionale del ricorrente, al quale risultano addirittura estranee in 
quanto di esclusiva pertinenza delle posizioni dirigenziali�. 

(1) L' Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, ha accolto l'appello della 
Presidenza del Consiglio dei Ministri ribadendo degli importanti principi in materia'di 
svolgimento di mansioni superiori svolte dai dipendenti pubblici. 
In particolare, il Consiglio di Stato ha specificamente affermato che lo svolgimento 
di mansioni superiori del dipendente pubblico, in mancanza di espressa previsione 
normativa, non pu� dar luogo ad alcuna variazione del trattamento economico. 
Sull'argomento, cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. Plen. 16 maggio 1991 n. 2, in Il Cons. 
Stato, 1991, I, 825 ss. 

lfat�fllllllllllllllllllllllJlllllllllllllllllllllll~;I 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

208 

L'Amministrazione appellante, invece, sostiene che il temporaneo svolgimento 
delle funzioni di segretario generale di T.A.R. trova compiuta 
disciplina nell'art. 37 della legge 27 aprile 1982, n. 186 e che copioso e consolidato 
orientamento giurisprudenziale nega il diritto dei dipendenti pubblici 
alla retribuzione delle mansioni svolte in assenza di atti formali di 
assegnazione ed in particolare il diritto alla retribuzione delle funzioni di 
supplenza. 

Nell'ordinanza con cui la IV Sezione ha deferito il giudizio all'Adunanza 
plenaria alcuni spunti contenuti nelle argomentazioni del giudice di primo 
grado sono ritenuti meritevoli di approfondimento. 

Si d� soluzione positiva alla preliminare questione se anche l'ipotesi di 
aspettativa per nomina ad amministratore di una U.S.L. possa essere ricompresa 
nella previsione dell'art. 37 della legge n. 186 del 1982, dal momento 
che nelle ipotesi di assenza, impedimento e temporanea vacanza del posto 
(richiamate dalla disposizione legislativa) appaiono ricomprensibili anche le 
supplenze per aspettativa del titolare, le quali implicano comunque un impedimento 
all'esercizio della funzione o un'assenza del titolare. 

Si rappresentano, tuttavia, alcuni dubbi interpretativi, che riguardano 
soprattutto i casi di sostituzione di un impiegato di qualifica superiore avente 
diritto alla conservazione del posto e pi� in generale i casi in cui 
l'Amministrazione non pu� provvedere alla copertura del posto vacante in 
tempi brevi, considerato che nella specie viene in rilievo un'ipotesi in cui lo 
svolgimento di mansioni superiori � stato attivato per un periodo di tempo 
indeterminato e di fatto protrattosi per circa dieci mesi. 

Una situazione analoga si ravvisa, senza che possano configurarsi comportamenti 
omissivi o illegittimi dell'Amministrazione in ordine alla copertura 
del posto, negli altri casi di aspettative del titolare per lunghi periodi (ad 
es. per mandato amministrativo ex lege 27 dicembre 1985, n. 816 o per la 
nomina a direttore generale di una U.S.L.) oppure, in caso di vacanza del 
posto, in relazione ai tempi necessariamente lunghi per espletare le procedure 
concorsuali, talora anche in conseguenza di �blocchi legislativi� nelle 
assunzioni o dell'esigenza di effettuare preliminarmente scelte riorganizzative 
laboriose e difficili (ad es. la ridefinizione delle piante organiche). 

Almeno in questi casi, ad avviso della IV Sezione, un'interpretazione 
della normativa, che porti ad escludere il diritto al trattamento economico 
corrispondente alle mansioni esercitate sembra prospettare i profili di incostituzionalit� 
in via indiretta emergenti da quelle pronunce della Corte 
costituzionale, secondo le quali l'art. 36 della Costituzione, direttamente 
applicabile, determina, in via definitiva, l'obbligo di integrare il trattamento 
economico del dipendente pubblico nella misura corrispondente alla 
qualit� del lavoro effettivamente prestato (sentenze n. 57 in data 23 febbraio 
1989 e n. 296 in data 19 giugno 1990, nonch� ordinanza n. 337 del 23 
luglio 1993; cfr. altres� con riferimento ad altra fattispecie la sentenza n. 
488 del 29 dicembre 1992), dal momento che nelle ipotesi considerate l'im



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

piegato sarebbe obbligato a svolgere mansioni superiori, con le relative 
responsabilit�, per periodi di tempo lunghi e talora (come nella specie) a 
tempo indeterminato, senza alcuna corrispondenza con il trattamento economico 
percepito. 

Nel caso in esame, si aggiunge, si tratta di esercizio di funzioni dirigenziali 
da parte di un impiegato dell'ottava qualifica funzionale e quindi di esercizio 
di funzioni sostanzialmente diverse da quelle spettanti in base alla propria 
qualifica funzionale; n�, per altro, rileva il difetto di un provvedimento 
formale di attribuzione delle funzioni, sia perch� lo svolgimento delle predette 
funzioni � stato formalmente attestato dall'autorit� competente, sia perch� 
la loro attribuzione discende direttamente dalla legge (art. 37 della legge 

n. 186 del 1982). 
Pur considerando la complessit� e la delicatezza della problematica sottoposta 
all'esame dell'Adunanza plenaria, si ritiene, tuttavia, che l'appello 
dell'Amministrazione debba essere accolto. 

Valgano in proposito le seguenti considerazioni. 

� principio generale del nostro ordinamento, valido per ogni tipo di rapporto 
di lavoro subordinato, sia pubblico che privato, quello secondo il quale 
non costituisce esercizio di mansioni superiori la sostituzione di personale di 
posizione funzionale pi� elevata, qualora la sostituzione rientri tra gli ordinari 
compiti della posizione funzionale del sostituto. 

Nel pubblico impiego, in particolare, nei casi di sostituzione vicaria del 
titolare di una posizione funzionale superiore ed in genere in quelli concernenti 
posizioni non immediatamente disponibili, nei quali sussiste la necessit� 
e l'urgenza di assicurare la continuit� dell'esercizio della funzione, come 
nelle ipotesi di impedimento o assenza del titolare del posto per malattia, 
ferie, congedo, missione, motivi di famiglia e simili, l'attivit� svolta, siccome 
espressione di un dovere istituzionale gravante in capo al sostituto, � compresa 
tra quelle astrattamente esigibili rispetto alla qualifica di appartenenza 
del titolare della posizione funzionale inferiore e, pertanto, rientra per legge 
tra i suoi compiti. (C. S. Ad. plen. 16 maggio 1991 n. 2). 

In tali ipotesi, configurandosi come attribuzione propria della qualifica 
rivestita, lo svolgimento di mansioni superiori non pu� dar luogo ad alcuna 
variazione del trattamento economico. 

�, dunque, improponibile ogni questione di retribuibilit� ulteriore 
dell'attivit� esplicata nell'esercizio della funzione vicaria, trovando essa il 
suo corrispettivo gi� nella retribuzione annessa alla qualifica propria del 
vicario. 

Ogni altra eventuale riflessione sull'argomento, che ben potrebbe prendere 
le mosse da una diversa concezione dei rapporti tra la pubblica 
Amministrazione ed i suoi dipendenti, non pu� che essere lasciata alla discrezionalit� 
del legislatore, come, del resto, emerge dalle vicende relative all'entrata 
in vigore dell'art. 57 del D. Lgs. 3 febbraio 1993 n. 29, pur inteso a dare 
una disciplina meno episodica del fenomeno del mansionismo. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

210 

Tornando al caso in esame, deve convenirsi che esso non si sottrae all'applicazione 
dei principi ora enunciati. 

Si tratta, invero, alla stregua dell'art. 37, comma 3, della legge 27 aprile 
1982, n. 186, di un'ipotesi tipica di sostituzione vicaria per assenza temporanea
�del titolare della posizione funzionale superiore. 

La norma dettata da questa disposizione, infatti, contempla i casi dell'assenza 
o dell'impedimento dell'impiegato con qualifica di dirigente titolare 
delle funzioni di segretario generale (che sono sicuramente casi nei quali ha 
luogo la sostituzione vicaria) e vi aggiunge anche l'ipotesi di �Vacanza temporanea 
del posto� (che a rigore da quella figura fuoriesce), prevedendo in 
tali circostanze che legittimato all'esercizio della funzione sia l'impiegato presente 
nell'ufficio con la qualifica pi� elevata. 

Lo svolgimento delle mansioni di segretario generale del Tribunale 
amministrativo regionale, quindi, costituisce un'evenienza che per espressa 
previsione di legge integra il contenuto mansionistico ordinario di tutte le 
qualifiche impiegatizie presenti nel ruolo del personale di segreteria degli 
organi di giustizia amministrativa. 

Ma anche prescindendo da siffatta costruzione, che nega la qualificazione 
di mansioni superiori a quelle svolte nella specie, � evidente che, in concreto, 
l'assetto organizzativo delineato dalla disposizione citata � stato voluto 
dal legislatore per sopperire alla necessit� di evitare soluzioni di continuit� 
nel funzionamento dei menzionati organi giurisdizionali. 

In ci� avvalendosi dell'art. 97 della Costituzione, che, secondo l'insegnamento 
della Corte Costituzionale (sent. n. 236 del 27 maggio 1992), reca limiti 
all'incondizionata applicazione dell'art. 36 Cost. tali da autorizzare anche 
�norme di organizzazione dei pubblici uffici che, per esigenze eccezionali di 
buon andamento dei servizi, consentono l'assegnazione temporanea di dipendenti 
a mansioni superiori alla loro qualifica senza diritto a variazioni del 
trattamento economico�. 

Per le considerazioni che precedono l'appello in epigrafe dev'essere 
accolto e, per l'effetto, dev'essere annullata la sentenza impugnata e respinto 
il ricorso proposto in primo grado (omisiss). 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. plen., 17 novembre 1997, n. 21 -Pres. Laschena 
-Rei. Santoro " Girardello ed altri c. Ministero del Tesoro (avv. Stato 
Criscuoli) ed altri. 

Impiego pubblico -Stipendi, assegni ed indennit� -Interessi e rivalutazione 
su crediti previdenziali -Rapporti pendenti ed ambito applicativo delle 
leggi n. 412/1991 e n. 724/1994. 


PARTE I; SEZ. lV> GIUlUSPRUI!ENZA AMMINISTRATIVA 211 


� < 11 divieto delctJmWo di interessi e rivalutazione110sto dalfart, 16, comma 
W1 de11a legge 11. A121199lpericreditiprevidenz:�ili�tardivamente adempiuti 
si app#~ ~ncheai rapwrti in �o:rsJ?xal.momentodclla sua entrata in vigore~ 
mtr~t;!lo lir�Jtat~ente ai ratei maturatidopo il J"geMaio J.992 (1), 

��������������������(~~J�$is)�l�ricorrenti.sono.�e~dipendentl.dell~��cassa.fuut.aprovinciale�di


m~~#~gi ):tolzano, trasferiti all'entti diJ>revidenza resfate{lt~JNPSindata l~ 
~~nnai� i98l.,a seguito d�lla rifonna sanitaria, Con la.sentenza da eseguire 

(1)~~~!ttJM.\�f~i..~diti.p~AAi~~;ub~licj.wpenden


/ / J, Conla decl~i~~ehi~~segna; l'Adunanza Plenaria affronta ilproblema del ritar


dato adel'l1pb:nep,to dei.q:editi. preVidenziali dei pubblici . dipendenti, . con particolare 
... ti,glJ.i;�;l:g:�> a:tl~ qu~sdPne .4t;ll �.mlllo .di. interessi ~ rivaluta~ione e alla pQrtata . delle 
. noin:\.e c<>riiel1u~e ti.ella legge ~i;ui.a11; 412/199ksui rapporti.pendenti/ 

n, OU~sfo il easQ, . Nell'ambito di un giudizio per l' esecuZione: del� �. giudicato; 

l'A~a~~n~aaveyaric�nosciuto {conla sentenza tk8/1994 del23 giugno 1994) il 

diBU:o dei ricofrenti al pagamento di $omme aggiuntive per il ttiittt�n:iento. di fine rap~ 

pono;:ohterivalutazionem6netariaedinteressj legali,�adecorrere. dal 29 novembre 1988. 

Il Mini.Stero del Tesoro aveva �invece versato all'ente. di preVidenz� resiStente. la sola 

somma capitale e ci� induceva i :dconenti a promuovere il. giudizio di ottemperanza per 

il pa~entodi.interessi e rivalutazione (dal 29 nQvembre .1988 al 30 settembre 1997). 

Ma cQm� computare interessi e rivalutazione? Come si applicain concreto . .._ ove 

operativa;.,;...; la regola del �cumulo�: conteggiando gli interessi sulla somma �integra]. 

mente� rivalutata Q sulla somma. �Via Via� rivalutata? Come si risolve la.questione di 

diritt�intertemporale dell'art. 16, commaVI; legge n. 412/91, con riguardQai rapporti 

in corso.; ai crediticio� sorti anteriormente al1'entrata in vigore della legge che esclude 

il �cumulm>? 

m. L'Adunanza Plenaria avrebbe potuto �Sfruttare� l'occasione per �CircumnaVigare
� l'unive;r:sQ della quantificazione del danno da ritardato adempimento delcredito 
previdenziale. (e retributivo in genere) del pubblico dipendente. 
Del resto, pochi mesi prima, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, con una 

puntualee approfondita decisione del 6agosto1997, n; 881 (in Foro it.;.1991, n. 10, III, 

473, �on n�ta di PARDOLESI) aveva rimesso proprio all'.Adunanza :Plenaria una serie di 

questioni che oggi solo in parte trovano risposta nella decisione che si pubblica. 

Innanzitutto, era stata affermata la tesi.che rivalutazione ed interessi debbano 

essere accordati d'ufficio, senza bisognQ di.domanda .di parte, con la connessa statui


ziOp;e\dell'amrrtlssibilit� qella loro richiesta nel giudizio di ottemp�ra:tlza. Veniva intal 

modo. confermato, ma con diverse argomentazioni -., cio� cori:eggei:ldQne il fonda~ 

mento argomentativo alla luce degli intei.Venti.legislatM del 1991 e del 1994 ~un:indi


rizzo� ermeneutico incontrastato, che aveva trovato nella�. decisione dell'Adunanza 

Plenaria n. 19/1985 (in Por. it; 1985; ID, 413) la sua espressione pi� compiuta: ove non 

ci sia stata apposita statuizione su interessi e rivalutazione non si forma .un giudicato 

di rigetto sfavorevole al dipendente, che pu� chiedereil pagamento con domanda autQ


noma per la prima volta anche in sede di ottemperanza.� � 

Ma la Quinta Sezione �dopo aver risolto questa.prima questione, attraversQ la 

rimeditazione del collaudato indirizw giurisprudenziale delineatosi sul ptinto; .aveva 

rimesSQ all'Adunanza Plenaria la soluzione .di due delicati problemi. 

nprimo investiva l'annosa questione di .diritto intertemporale posta dai due interventi 
legislatiVi del 1991 e del 1994 che, nel superare la regQla del �cumulo� di interes




RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

212 

era stato accertato il diritto dei ricorrenti ad ottenere la differenza tra quanto 
accantonato dall'ente di provenienza, ai fini del trattamento di fine rapporto, 
e quanto loro spettante ai sensi del regolamento di previdenza e quiescenza 
del personale dell'ente di previdenza resistente alla data del 31 dicembre 
1989. Era stato anche accertato il diritto dei medesimi alla rivalutazione 
monetaria ed agli interessi legali su tali differenze di trattamento di fine rapporto, 
a decorrere dal 29 novembre 1988. 

Con ricorso depositato il 21 marzo 1977, i signori in epigrafe indicati 
chiedevano l'esecuzione della suindicata decisione di questa sezione, ed, in 

si e rivalutazione di applicazione, lasciavano aperti i dubbi sull'applicabilit� (e sui limiti) 
del divieto per i rapporti pendenti. Il secondo problema interpretativo rimesso 
all'Adunanza Plenaria riguardava la concreta determinazione della rivalutazione e 
degli interessi sulla somma capitale. Sul punto, la Quinta Sezione suggeriva una soluzione 
estremamente rigorosa, che propone di abbandonare sia la tesi per la quale gli 
interessi vanno calcolati sulla somma capitale �integralmente� rivalutata (secondo un 
indirizzo giurisprudenziale fatto proprio da Cass., Sez. Un., n. 9205/1990), sia l'altra 
tesi che li calcola sulla somma �via via� rivalutata (sulla scorta di un indirizzo tralaticiamente 
espresso dalla giurisprudenza giuslavoristica: ex plurimis, Cass. 29 settembre 
1988, n. 5299 e Cass. 3 febbraio 1989, n. 688, avallato da Cass., Sez. Un., 17 febbraio 
1995, n. 1712, in Corr. Giur., 1995, 462, con nota di Dr MAJo ed accolto anche dalla 
Sesta Sezione del Consiglio di Stato con sent. 10 luglio 1996, n. 931, in Foro it., Rep., 
1996, voce Imp. dello Stato, n. 704). Infatti, la Quinta Sezione -tenuto conto che nel 
periodo dal 1991 al 1996 il tasso legale di interessi � stato raddoppiato e che perci� ogni 
forma di cumulo si traduce in pratica in un ingiustificato privilegio per il dipendente 
non rapportato a reali esigenze di salvaguardia della retribuzione reale -propone di 
aderire a quell'indirizzo minoritario della Cassazione (espresso dalle sentenze 26 gennaio 
1995, n. 907 e 19 maggio 1995), secondo il quale gli interessi legali si computano 
sull'importo originario del credito �al suo valore nominale� e non su quello risultante 
dalla rivalutazione o sulle somme �via via� rivalutate. 

L'Adunanza Plenaria risolve ora solo il problema di diritto intertemporale sottoposto 
al suo esame, mentre non affronta -data l'economia della controversia -l'ultima 
e pi� spinosa questione. 

Ma procediamo con ordine, ricostruendo sinteticamente i termini dell'annoso 
problema, che come � noto ha conosciuto un importante sussulto con la legge n. 
412/1991. 

IV. Nel corso degli anni Ottanta, la Corte Costituzionale aveva sempre escluso la 
possibilit� di estendere la tutela privilegiata dei crediti di lavoro ex art. 429 terzo 
comma c.p.c. ai crediti previdenziali, dichiarando prima l'infondatezza (sent. n. 162 del 
1977 e sent. n. 408 del 1988) e poi l'inammissibilit� della questione posta al suo esame 
(con le sentt. n. 350 e n. 585 del 1990, che per� gi� lasciavano prevedere un mutamento 
di indirizzo). La tesi faceva leva sulla non onnicomprensivit� del richiamo dell'art. 
442 c.p.c. a tutte le norme sulle controversie di lavoro, con il corollario costituito dalla 
normale irrisarcibilit� della svalutazione e la limitazione dei danni per il ritardo agli 
interessi moratori, all'epoca fissati nella misura legale del 5% (salvo naturalmente il 
caso in cui si riuscisse a fornire prova del �maggior danno�, onere che la giurisprudenza 
aveva giustamente agevolato: si ricordi Cass., SS. UU., 4 luglio 1979, n. 3 77 6, in 
Foro it. 1979, I, 1668). Pi� tardi, in qualche decisione della Suprema Corte (Cass. 9 settembre 
1988, n. 5135, in Foro it, 1989, 2892), si arriv� ad affermare la cumulabilit� dei 
due accessori, ma il tentativo fu respinto dalle Sezioni Unite (Cass., SS. UU., 1� dicembre 
1989 n. 5299, in Foro it, 1990, I, 427, con note di PARDOLESr e Dr MAJo). 

PARTE I;SEZ. N, GIURISii'RODENZAAMMINISTRATNA 213 

particolare, che fosse ordinato alle ammistrazioni intimate di versare ai ricorrenti 
le differenze di trattamento difine rapporto, secondo gli importi calcolati 
nelprospetto allegato all'atto d� diffida del22 aprile 1996, con interessi e 
rivalutazione monetaria al 31 marzl:J 1996; 

.�� nministerodeltesoro, quale su�cessore della disciolta cassa mutua provinciale 
malattie dfBolzano; comunicava di avere versato all'ente di previdenza 
reS:istentevin esecuzione della decisione di questa adunanza plenaria, 
la somma di lire 141 milioni 198 mila 870, corrispondente al solo capitale 
dovuto. 

Ma proprio quandosi cominciava ad approfondire il tema delle conseguenze sulla 
finanza pubblica delle pronunce della Corte Costituzionale (nel 1991 ci fu un apposito 
Seminario; �organizzato al Palazzo della Consulta, su �Corte costituzionale e finanza 
pubblica�;.i cui atti conclusivi furono poi raccolti in un apposito volume: AA. W., Le 
sentenze della Corte costituzionale e l'art. 81, ult. comma, della Costituzione, Milano, 
1993) e sebbene per (;}ffetto dell'art. 1 della legge di riforma del processo civile n. 
353/1990 fosse stato �rinalzato il tasso legale degli interessi dal 5 al 10%, paradossalmente 
intervenne la 11.entenza C. cost. n. 156/1991 (Pres. Gallo, rei. Mengoni: in Giust. 
civ;, 1991, 1,. 809{ con nota di Izzo, oppure in Foro it., 1991, I, 1321, con note di 
PARDOLE$I e di TARTAG1JA), che sanciva una quasi completa equiparazione dei crediti 
previdenziali ai crediti di lavoro ai fini dell'applicazione della disciplina prevista dall'art. 
429 c;p.c .. Ma a distanza di pochi mesi il criterio giurisprudenziale veniva ribaltato 
dal legislatore; con una norma inserita tra le �Disposizioni in materia di finanza 
pubblica� della legge.n. 412/1991 (il famoso comma 6 dell'art. 16), che escludeva 
espressamente per i crediti previdenziali la cumulabilit� di interessi legali e rivalutazione; 
Con il dichiarato intento di attenuare gli effetti della pronunzia della Corte sulla 
finanza pubblica, fu infatti introdotta una disciplina che in sostanza escludeva l'ulteriore 
operativit� della regola del �cumulo� prevedendo la corresponsione dei soli interessi 
legali, ce>n la rivalutazione dovuta solo se superiore all'importo di questi e limitatamente 
alla differenza (per un maggiore approfondimento si vedano: DE FELICE, 
Rivalutazione dei crediti di lavoro, in Enc. giur., vol. XXVII, 1991; nonch� il pi� recente 
contributo di MAGRJNI, Rivalutazione e interessi (crediti di lavoro e previdenziali), in 
Enc. giur., vol. XXVII,. 1995). 

V. La netta separazione che veniva in tal modo sancita tra crediti previdenziali 
(per i quali era stato escluso il� cumulo) e crediti di lavoro (per i quali era ancora 
ammesso dall'art. 429 terzo comma c.p.c.) port� ad un nuovo giudizio di legittimit� 
costituzionale. I giudici remittenti osservarono che, soprattutto dopo l'aumento al 10% 
del tasso degli interessi legali; appariva dubbia la correttezza dell'interpretazione giurisprudenzi;
tle dell'art. 429,terzo comma; c.p.c., cui si era uniformata la sentenza della 
Corte n. 156/1991; perch� essa finiva per attribuire �al titolare di crediti di lavoro una 
posizione del tutto privilegiata�,� che gli procura una rendita �ben superiore anche ad 
ogni investimento finanziario>>. Pertanto, la norma impugnata, ripristinando sostanzialmente 
la disparit� di trattamento dei crediti previdenziali rispetto ai crediti di lavoro, 
appariva in contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost. 
Con la sentenza n. 394/1992, la Corte costituzionale (Pres. Corasaniti, Rei. 
Mengoni: in Lav. e Ptev. Oggi, 1992, 2288) dichiar� inammissibile la questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 16, sesto comma, legge n. 412/1991, osservando che la 
norma impugnata non era in realt� applicabile nei giudizi a quibus. Per la Corte la 
norma in questione non aveva ripristinato la disciplina dei crediti previdenziali dichiarata 
costituzionalmente illegittima, atteso che gli effetti del ritardo nel pagamento del 
debito previdenziale non sono quelli previsti dalla disciplina comune, sia per il carat




214 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Con memoria del 6 ottobre 1997 i ricorrenti facevano presente che erano 
ancora dovuti gli importi per interessi legali e rivalutazione monetaria dal 
29 novembre 1988 al 30 settembre 1997. Tale somma ancora dovuta, pertanto, 
sarebbe pari a lire 176 milioni 533 mila 403. 

Da ultimo l'l.N.P.S. confermava che era stato emesso mandato di versamento 
sul proprio c/c 20350 presso la Tesoreria centrale dello Stato per lire 

141.198.870 a titolo di conguaglio delle indennit� di buonuscita maturate dai 
ricorrenti per il servizio prestato presso la cassa mutua provinciale di malattie 
di Bolzano. 
tere automatico della rivalutazione (operata di ufficio dal giudice, ai sensi dell'art. 150 
disp. att. c.p.c., senza bisogno della domanda dell'interessato e di provare il maggior 
danno), sia per la decorrenza (non dalla maturazione del credito, ma dalla scadenza 
del termine previsto per l'adozione del prowedimento dell'ente). Osservava, tuttavia, 
che lesclusione del cumulo della rivalutazione con gli interessi produce un mutamento 
di natura del credito previdenziale, tale da assoggettarlo a una norma speciale che 
si colloca all'interno del sistema dell'art. 1224 cc., posto che gli interessi si calcolano 
sulla somma nominale e la rivalutazione spetta a titolo di �maggior danno�, eccezionalmente 
ritenuto in re ipsa, per il solo fatto della svalutazione della moneta in misura 
superiore al tasso legale degli interessi. 

I 

VI. Con la sentenza n. 207 del 1994 (C. cost., 23 maggio 1994, n. 207, Pres. Casavola, 
I �

Rei. Mengoni: in Cons. Stato, 1994, II, 823; Giust. Civ., 1994, I, 2102; Dir. Lav., 1994, II, 
167; Giur. Cast, 1994, 1753) l'ipotesi di un'eventuale declaratoria di incostituzionalit� dell'art. 
429 c.p.c., diretta a riavvicinare crediti di lavoro e crediti previdenziali (ed assistenziali), 
fu fermamente respinta dalla Corte Costituzionale, che ribadi la necessit� di una 
tutela privilegiata dei crediti di lavoro giustificata dalla loro rilevanza costituzionale. 
Prendendo in esame la diversit� dei regimi giuridici cui risultano assoggettati i crediti 
previdenziali (e assistenziali, sui quali era intervenuta ad estendere i principi fissati nel 
'91 per i crediti previdenziali: C. Cost. 27 aprile 93, n. 196, Pres. Casavola, Rei. Mengoni, 
in Foro lt. 1993, I, 2425, con nota di CARINGELLA), rispetto a quelli di lavoro per effetto 
della soluzione adottata con il citato art. 16 sesto comma, la Corte osserv� che alla categoria 
dei crediti di cui all'art. 442 c.p.c. non risultava applicabile l'art. 36 Cost. se non per 
il tramite e nella misura dell'art. 38, comma secondo, Cost., cio� con un limite che vale a 
conferire una ratio autonoma al bilanciamento degli interessi attuato con l'art. 16. Infatti, 
rientra nella discrezionalit� politica del legislatore stabilire se, dopo l'aumento del saggio 
dell'interesse, introdotto dalla legge n. 353/1990, nella realizzazione dei crediti di lavoro 
la rivalutazione monetaria sia da inglobare oppure da cumulare con gli interessi legali 
rivalutati; pertanto, fu considerata inammissibile la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 429 comma terzo c.p.c., sollevata per contrasto con l'art. 3 Cost., sotto il profilo 
dell'irragionevolezza, nella parte in cui consente il cumulo della svalutazione monetaria 
e degli interessi legali, nella liquidazione dei crediti di lavoro, dopo che la legge n. 
353/1990 ha elevato il saggio dell'interesse legale. 

VII. Il problema di fondo rimaneva perci� irrisolto, perch� si sanciva in tal modo 
la legittimit� del trattamento deteriore riservato al datore di lavoro (cui era imposto il 
�cumulo�) rispetto ai debitori comuni, sebbene la stessa Corte non perse l'occasione di 
offrire al legislatore un importante spunto per una revisione dell'art. 1284 e.e., spiegando 
che la misura del 10 % adottata nel 1990 �in contrasto con l'odierna tendenza al 
ribasso dei tassi di interesse, appare inopportuna in un'economia fluida come quella 
attuale, caratterizzata da continui mutamenti dei parametri economici e finanziari�, 
concludendo con una valutazione di �irrazionalit�� del sistema del cumulo di interessi 
e rivalutazione ex art. 429 terzo comma c.p.c. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

215 

Alla cc. del 20 ottobre 1997 la causa passava in decisione, uditi i difensori 
delle parti. 

DIRITTO 

Le Amministrazioni intimate hanno comunicato che � stata corrisposta 
la somma capitale -pari a lire 141milioni198 mila 870-dovuta ai ricorrenti 
in forza della decisione di questa A.P. del Consiglio di Stato n. 8/94 del 
23 giugno 1994. 

Il legislatore ha risposto all'invito della Corte e, continuando ad utilizzare la tecnica 
dell'interpolazione, � intervenuto ancora una volta con una norma contenuta in una 
legge finanziaria, volta ad eliminare il regime privilegiato dei crediti di lavoro, quella 
cio� del notissimo art. 22, trentaseiesimo comma, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, 
con la quale la disciplina del sesto comma dell'art. 16 legge n. 412/91 � stata estesa a tutti 
i crediti �di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale� dei �dipendenti pubblici 
e privati in attivit� di servizio o in quiescenza�, ma limitatamente a quelli �per i quali 
non sia maturato il diritto alla percezione entro il 31dicembre1994� (di modifica legislativa 
�clandestina� parla DE ANGELIS, in Rivalutazione e interessi sui crediti di lavoro: 
una modifica clandestina?, in Riv. it dir. lav., 1995, I, 439, che, prendendo spunto dagli 
obiter dieta contenuti in un'ordinanza della Corte costituzionale ed in una coeva sentenza 
della Cassazione, approfondisce l'esame della norma, giungendo alla conclusione 
che essa riguardi solo i crediti retributivi attinenti ai rapporti di lavoro con la P.A., nonr 
ch� i crediti pensionistici ed assistenziali inerenti a tali rapporti. Altri dubbi sono posti 
da DONDI, fl ritardato adempimento dei crediti di lavoro, previdenziali ed assistenziali � 
tra vecchia e nuova disciplina, in Dir. lav. 1995, I, 43 e MAGRINI, Rivalutazione monetaria 
ed interessi peri crediti di lavoro, in Giur. lav. Lazio, 1996, 287). � 

Quel che � certo � che comunque, per effetto della norma del trentaseiesimo 
comma dell'art. 22, l'art. 429 c.p.c. risulta modificato, valendo ora la regola dell'assorbimento 
della rivalutazione negli interessi: in tal senso, la norma � stata intesa dalla 
Corte costituzionale, con ord. 27 aprile 1995, n. 139 (in Mass. giur. lav., 1995, 281, dove 
si accenpa al superamento del regime del cumulo tra interessi e rivalutazione). 

Peraltro, la stessa norma condiziona �criteri e modalit� di applicazione� di tale 
modifica ad un decreto ministeriale. Orbene, sullo schema di regolamento predisposto 
dal Ministero del Tesoro, si � espresso il Consiglio di Stato, con parere reso 
nell'Adunanza Generale del 26 settembre 1996, n. 135/96, che fornisce utili indicazioni 
applicative (sulle quali l'economia del presente lavoro non consente alcun approfondimento, 
per cui si rinvia alla lettura del parere), consapevole che l'ambito estremamente 
ampio della norma �pone evidenti problemi di coordinamento�. Va rimarcato in 
ogni caso che al Collegio non sfugge l'importanza della norma, che evidenza l'intento 
legislativo �di affermare la generalizzazione della nuova regola del divieto di cumulo 
tra interessi e rivalutazione�. 

VIII. Invertendo il nuovo trend legislativo e giurisprudenziale il Pretore di Parma ha 
sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 16, comma VI, della legge n. 
412/91, avendo la norma ripristinato per i crediti previdenziali quel divieto di cumulo che 
la sentenza della Corte n. 156/1991 aveva ritenuto illegittimo. La Corte, con un sostanziale 
revirement rispetto a quella decisione, con la sentenza 24 ottobre 1996, n. 361 (in 
Giur. Cast., 1996, 3167, ma anche in Foro it. 1996, I, 3266) ha ritenuto infondata la questione 
evidenziando che i crediti previdenziali si differenziano sotto diversi profili dai 
crediti di lavoro, individuandosi il fondamento costituzionale della loro corresponsione 
nel disposto dell'art. 38 c. 2� Cast. (e non direttamente nel disposto dell'art. 36 Cost.). 

216 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Di tale adempimento occorre pertanto dare atto in questa sede di esecuzione 
del giudicato. 

Tuttavia i ricorrenti, con memoria del 6 ottobre 1997, hanno fatto presente 
che sarebbero ancora dovuti gli interessi legali e la rivalutazione monetaria 
-dal 29 novembre 1988 al 30 settembre 1997 -sui singoli importi, e 
che la somma ancora dovuta, pertanto, sarebbe pari a lire 176 milioni 533 
mila 403. 

La difesa dell'I.N.P.S., alla cc. del 20 ottobre 1997, ha ammesso la persistente 
inesecuzione del giudicato limitatamente a tali competenze accessorie. 

Il fatto che i crediti previdenziali abbiano pur sempre la funzione di assicurare al 
lavoratore un'esistenza libera e dignitosa, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, non 
implica pertanto la necessit� di una piena equiparazione degli stessi ai crediti di lavoro. 
La previsione di cui all'art. 38, secondo comma Cost., nella interpretazione seguita dalla 
Corte costituzionale, implica infatti il necessario riconoscimento di prestazioni previdenziali, 
ma, essendo il sistema previdenziale finanziato anche dalle pubbliche finanze, 
le esigenze di contenimento della spesa pubblica possono giustificare criteri di determinazione 
della prestazione meno favorevoli di quelli previsti per i crediti di lavoro. 

La Corte ha ritenuto giustificata la disciplina differenziata dei crediti previdenziali 
ed assistenziali rispetto a quella dei crediti di lavoro perch� tra tali due categorie di crediti 
vi � una �diversit� strutturale�, che in realt� la Corte stessa (C. cost. n. 156/1991 cit.) 
gi� aveva ritenuto come implicita premessa nell'affermare viceversa l'�analogia strutturale
� delle situazioni poste in comparazione. E la differenza � costituita essenzialmente 
dal necessario contemperamento della tutela del pensionato con le disponibilit� del 
bilancio pubblico, a carico del quale � finanziato in buona parte il sistema previdenziale 
(conf. C. cost. n. 220 del 1988 e C. cost. n. 119 del 1991); sicch� l'esigenza di contenimento 
della spesa pubblica pu� ridurre in maniera definitiva un trattamento pensionistico in 
precedenza spettante (C. cost. n. 240 del 1994 e C. cost. n. 822 del 1988). 

IX. L'intero quadro legislativo dei rapporti di lavoro risulta in tal modo profondamente 
modificato. Il principio del cumulo di interessi e rivalutazione sul quale si 
sono versati fiumi di inchiostro viene definitivamente abbandonato e sostituito dal 
medesimo criterio applicabile per i crediti di valuta (originariamente pecuniari). Il 
sistema di favore del cumulo automatico fondato sull'art. 429 terzo comma c.p.c. rimane 
pertanto applicabile solo ai crediti sorti precedentemente all'entrata in vigore delle 
due leggi finanziarie del 1991 e del 1994. 
L'Adunanza Plenaria, con la decisione che si pubblica, risolve il problema di diritto 
intertemporale relativo all'operativit� del divieto sui rapporti in corso, allineandosi 
all'indirizzo giurisprudenziale che � prevalso nella giurisprudenza della Cassazione, a 
seguito dell'intervento delle Sezioni Unite che, con la nota sentenza 26 giugno 1996, n. 
5895 (richiamata espressamente dall'Adunanza Plenaria) hanno ricostruito puntualmente 
i diversi e contrastanti orientamenti delineatisi (la sentenza � pubblicata in Foro 
it, 1996, I, 3027, con nota critica di PARDOLESI). 

In particolare, esclusa sia dalla giurisprudenza sia dalla stessa Corte costituzionale, 
con una successiva sentenza interpretativa di rigetto (C. Cost. n. 39!1/1992), la 
legittimit� di un'applicazione integrale della nuova disciplina normativa all'inadempi0 
mento pregresso anche per il periodo anteriore al 31 dicembre 1991, rimanevano teo


~: 

ricamente prospettabili tre diverse soluzioni: 

a) secondo la tesi pi� garantista, seguita dalla giurisprudenza prevalente, lo ius i: 
superveniens non tocca i casi di mora maturati in precedenza, per cui il pieno cumulo i 
dovrebbe applicarsi comunque e integralmente quando l'inadempimento dell'obbligazione 
sia iniziatq prima dell'entrata in vigore della legge n. 416/91, anche per il perio-~ 

1: 
1! 

1: 
@ 

f: 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

217 

La domanda di interessi e rivalutazione, ad avviso della Adunanza plenaria, 
� fondata entro i limiti di seguito chiariti. 

Secondo la legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 16, comma 6, �gli enti 
gestori di forme di previdenza obbligatoria sono tenuti a corrispondere gli 
interessi legali, sulle prestazioni dovute, a decorrere dalla data di scadenza 
del termine previsto per l'adozione del provvedimento sulla domanda. 
L'importo dovuto a titolo di interessi � portato in detrazione dalle somme 
eventualmente spettanti a ristoro del maggior danno sub�to dal titolare della 
prestazione per la diminuzione del valore del suo credito�. 

do di ritardo successivo al 31 dicembre 1991; l'ambito di applicazione della legge n. 
412/91 sarebbe pertanto limitato alla sola ipotesi di mora iniziata dopo l'entrata in 
vigore della legge stessa (tale orientamento giurisprudenziale, iniziato con la sentenza 
Cass. 10 giugno 1992, n. 7114, � stato confermato dalle numerose pronunzie citate 
dalle Sezioni Unite, cui va aggiunta Cass., 1� settembre 1995, n. 9243, in Rep. Foro it., 
1995, voce Previdenza sociale, n. 975); 

b) secondo un indirizzo pi� rigoroso, quando l'inadempimento dell'obbligazione 
sia iniziato prima del 31 dicembre 1991 e proseguito dopo tale data, dovrebbe applicarsi 
la regola del cumulo pieno di interessi e rivalutazione, ma limitatamente al solo periodo 
di inadempimento anteriore. al 31 dicembre 1991, mentre per il periodo di ritardo 
successivo troverebbe applicazione il divieto di cumulo introdotto dalla legge n. 412/91 
(cfr. Cass. 10 agosto 1995, n. 8801; Cass., 21 gennaio 1995, n. 680; Cass., 27 ottobre 
1994, n. 8826; Cass. 6 novembre 1992, n. 12038); la legge n. 412/91 sarebbe pertanto 
applicabile anche nel caso di inadempimento iniziato prima di tale data, limitatamente 
per� al solo periodo di ritardo successivo alla sua entrata in vigore (31dicembre1991); 

c) la soluzione intermedia ha finito per prevalere (sulla quale si veda in dottrina: 
CAPONI, In tema di �ius superveniens� sostanziale nel corso del processo civile: orientamenti 
giurisprudenziali, in Foro it, 1992, I, 131): la legge n. 416/91 si applica solo al 
ritardato pagamento di ratei maturati successivamente al 31 dicembre 1991, essendosi 
in tal caso in presenza di nuove obbligazioni sorte sotto la vigenza della nuova normativa 
(in tal senso: Cass. 1� settembre 1995, n. 9239; Cass., 8 settembre 1995, n. 9498; 
Cass. 6 novembre 1995, n. 11534). 

Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 5895/1996, hanno infatti risolto il contrasto 
aderendo alla tesi mediana, volta a limitare l'applicazione dell'art. 16, per quanto 
riguarda i rapporti pendenti, ai soli ratei resisi esigibili dopo la sua introduzione. A tale 
soluzione la sentenza perviene sulla base di un articolato iter argomentativo, che, per 
un verso, individua le premesse teoriche del principio di diritto enunciato e, per altro 
verso, si distingue per ampiezza e completezza argomentativa. La sentenza (per quel 
che qui interessa) affronta la questione teorica dell'applicabilit� o meno dello ius 
superveniens per disciplinare gli effetti attuali di fattispecie realizzatesi anteriormente 
alla sopravvenienza normativa, aderendo alla teoria del c.d. fatto compiuto, per cui 

�una legge nuova pu� applicarsi ad effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico 
sorto anteriormente, soltanto quando la norma sia diretta a regolare tali effetti, indipendentemente 
dall'atto o fatto giuridico che li gener�� (cfr. in tal senso da ultimo 
Cass. 11giugno1992, n. 7221; Corte cast., 17 dicembre 1985, n. 349; Cass., 27 febbraio 
1987, n. 2118). La legge sopravvenuta non trova, invece, applicazione con riguardo agli 
effetti non esauriti di fattispecie pregresse, allorch� non si limiti a disciplinare diversamente 
gli effetti della fattispecie, ma definisca diversamente gli stessi elementi della 
fattispecie generatrice degli effetti (ad es. introducendo nuovi presupposti, condizioni 

o facolt� per il riconoscimento di diritti od obblighi, o sopprimendo requisiti precedentemente 
richiesti). 

..,..,
RASSEGNA 
AWOCATURA DELLO STATO 

218 

La Corte costituzionale, con sentenza 24 ottobre 1996 n. 361, ha ritenuto 
infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 16, 6� comma, 
legge 412/91, nella parte in cui non prevede, per il caso di tardivo adempimento 
di crediti previdenziali, il cumulo degli interessi legali con la rivalutazione 
monetaria, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost. 

Ora, posto che dal rapporto previdenziale e da quello assistenziale deriva 
una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza 
l'intera prestazione dovuta in quel determinato periodo, all'inadempimento 
di ogni singolo rateo deve ritenersi conseguire il risarcimento del danno da 
mora previsto dalla legislazione vigente al momento della sua maturazione; 
s� che, mentre per i ratei maturati anteriormente al 1� gennaio 1992 dev'essere 
corrisposto, oltre agli interessi legali, il maggior danno da svalutazione, a 
quelli maturati dopo tale data si applica la disciplina introdotta dall'art. 16, 
6� comma, legge 412/91, a tenore della quale l'importo dovuto a titolo di interessi 
-secondo i vari tassi in vigore alla scadenza dei singoli ratei -� portato 
in detrazione alle somme eventualmente spettanti a titolo di maggior 
danno da svalutazione (Cass. sezioni unite civili, sentenza 26 giugno 1996 n. 
5895). Ed, in quanto volto ad incidere sugli effetti (e non sulla fattispecie 
generatrice), l'art. 16, 6� comma, legge 412/91, ove prevede, per i crediti previdenziali 
tardivamente corrisposti, che l'importo degli interessi sia portato 
in detrazione delle somme eventualmente spettanti a titolo di rivalutazione, 
si applica anche ai rapporti pendenti al momento della sua entrata in vigore 
(Cass. sezione lavoro, sentenza 21 gennaio 1995 n. 680). 

Le Sezioni Unite risolvono poi la questione della natura giuridica dei crediti 
previdenziali e assistenziali a maturazione periodica, aderendo alla tesi per cui i rapporti 
assistenziali e previdenziali non si sostanziano in un'unica obbligazione avente 
ad oggetto una prestazione unitaria da assolvere ratealmente, bens� in una pluralit� 
di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l'intera prestazione 
dovuta in quel determinato periodo. Pertanto, �all'inadempimento di ogni singolo 
rateo consegue il risarcimento del danno da mora previsto dalla legislazione vigente 
al momento della sua maturazione�, e ci� porta a limitare l'applicazione dell'art. 16, 
per quanto riguarda i rapporti pendenti, ai soli ratei resisi esigibili dopo la sua introduzione. 


X. L'Adunanza Plenaria con la sent. n. 21/1997 ha recepito la soluzione indicata 
dalle Sezioni Unite (gi� condivisa dalla Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con sentenza 
13 novembre 1996, n. 1558). Ma non ha preso posizione su altre delicate questioni 
e, in particolare, non ha affrontato il nodo posto dalle modalit� concrete di computo 
di interessi e rivalutazione, nei casi in cui -come si � detto -il cumulo � ancora 
possibile. 
Si attende pertanto una nuova presa di posizione, che valorizzi la complessa e 
faticosa ricostruzione operata dalla Quinta Sezione con la decisione 6 agosto 1997, n. 
881, accogliendo la tesi che suggerisce di calcolare gli interessi sull'importo originario 
del credito e non su quello risultante dalla sua rivalutazione, n� su quello originario via 
via rivalutato, apparendo questi ultimi criteri di calcolo che si traducono in ingiustificate 
locupletazioni. 

FEDERICO BASILICA 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Pertanto, nel caso in esame, la domanda di interessi e rivalutazione, per i 
ratei maturati dal 29 novembre 1988 al 1� gennaio 1992, va interamente accolta, 
con la corresponsione, oltre agli interessi legali, del maggior danno da svalutazione, 
mentre per i ratei maturati dopo tale ultima data, va accolta solo in 
parte, secondo la disciplina introdotta dall'art. 16, 6� comma, legge 412/91, in 
base alla quale l'importo dovuto a titolo di interessi -secondo i vari tassi in 
vigore alla scadenza dei singoli ratei -� portato in detrazione alle somme 
eventualmente spettanti a titolo di maggior danno da svalutazione. 

Per l'ipotesi di persistente inesecuzione del giudicato, trascorsi 60 giorni 
dalla comunicazione o notificazione della presente decisione, si nomina sin 
d'ora commissario ad acta il direttore generale della Previdenza e Assistenza 
Sociale del Ministero del Lavoro e della P.S., con facolt� di delegare un dirigente 
della medesima direzione. 

Le spese e gli onorari di giudizio debbono essere posti a carico del 
Ministero del Tesoro, e liquidati in complessivi diecimilioni di lire. 

P.Q.M. 
L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, definitivamente pronunciando 
sul ricorso per l'esecuzione del giudicato indicato in epigrafe: 

-d� atto del pagamento della somma capitale dovuta ai ricorrenti; 

-accoglie per quanto di ragione la domanda di rivalutazione ed interessi, 
nei limiti indicati in motivazione; 

-nomina sin d'ora commissario ad acta il direttore generale della 
Previdenza ed Assistenza Sociale del Ministero del Lavoro e della P. S., con 
facolt� di delegare un dirigente della medesima direzione, nell'ipotesi di persistente 
inesecuzione del giudicato trascorsi 60 giorni dalla comunicazione o 
notificazione della presente decisione; 

-condanna il ministero del tesoro al pagamento delle spese e degli onorari 
di giudizio, che liquida in complessive lire dieci�nilioni. Ordina che la 
presente decisione sia eseguita dall'Autorit� amministrativa (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 3 marzo 1997, n. 173 -Pres. Buscema -Est. 
De Lipsis -Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (aw. 
Stato Palmieri G.) c. Rugg� Maura ed altri (aw. Ripoli). 

Impiego pubblico -Atti amministrativi della Presidenza della Repubblica Dipendenti 
del Segretariato Generale della Presidenza -Giurisdizione 
giudice amministrativo -Sussistenza. 

Impiego pubblico -Legittimazione alla tutela giurisdizionale -Interesse 
morale al corretto esercizio del potere di nomina a scelta -Sufficienza Fattispecie. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO. 

220 

Impiego pubblico -Revoca o riforma di atti amministrativi preesistenti Onere 
di ampia motivazione sulla necessit� di rivalutare la situazione 
pregressa -Sussistenza. 

Diversamente da quanto awiene per le due Camere, prowiste di autodichia 
ai sensi dell'art. 64 della Costituzione, gli atti amministrativi emanati 
dalla Presidenza della Repubblica, siano essi regolamentari o adottati in 
forza di norma regolamentare, non sono sorretti da alcun fondamento costituzionale 
(implicito o espresso), trovando la loro fonte nell'art. 3 della legge 

n. 107711948, al quale, quindi, non va attribuita una valenza meramente 
ricognitiva, bens� una natura attributiva del potere regolamentare. Con l'ulteriore 
corollario che gli atti in questione -alla pari di ogni altro atto 
amministrativo -sono soggetti al sindacato giurisdizionale del giudice 
amministrativo (1). 
Non pu� non riconoscersi a ricorrenti appartenenti a personale di ruolo 
del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (che non hanno 
altra via per accedere alla carriera direttiva che quella del pubblico concorso 
per esami e titoli) un interesse morale a non vedersi superare da un collega 
gi� in ruolo mediante il sistema della nomina diretta, preceduta da 
revoca del precedente atto di nomina: tale.interesse morale (legittimante la 
tutela giurisdizionale) al corretto esercizio del potere di nomina a scelta, pu� 
ritenersi soddisfatto anche attraverso il mero ripristino della vacanza del 

(1) La sentenza in rassegna, nel disattendere leccezione di difetto assoluto di giurisdizione 
del giudice amministrativo in relazione agli atti amministrativi (e normativi) 
adottati dal Presidente della Repubblica per l'organizzazione ed il funzionamento 
del Segretariato Generale della Presidenza e per la disciplina del rapporto di impiego 
dei dipendenti del Segretariato stesso, formulata dall'Avvocatura dello Stato, si muove 
dichiaratamente sulla scia della pronuncia della Cassazione Sez. Un. 10 maggio 1988 
n. 3422 (edita, per esteso, in Foro it., 1988, I, 3603), che, in analoga controversia, aveva 
gi� chiarito i limiti e la portata della sentenza della Corte costituzionale 1 O luglio 1981 
n. 129 (in Foro it., 1981, I, 2631), anche allora addotta a sostegno della tesi della esenzione 
della giurisdizione dall'Amministrazione ricorrente (avverso Cons. Stato, IV, 27 
maggio 1985, n. 208, in Giur. it., 1986 III, I, 16). 
Si � in sostanza ancora una volta disattesa la tesi (che bisogna chiedersi quanto 
sia ancora opportuno coltivare) del fondamento costituzionale dei regolamenti presidenziali 
in materia di stato giuridico ed economico del personale, analogamente all'autodichia 
attribuita agli atti di autonomia normativa delle camere ex art. 64 1 � comma 
Cost. (v. Corte cost. 23 maggio 1985. n. 154. in Foro it., 1985, I, 2173), in virt� di un 
asserito principio di costante parallelismo tra i regolamenti di Camera e Senato e quelli 
della Presidenza della Repubblica desunto. in via ermeneutica, dalla citata pronuncia 
n. 129/1981 della Corte costituzionale. Va ricordato, per completezza, che in precedenza 
le Sezioni Unite della Cassazione (v. sentenza n. 2979/1975, in Foro it., 1976, I, 
392) avevano gi� avuto modo di precisare che le controversie relative ai rapporti di 
impiego del personale dipendente dal Segretariato Generale della Presidenza della 
Repubblica rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo, attesa l'inesistenza, 
nella specie, di una cd. �giurisdizione domestica�. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 221 

posto, alla cui copertura, mediante concorso, � di ostacolo il provvedimento 
impugnato (2). 

Tutti i provvedimenti che producono modificazione, totale o parziale, 
del contenuto di atti preesistenti -specie allorquando siano adottati in sede 
di autotutela e siano il frutto di valutazioni discrezionali -non sfuggono 
all'onere di enunciazione delle ragioni giustificative della necessit� di �riponderare
� la pregressa valutazione, non idonea al conseguimento dell'interesse 
pubblico attuale: motivazioni le quali -se possono essere attenuate nei confronti 
del destinatario degli effetti favorevoli del provvedimento -devono, 
invece, essere pienamente evidenti (ancorch� in maniera sintetica) nei riguardi 
del terzo che subisca pregiudizio dal provvedimento medesimo (3). 

(omissis) La questione all'esame del Collegio concerne la legittimit� di un 
provvedimento adottato dal Presidente della Repubblica (decreto n 48/A del 25 
aprile 1992), con il quale -previa revoca del precedente atto di nomina -la 
dott.ssa Anna Maria Brizi � stata nominata referendario in prova nel ruolo 
della carriera direttiva del Segretariato Generale, con effetti giudici dal 1� ottobre 
1990 ed economici dal 25 aprile 1992 (data di adozione del decreto). 

Nell'ordine logico delle pregiudiziali sollevate dagli odierni appellanti, 
preliminare � l'esame dell'eccezione relativa al difetto di giurisdizione formulata 
dal Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica, in ordine 
al difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. 

Sostiene l'Amministrazione ricorrente che il sindacato di legittimit� 
sugli atti amministrativi (e normativi) adottati dal Presidente della 
Repubblica per l'organizzazione ed il funzionamento del Segretariato 

(2) La giurisprudenza del Consiglio di Stato � costante nell'affermare che il solo 
interesse morale � sufficiente a legittimare la tutela giurisdizionale contro atti che si 
sostiene essere stati adottati contra legem ( v. per tutte Cons. Stato, IV, 5 ottobre 1991, 
n. 890, in Cons. Stato 1991, I, 1629; Cons. Stato, VI, 10 agosto 1988 n. 977, ivi, 1988, I 
962; Cons. Stato, IV, 15 .marzo 1983. n. 119 e Cons. Stato, V, 6 maggio 1983, n. 242, 
ivi, 1983, I, 230). 
In particolare, nel caso di specie, il giudice amministrativo, oltre ad evidenziare 
dei profili di interesse non squisitamente morale dei ricorrenti in primo grado in quanto 
potenziali concorrenti alla riserva di uno dei posti vacanti, si preoccupa di sottolineare 
le discutibili modalit� di adozione del provvedimento impugnato (preceduto da 
revoca di altro provvedimento di analogo contenuto, ostativo al primo, in elusione del 
divieto di nominare persone appartenenti al ruolo dell'Amministrazione), a maggior 
sostegno e giustificazione dell'interesse morale riconosciuto ai detti ricorrenti. 

(3) Giurisprudenza costante. In particolare la sentenza in rassegna puntualizza 
che l'obbligo di motivazione imposto dai principi generali per gli atti di revoca deve 
ritenersi esteso anche agli atti che si vogliano qualificare di riforma (in ipotesi produttivi 
di alcuni effetti ex tunc, quali la retrodatazione degli effetti giuridici) sussistendo 
la stessa esigenza di ordine generale di evidenziare le ragioni di pubblico interesse concreto 
ed attuale che hanno portato a rivalutare la pregressa situazione, tanto pi� quando 
vi siano controinteressati (come nella specie) cui derivino effetti sfavorevoli dal 
provvedimento adottato in sede di autotutela, comunque qualificato. 
L.V. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

222 

Generale della Presidenza e per la disciplina del rapporto di impiego dei 
dipendenti del Segretariato stesso sarebbe precluso al giudice amministrativo. 
E ci� in omaggio ad un asserito principio di costante parallelismo, evidenziato 
anche dalla Corte Costituzionale, tra i regolamenti della Camera e 
Senato e quelli della Presidenza della Repubblica, in forza del quale la posizione 
di autonomia garantita a tali organi comporterebbe il difetto assoluto 
di giurisdizione del giudice amministrativo, il quale non potrebbe sindacare 
gli atti da questi emanati. 

La su esposta tesi non pu� essere condivisa e la relativa eccezione va, 
pertanto, disattesa. 

Rileva al riguardo il Collegio che l'affermato principio, di carattere generale, 
di sottrazione degli atti amministrativi della Presidenza della Repubblica 
al controllo giurisdizionale non sussiste alla luce di una attenta disamina delle 
fonti normative vigenti in materia, nonch� di una corretta interpretazione 
della sentenza della Corte Costituzionale (la n. 129 del 10 luglio 1981) richiamata 
dall'appellante Amministrazione a sostegno del suo assunto. 

Invero, i regolamenti approvati dal Presidente della Repubblica sull'ordinamento 
interno del Segretariato (fonte degli atti amministrativi della 
Presidenza) sono privi di fondamento diretto in norme o principi costituzionali, 
atteso che il potere regolamentare � attribuito dall'art. 3 della legge 9 
agosto 1948, n. 1077, istitutiva del Segretariato Generale della Presidenza 
della Repubblica. 

In altri termini, diversamente da quanto awiene per le due Camere, 
provviste di autodichia al sensi dell'art. 64 della Costituzione, gli atti amministrativi 
emanati dalla Presidenza della Repubblica, siano essi regolamentari 
o adottati in forza di norma regolamentare, non sono sorretti da alcun fondamento 
costituzionale (implicito o espresso), trovando la loro fonte nell'art. 
3 della legge n. 1077/1948, al quale, quindi, non va attribuita una valenza 
meramente ricognitiva, bens� una natura attribuitiva del potere regolamentare. 
Con l'ulteriore corollario che gli atti in questione -alla pari di ogni 
altro atto amministrativo -sono soggetti al sindacato giurisdizionale del 
giudice amministrativo. 

N� pu� indurre a diversa conclusione la giurisprudenza costituzionale 
richiamata dall'appellante Amministrazione (sentenze n. 154/1985 e 129/1981). 

Invero la prima delle due citate decisioni non attiene all'argomento in 
esame avendo la Corte, in quell'occasione, ribadito il principio che alla 
Camera dei Deputati debba essere riconosciuta un'indipendenza costituzionalmente 
garantita e che, pertanto, il giudice amministrativo non pu� sindacarne 
gli atti emanati ai sensi dell'art. 64 della Costituzione. 

Con la decisione n. 129/1981, poi, la Corte Costituzionale -chiamata a 
pronunciarsi su un conflitto di attribuzione che vedeva contrapposti la 
Presidenza della Repubblica, la Camera dei Deputati ed il Senato alla Corte 
dei Conti, la quale pretendeva di sottoporre alla sua giurisdizione contabile i 
tesorieri dei predetti organi -ha semplicemente affermato la sussistenza di 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

un latente parallelismo tra i regolamenti in materia contabile emanati dal 
menzionati organi, con la conseguente insindacabilit� da parte della Corte 
dei Conti degli atti emessi in tale materia. 

D'altra parte la successiva giurisprudenza della Corte di Cassazione ha 
definitivamente chiarito i limiti e la portata della menzionata sentenza. 
Infatti, � stato correttamente affermato che le controversie inerenti al rapporto 
di pubblico impiego del personale del Segretariato Generale della 
Presidenza della Repubblica, ancorch� investano i provvedimenti presidenziali 
di approvazione delle norme regolamentari sullo stato giuridico ed economico 
e sul trattamento pensionistico (ad eccezione della liquidazione della 
pensione), non si sottraggono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 
tenuto conto che quei provvedimenti integrano atti amministrativi 
attinenti al rapporto d'impiego e che difettano disposizioni di deroga alla 
suddetta giurisdizione in favore di organi interni della Presidenza della 
Repubblica (come, invece, previsto negli ordinamenti del personale della 
Camera e del Senato (Cass. SS.UU. 10 maggio 1988, n. 3422). 

Pertanto, l'atto di nomina impugnato, emanato dal Presidente della 
Repubblica nell'esercizio dello specifico potere attribuitogli dalla norma regolamentare, 
va ricondotto nell'ambito dell'espressione del potere organizzatorio 
e considerato esplicazione di funzioni amministrative, con conseguente 
sua assoggettabilit� al sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo. 

2) Con una seconda eccezione di carattere preliminare, comune in 
entrambi gli appelli, viene dedotta la carenza di interesse a ricorrere da parte 
degli organi ricorrenti, i quali non avrebbero alcuna utilit� concreta nella 
situazione giuridica e di fatto nella quale versano, dall'eventuale annulamento 
dell'atto gravato in primo grado; quindi, il loro interesse a ricorrere difetterebbe 
del requisito dell'attualit�. 

Inoltre, essi -proprio in quanto dipendenti dell'Amministrazione non 
avrebbero alcuna posizione qualificata ai fini della nomina in luogo della 
dott.ssa Brizi tenuto altresi conto che il divieto di nominare soggetti gi� 
appartenenti all'Amministrazione escluderebbe ogni loro aspirazione alla 
nomina a referendario del ruolo della carriera direttiva. 

Anche la su esposta eccezione � priva di pregio, sotto tutti i menzionati 
profili. 

Devesi innanzi tutto evidenziare che gli odierni appellati -ai sensi del1'
art. 5 del vigente regolamento sullo stato giuridico del personale di ruolo del 
Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (D.P. 18 giugno 
1985, n. 174) -non hanno altra via per accedere alla carriera direttiva che 
quella del pubblico concorso per esami, eventualmente integrato da titoli. 

Infatti, il comma 4� del citato art. 5 testualmente stabilisce che �Un terzo 
dei posti messi a concorso � riservato al personale di ruolo del Segretariato 
generale, in possesso dei prescritti requisiti per l'accesso alla qualifica iniziale 
di ciascuna carriera�. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

224 

Quindi, la posizione degli originari ricorrenti � differenziata rispetto a 
coloro che -in quanto non appartenenti al personale del Segretariato -non 
concorrono alla predetta riserva di 1/3 dei posti vacanti. 

Inoltre � evidente che la copertura illegittima di un posto nell'organico pregiudica 
-a prescindere dalla sussistenza o meno di una procedura concorsuale 
in atto -la possibilit� degli appartenenti all'Amministrazione di potervi 
accedere, onde appare innegabile il loro interesse a rimuovere il provvedimento 
che non ha reso disponibile quel posto in occasione del prossimo concorso. 

D'altra parte -come correttamente evidenziato dai primi giudici -non 
pu� non riconoscersi in capo agli originari ricorrenti un interesse morale 
(legittimante la tutela giurisdizionale) al corretto esercizio del potere di 
nomina a scelta, che pu� ritenersi soddisfatto anche attraverso il mero ripristino 
della vacanza del posto, alla cui copertura, mediante concorso, � di 
ostacolo il contestato provvedimento. 

� noto che anche il solo interesse morale � sufficiente a legittimare la 
tutela giurisdizionale contro atti che si assumono essere stati adottati contra 
legem (IV Sez. 5 novembre 1991, n. 890). 

Nel caso di specie, le modalit� di adozione del censurato decreto e le circostanze 
che lo hanno determinato (la previa revoca di un provvedimento avente 
analogo contenuto, adottato al fine di ricostruire un formalistico rispetto 
della lettera della legge, in un contesto comportamentale denotante la sussistenza 
di un chiaro atteggiamento contrario ai corretti principi di buona amministrazione 
cui deve essere improntato l'esercizio del potere discrezionale) rendono 
ammissibile l'interesse morale degli odierni appellanti a non vedersi superare 
da un collega gi� in ruolo mediante il sistema della nomina diretta. 

3) Neppure pu� essere accolta la doglianza del difetto di interesse di 
una delle originarie ricorrenti (la dott.ssa Ruggi) sotto il profilo che la 
medesima non avrebbe il titolo legittimante all'accesso alla carriera direttiva 
del Segretariato, in quanto in possesso del diploma di laurea in scienze 
biologiche. 

Invero, ai sensi dell'art. 3 del regolamento sullo stato giuridico del personale, 
non sussiste alcuna limitazione circa i titoli di studio richiesti per l'accesso 
alla carriera direttiva, essendo all'uopo idonei tutti i tipi di laurea. 

4) Con l'unico motivo di merito, sia la Brizi che l'Amministrazione 
sostengono la �violazione e falsa applicazione dei principi generali in tema di 
revoca� sostenendo, in sostanza, che del tutto erroneamente l'adito TAR 
avrebbe ritenuto, nella specie, illegittimamente esercitato il potere di revoca. 

Osserva al riguardo il Collegio che l'art. 1 dell'impugnato decreto contiene 
la revoca del provvedimento n. 32/A del 2 settembre 1990, con la quale la 
dott.ssa Brizi era stata nominata segretaria in prova nel ruolo della carriera 
di concetto di segreteria della Presidenza della Repubblica (atto presupposto 
la cui caducazione si rendeva necessaria per l'esercizio del potere di nomina 



-


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

diretto e altrimenti preclusa dal chiaro divieto contemplato nell'ultimo 
comma del richiamato art. 5 del Regolamento). 

Ora, come � noto, all'istituto della revoca si ricorre allorquando sussistano 
fatti nuovi che hanno reso il primo provvedimento non pi� conforme 
all'interesse pubblico attuale dell'Amministrazione e di ci� deve essere data 
ampia e giustificata motivazione, onde fare apparire del tutto legittima la 
scelta di rivalutare la pregressa situazione. 

Nel caso di specie, nel contesto dell'atto impugnato in primo grado, non 
si evincono le ragioni giustificative che hanno indotto l'Amministrazione a 
revocare il precedente atto di nomina della Brizi nella carriera di concetto; 
motivazioni le quali -se possono essere attenuate nei confronti del destinatario 
degli effetti favorevoli del provvedimento -devono, invece, essere pienamente 
evidenti (ancorch� in maniera sintetica) nei riguardi del terzo che 
subisca pregiudizio dal provvedimento medesimo. 

Infatti, non pu� ritenersi congrua motivazione l'affermazione effettuata 
nella parte motiva in ordine alla circostanza che l'interessata, nell'originario 
inquadramento, avrebbe avuto una �Valutazione non oggettivamente adeguata 
alle doti di esperienza, capacit� professionali e culturali�. 

N� pu� ritenersi valida ragione giustificativa l'accertata insussistenza di 
�impedimenti alla nomina nella qualifica della carriera direttiva, essendo l'interessata 
in possesso del necessario titolo di studio� (necessario presupposto 
logico per la nomina a refendario, ma ex se irrilevante per giustificare la 
disposta revoca del precedente provvedimento). 

La situazione non cambia se si qualifica il provvedimento de quo, nel 
merito, come atto di riforma del precedente decreto, produttivo, da un lato, 
di effetti ex tunc (retrodatando gli effetti giuridici alla data del provvedimento 
riformato) e, dall'altro, di effetti ex nunc (limitatamente agli effetti economici). 
Ci� in quanto tutti i provvedimenti che producono modificazione, totale 
o parziale, del contenuto di atti preesistenti -specie allorquando siano 
adottati in sede di autotutela e siano il frutto di valutazioni discrezionali non 
sfuggono all'onere di enunciazione delle ragioni giustificative della 
necessit� di �riponderare� la pregressa valutazione, non pi� idonea al conseguimento 
dell'interesse pubblico attuale. 

Pertanto, sotto l'esaminato profilo, le peculiari modalit� di adozione dell'atto 
contestato confermano un uso scorretto dello ius poenitendi da parte 
dell'Amministrazione, la cui azione appare oggettivamente sviata verso I'obiettivo 
di eludere -attraverso la caducazione di una precedente nomina, la 
quale si poneva quale elemento ostativo alla nuova statuizione -il divieto 
contemplato nel menzionato art. 5 del vigente regolamento sullo stato giuridico 
ed economico del personale di ruolo del Segretariato Generale della 
Presidenza della Repubblica. 

5) Alla luce delle su esposte considerazioni gli appelli vanno respinti, con 
conferma dell'impugnata sentenza (omissis). 


226 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 226 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 
CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 14 luglio 1997, n. 715 -Pres Pezzana -Est. 
Venturini -Perin Luigi Dino (avv. Alba e avv. Manzi) c. Prefetto di 
Vicenza e ANAS (avv. Stato Laporta.)V2 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione d'urgenza -Termini Norma 
sopravvenuta -Decreto di proroga posteriore alla scadenza illegittimit� 
-Offerta indennit� provvisoria di espropriazione -Deposito 
di somme non corrispondenti -Decreto di espropriazione -illegittimit�. 
(legge 25 giugno 1865, n. 2359; legge 22 ottobre 1971, n. 865). 

L'estensione alle espropriazioni per la realizzazione di opere statali dei 
primi due commi dell'art. 20 della legge n. 86511971 ad opera dell'art. 14 della 
legge n. 1011977 non ha comportato la proroga automatica delle occupazioni 
in corso, le quali pertanto richiedono un prowedimento dell'autorit� amministrativa 
che deve intervenire prima della scadenza del termine originario 
dell'occupazione (1). 

Il decreto di espropriazione deve essere preceduto dal pagamento dell'indennit� 
provvisoria accettata o dal deposito presso la Cassa Depositi e Prestiti 
di somma esattamente corrispondente a quella oggetto dell'offerta, la quale va 
ripetuta nel caso di rinnovo della dichiarazione di pubblica utilit� (2). 

Sebbene la scelta delle aree da espropriare ai fini della realizzazione dell'opera 
pubblica sia rimessa all'apprezzamento della p.a. � sindacabile in sede 
di legittimit� la illogicit� e la inutilit� della scelta effettuata che risulti ictu oculi 
e sia dimostrata dal comportamento contraddittorio dell'amministrazione (3). 

(omisiss) 1. L'appello � fondato. 

2.1 -Contro il decreto di proroga dell'occupazione � stata dedotta un'articolata 
censura. Se si � esercitato il potere di cui agli artt. 71 e segg. della 
legge n. 2359/1865, l'occupazione -si sostiene -non poteva essere protrat(
1) In termini CdS, sez. IV, 14 marzo 1995 n. 173 in Rass. Consiglio di Stato, 1995, 
I, 316; Cass., SS.UU., 2 ottobre 1993, n. 4186, in Rass. Cons. di Stato, 1993, Il, 1500. 
Sulla impossibilit� di proroga ex Jege, ai sensi dell'art. 14, comma Il, del d.l. 29 
dicembre 1987, n. 534 conv. dalla legge 29 febbraio 1988 n. 47 che proroga le occupazioni 
di urgenza in corso al 1 gennaio 1988, delle occupazioni divenute sine titulo per 
scadenza del termine originariamente previsto cfr. CdS, sez. IV, 3 febbraio 1996 n. 102, 
in Rass. Cons. Stato, 1996, I, 134; CdS, sez. IV, 16 luglio 1991 n. 592 in Rass. Cons. 

Stato, 1996,I, 1115. 
(2) Giurisprudenza -cfr. CdS, sez. IV, 20 marzo 1992, n. 306 in Rass. Cons. Stato 
1992, I, 398; CdS, sez. IV, 6 marzo 1996 n. 279, in Rass. Cons. Stato 1996, I, 367. 
(3) Sulla autonoma lesivit� della determinazione di scelta delle aree da espripriare 
cfr. Cons. giust. amm. reg. sic. 25 giugno 1990, n. 212, in Rass. Cons. 'Stato 1990, I, 
917; sulla legittimit� della scelta di area a destinazione agricola per l'insediamento 
provvisorio di terremotati cfr. CdS, sez. IV, 7 aprile 1988 n. 308, in Rass. Cons. Stato 
1988, I, 398. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

ta oltre il biennio. Se, invece, si � inteso applicare l'art. 20 della legge 
865/1971, l'occupazione poteva bens� protrarsi per cinque anni -si sottolinea 
-ma il provvedimento originario di occupazione 23 febbraio 197 4 aveva 
perso efficacia, per non essere seguita l'ammissione in possesso nei successivi 
tre mesi, ma solo due anni dopo (il 24 febbraio 1978). %Nell'uno e nell'altro 
caso, il decreto di proroga non poteva essere adottato. 

Ma a prescindere da ci�, il decreto di proroga era comunque illegittimo, 
perch� adottato dopo la scadenza del termine da prorogare. 

2.2 -Il Collegio osserva che quando venne adottato il decreto di occupazione 
d'urgenza 23 febbraio 1974 l'art. 20, 1� e 2� comma, della legge n. 
865/1971 non era stato ancora reso applicabile alle opere pubbliche statali. � 
divenuto applicabile, infatti, a tali opere solo in virt� del disposto dell'art. 14 
della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (l'art. 14 ha esteso esplicitamente il 1� 
comma dell'art. 20; la pi� recente giurisprudenza intende esteso anche il 2� 
comma, stante la stretta connessione fra le due norme). 
Il citato decreto prefettizio 23 febbraio 1974, perci�, non ha perso efficacia 
perch� l'immissione in possesso non � seguita nei tre mesi dalla sua 
emanazione, ma solo il 24 marzo 1976. 

2.3 -L'art. 14 della legge n. 10/1977, che ha esteso alle opere statali i 
primi due commi dell'art. 20 della legge n. 865/1971, � intervenuto quando 
era ancora in corso l'occupazione disposta inizialmente per non pi� di due 
anni, a termini dell'art. 73 della legge n. 2359/1865. Questa, pertanto, poteva 
essere prorogata fino ad un massimo di cinque anni, in forza delle nuove 
norme. 
Le nuove norme, per�, come � giurisprudenza pacifica, non hanno 
disposto.la proroga automatica delle occupazioni in corso, ma hanno solo 
previsto in via generale ed astratta l'elevazione del termine massimo di occupazione 
(Cass. S.U. 2 ottobre 1993, n. 9826; Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 173 
del 14 marzo 1995). 

Si richiede, perci�, ai fini della proroga della singola occupazione l'intermediazione 
di un provvedimento della Autorit� Amministrativa. 

2.4. Il provvedimento dell'Autorit� Amministrativa nella specie � intervenuto, 
ma tardivamente. 
L'immissione in possesso, come � pacifico in causa, � seguito il 24 febbraio 
1976. Il termine di due anni fissato nel decreto prefettizio 23 febbraio 
1974, dunque, scadeva il 24 febbraio 1978. Entro tale data, perci�, andava 
adottato il decreto di proroga. 

� stato, invece, adottato il 25 agosto 1978, a termine ormai scaduto e, 
quindi, illegittimamente, secondo costante giurisprudenza. 
Non ha alcun rilievo che la domanda di proroga sia stata avanzata prima 
della scadenza del termine. Ci� che conta, contrariamente a quanto sostiene 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

228 

l'Awocatura Generale, � che la proroga � stata disposta a termine da prorogare 
gi� scaduto. 

Il decreto del Prefetto di Vicenza 25 agosto 1978, pertanto, � illegittimo 
e va annullato (ovviamente in parte qua, limitatamente alla occupazione dei 
beni di cui � comproprietario il Sig. Perin Luigi Dino). 

3.1. -Sostiene l'appellante che � mancata l'offerta della indennit� 
prowisoria di_ espropriazione, condizione di legittimit� del prowedimento 
ablativo. 
Il motivo � fondato. 

Ai sensi dell'art. 13 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, l'unico presupposto 
per lemanazione del decreto di esproprio � costituito dalla prova, a carico 
dell'espropriante, di aver pagato all'espropriato l'indennit� prowisoria 
accertata o di averla depositata presso la Cassa Depositi e Prestiti se non 
accettata (l'art. 13 cit. � applicabile alle espropriazioni per la realizzazione di 
opere pubbliche statali in forza dell'art. 4 del cl.I. 2 maggio 1974, n. 115, convertito, 
con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974, n. 247. 

Nella specie il presupposto legittimante non si � realizzato per due ordini 
di considerazioni. 

3.2 -L'indennit� provvisoria depositata deve essere esattamente quella 
offerta. 
Agli atti risultano due offerte di indennit� provvisoria in data 1 O maggio 
1978 per L. 240.000 e in data 26 settembre 1979 per L. 53.225.909. Risulta, 
invece, depositata �quale indennit� di esproprio� la somma di L. 75.436.000, 
non corrispondente alle somme offerte. 

Nella sentenza appellata si afferma che la somma depositata � quella 
offerta in data 26 settembre 1979, incrementata degli interessi maturati dalla 
data di occupazione. 

Ma non � cos�. Gli interessi legali dalla data della occupazione (febbraio 
1976) alla data del deposito della somma (30 giugno 1980), secondo quanto 
calcolato dall'appellante e che non ha trovato smentita da parte 
dell'Amministrazione appellata, ammontano a L. 11.352.280 che, aggiunti 
alla somma capitale di L. 53.225.909 (offerta del 26 settembre 1979), danno 

L. 64.758.189: una somma del tutto diversa da quella depositata di 
L. 75.436.000. 
3.3 -Ma l'offerta dell'indennit� provvisoria � mancata anche per un altro 
ordine di considerazioni. 
L'approvazione del progetto di cui al D.M. 3 ottobre 1972, comportante 
dichiarazione di pubblica utilit�, prevedeva che le espropriazioni avessero 
compimento entro 7 anni dall'emanazione del prowedimento: e cio� entro il 
3 ottobre 1979. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Ci� non essendo stato possibile, si rese necessaria una nuova approvazione 
del progetto, agli effetti della dichiarazione di pubblica utilit�, cui si 
provvide con D.M. 22 gennaio 1980. 

La nuova dichiarazione di pubblica utilit� rendeva necessaria la rinnovazione 
di tutti gli atti del procedimento, ivi comprese la determinazione 
della indennit� provvisoria e della relativa offerta. 

Gli atti di determinazione dell'indennit� provvisoria e della relativa 
offerta, invece, non sono stati rinnovati dopo la nuova dichiarazione di pubblica 
utilit�. 

Non � esatto quanto affermato in sentenza, che l'offerta � stata formulata 
successivamente al rinnovo della dichiarazione di pubblica utilit�. Dopo il 
rinnovo, � stata depositata la somma di L. 75.436.000, ma nessuna offerta di 
tale importo risulta effettuata, n� l'Amministrazione appellata sostiene di 
averla effettuata. 

4.1 -Le considerazioni che precedono sono sufficienti a sorreggere una 
pronuncia di illegittimit� del decreto del Prefetto di Vicenza 5 febbraio 1981, 
per la parte relativa all'espropriazione dei beni che interessano l'appellante. 
Ma � fondata anche la seconda censura rivolta avverso il provvedimento 
espropriativo. 

Il Sig. Perin ha censurato la illogica e non necessaria espropriazione di 
alcuni mappali, che avrebbero potuto essere assoggettati a servit�, con eguale 
soddisfacimento dell'interesse pubblico (che anzi l'Erario sarebbe stato 
gravato da minore indennit�) e minore sacrificio del diritto del privato. 

Nella sentenza si afferma che tale censura � inammissibile sotto un 
duplice profilo. In primo luogo, perch� la doglianza non attiene al decreto di 
esproprio ma al provvedimento di approvazione del progetto, che ha determinato 
il complesso delle aree interessate dall'interv"ento. In secondo luogo, 
perch� il motivo attiene alla scelta delle aree, che fuoriesce dai limiti del sindacato 
di legittimit�. 

4.2 -Non � esatto che la determinazione dei terreni da espropriare sia 
avvenuta con il decreto di approvazione del progetto. 
A questo riguardo � da sottolineare che l'intera procedura si � svolta in 

un periodo di incertezza normativa, quando ancora la giurisprudenza non 

aveva chiarito la portata e l'ambito di applicabilit� delle nuove norme. 

Nelle premesse del decreto di esproprio il Prefetto di Vicenza richiama il 
proprio decreto n. 697/77 del 26 settembre 1979 �con il quale � stata dichiarata 
la esecutoriet� del piano�. 

Da ci� si evince che la procedura seguita non � quella di cui all'art. 10 
della legge n. 865/1971, legge che del resto non � nel decreto prefettizio mai 
menzionata, in cui la approvazione del progetto, comportante la dichiarazione 
di pubblica utilit�, segue la individuazione dei beni da espropriare. Si 
evince, altres�, che � stata seguita la procedura di cui al capo III della legge 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

230 

n. 2359/1865 in cui � il piano particolareggiato di esecuzione che individua i 
beni soggetti ad espropriazione, piano che viene redatto ed approvato dopo 
la dichiarazione di pubblica utilit�. 
Il D.M. 22 gennaio 1980, contenente nuova dichiarazione di pubblica utilit�, 
non ha fatto altro che riapprovare puramente e semplicemente il vecchio 
progetto, gi� approvato con D.M. 3 ottobre 1972 allorquando l'art. 10 della 
legge n. 865/1971 non era ancora applicabile alle opere pubbliche statali (ed in 
effetti nel D.M. 22 gennaio 1980 si richiama l'art. 13 della legge n. 2359/1865). 

Il D.M. 22 gennaio 1980, pertanto, non individua i beni da espropriare. 
Questi sono stati individuati con altri successivi atti endoprocedimentali, 
impugnabili solo con il provvedimento espropriativo. 

Non ha, poi, rilievo che i beni espropriati fossero stati gi� oggetto del 
provvedimento di occupazione, essendo questo preordinato a rendere possibile 
l'esecuzione dei lavori e potendo interessare anche beni non necessariamente 
da espropriare. 

4.3 -La scelta delle aree da espropriare, ai fiIJ.i della realizzazione dell'opera 
pubblica � rimessa all'apprezzamento della pubblica Amministrazione e 
non � sindacabile in sede di legittimit�. 
Se ci� � esatto, � per� altrettanto incontrovertibile che non impinge nel 
merito, ma rimane nell'ambito della legittimit�, un sindacato del Giudice che 
si limiti a rilevare la illogicit� e la inutilit� ai fini dell'interesse pubblico della 
scelta effettuata, quando risultino ictu oculi e siano resi palesi dal comportamento 
contraddittorio dell'Amministrazione. 

Nella specie, a quanto risulta dagli atti e non smentito dall'Amministrazione 
appellata; la proiezione dell'impalcato nel capannone risulta in parte 
espropriata (mappale 1027) ed in parte assoggettata a servit� (1029). Sono 
stati poi espropriati i mappali 1031 e 1038, che individuano lo spazio di 
entrata del capannone, questo solo in parte espropriato. 

� Ci� sta a significare che la scelta dell'amministrazione � stata incoerente 
ed irrazionale e rende viziato di illegittimit� per questo aspetto il provvedimento 
espropriativo. 

A questo rilievo non pu� certo rispondersi nei termini della sentenza 
appellata. Se alcuni mappali riguardano aree di transito per l'accesso al 
capannone -si legge nella sentenza -la circostanza non implica che si 
dovesse imporre servit� e non procedere ad espropriazioni. Sulle aree espropriate, 
rovesciando la prospettiva, ben poteva, secondo la sentenza, essere 
imposta una servit� coattiva di transito a favore dell'espropriato. 

Non c'� bisogno di particolari commenti, a parte il fatto che nulla si dice 
sul rilievo che il capannone era stato in parte espropriato e in parte asservito. 

5. In conclusione l'appello va accolto e la sentenza appellata va riformata. 
� da accogliere il ricorso in primo grado e, per l'effetto, sono da annullare 
i provvedimenti impugnati, limitatamente alle aree che interessano l'appellante 
(omissis). 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 231 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 11 dicembre 1997 n. 1383 -Pres. Pezzana Est. 
Santoro -Impresa Del Favero (avv. Del Greco e Cancrini) c. Capone 
ed altri (avv. Abbamonte), Prefetto di Benevento, Ministero dei Beni 
Culturali, Ministero dei Lavori Pubblici, ANAS (avv. Stato Arena E.), 
Comune di Benevento (n.c.) e Provincia di Benevento (n.c.) 

Espropriazione per pubblica utilit� -Termini -Termine ex art. 1 terzo 
com.ma 1. n. 1 del 1978 -Natura acceleratoria. 

Espropriazione per pubblica utilit� -Termini -Inizio e ultimazione della procedura 
-Proroga -Casi di forza maggiore -Individuazione. 

Il termine indicato dall'art. 1, terzo comma, della legge 3 gennaio 1978, 

n. 1, in base al quale le dichiarazioni di pubblica utilit� e di urgenza e di indifferibilit� 
divengono inefficaci se le opere non hanno avuto inizio nel triennio 
successivo all'approvazione del progetto, ha natura acceleratoria, imponendo 
una completa rinnovazione delle valutazioni sottostanti a quelle dichiarazioni 
ove il termine stesso sia comunque decorso. 
Sotto questo profilo la disposizione ha carattere aggiuntivo e non sostitutivo 
dell'art. 13 legge 25 giugno 1865 n. 2359 (1). 

In base all'art. 13, secondo comma, della legge 25 giugno 1865, n. 2359 itermini, 
entro cui dovranno cominciare e compiersi le espropriazioni ed i lavori, 
possono essere prorogati per casi di forza maggiore o per altre ragioni indipendenti 
dalla volont� dei concessionari, dovendosi intendere come obiettive difficolt� 
che si frappongono al compimento degli atti espropriativi e che, mentre 
impediscono il regolare corso del procedimento, non possono essere altrimenti 
superate, non offrendo l'ordinamento, a questi fini, idoneo strumento giuridico, 
con la conseguenza che l'interesse pubblico inerente alle acquisizioni coattive 
degli immobili non pu� trovare soddisfacimento nei termini stabiliti (2). 

(omissis) 1. Gli appellati sono titolari di alcuni appezzamenti di terreno 
siti in Benevento lungo l'asse dell'attuale strada statale Benevento-TeleseCaianiello. 


(1) In tal senso si era gi� orientata la giurisprudenza, cfr. le sentenze indicate pure 
nella motivazione della sentenza de qua, Cons. Stato, Sez. IV, 5 maggio 1981 n. 381, in 
Il Cons. Stato, 1981, I, 508; id., 20 aprile 1993 n. 436, ivi 1993, I, 509. 
Nel senso che la necessaria fissazione dei termini nel prjmo atto della procedura 
espropriativa attiene agli stessi presupposti di costituzionalit� deff�spropriazione e, 
quindi, da un lato, non � ammissibile sanatoria con efficacia ex tunc mediante convalida 
dell'atto; dall'altro, una eventuale integrazione postuma ex nunc dell'atto stesso 
non ne elimina l'originaria illegittimit� cfr. per tutte, Cons. Stato, Sez. IV, 23 giugno 
1994 n. 204, in Il Cons. Stato, 1994, I, 962; id., 5 giugno 1995 n. 416, ivi, 1995, I, 659 ; 
id., 15 aprile 1997 n. 395, ivi, 1997, I, 479. � ' 

(2) Negli esatti termini in fattispecie riguardante il mancato tempestivo accordo 
per la cessione. volontaria che � stato ritenuto non costituire valida ragione per consentire 
la proroga Cons. Stato, Sez. IV, 21 dicembre 1985 n. 81O, in Il Cons. Stato, 1985, 
I, 1550, citata anche nella sentenza de qua. 
Sulla ammissibilit� di pi� proroghe successive id., 17 luglio 1996 n. 863, ivi, 1996, 
I, 1111. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

232 

In data 5 settembre 1991 era stato notificato ai proprietari catastali il 
decreto di occupazione del Prefetto di Benevento (relativo alla realizzazione 
del raddoppio del primo tratto della S.S. 372 Benevento Telese Caianiello), a 
seguito di espressa richiesta inoltrata dall'ANAS. Tale decreto era impugnato 
innanzi al T AR Campania. 

In data 24 settembre 1987 il Comune di Benevento con delibera di G.M. 

n. 2915 esprimeva parere favorevole al progetto di massima del raddoppio 
della S.S. 372, che, gi� redatto dal Centro Manutentorio dell'A.N.A.S., era 
stato inviato dall'A.N.A.S. al Comune in data 17 settembre 1987. 
Il 3 aprile 1989 con delibera n. 808 la Giunta della Provincia di 
Benevento, chiamata ad esprimere parere sull'opera ai sensi della legge reg. 
23 febbraio 1982 n. 10, deliberava il proprio assenso all'opera sul presupposto 
dell'inoperativit� della apposita Commissione Beni Ambientali. 

Alla luce dei pareri sopra descritti la Regione Campania esprimeva 
anch'essa il proprio assenso sulla medesima richiesta dell'A.N.A.S. con delibera 
3119 del 7 luglio 1989. 

Il 20 marzo 1990 il Ministro dei Lavori Pubblici, in qualit� di Presidente 
dell'A.N.A.S., con decreto n. 1072 approvava il progetto dell'opera in questione 
�redatto da libero professionista per conto dell'A.N.A.S. in data 26 aprile 
1989 n. 14177 .... �. Con lo stesso decreto il Ministero dei Lavori Pubblici stabiliva 
i termini di inizio lavori ed espropriazioni (un anno dal 21marzo1990) 
e termine lavori ed espropriazioni (gg. 1800 e 2520 dal 21 marzo 1990). Con 
successivo D.M. n. 22 dell'8 aprile 1991 venivano approvate le risultanze della 
gara d'appalto ed era affidata alla aggiudicataria impresa Ingg. Lino e Ito Del 
Favero -Impresa di costruzioni S.p.a., l'esecuzione degli espropri occorrenti. 

Con la sentenza appellata il TAR accoglieva il ricorso proposto dagli 
interessati avverso gli atti suddetti. 
Con atto notificato il 15 luglio 1994 propone ora appello l'impresa Ingg. 
Lino e Ito Del Favero -Impresa di costruzioni S.p.a. 

2. In via pregiudiziale l'impresa eccepisce la mancata notifica ad essa del 
ricorso di 1� grado. Gli appellati sostengono viceversa il difetto di legittimazione 
attiva dell'appellante. 
Entrambe le censure sono da disattendere. 

Invero, come detto, l'impresa Ingg. Lino e Ito Del Favero era stata incaricata 
delle procedure espropriative con il decreto ministeriale n. 22 dell'8 
aprile 1991. Essa pertanto sarebbe stata l'unica controinteressata rispetto al 
provvedimento di aggiudicazione (ma il D.M. n. 22 dell'8 aprile 1991 non era 
stato impugnato nella parte in cui erano state approvate le risultanze della 
gara d'appalto) ed era, viceversa, controinteressata, insieme con gli enti locali 
interessati, anche rispetto agli altri provvedimenti impugnati in 1� grado, 
riguardanti l'approvazione e localizzazione dell'opera in questione ed i procedimenti 
ablatori correlati alla sua esecuzione. 

���-"-�1�1=1111�111�111�1��1 ~ 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Il ricorso di 1 o grado non poteva conseguentemente ritenersi inammissibile 
sotto il profilo considerato, essendo stato appunto notificato agli enti 
locali e, dunque, almeno ad uno dei controinteressati, oltre che alle autorit� 
emananti. 

Deve ritenersi viceversa che l'impresa Ingg. Lino e Ito Del Favero sia 
legittimata all'appello, in quanto dall'annullamento degli atti impugnati in 
questo giudizio conseguirebbe anche la caducazione del decreto ministeriale 

n. 22 dell'8 aprile 1991, con cui essa era appunto stata incaricata delle procedure 
espropriative. 
3. -Nel merito l'appello � peraltro fondato. 
Il tribunale, con la sentenza appellata, aveva accolto il secondo motivo, 
con cui era stato dedotto che il parere degli enti locali interessati sarebbe 
stato reso soltanto sul progetto redatto nel 1977 dall' Ammistrazione, mentre 
il progetto, al quale si riferiva la dichiarazione di pubblica utilit� adottata 
nel 1990, era quello redatto da un professionista esterno ed approvato 
nel 1989. 

I due progetti, secondo il TAR, sarebbero stati diversi, con la conseguenza 
della necessit� di rinnovare le intese tra Stato ed enti territoriali interessati, 
anche relativamente al secondo progetto. 

La sezione, tuttavia, condivide quanto dedotto in merito dall'appellante, 
secondo cui dei due progetti, identici nella localizzazione e nel tracciato, 
il secondo � in realt� l'approfondimento del primo sotto il profilo tecnologico, 
e precisamente nelle specifiche soluzioni tecniche costruttive, in particolare 
nelle pavimentazioni o nei lavori di fondazione, aspetti questi certamente 
non oggetto di indispensabile esame in sede di intese con gli enti territoriali 
interessati. Tantopi� che pacificamente si ammette che tali intese 
possano sopraggiungere in corso di esecuzione delle opere quando, come � 
noto, possono adottarsi varianti in corso d'opera che non alterano l'oggetto 
delle intese medesime, come proposte ai rispettivi organi deliberativi degli 
enti interessati. 

Quanto ora detto smentisce anche la violazione dell'art. 81 del d.P.R. n. 
616 del 24 luglio 1977, dedotta dai resistenti sotto il profilo che i pareri del 
Comune di Benevento e della Regione Campania avrebbero avuto ad oggetto 
un progetto diverso da quello inizialmente redatto dall'ANAS. 

4. -Con il quinto motivo, parimenti accolto dal primo giudice, era stata 
ritenuta l'incompetenza della giunta provinciale di Benevento nell'esprimere 
il parere, quale ente sub delegato -ex L. reg. Campania n. 1 O del 23 febbraio 
1982 -alla tutela ambientale di cui alla delibera di giunta numero 808 del 3 
aprile 1989, per incompleta formazione della Commissione tecnico-consultiva, 
che avrebbe dovuto esprimersi sugli aspetti ambientali degli affari ad essa 
sottoposti. Sarebbe avvenuto che, nel presupposto della mancanza del numero 
legale per tre sedute consecutive della commissione, senza la sostituzione 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

234 

degli assenti ingiustificati, si era proweduto ad esprimere comunque il parere. 
Di qui la illegittimit� del parere e, per esso, del procedimento intero. 

La sezione tuttavia non ritiene -conformemente al corrispondente motivo 
prospettato dall'appellante -che il parere in questione sia illegittimo. 

In base alla legge reg. Campania 23 febbraio 1982 n. 10, pubblicata tra 
l'altro sulla G.U. 23 giugno 1982 n. 170, la commissione per la tutela dei beni 
ambientali ha il compito (6� cpv. delle direttive allegate alla legge reg.): 

�a) di esprimere parere in merito alle materie di cui all'art. 82 del d.P.R. 

n. 616 del 24 luglio 1977, non comprese tra quelle sub-delegate ai comuni ai 
sensi del 2� comma dell'art. 6 della legge regionale 1� settembre 1981 n. 65; 
b) di consulenza in materia di Tutela dei Beni Ambientali, Paesistici ed 
Architettonici e di uso di edifici di particolare pregio e, comunque, su tutte le 
questioni che l'Amministrazione comunitaria o provinciale interessata riterr� 
opportuno sottoporle�. 

Tra le funzioni sub-delegate ai comuni ai sensi del 2� comma dell'art. 6 
della legge regionale 1 � settembre 1981 n. 65, non vi sono quelle concernenti 
l'apertura di strade e cave di cui alla lett. c) dell'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 
1977 n. 616 che, viceversa, rientrano tra quelle sub-delegate alle Province giusta 
gli artt. 6, 3� comma, della legge reg. Campania 1� settembre 1981 n. 65 e 
23 della legge reg. Campania 29 maggio 1980 n. 54. 

Ebbene, il parere della commissione per la tutela dei beni ambientali � 
obbligatorio, ma la stessa legge reg. 1 O del 1982 cit. prevede un sistema per 
ovviare alla mancanza del numero legale della commissione ed all'impossibilit� 
di questa di esprimere il parere, come awenuto nella specie, prescrivendo 
che il parere sia reso entro 1 O giorni, trascorsi i quali il Presidente della 
Provincia ha facolt� di adottare i prowedimenti di propria competenza (26� 
cpv. delle direttive allegate alla legge reg.). 

4. -Anche gli altri motivi, richiamati con memoria dagli appellati, non 
sono fondati. 
L'art., 1, 3� comma, legge 3 gennaio 1978 n. 1 prevede che le dichiarazioni 
di pubblica utilit� e di urgenza ed indifferibilit� divengono inefficaci se 
le opere non hanno avuto inizio nel triennio successivo all'approvazione del 
progetto. Tale termine ha natura acceleratoria, imponendo una completa rinnovazione 
delle valutazioni sottostanti a quelle dichiarazioni ove il termine 
stesso sia comunque decorso. Sotto questo profilo la previsione della citata 
disposizione ha carattere aggiuntivo e non sostitutivo dell'art. 13 legge 25 giugno 
1865 n. 2359. Come questa sezione ha gi� avuto modo di osservare, la 
dichiarazione di pubblica utilit� deve dunque contenere i termini di inizio e 
di ultimazione della procedura espropriativa e dei lavori, anche dopo l'entrata 
in vigore della legge n. 1del1978 (Cons. Stato, sezione IV, 20 aprile 1993 

n. 436; 5 maggio 1981, n. 381). Tanto pi� che la legge n. 2359 dei 1865 impone 
la fissazione di termini finali della procedura espropriativa e dei lavori, a 
garanzia della propriet� soggetta all'espropriazione e dello stesso interesse 
~= 

1



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

pubblico sotteso alla realizzazione dell'opera, mentre l'art. 1, 3� comma, legge 

n. 1 del 1978 nulla dispone e innova a questo riguardo. 
Dispone inoltre l'art. 13, 2� comma, legge 25 giugno 1865 n. 2359, che i 
termini, entro i quali dovranno incominciarsi e compiersi le espropriazioni 
ed i lavori, possono essere prorogati �per casi di forza maggiore o per altre 
ragioni indipendenti dalla volont� dei concessionari�. 

Va ricordato che, ai sensi della richiamata norma, costituiscono valide 
ragioni che non dipendono dalla volont� dell'ente espropriante quelle aventi 
il loro fondamento in obiettive difficolt� che si frappongono al compimento 
degli atti espropriativi, nel senso che tali ragioni, mentre impediscono il regolare 
corso del procedimento, non possono essere altrimenti superate, non 
offrendo l'ordinamento, a questi fini, idoneo strumento giuridico, con la conseguenza 
che l'interesse pubblico inerente alle acquisizioni coattive degli 
immobili non pu� trovare soddisfacimento nei termini prestabiliti (cfr. sez. 
IV 21dicembre1985, n. 810). 

Nella specie con il D.M. del Ministro dei LL.PP. 22 ottobre 1992 n. 2955 
si � proceduto ad una nuova approvazione del progetto, ai fini della dichiarazione 
di p.u., con l'indicazione di nuovi termini (360 gg. per l'inizio delle 
espropriazioni; 1080 gg. e 1800 per il compimento dei lavori e delle espropriazioni), 
questa volta osservati. 

I motivi addotti per la proroga (difficolt� connesse all'aggiudicazione dei 
lavori) non sembrano insussistenti n� tantomeno irrilevanti od illogici e, pertanto, 
sorreggono adeguatamente il decreto in argomento, contrariamente a 
quanto sostenuto dai deducenti. 

L'appello deve dunque accogliersi per quanto di ragione ed in riforma 
della sentenza appellata, i ricorsi di 1� grado devono essere respinti (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. IV, 11dicembre1997, n.1386 -Pres. Pezzana Est. 
Santoro -Ministero dell'Interno (avv. Stato Aiello) c/ Bertinato 
Giulio ed altri. 

Elezioni comunali -Dimissioni consiglieri comunali ultra dimidium -Non 
simultaneit� -Scioglimento Consiglio comunale -Esclusione. 
(legge 8 giugno 1990 n. 142, artt. 31 e 39). 

Le disposizioni di cui ai decreti-legge 30 agosto 1996, n. 452 e 23 ottobre 
1996, n. 550, non convertiti, ma i cui oggetti sono stati fatti salvi dall'art. 1 
comma 171 della legge 23 dicembre 1996 n. 662, non hanno carattere interpretativo 
e dunque sono inapplicabili a prowedimenti ad esse anteriori. 

L'art. 31 della legge 8 giugno 1990, n. 142 come modificato dall'art. 7 
della legge 15 ottobre 1993 n. 415 e l'art. 39 della stessa legge n. 142 del 1990 
vanno interpretati nel senso di riconoscere efficacia differita, con conse



236 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 
guente surrogazione, alle dimissioni infra dimidium ed efficacia immediata, 
con conseguente scioglimento del Consiglio comunale, alle dimissioni ultra 
dimidium simultanee, cio� presentate lo stesso giorno (1). 
(omisiss) 1. -In ordine alle questioni prospettate dall'appellante, la 
Sezione ritiene di dovere seguire la soluzione data dall'Adunanza plenaria 
(dee. n. 15 del 24 luglio 1997) che ha ormai chiarito come era stato chiesto 
l'ordinanza di questa Sezione n. 1329/96 del 20 dicembre 1996, il rapporto 
fra dimissioni ultra dimidium dei consiglieri presentate in tempi diversi, 
loro surrogazione e scioglimento dei consigli degli enti locali, alla stregua 
del rapporto tra l'art. 39, 1� comma, lett. b), n. 2, della legge 8 giugno 1990, 
n. 142 (�I consigli comunali... vengono sciolti... quando non possa essere 
assicurato il normale funzionamento degli organi... per le seguenti cause: 2. 
dimissioni o decadenza di almeno la met� dei consiglieri;�), l'art. 22, 1� 
comma della stessa legge n. 142 ( �l. Nei consigli ... comunali... il seggio che 
durante il quadriennio rimanga vacante per qualsiasi causa, anche se 
sopravvenuta, � attribuito al candidato che nella medesima lista segue 
immediatamente l'ultimo eletto�) e l'art. 31, commi 2 e 2 bis, ripetuta legge, 
quest'ultimo nel testo aggiunto dall'art. 7 legge 15 ottobre 1993 n. 415 (�2. 
I consiglieri entrano in carica all'atto della proclamazione, ovvero, in caso 
di surrogazione, non appena adottata dal consiglio la relativa deliberazione. 
2-bis. Le dimissioni dalla carica di consigliere sono presentate dal consigliere 
ai rispettivi consigli. Esse sono irrevocabili, non necessitano di 
presa d'atto e diventano efficaci una volta adottata dal consiglio la relativa 
surrogazione che deve avvenire entro venti giorni dalla data di presentazione 
delle dimissioni�). 
Il problema aveva dato luogo a contrasti giurisprudenziali fra la I 
Sezione (parere 5 giugno 1956, n. 1058) ed alcune ordinanze cautelari di V e 
IV Sezione. 
L'appello propone la questione dei presupposti per lo scioglimento dei 
consigli comunali per dimissioni di almeno la met� dei consiglieri. 
La questione, che nelle sue linee generali � di antica data, involge il coordinamento 
tra due istituti diversi: quello (attualmente previsto dall'art. 22 
della legge 25 marzo 1993 n. 81) della surrogazione dei consiglieri cessati 
dalla carica e quello (attualmente previsto dall'art. 39 comma 1 lett. b) n. 1) 
della legge 8 giugno 1990 n. 142) dello scioglimento dei consigli quando non 
possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi 
per dimissioni di almeno la met� dei consiglieri. 
Per la verit�, il tipo di coordinamento tra i due istituti non sembra suscitare, 
di per s�, perplessit�. 
1: 
(1) Conferma A.P. 24 luglio 1997 n. 15 (in Rassegna Consiglio di Stato 1997, I, i 
988) nonch� Cons. Stato, Sez IV, 1� ottobre 1997 n. 1062 (in Rassegna Consiglio di 

Stato, 1997, I, 1335). 

! 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Sembra chiaro che il principio dello scioglimento del consiglio dimidiato 
si pone come limite al principio della surrogazione, nel senso che si fa 
luogo a surrogazione a meno che non ricorrano gli estremi per lo scioglimento 
dell'organo. 

Quel che ha determinato gi� in passato problemi interpretativi � stata 
piuttosto la definizione di una fattispecie -quella delle dimissioni ultra 
dimidium -�a forma libera�. 

Nel previgente sistema della presa d'atto delle dimissioni, si sono avute 
risalenti acquisizioni giurisprudenziali secondo cui �nell'ipotesi in cui la 
met� dei consiglieri si dimetta contemporaneamente, i seggi rimasti vacanti 
non possono essere attribuiti ai candidati che seguono i dimissionari nella 
medesima lista, ai sensi dell'art. 81 t.u. 16 maggio 1960 n. 570, ma si deve 
procedere all'integrale rinnovazione del consiglio, a nonna dell'art. 8 lett. b) 
del citato testo unico� (sez: I, par. 4 dicembre 1970, n. 2736) e, per contro, �la 
cessazione anticipata del consiglio comunale prevista dall'art. 8 t.u. 16 maggio 
1960 n. 570 non pu� essere pronunziata se le dimissioni dei consiglieri 
siano state presentate in momenti successivi e di esse sia stato preso atto in 
momenti diversi, sicch� si sia gi� prodotta la surrogazione dei consiglieri 
dimissionari dal primo momento� (sez. I, par. 23 febbraio 1973 n. 2309). 

La presa d'atto delle dimissioni -e la conseguente surrogazione dei 
dimissionari -costituiva pertanto, nell'ordinamento previgente, un parametro 
sufficientemente certo, per l'interprete, per discrimare surrogazione dei 
consiglieri e scioglimento del consiglio. 

La linearit� del sistema, peraltro, era soltanto apparente, giacch� i consigli, 
manipolando sapientemente i tempi delle prese d'atto e delle conseguenti 
surrogazioni, determinavano nei singoli casi il risultato politico -surrogazione 
o scioglimento -voluto. 

La legge 8 giugno 1990 n. 142 aveva inteso innovare nella materia eliminando 
la presa d'atto delle dimissioni, come rilevato da questa Adunanza plenaria 
con la decisione 5 agosto 1993 n. 10. 

L'efficacia immediata delle dimissioni, peraltro, che ne comportava l'irrevocabilit�, 
se per un verso faceva giustizia di ogni possibile �pratica negoziale
� intorno ad esse, per altro verso aveva obiettivamente l'effetto di agevolare, 
con le dimissioni collettive, lo scioglimento del consiglio. 

� cos� che il legislatore della legge 15 ottobre 1993 n. 415 introduceva 
con l'articolo 7, nel testo dell'art. 31 della legge 8 giugno 1990 n. 142, un 
comma 2-bis del seguente tenore: �le dimissioni dalla carica di consigliere 
sono presentate dal consigliere medesimo ai rispettivi consigli. Esse sono 
irrevocabili, non necessitano di presa d'atto e diventano efficaci una volta 
adottata dal consiglio la relativa surrogazione che deve awenire entro venti 
giomi dalla data di presentazione delle dimissioni�. 

In tal modo, differita al momento della surrogazione l'efficacia delle dimissioni, 
il problema del coordinamento tra surrogazione dei consiglieri e scioglimento 
del consiglio si poneva su nuove basi e creava nuovi interrogativi. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

238 

2. Va precisato che, nelle more del giudizio, � stato adottato il d.l. 30 agosto 
1996 n. 452, il cui art. 1 cos� dispone al comma 1: �Il comma 2-bis dell'art. 
31 della legge 8 giugno 1990 n. 142 � sostituito dal seguente: 
�2bis: Le dimissioni dalla carica di consigliere, indirizzate al rispettivo 
consiglio, devono essere assunte al protocollo dell'ente nella medesima giornata 
di presentazione. Esse sono irrevocabili, non necessitano di presa d'atto 
e sono immediatamente efficaci. Il consiglio deve procedere alla relativa surrogazione 
entro venti giorni dalla data della presentazione delle dimissioni. 
Non si fa luogo alla surrogazione qualora, ricorrendone i presupposti, si 
debba procedere allo scioglimento del consiglio a norma dell'art. 39, comma 
1, lettera b), n. 2), della presente legge�. 

Decaduto il decreto-legge per mancata conversione in legge, tale disposizione 
� stata reiterata con l'art. 1 del d.l. 23 ottobre 1996 n. 550, anch'esso 
non convertito in legge. 

Successivamente, l'art. 1 comma 171 della legge 23 dicembre 1996 n. 662 
ha disposto che restano validi gli atti e provvedimenti adottati e sono fatti salvi 
i procedimenti instaurati, gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla 
base dei decreti-legge 30 agosto 1996, n. 452 e 23 ottobre 1996, n. 550. 

Tali disposizioni non sono applicabili nel caso di specie, in quanto successive 
alla data di emanazione dei provvedimenti impugnati. 

N� � fondatamente sostenibile una loro efficacia interpretativa. 

Va riconosciuto, infatti, carattere interpretativo soltanto ad una legge 
che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisca il significato 
ovvero privilegi una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il 
contenuto precettivo � espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente 
e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le quali rimangono 
entrambe in vigore e sono quindi idonee ad essere modificate separatamente 
(cfr. Corte cost., sent. n. 155 del 1990). 

Qui, invece, il testo della disposizione viene completa~ente modificato, 
con proposizioni nuove ed in parte anche contrastanti con i precetti della 
norma precedente: in particolare, in punto di efficacia immediata delle 
dimissioni, che si sovrappone alla precedente efficacia differita. 

Nemmeno vi � elemento alcuno a sostegno di una presunta efficacia 
retroattiva. 

Tale, in carenza di espressioni esplicite, non � il richiamo all'esigenza di 

assicurare la certezza dei rapporti tra gli organi di comuni e provincie, con


tenuto nella motivazione dei decreti-legge: infatti, tale motivazione, che � 

preordinata ad esternare le ragioni di necessit� ed urgenza, non fa alcun 

riferimento ai rapporti pendenti n� alle controversie in atto, n� comunque 

ad alcun altro elemento da cui possa desumersi l'efficacia ex tunc della 

disposizione. 

La fattispecie dissolutoria andrebbe definita in base a criteri procedimentali. 




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Secondo sez. I, par. 12 febbraio 1997 n. 209 e 5 marzo 1997 n. 358, la 
novella del 1993 sarebbe diretta ad evitare lo scioglimento anticipato del consiglio 
quante volte il quorum delle dimissioni si raggiunga esclusivamente per 
effetto di nuove dimissioni presentate quando � gi� avviato, nei termini, il 
procedimento di surrogazione. 

In questo orientamento si inscrive anche la sentenza appellata secondo 
la quale sarebbe il termine di venti giorni per le surrogazioni a costituire elemento 
di qualificazione della fattispecie dissolutoria, che si realizzerebbe 
soltanto in presenza di dimissioni simultanee, cio� presentate sotto la stessa 
data. 

4. � da osservare, in primo luogo, che la novella del 1993, come risulta 
dal mancato richiamo alla fattispecie dissolutoria di cui all'art. 39 e dai lavori 
parlamentari, di cui si dir� appresso, non ha inteso soppri:tnere in toto lo 
scioglimento del consiglio comunale per dimissioni ultra dimidium, il che, 
del resto, avrebbe comportato un riesame complessivo del rapporto tra continuit� 
e rappresentativit� dell'organo, del tutto assente dall'intenzione dei 
conditores legis quale emerge dai lavori parlamentari. 
Essa ha inteso assicurare maggiore stabilit� ai consigli favorendo le surrogazioni. 
La questione del coordinamento tra i due istituti, surrogazioni e scioglimento, 
� dunque tuttora attuale. 

Il fatto, che con la novella del 1993 si sia introdotta una nuova disciplina 
dagli effetti immediati -la cessazione dalla carica -di una delle fattispecie 
alternative -le dimissioni infra dimidium, divenute atti ad efficacia 
differita -comporta, a ben vedere, una conseguenza implicita ulteriore: le 
fattispecie, producendo effetti immediati differenti, si sono trasformate da 
aperte in chiuse. 

Le dimissioni, nel momento in cui vengono poste in essere, se infra 
dimidium vanno assoggettate al regime giuridico dell'art. 31 (efficacia differita, 
surrogazione), ovvero, se ultra dimidium vanno assoggettate al regime 
giuridico dell'art. 39 (efficacia immediata, sospensione e scioglimento 
del consiglio) e ci� dipende dall'appartenenza al rispettivo tipo strutturale 
originario. 

In mancanza di un'articolazione specifica, l'unit� di tempo cui va riferita, 
secondo i principi generali, la qualificazione differenziale delle fattispecie 
delle dimissioni � il giorno (artt. 1187 e 2963 e.e.). 

Le dimissioni, pertanto sono ultra dimidium, e danno luogo allo scioglimento 
del consiglio, se simultanee, cio� se presentate nello stesso giorno; 
sono infra dimidium negli altri casi. 

A nulla rileva che dimissioni non dissolventi presentate in giorni 
diversi raggiungano successivamente la soglia di depauperamento della 
met� dei consiglieri: infatti, in presenza di tipi strutturali diversi anche 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

240 

nella produzione degli effetti immediati, dimissioni originariamente 
oggetto di qualificazione come infra dimidium non mutano successivamente 
qualificazione e regime giuridico per divenire elementi di una unitaria 
fattispecie dissolutoria. 

Le esposte conclusioni trovano qualche conforto anche nei lavori preparatori 
della legge n. 415 del 1993. 

Nella seduta del 6 ottobre 1993 dell'assemblea della Camera, il deputato 
Novelli, confirmatario dell'emendamento Piscitello 7.2, nello spiegare il funzionamento 
dell'efficacia differita delle dimissioni cos� si esprimeva: �In tal 
modo si evita il rischio che una minoranza possa aggregarsi ad un consigliere 
della maggioranza e determinare cos� lo scioglimento del consiglio�. 

Trasferito il discorso del terreno politologico: maggioranza-minoranza 
a quello della struttura delle dimissioni, se quel che rileva nello scopo pratico 
perseguito dal legislatore � la concertazione delle dimissioni, � la 
simultaneit� delle stesse che ne costituisce, secondo l'id quod prelumque 
accidit, l'elemento presuntivo di concertazione e realizza l'intento pratico 
di escludere dall'ambito della fattispecie dissolutoria l'azione di maggioranze 
�inopinate�. 

Nella specie, le dimissioni in questione erano state presentate in giorni 
diversi e, come tali, non erano idonee a determinare lo scioglimento del 
consiglio. 

Per le suesposte considerazioni, l'appello deve essere respinto, essendo il 
dispositivo dell'appellata conforme a legge, e dovendosene soltanto modificare 
la motivazione nel senso sopra descritto (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 3 febbraio 1997 n. 137 -Pres. Calabr� -Est. 
Patroni Griffi -Raffaele Barbuto (avv. Luciani, Sorrentino e Panedigrano) 

c. Commissione elettorale di Catanzaro (avv. Stato Cesaroni). 
Elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale -Liste dei candidati Presentazione 
-Certificato elettorale dei sottoscrittori -Esibizione 
-Necessit�. 

(d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, art. 32) 
L'art. 32 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 (T. U. delle leggi per le elezioni 
comunali), ai sensi del quale all'atto della presentazione della lista debbono 
essere depositati, a pena di inammissibilit�, i certificati che attestano l'iscrizione 
dei sottoscrittori nelle liste elettorali del Comune, deve essere inteso nel 
senso che gli elettori presentatori sono tenuti a provare documentalmente la 
loro qualit� non potendo essere addossato alla commissione elettorale, per il 
principio di celerit� del procedimento elettorale, l'onere della ricerca nelle liste 
dei relativi nominativi. 



\ PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 241 

� pertanto legittimo il provvedimento, reso dalla Commissione elettorale, 
che dispone l'esclusione di una lista dalla competizione elettorale a causa 
del mancato deposito, nei termini, dei predetti certificati (1). 

(omissis) Gli appelli possono essere riuniti perch� concernono identica 
questione. 

Questa consiste nello stabilire se sia o meno legittima l'esclusione di una 
lista, dalla competizione elettorale per il rinnovo del consiglio comunale, a 
causa del mancato deposito, all'atto della presentazione della lista, dei certificati 
elettorali di tutti i sottoscrittori. 

(1) La decisione merita segnalazione in quanto il Consiglio di Stato torna sui propri 
passi nel riesaminare la questione relativa alla necessit�, da parte degli elettori presentatori, 
di depositare a pena di inammissibilit�, all'atto della presentazione della 
lista, i certificati comprovanti la propria qualit� di elettori. Il precedente contrario, 
risalente al 1994, si era scontrato per la verit�, con la prassi consolidata degli uffici elettorali, 
di richiedere il deposito dei certificati, a pena di esclusione, pur in presenza di 
un non chiaro disposto normativo contenuto nell'art. 32 del T.U. n. 570 del 1960, che 
si limita a sancire la necessaria iscrizione degli elettori nella lista del comune. La 
cogente interpretazione adottata dai competenti organi amministrativi nasceva dalle 
evidenti difficolt� pratiche, per gli uffici,elettorali, di procedere al controllo di migliaia 
di nominativi con il rischio effettivo di intralciare ed appesantire il procedimento elettorale 
e di esporlo altres� a forti rischi di invalidazione (nel caso in esame la difesa erariale 
aveva sottolineato l'avvenuta richiesta presso gli uffici comunali nell'approssimarsi 
delle elezioni, di ben 10.000 certificati elettorali). 
La contraria decisione (Cons. St., V, 3 ottobre 1994 n. 1091 in Cons. di Stato 
1994, I, 1346 e ss ), pur riconoscendo che la diretta produzione della certificazione in 
parola avrebbe agevolato il riscontro del requisito legale, tuttavia, in stretta aderenza 
al principio di legalit�, aveva statuita l'illegittimit� di tale prassi, in quanto non fondata 
su di un'espressa disposizione di legge, e potendo comunque la Commissione 
elettorale eseguire il controllo servendosi dei dati ricavabili dalle liste elettorali depositate 
presso di essa. 

Con la decisione in esame il Supremo Consesso, pur superando, in pratica, il dettato 
letterale dell'art. 32 del T.U sopra ricordato, riesce tuttavia a non discostarsi dal 
consolidato principio del rigido formalismo che ispira la materia elettorale, categoricamente 
riaffermato dalla precedente Adunanza plenaria n. 24 del 1996. Affrontando 
l'analogo caso della presentazione della lista da parte di un delegato munito di delega 
�in bianco�, il Consiglio di Stato aveva avuto modo di affermare che, in tema di operazioni 
elettorali, il rigido formalismo che ne ispira i principi regolatori richiede che le 
sanzioni idonee a determinare l'esclusione di una lista dalla competizione elettorale 
siano chiaramente individuate dalla legge che regola il procedimento. Fermi restando 
tali principi la decisione in esame procede, tuttavia, ad una rilettura dell'art. 32 del citato 
T.U. sulla base di un canone di ragionevolezza che faccia salvi, al contempo, la 
necessit� dell'effettiva verifica della qualit� dell'elettore (trattandosi di un requisito 
espressamente richiesto dalla legge) da un lato, ed i criteri di tempestivit� e di sicurezza 
che, per legge, devono caratterizzare il procedimento elettorale (come ampiamente 
sottolineato dalla Corte costituzionale nella decisione n. 422/95 in Giur. Cost. 1995, 
3255). La soluzione appare, dunque, ben equilibrata ponendo a carico dei sottoscrittori 
l'onere -peraltro di lieve entit� -di procurarsi per tempo la certificazione della 
propria qualit� in modo da poterla produrre all'atto della presentazione della lista. 

Conforme alla decisione massimata: Cons.St. V, 10 aprile 1991 n. 515. 

P.P. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

242 

La questione � stata affrontata dalla Sezione con la decisione 3 ottobre 
1994 n. 1091, che ha ritenuto non necessario il deposito dei certificati elettorali 
dei sottoscrittori ai fini dell'ammissione della lista. Tale decisione, peraltro, 
ha innovato rispetto a una consolidata prassi degli uffici elettorali, riconosciuta 
anche in un'altra decisione di questa Sezione (10 aprile 1991 n. 515) 
che d� per pacifica la necessit� che, all'atto della presentazione della lista, 
siano depositati i certificati elettorali dei sottoscrittori. 

La Sezione, nel riesaminare la questione, ritiene che, ai sensi dell'articolo 
32 del testo unico delle leggi per le elezioni comunali (d.P.R. 16 maggio 
1960, n. 570), all'atto della presentazione della lista debbano essere depositati, 
a pena di inammissibilit�, i certificati che attestano l'iscrizione dei sottoscrittori 
nelle liste del comune. 

Valgono, al riguardo, le considerazioni che seguono. 

La norma dispone, nella parte che interessa, che �i sottoscrittori debbono 
essere elettori iscritti nelle liste del comune e la loro firma deve essere 
autenticata su appositi moduli...�. 

� indubbio -secondo consolidati principi (da ultimo, cfr. Ad. plen. 17 
dicembre 1996 n. 24) -che il rigido formalismo che ispira la materia elettorale 
richiede che le sanzioni idonee a determinare l'esclusione delle liste dalla 
competizione elettorale siano chiaramente individuate nella legge che regola 
il procedimento. 

Ci� peraltro non esime l'interprete dal ricercare, nel contesto della 
norma e senza ricorrere a inammissibili procedimenti analogici, l'esatta portata 
del disposto normativo, al fine di assicurare la coerenza dell'applicazione 
della norma con i valori che la legge regolatrice del procedimento intende 
tutelare. 

Lo stesso formalismo in materia elettorale, a ben vedere, mira ad assicurare 
al procedimento elettorale rapidit� di svolgimento e certezza in ordine 
al rispetto dei requisiti di forma richiesti dalla legge; quanto meno di quei 
requisiti che abbiano valore essenziale. 

Tra questi va sicuramente annoverata l'esigenza che i sottoscrittori siano 
elettori iscritti nelle liste del comune, non essendo ammissibile che la presentazione 
delle liste per la competizione elettorale in un comune venga sottoscritta 
da elettori di altro comune. 

Un elementare, e perci� ragionevole, modo per assicurare, al tempo stes


so, la celerit� della fase procecj.imentale di presentazione delle liste e il rispet


to del disposto normativo, che richiede nei sottoscrittori la qualit� di eletto


re iscritto nelle liste del comune, consiste nell'imporre ai sottoscrittori, all'at


to della presentazione della lista, di �certificare� la qualit� di elettore richie


sta dalla legge, mediante il deposito del relativo certificato. 

In astratto si potrebbe pensare che, al fine di evitare l'elusione della 

norma, tale qualit� possa essere documentata dai sottoscrittori medesimi o 

essere accertata dalla Commissione elettorale mediante la ricerca del nome 

dei sottoscrittori nella lista degli elettori. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

La seconda � la soluzione prospettata dagli appellanti, ma essa non 
appare convincente. 

Si consideri, infatti, che, mentre i sottoscrittori hanno un ragionevole 
lasso.di tempo per procurarsi i certificati di iscrizione nelle liste elettorali, 
addossare invece alla Commissione elettorale il dovere di verificare, nelle ventiquattro 
ore previste dal primo comma dell'articolo 33, la posizione, in ipotesi, 
di tutti i sottoscrittori di ogni lista, significherebbe gravare tale organo (gi� 
tenuto ad effettuare in brevissimo tempo numerose verifiche) di un oneroso 
adempimento che appesantirebbe e intralcerebbe gravemente il procedimento 
che la legge ha voluto si esaurisca in tempi ristrettissimi. La conseguenza 
sarebbe, in alternativa, o che il procedimento vada al di l� del termine perentorio 
fissato dalla legge o di rendere impossibile alla Commissione -almeno 
nei casi in cui molti sottoscrittori di molte liste non abbiano presentato il certificato 
-l'effettivo controllo di un requisito -la qualit� di elettore -che 
pure la legge valuta indispensabile. 

Verrebbero cos� minati i requisiti di tempestivit� e di sicurezza che, per 
legge, devono caratterizzare il procedimento elettorale, esponendolo intrinsecamente 
a rischi di invalidazione che contraddirebbero ai principi fondamentali 
del sistema. In materia elettorale, infatti, �la certezza del diritto � 
d'importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico� 
(Corte Cost., 12 settembre 1995, n. 422) e il procedimento � caratterizzato 
dalla immediatezza, improrogabilit� e sequenzialit� delle fasi endoprocedimentali. 


E poich� la legge va interpretata in coerenza con tali principi e quindi 
in modo che sia assicurata la concreta rispondenza della sua applicazi�ne al 
canone di ragionevolezza, riferito al comportamento che � normale attendersi 
dagli organi pubblici, e ai valori che la legge medesima intende tutelare 
-come sopra definiti -deve concludersi che la qualit� di elettore deve 
essere documentata dai sottoscrittori della lista, all'atto della sua presentazione, 
mediante il deposito di idonea certificazione. 

Tale soluzione interpretativa non discende da un'applicazione analogica 
della normativa che regola le elezioni politiche, ma � frutto di una lettura 
�interna� alla normativa de qua coerente con i principi che l'ispirano e volta 
quindi a non rendere problematiche la regolarit� e la tempestivit� di svolgimento 
del procedimento elettorale. 

Consegue all'accolta soluzione che il deposito dei certificati non pu� 
essere ammesso nemmeno in sede di successiva verifica, ai sensi dell'articolo 
33, della validit� della presentazione delle liste, trattandosi nella specie 
di irregolarit� attinente ad aspetti essenziali del procedimento e quindi 
insanabile. 

In conclusione, le sentenze del Tribunale amministrativo, che hanno 
ritenuto legittima l'esclusione disposta per mancato deposito dei certificati, 
meritano integrale conferma, sicch� gli appelli vanno respinti (omissis). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

244 

CONSIGLIO DI STATO, sez. V, 3 febbraio 1997, n. 138 -Pres. Calabr� -Est. 

Patroni Griffi -Fag� Maria Teresa ed altri (avv. Mirigliani) c. 

Commissione elettorale circondariale di Catanzaro (avv. Stato Cesaroni). 

Elezioni -Liste dei candidati -Presentazione -Autenticazione delle firme Necessit� 
-Materiale porgitore della lista -Esclusione. 

(d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, art. 32) 
Poich� l'art. 32 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570 distingue tra presentazione 
della lista dei candidati (intesa come attivit� degli elettori-sottoscrittori) 
e consegna materiale al segretario comunale (intesa come mera attivit� materiale 
di consegna), non � necessaria l'autenticazione delle firme di coloro che 
materialmente porgono la lista gi� formalmente perfetta, posto che l'obbligo di 
legge si riferisce esclusivamente ai sottoscrittori della lista e non al materiale 
porgitore la cui identit� potr� essere accertata, senza pericolo di ritardi nel procedimento 
elettorale, mediante mezzi diversi dall'autenticazione (presentazione 
del documento di riconoscimento) (1). 

(omissis) Gli appelli possono essere riuniti perch� concernono identica 
questione. 

Questa consiste nello stabilire se occorra o meno che la firma del soggetto 
che deposita materialmente la lista sia autenticata nei modi previsti 
dalla legge. 

(1) La decisione in esame si riferisce al caso della consegna materiale della lista 
presso la segreteria del comune distinguendosi questa ipotesi, nella disciplina normativa, 
da quello della presentazione in senso proprio della lista elettorale da parte dei sottoscrittori 
proponenti. La distinzione � indispensabile in quanto il Consiglio di Stato 
perviene alla riforma della decisione del Tribunale amministrativo adito in primo grado, 
che aveva concluso per la legittimit� dell'esclusione, proprio distinguendo il caso in 
esame da quello ben diverso della mancata autentica della firma dei sottoscrittori presentatori, 
quest'ultimo peraltro, espressamente disciplinato dall'art. 32, quarto comma 
del T.U., nel senso della necessaria autenticazione (v. anche Cons. St. V, 7 marzo 1986 
n. 148 per la quale �l'autenticazione della firma del presentatore della lista alle elezioni 
per il rinnovo del consiglio comunale costituisce elemento essenziale; la sua mancanza 
o irritualit� determina quindi una nullit� insanabile dell'atto di presentazione�. 
Poich� la normativa non contempla il caso della presentazione materiale della 
lista deve considerarsi prevalente il principio, gi� affermato da Ad. Plen n. 24 del 17 
dicembre 1996, secondo cui il rigido formalismo che regola la materia elettorale vuole 
che le sanzioni idonee a determinare l'esclusione di una lista o ad infirmare i risultati 
della competizione elettorale siano chiaramente individuate dalla legge. Una possibile 
interpretazione evolutiva della norma, pure adottata in altri casi dal Consiglio di Stato 
per colmare lacune di una non chiarissima normativa (si pensi al caso, sopra riportato, 
del mancato deposito dei certificati che attestano l'iscrizione dei sottoscrittori nelle 
liste del comune, in Cons. St. n. 137/97), non sarebbe tuttavia giustificabile nella presente 
fattispecie in cui, la pur necessaria verifica dell'identit� del materiale porgitore 
della lista, pu� agevolmente essere effettuata con mezzi diversi dall'autenticazione 
senza con ci� minare i criteri di certezza e di speditezza del procedimento elettorale (v. 
anche Cons. reg. Sicilia, 6 luglio 1991 n. 333). 

P.P. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

In punto di fatto deve ritenersi accertato che la questione si riferisce alla 

firma del presentatore �materiale� della lista e non del �presentatore-sotto


scrittore�. 

� noto, infatti (cfr. da ultimo, Ad. plen. 17 dicembre 1996 n. 24), che la 

legge distingue tra �presentazione� della lista, intesa come atto dei sotto


scrittori, e consegna materiale della stessa presso la segreteria del comune 

(ultimi due commi dell'articolo 32 del testo unico delle leggi per le elezioni 

comunali, approvato con d.P.R 16 maggio 1960, n. 570). 

Nella fattispecie in esame, gli appellanti hanno espressamente dichiara


to in udienza che la questione concerne la sottoscrizione di colui o di coloro 

che hanno consegnato le liste e non gi� dei �presentatori� delle stesse. N� 

l'Avvocatura erariale ha smentito in maniera idonea la circostanza. 

D'altra parte, anche dall'esame degli atti, si evince che l'esclusione � stata 

disposta con riguardo alla mancata autenticazione delle firme dei porgitori 

materiali della lista e non dei �presentatori� in senso proprio, vale a dire dei 

sottoscrittori proponenti. In tal senso sono univoche le sentenze appellate, 

nell'esposizione in fatto, e la stessa motivazione addotta nei provvedimenti 

impugnati, facente leva sulla equiparazione normativa dei presentatori ai sot


toscrittori, fa intendere che i soggetti che sono stati denominati presentatori 

fossero in realt� coloro che hanno consegnato materialmente le liste. 

Cos� intesa la questione, la tesi del Tribunale amministrativo, che ha rite


nuto legittima la non ammissione delle liste per la mancata autenticazione 

delle firme dei soggetti che hanno consegnato le stesse presso la segreteria 

comunale, non pu� essere condivisa. 

La giurisprudenza della Sezione pacificamente ritiene che le firme dei 

presentatori-sottoscrittori della lista debbano essere autenticate nei modi di 

legge ( decc. 29 giugno 1979 n. 4 70; 19 dicembre 1980 n. 989; 7 marzo 1986 n. 

148). Ma tale costante indirizzo -che si intende qui ribadire -si riferisce 

ai sottoscrittori della lista medesima, alla luce dell'espresso disposto del quar


to comma dell'articolo 32. 

A diversa conclusione deve invece pervenirsi con riferimento alla conse


gna materiale della lista presso la segreteria del comune. 

La legge non regola in alcun modo l'atto della consegna della lista, se non 

per disporre che il segretario comunale rilascia ricevuta degli atti presentati, 

evidentemente al soggetto che tale consegna ha effettuato. 

La totale assenza di disciplina normativa riferibile alla consegna della 

lista esclude che le firme dei soggetti che materialmente �presentano� (vale a 

dire consegnano) la lista nella segreteria del comune debbano essere autenti


cate a pena di non ammissione della lista. 

Di siffatto obbligo non reca traccia la norma, che non si occupa della 
persona che consegna la lista, sicch�, per il principio secondo cui in materia 
elettorale le sanzioni che comportino l'esclusione di una lista debbono essere 
chiaramente individuate dalla legge, la mancata autenticazione della firma 
. di chi deposita la lista non comporta alcuna conseguenza quanto all'ammis



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

246 

sione della lista medesima, ben potendo l'identita personale del porgitore 
essere accertata, senza ritardi e incertezze, mediante l'esibizione del relativo 
documento. 

Sulla base di analogo ordine di considerazioni, del resto, l'Adunanza plenaria 
di questo Consiglio (dee. 17� dicembre 1996 n. 24) -recependo analogo 
orientamento del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana 
(dee. 6 luglio 1991 n. 333)-ha stabilito, con riferimento alla normativa 
vigente in regioni a statuto speciale che disciplina la delega per la consegna 
della lista, che la delega medesima possa essere rilasciata a persona non 
nominativamente indicata, proprio perch� la normativa non si occupa delle 
persone che materialmente consegnano la lista presso l'ufficio competente. 

Alla stregua delle esposte considerazioni gli appelli devono essere accolti 
e, in riforma delle sentenze dei Tribunale amministrativo vanno annullati 
i provvedimenti di esclusione delle liste appellanti impugnati in primo grado 

(omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 5 marzo 1997, n. 365 -Pres. Salvatore -Est. 
Anastasi -Ministero dell'Universit� e della ricerca scienfifica e tecnologica 
e Universit� degli Studi di Roma �La Sapienza� (avv. Stato 
D'Avanzo) e/Olivieri Barone Agnese (avv. Jaricci). 

Impiego pubblico -Inquadramento -Dipendente Universit� -Personale non 
docente -Natura prowedimentale -Sussistenza -Insorgenza credito 
rivalutazione monetaria e interessi -Data di emanazione del decreto di 
inquadramento. 

Impiego pubblico -Stipendi -Rivalutazione -Natura -Parte integrante del 
credito di lavoro -Adempimento parziale -Rivalutazione -Debito retributivo 
-Rivalutabile ulteriormente sino al soddisfo. 

L'atto di inquadramento del personale non docente delle Universit� in 
qualiBche superiori, ponendosi in funzione surrogatoria o altemativa rispetto 
alle eventuali promozioni conferibili con decreto ministeriale, ha natura 
prowedimentale e dunque soltanto dall'emanazione di tale atto autoritativo 
pu� considerarsi venuto in essere il credito retributivo del pubblico dipendente 
ai Bni della decorrenza della rivalutazione monetaria ed interessi (1). 

(1) La presente decisione si inserisce nel solco del condivisibile orientamento giurisprudenziale 
che ha delineato una netta dicotomia del momento genetico di rivalutazione 
ed interessi sui crediti di lavoro dei pubblici dipendenti a seconda della differente 
fonte del credito, rispettivamente legale o (direttamente) provvedimentale (v. per 
tutte Cons. Stato, IV, 27 settembre 1993, n. 799, in Cons. Stato 1993, I, 1087). 

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ᥥ�ᥥ�ᥥ: taii~utazi�ile�mo11eta:da�.��parte�integrante�del.credito�.dilavor6 e, a 
di[ferenz�degli inte}$$Si}non :oe CO$tit61Sfe un .acfessorfo; pertanto la diffe


r~za��tt"ai) (/ebito~abaie��({�PPl'~~.tato.dailamaggi0retetriln1z1one�dovuta 
pif1./~�ri!tJ,Ju.t~191.1.~).e..qu.am9���p~ialmfJ::nte�comsposto�1;istittdsce�essa stes� 

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����� i . L'A:nn:rim�sfraziOne ripr�pQrie poil'e8ceziolie di prescri;done; :negando 
.... che to spo.t�Jleo pagan1ento d<el 4el:Hto prindpale impl;i,chl riconoscbn�tito di 

~j~ii1ii~?afi:~~~~ala1~~?~~~1llht1!!~~~�:;~~in~rlco�


�npsceil� dfritto~ii.rlvallitazibril;l:�monetarla delle somme.da.�etogare.�.a�com. 
, p~q4\ilfla sY:i.�'.#~~~9,ne dc~l 4t'4l~tq ptlAcipale.{9;1�tissis}. /�.�..�........................ 

~t~lijS~I~-~~


g() �tto:bre 1979l n� 25, mCo11S. Stato J979, I~J294);.. GPerentemente la pronuncia in ras� 
segna fisSilJl �tlJJmento. genetico di'll djtj:t;,to:deldipendenieitlle differenzerettibutive a 
ti1:()lo: di mten~ssi e riy;M.tazipne> alla cla~ di expa)Jazion(;I delde<ireto rettora,k di m11ua


~~--=~=.~~;~


�������������Qqa1Jt<>�.aila. rivalutazfone.fa�partico}are; HG<>~~gij()�di.Statoha aJ1Che.a!f1:rmato 

i~ea~s~~~~h{~,i~bijf~~~~~~4~~;~ifui~~oii:,1~~ftVi.di~c~#fl~trf9~~~: 

764, mCons: Stato 1992; I, 139])> . .. . . . .. . . . . ... . .. . . ..... 

(2) ta�sentenza iritassegna ha disatteso sul punt-Ola tesi� dell'Ain�ninistrazibne 
respi11g1:nd<> la. re~at�va�ensura mossa alla. sentenzaJtiipugnata, riflwenClosi.a:d una 
f�:!~a2[~tl~~ff~~A~riiQi~4e~~;~iJ1~~~11~~r~B~~:-s~ti1:~i~~;:~:

Cons Stafo; VI/5 lugliO 1990, n.; 691 (hiCoris; Stato 1990, 1, 991). � �. ��. � � � � �� � 

Quest'ultima prontl11cia;JnpartiC�lare, ha �fatto propri i��pnndpi consolidatisi 
nella gi.ri~pi;udenza.della Ca$sazi0ne in materia di rivaluta;done monetaria suicrediti 
di lavoro dei dipendenti privati traslandoli, per cos� dire, s.l rapporto di pubblico 
impiego <Per tutte v. Cass'. Sc;i:z. L;:iv'. 21 .gennaioJ986, n. 41,33, in ~@s,. Stato.1986, I, 

1495. sulla natura.di prute mi:�grai:Jie del credito'di lavoro enon di accessorio di esso 
assegnata alla: rlV�lutaz�c>rie,rionC:h� Cass. Sez.�Lav. 17 marzo 1986, n. l 826 e 6 settembre1988, 
n. 5033; per l'affermazione: secondo cui in caso di adempimento ritardato del!'
obblig�:zione retJjbutiva senza cogispondere la svaJ,utazione. monetaria,. su questa 
dovr� essere calcolata l'ulteriore svalutazione sino al saldo completo). 

LV. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

248 

Non essendo contestato che rivalutazione monetaria ed interessi corri


spettivi sui crediti da lavoro dei pubblici dipendenti decorrono dalla data di 

maturazione del relativo diritto (cfr. art. 429, terzo comma, c.p.c.) occorre nel 

caso di specie individuare tale momento genetico, avuto riguardo alla fonte 

da cui il credito trae origine. 

A tal fine va infatti precisato che se il diritto patrimoniale del pubblico 

dipendente trova fonte immediata nella legge o in un altro atto di natura nor


mativa, la data di maturazione � quella della scadenza legalmente prevista, 

ancorch� l'amministrazione debba porre in essere ai fini dell'adempimento 

attivit� amministrativa, di natura quindi ricognitiva o dichiarativa: nascendo 

infatti l'obbligazione ex Jege, qualsivoglia atto paritetico l'Amministrazione 

debba adottare, non � esonerata dalle conseguenze inerenti il ritardo nell'a


dempimento. 

Se invece il diritto patrimoniale del dipendente trova origine in un prov


vedimento amministrativo, avente perci� natura costitutiva, l'obbligazione 

non nasce senza la mediazione dell'atto autoritativo e soltanto dall'emana


zione di questo, anche se avente in ipotesi efficacia retroattiva, possono dirsi 

venuti in essere tutti gli elementi costitutivi del credito. (cfr. Sez. IV 27 set


tembre 1993, n. 799). 

Tanto premesso, osserva il Collegio che l'art. 155, quarto comma, della 

legge 11 luglio 1980 n. 312 prevede la promozione anche in soprannumero 

alla qualifica di direttore di divisione ad esaurimento degli impiegati della 

carriera direttiva con qualifica di direttore di divisione aggiunto i quali, alla 

data del 31 dicembre 1972, rivestivano la qualifica di direttore di sezione o 

equiparata. 

Nella previsione di legge, dunque, la qualifica ad esaurimento andava con


ferita all'esito di uno scrutinio per merito comparativo, secondo quanto previ


sto dall'art. 65 d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748, al quale erano ammessi gli impie


gati delle carriere direttive in possesso dei requisiti di anzianit� sopra riferiti. 

La natura prowedimentale della promozione impone di riconoscerne il 

carattere autoritativo, proprio degli atti che definiscono la posizione del pub


blico impiegato nell'ambito della struttura burocratica, sia con l'ivi immet


terlo, sia determinare o immutarne compiti o qualifiche, sia col dismetterlo 

(A.P. 26 ottobre 1979, n. 25). 
Il fatto che in sede di applicazione della citata legge n. 312 del 1980 

l'Amministrazione abbia tenuto conto -in favore della odierna appellata 


degli effetti derivanti dalla valutazione e riconoscimento dei pregressi servizi 

non di ruolo, ai sensi della legge 25 ottobre 1977 n. 808, non qualifica diver


samente la fattispecie. 

Come rilevato dalla Corte dei conti (Sez. controllo 18 aprile 1985 n. 

� 
1544) l'inquadramento del personale non docente delle Universit� in. qualifiche 
superiori ex art. 16, quinto comma, della citata legge n. 808 del 1977, si 
pone in funzione surrogatoria rispetto alle eventuali promozioni conferibili 
con decreto ministeriale. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

In sostanza, la predetta procedura ha consentito, attraverso la ii.etio iuris 
della ricostruzione di carriera, di estendere l'applicazione del richiamato art. 
155 legge 312/1980 anche a quegli impiegati che, come la ricorrente in primo 
grado, alla data del 31 dicembre 1972 non possedevano la qualifica di direttore 
di sezione: ma non vi � dubbio che l'inquadramento, proprio perch� 
alternativo o surrogatorio della promozione, rientri nel novero dei provvedimenti, 
cio� degli atti aventi natura autoritativa nel senso sopra precisato. 

Da ci� consegue che il credito retributivo di cui � questione pu� considerarsi 
venuto in essere, ai fini della decorrenza della rivalutazione monetaria 
ed interessi, con il 17 febbraio 1990, data di emanazione del decreto rettorale 
di inquadramento. 

Per questa parte l'appello va dunque accolto, prescindendo dall'esame 
dell'eccezione di prescrizione evidentemente riferita al periodo anteriore. 

Va invece respinta la censura che l'appellante muove alla sentenza, nella 
parte in cui stabilisce che la somma dovuta per svalutazione monetaria sia 
rivalutata ulteriormente sino al saldo completo. 

La rivalutazione monetaria � infatti parte integrante del credito di lavoro 
e, a differenza degli interessi, non ne costituisce un accessorio: pertanto la 
differenza tra il debito globale (rappresentato dalla maggiore retribuzione 
dovuta pi� la rivalutazione) e quanto parzialmente corrisposto costituisce 
essa stessa debito retributivo, come tale rivalutabile sino al soddisfo (Sez. VI 
5 luglio 1990 n. 691). 

In conclusione va affermato il diritto della d.ssa Olivieri Barone ad ottenere 
la corresponsione degli interessi in misura legale e della rivalutazione 
monetaria sulla differenza stipendiale relativa alla superiore qualifica del 
ruolo ad esaurimento, a far tempo dal 17 febbraio 1990 e fino alla data dell'avvenuto 
parziale pagamento. Sulla somma dovuta per svalutazione monetaria 
dovr� essere calcolata l'ulteriore svalutazione, fino al soddisfo (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 25 marzo 1997 n. 508 -Pres. De Roberto Est. 
Millemaggi Cogliani -Ministero dell'ambiente (avv. Stato Fiengo) c. 

S.p.A. T.E.I. ed altri (avv. Caravita di Toritto). 
Concessione -Finanziamento statale di interventi per la salvaguardia 
ambientale -Parere negativo del Consiglio di Stato su schema di convenzione 
-Posizioni reciproche di obblighi e di diritti nascenti dalla 
concessione dei finanziamenti -Giurisdizione G.O. 
(Legge 11marzo1988, n. 67) 

Una volta conclusasi la fase pubblicistica del procedimento previsto 
dalla delibera CIPE 5 agosto 1988 peril finanziamento degli interventi perla 
salvaguardia ambientale previsti dalla legge il marzo 1988 n. 67 mediante l'emanazione 
del decreto di approvazione delle offerte ammesse al contributo, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

250 

deve considerarsi sorto un vincolo negoziale consistente rispettivamente nell'obbligo 
di erogare il finanziamento, a carico dell'amministrazione, ed in 
quello di realizzare gli interventi, a carico delle imprese. Rientra nel diritto ai 
reciproci adempimenti la pretesa alla stipula dell'apposita convenzione diretta 
a stabilire le modalit� e le prescrizioni relative all'esecuzione dell' attivit� 
fmanziata ed all'erogazione del contributo. 

Ne deriva il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo nella controversia 
avente ad oggetto l'inosservanza dell'obbligo dell'amministrazione 
di stipulare la convenzione, pur quando sia intervenuto sullo schema relativo 
parere negativo del Consiglio di Stato (1). 

(omissis) 1. Gli appelli, pure se relativi a differenti decisioni del 
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, devono essere riuniti, per economia 
processuale, sulla considerazione della coincidenza delle questioni 
proposte in primo grado, del contenuto delle sentenze impugnate e dei motivi 
posti a base delle impugnazioni, nonch� anche delle ragioni difensive 
addotte dagli appellati costituiti nei giudizi. 

2. In punto di fatto emerge, dalla documentazione in atti (ed � del resto 
evidenziato nella narrativa delle decisioni impugnate) che le istanze e gli atti 
di diffida sulla cui base � stato attribuito significato di silenzio-rifiuto all'inerzia 
dell'Amministrazione, ebbero rispettivamente ad oggetto -per ciascuno 
degli operatori privati interessati ai finanziamenti di cui ai decreti citati 
in narrativa -l'invito all'Amministrazione a stipulare le convenzioni (ovvero 
i contratti) cui si riferivano i singoli finanziamenti. 
Il Tribunale, pur avendo colto l'esistenza di una posizione di debito 
dell'Amministrazione nei contronti degli originari ricorrenti, nascente dai 
decreti di concessione del finanziamento pubblico (cos� come affermato nel 
terzultimo capoverso, ultimo inciso, della motivazione delle sentenze impu


(1) La pronuncia, pur dovendosi rilevare la particolarit� della fattispecie attinente 
alla fase successiva all'adozione dei decreti di approvazione dei finanziamenti ma 
precedente alla stipula della convenzione recante la determinazione dei diritti e degli 
obblighi relativi, si allinea alla prevalente giurisprudenza della Cassazione in materia 
di ammissione di progetti a contributi (Cass. S.U. 16 luglio 1983 n. 4894; Cass. SU. 28 
maggio 1986 n. 3600; Cass. SU. 21dicembre1990 n. 12143 Contra Cass. G.U: 17 giugno 
1981 n. 3945) secondo cui l'esercizio della discrezionalit� amministrativa si esaurisce 
con la concessione del finanziamento che determina l'insorgere di posizioni di 
diritto e di obbligo per le parti con conseguente devoluzione al GO del sindacato sulle 
relative controversie. 
Relativamente alla sorte del contratto su cui sia intervenuto controllo negativo 
vedasi, di recente, Cons. Stato Sez. IV 12 marzo 1996 n. 303 che riconosce all'amministrazione 
l'obbligo di prendere atto dell'illegittimit� dell'atto e la potest� di non darvi 
esecuzione (nella specie, trattavasi di contratto delle p.a.sottoposto a controllo preventivo 
della Corte di Conti ai sensi dell'art. 24, legge 3 gennaio 1978 n. 1). 

Da sottolineare l'avvenuta abrogazione del parere obbligatorio del Consiglio di 
Stato ai sensi dell'art. 17 comma 26 della legge 15 maggio 1997 n. 127. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

gnate), ha disatteso l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, 
ritenendo non concluso il procedimento di evidenza pubblica, per 
effetto della mancata conclusione delle convenzioni e in mancanza degli 
adempimenti previsti dall'art. 5 della legge di contabilit� di Stato. 

3. Il procedimento logico e le conclusioni cui � pervenuto il giudice di 
primo grado non possono essere condivisi. 
Occorre prendere le mosse dalla considerazione che il fenomeno giuridico 
che sta alla base della controversia � costituito dal finanziamento previsto 
dalla legge finanziaria 11 marzo 1988 n. 67, attribuito, a ciascuna delle 
parti private interessate, sulla base di un modulo procedimentale compiutamente 
predeterminato dalla delibera CIPE che, per il programma annuale del 
1988, ha previsto, fra l'altro, per gli interventi di competenza del Ministero 
dell'ambiente, la possibilit� di affidamento diretto a contraenti privati, fissando 
i termini di presentazione delle offerte, loggetto delle prestazioni 
richieste, le modalit� di scelta del contraente, i criteri di valutazione e l'organo 
competente per la valutazione, e individuando infine nel decreto del 
Ministro dell'ambiente, il provvedimento conclusivo del procedimento. 

Pi� precisamente, il modello di erogazione di cui si tratta si colloca agevolmente 
nell'ambito degli strumenti operativi ad evidenza pubblica, dovendosi 
propriamente individuare nella deliberazione CIPE, pubblicata nel supplemento 
ordinario della Gazzetta Ufficiale n. 215 del 13 settembre 1988, il 
bando di concorso per l'ammissione al finanziamento, e nel decreto di approvazione 
delle offerte ammesse al finanziamento, la fase conclusiva del procedimento. 
in cui l'Amministrazione ha, in via definitiva, approvato l'incontro 
delle volont� concretatasi nella scelta del soggetto da finanziare, previo �confronto 
concorrenziale� delle offerte, passate al vaglio della valutazione tecnica 
della Commissione tecnico scientifica di cui all'art. 14 legge 28 febbraio 
1986, n. 41 (secondo quanto espressamente previsto dall'art. 18 quarto comma 
della legge finanziaria del 1988 di cui si � inteso fare applicazione) e, sulle 
risultanze di questa, delle �ulteriori definitive valutazioni di convenienza�. 

In tale assetto procedimentale, con i decreti di concessione dei finanziamenti 
di cui si tratta, non soltanto l'Amministrazione ha accertato la rispondenza 
dei singoli finanziamenti all'interesse pubblico specifico previsto dalla 
legge finanziaria, secondo il programma definito dal CIPE per l'anno 1988, ma 
ha anche, conclusa la fase procedimentale pubblicistica dei finanziamenti in 
questione, con la nascita di un vincolo negoziale consistente rispettivamente 
nell'obbligo di erogare il finanziamento, a carico dell'Amministrazione, ed in 
quello di realizzare gli interventi di cui ai progetti prescelti ed approvati, a carico 
delle imprese, idoneo a costituire, una legittima pretesa dei reciproci adempimenti. 
Tra questi vanno iscritti, (con carattere di accessoriet� rispetto al 
finanziamento oggetto dell'evidenza pubblica) le. apposite convenzioni che la 
stessa Amministrazione si � impegnata a stipulare, con i decreti conclusivi del 
procedimento, per stabilire le modalit� e le prescrizioni relative all'esecuzione, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

252 

alle forme di controllo e vigilanza sulla esatta programmazione, esecuzione e 
realizzazione delle attivit� progettate, nonch� alle concrete modalit� di erogazione 
del finanziamento 

In conclusione, dunque, gli appelli devono trovare accoglimento nella 
parte in cui deducono il difetto di giurisdizione amministrativo nella controversia 
avente ad oggetto l'inosservanza dell'obbligo dell'Amministrazione di 
stipulare la convenzione prevista nei decreti di concessione dei finanziamenti 
concessi direttamente in favore dei privati per la realizzazione degli interventi 
di cui. alla legge finanziaria del 1988 ed alla delibera CIPE ivi prevista, 
restando interamente assorbiti gli ulteriori motivi (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 9 settembre3,41,4 1997 n. 1307 -Pres. Vacirca Est. 
Camera -Briganti Spremolla e Moroni (aw. Schwarzenberg) c. 
Ministero dell'Universit� (aw. Stato N. Bruni). 

Istruzione e scuole -Insegnante universitario presso la facolt� di Magistero Soppressione 
facolt� di Magistero -Istituzione facolt� di lettere e filosofia 
Terza Universit� di Roma -Trasferimento -Art. 2 legge 7 agosto 1990 

n. 245 -Legittimit�. 
Ai sensi dell'art. 2 della legge 7 agosto 1990 n. 245 � legittimo il trasferimento 
d'ufficio di docenti universitari gi� di ruolo presso la facolt� di 
Magistero a seguito della istituzione di un nuovo corso di laurea in lettere e 
filosofi.a presso la Terza Universit� degli studi di Roma e della contestuale soppressione 
della facolt� di Magistero della Universit� di Roma �La Sapienza�. 

Il principio di inamovibilit� dei docenti universitari di ruolo di cui all'art. 
8 d.P.R. 1117180 n. 382 non impedisce il trasferimento d'ufficio degli stessi 
allorch� ci� sia espressamente previsto da una specifica disposizione di legge 
(nella specie art. 2 legge 71811990 n. 245) (l). 

(omissis) Le attuali appellanti, docenti della Facolt� di Magistero 
dell'Universit� degli Studi di Roma �La Sapienza� sono state trasferite d'ufficio, 
a seguito della soppressione dei corsi di laurea di detta Facolt�, esclu


(1) La sentenza in esame non ha precedenti in termini del Consiglio di Stato. 
L'orientamento dei TAR appare peraltro conforme al principio affermato nella 
sentenza in rassegna (oltre alla sentenza di primo grado del TAR Lazio si segnala TAR 
Abruzzo 6 ottobre 1994 n. 659). 

Il problema della compatibilit� del diritto dei docenti universitari alla inamovibilit� 
(riconosciuto dall'art. 8 d.P.R. 382/80 in relazione all'art. 33 Costit.) con le previsioni 
legislative che, riorganizzando l'assetto universitario, comportano trasferimenti 
di docenti, � stato affrontato dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 9 novembre 
1988 n. 1017 (in Foro It. 1989, fase. I, 2416) in occasione della istituzione della 
Universit� degli Studi di Verona. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 253 

so quello di psicologia, alla Facolt� di lettere e filosofia della terza Universit� 
di Roma, realizzata per effetto del piano di sviluppo delle Universit� per il 
triennio 1991-93. 

Con il presente gravame contestano l'impugnata sentenza che ha respinto 
il loro ric�rso sul presupposto che il disposto passaggio d'ufficio ad altra 
Universit� non verrebbe a ledere l'autonomia universitaria ed il principio di 
inamovibilit�, che esso sarebbe consentito da una specifica disposizione di 
legge, quale l'art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 245, e non sussisterebbe 
disparit� di trattamento rispetto ad altri docenti ai quali era stato riconosciuto 
il diritto di opzione, versandosi in situazione sostanzialmente diversa. 

Con un unico complesso motivo lamentano innanzitutto che il piano di 
sviluppo per il triennio 1991-93 non poteva sopprimere la Facolt� di Magistero 
dell'Universit� degli Studi di Roma �La Sapienza� per non essere stata istituita 
la Facolt� di Magistero presso la terza Universit� con il piano di sviluppo 
precedente (quadriennale 1986-1990). Ripropongono la violazione del principio 
di inamovibilit� fissato a livello costituzionale ed affermato dal d.P.R. 11 
luglio 1980, n. 382, all'art. 8, nonch� la disparit� di trattamento. 

La censura � infondata e, pertanto, non merita accoglimento. 

Nel sistema normativo risultante anche dal d.l.vo n. 29 del 3 febbraio 
1993 le Universit� sono da annoverare fra le Pubbliche amministrazioni con 
diritto di darsi ordinamenti autonomi, ai sensi dell'art. 33 Cost., diritto che 
pu� trovare limitazione in leggi dello Stato (cfr. Corte Costituzionale sent. n. 
1017 del 9 novembre 1988), ispirate a ragionevoli esigenze degli studi universitari. 


Orbene nel caso di specie la legge 7 agosto 1990, n. 245 concernente 
norme sul piano triennale di sviluppo dell'Universit� e per l'attuazione del 
piano quadriennale 1986-1990 ha previsto all'art. 2 l'istituzione di nuove 
Universit� statali (comma primo) mediante il trasferimento da altre 
Universit� di strutture gi� esistenti (comma dodicesimo). 

Successivamente, in attuazione del piano di sviluppo delle Universit� per 
il triennio 1991-1993, approvato con d.P.R. 28 ottobre 1991 ed in conformit� 
alle previsioni del dodicesimo comma del citato art. 2 della legge 245 del 
1990, � stata prevista l'istituzione della terza Universit� di Roma con alcuni 
corsi di laurea, tra cui quello di lettere e filosofia da costituire per scorporo 
dei corsi di laurea (eccetto quello di psicologia) funzionanti presso la Facolt� 
di Magistero dell'Universit� �La Sapienza� di Roma, con la sua contestuale 
soppressione (art. 7). 

La Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 
34, legge 4 agosto 1982 n. 590 (istituzione di nuove Universit�), sollevata in relazione 
all'art. 33, u. comma, Cost. dal Consiglio di Stato (con ordinanza del 22 novembre 85). 

Secondo la Corte poich� la Costituzione riconosce alle Universit� il diritto di darsi 
ordinamenti autonomi non in modo pieno ed assoluto, ma nei limiti stabiliti dalle leggi 
dello Stato, la legge ordinaria, se espressione di concrete esigenze di organizzazione 
dell'insegnamento universitario pu� prevedere il trasferimento d'ufficio dei docenti 
universitari. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

254 

Con decreto del Ministro dell'Universit� e della Ricerca Scientifica e 
Tecnologica in data 29 ottobre 1991 � stata istituita la predetta terza 
Universit� subentrante �a decorrere dall'anno accademico 1992 1993 in tutti 
i rapporti giuridici facenti capo al primo Ateneo, relativi al funzionamento in 
atto dei corsi di laurea passati nella Facolt� di lettere e filosofia del terzo 
Ateneo dalla soppressa Facolt� di Magistero� (art. 6, comma terzo) e con successivo 
decreto del 26 settembre 1992 � stato attuato il trasferimento d'ufficio 
dei relativi docenti di I e II fascia, tra cui le appellanti (art. 2). 

Da quanto sopra esposto � facilmente riscontrabile il corretto procedimento 
seguito dall'Amministrazione nel provvedere al trasferimento d'ufficio 
del personale docente in questione, che non � frutto di un'irrazionale ingerenza, 
come sembrerebbero volere assumere le interessate, ma corrisponde 
ad una esigenza di funzionalit� della Facolt� di lettere e filosofia della terza 
Universit� con il coprire i posti di insegnamento risultanti vacanti, evitando 
altres� di addossare all'Universit� �La Sapienza� docenti e posti non necessari 
per effetto della soppressione della Facolt� di Magistero. 

N� trova ingresso l'invocato principio di inamovibilit� sancito dall'art.8 
del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382 stante la diversa previsione che giustifica il 
passaggio in questione senza il consenso delle interessate. 

N� appare persuasiva la tesi delle appellanti circa un'asserita disparit� di 
trattamento, riscontrabile sia nell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 245 che 
nell'art. 4 del D.M. 2 agosto 1995, che, a loro avviso, salvaguardano il diritto 
di opzione dei docenti. 

Tale diritto, esercitabile nel caso di sdoppiamento di Facolt� universitarie 
non pu� essere invocato nel caso di cui si controverte riguardante la soppressione 
di una Facolt� con l'istituzione di una nuova Facolt�, non potendosi 
optare per un posto non pi� esistente a seguito della sua eliminazione. 

L'opzione presuppone una scelta non attuabile nella fattispecie. 

Per le suesposte argomentazioni l'appello va respinto e, per l'effetto, l'impugnata 
sentenza resta confermata (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 9 settembre 1997 n. 1308 -Pres. Ancora -Est. 
Salvatore C. -Soc. Inerti Sile (avv. Abbamonte e Zambelli) e Regione 
Veneto (avv. Stato Di Pace) c. Comune di Spresiano (avv. Barel e Voltaggio 
Lucchesi) e Provincia di Treviso (n.c.) e Comune di Arcade (n.c.). 

Giustizia amministrativa -Interesse alla impugnazione -Atto incidente 

sul territorio comunale -Impugnazione da parte del Comune Ammissibilit�. 


Autorizzazione e concessione -Cave e torbiere -Attivit� di escavazione -Art. 
13 legge reg. Veneto n. 44 del 1982 -Superficie da destinare all'attivit� 
di cava -Criterio di computo. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

255 

La partecipazione al procedimento di formazione di un atto non priva 
l'ente locale della titolarit� dell'interesse legittimo alla salvaguardia del proprio 
territorio e, quindi, dell'interesse ad impugnare l'atto medesimo, ove 
ritenga che le determinazioni in esso contenute si riflettano negativamente 
sull'assetto territoriale delineato dal proprio strumento urbanistico (1) 

L'art. 13 della legge reg. Veneto 7 novembre 1982 n. 44 prevede che la 
superficie del territorio comunale interessato dall'attivit� di cava non superi 
la quota del 3% della superficie totale della zona agricola al fine di evitare che 
i lavori di escavazione compromettano l'equilibrio naturale della zona stessa 
e la sottraggano all'attivit� di coltivazione, facendo espresso riferimento alla 
destinazione agricola della zona in base agli strumenti urbanistici e non alla 
sua condizione di fatto o per altro titolo ed escludendo, perci�, le aree che 
sono state destinate dal Comune ad altro scopo e, cio�, ad impianti sportivi e 
ricreativi privati, a protezione e sviluppo controllato e a zona verde (2). 

(omissis) 1. La sentenza appellata � stata pronunciata fra le medesime 
parti, per cui sussistono le condizioni oggettive e soggettive per disporre la 
riunione dei due appelli. 

2. In via preliminare deve essere esaminata l'eccezione, sollevata dall'appellante 
Inerti Sile, di inammissibilit� del ricorso originario proposto dal 
Comune di Spresiano per difetto di interesse sul rilievo che l'ente locale esaurisce 
le proprie attribuzioni nella partecipazione al procedimento di rilascio 
dell'autorizzazione come membro della C.T.R.A., nell'ambito del quale soltanto 
pu� far valere le esigenze connesse alla salvaguardia del suo territorio. 
L'eccezione deve essere disattesa, essendo evidente che la partecipazione 
al procedimento di formazione di un atto non priva l'ente locale della titolarit� 
dell'interesse legittimo alla salvaguardia del proprio territorio e, quindi, 
dell'interesse ad impugnare l'atto medesimo, ove ritenga che le determinazioni 
in esso contenute si riflettano negativamente sull'assetto territoriale 
delineato dal proprio strumento urbanistico. 

3. Passando al merito della controversia, conviene ricordare che con 
delibera n. 1675 del 19 aprile 1994 la Giunta regionale del Veneto ha autorizzato 
la s.r.l. Inerti Sile all'ampliamento della cava di ghiaia denominata 
�Borgo Busco�. 
(1) La statuizione applica i principi generali elaborati dalla giurisprudenza in 
tema di interesse alla impugnazione ed ha un precedente in termini, anche se remoto, 
in Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 1988, n. 1104, in Il Cons. Stato, 1988, I, 1237. 
(2) Precedente specifico sull'interpretazione dell'art. 13 legge reg. Veneto n. 44/82 
cit. richiamato anche nella motivazione della sentenza de qua � id., 23 dicembre 1994, 
n. 1807, ivi, 1994, I, 1816. 
Sul problema pi� generale della destinazione agricola della zona in base alla legge 
reg. cit. in linea con quanto precisato nella sentenza de qua, id., 19 febbraio 1993, n. 
180, ivi, 1993, I, 238. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

256 

Secondo il Comune di Spresiano, tale prowedimento avrebbe violato 
l'art. 13 della legge regionale 7 novembre 1982, n. 44. in base al quale la parte 
di territorio comunale interessato dall'attivit� di cava non pu� essere in alcun 
caso superiore alla percentuale del 3% della superficie totale della zona agricola 
(zona E) del territorio comunale. 

Il valore percentuale ptevisto dalla richiamata norma regionale sarebbe 
stato superato con il prowedimento di autorizzazione della Giunta regionale 
poich�, ai fini del rispetto del limite previsto da tale disposizione, alla superficie 
totale del territorio comunale destinata a zona agricola (Zona E) dallo 
strumento urbanistico sarebbe stata sommata anche la zona destinata dal 

P.R.G. a �Zona verde -parco territoriale della Grave�. 
La sentenza impugnata, che ha accolto la tesi del Comune, viene ora censurata 
dalle appellanti Regione Veneto e societ� Inerti Sile, le quali assumono 
che, nell'ambito della zonizzazione del territorio comunale a norma del 

D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, la Zona agricola E definisce, per sottrazione, la 
parte di territorio comunale che non � ricompresa nelle altre zone omogenee 
A-B-C-D-F. 
In altre parole, nell'economia generale del piano, ogni destinazione deve 
essere riconducibile ad una delle zone tipiche in cui deve essere ripartito il 
territorio comunale con la conseguenza che nella Zona E devono essere 
ricomprese sia le aree caratterizzate da una specifica vocazione agricola sia 
quelle residuali, prive di potenzialit� edificatorie e non inseribili per ci� stesso 
nelle altre zone omogenee di cui al D.M. citato. 

Da qui l'owia conclusione che l'area normata dal P.R.G. di Spresiano 
come �Zona verde -parco territoriale delle Grave�, avente peraltro destinazione 
analoga a quella della Zona agricola E, deve essere sommata alla superficie 
comunale prevista per tale ultima zona al fine di individuare la superficie 
territoriale sulla quale calcolare la percentuale del 3% da destinare ad attivit� 
di cava. 

La diversa interpretazione sostenuta dal comune e condivisa dal 
Tribunale finirebbe per affidare alle amministrazioni locali il potere di escludere 
ampie parti del territorio dall'attivit� di escavazione, mediante una strumentazione 
urbanistica che consente l'individuazione di zone omogenee al di 
fuori di quelle tipiche previste dal D.M. 2 aprile 1968 n. 1444. 

4. La tesi succintamente riassunta delle appellanti non pu� essere condivisa. 
� indubbio che la ragione giustificatrice della disposizione contenuta 
nell'art. 13 della legge regionale 7 novembre 1982, n. 44 citata sia di far si che 
l'attivit� di cava sia circoscritta, al fine d'evitare che i lavori d'escavazione 
compromettano l'equilibrio naturale della zona agricola del territorio comunale 
e la sottraggano all'attivit� di coltivazione. 

Secondo la citata disposizione non concorrono a far parte della superficie 
territoriale, sulla quale calcolare la quota del 3% anche aree che non 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

hanno destinazione agricola, essendo state destinate dallo stesso Comune a 
diverso scopo e cio� ad �impianti sportivi e ricreativi privati�, a �protezione 
e sviluppo controllato� e a �zona verde�. 

L'inclusione di tali aree per la quota del 3% non pu� difatti essere 
giustificata dalla necessit� di non sottrarre all'attivit� di coltivazione una 
parte del territorio, per la semplice ragione che tali aree non hanno tale 
destinazione. 

Del resto, anche sotto un profilo logico, il rapporto percentuale, sopra 
riferito, tra zona agricola e superficie delle cave, postula comunque che le 
aree di cui si discute rivestano le caratteristiche della totalit� alla quale rapportare 
la ragione percentuale, non essendo invero ipotizzabile la sussunzione 
nella parte percentuale di entit� che non possono essere ricomprese nella 
totalit�. 

Sotto il profilo procedimentale, occorre pertanto definire, in via prioritaria, 
se le aree in questione fossero ricomprese tra le zone con destinazione 
agricola o meno. L'individuazione del totale deve, infatti, precedere l'applicazione 
del tasso percentuale, poich� gli elementi che concorrono a formare la 
parte percentuale devono avere le stesse caratteristiche del totale. 

Al riguardo non pu� condividersi quanto sostenuto dalle appellanti, 
secondo cui la disposizione citata avrebbe assimilato alle zone in cui � in atto 
una attivit� di escavazione -a prescindere dalla loro classificazione o meno 
come zona E -le zone a questa assimilabili perch� non riconducibili a nessuna 
delle tipiche zone omogenee di cui al D.M. 12 aprile 1968 n. 1444. 

L'art. 13, comma 1, della legge regionale del Veneto n. 44 del 1982, 
richiama espressamente �le parti di territorio comunale definite zona E., a 
norma del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 dallo strumento urbanistico 
generale approvato� -e cio� le parti del territorio destinate ad usi 
agricoli -e quindi fa riferimento alla destinazione agricola della zona e non 
alla sua condizione di fatto o per altro titolo. Con la conseguenza che il computo 
della superficie non pu� essere fatto con riferimento alla destinazione 
fattuale delle stesse, ma alle previsioni degli strumenti urbanistici. 

Ci� senza contare che, ancorando la destinazione ad elementi di fatto, la 
superficie totale della zona agricola non sarebbe mai certa, essendo necessario 
verificare, di volta in volta, tutte le aree in concreto destinate all'agricoltura o 
assimilate anche se non sono ricomprese nella zona a destinazione agricola. 

D'altra parte, la Sezione ha avuto modo di pronunciarsi sulla corretta 
interpretazione della richiamata disposizione regionale con decisione n. 1807 
del 23 dicembre 1994, alle cui conclusioni si richiamano le considerazioni 
che precedono. 

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve concludere che il 
Tribunale ha fatto corretta applicazione della normativa regionale, con conseguente 
infondatezza del primo motivo di appello. 

La natura assorbente della questione dispensa il Collegio dall'esame del 
motivo di impugnazione che attiene al procedimento da seguire per il rilascio 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

258 

dell'autorizzazione all'apertura della cava, se cio� debba osservarsi l'art. 17 
del P.RT.C. ovvero l'art. 18 della legge regionale n. 44 del 1982, tanto pi� che 
l'asserito contrasto fra le due procedure dovrebbe considerarsi risolto per 
effetto dell'art 31, comma secondo della legge regionale 1febbraio1995 n. 6, 
e preclude, altres�, di esaminare l'appello incidentale della Inerti Sile, rivolto 
a contestare la legittimit� del citato art. 17 (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 31ottobre1997 n. 1533 -Pres. Ancora -Est 
Romeo -Ministero della Pubblica Istruzione (avv. Stato Salvatorelli) e 
Istituto Musicale pareggiato �G. Donizetti� di Bergamo e Comune di 
Bergamo (avv.ti P. Gaggioli e E. Romanelli). 

Istruzione e scuole -Conservatori di Musica -Corsi di chitarra Legge 2 maggio 
1984 n. 106 -Valore legale -Condizioni 

Anteriormente all'entrata in vigore della legge 2 maggio 1984 n. 106, che 
ha incluso i corsi di chitarra nella categoria delle scuole di musica, in linea di 
principio i suddetti corsi non potevano essere considerati utili per il conseguimento 
del diploma di conservatorio avente valore legale. 

Tuttavia l'Amministrazione qualora abbia ingenerato l'affidamento da 
parte dei frequentanti nella regolarit� dei corsi stessi, non pu� disconoscere 
il valore legale dei titoli conseguiti, anteriormente all'entrata in vigore 
della suddetta legge, senza avere prima ponderato la rilevanza degli interessi 
coinvolti (1). 

(omissis) 1. Con le appellate sentenze, il TAR, dopo aver disatteso le 
eccezioni di inammissibilit� e di irricevibilit� dei ricorsi, ha definito fondata 
la censura di difetto di motivazione in ordine alla dichiarata �non rispondenza
� dei corsi di chitarra organizzati dall'Istituto Donizetti alla disciplina 
dettata in proposito ai fini del riconoscimento del valore legale degli stessi e 
dei diplomi, nonch� sul punto della �comparazione della esigenza di ripristino 
della legalit� asseritamente violata con situazioni risalenti nel tempo, ed 
in vario modo avallate dalla stessa Pubblica Amministrazione�. 

2. L'appellante, prima di censurare le sentenze impugnate, ricostruisce 
la situazione dell'Istituto musicale �G. Donizetti� di Bergamo, che gode, ai 
sensi e per gli effetti del R.D. 15 maggio 1930 n. 1170, del pareggiamento 
(1) La sentenza in esame non ha precedenti in termini. Sul piano dei principi 
appare interessante il tentativo di conciliare il rigore del principio di legalit� dell'azione 
amministrativa con l'ineliminabile esigenza di tutela dell'affidamento ingenerato 
nei privati. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

delle scuole previste dal d.P.R. n. 80 del 7 gennaio 1970 (composizione; 
organo e composizione organistica; pianoforte; clarinetto; tromba e trombone), 
dal d.P.R. n. 486 del 18 febbraio 1970 (violino e viola) e dal d.P.R. 1048 
dei 16 ottobre 1980 (canto; violoncello; contrabasso; oboe; fagotto; corno; 
flauto). Solo con d.P.R. n. 685 del 1986, il pareggiamento � stato esteso anche 
alla scuola di chitarra, a partire dall'anno scolastico 1986/1987. 

Anteriormente a quest'ultimo d.P.R. n. 685/1986, sussisteva presso 
l'Istituto Donizetti un corso di chitarra, da qualificarsi a carattere privato, e, 
nonostante questo fosse privo del �pareggiamento� (atto, questo, concessivo 
di natura costitutiva), perch�, all'epoca, non era stata ancora istituita una 
scuola di chitarra nei Conservatori di Musica, il corso � stato impropriamente 
pubblicizzato, sin dalla sua istituzione (1970), con il termine improprio 
�scuola�, e sono stati rilasciati agli allievi certificati e attestati finali (diplomi) 
degli studi compiuti con l'uso di carta stampata con gli estremi del pareggiamento 
di altre scuole. 

I corsi di chitarra sono stati, infatti, inclusi nella categoria delle scuole 
di musica, per gli effetti del R.D. n. 194511930, solo con legge 2 maggio 1984 

n. 106. Prima di quest'ultima legge, anche per quanto concerne i conservatori 
di musica statali, i corsi di chitarra potevano essere svolti come corsi 
straordinari ovvero speciali, di cui all'art. 191 D. Lgt. 5 maggio 1918 n. 1852 
e all'art. 17 del R.D. 7 gennaio 1926 n. 214, di per s� privi di effetti legali tipici 
delle scuole di musica. 
Questa esauriente premessa, che riprende il preambolo del D.M. del 30 
marzo 1987, annullato dal TAR, si conclude con il richiamo alla ispezione 
presso l'Istituto Donizetti, le cui risultanze sono state acquisite, in data 10 
febbraio 1987, agli atti del Ministero, il quale, con il menzionato D.M., ha 
�decretato: 1) i corsi di chitarra e relativi esami, comunque denominati e 
tenuti fino all'anno scolastico 1985/1986 presso l'Istituto musicale �G. 
Donizetti� di Bergamo, non hanno valore legale: 2) gli attestati, le certificazioni, 
i diplomi e qualunque altro atto amministrativo, concernente i 
corsi e gli esami di cui al precedente articolo, rilasciati dall'Istituto 
Musicale �G. Donizetti� di Bergamo, non sono da considerare titoli di studio 
con valore legale�. 

3. Le eccezioni di inammissibilit� e di irricevibilit� degli originari ricorsi, 
disattese dal primo giudice e riproposte in questa sede, sono strettamente 
embricate con la questione della legittimit� del contestato decreto, con il 
quale si disconosce il valore legale dei corsi di chitarra sino al 1985/1986 (a 
partire dall'a.s. 198611987 la scuola di chitarra presso l'Istituto Donizetti � 
stata �pareggiata�), unitamente agli attestati, alle certificazioni, ai diplomi e 
ad ogni altro atto amministrativo. 
Se, infatti, si disattende, come ha fatto il TAR, la prima eccezione di 
difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, riconoscendo la valenza 
provvedimentale del D.M. 30 marzo 1987, deve parimenti riconoscersi 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

260 

non solo che i ricorsi in primo grado erano ricevibili, atteso che quest'ultimo 
non � stato notiziato ai ricorrenti, direttamente incisi, ma che � fondata 
la censura con la quale � stata dedotta la mancata comparazione dell'interesse 
pubblico al ripristino della legalit� con il pregiudizio subito dai privati, 
le cui posizioni si sono consolidate nel tempo, anche a motivo della 
presenza di �Commissari ministeriali, che hanno presieduto i relativi esami 
intermedi e finali�. 

La difesa erariale insiste nel sostenere che l'atto impugnato sia privo di 
valenza provvedimentale, limitandosi, questo, a �prendere atto di una situazione.
di fatto (e cio�, dell'inesistenza dei corsi e dei diplomi), senza alcuna 
immutazione della stessa�, sicch� non vi sarebbe alcuna posizione giuridica 
di interesse legittimo, incisa d� questo. 

La tesi non convince. 

� invero �la presa d'atto�, seppure tardiva, di una determinata situazione 
da parte del Ministero competente, che ha indotto quest'ultimo ad emanare 
un provvedimento che, teso a ripristinare la legalit�, ha �decretato� l'inesistenza 
del valore legale dei corsi di chitarra in questione, e quindi ha eliminato 
dall'esistente giuridico degli atti (che lo stesso provvedimento definisce 
�amministrativi�: attestati, certificazioni, diplomi e qualunque atto 
amministrativo), della cui legittimit� i ricorrenti mai avevano dubitato, 
anche a motivo -come si � detto -della presenza di commissari ministeriali 
�nelle operazioni relative ai corsi di chitarra� (pag. 6 del ricorso di appello; 
pag. 11 delle sentenze impugnate). 

Non � dunque sostenibile che l'atto impugnato sia �neutro� e che conseguentemente, 
non essendo rivolto ad �Un identificato novero di soggetti contemplati
�, fosse sufficiente la pubblicazione di questo nella G. U. ai fini della 
decorrenza dei termini per la sua impugnativa. 

I soggetti, direttamente incisi dall'impugnato decreto, esistono e sono 
quelli che, individuati nella relazione ispettiva del gennaio 1987, richiamata 
nello stesso decreto (pag. 13 della sentenza impugnata), hanno fatto affidamento 
sulla regolarit� dei corsi di chitarra frequentati. 

4. Detto questo, deve essere condiviso l'assunto del primo giudice secondo 
il quale il provvedimento impugnato deve considerarsi illegittimo, perch� 
privo di qualunque cenno motivazionale sull'interesse pubblico al ripristino 
della legalit�, comparato con il pregiudizio subito dai ricorrenti. 
Il Ministero, infatti, nell'emanare il provvedimento impugnato, non si � 
posto il problema dell'incidenza di quest'ultimo su situazioni soggettive, al 
cui consolidamento esso stesso aveva contribuito. Eppure, questo, � un aspetto 
fondamentale a motivo dell'affidamento che i ricorrenti avevano riposto 
nella regolarit� amministrativa dei corsi frequentati. 

La difesa erariale sviluppa in proposito una tesi che � condivisibile su un 
piano astratto e che in sostanza riporta alla dedotta eccezione di inammissibilit� 
dei ricorsi di primo grado per difetto di giurisdizione. 

.. 

II 


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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Muovendo, infatti, dal presupposto che il corso musicale di chitarra, con 
possibilit� di riconoscerne effetti legali, � stato istituito con la legge n. 106 del 
1984, non dovrebbe porsi, prima di quest'ultima, il problema dell'assenza del 
pareggiamento a norma del R.D. 15 maggio 1930 n. 1170 ovvero della frequenza 
in buona fede di un corso di chitarra come se fosse pareggiato. Da 
qui, la tesi della mera �presa d'atto� (dichiarazione di scienza), operata dal 
Ministero con il provvedimento impugnato, di una situazione di fatto esistente 
che andava definitivamente chiarita. 

La situazione, anche dal punto di vista normativo, non � per� cos� semplice 
da poter essere schematizzata con una proposizione del seguente tenore: 
siccome il corso di chitarra non era compreso, anteriormente alla legge 2 
maggio 1984 n. 106, fra i corsi previsti dalla normativa per il rilascio del titolo 
di studio con valore legale, ai sensi del R.D. 11 dicembre 1930 n. 1945, nessun 
valore legale pu� essere riconosciuto agli studi compiuti nei corsi musicali 
di chitarra, prima della legale istituzione di questi. 

La difficolt� in rapporto a tale tesi -che, si ripete, � astrattamente condivisibile 
(non si pu� dare valore legale a un corso �meramente privato�, 
prima ancora che questo sia legislativamente istituito) -si radica nel fatto 
che -diversamente da quanto sostiene la difesa erariale -l'interpretazione 
che il Ministero d� della normativa esistente prima della legge n. 106/1984 � 
a sua volta basata sull'accertamento di quanto storicamente avvenuto presso 
l'Istituto Donizetti a partire dal 1970/1971 sino alla data del concesso pareggiamento 
della scuola di chitarra (a.s. 1986/1987). 

Per il Ministero -che ha emesso il provvedimento della cui legittimit� si 
discute -ha, infatti, importanza indiretta la radicale questione, posta dalla 
difesa erariale, della estraneit� del corso di chitarra alla previsione normativa 
di cui al R.D. n. 1945/1930, con la conseguente impossibilit� di applicare, nel 
settore della scuola non statale, l'unico strumento normativo (R.D. n. 
1170/1930) per dare valore legale agli studi compiuti in istituti musicali non 
statali. Diretta importanza ha per esso solo quanto storicamente accaduto 
presso l'Istituto Donizetti prima del concesso pareggiamento della scuola di 
chitarra, cio� che �ha funzionato, invece, dall'anno 1970/1971, un corso di chitarra 
organizzato e strutturato in modo non rispondente all'art. 191, 3� 
comma, del Decreto legge 5 maggio 1918 n. 1852 (corsi straordinari di chitarra), 
n� all'art. 17 del R.D. legge 7 gennaio 1926 n. 214 (corsi speciali), n� alle 
disposizioni impartite con circolare ministeriale n. 9545 del 5 luglio 1969 (che 
definisce l'ordinamento del corso di chitarra: durata, esami, requisiti di 
ammissione e altro) n� al Decreto Interministeriale del 22 luglio 1980 (che istituisce 
presso i Conservatori di Musica i corsi speciali permanenti di chitarra). 

Si �, perci�, autorizzati a pensare che la decisione assunta dal Ministero 

sia da attribuirsi alla asserita accertata �non rispondenza� del corso di chi


tarra alla predetta normativa, pi� che alla interpretazione di quest'ultima, 

che, pur consentendo la possibilit� di istituire corsi �Straordinari oppure spe


ciali� di chitarra, non comporta di per s� la ulteriore possibilit� di ricono


scere legalmente gli studi compiuti. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

262 


Il problema che si pone dunque al Collegio non � tanto -come sostiene 

l'Awocatura dello Stato -quello di valutare la legittimit� del D.M. 30 marzo 

1986 alla stregua di �Un sistema che intende confinare in linea di principio 

nel meramente �privato� (senza effetti legali) i corsi di studi non statali privi 

di una specifica concessione governativa�, quanto quello di verificare l'esi


stenza del presupposto su cui si fonda il prowedimento impugnato, cio� se � 

esatta la �non rispondenza� del corso in esame alla disciplina richiamata 

dallo stesso prowedimento. 

Si deve convenire al riguardo con il primo giudice che questa �non 

rispondenza� del corso di chitarra alla disciplina allora esistente, � stata 
.�perentoriamente affermata, mentre la stessa necessitava di una precisa dimostrazione 
alla luce del conseguito pareggiamento della Scuola di chitarra a 
partire dall'a.s. 1986/1987, e soprattutto in relazione all'articolazione di questo 
corso �con programmi di studio e d'esame analoghi a quelli in vigore 
presso i Conservatori� (ved. relazione del Direttore dell'Istituto del 7 agosto 
1987, ove si dichiara anche che gli esami, ad eccezione di un anno, si sono 
svolti con la presenza -come confermato dall'esito dell'istruttoria -di un 

commissario ministeriale nominato per gli esami delle scuole pareggiate). 

D'altra parte, pare che, in relazione agli insegnamenti di chitarra 

(anche presso i Conservatori di Musica), sia awenuto quello che spesso 

accade, cio� che il dispiegarsi nel tempo di una serie di fatti ha sospinto il 

legislatore a prendere atto del progressivo compiersi di questi, dando loro 

una disciplina legale. 

Ci� si deduce dalla mera lettura della circolare ministeriale n. 9545 del 

5 luglio 1969, laddove espressamente si dichiara che in sede di revisione 

degli insegnamenti straordinari esistenti presso i Conservatori di musica, � 

emersa la necessit� di regolamentare (tra altri) i corsi di chitarra (al fine) 

di togliere a tale insegnamento ogni equivoco di formazione dilettantesca, 

sottolineando nella formulazione del programma che la specifica�letteratu


ra presenta nel contesto generale della storia della musica in relazione alla 

fioritura chitarristica-liutistica�. Questa situazione � stata ulteriormente 

precisata con il Decreto Interministeriale 22 luglio 1980, con il quale sono 

stati istituiti, a decorrere dall'anno scolastico 1980/1981, presso i 

Conservatori di Musica i corsi speciali permanenti di �chitarra�. Poi, � 

intervenuta la circolare 27 marzo 1985 n. 107 (validit� degli attestati finali 

di �corsi musicali straordinari� e �Corsi speciali permanenti� rilasciati dai 

Conservatori di Musica) che ha affrontato �il problema reale della validit� 

dei titoli�, ammettendo alle prove di abilitazione e concorso i possessori di 

titoli, con la precisazione di �corso speciale permanente� di chitarra, con 

durata di almeno sette anni, conseguiti non solo presso i Conservatori di 

Musica, ma presso i licei pareggiati, i cui direttori �sono chiamati a presta


re la massima collaborazione�. 

Questa sequenza di prowedimenti ammmistrativi dimostra come, da 

una parte, il Ministero della Pubblica Istruzione abbia preso in considerazio


ne una realt� che � venuta in essere anteriormente alla legge n. 10611984, e, 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

263 

dall'altra, come non possa definirsi �inesistente in s�� un corso musicale di 
chitarra cui l'ordinamento connetta effetti legali, fino a che non sia intervenuta 
la legge istitutiva della scuola di chitarra. 

Sono queste le ragioni che inducono ad affermare che il modo di rappresentare, 
da parte della difesa erariale, la situazione normativa e di fatto sia 
inadeguato, e che, nella specie; la sfera del �privato� (il corso in questione) 
sia stata continuamente sorretta e filtrata (basti pensare alla presenza dei 
commissari ministeriali agli esami) dalla sfera normativa, richiamata nel 
provvedimento impugnato. 

La situazione che si �, perci�, determinata presso l'Istituto Donizetti, a 
seguito dell'attivazione del corso �straordinario� di chitarra, � certamente 
illegittfrna, ma non. per questo pu� essere �confinata nel meramente privato
�, attese le modalit� di svolgimento del corso medesimo; modalit�, tali da 
suscitare un affidamento di rispondenza legittima degli appellati sulla sua 
regolarit�. 

E, pertanto, troppo semplice quello che sostiene, in un modo che prescinde 
dalla lettura del prowedimento impugnato, la difesa erariale: il 
Ministero ha �preso atto di una situazione di fatto, senza alcuna immutazione 
della stessa�. Una approfondita analisi del D.M. 30 marzo 1986 porta invece 
a concludere che il Ministero ha inteso, sulla base di un indimostrato presupposto 
fattuale (non rispondenza del corso alla normativa all'epoca esistente) 
rimuovere tutti gli atti �amministrativi� relativi al corso in questione, 
senza per� tener conto, in un quadro comparativo degli interessi coinvolti, 
delle posizioni degli appellati. 

Gli appelli vanno, per questo, respinti (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 31ottobre1997 N. 1534 -Pres. De Lise -Est. 
Salvatore-Ianniello c. Presidenza del Consiglio ed altri. 

Impiego pubblico -Dirigente Generale -Nomina -Dirigente gi� in aspettativa 
per mandato parlamentare e collocato a riposo medio termine Ricostruzione 
di carriera -Esclusione. 

In seguito all'entrata in vigore della legge 8 marzo 1985 n. 72, che ha 
esteso ai dipendenti degli enti pubblici la disciplina contenuta nel d.P.R. 30 
giugno 1972 n. 748, il conferimento della qualifica di dirigente generale presso 
gli enti pubblici si configura come nomina, e non come promozione, perch� 
pu� riguardare anche persone estranee ai ruoli degli enti stessi; pertanto 
� legittimo il diniego di ricostruzione della carriera di un dirigente di un ente 
previdenziale che, collocato in aspettativa per mandato parlamentare, sia 
stato medio tempore collocato a riposo per limiti di et�, con conferimento a 
tale momento della qualifica di dirigente superiore, poich� l'art. 4 della Legge 

.:.-:?"" 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

264 


31ottobre1965 n. 1245 (sulla ricostruzione di carriera degli impiegati collocati 
in aspettativa per mandato parlamentare) si applica solo alle promozioni 
in senso stretto (1). 

(Omissis) 1. Il primo motivo di appello, che ripropone la censura di violazione 
dell'art. 88, comma 4 del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361, come integrato 
dall'art. 4 della legge 31 ottobre 1965 n. 1261 e di manifesta illogicit�, � 
infondato. 

Secondo l'appellante la sentenza impugnata sarebbe frutto di una non 
corretta interpretazione dell'art. 88, comma 4 del d.P.R. n. 361 del 1957, in 
quanto, pur avendo riconosciuto che la disposizione 14in parola -essendo 
diretta ad evitare che il dipendente chiamato a svolgere funzioni elettive resti 
eventualmente danneggiato nei riguardi di colleghi che abbiano continuato a 
svolgere regolarmente il proprio servizio -si applica esclusivamente alle 
promozioni in senso tecnico, ha poi del tutto contraddittoriamente affermato 
che la ricostruzione di carriera effettuata a posteriori all'atto del collocamento 
a riposo, deve comunque fondarsi sulle probabilit� che il ricorrente 
avrebbe avuto di conseguire la promozione e non sul fatto oggettivo che l'interessato 
non aveva potuto conseguire promozioni di merito. 

Tale conclusione si porrebbe in aperto contrasto con lo stesso presupposto 
che � alla base della disposizione invocata, correttamente individuato 
dallo stesso Tribunale nell'esigenza di evitare all'interessato i danni derivanti 
dal lungo periodo di aspettativa connessa allo svolgimento del mandato parlamentare. 


L'assunto non pu� essere condiviso. 

Si deve in primo luogo precisare che la censura � stata valutata dal giudice 
di primo grado con riferimento anche alla normativa vigente prima della 
legge 8 marzo 1985 n. 72 che ha esteso al personale dirigente degli enti pubblici 
non economici la disciplina prevista per la dirigenza statale dal d.P.R. 
30 giugno 1972 n. 748. 

Per il periodo successivo al 1985 la pretesa dell'appellante ad essere 
inquadrato nella qualifica di dirigente generale � stata respinta sul rilievo 
che, a norma dell'art. 25 del d.P.R. n. 748 del 1972 il conferimento della qualifica 
di dirigente generale non integra una promozione in senso stretto ma si 
configura come autonomo atto di nomina, conferibile anche a persone estranee 
all'amministrazione, e del tutto svincolato dalla posizione degli impiegati 
nei cui ruoli la qualifica � prevista. 

(1) Non constano precedenti in termini. Il Consiglio di Stato, nel limitare l'applicabilit� 
dell'art. 88 della legge n. 72 del 1985 alle sole �promozioni in senso stretto�, 
delinea leffettiva portata della normativa relativa ai dipendenti pubblici collocati in 
aspettativa per mandato parlamentare, che � quella di evitare danni al dipendente eletto 
a cariche parlamentari, non gi� quella di procurargli vantaggi di carriera rispetto ai 
colleghi rimasti in servizio. 
Sugli ulteriori profili disciplinati dalla legge n. 72 del 1985 v. anche CdS, IV, del 
10 gennaio 1990 n. 8; CdS, VI, del 10 novembre 1995 n. 1296. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Si tratta di conclusione pienamente condivisibile, che peraltro non viene 
contestata neppure dall'appellante, il quale riv�lge le proprie critiche alle argomentazioni 
poste a base del diniego di conferimento della qualifica di direttore 
centrale (equiparato a direttore generale) per il periodo anteriore all'entrata 
in vigore della nuova normativa di cui alla legge 8 marzo 1985 n. 72. 

Per tale periodo il Tribunale ha ritenuto che la posizione dell'appellante 
trova la sua disciplina nell'art. 60 del Regolamento dell'ente, vigente alla data 
di espletamento della procedura, secondo il quale la nomina a Direttore centrale 
(equiparato a direttore generale) aweniva a ruolo chiuso mediante scrutinio 
per merito comparativo fra dirigenti superiori con almeno tre anni di 
anzianit� nella qualifica. 

All'inapplicabilit� di tale disposizione al caso di specie il giudice di 
primo grado � pervenuto sul rilievo che la ricostruzione fittizia della carriera 
non pu� prescindere da una valutazione presuntiva della posizione dell'interessato 
ai fini della necessaria comparazione con gli altri colleghi rimasti in 
servizio ed effettivamente scrutinati. 

E poich� l'appellante nella qualifica di dirigente superiore, anch'essa 
conseguita per effetto della ricostruzione fittizia, era collocato in una posizione 
di ruolo notevolmente inferiore a quella del dirigente promosso in esito 
alla procedura di scrutinio, ha ritenuto, sulla base del giudizio probabilistico 
proprio della ricostruzione ora per allora, assai inverosimile che egli avrebbe 
potuto conseguire la nomina a dirigente generale in luogo del pari grado a 
suo tempo promosso. 

Tale conclusione appare pienamente condivisibile, essendo evidente che 
la tesi propugnata dall'appellante, come giustamente osservato dal tribunale, 
finirebbe per stravolgere le finalit� della normativa, che non sono quelle di 
procurare vantaggi di carriera al dipendente eletto a cariche parlamentari 
rispetto ai colleghi rimasti in servizio, bens� di evitare danni derivanti dalla 
mancata prestazione dell'attivit� lavorativa. 

A tali considerazioni si pu� aggiungere che l'assenza dal servizio per un 
periodo di ben 25 anni esclude in radice la possibilit� che in favore dell'interessato 
possano essere presi in considerazione, sia pure in via presuntiva ai 
fini della ricostruzione della carriera, elementi valutativi che postulano il 
concreto svolgimento delle funzioni dirigenziali. 

2. A conclusioni negative deve pervenirsi anche in ordine al secondo 
motivo di appello, con il quale si assume che in ogni caso la ricostruzione 
della carriera non avrebbe effetto solo ai fini pensionistici e previdenziali ma 
anche a quelli economici, con conseguente diritto alla corresponsione degli 
arretrati. 
L'appellante rileva che nel caso di specie il richiamo alla sinallagmaticit� 
delle prestazioni formalmente sancito dall'art. 9 del d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 
3 non appare pertinente, in quanto derogato dal comma 5 dell'art. 88 del d.P.R. 
30 marzo 1957 n. 361, per il quale �il periodo trascorso in aspettativa per man



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

266 


dato parlamentare � considerato a tutti gli effetti periodo di attivit� di servizio 
ed � computato per intero ai fini della progressione in carriera degli aumenti 
periodici di stipendio e del trattamento di quiescenza e di previdenza�. 

In realt� dalla disposizione avanti richiamata non si ricava alcun elemento 
idoneo a suffragare la tesi dell'appellante, trattandosi di norma che 
costituisce specificazione del comma 3 del medesimo art. 88, secondo il quale 
al dipendente collocato in aspettativa per mandato parlamentare possono 
essere conferite promozioni solo per anzianita e devono essere attribuiti, alla 
scadenza normale, gli aumenti periodici di stipendio. 

Deve, pertanto, concludersi che la ricostruzione di carriera all'atto del 
collocamento a riposo, esplica i suoi effetti economici ai soli fini del trattamento 
pensionistico e di previdenza. 

3. Alla luce delle considerazioni che precedono l'appello va respinto 
(omissis). 

TAR TOSCANA, sez. II, 23 ottobre 1997 n. 668 -Pres. Lazzeri -Est.NicolosiLista 
Progetto per Poggio, Cambi Piero ed altri (avv. Giovannelli, 
Tomada, Ragazzini) c. Commissione Elettorale Circondariale Prato (avv. 
Stato Cortigiani), Gelli Silvano ed altri (avv. Cecchi), Comune di Poggio 
a Caiano (n.c.) 

Elezioni comunali -Ricorso cumulativo in veste di candidato ed elettoreAmmissibilit�. 


Elezioni comunali -Presentazione delle liste -Formalit� -Firme dei sottoscrittori 
su moduli non recanti indicazione dei candidati -Inammissibilit�. 

Elezioni comunali -Indebita ammissione di una lista -Annullamento proclamazione 
eletti a seguito di azione popolare -Effetti. 

Nel giudizio elettorale � ammissibile la proposizione, con un unico ricorso, 
sia della azione popolare che della azione a tutela della posizione di candidato, 
da parte di soggetti che agiscono nella duplice veste di candidato e cittadino 
elettore (1). 

(1) Le decisioni Cons. St., V., 11 settembre 1991 n. 1143 e 7 �gosto 1991 n. 1097 
citate in motivazione leggonsi in Cons, stato 1991, I, 1321 e 1184. 
In senso contrario v. Tar Lazio, II, 28 luglio 1995 n. 1250, in Trib. amm. reg. 1995, 
I, 3510. 
Pi� in generale, per la qualificazione dell'interesse che sorregge l'azione popolare 
come volto a conseguire una qualsiasi modificazione del risultato elettorale, a tutela 
dell'interesse pubblico generale al retto funzionamento del sistema democratico, e 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

267 

Ai fini della presentazione delle liste per le elezioni comunali le firme dei 
sottoscrittori devono essere contenute in moduli riportanti, oltre al contrassegno 
di lista, nome, cognome, luogo e data di nascita dei candidati e generalit� 
complete dei sottoscrittori, e tali indicazioni devono comparire in tutti i modu


li: non � pertanto ammissibile alla consultazione elettorale una lista per la 
qualele firme dei sottoscrittori siano state raccolte in un fascicolo composto da 
moduli solo sul primo dei quali compaiono i nominativi dei candidati (2). 
L'accoglimento della azione popolare volta a contestare la proclamazione 
degli eletti per illegittima partecipazione alla consultazione elettorale di 
una lista che.non avrebbe dovuto esservi ammessa travolge la intera sequenza 
elettorale, che pertanto dovr� essere ripetuta integralmente, e non solo 
limitatamente alle operazioni successive al primo atto illegittimo (3). 

(omissis) 5. Nel ricorso 1872/97 residuano come ricorrenti in proprio i 
signori Corti Enzo, Di Luca Alberto, Cambi Piero e Baroncelli Piero nella loro 
qualit� di elettori del comune di Poggio a Caiano e come atti impugnati il verbale 
di proclamazione degli eletti e le operazioni elettorali, in quanto solo tali 
atti sono esclusivamente soggetti dall'art. 83/11 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 
570, come modificato dalla legge 23 dicembre 1966 n. 1147, alla eccezionale 

quindi come diverso e pi� ampio rispetto all'interesse ad uno specifico risultato proprio 
dei singoli candidati v. oltre a Cons. St., V, 20 gennaio 1978 n. 97 citata in motivazione 
e leggibile in Cons. stato 1978, I, 96, Tar Toscana, Il, 15 dicembre 1995 n. 726, 
in Trib. amm. reg. 1996, I, 559. 

(2) L'interpretazione rigorosa della normativa in tema di caratteristiche dei moduli 
per la raccolta delle firme dei sottoscrittori, a tutela della consapevolezza dei sottoscrittori 
stessi e al fine di evitare che le firme siano ottenute fraudolentemente � consolidata 
in giurisprudenza. Le decisioni citate in motivazione leggonsi, rispettivamente, Cons.St., 
V, 17 maggio 1996 n. 575 in Cons. stato 1996, I, 857; Cons. St., V, 28 gennaio 1996 n. 111, 
ibidem, 1996, I, 53; Cons. St., V, 30 giugno 1995 n. 965, ibidem, 1995, I. 796. 
(3) Cons. St. 29 giugno 1979 n 470, in Cons. stato 1979, I, 1051, afferma, al contrario, 
che nel caso di illegittima ammissione di una lista e conseguente rinnovazione 
delle elezioni, il vizio derivante dalla illegittima ammissione si riflette sulle operazioni 
successive, nonch� su quelle precedenti relative alla fissazione della data di votazione 
e alla individuazione degli elettori, ma non anche alle operazioni dotate di una certa 
autonomia, come la non contestata ammissione di altre liste, dimodoch�, in tale ipotesi 
... �sar� la nuova consultazione popolare a stabilire in quale misura si riverseranno 
sulle liste in argomento (gi� ammesse) i voti espressi a favore della lista ... (illegittimamente 
ammessa) che non potr� partecipare a detta competizione�. Nello stesso 
senso, sostanzialmente, Cons. St.,V, 19 dicembre 1980 n. 989, ibidem 1980, I, 1692 che 
fa applicazione del principio generale per il quale l'annullamento di un atto si propaga 
a quelli successivi e conseguenti, ma non anche a quelli che lo precedono. 
Entrambe tali decisioni, peraltro, risultano pronunciate a seguito di ricorsi di singole 
liste o candidati, e non, come nel caso di specie, a seguito di azione popolare. 
In generale, per varie problematiche relative alle formalit� di presentazione delle 
liste per le elezioni amm.ve ed ai relativi ricorsi v. Tar Toscana, II, 25 novembre 1994 

n. 370 e Tar Toscana, Il, 28 ottobre 1994 n. 358, in Foro it., 1995, III, 156 con nota 
Cortigiani. 
G.C. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

268 

azione popolare riconosciuta a qualsiasi cittadino elettore in riferimento 
all'interesse pubblico che vi � sotteso come a breve si chiarir�. 

6) La definizione e delimitazione dei limiti soggettivi ed oggettivi del 
sindacato giurisdizionale cos� sancita sul ricorso 1872/97 per effetto dell'atto 
irrituale di rinuncia formalizzato da parte ricorrente, richiede alcuni chiarimenti 
sul punto dell'ammissibilit� (e dei limiti) di un'azione popolare proposta 
da soggetti cittadini elettori che contestualmente agiscono in qualit� di 
candidati (la posizione di delegato di lista ha origine e fine esclusivamente 
all'interno della funzione di rappresentanza svolta in nome e per conto della 
lista e non involge quindi la posizione soggettiva del delegato quale cittadino 
elettore) avverso le operazioni elettorali che in tale duplice veste li ha visti 
coinvolti. 

� noto che la giurisprudenza ha ravvisato nell'art. 83/11 citato due distinte 
posizioni tutelabili con azioni diverse: la posizione del candidato, al quale � 
riconosciuto un interesse qualificato proprio e diretto alla preposizione all'ufficio 
elettivo cui aspira attraverso un procedimento correttamente svolto; la 
posizione di cittadino elettore, al quale � riconosciuta la legittimazione all'esercizio 
di un'azione popolare che �costituisce guarentigia voluta dal 
Legislatore per il corretto funzionamento del sistema democratico ed � posta 
a tutela di un interesse pubblico generale� (C.S., sez. V, 20 gennaio 1978 n. 96; 
cfr. anche C.G.A. 1marzo1993 n. 83 in riferimento al fine di rimedio avverso 
vizi che possano avere alterato il risultato elettorale che � genuino se e quando 
realizza la corrispondenza tra le scelte del corpo elettorale e la composizione 
dell'organo elettivo; nonch� C.S., sez. V, 7 agosto 1991 n. 1097). 

La questione se uno stesso soggetto possa esercitare contestualmente, 
laddove rivesta ambedue le suindicate distinte posizioni, le due azioni va 
risolta nell'ambito dei principi costituzionali e processuali. 

Sul piano dei principi costituzionali, vale richiamare l'art. 24 che sancisce 
il diritto di tutela in giudizio dei propri diritti ed interessi, nonch� l'inviolabilit� 
del diritto di difesa; e gli artt. 48 e 51 che riconoscono e tutelano i 
diritti elettorali dei cittadini. Da tali principi consegue che, laddove la legge 
riconosca al singolo individuo pi� posizioni soggettive tutte tutelabili in relazione 
al perseguimento di interessi meritevoli di considerazione sul piano 
giuridico, non possa -salvo che in concreto altra legge disponga diversamente 
-la scelta della tutela di una posizione giuridica e l'esercizio dell'azione 
a tutela della posizione stessa operare indirettamente a pregiudizio 
delle altre posizioni soggettive e delle relative azioni, limitandole o addirittura 
estinguendole. 

Sul piano dei principi processuali � notorio che il principio del riconoscimento 
dell'azione soltanto in favore di chi vi abbia un interesse � nel 
nostro ordinamento principio valido per tutti i processi ad azione privata 
(giusta l'art. 100 del e.e.). Esso non altro esprime se non una condizione dell'azione 
la quale collega l'effettiva possibilit� di tutela della posizione sostan



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

ziale ad una utilit� concreta ottenibile dall'accoglimento del ricorso. Ora, 
mentre il perseguimento di una concreta utilit� soggettiva � senza dubbio 
condizione per l'esercizio dell'azione da parte del soggetto che ha un interesse 
diretto nella consultazione elettorale (come un candidato), per lesercizio 
dell'azione popolare la legge non richiede al cittadino elettore come condizione 
il perseguimento di una concreta utilit� personale e quindi un interesse 
a ricorrere, ma solo la qualit� di cittadino elettore. L'interesse ed il bene 
da conseguire sono gi� individuati dalla legge nella integrale legittimit� e 
genuinit� delle operazioni elettorali. 

Se ci� �. vero, lesercizio dell'azione come candidato non determina in 
astratto alcuna incompatibilit� con il contestuale esercizio (nel medesimo giudizio) 
dell'azione popolare laddove ambedue le azioni conducano -come 
nella specie -ad un risultato convergente. Nella decisione 11 settembre 1991 

n. 1143, la sezione V del Consiglio di Stato, respingendo l'eccezione di carenza 
di interesse frapposta da una delle parti appellanti, ha testualmente affermato 
che �le due posizioni (di cittadino e di candidato eletto) sono del tutto 
distinte, quanto alla legittimazione ed all'interesse ad agire. E nulla esclude sul 
piano normativo che il titolare della posizione medesima possa far valere l'azione 
popolare, corrispondente ad un interesse pubblico, anche con pregiudizio 
di quello diretto e personale correlato alla qualit� di consigliere eletto�. 
� quindi da ritenere ammissibile l'azione popolare proposta dai signori 
Corti, Di Luca, Cambi e Baroncelli. 

7) Le conclusioni alle quali � pervenuto il collegio traggono seco l'estromissione 
dal giudizio della costituita Commissione Elettorale Circondariale 
di Prato. Concernendo il petitum sostanziale esclusivamente l'impugnativa 
dell'atto di proclamazione degli eletti e le operazioni elettorali per il cui tramite 
si concretizza la lesione dell'interesse pubblico alla cui protezione � funzionale 
l'azione popolare esercitabile da ogni cittadino elettore, la legittimazione 
passiva va solo riconosciuta all'Ente territoriale che si appropria del 
risultato della consultazione elettorale e non anche alla Commissione che ha 
ricusato la lista �Progetto per Poggio� ed ammesso la lista �Democratici e 
Progressisti per Poggio�. 

8) Definite le questioni di rito connesse alla rinuncia irrituale formalizzata 
dagli aw.ti Giovannelli e Ragazzini per la parte ri�orrente e passando al 
merito dell'unico motivo rimasto da esaminare per il ricorso 1872/97 (nel 
quale si deduce, appunto, l'illegittima ammissione della lista �Democratici e 
Progressisti per Poggio�), va detto che il motivo � fondato. 

Sulla questione � intervenuta in termini una decisione della V sezione 
del C.S. (30 giugno 1995 n. 965, confermata da altre pronunce indicate negli 
scritti difensivi dei resistenti anche se citate a favore: per tutte C.S., 17 maggio 
1996 n. 575, nella quale il riferimento ai moduli ed al loro contenuto � 
identico, seppure con riguardo agli artt. 28 e 32 del d.P.R. 16 maggio 1960 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

270 

n. 570), nella quale si afferma che l'art. 3 della legge 81del1993 prescrive che 
le firme dei presentatori della lista debbano essere apposte su appositi moduli 
aventi le caratteristiche di cui all'art. 20, 5� comma, del d.P R. 30 marzo 
1957 n. 361 e succ. modificazioni. 

L'art. 20 citato (al pari degli artt. 28 e 32 del d.P.R. 570) dispone che la 
firma degli elettori deve awenire su moduli riportanti il contrassegno di lista, 
il nome, ilcognome, illuogo di nascita e la data di nascita dei candidati, nonch� 
le generalit� complete dei sottoscrittori (la precisazione sulle modalit� � 
stata inserita dalla legge 11agosto1991 n. 271). 

La ratio della norma -come � stato ribadito dal Consiglio di Stato -� 
quella di evitare possibili fraudolente sottoscrizioni di liste o di candidati. La 
sottoscrizione sui moduli completi dei dati richiesti assicura, infatti, che i 
sottoscrittori hanno voluto presentare i candidati -individuati nei moduli 
stessi attraverso le loro complete generalit� -per quella determinata lista 
avente un determinato contrassegno (cfr. C.S., sez. V, 17 maggio 1996 n. 575; 
idem 28 gennaio 1996 n. 111 e 112). 

Necessita quindi che ogni modulo recante le firme dei sottoscrittori 
rispetti rigorosamente le suindicate formalit� anche se ci� pu� sembrare un' 
inutile ripetizione. 

L'allegazione di fogli recanti solo le generalit� dei sottoscrittori o con 
esse solo la didascalia del contrassegno, senza i candidati, non d� certezza ex 
ante (e non ex post, donde l'irrilevanza di una dichiarazione di �consapevolezza2
� sottoscritta -a risultati elettorali definiti -dai presentatori della 
lista: l'attendibilit� della volont� espressa con la sottoscrizione non pu� essere 
adattata, infatti, alle dimensioni del comune od alle particolari situazioni 
di reciproca conoscenza esistenti fra i cittadini di un piccolo comune, se non 
altro per la ragione che la legge contiene norme di carattere generale ed 
astratto che devono trovare applicazione uniformemente in tutto il territorio 
nazionale) che ogni sottoscrittore abbia avuto consapevolezza sulla lista ed i 
candidati per i quali ha posto la sua firma e non esclude la possibilit� che 
taluna firma sia stata in tal modo carpita in modo fraudolento o sia comunque 
frutto di un errore di persona in caso di omonimie (nelle liste elettorali 
del comune di Poggio a Caiano esistevano, come ha permesso di accertare l'istruttoria 
compiuta, due elettori aventi lo stesso nome e cognome e se ci� non 
ha determinato in concreto alcuna confusio:q.e -la circostanza non rileva 
nella specie -d� conferma del pragmatismo di disposizioni normative che 
potrebbero apparire.eccessivamente formalistiche). 

Il rigore doveroso che deve seguire l'esercizio dei diritti di elettorato attivo 
e passivo impone che delle disposizioni regolatrici della presentazione 
della candidatura si dia un'interpretazione estremamente severa a garanzia 
proprio dell'espressione di un voto consapevole e libero. Non � questione, si 
ripete, di mero formalismo, ma di garanzia di trasparenza nell'esercizio del 
pi� importante diritto politico che lo Stato democratico riconosce ai propri 
cittadini. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

. 


Tutte le volte, quindi, che ex ante manca o non vi sia dimostrazione 
oggettiva del collegamento fra sottoscrittori e la lista dei candidati, la presentazione 
della lista medesima � da ritenere viziata. 

L'autenticazione delle. firme .da parte del funzionario dell'ufficio elettorale 
non garantisce !'.esistenza del collegamento suddetto, in quanto di tale 
effetto non v'� traccia n� nella legge, n� nell'autenticazione medesima, la 
quale si.limita ad attestare che la firma dell'elettore � avvenuta in presenza 
del funzionario stesso, previo accertamento delle generalit� del medesimo e 
non che ogni sottoscrittore ha dichiarato di essere consapevole dell'identit� 
dei candidati presentati. 

Analogamente l'atto di ricevimento della lista da parte del segretario 
comunale non rileva alcunch�, in quanto non spetta a tale funzionario, ma alla 
commissione elettorale, verificare il rispetto delle modalit� di presentazione 
delle liste elettorali. Ora, la documentazione presentata dalla lista 
�Democratici e Progressisti per Poggio� era irrimediabilmente in contrasto 
con le prescrizioni contenute nelle norme surrichiamate, per cui � stata illegittimamente 
ammessa alla competizione elettorale, mancando alla data della 
presentazione della lista la certezza del riferimento della volont� espressa 
dagli elettori nei confronti dei nominativi indicati nel primo foglio del �fascicolo
� come candidati (senza peraltro le complete generalit� di quelli presentati 
per la carica di consigliere comunale). Il foglio aggiunto �presentato per 
migliore specifica dell'elenco riportato in I pagina della lista dei presentatori� 
(si veda documento segnato �2� al gruppo di documenti posto a corredo della 
lista) non pu� svolgere alcuna funzione sanante in quanto � senza data, senza 
contrassegno di lista e del tutto separato dal �fascicolo� dei moduli sottoscritti 
dai presentatori; donde la sua irrilevanza ai fini che ne occupano. 

Non vale sostenere, come si sostiene nelle memorie difensive dei resistenti, 
che il fascicolo dei moduli costituisse un unicum con la lista dei candidati 
in quanto la sottoscrizione era avvenuta alla presenza di un notaio che 
ha poi numerato e timbrato i singoli fogli. Non vale, per la ragione che il 
notaio ha solo dato atto della sottoscrizione dei moduli, ma non ha attestato 
che ciascun sottoscrittore avesse preso conoscenza dell'elenco dei candidati e 
delle generalit� complete delle stesse, n� di avere egli stesso dato lettura a ciascun 
sottoscrittore dell'elenco completo delle generalit� dei candidati e delle 
caratteristiche del contrassegno di lista. 

A ci� va aggiunto che diversi fogli non recano neanche il contrassegno di 
lista, n� per essi vi � attestazione notarile che gli elettori hanno dichiarato di 
volere presentare con la sottoscrizione quei candidati (che sarebbero stati 
dopo) indicati nella lista in questione. 

Manca infine la certificazione notarile sul numero dei fogli che compongono 
l'atto di presentazione compilato in un unico fascicolo (alla stregua 
delle disposizioni dell'art.51 della legge 16 febbraio 1913 n. 89 ordinamento 
del notariato). 

Sulla possibile confusione ed incertezza (e conseguente virtuale rischio 
di firme carpite fraudolentemente o quanto meno apposte inconsapevolmen



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

272 

te) che pu� derivare dall'utilizzo di moduli incompleti vi � plateale esempio 
nella vicenda legata alla presentazione della candidata Mugnari Vilma, la 
quale risulta in un primo momento elettore presentatore il 23 marzo 1993 e 
poi candidato della lista �Democratici e Progressisti per Poggio� (avendo 
accettato la candidatura lo stesso 23 marzo) senza che sia dato comprendere 
in quale momento della medesima giornata � divenuta candidata o ha accettato 
la candidatura. 

A seguire la tesi dei resistenti, dal momento che le firme sono state raccolte 
da un solo pubblico ufficiale, vi poteva essere una presunzione di candidatura 
per tutti gli elettori che hanno sottoscritto prima della Mugnari; 
viceversa vi poteva essere una presunzione di rinuncia alla candidatura per 
gli elettori che hanno sottoscritto successivamente: per cui sorge il dubbio di 
quali sottoscrittori fossero a conoscenza della posizione di candidata della 
predetta signora al momento della sottoscrizione del modulo. Anche a volere 
ammettere la contestuale presenza il 23 marzo 1997 di tutti i presentatori al 
momento della sottoscrizione dei moduli davanti al notaio, sembra poco credibile 
una situazione in cui un soggetto che interviene come presentatore di 
lista, sottoscrivendo il modulo, accetta poi la candidatura decisa nei suoi confronti 
dagli altri presentatori: resta sempre il dubbio sull'elenco di candidati 
che avevano sottoscritto la Mugnari e i presentatori che la precedevano, dal 
momento che l'elenco ufficiale del primo foglio reca la data (a quanto � dato 
leggere) del 29 marzo ed � inspiegabilmente inserito come primo foglio di un 
fascicolo in cui la data di presentazione � di sei giorni prima. 

Altro interrogativo, visto che la compilazione dei moduli � avvenuta in 
presenza del notaio, � su chi ha cassato e quando la firma ed il nome della 
Mugnari, visto che la certificazione finale del notaio riporta alla data del 23 
marzo la cifra di 122 presentatori, comprensiva, quindi, della Mugnari. In 
ogni caso sono incompleti i dati dei candidati indicati nel foglio che reca la 
data del 29 marzo, il quale non riporta le generalit� complete degli stessi. Sul 
momento della compilazione dell'elenco dei candidati non aiutano certo le 
evidenti diverse mani che hanno completato il primo foglio (sono evidenti le 
differenze di calligrafia). 

� inconferente sostenere che le indicazioni sul numero dei sottoscrittori 
ed altre similari possono essere solo inserite successivamente. Non vanno 
confuse le indicazioni sugli allegati (come ad esempio il numero dei certificati 
e delle dichiarazioni di accettazione) con le indicazioni che la legge vuole 
siano presenti all'atto della presentazione della lista da parte degli elettori, 
ossia comprese nello stesso modulo in cui gli elettori formalizzano con la sottoscrizione 
la presentazione della lista: in queste ultime vi deve essere certezza 
di contestualit� fra elenco candidati completi di 'generalit� e generalit� 
complete e sottoscrizione degli elettori che presentano i candidati medesimi 
per scongiurare, appunto, il rischio di fraudolente firme. La strumentalit� 
delle forme va giudicata in relazione al perseguimento dell'interesse che la 
legge intende tutelare e non al numero dei sottoscrittori che occorre comunque 
raggiungere per l'ammissione della lista. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Le svolte considerazioni implicano, all'evidenza (e sia detto incidenter 
tantum), la infondatezza delle doglianze formulate dai rinunzianti relativamente 
alla parte del ricorso in esame inteso a contestare la ricusazione della 
loro lista, le cui irregolarit�, appartenenti alla stessa �tipologia�, oggetto delle 
valutazioni suesposte, si appalesavano di ben pi� grave consistenza. 

In definitiva, assumono rilievo assorbente i profili dei vizi di violazione 
e falsa applicazione dei principi derivanti dall'ordinamento elettorale in 
materia di presentazione delle candidature per l'elezione del sindaco e del 
consiglio comunale e di violazione delle corrispondenti norme del t.u. 570 del 
1960 e della legge 81 del 199 3. 

In ragione di tali vizi, l'atto di proclamazione degli eletti alle cariche di 
sindaco e di consigliere comunale va annullato. 
L'annullamento di tale atto trae seco, nella fattispecie, anche il travolgimento 
della intera sequenza elettorale considerata. 

Ci� � la diretta conseguenza che devesi correlare, come in pregresso gi� 
evidenziato, 'all'esercizio dell'azione popolare, dispiegata nel caso, e al peculiare 
rapporto intercorrente tra l'interesse generale, di cui essa azione � portatrice 
nell'ambito dell'ordinamento di settore, e le finalit� con le quali si identifica. 

In altri termini, l'effetto conformativo della pronuncia, nella sua incidenza 
sul procedimento elettorale, ben avrebbe potuto implicare effetti rinnovativi 
di portata pi� circoscritta, ove l'accoglimento del ricorso avesse tratto 
origine dalla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio, nella diversa 
logica (e nella correlativamente diversa portata soggettiva) preordinata alla 
tutela di una posizione rilevante nella diversa qualificazione fisiologicamente 
propria dell'interesse legittimo (omissis). 

TAR TOSCANA, sez. I, 3 novembre 1997 n. 470 -Pres. Virgilio -Est. 
Colombati -Giacchetti ed altri (avv. Viciconte, Cannizzaro, Polidori, 
Spizzichino) c. Min. Universit� ed altri (avv. Stato Cortigiani). 

Comunit� europea -Norme CEE -Direttive in tema formazione specialistica 
medici -Dirett� applicabilit� -Esclusione. 

Istruzione e scuole -Universit� -Scuole specializzazione -Medicina Posizione 
soggettiva specializzandi -Interesse legittimo. 

Istruzione e scuole -Universit� -Scuole specializzazione -Medicina Specializzandi 
dei corsi anteriori al 1991 -Remunerazione -Speciale 
punteggio concorsuale -Non spett�nza. 

Istruzione e scuole -Universit� -Scuole specializzazione -Medicina -Art. 8 
d.lgs 8 agosto 1991 n. 257 -Questione di costituzionalit� -Manifesta 
infondatezza. 


274 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

La Direttiva CEE (82176 che ha modificato la 751363 ed � stata integrata 
dalla 891594 e dalla 93116) in tema di formazione specialistica uniforme dei 
medici vincola gli Stati membri solo per quanto riguarda il risultato da raggiungere, 
rappresentato dalla idonea formazione dei medici, ferma restando 
la competenza degli organi nazionali in merito alle forme e ai mezzi da adottare, 
e pertanto non pu� definirsi come self-executing (1). 

Poich� le direttive comunitarie in tema di formazione specialistica dei 
medici non sono di diretta applicabilit�, ma necessitano della intermediazione 
della Autorit� pubblica, legislativa o amministrativa, la situazione soggettiva 
degli specializzandi, in relazione a pretese asseritamente derivanti dalle 
suddette direttive va qualificata come di interesse legittimo e non di diritto 
soggettivo (2). 

La situazione degli specializzandi gi� iscritti a corsi di specializzazione 
attivati anteriormente all'anno accademico 1991-1992 � sostanzialmente 
diversa rispetto a quella dei laureati ammessi ai corsi di cui al d.lgs 8 agosto 
1991 n. 257, sia in punto di durata del corso, che di orario obbligatorio di frequenza, 
che, infine, di incompatibilit�, dimodoch� non competono loro n� la 

� remunerazione per l'attivit�, n� lo speciale punteggio da far valere in sede 
concorsuale previsti nel decreto (3). 

� manifestamente infondata la questione di costituzionalit�, sollevata in 
relazione agli art. 3, 76 Cast., dell'art. 8 d.lgs 8 agosto 1991 n. 257, nella parte in 
cui prevede regimi e trattamenti diversi peri medici specializzandi iscritti a corsi 
attivati anteriormente o successivamente all'anno accademico 1991-1992 (4). 

(omissis) 1) La presente impugnativa ha per oggetto in via principale, 
come espressamente dichiarato, l'annullamento della nota ministeriale, di 
cui si dir� in prosieguo, e quindi la declaratoria del diritto dei ricorrenti, 
medici ormai tutti in possesso del diploma di specializzazione post


(1-4) La decisione si pone scientemente in contrasto con Tar Lazio, sez. I bis 16 aprile 
1993 n. 601 (in Trib. amm. reg. 1993, I, 1591) che aveva ritenuto la diretta applicabilit�, 
con conseguente disapplicazione della normativa interna, della Direttiva CEE 82/76, in 
quanto �incondizionata� e �sufficientemente precisa�, e con Cons. Stato, IV, 23 settembre 
1994 n. 735, inedita, che aveva confermato le statuizioni del Tar Lazio, precisando peraltro 
che le pretese dei ricorrenti avrebbero dovuto trovare accoglimento da parte della 
Amministrazione purch� fossero in concreto presenti, nella loro attivit�, elementi quali 
l'impegno a tempo pieno e l'inibizione della attivit� libero professionale esterna. 

La diretta applicabilit� della normativa comunitaria in materia � stata invece negata 
da Cass. 16 settembre 1995 n. 9789 (in Giust. civ. 1996, I, 86), che esclude anche la ravvisabilit� 
di un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato fra Universit� e specializzando 
ed assegna alla borsa di studio natura non retributiva ma �alimentare�. 

In argomento si vedano anche: Trib. Firenze, 8 agosto 1996 n. 2304, inedita, che 
rigetta domanda di risarcimento nei confronti della Repubblica Italiana per mancato 
recepimento della direttiva, muovendo dalla considerazione che il riconoscime'n.to 
della borsa fa parte di un sinallagma che vede, dall'altra parte, l'impegno a tempo pieno 
e l'inibizione di attivit� professionale esterna che hanno caratterizzato solo i corsi attivati 
successivamente,.e, in senso opposto, appello Firenze 14 ottobre 1997 n. 1575, che 
ha riformato la precedente. 

G.C. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

universitario, a vedersi riconosciuti sia la borsa di studio sia lo speciale punteggio, 
previsti rispettivamente dagli artt. 6 e 4, comma 7, del d. lgs. 8 agosto 
1991 n. 257, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge comunitaria 
per il 1990 (legge 29 dicembre 1990 n. 428 -art. 6 ). 

2) La norma di delega, con la quale si � data attuazione alla direttiva del 
Consiglio 82/76/CEE relativa alla formazione dei medici specialisti, prevedeva 
che, individuate le incompatibilit� per coloro che frequentassero le scuole 
di specializzazione ed esclusa qualsiasi trasformazione dello speciale rapporto 
in lavoro subordinato, la formazione specialistica dei medici �ammessi� 
alle scuole di specializzazione awenisse a tempo pieno con l'impegno di un 
particolare orario di servizio, salvo deroghe specifiche, e che alla distribuzione 
delle borse di studio si pervenisse con �criteri di programmazione generale, 
nazionale e regionale, delle esigenze di formazione nei vari settori assistenziali, 
stabiliti d'intesa tra il Ministro dell'universit� e della ricerca scientifica 
e il Ministro della sanit��, ed infine che fosse prevista una riserva di 
posti a favore dei medici militari e di quelli provenienti dai Paesi in via di sviluppo, 
a certe condizioni. 

3) Conseguentemente � stato adottato il decreto legislativo 8 agosto 1991 
Il. 257. 

Di questo, l'art. 1 dispone che �la formazione specialistica dei medici 
'ammessi' alle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, 
di tipologia e durata conformi alle norme� comunitarie �si svolge a 
tempo pieno�. 

L'art. 2 prevede una programmazione che si snoda attraverso la determinazione, 
con cadenza triennale, del �numero degli specialisti da formare 
sulla base delle esigenze sanitarie del paese, tenuto conto delle capacit� ricettive 
delle strutture universitarie ... e delle risorse finanziarie comunque acquisite 
dalle universit��. Sulla base di tale programmazione, che coinvolge molti 
soggetti pubblici, e precisamente i Ministri della sanit�, dell'universit� e del 
tesoro, le regioni e le province autonome e anche le facolt� di medicina e chirurgia, 
viene determinato il numero dei posti per ciascuna scuola di specializzazione 
nonch�, per ogni singola specializzazione, la riserva di posti a 
favore dei medici militari e stranieri e la loro ripartizione per le scuole. 

L'art. 3 precisa che l'ammissione alle scuole di specializzazione avviene 
secondo le modalit� dell'art. 13 del d.P.R. 10 marzo 1982, n. 162, cio� previo 
il superamento di un esame e la collocazione utile in una apposita graduatoria 
in relazione al numero dei �posti disponibili�. 

L'art. 4 detta norme in tema di diritti e doveri degli specializzandi, imponendo 
la partecipazione alla totalit� delle attivit� mediche e dei compiti assistenziali 
del servizio cui si � assegnati, chiarendo che non viene in essere nessun 
rapporto di lavoro subordinato, che l'impegno � a tempo pieno, che alla 
fine di ogni anno � previsto un esame ripetibile una sola volta, che non si � 
ammessi a proseguire il corso se non in regola con gli esami e con lo svolgi



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

276 

mento delle attivit� pratiche e che (comma 7) �il diploma di specializzazione 
costituisce titolo da valutare separatamente, con specifico punteggio, fra 
quelli valutabili nei concorsi di accesso ai profili professionali medici�. 

L'art. 5 prevede, per tutta la durata della formazione, casi di incompatibilit�, 
congedi e interruzioni di precedenti rapporti di lavoro. 

L'art. 6 stabilisce che �agli ammessi alle scuole di specializzazione nei 
limiti definiti dalla programmazione... in relazione all'attuazione dell'impegno 
a tempo pieno... � corrisposta una borsa di studio� di un certo ammontare 
rivalutabile.annualmente. 

Da ultimo l'art. 7 fissa i requisiti di idoneit� delle strutture e l'art. 8, nel 
dettare le norme finali -dirette in via transitoria a garantire il completamento 
degli studi agli specializzandi gi� iscritti nelle scuole di specializzazioni 
esistenti anche se con ordinamento non conforme alla nuova disciplina 
comunitaria -espressamente prevede che �le disposizioni del presente 
decreto si applicano a decorrere dall'anno accademico 1991-92�. 

In conclusione il decreto legislativo sembra prefigurare una specie di 
numero chiuso di specializzandi per ragioni che si riferiscono sia alle strutture 
delle universit�, sia alle risorse finanziarie disponibili, sia anche al quadro 
complessivo dei medici, divenuti specialisti, destinati ad operare poi presumibilmente 
nel nostro paese (Cons. di Stato, sez. II, parere n. 1381/94, in 
Cons. Stato, 1996, I, 333; v. anche Cons. giust. amm. sic. n. 251d�l1994). 

4) Orbene, poich� le censure dedotte con il presente ricorso si incentrano 
in primo luogo sulla natura �self-executing>> della direttiva comunitaria 
richiamata, tale da imporre al giudice la disapplicazione di norme interne 
non conformi e l'applicazione diretta di quelle comunitarie, occorre fermare 
l'attenzione sullo specifico argomento. 

La direttiva del Consiglio 82/76/CEE, che ha modificato la precedente 
direttiva 75/363/CEE con la quale costituisce ora un unico corpo normativo 
integrato da successivi interventi comunitari (direttive del Consiglio 
89/594/CEE e 93/16/CEE: quest'ultima viene definita, nei 'considerando', un 
testo unico cui � stato necessario addivenire in considerazione delle molteplici 
modifiche apportate nel tempo alle direttive originarie), ha lo scopo di agevolare 
l'esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei 
servizi di medico, attraverso il reciproco riconoscimento dei titoli di medico e 
di medico specialista, garantendo una formazione specialistica uniforme da 
parte degli Stati membri, mediante la fissazione di requisiti minimi. 

Poich�, come ha affermato la Corte di cassazione, sez. I civile, n. 9789 

del 1995, la sua finalit�, risultante in modo chiaro dal contenuto e dalle pre


messe delle disposizioni, � quella di effettuare un �coordinamento� delle con


dizioni di formazione a tempo pieno del medico specialista all'interno della 

Comunit�, �essa pertanto vincola gli Stati membri cui � rivolta per quanto 

riguarda il risultato da raggiungere, salva restando (ai sensi dell'art. 189, 

comma 3, del Trattato) la competenza degli organi nazionali in merito alla 

forma e ai mezzi da adottare�. 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

Nella specie il risultato � certamente la formazione specialistica del 
medico, alla quale appare strumentale il riconoscimento di emolumenti in 
favore degli interessati, durante il corso di formazione, proprio per tener 
conto della loro partecipazione piena ed esclusiva alle attivit� del servizio con 
l'osservanza di un particolare orario. La normativa comunitaria richiede (art. 
9 direttiva 82/76/CEE, cui corrisponde l'art. 24, par. 1, lett. c, del testo unico 
di cui alla direttiva 93/16/CEE) che la formazione specialistica di cui detta le 
�norme minime, lasciando per il resto agli Stati membri la libert� di organizzare 
il proprio insegnamento� (v. il primo considerando della direttiva 
base 75/363/CEE, riportato anche nei considerando della direttiva �testo 
unico� 93/16/CEE) si svolga sotto il controllo delle autorit� �in posti di formazione 
specifici riconosciuti dalle autorit� competenti�. 

Nessuna previsione, invece, si rinviene nella normativa comunitaria in 
ordine al riconoscimento di uno speciale punteggio da utilizzare nei concorsi 
nazionali di accesso alle strutture sanitarie pubbliche, risultando tale previsione 
soltanto dalla normativa nazionale di recepimento, cui non � precluso 
introdurre disposizioni aggiuntive non contrastanti con quelle comunitarie. 

In relazione a quest'ultimo punto, visto l'ambito del petitum risultante 
dal ricorso (che, in parte, � quello di ottenere il riconoscimento dello speciale 
punteggio da far valere per i concorsi pubblici), � del tutto inconferente la 
tesi della disapplicazione della legislazione nazionale e della diretta applicabilit� 
della normativa comunitaria in questione, perch� da essa non deriva il 
beneficio che i ricorrenti richiedono. 

5) Tutto ci� premesso, dovendosi ritenere che la normativa comunitaria 
in argomento non presenti i caratteri della diretta applicabilit� (e in questo 
senso non sembra doversi porre un problema di interpretazione, secondo 
quanto eccepito dalle amministrazioni resistenti), che il sistema ivi previsto 
in funzione di garantire una certa uniformit� non pu� prescindere dalla concreta 
individuazione, da parte di ciascuno Stato membro, dei modi e dei 
mezzi della propria organizzazione onde realizzare il risultato imposto dalla 
Comunit�, che quindi correttamente il legislatore nazionale ha fatto riferimento 
al sistema previgente per l' �ammissione� alle scuole di specializzazione 
in medicina e chirurgia -sistema incentrato su una necessaria selezione 
in ragione delle limitate disponibilit� strutturali e finanziarie -ne deriva che 
la pretesa dei ricorrenti non pu� trovare accoglimento, diversa essendo la 
situazione loro rispetto a quella degli specializzandi ammessi ai corsi di cui 
al d. lgs. n. 257 del 1991. 

Essi, infatti, al momento dell'attuazione della normativa comunitaria in 
esame non hanno partecipato alla selezione perch� erano gi� iscritti a corsi 
di specializzazione -in varie materie per le quali la normativa CEE richiede, 
tra l'altro, un periodo minimo di specializzazione di quattro anni (v. art. 
4 direttiva 75/363/CEE e art. 27 direttiva 93/16/CEE), mentre, secondo quanto 
affermato nell'atto introduttivo del presente giudizio, il loro corso di specializzazione 
ha avuto la durata di tre anni -e soprattutto non hanno nem



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

meno chiesto, al momento della decorrenza dell'efficacia del d. lgs. n. 257 del 
1991, di poter concorrere alle borse di studio in argomento. 
Inoltre, come ricordato nell'impugnata nota del Ministero dell'universit� 

n. 1461 del 7 giugno 1995, di risposta alle istanze avanzate dagli attuali ricorrenti, 
sul punto non contestata, la precedente normativa nazionale richiedeva 
una frequenza obbligatoria di 800 ore annue, rispetto alle nuove disposizioni 
che obbligano lo specializzando ad una frequenza pari a quella prevista per il 
personale medico del servizio sanitario nazionale a tempo pieno, e non precludeva, 
a differenza del nuovo regime, l'esercizio di attivit� libero-professionali 
esterne alle strutture assistenziali in cui si effettuava la specializzazione o 
forme di convenzione o rapporti precari con il servizio sanitario nazionale. 
Non possono quindi essere equiparate situazioni differenziate. Secondo 
ilcostante insegnamento della Corte costituzionale, non contrasta con il principio 
di eguaglianza un differenziato trattamento applicato alla stessa categoria 
di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, giacch� lo stesso fluire di 
questo costituisce di per s� elemento differenziatore (explurimis: Corte cost., 
sentenze nn. 6 del 1988, 618 del 1987, 322 del 1985). In questo senso � manifestamente 
infondata la questione di legittimit� costituzionale, proposta dai 
ricorrenti nella memoria di udienza, dell'art. 8 del d. lgs. n. 257, in riferimento 
all'art. 3 della Costituzione. 

6) � il caso di aggiungere due precisazioni: da un canto il Collegio ritiene 
sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo, cos� rigettando l'eccezione 
in proposito formulata dalle amministrazioni ricorrenti, perch�, 
nella specie, la controversia ha per oggetto la lesione non di un diritto soggettivo, 
bens� di un interesse legittimo, tale dovendosi intendere quello in cui 
si sostanzia la situazione soggettiva fatta valere, di fronte ad una normativa, 
sia comunitaria che nazionale, che, per quanto detto, necessariamente postula 
l'intermediazione dell'autorit� pubblica, legislativa o amministrativa, affinch� 
sorga la posizione giuridica soggettiva legittimante. A diversa conclusione 
non induce la ricordata sentenza della Corte di cassazione , sez. I, n. 9789 
del 1995, che, nel decidere un regolamento di competenza, ha preso atto del 
giudicato interno formatosi sulla giurisdizione del giudice ordinario, l� dove 
ha esplicitamente chiarito che restava �ferma ... la dichiarazione di giurisdizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria fatta dal Pretore e non impugnata�. 

In secondo luogo, con la presente motivazione il Collegio � consapevole 
di andare in contrario avviso rispetto alla invocata sentenza del TAR 
Lazio n. 601 del 1993, pur confermata dal Consiglio di Stato, sez. IV n. 735 
del 1994; ma ritiene che, anche in quel caso, il giudice di secondo grado sia 
stato limitato nelle sue considerazioni dagli insufficienti motivi di appello (v., 
in particolare, punto 4 della motivazione) che non gli hanno consentito di 
ridiscutere ab imis l'iter argomentativo seguito dal giudice di primo grado 
circa i rapporti tra la normativa comunitaria e quella nazionale di recepimento 
e quindi per la conclusione della vertenza. 

In conclusione il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato (omissis). 


SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 3 gennaio 1997 n. 11 -Pres. Rossi -Est. 
Vitrone -P.M. Carnevali (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De 
Giovanni) c. Arcuri. 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Motivazione -Indicazione degli elementi 
di prova -Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 42) 
L'accertamento nelle imposte dirette, che non costituisce una decisione 
su posizioni contrastanti, ma � un prowedimento con il quale l'Amministrazione 
fa valere la propria pretesa e che ha la funzione di consentire al contribuente 
di esperire l'impugnazione giurisdizionale, non deve contenere la 
notizia delle prove sulle quali si fonda; solo nel processo l'Amministrazione 
sar� tenuta a passare dalla allegazione della propria pretesa alla prova del 
credito vantato (1). 

(omissis) La ricorrente denuncia la violazione dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600, e dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'art. 360, nn. 3 e 
5, cod. proc. civ., e si duole che la sentenza impugnata, nel dichiarare la nullit� 
dell'avviso di accertamento in contestazione, abbia confuso i requisiti di 
validit� dell'avviso con la dimostrazione dei fatti sui quali l'accertamento si 
fonda: osserva al riguardo che la motivazione dell'accertamento attiene unicamente 
alla legittimit� formale e dev'essere tenuta distinta dalla prova dei 
fatti, che attiene invece alla fondatezza sostanziale della pretesa tributaria e 
dev'essere verificata solo nel corso del processo instaurato dal contribuente. 

Va premesso al riguardo che l'art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 prescrive 
che l'avviso di accertamento deve contenere, a pena di nullit�, l'indicazione 
dell'imponibile, dell'aliquota applicata e dell'imposta liquidata, nonch� delle 
norme giustificative dell'operato dell'ufficio e, solo con riferimento all'ipotesi 
della rettifica operata con metodo induttivo o sintetico, esige anche la specificazione 
degli elementi di fatto all'uopo valutati: la norma non prevede, 
perci�, che l'Amministrazione sia tenuta a includere nell'avviso di ai;;certa


(1) Conformi sono le altre sentenze n. 78, 79 e 171 di cui si omette la pubblicazione. 
Questione, per le imposte dirette, assai simile a quella affrontata, per le imposte 
indirette nella sentenza n. 288 che si pubblica in questo stesso fascicolo. Nei due versanti 
il diverso manifestarsi della prova lascia intatta la separazione logica e temporale 
dei due momenti della motivazione e della istruttoria. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

280 

mento notizia delle prove poste a fondamento del verificarsi di taluni fatti, n� 
di riportarne, sia pur sinteticamente, il contenuto. 

Da ci� consegue che la diversa interpretazione seguita dalla sentenza 
impugnata, non solo contrasta con la lettera della norma denunziata, ma 
neppure considera che l'accertamento tributario, per la sua natura e per la 
funzione che lo connota, non costituisce una decisione su contrastanti interpretazioni 
di fatti e di norme giuridiche, da adottarsi col rispetto del contraddittorio, 
n� esprime un apprezzamento critico in ordine a dati noti a 
entrambe le parti, ma si esaurisce in un provvedimento autoritativo con il 
quale l'Amministrazione fa valere la propria pretesa tributaria, esternandone 
il titolo e le ragioni giustificative al solo fine di consentire al contribuente di 
valutare l'opportunit� di esperire l'impugnazione giudiziale, instaurando un 
procedimento nell'ambito del quale la parte creditrice sar� tenuta a passare 
dall'allegazione della propria pretesa alla prova del credito tributario vantato 
nei confronti del ricorrente, fornendo la dimostrazione degli elementi costitutivi 
del proprio diritto. 

N� vale osservare che il riferimento al rapporto della guardia di finanza 
darebbe luogo ad una mera motivazione per relationem, come tale del tutto 
insufficiente, poich� nella specie tale richiamo non esaurisce la motivazione 
dell'accertamento, dal momento che sono stati portati autonomamente a 
conoscenza del contribuente tutti gli estremi del dedotto credito (percezione 
di un maggior compenso di lavoro dipendente, per un determinato periodo 
di imposta, non denunziato dal contribuente in sede di dichiarazione annuale 
dei redditi e sul quale non era stata operata alcuna ritenuta di acconto dal 
datore di lavoro, espressamente individuato). 

E, poich� costituisce orientamento costante della giurisprudenza di questa 
Corte l'affermazione che le prove della pretesa tributaria non debbono 
essere menzionate nell'avviso di accertamento e offerte in comunicazione, 
incombendo il relativo onere all'Ufficio finanziario nel corso del giudizio promosso 
dal contribuente (Cass. 8 aprile 1992, n. 4307; 16 agosto 1993, n. 8685 
e, in termini: Cass. 6 giugno 1996 n. 5301), il ricorso merita accoglimento e 
la sentenza impugnata dev'essere cassata con rinvio della causa ad altro giudice 
che, sulla base della ritenuta validit� formale dell'accertamento, provveder� 
ad accertare la fondatezza nel merito della pretesa tributaria 
dell'Amministrazione (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 14 gennaio 1997 n. 288 -Pres. Rossi -Est. 
Rordorf -P.M. Carnevali (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De 
Giovanni) c . Iervasi. 

Tributi erariali indiretti -Accertamento -Motivazione -Requisiti -Prova del 
valore di beni -Distinzione. 


� � 
PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 281 

La motivazione dell'accertamento di maggior valore pu� consistere nella 
sola indicazione del criterio astratto seguito ove la peculiarit� del caso non 
richieda maggiori specificazioni; alla motivazione � estranea la fondatezza in 
concreto della pretesa che l'awiso esprime il cui esame comporta un giudizio 
di merito (1). 

(omissis) 1. -Il ricorso, con cui l'amministrazione finanziaria lamenta la 
violazione degli artt. 48 e 49 del d.P.R. n. 634 del 1972, nonch� dei principi 
generali della materia, � volto a ribadire che l'avviso di accertamento di cui si 
tratta contiene -contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione tributaria 
centrale -riferimenti congrui e sufficienti ai criteri ed ai motivi per 
i quali l'ufficio ebbe a rettificare il valore indicato dai contribuenti. 

Poich�, dunque, un tale avviso potrebbe dirsi nullo solo ove non fossero 
in esso indicati i criteri astratti contemplati al riguardo dalla legge, o comunque 
i criteri di valutazione correlati al caso concreto, cos� da non permettere 
al destinatario lesercizio della difesa in giudizio e da non limitare sufficientemente 
l'ambito delle ragioni adducibili dall'ufficio nell'eventuale fase contenziosa, 
la decisione assunta sul punto dalla Commissione tributaria centrale 
risulterebbe apodittica ed errata. 

." I 

2. -Il ricorso � fondato. 
La Commissione tributaria centrale, sostenendo di volersi richiamare 
all'insegnamento di questa Suprema corte (in particolare, alla sentenza n. 
3578 del 1989), afferma, infatti, che l'accertamento di maggior valore, per 
rispondere ai precetti di legge, dovrebbe contenere non soltanto un riferimento 
astratto ai criteri indicati dal legislatore per la determinazione del 
valore dei beni in questione, ma anche l'enunciazione di elementi specifici e 
concreti, cos� da permettere al contribuente di conoscere l'iter logico seguito 
dall'ufficio nelle proprie valutazioni. 

In questi termini, tale affermazione non � per� corretta, e non trova riscontro 
nella pi� recente ed ormai consolidata giurisprudenza di legittimit�, la 
quale, sin dalle pronuncie delle Sezioni unite n. 5785 e n. 5787 del 26 ottobre 
1988 (e, poi, con la stessa citata sentenza n. 3578 del 1989 e -tra le altre con 
quelle n. 8806 del 1992, n. 12141del1990 e n. 8351del1990) ha invece precisato 
che l'obbligo della motivazione dell'avviso di accertamento di maggior 
valore, il cui difetto impone al giudice tributario di dichiarare la nullit� del1'
avviso medesimo senza possibilit� di conoscere e statuire sul merito del rap


(1) La prima parte della sentenza riconfermando un orientamento ormai costante 
e ben noto contiene alcune utili precisazioni; ma di maggior rilievo � la seconda parte 
nella quale si distingue nitidamente la motivazione dell'accertamento, requisito formale 
il cui difetto comporta la nullit�, dal suo fondamento sostanziale da apprezzare 
con un giudizio di merito (valutazione estimativa). Questa distinzione non sempre � 
chiara (BAFILE, Motivazione e prova dell'accertamento in questa Rassegna, 1996, I, 
134); va quindi segnalata la precisazione al fine di evitare che vengano annullati accertamenti 
semplicemente deboli (ma rafforzabili) nella sostanza. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

282 

porto, deve ritenersi soddisfatto con l'enunciazione degli astratti criteri normativi 
in base ai quali viene determinato il maggior valore, e solo in via eventuale 
richiede anche le specificazioni rese necessarie dalla peculiarit� della fattispecie 
(owero, ma soltanto in caso di ricorso a criteri diversi da quelli espressamente 
menzionati dalla legge, richiede l'indicazione, ancorch� implicita, 
delle ragioni che rendono inutilizzabili i criteri di legge nel singolo rapporto). 

Debbono esser tenute distinte, quindi, le fattispecie nelle quali � sufficiente 
enunciare nella motivazione dell'accertamento quale tra i diversi criteri 
di valutazione astrattamente consentiti dalla legge sia stato applicato dall'ufficio, 
dalle situazioni in cui la peculiarit� del caso impone invece una maggiore 
specificazione che verta anche sulle caratteristiche del singolo bene in 
concreto preso in considerazione. E, come assai chiaramente hanno puntualizzato 
le Sezioni unite nelle citate sentenze del 1988, il discrimine tra le due 
indicate situazioni non � suscettibile di canonizzazione astratta, perch� lo 
scopo che la motivazione dell'avviso deve assolvere � quello di assicurare al 
contribuente la conoscenza di elementi idonei alla sua difesa e, nel contempo, 
d'impedire l'eventuale futuro ampliamento dei termini della controversia 
in sede di opposizione, onde lo stabilire se e quale livello di specificit� della 
motivazione sia a tal fine sufficiente dipende, di volta in volta, dalle caratteristiche 
di ciascun caso concreto. 

Ci� chiarito, e puntualizzato altres� che l'uso di formule stereotipe contenute 
in timbri o in moduli prestampati non inficia la validit� dell'awiso di 
accertamento -in quanto la congruit� della motivazione non pu� essere 
valutata alla stregua del segno grafico che ne contenga la redazione, ed, ove 
la formula adoperata rispecchi un criterio di legge, non potrebbe considerarsi 
come apparente una motivazione che comunque a quel criterio si ricolleghi 
(cfr. in tal senso, tra le altre, Cass. 6 maggio 1992, n. 5376�e Cass. 1� settembre 
1995, n. 9223) -, deve subito aggiungersi che lo stabilire se e quando, 
in concreto, sia necessario che la motivazione dell'avviso vada oltre la 
mera enunciazione astratta del criterio adoperato dall'ufficio nella valutazione 
dei beni in esame per diffondersi anche sulle caratteristiche specifiche di 
detti beni � un compito strettamente rimesso al giudice di merito. Il quale, 
per�, deve assolverlo nel rispetto del quadro di riferimento offerto dai principi 
giuridici sopra ricordati. 

Orbene, nel caso di specie, la Commissione tributaria centrale ha invece 
travisato detti principi gi� per il fatto di aver giudicato muovendo dall'errato 
presupposto che l'indicazione solo in astratto dei criteri di valutazione adoperati 
dall'ufficio non potrebbe mai esser sufficiente a sorreggere la formale 
validit� dell'avviso di accertamento. 

A parte ci�, proprio da quanto esposto dalla decisione impugnata, si 
desume anche come la motivazione dell'avviso 'di accertamento del quale si 
discute non fosse in realt� affatto limitata alla sola enunciazione del criterio 
di valutazione astrattamente applicabile, ma fosse invece altres� corredata da 
riferimenti ad una stima operata dall'U.T.E.; la quale, a propria volta, faceva 
espresso riferimento allo specifico bene immobile preso in considerazione. 
Ed, infatti, � la stessa Commissione tributaria centrale la quale, mentre per 
un verso assume che anche l'indicata stima dell'U.T.E. sarebbe in realt� priva 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 283 

di elementi di giudizio sufficientemente concreti e significativi, per altro 
verso menziona l'esistenza di riferimenti specifici dell'U.T.E. alla concreta 
situazione presa in esame ed, in particolare, riporta il rilievo secondo cui il 
terreno in questione sarebbe stato oggetto di un tentativo di lottizzazione. 

Quest'ultimo rilievo � criticato dalla Commissione tributaria centrale, 
perch� esso sarebbe meramente ipotetico e risulterebbe contraddetto dall'inesistenza 
di opere di urbanizzazione primaria nella zona e dal certificato del 
sindaco che confermerebbe invece la destinazione meramente agricola del 
fondo. Ma tali osservazioni potrebbero al pi� sorreggere un giudizio negativo 
sul merito della pretesa azionata dall'amministrazione tributaria; non 
certo mettere in dubbio la validit� formale dell'avviso di accertamento per 
difetto della relativa motivazione. Altro �, infatti, il requisito della motivazione 
dell'atto, che deve rispondere alle gi� ricordate esigenze di difesa del contribuente 
e di delimitazione della materia del futuro contendere, altra � la 
fondatezza in concreto della pretesa che nell'avviso si esprime, per valutare 
la quale occorre passare dal giudizio sull'atto al giudizio sul rapporto (in tal 
senso, con riferimento ad una fattispecie simile, si veda anche la pronuncia 
di questa corte n. 4686 del 1995): cosa che, invece, la Commissione tributaria 
centrale non ha fatto, arrestandosi al rilievo della pretesa invalidit� del1'
avviso per difetto di motivazione (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 16 gennaio 1997 n. 410 -Pres. Rossi -Est. 
Cicala -P.M. Gambardella (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Patiemo) c. Clemente. 

Tributi erariali indiretti -Tasse automobilistiche -Domanda di accertamento 
di perdita del possesso -Difetto di legittimazione passiva della 
Amministrazione finanziaria dello Stato. 

L'Amministrazione finanziaria dello Stato non � passivamente legittimata 
sulla domanda diretta ad ottenere la trascrizione del trasferimento di una 
autovettura da eseguire presso il Pubblico Registro Automobilistico gestito 
dall'Automobile Club d'Italia (1). 

(omissis) L'Amministrazione finanziaria ricorre per cassazione deducen


do due motivi avverso la sentenza 2293 emessa da Conciliatore di Ancona e 

depositata 1'11 febbraio 1993. 

Con la suindicata sentenza il giudice di merito, in contraddittorio con il 

Ministero delle Finanze, ha accertato che l'attore sig. Giancarlo Clementi ha 

venduto l'autovettura MC 198859 in data 8 febbraio 1984 e ha autorizzato il 

Pubblico Registro Automobilistico ad eseguire le necessarie trascrizioni. 

(1) Decisione di evidente esattezza che sgombra il terreno dalla pletora di controversie 
accolte con favore dai conciliatori. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

284 

Motivi della decisione 

La sentenza impugnata deve essere cassata senza rinvio per difetto assoluto 
di legittimazione passiva del Ministero delle Finanze in ordine alla 
domanda di trascrizione di un trasferimento di autovettura da eseguirsi da 
parte del Pubblico Registro Automobilistico. 

Invero il Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) che non � un autonomo 
soggetto giuridico, � un ufficio gestito dall'Automobile Club d'Italia 
(A.C.I.), al quale vanno imputati tutti i rapporti, e le azioni giudiziarie inerenti 
alle attivit� dello stesso P.R.A., devono avere come destinatario 
l'Automobile Club d'Italia (A.C.I.). Ne consegue che l'atto introduttivo del giudizio, 
ove non indirizzato all'ACI , � nullo perch� non idoneo a raggiungere 
lo scopo della instaurazione di un processo rituale, mancando il presupposto 
processuale costituito dalla capacit� delle parti tra le quali esso si svolge 
(Cass. 4 maggio 1994, n. 4322). 

Da queste considerazioni discende come necessaria conseguenza il 
rigetto della domanda proposta nei confronti del Ministero delle Finanze 

(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 gennaio 1997 n. 544 -Pres. Cantillo -Est 
Vitrone -P.M. Maccarone (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato� 
Fiorilli) c. Coop. Mirko (avv. Bernardinetti). 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Detrazione -Omessa 
dichiarazione -Computo nel mese di competenza -� sufficiente per ottenere 
il diritto alla detrazione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, art. 27, 28 e 55). 
Per il riconoscimento del diritto alla detrazione del credito di imposta � 
sufficiente che l'eccedenza sia computata nel mese di competenza e non � di 
ostacolo l'omessa presentazione della dichiarazione annuale (1). 

(omissis) Passando all'esame delle censure dell'Amministrazione ricorrente, 
questa si duole della violazione e della falsa applicazione degli artt. 27, 4� 
comma, e 55, 1� comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, in relazione all'art. 

(1) In verit� la dichiarazione � il mezzo col quale si espongono le detrazioni (art. 
28 comma 4) che devono essere state computate sulle liquidazioni mensili (art. 27 
comma 3); l'una e l'altra cosa � necessaria. Tuttavia nel caso di omessa dichiarazione 
(art. 55 comma 1) l'accertamento, nel caso induttivo, deve computare in detrazione 
(soltanto) i versamenti eventualmente eseguiti e le imposte detraibili ai sensi dell'art. 
19 risultanti dalle liquidazioni mensili prescritte dagli art. 27 e 33. Dunque le detrazioni 
vengono recuperate ma solo se l'ufficio procede all'accertamento. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

360 n. 3 cod; proc. civ., e sostiene che erroneamente � stato riconosciuto alla 
societ� contribuente il diritto alla detrazione dei crediti di imposta quando essi 
siano stati computati nel mese di competenza ma non sia stata poi presentata 
la dichiarazione annuale, poich�, cos� argomentando, si consentirebbe di operare 
la detrazione dell'IVA, oltrel'anno di competenza; Sostiene l'Amministrazione 
che tale recupero non potrebbe essere consentito; come affermato da una 
decisione della medesima Commissione Tributaria Centrale, neppure nel caso 
di mancata annotazione per mero errore materiale di talune fatture, con conseguente 
omessa indicazione dell'IVA a credito, seguita dalla presentazione di 
apposita dichiarazione correttiva da parte del contribuente. 

La prospettazione dell'Amministrazione non pu� ritenersi meritevole di 
consenso in quanto appare fondata su un sostanziale fraintendimento della 
disciplina normativa. 

Occorre, .infatti, distinguere l'ipotesi dell'omessa registrazione di documenti 
contabili, cui si riferisce la fattispecie presa in esame dal giudice tributario 
e addotta come esempio dalla Amministrazione ricorrente, dall'ipotesi 
di regolare effettuazione delle detrazioni di legge nelle dichiarazioni 
mensili di competenza, alle quali non segua la presentazione della dichiarazione 
annuale. 

Nel primo caso, infatti, manca l'esposizione del credito di imposta e 
quindi non � ipotizzabile alcuna detrazione, n� nel mese di competenza, n� 
nella dichiarazione annuale regolarmente presentata, sicch� non � possibile 
alcun recupero del credito d'imposta per effetto di una tardiva registrazione 
delle fatture relative. 

Nel secondo caso, .invece, il contribuente che si sia limitato -come nella 
specie -ad omettere la presentazione della dichiarazione annuale, pur avendo 
regolarmente annotato tutte fatture dalle quali scaturisca per lui un credito 
di imposta e operato la detrazione nella dichiarazione relativa al mese di 
competenza, non pu� verificarsi alcuna decadenza a suo carico, poich� questa 
si verifica, secondo quanto dispone il quarto comma dell'art. 28 del d.P.R. 

n. 633 del 1972, solo quando la detrazione non venga computata nel mese di 
competenza e non venga poi recuperata nella dichiarazione annuale. 
E il concorso di entrambe le circostanze, affermato dalla commissione 
tributaria di primo grado e ribadito dalle commissioni successivamente adite 
in via di impugnazione, si giustifica col rilievo che la decadenza consegue al 
mancato esercizio del diritto di recupero, in sede di dichiarazione annuale, dei 
crediti d'imposta che avrebbero dovuto esser indicati nei mesi di competenza. 
La sanzione della decadenza non pu� essere estesa alla diversa fattispecie in 
cui la detrazione sia stata regolarmente operata nel mese di competenza e non 
risulti, invece, dalla dichiarazione annuale, della quale sia stata omessa la presentazione, 
poich�, nel caso di accertamento induttivo l'Ufficio IVA deve computare 
in detrazione non solo i versamenti eseguiti dal contribuente, ma anche 
le imposte detraibili risultanti dalle dichiarazioni mensili, come prescrive l'art. 
55 del citato d.P.R., sicch� il diritto alla detrazione viene meno solo per i ere



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

286 

diti d'imposta relativi ad operazioni non registrate o comunque non risultanti 
dalle liquidazioni periodiche, sia pure per mera omissione od errore materiale; 
in tal caso, del resto, non pu� farsi valere neppure il diritto al rimborso, 
che ha per suo presupposto la sussistenza di un'eccedenza d'imposta risultante 
dalla dichiarazione annuale (art. 30 d.P.R. cit.). 

N� appare decisivo l'ulteriore argomento addotto dalla ricorrente secondo 
cui, nell'ipotesi di contribuente e contabilit� semplificata -quale risulta 
la Cooperativa controricorrente -la mancata presentazione della dichiarazione 
annuale precluderebbe anche la conoscenza della situazione di fatto 
relativa alle operazioni dell'ultimo trimestre, la cui liquidazione � appunto 
contestuale alla presentazione della dichiarazione annuale, poich�, in tal 
caso, l'Ufficio IV A dovr� limitarsi a non computare in detrazione, nel caso di 
accertamento induttivo, le imposte detraibili relative all'ultimo trimestre, 
verificandosi, limitatamente a tale ultimo periodo, la presenza di entrambe le 
condizioni richieste dalla legge per la decadenza del contribuente (mancata 
detrazione nel periodo di competenza e mancata indicazione del credito di 
imposta nella dichiarazione annuale) (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 27 gennaio 1997 n. 795 -Pres. Sensale -Est. 
Pignataro -P.M. Lo Cascio (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Lancia) c. Fallimento Repossi. 

Tributi in genere -Interessi -Fallimento -Periodo successivo alla dichiarazione 
-Misura legale -� quella dell'art. 1284 e.e. 

(r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 54 e 55; e.e. art. 1284, 2788 e 2855; d.P.R. 26 ottobre 1972 
n. 633, art. 38 bis e 60). 
Nel periodo successivo alla dichiarazione di fallimento gli interessi sui 
crediti privilegiati (nella specie IVA) maturano nella misura legale, intendendosi 
per tale quella dell'art. 1284 e.e. (1). 

(omissis) Con l'unico complesso motivo, denunziando violazione e falsa 
applicazione degli artt. 54 e 55 1. fall., 2788 e 2855 e.e., 38bis e 60 d.P.R. n. 
633/1972 nonch� vizi di motivazione, l'amministrazione ricorrente deduce 
che con riguardo alle indicate norme della legge fallimentare e del codice 
civile, le quali fanno generico riferimento agli interessi legali, gli interessi 
sulle somme dovute per imposta sul valore aggiunto accertata a carico del 
contribuente, maturati successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, 
avrebbero dovuto essere calcolati, all'epoca, al tasso del 12% annuo. 

(1) Si prende atto della precisazione che stabilisce chiarezza fra le molte fonti normative 
variabili nel tempo. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

La censura prospetta la questione se gli interessi relativi al credito per 

I.V.A. ammesso al passivo in via privilegiata, maturati dopo l'apertura della 
procedura concorsuale, debbano calcolarsi secondo il tasso previsto dall'art. 
1284, primo comma e.e., oppure in base al criterio stabilito dall'art. 38 bis del 
d.P.R. n. 633/1972 al quale rinvia l'art. 60 dello stesso decreto. 
Tale questione � stata gi� risolta nel primo senso (conformemente a 
quanto deciso dalla sentenza impugnata) da questa suprema corte con la sentenza 
del 26 luglio 1996 n. 6781. 

Con detta sentenza, le cui argomentazioni -nelle quali trova confutazione 
la opposta tesi dell'amministrazione ricorrente -sono condivise dal 
collegio, si � affermato il principio che l'espressione �misura legale� usata 
nell'art.2749, secondo comma e.e., in tema di privilegio (cos� come negli artt. 
2788 e 2855, terzo comma, rispettivamente per i crediti pignoratizi ed ipotecari), 
deve intendersi non gi� come misura stabilita direttamente dalla legge, 
ma come indicazione del tasso di interesse determinato in via generale per 
tutti i crediti, destinata a trovare applicazione nella situazione di concorso 
con altri creditori derivante di una procedura concorsuale. 

Tale principio si raccorda con quelli gi� enunciati in altra occasione 
dalla giurisprudenza di questa corte (v. sentenza 3 dicembre 1986 n. 7148) 
in tema di rapporti tra legge fallimentare ed altra legge speciale. 
Esaminando il problema del coordinamento tra la disciplina degli interessi 
regolata nelle procedure concorsuali e quella posta nell'art. 2 della legge 17 
agosto 1974 n. 397 (contenente norme per la determinazione del tasso degli 
interessi per i finanziamenti agevolati e del tasso di mora per i mutui fondiari), 
questa corte ha stabilito che gli artt. 2788 e 2855 e.e. richiamati dall'art. 
54 1. fall., nel disporre che la prelazione ipotecaria ha luogo, per gli 
interessi successivamente maturati, nei limiti della misura legale fino alla 
data della vendita -si riferiscono all'interesse legale previsto dall'art. 1284 

e.e. -Si � cio� ritenuto che il carattere prevalente della legge fallimentare, 
come legge essa pure speciale che per� disciplina in via generale gli effetti 
derivanti dall'accertamento dello stato di insolvenza, rendesse privo di fondamento 
giuridico ogni riferimento a tassi di interesse fissati in misura 
superiore da leggi diverse dal codice, e si � cos� escluso che, per il periodo 
successivo all'annata apparso alla data della dichiarazione di fallimento, 
agli istituti di credito fondiario spettassero gli interessi stabiliti dalla legge 
speciale. 
In questo quadro, nel quale si colloca pure la fattispecie in esame e come 
ha osservato la sentenza n. 6781/1996 sopra richiamata, � coerente ed idoneo 
a dare ulteriore fondamento alla tesi accolta dalla sentenza impugnata, anche 
il richiamo al principio della �par condicio�, espresso dall'art. 521. fall., quale 
criterio ermeneutico che presiede alla disciplina del concorso dei creditori e 
che � finalizzato ad assicurare parit� di trattamento, quando manchi nella 
stessa legge speciale una specifica deroga. 

In conclusione, il ricorso va rigettato (omissis). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

288 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 7 maggio 1997 n. 3978, Pres. Senofonte Est. 
Rovelli -P.M. Cinque (diff.) Orlando c. Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Criscuoli). 

Tributi erariali diretti -Dichiarazione -Ritrattazione dopo il decorso di un 
mese -Inammissibilit� -Rimborso di somme pagate in conformit� della 
dichiarazione -Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 8 e 9; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38). 
Dopo il decorso di un mese dalla presentazione, la dichiarazione pu� 
essere ritrattata solo per correggere errori di calcolo o errori materiali di 
testuale riconoscibilit�; va di conseguenza negato il rimborso di importi versati 
in conformit� dei dati contenuti nella dichiarazione (1). 

(omissis) Con il proprio ricorso, la Orlando, deducendo vizio di motivazione 
�sul punto decisivo relativo all'applicabilit� dell'art. 38 alla fattispecie 
in esame�, rileva che, nell'istanza di rimborso (e nella dichiarazione rettificativa) 
erano indicati i motivi che avevano provocato l'erronea dichiarazione 
e l'erroneo versamento, che la C.T.C. ha escluso l'applicabilit� dell'art. 38 del 

d.P.R. n. 602 del 1973, sul presupposto che �il versamento a suo tempo effettuato 
dai contribuenti era corrispondente ai dati indicati nella dichiarazione� 
originariamente presentata; che tale riduttiva interpretazione escluderebbe 
dall'ambito della predetta norma ogni ipotesi di errore, che non sia di mero 
calcolo, talch� l'irretrattabilit� della dichiarazione (non rettificata nel termine 
di un mese) impedirebbe il rimborso, nei termini di cui all'art. 38 del 
d.P.R. n. 602, anche in ipotesi di obbligazione inesistente. 
Tale motivo, ancorch� intitolato a censura relativa alla motivazione, �, 
nella sostanza una doglianza che prospetta un'erronea interpretazione della 
legge. Esso non appare fondato alla stregua delle precisazioni che seguono. 

Per verit�, la C.T.C., pur dando atto che dichiarazione rettificativa e 
coeva istanza di rimborso, per inesistenza dell'obbligazione tributaria sono 
stati posti in essere prima della scadenza del termine di 18 mesi di cui al predetto 
art. 38, ha ritenuto preclusa l'azione di rimborso per la sua tardivit�, 
essendo da considerare nulla la dichiarazione presentata con ritardo supe


(1) Riallacciandosi a ormai ferma giurisprudenza (Cass. 13 agosto 1992 n. 9554; 
2 maggio 1994 n. 4239 e 27 giugno 6157, in questa Rassegna, 1992, I, 519 e 1994, I, 352) 
la sentenza contiene delle enunciazioni che meritano particolare segnalazione: le prescrizioni 
degli artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 600/1973 �riuscirebbero vanificate oltre un regime 
di emei:J.dabilit� non ancorato al carattere materiale e alla testuale riconoscibilit� 
dell'errore�; quindi il diritto al rimborso deve essere escluso ove l'errore �sia desumibile 
soltanto da fatti ulteriori e comunque diversi da quelli allegati� giacch� nell'art. 38 
del d.P.R. n. 602/1973 �I'emendabilit� dell'errore materiale non � prevista� e che altrimenti 
la dichiarazione �perderebbe il suo valore vincolante�. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

riore al mese rispetto alla scadenza del termine. Ha specificato che l'art. 38 
disciplina bens� il rimborso dei versamenti diretti, ma nei soli tassativi casi di 
errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo di 
versamento, �ipotesi non ricorrenti nella specie, in quanto il versamento a 
suo tempo effettuato dai contribuenti era corrispondente ai dati indicati nella 
dichiarazione tempestivamente presentata�. 

Ora � principio costantemente affermato da questa S.C. (v. Cass. 5 febbraio 
1996 n. 546; Cass. 27 giugno 1994 n. 6157; Cass. 2 maggio 1994 n. 4239; 
Cass. 13 agosto 1992 n. 9554) quello secondo cui, al di fuori degli errori materiali 
o di calcolo, contenuti nella dichiarazione del contribuente, a quest'ultimo 
� consentito correggere gli errori di fatto, in via di �ritrattazione�, solo 
presentando una dichiarazione sostitutiva con le modalit� e nei termini stabiliti 
dalla legge per l'adempimento dell'obbligo tributario. 

Gli artt. 8 e 9 del d.P.R. n. 600 del 1972 dichiarano nulla la dichiarazione 
presentata con ritardo superiore al mese rispetto alla scadenza del termine: 
dovendosi, cos�, considerare non ammissibile una dichiarazione di rettifica 
svincolata dalle specifiche prescrizioni di forma e di tempo dettate dagli 
artt. 8 e 9. del d.P.R. n. 600 cit.; prescrizioni che riuscirebbero vanificate da 
un regime di emendabilit� non ancorato al carattere materiale ed alla testuale 
riconoscibilit� dell'errore. Ne consegue che il diritto al rimborso, a fronte 
di svista commessa dal contribuente nel compilare la denuncia annuale, (e 
non rettificata nei modi e nei tempi sopra specificati) postula l'evincibilit� di 
tale errore dalla denunzia e dai dati in essa contenuti; mentre deve essere 
negato ove l'errore stesso sia desumibile soltanto da fatti ulteriori o comunque 
diversi da quelli allegati, e quindi si traduca in un giudizio viziato in ordine 
alle componenti del reddito imponibile (v. Cass. n. 9554/1992 cit.). 
L'analiticit� dei dati di cui si compone la dichiarazione dei redditi e la perentoriet� 
dei termini previsti per la sua presentazione attestano come il legislatore 
tributario abbia inteso attribuire alla denuncia annuale la funzione di 
completa ed esauriente esposizione di tutte le circostanze di fatto rilevanti ai 
fini impositivi. 

La previsione dell'art. 38 I comma d.P.R. n. 602 del 1973, circa la possibilit� 
-con riguardo ai versamenti diretti -per il contribuente di chiedere 
il rimborso, resta circoscritta alla ipotesi di errore materiale, duplicazione, ed 
inesistenza, totale o parziale, dell'obbligo di versamento. L'emendabilit� del1'
errore non materiale non � ivi prevista, e contrasta con le descritte caratteristiche 
della dichiarazione dei redditi, la quale perderebbe il suo valore vincolante; 
mentre il versamento diretto, in via di autotassazione, cesserebbe di 
avere la funzione solutoria ed estintiva dell'obbligazione tributaria, se valesse 
come mero, �anomalo pagamento in conto, rivedibile dal contribuente� 
nei diciotto mesi successivi. 

Devesi dunque ribadire che la ripetizione di quanto versato in corri


spondenza all'imponibile dichiarato, mentre non � ancorabile ad elementi 

fattuali ulteriori e diversi da quelli indicati (e, in particolare ad errore di cal



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

290 

colo o ad errore materiale in quanto svista evincibile dagli stessi dati offerti 
con la dichiarazione) pu� essere reclamata soltanto quando, fermi restando i 
dati enunciati, risulti indebito il pagamento, in assenza di norma che lo 
imponga. E nella specie, la sentenza impugnata ha debitamente accertato la 
rispondenza del versamento diretto effettuato dal contribuente �ai dati indicati 
nella dichiarazione tempestivamente presentata� (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 29 luglio 1997 n. 7088 -Pres. Cantillo -Est. 
Marziale -P.M. Maccarone (dif.) -Ministero delle Finanze (aw. Stato 
Criscuoli) c. D'Orazi. 

Tributi erariali diretti -Accertamento -Liquidazione delle imposte ex art. 36 
bis d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 -Termine per l'iscrizione a ruolo -� 
quello del 31 dicembre dell'anno successivo -Termine dell'art. 17 primo 
comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 -Irrilevanza. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 36bis; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 17). 
Le imposte liquidate in base alla dichiarazione a norma dell'art. 36bis 
del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 devono essere iscritte a ruolo a pena di 
decadenza nel termine, dalla stessa norma stabilito, del 31 dicembre dell'anno 
successivo a quello della presentazione. Non � pertinente alla materia 
il termine stabilito nell'art. 17 primo comma del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 602 (1). 

(omissis) 2 -L'art. 36 bis � stato inserito nel d.P.R:.29 settembre 1973, n. 
600 dall'art. 1 del d.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920, al fine di consentire agli 
uffici delle imposte di liquidare le imposte dovute, owero di prowedere ad 
effettuare i rimborsi eventualmente spettanti, �sulla scorta dei dati e degli 
elementi... desumibili dalle dichiarazioni... e dai relativi allegati�, previa correzione 
degli �errori materiali o di calcolo� e rettifica, parziale o totale, delle 
detrazioni e delle altre deduzioni operate dai contribuenti. 

(1) 
Sul termine per l'iscrizione a ruolo delle imposte liquidate in base alla dichiarazione 
a norma dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600/73. 
La sentenza, attraverso una ricostruzione imprecisa della evoluzione legislativa, 
giunge a conclusione che non pu� essere condivisa. 
Al momento dell'entrata in vigore della riforma del 1973 non esisteva n� il versamento 
diretto del contribuente n� l'art. 36 bis del d.P.R. n. 600. Le imposte dichiarate 
venivano riscosse mediante ruolo (il ruolo principale) nel quale dovevano essere iscritte 
in tempo utile perch� l'ultima o unica rata scada entro dodici mesi dalla fine dell'anno 
o dell'esercizio cui la dichiarazione si riferisce (art. 17, d.P.R. n. 602). Poich� 
senza l'iscrizione a ruolo non vi era gettito, ragionevolmente per l'iscrizione era stabilito 
un termine breve. La legge 2 dicembre 1975 n. 576 introdusse il versamento diretto 
dell'IRPEF dovuta in base alla dichiarazione (art. 17) e contemporaneamente stabil� 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 291 

Si tratta pertanto di un controllo di carattere esclusivamente formale, 
che tuttavia pu� comportare una riliquidazione dell'imposta dovuta e che, 
appunto per questo, presenta un innegabile carattere accertativo. La maggiore 
imposta accertata, aumentata degli interessi delle soprattasse, viene iscritta 
a ruolo direttamente, vale a dire senza la preventiva notifica di un avviso 
di accertamento (art. 7, d.P.R. 28 novembre 1980, n. 787), prescritta invece 
quando la rettifica della dichiarazione consegua ad una attivit� accertativa 
svolta dall'ufficio sulla base di dati diversi da quelli desumibili dalle dichiarazioni 
(artt. 42 e 43, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600). 

In tal caso, pertanto, l'iscrizione a ruolo non ha carattere �riproduttivo�, 
ma �innovativo� poich� rappresenta l'atto con il quale il contribuente � posto 
per la prima volta a conoscenza della pretesa fiscale: di qui l'esigenza (non rilevabile 
quando il ruolo � meramente �riproduttivo� di un atto precedente) di 

che l'iscrizione nei ruoli di detta imposta (dichiarata ma non versata) doveva effettuarsi, 
a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'anno successivo a quello di presentazione 
della dichiarazione (art. 16). Al tempo il termine breve di decadenza (il 31 
dicembre dell'anno successivo) era riferito alla situazione di mera trasposizione del 
contenuto della dichiarazione nel ruolo; lo stesso termine l'art. 16 fissa per l'iscrizione 
a ruolo delle imposte soggette a tassazione separata per le quali non vige il versamento 
diretto, e parimenti per le imposte liquidate in base all'accertamento resta immutato 
il termine del 31 dicembre dell'anno successivo a quelli in cui l'accertamento � diventato 
definitivo. 

Una innovazione profonda si ebbe con il d.P.R. 24 dicembre 1976 n. 920. Con l'art. 
2 fu introdotto l'art. 36 bis del d.P.R. n. 600, che consentiva sia pure nei limiti di una 
correzione formale, una ripresa di maggiore imposta; con l'art. 3 fu modificato l'art. 17 
del d.P.R. n. 602 stabilendosi che le imposte liquidate in base alla dichiarazione, comprese 
quelle riscuotibili mediante versamento diretto e non versate, dovevano essere 
iscritte nei ruoli formati e consegnati all'intendente di finanza entro il 31 dicembre del1'
anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione. Questa volta si sottoponeva 
allo stesso termine breve di decadenza anche la liquidazione della maggiore imposta 
che presupponeva un esame, anche approfondito, della dichiarazione per la liquidazione 
di una maggiore imposta. Questa illogica unificazione che aveva pressoch� reso 
inutilizzabile lo strumento dell'art. 36 bis fu eliminata con il d.P.R. 27 settembre 1979 

n. 506 che all'art. 1 introdusse un nuovo termine nell'art. 36 bis ma contestualmente, 
con l'art. 2 modific� l'art. 17 d.P.R. n. 602; ma mentre il termine inserito nell'art. 36 bis, 
che non � dichiarato perentorio, � di rilevanza interna (la liquidazione della imposta � 
anch'essa atto interno che resta sconosciuto al soggetto passivo) in ragione dei programmi 
stabiliti annualmente dal Ministero, il termine (questo di decadenza) per l'iscrizione 
nei ruoli formati e consegnati all'intendente di finanza (la cartella dei pagamenti, 
che � un estratto del ruolo, � il solo atto che si notifica al contribuente) viene fissato 
facendo riferimento all'art. 43 del d.P.R. n. 600 ossia al 31 dicembre del quinto 
anno successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione. � dunque ben precisa 
la volont� del legislatore dfallungare da uno o cinque anni il termine dell'art. 17. La 
opportunit�, o quasi la necessit�, di allungare il termine � risultata pi� evidente dopo l'istituzione 
dei centri di servizio ai quali (art. 9 d.P.R. 28 novembre 1980 n. 787) � stato 
conferito il potere di eseguire una limitata istruttoria in contraddittorio con il contribuente 
il quale (art. 36 bis comma 3 e art. 10 terdel D.L. 2 marzo 1989 n. 69 convertito 
nella legge 27 aprile 1989 n. 154) deve essere invitato a confermare la esatta esposizione 
dei dati contenuti nella dichiarazione e a rettificare errori. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

292 

renderlo edotto dei motivi per i quali l'iscrizione � stata effettuata. Esigenza che 
il legislatore ha mostrato di voler recepire, prescrivendo -con il secondo 
comma dell'art. 36 terdel citato decreto, di contenuto analogo all'art. 36 bis che 
�nella cartella dei pagamenti� siano indicati �i motivi che hanno dato 
luogo alla liquidazione� Ma che, tuttavia, non pu� dirsi soddisfatta in modo 
adeguato, dal momento che l'informazione viene realizzata mediante il ricorso 
a espressioni stereotipate, inidonee a descrivere in modo esauriente le ragioni 
della rettifica e ad assolvere quindi il ruolo di una effettiva motivazione. E questo 
spiega perch� si ritenga, con orientamento ormai costante, che l'utilizzazione 
della speciale procedura prevista dall'art. 36 bis per l'accertamento di 
maggiori imposte a carico del contribuente non possa essere ammessa al di 
fuori delle ipotesi specificamente contemplate da detta disposizione (Cass. 29 
marzo 1996, n. 2958; 17 dicemb.re 1994, n. 10859; 20 novembre 1989, n. 4958). 

La lettura dell'art. 17 � gi� sufficiente per avere la certezza che nella specifica materia 
delle �imposte liquidate in base alla dichiarazione� il termine per la formazione dei 
ruoli � quello del quinto anno successivo. Ma se si considera che questo pi� ampio termine 
� stato introdotto, con il d.P.R. n. 506/79, modificando il testo anteriore, � veramente 
impossibile continuare a ritenere vigente il termine portato dal testo precedente 
alla modifica: risulter� allora che quanto disposto nell'art. 36 bis concerne un termine 
acceleratorio a rilevanza interna, assegnato agli uffici per procedere �sulla base dei programmi 
stabiliti annualmente dal Ministero� alla liquidazione delle imposte e dei rimborsi. 
Di ci� d� conferma l'art. 7 del d.P.R. 28 novembre 1980 n. 787 che dispone per i 
centri di servizio che le imposte che risultano dovute dopo il controllo sono riscosse 
�con le modalit� e nei tennini previsti dal d.P.R. n. 602/1973�. La decadenza abbreviata 
� poi assolutamente illogica e incoerente se si considera che le stesse correzioni della 
dichiarazione potrebbero essere fatte, unitamente ad eventuali altri rilievi, con l'acc�rtamento 
ordinario nel termine dell'art. 43 del d.P.R. n. 600; una decadenza imposta in 
ragione del procedimento e non della sostanza � ingiustificata. In definitiva la decadenza 
non pu� essere sanzionata due volte in due norme diverse; la norma operante giacch� 
si tratta d'iscrizione nei ruoli � allora soltanto quella dell'art. 17. 

La sentenza che si commenta pur precisando che nel procedimento dell'art. 36 bis 
non esiste un atto di accertamento (o di liquidazione) anteriore al ruolo, si limita a rilevare 
che il termine indicato nell'art. 36 bis � a pena di decadenza per l'iscrizione a ruolo 
escludendo ogni rilevanza del pi� ampio termine dell'art. 17 del d.P.R. n. 602. Il ragionamento 
deve essere rovesciato: proprio perch� l'atto con il quale si porta a conoscenza 
del contribuente la pretesa alla maggior imposta � soltanto il ruolo, il relativo termine 
va cercato nel d.P.R. n. 602 e puntualmente nell'art. 17 che fa riferimento alle 
imposte liquidate in base alla dichiarazione. Puerile � poi l'argomentazione che il termine 
pi� breve sarebbe giustificato per evitare al contribuente il maggior aggravio di 
interessi. 

Ma infine la sentenza dovendo pur dare un senso e un contenuto all'art. 17, ipotizza 
che il termine del quinto anno successivo riguarda la riscossione delle imposte 
�nell'ammontare risultante dalla dichiarazione del contribuente senza che la stessa sia 
in alcun modo rettificata�. Questa conclusione � per pi� ragioni da respingere. � 
innanzi tutto incongruo ricondurre l'art. 17 primo comma alla sola ipotesi del ruolo 
che la stessa sentenza chiama �riproduttivo� della dichiarazione, ossia alla funzione 
originaria del ruolo secondo il sistema di riscossione del 1973, dato che il comma � 
stato riformulato nel testo attuale, con il d.P.R. n. 506/1979, in concomitanza con l'introduzione 
dell'art. 36 bis. � poi poco credibile che una disciplina specifica e distinta 



PARTE I, SEZ~ V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 293 

Se, invece, il controllo della dichiar�zione porta al riconoscimento di un 
credito iri favore del contribuente, viene emesso� in suo favore un ordinativo 
dipagamenfo per una somma pari alle somme indebitameni:e�riscosse con i 
relativi interessi(art. 8, d;P.R. n; 787/80); 

2.1(~ Nella sua��formulazione �rigin�ria l'art. 36 bis non� stabiliva akun 
tert:nfo:�per la l�quidazione dell'imposta. Era tuttaVia pacifico� che l'iscrizione 
a� ni.olo ���delle maggiori��. somme pretese dall'Amministrazione finanziaria 
dovesse avvenire entro quello fissato dal primo comma dell'art. 17, d.P~R. 29 
settembre 197.3. �l. 602, il quale stabiliva che l'imposta dovuta �sui redditi 
dichiarati� doveva essere� effettuata �entro dodici mesfdallafine dell'anno o 
dell'esercizio cuila dichiarazione si riferisce�. 

della decadenza sia stata introdotta per l'ormai residuale evenienza, dopo la generalizzazione 
del versamento diretto, che l'imposta dichiarata non sia stata versata~ 

Ma vi � un argomento testuale: il primo comma dell'art. 17 fa riferimento a (tutte) 
le imposte liquidate in base alle dichiarazioni dei contribuenti �comprese quelle 
riscuotibili mediante versamento diretto o non versate�; queste imposte �comprese� 
non possono essere le sole cui fa riferimento l'art. 17; vi sono altre imposte che cadono 
sottola decadenza dell'art. 17, e queste:sono tutte le imposte liquidate ex art; 36 bis. 
Sarebbe arbitrario leggere il primo comma dell'art. 17 limitandone il contenuto ad una 
soltanto (e nemmeno lapi� rilevante) delle possibilit�. Ma quello che soprattutto sconcerta 
� l'illogicit� della conclusione: per la formazione del ruolo soltanto �riproduttivo
� della dichiarazione sarebbe stabilito il termine del 3 l dicembre del quinto anno 
successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione; per la formazione del 
ruolo� �innovativo�, che presuppone un esame approfondito e una attivit� istruttoria in 
contraddittorio con ilcontribuente, andrebbe osservato iltermine dell'anno successivo 
alla presentazione della dichiarazione; ed ancora per la formazione del ruolo �riproduttivo>; 
dell'accertamento resta ancora fermo il termine dell'anno successivo a quello 
in cui l'accertamento � divenuto definitivo (art. 17, comma 3). Non � credibile che l'art. 
17 possa contenere tante contraddizioni. � allora necessario tornare alla interpretazione 
sempre. pacificamente seguita; il termine contenuto nell'art. 36 bis ha rilevanza 
interna; il termine di decadenza si trova esclusivamente sull'art. 17 primo comma, che 
diversam:ente non avrebbe ragion d'essere;�� 

Il problema � ora risolto dall'art. 28 della legge 29 dicembre 1997 n.449 che in via 
di interpretazione autentica, precisa che il termine contenuto nel primo comma del1'
art. 36 bis � di carattere ordinatorioi il chiarimento interpretativo vale fino all'entrata 
in vigore del capo ndel D.lgs. 9 luglio 1997 � n. 241 che contiene rilevanti innovazioni. 
Non � tuttavia inutile l'avere ricercato l'esatta portata della norma originaria sia per 
avere conferma della natura della disposizione sopravvenuta che � interpretativa nella 
essenza e non soltanto per autodefinizione; sia per meglio comprendere la portata della 
nuova disciplina che sar� in vigore a decorrere dal 1 � gennaio 1999. 

Con l'art. 13 del D. lgs. n. 241 del 1997 sono stati integralmente sostituiti gli art. 
36 bis e 36 ter. Nel nuovo art. 36 bis si enumerano i casi in cui l'Amministrazione procede 
alla liquidazione delle imposte (dei contributi e dei premi) dovuti e dei rimborsi 
spettanti in base alle dichiarazioni dei contribuenti e dei sostituti di imposta; la liquidazione, 
consistente essenzialmente nella correzione di errori materiali o evidenti, � 
eseguita avvalendosi di procedure automatizzate sulla base di dati ed elementi direttamente 
desumibili dalle dichiarazioni o in possesso della anagrafe tributaria; alla liquidazione 
l'Amministrazione procede entro l'inizio del periodo di presentazione delle 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

294 

Le due disposizioni sono state per� riformulate dal d.P.R. 27 settembre 
1979, n. 506. Mentre l'art. 2 ha elevato notevolmente il termine fissato dal 
primo comma dell'art. 17 del d.P.R. n. 602173, parificandone la durata a quello 
(riferito al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui � stata 
presentata la dichiarazione) previsto dall'art. 43, d.P.R. n. 600 per la notifica 
dell'avviso di accertamento, l'art. 1 ha integrato il testo dell'art. 36 bis, stabilendo 
che gli uffici debbono prowedere alla liquidazione delle imposte dovute 
e ad effettuare i rimborsi eventualmente spettanti �entro il 31 dicembre 
dell'anno successivo a quello di presentazione. 

Resta fermo, in base al terzo comma dell'art. 17 del d.P.R. n. 602/73, che 
�le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base agli 
accertamenti degl.i uffici devono essere iscritte in ruoli formati e consegnati 
all'intendenza di finanza, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'anno 
successivo a quello in cui l'accertamento � divenuto definitivo�. 

dichiarazioni relative all'anno successivo e se dai controlli eseguiti (definiti automatici) 
emerge un risultato diverso da quanto risulta dalla dichiarazione l'esito della correzione 
� comunicato al contribuente o al sostituto di imposta �per evitare la reiterazione 
di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali e la comunicazione 
alla Amministrazione finanziaria di eventuali dati o elementi non considerati 
nella dichiarazione�. 

L'art. 36 ter nel testo rinnovato enumera i casi in cui gli uffici procedono al controllo 
formale delle dichiarazioni sulla base dei criteri selettivi fissati dal Ministero 
delle finanze tenendo conto della capacit� operativa degli uffici medesimi; il controllo, 
che consiste in verifiche pi� approfondite ma non dissimili da quelle dell'art. 36 bis, 
deve essere eseguito entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione 
della dichiarazione previo invito del contribuente o del sostituto anche 
telefonico o in forma scritta o telematica a fornire chiarimenti e a trasmettere documentazioni. 
Anche in questo caso l'esito del controllo � comunicato al contribuente o 
al sostituto con l'indicazione dei motivi della rettifica� per consentire anche la segnalazione 
di eventuali dati ed elementi non considerati o valutati erroneamente�. 

� dunque chiaro che sia nell'art. 36 bis che nell'art. 36 terrisulta di molto ampliato 
il contraddittorio con il soggetto passivo; ed � proprio a questo fine che sono fissati 
i termini acceleratori per l'inizio del procedimento di controllo che potr� svilupparsi a 
seguito delle iniziative dell'interessato. Certo � che questi termini non sono di decadenza 
per l'esercizio della pretesa tributaria che, come in passato, si concretizza con 
l'iscrizione a ruolo. Ed infatti l'art. 2 del D.lgs. 18 dicembre 1997 n. 462 stabilisce che 
le somme che a seguito dei controlli automatici effettuati a norma dell'art. 36 bis risultano 
dovute, unitamente agli interessi e alle sanzioni per ritardato o omesso versamento, 
sono iscritte direttamente nei ruoli a titolo definitivo entro il 31 dicembre del 
secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione semprech� il 
debitore non abbia provveduto al versamento diretto dopo aver ricevuto l'avviso previsto 
nel comma 3 dell'art. 36 bis. Parallelamente le somme che risultano dovute a norma 
dell'art. 36 ter, con gli interessi e le sanzioni per ritardato o omesso versamento, possono 
essere pagate mediante versamento diretto entro 30 giorni dal ricevimento della 
comunicazione dell'esito del controllo previsto nel comma 4 dell'art. 36 ter, diversamente 
trova ancora applicazione l'art. 17 del d.P.R. n. 602/1973 (non modificato) che 
fissa per l'iscrizione a ruolo il termine stabilito nell'art. 43 dello stesso decreto; questo 
termine � ora ridotto dal quinto al quarto anno successivo per effetto dell'art. 15 del 

D. lgs. n. 241. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 295 

3. -L'Amministrazion� finanziaria contesta che all'inosservanza del termine 
stabilito dall'art. 36 bis �Siano ricollegabili effetti decadenziali di pretese 
tributarie derivanti dalla rettifica della dichiarazione�, osservando che la 
natura �procedimentale� di tale norma e la circostanza che nessun'altra 
disposizione qualifichi come �perentorio� il termine da essa stabilito, porta a 
ritenere che esso abbia natura ordinatoria e che, pertanto, la diretta iscrizione 
a ruolo delle maggiori imposte �liquidate� a seguito del controllo �formale
� operato ai sensi dell'art. 36 bis possa essere legittimamente effettuata 
anche oltre il termine stabilito da detta disposizione, purch� entro quello fissato 
dall'art. 17, comma primo, d.P.R. n. 602173. 
3.1 -Tali considerazioni non possono essere condivise. 
La qualificazione del termine in questione come ordinatorio (anzich� 
come perentorio) -del resto propria del diritto processuale pi� che di quello 
sostanziale -� infatti tutt'altro che risolutiva, posto che i termini ordinatori 
possono essere prorogati solo prima della scadenza (art. 153 c.p.c.) e che, 
pertanto, il loro inutile decorso produce gli stessi effetti preclusivi di quelli 
perentori (Cass.251uglio 1992, n. 8976; 23 gennaio 1991, n. 651; 23 febbraio 
1985, n. 1633). 

N� maggior rilievo assume la circostanza che la sua inosservanza non sia 
stata espressamente sanzionata dal legislatore con la decadenza. 

Invero, l'affermazione tradizionalmente ripetuta (rna non da tutti condivisa), 
secondo cui le norme che stabiliscono termini a pena di decadenza 
sono di stretta interpretazione e non possono quindi essere applicate analogicamente, 
si fonda sul convincimento che tali disposizioni abbiano carattere 
eccezionale, derogando al generale principio della libert� di esercizio dei 
diritti soggettivi. E, appunto per questo, non si presta ad essere utilizzata nell'ambito 
del diritto pubblico. il quale � caratterizzato dalla presenza di poteri, 
il cui esercizio da parte di chi ne � titolare non � libero, ma � sottoposto 
dalla legge a limiti diretti a garantire il soddisfacimento di finalit� di carattere 
istituzionale. 

Il silenzio della legge non rappresenta quindi un argomento sufficiente 
ad escludere che il termine stabilito dal primo comma dell'art. 36 bis sia stabilito 
a pena di decadenza. Tanto pi� che le attivit� accertative (e di conse-

In definitiva per i controlli formali dell'art. 36 ter resta confermato il regime attuale 
soltanto riducendosi il termine dal quinto al quarto anno. Per i controlli automatici 
dell'art. 36 bis il termine risulta invece notevolmente accorciato al secondo anno successivo. 


� sempre escluso tuttavia che abbiano natura perentoria i termini entro i quali gli 
uffici devono iniziare il procedimento che dar� luogo al contraddittorio con il soggetto 
passivo; conseguentemente � escluso che gli atti previsti negli art. 36 bis e ter con 
finalit� meramente informativa siano provvedimenti (finali) che debbano o possano 
essere impugnati in sede giurisdizionale. 

CARLO BAFILE 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

296 

guente rettifica delle dichiarazioni dei contribuenti) sono dalla legge vincolate 
al rispetto di rigorosi termini di decadenza, la cui esistenza � da considerare 
pertanto connaturata al loro svolgimento, a tutela del buon andamento 
e dell'imparzialit� dell'amministrazione, oltre che degli interessi dei 
contribuenti. 

3.2 -Non varrebbe neppure obbiettare che il termine fissato dall'art. 36 
bis � letteralmente riferito alla (sola) liquidazione dell'imposta e che non vi 
sarebbe quindi motivo di escludere la legittimit� della iscrizione a ruolo 
effettuata dopo l'inutile decorso di tale termine, purch� entro quello pi� 
ampio stabilito dall'art. 17 del d.P.R. n. 602173. � invero agevole replicare 
che, secondo la disciplina dettata dal citato art. 36 bis, la determinazione del 
debito d'imposta non ha rilievo autonomo rispetto alla fase che attiene al 
concreto soddisfacimento della pretesa tributaria, non essendo prevista, a 
differenza dell'ipotesi in cui la rettifica consegue ad un controllo �sostanziale
� della dichiarazione (art. 43, d.P.R. n. 600/73), l'emanazione di un formale 
ed autonomo atto di liquidazione dell'imposta, di cui sia possibile verificare 
la tempestivit�. Come si rileva esattamente nella decisione impugnata, 
tale atto va individuato nella iscrizione a ruolo, che viene quindi ad assumere
�anche il carattere di atto conclusivo della fase di accertamento dell'imposta, 
ponendo l'esigenza (non rilevabile quando il ruolo � meramente 
�riproduttivo� di un atto precedente) di rendere edotto il contribuente delle 
ragioni sulle quali la pretesa dell'amministrazione finanziaria � fondata 
(retro, 2). 
Non vi � dubbio, pertanto, che il termine stabilito dal primo comma dell'art. 
36 bis debba essere riferito alla iscrizione a ruolo e che quest'ultima, 
conseguentemente, non possa essere effettuata entro il pi� esteso arco temporale 
previsto dal primo comma dell'art. 17 del d.P.R. n. 602173, anche perch� 
ci� comporta, per il contribuente, l'aggravio di ulteriori interessi (art. 7, 
primo comma, d.P.R. n. 787/80); aggravio che il legislatore -decidendo di 
tener fermo, con l'art. 1 del d.P.R. n. 506179, il termine annuale per la �liquidazione
�, delle imposte dovute a norma dell'art. 36 bis, proprio quando, con 
l'art. 2 dello stesso decreto, elevava di ben cinque volte il termine per l'iscrizione 
a ruolo delle imposte �liquidate in base alle dichiarazioni -ha mostrato 
di voler evitare. 

3.3 -Una volta chiarito che il termine stabilito dal primo comma dell'art. 
36 bis, appena ricordato, � da intendersi stabilito a pena di decadenza e concerne 
l'iscrizione a ruolo delle maggiori imposte liquidate a seguito del controllo 
�formale� della dichiarazione espletato ai sensi di tale disposizione, 
appare evidente che quello fissato dal primo comma dell'art. 17 del d.P.R. 
n. 602173 riguarda invece la riscossione delle imposte nell'ammontare risultante 
dalla dichiarazione del contribuente, senza che la stessa sia in alcun 
modo rettificata (omissis). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

297 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 ottobre 1997, n. 9893 -Pres. Cantillo 


Est. Marziale -P.M. Martone (diff.) -Ministero delle finanze (avv. Stato 

Lancia) c. Baracchi. 

Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Indennit� 
conseguite a titolo di risarcimento -Art. 6 t.u. 22 dicembre 1986 n. 917 Applicabilit� 
ai periodi anteriori per effetto dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 
1988 n. 42. 

(t.u. 22 dieembre 1986.n. 917, att. 6 e 46, d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, art. 36). 
La regola contenuta nell'art. 6 del nuovo t.u. delle imposte sui redditi 
(secondo la quale le indennit� conseguite a titolo di risarcimento di danni 
consistenti nella perdita di redditi costituiscono redditi della stessa categoria 
di quelli sostituiti o perduti) si applica anche agli esercizi anteriori al t.u. per 
effetto dell'art. 36 del d. P.R. 4 febbraio 1988 n. 42 che opera anche a sfavore 
del contribuente (1). 

(omissis) 4. -A diverse conclusioni deve giungersi per l'altro motivo di 
gravame, con il quale -denunziandosi violazione e falsa applicazione degli 
artt. 6 e 16, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; dell'art. 39, d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602, degli artt. 1, 12, 14, 48, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597; 
dell'art. 23, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; dei principi generali in materia 
di possesso di reddito; nonch� vizio di motivazione -la decisione impugnata 
viene censurata per aver escluso che l'art. 6 del citato d.P.R. n. 917/86 
(il quale prevede che �le indennit� conseguite... a titolo di risarcimento di 
danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidit� 
permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di 
quelli sostituiti o perduti�) abbia efficacia retroattiva e possa conseguente-. 
mente essere applicato anche a redditi conseguiti, come nel caso di specie, 
in periodi anteriori alla sua entrata in vigore (1� gennaio 1988). 

4.1. -L'efficacia retroattiva del citato art. 6 � stata esclusa dalla 
Commissione Tributaria Centrale sul duplice rilevo: 
a) che detta disposizione avrebbe carattere �innovativo� e non sarebbe 
quindi idonea a disciplinare situazioni insorte prima della sua entrata in 
vigore; 

b) che, comunque, dovendo essere ravvisato il titolo dell'erogazione (non 
nel pregresso rapporto di lavoro, ma) in una transazione, le somme riscosse 

(1) Giurisprudenza ormai costante. Con 23 aprile 1990 n. 3370, 5 luglio 1990 n. 
7091; 25 marzo 1995 n. 3574, in questa Rassegna, 1990, I, 370 e 513; 1995, I, 274. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

298 

dal Baracchi (che, appunto per questo, non costituirebbero, ai sensi dell'art. 
12, legge 30 aprile 1969, n. 153, retribuzione assoggettabile a contribuzione 
assicurativa) non potrebbero nemmeno essere qualificate come �reddito� ai 
fini impositivi. 

4.2. -� per� agevole replicare -quanto al rilievo sub a) -che, al fine di 
determinare l'efficacia nel tempo delle norme contenute nel d.P.R. n. 917/86, 
occorre tener conto di quanto stabilito dall'art. 36, d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 
42. � stato ormai chiarito che detta norma (la quale ha valore di legge ordinaria: 
Ca,ss. 27 ottobre 1993, n. 10695), nel disporre che le disposizioni del 
citato decreto n. 917/86 �hanno effetto anche per i periodi d'imposta antecedenti 
per il primo periodo di imposta successivo al 31 dicembre 1987, se relative 
dichiarazioni validamente presentate risultano ad esse conformi�, si riferisce, 
non solo alle norme gi� per loro conto retroattive (in quanto interpretative 
di precedenti disposizioni o riproduttive della normativa preesistente), 
ma anche a quelle aventi carattere �innovativo� (Cass., S.U., 15 maggio 1992, 
n. 9459; Cass. 27 ottobre 1993, n. 10695). E che la sua applicabilit� opera 
(non solo a favore, ma) anche a sfavore del contribuente (Cass. 6 aprile 1995, 
n. 4037; 28 novembre 1995, n. 12318; 7 maggio 1996, n. 4229, senza che ci� 
determini alcun contrasto con i principi e criteri direttivi della legge delega, 
ovvero con quelli sanciti dagli artt. 3 e 53 della Costituzione (C. Cost. 17 febbraio 
1994, n. 38). 
L'art. 6 del d.P.R. n. 917/86 non rientra tra le disposizioni specificamente 
considerate nel capo III del d.P.R. n. 42/88 e non pu� esservi quindi dubbio 
che tale norma abbia effetto �anche per i periodi d'imposta antecedenti 
al primo periodo d'imposta successivo al 31dicembre1987�. 

4.3. -Neppure l'altro rilievo, puntualizzato alla lettera b) del paragrafo 
4.1, appare idoneo a sorreggere la decisione impugnata. 

Per convincersene basta considerare: 

-in primo luogo, che, in base a quanto stabilito dall'art. 6 del nuovo 
t.u., l'assimilazione ai redditi delle somme riscosse a titolo di risarcimento 
danni non deriva dal titolo dell'erogazione, come sembra ritenere la decisione 
impugnata, ma dalla circostanza che il risarcimento sia diretto a 
compensare la perdita di redditi e non a reintegrare il patrimonio del contribuente; 


-in secondo luogo, che anche le indennit� corrisposte in occasione della 
cessazione del rapporto di lavoro costituiscono ormai �reddito� da lavoro 
dipendente, la cui nozione � stata ampliata dall'art. 46 del nuovo testo unico 
(cui, non diversamente dall'art. 6, dello stesso decreto, � da riconoscere effetto 
retroattivo, sulla base dei criteri fissati dall'art. 36, d.P.R. n. 42/88), 
mediante il riferimento al �rapporto di lavoro� anzich� al �lavoro prestato� 
(art. 46, d.P.R. n. 597/73) (omissis). 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 299 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 28 ottobre 1997 n. 10583, Pres. Sgroi -Est. 

Criscuolo -P.M. Carnevali (conf.) Ministero delle Finanze (aw. Stato 

Figliolia) c. Gennari. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Ricorso -Sottoscrizione del solo 
originale diretto all'ufficio tributario -Nullit� -Sanatoria. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 15 e 17; c.p.c. art. 156). 
Mentre � per espressa nonna inammissibile il ricorso totalmente mancante 
di sottoscrizione, � affetto da nullit�, sanabile ex art. 156 c.p.c. con la 
costituzione della parte intimata, il ricorso mancante della sottoscrizione sull'originale 
depositato nella segreteria ma munito della sottoscrizione nella 
copia diretta all'ufficio (1). 

(omissis) Con l'unico mezzo di cassazione il ricorrente denunzia violazione 
e falsa applicazione dell'art. 15 del d.P.R. n.636 del 1972 e dell'art. 156 
c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. 

La decisione impugnata sarebbe incorsa in errore nel ritenere che l'omessa 
sottoscrizione dell'originario ricorso del contribuente alla Commissione 
di primo grado fosse sanata ai sensi dell'art. 156 c.p.c., stante l'intervenuta 
regolare costituzione del contraddittorio con l'Amministrazione finanziaria. 
Al riguardo andrebbe rilevato che, ai sensi dell'art. 15 del d.P.R. n. 636 
del 1972, dalla mancata sottoscrizione del ricorso ad opera del contribuente 
non deriverebbe alcuna nullit�, eventualmente suscettibile di sanatoria ex 
art. 156 c.p.c., bens� l'inammissibilit� del ricorso medesimo, non disciplinata 
dalla normativa generale sulle nullit� bens� costituente sanzione collegata dal 
legislatore a determinate carenze compiute dalle parti nel processo tributario. 
Per unanime orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il ricorso 
alle Commissioni tributarie andrebbe sottoscritto a pena di inammissibilit� 
da tutti i contribuenti destinatari del prowedimento fiscale, e ci� anche 
se tra i predetti sussista vincolo di solidariet�, perch� soltanto con la sottoscrizione 
l'iniziativa giudiziale � giuridicamente esistente. Sarebbe indubita


(1) Sul punto specifico la sentenza pu� essere condivisa: il ricorso sottoscritto sul1'
esemplare diretto a costituire il contraddittorio non pu� considerarsi mancante di 
uno dei requisiti essenziali. Importante � per� l'affermazione che �in caso di totale 
omissione, l'inammissibilit� � conseguenza ineluttabile, normativamente stabilita� Ci� 
deve valere anche per il nuovo contenzioso giacch� l'art. 18 comma 4 del d.Lgs. 31 
dicembre 1992 n. 546 non solo ripete la stessa formula dell'art. 15, ultimo comma del 
d. P.R. n. 636/1972, ma aggiunge espressamente che � inammissibile il ricorso non sottoscritto 
nell'originale e nella copia. Si deve quindi ritenere che nel processo tributario 
l'atto introduttivo sia caratterizzato da un rigore di forme pi� severo della citazione nel 
giudizio ordinario per la quale sono ammesse sanatorie del difetto di sottoscrizione. 
C.B. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

300 

bile che si verte in materia di elementi essenziali, la cui mancanza non 
potrebbe che determinare l'inidoneit� dell'atto ad acquisire valenza giuridica, 
con ogni conseguente inderogabile doverosit� del pronunciamento di inammissibilit� 
da parte del giudice adito. 

Pertanto il richiamo all'art. 156 c.p.c. non sarebbe pertinente, sia perch� 
nella specie si tratterebbe di una ipotesi di inammissibilit� e non di nullit�, 
sia perch� l'omessa sottoscrizione non costituirebbe vizio formale ma vizio 
concernente un elemento essenziale. 

Il ricorso non � fondato, perch� la decisione impugnata si rivela conforme 
a diritto, anche se la motivazione deve essere precisata nell'esercizio del 
potere correttivo attribuito a questa Corte dall'art. 384 comma secondo c.p.c. 

� vero che, ai sensi dell'art. 15 primo comma lett. f) del d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636 (come sostituito dall'art. 6 del d.P.R. 3 novembre 1981 

n. 739), il ricorso alla commissione tributaria deve contenere (tra l'altro) la 
sottoscrizione del ricorrente o del suo legale rappresentante o del procuratore 
alla lite; e del pari � vero che, ai sensi del terzo comma della medesima 
norma, il ricorso � inammissibile se il suddetto elemento manca o � assolutamente 
incerto. 
Ci� posto, bisogna per� considerare che, come accertato dalla decisione 
impugnata (la circostanza � incontroversa e, peraltro, si evince dagli atti), nel 
caso in esame la mancanza della sottoscrizione non riguardava il ricorso in 
toto, bens� l'originale diretto alla segreteria della commissione tributaria; la 
copia rimessa all'ufficio risultava invece sottoscritta. Invero, va ricordato che, 
a norma dell'art. 17 primo comma del citato d.P.R. n. 636 del 1972 (come 
sostituito dall'art. 8 del d.P.R. n. 739 del 1981), il ricorso � proposto mediante 
consegna o spedizione dell'originale alla segreteria della commissione tributaria 
e di una copia in carta semplice all'ufficio tributario. E la giurisprudenza 
di questa Corte ha pi� volte affermato che la proposizione del ricorso 
alla commissione tributaria di primo grado, in base alla menzionata normativa, 
postula il tempestivo compimento di entrambi gli adempimenti (consegna 
o spedizione dell'originale e della copia), con la conseguenza che il ricorso 
� inammissibile qualora nel termine di legge venga posto in essere soltanto 
uno di essi (Cass., 4 agosto 1994, n. 7256; 22 maggio 1993, n. 5791; 24 
luglio 1989, n. 3497). 

La copia del ricorso da rimettere all'ufficio, dunque, non � atto di mera 
forma ma elemento necessario per la proposizione del ricorso medesimo, il 
quale assume rilevanza giuridica come atto d'iniziativa del contenzioso 
davanti alla commissione tributaria attraverso il compimento dell'attivit� 
complessa descritta nel citato art, 17, che si perfeziona appunto con la presentazione 
della copia per l'ufficio. 

Se cos� �, sembra evidente che la situazione di cui qui si discute non pu� 
essere assimilata a quella in cui nel ricorso manchi totalmente la sottoscrizione 
(omessa nell'originale e nella copia). In caso di totale omissione l'inammissibilit� 
� conseguenza ineluttabile, normativamente stabilita. Ma 

. 

' 

j 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

quando, .come nel caso in esame, un elemento necessario del ricorso (ossia la 
copia per l'ufficio tributario) risulta sottoscritto, si � in presenza di una fattispecie 
diversa, non potendosi parlare di mancanza della sottoscrizione se 
questa � stata apposta sulla copia predetta. Tra l'altro, il carattere essenziale 
della sottoscrizione del ricorrente discende dal rilievo che essa rende riferibile 
a costui l'atto; esprimendo la sua volont� di rendersene autore e di farne 
propri gli effetti. Questa volont� nel caso in esame � .stata estemata e tale 
dato, indubbiamente significativo, contribuisce a rafforzare ilconvincimento 
che nella specie non possa ravvisarsi un caso di inammissibilit�, come se la 
sottoscrizione mancasse del tutto (tra l'altro, porre sullo stesso. piano situazioni 
notevolmente differenti condurrebbe a conclusioni non confotTI'.li 
all'art. 3 della Costituzione ed al principio di ragionevolezza). 

Ma, se non � ravvisabile un'ipotesi d'inammissibilit� (e men che mai d'inesistenza; 
potendosi questa �configurare soltanto �a fronte della radicale 
mancanza dei requisiti diforma o di contenuto indispensabili per ricondurre 
latto nelle previsioni degli artt; �1s e .17 del d.P.R. n. 636 del 1972), il caso 
in esame poteva integrare unicamente una nullit� per mancanza di un requisito 
formale, ai sensi dell'art: 156 comma secondo c.p.c. (applicabile al procedimento 
disciplinato dal d.P.R. n. 636 del� 1972 per il rinvio contenuto nel!'
art. 39 di questo) e tale nullit�-,... come ritenuto dalla Commissione tributaria 
centrale -rimase sanata per il raggiungimento dello scopo dell'atto, dal 
momento che il contraddittorio fu ritualmente �nstautato nel giudizio di 
primo grado �con il regolare ed integrale svolgimento delle difese sia da parte 
del rappresentante dell'ufficio sia da parte del difensore del contribuente� (v. 
la decisione impugnata). 

Si deve aggiungete che, comunque, la nullit� non risulta eccepita 
dall'Amm�nistrazione davanti alla Commissione di primo grado e neppure 
dedotta come motivo dfappello, sicch� ogni questione al riguardo era ormai 
preclusa (per giudicato interno) e non poteva essere rilevata d'ufficio dalla 
Commissione di secondo grado. Il che costituisce ulteriore argomento circa 
la conformit� a diritto della decisione impugnata (omissis); 

CORTE Dl CASSAZIONE, sez. I, 28 ottobre 1997 n. 10584 -Pres. Senofonte 
-Est Cicala -P.M. Lo Cascio (conf;) Dattilo c. Ministero delle Finanze 
(aw. Stato Lancia). 

Tributi erariali diretti. Imposta sul reddito delle persone fisiche -. Reddito di 
lavoro dipendente. Indennit� di fine rapporto. Periodi volontariamente 
riscattati con onere ad esclusivo carico del dipendente. -Detrazione delle 
somme conispondenti alla quota di contributi versati dal lavoratore. Esclusione. 


(D.L. 14 marzo 1988 n. 70, art. 4 comma 3). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

302 

Nella liquidazione della imposta sulla indennit� di buonuscita ENPAS 
non deve essere esclusa la quota della indennit� correlata ai versamenti 
volontari eseguiti dal dipendente per periodi di riscatto (1). 

(omissis) Con l'unico articolato motivo il Dott. Dattilo deduce violazione 
e falsa applicazione dell'art. 17 del d.P.R. 91711986, come integrato dell'art. 4 
del D.L. n. 70/1988 convertito in legge 154/1988, il ricorrente sostien~ cio� 
che la parte di indennit� che risulti formata da contributi previdenziali a totale 
carico del dipendente va sottratta per intero all'imposizione fiscale. 

Giova ricordare che questa Corte ha affermato con sentenza numero 
10730 del 19 settembre 1992 che �a norma dell'art. 2 legge 26 settembre 1985 

n. 482, recante modifiche del trattamento tributario delle indennit� di fine 
rapporto (articolo rispetto al quale la Corte costituzionale con sentenza n. 42 
del 1992 ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale 
con riguardo all'art. 53 Cost.), dall'imponibile ai fim dell'imposta sul reddito 
delle persone fisiche dovuta sull'indennit� di buonuscita, che � erogata 
dall'Enpas al dipendente dello Stato cessato dal servizio, non deve essere 
esclusa la quota di detta indennit� correlata ai versamenti volontari effettuati 
dal dipendente per riscattare il periodo di studi universitari�. 
Obbietta il ricorrente che questa giurisprudenza non prende in considerazione 
le modifiche apportate dall'art. 4, comma 3 quater, d.l. 14 marzo 
1988 n. 70, convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988 n. 154. 

Ma la considerazione non appare conferente. 

Infatti la norma richiamata dal Dott. Dattilo stabilisce: �l'ammontare netto 
delle indennit� equipollenti al trattamento di fine rapporto comunque denominate, 
alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico 
dei lavoratori dipendenti e assimilati, � computato previa detrazione di una 
somma pari alla percentuale di tali indennit� corrispondente al rapporto, alla 
data del collocamento al riposo o alla data in cui � maturato il diritto alla percezione, 
fra l'aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori 
dipendenti e assimilati e l'aliquota complessiva del contributo stesso versato 
all'ente, cassa o fondo previdenza�. Crea cos� un meccanismo che chiaramente 
presuppone che ci si trovi di fronte ad una indennit� di buonuscita corrisposta 
per periodi in cui vi � stata una contribuzione parte a carico del datore 
di lavoro, parte a carico del lavoratore; ed in esecuzione della giurisprudenza 
della Corte Costituzionale (sent. 7 luglio 1986, n. 178) stabilisce che la non tassabilit� 
venga determinata in base al rapporto, alla data in cui � maturato il 
diritto alla percezione, fra l'aliquota del contributo previdenziale posto a carico 
dei lavoratori dipendenti e l'aliquota complessiva del contributo. 

La disposizione non appare dunque applicabile nelle ipotesi di contribuzione 
volontaria totalmente a carico del lavoratore. Del resto, non vi era 
alcuna esigenza di disciplinare simili ipotesi dal momento che la Corte 

(1) Giurisprudenza costante. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 303 

Costituzionale non si era pronunciata su di esse. Ed anzi con sentenza n. 42 
del 1992 la Corte ha riconosciuto infondata la questione di legittimit� costituzionale 
dell'art. 2 legge 26 settembre 1985 n. 482, nella parte in cui non 
prevede, per la parte dell'indennit� di buonuscita Enpas relativa a servizi o 
periodi volontariamente riscattati dall'interessato, una detrazione dall'imponibile 
che tenga conto dei contributi versati per esercitare tale riscatto, in 
riferimento all'art. 53 cost. Proprio perch� la quota di indennit� di buonuscita 
afferente ai periodi e servizi riscattati a domanda assume �una propria 
fisionomia, che la differenzia dalla parte di indennit� connessa ai periodi di 
effettiva prestazione del servizio. Essa, infatti, non � correlata ad un rapporto 
previdenziale automatico e ad un meccanismo contributivo, istituzionalmente 
e cumulativamente riferibile al datore di lavoro� (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. I, 29 ottobre 1997, n. 10646 -Pres. Sensale Est. 
Papa -P.M Giacalone (conf.) -Ciuffo c. Ministero delle Finanze (avv. 
Stato G. Arena). 

� Tributi erariali diretti -Imposte sul reddito delle persone fisiche -Redditi di 

lavoro dipendente -Pensioni -Pensioni privilegiate ordinarie civili e mili


tari -Sono soggette alla imposta. 

(t.u. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 46; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 604, art. 34; d.P.R. 29 
dicembre 1973 n. 1092, art. 64, 67, 92). 
Le pensioni privilegiate ordinarie sia civili che militari (art. 64 e 6 7 del d.P.R. 
29 dicembre 1973 n. 1092), che hanno natura reddituale, sono soggette all'imposta 
dalla quale sono esenti soltanto le pensioni di guerra e, per effetto della 
sentenza della Corte Costituzionale 4 luglio 1989 n. 387, le pensioni privilegiate 
tabellari spettanti ai militari di leva, che hanno natura risarcitoria. Le pensioni 
ordinarie di reversibilit� sono pur sempre soggette all'imposta in quanto 
il riferimento alle pensioni di guerra contenuto nell'art. 92 del d.P.R. 109211973 
� valido solo ai fini della identificazione delle condizioni soggettive (1). 

(omisiss) Denunzia la ricorrente, col primo motivo, violazione e manca


ta applicazione dell'art. 92 d.P.R. 1092/1973, con conseguente violazione e 

falsa applicazione dell'art. 64 dello stesso d.P.R., in relazione al n. 3 dell'art. 

360 C.P.C. 

Premette che nel d.P.R. 1092/1973 sono previsti due trattamenti pensio


nistici distinti: a) la pensione privilegiata ordinaria diretta (art. 64), in favore 

(1) Sul problema generale la giurisprudenza � pacifica (Cass. 10 novembre 1992 n. 
12092, in questa Rassegna 1993, I, 111). Sulla questione specifica � di evidente esattezza 
l'affermazione che il richiamo che nell'art. 92 del d.P.R. n. 1092/1973 si fa alle 
pensioni di guerra concerne la definizione della riversibilit� e non tocca la natura della 
pensione. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

304 

del dipendente statale che abbia, per effetto di infermit� o lesioni dipendenti 
da fatti di servizio, subito menomazioni all'integrit� fisica ascrivibili ad una 
delle categorie della tabella A annessa alla legge 313/1968; b) la pensione privilegiata 
di riversibilit� (art. 92), a favore degli aventi diritto dal dipendente 
statale deceduto, quando la morte � conseguenza di infermit� o lesioni dipendenti 
da fatti di servizio. Puntualizza che �i due trattamenti presentano connotazioni 
considerevolmente diverse nella struttura e nella disciplina� e che, 
nel caso in esame, si tratta di applicare la normativa relativa alla pensione 
privilegiata di riversibilit� (sottolineando che lo stesso legislatore �mostra 
evidenti segni di confusione� l� dove non sempre distingue fra pensione 
diretta e di riversibilit�, come avviene, in linea generale, nella legge 629/1993 
ed, in particolare, nella legge 437/1978, che stabilisce appunto le provvidenze 
in favore dei superstiti dei magistrati ordinari, caduti nell'adempimento del 
dovere). Precisa, quindi, che la disciplina applicabile � quella dell'art. 92 cit. 
-il quale detta che la pensione privilegiata di riversibilit� spetta �nella misura 
e alle condizioni previste dalle disposizioni in materia di pensioni di guerra
� -, per inferirne che la Corte di merito, allorquando ha escluso la detassazione 
richiesta, si � attenuta alla giurisprudenza formatasi in ordine alla 
disciplina delle pensioni privilegiate ordinarie dirette, desumibile dall'art. 64 

d.P.R. cit., e non a quella, espressamente invocata, dall'art. 92. 
Col secondo motivo -ed in stretto collegamento col precedente lamenta 
violazione e falsa applicazione dell'art. 34 d.P.R. 601/1973 in relazione 
all'art. 360 n. 3 C.P.C .. 

Posto che l'art. 34 cit. dichiara esenti da IRPEF le pensioni di guerra di 
ogni tipo e denominazione, ne evince che, se le pensioni privilegiate ordinarie 
di riversibilit� �godono delle condizioni concesse alle pensioni di guerra
�, non � possibile conclusione diversa da quella �che le pensioni privilegiate 
di riversibilit� sono esenti da IRPEF�. Trae motivo di conferma alla 
asserzione essere �la pensione privilegiata di riversibilit� un tipo o denominazione 
della pensione di guerra� da spunti normativi, quali l'art. 32 d.P.R. 
915/1978 e l'art. 33 d.P.R. 1092 cit. (in materia di opzione per la pensione 
privilegiata ordinaria); espone argomenti intesi ad affermare la necessaria 
equiparazione alle pensioni di guerra dei trattamenti spettanti alle vittime 
del terrorismo ed ai loro familiari; propone infine questione di legittimit� 
costituzionale dell'art. 34 cit. �nella parte in cui non prevede la esclusione da 
IRPEF per il trattamento di pensione privilegiata di riversibilit� per i congiunti 
delle vittime del terrorismo e della delinquenza organizzata�, ulteriormente 
affermando che la giusta soluzione di consentire lesenzione per 
il militare di leva al di fuori dello stato di guerra (cor1; implicito riferimento 
a Corte Cost. 38711989) non pu� essere accompagnata da quella -tutt'altro 
che giusta -di escludere la detassazione per il trattamento privilegiato di 
riversibilit� del quale si discute. 

In correlazione coi precedenti motivi, si duole infine di omessa e/o contraddittoria 
motivazione su punto decisivo della controversia, ai sensi del1'
art. 360 n. 5 C.P.C. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Sostiene, in dipendenza dei rilievi che precedono, che le sue difese non 
sono state adeguatamente considerate dal giudice 'a qud, il quale ha affrontato 
il diverso problema della esenzione dall'imposta sul reddito per le pensioni 
privilegiate ordinarie dirette, senza esaminare la questione attinente a 
quelle di reversibilit�, cos� -oltre ad inibire ad essa ricorrente di confrontarsi 
con una tesi contraria -giungendo alla conclusione di non applicare gli 
invocati artt. 92 d.P.R. 1092/1973 e 34 d. P.R. 601/1973, senza peraltro indicare, 
in concreto, la normativa applicabile. 

Nel controricorso, l'Amministrazione oppone, in primo luogo, l'inammissibilit� 
del terzo motivo, poich� l'assunta carenza di motivazione non 
attiene a punto decisivo; deduce, poi, che il primo costituisce �solo una premessa 
del secondo motivo, l'unico pertinente alla materia controversa�. Con 
riguardo a quest'ultimo, dopo averne rilevato l'inammissibilit� per incompletezza 
(con riguardo alle applicate disposizioni degli artt. 46 co. 2� d.P.R. 
597/1973, 46 CO. 2� T.U.I.R. 91711986 e 23 CO. 1� e 2� d.P.R. 600/1973), osserva 
che l'art. 34 co. 1� d.P.R. 601/1973, contenendo una disposizione derogatoria, 
� di stretta interpretazione, e che la soluzione negativa per la tesi della 
ricorrente risulta implicitamente dalla questione di legittimit� costituzionale, 
peraltro formulata senza indicazione dei parametri costituzionali �sseritamente 
violati, e senza considerare che il 'tertium comparationis' dovrebbe 
appunto risultare dal cit. art. 46 co. 2�. Aggiunge finalmente che i primi due 
motivi sono infondati, per le ragioni desumibili dalla motivazione della stessa 
decisione della Corte di merito. 

L'impugnata sentenza appare immune da censure. 

Ai sensi dell'art. 46 co. 2� d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 (e, dal 1� gennaio 
1988, dell'art. 46 co. 2� d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917), le pensioni privilegiate 
ordinarie a seguito di infermit� o lesioni per fatti di servizio, sia 
civili (art. 64 d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092), che militari (art. 67 d.P.R. 
ult. cit.), sono assoggettate per l'intero ammontare all'IRPEF, in mancanza 
di espressa previsione di deroga alla regola generale dell'imponibilit� nell'art. 
34 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601 (Cass. 3584/1993, 12092/1992, 
2104/1989). 

La mancata previsione d'esenzione � da ritenersi conforme ai principi 
costituzionali, ed, in particolare, all'art. 53 Cost., giacch� tali pensioni, costituendo 
proiezione di un precedente trattamento economico goduto, ne condividono 
la natura reddituale. Per questo la Corte Costituzionale ha ripetutamente 
escluso ogni identit� ed omogeneit� di situazioni con le pensioni di 
guerra, dichiarate esenti da imposta dal cit. art. 34 co. 1� d.P.R. 60111973, le 
quali consistono in un ammontare determinato normalmente solo in funzione 
dell'entit� del danno e, comunque, prescindendo da un rapporto di dipendenza 
(in aggiunta a quelle citate nella motivazione della decisione impugnata, 
riportate nella parte espositiva che precede, cfr. da ultimo, con riferimento 
alle pensioni privilegiate ordinarie spettanti ai militari di carriera, 
Corte Cost. 43111996, con ulteriori richiami). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

306 


N� il riportato regime appare superabile col sostenere che la pensione 
privilegiata ordinaria, quando sia di riversibilit�, costituisca �un tipo o denominazione 
della pensione di guerra�, e, come tale, rientri nella esenzione 
espressa del cit. co.1� art. 34. Difatti l'argomento letterale, che si � inteso trarre 
dall'art. 92 co. 1� d.P.R. 1092/1973, secondo cui �spetta ai congiunti la pensione 
privilegiata nella misura e alle condizioni previste dalle disposizioni in 
materia di pensioni di guerra�, appare sfornito di pregio, essendo difficilmente 
contestabile che il rinvio attiene, oltre alla misura della pensione (di 
riversibilit�, appunto, rispetto a quella diretta), alle condizioni soggettive dei 
singoli aventi diritto, ma non involge affatto il trattamento tributario dell'emolumento. 
In particolare, quindi, � sicuramente da escludere che esso possa 
estendersi alla disciplina dell'art. 34 co. 1� d.P.R. 601/1973, ferme restando, 
in linea di principio, la natura di stretta interpretazione delle disposizioni 
derogatorie in materia fiscale, ed, esplicitamente, l'esclusione di esenzioni ed 
agevolazioni, diverse da quelle nel decreto stesso considerate, sancita dall'art. 
42 co. 1� (Cass. 2104/1989 cit.). 

E, finalmente, nemmeno la prospettata questione di legittimit� costituzionale 
del cit. art. 34 co. 1�, �nella parte in cui non prevede la esclusione da 
IRPEF per il trattamento di pensione privilegiata di riversibilit� per i congiunti 
delle vittime del terrorismo e della delinquenza organizzata�, pu� essere 
positivamente valutata, giacch� la non manifesta infondatezza � esclusa 
proprio dai numerosi precedenti di rigetto, in materia di pensioni privilegiate 
ordinarie (civili e militari) dirette, non essendo ragionevolmente ipotizzabile 
che, superato ogni sospetto d'incostituzionalit� per queste, sia dato riaffacciarlo 
per quelle di riversibilit� -che ne costituiscono necessaria conseguenza. 

Nella stessa ottica, non � dato trarre riscontro positivo alla prospettazione 
suddetta dalla sent. 387/1989, con cui la Corte Costituzionale ha esteso l'esenzione 
alle pensioni privilegiate ordinarie tabellari spettanti ai militari di 
leva, poich� il rilievo della natura non reddituale di queste ultime conferma 
proprio la soluzione contraria alla tesi della ricorrente, coerentemente ribadita 
dalla Corte (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 dicembre 1997, n. 12448 -Pres. Cantillo Est. 
Sotgiu -P.M. Nardi (diff.) -Ministero delle Finanze (aw. Stato De 
Stefano) c. Soc. Perlier. 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Azione di accertamento negativo 
-Difetto di prowedimento di imposizione -Inammissibilit�. 
(Legge 7 gennaio 1929 n. 4, art. 55). 

L'azione di accertamento negativo della pretesa, proposta prima dell'emanazione 
di un provvedimento dell'Amministrazione � inammissibile. Non 
� sufficiente a creare il presupposto dell'azione l'esistenza di un verbale di 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 307 

contestazione che � un atto interno se pure titolo idoneo all'iscrizione dell'ipoteca 
legale (1). 

(omissis) Col primo motivo di ricorso, la ricorrente censura la decisione 
impugnata per violazione degli artt. 100 c.p.c. e 55 Legge 7 gennaio 1929 n. 
4, riproponendo �reccezione di inammissibilit� dell'azione di accertamento 
negativo proposta dalla Perlier S.P.A., in difetto di provvedimento amministrativo 
di imposizione. 

Il motivo � fondato. 

Infatti ilcontrasto a suo tempo verificatosi nella giurisprudenza di questa 
Corte in ordine alla ammissibilit� di un'azione di accertamento negativo della 
pretesa tributaria in assenza di �tto impositivo (Cass. 752/66; 1934/72, 2134/72; 
5772/81; contra Cass. 458/81) � stato composto dalle Sezioni Unite di questa 
Corte con sentenza 6 novembre 1993 n. 10999, che ha affermato l'assoluta 
improponibilit� dell'azione suddetta, ove la stessa non si ricolleghi ad un atto 
impositivo dell'amministrazione e venga sperimentata solo in via preventiva. 

La sentenza 27 maggio 1994 n. 5237 ha consolidato tale principio, con 
particolare riferimento all� tassa di lotteria, sottolineando che soltanto con 
l'emanazione dell'ordinanza ingiunzione si profila la concreta possibilit� di 
una lesione della sfera giuridica del contribuente e si determina quindi l'interesse 
dello stesso ad agire per l'accertamento negativo del suo obbligo. Il 
contrario assunto della Societ� Perlier, ribadito anche con memoria, secondo 
cui il verbale di accertamento non sarebbe mero atto interno del procedimento 
amministrativo, perch� idoneo a costituire titolo per l'iscrizione della 
ipoteca legale (ex art. 26 legge n. 4 del 1929) non � idoneo a trasformare la 
natura prodromica di tale verbale, che resta un invito non cogente ad assolvere 
la pretesa fiscale, la cui eventuale (e non concreta) capacit� di ledere la 
sfera privatistica potr� semmai rilevare nell'ambito di un procedimento cautelare, 
ove questo venisse attivato, con riferimento al �periculum in mora�. 

In relazione, dunque, alle conclusioni affermate dalla sentenza n. 5237/94, 
che questo collegio condivide, con particolare riferimento al fatto che l'interesse 
del contribuente ad agire in accertamento negativo sussiste soltanto 
allorch� la pretesa � concretamente ravvisabile, e non quando si presenti come 
�mero fatto non tutelabile dall'ordinamento�, il primo motivo di ricorso deve 
essere accolto (omissis). 

(1) � ancora riconfermato uno dei capisaldi della giurisdizione in materia di 
imposta sempre sostenuto dalla Avvocatura dello Stato. L'affermazione agevolmente 
giustificata nel processo speciale innanzi alle commissioni che se � costruito sulla 
impugnazione di un atto, non endoprocedimentale (Cass. 8 marzo 1977 n. 942 in questa 
Rassegna, 1977, I, 302; 3 febbraio1986 n. 660 in Foro it., 1986, I, 1902) � stata estesa 
anche alla azione ordinaria. 
Notevole la precisazione che l'esistenza di un atto che pure � titolo per un'iniziativa 
cautelare, non basta a giustificare l'ammissibilit� dell'azione di accertamento quando 
si tratta (nella specie verbale di constatazione della polizia tributaria) di un atto 
endoprocedimentale. C.B. 

� Y. ~-,.._.::::_._.,..__._,.._,.._._._ .... :--... :--.. ,.... :--.....-........ --~... :-:,..-... :--.... ... ,..:....
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RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

308 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 13 dicembre 1997 n. 12630 -Pres. Vitrone Est. 
Fioretti -P.M. Nardi (conf.) -Ministero delle finanze (avv. Stato De 
Bellis) c. Izzi. 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Esercizio di impresa 
-Costruzione di unico fabbricato -Sufficienza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, att. 4). 
Per integrare il concetto di esercizio di impresa, � sufficiente che la abitualit�, 
sistematicit� e continuit� della attivit� economica esercitata, si riveli 
complessa e di rilievo, anche se consistente nello svolgimento di unico affare 
(nella specie costruzione di un solo fabbricato) (1). 

(omissis) Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione ed errata 
applicazione dell'art. 4, comma primo, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 
come modificato dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, in relazione 
all'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c., �assumendo che la Commissione 
Centrale avrebbe erroneamente interpretato la disposizione contenuta 
nell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, ritenendo assoggettabile ad IVA 
un atto compiuto da un soggetto nell'esercizio di un'attivit� economica 
occasionale. 

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia carenza e contraddittoriet� 
della motivazione in relazione all'art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., 
deducendo che la decisione appare carente di motivazione allorch� attribuisce 
rilievo al fatto che il soggetto aveva aperto regolare partita IV A in relazione 
all'attivit� di costruzione edilizia, senza tener conto che dal certificato 
della Camera di Commercio di Latina del 23 giugno 1981, prodotto dai ricorrenti, 
risultava che l'Izzi, esercente attivit� di commercio all'ingrosso di prodotti 
alimentari, aveva presentato denuncia di apertura dell'attivit� di costruzioni 
edili solo in data 20 settembre 1979 (dichiarando una decorrenza dal 24 
gennaio 1978) e cio� solo pochi giorni prima della vendita degli immobili 
costruiti. 

Del pari sarebbe censurabile la decisione, allorch� afferma apoditticamente 
e senza alcuna indicazione degli elementi di prova, che il contribuente 
aveva posto in essere una consistente organizzazione produttiva per la 
costruzione del fabbricato summenzionato. 

Il primo motivo di ricorso � infondato. 

L'art. 4, comma primo, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, come modificato 
dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24, dispone che per esercizio di 

(1) L'unicit� della operazione non � certamente di impedimento alla sussistenza 
dei presupposti della professionalit� purch� non si verta nell'ipotesi dell'attivit� occasionale. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

impresa siintende l'esercizio per professione abituale, ancorch� non esclusi


va, delle attivit� commerciali o agricole di cui agli artt. 2135 e 2195 del codi


ce civile, anche se non organizzate in forma di impresa. 

Secondo l'insegnamento di questa corte, al quale il collegio ritiene di 
dover dare continuit� non ravvisando n�; essendo state indicate dal ricorrenteragioni 
plausibiliper discostarsene; la abitualit�, sistematicit� e continuit� 
dell'attivit� econQmica, come. indice della professionalit� necessaria per l'acquisto 
della qualit� di imprenditore, vanno intese in senso non assoluto, ma 
. relativo, sicch� anche lo svolgiment.o di un unico affare pu� comportare la 
qualifi�a imprenditoriale, in considerazione della sua rilevanza economica e 
della complessit� delle operazioni in cui si articola (cfr. cass. n. 3690/86; cass. 

n. 4407/96; cass. n. 8193/97). 
La Commissione Tributaria Centrale ha correttamente applicato tale 
principio riconoscendo al contribuente la qualit� di imprenditore oltre che 
perla sua aJ;tivit� di commerciante all'ingrosso anche per quella di costruttore 
edile, svolta per la costruzione diun unico fabbricato, di cui facevano parte 
i due appartamenti venduti a Manforte .,t\.nna ed aiconiugi Trani Antonio e 
Marzu1lo Paola, avendo posto in essere per la costruzione del suddetto fabbricato 
una consistente organizzazione produttiva. 

Legittimamente, pertanto, la compravendita dei due appartamenti 
summenzionati, in applicazione dell'art. 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 
634, che sottrae all'imposta proporzionale di registro gliatti relativi ad operazioni 
soggette all'imposta sul valore aggiunto, � stata assoggettata ad IVA 
ed alla imposta fissa di registro e non, come invece preteso dall'amministrazione. 
finanziaria, a quella proporzionale di registro, essendo il venditore 
degli stessi, per la sua qualit� di imprenditore edile, soggetto alla disciplina 
dell'IVA (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 23 dicembre 1997 il. 13008 Pres. Sensale Est. 
Ferro -P.M Morozzo della Rocca (conf.) Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Lancia) c. Fallimento Soc. Kosmo Arreda. 

Tributi jn genere -Fallimepto del contribuente -Insinuazione tardiva Decreto 
del giudice delegato che rigetta in parte la domanda illegittimit� 
-Rimedi -Ricorso per cassazione. 

(r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 101; Cost art. 111). 
Sulla domanda di insinuazione tardiva il giudice delegato pronunciando 
decreto pu� soltanto ammettere integralmente il credito; se intende non 
ammettere, anche in parte, il credito deve pronunciare sentenza; � quindi 
illegittimo il decreto che riconosce solo in parte fondata la domanda. n 
rimedio ammesso per denunciare la illegittimit� � il ricorso per cassazione 

I 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

310 

in art. 111 Cost. Non sono invece ammissibili il reclamo o l'appello al tribunale 
ex art. 26, il reclamo allo stesso giudice delegato e l'opposizione allo 
stato passivo (1). 

(omissis) Del ricorso proposto dall'Amministrazione delle Finanze contro 
il decreto come sopra pronunciato dal giudice delegato al fallimento della 

s.r.l. Kosmo Arreda devesi riconoscere l'ammissibilit� e la fondatezza. 
Nel R.D. 16 marzo 1942 n. 267, l'art. 101 detta la disciplina delle �dichiarazioni 
tardive�, nella prassi denominate insinuazioni tardive, con le quali i 
creditori possono chiedere l'ammissione al passivo con ricorso al giudice 
delegato anche dopo il decreto dichiarativo dell'esecutivit� dello stato passivo 
previsto dall'art. 97, e stabilisce nel terzo comma che �Se all'udienza il 
curatore non contesta l'ammissione del nuovo credito e il giudice lo ritiene 
fondato, il credito � ammesso con decreto; altrimenti il giudice provvede 
all'istruzione della causa a norma degli articoli 175 e seguenti del codice di 
procedura civile�. Viene per tal modo delineato un sistema di integrazione 
successiva del compiuto accertamento del passivo nel quale il riconoscimento 
della fondatezza della domanda del creditore tardivamente istante e 
l'ammissione al passivo del suo credito in sede monocratica sono subordinate 
alla concorrenza e convergenza in tal senso -in ordine a ciascuna 
delle componenti della domanda stessa: nell'an, nel quantum, negli accessori, 
e, per quanto qui specificamente interessa, anche in ordine alla sussistenza 
di un diritto di prelazione eventualmente invocato -dell'opinione 
del Curatore e del convincimento del giudice delegato. Si configurano cos� 
due possibili forme di accertamento tardivo del credito: l'una, che si conclude 
con un decreto del giudice delegato, presuppone la sussistenza della 
suindicata duplice condizione; l'altra, che postula quale proprio sbocco decisionale 
una sentenza del Tribunale fallimentare, trova luogo qualora la 
domanda sia contestata in tutto o in parte dal curatore o sia in tutto o in 
parte ritenuta non fondata dal giudice delegato, il quale non dispone in tal 
caso di alternativa alcuna rispetto all'attivazione del giudizio davanti al 
Tribunale. Tale sistema non lascia spazio a ipotesi di soccombenza parziale 
nella correlazione tra il contenuto della domanda del creditore e il contenuto 
del provvedimento di ammissione promanante dal giudice delegato. E in 
relazione a tale sistema si rende palese l'anomalia di un provvedimento col 
quale -come nella fattispecie in esame -il giudice delegato con proprio 
decreto ammetta al passivo del fallimento in via chirografaria il credito 
dichiarato come assistito da privilegio. 

L'esperienza giurisprudenziale ha tuttavia dato luogo a disparit� di opinioni 
circa la individuazione dello strumento processuale mediante il quale 
la suindicata situazione possa ricevere rimedio. Occorre, ad avviso di que


(1) Si prende atto del chiarimento opportunamente intervenuto fra molti contrasti. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sto Collegio, premettere e ricordare che ci si trova in presenza di un provvedimento 
di natura giurisdizionale, incidente su una posizione di diritto 
soggettivo consistente nel diritto alla partecipazione al concorso e al soddisfacimento 
del proprio credito nella misura consentita dalla attuazione in 
sede fallimentare dalla par condicio creditorum (limitata dalle cause legittime 
di prelazione), ed avente carattere definitivo nell'ambito endofallimentare 
in quanto destinato, in difetto di impugnazione che ne consenta la 
rimozione, a costituire titolo non ulteriormente modificabile ai fini della 
determinazione della partecipazione alla distribuzione del ricavo della 
liquidazione fallimentare. 

Ci� premesso, � da escludere anzitutto che il rimedio giuridico alla 
segnalata violazione di legge possa essere rinvenuto nel reclamo al Tribunale, 
previsto in via generale contro i provvedimenti del giudice delegato dall'art. 
26 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267, in quanto l'ambito di operativit� di tale 
strumento resta circoscritto alle attivit� di carattere amministrativo e gestionale 
della procedura, rispetto a questa realizzando una sorta di �foro interno
� al quale -a prescindere dalla rilevanza o meno, ai fini della delimitazione 
di tale ambito, della distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi 
-restano certamente estranei i conflitti incidenti sui diritti dei terzi creditori, 
la cui disciplina trova specifica esauriente sede propria nel contesto 
della legge fallimentare. Rilevasi inoltre l'incongruenza di una costruzione 
che porterebbe ad individuare nel Tribunale, ad un tempo, l'organo propulsore 
(con l'accoglimento del reclamo e la rimozione del provvedimento del 
giudice delegato) della successiva fase di cognizione e l'organo competente 
alla decisione della stessa. Si dissente pertanto dall'opinione altra volta 
espressa da Cass. 28 settembre 1979 n. 5000 (ripresa poi da Cass. 21 settembre 
1993 n. 9633), che ha escluso per tale ragione l'ammissibilit� del ricorso 
per Cassazione ai sensi dell'art. 111 c, 2 Cost. avverso il decreto del giudice 
delegato ritenendolo invece proponibile avverso il decreto pronunciato in 
esito al reclamo dal Tribunale, al quale soltanto viene attribuita la rilevanza 
di pronuncia decisoria in tema di diritti soggettivi. E poich� devesi ritenere 
che con tal genere di pur illegittimo provvedimento il giudice delegato abbia 
consumato l'esercizio della sua cognizione monocratica (della quale non 
potrebbe essere reinvestito d'ufficio o ad iniziativa di parte dopo l'avvenuta 
chiusura della fase processuale svoltasi davanti allo stesso, si dissente anche 
da Cass. 20 novembre 1996 n. 10153 che ritiene il provvedimento in questione 
alternativamente �suscettibile di reclamo innanzi allo stesso giudice che 
lo ha emesso o al Collegio�. 

� poi da escludere che contro il suindicato decreto sia esperibile l'opposizione 
allo stato passivo di cui all'art. 98 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 
(come ritenuto da Cass. 10 maggio 1978 n. 2266, che ne ha tratto sotto questo 
profilo l'analoga conclusione dell'inammissibilit� del ricorso per cassazione 
per difetto del carattere di definitivit�), perch� questa peculiare forma 
di impugnazione � indissolubilmente correlata -nella sua collocazione fun



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

312 

zionale e nella sua correlazione cronologica al decreto che rende esecutivo 
lo stato passivo previsto dall'art. 97: la insinuazione tardiva, invero, in 
quanto predisposta, al pari dell'opposizione, alla modificazione dello stato 
passivo quale risultante dal decreto di cui all'art. 97, si pone in posizione 
gerarchicamente parallela e non subordinata rispetto all'opposizione nel contesto 
delle operazioni di accertamento del passivo; n� si vede come in concreto 
potrebbe coordinarsi con la disciplina dell'istituto dell'insinuazione tardiva 
-proponibile senza limiti di tempo correlati all'esecutivit� dello stato 
passivo -il termine a cui soggiace a pena di decadenza l'opposizione. 

Non si ritiene, infine, di poter condividere la tesi-che, sulla scorta della 
natura sostanziale di sentenza attribuita al decreto di cui trattasi, � stata 
accolta da Cass. 19 giugno 1995 n. 6937 -secondo la quale il decreto come 
sopra illegittimamente emesso dal giudice delegato potrebbe essere impugnato 
con l'appello davanti al Tribunale fallimentare. La proponibilit� dell'appello 
avverso un determinato provvedimento giurisdizionale postula l'inquadramento 
di tale provvedimento in un modello procedimentale nel quale 
sia previsto l'accesso a un giudizio di merito di secondo grado a tutela della 
parte che sia risultata totalmente o parzialmente soccombente in relazione al 
contenuto decisorio di quel provvedimento: ci� non si verifica nella situazione 
in esame nella quale, come si � detto, l'ipotesi della soccombenza del creditore 
istante rispetto al decreto del giudice del delegato � assolutamente 
estranea alla previsione del legislatore. La proponibilit� dell'appello non pu� 
prescindere, inoltre, dalla individuazione di un giudice, precostituito per 
legge, organicamente diverso dal giudice a quo, al quale sia deferita la cognizione 
del gravame e la decisione in secondo grado: tale non �, e non pu� essere, 
rispetto al giudice delegato, il Tribunale a cui lo stesso appartiene, al quale 
la legge riserva, proprio con riferimento all'ipotesi di dissenso del giudice 
delegato, la competenza a decidere in primo grado sulla domanda: si rende 
con ci� evidente la ingiustificabile disparit� di trattamento che si verificherebbe, 
in ordine ai mezzi di impugnazione esperibili, tra la totale o parziale 
reiezione dell'insinuazione tardiva legittimamente pronunciata dal Tribunale 
e la totale o parziale reiezione della stessa domanda pronunciata abnormemente 
dal giudice delegato, con elisione, in questo secondo caso, del doppio 
grado di giurisdizione collegiale di merito. 

Resta da ricordare che in giurisprudenza � stato altres� affermato che il 
decreto in argomento non � impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost. nemmeno 
dai creditori gi� ammessi al passivo, potendo questi avvalersi anche avverso 
il detto provvedimento del rimedio dell'opposizione prevista dall'art. 100 
della legge fallimentare (Cass. 21 maggio 1983 n. 3523). La questione resta 
estranea al tema della presente decisione, non potendo subire commistione 
la problematica relativa alla tutela dell'interesse del creditore tardivamente 
istante, che si qualifichi pregiudicato dal provvedimento del giudice delegato 
in ci� che tale provvedimento non gli ha riconosciuto, con la problematica 
concernente la tutela dell'interesse -del tutto eterogeneo ed anzi conflig



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

gente -del creditore gi� ammesso al passivo, che abbia motivo di ritenersi 
pregiudicato da quel prowedimento in ci� che al creditore tardivamente 
istante � stato riconosciuto. 

Si ritiene in definitiva di dover enunciare il principio secondo cui qualora, 
in sede di dichiarazione tardiva di credito, il giudice delegato, il quale non 
ritenga integralmente accoglibile la domanda, anzich� rimettere la decisione 
al Collegio, proweda monocraticamehte all'ammissione del credito in parziale 
difformit� dalla domanda e quindi in parziale reiezione del petitum (e 
cos�, specificamente, ammettendo il credito in via chirografaria con esclusione 
della dichiarata causa di prelazione), tale prowedimento � suscettibile di 
impugnazione mediante il ricorso straordinario per cassazione di cui all'art. 
111 c. 2 Cost., nei limiti di deducibilit� ivi previsti e quindi per violazione di 
legge processuale (omissis). 


SEZIONE SESTA 

GIURISPRUDENZA PENALE 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. III penale, 2 luglio 1997 n. 6308 -Pres. 

Giuliano -Rel. Novarese -P.M. (Conf.) Gerace -Ministero delle Finanze 

(avv. Stato De Giovanni) c. De Stefano. 

Giudizio penale -Chiusura delle formalit� di apertura del dibattimento 


Contestazione suppletiva di reati -Rinvio ad altra udienza per termini 

a difesa -Costituzione di parte civile -Ammissibilit�. 

(art. 93, 445 e 446 c.p.p. 1930: art. 79, 484, 516, 517 e 518 c.p.p. 1988). 

Nel caso in cui, completate le formalit� di apertura del dibattimento, 
il P.M. chieda ed ottenga la contestazione di reati suppletivi, la costituzione 
di parte civile pu� tempestivamente avvenire sia secondo le norme del 
codice di procedura penale del 1930, sia secondo le norme del nuovo 
all'udienza di rinvio cui, concesso il termine a difesa, il processo sia stato 
rinviato (1). 

(omissis) De Stefano Nadia ha proposto ricorso per Cassazione avverso 
la sentenza della Corte di Appello di Ancona, emessa in data 19 novembre 
1991, con la quale veniva condannata per il reato di utilizzazione di 
bolle di accompagnamento alterate, deducendo quali motivi l'erronea 
applicazione dell'art. 93 c.p.p. 1930, poich� era stata ammessa la costituzione 
di parte civile dopo compiute per la prima volta le formalit� di apertura 
del dibattimento, la carente e contraddittoria motivazione sulla sussistenza 
del reato. 

Con memoria, depositata il 23 aprile 1997, la ricorrente richiedeva l'applicazione 
dell'amnistia. 

(1) La sentenza in nota supera, con una pregevole valutazione dinamica del processo 
tenendo conto correttamente di un aspetto tanto saliente dell'accessoriet� dell'azione 
civile nel processo penale, quanto poco considerato (quello cio� della sua subordinazione 
all'azione del P.M. che, in questo caso, � posta a base dello spostamento in 
avanti del termine della costituzione di p.c.), l'espressione letterale dell'art. 93 del codice 
di rito del 1930 che con l'espressione � ... fino a che non siano compiute per la prima 
volta le formalit� di apertura del dibattimento�, costitu� il pi� evidente ostacolo all'interpretazione 
che questa sentenza ha fatto propria. 
A maggior ragione la tesi � valida nel vigore del nuovo codice, il cui art. 79 non 

ripete il �per la prima volta�. 

P.d.T. 
! 


L'futf;!tvel;:l.t~ �on�u:ti�~io:ri� di cuiall'art; 2 terzo commad,PJl; 20 genl).
ajoJ9,Ql ;n,j3 �$4U.d~�!Wrilevanza al second<:> motiv<:�; attjnentfi ad unpre< 
/ .�.�. / ... t~s9 <:lif~tt() 4i m<:>ti:Y~~i.~M~ mentl'.e. 9��w�~� ~lil,ttat'e �di .q.:el~i::i, ~l~tivo 
.�. �..��...�...�.�...��ᥥ�� ..�.�.�.��� ��� ~'.~$~~~ijj#�,()#i~#<;} 4~11~ ~9$#t'fzio11e dipafl;ecMle, pp~qh�, ~sensi del
��.�.�� ��ᥥ��:�.����:.�..���:.��ᥥᥥ���ᥥ���l!:~,4~ 4~.~.l~gg~~~g~fo�.tQ'i$#.�4QS,.�q9~$ta:��tie,in�prese:nia�dellacausa 

�. ~lilti.riti.v~.. ~~lf~~w$~~�!'.leve1:.c:9rif~rm~e.. o.. meno. le��.stat.izi9J1i .�Jelative��� ag1i 
.... �. iA~:re�s~:;�t~i�. ��� � �: <<...:.>>.�.� .:.�. �:...�� ���� >} <;���.�� � ... �: ....... � .. �� �... .�............ . 
:�����ᥥ�������ᥥ�.�������������Afflg.aj-99�~PPW:~�opp()rt.I1P'tl�$$'1ll:l~:rel:lreYementela.yicenda.proces~ 

� si.t�Je� ~I�(ifi��di�m�glfo��enucleg~l~ p�()_bleili:atica relativa. 
. . k~ rf;sP:rteAt~ Ye11iv:a tratj;aj ~ ~.4�ziq dipanzi alTribunale di Pesaro per 
tjspp11sfere sfe~.~e~~99i ?ffies�~.<#ch~ffi'.'t.W?�fe dei reqditi perl'anno 1983, 
<:\()p(;l .:i:i{~sW-l:t!<?tl".$9p9()~~ 9911 Hfi.~9 .s9mffil'lfio, al1'l1<.liel'.lza del 24 gennaio 

. ..��1~&�! :m��@;9ljj~<;l'~v~~~$$~t~ 1#i:im~~$a l:!,1)19bfazione,.ll;l,..causa veniva rinviaj~ 
aj.>7 ~i94el19 ~t~~so ~e)�, (iaj6(;U; p�r impedbnento del difensore di 

. f@ij,9~~~ ~-~\199~~~~\'9 4~l?~i'�> .. �/ / .� / �������� �. . ...�...�. .�

�Nta predeW:J~ Mie.ri~*<:.l~ ri:r,ryi.g,.�qwJ?letate .le formalit� di apertura del 
dib11.#iii:lehto, nr.&1: �hjedeia ed C>tfo:nevala contestazione suppletiva di due 
f��.tilu#l~ii�.~fo~g 4i l:foU.� di <l~�c)~pagI1~ento alterate e frode fiscale). 

.�ᥥ��������� chi�~#o �co:rii~�s9J~rwil1~ ~ qife$a, ajla successiva udienza del 6 giugno

!?Msffq~tttuiyapaj:tlci{,ilep�fil Mitllstero delle finanze l'Avvocatura Di


~tretttiale d�llo sfato. . 
.... 
.. ... 
.... �.� .� ..... . 
'-~~�t~ l~ ~~e ri.1.�'tajlt�/ai. nhi. della decisione dell'iter processuale, 

~j~ii~~~~tjW~�a\V~l~IN~1ifiM1hta?l:~~~~:~7:~~::;~:~~~~::~

p�r l'�rnttl1$sibilij�d�fili co$titdzfone di pane ti\iile in seguito a contestazione 
suf>pleiivil. ihdip�hd�htefuenfodill 4ecorso .deltetin�rie dell'effettuazione per la 
prilli.a volfa clell� f<:>fuial.ita di apert1Jta. deldibatt�n:fonto, mentre la seconda 
(Cass, sez.U23 Wf:lfzo 1953,Cilione in Giur. c6fupf Cass. pen. 1953, 213) era 

pr�Vilie��t�irie:Hte BHerif�fa iii s�ns&Br>t>osfo; �.� ������� ��� ��� 
���.� taCott~C�stttuiiC>ril:tl�, sebb�tiei:tlvesrlt� della questione, aveva ritenuto 
fa�� stessa� inairimissibile;� perch� �si trattava �di un profilo riservato alla 
discrezion�litalegislativa:� (C6ft� Cost; 14 a::Prlle 1988 n. 460 iii GitJr. cast. 
1988,I,2092);ma;. success:ivametit�; con setitetifa fotetptetativa d� rigetto, 
�dbttafa sottoilVigor�d~friuovo codice (CbrteCost. 3 �prilel996 n. 98), ha 
afferrtiato l'ammissibilit� della c�stituzione d�parte civile nell'ipotesi di 
nuove contestazioni in dibattimento previste dagli arlt. 516, .517 e 518 secondo 
comma: c;p;p;, h�riosta:t�te su.I punto non fosse.stata: modificata la pregressa 
disciplirt�, pur se occorre considerate ildifferente sistema adottato e 
fa formazione magmatica della prova neldibattimento, propria dell'opzione 
accusatoria. 
Orbene, queste considerazioni dimostrano che non�ci si pu� meccanicamente 
riferire alla pi� recente pronuncia del giudice di legittimit� delle leggi, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

316 

tanto pi� che la stessa, come un indirizzo di questa Corte (Cass. sez. III 27 
settembre 1995, Roncati in Arch. n. proc. pen. 1995, 1011) ruotano intorno 
alla natura ed alla funzione del termine stabilito dal terzo comma dell'art. 519 

c.p.p. 1988 per la citazione della persona offesa nell'ipotesi di contestazione 
suppletiva, insussistente nella pregressa disciplina. 
Pertanto appare pi� opportuno richiamare alcune considerazioni generali 
relative alla caratteristica stessa della decadenza, che presuppone uno 
spazio temporale durante il quale vi � la possibilit� di far valere il diritto ed 
un'inerzia del soggetto legittimato, insussistente nel caso in cui venga effettuata 
una contestazione suppletiva, anche di un reato concorrente o connesso 
con quello oggetto dell'originaria imputazione. 

Inoltre non pu� sottacersi che le prospettive del danneggiato dal reato a 
costituirsi parte civile sono modellate in maniera restrittiva al contenuto 
oggettivo ed alla direzione soggettiva dell'accusa formulata dal P.M., sicch� 
questi potr� determinarsi diversamente in virt� della contestazione suppletiva 
del P.M., ritenuta pi� aderente alla realt� processuale come � awenuto 
nella fattispecie in esame, in cui la ricorrente � stata ritenuta responsabile 
solo di parte di un reato oggetto di contestazione suppletiva. 

Infine, indipendentemente dal labile riferimento all'art. 446 secondo 
comma c.p.p. 1930, che consentiva alle parti private di presentare nuove 
prove in seguito alle contestazioni effettuate ai sensi dell'art. 445 c.p.p. 
1930, sarebbe irrazionale e contrasterebbe quindi con l'art. 3 della 
Costituzione impedire alla persona offesa di awalersi della facolt� di esercitare 
l'azione civile nel processo penale in dipendenza della circostanza 
meramente casuale della modalit� di contestazione del reato (in via originaria 
o suppletiva), sicch� a favore dell' esegesi accolta milita pure un'interpretazione 
adeguatrice di tutto il complesso normativo attinente alla 
costituzione di parte civile, al termine di decadenza ed alla contestazione 
suppletiva con i poteri inerenti. 

N� la possibilit� di costituirsi parte civile nel periodo intercorrente tra la 
nuova contestazione e la rinnovazione delle formalit� di apertura del dibattimento 
pu� essere esclusa dall'essere la contestazione suppletiva fondata sullo 
stesso fatto oggetto dell'originaria imputazione, giacch� il concorso formale 
di reati si fonda sulla possibilit� di commettere pi� reati con una sola azione, 
la cui enunciazione nella prima figura di reato pu� essere parziale e viene ad 
essere integrata con la parte residua con la nuova contestazione suppletiva 
come � accaduto nella fattispecie in esame. 

Infatti, ammessa la costituzione di parte civile in detto arco temporale in 
seguito alla contestazione suppletiva, sarebbe irrazionale non estenderla a 
tutte le forme di concorso, formale o materiale, dei reati ed a tutti i tipi di 
connessione, in quanto in ognuna di queste ipotesi sorge e deve trovare soluzione 
il problema di una diversa valutazione della persona offesa del suo interesse 
a costituirsi parte civile. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 317 

Pertanto deve affermarsi che anche sotto il vigore del precedente codice 
di rito la possibilit� di costituzione di parte civile in base ad una contestazione 
suppletiva � fondata su un'esegesi logica della nozione di decadenza, 
sulle finalit� dell'istituto della contestazione suppletiva, su un'interpretazione 
adeguatrice dell'art. 93 c.p.p. 1930 e su esigenze di razionalizzazione della 
complessiva disciplina, avvalorata dal dettato dell'art. 446 c.p.p. 1930. 

Questo motivo di ricorso non � fondato, sicch� deve disporsi soltanto 
l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza per essere il reato estinto 
per intervenuta amnistia, confermandosi le statuizioni civili (omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. IV penale, 4 luglio 1997 n. 1310 -Pres. Viola -
Rel. Montera -P.M Conf. -Ministero del Tesoro (avv. Stato Greco) c. 
Nemola. 

Sentenza -Motivazione -Omessa valutazione delle ragioni di una delle parti 
-Motivazione apparente -Nullit�. 
(art. 606 c.p.p.) 

nvizio di mancanza di motivazione, ai sensi della lett. e) dell'art. 606 c.p.p., 
sussiste non solo quando la motivazione stessa � del tutto materialmente assente, 
ma anche allorch� l'adottata motivazione non risponda ai requisiti minimi 
di esistenza, completezza e logicit� dell"iter argomentativo su cui la decisione 
� fondata, in contrasto con le ragioni opposte da una delle parti (1). 

(omissis) Avverso l'ordinanza della Corte d'Appello di Caltanissetta indicata 
in premessa ha proposto ricorso per cassazione l'Avvocatura Distrettuale 
dello Stato di quella citt�, nell'interesse del Ministro del Tesoro pro-tempore, 
lamentando in linea preliminare la mancanza assoluta di motivazione sul 
punto relativo all'eccepita -in sede di costituzione dinanzi alla predetta 
Corte d'Appello -sussistenza di profili di dolo o colpa grave ascrivibili al 
Nemola, tali da aver dato causa alla sofferta -da parte del medesimo 
Nemola -carcerazione preventiva. Rilevava al riguardo la ricorrente Avvocatura 
Distrettuale che, dinanzi all'esplicita deduzione formulata in sede di 

(1) La sentenza, pur nella sua concisa affermazione, � degna di nota per lo specifico 
riferimento all'obbligo del giudice di prendere in esame, nella motivazione delle 
decisioni, tutte le ragioni esposte dalle parti: il silenzio non pu� essere interpretato 
come rigetto, n� come valutazione di irrilevanza degli argomenti esposti dalle difese o 
dall'accusa. Di fronte all'obbligo di motivare, infatti, funzionale alla necessit� di ricostruire 
l'iter logico della decisione, a sua volta garanzia del giusto processo, il silenzio 
� di per s� equivoco e la esatta sanzione � la nullit� per motivazione apparente. 
P.d.T. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

318 

merito a secondo cui nella stessa sentenza penale di assoluzione in grado di 
appello erano stati tuttavia evidenziati i �contatti� mantenuti dal Nemola 
�con Pulci Calogero, capo-mafia del clan Madonia per la zona di Sommatino
�, nonch� altre significative circostanze confermative comunque di rappoti 
dello stesso Nemola con ambienti mafiosi, ai quali si era anche dichiarato 
disposto a fornire le proprie prestazioni medico-dentistiche, la Corte 
d'Appello di Caltanissetta in sede di giudizio ex artt. 314 e 315 c.p.p. si era 
limitata ad affermare tautologicamente che �l'esame della sentenza di assoluzione 
non consentiva di individuare profili di colpa grave o dolo nella causazione 
dell'evento della carcerazione�. Venendo cos� meno, osservava la 
ricorrente Avvocatura, all'onere della motivazione impostale dalla lett. e) dell'art, 
546 del citato codice di procedura penale. Prospettava, poi, altre ragioni 
di censura, con riferimento sia al �quantum� riconosciuto in favore del 
Nemola sia all'imposto obbligo di pagamento a carico del �Convenuto� 
Ministro del Tesoro delle spese processuali, che avrebbero dovuto quanto 
meno essere compensate tra le parti. 

Motivi della decisione 

Rileva la Corte che, a prescindere dalla fondatezza o meno dei rilievi sollevati 
in sede di merito, nei termini accennati in narrativa, dall'Avvocatura 
Distrettuale dello Stato di Caltanissetta, il motivo principale di ricorso appare 
fondato. 

Come giustamente osservato; la Corte d'Appello si � unicamente limitata 
ad affermare tautologicamente che non sussistevano condizioni ostative 
all'accoglimento della domanda di riparazione proposta dal Nemola, senza 
per� farsi carico di indicare le ragioni che la inducevano a superare i rilievi 
critici prospettati dalla �resistente� Avvocatura Distrettuale. Venendo cos� 
meno -come sempre giustamente rilevato nel proposto ricorso -all'obbligo 
di dare contezza nel discorso argomentativo che l'aveva indotta a ritenere 
l'insussistenza degli eccepiti profili di colpa grave, quanto meno, ascrivibili al 
comportamento dell'istante. 

Il vizio di mancanza di motivazione, ai sensi della lett. e) dell'art, 606 
c.p.p., sussiste non solo quando la motivazione stessa � del tutto materialmente 
assente, ma anche allorch� l'adottata motivazione non risponda ai 
requisiti minimi di esistenza, completezza e logicit� dell'iter argomentativo 
su cui la decisione � fondata, in contrasto con le ragioni opposte da una delle 
parti. 

Non � dubbio, quindi, che nel presente caso sia la Corte di merito incorza 
nel vizio sopra lamentato e che, conseguentemente debba lordinanza 
impugnata essere annullata, con rinvio per nuovo esame; rendendosi, peraltro, 
superflua ogni disamina degli altri motivi di ricorso prospettati dalla 
ricorrente Avvocatura (omisiss). 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

319 

CORTE DI CASSAZIONE, sez IV penale, 17 dicembre 1997 -22 gennaio 1998 

n. 854 -Pres. Satta Flores -Rel. Merrone -P.M. (parz. diff.) Galati Arcioni 
(avv. Stato Sica). 
Procedimento penale -Principio dell'immutabilit� del giudice -Rinvio dell'u


dienza -Diversa composizione del Collegio -Nullit� -Esclusione 

(art. 525 II CO., c.p.p.). 

Impugnazioni -Sentenza di non doversi procedere perch� estinto il reato per 

prescrizione -Responsabilit� civile -Impugnazione -Inammissibilit� 


Esclusione 

(art. 129 II CO., c.p.p.) 

Non sussiste violazione del principio di immutabilit� del giudice, allorch� 
il giudice, in diversa composizione collegiale rispetto alle precedenti 
udienze, si sia limitato a rinviare il dibattimento ad altra udienza. Ed invero 
il principio suddetto riguarda l'effettivo svolgimento di attivit� dibattimentale 
(acquisizioni probatorie, risoluzioni di questioni incidentali, decisioni interinali 
inerenti all'oggetto del giudizio e simili), ma non un provvedimento 
ordinatorio -come la sospensione del dibattimento e il rinvio del medesimo 
ad altra udienza determinati dall'impossibilit� di prosecuzione dello stesso 
per diversa composizione del collegio giudicante rispetto alle precedenti 
udienze -non implicante alcuna decisione idonea ad avere qualsivoglia 
valenza sul giudizio in corso, ma mirante soltanto all'ordinato svolgimento 
del processo nell'osservanza delle regole procedurali (1). 

(1) La decisione � conforme alla giurisprudenza dominante, ed ispirata al principio 
funzionale di collegamento fra immutabilit� del giudice e immediatezza nel rapporto 
fra giudice e prova (Cass. 30 agosto 1995 n. 959, Capone). Sotto questo profilo, 
la Corte non ha riconosciuto pregio alla censura mossa dalla difesa dell'imputato che 
si era doluta del fatto che l'udienza di rinvio era stata tenuta in composizione diversa 
del collegio, senza che si provvedesse al rinnovamento delle indagini preliminari e dell'istruzione 
dibattimentale. L'indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte � infatti 
ancorato al principio affermato nella sentenza che si annota ed in quella del 1994 
richiamata in motivazione (v. anche Cass. III Sez., 12 febbraio 1997 n. 1217, Greco). 
� stato anche affermato che il principio della immutabilit� del giudice � applicabile 
anche alle ordinanze adottate all'esito della procedura in camera di consiglio, ai 
sensi dell'art.127 c.p.p., con la conseguente nullit� del provvedimento pronunziato da 
un collegio non composto dalle medesime persone fisiche che hanno partecipato alla 
trattazione in tutte le udienze. La nullit� in questione, tuttavia, non ricorre se la procedura 
-a seguito di precedente rinvio disposto anche per la acquisizione di ulteriore 
documentazione -viene riprodotta ex novo innanzi ad un collegio diverso che provveda 
alla complessiva trattazione (la quale comprende ogni attivit� finalizzata alla 
decisione, come l'esame delle acquisizioni probatorie, della assunzione delle richieste 
e delle richieste delle parti) (Cass. VI Sez., 29 novembre 1995 n. 4489, Cave). 

Quanto al contenuto della norma, � stato affermato che poich� il dibattimento 
inizia con la dichiarazione di apertura, che � successiva al compimento degli atti 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

320 

Il ricorso del responsabile civile non � inammissibile. In presenza di una 
sentenza che dichiara l'estinzione del reato per prescrizione, lasciando 
impregiudicati i profili civilistici, poich� egli pu� avere interesse ad una pronuncia 
ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., che escluda ogni possibile pretesa 
civile (2). 

(omissis) 1.1. Arcioni Roberto � stato tratto a giudizio per rispondere di 
omicidio colposo, unitamente a Vazio Alberto (non ricorrente), in danno 
della piccola Mohamed Nancy Kaml Salwa, di anni due, caduta nelle acque 
del Tevere attraverso lo spazio formatosi tra una piattaforma galleggiante e 
la banchina. Secondo l'originaria imputazione, all'Arcioni -nella qualit� di 
capitano del Genio, �alla cui vigilanza era affidata la zattera galleggiante allestita 
dal genio stesso in occasione della manifestazione TEVERE EXP�� � 
stato addebitato di �avere omesso di sistemare la passerella, nonostante nel 
pomeriggio dello stesso giorno fossero stati allentati gli ormeggi aumentan


introduttivi di cui agli artt. 484 e segg. c.p.p., non � ravvisabile la nullit� di cui all'art. 
525, II co., c.p.p., se i componenti del collegio deliberante sono diversi da quelli innanzi 
ai quali sono stati posti in essere gli atti introduttivi del giudizio (Cass. I Sez. 29 
novembre 1995 n. 12779, Saccomanno; Cass. III Sez. 14 luglio 1997 n. 6868, Manna; 
Cass. Sez. IV, 24 maggio 1994 n. 5992, Vitagliano). 

La Corte ha altres� esteso il principio di immutabilit� del giudice ad ipotesi non 
espressamente previste come: il procedimento di esecuzione il quale, nell'assetto normativo 
del vigente codice di rito, � strutturato in base a criteri di accerituata giurisdizionalit� 
(Cass. I Sez. 6 agosto 1996 n. 3253, Calvano); la procedura svolta in camera di 
consiglio (Cass. V Sez., 4 luglio 1994 n. 2685, Garda); il giudizio abbreviato, con l'avvertenza 
che il giudizio abbreviato pu� ritenersi iniziato solo dopo che sia stata depositata 
o pronunciata l'ordinanza di accoglimento della richiesta. Ne deriva che non � violato 
il principio della immodificabilit� del giudice quando, essendo stata presentata la 
richiesta nel corso dell'udienza preliminare ai sensi del secondo co. dell'art. 439 c.p.p., 
si sia provveduto all'accoglimento della richiesta ed alla fissazione di altra data per la 
trattazione del giudizio da parte del giudice di udienza, mentre altro magistrato in tale 
data abbia iniziato e concluso il giudizio (Cass., IV Sez., 20 agosto 1996 n. 8061, Carosi). 

Una interessante decisione della I Sezione (Cass. 6 dicembre 1996 n. 11170, 
Pollini), nell'affermare il consueto principio della nullit� assoluta della sentenza emessa, 
nel caso di prove assunte, da un collegio diversamente composto rispetto a quello 
che poi le ha valutate ed ha giudicato nel merito, ha notato che � irrilevante che le 
prove stesse siano state assunte, cos� come avviene per l'incidente probatorio, in contraddittorio 
delle parti, perch� non sarebbe pertinente un eventuale richiamo alla utilizzabilit� 
del materiale assunto durante l'incidente probatorio, in quanto la disciplina 
relativa alla assunzione ed utilizzabilit� delle prove in questa sede � particolare a tale 
mezzo istruttorio e non pu� essere estesa alle prove assunte nel dibattimento, per le 
quali si applicano i principi della immediatezza della deliberazione e della immutabilit� 
dei giudici che hanno partecipato al dibattimento. 

(2) La seconda massima � perfettamente conforme ai principi che disciplinano l'interesse 
all'impugnazione (v. art. 568 c.p.p., IV comma). � infatti irrilevante che la sentenza 
non abbia provveduto sulla domanda di risarcimento per essersi il reato prescritto, 
poich� (v. anche art. 575, III co., c.p.p.) � pur sempre sulla base della possibile 
azione risarcitoria che va valutato l'interesse all'impugnazione. 
P.d.T. 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

do lo spazio fra la banchina e la piattaforma e il dislivello fosse maggiore per 
la secca del fiume�. Al Vazio, direttore della mostra, � stato invece contestato, 
in presenza della situazione di fatto gi� descritta, �di avere spento i riflettori, 
nonostante i visitatori ed i proprietari degli stands si attardassero ancora 
sulla riva del fiume� e di �avere omesso di transennare i luoghi e di vigilare 
che nessuno accedesse alla zattera galleggiante�. 

1.2. In primo grado, !'Arcioni � stato prosciolto per prescrizione del 
reato, il Vezio, invece, � stato assolto �perch� il fatto non costituisce reato� 
(Tribunale di Roma, sentenza 8 novembre 1994). 
La sentenza del Tribunale � stata appellata dall'Arcioni, dalle PP.CC., 
limitatamente ai profili civili connessi alla assoluzione del Vazio, e dal 
Ministero della Difesa, nella qualit� di Responsabile civile. Il Vazio, poi, ha 
proposto appello incidentale, richiedendo l'assoluzione per non aver com-. 
messo il fatto. 

Con la sentenza oggetto dell'odierno ricorso, la Corte di Appello, per 
quanto interessa in questa sede, ha confermato il proscioglimento 
dell'Arcioni per prescrizione del reato. � stata anche riconosciuta la responsabilit�, 
ai soli fini civili, del Vazio, previa dichiarazione di inammissibilit� 
dell'appello incidentale. 

1.3. A sostegno del ricorso, I'Arcioni prospetta le seguenti censure: 
a) nullit� assoluta ed insanabile della sentenza di primo grado per violazione 
del principio della immutabilit� del giudice (art. 525, comma 2, c.p.p.), 
in quanto all'udienza di rinvio del 5 ottobre 1994, vi � stata la sostituzione di 
uno dei due giudici, senza che si prowedesse al rinnovamento dei preliminari 
e dell'istruttoria dibattimentale; 

b) vizio di motivazione con riferimento ai seguenti punti: 

-erroneamente la Corte di merito ha addebitato al ricorrente la culpa in 
vigilando, escludendo che lo stesso avesse mai dato le dovute istruzioni ai 
militari addetti alla vigilanza, bench� sia stato accertato che le istruzioni 
furono date; 

-erroneamente, ancora, la Corte di merito ha addebitato al ricorrente 
anche la culpa in eligendo, riferita alla scelta dei militari addetti alla sorveglianza, 
senza spiegare perch� tale scelta dovesse essere ritenuta inadeguata 
(ex ante) e, prima ancora, perch� sia stato ritenuto che la scelta fosse stata 
effettuata dall'Arcioni (e non dai suoi superiori); 

-fallacia dell'argomento utilizzato per sostenere che la zattera distasse 
dalla banchina almeno lo spazio sufficiente per consentire ai soccorritori di 
immergersi nelle acque del fiume (attraverso il quale era passato il corpo 
della bambina), perch� � ben possibile che la zattera sia stata scostata successivamente, 
proprio per consentire i soccorsi; 

-carenza di motivazione in ordine alla richiesta, non accolta, di rinnovazione 
parziale del dibattimento per effettuare una perizia tecnica al fine di 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

322 

calcolare quale potesse essere l'effettiva distanza della zattera dalla banchina 
al momento dell'incidente. 

1.4. Il Ministero della Difesa, nella qualit�, eccepisce: 
e) la violazione dell'art. 521 c.p.p. e la manifesta illogicit� della motivazione 
nei punti in cui modifica il titolo della colpa addebitato all'Arcioni: si 
passa da una contestazione omissiva specifica (mancata utilizzazione della 
passerella), ad altre omissioni specifiche (mancato tiraggio degli ormeggi e 
mancata istruzione dei militari addetti alla sorveglianza) e, quindi, alla colpa 
per fatti commissivi (culpa in eligendo nella scelta dei militari addetti alla 
vigilanza); 

d) violazione dell'art. 589 c.p. e manifesta illogicit� della motivazione 
che attribuisce all'Arcioni una responsabilit� di tipo oggettivo, in quanto non 
si comprende bene quale sia la colpa, in definitiva, attribuitagli. 

1. MOTIVI DELLA DECISIONE 
Entrambi i ricorsi appaiono infondati e, quindi, devono essere rigettati, 
con ogni conseguenza. 

2.1. Preliminarmente occorre prendere in esame l'eccezione di nullit� 
della sentenza di primo grado, sollevata dall'Arcioni. Effettivamente, come 
sostiene il ricorrente, alla udienza di rinvio del 5 ottobre 1994, il collegio giudicante 
risulta diversamente costituito rispetto a quello della udienza precedente 
(14 marzo 1994). Infatti il dr. Paoloni ha sostituito il dr. Lo Surdo (il 
quale, a sua volta, aveva sostituito il dr. De Nardo). Tale sostituzione, per�, � 
del tutto irrilevante, perch� risulta regolarmente costituito ex novo il rapporto 
processuale, seguito dagli atti di istruttoria dibattimentale. Peraltro, nella 
precedente udienza del 14 marzo 1994, le parti avevano gi� dato il loro consenso 
alla �Utilizzabilit� degli atti dibattimentali finora acquisiti� (p. 394 del 
fascicolo), proprio in occasione di un'altra modifica nella composizione del 
collegio giudicante. Tale consenso, quindi, che non � condizionato alla persona 
fisica del singolo giudice, mantiene la sua efficacia anche rispetto al 
nuovo collegio, tanto pi� che subito dopo � stato disposto il rinvio per l'assenza 
di un teste. � evidente, poi, che tale consenso avrebbe potuto essere 
espressamente revocato per ragioni specificamente indicate, connesse alla 
nuova sostituzione. Ma cos� non � stato. 
In linea di principio, �non sussiste violazione del principio di immutabilit� 
del giudice, allorch� il giudice, in diversa composizione collegiale rispetto 
alle precedenti udienze, si sia limitato a rinviare il dibattimento ad altra 
udienza. Ed invero il principio suddetto riguarda l'effettivo svolgimento di 

attivit� dibattimentale (acquisizioni probatorie, risoluzioni di questioni incidentali, 
decisioni interinali inerenti all'oggetto del giudizio e simili), ma non 

PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

un provvedimento ordinatorio -come la sospensione del dibattimento e il 
rinvio del medesimo ad altra udienza determinati dall'impossibilit� di prosecuzione 
dello stesso per diversa composizione del collegio giudicante rispetto 
alle precedenti udienze -non implicante alcuna decisione idonea ad avere 
qualsivoglia valenza sul giudizio in corso, ma mirante soltanto all'ordinato 
svolgimento del processo nell'osservanza delle regole procedurali� (Cass. 
pen;, sez. I, 13 dicembre 1994, Graziano). 

Le conclusioni sono state rassegnate dinanzi allo stesso collegio nell'udienza 
dell'8 novembre successivo (f. 595 del fascicolo processuale). Conseguentement�, 
la censura appare infondata. 

2.2. Preliminarmente, ancora, occorre precisare che il ricorso del 
responsabile civile non � inammissibile, per carenza di interesse, cos� come 
ha richiesto il P.G. In presenza di una sentenza che dichiara la estinzione del 
reato per prescrizione, lasciando impregiudicati i profili civilistici, il responsabile 
civile pu� avere interesse ad una pronuncia ai sensi dell'art. 129, 
comma 2, c.p.p., che escluda ogni possibile pretesa civile. 
2.3. Anche con riferimento al giudizio di merito occorre premettere una 
puntualizzazione. L'Arcioni (e, quindi, il responsabile civile) aveva titolo per 
appellare la sentenza dei giudici di primo grado (con la quale era stata dichiarata 
la estinzione del reato), ma soltanto per richiedere l'applicazione del 
disposto di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p., a meno che !'Arcioni non avesse 
preventivamente rinunciato alla prescrizione. Conseguentemente, sul punto, 
la motivazione della sentenza della Corte di Appello, deve essere valutata sqltanto 
per verificare se abbia legittimamente escluso la sussistenza della situazione 
di evidenza probatoria che avrebbe consentito il proscioglimento nel 
merito. Soltanto entro questi limiti � possibile prendere in esame i ricorsi, 
che per ogni altro aspetto sarebbero inammissibili. 
2.4. In forza delle� considerazioni appena esposte, la censura relativa 
sulla carenza di motivazione relativamente alla richiesta di perizia, formulata 
con i motivi di appello, � infondata, perch� la richiesta stessa, nell'ambito 
di un giudizio che doveva limitarsi a verificare se non risultasse gi� evidente 
una situazione probatoria che consentisse un proscioglimento nel merito, era 
inammissibile. 
2.5. L'ordine logico delle censure prospettate impone di esaminare con 
precedenza il problema del mutamento della contestazione. Nonostante i 
limiti entro i quali deve essere esaminato il ri�orso, il problema dell'eventuale 
mutamento del fatto contestato non perde rilevanza. Infatti, se veramente 
il fatto attribuito in appello all'Arcioni, fosse diverso da quello ritenuto dai 
giudici di primo grado, se ne potrebbe dedurre che il fatto originariamente 
contestato � stato ritenuto insussistente e che la Corte di Appello avrebbe 
dovuto decidere di conseguenza. 

. 324 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Nella specie, per�, bench� i giudici di appello abbiano escluso in maniera 
categorica che I'Arcioni avesse alcun obbligo di servirsi della passerella (p. 
3 della sentenza impugnata) -come, invece, era stato ipotizzato nell'originario 
capo di imputazione -l'essenza e la logica delle contestazioni mosse 
all'Arcioni, non sono, affatto mutati. Infatti, la contestazione, cos� come formulata 
originariamente, fa esplicito riferimento, in generale, ai compiti di 
vigilanza attribuiti all'Arcioni ed al fatto che, comunque, gli ormeggi erano 
stati allentati determinando l'allontanamento della piattaforma galleggiante 
dalla banchina (�nonostante nel pomeriggio dello stesso giorno fossero stati 
allentati gli ormeggi aumentando lo spazio fra la banchina e la piattaforma�). 
A causa di questa situazione pericolosa si � verificato l'incidente ed il mancato 
utilizzo della passerella era solo uno dei possibili rimedi. Il fatto che il 
rimedio non fosse idoneo, non esclude che gli ormeggi non erano stati manovrati 
in maniera da tenere la piattaforma aderente alla banchina e che, 
comunque, si era verificata una situazione di pericolo imputabile a chi aveva 
compiti di vigilanza anche tecnica. 

2.6. Tutte le altre censure prospettate come vizio di motivazione su specifici 
punti non possono essere esaminati se non per verificare se il giudice a 
quo abbia correttamente escluso la sussistenza dei presupposti di cui al 
secondo comma dell'art. 129 c.p.p. La Corte di merito, andando ben oltre i 
limiti del devolutum, in favore dell'appellante, ha motivato in positivo i punti 
relativi alla colpa e, quindi, ha implicitamente escluso che fosse stata acquisita 
la prova evidente della insussistenza di ogni forma di colpa a carico 
dell'Arcioni. Sul punto specifico della colpa di quest'ultimo la Corte scrive: 
�era investito della funzione della gestione -puramente tecnica, ovviamente 
-del pontile: la circostanza � stata ammessa, ove ve ne fosse stato bisogno, 
dallo stesso Arcioni che nel corso dell'udienza 5/10/94 ha dichiarato 
come compito suo e dei militari dislocati sul posto alle sue dipendenze fosse: 
1) esercizio della vigilanza al fine di preservare il bene di propriet� dello 
Stato; 2) gonfiaggio dei galleggianti; 3) adozione dei prowedimenti necessari 
al fine di tenere sempre accostata la piattafonna alla banchina� (p. 4 della 
sentenza impugnata). 
Anche la censura secondo la quale sarebbe fallace l'argomento in base al, 
quale � stato ritenuto che la piattaforma non era accostata alla banchina non 
prospetta la tesi della acquisizione della prova contraria, tant'� vero che sul 
punto era stato richiesto un accertamento tecnico. 

In definitiva, tutte le censure dedotte criticano l'architettura logico-giuridica 
della sentenza impugnata, senza specifica indicazione delle ragioni per 
le quali la motivazione non escluderebbe la sussistenza della prova evidente 
della �non colpevolezza� dell'Arcioni. Quindi, l'esistenza accertata di una 
causa di estinzione del reato preclude ogni ulteriore analisi di eventuali vizi 
logici che non riguardino la tematica di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p. 

(omissis). 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 325 

I 

CORTE D'APPELLO DI ROMA, sez. IV, ordinanza 12 novembre 1997 n. 160 
-Pres. Figliuzzi -Est. Siriaco -P.M. D'Onofrio (conf.) -imp. Motika Ivan 
ed altri -p.c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministeri della Difesa 
e dell'Interno, Provincia di Trieste, Comuni di Gorizia e di Trieste ed altri 
(avv. Stato di Tarsia di Belmonte; avv.ti Sinagra, de Vergottini, Calvi, 
Vicini, Randazzo, Caroleo Grimaldi, Battiati). 

Giudizio penale -Istanza di ricusazione del G.U.P. che in sede di provvedimento 
cautelare ha come G.l.P. prospettato il difetto di giurisdizione Inammissibilit� 
(art. 34 e 37 c.p.p.) (1). 

(c.p.p. artt. 36, 37) 
II 

TRIBUNALE DI ROMA, sez. GIP, 13 novembre 1997 -G.U.P. A. Macchia PMG 
Pititto -imp. Motika Ivan ed altri -p.c. Presidenza del Consiglio dei 
Ministri, Ministero della Difesa e dell'Interno, Provincia di Trieste, 
Comuni di Gorizia, di Trieste ed altri, (avv. Stato di Tarsia di Belmonte; 
avv.ti Sinagra, de Vergottini, Calvi, Vicini, Randazzo, Caroleo Grimaldi, 
Battiati). 

Giudizio penale -Reati commessi in territorio italiano successivamente sottoposti 
a sovranit� di altro Stato -Giurisdizione italiana -Non sussiste 

(c.p. artt. 6 e 10). 
Nella previsione dell'art. 6 c.p., a norma del quale � punibile secondo 
la legge italiana chiunque commette un reato nel territorio dello Stato, il 
riferimento speciale al territorio dello Stato deve ritenersi diacronicamente 
raccordato alla insorgenza del rapporto punitivo, perch� entrambi i termini 
sono in s� espressivi della sovranit�, la quale ultima pu� essere 
apprezzata soltanto nel momento stesso in cui � chiamata concretamente 
a dispiegarsi. 

(1-2) Il processo delle foibe: problemi in limine di ricusazione e di giurisdizione 
italiana. � 

1 -PREMESSA 

L'ordinanza della Corte d'Appello e la successiva sentenza del GUP presso il 
Tribunale di Roma, fra di loro strettamente connesse, affrontano delicate questioni che 
per la loro importanza meritano attenzione, pur in attesa della decisione della Corte 
Suprema di Cassazione sull'impugnazione proposta dalla Procura Generale e dal P .M. 
contro la sentenza del giudice dell'udienza preliminare. 

La situazione di fatto � la seguente: il GIP, investito della richiesta di rinvio a giudizio 
di persone imputate di reati commessi in territori non pi� italiani all'epoca in cui 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Pertanto i reati commessi su parte del territorio nazionale, successivamente 
ceduta ad altro Stato, devono considerarsi come commessi in territorio 
straniero, e quindi cessa per essi la giurisdizione italiana (2). 

I 

(omissis) Con atto depositato il 3 settembre 1997 Cemecca Nidia, nella 
sua qualit� di parte civile nel proc. n. 1226/97 R.G. pendente dinanzi al G.I.P. 
presso il Tribunale di Roma, dott. Macchia Alberto, presentava istanza di 
ricusazione nei confronti del suddetto magistrato. 

Nell'istanza la Cemecca faceva presente che il G.I.P., con ordinanza emessa 
in data 14 maggio 1996, aveva respinto la richiesta formulata dal P.M. di 

il processo era iniziato (si tratta del processo c.d. delle �foibe�, le cavit� carsiche 
dell'Istria in cui furono rinvenuti centinaia di cadaveri di cittadini italiani torturati ed 
uccisi durante l'occupazione iugoslava o gettati vivi in quelle) era stato ricusato da 
alcune parti civili, che sostenevano l'incompatibilit� della stessa persona ad esercitare 
la funzione di GUP in quanto, in sede di richiesta di provvedimento cautelare, aveva, 
negandolo per insussistenza dei presupposti di merito, purtuttavia affermato l'inesistenza 
della giurisdizione italiana con una lunga e dettagliata motivazione, che tuttavia 
non fu condivisa dal Tribunale del riesame. � da tener presente, per la miglior comprensione 
della vicenda, che il P.M. aveva contestato sia il reato di genocidio punito 
dalla legge 9 ottobre 1967 n. 962, sia, per l'ipotesi che questo fosse ritenuto non applicabile 
per il principio di irretroattivit�, l'omicidio plurimo pluriaggravato. La Corte 
d'appello, con l'ordinanza che si annota, ha dichiarato inammissibile la richiesta, mentre 
il GUP, con la sentenza sopra riportata per la parte che interessa, ha dichiarato non 
doversi procedere contro gli imputati per difetto delle condizioni previste dall'art. 10 

c.p. Tale formula � stata adottata (l'art. 10 � riferito al delitto commesso dallo straniero 
all'estero) in quanto l'estensore della decisione, come emerge dalla lettura della stessa, 
ha interpretato l'art. 6 c.p. (reati commessi nel territorio dello Stato) nel senso che 
il permanere della sovranit� italiana sul territorio commissi delicti � condicio sine qua 
non della giurisdizione, dando cos� questa volta contenuto decisorio alla sua precedente 
valutazione. 
A sua volta il P.M. aveva sviluppato su tre motivi il suo ricorso contro la sentenza 
del GIP: il primo � riferito a violazione di norme processuali, incentrato sulla abnormit� 
di una sentenza presa in sfregio alla norma che impone al GIP, una volta fissata 
l'udienza preliminare, di decidere in esito alla stessa e nell'ambito della procedura che 
la disciplina, sentite le parti costituite, anzich�, tolta la causa dal ruolo, con un provvedimento 
�de plano�, cos� come erroneamente aveva fatto. Il secondo � riferito all'erronea 
interpretazione dell'art. 6 del codice penale adottata dal GIP-che gi� sullo stes


I so si era espresso in un'ordinanza a suo tempo emanata su richiesta di provvedimen!
1to cautelare, senza peraltro trarne allora le coerenti conseguenze -secondo la quale 1 
non v'� giurisdizione se non v'� sovranit� anche nelle ipotesi in cui all'epoca dell'aziof 


i

' 

ne criminosa il Jocus commissi delicti fosse territorio italiano. Con il terzo motivo il 

I

P.M. sostiene -dandone precisa dimostrazione sia con l'indicazione dei capi d'accusa, 
integralmente riportati, sia nel punto 4, nel quale richiama le fonti di prova -la 
natura di reati contro l'umanit� (secondo l'accezione normale che l'espressione ha nel 
I

diritto internazionale) dei fatti commessi dagli imputati, invocando per tal motivo la 
pienezza della giurisdizione italiana. 

I 
I 


! 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 327 

applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti dei 
cittadini croati Motika Ivan e Piskulic Oscar, indagati per l'uccisione dei cittadini 
italiani in Istria, Fiume e Dalmazia negli anni 1943-1947, rilevando in primis 
il difetto di giurisdizione del giudice italiano e, in ogni caso, l'insussistenza 
di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, tali da giustificare l'emissione 
del prowedimento restrittivo della libert� personale, anche in considerazione 
del lunghissimo tempo trascorso dalla data di commissione dei reati. 

Presupponendo una simile pronuncia una valutazione di elementi di giudizio 
che coinvolgono necessariamente il merito della causa ed inducendo 
tale decisione a ritenere che all'esito dell'udienza preliminare si perverr� ad 
una sentenza di proscioglimento; non sussiste pi� in capo al giudice designato, 
adawiso della parte istante, quella serenit� di giudizio e quella imparzialit� 
che sono alla base della funzione giudicante. 

2 -LA RICUSAZIONE 

Sulla vicenda sono molti i punti che meritano l'attenzione del giurista per l'intreccio 
che si � verificato fra norme processuali e norme penali: attengono infatti alle 
prime le problematiche della terziet� del giudice, cardine sul quale si regge il giusto 
processo voluto dal legislatore del 1987 e del 1988 ed a garanzia del quale � posto il 
capo VII del titolo I del libro I del codice di procedura penale, che inizia con quell'art. 
34 bersaglio di numerosissime decisioni della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato 
pi� volte l'insufficiente copertura del principio di terziet� e sul quale sono incentrate 
sia la richiesta di ricusazione sia l'ordinanza della Corte d'Appello. 

Attengono invece alla normativa sostanziale le questioni affrontate dal giudice 
delle indagini preliminari sui limiti spaziali della legge penale, sul conseguente c.d. 
principio di effettivit� della giurisdizione esposto in sentenza e sull'interpretazione che 
in tal modo � stata data dell'art. 6 del codice penale. 

Entrambi, poi, i problemi che scaturiscono dai due sistemi normativi sono strettamente 
connessi, poich� le ragioni che avevano portato talune delle parti civili alla 
richiesta di ricusazione scaturivano non tanto dalla dichiarazione di carenza di giurisdizione 
in sede di provvedimento cautelare, quanto, forse, dalla constatazione che tale 
dichiarazione, contenuta in un provvedimento che avendo negato la misura cautelare 
aveva comunque deciso nel merito, appariva inutiliterresa o, peggio ancora, superflua. 

Ci� tanto pi� se si tiene presente il singolare modo, con il quale in quel provvedimento 
si passava all'esame del merito. Recita infatti l'ordinanza cautelare �Sempre 
nell'ipotesi in cui si dovessero ritenere superabili (da chi, se chi scrive � il giudice che 
deve emettere il provvedimento? n.d.r.) i pregiudiziali rilievi svolti in punto di procedibilit� 
vanno ...... disattesi gli argomenti che il P.M. adduce a sostegno delle esigenze 
cautelari�. 

Questo �, certamente, un aspetto abnorme del modo in cui la questione � stata 
trattata, perlomeno nella prima fase delle indagini preliminari. Non corrispondeva a 
nessuna esigenza processuale infatti che il GIP affrontasse, senza darvi coerente seguito, 
una questione di giurisdizione, negandola e, al contempo, giudicando! La stessa 
impressione di mera esercitazione accademica potrebbe suscitare sia l'impugnazione 
del P.M. che la successiva decisione del Tribunale del riesame (che afferm� la giurisdizione 
e respinse nel merito l'appello) se non trovassero giustificazione in una sorta 
di opportuno tuziorismo. 

� per questo che nella discussione innanzi alla Corte d'Appello la difesa delle 
Amministrazioni costituite parti civili aveva sostenuto che fosse fondata la ricusazione 
con riferimento all'ipotesi prevista dalla lettera c) dell'art. 36 c.p.p. (il giudice pu� esse




RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

328 

La difesa, pur ammettendo che non si versa nel caso in esame nelle ipotesi 
di incompatibilit� sancite dalle recenti sentenze della Corte 
Costituzionale relativamente alla figura del G.I.P., rileva che nella fattispecie 
dovrebbe ritenersi, comunque, sussistente una condizione d'incompatibilit�, 
in quanto il provvedimento emesso dal G.I.P., proprio per il suo particolare 
contenuto, assumeva il significato di una vera e propria decisione 
di merito. 

In particolare, avendo la sentenza n. 432/95 della Corte Costituzionale 
dichiarato l'illegittimit� costituzionale dell'art. 34 nella parte in cui non prevede 
che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il G.I.P. che abbia 
applicato una misura cautelare nei confronti dell'imputato e dovendosi intendere 
per giudizio, in base alle precisazioni contenute nella sentenza n. 401/91 
della Corte Costituzionale, ogni processo che, in base ad un esame delle prove 

re ricusato se�... ha manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio 
delle funzioni giurisdizionali�). Premesso infatti che un provvedimento di 
giudice deve contenere esclusivamente la motivazione funzionale al dispositivo e che, 
per quanto ricca ed approfondita possa essere, certamente non pu� intrattenersi su 
altri temi, ultronei e non pertinenti, era stato affermato appunto che la opinione 
manifestata dal GIP in quella sede circa una carenza di giurisdizione che pur tuttavia 
non gli aveva impedito di decidere nel merito, opinione che non era necessaria, a tali 
effetti, esporre nemmeno in via incidentale, costituiva in sostanza �parere manifestato 
fuori dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali�. Non basta invero, ad evitare il 
rigore della norma che vuole per quanto possibile il giudice imparziale ed emotivamente 
neutro, la constatazione che la sua opinione era stata espressa in un provvedimento 
giudiziario, poich� non � questione di contenente, ma di contenuto, quella che 
il legislatore ha inteso disciplinare nell'ipotesi indicata. Ritenere altrimenti significherebbe 
da un lato accettare nei provvedimenti del giudice manifestazioni di pensiero 
extra ordinem e, dall'altro, limitare, contro la ratio legis, le ipotesi di astensione e 
di ricusazione. 

L'ordinanza della Corte d'Appello � invece muta sul punto, che pur tuttavia avrebbe 
meritato attenzione e ci� tanto pi� che � stato lo stesso giudice di secondo grado a 
rilevare implicitamente l'abnormit� della situazione, laddove afferma che �nella fattispecie 
il GIP, come si evince dalla motivazione del prowedimento con il quale ha 
respinto la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei 
confronti degli imputati, si � solo soffermato a �prospettare� in via preliminare un possibile 
difetto di giurisdizione, senza, tuttavia, rilevarlo espressamente, con conseguente 
trasmissione. degli atti al P.M., spiegando, poi, le ragioni che lo hanno indotto a non 
accogliere la richiesta formulata dal P.M.�. 

Sembra evidente che nella penna dell'estensore era rimasta una domanda: a che 
pro quella �prospettazione�? 

La conclusione cui a prescindere da questa osservazione perviene l'ordinanza della 
Corte d'Appello � conseguenziale applicazione dell'indirizzo della Corte Costituzionale 
in materia, indirizzo che � stato posto a base dell'accurata motivazione. � noto infatti 
che, a fronte di una sorta di bombardamento a tappeto contro l'art. 34 c.p.p. la Corte 
Costituzionale ha posto un limite, sancendo pi� volte che la previsione dell'incompatibilit� 
del giudice � finalizzata ad evitare che possa essere, o apparire, pregiudicata l'attivit� 
di �giudizio>> e che tale connotato non � ravvisabile nella partecipazione all'udienza 
preliminare, giacch� in tale sede il giudice non � chiamato ad esprimere valutazioni 
sul merito dell'accusa, ma solo a verificare, in una delibazione di carattere pro



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

329 

pervenga ad una decisione di merito, l'eccepita incompatibilit� dovrebbe 
essere ritenuta sussistente applicando in via analogica le disposizioni di cui 
alle citate sentenze. 

Ulteriore motivo di ricusazione sarebbe costituito dalla circostanza che 
il dott. Macchia avrebbe manifestato il proprio parere sull'oggetto del procedimento 
fuori dall'esercizio delle sue funzioni giudiziarie e precisamente nel 
contenuto della querela per diffamazione da lui presentata nei confronti del 
giornalista Marzio Mian che, nello scrivere un articolo che trattava della questione 
delle foibe, oggetto del procedimento dinanzi al suddetto magistrato, 
aveva collegato le decisioni prese dal dott. Macchia alle sue convinzioni ideologiche, 
trascurando di valutare le motivazioni che lo avevano portato ad 
emettere il prowedimento di rigetto della misura cautelare ed offendendo, 
cos�, il suo onore e la sua reputazione. 

cessuale, la legittimit� della domanda di giudizio formulata dal pubblico ministero, ci� 
che non costituisce attivit� di giudizio inteso �come, attivit� preordinata alla decisione di 
merito sull'oggetto del processo (ord. nn. 24, 232, 279, 333 e 410 del 1996). 

Lo stesso giudice delle leggi aveva osservato altre volte ( ord. n. 97 del 1997, n. 24 
del 1996) che non avrebbe potuto portare a diversa conclusione l'elemento della modifica 
legislativa concernente la soppressione del termine <<evidente>> nell'art. 425 del 
codice di procedura penale, in quanto l'ampliamento dell'ambito valutativo ai fini della 
pronuncia di non luogo a procedere, non modifica, comunque, la funzione assegnata, 
nel disegno del codice, all'udienza preliminare, nella quale il giudice � chiamato a compiere 
un apprezzamento che non si sviluppa secondo un canone, sia pur prognostico, 
di colpevolezza o innocenza, ma si incentra sulla ben diversa prospettiva di delibare se 
risulti o meno necessario dare ingresso alla successiva fase del dibattimento, secondo 
una valutazione, dunque, nettamente distinta, per struttura, funzione ed effetti, dal 
�giudizio� sul merito dell'accusa (v. anche, la sentenza n. 71 del 1996 stessa Corte 
Costituzionale). 

3 -LA GIURISDIZIONE 

Sul problema della giurisdizione, il GIP, con una lunga ed articolata motivazione, 
che in gran. parte riprende quella della sua precedente ordinanza, nella quale peraltro 
non ne dichiar� il difetto, ha sostenuto che, costituendo il territorio, la sovranit� e la 
giurisdizione concetti interdipendenti ed inseparabili fra di loro, alla riduzione del territorio 
consegue la corrispondente cessazione della sovranit� e della giurisdizione ed � 
cos� giunto alla conclusione che, nonostante il tenore dell'art. 6 c.p., il reato potr� ritenersi 
commesso nel territorio dello Stato nel solo caso in cui il locus commissi delicti 
vi risulti compreso quando il reo debba essere punito secondo la legge italiana. Per 
affermare ci� il GIP si � awalso di una lontana ( 1949 Schwend) sentenza delle Sezioni 
Unite, citandone alcune altre a cavallo degli anni 50 e 60 e criticando dettagliatamente 
una decisione di segno opposto delle Sezioni Unite del 1956 (Salomone) cui nega in 
sostanza valore di precedente significativo in quanto, a suo dire, fortemente di confine 
per l'epoca, la specie e le peculiarit� di fatto e di diritto. 

Quanto al genocidio, la sentenza ne ha dichiarato, come si legge, l'insussistenza 
in applicazione del principio del nullum crimen sine praevia lege. Non sembra che tale 
decisione possa condividersi in nessuno degli aspetti esaminati. 

Quanto all'interpretazione letterale -la prima che il giurista ha l'obbligo di considerare 
-il Tribunale del riesame aveva esattamente affermato non potersi sostenere 
che i reati commessi su parte del territorio nazionale, successivamente ceduto ad 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

330 

Infine rilevava che, avendo il Mian, rinviato a giudizio per diffamazione, 
scelto come difensore lo stesso awocato che difendeva la Cemecca nel procedimento 
pendente dinanzi al dott. Macchia, tale situazione di fatto toglieva 
inevitabilmente al G.I.P. la dovuta e necessaria imparzialit� di giudizio. 

L'istanza di ricusazione �, ad avviso di questa Corte, manifestamente 
infondata. 

In via preliminare occorre rilevare che analoga dichiarazione di ricusazione, 
fondata sulle medesime argomentazioni di diritto, � stata gi� presentata 
dal difensore della Cemecca in data 17 luglio 1997 ed � stata respinta da 
questa Corte con ordinanza del 18 luglio successivo, ordinanza awerso la 
quale � stato proposto ricorso per cassazione. 

Questa Corte non sarebbe, quindi, tenuta a riesaminare le argomentazioni 
di diritto poste a sostegno della precedente istanza e ritenute infondate, 
ma ritiene, tuttavia, di dover svolgere alcune considerazioni. 

altro Stato, devono considerarsi come commessi in territorio straniero con conseguente 
cessazione della giurisdizione italiana, perch� nessuna norma, interna o internazionale, 
prevede che l'applicabilit� della legge penale italiana ai sensi dell'art. 6 c.p., 
sia soggetta a condizione risolutiva per il caso che il Jocus commissi delicti sia trasferito 
successivamente ad altro Stato. 

In effetti, � difficile superare la forza delle argomentazioni basate sull'esame del 
dettato legislativo: quando, dopo la premessa del I co., l'art. 6 afferma che �il reato 
si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l'azione e l'omissione che lo 
costituisce � ivi avvenuta in tutto o in parte ovvero si � verificato l'evento� che ne � 
la conseguenza, sembra proprio che debba desumersi che il punto di riferimento per 
la giurisdizione italiana sia soltanto quello, cristallizzato nel tempo con l'uso preciso 
dell'avverbio �quando� del momento delle condotte o dell'evento descritto. 

Il tenore della norma non sembra consentire il raccordo che il GIP definisce diacronico 
(termine mutuato dalla linguistica, ma dall'estensore della sentenza esteso alla 
scienza del diritto) con un tempo successivo che la legge avrebbe pur tenuto presente 
e nemmeno un raccordo sincrono, (ius dicere e ius puniendi sincronicamente presenti, 
come in definitiva il GIP pretenderebbe) poich�, molto pi� semplicemente, �dire il 
diritto� ed �applicare la sanzione� sono due aspetti connessi a tutto il sistema giuridico 
e pur cosi diversi (basti pensare alla somma distinzione: accertamento e condanna, 
cognizione ed esecuzione, ecc.) che non � ragionevole pensare che il legislatore, 
proprio nel momento saliente della definizione dei criteri di applicazione cfel diritto 
penale italiano, abbia peccato di superficialit�, omettendo di aggiungere �purch� territorio 
italiano sia anche quando si procede a carico del reo� o espressione analoga, o 
abbia inteso quell'Ǐ punito secondo la legge italiana� come se vi fosse aggiunto �purch� 
il territorio sia ancora dello Stato�. Cosi scarsa attenzione alla distinzione sarebbe 
stata dimostrata da quello stesso legislatore che, quando ha ritenuto di doversi riferire 
alla fase dell'esecuzione, all'esercizio effettivo dello ius puniendi, lo ha detto univocamente: 
a cos'altro si riferisce, infatti la condizione della presenza del reo nello Stato 
(artt. 9 e 10 c.p.) cui � subordinata la sua punizione? 

Anche argomenti desumibili dal sistema del nostro diritto penale e dalla ratio 
legis militano a favore del permanere della giurisdizione. Nella sentenza invero si afferma 
che l'art. 6 non fa riferimento alla sovranit� del tempo della commissione del fatto 
illecito, ma alla sovranit� del tempo in cui l'interesse statale italiano alla repressione, 
sia in tutte le sue fasi che in una fase soltanto, si manifesta. 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 331 

Premesso che la nuova domanda deve ritenersi tempestivamente proposta 
essendo stata presentata prima della scadenza dei termini previsti 
dall'art. 38 -1� comma c.p.p., si osserva in via preliminare che le ipotesi di 
ricusazione configurano delle norme eccezionali in quanto limitative del1'
esercizio del potere giurisdizionale ed in particolare della normale capacit� 
del soggetto titolare dell'ufficio ed operanti una ingerenza in una materia 
attinente al rapporto fra Stato e giudice e di conseguenza sottratta alla 
disponibilit� delle parti e dello stesso giudice. Ne consegue che i casi di 
ricusazione sono tassativi e, non solo nel senso che non possono essere 
applicati in via analogica, ma anche nel senso che la stessa interpretazione 
deve essere soltanto letterale, con esclusione di quella estensiva (cfr. Cass. 
pen. sez. II -18 giugno 1992). 

Va, poi, puntualizzato che la Corte Costituzionale ha sancito, con la sentenza 
n. 432/95, solo l'incompatibilit� a partecipare al dibattimento del G.1.P. 

Quest'ultimo articolo, per�, interpretato cos� non avrebbe ragione d'essere, in 
quanto coinciderebbe con l'art. 3 dello stesso codice, e ne costituirebbe allora un inutile 
duplicato. 

L'art. 3 del codice penale, infatti, statuisce che �la legge italiana obbliga tutti coloro 
che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato�, significando tale 
obbligatoriet� sia il dovere di non violare tali norme, sia la condizione di sottostare alle 
conseguenze della loro violazione ed ai mezzi per applicarle (col processo). 

Lo stesso significato � attribuito all'art. 6 c.p. dall'interpretazione esposta in sentenza: 
quale sarebbe perci� la differenza fra i due articoli? 

Il primo accertamento che il giudice deve effettuare consiste nell'individuare il 
luogo dove � stato commesso il reato e, nel caso esaminato, tale luogo era certamente in 
Italia. Inoltre, il giudice deve individuare conseguentemente la legge applicabile e tale 
legge non pu� che essere quella italiana. Questo � il vero ed unico significato attribuibile 
al 1� e 2� comma dell'art. 6 c.p.l 

Collegare, sul piano della sua legittimazione, l'esercizio della giurisdizione penale 
come espressione massima della sovranit� dello Stato rivolta a tutelare l'ordinato vivere 
del corpo sociale che nello Stato opera, con la concreta possibilit� dell'esecuzione delle 
sentenze, con la conseguenza che, non essendovi tale possibilit� di disciplina sociale, non 
vi sarebbe base, ragione e Stato, � affermazione tanto infondata quanto fuorviante. 

Se dovesse ritenersi valida tale affermazione basterebbe osservare che, tra gli altri 
possibili esempi, l'art. 9 c.p., consentendo la esercibilit� della giurisdizione in presenza 
di una richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia (� il caso dell'omicidio in Somalia 
di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ovvero dei cos� detti �desaparecidos� in Argentina, per 
i quali vi � stata appunto richiesta del Ministro di Grazia e Giustizia) non per questo 
assicura la successiva realizzabilit� in concreto della pretesa punitiva dello Stato. 

� appena il caso di ricordare, in proposito, che la �richiesta� del Ministro di 
Grazia e Giustizia o, per altre fattispecie, la querela della persona offesa, si pone come 
sola condizione di procedibilit� e non gi� come condizione di sussistenza della giurisdizione 
dello Stato. 

Dunque, la scelta legislativa di fondo che emerge dal codice penale vigente non � 
quella della stretta territorialit� della giurisdizione, poich� nei casi considerati e nel caso 
in oggetto la pretesa punitiva in concreto dello Stato si realizza attraverso lo strumento 
proprio dell'estradizione che, per quanto ora interessa, verrebbe privato di ogni significato 
in conseguenza della sostanziale inesistenza di tutte quelle disposizioni del codice 



332 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

che abbia emesso un provvedimento in tema di libert�, dichiarando, con altre 
pronunce (cfr. Ord. n. 24/96 e n. 97/97) manifestamente infondata l'eccezione 
di legittimit� costituzionale dell'art. 34 c.p.p. nella parte in cui non prevede 
che non possa celebrare l'udienza preliminare il giudice che abbia ordinato 
al P.M. di formulare l'imputazione o che abbia applicato una misura cautelare 
nei confronti dell'imputato. 

In particolare nella prima ordinanza la Corte ha precisato che �l'imparzialit� 
del giudice non pu� dirsi in via generale intaccata da una qualsiasi 
valutazione gi� compiuta nello stessa fase del procedimento, intesa questa 
come una ordinata sequenza di atti ciascuno dei quali prepara e condiziona 
quelli successivi, giacch� � inevitabile che ogni provvedimento istruttorio 
possa implicare una delibazione del merito allo stato degli atti. Se si dovesse 
ritenere altrimenti, ne deriverebbe un'assurda frammentazione del procedimento, 
con l'attribuzione di ciascun segmento di esso ad un giudice diverso�. 

penale che prevedono condizioni e requisiti per la esercitabilit� della giurisdizione 
nazionale italiana. 

Se � vero che, per rimanere all'esempio, la richiesta del Ministero di Grazia e 
Giustizia si pone come condizione di procedibilit�, proprio questo conferma la sussistenza 
della giurisdizione fuori da ogni criterio di collegamento territoriale persistente 
nel tempo, con tutte le abnormi conseguenze che da essa promanerebbero. 

Ribadita la natura di mera condizione di procedibilit� della richiesta del Ministro 
di Grazia e Giustizia, appare ben strano ammettere l'esercitabilit� della giurisdizione 
per delitti posti in essere in territorio mai sottoposti alla sovranit� italiana (Argentina) 

o commessi su territori gi� da molto tempo sottratti alla sovranit� italiana (Somalia), 
e negarla invece per delitti commessi nel momento in cui i territori dove avvennero 
erano sotto la nostra piena sovranit�. � in questa prospettiva che acquista ulteriore 
conferma l� corretta interpretazione dell'art. 6 c.p., secondo cui la giurisdizione penale 
italiana va individuata non soltanto ratione loci, ma anche ratione temporis, dovendosi 
avere riguardo al momento della commissione del delitto. 
L'interpretazione fondata sulla lettera e sulla ratio legis, il coordinamento sistematico 
delle norme del codice penale perci� non consentono la conclusione cui arriva 
la sentenza in nota, nemmeno inoltrandosi sul terreno sul quale, sia pur con argomenti 
raffinati, si � azzardato il GUP. Sostenere che il diritto penale, a differenza degli altri 
diritti sostanziali, non esiste senza il processo o meglio che l'illecito penale si materializza 
solamente attraverso l'accertamento processuale, � tesi estrema che esaspera 
alcune caratteristiche del processo penale, ma non acquista credibilit�. � vero che la 
legge processuale penale ha carattere di strumentalit� necessaria rispetto al complesso 
delle norme incriminatrici, nel senso sotteso al noto brocardo nulla poena sine iudicio 
e che il processo costituisce l'unico sbocco fisiologico per il diritto penale sostanziale 
(cos� A. CRISTIANI -Legge processuale penale, in Enciclopedia giuridica Treccam), ma 
resta ferma non solo la distinzione fra precetto e applicazione processuale della sanzione, 
ma soprattutto la realt� fenomenica della condotta criminosa e dell'evento connotato 
di illecito penale: basti pensare alla possibilit� di risarcimento civile dei danni 
non patrimoniali, pur in assenza di accertamento processuale del reato. 

Mai come in questo caso vale la prudenza del cave a consequentiariis, a evitare � 
che un brivido agghiacciante percorra la schiena di chi volesse arrivare per tal via a 
concludere che nessun omicidio, nessuna tortura, nessun infoibamento, di morti e di 

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vivi, nessuna deportazione fu mai commessa in quei territori! 

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PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

333 

Nella seconda ordinanza ha affermato che �poich� l'incompatibilit� � 
finalizzata ad evitare che possa essere o apparire pregiudicata l'attivit� di 
�giudizio�, tale connotato non � ravvisabile nella partecipazione all'udienza 
preliminare, in quanto in tale sede il giudice non � chiamato ad esprimere 
una valutazione sul merito dell'accusa, ma solo a verificare, in una delibazione 
di carattere processuale, la fondatezza o meno della pretesa del P.M. di 
ottenere il vaglio dibattimentale e la legittimit� della domanda di giudizio 
formulata dalla pubblica accusa�. 

Per tali considerazioni l'udienza preliminare non pu� mai essere equiparata 
a quel giudizio che il legislatore e la Corte Costituzionale con la sentenza 
n. 432/95 e con le altre precedenti, in particolare quella n. 401/91, 
hanno ritenuto meritevole di tutela con l'istituto della incompatibilit�. 

Proprio nella pronuncia n. 97197 la Corte Costituzionale richiamando 
precedenti decisioni, ed in particolare l'ordinanza n. 24/96, ha anche precisa-

Quanto ai precedenti giurisprudenziali, questi appaiono ondivaghi e, laddove 
negano la giurisdizione, incerti e lacunosi. 

Innanzi tutto � significativo che la decisione sulla quale fondamentalmente si 
basa la tesi qui contrastata, quella delle Sezioni Unite del 2 luglio 1949 (Schwend) concerneva 
un reato di rapina; che quella della II Sezione del 15 febbraio 1950 (Albers) che 
ha ravvisato la sussistenza della giurisdizione italiana in quanto il reato di collaborazione 
militare con il tedesco invasore � stato considerato reato contro la personalit� 
dello Stato, si � limitata a richiamare, senza un rigo di commento, la precedente sentenza 
delle Sezioni Unite; che quella delle Sezioni Unite del 23 febbraio 1963 (Belisari) 
concerneva un delitto di malversazione e che ha sostenuto il difetto di giurisdizione si 
trattava in quel caso di stabilire se il giudice italiano potesse giudicare di una impugnazione 
proposta contro sentenza di un tribunale non pi� italiano -affermando l'inapplicabilit� 
del principio della perpetuatio iurisdictionis; che, viceversa, quella delle 
Sezioni Unite del 17 giugno 1950 (Pellarin) aveva affermato l'esatto contrario; che, infine, 
quella delle Sezioni Unite del 24 novembre 1956 (Salomone) relativa ad un reato di 
bigamia, appare, nonostante le abili argomentazioni della sentenza che si annota, 
tutt'altro che di confine. 

Si vuol dire cio�, non solo che nessuna delle citate decisioni ha mai dovuto affrontare 
reati cosi gravi e disumani come quelli ora in esame, ma, sopratutto, che la remota 
traccia giurisprudenziale che prende le mosse dalla sentenza del 1949 � tutt'altro che 
omogenea, tutt'altro che priva di contraddizioni e tutt'altro che esente da imprecisioni 
e lacune, di tal che non � mancato un diffuso dissenso in dottrina. 

Quella sentenza ad esempio assume il principio di territorialit� del diritto penale 
italiano come canone certo, tassativo ed indiscutibile, ignorando non solo le approfondite 
osservazioni del Procuratore Generale che aveva concluso in modo difforme, ma 
anche le autorevoli opinioni dottrinali contrarie ( a prescindere dalla notoriet� della teoria 
del principio di territorialit� temperata (Antolisei), v. adesso M. TRAPANI -Legge 
penale, limiti spaziali, in Enc. Giur. Treccani, che sostiene il principio dell'universalit� 
del diritto penale italiano; v. il commento critico di G. MORELLI -Trasferimenti di territorio 
e giurisdizione penale, in Giust. Pen. 1950, III, 97). La stessa disinvolta utilizzazione 
dell'istituto della perpetuatio iurisdictionis per affermare e negare la giurisdizione, 
gi� lucidamente criticata dal Morelli, � indice eloquente di incertezza. 

Sopratutto, per�, appare incompiuto il richiamo al principio �generalmente riconosciuto 
nel campo del diritto delle genti� secondo il quale al trasferimento di sovra




RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

334 

to che non pu� indurre a diversa conclusione neppure la modifica legislativa 
concernente la soppressione del termine evidente dalla norma di cui all'art. 
425 c.p.p., dal momento che la sentenza di proscioglimento emessa all'esito 
dell'udienza preliminare non pu� essere equiparata ad una decisione sul 
merito della res iudicanda, decisione, questa, che resta caratteristica esclusiva 
del dibattimento, o al massimo del giudizio abbreviato. 

Orbene, potranno condividersi o meno il significato e la funzione attribuiti 
dalla Corte costituzionale all'udienza preliminare, ma non pu� essere 
riproposta in questa sede l'eccezione di legittimit� costituzionale dell'art~ 34 

c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilit� a partecipare all'udienza 
preliminare del G.I.P. che abbia o non abbia disposto l'applicazione di una 
misura cautelare, dal momento che tutte le tematiche connesse a tale questione 
sono state ampiamente affrontate dalla Corte Costituzionale e risolte 
nit� segue, inseparabilmente, il passaggio della giurisdizione, perch� in tal modo non 
solo si semplifica troppo un problema pi� complesso, ma, hella rigidit� dell'affermazione 
falciante, si aprono lacune e discontinuit�. Infatti se con lespressione riportata 
fra virgolette si fosse inteso alludere alle norme di diritto internazionale generalmente 
riconosciute, si sarebbe dovuto far riferimento al sistema di immissione automatico 
nell'ordinamento interno ex art. 10 Cost., con la conseguenza che ogni discorso sulla 
interpretazione dell'art. 6 c.p. avrebbe potuto concludersi in due parole. Se invece si 
fosse voluto intendere quel principio come jus cogens di diritto internazionale, ogni 
discorso sulle deroghe pattizie -che la sentenza delle Sezioni Unite viceversa fa non 
avrebbe senso, visto che lo jus cogens non � derogabile da trattati fra Stati (v. infatti 
l'art. 53 della Convenzione sul diritto dei trattati; Vienna 23 maggio 1969, L. 12 febbraio 
1974 n. 192, che prevede la nullit� dei trattati in contrasto con norme imperative 
di diritto internazionale e che, nel definire appunto le norme imperative, con disposizione 
all'evidenza interpretativa, cos� si esprime: �une nonne imp�rative du droit 
intemational g�n�ral est une norme accept�e et reconnue par la communaut� intemationale 
des Etats dans son ensemble en tant que norme � laquelle aucune d�rogation 
n'est permise et qui ne peut etre modifi�e que par une nouvelle norme du droit international 
g�n�ral ayant le meme caract�re�. � appena il caso di notare che non solo quel 
�principio� non ha tale carattere, ma che esso non � nemmeno �norma� nel senso che 
questa assume in diritto internazionale: v., infatti, significativamente, la distinzione 
delle fonti del diritto nell'art. 38 dello Statuto della Corte internazionale di giustizia 
annesso allo Statuto dell'ONU, San Francisco 26 giugno 1945, L. 17 agosto 1957 n. 848 
che, per comodit� di consultazione si riporta: � 1) la Cour, dont la mission est de r�gler 
conform�ment au droit intemational ]es diff�rends qui lui sont soumis, applique: a) Jes 
conventions intemationales, soit g�n�rales, soit sp�ciales, �tablissant des r�gles express�ment 
reconnues par les Etats en litige; b) la coutume intemationale comme preuve 
d'une pratique g�n�rale accept�e c�mme �tant le droit; c) les principes g�n�raux de 
droit reconnus parles nations civilis�es; d) sous r�serve de la disposition de l'article 59, 
les d�cisions judiciaires et la doctrine des publicistes les plus qualifi�s des diff�rentes 
nations, comme moyen auxiliaire de d�tennination des r�gles de droit�. L'art. 59 sancisce 
i limiti soggettivi della decisione della Corte). 

C'�, per�, un altro punto che la sentenza delle Sezioni Unite del'49 e quelle che 
alla stessa si sono adeguate non hanno considerato: cio� il problema intertemporale, o 
si pu� dire di diritto transitorio. Dato infatti per ammesso, per mera ipotesi, che qual 
principio di simultaneo passaggio della giurisdizione con la sovranit� sia cogente o 
che, avendo dignit� di norma generalmente riconosciuta, si sia verificata la sua auto



PARTE I; SEZ. VI, GIURISPRUPENZA PENALE 335 

nel senso della manifesta infondatezza in numerose deeisioni che sono state 
recepite dalla dottrina e dalla giurisprudenza della Cassazione e che nella fattispecie 
.non sono emersi profili nuovi e.diversi da quelli gi� esaminati dalla 
Corte Costituzionale nelle decisioni espressamente richiamate nell'ordinanza 

n. 97/97��.... 
������ ./ N� pu� ��:ndjviders:i l~ tesj della difosa. secondo la quale nella fattispecie 
il g:i;)Jd;i�e, rilevando in via.preliminareil.ditettodi giur;isdizione� del giudice 
italiano1;.. avrebbe comunque emesso .una� pronuncia che. investiva il merito 
della causa. . . . 
Alri~ardo occorre premettere che, ai sensi dell'art� 20 c.p.p., il difetto 
di giurisdiziOne � rilevato anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento; 
che se � rilevato nel corso delle indagini preliminari il giudice, in base 
al rinvio che la disposizione dell'art. 20 c.p.p. fa all'art. 22 c.p.p., pronuncia 

matica immissione nlilll'ordinamento italiano; non pc::r ci� solo pu� dirsi che esso operi 
anche per i casi in cui la sovranit� dello Stato sul tenitorio sia: cessata dopo la commissione 
di un reato; Quelprlneipio .infatti, dato per esisteJilte, non pu� essere esteso a 

� fattispecie di questo tipo in cui il momento 4i collegamento con l'ordinamento interno 
si era gi�r�alizzato quando sul tenitorioJoStato aveva ancora sovranit�, se � vero che 
ilpotere dijus dicere sorge per una condotta. criminosa e da quando questa si realizza. 
Per converso, la: sentenza delle.Sezioni Unite del 24 novembre 1956, sopracitata, 
che � andata in.contrarlo avviso, co.ntiene delle affermazioni di principio che mal si 
conciliano con la definizione; che:: il GIP ne ha dato, di �decisione di confine� come 
questa, conclusiva, .che val la pena di.riportare: �ll problema investe il punto se un 
reato, gi� punibile incondizionatw:nente.till'epoca della sua commissione, resti tale nel 
caso cheil territorio su cui fu consumato diventi estero; in altri termini, se illocus commissi 
delicti poss�contin.uare a ritenersi tale nei confronti dell'ordinamento giuridico 
penale, nonostante ]avvenuto mutamento di sovranit� sul territorio in cui l'illecito 
venne commesso; Fissato il quesito nei termini anzidetti, le Sezioni Unite ritengono 
che ai fini dell'assoggettabilit� tille norme punitive italiane, giusto il disposto ex art. 3 
c.p.; bisogna ten�rerconto del rapporto &sovranit� vigente sul territorio all'epoca della 
commissione del reato, Eventuali spostamenti t�rritoriali, in seguito verificatisi, non 
impediscono che la pretesa punitiva statale, sorta nel momento stesso in cui l'illecito 
venne commesso, sfspieghi nel modo pi� ampio ed incondizionato�. 
Come si vede, l'affermazione � di principio; anche se riferita ad un caso di bigamia 
avvenuto nella zona B del territoriO di Trieste; .ma ci� � a maggior ragione importante 
poich� � evidente l'influenza che sull'applicazione delle norme che disciplinano i 
limiti spaziali (art, 3�e 6 c;p;) deldirittopenaleitalianopu� operare il fatto che, nel caso 
della sentenza che si.annota, si tratti di reati contrari alloius gentium!. 
Quest'ultimo aspetto; dell'incidenza sui limiti spaziali del diritto penale dei reati 
contro. l'umanit�, � certamente quello ove la sentenza del GUP � pi� insoddisfacente, 
laddove sarebbe. stato necessario affrontare pi� a fondo il tema della incondizionata 
perseguibilit� dei delitti contro l'umanit�; senza limiti di tempo, n� di spazio (imprescrittibilit� 
dei reati, universalit� dello jus puniendi, inesistenza del principio nullum 
crimen sine praevia lege, nel senso che sar� chiaro di qui a poco). � evidente che � preliminare 
valutare se i fatti imputati possano considerarsi delitti che, per il modo come 
sono stati commessi, per l'assenza di accettabili giustificazioni (in senso tecnico di scriminanti 
o di cause di esclusione dell'antigiuridieit�), per le atrocit� documentate, per 
la vastit� e natura del disegno criminoso, per l'elevatissimo numero delle vittime, calcolabili 
in centinaia, abbiano natura appunto di delitti contro l'umanit�, intendendosi 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

336 

ordinanza con la quale dispone la trasmissione degli atti al P.M., ordinanza 
che produce effetti limitatamente al prowedimento richiesto, mentre se � 
rilevato dopo la chiusura delle indagini preliminari il giudice deve pronunciare 
sentenza. 

Ci� premesso, si osserva che nella fattispecie il G.l.P., come si evince 
dalla motivazione del prowedimento con il quale ha respinto la richiesta 
di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti 
degli imputati, si � solo soffermato a prospettare in via preliminare 
un possibile difetto di giurisdizione, senza, tuttavia, rilevarlo espressamente 
con conseguente trasmissione degli atti al P.M., spiegando, poi, le 
ragioni che lo hanno indotto a non accogliere la richiesta formulata dal 

P:M.�. (omissis). 

per tali quelli che da sempre, anche nelle antiche civilt� ledevano il bene sommo tutelato 
dal delitto naturale e dallo ius gentium: l'uomo, la famiglia, i gruppi sociali e il loro 
diritto alla vita e alla libert�. 

� peraltro indiscutibile, storicamente e giuridicamente, che i fatti delle 
�foibe�siano tali e altrettanto emerge dal processo: basta leggere le carte del PM per 
restare inorriditi (� questo �horror� che � alla base della reazione delle societ� umane 
di ogni tempo che hanno da sempre reagito con l'incondizionata perseguibilit� di tali 
condotte criminali: � illuminante ricordare Lucio Anneo Floro (Epitome, 1-41, 1-3) 
che, narrando della guerra piratica vinta da Pompeo, scrive: �i Cilici avevano invaso i 
mari e, dopo aver interiotto i commerci e violato i patti che legano il genere umano, 
avevano ostacolato la navigazione con la guerra quasi come la tempesta!� ed anche 
allora la giurisdizione, I'imperium, fu applicato senza limiti di spazio, con la lex 
Gabinia del 64 a.C.!). 

Questi tipi di reato, caratterizzati come sono da una perseguibilit� senza limiti e 
condizioni, non hanno bisogno di alcuna previsione.espressa negli ordinamenti interni 
degli Stati, bastando che consti della loro natura: significative a tal proposito le 
norme di diritto internazionale, tutte ispirate alla perseguibilit� incondizionata, talmente 
senza eccezione per gli Stati e per le loro organizzazioni, da doversi riconoscere 
che qui effettivamente ci si trova di fronte ad uno jus cogens secondo la precisa definizione 
dell'art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati sopra riportata. 
Ed infatti il patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (New York 16 dicembre 
1966, L. 25 ottobre 1977 n. 881) stabilisce all'art. 5, secondo comma che �nessuna 
restrizione o deroga ai diritti fondamentali dell'uomo o vigenti in qualsiasi Stato parte 
del presente patto in virt� di leggi, convenzioni, regolamenti o consuetudini, pu� essere 
ammessa col pretesto che il presente Patto non li riconosce o li riconosce in minor 
misura�. A sua volta l'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo 
e delle libert� fondamentali (Roma, 4 dicembre 1950, L. 4 agosto 1955 n. 848) afferma 
che �Nessuno pu� essere condannato per un'azione od omissione che, nel momento in 
cui � stata commessa, non c9stituiva reato secondo la legge nazionale o intemazionale. 
Parimenti non pu� essere inflitta una pena pi� grave di quella che sarebbe stata 
applicata al tempo in cui il reato � stato consumato� significativamente aggiungendo 
nel secondo comma, che �il presente articolo non vieter� il giudizio o la punizione di 
una persona colpevole di una azione od omissione che, al momento in cui � stata commessa, 
era ritenuta crimine secondo i principi generali del diritto riconosciuto dalle 
nazioni civili�. Tale norma � espressamente ribadita dall'art. 15 del Patto internazionale 
di New York del 1977 succitata, che a sua volta cos� si esprime � Nessuno pu� 
essere condannato per azioni od omissioni che, al momento in cui venivano commes




PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 337 

IL 

(omissis) Una meditata disamina dei profili di diritto che ruotano attorno 
ai fatti posti a fondamento della richiesta di rinvio a giudizio, inducono 
questo Giudice a ritenere nella specie all'evidenza sussistenti i presupposti 
per procedere alla immediata declaratoria di non doversi procedere a norma 
dell'art. 129 c.p.p., obbligatoriamente da adottarsi in ogni stato e grado del 
processo e del tutto compatibile con lo stadio raggiunto dal procedimento 
(Cass., 3 maggio 1991, Giambartolomei; Cass., 5 ottobre 1993, Rendina; 
Cass., 28 giugno 1995, Sculli). 

I fatti cui si riferisce la richiesta di rinvio a giudizio sono indicati dal 
requirente come avvenuti rispettivamente in Gimino e Pisino dopo 1'8 settembre 
1943 ed in Fiume nel maggio del 1945: localit�, dunque, da lunghissimo 
tempo assoggettate alla sovranit� di altro Stato. Pregiudiziale appare 
pertanto, a parere di questo Giudice, verificare se l'ipotesi dedotta -invero 
del tutto peculiare -possa ritenersi o meno compresa nell'ambito di operativit� 
dell'art. 6 c.p. Al riguardo deve ritenersi del tutto condivisibile la tesi 
affermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in una pronuncia, per 
forza di cose lontana nel tempo, secondo la quale i reati commessi su parte 
del territorio nazionale, successivamente ceduta ad altro Stato, devono considerarsi 
come commessi in territorio straniero, e pertanto cessa per essi la 
giurisdizione italiana (Cass., Sez. un., 2 luglio 1949, Schwend). In tale sentenza 
la Corte osserv� che nel campo del diritto internazionale � generalmente 
riconosciuto il principio secondo il quale la cessione di territorio, in 

se, non costituivano reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Cos� 
pure, non pu� essere inflitta una pena superiore a quella applicabile al momento in cui 
il reato sia stato commesso. Se, posteriormente alla commissione del reato, la legge 
prevede l'applicazione di una pena pi� lieve, il colpevole deve beneficiarne�. 

�Nulla nel presente articolo preclude il deferimento a giudizio e la condanna di 
qualsiasi individuo per atti od omissioni che, al momento in cui furono commessi, 
costituivano reati secondo i principi generali del diritto riconosciuti dalla comunit� 
delle nazioni�. 

La conseguenza che se ne trae, � che non esiste per questo tipo di reati il divieto 
della retroattivit� fondato sul canone del nullum crimen sine praevia lege riferito alla 
necessit� di una previsione da parte dell'ordinamento statale della fattispecie penale, 
poich� i reati contro il genere umano sono tali da sempre, da quando esiste la societ� 
degli uomini, sono tali per diritto naturale, per imprescindibili esigenze dell'umanit�. 
Da questo punto di vista si pu� anzi dire addirittura che il concetto della retroattivit� 
non tanto � mal posto, quanto che il principio non � violato, perch� da sempre il diritto 
naturale, lo ius gentium, il diritto internazionale previdero e punirono quelle condotte. 

Da qui la natura interpretativa delle norme successive, da qui anche la validit� 
della tesi che sostiene la natura interpretativa della legge che ha punito il genocidio, da 
qui in fondo l'indifferenza della sussunzione dei crimini commessi sotto le fattispecie 
di omicidio plurimo aggravato o di genocidio! 

PAOLO DI TARSIA DI BELMONTE 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

338 

forza di un atto legittimo stipulato fra Stati, opera di regola un immediato 
trasferimento di sovranit�, con i diritti afferenti, sui luoghi ceduti: e con la 
sovranit� fa pure passaggio la giurisdizione che, essendo per sua natura potest� 
sovrana, non pu� appartenere se non allo Stato subentrante nel dominio 
del territorio. Territorio, sovranit� e giurisdizione esprimono, in altre parole, 
concetti interdipendenti e inseparabili fra loro: il primo, invero, costituisce 
l'elemento oggettivo d'ordine spaziale, nella cui orbita poi s'instaura la sovranit�; 
e di questa, la giurisdizione si afferma come uno dei massimi attributi. 
Cosicch� verificandosi una modificazione in senso restrittivo del territorio, 
consegue ipso iure la cessazione della sovranit� sulla parte perduta, e, per ci� 
stesso, viene a cessare l'esercizio della funzione giurisdizionale. Una regola, 
questa, soggiunse conclusivamente la Corte, alla quale pu� eccezionalmente 
derogarsi per un accordo internazionale che ponga in essere -come � storicamente 
awenuto in talune ipotesi -una delegazione di giurisdizione, in 
virt� della quale lo Stato cessionario consente a cedere, di solito transitoriamente, 
l'esercizio della potest� giurisdizionale in rapporto ad affari giudiziari 
gi� sorti owero a delitti gi� awenuti sul territorio, oggetto della cessione, 
in epoca antecedente alla medesima. 

L'indicata e condivisibile tesi fu, per la verit�, non soltanto resistita da 
una parte della dottrina dell'epoca ma anche contrastata, quanto meno nell'affermazione 
del principio di diritto, da altra successiva pronuncia della 
stessa Corte (Cass., sez. un., 24 novembre 1956, Salomone): ma se si pone nel 
dovuto risalto la particolarit� del caso di specie devoluto all'attenzione del 
giudice di legittimit� (si trattava di una ipotesi di bigamia scaturita da un 
matrimonio celebrato in Pinzano d'Istria il 20 giugno 1950) e, soprattutto, l'epoca 
della pronuncia e lo sviluppo dell'iter argomentativo, risulter� allora 
agevole awedersi di come alla massima allora enunciata debba annettersi 
una portata del tutto contingente e dunque tale da non consentirne l'automatica 
trasposizione ai fini che qui rilevano. Quanto mai significativo �, 
infatti, l'approfondito excursus che la sentenza della Corte ebbe a compiere 
per delineare le vicissitudini che avevano subito dopo la fine della guerra le 
zone poste al confine nord-orientale del Paese e che proprio in quell'epoca 
avevano finalmente trovato un assetto definitivo. Osserv� la'corte che, tenendo 
presenti il testo e le finalit� proprie del trattato di pace fra l'Italia e le 
Potenze alleate e associate, la cessazione della sovranit� italiana nell'area 
destinata a costituire il Territorio Libero di Trieste non venne prevista e voluta 
come un evento a s� stante, bens� come la premessa indispensabile per la 
realizzazione di uno scopo ulteriore, verso cui si erano concentrati i propositi 
delle altre parti contraenti: vale a dire la creazione in quella predeterminata 
area territoriale di una nuova entit� sovrana, dotata di struttura e funzione 
sue proprie, e internazionalmente vitale. Per quanto la cessazione della 
sovranit� italiana venisse formalmente prevista per la data di entrata in vigore 
del trattato (15 settembre 194 7), in realt� la fine dello status giuridico anteriore 
doveva coincidere con l'assunzione delle funzioni sovrane da parte del 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Governatore. Poich� non fu possibile, a causa delle molteplici complicazioni 
insorte, dar vita alla progettata entit� territoriale, internazionalmente autonoma 
e funzionante, � evidente -osserv� la Corte -che l'assetto giuridico 
del territorio continu� ad essere quello stesso instaurato dopo l'armistizio, e 
che era stato mantenuto in vita, in previsione della nomina e della entrata in 
funzione dell'ufficio del Governatore. 

In definitiva, quindi, l'intera zona che avrebbe dovuto costituire il futuro 
Territorio Libero di Trieste continu� ad essere soggetta al precedente regime di 
occupazione militare, con la sola differenza che quest'ultimo si trasfer� da un 
clima di armistizio in una situazione intersoggettiva di pace, come d'altra parte 
starebbe a confermare il preambolo del Memorandum di intesa 5 ottobre 1954, 
ove testualmente si precisava che a partire dalla fine della guerra i governi del 
Regno Unito, degli Stati Uniti e della Jugoslavia, avevano mantenuto, rispettivamente 
nelle zone A e B del Territorio Libero di Trieste �occupazione e governo 
militare�, con parallele responsabilit� di carattere temporaneo. 

La Corte ritenne quindi �assai dubbio� che proprio attraverso quel 
Memorandum si fosse inteso procedere all'assegnazione in piena sovranit� 
all'Italia e alla Jugoslavia rispettivamente delle zone A e B del Territorio 
Libero di Trieste, parendo piuttosto che le parti intervenute si fossero prefisso 
unicamente di provvedere al regolamento amministrativo delle due zone 
contrapposte, sostituendo al regime di occupazione militare, gi� esercitata 
dal Regno Unito e degli Stati Uniti nella zona A e dalla Jugoslavia nella zona 
B, un regime di amministrazione a carattere civile, affidata per la prima di 
tali zone all'Italia e per l'altra alla Jugoslavia. 

Orbene, osserv� la Corte, se nell'intera area destinata a formare il futuro 
Territorio Libero rimasero immanenti la sovranit� e la parallela potest� di 
imperio dello Stato Italiano, � da ritenere che in entrambe le zone del territorio, 
assegnate ad occupanti diversi, le norme punitive, previste dall'ordinamento 
italiano, continuassero a sprigionare senza restrizioni di sorta la propria 
efficacia cogente, sicch� -concluse la Corte -per ogni eventuale infrazione 
di carattere penale, commessa in quelle zone da cittadini italiani, sorgeva 
incondizionalmente a favore dello Stato italiano la corrispondente pretesa 
punitiva. Da qui l'enunciazione del principio che, ai fini della assoggettabilit� 
alle norme punitive italiane, giusta il disposto dell'art. 3 c.p., bisogna 
tener conto del rapporto di sovranit� vigente sul territorio, all'epoca della 
commissione del reato. 

Una sentenza, quindi fortemente di �confine� per l'epoca, la specie, e le 
peculiarit� che avevano contraddistinto le vicissitudini territoriali di quegli 
anni e per di pi� ricondotta ad un parametro normativo, quale � quello delineato 
dall'art. 3 c.p., concettualmente non del tutto sovrapponibile alla disciplina 
dettata dall'art. 6 c.p.. In quest'ultima previsione, infatti, a parere di 
questo Giudice, il riferimento spaziale al territorio dello Stato deve ritenersi 
diacronicamente raccordato alla insorgenza del rapporto punitivo, proprio 
perch� entrambi i termini che vengono qui in discorso sono in s� espressivi 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

340 

della sovranit�, la quale ultima pu� essere apprezzata soltanto nel momento 
stesso in cui � chiamata concretamente a dispiegarsi. Una configurazione, 
dunque, necessariamente dinamica che impone di valutare la sussistenza del 
requisito della territorialit� in simmetrico e contestuale collegamento con l'esercizio 
dello ius puniendi. La dimensione del paradigma, pertanto, necessariamente 
si �processualizza�, non diversamente da ci� che accade per l'intero 
corpo del diritto penale che, a differenza dell'illecito civile, non pu� vivere 
senza il processo: il processo penale, � stato autorevolmente ed incisivamente 
affermato, non � �Servo (muto o loquace) del diritto sostantivo, ma il suo 
socio paritario: il momento concettuale a partire dal quale il diritto penale si 
esprime come diritto � il momento storico in cui il processo attiva i suoi meccanismi
�. Ci� equivale a dire che il reato potr� ritenersi commesso nel territorio 
dello Stato soltanto nel caso in cui il Jocus commissi delicti vi risulti 
compreso nel momento in cui un determinato soggetto deve essere �punito 
secondo la legge italiana�. D'altra parte, ove cos� non fosse, si assisterebbe ad 
una sorta di bizzarra prorogatio di sovranit� sui territori ceduti che perdurerebbe 
sine die nelle ipotesi di reati imprescrittibili, in aperta antinomia con 
le fondamentali regole del diritto internazionale, con le fonti di rango pattizio 
che hanno ridefinito l'assetto territoriale dopo l'ultimo conflitto e con lo 
stesso principio di effettivit�, che nella specie assume non poco risalto, atteso 
il lunghissimo tempo trascorso dagli episodi oggetto di contestazione. 

D'altra parte, al di l� delle due pronunce sin qui passate in rassegna, la 
restante giurisprudenza di legittimit� � tutta orientata in senso conforme alla 
tesi che qui si viene sostenendo. Cos�, nella sentenza emessa il 15 febbraio 
1950 dalla Sez. II della Corte di Cassazione nel procedimento Albers, si � 
affermato che spetta al giudice italiano, in virt� dell'art. 7 c.p. -che dichiara 
punibile secondo la legge italiana il cittadino e lo straniero che commette 
in territorio estero un delitto contro la personalit� dello Stato -la cognizione 
di un reato di c�llaborazione militare col tedesco invasore, commesso in 
territorio sul quale dopo la commissione del reato (1944) sia cessata la sovranit� 
italiana (Pola), dovendosi i reati di collaborazionismo considerare quali 
reati contro la personalit� dello Stato. 

Analogamente, si � affermato che per effetto della entrata in vigore del 
trattato di pace, i reati commessi nei territori ceduti dall'Italia ad altri Stati, 
prima della cessione, devono considerarsi awenuti in territorio straniero agli 
effetti degli artt. 6 e 10 c.p. (Cass., Sez. un., 20 maggio 1950, Raze ed altri). 
Nello stesso senso, si � ritenuto che sono da considerare commessi in territorio 
straniero i reati awenuti in luoghi gi� appartenenti al territorio nazionale 
che, per effetto della perdita dell'ultima guerra, si son dovuti cedere a 
Stato estero e sono stati incorporati in esso, mentre la soprawenuta mutazione 
territoriale, avendo determinato perdita di sovranit�, ha provocato 
carenza del potere di proseguire, in processo pendente, l'esercizio dell'azione 
penale pur correttamente promossa dall'inizio, salva l'eccezione per i delitti 
contro la personalit� dello Stato (Cass., Sez. un., 17 giugno 1950, Formisano; 
v., anche, Cass., Sez. I, 12 luglio 1950, Perzan). 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

Analoghi principi sono stati affermati anche in relazione ai reati commessi 
in Eritrea prima della perdita di sovranit�, e ritenuti pertanto punibili, 
ove commessi da cittadini italiani, soltanto in presenza dei presupposti previsti 
dall'art. 9 c.p. (Cass., Sez. III, 10 ottobre 1953, Pilolli). Nel medesimo 
senso si � ritenuto, in altra occasione, che dopo la conclusione del trattato di 
pace fra l'Italia e le Potenze alleate e associate, qualora si sia avuta la cessione 
di una parte del territorio dello Stato ad altro Stato, cessa la giurisdizione 
penale italiana in relazione alla parte di territorio ceduto pure per i reati ivi 
commessi prima del trasferimento, tranne che trattisi di quei reati che sono 
puniti dalla legge italiana anche se commessi all'estero secondo le norme 
indicate negli artt. 7 e 10 c.p. e rispetto ai quali, agli effetti della giurisdizione, 
sono irrilevanti le modificazioni di carattere territoriale che riguardino il 
luogo del commesso reato, sempre che l'imputato si trovi nel territorio dello 
Stato italiano, anche se per effetto di estradizione (Cass., Sez. I, 3 novembre 
1954, Soppelsa). 

Una linea interpretativa, quella sin qui passata in rassegna, che si � ulteriormente 
e definitivamente consolidata nelle pi� recenti pronunce adottate 
dalla Corte di legittimit� nella sua pi� autorevole composizione. Si � infatti 
affermato che � un principio generalmente riconosciuto nel diritto delle genti 
che, con la cessione di territorio in forza di atto legittimo stipulato fra Stati, 
si ha anche -salvo diversa espressa statuizione contenuta nell'accordo, 
come, per esempio, nel trattato dell'l 1 febbraio 1929 fra l'Italia e la Santa 
Sede a proposito dello Stato della Citt� del Vaticano -una corrispondente e 
naturale sostituzione di uno Stato all'altro nell'esercizio delle funzioni statuali, 
e fra queste va ovviamente posta in prima linea la giurisdizione, la 
quale, essendo una potest� sovrana, non pu� appartenere allo Stato subentrante 
nel dominio del territorio. Alla considerazione, da un punto di vista 
dottrinario, della stretta interdipendenza e della inseparabilit� dei concetti di 
territorio, sovranit� e giurisdizione, si pu� aggiungere del resto, sul piano 
pratico, che mentre lo Stato successore -ha puntualizzato la Corte -� il 
pi� indicato per l'esercizio della giurisdizione (raccolta delle prove, celebrazione 
del dibattimento, esecuzione), lo Stato cedente non ha pi� alcun interesse 
alla tutela di una societ� che non pi� gli appartiene e la cui protezione, 
avverso i fatti che l'abbiano offesa o l'offendano, costituisce ormai un affare 
altrui. L'art. 6 del codice penale va dunque considerato -ha concluso la 
Corte -nella sua entit� razionale, nel senso che il concetto di territorio italiano 
va riferito al momento della repressione, e non a quello della commissione 
del fatto illecito, e pertanto, perch� si renda applicabile la legge italiana, 
occorre che il territorio in cui � stato commesso il reato sia attualmente 
sotto la sovranit� dello Stato, (Cass., Sez. un., 27 maggio 1961, Zeiner). 

Le identiche considerazioni sono state ulteriormente ribadite in tempi 
ancor pi� recenti, in una occasione nella quale la stessa Corte non ha mancato 
di osservare come il fatto che il legislatore abbia previsto l'applicabilit� 
della legge italiana, in eventuale concorso con la legge straniera, ad alcuni 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

342 

gruppi di reati commessi all'estero dal cittadino o dallo straniero (artt. 7, 8, 9 
e 10 c.p.), rappresenti una circostanza che non solo non pone in evidenza la 
fallacia della pi� volte affermata interdipendenza e inseparabilit� dei concetti 
di territorio, sovranit� e giurisdizione, ma apporti invece alla tesi sostenuta 
un ulteriore contributo, poich� dimostra che per potersi derogare al principio 
generale della assenza di giurisdizione nei confronti di fatti commessi 
in territorio attualmente straniero occorre una precisa norma, contenuta o in 
trattati internazionali o nella legislazione nazionale (Cass., Sez. un., 23 febbraio 
1963, Belisari). 

La tesi sostenuta dalla giurisprudenza, d'altra parte, si salda appieno 
anche con gli argomenti sviluppati in proposito da autorevolissima dottrina, 
dalla quale, anzi, pare aver tratto spunti anche testuali. Si � infatti incisivamente 
affermato che �Se potesse affermarsi l'esistenza di principi giuridici 
universali, per essere stati riconosciuti in tutti i tempi, in tutti i luoghi, dall'universa 
dottrina e giurisprudenza, almeno uno non potrebbe sfuggire a tale 
classificazione: quello a termini del quale la pretesa punitiva a titolo territoriale, 
per i fatti commessi nel territorio ceduto prima della cessione, � affare 
esclusivo dello Stato successore. Chi conducesse una accurata ricerca dottrinaria 
e giurisprudenziale in materia, constaterebbe che non esiste un solo 
precedente di rilievo in senso difforme; n� in Italia, n� all'estero ... Con la cessione 
territoriale o, meglio, con la sostituzione di una autorit� ad un'altra, nei 
limiti di un determinato territorio, si ha una corrispondente e naturale sostituzione 
di uno Stato all'altro nell'esplicazione delle funzione statuali e, fra 
queste, nell'esplicazione della potest� punitiva. La potest� punitiva, infatti, 
non � una entit� astratta, ma funzionale. Essa � fondamentalmente territoriale 
in corrispondenza all'analogo carattere della comunit� statale. Essa 
segue, spazialmente e temporalmente, le vicende politiche del territorio, nel 
senso che di v�lta in volta essa si connette al potere politico che domina la 
societ� territoriale. � questo il motivo per il quale, da che mondo � mondo, 
lo Stato che subentra in un territorio punisce i fatti avvenuti prima della cessione, 
continua i processi iniziatisi prima della cessione, esegue le condanne 
pronunciate prima della cessione e cos� via (salvo, naturalmente che non 
ritenga di mutare le leggi considerando lecito ci� che era illecito e via dicendo). 
Ci� avviene non solo perch� lo Stato successore, come dominus loci, � il 
pi� indicato per l'esercizio del magistero punitivo ai fini delle prove ecc., ma 
soprattutto perch� � tale Stato che naturalmente � portatore della funzione. 
Dico: naturalmente, perch� l'interesse a proteggere la societ� non � una realt� 
giuridica ma di fatto. Lo Stato cedente, viceversa, si trova ormai in una situazione 
assoluta di estraneit�, territorialmente parlando, anche per il passato. 

Non essendo pi� signore della societ� ceduta, esso non conserva pi� un interesse 
alla sua difesa penale o di altro genere, siano i fatti che la mettono in 
pericolo, passati o presenti. La protezione della societ� ceduta � un affare 
altrui. Vi sono riprove giuridiche internazionali di tale punto di vista. Se il 
fatto delittuoso commesso nel territorio prima del mutamento politico dan


.. I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

neggi� sudditi di terzi Stati, � lo Stato successore e non lo Stato cedente che 
� internazionalmente tenuto alla repressione. C'� poi una riprova che si ricava 
dall'inquadramento della potest� punitiva dei singoli Stati nell'esigenza 
universale della repressione. In molti casi il mutamento territoriale coincide 
con l'estinzione degli Stati o dello Stato antecessore. Solo lo Stato ha la possibilit� 
materiale pertanto di esercitare la repressione�. 

Alla stregua di tali rilievi si � quindi affermato che l'art. 6 del codice 
penale �non va inteso alla stregua di una realt� meccanica, di una realt� brutale 
e fatale. No. � una entit� razionale, che trova in tale sua natura la sua 
spiegazione, la sua portata e i} suo valore. Come ad es. si potrebbe giustificare 
la repressione da parte dell'Italia, ove l'Italia, anzich� Stato cedente, fosse 
Stato cessionario? Bisognerebbe dire: siccome al momento del fatto il territorio 
era estero, il delitto non si punisce. Il reo potrebbe marciare indisturbato 
per la penisola e sbeffeggiare la vittima. Evidentemente non questo dice 
e pu� dire n� l'art. 6 c.p., n� una qualsiasi altra norma. L'art. 6 va letto in altro 
modo: interessato alla repressione �, dal punto di vista territoriale, lo Stato 
italiano se ed in quanto il reato � commesso nei limiti attuali della sovranit� 
italiana. L'art. 6 non fa riferimento alla sovranit� del tempo della commissione 
del fatto illecito, ma alla sovranit� del tempo in cui l'interesse statale 
italiano alla rt:;pressione, sia in tutte le sue fasi che in una fase soltanto 
(magari la sei:nplice attuazione di un residuo di pena), si manifesta. 

Il concetto di territorio italiano si riferisce cio� al momento della repressione, 
non a quello della commissione del fatto illecito. Se l'Italia acquista un 
territorio, pertanto, si applica anche ai fatti commessi anteriormente all'acquisto; 
reciprocamente, se l'Italia perde un territorio, non si applica ai fatti 
anteriori alla perdita. La logica � una. A parte ci�, l'opinione che il legislatore 
italiano non abbia voluto innovare sulla prassi universale, risulta dalla circostanza 
che nessun cenno al riguardo trovasi scritto negli atti preparatori. Una 
rivoluzione normativa non pot� aver luogo senza consapevolezza o contrasto�. 

Da tale coeso ordito giurisprudenziale, non disgiunto, come si � visto, da 
autorevole avallo dottrinario, questo giudice non ritiene pertanto di doversi 
discostare, con l'ovvia conseguenza di imporre la declaratoria di non doversi 
procedere, trattandosi nella specie di reati commessi da stranieri in territorio 
estero ed in ordine ai quali difettano i presupposti previsti dall'art. 10 c.p. 

Per completezza, deve infine rilevarsi che il pubblico ministero ha motivatamente 
ritenuto, in punto di qualificazione giuridica dei fatti, contestabile 
al MOTIKA Ivan il delitto di genocidio introdotto dalla legge 9 ottobre 
1967, n. 962: una disciplina, dunque, entrata a far parte dell'ordinamento 
positivo in epoca di gran lunga successiva a quella in cui i fatti stessi risultano 
esser stati in via di accusa commessi. Il requirente, in sintesi, ritiene di 
poter superare nel caso di specie l'ostacolo frapposto dal principio di irretroattivit� 
sancito dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, facendo 
leva sulla derogabilit� di quel principio alla luce di quanto previsto dal secondo 
comma dell'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti del



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

344 

l'uomo e delle libert� fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e 
resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848. Ma un simile argomentare 
deve essere fermamente respinto. � ben vero, infatti, che la Convenzione 
venne accettata dall'Italia senza riserve e che, invece, fu proprio il timore del 
delinearsi di un contrasto tra l'art. 7, secondo comma, della Convenzione di 
Roma ed il principio nullum crimen nulla poena sine praevia lege poenali, 
cos� come configurato nell'ordinamento costituzionale interno, ad indurre il 
Governo della Repubblica federale tedesca a formulare una �riserva�, nel 
senso che la disposizione sarebbe applicabile nur in den Grenzen des Artikels 
103 Absatz 2 GG. 

Ma la ragion d'essere e la portata della norma pattizia, una sua corretta 
interpretazione nel quadro dello strumento che viene qui in discorso ed il 
necessario raccordo che deve postularsi tra quella disposizione ed un principio 
cardine della legge fondamentale dello Stato, agevolmente convincono 
della assoluta impossibilit� di aderire alla tesi prospettata dal requirente. La 
disposizione dell'art. 7, secondo comma, della Convenzione di Roma in virt� 
della quale la regola della irretroattivit� in campo penale sancita dal primo 
comma non ostacola �il rinvio a giudizio e la condanna di una persona colpevole 
d'una azione o d'una omissione che, al momento in cui fu commessa, 
era criminale secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni 
civili� (v. anche l'art. 15, secondo comma, del Patto internazionale relativo ai 
diritti civili e politici, adottato a New York il 19 dicembre 1966 e reso esecutivo 
con la legge 25 ottobre 1977, n. 881), mira infatti a sancire -come � 
stato autorevolmente sostenuto -l'irrilevanza di ogni scriminante riconducibile 
alla pura �ragion di Stato� e, dunque, a consentire il perseguimento di 
crimini contro l'umanit� che altrimenti resterebbero privi di sanzione anche 
dopo la scomparsa dei regimi che quei delitti hanno normativamente �giustificato
�. Una prospettiva, quindi, ed un significato del tutto diversi rispetto 
a quelli che il pubblico ministero pretende di annettere alla richiamata disposizione, 
posto che i fatti oggetto di contestazione erano all'epoca e restano 
tutt'ora gravissimo delitto per l'ordinamento interno dello Stato. Accanto a 
ci� va pure rilevato che la previsione dettata dall'art. 7, secondo comma, della 
Convenzione di Roma non vincola affatto -come sembra ritenere il pubblico 
ministero -gli Stati aderenti a derogare al principio di irretroattivit� 
della legge penale, ma si limita a consentire agli stessi di esercitare in determinati 
casi il potere punitivo anche in deroga a quel principio nel quadro 
delle finalit� che sono state dianzi delineate: una previsione, dunque, non 
autoapplicativa n� immediatamente precettiva, ma destinata semplicemente 
a rimuovere in parte la regola -questa s� precettiva -sancita nel primo 
comma, cos� da affidare alle libere e discrezionali scelte degli Stati aderenti 
il compito di individuare l'an e il quomodo dei relativi strumenti di applicazione. 
D'altra parte, � l'art. 60 della stessa Convenzione di Roma a stabilire 
che �nessuna delle disposizioni della presente Convenzione pu� essere interpretata 
come recante pregh.tdizio o limitazione ai diritti dell'uomo e alle 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

345 

libert� fondamentali che possono essere riconosciuti in base a leggi di qualunque 
Stato Contraente o da altri accordi internazionali di cui tale Stato sia 
parte�, con l'ovvia conseguenza di impedire l'interpretazione che il requirente 
pretende dare del pi� volte richiamato art. 7, secondo comma, per essere 
la stessa in dichiarata e stridente antinomia con il fondamentale diritto sancito 
dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione (omissis). 

TRIBUNALE DI ROMA, Collegio per i reati ministeriali, decreto di archiviazione 
9 ottobre 1997 nel procedimento penale nei confronti del 
Presidente del Consiglio Lamberto Dini ed altri, di Ministri e diplomatici 
vari (avv. Stato Fiumara). 

Trattati, convenzioni e organismi internazionali -Sovrano Militare Ordine di 
Malta (SMOM) e Associazione dei Cavalieri Italiani del Sovrano Militare 
Ordine di Malta (ACISMOM) -Posizione giuridica -Soggettivit� internazionale 
-Riconoscimento delle prerogative della sovranit�: immunit� 
e privilegi -Ipotesi di abuso d'ufficio o di omissione di atti d'ufficio Insussistenza. 
(Cost., art. 10; cod. pen., artt. 323 e 328; d.P.R. 15 dicembre 1980, n. 1055; legge 23 dicembre 

1978, n. 833). 

Non pu� ritenersi abusiva o comunque illegittima sotto il proBlo penale 
la condotta di organi di governo che, ritenuta la qualit� di soggetto di diritto 
internazionale del Sovrano Militare Ordine di Malta, conferita da una vicenda 
positiva o consuetudinaria incontestabile, hanno fatto conseguire dalla 
stessa quel tradizionale regime giuridico che legittimamente consegue nei 
reciproci rapporti fra soggetti dell'ordinamento internazionale (1). 

(omissis) Ritiene il Collegio che sia indispensabile, per dipanare l'intricata 
matassa, costituita dalle successive denunce del Di Iorio e dalle numerose 
�memorie aggiuntive� da questi presentate, sia al Collegio che al P.M., 
delimitare l'ambito della sua denuncia e, quindi, individuare i profili giuridici 
su cui la stessa si fonda. � 

(1) Il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) e l'Associazione dei Cavalieri Italiani 
del Sovrano Militare Ordine di Malta (ACISMOM) nel �diritto vivente� in Italia. 
1 -Il �Sovrano Militare Ordine Gerosolimitano� (cfr. la voce �Ordine di Malta�, 
in Enc. del diritto, vol. XXXI, pag. 1 e segg., e la voce �Sovrano Militare Ordine di 
Malta�, in Enc. giur. �Treccani�), detto prima di Rodi e poi di Malta, nacque ai tempi 
della prima Crociata (anno 1099 d.C.), con lo scopo di svolgere in Terra Santa da un 
lato attivit� assistenziale e ospedaliera in favore dei pellegrini e da un altro lato attivit� 
di difesa dei luoghi santi nei confronti dell'Islam. Esso rivendic�, sin dall'origine, una 
propria indipendenza e sovranazionalit�, resasi manifesta allorch� questa fu collegata, 
prima, nel '300, al territorio di Rodi, e poi, nel '500, al territorio di Malta. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

346 

In tale prospettiva � possibile ritenere che gli assunti dell'esponente 
siano i seguenti: 

A) il Sovrano Militare Ordine di Malta (SMOM) � un ente religioso, inserito 
nell'apparato della Santa Sede, che non dispone dei requisiti dell'autonomia, 
della originariet� e della sovranit� che, soli, attribuiscono l'attitudine 
ad essere soggetti di diritto internazionale; 

B) l'attuale riconoscimento e, quindi, il trattamento che lo SMOM riceve 
dallo Stato Italiano, quale soggetto internazionale (privilegi, immunit�, prerogative), 
non ha alcun legittimo fondamento. 

Tale, infatti, non pu� ritenersi lo scambio di note APOR-PELLA, del 
1960, in quanto le stesse da un lato non possono essere considerate come 
atto ricognitivo di una prassi consuetudinaria esistente nei rapporti tra i 
due soggetti (contrastando tale ipotesi con atti e contegni precedenti), dall'altro, 
ove allo scambio di note volesse attribuirsi il valore di un trattato 

E proprio a Malta l'Ordine istitu� un vero e proprio Stato, sopravvissuto territorialmente 
fino alla conquista francese del 1798. Con il Trattato di Vienna del 1815 
l'Ordine perse definitivamente il territorio e trasfer� la sua organizzazione a Roma nel 
1834, nell'ambito territoriale dello Stato pontificio e poi, a partire dal 1870, in quello 
dello Stato italiano. Esso si stabil� nei due palazzi romani di via Condotti e 
dell'Aventino e limit�, ovviamente, e limita attualmente, la propria attivit� al campo 
assistenziale e sanitario. 

Numerosissimi Stati qualificano �Sovrano� l'Ordine. In Italia la soggettivit� internazionale 
dello SMOM � discussa in dottrina: molti autori considerano l'Ordine un ente 
primario di diritto internazionale con capacit� giuridica pari a quella degli Stati, malgrado 
la mancanza di un territorio; altri parlano di capacit� giuridica internazionale limitata 
al campo assistenziale; altri, viceversa, negano del tutto la soggettivit� internazionale. 
La giurisprudenza invece � costante nel senso del riconoscimento di tale soggettivit�: 
�la posizione dello SMOM nell'ordinamento italiano -ha precisato Cass. Sez. Un. 26 
febbraio 1993 n. 2415 (in Giust. civ. 1993, I, 2729) e cfr. anche, da ultimo, Cass. sez. II, 
30 gennaio 1997 n. 944 -� stata definita da queste Sezioni unite dalle sentenze 19 luglio 
1989, n. 3374; 18 febbraio 1989, n. 960; 3 febbraio 1988, n. 1073; 20 febbraio 1985, n. 
1502; 3 maggio 1978, n. 2051; 6 giugno 1974, n. 1653 e dalle altre ivi richiamate, con le 
quali � stata affermata la soggettivit� internazionale dell'Ordine ...�. 

2 -Tra le istituzioni dello SMOM v'� in particolare l'Associazione dei cavalieri italiani 
del Sovrano Militare Ordine di Malta (ACISMOM), il quale svolge la sua attivit� 
prevalentemente in due direzioni distinte: un'attivit� istituzionale nel campo ospedaliero 
e sanitario in generale, svolta come attuazione e perseguimento dei fini propri 
dell'Ordine, e un'attivit� volta a organizzare il personale di assistenza da impiegare in 
caso di guerra o di calamit� naturali, svolta attraverso un corpo militarizzato i cui rapporti 
con le forze armate italiane � regolamentato da specifiche norme di legge (legge 4 
gennaio 1938 n. 23). 

L'ACISMOM in quanto emanazione dello SMOM risente nell'ordinamento giuridico 
italiano della posizione giuridica che viene attribuita all'Ordine: chi riconosce a 
questo la soggettivit� internazionale non pu� che considerare anche l'associazione come 
ente di diritto esterno a quello italiano. Cos� espressamente si � pronunciata la Corte 
Suprema nelle sentenze citate. 

3 -Conseguono alla soggettivit� internazionale dell'Ordine, -sia pure limitatamente 
alla sua attivit� funzionale in mancanza di collegamento con un territorio, una 
popolazione ed una organizzazione di governo in senso proprio -, le prerogative della 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 347 

sarebbe stata.necessaria una ratifica dello stesso per ritenerne la vigenza 
nel nostro sistema giuridico ai sensi dell'art. 80 della Costituzione, il che 
non � avvenuto. 

Su tali basi, pertanto, sempre secondo il denunciante, sarebbe totalmente 
illegittimo ed abusivo iltrattamento riservato allo SMOM (ed a_gli enti da quello 
promananti, inprimis l'ACISMOM), dalle pubbliche Amministrazioni ed, in 
particolare, dalla Presidenza del Consiglio, dal Ministero degli Affari Esteri, dal 
Ministero delle Finanze, dal Ministero della Sanit�, dal Ministero del Lavoro e 
della Previdenza sociale, per quanto attiene ai vincoli ed oneri non applicati ed 
alle esenzioni, immunit� e prerogative riconosciute al ridetto ordine. 

Entrambi gli assunti posti a base di questa ipotesi accusatoria, condivisa 
dal P.M;, appaiono decisamente infondati, tanto da indurre il Collegio, 
dopo l'espletamento delle sommarie indagini previste dal rito, alla archiviazione 
degli atti. 

sovranit�, cio� il riconoscimento delle immunit� e dei privilegi che la consuetudine 
internazionale ricollega ordinariamente ad esse. In linea generale si riconosce all'ordine 
l'autonomia completa nell'organizzazione del proprio ordinamento interno e nell'esercizio 
della: propria iniziativa esterna, l'esenzione tributaria generale relativamente 
all'attivit� concernente l'attuazione dei propri fini istituzionali, l'inviolabilit� domiciliare 
delle sue sedi, le.prerogativedel corpo diplomatico (con i contrassegni sulle automobili, 
l'immunit� giurisdizionale). Il tutto, pero, come si � detto, nei limiti dell'attivit� funzionale 
dell'Ordine e della sua organizzazione. 

Cos� la Corte suprema con sentenza 5 novembre 1991, n. 11788 (in Giust. civ. 1992, 
I, 389), in relazione all'assoggettabilit� all'INVIM decennale di alcuni terreni agricoli, ha 
ricordato che Ǐ acquisito da tempo alla giurisprudenza di questa Corte ... che l'Ordine 
di Malta, in quanto portatore di un proprio ordinamento indipendente (c.d. melitense) 
riconosciuto dall1talia e da altri Stati, gode nel diritto internazionale -e, quindi, anche 
nell'ordinamento italiano, in forza della norma di adattamento automatico sancita dall'art. 
10, co. 1, Cost. -di una peculiare soggettivit� funzionale alla realizzazione delle 
proprie finalit� istituzionali (quali delineate dall'art. 2 della Carta costituzionale dell'ente) 
e assistita, in tale ambito, al pari di quella riconosciuta ad altre organizzazioni internazionali, 
da prerogative normalmente spettanti agli Stati territoriali in ragione della 
loro sovranit�. La quale si traduce, essenzialmente, nella immunit� ... dalla giurisdizione 
degli altri Stati ... e, quindi, dalla passivit� alla potest� tributaria di questi ultimi, che 
della giurisdizione (nell'accezione lata) costituisce uno degli attributi�. � ... Il carattere 
funzionale della soggettivit� di cui fruisce il ricorrente si ripercuote sull'ampiezza della 
correlata immunit�, nel senso che, trattandosi di soggetto �conformato� dai propri fini 
e non potendo, perci�, costituzionalmente operare che per la loro realizzazione, l'immunit� 
copre tutti i rapporti e i mezzi dell'ente che non risultino distratti dalla loro 
destinazione �naturale� e, quindi, anche quelli di marca privatistica, ancorch� intrinsecamente 
.di contenuto neutro o promiscuo, che non esibiscano in concreto destinazioni 
diverse�. � ... Quel che rileva -conclude la Corte -� la �naturale� funzionalit� dell'attivit� 
svolta e dei mezzi disponibili, s� che, ove essi non risultino piegati al conseguimento 
di scopi meramente privatistici, l'imm�nit� tributaria deve essere, in principio, 
riconosciuta, quale che sia lo strumento volta a volta adoperato per il soddisfacimento 
delle finalit� pubblicistiche proprie del soggetto�. 

E quanto all'ACISMOM la Corte suprema, pur ribadendo (Cass. Sez. Un. 26 febbraio 
1993, n, 2415, loc. sopra cit.),--' in occasione di un ricorso per regolamento di 
giurisdizione proposto dall'associazione in relazione ad una lite promossa da un suo 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

348 

Sarebbe ampiamente sufficiente, per sostenere questa decisione, fare 

riferimento alla costante, reiterata e puntuale giurisprudenza della Suprema 
Corte di Cassazione che, con sentenze pronunciate a partire dal 1974 fino al 
gennaio 1997 (cfr., da ultimo, Cass. II Sez. Civile n. 944, del 30 gennaio 1997), 
ha affermato che lo SMOM e gli enti da quello promananti sono soggetti giuridici 
internazionali che godono limitatamente alla loro attivit� funzionale, 
diretta alla realizzazione dei fini pubblici dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, 
sia in tempo di pace che di guerra (art. 2 dello Statuto e art. 256 del 
Codice Melitense), delle prerogative, immunit� ed esenzioni riconosciute ai 
similari organismi internazionali. 

Il Collegio ritiene, tuttavia, di aggiungere talune osservazioni, che pos


sono ulteriormente suffragare, sotto il profilo della motivazione, la decisione 
che ritiene di assumere. 

ex segretario generale-, che ci� che attiene alla sfera istituzionale dell'ente (quale 
appunto la questione sulla soppressione della carica di segretario generale) impinge 

sulla sfera di sovranit� e di autorganizzazione dell'ente dotato di soggettivit� internazionale 
e sfugge quindi alla giurisdizione italiana, ha statuito, a proposito dell'attivit� 
sanitaria pur propria dell'ente (Cass. Sez. Un. 18 marzo 1992, n. 3360, in Foro 
it. 1992, I, 1102) che rientra invece nella giurisdizione del giudice italiano la cognizione 
del ricorso con il quale i dipendenti di un ospedale romano gestito 
dall'ACISMOM chiedono il riconoscimento delle qualifiche superiori, l'attribuzione 
del relativo trattamento economico e la corresponsione delle differenze retributive: e 
ci� perch� (a differenza che all'epoca cui si riferivano le precedenti sentenze 960/89 
e 3374/89, in cui vigeva una convenzione del 1977 fra regione Lazio e associazione) 
sono entrate in vigore le convenzioni previste dall'art. 41 della legge sanitaria 23 
dicembre 1978 n. 833 che regolano specificamente i rapporti fra UU.SS.LL. e Ordine 
di Malta, da cui Ǐ dato inferire una posizione dell'ACISMOM, quanto ai rapporti 
regolati, di subordinazione all'ordinamento pubblicistico italiano, e quindi, inevitabilmente, 
anche alla giurisdizione italiana�, soggezione che l'associazione liberamente 
accetta con la mera adesione (questa s� necessaria) alla convenzione nel suo 
inscindibile contenuto. 

4 -Questo appare, dunque, essere il �diritto vivente� oggi in Italia, dove la posizione 
dell'Ordine di Malta e della sua organizzazione (nella quale v'� l'ACISMOM) nel!'
ordinamento giuridico interno -cos� come individuata dal vertice della giurisdizione 
nazionale con un indirizzo che al momento � assolutamente costante -discende 
dalle regole del diritto internazionale generalmente riconosciute cui l'ordinamento italiano 
si conforma secondo il precetto costituzionale contenuto nell'art. 10 della nostra 
Carta (norma cd. di adattamento automatico). In questa angolazione non sembra assumere 
un valore decisivo lo scambio di note diplomatiche Ordine di Malta -Min. Esteri 
11 gennaio 1960 (il c.d. accordo Pella-Apor), che, nell'attesa di un'auspicata convenzione, 
�considera frattanto conveniente di richiamare ... le norme alle quali le Parti 
stesse si sono sempre attenute e tuttora si attengono per la regolamentazione dei rapporti 
medesimi� e cita le agevolazioni tributarie, le prerogative sovrane del capo 
dell'Ordine, le immunit� diplomatiche, le franchigie doganali, il riconoscimento della 
personalit� giuridica di ordine melitense ad alcuni enti dell'Ordine, l'insequestrabilit� 
e l'impignorabilit� di alcuni beni, il riconoscimento di onorificenze. Tale scambio di 
note, quale che possa essere la sua validit� formale (da alcuni contestata), nulla aggiunge 
a quello che gi� appare dalle norme consuetudinarie internazionali quali interpretate, 
con riferimento all'Ordine, dalla Corte Suprema. 

I 

I 


PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 349 

Inprimo luogo, appare decisamente infondato l'assunto, da cui muove il 
denunciante, circa la inettitudine dello SMOM ad assumere le qualit� di soggetto 
dell'ordinamento giuridico internazionale. 

� incontestabile, infatti, che la sua originariet� organizzativa ed istituzionale, 
rispetto alla Chiesa,. � data, findai suoi primordi, dal perseguimento 
di fini specifici (o5pedalieri ed assistenziali), rispetto ai quali si � dato autonomi 
strumenti di autogoverno e di autodeterminazione che, con la regola di 
Eugenio III del 1145, hanno trovato riconoscimento ufficiale da parte del 
Sommo Pontefice. Ma � la stessa Chiesa, con la sentenza cardinalizia del 24 
gennaio 1953, a dichiarare che Santa Sede e SMOM sono enti autonomi e 
sovrani i cui rapporti si situano nell'ambito del diritto internazionale. Ci� 
anche in base ad una prassi consolidata, che riconosce all'Ordine il godimento 
delle prerogative proprie dei soggetti internazionali, data, in partico-

E sulla base di questo diritto sono stati finora regolati i rapporti fra il settore pubblico 
nazionale e l'Ordine. � possibile che siano sorti e che permangano ancora dei contrasti 
interpretativi. Cos� pu� essere che l'INPS vanti contributi maggiori di quelli che 
l'Ordine ritiene dovuti; cos� pu� essere che una qualche pretesa tributaria sia o meno in 
discussione; e cos� via. Ma tutto ci� trova e deve trovare la sua composizione davanti ai 
giudici nazionali competenti, nei limiti -naturalmente -della loro giurisdizione. 

Pu� anche essere che questa soluzione non sia ritenuta da taluno soddisfacente 
(si � gi� detto che in dottrina non manca chi contesta la soggettivit� internazionale 
dell'Ordine e non certo per il suo valore formale, quanto per le conseguenze in ordine 
alle prerogative della sovranit� e alle connesse immunit�, a dire di questi, oggi, non pi� 
giustificate). Ebbene una diversa soluzione pu� discendere da una diversa interpretazione 
delle� norme internazionali oggi vigenti, norme internazionali che non sono certo 
create dall1talia ma alle quali vic�versa l'Italia si conforma secondo il precetto costituzionale; 
Cio�� sar� ben possibile che la situazione si evolva e ad essa faccia eco una 
�diversa� interpretazione giurisprudenziale, ma a tutt'oggi non vi sono segni tangibili 
di una tale evoluzione e tahto meno si � giunti al disconoscimento della soggettivit� 
internazionale dell'Ordine. 

5 -Le ipotesi di reato che si sono affacciate (abuso e/o omissione di atti di ufficio: 
artt. 323 e/o .328 cod. pen.) �in merito a presunti illeciti ravvisabili nelle attivit� 
ministeriali aventi ad oggetto i rapporti dell'amministrazione statale con SMOM e ACISMOM
�, si sono fondate, in sostanza, sulla considerazione che ingiustamente sarebbe 
stata attribuita allo SMOM (anche da parte della Corte Suprema) una soggettivit� 
internazionale che non avrebbe senso, il che avrebbe consentito allo SMOM stesso e 
all'ACISMOM di godere di immunit� e privilegi ingiusti, illegittimamente fatti valere 
anche nei confronti dell'INPS. 

Data la posizione sopra esposta dello SMOM e dell'ACISMOM nell'ordinamento 
giuridico italiano secondo il �diritto vivente� cos� come riconosciuto anche dalla Corte 
di cassazione, non potevano non cadere le ipotesi di reato prospettate, posto che: 

-non � ipotizzabile alcun reato nell'avere gli organi di governo �riconosciuto� la 
soggettivit� internazionale dello SMOM con tutte le conseguenze sopra indicate, perch� 
il riconoscimento � una verifica giuridica scaturente dall'applicazione delle norme 
del diritto internazionale, cos� come confermato dal consolidato indirizzo della Corte 
Suprema, discutibile finch� si vuole ma tale allo stato attuale della giurisprudenza 
(diritto vivente); 

-non � ipotizzabile alcun reato nel non avere gli organi di governo posto in essere 
atti tali da far venir meno un riconoscimento che non avrebbe pi� senso, perch� 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

350 

lare, dal riconoscimento operato da vari Stati (cos� come lo stesso denunciante 
ammette e documenta, con le note depositate il 27 luglio 1997 a questo 
Collegio). 

Su tali basi appare, quindi, corretto, riconoscere che l'Ordine, da tempo, 
si presenta, a prescindere dai riconoscimenti e dalle intese, come un soggetto 
che appartiene, a pieno titolo all'ordinamento internazionale. 

Consta che, ad oggi, l'Ordine ha stabilito rapporti diplomatici, a mezzo 
di legazioni od ambasciate, con oltre quaranta Stati. Tra questi l'Italia, che ha 
riconosciuto alla rappresentanza diplomatica dell'ordine il rango di 
Ambasciata fin dal 1980 (d.P.R. n. 1055/1980). 

Ne consegue che l'Ordine non necessita, per partecipare a rapporti di 
diritto internazionale, della attribuzione di una qualit� (quella di soggetto 
dello stesso ordinamento) che appare a lui ormai conferita da una vicenda 
positiva o consuetudinaria incontestabile. 

Se questo � il quadro in cui nell'ambito internazionale si situa lo SMOM, 
non si vede in qual modo possa ritenersi abusiva o, comunque, illegittima, 
sotto il profilo penale, la condotta dei soggetti individuati dal P.M., che, in 
vario modo, ritenuta quella qualit�, hanno fatto conseguire dalla stessa, quel 
tradizionale regime giuridico che legittimamente consegue nei reciproci 
rapporti tra soggetti dell'ordinamento internazionale. 

Va notato che il ricordato scambio di note PELLA-APOR, che specificava 
ed ufficializzava i contenuti di quel regime giuridico, risale al 1960 per cui, 
anche ove si ammettesse che lo stesso non aveva valore ricognitivo di una 
prassi in atto a quel momento, ha avuto, comunque, la capacit� di istituire 
una regola di comportamento nell'arco di quasi quarant'anni e cos� ha consolidato 
quell'opini o iuris che � la premessa maggiore per il sorgere della 
norma consuetudinaria. 

essendo il riconoscimento il frutto di una situazione presa in considerazione dalle 
norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, un eventuale disconoscimento 
attuale non solo si presenterebbe come un atto politico come tale certamente non 
sindacabile in sede giurisdizionale, ma dovrebbe comunque basarsi su un mutamento o 
una diversa considerazione di quella situazione che ha finora determinato il riconoscimento 
sulla base di univoche emergenze rilevanti per il diritto internazionale (anche 
secondo l'interpretazione del massimo organo coordinatore della giustizia italiana): non 
si pu� quindi pretendere un atto autoritativo (finanche legislativo) che implicherebbe 
una scelta �politica� che non solo non sarebbe sindacabile in sede giurisdizionale ma 
che comunque verrebbe ad incidere su una situazione che va risolta pur sempre secondo 
le norme del diritto internazionale e non di quelle del solo diritto interno; 

-parallelamente non � ipotizzabile alcun reato, per le stesse ragioni sopra indicate, 
nel non avere gli organi di governo impedito o limitato le immunit� e i privilegi, 
in quanto le une e gli altri conseguono, secondo e nei limiti segnati dalla corrente giurisprudenza, 
alla posizione giuridica dello SMOM e dell'ACISMOM (eventuali correzioni, 
ove vi fosse qualche errata estensione, possono sempre essere apportate dalla 
giurisprudenza stessa). 

OSCAR FIUMARA 



PARTE I, SEZ. VI, GIURISPRUDENZA PENALE 

In altri termini, il problema che va affrontato e risolto nel caso di specie, 
non � quello di attribuire allo scambio di note il valore ricognitivo di precedenti 
prassi ovvero di un trattato internazionale, ma, pi� semplicemente, di 
riconoscere che quell'intesa, seppure non riversata nell'ordinamento positivo 
in modo formale, attraverso la ratifica, ha dato origine ad un modello di comportamento 
che, nel prosieguo del tempo, si � consolidato in una vera e propria 
norma consuetudinaria. 

Del resto, da tempo, la dottrina pi� accreditata riconosce che alcuni atti 
unilaterali, quali il riconoscimento, ovvero progetti di convenzioni, possono 
rappresentare forme di consacrazione di norme consuetudinarie, trascurando 
l'eventuale conversione in norme scritte. 

A ci� si aggiunga che il valore che pu� essere attribuito dell'accordo 
PELLA-APOR di cui si � detto finora, ha trovato seguito in successive norme 
di legge, quali il d.P.R. n. 105511980, che ha riconosciuto alla rappresentanza 
diplomatica dell'Ordine, il rango di Ambasciata, ovvero, la legge n. 833/978, 
che ha sancito che i rapporti tra lo SMOM e le USL debbano essere regolati 
da apposite convenzioni ed, ancora, l'accordo tra la Repubblica Italiana e lo 
SMOM in materia di assistenza in caso di gravi emergenze, entrato in vigore 
il 28 gennaio 1991 (pubbl. in Gazzetta Ufficiale del 15 luglio 1991). 

Questi dati positivi, oltre ad avvalorare quanto fin qui detto in ordine alla 
legittimit� del regime giuridico attuato nei confronti dell'Ordine, consentono 
altres� di accreditare, a tutti gli indagati, quantomeno un convincimento di 
buona fede in relazione a quella legittimit�, che impedisce, sotto il profilo 
soggettivo, di ritenere fondata la contestazione formulata nei loro confronti. 

P.Q.M., visto l'art. 8 Legge Costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1 in difformit� 
con le richieste del P.M. dichiara non doversi promuovere l'azione penale 
nei confronti degli indagati come sopra indicati, ordinando la trasmissione 
degli atti all'archivio (omissis). 


PARTE SECONDA 



RASSEGNA DI DOTTRINA 


DA UNA AMMINISTRAZIONE SENZA GIUDICE 
VERSO UNA GIUSTIZIA SENZA AMMINISTRAZIONE? 


Relazione tenuta al Convegno �Giustizia nell'amministrazione: verso il 2000.� celebratosi a Venezia in data 30-31 

maggio 1997 ed organizzato dalla Regione del Veneto, dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, dal 

Consiglio di Stato edal!'Associazione Veneta Avvocati Amministrativisti. 

SOMMARIO: 1) PREMESSA. 2) LA RIFORMA �TRADITA� DEL 1865 (DALL'ANCIEN 
R�GIME ALLO STATO LIBERAL-BORGHESE). 3) LA �CONTRORIFORMA;, 
CRISPI E L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA (DALLO STATO LIBERAL-BORGHESE 
ALLO STATO SOCIALE). 4) LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E LA 
LEGGE ISTITUTIVA DEI TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI. 4.1) 
EVOLUZIONE DEL SISTEMA FINO AL 1990. 4.2) DALLO STATO SOCIALE ALLO STATO POSTMODERNO. 
5) DALLO STATO POSTMODERNO ALLO STATO �MINIMO� -PRIVATIZZAZIONE 
E GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA. 5.1) GENERALIT�. 5.2) LE TRADIZIONI 
ITALIANE ELE LEGGI DI PRIVATIZZAZIONE DEGLI ANNI '90 (PRIVATIZZAZIONE DI SOGGETTI, 
PROPRIET� E RAPPORTI). 5.3) LA PRIVATIZZAZIONE INDIRETTA (PRIVATIZZAZIONE DI 
ATTIVIT�). 5.3.1) L'amministrazione partecipata e concertata. 5.3.2) L'amministrazione 
delegata. 5.4) LA GIURISDIZIONE. 5.5) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE. 

1) PREMESSA 

Il tema di questo Convegno appare particolarmente stimolante, bilanciato com'� 
fra la suggestione di una scadenza millenaristica prossima ventura e la riproposizione 
di un tema -quello della giustizia nell'amministrazione -la cui attualit� si ripresenta 
con singolare frequenza nella nostra storia. 

Una storia dalla quale mi pare d'obbligo prendere le mosse sia per il taglio diacronico 
del tema, sia perch� solo un esame delle radici storiche degli istituti pu� rendere 
ragione del travagliato percorso seguito nel tempo dalla nostra giustizia amministrativa 
e consentire forse anche qualche cauta profezia. 

Anticipando, rispetto al corso dello svolgimento del tema, alcune osservazioni di 
carattere generale sembra interessante notare come la nostra giustizia amministrativa 
sia connotata, nella sua evoluzione, da due bizzarre caratteristiche: la prima � quella 
di essere condizionata da un mito ricorrente, quello del giudice unico, fonte ispiratrice 
della riforma del 1865 e che periodicamente (e fino ai giorni nostri) riappare sulla 
scena. La seconda � quella di indirizzare le proprie trasformazioni sempre per vie 
diverse da quelle tracciate dal legislatore per forza di una matrice giurisprudenziale 
che, facendosi interprete di valori giuridici, socio-politici e culturali ben precisi, ha 
sempre prevalso sul dato normativo (con divaricazione da esso tanto maggiore quanto 
pi� quel dato si ponesse in posizione di rottura con la tradizione), sia quando un legislatore 
troppo innovatore abbia cercato di forzare la mano, trapiantando nel nostro 
sistema istituti non compatibili con esso perch� estranei alle sue tradizioni, sia quando 
un legislatore conservatore a tutti i costi abbia troppo tardato ad introdurre le innovazioni 
che i tempi esigevano. 

La creazione giurisprudenziale di un giudice amministrativo di modello francese 
di fronte ad una riforma legislativa (quella del 1865-1889) che ne negava l'esistenza ed 
introduceva un modello inglese di giudice unico � un esempio della prima ipotesi. 



���RA:{)SEGNA AVVOCATURA DELLO ST!\.T.O

4 

Le tumultuose evoluzioni giurisprudenziali degli ultimi venti anni di fronte ad una 
costituzione ed una legislazione che -a parte l'introduzione del doppio grado -si 
erano limitate a recepire con precisione notarile le conquiste giurisprudenziali della 
prima met� del secolo, sono un esempio della seconda.� 

2) L� RIF�Rl\ilA ��R�DITA� DEL 1865 (DALL'ANCIEN R�GIME ALLO STATO 
LIBERAL-BORGHESE) 

Prima dimostrazione emblematica dell'assunto � proprio la nascita del giudice ammini$
tratiyo;ita.Jiflll.oi fr.tto di una riforma travagliata e sofferta, articolata in tre tappe ( 1865, 
l~77, 1889/9());f,i,\lrata qen un quarto di secolo ed infori;nata al principio-guida della esclusione 
di uti qual13iasi giudice amministrativo contrapposto al giudice ordinario. 

La vicenda storica.� ben nota: iHegislatore del 1865, sotto la spinta delle rivoluzioni 
liberali di :inezzo secolo, soppresse il.contenzioso iwiministrativo di modello francese 
devolvendo al giudice ordimlfio 7 almeno nelle. intenzioni, quali risultano chiarissime 
dai lavori preparatori -la cognizione di tutte le materie di �amministrazione 
contenziosa�, che erano per il passato attribuite. ai Tribunali del contenzioso, riservando 
alla Amministrazione soltanto quelli di <<amministrazione pura� (1). 

. Oper� cio.� una scelta di �civilt� gillridica� quale pii) netta non poteva essere, 
optando per� il sistema anglosassone .:__ mediato attraverso la esperienza belga -e 
rifiutando il sistema francese di una giustizia interna alla Amministrazione o comunque 
di un giudice amministrativo diverso da quello ordinario e nella Amministrazione 
in qualche modo incardinato. 

Tale scelta di civi;lt� giuridica, oltre che netta, fu anche consapevole, come risulta dal 
dibattito parlarnentare che precedette la riforma,.tutto intessuto di sottilissime analisi sui 
diversi sistenrl giuridici: testimonianza di una notevole cultura comparatistica che precedeva 
di quasi mezzo secolo l'atto di nascita del diritto .comparato come autonoma 
discipliria (2). Sorprendentemente, per�, tale cultura comparatistica che aveva fatto sfoggio 
di s� nelle aule parlamentari e. nei dil:lattiti dottrinari, svan� nelle aule di giustizia. 

L'attuazione della riforma ne trad�, infatti, lo spirito: la timidezza del giudice ordinario 
nei confronti dell'Amministrazione ridusse a ben poca cosa la tutela dell'amministrato: 
non che giudicare di tutti i. diritti �civili e politici� secondo la formula mutuata 
dalla Costituzk)ne l:lelga del l 831 ed ac;cogliendo 7 come sarebbe stato logico quella 
tradizione giurispnidenziale .ben .pi� liberale, .il giudice italiano autolimit� la 
propriac�mpetenza ai diritti pieni, a fronte dei quali vi fosse una attivit� di mero diritto 
privato dell'Amministrazione (3), cos� accordando al nostro concittadino di un seco


(1 i F. CAMMEO, (;omment�if� delle leggi :Sulla giusti:tia amnifuistrativa, Mi!an�, s.d., I, 430. 

. . (2) I.F. CARAMAZZA -F,. QUADRI, n�.diritto civ#e e Politico., d~cittadino nella cogni:tione dell'autorit� giudiziaria 
ordinaria, in Rass, Avv. Stato 1988, II, 87. Non sembra infatti di poter condividere alcune recenti riletture storiografiche 
che vedono nella riforma del 1865 una scelta di campo in favore dell'amministrazione e delle sue prerogative;. 
scelta di campo effettuata addirittura scontando, con ma.chiavellica preveggenza, .le timidezze, i timori e 
le connivenze della magistratura e qu�ndi la giurisprudenza� che si sarebbe formata (S. SAMBATARO, L'abolizione del 
conten:tioso.nel sisteJJUl di giustizia.amministrativa, Milano, 1977, 64; A .. PAINo, Le nonne costitu:tionali sulla giusti:
tia amministrativa., in Dir. Proc..Amm.vo, 1994, 419). � � 

�A tacer d'altro va infatti considerato che gli artt; 2, 4 e 5 della.legge rapprese!)!ano la quasi letterale traduzione 
degli artt.. 92,.93 e 107 della Costituzione belga del 1831, gi� collaudati da una ultratrentennale applicazione da 
parte di quei gitidici/ che avevano sviluppato una giurisprudenza assai liberale da cui il legislatore italiano aveva 
tratto dichiarata ispirazione. Per maggiori dettagli sul punto vedasi I.F. CARAMAZZA -F. QUADRl, op.cit. 

(3) Nonostante alcune diverse opinioni deve ritenersi che fu quello il criterio generalmente seguito: cfr. G. 
VACCHELU, La difesa giurisdi:tionale dei diritti dei cittadini verso l'autorit� amministrativa, in Primo Trattato completo 
di diritto amministrativo italiano, Milano, 1901, Voi. III, 437, nota (!); adde M. Nmao, Giusti:tia 
Amministrativa, Bologna, 1983, 89; F. BENVENUTI, Giusti:tia Amministrativa, Enciclopedia del Diritto, XIX, 599; F. 
BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudi:tio e la soluzione italiana, in �/'Avvocatura dello Stato�, Studio storico 
giuridico per la �celebrazione del Centenario, Roma, 1976, 278 ss. 

P AlltE ll, DO'ITR'.INA 

5 

lo fa la stessa tutela giurisdizionale che i giudiei di Berlino accordavano, in pieno 700, 
al mugnaio di Sans Souci sotto Federico II. In un regime, quindi, che, per e8sere illuminato;
� non cessava di essere assoluto. 

Il self-restraint del giudice. italiano oper� lungo� tre direttive!�� la negazione della 
qualit� dfdiritti civili.o politici a quelli derivanti da leggi amministrative, la negazione 
del potere di disapplicazjorte di atti. quartdQ ladllegittimit� fosse dedotta in via diretta 
e principale, i~ guanto immediatamente lesiva di una posizione tutelata e; it1fuie �..;questa 
l�limitazfone piil grave= la 11.egazionedell� propria potestasjudicandia fronte 
di una attivit� i�re imperli della Amministrazione (4), 

In conclusione, dalla riforma liberale che avrebbe dovuto assoggettare 1a pubblica 
iai:mniillstrazforte iidtu:fgi�diee unico, equfordinandola al privato; nacque; in realt�, 
ui:i�ammimstrazione senza giudice, in quanto sottratta a qualunque Sindacato giuri" 
sdizionale che non fosse quello sulla attiV�t� jure privatoruin: sindacato da sempre esistito 
e comunque ben noto gi� prima della rivoluzione francese; 

3) LA�. �CONTR.OltlFORMA� CRlSPI E L'EVOLUZIONE DEL SISTEMA (DALLO 
STATO LIBERAL~BO:RGFIESE ALLO STATO SOCIALE) 

Il diritto vivente cos� formatosi non poteva Iion generare uno stato di aeuta msoddisfazione: 
mia insoddisraziOne di cm il discors() di Bergamo di Silvio Spaventa ri:inane 
la piU alfa testimonianza. Per ovviare a tale msoddisfazione il legislatore si trov� a dover 
risolvere un dilemma: o ampliare -. eventualmente in via di interpretaziOne autentica 
-il numero delle situazioni soggettive tutelate dillnanzi al giudice ordinario, disconoscertdoi 
risultati gl:urispruderi.ziali raggiimti, come suggerivano alcuni (5), ovvero accettare 
per buono quel�dirltto vivente� ed istituire un altro organo� per tutelare situazioni 
diverse dai dintti. Una volta scelta tale seconda soluzione, fu� giocoforza accettare il 
postulato che ci� che andava tutelato, per garantire la legalit� nell'azione a.:iniri:iriistrativa, 
erano m�ri �interessi>; (aventi cio� ad oggetto beni della vita non conseguibili senza 
l'intermediazione dell'esercizio di un potere discrezionale) e che di essi non avrebbe 
potuto conoscere che un organo incardinato nell'esecutivo. Cosl infatti si disse espre&samente 
nella refazfon� alla legge istitutiva della IV Sezione del Consiglio di. Stato: �il 
nuovo istituto� 11on � un tribunale. giudiziario speciale o eccezionale,. ma rimane nella 
sfera delpotere esecu:tivo, da cui prendela materia e le persone che Io devono mettere 
in atto. � Io stesso potere esecutivo ordinato in modo eia tl.ltelare m,aggiormente gli interessi 
dei cittadini. Perci�, adiffereriza dell'antico contenzioso amministrativo, esclude 
ogni confusione di poteri costituzionali... � soltanto un corpo deliberante che il potere 
esecutivo fol'llla con elem,e.tiscelti nel suoseno,com,e a sindacare clei suoi atti, e per 
mantenere la sua azione .e.i limiti d�llii leg!llit~ e 4ella giustizja� (6). 

Il fatto che. nella concezion.e del legislatore n nuovo istituto . fosse un organo 
dell'Amministrazione consent� peraltro di iittribu�rgli un pot~:~re che giammai, all'epo~ 
ca, sarebbe stato affidato ad un oi;gano giurisdizionaie, Cio� quello di sospendere, 
annullare e revocare l'atto amministrativo (7), il che contribu� a fai s� che la nuova 

(4) I.F. CARAMAZZA, Primo centenario della legge 31 marzo 1889 n. 5992, Relazione tenuta nell'incontro celebrativo 
organizzato dal CISA e tenuto il 12 aprile 1989 nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. 
(5) Cfr. Atti parlamentari Senato 20 marzo 1888, 1170. 
(6) V. SCIALOJA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, in Riv. Dir. Pubbl. 1931, 417. 
(7) Scrisse infatti.V. SCIALOJA, op. cit., 412, che �attribuire quest'ultima facolt� al Consiglio di Stato, infatti, non 
significa, nel concetto della legge del 1889, sottrarla all'Amministrazione�. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

6 

Sezione, sapientemente guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos� fortemente 
voluta, conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la tutela 
offerta �non cedeva, per indipendenza di giudizio, a quella che si poteva ottenere, 
per i diritti, dall'Amministrazione giudiziaria ordinaria� (8). 

Nelle intenzioni del legislatore non vi era, dunque, alcuna �Controriforma�: si 
voleva invece mantenere fermo il principio della giurisdizione unica introdotto con la 
legge abolitiva del contenzioso. 

All'epoca, infatti, il concetto che �la fonte della giurisdizione � unica e che, di regola 
almeno, debba essere esercitato dal solo potere giudiziario, dominava ancora tenacemente
� (9). 

La forza delle cose, comunque, non tard� a prevalere sull'involucro formale 
costruito dal legislatore, tant'� che la natura giurisdizionale della nuova Magistratura 
fu pressoch� immediatamente riconosciuta dalla giurisprudenza: gi� nel 1893, infatti, 
la Cassazione di Roma a Sezioni Unite, con sentenza 21marzo1893, n. 177 (10), statuiva 
che �la IV Sezione del Consiglio di Stato � stata investita dalle leggi 31 marzo 
1889 e 1� maggio 1890 di una vera e propria giurisdizione, la quale ha pure il carattere 
speciale di fronte a quelle generiche assegnate all'autorit� giudiziaria, donde l'ammissibilit� 
del ricorso per incompetenza o eccesso di potere anche contro le decisioni 
della IV Sezione� (11). 

In definitiva e per concludere sul punto, occorre constatare che da una riaffermata 
unicit� della giurisdizione in capo al giudice ordinario (con istituzione di un procedimento 
amministrativo contenzioso �quasi giudiziale� interno all'Amministrazione a 
garanzia oggettiva di legalit�) nasceva un giudice amministrativo incardinato 
nell'Amministrazione, sull'esempio del modello francese. Un modello la cui evoluzione 
doveva essere imitata bruciando le tappe: quella trasformazione da organo amministrativo 
in organo giurisdizionale che aveva richiesto tre quarti di secolo al Consiglio 
di Stato transalpino doveva consumarsi, infatti, per la IV Sezione di quello italiano, nel 
breve volgere di pochi anni. 

Ancora una volta si conferma quindi l'~ssunto della tendenza della nostra giustizia 
amministrativa a battere vie diverse, se non addirittura opposte a quelle tracciate 
dal legislatore. 

Cominciava cos� la singolarissima -e per tanti versi ambigua -�costruzione del 
giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano, nato nell'amministr�zione ed evoluto 
nella giurisdizione per giudicare di un interesse legittimo considerato come situazione 
sostanziale fino alle soglie del giudizio, al cui accesso legittimava, per perdere poi in 
esso tale connotato in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o 
disconosceva alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare -un 
atto amministrativo. 

Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato, 
una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare se stessa (12), questo in linea 
con quella tradizione transalpina che riconosceva nel Conseil d'Etat -nato come massima 
espressione logica di una �amministrazione senza giudice� ed evolutosi in giudice 
dell'amministrazicme (13) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino con


(8) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 284. 
(9) V. SCIALOJA, op. cit., 411. 
(!O) In Foro It., 1893, I, 294 ss. 
(11) La massima � tratta dalla Relazione dell'Awocato Generale per l'anno 1898, 32. 
(12) L. PICCARDI, futervento al X Convegno di Studi di scienza dell'amministrazione, 1964, Atti, 97. 
(13) G. VEDEL, ncontrollo.giurisdizionale della pubblica amministrazione in Francia, in �Il controllo giurisdizionale 
della P.A.�, Stucli di diritto comparato cli A. Piras, Torino, 1971, 84-85. 

PARTE II, DOTTRINA 

7 

tro gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle prerogative del potere pubblico 
(14), considerato non solo �parte� da giudicare, ma anche apparato da dirigere e da 
consigliare ( 15). 

Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi quella ulteriore 
derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non omogeneamente collegato 
con un previo giudizio �di merito�. 

In tale ambiguit� di fondo nacque e prosper� l'interesse legittimo come creatura 
di laboratorio o pianta di serra che da tale origine fu sempre d'altronde perseguitato, 
meritando da parte della dottrina le pi� irrispettose qualificazioni: da �inesistente 
quiddit�� (16) a �Criterio inafferrabile ed imponderabile� (17), a �informe creatura� 
(18), a �diritto soggettivo sottosviluppato� (19), a �fantasma� (20), a �oggetto misterioso
� (21), a �esclusiva e poco invidiabile peculiarit� del nostro sistema� (22), a �figura 
mitologica che non si pu� n� comprendere n� discutere� (23), a �pseudo-concetto di 
misteriosofia giuridica� (24), per non citarne che alcune in ordine cronologico. 

Nato come espediente esegetico (25) per superare le aporie del sistema di giustizia 
creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla loro interpretazione) fu teorizzato 
come situazione giuridica soggettiva sostanziale unitaria sulla scorta del 
seguente sillogisma: se alla IV Sezione doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se 
1 'interesse davanti ad essa fatto valere poteva essere protetto denunciando incompetenza, 
violazione di legge ed eccesso di potere, occorreva allora riconoscere che la riforma 
del 1889 aveva attribuito natura giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal 
diritto civile e politico e dall'interesse semplice, materiale, economico (26). 

L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal postulato della 
situazione giuridica soggettiva come �prodotto immutabile della ragione� (27). 

Pur con tutti i suoi vizi di origine sta per� di fatto che l'interesse legittimo crebbe 
e si svilupp� al centro di quella elegantissima costruzione giuridica che il Consiglio di 
Stato italiano ha creato in tre quarti di secolo, una costruzione in cui non si sa mai se 
ammirare di pi� la fantasia nell'escogitare nuove soluzioni (basti ricordare il silenzio e 
l'atto paritetico), il rigore giuridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel raggiungere 
sostanziali risultati di giustizia attraverso un armamentario normativo rozzo e limitatissimo. 


Condizione di vita per l'interesse legittimo in quanto �fiore di serra� era per� il 
permanere della serra, cio� di quello specialissimo giudizio di cui si � detto e che era, 

(14) A. MESTRE, Le Conseil d'Etat, protecteur des pr�rogatll�es de _ w11stration, Parigi, 197 4. 
(15) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. 
(16) G.D. TIEPOLO, La giustizia amministrativa e il discentramento, in Giustizia Amministrativa, III, 1892, 103. 
(17) V.E. ORLANDO, Contenzioso Amministrativo, in fl Digesto Italiano, voi. VIII, prt. 2', Torino, 1895-98, 988. 
(18) G. BERTI, Amministrazione autonoma e giustizia amministrativa nella legislazione unificatrice del 1865: 
il contributo del deputato Francesco Borgatti, in l'Unificazione amministrativa e i suoi protagonisti, a cura di F. 

Benvenuti e G. Miglio, Milano, 1969, 418. 

(19) M.S. GIANNINI -A. PIRAs, Giurisdizione amministrativa, in Enciclopedia del diritto, XIX, 28L 
(20) E. FAZZALARI, Il futuro del processo amministrativo visto da un processualcivilista, in Foro amm., 1985, 
II, 349. 
(21) E. FAZZALARI, op. /oc. cit 
(22) F. LONGO, Proposta per una riforma del supremo organo regolatore del riparto delle giurisdizioni e delle 
questioni di attribuzione giurisdizionale, in Studi peril centocinquantenario del Consiglio di Stato, Roma, 1981, III, 
1368. 
(23) M. NIGRO, Ma che cos'� questo interesse legittimo? Interrogativi vecchi e nuovi spunto di riflessione, in 
Foro it., 1987, V, 470. 

(24) R. CARBONI, Gli aiuti comunitari fra diritto soggettivo e interesse legittimo, in Diritto comunitario e degli 
scambi internazionali, 1985, 137. 
(25) E. GurccIARDr, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia amministrativa, in Studi di giustizia 
amministrativa, Torino, 1967, I. 

(26) O. RANELLETI1, cit. in B. SORDI, Giustizia e amministrazione nell1talia liberale -La formazione della nozione 
di interesse legittimo, Milano, 1985, 373. 
(27) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 337 ss. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

s�, processo di parti, ma in cui una parte � �meno parte dell'altra� (28) ed in cui il giudice 
� anche il �padre spirituale� di quella (29). 


Un processo, insomma, �datato� e connotato in peculiarissimi dati politologici, 
sociologici e culturali. 

4) LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA E LA LEGGE ISTITUTIVA DEI TRIBUNALI 
AMMINISTRATIVI REGIONALI 

4.1) EVOLUZIONE DEL SISTEMA FINO AL 1990 

Il sistema di giustizia amministrativa italiano creato e sviluppato dall'opera pretoria 
del Consiglio di Stato, fu costituzionalizzato dalla Carta repubblicana nel 1948 
in modo quasi notarile, con tutte le sue originalit� e le sue contraddizioni: basti pensare 
a quella che vede contrapporre da un lato la qualificazione dell'interesse legittimo 
come posizione soggettiva sostanziale (art. 24); dall'altro la qualificazione del 
giudizio amministrativo come giudizio sull'atto e quindi come giudizio cassatorio, 
inidoneo a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico, modesto 
elemento innovativo, l'introduzione del principio del doppio grado, con la previsione 
(art. 25) dell'istituzione a livello regionale di organi di giustizia amministrativa 
di primo grado. Previsione cui doveva dare attuazione la legge istitutiva dei 
TT.AA.RR. (6 dicembre 1971 n. 1034) che, com'� noto, non contiene alcuna rivoluzionaria 
innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle formule 
tradizionali. 

Normativa costituzionale e normativa ordinaria sembravano dunque segnare, a 
prima vista, il consolidamento del sistema tradizionale di giustizia amministrativa. 
L'evoluzione della giurisprudenza, mostra invece una rapida e progressiva evoluzione 
dovuta a tutta una serie di fattori che trascendono il dato normativo. 

Vi � innanzi tutto la creazione di una nuova classe di giudici amministrativi italiani, 
di estrazione diversa da quella tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da 
ogni funzione di consulenza. Ci� ha fatto s� che, nei confronti dell'Amministrazione, la 
giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per la prima volta nella sua storia, un 
netto distacco, cui si aggiunge una nota di diffidenza e di sospetto ogniqualvolta la questione 
sottoposta al giudizio abbia una particolare rilevanza politica o comunque incida 
su fatti politicamente rilevanti (30). 

La diffusione �sul territorio� dei giudici amministrativi, il diffondersi della cultura 
ed il miglioramento del tenore di vita, hanno reso, poi, di massa una domanda di' 
giustizia che prima era solo elitaria. 

A ci� si aggiunga la comparsa sulla scena del giudizio di nuovi soggetti, di parte 
privata e pubblica. 

Da un lato comparvero, infatti, gli enti esponenziali di interessi diffusi, dall'altro 
le Amministrazioni locali nella nuova dimensione portata dalla riforma regionale e dal 
decentramento, che hanno spostato il livello decisionale amministrativo da organi 

(28) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato, in giudizio e la soluzione italiana, in Riv. dir. pubbl., 
1931, 595. 
(29) E. CANNADA BARTOLI, in Atti Parlamentari, Camera, I Commissione permanente, Audizioni sullo stato della 
giustizia amministrativa, seduta 30 ottobre 1984. 
(30) F. PIGA, 150 anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno celebrativo del 150� anniversario, Milano, 
1983, 391. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

10 

Altra nota di rilievo � la tendenza a trasformare il criterio di discrimine fra le due 
giurisdizioni da quello tradizionale della distinzione fra diritto e interesse in quello 
della ripartizione per materie. 

Larga parte della dottrina tende a spiegarlo come effetto dello sviluppo della giurisdizione 
esclusiva del giudice amministrativo, dovuto a ricorrenti spinte del legislatore 
e della giurisprudenza (34). 

La legge istitutiva del T.A.R. segn� l'avvio del fenomeno con l'attribuzione a detta 
competenza della materia delle concessioni (con norma che fu, per di pi�, interpretata 
estensivamente dalla giurisprudenza (35)), cos� intaccando per la prima volta, per clausola 
generale invece che con il classico principio di enumerazione, il criterio tradizionale. 

Seguirono -in via esemplificativa e non esaustiva -le leggi 20 marzo 1980 n. 75, 
24 marzo 1981 n. 145 e pi� di recente la legge 7 agosto 1990, n. 241, che devolve alla 
competenza esclusiva del giudice amministrativo le controversie sull'�amministrazione 
contrattata� di nuova istituzione e la legge 10 ottobre 1990, n. 287 sulla tutela della 
concorrenza e del mercato che devolve al T.A.R. Lazio la competenza in via esclusiva 
a conoscere dei ricorsi contro i provvedimenti amministrativi in base ad essa adottati. 

Ma vi � di pi�: la giurisprudenza si � inserita nella linea evolutiva di tendenza cos� 
segnata dal legislatore ed ha qualificato come esclusiva, in taluni casi, una competenza 
giurisdizionale che il legislatore, nell'attribuirla al giudice amministrativo, aveva 
lasciato priva di etichetta. Si allude in particolare all'art. 32 L. 11 giugno 1971, n. 426 
relativo ai ricorsi sui provvedimenti del sindaco in materia di autorizzazioni di commercio 
ed all'art. 16 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, relativa ai ricorsi in materia di 
concessione di costruzione, dei relativi contributi e delle sanzioni (36). 

Alle considerazioni sin qui svolte deve poi aggiungersi un richiamo alla giurisprudenza 
della Corte Costituzionale, che ha �civilprocessualizzato�, con notissime sentenze 
(37), i poteri cautelari e probatori del giudice amministrativo in sede di giurisdizione 
esclusiva. 

Il rapporto fra giurisdizione generale di legittimit� e giurisdizione esclusiva, che 
una volta era da regola ad eccezione, tendeva dunque ad invertirsi e tendeva pure, per�, 
ad invertirsi il modello di giudizio: se una volta era il giudizio sull'atto a limitare il giudizio 
sul rapporto, in prospettiva era il giudizio sul rapporto, nelle dimensioni processualcivilistiche 
raggiunte, ad informare di s� il giudizio sull'atto, attraendolo verso il 
giudizio sulla pretesa. 

Era venuta sfumando, dunque, sempre di pi� la distinzione fra diritto ed interesse 
come situazioni sostanziali tutelate, avviate come apparivano le due figure verso una 
garanzia giurisdizionale sempre meno differenziata, s� che anche con riferimento alla 
giurisdizione generale di legittimit� il criterio discriminatore sostanziale pi� che alla 
qualificazione della posizione vantata si riferisce molto spesso al �Settore materiale di 
competenza�, come � stato gi� autorevolmente rilevato, con riguardo alle famose sentenze 
della Suprema Corte sul diritto alla salute (38). 

(34) M. NmRO, Nuovi orientamenti giurisprudenziali in tema di ripartizione della giurisdizione fra giudice 
ordinario e giudice amministrativo. Atti della tavola rotonda, in Foro Amm.\12 1981, 2140 ss.; G. BERTI, Divisione delle 
situazioni di tutela e degli ordini dei giudici, in Istituto di diritto pubblico facolt� di giurisprudenza dell'Universit� 
degli Studi di Firenze; Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurispru


denza, a cura di -U. Allegretti, A. Orsi Battaglini -D. Sorace -Maggioli -I, p. 175 ss.; S. GIACCHETII, La giurisdizione 
esclusiva fra l'essere e il divenire, in Studi per il Centenario della Quarta Sezione, Roma 1989, 644 ss.; A. ROMANO, 
ll giudice amministrativo di fronte alla tutela degli interessi diffusi, in Foro it. 1979, V, 8. 

(35) Cass. SS.UU. 3 dicembre 1991 n. 12966. 
(36) Cass. 5 ottobre 1979, n. 5145 e 25 luglio 1980, n. 4831. 
(37) Corte Cost. 28 giugno 1985, n. 190, in Giur. it. 1985, I, 1, 1297 (700); Corte Cost. 10 aprile 1987, n. 146 in 
Dir. proc. amm. 1987, p. 582. 
(38) F. PIGA, Nuovi criteri di discriminazione delle giurisdizioni amministrative e ordinarie; sia ad una svolta?, 
in Giust. civ. 1980, I, 366. 


PARTE Il, DOTTRINA 

11 

Il quadro della giustizia amministrativa che andava cos� delineandosi in prospettiva 
prevedeva dunque, alle soglie degli anni '90 una piena tutela delle situazioni 
sostanziali, fossero esse qualificate come diritti soggettivi o come interessi legittimi, 
con riparto di competenza giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo 
da esso diverso s�prattutto per specializzazione e fornito di poteri istruttori, 
cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento del bene della vita ed operante, 
quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione esclusiva (39). 

Il sistema italiano sembrava dunque avviato verso una soluzione sincretica, intermedia 
fra il tipo tedesco e quello francese. Il che, verificandosi sotto l'impero di una 
normativa -costituzionale e successiva -dichiaratamente volta a rafforzare e potenziare 
il modello francese dimostra ancora una volta la bont� dell'assunto sui paradossi 
della nostra giustizia amministrativa. 

Anticipando le conclusioni cui mi riprometto di giungere, credo che la seconda 
ipotesi della quarta bozza Boato (permanenza in capo al Consiglio di Stato sia della 
funzione consultiva che di quella giurisdizionale) rappresenterebbe la fisiologica evoluzione 
di questa linea di tendenza spontaneamente imboccata dalla nostra giustizia 
amministrativa. Una giustizia rinnovata nel suo primo grado da una nuova classe di 
giudici svincolati da qualsiasi rapporto con l'amministrazione, secondo il modello 
tedesco; ancora legata a quel particolare tipo di rapporto -segnatamente a quello di 
consulenza -in grado di appello, con conseguente conservazione di una ricchezza di 
esperienza e di tradizione. 

L'amalgama dei due modelli si � d'altronde realizzato, come l'esperienza ha sin qui 
insegnato, per due vie: quella istituzionale dell'interscambio fra i due gradi di giudizio 
e quella personale della provvista. di magistrati forniti al Consiglio di Stato dai 
Tribunali Amministrativi Regionali. 

N� sembra fondata l'obiezione che la attribuzione allo stesso organo della funzione 
consultiva accanto a quella giurisdizionale appannerebbe la imparzialit� del giudice, 
in quanto verrebbe chiamato a giudicare un soggetto �prevenuto� perch� gi� pronunciatosi 
sul punto in sede consultiva. 

Come ha chiarito la Corte Costituzionale, infatti (40), la prevenzione che revoca in 
dubbio la terziet� del giudice riguarda le persone fisiche e non gli organismi e nella 
stessa linea si � mossa la Corte europea dei diritti dell'uomo nella nota causa Procola 
cl Lussemburgo (41) dichiarando che il Consiglio di Stato lussemburghese non � giudice 
imparziale a' sensi dell'art. 6 � 1 della Convenzione, atteso che le regole di funzionamento 
dell'organo rendono inevitabile la partecipazione alla funzione giurisdizionale 
di consiglieri che, sulla stessa questione, hanno gi� partecipato all'esercizio della 
funzione consultiva. 

L'ordinamento del Consiglio di Stato italiano contiene, invece, come � noto, 
norme puntuali volte ad evitare la prevenzione (cfr. artt. 33 e 43 T.U. 26 giugno 1924 

n. 1054). Ben poche modifiche sarebbero necessarie per perfezionare il sistema evitando 
ogni possibile rischio di �prevenzione� anche in astratto con conseguente perfetta 
compatibilit� della funzione consultiva con una funzione giurisdizionale rigorosamente 
imparziale. 
(39) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, in Riv. Trim. dir. pubbl., 
1972, 1861. 
(40) Corte Cast. sent. 17-24 aprile 1996 n. 131. 
(41) Corte europea dei diritti dell'uomo, sent. n. 27/1994/474/555 del 28 settembre 1995. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

12 

4.2) DALLO STATO SOCIALE ALLO STATO POSTMODERNO 

La giustizia amministrativa italiana nei decenni '70 e '80 di questo secolo ha compiuto 
dunque un vero e proprio salto di qualit�, come si � appena visto. Un salto di qualit� 
che non pu� ricollegarsi soltanto agli elementi specifici fin qui analizzati ma va 
inquadrato anche in un pi� generale contesto di rafforzamento del potere giudiziario 
e nel quadro pi� generale ancora di una ulteriore profonda crisi di trasformazione della 
societ� e dello Stato. 

Nel,1981, in occasione di un convegno intitolato a 50 anni di esperienza giuridica 
in Italia, Massimo Severo Giannini parl� di una crisi di trasformazione �epocale� della 
societ� e dello Stato, crisi non solo italiana, ma di dimensioni planetarie, profetizzando, 
in termini quasi millenaristici, la fine dello Stato nazionale, giunto al termine del 
suo ciclo vitale e pronto a cedere il passo -dopo un travaglio di guerre e rivoluzioni 
prossime venture -alla Repubblica Universale (42). 

Si tratta della crisi che vede la societ� �post-industriale� dello Stato �post-moderno
� succedere alla societ� del benessere incubata nello Stato sociale. 

Cercando di cogliere l'essenza di quella crisi di trasformazione in rapporto alle due 
paragonabili che l'hanno preceduta con riferimento al bilanciamento dei poteri tradizionali, 
come � doveroso in tema di giustizia amministrativa, un dato caratteristico � 
il pendere della bilancia dell'importanza dalla parte del potere giudiziario. 

L'equilibrio fra i poteri non � infatti fisso, ma mobile e questa mobilit� � in sintonia 
con le grandi crisi di trasformazione della societ� e dello Stato da quando i tre poteri 
emersero dall'indistinto potere unico detenuto dal sovrano assoluto. 

La prima grande crisi di trasformazione corrisponde alla rivoluzione francese e 
port� dall'Ancien r�gime allo Stato liberal-borghese. Non c'� dubbio che allora nacque 
egemone il potere legislativo. Fu quella l'et� delle grandi codificazioni: il realizzarsi del 
sogno illuminista di una ragione scritta in un reticolo di regole astratte e generali che 
potessero costituire unica norma per tutti i rapporti intersoggettivi. Napoleone scrisse: 
�Waterloo sar� dimenticata ma il mio codice civile vivr� per sempre�. Dire �per sempre� 
era ovviamente esagerato ma il codice napoleonico � tuttora in vigore in Francia e decine 
e decine di ordinamenti giuridici nel mondo sono ispirati al codice civile francese. 

Il potere esecutivo era allora veramente un potere minore, soprattutto nella sua 
epifania di pubblica amministrazione. Lo Stato era uno Stato carabiniere: curava la 
difesa delle frontiere all'esterno e l'ordine pubblico all'interno. 

Il potere giudiziario aveva una posizione ancor pi� di second'ordine perch� lo 
Stato liberal-borghese fu un'amministrazione senza giudice e, come si � visto, bisogna 
aspettare la fine del secolo scorso per arrivare ai primi timidi sindacati del giudice (un 
giudice speciale, per di pi�) sull'operato dell'amministrazione. 

Tutto cambia nella seconda grande crisi di trasformazione, quella che si verifica 
grosso modo tra le due guerre mondiali, quando si passa dallo Stato liberal-borghese 
allo Stato sociale. Il potere esecutivo abbandona le dimesse vesti di guardiano notturno, 
comincia a occuparsi di istruzione, di sanit�, di edilizia, di lavori pubblici, di credito, 
di risparmio, di assicurazioni, di imprese. Il potere esecutivo dilaga e non a caso 
tra le due guerre nascono le pi� feroci ed efficienti dittature che la storia ricordi. 

Il potere legislativo arretra, il giudiziario cresce modestamente cominciando a sin


dacare l'esecutivo. 

(42) M.S. GIANNINI, Diritto Amministrativo, in Cinquanta anni di esperienza giuridica in Italia, Atti del Congresso 
tenuto a Messina-Taormina, 3-8 novembre 1981, Milano, 363 ss. 

PAATE II, DOTTRINA 

13 

Le cose camb�ano ancora. con la terza grande crisi di trasformazione che cominci� 
intorno agli anni '60 di questo secolo, e che ancora noll� bene compresa, tanto � 
vero che viene definita in maniera puramente cronologica. Si parla infatti di Stato 
post-moderno succeduto allo Stato sociale, di societ� post-industriale succeduta alla 
societ� del benessere. Definizioni puramente diacroniche che, ovviamente, sintomatizzanola 
incompre~iiione. di. quello che. �. ilnocciolo del problema. 

� Inquesta faseabbiamol'avanzata del.potere.giudiziario, che, a sua volta, prende 
ilsopravvento suglj �altri due.poteri; . Questo � accaduto a scala planetaria, non solo a 
livello. italiano,. con!'.avvento di quello che � stato autorevolmente definito �Stato di 
giurisdizione� ( 43) L'aumento del rischio di conflitti e di frizioni tra potere pubblico e 
cittadino ed una acuita coscienza delle esigenze partecipative ha indotto, infatti, ad un 
aumento della �domanda di giustizia� e questo ha portato alla ricerca dinuovi strumenti 
atti a garantire la legalit� di una azione amministrativa sempre pi� articolata, 
sempre pi� complessa e sempre pi� presente nella vita di ogni giorno. 

Un bravo .cittadino inglese, � stato scritto, avrebbe potuto vivere, fino alla prima 
guerra mondiale, senza accorgersi dell'esistenza di uno. Stato se. non per i poliziotti e 
gli uffici postali (44).. Inutile illustrare, perch� sotto gli occhi di tutti, �quantum mutata 
ab illa� fosse la situazione successiva in Inghilterra come in Italia. 

Avvento dello Stato �di giustizia� dunque e non certo nel senso della instaurazione 
di quel �governo dei giudici� cos� temuto dai primi legisti rivoluzionari francesi, quanto 
nel senso di espansione di ogni possibile strumento atto a garantire legalit� sostanziale. 

� Un sintomo significativo di tale. linea di tendenza � stato l'irraggiamento, nel 
mondo, dell'istituto dell'Ombudsman, da considerare come istituto para-giurisdizionale. 
� Uli irraggiamento singolare, paragonabile soltanto a quello del Consiglio di Stato 
francese nel secolo scorso e che per� ha la caratteristica di innestarsi in sistemi giuridici 
diversissimi fra loro, alcuni dei quali scarsamente compatibili con l'istituto stesso. 
L~Ombudsman, quanto meno nella sua originale configurazione svedese, si .colloca, 
infatti, orizzontab:riente attravers� i tre poteri tradizionali, derivando la propria legittimazione 
dal legislativo ed operando attraverso l'adozione di provvedimenti che hanno 
natura di atti amministrativi ma i cui .effetti equivalgono a quelli delle sentenze (45). 
Ciononostante lOmbudsman � stato.introdotto in pi� di novanta ordinamenti giuridici 
statuali con caratteristiche tra le pi� diverse tra loro. 
La seconda linea di tendenza indotta nella societ� postindustriale dalla accresciuta 
domanda digiustizia � l'aumento dei poteri del giudice, pur nella diversit� dei sistemi 
giuridici. Nei sistemi di common law e, in particolare, in Inghilterra, la dottrina dell'ultra 
viresha affinato.un penetrante sistema di giustizia amministrativa che controlla 
sempre pi� da vicino il corretto esercizio del potere da parte dell'esecutivo (46). Nei 
paesi di tradizione romanistica, come. Francia,. Germania, Italia, i giudici. sono stati 
muniti distrumenti sempre pi� incisivi.per ilcontrollo di quell'esecutivo che nel primo 
800 si voleva sottratto ad ogni sindacato del giudiziario. Infine in molti settori dell'attivit� 
pubblica si era andata diffondendo una procedimentalizzazione retta dalla regola. 
�quasi giudiziale� del giusto procedimento, il che sottolinea ancora una volta l'accresciuta 
importanza della funzione di giustizia nella nuova societ�. 

(43) M. NIGRO, ngiudice amministrativo oggi, in La riforma del.processo amministrativo, Milano, 1980, 4-5. 
(44) A.I.P. TAYLOR, English histoiy, 1914-1945 cit. in H.W.R. Wade, Administrative Law, SA ed., Clarendon 
Press, Oxford, 1982, 3. 
(45) Cfr. Atti dell'incontro cli studio in memoria del prof. Arturo Carlo Jemolo su �L'istituzione del difensore 
civico nell'ordinamento italiano� in Rass. Aw. Stato, 1982, Il, 49 ss. 
(46) H.W.R. WADE, op. cit., ed. 1988, spec, 249-404. 
-



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

14 

5) DALLO STATO POSTMODERNO ALLO STATO �MINIMO� -PRIVATIZZAZIONE 
E GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

5.1) GENERALIT�. 

Su questa linea di tendenza a livello planetario, sin qui tratteggiata, quasi marea 
montante di lungo respiro, si � poi innestata in Italia e negli ultimissimi anni, un ulteriore 
e sinergico rafforzamento del potere giudiziario: un rafforzamento che ha portato 
al collasso di una classe politica e di un sistema per effetto di quella che � stata qualificata, 
con una definizione ad effetto, come la �rivoluzione dei giudici�. 

Il contemporaneo � certo il meno qualificato degli osservatori, privo com'� di 
visioni prospettiche e non mi azzardo quindi nemmeno a tentare una pur superficiale 
analisi del fenomeno. 

Credo sia comunque incontestabile che l'opera della magistratura italiana � stata 
fattore determinante nell'innescare quell'ulteriore grande crisi di trasformazione che lo 
Stato e la societ� stanno oggi attraversando. 

5.2) LE TRADIZIONI ITALIANE E LE LEGGI DI PRNATIZZAZIONE DEGLI ANNI '90 (PRNATIZZAZIONE 
DI SOGGETTI, PROPRIET� E RAPPORTI) 

Una delle pi� significative caratteristiche di tale crisi � quella che si vuole sintetizzare 
con la formula �privatizzazione� e che appare costituire un classico ricorso 
storico di tipo vichiano per l'ordinamento italiano, caratterizzato, dall'Unit� fino 
quasi ai giorni nostri, da un significativo e sempre crescente intervento della mano 
pubblica. 

Gi� ai suoi inizi lo Stato liberal-borghese conobbe l'esercizio di Stato delle ferrovie 
per iniziativa di Silvio Spaventa ed il monopolio delle assicurazioni ad iniziativa di 
Francesco Saverio Nitti (47). 

Fra le due guerre, poi, lo Stato autoritario potenzi� e sistematizz� l'intervento 
pubblico, facendosi imprenditore esso stesso attraverso aziende speciali, enti pubblici, 
societ� partecipate e controllando l'attivit� economica privata attraverso un significativo 
potere di indirizzo (48). 

La Costituzione del '4 7 non rappresent� certo una soluzione di continuit� in tale 
linea di tendenza, disegnando, invece, un sistema di �economia mista� (49) che fu, nel 
concreto attuarsi, caratterizzata da penetranti poteri di indirizzo e coordinamento affidati 
a Comitati di ministri e dall'esercizio da parte dello Stato di attivit� industriali e 
commerciali in via diretta o attraverso enti pubblici o partecipazioni azionarie. Pu� 
osservarsi, pi� in generale, che nello stato postmoderno degli anni '70 e '80 l'azione 
della pubblica amministrazione si era estesa fino a penetrare le pi� intime connessioni 
del tessuto sociale. 

L'ultimo decennio del secolo ha segnato, invece, come ben sappiamo, una brusca 
inversione di tendenza. La crisi a livello planetario del collettivismo come filosofia politico-
economica e la dissoluzione dell'impero che ne rappresentava l'inveramento, il 

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rafforzarsi, a livello continentale, delle strutture europeistiche e dei valori della concor


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(47) G. CRISCI, La politica italiana delle privatizzazioni: aspetti legali, in Cons. Stato 1992,-II, 1793 ss. 
(48) N. IRTI, ll diritto della transizione, in Riv. it. dir. priv. 1997, 11 e ss. 
(49) G. BoGNETTI, La costituzione economica italiana, Milano 1995, 5. 

PARTE Il, DOTTRINA 

15 

renza e del mercato con esse coessenziali, la presa di coscienza, a livello nazionale e grazie 
all'incisivo intervento della magistratura, delle distorsioni causate dal malaffare e dal 
malcostume politico allignati soprattutto nella gestione pubblica dell'economia, innescarono 
una improvvisa �Corsa verso il privato� volta a raggiungere la meta ultima di quello 
che � stato definito, con suggestiva immagine, lo �Stato minimo� ed alla cui costruzione 
sembrano concorrere tanto la legislazione di privatizzazione dichiarata dal nuovo 
corso storico, quanto leggi anch'esse recenti ma che rappresentano l'ultimo frutto diantichi 
processi evolutivi, quanto, infine, le evoluzioni della giurisprudenza e della prassi. 

La normativa dichiaratamente volta alla privatizzazione si sostanzia in una serie di 
leggi che vanno, per citare le pi� importanti, da quella 30 luglio 1990 n. 218 che autorizzava 
gli enti creditizi pubblici a conferire l'azienda bancaria in societ� per azioni al d.l. 5 
dicembre 1991 n. 386 convertito dalla L. 29 gennaio 1992 n. 35 che prevedeva la trasformazione 
degli enti pubblici economici in societ� per azioni, la dismissione delle partecipazioni 
statali, l'alienazione .di beni patrimoniali suscettibili di gestioni economiche; dal 

d.l. 11luglio1992 n. 333 convertito con modificazioni dalla L. 8 agosto 1992 n. 359, che 
trasform� in societ� per azioni IRI, INA ed ENEL, al d.l. 31maggio1994 n. 332 convertito 
con modificazioni dalla L. 30 luglio 1994 n. 474 sulle modalit� di dismissione. 
Volendo semplificare riduttivamente il fenomeno, potremmo dire che il tipo di privatizzazione 
sopra delineato si risolve, nell'immediato, in una trasformazione dello 
Stato imprenditore nello Stato azionista (privatizzazione in senso formale o debole) ed 
in prospettiva nella sostituzione di un azionariato popolare diffuso all'azionariato di 
stato (privatizzazione in senso sostanziale o forte). 

Il fine ultimo perseguito � quello di una economia regolata dalle leggi del mercato 
e della concorrenza invece che dallo Stato attraverso ilpotere di indirizzo e di gestione 
diretta. Il che comporta per� che alla privatizzazione sostanziale si accompagni la 
liberalizzazione, che la privatizzazione relativa alle imprese erogatrici di servizi pubblici 
e di pubbliche utilit�, sia subordinata a particolari cautele, prima fra tutte la creazione 
di organismi indipendenti per la regolazione delle tariffe ed il controllo della qualit� 
dei servizi (SO); che, infine, venga istituito un sistema generale di controllo del mercato 
e della concorrenza, a tutela anche dei consumatori. 

Come gi� osservava, infatti, un liberista della statura di Luigi Einaudi �un mercato 
� innanzitutto caratterizzato dai carabinieri che ne fanno rispettare le regole� (51). 

L'interesse pubblico sotteso all'economia, dunque, che una volta trovava la sua 
soddisfazione attraverso l'indirizzo e l'intervento diretto si � ritratto dall'uno e dall'altro, 
e tende per� adesso a realizzarsi attraverso una funzione di regolazione, a garanzia 
della corretta osservanza delle regole della concorrenza e del mercato (52), con conseguente 
fioritura di una istituzione pubblica finora ignota al nostro ordinamento: le 
autorit� indipendenti, che rappresentano dunque le legittime eredi del carabiniere 
ottocentesco nel nuovo Stato neo-liberista. 

Nello stesso quadro normativo che ha visto lo spostamento di propriet� ed attivit� 
da soggetti pubblici a soggetti privati (sia pure, allo stato, in via solo tendenziale) deve 
collocarsi il d. lgs. 3.2.1993 n. 29 adottato in attuazione della delega contenuta nella L. 
23.10.1992 n. 421 che ha, tra l'altro, disposto la e.cl. �privatizzazione del rapporto di 
pubblico impiego�, sostituendo la fonte contrattuale a quella normativa e devolvendo 
la conoscibilit� del rapporto al giudice ordinario. 

(SO) Vedasi in particolare L. 14 novembre 199S n. 481. 
(SI) F. BONELLI, Le privatizzazioni delle imprese pubbliche, Milano 1966, I. 
(S2) N. IRTI, op. cit. 




RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

16 

In realt� n� la sostituzione dello strumento privatistico a quello pubblicistico 
quale fonte regolatrice del rapporto, n� la devoluzione della cognizione dei diritti che 
ne discendono al g.o. invece che al g.a. in sede di giurisdizione esclusiva, valgono a trasformare 
in rapporto di impiego privato quello che continua ad essere un rapporto di 
impiego pubblico (53). 

Probabilmente il legislatore � stato indotto in errore dalla moda della generalizzata 
�corsa al privato� del momento e dalla urgenza incombente che negli ultimi anni 
sembra caratterizzare l'attivit� legislativa ed ha ecceduto nei mezzi rispetto al fine. Un 
fine che se era quello di equiparare nella contrattazione i dipendenti pubblici a quelli 
privati ben poteva essere raggiunto senza proclamare inesistenti privatizzazioni e 
senza intaccare un sistema di riparto di giurisdizioni funzionale a quella compresenza 
di pubblico e di privato che caratterizzava il rapporto di pubblico impiego normativamente 
regolato e che continuer� a caratterizzare anche quello contrattualmente disciplinato, 
come dimostra il permanere della giurisdizione del giudice amministrativo per 
tutta una serie di questioni (54). 

5.3) LA PRIVATIZZAZIONE INDIRETTA (PRIVATIZZAZIONE DI ATTMT�) 

Si � fin qui accennato al passaggio dal regime di diritto pubblico a quello di 
diritto privato di soggetti, di propriet� e di rapporti disposto con espressa norma di 
legge mirata allo scopo: il problema non sarebbe per� colto nella sua interezza, 
come si � detto, se non si facesse riferimento a due ulteriori fenomeni che indubbiamente 
rientrano nella generale categoria delle privatizzazioni, e cio� quello della 
adozione di moduli privatistici da -parte della p.a. nello svolgimento delle proprie 
attivit� di istituto e quello della devoluzione a soggetti privati di propri compiti istituzionali. 


Il primo, icasticamente rappresentato nella previsione della amministrazione partecipata 
e contrattata prevista dalla legge 3 agosto 1990 n. 241, rappresenta la evoluzione 
�virtuosa� della pubblica amministrazione italiana da antichi modelli autoritari 
verso forme pi� moderne e democratiche, il secondo -che costituisce invece una involuzione 
-rappresenta la conseguenza di una drammatica perdita di competenza ed 
efficienza da parte di quella stessa pubblica amministrazione. 

5.3.1) L'amministrazione partecipata e concertata 

La legge sul procedimento del 1990 (con quella sulle autonomie locali), a differenza 
delle coeve (o di poco posteriori) leggi di privatizzazione non rappresenta, 
infatti, una brusca soluzione di continuit� conseguente ad eventi straordinari e sinergici, 
ma costituisce invece il coronamento normativo di una lunga evoluzione del 
diritto e della prassi amministrativa, come testimoniato dalla giurisprudenza in 
materia. 

Da tempo era in atto l'eclissi dell'amministrazione di stampo provvedimentale, 

�schiacciata fra l'atto programmatorio e l'atto convenzionale� (55) e corrente la con


(53) Cass. SS.UU. 28 aprile 1993 n. 4996. 
(54) Art. 2, comma 1, lettera C, L. 23 ottobre 1992 n. 421 e art. 68 D. lg. 3 febbraio 1993 n. 29. 
(55) F. LONGO, Presentazione del Tema al XXXII Congresso di Varenne, in Cons. Stato, 1986, II, 1187. 

PARTE II, DOTTRINA 

17 

statazione che anche laddove permanesse l'uso di atti puntuali, questi apparivano 
quasi sempre vincolati, quando non dovuti. 
Del pari da tempo era in.atto. una profonda revisione del procedimento amministrativo. 


Esso non era pi�, infatti, concepito, come all'origine, in funzione servente dell'atto 
che ne costituiva il prodotto (56):ri� (o non pi� soltanto) come forma di .esercizio 
dtill'autorit� -o sua �epifania� ...,.,.. per garantirti il corretto svolgersi della funzione. 
(57), ma costituiva drmai sostanza diorganizzazione dell'azione pubblica, non pi� 
sorretta dal principio di autorit� ma regolata da quelli di pluralismo, consenso, partecipazione 
(58). 

Alla crisi di un principio di legalit� (59) correlato all'esercizio di una pubblica 
funzione corrispondeva infatti l'affermarsi di un principio consensualti che presiede 
all'erogazione di pubblici servizi nella nuova societ� ispirata a principi consociativi 
e partecipativi (60). Di qui gli spazi concessi all'autonomia, al decentramento funzionale, 
alla partecipazione, in quella che se non era una generalizzata �fuga nel privato>> 
(quale si verifica ai giorni nostri) era per� sicuramente una �fuga dall'autorit�
� (61). 

Nel paS8aggio dallo Stato di diritto allo Stato sociale e da questo a quello postmodtimo, 
l'azionti amministrativa si era estesa fino a penetrare le pi� intime connessioni 
del tessuto sociale, abbandonando per� il modulo provvedimentale per adottare 
quello.normoproduttivo (62), quello per indirizzi e quello per accordi {63). 

La legge 241/90 rappresenta la sistematizzazione della risposta a tutte le rappresentate 
esigenze della nuova societ�; fino allora solo parzialmente soddisfatte da una 
legislazione frammentaria e dall'evoluzione, pure notevole, della giurisprudenza. 

5.3.2) L'amministrazione delegata 

L'altra coeva spinta alla privatizzazione � venuta, negli anni settanta ed ottanta, 
come conseguenza.del declino della burocrazia italiana (64) e soprattutto della crisi 
dei corpi tecnici dello Stato (65). Il conseguente difetto di capacit� professionali aveva 
infatti causato, soprattutto nel delicatissimo e vitale settore dei lavori pubblici, il 
ricorso sempre pi� frequente allo strumento della concessione -usata ed abusata in 
tutte le sue molteplici possibili varianti, quali concessione di sola costruzione, di 
costruzione e progettazione, di generai contractor, di servizi, di committenza -con 
conseguente frequente trasferimento al privato di funzioni pubbliche, necessarie per 
la realizzazione dell'opera, risolventesi anch'esso in una forma �sui generis� di privatizzazione. 


!iliA.M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940. 
57 F. BENVENUTI.� Funzione amministrativa, procedimento, processo, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1950, 1. 
58 M. NmRo, Procedimento amministrativo e tutela giurisdizionale contro la pubblica amministrazione, in 

Atti d 'incontro di studio 29 marzo 1980 �L'azione amministrativa fra garanzie ed efficienze�, 21 ss.; G. 
SANTAN!ELLO, Il procedimento amministrativo: linee di sviluppo, in Dir. proc. amm., 1985, 496. 

(59) N. BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridica, Milano, 1972, 119 ss. 
(60) A. NocCBLLI, Principia di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il Centocinquantenaria 
del Consiglio di Stata, Roma, 1981, III, 1647; G. BERTI, D'Airitto e Stata: riflessioni sul cambiamento, 
Padova, 1986, 350 ss. � 
(61! R. FEDERICI, Gli interessi diffusi, Padova, 1984, III; A. NocCELLI, op. cit. 1631 ss. spec. 1654. 
(62 A. NOCCELLI, op. cit., 1644. 
(63 M. NIGRO, op. cit., 38. 
(64 G. CAPALDO, Interessi pubblici e coordinamento legislativo e riflessioni in margine al tema dei reati contro 


la p.a. in Corruzione e sistema istituzionale a cura di M. D' Alberti e Renato Finocchi, Bologna, 1994, 94. 

(65) E. GUSTAPANB, La crisi dei corpi tecnici dello Stata in Corruzione ecc. cit., 213 e ss. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

18 

5.4) LA GIURISDIZIONE 

Cos� delineato per grandi approssimazioni il quadro delle privatizzazioni in Italia, 
rimane da chiedersi come abbia reagito tale imponente e variegato fenomeno sulla giustizia 
amministrativa. 

La risposta a tale domanda costituisce l'ultimo dei tanti paradossi di cui � costellata 
la storia del diritto amministrativo, in quanto la �privatizzazione�, lungi dall'ampliare 
la competenza del giudice ordinario, come sarebbe sembrato logico a 
prima impressione, ha potenziato, invece, la competenza del giudice amministrativo 
ad opera tanto del legislatore quanto dell'interprete (con le eccezioni che si diranno) 
e ci� anche attraverso la vigorosa accentuazione della tendenza, in atto da tempo, 
come si � visto, di trasformare il criterio di discrimine fra le due giurisdizioni da 
quello tradizionale della distinzione fra diritto e interesse in quello della ripartizione 
per materie. 

Tale linea di tendenza -non priva ovviamente di qualche discontinuit� -appare 
sinergicamente tracciata, oltre che dal legislatore, dal giudice civile e da quello penale, 
da quello amministrativo e dal giudice delle leggi, sia pure in una notevole dissonanza 
e confusione di lingue che testimoniano, da un lato, la non riconducibilit� del 
fenomeno ad un disegno sistematico, dall'altro la rispondenza di tale linea di tendenza 
ad esigenze di giustizia sostanziale. 

Il fenomeno del progressivo mutare del discrimine fra le giurisdizioni, come si 
diceva, non � d'altronde nuovo e si colloca invece, come si � visto, in un processo di trasformazione 
ventennale del giudizio amministrativo. Processo in virt� del quale anche 
il giudice amministrativo italiano, come i giudici amministrativi di altre nazioni, gi� 
alla fine degli anni '80 sembrava avviato a diventare il giudice naturale della pubblica 
amministrazione o del pubblico interesse (66) con una individuazione della sua competenza 
operata prescindendo dalla natura delle situazioni protette. 

Proprio l'anno 1990 segna, poi, -e non � certo un caso -una brusca accelerazione 
di questa linea di tendenza ad opera delle sezioni unite della Cassazione con la 
ormai famosissima sentenza Mededil (67) che ritenne impugnabile dinanzi al giudice 
amministrativo un atto della procedura di scelta del contraente adottato da una societ� 
privata concessionaria di costruzione di opere pubbliche. 

� una sentenza della quale fu detto essere ispirata nella stesura alla poetica di 
Andrea Chenier, quella poetica espressa nel famoso verso �sur des pensers nouveaux 
faisons des vers antiques�. 

In essa corrono, infatti, paralleli due filoni argomentativi: uno -formalistico e 
pi� evidente a prima lettura -basato sul pi� classico e tradizionalistico degli strumentari 
dogmatici (contrapposizione diritto-interesse, tutela diretta-tutela indiretta, 
norme di azione-norme di relazione), derogato soltanto con la per vero poco convincente 
attribuzione al concessionario della qualifica di organo indiretto; l'altro sostanzialistico 
e garantistico -profondamente innovatore. 

La procedura per l'assegnazione degli appalti necessari alla costruzione dell'opera 

pubblica -ha argomentato la Suprema Corte nello svolgimento, scritto talvolta fra le 

righe, di tale secondo filone -� materia squisitamente pubblicistica da affidare alla 

elettiva competenza del giudice amministrativo. 

(66) s. GIACCHETTI, op. loc. cit. 
(67) Cass. SS.UU. 29 dicembre 1990 n. 12221. 

PARTE Il, DOTTRINA 

19 

D'altronde, attesa la natura della situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio 
-prosegue la Corte -il ricorrente non potrebbe trovare dinanzi al giudice ordinario 
adeguata tutela. 

Tale sentenza dette avvio ad una serie di pronunce orientate nella stessa linea di 
tendenza anche se caratterizzate da parziali dissensi (68). 

Si alline� invece ed in toto al primo orientamento la giurisprudenza penale. La 
Cassazione, richiamandosi espressamente alla sentenza Mededil, ritenne che fosse 
pubblico ufficiale il presidente del Consiglio di amministrazione di una societ� per 
azioni, concessionaria di autostrade, indagato per reati di concussione e corruzione 
che sarebbero stati commessi percependo �tangenti� in occasione della scelta dell'appaltatore 
(69). 

Nella stessa linea la giurisprudenza penale di merito che, con riguardo alla trasformazione 
di ente pubblico in societ� per azioni, ha escluso che per ci� solo possa 
ritenersi modificato nei confronti dei dipendenti il regime sanzionatorio penale. 

Con riguardo alla trasformazione dell'Ente Ferrovie in s.p.a. (e quindi con affermazione 
di principio applicabile a tutti gli analoghi casi di privatizzazione solo �formale
�) � stato infatti affermato che la s.p.a. concessionaria del pubblico servizio di 
trasporto, pur gestendo i servizi nelle forme tipiche dell'impresa privata, compie attivit� 
direttamente finalizzata al soddisfacimento dell'interesse pubblico con conseguente 
permanere in capo ai suoi dipendenti delle qualit� di incaricato di pubblico 
servizio (70). 

Nella stessa direzione si � mosso il Consiglio di Stato che, superando le notevoli 
oscillazioni giurisprudenziali fino allora verificatesi, ha affermato la propria giurisdizione 
in subiecta materia facendo propria, in un primo tempo, una parte soltanto delle 
argomentazioni della Cassazione, con ripudio tanto di quelle formalistiche sull'organo 
indiretto quanto di quelle garantistiche relative alla maggiore o minore tutela ottenibile 
nelle diverse giurisdizioni. Nella materia in esame -ha affermato il Supremo 
Consesso Amministrativo con la decisione della V Sezione n. 1250/91 -rileva unicamente 
il fatto che tutta l'attivit� del concessionario si giustifica in relazione ad un interesse 
pubblico ed � dunque ad esso funzionalizzata (71). 

Nella stessa linea sostanzialistica si � posta poi la decisione 498/95 della VI 
Sezione (72) che ha riconosciuto appartenere alla propria giurisdizione le controversie 
relative agli atti contrattuali compiuti dalle Ferrovie S.p.a., divenuta concessionaria ex 
lege dei compiti previsti dalla legge istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, sottolineando 
la �Valenza oggettivamente pubblicistica dell'attivit� del Concessionario�. 

Da notare che nella decisione ora citata, l'affermazione di principio viene estesa 
espressamente a tutte le s.p.a. costituite a seguito della trasformazione dell'IRI, dell'ENI, 
dell'INA e dell'ENEL, che hanno assunto ex lege la veste di concessionarie necessarie 
di tutte le attivit� in precedenza attribuite o riservate agli enti originari e che mantengono 
le attribuzioni in materia di dichiarazione di pubblica utilit� e di necessit� ed 
urgenza gi� spettanti agli enti stessi (art. 14 della L. 8 agosto 1992 n. 359). Il Consiglio 
di Stato richiama in proposito la sentenza della Corte Costituzionale 466/93 (73) che 

(68) Vedansi Cass. SS.UU. 6 maggio 1995 n. 4889 e 27 marzo 1997 n. 2738. 
(69) Cass. pen. sez. feriale 19 agosto 1993, Pancheri in Giust. pen. 1994, II, 1. 
(70) Corte di Appello di Roma 27 aprile 1994 in Foro it. 1994, II, 605. 
(71) Cons. Stato, V, 21ottobre1991n.1250. 
(72) Id. VI, 20 maggio 1995 n. 498 in Dir. proc. amm.vo 1996, 147, con nota critica di A. Police. 
(73) Corte Costituzionale 28 dicembre 1993 n. 466. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

20 

ha affermato, in sede di conflitto di attribuzioni, spettare alla Corte dei Conti il potere 
di controllo sulle s.p.a. derivanti dalla trasformazione dell'IRI, dell'ENI, dell'INA e 
dell'ENEL. 

Anche la Consulta ha adottato in proposito un criterio di giudizio assolutamente 
sostanzialistico, rilevando come la mutata veste giuridica formale del soggetto non sia 
sufficiente ad alterare la realt� sostanziale di una partecipazione esclusiva o prevalente 
dello Stato al capitale azionario, soprattutto in un contesto ordinamentale in cui si 
va stemperando la dicotomia tra ente pubblico e societ� di diritto privato, per effetto 
anche della normativa comunitaria, favorevole all'adozione di una nozione sostanziale 
di impresa pubblica. 

Da ultimo � intervenuto, ancora, in materia il Consiglio di Stato con la recentissima 
e ponderosa sentenza 1577/96 della V Sezione (74) -c.d. caso IBM Semea che 
costituisce una sorta di �summa� sullo stato dell'arte, una sua sistemazione ed un 
ulteriore passo avanti nella linea di tendenza sopra indicata. Con detta decisione, il 
Consiglio ha precisato, da un lato, che in tanto un privato concessionario pu� adottare 
atti amministrativi impugnabili dinanzi al giudice amministrativo nell'esercizio di 
poteri trasferitigli dal concedente in quanto tale trasferimento sia (eccezionalmente) 
previsto dalla legge -cos� come ad es. dall'art. 4 bis del d.l. 11 luglio 1992 n. 333 
come convertito dalla 1. 8 agosto 1992 n. 359; dall'art. 14, comma 3�, del d. lg. 30 aprile 
1992 n. 285 (nuovo codice della strada); dall'art. 22 della legge 6 agosto 1990 n. 241 
(sul potere del concessionario di emanare atti amministrativi in materia di accesso) 
-ed aggiungendo, per�, dall'altro, che la concessione non � la sola ipotesi in cui l'ordinamento 
prevede l'adozione da parte di privati di atti amministrativi impugnabili 
dinanzi al giudice amministrativo. 

La legislazione di recepimento dell'ordinamento comunitario in materia di appalti 
pubblici di servizi e di forniture -segnatamente art. 2 del d.lg. 17 marzo 1995 n. 
157; art. 1, comma 3, lett. b, d.lg. 24 luglio 1992 n. 358; art. 13 1. 19 febbraio 1992 n. 
142 -con l'espressione �amministrazioni aggiudicatrici� equipara infatti alle pubbliche 
amministrazioni tutti i soggetti, pubblici o privati che siano, cui siano riconosciuti 

o attribuiti poteri pubblici nello svolgimento delle gare per la scelta del contraente. 
Ne consegue che gli atti delle amministrazioni aggiudicatrici, anche se soggetti 
privati, sono atti amministrativi impugnabili dinanzi al giudice amministrativo. 
Tale conseguenza si giustifica -conclude il Consiglio di Stato -sia in ragione 
dell'interesse pubblico sotteso alla materia, sia in ragione del fatto che l'imprenditore 
danneggiato da una irregolare procedura di gara non avrebbe sufficiente tutela dinanzi 
al giudice ordinario. 

Il Consiglio di Stato ritorna dunque, sistematizzandola, alla duplice motivazione 
sostanzialistica e garantistica che aveva ispirato la Cassazione Civile del 1990. 

5.5) CONSIDERAZIONI CONCLUSNE 

Risulta cos� confermata la tendenza cui si accennava alla espansione, pur apparentemente 
paradossale, della giurisdizione amministrativa verso le nuove province 
create dalla privatizzazione per effetto del sinergico operare di legislazione e giurisprudenza 
(oltre alla tendenza al mutamento del criterio di discrimine fra le due giu


(74) Cons. Stato, V, 27 dicembre 1996 n. 1577. 

PARTE II, DOTTRINA 

21 

risdizioni di cui troviamo ancora una recentissima conferma nell'art. 29 della legge 31 
dicembre 1996 n. 675 e negli orientamenti emersi nella Commissione bicamerale) 

Potrebbe per la verit� obbiettarsi che fanno stecca nel coro due norme di legge ed 
una prospettiva. Le due norme sono quella gi� citata sulla c.d. privatizzazione del pubblico 
impiego che prevede la giurisdizione del Pretore giudice del lavoro e l'art. 31 bis, 
comma 4, della legge Merloni (nel testo modificato dalla c.d. Merloni bis) (75), che 
assoggetta alla giurisdizione del giudice ordinario le concessioni in materia di lavori 
pubblici; la prospettiva � quella della privatizzazione sostanziale (o forte) prossima ventura 
mediante diffusione dell'azionariato dei soggetti pubblici gi� trasformati in s.p.a. 
ed attualmente ancora ad azionariato esclusivamente o prevalentemente pubblico. 

Credo per� che tutte e tre le obiezioni siano inidonee a scalfire la tesi di fondo, perch� 
non provano abbastanza o provano troppo. 

La prima attiene, infatti, ad una scelta squisitamente politica del legislatore, difficilmente 
spiegabile sul piano giuridico e totalmente incongruente sia con le premesse 
da cui partiva, sia con le finalit� perseguite, come gi� si � detto. 

Non resta che accettare la volont� sovrana del Parlamento, ancora di recente ribadita 
con una norma (L. 15 marzo 1997 n. 59 art. 11, comma 2, lettera g) che, peraltro, 
contestualmente amplia -e non di poco -la giurisdizione del giudice amministrativo 
devolvendogli, evidentemente in sede di giurisdizione esclusiva, la conoscibilit� 
delle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali in materia edilizia, 
urbanistica e di servizi pubblici). 

Quanto ali'art. 31 bis della legge Merloni, esso appare esclusivamente volto a sanare 
una situazione contingente, costituita da un certo numero di giudizi arbitrali in cui, 
sulla base del r�virement giurisprudenziale della Cassazione operato dal caso Mededil 
in poi, la competenza del collegio poteva revocarsi in dubbio. Le limitazioni dell'uso 
dello strumento concessorio previste dal precedente articolo 19 della legge escludono, 
d'altronde, ogni sostanziale utilit� della norma per il futuro, confermando cos� la natura 
provvedimentale della norma stessa, tesa unicamente a risolvere, secondo esigenze 
di giustizia sostanziale, un fascio di contenziosi pregressi ed inidonea quindi ad essere 
valutata come elemento da tener presente nel quadro di un sistema. 

Quanto, infine, alla prossima ventura privatizzazione sostanziale mediante azionariato 
diffuso delle s.p.a succedute agli enti di Stato, pu� osservarsi che se, indubbiamente, 
ci� comporter� la naturale attrazione delle relative controversie nella competenza 
del giudice ordinario, altrettanto indubitabilmente non potr� sottrarre al giudice 
amministrativo le sue competenze su quanto di interesse pubblico rester� sotteso 
della materia. 

Non mi riferisco tanto ai poteri speciali da conservarsi alla mano pubblica previsti 
dall'art. 2 della L. 30 luglio 1994 n. 474-e che costituiscono la via italiana alla �golden 
share� (76)-per il controllo del cui esercizio sembra pacifica la permanenza della 
giurisdizione in capo al giudice amministrativo, quanto al nuovo centro di gravit� dell'interesse 
pubblico nell'economia. 

Come si accennava, l'interesse pubblico nell'economia, prima soddisfatto con l'esercizio 
del potere di programma e di indirizzo e con la gestione diretta, tende a spostarsi, 
con la privatizzazione, nel momento della regolazione del mercato e della concorrenza 
e nella tutela dei consumatori a mezzo di Autorit� indipendenti. 

(75) L. 11 febbraio 1994 n. I 09 modificata dal d.!. 3 aprile 1995 n. I O I, convertito con modificazioni dalla 
L. 2 giugno 1995 n. 216. 
(76) F. BONELLI, op. cit., 66. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

22 

Orbene, tali autorit�, anche se investite di funzioni pubbliche neutrali da �magistrature 
economiche� non possono essere considerate nel nostro ordinamento altro 
che autorit� amministrative, in quanto tali assoggettate secondo le regole generali al 
sindacato naturale del giudice amministrativo, come d'altronde espressamente previsto 
in alcuni casi. 

Attraverso il sindacato degli atti delle Autorit� indipendenti, il giudice amministrativo 
rester� dunque il giudice dell'interesse pubblico nell'economia anche nella sua 
nuova epifania regolatrice. 

Risulta cos� confermato il paradosso, enunciato nel titolo della presente relazione, 
delle evoluzione di un rapporto fra Amministrazione e giurisdizione che vede al suo 
nascere, e per circa un quarto di secolo (1865-1889), una Amministrazione �minima� 
ma fortissima che nega al giudice qualsiasi potere di sindacato nei propri confronti. 
Nell'arco di un secolo (1889-1990) assistiamo quindi al progressivo affermarsi di un 
sindacato giurisdizionale sull'operato dell'Amministrazione. Sindacato che si fa sempre 
pi� vasto e penetrante man mano che l'Amministrazione vede ampliarsi ipertroficamente 
le proprie competenze. Ai giorni d'oggi assistiamo, infine, al ritrarsi 
dell'Esecutivo verso dimensioni sempre minori e per� vediamo crescere, contraddittoriamente, 
poteri e competenze del Giudiziario, forse ancora sull'onda della linea di tendenza 
che aveva portato al cos� detto Stato di giurisdizione. 

Di qui la provocatoria ipotesi di una meta ultima tendenziale (ed ovviamente 
impossibile) di una �giustizia senza amministrazione�. 

Non resta che confidare nell'equilibrio e nella saggezza del costituente. Una saggezza 
che sappia tener conto delle grandi tradizioni della nostra giustizia amministrativa 
e sia memore dell'insegnamento della storia, che ha condannato al fallimento tutte 
le riforme che costituissero una brusca rottura con quella tradizione. 

Auguriamoci dunque una seconda repubblica prossima ventura che sappia chiudere 
finalmente la torbida ed interminabile fase di transizione che stiamo vivendo, 
forte di un rinnovato punto di equilibrio fra i poteri, capace di fornire l'assetto e l'efficienza 
adeguati per affrontare i problemi del nuovo millennio. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAMAZZA 



PARTE Il, DOTTRINA 

ALCUNE QUESTIONI PROCESSUALI 
RELATIVE AGLI ARTT. 26-27 L 4/29 E AL C.P.C. NOVELLATO 


1) Premesse 

� A/segu:ito dell'entrata �n vigore della recente novella al c.p.c., � stato pi� volte 
posto,. in giurisprudenza e in dottrina (si vedano ad esempio Trib, Firenze e Trib. 
Roma; in Poro it. 1996, I, 1437 e segg.; con nota cui si rinvia per i richiami), il problema 
del rapporto tra la normativa i:ii materia. cautelare in esso contenuta/e gli artt. 
26-27 della legge 4/29, Al riguardo, poith� l'art. 669 quaterdecies c.p.c. prevede l'applicabilit� 
delle norme del c.p.c~ nei procedimenti cautelari speciali (tra i quali rientra 
quello in questi�ne; sulla questione si veda MuTARELLI, �Processo cautelare e misure 
fiscali�, in Corriere GiiJridico, 1994, 1371 e segg.) solo �in quanto compatibili�, 
risulta da verificare la compatibilit� delle norme previste nel c.p.c. con il procedimento 
cautelare di cui agli artt. 26 e 27 suddetti ; risulta invece esclusa l'opposta teorica 
possibilit�, di conservazione di quanto disposto dagli artt. 26-27, soltanto qualora com� 
patibile conil c.p.c. (in senso contrario, Cass. 181197, secondola quale le disposizioni 
processuali degli artt; 26 e 27 dovrebbero ritenersi abrogate dalla riforma; trattandosi 
peraltro di sentenza priva di effettiva motivazione sul punto; senbra hef:essario attendere 
ulteriori pronunce della S;C. !:iulla questioine). 

Ai fini di cui si tratta, sembra .opportuno evidenziare brevemente quali siano gli 
elementi caratteristici delprocedimento cautelare speciale previsto negU artt, 26-27 
legge 4/29, che possono essere cos� indicati: � 

� 
l'iniziativa, direttamente i. cap.o all'Intendente di Finanza (ora direzione regionale 
delle entrate, in base all'art. 41 dpr. 27 marzo 1992 n. 287); 
� 
la competenza a concedere la misura, in capo al Presidente del Tribunale (anche se 
non sembra da escludere la possibilit� di delega ad altro magistrato); 
� 
l'istituzionale assenza di contraddittorio in relazione all'istanza; 
� 
la natura della misura, con riferimento ai beni immobili (si tratta di ipoteca, e non 
di sequestro); 
� 
il .tendenziale assorbimento del Eumus, che ilJegi&latore sembra aver ritenuto insito 
nel P.V. di constatazk>ne; 
� 
l'inesistenza di azione di convalida (� di merito); 
� 
la possibilit� di impugnativa, avanti al Tribunale, dell'eventuale procedimento 
concesso. 
A fronte delle caratteristiche appena accennate, si tratta di verificare se sia o meno 
ipotiz<1abile l'inil.esto i. tale procedimento, di norme contenute negli artt..669 bis e 
segg. c.p.c., verifica da fare caso per caso, in quanto sembra sen�ltro preferibile la tesi 
secondo la quale il giudizio di compatibilit� va fatto a livello delle singole norme, e non 
tra i due sistemi (in tal senso si veda, anche per ulteriori richiami, MUTARELLI, op. cit.). 

2) Rapporto tra artt. 26-27 L. 4129 e art. 669 bis e segg. c.p.c. 

A) Quanto all'iniziativa: 
Come si � detto, la normativa speciale prevede che la richiesta cautelare sia formulata 
dalla direzione regionale delle entrate; si tratta di vedere se sia compatibile con 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

24 

tale normativa quella contenuta negli artt. 669 bis e segg. c.p.c. Al riguardo, va considerato 
che la generale regola secondo la quale lo ius postulandi � attribuito ai professionisti 
legali, (salvi i casi espressamente previsti dalla legge) � contenuta nella parte 
generale del c.p.c., e non nella parte relativa alle misure cautelari, sicch� potrebbe ritenersi 
che non vi sia una specifica normativa sul punto, ricompresa nel richiamo operato 
dall'art. 669/14, potendo cosi essere ipotizzata l'inesistenza della necessit� di coordinare 
le normative in questione. 

Peraltro, considerato che l'art. 669 bis prevede che l'istanza cautelare sia proposta 
con ricorso, il quale, in assenza di specifiche indicazioni, deve possedere i requisiti di 
cui all'art. 125 c.p.c, ci si deve dare carico della possibilit� che la normativa contenuta 
nella parte del c.p.c. dedicata alle misure cautelari presupponga, e quindi in qualche 
misura richiami, la normativa in materia di ius postulandi contenuta nella parte generale 
di tale codice, potendosi cos� ipotizzare un problema di compatibilit� tra tale normativa 
e quella contenuta nell'art. 26 L. 4/29. 

Ora, va evidenziato: 

� 
che l'art. 125 � tutt'altro che tassativo nel prevedere la sottoscrizione da parte di un 
procuratore legalmente esercente (esso esordisce con un �Salvo che la legge disponga 
altrimenti... � e continua � ... debbono essere sottoscritti dalla parte, se essa sta in 
giudizio personalmente, oppure dal difensore�); 
� 
che l'art. 26 sembrerebbe essere proprio una di quelle ipotesi in cui la legge ha consentito 
la sottoscrizione della parte, o ha disposto altrimenti; 
� 
comunque, che la regola generale da esso evincibile � quella che il ricorso, nel caso 
di azione cautelare, deve essere necessariamente sottoscritto dal procuratore. 
Su tali basi, visto che il legislatore, nel perseguire obiettivi di rapidit� e di immediatezza, 
ha ritenuto, nell'art. 26, di evitare la previsione della intermediazione legale, 
si ritiene che l'art. 26 concretizzi uno di quei casi in cui l'istanza pu� essere proposta 
direttamente dalla parte, e, comunque, che, ove venisse ritenuta la sussistenza di un'incompatibilit� 
tra le normative, essa sarebbe tale da escludere l'applicabilit� della regola 
generale contenuta nel c.p.c. 

B) Quanto alla competenza funzionale: 

L'art. 26 attribuisce al Presidente del Tribunale la competenza a conoscere dell'istanza 
proposta dalla direzione delle entrate. Si tratta di una ipotesi di competenza funzionale 
del Presidente tale da apparire contrastante con la necessaria designazione di un 
giudice da parte del Presidente, secondo quanto prevede il c.p.c. (art. 669 ter, u.c.). 

Tale speciale competenza sembra essere stata prevista per tre ragioni: 

� perch�, trattandosi di cautela concedibile anche in relazione a fattispecie penalmente 
rilevanti, per le quali la competenza a conoscere dell'opposizione � prevista in 
capo al giudice penale (si veda peraltro, sulla rilevanza del nuovo c.p.p. e dell'abrogazione 
dell'ipoteca penale, al fine di escludere la permanenza di competenze del 
giudice penale ex art. 27, cass. pen., 3� 415194, Donnel; si veda inoltre, nel senso della 
necessaria competenza del giudice civile, Ca&,5. 9939/96), il presidente del tribunale 
appare l'unico soggetto idoneo a rendere provvedimenti tali da poter essere rilevanti 
ai fini dell'esercizio sia dell'una che dell'altra giurisdizione; 
� 
per obiettivi di continuit� di giurisprudenza nell'ambito della materia, evidentemente 
ritenuta di notevole rilevanza da parte del legislatore; 
� 
perch� si tratta di questione nella quale la possibilit� di preventivo contraddittorio � 
esclusa, in linea con la tendenza legislativa volta ad attribuire proprio al Presidente 

PARTE II, DOTTRINA 

la competenza su questioni sottratte, almeno in sede di eventuale concessione, al 

contraddittorio delle parti. 

Quindi, anche volendo ipotizzare la delegabilit� della competenza funzionale di 
cui trattasi, deve ritenersi che si tratti comunque di questioni di esclusiva competenza 
del presidente (in tal senso, Trib. Roma 10/5/93, in Dir. prat. trib. 95, 2�, 50, e Trib. 
Padova 29/5/94, in Giur. it. 95, 2�, 21 e segg.). 

Del resto, � evidente che la figura del giudice designato � prevista dal legislatore in 
funzione del contraddittorio che, in base all'art. 669 sexies c.p.c., deve necessariamente 
formarsi in relazione all'istanza cautelare, prima o dopo la sua concessione, a differenza 
da quanto previsto nel precedente art. 670 c.p.c.; poich� tale contraddittorio, 
come si dir� al punto d), non appare compatibile con la norma speciale di cui trattasi, 
ne derivano ulteriori ragioni per ritenere che anche la norma di cui all'art. 669 teru.c. 
del c.p.c., non sia compatibile con la disciplina speciale di cui all'art. 26 e 27, e che l'organo 
competente a rilasciare il provvedimento di cui trattasi sia tuttora il presidente. 

C) Sulla competenza territoriale: 

Giunti alla appena accenn�ta conclusione, va esaminata un'ulteriore questione, 
relativa all'individuazione del foro competente rispetto al rilascio dei provvedimenti 
cautelari previsti dalla normativa speciale di cui trattasi. 

La questione si pone in quanto l'art. 26, nel rinviare al foro �competente�, non d� 
alcuna specifica indicazione, da trarsi evidentemente da altra normativa; mentre d'altro 
lato l'art. 669 ter, 1� co., c.p.c., nel richiamare il foro competente per il merito, d� 
un'indicazione chiaramente inapplicabile, in relazione a caso per il quale il merito sia 
attribuito ad altra giurisdizione. 

Sicch�, mentre non si pongono problemi per ci� che riguarda il foro dell'eventuale 
opposizione (per il quale, trattandosi di questione di competenza dell'AGO, pu� essere 
pianamente applicato il criterio del foro erariale, come ritiene la costante giurisprudenza 
della S.C.), per quanto riguarda la competenza sul rilascio (di grande rilevanza, 
giusta anche i possibili effetti dell'incompetenza in relazione ai motivi ed agli effetti 
dell'eventuale opposizione), deve necessariamente provvedersi all'esame delle possibilit� 
che si presentano. 

Si tratta di problematica che, almeno in parte, insorge soltanto a seguito dell'entrata 
in vigore dell'art. 669 ter, 1� co., c.p.c., in quanto, in precedenza, l'art. 672 c.p.c 
(cos� come il c.p.c. del 1865), nel rinviare ai due possibili fori del merito e del luogo di 
esecuzione della misura, dava, con quest'ultima possibilit�, un'indicazione sicura in 
tutti i casi in cui il foro del merito non fosse applicabile. 
Va detto, al riguardo: 

� 
che la questione potrebbe essere ritenuta rilevante soltanto con riferimento al sequestro 
di beni mobili, in quanto, per l'ipoteca, trattandosi di misura diversa dal sequestro, 
potrebbero essere ritenuti direttamente applicabili i criteri di determinazione 
della competenza contenuti nella parte generale del c.p.c. (in tal senso si vedano, 
prima della riforma, cass. 2447/1980, e in dottrina, CONSOLO, �Dal contenzioso al 
processo tributario. Studi e casi Milano, 1992, 761 e segg.); la portata del richiamo 
contenuto nell'art. 669 quaterdecies c.p.c. sembra peraltro tale da rendere applicabile 
l'art. 669 ter1� co. c.p.c a qualsiasi tipo di misura cautelare, salvo valutare la compatibilit� 
di tale norma con gli artt. 26-27; 
� 
che problemi quali quello in questione sarebbero evitabili ove il rinvio effettuato dall'art 
26 al giudice �Competente�, fosse da intendere come rinvio �fisso�, in quanto, 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

26 

in tal caso, varrebbe il criterio di cui all'art. 926 del c.p.c. del 1865, analogo a quello 
dell'art. 672 del c.p.c. del 1942; peraltro, la vaghezza del rinvio operato dall'art. 26 
non sembra poter consentire di interpretarlo in tal senso; (su questioni analoghe, 
relative al rinvio contenuto nell'art. 208 T.V. 1775/1933, relativamente alla disciplina 
delle misure cautelari avanti al Trib. Sup. Acque Pubbliche, si veda MuTARELLI, in 
Rass. Aw. Stato, 1996, II, 7, con richiami); 

� che, d'altro lato, l'introduzione di norma che, come nella fattispecie, non consente in 
prima lettura l'individuazione di un giudice �competente� per la fattispecie in questione, 
non sembra all'evidenza tale da poter portare all'implicita abrogazione dell'istituto 
di cui agli artt. 26 e 27, dovendosi in ipotesi ritenere l'incompatibilit� di tale 
norma con la normativa speciale di cui trattasi; 
� che, quindi, l'individuazione del giudice competente sembra dover essere effettuata 
con applicazione (diretta o analogica) della norma contenuta nell'art. 669 ter 3� co. 
c.p.c. (norma evidentemente �compatibile� con la normativa speciale in questione), 
o, in subordine, applicando la normativa contenuta nella parte generale del c.p.c. 
relativamente alla competenza (su tale questione, si veda Trib. Padova, 9/5/94, in 
Giur. it. 95, Il, pag. 25-26). 
D) Sull'assenza del contradditiorio: 

Gli artt. 26 e 27 L. 4/29 non prevedono l'instaurazione di alcun preventivo contraddittorio 
sull'istanza di cui trattasi; lo strumento in questione � stato infatti previsto 
come strumento semplificato, immediato, diretto, in relazione ad una situazione di 
fumus data dalla sussistenza del p.v. di constatazione; situazione nella quale la concessione 
del provvedimento dovrebbe seguire la dimostrazione del periculum. 

Ora, � chiaro che gli obiettivi di speditezza ed efficacia perseguiti da tale normativa 
sarebbero pregiudicati: 

� 
ove fosse prevista la necessaria intermediazione di legale, che comporterebbe necessariamente 
la necessit� di un �passaggio� in pi�, con conseguente necessit� di tempi 
pi� lunghi; 

� 
ove, all'immediato intervento del presidente, fosse sostituito quello di un giudice 
designato; 

� 
ove fosse prevista la necessit� di un previo contraddittorio che, in quanto tale, porterebb�, 
oltre che a pregiudicare gli obbiettivi di cui sopra, a superare la legittimazione 
della Direzione Regionale Entrate, che, in una event�ale situazione di contraddittorio, 
dovrebbe -si ritiene necessariamente -essere rappresentata dall'Avvocatura; 
sicch� verrebbe a risultare incongrua la proposizione dell'istanza da 
parte di tale direzione, razionale nell'ambito del procedimento speciale di cui trattasi, 
ma del tutto priva di significato ove vi fosse poi la necessit� di difenderne i contenuti, 
e tale difesa dovesse essere svolta da organo diverso dal proponente, talch� 
ipotizzare la compatibilit� dell'art. 669 sexies 1� co. c.p.c. con la speciale disciplina 
di cui trattasi, varrebbe, in sostanza, tra le altre cose, a far venir meno la legittimazione 
della direzione entrate. 

Si ritiene quindi che l'instaurazione del contraddittorio, ai sensi dell'articolo suddetto, 
sia del tutto incompatibile con la speciale normativa di cui trattasi, sia dal punto 
di vista della ratio, che da quello funzionale, e che, anche in considerazione di ci�, 
debba essere riaffermata la competenza del Presidente del Tribunale a pronunciarsi su 
tale istanza. 



PARTE Il, DOTTRINA 

E) Sulla natura delle misure cautelari di cui trattasi: 
L'art. 26 prevede, come noto, la possibilit� di concessione di sequestro in relazione 
ai beni mobili, e di ipoteca in relazione ai beni immobili. 
Quanto al sequestro, non vi sono differenze sostanziali rispetto alla misura concedibile 
in base al c.p.c. 
� invece evidente che l'ipoteca prevista nell'art. 26 � misura ben diversa dal sequestro 
di beni immobili previsto nel c;p.c., e che; anche dandosi carico delle ragioni storico-
giuridiche che sono all'origine di tale differenza, la differenza resta; peraltro, come 
si � gi� detto poco sopra, la questione non sembra di grande rilevanza al fine della valutazione 
di compatibilit� di cui trattasi, fermo restando che si tratta dielemento di notevole 
rilevanza in relazione alla valutazione di specialit� dell'istituto in questione. 

F) Sul fumus: 

Gi� si � detto della pregnanza attribuita dall'art. 26 L. 4/29 al p.v. di constatazione; 
ci� appare in linea con l'evidente difficolt� insita nell'ipotizzare una possibilit� di 
esame del luinus relativo alla sussistenza del credito, da parte di organo appartenente 
a giurisdizione estranea a quella deputata a giudicare dell'esistenza o meno del credito 
stesso; specie a fronte di istanza proposta non da parte di un legale, ma da parte di 
un organo dell'amministrazione, a fronte della quale risulta a maggior ragione evidente 
l'intenzione del legislatore di dare esclusivo rilievo alle risultanze del p.v. 

In tempi relativamente recenti, la S.C. (sentenza 12589-91, a S.U.), ha affermato 
che l'esame del giudice civile andrebbe operato, oltre che in relazione al periculum, 
anche ih relazione al fumus; accompagnando per� tale affermazione con la precisazione 
che il fumus sarebbe comunque desumibile dall'esistenza del p.v. di constatazione. 
Ci� non sembra spostare di molto le cose rispetto a quanto affermato dalla giurisprudenza 
precedente ( cass. 244 7-80, 1989-79), ferma nell'escludere la sindacabilit� del 
fumus, restando comunque evidente il quadro di estrema specialit� che caratterizza, 
anche per tale verso, la materia in questione, e la necessit� di evitare l'applicazione di 
norme che siano tali da poterla snaturare. 

G) Sulle azioni successive: 

La disciplina contenuta nel c.p.c. novellato non prevede la possibilit� di azione 
di convalida, sicch�, per tale verso, non sussiste differenza rispetto alla disciplina 
speciale. 

Essa prevede invece la necessit� di un'azione di merito da proporre entro un 
ristretto termine, a differenza dalla disciplina speciale che nulla prevede al riguardo. 

Si tratta, anche in questo caso, di verificare la compatibilit� della norma contenuta 
nell'art. 669 octies c.p.c. con la normativa speciale; e, al riguardo, trattandosi di riferimento 
ad una azione di merito da proporre avanti all'A.G.O., nelle modalit� previste 
a tal fine dal c.p.c., � chiaro che si tratta di disposizione incompatibile con i principi 
vigenti in materia tributaria, secondo i quali �l'azione� viene svolta in via amministrativa, 
ed in relazione a tributi estranei alla giurisdizione dell'A.G.O., rispetto ai quali 
un'�azione di merito� non sembra neppure concepibile. 

Su tale punto, la situazione non sembra quindi variata rispetto alla precedente 
normativa, in relazione alla quale la S.C. si � pronunciata con sentenza 12589/91, a 

S.U., nella quale si afferma: 
� che non esiste giudizio di convalida; 

28 
RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

� 
che l'unico limite temporale rilevante, ricavabile dall'ordinamento, � quello previsto 
per l'instaurazione della azione tributaria, secondo le specifiche normative di settore; 
� che, oltrepassato tale limite, la misura cautelare diviene inefficace. 
* * * * 

Sono state avanzate in dottrina e in giurisprudenza alcune tesi (si vedano, anche per 
richiami: CONSOLO, �Dal contenzioso al processo tributario. Studi e casi� Milano 1992, 
761 e segg.; MAMou, in Giur. it. 1994, 1171 e segg.) volte ad introdurre pi� stretti limiti 
temporali per l'instaurazione dell'azione tributaria di cui trattasi, fondate essenzialmente 
sull'equiparazione tra azione di convalida (o di merito) ed �azione� tributaria ai fini 
dell'efficacia del provvedimento cautelare. Tali tesi (che non sembrano condivisibili, ed 
alla cui lettura comunque si rinvia), partono dalla considerazione della notevole differenza 
sussistente tra i termini previsti nel c.p.c., e quelli di cui alle normative in questione, 
cosi come individuati dalla S.C., nella suddetta sentenza. Tale differenza, non rilevante 
dal punto di vista interpretativo, non sembra poter dar luogo alla proposizione di 
questioni di costituzionalit�, che, comunque, sarebbero presumibilmente inammissibili, 
non potendo la Corte Costituzionale introdurre termini la cui determinazione, anche 
relativamente alla lunghezza, non potrebbe essere disposta che dal legislatore; e comunque 
va rilevato che la complessit� dell'organizzazione dell'apparato tributario (la cui 
azione � finalizzata ad obiettivi di rilevanza costituzionale), sembra tale da non poter 
consentire l'introduzione, in via interpretativa, di termini eccessivamente ristretti, variabili, 
o comunque incompatibili con l'oggettiva organizzazione dell'Amm.ne finanziaria, 
viste anche le finalit� di uguaglianza sostanziale che l'art. 3 cost. persegue. 

H) Quanto al reclamo di cui all'art. 669 terdecies c.p. c.: 

L'incompatibilit� di tale reclamo con l'impugnazione di cui all'art. 27 I. 4129 
appare, almeno ad un primo esame, evidente: e neppure appare possibile ipotizzare 
un'applicazione del nuovo rito camerale all'impugnazione di cui all'art. 27, considerata 
la necessaria applicabilit� del rito ordinario, ove non sussistano elementi univoci 
per l'applicabilit� del rito camerale (Cass. 11597/93). 

* * * * 

In conclusione sul punto, deve ritenersi che le norme sopracitate, contenute negli 
artt. 669 bis e segg. c.p.c., siano incompatibili con gli aspetti caratterizzanti contenuti 
nella disciplina speciale contenuta negli artt. 26; che possa essere ritenuta la compatibilit� 
di norme disciplinanti altri aspetti (la competenza nei limiti di cui si � detto 
sopra, o la riproponibilit� dell'istanza; si veda Trib. Firenze, in Foro It., 1996, I. 1437 
quanto all'applicabilit� dell'art. 669 novies c.p.c.); che, quindi, integrazioni alla normativa 
speciale siano ipotizzabili soltanto in relazione ad aspetti diversi da quelli che 
si sono esaminati sopra. 

l 

3) Ulteriori questioni processuali 
I 
I 

i 

Date le problematiche di cui ai punti precedenti e le possibili soluzioni ivi indicaI 
te, il destinatario di provvedimento cautelare (emesso sul presupposto dell'applicabi-

I 

! 

I 


PARTE Il, DOTTRINA 29 

lit� dd}a normativa speciale) potrebbe, in sede di opposizione; contestare la compe� 
tenza, o il rito, o quant'altro ritenesse: le sue ragioni dovrebbero comunque essere esaminate 
nella eventuale opposizione, e la sentenza dovrebbe pronunciarsi sulla legittimit� 
della misura cautelare concessa, anche in relazione a tali parametri, oltre che in 
relazione al periculum (o al fumus, nei limiti di cui si � detto sopra), 

Yli, pgi c;onstcle~ataJ'.opp()S:t:<1.possihilit�, e cio�, ~t;;l. un'.ist1,mza ex art,. 26, in sede 
di deqi$fQne <:\ella st~~sa ctapfue clel gi.clice.Jnves*o�. vi potrepbero .essere le seguenti 
Jl()S!:libilit�, (a pres~ill<lerti da decfuioni rese in relazioptl ii,lpericulum): .�. 

~ potrebbe e$sere rit�nt!tal'inapplicabilit� del ritodvi previsto, e conseguentemente 

l'inammissibilit� dell'istanzii., ii.d esempio; per�h~ sott9scritta da. f.nzionario. del


l'amm.ne, noi:i. dotato di ius postulandi; .o la sua infondatezza, sull;:i base dell'appli


c:azioni:1 di norme ne>n. �compatihili� . .(ad esempio,� perch� ritenuto insussistente� il 

Jumus. p.r .in prei;enz.ii, di p, v. di constatazione); 

� potrebbe essere ritenuta. fapplicabilit� deLrito, ma esclusa la �orpp�tenza del foro; 
in entrambi i casi, la mis.ra richiesta non potrebbe essere ce>ncessa,. 

Su ti.di question,i, va osservato qu;:into segue. 

A) Sembra trattru:si dtquestioni rilev;:inti solo incaso di rigetto. Itifatti1 ove si tratti 
di provvedimenti che affermino la competenza o l'ammissibilit���lprovvedimento 
richiesto, seml>ra che s~ debba teMre in considerazione la sussistenza della possibilit� 
di i..lpugnazione clJ. cui all'art. 27, nelquale � prevista una sede istituzionalmente designata. 
1,mche alla valutazione dei vizi di legittimit�, del provvedimento impugnato, tra i 
quali, all'evidenza, sembr;:ino doversi ricomprendere quelli deriv;:inti dalle questioni di 
cui s9pra, .secondo i1110 schema noto al c.p.c.; (si veda quanto affermato dalla giurisprudenza 
per il giudizio di convalida, o per l'impugnazione del decreto ingiuntivo, nell'ambito 
dei qualivengono valutati i possibili vizi di cui trattasi, con effetto caducatorio. 
rispetto al prov\Tedimento emesso dal Presidente del Tribunale: Cass. 3092/69 in 
relazione alla convaiida del sequestro; Cass. 5099/93; 2000/89; 10007/91 e molte altre, 
in relazione all'opposizione a decreto ingiuntivo). 

Dall'esistenza di tale sede sembr;:ino potersi trarre elementi sufficienti a far 
ritenere: 

-che, in caso di provvedimento conforme alla richiesta, gli elementi di cui sopra 
vanno vruutati a livello di Eumus, sembr;:indo che 1.llla decisione sul punto, avente.carattere 
di pienezza, sia s�arsamente compatibile coii l'impugnazione di cui all'art. 27; 

-che, com.nque, sussiste una sede ove far valere tali ql.lestioni, sicch� il soggetto 
che abbia doglianze da svolgere al riguardo, ha adeguata possibilit� di� farlo, senza 
alcuna compressione dei suoi diritti di difesa. 

B) Quli\Jora invece si tratti di provvedimente> che affermi l'inammissibilit� della 
domanda ol'incompetenza, la. questione appare notevolmente pi� complicata.Infatti, 
la m;:incmza, almeno ad un primo esame, di possibilit� di impugnazione ex art. 27 di 
un tale provvedimento, fa dubitare della possibilit� che decisioni c4 tal genere si;:ino 
prese a livello di Eumus (� evidente che, su tali aspetti, non vi sono ragioni -come 
invece per il Eumus del credito -tali da poter far escludere cheJ'AGO ne possa conoscere, 
trattmdosi di questioni sulle quali essa (:\eve in ogni caso pronunciarsi). 

C) Non sembra migliore la situazione, in relazione a qu;:into previsto in materia 
cautelare nel c.p.c., in qu;:into, dato un problema di competenza o di rito (che potrebbe, 
sia pure scolasticamente, involgere ad esempio la stessa esistenza, dal punto di vista 
normativo; del tipo di misura cautelare chiesta o concessa), la sede del reclamo, limi




30 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

tata agli effetti del fumus, non pare affatto idonea a risolvere questioni di tale genere, 
che non sembrano prestarsi a decisioni informate al criterio approssimativo del fumus, 
e dovrebbero prima o poi poter essere decise con provvedimento idoneo a chiarirle in 
via definitiva , anche considerato che tali aspetti non potrebbero essere considerati nell'eventuale, 
successivo giudizio di merito. 

D) Non sembra potersi individuare un rimedio nella riproponibilit� dell'istanza 
(Cass. 6297/80; 2551176; l'art. 669 septies, con disposizione che sembra applicabile 
anche allo speciale procedimento in questione, la codifica, pur limitandola ai casi ivi 
espressamente considerati) trattandosi di strumento privo di utilit� in caso in cui, anzich� 
della sussistenza o meno del periculum, si tratti di questioni tali che, adottata a 
ragion veduta una certa giurisprudenza, questa sia tale da precludere la possibilit� di 
una utile riproposizione dell'istanza, quantomeno avanti al giudice in precedenza adito. 

E) Si deve quindi vagliare la possibilit� che decisioni di tale genere debbano essere 
prese a livello di cognizione piena, con provvedimento avente natura di sentenza. Tale 
possibilit� pare peraltro priva di concretezza, considerato, gi� ad un sommario esame: 

-che si tratterebbe di provvedimento preso in assenza di contraddittorio; 
-che, quindi, la struttura del procedimento � tale da non poter consentire la formazione 
di un giudicato; 

-che, comunque, ipotizzata la natura di sentenza ai fini di una possibile impugnazione, 
non vi sarebbero possibilit� di utili provvedimenti da parte del Giudice di 
appello, che, anche ove accogliesse la tesi dell'ammissibilit�, non avrebbe n� la possibilit� 
di ritrasmettere la questione al primo giudice, n� la possibilit� di decidere in suo 
luogo (se non altro, in base alla evidente impossibilit� di utilizzare lo strumento dell'impugnazione, 
di cui all'art. 27, nei confronti di sentenza del giudice di appello). 

F) � peraltro noto come, ai fini delle impugnazioni esperibili avanti la S.C., il prov


I~:: 

vedimento oggetto di impugnazione possa essere dotato di requisiti anche non totalmente 
coincidenti con quelli caratteristici della sentenza. 

Si possono quindi ipotizzare le seguenti possibilit�: ::: . 
Fl) regolamento di competenza, avverso provvedimento declinatorio della com-, 
petenza. . 


Tale possibilit� risulta in linea generale affermata dalla giurisprudenza formatasi 

~, 

in relazione a provvedimenti dichiarativi dell'incompetenza, resi in relazione ad istanze 
cautelari (si vedano: Cass. 5078/87, in Giust. Civ. 87, I, 1376; Cass. 1497 e 2118/84; 

I 

nonch�, implicitamente, Cass. 6869/92), in considerazione del carattere decisorio sulla 

I

competenza che simili provvedimenti assumono, e della loro non riesaminabilit� da 

~ 

parte del collegio in sede di convalida, e quindi della loro definitivit�. 

Si tratta, peraltro, di possibilit� che viene contestata a seguito della entrata in vigo~ 
re della novella, in quanto l'art. 669 septies c.p.c. potrebbe essere interpretato in modo rn 
tale da escludere la possibilit� di impugnazioni in punto di competenza. 

Quanto a tali aspetti, non si vedono elementi di incompatibilit� tali da precludere 
l'applicabilit� delle norme appena citate al procedimento speciale in questione, e si 

Iif~

ritiene quindi che la soluzione del problema vada tratta dall'interpretazione che sar� 
data all'art. 669 septies c.p.c., sulla quale non ci si sofferma, trattandosi di questione 11\ 
che esula dai limiti del presente lavoro. 


� solo il caso di osservare che, se la S.C. proseguir� la tendenza di cui alla giuri11: 


' 
i

sprudenza citata in precedenza, ed adotter� una giurisprudenza tale da non attribuire r= 
particolare rilievo -in punto di impugnazioni -al disposto dell'art. 669 septies c.p.c., 

i 111 
ii! 

r 

' 

1111�1111111111t11�r111111�11r�1111,�1111������1J 



PARTE II, DOTTRINA 

la possibilit� di regolamento di competenza avverso provvedimenti quali quelli in questione 
risulter� confermata. 
F2) Impugnazione ex art. 111 Cost., avverso provvedimento dichiarativo dell'inammissibilit� 
dell'istanza, o comunque negativo in relazione a ragioni attinenti il rito. 

Al riguardo, va richiamato quali debbano essere (in linea generale, secondo la 
S.C.), le caratteristiche di un provvedimento, tali da rendere possibile l'impugnativa ex 
art. 111 Cost.: 

�Ai fini dell'ammissibilit� del ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., il 
termine sentenza non va inteso nel significato proprio del provvedimento emesso nelle 
forme e nei casi di cui agli artt. 132 e 279 c.p.c., ma deve essere interpretato estensivamente, 
in guisa da ricomprendervi tutti i provvedimenti giurisdizionali -anche se 
legittimamente emessi sotto forma di ordinanza o di decreto -rispetto ai quali non 
sia previsto alcun altro rimedio, si rende tuttavia necessario che si tratti di provvedimenti 
aventi carattere decisorio, incidenti comunque sui diritti soggettivi, ed aventi 
piena attitudine a produrre, con efficacia di giudicato, effetti di diritto sostanziale o 
processuale sul piano contenzioso... � (Cass. 10771/96). Su tali basi, con riferimento a 
ricorso proposto in caso analogo a quello di cui trattasi, la S.C. ha avuto modo di affermarne 
l'inammissibilit�, in quanto �Il provvedimento di rigetto della domanda di iscrizione 
di ipoteca legale ai sensi dell'art. 26 1. 4/29 non costituisce una pronuncia di 
accertamento negativo, ma una pronuncia allo stato degli atti, che non assume efficacia 
di cosa giudicata... � (Cass. 9231/96). 

Tali conclusioni lasciano qualche perplessit� ove le ragioni del rigetto non siano, 
come nell'ipotesi oggetto di esame, legate a specifici elementi della vicenda sottoposta 
alla decisione del giudice, ma attengano a questioni interpretative, tali che la riproposizione 
dell'istanza sia inidonea a produrre alcun utile effetto. Si tratta, peraltro, di 
osservazione rilevante solo in linea di fatto, non essendo in contestazione l'astratta possibilit� 
che l'istanza possa essere indefinitamente reiterata, e riesaminata, e magari 
anche accolta; sicch�, nonostante tale aspetto, si ritiene che le perplessit� non siano tali 
da far contestare le conclusioni cui � giunta, al riguardo, la S.C. 

Sussiste peraltro un elemento, che non risulta considerato nell'ultima pronuncia 
considerata, dato dall'art. 669 septies c.p.c., secondo il quale l'istanza cautelare non 
pu� essere liberamente riproposta, ma � assoggettata ai limiti dati da �mutamenti delle 
circostanze� o deduzione di <<nuove ragioni di fatto o di diritto�. A fronte di ci�, potrebbe 
essere ipotizzata, in assenza di nuovi elementi o nuove possibilit� di prospettazione, 
una qualche efficacia decisoria in capo al provvedimento di rigetto, tale da rendere 
ipotizzabile l'utile proposizione di ricorso ex art. 111 Cost. nella materia. 

G) L'ipotesi di impugnazione ex art. 111 Cost. risulta peraltro proponibile, come 
noto, solo qualora l'ordinamento non preveda alcun altro mezzo di impugnazione del 
provvedimento giurisdizionale in questione. 

Si deve quindi verificare se vi sia una possibilit� di tale genere, valutando i mezzi 
di impugnazione ipotizzabili per l'impugnazione di una decisione di tal genere, che 
possono essere, in astratto, i seguenti. 

Reclamo alla Corte d'appello ex art. 742 bis c.p.c. 

Si tratta di procedimento che appare inapplicabile alla fattispecie, non trattandosi 

di impugnare un provvedimento emesso dal Tribunale in Camera di Consiglio, ma un 

provvedimento emesso dal Presidente del Tribunale in relazione a questione rientran


te nella sua competenza funzionale. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

32 

In tal senso si � espressa la giurisprudenza prima della riforma, a proposito del 
sequestro conservativo (App. Milano 23.giugno.1972; App. Bologna 24 settembre 1957, 
in Foro it. 58, I, 1658; App. Catania 1 dicembre 1955, ivi, 56, I, 659; App. Palermo 16152, 
in Giur. it. 52, I, 2, 713), che appare la fattispecie pi� assimilabile a quella di cui 
trattasi; in tal senso ha poi concluso l'Avvocatura Generale in parere espresso con nota 
19650 del 1o marzo 1991, es. 770/89-280. 

Reclamo al Tribunale ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c. cos� come modificato da C. 
Cost. 253194. 

La compatibilit� di tale strumento con il procedimento di cui agli artt. 26 e 27 va 
valutata considerando anzitutto che, anche se vi fosse in sede di reclamo una decisione 
favorevole alla parte ricorrente, non sussisterebbero gli strumenti per riportare la 
questione al Presidente del Tribunale, non essendo prevista, nel rito di cui all'art. 669 
terdecies, alcuna possibilit� di tale genere. 

Quindi, l'unica possibilit� sarebbe data da una pronuncia cautelare da parte del 
Tribunale, in sede di reclamo, che potrebbe dare luogo, peraltro, a problemi quali quelli 
che seguono: 

-se il Tribunale affermasse l'ammissibilit� della domanda e la persistente esistenza 
del rito ex art. 26/271. 4/29, negati dal primo giudice, e al tempo stesso provvedesse 
alla decisione del merito, farebbe la contemporanea applicazione di normative tra di 
loro contrastanti, o comunque difficilmente coordinabili, quali l'art. 26 1. 4/29 e l'art. 
669 terdecies c.p.c., la cui applicabilit� ai sensi dell'art. 669 quaterdecies dovrebbe essere 
esclusa. 

-nel medesimo caso (come anche in relazione ad eventuale reclamo alla Corte 
d'Appello), parrebbe astrattamente problematico ipotizzare una decisione del 
Tribunale, investito ex art. 27 1. 4/29, che, a seguito di provvedimento concessivo da 
parte del Tribunale ex art. 669 terdecies c.p.c., riesaminasse le stesse questioni gi� decise 
dal medesimo Tribunale in sede di reclamo, confermandole o disattendendole. 

La giustificazione di una simile ipotesi sarebbe data dal fatto che la decisione in 
sede di reclamo verrebbe presa a livello di fumus, mentre in sede di impugnazione verrebbe 
presa a livello di cognizione piena; ci� che, peraltro, non sembra a prima vista 
sufficiente a convincere della possibilit� di una doppia impugnazione dello stesso provvedimento 
avanti alla medesima Autorit� Giudiziaria. 

Va poi considerato che l'ipotesi del reclamo (sia al Tribunale, che alla Corte) non 
consentirebbe di ovviare all'inconveniente gi� evidenziato in precedenza, a proposito 
dell'inidoneit� di un provvedimento, preso a livello di fumus, a definire questioni quali 
quelle relative all'ammissibilit�, o pi� in generale alle norme da applicare al procedimento 
in questione, che, per loro natura, dovrebbero necessariamente essere decise a 
livello di cognizione piena e non di fumus, sicch�, anche ammesse tali possibilit�, si 
deve ritenere che esse varrebbero soltanto a spostare nel tempo il problema, che si 
riproporrebbe comunque a fronte del provvedimento che venisse reso in tale sede. 

Sembrerebbe quindi da escludere la possibilit� di tale reclamo, pur evidenziandosi 
che alcuni degli argomenti utilizzati per giungere a tale conclusione, trovano riscontro 
anche nell'ordinario sistema di cui agli artt. 669 bis e segg. c.p.c.; ci� che peraltro 
non esclude, nell'ambito del sistema speciale di cui agli artt. 26 e 27, la possibilit� di 
verificare la sussistenza di una soluzione che eviti carenze di tale genere, tenga adeguato 
conto dei diritti di difesa, e consenta di evitare la formazione di giurisprudenza 
dlcarattere localistico, destinata a frantumazioni interne, tale da nuocere ad ovvie esigenze 
di uniformit� nella applicazione della normativa in questione. 



PARTE Il, DOTTRINA 

4) Impugnazione ex art. 271. 4129. 

Si tratta dell'unica possibilit� che non pare scontrarsi con alcuno degli ostacoli 
sopraccennati, in quanto: 

-si tratta di strumento previsto espressamente dalla legge, sia pure con riferimento 
al solo caso dell'accoglimento dell'istanza; 

-non presenta possibili elementi di incompatibilit� sistematica; 

-� idoneo a definire la controversia sui punti in questione, con efficacia di 
giudicato; 

-consente la formazione (attraverso l'eventuale intervento della S.C.) di una giurisprudenza 
unitaria. 

Si tratta di verificare se la formulazione letterale dell'art. 27 sia o meno tale da 
costituire un ostacolo insuperabile per una ipotesi di tal genere. 

Tale articolo, al primo comma, prevede, come noto, che �la iscrizione dell'ipoteca 
e il sequestro possono essere impugnati da chiunque vi abbia interesse�. 

� evidente che il legislatore ha espressamente previsto soltanto tale possibilit�, 
ci�, che, peraltro, non pare decisivo al fine di escludere l'applicabilit� dello strumento 
in questione a situazioni che non siano state espressamente escluse. 

Ad un primo esame, sembrerebbe necessario verificare se ricorrano i presupposti 
per un'interpretazione estensiva od analogica, ma non sembra che essi siano 
ricorrenti: 

� 
quanto alla possibilit� di interpretazione estensiva, si ritiene che essa debba essere 
esclusa, in assenza di elementi letterali tali da poter consentire di estendere, in qualche 
maniera, l'ipotesi dell'impugnazione dell'accoglimento, a quella �lel rigetto; 
� 
quanto alla possibilit� di analogia, elementi di carattere costituzionale (gli stessi 
adottati dalla C. Cost. con la sentenza 253/94), porterebbero a ritenere auspicabile 
una tale soluzione; ma lo stesso fatto che sia stata necessaria una sentenza della 
Corte Cost. per modificare l'art. 669 terdecies c.p.c., fa ritenere che si tratti di ipotesi 
non percorribile, salvi eventuali interventi da parte della C. Cost. 
Indicazioni utili si ricavano invece valutando quale sia la natura del procedimento 
di cui all'art. 271. 4/29, che, come affermato dalla S.C., � sostanzialmente un'azione 
di accertamento negativo della legittimit� del provvedimento cautelare concesso dal 
Presidente del Tribunale ai sensi dell'art. 26, una cosiddetta actio nullitatis (Cass. 
12589/91). 

Tale tipo di azione, esaminata da dottrina e giurisprudenza con prevalente riferimento 
a casi di sentenze inesistenti (per la necessit� di coordinarla con i vigenti mezzi 
di impugnazione delle stesse) sembra poter essere applicata (oltre che nei casi in cui 
essa � espressamente prevista, come per l'art. 27) anche con riferimento a provvedimenti 
che non abbiano forma di sentenza (si veda ad esempio la giurisprudenza formatasi 
con riferimento ai provvedimenti resi in camera di consiglio Cass. 2546/72; 
1247/73; nonch�, in dottrina, MANDRIOLI, con riferimento a specifica fattispecie, in 
Rivista di diritto processuale, 1957, 303 e segg.). 

Emerge quindi che la previsione di impugnazione contenuta nell'art. 27 ha probabilmente 
carattere ricognitivo di una possibilit� gi� contenuta nel generale ordinamento 
processuale, e che, pertanto, in assenza di indicazioni che portino ad escludere 
la possibilit� di una actio nullitatis in ipotesi diverse da quella espressamente prevista, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

34 

dovr� ritenersi che essa sia esperibile anche nel caso di rigetto dell'istanza, e che, almeno 
su di un piano astratto (ferma l'evidente impossibilit� di giungere ad ottenere un 
provvedimento cautelare per mezzo di una sentenza), essa sia idonea a consentire di 
rimediare ad eventuali errori (di legittimit�) riscontrati nel provvedimento di rigetto da 
parte del Presidente del Tribunale, il quale, reinvestito della questione, dovrebbe adeguarsi 
alla pronuncia. 

* * * ''r 

Visto quanto esposto sinora, sembra che le possibilit� di reazione avverso provvedimenti 
negativi resi su istanze ex art. 26, vadano limitate alle seguenti: 

A) Ove si tratti di provvedimenti dichiarativi dell'incompetenza territoriale del giudice, 
il regolamento di competenza, sia pure con i dubbi di cui sopra; in subordine, 
l'impugnazione ex art. 27. 

B) Ove si tratti di provvedimenti negativi per ragioni di rito, o fondati su questo, 

o comunque su questioni relative all'ammissibilit� dell'istanza, si possono ipotizzare, 
in astratto: 

-ricorso alla S.C. ex art. 111 Cost.; 

-impugnazione, secondo lo schema di cui all'art. 27 l. 4/29, inteso come ricognitivo 
di una generale possibilit� prevista dall'ordinamento, a fronte di provvedimenti 
non aventi carattere decisorio. 

Di queste due ultime possibilit�, � chiaro che, a fronte di un concreto provvedimento, 
una sola sar� quella effettivamente esperibile, a seconda del carattere �decisorio
� o meno del provvedimento. 

Per valutare tale elemento, sembra necessario ritornare sull'art. 669 septies cpc., e 
sulla sua rilevanza ai fini di cui trattasi. Esso afferma, al di l� della formulazione, la 
generale regola che il ricorso, una volta rigettato, non � riproponibile, a meno che vi 
siano dei nuovi elementi (mutamenti delle circostanze, nuove ragioni di diritto o di 
fatto), la cui sussistenza o meno dovr� essere vagliata dal Presidente (o da chi per esso, 
a seconda delle tesi, o del rito). 

Si tratta di situazione analoga in qualche misura a quella che si registra nel processo 
amministrativo, nel caso di rigetto dell'istanza cautelare, a seguito del quale, 
come noto, � ammessa una nuova domanda cautelare, soltanto nel caso di emergenza 
di nuovi elementi, ferma la possibilit� di impugnazione del provvedimento cautelare in 
relazione a vizi suoi propri. 

A prescindere da accostamenti quali quello appena accennato, sembra chiaro 
come, a fronte di provvedimento negativo fondato su ragioni attinenti al rito, la rilevanza 
di eventuali ulteriori circostanze o elementi di fatto sia in linea di massima da 
escludere. 

Quanto ad eventuali nuove ragioni di diritto, sembra doversi trattare di novit� 
oggettiva, tale che la diversa presentazione di argomenti gi� in precedenza esposti, 
non possa concretizzare tale requisito; sicch�, a fronte di questione quale quella di 
cui trattasi, anche tale possibilit� sembra, in linea di massima, insussistente, ove le 
uniche questioni di cui si discute attengano all'interpretazione della normativa di cui I 
sopra, e la tesi dell'Amministrazione sia stata in precedenza gi� adeguatamente svi! 


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Pertanto, una decisione di rigetto fondata su argomenti quali quelli di cui si � 
detto, non sembra potersi in concreto ritenere una decisione �allo stato degli atti�, e 

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PARTE II, DOTTRINA 

sembra quindi assumere un carattere in qualche misura �decisorio�, in linea con la sua 
non riproponibilit�, da verificare, in sede di impugnazione, alla luce della assenza o 
meno di nuove �ragioni di diritto� nell'impugnazione. 

In conclusione, sembra che possano ipotizzarsi decisioni di rigetto aventi, oppure 
non aventi,. carattere decisorio; e che, nel primo caso, sia esperibile soltanto ricorso per 
cassazione ex art. 111 Cost.; mentre nel secondo, sia esperibile azione di accertamento, 
secondo quanto si � sopra detto. 

* * * * 

� chiaro peraltro �he tali possibilit�, utili a consentire l'affermazione di generali 
principi applicabili in fattispecie come quella in questione, non sono certamente strumenti 
idonei, in concreto, a perseguire gli obiettivi cautelari di cui all'art. 26, anche in 
considerazione dei tempi necessari. 

N�, in via di fatto, sembra possibile evitare pregiudizi, ricorrendo all'ordinario 
procedimento cautelare, in quanto, a parte ogni considerazione sull'efficacia dei due 
istituti, un'azione in tal senso sarebbe presumibilmente soggetta alla norma (669 
octies) che prevede un ristretto termine per l'inizio del giudizio di merito (non esperibile 
nella fattispecie, come si � detto), conseguendone che tale astratta possibilit� 
sarebbe priva di senso pratico. 

Al riguardo non sembra ragionevole ipotizzare, ad esempio dopo che fosse stata 
esclusa in toto l'applicabilit� degli artt. 26-27, una impostazione volta a sostenere l'inapplicabilit� 
dell'art. 669 octies nel caso che l'�azione di merito� consista in un'azione 
tributaria; considerato che tale ipotesi, coerente con la specialit� degli artt. 26-27, 
lo sarebbe assai meno con il sistema di cui agli artt. 669 bis e segg. c.p.c. 

* * * * 

S) Considerazioni finali. 

Si � detto, sinora, della complessit� della questione relativa all'individuazione dei 
possibili mezzi di impugnazione esperibili avverso provvedimenti di rigetto di istanze 
ex art. 26 I. 4-29, che siano fondati non sugli elementi del periculum o del fumus (in 
senso stretto), ma su questioni relative alla competenza o all'ammissibilit�, o al rito. 

Sembra opportuno svolgere alcune altre brevi osservazioni. 
A) Nell'ambito di un provvedimento cautelare, il fumus boni iuris non coincide, 
come noto, con la certezza, ma con la ragionevole probabilit� della fondatezza della 
tesi esposta; in buona sostanza, con la ragionevole probabilit� che la tesi posta a base 
dell'istanza risulti alla fine vittoriosa. Ci� appare vero, a maggior ragione, nel caso dell'art. 
26, per il quale il legislatore non ha nemmeno espressamente previsto la sussistenza 
del fumus tra i presupposti del provvedimento cautelare. Nella situazione in 
questione, nell'attesa che si formi e si consolidi una giurisprudenza della Suprema 
Corte, pu� dirsi che sussiste la ragionevole possibilit� (anche se non la certezza) che gli 
artt. 26-27 siano ritenuti interamente applicabili, come emerge dalla prevalente giurisprudenza 
di merito sinora pronunciatasi. 
B) La certezza dell'applicabilit� o meno dell'art. 26 si potr� avere soltanto ex post, 
all'esito delle eventuali opposizioni ex art. 27; e ad un grado notevolmente superiore 
rispetto a quello dato dal normale procedim~nto cautelare, posto che, sull'opposizione, 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

il Tribunale si pronuncer� con sentenza, e che, quindi, sulla questione, si potr� eventualmente 
pronunciare anche la S.C., cosa che non potrebbe avvenire in base al procedimento 
cautelare previsto nel c.p.c., che si presta alla formazione di giurisprudenza 
localizzata, con possibili conflitti tra un Tribunale e l'altro. 

C) Quanto esposto sopra, vale, a maggior ragione, in caso nel quale non � espressamente 
previsto, contrariamente a quanto previsto per i normali procedimenti cautelari 
(e salva la possibilit� di valutare l'esperibilit� delle azioni o delle impugnazioni di 
cui si � detto in precedenza, tutte peraltro inidonee a consentire di raggiungere gli 
obiettivi di rapidit� ed incisivit� perseguiti dal legislatore con l'art. 26), alcuno strumento 
di impugnativa. 

Sembra, quindi, che questioni quali quelle di cui sopra, debbano essere valutate 
dalla competente Autorit� Giudiziaria con estrema prudenza, in modo da non precludere 
(a fronte di questioni quantomeno opinabili, e ben suscettibili di essere risolte in 
senso favorevole all'Amministrazione) all'Amministrazione Finanziaria la possibilit� di 
avvalersi utilmente dello strumento di tutela cautelare che l'ordinamento ha specificamente 
previsto a suo favore. 

LIONELLO 0RCALI 

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QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 


I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

codice di procedura civile, art. 271, nella parte in cui non prevede per il terzo chiamato 
in causa l'applicazione dell'art. 167, secondo comma, del medesimo codice. 

Sentenza 23 luglio 1997, n. 260, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

codice di procedura civile, art. 318, primo comma, nella parte in cui non prevede 
che l'atto introduttivo del giudizio dinanzi al giudice di pace debba contenere l'indicazione 
dell~scrittura privata che l'attore offre in comunicazione. 

Sentenza 22 aprile 1997, n. 110, G.U. 30 aprile 1997, n. 18. 

codice penale, art. 177, primo comma, ultimo periodo, nella parte in cui non prevede 
che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione 
condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fiuire del beneficio ove ne sussistano 
i relativi presupposti. 

Sentenza4 giugno 1997, n.161, G.U. 11giugno1997, n. 24. 

codice penale, art. 384, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'esclusione 
della punibilit� per false o reticenti affermazioni assunte dalla polizia giudiziaria, 
fornite da chi avrebbe dovuto essere awertito della facolt� di astenersi dal renderle, a 
norma dell'art. 199 del codice di procedura penale. 

Sentenza 27 dicembre 1996, n. 416, G.U. 3 gennaio 1997, n. 1. 

codice penale, art. 404, primo comma, nella parte in cui prevede la pena della 
reclusione da uno a tre anni, anzich� la pena diminuita prevista dall'art. 406 del codice 
penale. 

Sentenza 14 novembre 1997, n. 329, G.U. 19 novembre 1997, n. 47. 

codice di procedura penale, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede 
l'incompatibilit� alla funzione di giudice dell'udienza preliminare nel processo 
penale a carico di imputati minorenni del giudice perle indagini preliminari che si sia 
pronunciato in ordine ad una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato. 

Sentenza 22 ottobre 1997, n. 311, G.U. 29 ottobre 1997, n. 44. 

codice di procedura penale, art. 34, secondo c�mma, nella parte in cui non prevede 
che non possa pronunciarsi sulla richiesta di emissione del decreto penale di condanna 
il giudice per le indagini preliminari che abbia emesso l'ordinanza di cui agli 
artt. 409, quinto comma, e 554, secondo comma, cod. proc. pen. 

Sentenza 21novembre1997, n. 346, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

codice di procedura penale, art. 37, secondo comma, nella parte in cui, qualora sia 
riproposta la dichiarazione di ricusazione, fondata sui medesimi motivi, fa divieto al 
giudice di pronunciare o concorrere a pronunciare la sentenza fino a che non sia intervenuta 
l'ordinanza che dichiara inammissibile o rigetta la ricusazione. 


Sentenza 23 gennaio 1997, n. 10, G.U. 29 gennaio 1997, n. 5. 

codice di procedura penale, art. 293, terzo comma, nella parte in cui non prevede 
la falcolt� per il difensore di estrarre copia, insieme all'ordinanza che ha disposto la 
misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati con la 
stessa. 

Sentenza 24 giugno 1997, n. 192, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 

codice di procedura penale, art. 294, primo comma, nella parte in cui non prevede 
che, fino alla trasmissione degli atti al giudice del dibattimento, il giudice proceda 
all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere immediatamente 
e con;mnque non oltre cinque giorni dall'inizio di esecuzione della custodia. 

Sentenza 3 aprile 1997, n. 77, G. U. 9 aprile 1997, n. 15. 
codice di procedura penale, art. 302, limitatamente alle parole �disposta nel corso 
delle indagini preliminari�. 
Sentenza 3 aprile 1997, n. 77, G. U. 9 aprile 1997, n. 15. 

codice di procedura penale, art. 498, nella parte in cui non consente, nel caso di 
testimone maggiorenne infermo di mente, che il presidente, sentite le parti, ove ritenga 
che l'esame del teste ad opera delle parti possa nuocere alla personalit� del teste 
medesimo, ne conduca direttamente l'esame su domande e contestazioni proposte 
dalle parti. 

Sentenza 30 luglio 1997, n. 283, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

r.d.l. 1� luglio 1926, n. 2290, art. 18 {convertito nella legge 9 giugno 1927, n. 1158}. 
Sentenza 11dicembre1997, n. 381, G.U. 17 dicembre 1997, n. 51. 
legge 4 dicembre 1956, n. 1450, art. 23, lettera a), limitatamente alle parole �e per 
le figlie�. 
Sentenza 6 maggio 1997, n. 118, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 9-bis, nella parte in cui prevede che la decadenza 
del consigliere in situazione di incompatibilit� possa essere pronunciata dal giudice 
adito senza che sia data all'interessato la facolt� di rimuovere utilmente la causa 
di incompatibilit� entro un congruo termine dalla notifica del ricorso previsto da detto 
art. 9-bis. 
Sentenza 4 giugno 1997, n. 160, G.U. 11giugno1997, n. 24. 

legge 18 ottobre 1961, n. 1168, combinato disposto dell'art. 12, secondo comma, 
lettera e) e dell'art. 17, nella parte in cui prevede la dispensa dal servizio permanente 
del sottufficiale dei carabinieri per scarso rendimento senza la partecipazione dell'interessato 
al procedimento disciplinare. 

Sentenza 18 luglio 1997, n. 240, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

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PARTE ll, QUESTIONI Dl LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

legge 8 giugno 1966, n. 424, art. 4, nella Part~it1 cui prevede, p~fdipendenti civi


li .e militari dello Stato, la sequestrabilit� o la. pignor!;lbilit� delle it1de11.l:iit� di fine rapporto 
di lavoro, anche per i crediti da danno erariale, senza osservarei limiti stabiliti 
dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile. � 
Sentenza 4 luglio 1997, n. 225, a,U; 9 luglio 1997, n. 28. 

legge 22 luglio 1966, n. 6Q7, art. 1, primo e quarto comma; nella parte in cui, per 
le enfiteusi fondiarie costituite anteriormente al 28 ottobre 1941, �on prevede che il 
valore di riferimento per la determinazione del capitale per l'affrancazione delle stesse 
sia periodicamente aggiornato mediante l'applicazione di coefficienti di maggiorazione 
idonei a mantenere adeguata, cpn una ragionevole approssimazione, la corrispondenza 
con la effettiva realt� economica. 

Sentenza 23maggio1997, n. 143, G;U. .28 maggio 1997, n. 22. 

legge 8 ttl.�tZo 1968; n. 152'; art. 3, secondo<:Omma, nelfa parte iri cui prevede che, 
nell'assenza delle persone ivi indicate, i collaterali non viventi a carico del de cuius 
siano preferiti agli eredi testamentari .e, in mancanza di. questi, agli eredi legittimi. 

Sentenza 18 luglio 1997, n. 243, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, primo comma (come sostituito dall'art. 2 
della legge 24 dicembre 1974, n. 695}, nella parte iri cui determina la pena edittale ivi 
comminata nella misura i:niriii:na di due anni anzich� in quella di sei mesi e nella misura 
massima di quattro anni anzich� iri quella di due anni. 

Sentenza]! dicembre 1997, n. 382, G.U.17 dicembre 1997, n, 51. 

legge 15 dicembre 1972, n. 772, art. 8, secondo e terzo comma, nella parte in cui 
non esclude la possibilit� di pi� di una condanna per il reato di chi, al di fuori dei casi 
di ammissione ai benefici previsti dalla legge suddetta, rifiuta, in tempo di pace, prima 
di assumerlo, il servizio militare di leva, adducendo i motivi di cui all'art. 1 della medesima 
legge. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 43, G.U. 26 febbraio 1997, n. 9. 

d.P.R. 23 gennaio 1973,n. 43, art. 301, primo comma {come modificato dall'art. 
11 della legge 30 .dicembre 1991, n:; 413}, nella parte iri cui non consente arre persone 
estranee al reato di provare di avere acquistato la propriet� delle cose ignorando senza 
colpa l'illecita immissione di esse sul mercato. 
Sentenza 10 gennaio 1997, n. 1, G.U. 15 gennaio 1997, n. 3. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 52, secondo comma, lettera b), nella parte 
in cui non prevede che possa essere proposta opposizione di terzo quando si tratti di 
beni acquistati con atto pubblico di data anteriore al verificarsi del presupposto dell'imposta. 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 415, G.U. 3 gennaio 1997, n. 1. 

-



40 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 5, primo comma {come sostituito dall'art. 7 
della legge 29 aprile 1976, n. 177}, nella parte in cui non prevede che, nel caso di morte 
del dipedente statale in attivit� di servizio, l'indennit� di buonuscita competa, nell'assenza 
degli altri soggetti ivi indicati, ai fratelli ed alle sorelle del de cuius solo a condizione 
che gli stessi vivessero a carico di lui. 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 243, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 21, nella parte in cui prevede, per i dipendenti 
civili e militari dello Stato, la sequestrabilit� o la pignorabilit� delle indennit� di 
fine rapporto di lavoro, anche per i crediti da danno erariale, senza osservare i limiti 
stabiliti dall'art. 545, quarto comma, del codice di procedura civile. 
Sentenza 4 luglio 1997, n. 225, G.U. 9 luglio 1997, n. 28. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, quarto comma, nella parte in cui esclude 
il diritto alla pensione di riversibilit� in favore della vedova, alla quale la separazione 
sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato, allorch� a questa spettasse il 
diritto agli alimenti da parte del coniuge poi deceduto. 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 284, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 81, sesto comma, ultima proposizione, che 
estende l'applicabilit� del quarto comma anche al marito al quale la separazione sia 
stata addebitata con sentenza passata in giudicato. 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 284, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 18 {come sostituito dall'art. 2 della legge 12 gennaio 
1977, n. l, e modificato dall'art. 4 della legge 10 ottobre 1986, n. 663}, nella parte 
in cui non prevede che il detenuto condannato in via definitiva ha diritto di conferire 
con il difensore fin dall'inizio dell'esecuzione della pena. 

Sentenza 3 luglio 1997, n. 212, G.U. 9 luglio 1997, n. 28. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, quinto comma [introdotto dall'art. 9 della 
legge 10 ottobre 1986, n. 663], nella parte in cui si riferisce ai minorenni. 

Sentenza 17 dicembre 1997, n. 403, G.U. 24 dicembre 1997, n. 52. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, ultimo comma, nella parte in cui fa derivare 
automaticamente la sospensione della detenzione domiciliare dalla presentazione 
di una denuncia per il reato previsto dall'ottavo comma dello stesso articolo. 

Sentenza 13 giugno 1997, n. 173, G.U. 18 giugno 1997, n. 25. 

legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 18, sesto comma, nella parte in cui, rinviando 
alle norme previste per la riscossione delle imposte dirette, non consente all'autorit� 
giudiziaria ordinaria -nell'ipotesi in cui il debitore contesti l'esistenza o l'entit� 

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del credito -di sospendere l'esecuzione dei ruoli esattoriali relativi ad entrate di natu


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Sentenza 5 dicembre 1997, n. 372, G.U. 10 dicembre 1997, n. 50. ~ 

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PARTE II, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

legge 3gennaio1981, n. 6, art. 17, nella parte in cui, rinviando alle norme 
previste per la riscossione delle imposte dirette, impedisce al debitore -nell'ipotesi 
in cui contesti l'esistenza o l'entit� del credito -di proporre opposizione 
all'esecuzione dinanzi all'autorit� giudiziaria ordinaria. 

Sentenza 18 luglio 1997, n. 239, G. U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, nella parte in cui esclude che le sanzioni 
sostitutive si applichino ai reati previsti dall'art. 452, secondo comma, del codice penale. 
Sentenza 3 aprile 1997, n. 78, G.U. 9 aprile 1997, n. 15. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 67, nella parte in cui si applica ai 
condannati minori di et� al momento della condanna. 
Sentenza 22 aprile 1997, n. 109, G. U. 30 aprile 1997, n. 18. 

legge 29 maggio 1982, n. 297, art. 3, ottavo comma, nella parte in �ui non 
consente che la pensione di vecchiaia venga calcolata escludendo dal computo, 
ad ogni effetto, il prolungamento previsto dall'art. 25 della legge 26 luglio 
1984, n. 413, qualora l'assicurato -nonostante siffatta esclusione -abbia 
maturato i requisiti per detta pensione e il relativo calcolo porti ad un risultato 
per il medesimo pi� favorevole. 

Sentenza 23 dicembre 1997, n. 427, G.U. 31 dicembre 1997, n. 53. 

legge 26 luglio 1984, n. 413, art. 25, primo e quarto comma, nella parte in 
cui non consente che la pensione di vecchiaia venga calcolata escludendo dal 
computo, ad ogni effetto, il prolungamento previsto dal citato art. 25, qualora 
l'assicurato -nonostante siffatta esclusione -abbia maturato i requisiti 
per detta pensione e il relativo calcolo porti ad un risultato per il medesimo 
pi� favorevole. 

Sentenza 23 dicembre 1997, n. 427, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 

legge 30 dicembre 1986, n. 943, art. 4, primo comma, nella parte-in cui 
non prevede, a favore del genitore straniero extracomunitario, il diritto al 
soggiorno in Italia, semprech� possa godere di normali condizioni di vita, per 
ricongiungersi al figlio, considerato minore secondo la legislazione italiana, 
legalmente residente e convivente in Italia con l'altro genitore, ancorch� non 
unito al primo in matrimonio. 

Sentenza 26 giugno 1997, n. 203, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 

legge 13 marzo 1988, n. 68, art. 1, secondo comma [conversione in legge, con 
modificazioni, del d.l. 12 gennaio 1988, n. 2, recante modifiche alla legge 28 febbraio 
1985, n. 47], nella parte in cui dispone che restano validi gli atti ed i provedimenti 
adottati sulla base dell'art. 12, comma 1, del decreto-legge 8 maggio 1987, 

n. 178. 
Sentenza 18 giugno 1997, n. 181, G.U. 25 giugno 1997, n. 26. 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

42 

d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 24, primo comma, nella parte in cui stabilisce, 
per le violazioni ivi previste e punite, �la pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda 
da lire cinquecentomila a lire due milioni� anzich� �la pena dell'arresto da 
due mesi a due anni o dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni�. 
Sentenza 15 luglio 1997, n. 234, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 25, quinto comma, nella parte in cui stabilisce, 
per le violazioni ivi previste e punite, �la pena dell'arresto da due mesi a due anni e dell'ammenda 
da lire cinquecentomila a lire due milioni� anzich� �la pena dell'arresto da 
due mesi a due anni o dell'ammenda da lire cinquecentomila a lire due milioni�. 
Sentenza 15 luglio 1997, n. 234, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge reg. Emilia-Romagna 8 novembre 1988, n. 46 art. 2, primo comma, nel testo 
anteriore alle modifiche ad esso recate dall'art. 16 della legge reg. 30 gennaio 1995, n. 6. 
Sentenza 23 luglio 1997, n. 259, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

legge 13 dicembre 1989, n. 401, art. 6, terzo comma (come sostituito dalla legge 
24 febbraio 1995, n. 45, art. 1), nella parte in cui non prevede che la notifica del provvedimento 
del questore contenga l'avviso che l'interessato ha facolt� di presentare, personalmente 
o a mezzo di difensore, memorie o deduzioni al giudice per le indagini preliminari. 


Sentenza 23 maggio 1997, n. 144, G.U. 28 maggio 1977, n. 22. 

legge prov. Trento 12 marzo 1990, n. 10, art. 3, quarto comma. 

Sentenza 8 aprile 1997, n. 83, G.U. 16 aprile 1997, n. 16. 

legge 11 aprile 1990, n. 73, art. 1, primo comma, lettera e), n. 4, nella parte in 
cui non prevede l'applicazione dell'amministia per il delitto di truffa militare aggravata, 
previsto e punito dall'art. 234, secondo comma, del codice penale militare di 
pace, sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall'art. 61, n. 7, del 
codice penale. 

Sentenza 25 luglio 1997, n. 272, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

d.P.R. 12 aprile 1990, n. 75, art. 1, primo comma, lett. e), n. 4, nella parte in cui 
non prevede la concessione dell'amnistia per il delitto di truffa militare aggravata, 
previsto e punito dall'art. 234, secondo comma, del codice penale militare di pace, 
sempre che non ricorra la circostanza aggravante prevista dall'art. 61, n. 7, del codice 
penale. 
Sentenza 25 luglio 1997, n. 272, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

d.lgs 30 aprile 1992, n. 285, art. 116, tredicesimo comma, nella parte in cui punisce 
con la sanzione penale colui che, munito di patente di categoria B, Co D, guida un 
veicolo per il quale � richiesta patente di categoria A. 

Sentenza 10 gennaio 1997, n. 3, G.U. 15 gennaio 1997, n. 3. 


PARTE Il, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

d.lgs. 30dicembre 1992, n. 503; art. 1; secondo comma, ultima proposizione; nella 
parte in cui non prevede che il temine per l'esercizio della facolt� di opzione non possa 
comunque scadere prima che siano trascorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del 
decreto legislativo medesimo. 

Sentenza 6 maggio 1997, n. 117, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

d.l. 5 ottobre 1993, n. 39fh. art. 4, diciottesjn:io comma (convertito, con modificazioni, 
nella legge 4 dicembre 1993, n. 493), come introdotto dall'art. 2, sessantesimo 
comma, della �egge 23 dicembre 1996, n~ .662, nella .parte in cuiprevede l'obbligo di 
adeguamento anche per le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento 
e di Bolzano. � 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 241, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 23 dicembre, 1994, n. 724, art, 13, comma quinto, lettera b), nella parte in 
cui differisce al 1 �gennaio 1996 la corresponsione della pensione per il personale della 
scuola collocato a riposo per dimissioni. 

Sentenza 21novembre1997, n. 347 G.U. �.6 novembre 1997 n. 48. 

legge 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, trentunesimo comma, primo periodo, nella 
parte in cui fa salva l'efficacia del citato art, 13, comma 5, lettera b), della legge 23 
dicembre 1994, n, 724. 

Sentenza 21novembre19971 n. 347, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 

legge reg. Sicilia approvata il 24 marzo 1996, art. 1. 
Sentenza 24 giugno 1997, n. 191, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 


legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il24 marzo 1996, artt. 1, 2 e 3. 
Sentenza 4 marzo 1997, n. 59, G. U. 12 marzo 1997, n. 11. 

legge reg. Sicilia approvata il 24 marzo 1996, artt. l, 2 e 3. 
Sentenza 3 aprile 1997, n. 82, G.U. 9 aprile 1997, n. 15. 


legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 24 marzo 1996, art. 6. 
Sentenza 10 gennaio 1997, n. 2, G.U. 15 gennaio 1997, n. 3. 

legge reg. Sicilia approvata il 24 marzo 1996, art. 6. 
Sentenza 28 febbraio 1997, n. 50, G.U. 5 marzo 1997, n. 10. 


legge reg. Abruzzo 27 aprile 1996, n. 23. 
Sentenza 21novembre1997, n. 345, G.U. 26 febbraio 1997, n. 48. 


legge reg. Molise riapprovata il 7 maggio 1996, art. l, primo e secondo comma. 
Sentenza 30 ottobre 1997, n. 320, G.U. 5 novembre 1997 n. 45. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

44 

legge prov. Bolzano riapprovata il9 maggio 1996, art. 1, primo comma, nella parte 
in cui prevede che i divieti in esso stabiliti si applichino alla parte del territorio provinciale 
compresa nel Parco nazionale dello Stelvio. 

Sentenza 23 luglio 1997, n, 271, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

legge prov. Bolzano riapprovata il 9 maggio 1996, art. 2, terzo comma. 

Sentenza 23 luglio 1996, n. 271, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

legge reg. Llgilria, approvata in seconda deliberazione il 28 maggio 1996, recante 
�Modifiche alla legge regionale 14 aprile 1983, n. 11�. 
Sentenza 21novembre1997, n. 348, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 

legge reg. Sicilia approvata il 10 agosto 1996. 

Sentenza 29 maggio 1997, n. 153, G.U. 4 giugno 1997, n. 23. 

d.l. 1� ottobre 1996, n. 510, art. 2, primo comma, lettera a), n. 3 (convertito nella 
legge 28 novembre 1996, n. 608), nella parte in cui, ai fini del conseguimento del 
requisito di et� per il diritto alla pensione ordinaria di cui agli artt. 24 e 25 del regolamento 
del Fondo previdenziale e assistenziale degli spedizionieri doganali, disciplinata 
dal decreto ministeriale 30 ottobre 1973, in relazione all'art. 15 della legge 22 
dicembre 1960, n. 1612, come modificato dall'articolo unico della legge 4 marzo 
1969, n. 88, fa decorrere dal 1� gennaio 1994, anzich� dall'entrata in vigore del d.l. 8 
agosto 1994, n. 494, l'applicazione della tabella A) sezione uomini, allegata all'art, 1 
del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503. 
Sentenza 2 luglio 1997 n. 211, G. U. 9 luglio 1997, n. 28. 

legge regione Valle d'Aosta riapprovata il 24 ottobre 1996. 

Sentenza 30 luglio 1997, n. 285, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

legge 11 novembre 1996, n. 574, artt. da 1 a 9, nella parte in cui prevedono la propria 
applicazione immediata e diretta nel territorio delle province autonome di Trento 
e Bolzano. 

Sentenza 11dicembre1997, n. 380, G.U. 17 dicembre 1997, n. 51. 

Ib -AMMISSIBILIT� DELLA RICHIESTA DI REFERENDUM POPOLARE 

codice civile, art. 842, approvato con R.D. 16 marzo 1942, n. 262, primo comma, 
(l/2�11 proprietario del fondo non pu� impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia, 
a meno che il fondo sia chiuso nei modi stabiliti dalla legge sulla caccia o vi siano colture 
in atto suscettibili di danno�) e secondo comma (�Egli pu� sempre opporsi a chi 
non � munito della licenza rilasciata dall'autorit��). 

Sentenza 10 febbraio 1987, n. 32, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 


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-

PARTE Il, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 art. 16, secondo e terzo comma ('12come sostituiti. dall'art. 
14 commi secondo e terzo, della legge 2 aprile 1979, n. 97). 
Sentenza 10 febbraio 1997, n. 41, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 8 giugno 1962, n. 604. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 22, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 3 febbraio 1963, n. 69 (nel testo risultante dalle modificazioni apportate 
dalle leggi 20 ottobre 1964, n. 1039, e 10 giugno 1969, n. 308 e dalle sentenze della 
Corte cost. nn. 11 e 98 del 1968). 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 38, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 25 luglio 1966, n. 570. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 33, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

d.P.R. 23 giugno 1972, n. 749. 
Sentenza 10 febbraio 1997, n. 22, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 
legge 15 dicembre 1972, n. 772 (cosi come modificata dalla legge 24 dicembre 
1974, n. 695), limitatamente alle seguenti parti: 

-art. 1, primo comma, limitatamente alle parole �essere ammessi a�, secondo 
comma (�I motivi di coscienza addotti debbono essere attinenti ad una concezione 
generale della vita basata su profondi convincimenti religiosi o filosofici o morali professati 
dal soggetto�) e comma 3, limitatamente alla parola �comunque�; 

-art. 2, primo comma, limitatamente alle parole �entro 60 giorni dall'arruolamento
�, secondo comma (�Gli abili ed arruolati, ammessi al ritardo e al rinvio del servizio 
militare per i motivi previsti dalla legge che non avessero presentato domanda nei 
termini stabiliti dal comma precedente, potranno produrla ai predetti organi di leva 
entro il 31 dicembre dell'anno precedente alla chiamata alle armi�); 

-art. 3, primo comma, limitatamente alle parole �Sentito il parere di una commissione 
circa la fondatezza e la sincerit� dei motivi addotti dal richiedente�; 

-art. 4, 

-art. 8, sesto comma, limitatamente alle parole �sentita, nei casi di cui al quarto 
comma, la commissione prevista dall'articolo 4�; 
Sentenza 10 febbraio 1997, n. 31, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 20 dicembre 1973, n. 831. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 33, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 45, primo comma, limitatamente alle parole �nonch� 
quelle che i consigli e le giunte intendono, di propria iniziativa, sottoporre al comitato
�; secondo comma, come modificato dall'art. 24, comma 1, della legge 25 marzo 
1993, n. 81, limitatamente alle parole �Le deliberazioni di competenza delle giunte 
nelle materie sottoelencate sono sottoposte al controllo nei limiti delle illegittimit� 
denunciate, quando un terzo dei consiglieri provinciali o un terzo dei consiglieri nei 
comuni con popolazione superiore a 15.000 abitanti ovvero un quinto dei consiglieri 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

46 

dei comuni fino a 15.000 abitanti ne facciano richiesta scritta e motivata con l'indicazione 
delle norme violate entro dieci giorni dall'affissione all'albo pretorio: 

a) acquisti, alienazioni, appalti ed in genere tutti i contratti; 

b) contributi, indennit�, compensi, rimborsi ed esenzioni ad amministratori, a 
dipendenti o a terzi; 

e) assunzioni, stato giuridico e trattamento economico del personale� e comma 
quarto, come modificato dall'art. 24, secondo comma, della legge 25 marzo 1993, n. 81, 
limitatamente alle parole �Entro gli stessi termini di cui al secondo comma� ed alla 
parola �altres��. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 25, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 8 giugno 1990, n. 142, artt. 46, terzo comma, limitatamente alle parole 
�anche con riferimento ai principi generali dell'ordinamento giuridico� e 48. 
Sentenza 10 febbraio 1997, n. 25, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 8 giugno 1990, n. 142 art. 52. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 22, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 53, primo comma, limitatamente alle parole �nonch� 
del segretario comunale o provinciale sotto il profilo di legittimit��, e quarto 
comma, limitatamente alle parole �I segretari comunali e provinciali sono responsabili 
degli atti e delle procedure attuative delle deliberazioni di cui al comma 1, unitamente 
al funzionario preposto�. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 22, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 53, primo comma, limitatamente alle parole �nonch� 
del segretario comunale o provinciale sotto il profilo di legittimit��, e quarto 
comma, limitatamente alle parole �I segretari comunali e provinciali sono responsabili 
degli atti e delle procedure attuative delle deliberazioni di cui al comma 1. unitamente 
al funzionario preposto�. � 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 25, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, artt. 38, (come sostituito dall'art. 18 del d.lgs. 23 
dicembre 1993, n. 546), e 39. 
Sentenza 10 febbraio 1997, n. 14, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

d.lgs. 13 febbraio 1993, n. 40 artt. 1, 2 e 3, (come modificato dal d.l.g.s. 10 novembre 
1993, n. 479). 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 21, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

legge 4 dicembre 1993, n. 491. 

Sentenza 10 febbraio 1997, n. 15, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 

d.l. 31 maggio 1994, n. 332 (convertito in legge 30 luglio 1994, n, 474), limitatamente 
all'art. 2. 
Sentenza 10 febbraio 1997, n. 29, G.U. 12 febbraio 1997, n. 7. 


PARTE II, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

Il -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

codice civile, art. 156, sesto comma (art. 3, primo e secondo comma, della 
Costituzione). 
Sentenza 18 aprlle 1997, n. 99, G. U. 23 ap:iile 1997, n. 17. 

codice civile, art. 263 (artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione). 
Sentenza 22 aprile 1997, n. 112, G.U. 30 ap:iile 1997, n. 18. 


codice civile, art. 274, primo e secondo comma (artt. 3, 30 e 31 della Costituzione). 
Sentenza 3 luglio 1997, n. 216, G.U. 16 luglio 1997, n. 29. 

�codice civile, arl. 1938 (artt. 3 e 47, primo comma, della Costituzione). 
Sentenza 27 giugno 1997, n. 204, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 
codice di procedura civile, art.51 (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 7 novembre 1997, n. 326, G.. U. 12 novembre 1997, n. 46. 


codice di procedura civile, artt. 164, primo comma, e 318, primo comma. 
Sentenza 29 maggio 1997, n. 154, G.U. 4 giugno 1997, n. 23. 

codice di procedura civile, art. 186-quater (artt. 3, 24 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 11dicembre1997, n. 385, G.U. 17 dicembre 1997, n. 51. 

codice di procedura civile, art. 249 (artt. 3~ primo comma, e 24, primo comma, 
della Costituzione). 
Sentenza 8 ap:iile 1997, n. 87, G.U. 16 aprlle 1997, n. 16. 

codice di proceduta civile, art. 269, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 3 ap:iile 1997, n. 80, G.U. 9 ap:iile 1997, n. 15. 

codice di procedura civile, art. 545, quarto comma (artt. 3, primo comma, e 36, 
primo comma, della Costituzione). 
Sentenza 23 dicembre 1997, n. 434, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 

codice di procedura civile, art. 669-terdecies (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 421, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

codice di procedura civile, art. 696, primo comma (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 20 febbraio 1997, n. 46, G.U. 26 febbraio 1997, n. 9. 

codice penale, art. 464, secondo comma (artt. 25, secondo comma, e 27, primo 
comma, della Costituzione). 
Sentenza 4 giugno 1997, n. 164, G.U. 11giugno1997, n. 24. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

48 

codice di procedura penale, art. 34, primo comma (artt. 3 e 24, secondo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 28 novembre 1997, n. 363, G.U. 3 dicembre 1997, n. 49. 

codice di procedura penale, art. 34, secondo comma (artt. 3, 24, 25 e 101 della 
Costituzione). 
Sentenza 22 ottobre 1997, n. 311, G.U. 29 ottobre 1997, n. 44. 

codice di procedura penale, art. 34, comma primo o secondo comma (artt. 3, 24, 
25 e 101 della Costituzione). 
Sentenza 21marzo1997, n. 66, G.U. 26 marzo 1997, n. 13. 

codice di procedura penale, art. 34, commi primo e secondo (artt. 3, 24 e 27 della 
Costituzione). 

Sentenza 14 novembre 1997, n. 330, G.U. 19 novembre 1997, n. 47. 

codice di procedura penale, art. 34, terzo comma (artt. 3, primo comma, 24, secondo 
comma, 25, primo comma, 27, secondo comma, e 101, secondo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 21novembre1997, n. 352, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 

codice di procedura penale, art. 197, comma primo, lettera d) (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 3 luglio 1997, n. 215, G.U. 16 luglio 1997, n. 29. 

codice di procedura penale, art. 299 (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, 
della Costituzione). 

Sentenza 28 febbraio 1997, n. 51, G.U. 5 marzo 1997, n. 10. 

codice di procedura penale, art. 304, terzo comma (artt. 3 e 101 della 
Costituzione). 

Sentenza 15 luglio 1997, n. 238, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

codice di procedura penale, art. 410, primo comma (artt. 3 e 76 della 
Costituzione). 

Sentenza 11aprile1997, n. 95, G.U. 16 aprile 1997, n. 16. 

codice di procedura penale, art. 441, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 5 dicembre 1997, n. 378, G.U. 10 dicembre 1997, n. 50. 

codice di procedura penale, art. 443, primo comma, lettera b) (artt. 2, 3, 10 e 24 
della Costituzione). 

Sentenza 30 luglio 1997, n. 288, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

codice di procedura penale, art. 456, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 

Sentenza 18 aprile 1997, n. 101, G.U. 23 aprile 1997, n. 17. 


PARTE II, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

codice di procedura penale, art. 458, primo comma (artt. 3, 24 e 97 della 
Costituzione). 
Sentenza 6 maggio 1997, n. 122, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

codice di procedura penale, art. 458, primo comma (artt. 3, 24 e 25 della 
Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1997, n. 407, G.U. 24 dicembre 1997, n. 52. 

codice di procedura penale, art. 458, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 5 dicembre 1997, n. 378, G.U. 10 dicembre 1997, n. SO. 

codice di procedura penale, art. 459, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1997, n. 274, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

codice di procedura penale, art. 518 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 23 maggio 1997, n. 146, G.U. 28 maggio 1997, n. 22. 


codice di procedura penale, art. 565, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 22 aprile 1997, n. 114, G.U. 30 aprile 1997, n. 18. 

codice di procedura penale, art. 585, comma primo, lettera a) (artt. 3 e 112 della 
Costituzione). 
Sentenza 27 giugno 1997, n. 206, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 

codice di procedura penale, art. 604, quarto comma (artt. 3 e 24, secondo comma, 
della Costituzione). 
Sentenza 28 novembre 1997, n. 363, G.U. 3 dicembre 1997, n. 49. 

codice di procedura penale, art. 666 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 20 febbraio 1997, n. 45, G.U. 26 febbraio 1997, n. 9. 


codice penale militare di pace, artt. 29 e 234, terzo comma, nella parte in cui preved9no 
fautomatica applicazione della pena accessoria della rimozione (artt. 3 e 27, 
terzo comma, della Costituzione). 

Sentenza 11dicembre1997, n. 383, G.U. 17 dicembre 1997, n. 51. 

codice penale militare di pace, art. 148, n. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 10 gennaio 1997, n. 4, G.U. 15 gennaio 1997, n. 3. 


r.c:L 18 giugno 1931, n. 773, artt. 11, ultimo comma, e 138, primo comma, numero 
4 (artt. 3, 4 e 35 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1997, n. 405, G. U. 24 dicembre 1997, n. 52. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

50 

r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 13 (art. 3, primo comma, e 24, primo comma, 
della Costituzione). 
Sentenza 8 aprile 1997, n. 87, G.U. 16 aprile 1997, n. 16. 

r.d. 
3 marzo 1934, n. 383, art. 8, primo comma, n. 7 (artt. 3 e 51 della 
Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 249, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 29 giugno 1939, n. 1497, artt. 2, 3 e 7 (artt. 41, 42, 44 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1997, n. 262, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

legge 22 aprile 1941, n. 633, art. 171-quater, lettera a) (art. 76 della Costituzione). 
Sentenza 28 febbraio 1997, n. 53, G.U. 5 marzo 1997, n. 10. 

d.L.C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, art. 13 (artt. 3, 4, 35 e 45 della Costituzione). 
Sentenza 23 dicembre 1997, n. 431, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 
legge reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 8, primo comma, numero 1, e successive 
modificazioni (artt. 3, 51 e 122 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 287, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

legge reg. Sicilia 20 marzo 1951, n. 29, art. 10, primo comma, numero 4, ed ultimo 
comma (artt. 3, 51 e 122 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1997, n. 276, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 1, primo ed ultimo comma (artt. 76, 3, 4, 35 e 
41 
della Costituzione). 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 418, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068, art. l, primo ed ultimo comma (artt. 76, 3, 4, 35 e 
41 
della Costituzione). 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 418, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

legge 10 aprile 1954, n. 113, art. 35, tab. 3 [come in ultimo modificata dall'art. 7 e 
dalla tabella C della legge 27 dicembre 1990, n. 404] (artt. 3, 4 e 35 della Costituzione). 
Sentenza 18 giugno 1997, n. 183, G.U. 25 giugno 1997, n. 26. 

I 

legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 7-bis [introdotto dall'art. 11 della legge 13 
settembre 1982, n. 646] (artt. 3 e 4 della Costituzione). 
Sentenza 24 giugno 1997, n. 193, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 68, ottavo comma (artt. 3, primo comma, e 38, 
secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 30 ottobre 1997, n. 321, G.U. 5 novembre 1997, n. 45. 


PARTE II, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 9-bis (art. 97 della Costituzione). 
Sentenza 20 febbraio 1997, n. 44, G.U. 26 febbraio 1997, n. 9. 
d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 93 (artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma). 
Sentenza 8 aprile 1997, n. 84, G.U. 16 aprile 1997, n. 16. 
legge 30 aprile 1962, n. 283, art. 6, quinto comma (artt. 3, primo comma, e 27, 
terzo comma). 

Sentenza 8 aprile 1997, n. 85, G.U. 16 aprile 1997, n. 16. 

legge 30 gennaio 1963, n. 300, artt. 1 e 2 (artt. 24, secondo comma, 25, primo 
comma, e 112 della Costituzione). 
Sentenza 3 marzo 1997, n. 58, G.U. 5 marzo 1997, n. 10. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 74, primo comma, e 78, primo comma (art. 
38, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 21novembre1997, n. 350, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 

d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 111, secondo e terzo comma (artt. 3, primo 
comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 27 giugno 1997, n. 207, G.U. 2 luglio 1997, n. 27. 

legge 29 maggio 1967, n. 379, art. 4, quarto comma (art. 3, primo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 27 dicembre 1996, n. 420, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

legge 25 marzo 1971, n. 213, art. 4 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1997, n. 136, G.U. 21maggio1997, n. 21. 


legge 14 agosto 1971, n. 821 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 25luglio1997, n. 273, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 


legge 9 ottobre 1971, n. 825, art. 8, numero 2 (art. 53 della Costituzione). 
Sentenza 15 luglio 1997, n. 236, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, commi quarto e quinto [come modificato 
dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10], e, in quanto rinvia ad esso, 

d.l. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, quarto comma [convertito, con modificazioni, 
nella legge 8 agosto 1992, n. 359] (artt. 42, terzo comma, e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1997, n. 261, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

d.P.R. 30 giugno 1972, n. 540, art. 2, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 6 maggio 1997, n. 123, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

52 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 (artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1997, n. 264, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 6, secondo comma (art. 53 della Costituzione). 
Sentenza 15 luglio 1997, n. 236, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, art. 9, terzo comma, lett. b) (art. 3 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1997, n. 137, G.U. 21maggio1997, n. 21. 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 11 (artt. 3, 4, 35 e 45 della Costituzione). 
Sentenza 23 dicembre 1997, n. 431, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, art. 34 (artt. 3 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 30 dicembre 1996, n. 431, G.U. 15 gennaio 1997, n. 3. 
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 97, primo comma (artt. 3, 27 e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 291, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 14-ter, e 41-bis, secondo comma (artt. 3, 13, 24, 
25, 27, secondo e terzo comma, e 113 della Costituzione). 

Sentenza 5 dicembre 1997, n. 376, G.U. 10 dicembre 1997, n. SO. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, quinto comma (artt. 3, 24, 27, secondo e 
terzo comma, e 101, secondo comma, della Costituzione). 

Sentenza 30 luglio 1997, n. 296, G.U. 20 agosto 1997, n. 34. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 30-ter, quinto comma [introdotto dall'art. 9 della 
legge 10 ottobre 1986, n. 663] (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1997, n. 403, G.U. 24 dicembre 1997, n. 52. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 50, secondo comma, terzo periodo. 

Sentenza 18 aprile 1997, n. 100, G.U. 23 aprile 1997, n. 17. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 70, sesto comma [nel testo sostituito con l'art. 22 

della legge 10 ottobre 1986, n. 663] (artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della 

Costituzione). 

Sentenza 28 novembre 1997, n. 364, G.U. 3 dicembre 1997, n. 49. 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, art. 82, nono comma (artt. 24, primo comma, 42, 
secondo comma, e 97, primo e secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 4 giugno 1997, n. 170, G.U. 11giugno1997, n. 24. 

legge 16 dicembre 1977, n. 904, art. 8, terzo comma (artt. 3, 8, 19, 20 e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 15 luglio 1997, n. 235, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 



PARTE Il, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

legge 11 luglio 1978, n. 382, art. 16, secondo comma (artt. 3, 24 e 113 della 
Costituzione). 
Sentenza 22 aprile 1997, n. 113, G.U. 30 aprile 1997, n. 18. 

legge27luglio1978; n. 392, art. 26, primo comma, letterad) (art. 3, primo comma, 
della Costituzione). 
Sentenza 15 luglio 1997, n. 237, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 7 febbraio 1979, n. 29, articoli 2, secondo comma, e 6, secondo comma (art. 
3 della Costituzione). 
Sentenza 5 dicembre 1997, n. 374, G.U. 10 dicembre 1997, n. 50. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 31 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1997, n. 136, G.U. 21maggio1997, n. 21. 
d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 64, primo comma, e tabella di 
�Equiparazione delle qualifiche e dei livelli funzionali del personale da inquadrare nei 
ruoli nominativi regionali� riportata nell'allegato 2, limitatamente alle disposizioni 
riguardanti i direttori amministrativi o segretari dei consorzi provinciali antitubercolari 
(artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 3 luglio 1997, n. 217, G. U. 16 luglio 1997, n. 29. 

legge 11 luglio 1980, n. 312, art. 54 (artt. 3, 36 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 25 luglio 1997, n. 273, G. U. 13 agosto 1997, n. 33. 


d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 102 (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1997, n. 136, G.U. 21maggio1997, n. 21. 
legge 20 settembre 1980, n. 576, artt. 2 [modificato dalla legge 2 maggio 1983, n. 
175 e dalla legge 11febbraio1992, n. 141] e 3 (artt. 3, 4 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 28 novembre 1997, n. 362, G.U. 3 dicembre 1997, n. 49. 

� legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, primo comma (artt. 3 e 37 della Costituzione). 
Sentenza 24 dicembre 1996, n. 407, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

legge 1 aprile 1981, n. 121, art. 43, diciassettesimo comma, e tabella c) allegata 
[come sostituita dall'art. 9 della legge 12 agosto 1982, n. 569] (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 

Sentenza 21marzo1997, n. 65, G.U. 26 marzo 1997, n. 13. 

legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 3 (art. 97 della Costituzione). 
Sentenza 20 febbraio 1997, n. 44, G. U. 26 febbraio 1997, n. 9. 


legge 23 aprile 1981, n. 154, artt. 3, n. 4; 6 e 7 (artt. 3 e 51 della Costituzione). 
Sentenza 4 giugno 1997, n. 160, G.U. 11giugno1997, n. 24. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

54 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60 (artt. 3 e 27, terzo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 17 dicembre 1997, n. 406, G.U. 24 dicembre 1997, n. 52. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 23 maggio 1997, n. 145, G.U. 28 maggio 1997, n. 22. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 67, in relazione agli artt. 47-bis della legge 26 
luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni (art. 32 della Costituzione). 
Sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, G.U. 10 dicembre 1997, n. 50. 

legge 3 maggio 1982, n. 203, art. 46, sesto comma (artt. 3, primo comma, 24, 
primo e secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). 
Sentenza 3 aprile 1997, n. 79, G.U. 9 aprile 1997, n. 15. 

d.l. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, secondo comma [convertito in legge 7 agosto 
1982, n. 516] (artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1997, n. 264, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 2, quarto comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 6 maggio 1997, n. 119, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

combinato disposto d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, primo comma, lett. b) 
[convertito in legge 11novembre1983, n. 638]; d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 4, 
primo comma; legge 23 ottobre 1992, n. 421, art. 3, primo comma, lettera s) (artt. 3, 
31, primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 

Sentenza 9 maggio 1997, n. 127, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

legge reg. Lombardia 12 marzo 1984, n. 14, art. 4, commi quarto e quinto (artt. 9, 
97 e 117 della Costituzione). 
Sentenza 17 dicembre 1997, n. 404, G.U. 24 dicembre 1997, n. 52. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, art. 38, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 3 luglio 1997, n. 214, G.U. 16 luglio 1997, n. 29. 

legge 3 maggio 1985, n. 204, art. 7, terzo comma, numero 1) (artt. 3, 4, 24, 35 e 97 
della Costituzione). 
Sentenza 4 luglio 1997, n. 226, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 20 maggio 1985, n. 222, art. 45 (artt. 3, 8, 19, 20 e 53 della Costituzione). 

Sentenza 15 luglio 1997, n. 235, G. U. 23 luglio 1997, n. 30. 

d.l. 27 giugno 1985, n. 312, art. 1-sexi.es [convertito, con modificazioni, nella legge 
8 agosto 1985, n. 431] (artt. 13, 25 e 27 della Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 247, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 


PARTE Il, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

legge 27 dicembre 1985; n. 816, art. 3, secondo comma [cosl come recepito dalla 
legge reg. Sicilia 24 giugno 1986, n. 31] (artt. 3 e 51 della Costituzione). 
Sentenza 28 febbraio 1997, n. 52, G.U. 5 marzo 1997, n. 10. 

leggereg. L6mbardia 17.febbraio 1986, n. s; art; 2; primocorilma, lettera a) (art. 
3 della Costituzione). 

SenJenza 6 maggio 1997, n. 120, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

legge reg. Sicilia 6 marzo 1986, n. 9, artt. 19, 20 e 21 (artt. 5, 97 e 128 della 
Costituzione e 15 statuto spec; reg. Sic;ilia). 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 286, G.U. 6 agosto 1997, n. 32. 

d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 79, sesto comma (artt. 3 e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 11 dicembre 1997; n; 384:;G;U; 17 dicembre 1997, n. SL 

legge reg. Puglia 11 marzo 1988, n. 11, art. 19, primo comma (art. 3, primo 
comma, .della �qstituzione). 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 420, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

d.P~:Q., 22 se:ttembre 1988, n. 448, art. 10 (aftt, 3 e 24, primo e secondo comma, 
della Costituzione). 
Sentenza 23 dicembre 1997, n. 433, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 

dJ. 2 marzo 1989, n. 66, art.. 23, qtUU1o comma [convertito nellalegge 24 aprile 
1989, n. 144] (artt. 3 e 28 della Costituzione). 

Sentenza 30 luglio 1997, n. 295, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

dJ, 30 dicembreJ989, n. 4l.6, art. 7, secow;lo comma [convertito, con modificazioni, 
nella legge 28 febbraio 1990, n, 39] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 21novembre1997, n. 353, G.U. 26 novembre 1997, n. 48, 

leggec6 agosto 1990, n. 223, art. 32, primo comma (artt� 3, ptimo comma, della 
Costituzione). 

Sentenza 24 dicembre 1996, n. 408, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 94 (art. 32 della Costituzione). 
Sentenza 5 dicembre 1997, n. 377, G.U. 10 dicembre 1997, n. 50. 
legge 29 dicembre 1990, n. 408, art. 20, quarto comma(artt. 3, 97, 35 e 36 della 
Costituzione). 

Sentenza 4 luglio 1997, n. 228, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 12 aprile 1991, n, 136, art. 32 (artt. 3, 18 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 248, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

56 

legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, settimo comma (artt. 3 e 97 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1997, n. 134, G.U. 21 maggio 1997, n. 21. 

legge reg. Puglia 31 dicembre 1991, n. 16, art. 1 (artt. 3 e 117 della Costituzione). 
Sentenza 4 luglio 1997, n. 227, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 5 febbraio 1992, n. 104, artt. 21 e 33, sesto comma (artt. 2, 3, 4, 32 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 246, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 17 febbraio 1992, n. 204, art. 7 (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 13 giugno 1997, n. 174, G.U. 18 giugno 1997, n. 25. 


d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 93, settimo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 21novembre1997, n. 349, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 

d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 97, numero 14 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 23 dicembre 1997, n. 435, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 

d.l. 11luglio1992, n. 333, art. 5-bis, quarto comma [convertito, con modificazioni, 
nella legge 8 agosto 1992, n. 359] (artt. 42, terzo comma, e 3 della Costituzione). 
Sentenza 23 luglio 1997, n. 261, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 

legge reg. Basilicata 7 settembre 1992, n. 16, art. 1, terzo comma (art. 3 della 
Costituzione). 
Sentenza 11dicembre1997, n. 387, G.U. 17 dicembre 1997, n. 51. 

d.l. 19 settembre 1992, n. 384, art. 7, terzo comma [convertito, con modificazioni, 
nella legge 14 novembre 1992, n. 438] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 245, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 23 ottobre 1992, n. 421, art. l, lett. p) (artt. 32 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 18 aprile 1997, n. 98, G.U. 23 aprile 1997, n. 17. 

legge 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, primo comma, lettera a) (artt. 97 e 39 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 ottobre 1997, n. 309, G.U. 22 ottobre 1997, n. 43. 

d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 5, primo comma [come sostituito dall'art. 6 
del d.lgs. 7 dicembre 1993, n. 517] (artt. 32 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 18 aprile 1997, n. 98, G. U. 23 aprile 1997, n. 1 7. 

combinato disposto d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503, art. 4, primo comma; legge 23 
ottobre 1992, n. 421, art. 3, primo comma, lettera s); d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 


PARTE Il, QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

6, primo comma, lett. b) [convertito in legge 11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3, 31, 
primo comma, 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione). 

Sentenza 9 maggio 1997, n. 127, G.U. 14 maggio 1997, n. 20. 

d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 1, 5 e 6 (artt. 3, 42 terzo comma e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 22 aprile 1997, n. 111, G. U. 30 aprile 1997, n. 18. 

d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 6, e 18 (artt. 23, 76 e 77 della Costituzione). 

Sentenza 22 aprile 1997, n. 111, G.U. 30 aprile 1997, n. 18. 

d.l. 15 gennaio 1993, n. 6, art. 4-quater [convertito, con modificazioni, dalla legge 
17 marzo 1993, n. 63] (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 292, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, artt. 2, secondo e terzo comma; 4, primo comma, 
seconda parte; 45, secondo, settimo e nono comma e 49, secondo comma (artt. 97 e 39 
della Costituzione). 

Sentenza 16 ottobre 1997, n. 309, G.U. 22 ottobre 1997, n. 43. 

legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, sedicesimo e diciottesimo comma (artt. 3, 
36, 38 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 417, G. U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, ventiseiesimo comma (artt. 3, 18 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 248, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 

legge 5 gennaio 1994, n. 36, art. 1, primo comma (artt. 3 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 27 dicembre 1996, n. 419, G.U. 8 gennaio 1997, n. 2. 

legge 29 gennaio 1994, n. 87, art. 2, quarto comma (artt. 36 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1997, n. 138, G.U. 21maggio1997, n. 21. 

legge 29 gennaio 1994, n. 87, art. 3, primo comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 13 giugno 1997, n. 175, G.U. 18 giugno 1997, n. 25. 

legge reg. Toscana 16 marzo 1994, n. 24, art. 20, secondo comma (art. 117 della 
Costituzione). 
Sentenza 21marzo1997, n. 67, G.U. 26 marzo 1997, n. 13. 

d.lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 1, terzo comma (artt. 3, 18 e 38 della 
Costituzione). 
Sentenza 18 luglio 1997, n. 248, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

58 

d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 16 (artt. 35 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 21novembre1997, n. 354, G.U. 26 novembre 1997, n. 48. 

d.l. 9 agosto 1995, n. 345, art. 1, primo comma, lettera b) [convertito, con modificazioni, 
nella legge 18 ottobre 1995, n. 427] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 294, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

legge28dicembre1995, n. 549, art. 1, trentatreesimo comma (artt. 3, 101, 102, 104 
della Costituzione). 
Sentenza 23 dicembre 1997, n. 432, G.U. 31dicembre1997, n. 53. 

legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, quarto comma (artt. 3, 4, 32 e 33, quinto 
comma, della Costituzione). 
Sentenza 30 luglio 1997, n. 293, G.U. 13 agosto 1997, n. 33. 

legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, centoquarantatreesimo, centoquarantaseiesimo 
e duecentoquarantunesimo comma (art. 36 statuto spec. reg. siciliana e art. 2 

d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074). 
Sentenza 30 dicembre 1996, n. 430, G.U. 15 gennaio 1997, n. 3. 
legge reg. Trentino-Alto Adige 18 gennaio 1996, n. 2 (artt. 3 e 51 della 
Costituzione). 

Sentenza 16 maggio 1997, n. 133, G.U. 21maggio1997, n. 21. 

legge regione Liguria, riapprovata il 10 aprile 1996 (artt. 3, 97 e 117 della 
Costituzione). 

Sentenza 4 giugno 1997, n. 162, G.U. 11giugno1997, n. 24. 

legge prov. Bolzano riapprovata il 9 maggio 1996, art. 1, terzo comma (art. 7 del 

d.P.R. 
19 novembre 1987, n. 527). 
Sentenza 23 luglio 1996, n. 271, G.U. 30 luglio 1997, n. 31. 
legge reg. Veneto riapprovata il 20-21 dicembre 1996, art. 4, secondo comma 
(artt. 11 e 117 della Costituzione). 
Sentenza 28 novembre 1997, n. 365, G.U. 3 dicembre 1997, n. 49. 

legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, sessantunesimo comma (artt. 115, 117 e 118 
della Costituzione). 

Sentenza 18 luglio 1997, n. 244, G.U. 23 luglio 1997, n. 30. 



CONSULTAZIONI 


ACQUE -Ente siciliano di elettricit� -Derivazioni idroelettriche -Successione dell'ENEL 

-Disciplina dell�derivazioni (regolazione portate; tutela dei corsi d'acqua, canoni 

di �oncessione). 

Se l'esercizio delle derivazioni idroelettriche dell'Ente Siciliano di Elettricit� 
(E.S.E.) di cui l'E.N.E.L. � successore legittimo debba essere disciplinato nei riguardi 
della regolazione delle portate e della tutela idraulica dei corsi d'acqua, o se -invece 
-debba essere redatto un mero atto ricognitivo; e, se, per le utilizzazioni idroelettri-. 
che gi� praticate dall'E.S.E., l'E.N.E.L. debba corrispondere i canoni di concessione, e 
nell'affermativa da quale data (es. 1217 /96) 

AEROMOBILE -Aeromobili di propriet� di societ� avente sede in Italia il cui atto costitutivo, 
� stato stipulato all'estero -Iscrizione nel registro aeronautico nazionale Possibilit�. 


Se possano essere iscritti nel registro aereonautico nazionale gli aereomobili 
appartenenti ad una societ� avente sede in Italia ma il cui atto costitutivo sia stato stipulato 
all'estero (es. 9188/96) 

AGRICOLTURA -Cooperazione agricola -Contributi ex art. 4, 3� comma, lettera C, legge 
75211986 -Requisiti per beneficiare degli stessi -Fattispecie. 

Consorzio (di rilevanza nazionale) di cooperative agricole e di servizi in agricoltura, 
che non svolge esclusivamente attivit� di trasformazione di prodotti agricoli, che 
abbia reso alle socie servizi per un valore pari al 28% del suo fatturato e abbia prestato 
servizi a terzi in campo agricolo (gestione del Parco di Tor de' Cenci per conto del 
Comune di Roma) avvalendosi dell'opera delle cooperative socie per un costo conferito 
del 98%: se possa beneficiare dei contributi di cui all'art. 4, 3� comma lett. C legge 
752/86, finalizzati al sostegno e allo sviluppo della cooperazione agricola di rilevanza 
nazionale (es. 3991/97). 

Prelievo di corresponsabilit� sui cereali -Versamento tardivo � Nei trenta giorni dalla 
scadenza delle somme �lovute a titolo di prelievo ma non degli interessi sulle stesse 
-Sanzione applicabile. 

Prelievo di corresponsabilit� sui cereali (Reg. CEE 2727/75); soggetto che, acquisito 
il prelievo, operi il versamento dello stesso oltre il termine di scadenza, ma entro 
il trentesimo giorno da questo, senza, peraltro, versare -nei ridetti trenta giorni anche 
gli interessi di mora sulle somme tardivamente corrisposte; se debba applicarsi 
la sanzione prevista dal terzo comma dell'art. 63 legge 428/90 o quella (minore) di cui 
al successivo quarto comma (es. 9634/96). 

ANTICHIT� E BELLE ARTI -Cose di interesse storico-artistico -Tutela -Vincolo diretto ed 
indiretto su immobili -Esecuzione di opere su di questi -Autorizzazione -Organo 
competente. 

Tutela delle cose di interesse storico artistico (legge 1089/39); autorizzazione all'esecuzione 
di opere su immobili sottoposti a vincolo diretto ed indiretto: quando sia 



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

60 

competente la Soprintendenza per i beni storici ed artistici e quando il Ministero; e 
comunque se quest'ultimo, nell'imporre il vincolo indiretto possa riservare a s� il potere 
di autorizzare taluni interventi (es. 10554/95). 

D.lgs. 50211992 -Trasferimento ex art. 5 di beni facenti parte del patrimonio dei 
Comuni e delle Province alle USL -Beni di interesse storico-artistico -Quesiti. 

Trasferimento -ex art. 5 dlg.vo 502/92 -alle unit� sanitarie locali dei beni mobili 
e immobili che, alla data di entrata in vigore del ridetto dlg.vo 502/92, facevano parte 
del patrimonio dei comuni e delle province con vincolo di destinazione alle USL; beni 
di interesse storico-artistico: 

a) se sia opportuno procedere -ai sensi dell'art. 3 legge 1089/39 -al vincolo dei 
beni mobili trasferiti alle USL; 

b) se il trasferimento di detti beni sia soggetto a controllo preventivo del Ministero 
dei Beni Culturali e se gli atti di individuazione dei beni trasferiti vadano comunicati 
a quest'ultimo (es. 1823/97). 

Ingegneri e architetti -Competenze -Vigenza art. 52, 2� comma, d.P.R. 253711925 Progetti 
di lavori su aree o edifici di valenza storico-artistica non sottoscritti da 
architetto -Diniego autorizzazione ex legge 108911939 -Possibilit�. 

Competenze degli architetti e degli ingegneri in tema di lavori da effettuarsi in 
aree e/o edifici di valenza storico-artistica: 

a) se sia tutt'ora vigente l'art. 52, 2� comma r.d. 2537/25 (giusta il quale �le opere 
di edilizia civile, che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro ed il ripristino 
degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichit� e le 
belle arti sono di spettanza della professione di architetto�); 

b) (nell'affermativa) se l'Amministrazione dei Beni Culturali e Ambientali possa 
negare l'autorizzazione alla effettuazione di opere e lavori perch� i relativi progetti non 
sono stati sottoscritti da professionista competente ai sensi dell'art. 52, 2� comma r.d. 
2537/25 (es. 6395/96). 

Tariffa per la riproduzione e l'uso del patrimonio storico-artistico (d.m. Beni Culturali 
8 aprile 1994) -Deroghe alla stessa con accordo fra P.A. e concessionario 
Possibilit� e limiti. 

Tariffa per la riproduzione e l'uso del patrimonio storico artistico (d.m. Beni 
Culturali 8 aprile 1994): entro quali limiti e a quali condizioni le disposizioni ivi contenute 
possano essere derogate da accordo fra l'Amministrazione e il concessionario 
(es. 2770/97). 

ARCHIVI DI STATO -Documenti del carteggio Mussolini-Petacci conservati presso 
l'Archivio centrale dello Stato -Regime di consultabilit� -Spettanza di indennizzi 
agli eredi degli autori per l'acquisizione dei documenti al demanio statale. 

Documenti del carteggio �Mussolini-Petacci� conservati presso l'Archivio Centrale 
dello Stato: 

a) se i discendenti (od eredi) degli autori dei menzionati documenti possano 
disporre (ex art. 21, 4� comma d.P.R. 1409/63) che detti documenti-o parte di essinon 
possano essere consultati (ed eventualmente se il divieto possa essere perpetuo); 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

b) se per l'acquisizione di siffatti documenti, o di parte di essi, al demanio dello 
Stato, debba essere corrisposto un indennizzo agli eredi degli autori del carteggio 
(es. 4069/96). 

AwocATURA DELLO STATO -AIMA -Legale che le ha fornito consulenza in materia tributaria 
e l'ha assistita in giudizi dinanzi le Commissioni Tributarie -Cosa spetti a 
quest'ultimo per l'opera svolta. 

Esame della legittimit� di delibere con le quali il Consiglio di Amministrazione 
dell'Azienda di Stato per gli interventi nel mercato agricolo ha affidato ad un awocato 
libero professionista incarichi di consulenza in materia tributaria e di assistenza in 
controversie (in materia di IVA) promosse dalla ridetta azienda dinanzi le 
Commissioni Tributarie; e, nel caso di ritenuta legittimit�, delle suddette delibere, cosa 
spetti al professionista per l'opera svolta a favore dell'AIMA (es. 5471/95). 

Commissario straordinario per i campionati mondiali di sci alpino 1997 -Stipula di 
convenzione per consulenza legale e assistenza extragiudiziale con avvocato libero 
professionista -Validit� della convenzione e somme che possano spettare a quest'ultimo 
per l'opera svolta. 

Avvocato libero professionista che ha stipulato con il Commissario Straordinario 
per i campionati mondiali di scj alpino del 1997 una convenzione per consulenza legale 
e assistenza extragiudiziale: se al predetto professionista spettino i compensi previstidalla 
convenzione, e, nella negativa, se possano spettargli somme ex art. 2041, e.e. 
(es. 6844/96). 

Somme riscosse a titolo di onorari -In base a sentenze poi riformate in senso sfavorevole 
alla Amministrazione -Prescrizione del diritto di ripetere da parte del solvens 
-Provvedimenti da adottare. 

Somme riscosse dall'Avvocatura dello Stato a titolo di onorari, sulla base di sentenze 
non passate in giudicato e -successivamente alla predetta riscossione -riformate 
in senso sfavorevole all'Amministrazione, delle quali la controparte non ha chiesto 
il rimborso nel termine decennale di prescrizione: quali provvedimenti debbano 
essere assunti in ordine alle stesse (es. 3055/96). 

BELLEZZE NATURALI (PROTEZIONE DELLE) -Condono edilizio ex legge 4711985 -Opere 
abusive realizzate su immobili soggetti a vincolo paesistico -Parere ex art. 32, 
legge 4711985. 

Condono edilizio (legge 47/85) di opere abusive realizzate su immobili soggetti a 
vincolo paesistico: 
a) pareri (ex art. 32 legge citata) favorevoli resi dalle Regioni dopo il formarsi del 
silenzio rifiuto; quando vadano annullati dall'Amministrazione dei Beni Culturali; 

b) istanza di pronunzia in via sostitutiva, del parere di cui all'art. 32 legge 47/85, 
rivolta all'Amministrazione dei Beni Culturali, allorch� sull'istanza presentata alla 
Regione si sia formato il silenzio rifiuto; se l'Amministrazione possa provvedere; 

c) istanze di pronunzia, in via sostitutiva, del parere di cui sopra, rivolte 
all'Amministrazione dei Beni Culturali, in relazione ad istanza reiterata alla Regione 
dopo la formazione del silenzio rifiuto: se sia ammissibile (es. 463/96). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Immobili soggetti a vincolo paesaggistico -Opere abusive compiute sugli stessi Concessioni 
edilizie in sanatoria ex art. 39 legge 72411994 -Autorizzazione regionale 
espressa per silenzio-assenso -Potere di annullamento e di sostituzione del 
Ministero dei Beni Culturali -Sussistenza. 

Concessioni edilizie in sanatoria (ex art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724) per 
opere abusive compiute su immobili soggetti a vincolo paesistico in base alla legge 
29 giugno 1939, n. 1497 e alla legge 431185: se l'Amministrazione per i Beni Culturali 
possa annullare l'autorizzazione regionale espressa per silenzio-assenso e possa esercitare 
il potere sostitutivo nelle ipotesi in cui sarebbe operante il detto silenzio-assenso 
(es. 463/96). 

Provvedimenti di vincolo ex art. 82, d.P.R. 61611977 -Momento in cui acquistano 
efficacia. 

Decreti ministeriali di vincolo per la protezione delle bellezze naturali adottati 
secondo il procedimento semplificato di cui all'art. 82 d.P.R. n. 616/77; momento della 
loro efficacia nei confronti dei proprietari e dei comuni (es. 4041/97). 

BENI -Diritti spettanti agli interpreti ed esecutori ex art. 73 legge 633141 -Regime fiscale 
ai fini dell'imposta sul valore aggiunto. 

IVA: trattamento fiscale applicabile ai diritti spettanti (ex art. 7 3, 1 � comma, legge 
22 aprile 1941, n 633) agli interpreti ed esecutori per l'utilizzazione, da parte di terzi, 
delle registrazioni delle loro prestazioni artistiche, in programmi radiotelevisivi, cinematografici, 
pubbliche manifestazioni, etc. (es. 6592/96). 

Diritto di autore -Opere di pubblico dominio -Diffusione televisiva -Diritto demaniale 
ex art. 175 r.d. 633141 -Debenza. 

Se il diritto demaniale, previsto dall'art. 175 della legge sul diritto di autore, sia 
dovuto anche per la diffusione televisiva di opere di pubblico dominio (con particolare 
riguardo alle opere cinematografiche) (es. 1066/93) 

Opere protette dal diritto d'autore esistenti presso biblioteche di atenei -Fotocopiatura 
da parte di studenti e docenti ai fini di studio e di ricerca. 

Se ed eventualmente entro quali limiti, sia legittima la riproduzione, mediante 
fotocopie, di testi di opere (libri, riviste) protette dal diritto di autore, esistenti presso 
le biblioteche degli atenei, da parte di studenti e docenti a fini di studio e di ricerca (es. 
6863/96) (esame condotto, con riferimento alla legge 159/93 e alla legge 633/1941 e con 
riguardo, anche, all'eventuale responsabilit� civile e amministrativa delle Universit� e 
alla responsabilit� civile, amministrativa, penale dei dipendenti di queste (es. 5754/95). 

CACCIA-Tutela della fauna selvatica -a) divieti di cui all'art. 21, primo comma, lett. bb), 
legge 15711992: se riguardino uccelli importati dall'estero -b) importazione in 
Italia di fauna selvatica: quando sia legittima -e) art. 20 legge 15711992: interpretazione: 
nozione specie autoctone. 

Tutela della Fauna Selvatica: 
a) art. 21 1� comma, lett. bb) legge 157/92 (giusta il quale � vietato vendere, detenere 
per vendere, acquistare uccelli vivi o morti, nonch� loro parti o prodotti derivati 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

facilmente riconoscibili, appartenenti alla fauna selvatica, che non appartengano alle 
seguenti specie: germano reale, pernice rossa, pernice di Sardegna, starna, fagiano, 
colombaccio): se i divieti posti dalla considerata norma riguardino gli uccelli (o loro 
parti o prodotti) importati dall'estero; 

b) importazione in Italia di fauna selvatica viva, di selvaggina di allevamento o 
morta: quando sia legittima; 

e) speci� autoctone di fauna selvatica che possono essere introdotte in Italia dall'estero 
ai fini di ripopolamento (art. 20 legge 157/92): se possa considerarsi autoctona 
una specie gi� esistente inItalia e di recente estintasi per fatto dell'uomo (es. 4988/96). 

CALAMITA PUBBLICHE -Eccezionale presunzione di legittimit� ex art. 91 d.lgs. 7611990 Ambito 
di applicazione. 

Terremoto verificatosi in Campania e Basilicata il 23 novembre 1980; delega -da 
parte del C()mmissario Straordinario -ad amministrazioni comunali ad effettuare 
interventi di .somi;na urgenza; !�Omme erogate ai Comuni a titolo di acconto; Comune 
che, utilizzando dette somme, abbia corrisposto -ad impresa incaricata di uno di 
detti interventi -somme eccedenti l'importo, poi ammesso a finanziamento per l'intervento 
medesimo; se. debba restituire allo Stato le maggiori somme erogate all'impresa 
(es. 1101/97). 

Interventi ex art. 4 d.l. 15411995 lungo tratti di corsi d'acqua di competenza statale Materiali 
litoidi rimossi dai predetti corsi -Organo competente a curarne la vendita 
all'asta. 

D.L. 3 maggio 1995, n. 154 (ulteriori interventi in favore delle zone alluvionate 
negli anni 93"94); art. 4; interventi straordinari diretti ad eliminare situazioni di pericolo 
immanente, nei confronti delle popolazioni e delle infrastrutture, lungo i tratti 
dei corsi d'acqua -di competenza statale -del bacino padano; materiali litoidi 
rimossi dai predetti corsi d'acqua: quale organo sia competente a curarne la vendita 
all'asta (es. 8682/96). 
CIRCOLAZIONE STRADALE -Informazioni ex art. 11, 4� comma, Cod. Strada -Periti assicurativi 
di cui alla legge 16611992 -Se siano legittimati a richiederle. 

Se i periti assicurativi (di cui alla legge 166/92) possano ottenere dagli organi di 
polizia di cui all'art. 12 del Codice della Strada, le informazioni che detti organi hanno 
acquisito relativamente alle modalit� di un incidente stradale, alla residenza o al domicilio 
delle parti, alla copertura assicurativa dei veicoli coinvolti nel sinistro, ai dati di 
individuazione di questi ultimi (es. 9523/96). 

Misure relative al divieto di accesso ai luoghi di svolgimento di competizioni agonistiche 
(art. 6, 1� e 2� comma, legge 40111989) -Soggetto ad esse sottoposto -Se gli 
vada revocata la patente di guida. 

Se vada revocata la patente di guida al soggetto nei confronti del quale il questore 
abbia disposto (ex art. 6, 1� e 2� comma legge 401/89) il divieto di accesso a luoghi 
ove si svolgano competizioni agonistiche (es. 7738/96). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

64 

CITTADINANZA -Minori che hanno acquisito, iure sanguinis, alla nascita sia la cittadinanza 
italiana, sia quella tedesca -Perdita, ex art. 1 Convenzione di 
Strasburgo 6 maggio 1963, della cittadinanza italiana da parte dell'unico genitore 
italiano che � diventato cittadino tedesco -Se detti minori conservino la 
cittadinanza italiana. 

Se conservino o meno la cittadinanza italiana i minori che hanno conseguito iure 
sanguinis, alla nascita, sia la cittadinanza tedesca che quella italiana e di cui, per�, l'unico 
genitore italiano, conseguendo volontariamente la cittadinanza tedesca, � incorso 
nella perdita dello status civitatis di origine ai sensi dell'art. 1 della Convenzione di 
Strasburgo del 6 maggio 1963 (es. 8516/97). 

COMMERCIO -Fondo rotativo istituito dall'art. 2 d.l. 25111981 -Somme erogate per 
finanziare la spesa relativa al campionario -Da restituire perch� non giustificate 
da idonea documentazione di spesa -Interessi sulle stesse. 

Fondo rotativo istituito (art. 2 d.l. 251181) presso il Mediocredito centrale, destinato 
alla concessione di finanziamenti a tasso agevolato alle imprese esportatrici che 
realizzino programmi di penetrazione commerciale in Paesi non appartenenti alla 
Comunit� Economica Europea; somme erogate per finanziare la spesa relativa al campionario; 
somme che l'impresa deve restituire in quanto l'importo da lei richiesto a 
finanziamento non risulta giustificato da idonea documentazione di spesa; come vadano 
conteggiati gli interessi sulle suddette somme (es. 8917/96). 

COMUNIT� EUROPEA -Iniziativa della Commissione CEE denominata �Leader� -G.A.L. 
che rinunzi a realizzare attivit� per la quale ha ottenuto acconti di contributo Restituzioni 
alle quali � tenuto. 

Iniziativa della Commissione della Comunit� Economica Europea denominata 
�Leader� (diretta a favorire lo sviluppo di zone rurali di determinate regioni); G.A.L. 
(Gruppo di Azione Locale) che dopo aver ricevuto acconti del contributo comunitario 
e di quello nazionale rinunzi a realizzare l'attivit� per la quale erano stati concessi i 
contributi medesimi: 

a) se le somme percepite a titolo di contributo comunitario vadano restituite -dal 

G.A.L. -maggiorate dell'ammontare degli interessi maturati sul conto corrente bancario 
(intestato al G.A.L. medesimo) nel quale dette somme erano depositate e dell'ammontare 
delle eventuali perdite di cambio; 
b) come vadano calcolati gli interessi -dovuti dal G.A.L. -sulle somme percette 
a titolo di contributo nazionale; 

c) se il G.A.L. possa compensare le spese da lui sostenute per la fideiussione(diretta 
a garantire il corretto utilizzo dei contributi comunitari da lui ricevuti) con gli interesstdi 
cui al precedente punto (es. 6701/96). 

Prelievo di corresponsabilit� sui cereali -Versamento tardivo -Nei trenta giorni dalla 
scadenza delle somme dovute a titolo di prelievo ma non degli interessi sulle stesse 
-Sanzione applicabile. 

Prelievo di corresponsabilit� sui cereali (Reg. CEE 2727175); soggetto che, acquisito 
il prelievo, operi il versamento dello stesso oltre il termine di scadenza, ma entro 
il trentesimo giorno da questo, senza, peraltro, versare -nei ridetti trenta giorni 


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PARTE II, CONSULTAZIONI 

anche gli interessi di mora sulle somme tardivamente corrisposte; se debba applicarsi 
la sanzione prevista dal terzo comma dell'art. 63 legge 428/90 o quella (minore) di cui 
al successivo 4� comma (es. 9634/96). 

CONCESSIONI AMMINISTRATIVE IN GENERE -Opere pubbliche -Concessioni di committenza 
-Assentimento delle stesse senza l'osservanza di quanto disposto dalla legge 
584177 e dal d.lgs. 406191 -Legittimit�. 

Opere pubbliche: concessioni senza obbligo di diretta esecuzione dei lavori (concessioni 
di committenza): se sia legittimo l'assestamento delle stesse senza l'osservanza 
di quanto previsto dalla legge 8 agosto 1977, n. 584 e dal d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 
406 (es. 6024/96). 

Programma straordinario di edilizia penitenziaria ex 1. 88711984 -Concessione di affidamento 
della realizzazione dello stesso -Possibilit� di affidare alla concessionaria 
interventi sostitutivi di quelli originariamente previsti e di prorogare la concessione. 


Convenzione 18 luglio 1986, n. 1842 con la quale il Ministero dei Lavori Pubblici 
ha affidato, in regime di concessione, alla Societ� Servizi Tecnici SPA, la progettazione 
e la realizzazione del programma straordinario di edilizia penitenziaria di cui alla 
legge 22 dicembre 1984, n. 887: se con apposito atto aggiuntivo possano affidarsi alla 
predetta societ� interventi originariamente non previsti nel programma di edilizia di 
cui all'atto di concessione, e che andrebbero realizzati in sostituzione di interventi programmati, 
ma poi stralciati; e se possa essere prorogata la durata della convenzione ed 
eventualmente in quali limiti (es. 1658/97). 

CONTABILIT� PUBBLICA -Pignoramenti contro l'Amministrazione Statale presso la 
Tesoreria -Quesiti. 

Pignoramenti contro l'Amministrazione Statale presso la Tesoreria: 
a) se siano nulli quando non indichino esattamente i crediti pignorati; 
b) se possano incidere sui capitoli di bilancio destinati al pagamento di stipendi; 
e) se possano colpire anche crediti futuri (es. 10498/96). 


Risarcimento danni provocati a cose o persone a seguito di operazioni di p.g. -d.P.R. 
18 aprile 1994, n. 388, art. 3 -Quesiti (ambito temporale di efficacia, condizioni 
per richiedere il parere non obbligatorio dell'Avvocatura dello Stato). 

D.P.R. 18 aprile 1994, n. 388 (Regolamento recante semplificazione del procedimento 
di risarcimento dei danni provocati a cose o persone a seguito di operazioni di 
polizia giudiziaria): art. 3 del medesimo (giusta il quale, ove la richiesta di risarcimento 
ammonti a una somma complessivamente superiore a dieci milioni di lire, � obbligatorio 
assumere il parere dell'Avvocatura dello Stato sulla fondatezza della pretesa e 
sulla convenienza di addivenire ad una transazione): 
a) applicabilit� della riferita norma in caso di istanze risarcitorie presentate prima 
della sua entrata in vigore; 
b) condizioni perch� l'Amministrazione possa richiedere, all'Avvocatura, parere 
non obbligatorio ai sensi del ridetto art. 3 (es. 3153/94). 


66 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DEI CONTI -Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo -Decreti 
approvativi di contratti e convenzioni anteriori al 1� gennaio 1995 ritenuti non 
confarmi a legge dalla Corte dei Conti -Conseguenze. 

Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo; decreti approvativi di contratti 
o convenzioni anteriori alla data di soppressione del Fondo Speciale per la 
Cooperazione allo Sviluppo (1� gennaio 1995) ritenuti non conformi a legge dalla Corte 
dei Conti: quali provvedimenti possa adottare lAmministrazione rispetto ai suddetti 
decreti e quali possano essere gli effetti di detti provvedimenti o della loro mancata 
adozione rispetto ai rapporti derivanti dai contratti e dalle convenzioni (esame condotto 
con riferimento ai contratti e convenzioni gi� eseguiti e chiusi dal punto di vista 
contabile, sia a quelli gi� eseguiti ma non ancora chiusi dal punto di vista contabile, sia 
a quelli in corso di esecuzione) (es. 5367/96). 

DEMANIO -Bene del demanio marittimo -Sequestro penale dello stesso a seguito di abusiva 
occupazione -Risarcimento del danno derivato alla P.A. dalla mancata disponibilit� 
del bene durante il sequestro. 

Se l'occupante abusivo di area del demanio marittimo sia tenuto a risarcire 
all'Amministrazione delle finanze il danno derivante dalla mancata disponibilit� del 
bene considerato per tutto il tempo in cui questo sia stato oggetto di sequestro penale; 
e nell'affermativa se l'indennizzo spettante all'Amministrazione vada calcolato come 
disposto dall'art. 8 cl.I. 400/93 (es. 9633/96). 

Terreni del demanio dello Stato abusivamente occupati -Sgombero di cose mobili 
lasciate dall'ex occupante -Abbattimento delle opere abusivamente erette Eventuali 
divieti a carico di aziende erogatrici di servizi pubblici -Questioni. 

a) se l'Amministrazione Statale possa chiedere al Comune l'abbattimento di manufatti 
ivi abusivamente realizzati e non demoliti dall'ex occupante abusivo; 

b) se ove l'ex occupante abusivo o il Comune non provvedano alla demolizione di 
cui sopra possa ipotizzarsi una loro responsabilit� per danni (conseguenti all'impossibilit� 
di libero utilizzo del bene) nei confronti dell'Amministrazione Statale (in particolare 
nel caso in cui la mancata demolizione abbia avuto leffetto di favorire una 
nuova occupazione del bene); 

e) se alle aziende erogatrici di acqua, luce, gas sia fatto divieto di erogare detti servizi 
ad opere abusivamente costruite su suoli demaniali; e, nell'affermativa se possa 
ipotizzarsi una responsabilit� per danni, delle stesse, nei confronti dell'Amministrazione 
Statale per aver erogato forniture ali'occupante abusivo; 

d) se i beni mobili, dell'ex occupante abusivo, da questi non asportati possano 
essere venduti o distrutti (es. 8245/95). 

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EDILIZIA POPOLARE ED ECONOMICA -Alloggi di edilizia agevolata -Art. 20, 1 o comma, legge 
179192 -Ambito di applicazione -Estinzione mutui agevolati ex legge 457178 lli

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prima del compiersi dei termini di cui all'art. 35 legge 865171 -Contributo statale 

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-Se vada restituito. 

a) se le disposizioni di cui all'art. 20, 1� comma legge 179/92 (norme per l'edilizia Il 
residenziale pubblica), relative all'alienazione o locazione di detti alloggi, trovino applicazione 
anche a quelli realizzati in base a convenzioni stipulate prima dell'entrata in 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

vigore della ridetta legge 179/92; esame condotto anche alla luce del disposto dell'art. 
3, 78� comma, legge 549/95 (giusta il quale: �le convenzioni stipulate ai sensi dell'articolo 
35 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 ... e precedentemente all'entrata in vigore 
della legge 17 febbraio 1992, n. 179, per la cessione deldiritto di propriet� possono 
essere modificate, corlla soppressione dei limiti di godimento decennali e ventennali 
ivi previsti, in cambio di un corrispettivo�) e con riguardo alla possibilit� dell'alienazione 
olocazione -decorso il termfu.e di 5 anni posto dal summenzionato art. 20 di 
alloggi realizzati in base a convenzioni rientranti nella previsione del precitato art. 
3, 78� comma, legge 549/95, per le quali non vi sia stata la modificazione in detta 
norma prevista; 

b) mutui agevolati relativi agli alloggi in considerazione, estinti anticipatamente, 
al fine di vendere detti beni una volta decorso il termine quinquennale di cui all'art. 20 
legge 179/92, ma anteriormente al compiersi dei limiti temporali di godimento originariamente 
previsti: se il contributo pubblico erogato ex art. 19 legge 457 /78 vada restituito 
(es. 6095/96). 

Garanzia dello Stato su mutui edilizi -Operativit� -Fattispecie. 

a) se nell'ipotesi in cui venga risolta per inadempienza del concessionario, la convenzione 
di cessione a questo, di terreni destinati ad edilizia economica e popolare, ed 
al concessionario sia stata delegata dal Comune l'espropriazione dei terreni medesimi, 
il Comune possa portare a termine il procedimento espropriativo; 

b) se l'irreversibile trasformazione dei terreni di cui sopra comporti la perdita 
della propriet� da parte dell'espropriando, pur in assenza del decreto di esproprio; 

c) se la risoluzione della convenzione di cui al punto a) comporti il subentro del 
Comune, nei rapporti obbligatori derivanti dai mutui ipotecari conclusi dal concessionario, 
con l'obbligo di soddisfare, fino all'estinzione, i crediti dell'istituto mutuante. 
(Esame condotto al fine di stabilire se� nelle ipotesi considerate divenga o meno operante 
la garanzia dello Stato per i mutui edilizi finalizzati a realizzare edilizia economica 
e popolare, prevista dall'art. 44 legge 457/78) (es. 5452/95). 

ENTI PUBBLICI -Liquidazione di enti ex legge 1404156 -Art. 47 ter 2� comma d.l. 41195 
(interpretazione) -Domande di riconos�imento di crediti prodotte agli amministratori 
dei consorzi idraulici di terza categoria anzich� al Ministero del Tesoro: se 
siano validamente prodotte. 

Soppressione e messa in liquidazione di enti di diritto pubblico o di altri enti soggetti 
a vigilanza dello Stato e comunque interessanti la finanza statale {legge 1404/56): 

a) modifiche apportate dall'art. 47 ter d.1. 41195 all'art. 8 legge 1404/56,. qualificando 
perentorio il termine di 60 giorni, previsto nel ridetto art. 8, per presentare al 
Ministero del Tesoro le istanze di riconoscimento dei crediti o di restituzione o rivendica 
di cose: quale significato debba attribuirsi alla parola perentorio, e se la disposta 
perentoriet� del termine trovi applicazione anche a gestioni liquidatorie iniziate prima 
dell'entrata in vigore dell'art. 47 ter cit. (esame condotto con particolare riguardo al 
caso di Consorzi idraulici di ID Categoria e ai crediti di lavoro o previdenziali); 

b) se possano considerarsi validamente prodotte le istanze di riconoscimento dei 
crediti, di restituzione o rivendica di cose, presentate agli amministratori dei Consorzi 
idraulici di ID Categoria; anzich� al Ministero del Tesoro (es. 4834/96). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

68 

Liquidazione INGIC -Istituti che hanno conferito somme per costituirne il capitale: 
diritto alla restituzione delle quote -Art. 15 d.l. 46311983: applicabilit� ai crediti 
dello Stato. 

Liquidazione (avocata ex art. 2 legge 1404/56 al Ministero del Tesoro) dell'Istituto 
Nazionale Gestione imposte di Consumo (INGIC): 

a) se gli istituti di credito che -a norma dell'art. 1 r.d.l. 2418/36 --hanno conferito 
somme di denaro per costituire il capitale dell'INGIC, abbiano diritto al rimborso 
della quota di capitale versata; 

b) se ai crediti dello Stato nei confronti dell'INGIC si applichi la disposizione estintiva 
contenuta nell'art. 15 d.l. 463/83 (es. 3777/86). 

ESECUZIONE -Reati di carattere finanziario -Multe ed ammende -Riscossione -Organo 
competente. 

Quale organo debba curare la riscossione delle multe e delle ammende per reati di 
carattere finanziario e delle spese del relativo processo penale (es. 3921/92). 

ESECUZIONE FORZATA -Fondo di previdenza per ilpersonale del Ministero delle Finanze 
-Somme da questo erogate per indennit� e a titolo di sovvenzioni per malattie e 
spese mediche -Pignorabilit� e sequestrabilit�. 

Se siano sequestrabili o pignorabili, ed eventualmente in quali limiti, le somme 
erogate, a titolo di indennit� di cessazione del rapporto con l'Amministrazione delle 
finanze e a titolo di sovvenzione per malattia e spese mediche, dal Fondo di Previdenza 
per il Personale del Ministero delle Finanze (es. 4404/96). 

Pignoramenti contro l'Amministrazione Statale presso la Tesoreria -Quesiti. 

Pignoramenti contro l'Amministrazione Statale presso la Tesoreria: 
a) se siano nulli quando non indichino esattamente i crediti pignorati; 
b) se possano incidere sui capitoli di bilancio destinati al pagamento di stipendi; 
c) se possano colpire anche crediti futuri (es. 10498/96). 


ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE (o UTILIT�) -Consorzi per le aree di sviluppo 
industriale ex art. 36 legge 317191 -Espropriazioni necessarie per realizzare le 
opere e le infrastrutture ad essi confidate -Procedimento -Art. 11 d.l. 244195 Interpretazione. 


Se -provvisoriamente -competa al Prefetto emanare il decreto di esproprio per 
le espropriazioni di cui all'art. 11 d.l. 244/95 conv. in legge 341/95 (e necessarie alla realizzazione 
delle opere e delle infrastrutture realizzate dai consorzi per le aree di sviluppo 
industriale disciplinate dall'art. 36 legge 5 ottobre 1991, n. 317) (es. 8233/96). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Finalizzata alla realizzazione di opera pubblica 
poi non realizzata -Terreni acquisiti per cessione volontaria (prima e dopo la cessazione 
di efficacia della dichiarazione di p.u.) -Sorte degli ste;ssi. 

Espropriazione per pubblica utilit�: terreni acquisiti dall'Amministrazione espropriante, 
al fine di realizzare un'opera pubblica poi non realizzata, per cessione volontaria 
da parte degli espropriandi, con atti stipulati in parte prima, e in parte dopo, l'i


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PARTE Il, CONSULTAZIONI 

nefficacia della dichiarazione di pubblica utilit�: sorte dei considerati immobili; in particolare 
se siano retrocedibili e quali iniziative possano assumere colui che ha ceduto 
il bene e l'Amministrazione che � divenuta proprietaria di questo (es. 6089/95). 

FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI -Crediti tributari assistiti da privilegio Interessi 
sugli stessi maturati prima della dichiarazione di fallimento -Come vadano 
ammessi al passivo fallimentare. 

Crediti tributari dello Stato assistiti da privilegio: interessi sugli stessi maturati 
prima della dichiarazione di fallimento del contribuente; se detti interessi vadano 
ammessi al passivo fallimentare in chirografo o in via privilegiata (et. 11412/94). 

Gruppo flotta Lauro -Imprese dello stesso assoggettate a procedura di amministrazione 
straordinaria -D.M. MICA 17 agosto 1986 che ha disposto che le stesse sono 
considerate come un unico soggetto (con denominazione sociale �Achille Lauro 
Lines Sri�) -Effetti. 

Se il d.m. (Industria, Commercio, Artigianato) del 17 agosto 1986 con il quale � 
stato disposto che le imprese, assoggettate a procedura di amministrazione straordinaria, 
del gruppo FLOTTA LAURO, citate nelle premesse del decreto stesso, sono considerate 
come un unico soggetto avente per denominazione sociale �ACIDLLE LAURO LINES Srl� a 
far data dall'inizio della procedura e per tutta la sua durata, abbia perso efficacia, a 
seguito della decadenza, per mancata conversione in legge del d.l. 27 settembre 1986, n. 
593; e quali siano (o siano stati) gli effetti della disposizione test� riferita (anche �on 
riguardo alle spese di funzionamento degli organi preposti alla procedura) (es. 6723/96). 

FAMIGLIA (legge 19maggio1975, n. 151)-Indennit� erogata dal fondo di Previdenza per 
il personale del Ministero delle Finanze -Applicabilit� art. 12 bis legge 89811970. 

Applicabilit� all'indennit� erogata dal Fondo di Previdenza per il personale del 
Ministero delle Finanze dell'art. 12 bis legge 898/70 (giusta il quale: il coniuge nei cui 
confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento del matrimonio, ha diritto, se 
non passato a nuove nozze e in quanto titolare di assegno, ai sensi dell'art. 5, ad una 
percentuale dell'indennit� di fine rapporto percepita dall'altro coniuge, all'atto della 
cessazione del rapporto di lavoro (es. 6248/96). 

FORZE ARMATE -Aspiranti all'arruolamento nell'anna dei Carabinieri -Previsione della 
presentazione di una certificazione comprovante l'assenza di infezione da H.I. V. Legittimit�. 


Se sia legittimo prevedere per gli aspiranti all'arruolamento nell'Arma dei 
Carabinieri la presentazione di una certificazione comprovante l'assenza di infezione 
da H.I.V. (AIDS) (es. 6948/97). 

Obiettori di coscienza -Distacco presso Comuni ex art. 5, legge 77211972 -Convenzioni 
stipulate a tal fine fra Ministero della Difesa e Comune -Organo comunale competente 
a deliberarne la stipula. 

Convenzioni stipulate fra il Ministero della Difesa e Comuni relative al distacco di 
obiettori di coscienza presso i Comuni stessi (art. 5 legge 772/72): quale organo comunale 
sia competente a deliberare la stipula di dette convenzioni (es. 506/97). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

70 

Organismi logistici e di protezione sociale istituiti con d.m. Difesa 21 maggio 1981 Natura. 


Natura degli organismi logistici e di protezione sociale istituiti dall'Amministrazione 
della Difesa con d.m. 21 maggio 1981 applicativo dell'art. 24 d.PR. 616/77 
(es. 1695/96). 

Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza -Spese sostenute per 
difendersi in procedimenti penali -Rimborso ex art. 32, legge 152175 -Congruit� 
delle parcelle emesse dal difensore -Controllo. 

Parcelle emesse da legali che hanno patrocinato ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria 
o di pubblica sicurezza in procedimenti a carico di questi per fatti compiuti in servizio 
e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica; se l'Amministrazione 
possa procedere al pagamento delle stesse sulla base del solo parere emesso (ai sensi del!'
art. 14 r.d.l. 1578/33) dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, o debba, invece, necessariamente, 
acquisire il parere dell'Avvocatura dello Stato (es. 947/96). 

Ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza (o di polizia giudiziaria) -Rimborso spese 
sostenute per difendersi in procedimenti a loro carico per fatti compiuti in servizio 
-a) d.P.R. 395195, art. 60: a quali fattispecie si applichi -b) Assoluzione per 
remissione di querela: se spetti il rimborso. 

Rimborso agli ufficiali od agenti di polizia giudiziaria (o di pubblica sicurezza) 
delle spese sostenute per difendersi in procedimenti a loro carico per fatti compiuti in 
servizio (art. 32 legge 152175; artt. 9 legge 232/90 e 60 d.P.R. 395/95): 

a) art. 60 d.P.R. 395/95: se detta norma che estende il beneficio del rimborso ai 
procedimenti per fatti compiuti in servizio non relativi all'uso delle armi o di altro 
mezzo di coazione fisica, possa trovare applicazione nel caso in cui i fatti, oggetto del 
processo, siano anteriori alla data di entrata iri vigore del d.PR. 395/95 e la sentenza sia 
successiva (ed eventualmente in quali limiti); 

b) se, (ed eventualmente a quali condizioni) spetti il rimborso a chi sia stato prosciolto 
a seguito di remissione di querela (es. 6323/96). 

GUERRA -Contributo statale ex art. 2, legge 1611980 e aiuto per la costruzione di nave 
ex art. 1, legge 23411989 -Cumulabilit� dei ridetti benefici. 

Societ� di Navigazione che ha ottenuto indennizzo (ex legge 294175) per la perdita 
di due navi in Estremo Oriente e abbia impiegato detto indennizzo per costruire una 
nave; sua richiesta di ottenere il contributo statale (dell'8% sugli interessi) ex art. 2 
legge 16/80; se detto beneficio sia cumulabile con l'aiuto per la costruzione di nave previsto 
dall'art. 1 legge 234/89 (es. 38/97). 

IGIENE E SANIT� PUBBLICA -Croce Rossa Italiana -Contratti -Fattispecie. 

Se sia possibile (ed eventualmente con quale procedimento) per la C.R.I. stipulare 
contratti con privati con i quali: il privato si obbliga a realizzare un'attivit� di propaganda 
in favore dei compiti istituzionali dell'Ente o a erogare denaro per finanziare 
determinate attivit� di questo ed entrambe le parti si obbligano a dare adeguata notizia 
all'opinione pubblica della donazione fatta, o del servizio prestato gratuitamente, a 
favore della Croce Rossa dal privato (es. 2338/95). 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

Dipendente �USL � Diritto alla scelta del posto di lavoro ex art. 33, 5� comma, legge 
10411992 � Trasferimento presso USL sita in regione diversa � Possibilit�. 

Se il diritto alla s�elta della sede d� lavoro previsto -dall'art. 33, 5� comma, legge 
104/92 -a favore d� chj assista con continuit� un parente o affine entro il terzo grado 
handicappato, con lui convivente, comp(}rti la possibilit� di ottenere il trasferimento 
presso una USL av'erit� sede i.i:l un� Regfone diversa (es. 1521195). 

Divieti e prescrizioni riguardanti l'amianto di cui alla legge 25711992 -Unit� navali 
militari radiate dai ruoli e con installati a bordo materiali contenenti amianto Applicabilit� 
a dette unit� dei divieti e prescrizioni considerati. 

Unit� navali e mezzi minori della Marina Militare, radiati dai ruoli del naviglio 
Illilitare, con installati a bordo materiali contenenti amianto; se a dette unit� e mezzi 
possano applicarsi i divieti o le prescrizioni di cui ana legge 257/ 92 (art. 1 e 2 in particolare) 
concernenti l'amianto, i prodotti di amianto o contenenti amianto, i rifiuti di 
amianto (es. 4365/97). 

Policlinici universitari -Convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale -Personale 

m:m medico -Trattainento economic;o � Equiparazione al personale USL -A chi 
spetti -Modalit� (rilevanza della qualifica e delle mansioni effettivamente svolte) 
-Irregolarit� nell'equiparazione: prowedimenti da assumere. 
Se l'eq.iparazione del trattamento economico del personale non medico universitario, 
in sel'Vizio presso i policlinici convenzionati con il Sel'Vizio Sanitario Nazionale, 
con il trattamento economico del personale del S.S.N. (art. 31 d.P.R. 761179) debba 
essere effettuata solo a favore del personale direttamente coinvolto in attivit� assistenziale, 
owe:ro anche a favore del personale che svolge funzioni di �supporto� all'attivit� 
assistenziale vera e propria; se ai fini della ridetta equiparazione si debba tener conto 
della qualifica posseduta dal dipendente o delle mansioni da questo effettivamente 
svolte; quali prowedimenti possano essere adottati dall'Amministrazione universitaria 
ove vengano ��cerlate irregolarit� nella concreta applicazione della considerata equiparazione 
(es. 2458196). 

Policlinico universitan'o -Costituzione come azienda ex art. 4 d.lgs. 502192 -Debiti contratti 
dopo la costituzione -Responsabilit� dell'Universit�. 

Se l'Universit� possa essere considerata responsabile per i debiti contratti dai policlinici 
universitari dopo che questi sono S4\ti costituiti come aziende ai sensi dell'art. 
4 d.lgs. 502/92 (es. 6116/96). 

IMPIEGO PUBBLICO -Assegnazione informale di mansioni superiori -Trattamento economico 
-Fattispecie. 

Modalit� di determinazione delle differenze retributive dovute a taluni appartenenti 
al Corpo Forestale della Regione Siciliana ai quali � stato informalmente conferito 
l'esercizio di mansioni corrispondenti a qualifica immediatamente superiore a 
quella dagli stessi rivestita (e il ciii diritto a percepire un'integrazione retributiva � stato 
riconosciuto in sede di accoglimento di ricorso straordinario �al Presidente della 
Regione) (es. 4900/96). 


\ 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

72 

Concorso -Nomina vincitori -Concorrente ammesso con riserva -Se vada nominato. 

Soggetto ammesso con riserva ad un concorso in forza di provvedimento cautelare 
del Tar: se, ove risulti vincitore, l'Amministrazione sia tenuta ad assumerlo in attesa 
di definizione del giudizio amministrativo (es. 5952/96). 

Concorso -Vincitore -Che abbia omesso di dichiarare nella domanda condanne per il 
reato di emissione di assegni senza provvista -Provvedimenti che 
l'Amministrazione debba o possa assumere. 

Vincitore di concorso che abbia omesso di dichiarare nella domanda di partecipazione 
condanne per il reato di emissione di assegni senza provvista (art. 2 legge 
386/90): quali provvedimenti debba o possa assumere l'amministrazione (es. 10548/95). 

Dipendente statale -Procedimento penale a suo carico per fatti inerenti l'attivit� di ufficio 
-Proscioglimento -Rimborso delle spese sostenute per la difesa -Pur in assenza 
di nonna che lo preveda -Possibilit�. 

Se, pur in assenza di una norma che lo preveda, il dipendente statale, che ha 
assunto la veste di indagato o imputato, in un procedimento penale, relativo ad addebiti 
inerenti all'esercizio dell'attivit� di ufficio, e, poi, definitivamente prosciolto, abbia 
diritto a vedersi rimborsate le spese sostenute per la propria difesa nell'anzidetto procedimento 
penale (es. 569/96). 

Dipendenti civili dello Stato -Istanze degli stessi dirette a fruire in qualit� di orfani di 
guerra dei benefici di cui agli artt. 19 r.d.l. 84311924, 12 r.d.l. 4811926 e 7 r.d.l. 
2711927 -Se siano fondate. 

Se siano fondate -ed eventualmente in quali limiti -le istanze avanzate da 
dipendenti civili dello Stato (nel caso di specie del Ministero della Difesa) che in qualit� 
di orfani di guerra chiedano la collocazione �nel grado superiore e nella qualifica immediatamente 
superiore� in applicazione dei benefici previsti dal combinato disposto degli 
artt. 19 r.d.l. 843/24, 12 r.d.l. 48/26, 7 r.d.l. 27/27 (disposizioni in origine riguardanti gli 
ex combattenti della prima guerra mondiale ed appartenenti a categorie assimilate 
nominate o da nominare nei ruoli del personale della carriera esecutiva) (es. 2864/96). 

Fondo di previdenza per il personale del Ministero delle Finanze -Somme da questo 
erogate per indennit� e a titolo di sovvenzioni per malattie e spese mediche Pignorabilit� 
e sequestrabilit�. 

Se siano sequestrabili o pignorabili, ed eventualmente in quali limiti, le somme 
erogate, a titolo di indennit� di cessazione del rapporto con l'Amministrazione delle 
finanze e a titolo di sovvenzione per malattia e spese mediche, dal Fondo di Previdenza 
per il Personale del Ministero delle Finanze (es. 4404/96). 

Impiegato pubblico -Collocamento a riposo con fruizione dei benefici combattentistici 
-Assunzione di nuovo impiego pubblico -Servizio prestato in violazione art. 6 

d.l. 26111974 -Trattamento economico e previdenziale spettante. 
Impiegato dello Stato collocato a riposo (dopo l'entrata in vigore del d.l. 261/74) 
usufruendo dei benefici combattentistici (di cui alla legge 336170) ed al quale � stato 
successivamente conferito incarico di insegnamento presso universit�: incarico dal 
quale � stato dichiarato decaduto (con effetto ex tunc) in applicazione dell'art. 6 d.l. 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

261/74, con provvedimento dapprima sospeso e poi annullato dal TAR ed infine riconosciuto 
legittimo dal Consiglio di Stato: se, il soggetto considerato, per i periodi (antecedenti 
o susseguenti i provvedimenti del TAR) nei quali abbia effettivamente prestato 
servizio in qualit� di professore incaricato, abbia diritto -ex art. 2126 e.e. -al trattamento 
economico e previdenziale spettante per le mansioni svolte (es. 6373/86). 

Procedimento disciplinare -Contro dipendente del Senato -Sospensione dei termini a) 
Compimento attivit� istruttorie: possibilit� -b) Diritto di accesso ex legge 
24111990 agli atti citati nel provvedimento di sospensione: se sussista. 

Se la intervenuta sospensione dei termini disciplinanti il procedimento disciplinare 
contro dipendente del Senato, impedisca il compimento di attivit� istruttorie (ed in 
particolare l'audizione del soggetto passivo del procedimento); e se debbano essere fatti 
conoscere all'interessato -che abbia proposto istanza di accesso ex legge 241/90 -gli 
atti citati nel provvedimento di sospensione dei termini a sostegno della determinazione 
adottata (es. 4668/97). 

Sospensione dal servizio a seguito di rinvio a giudizio -Declaratoria di incompetenza 
territoriale da parte del giudice del dibattimento penale -Conseguenze. 

Dipendenti dell'Amministrazione Doganale arrestati per delitti di contrabbando e 
corruzione, e sospesi (sospensione obbligatoria) dal servizio; poi scarcerati e riammessi 
in servizio, ma assegnati a nuove sedi per motivi di incompatibilit� ambientale; 
e -di poi -nuovamente sospesi dal servizio a seguito del loro rinvio a giudizio; successiva 
sentenza del giudice del dibattimento con la quale questo dichiara la propria 
incompetenza per territorio: se i dipendenti di cui sopra debbano essere riammessi in 
servizio, se agli stessi vadano corrisposti gli emolumenti relativi ai predetti periodi di 
sospensione dal servizio, se i provvedimenti di trasferimento per incompatibilit� 
ambientale debbano o possano essere revocati (es. 9726/96). 

Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza -Spese sostenute per 
difendersi in procedimenti penali -Rimborso ex art. 32 legge 15211975 -Congruit� 
delle parcelle emesse dal difensore -Controllo. 

Parcelle emesse da legali che hanno patrocinato ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria 
o di pubblica sicurezza in procedimenti a carico di questi per fatti compiuti in servizio 
e relativi all'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica; se l'Amministrazione 
possa procedere al pagamento delle stesse sulla base del solo parere emesso (ai sensi dell'art. 
14 r.d.l. 1578/33) dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, o debba, invece, necessariamente, 
acquisire il parere dell'Avvocatura dello Stato (es. 947/96). 

Ufficiali ed agenti di pubblica sicurezza (o di polizia giudiziaria) -Rimborso spese 
sostenute per difendersi in procedimenti a loro carico per fatti compiuti in servizio 
-a) d.P.R. 395195 art. 60: a quali fattispecie si applichi -b) Assoluzione per 
remissione di querela: se spetti il rimborso. 

Rimborso agli ufficiali od agenti di polizia giudiziaria (o di pubblica sicurezza) 
delle spese sostenute per difendersi in procedimenti a loro carico per fatti compiuti in 
servizio (artt. 32 legge 152/75; 9 legge 232/90 e 60 d.P.R. 395/95): 

a) art. 60 d.P.R. 395/95: se detta norma che estende il beneficio del rimborso ai 
procedimenti per fatti compiuti in servizio non relativi all'uso delle armi o di altro 


74 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

Imezzo di coazione fisica, possa trovare applicazione nel caso in cui i fatti, oggetto del 

processo siano anteriori alla data di entrata in vigore del d.P.R. 395/95 e la sentenza 
sia successiva (ed eventualmente in quali limiti); 
b) se, (ed eventualmente a quali condizioni) spetti il rimborso a chi sia stato prosciolto 
a seguito di remissione di querela (es. 6323/96). 

I 
I
il 

1) Vincitore di concorso -Documenti attestanti le qualit� personali per ottenere 
l'ammissione in servizio -Presentazione di dichiarazione sostitutiva ex legge 15168 Possibilit�. 


I

2) Concorso a posti di ricercatore universitario -Pubblicazioni scientifiche -~ 
Presentazione di mera copia accompagnata da dichiarazione ex art. 2 d.P.R. 130194 di 
conformit� -Possibilit�. 

Se il vincitore di concorso possa presentare, in luogo dei documenti attestanti le 
qualit� personali per ottenere l'ammissione in servizio, una dichiarazione sostitutiva ex 
legge 15/68; e se il concorrente a posti di ricercatore universitario o di tecnico amministrativo 
delle Universit�, possa presentare le pubblicazioni scientifiche da lui fatte (e 
che dovranno essere valutate dalla commissione di concorso) in mera copia accompagnata 
da sua dichiarazione (temporaneamente sostitutiva ex art. 2 d.P.R. 130/94) di 
conformit� all'originale (es. 5319/96). 

INDUSTRIA -d.l. 12011989 (misure di sostegno alla siderurgia) -Contributo ex art. 8 d.l. 
cit. -Requisiti per goderne -Fattispecie. 

Contributo previsto dal d.l. 120/89 (misure di sostegno e di reindustrializzazione 
in attuazione del piano di risanamento della siderurgia): se ai fini dell'erogabilit� 
di detto contributo, possa ritenersi realizzato l'obiettivo occupazionale, cui � 
finalizzata l'erogazione, anche nel caso in cui un'azienda non proceda a nuove 
assunzioni, ma faccia ricorso a personale collocato in CIGS per stato di crisi in atto 
(es. 686/96) 

Ente siciliano di elettricit� -Derivazioni idroelettriche -Successione dell'ENEL Disciplina 
delle derivazioni (regolazione portate, tutela dei corsi d'acqua, canoni 
di concessione). 

Se l'esercizio delle derivazioni idroelettriche dell'Ente Siciliano di Elettricit� 
(E.S.E.) di cui l'E.N.E.L. � successore legittimo debba essere disciplinato nei riguardi 
della regolazione delle portate e della tutela idraulica dei corsi d'acqua, o se -invece 
-debba essere redatto un mero atto ricognitivo; e, se, per le utilizzazioni idroelettriche, 
gi� praticate dall'E.S.E., l'E.N.E.L. debba corrispondere i canoni di concessione, e 
nell'affermativa da quale data (es. 1217/96). 

Fognature gestite dai consorzi ASI operanti in Sicilia -Scarico nelle stesse Autorizzazione 
-Ente competente al rilascio. 

Chi sia competente a rilasciare l'autorizzazione allo scarico nelle fognature gestite 
dai Consorzi ASI (Consorzi per le aree di sviluppo industriale; v. d.P.R. 218178) operanti 
in Sicilia (es. 9981/95). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

75 

Programma di metanizzazione del centro-sud -Erogazione contributi ex art. 11 legge 
78411980. Delibera CIPE 20 novembre 1995 -Parte della stessa in cui viene disposta 
la decadenza dal contributo per i comuni che non facciano pervenire al MICA 
la documentazione finale di spesa entro tre mesi -Legittimit�. 

Contributi erogati (ex art. 11 legge 28 novembre 1980, n 784) ai Comuni ai fini 
dellareaHzzazione del programma di metanizzazione del centro-sud: delibera CIPE io 
novembre 1995 �onla quale -tr� l'altr� ~si disp�ne che i Comuni, che non abbiano 
trasmesso in tempo utile al Ministero dell'Industria lo stato finale dei lavori, decadano 
dai benefici concessi, ove non facciano pervenire al suddetto Ministero la documentazione 
finale di spesa entro tre mesi dalla pubblicazione, nella Gazzetta Ufficiale, della 
delibera 20 novembre 1995 �stessa: se quest'ultima nella parte in cui prevede siffatta 
decadenza sia legittima e se la disposta decadenza operi ex tunc o ex nunc; quali provvedimenti 
possano essere adottati nei confronti dei Comuni che non abbiano trasmesso 
-entro il termine di tre mesi dianzi citato -la documentazione finale di spesa, ove 
debba ritenersi l'illegittimit� della delibera di cui sopra nella parte in cui dispone la 
menzi�nata decadenza (es~ 5782/96). 

ISTR\JZIONE E SCUOLE -Fondi perla ricerca scientifica assegnati agli atenei ex art. 65, 3� 
comma, d.P.R. 38211980 -Utilizzazione per rimborsare le spese di permanenza in 
altra sede sostenute dai docenti e ricercatori per esigenze strettamente connesse 
alla ricerca assegnata -Possibilit�. 

Utilizzazione dei fondi per la ricerca scientifica assegnati agli atenei ex art. 65 3� 
comma d.P.R. 382/80: se possano gravare su detti fondi le spese che i docenti o i ricercatori 
devono sostenere per la permanenza in altra sede, italiana o estera, per esigenze 
strettamente collegate alla ricerca assegnata; e -nell'affermativa -se il rimborso 
di dette spese possa essere determinato sulla base di quanto previsto per le missioni 
(es. 218/96). 

MediCi ammessi a scuole universitarie di specializzazione -Borse di studio ex art. 6, 
d.lgs. 25711991 -Periodi nei quali la scuola non ha potuto svolgere attivit� di formazione 
specialistica -Spettanza della borsa di studio. 

Borse di studio previste dall'art. 6 d.lgs. 257/91 a favore di medici ammessi a 
scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia: se la borsa di studio 
spetti anche per i periodi nei quali la scuola non abbia potuto svolgere l'attivit� 
di formazione specialistica (con particolare riguardo al caso di ammessi alla frequenza 
del primo anno di corso, che sia iniziato in ritardo rispetto all'anno accademico) 
(es. 5957/96). 

Medico ammesso a corso di specializzazione presso scuola universitaria -Attivit� assistenziale 
prestata nell'ambito del corso -Diritto a compenso. 

Se i medici ammessi ad un corso di specializzazione presso una scuola universitaria 
abbiano diritto a compensi per l'attivit� assistenziale prestata nel quadro della 
formazione teorico pratica del corso (es. 2236/95). 

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RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

76 I

Policlinici universitari -Convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale Personale 
non medico -Trattamento economico -Equiparazione al personale USL -a chi ~~ 
spetti -Modalit� (rilevanza della qualifica e delle mansioni effettivamente svolte) 
-Irregolarit� nell'equiparazione: prowedimenti da assumere. 

I 

Se l'equiparazione del trattamento economico del personale non medico universitario, 
in servizio presso i policlinici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, 

I con il trattamento economico del personale del S.S.N. (art. 31 d.P.R. 761179) debba 
essere effettuata solo a favore del personale direttamente coinvolto in attivit� assistenziale, 
ovvero anche a favore del personale che svolge funzioni di �supporto� all'attivit� 

I

assistenziale vera e propria; se ai fini della ridetta equiparazione si debba tener conto w 
della qualifica posseduta dal dipendente o delle mansioni da questo effettivamente 
svolte; quali provvedimenti possano essere adottati dall'Amministrazione universitaria 
ove vengano accertate irregolarit� nella concreta applicazione della considerata equiparazione 
(es. 2458/96). 

Policlinico universitario -Costituzione come azienda ex art. 4 d.lgs. 502192 -Debiti contratti 
dopo la costituzione -Responsabilit� dell'Universit�. 

Se l'Universit� possa essere considerata responsabile per i debiti contratti dai policlinici 
universitari dopo che questi sono stati costituiti come aziende ai sensi dell'art. 
4 d.lgs. 502/92 (es. 6116/96). 

MINIERE, CAVE E TORBIERE -Miniera -Beni destinati a pertinenza della stessa Cessazione 
vincolo pertinenziale -Fattispecie. 

Beni destinati a pertinenze di una miniera (non esaurita) attualmente non coltivata 
ed alla quale il concessionario ha rinunziato: se il rapporto pertinenziale 
possa dirsi venuto meno in considerazione del fatto che la coltivazione della miniera 
� divenuta del tutto antieconomica; e comunque se il ridetto rapporto sia venuto 
meno relativamente a quei beni che si trovano in tale stato di obsolescenza da non 
consentire un loro utilizzo nell'ipotesi in cui la miniera dovesse riprendere l'attivit� 
(es. 3359/97). 

OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) -Appalto -a) Atto di recesso ex art. 345 legge LL. PP. Revocabilit� 
-Effetti della revoca -b) Transazione con l'appaltatore della controversia 
relativa al recesso: se con essa possano affidarsi all'appaltatore i lavori di 
completamento delle opere. 

Appalto di opere pubbliche: 
a) atto con il quale l'Amministrazione ha esercitato la facolt� di recesso ex art. 
345 legge LL.PP. (avverso il quale l'appaltatore ha reagito giudizialmente chiedendo 

lli

ne fosse dichiarata l'illegittimit� e rivendicando il diritto ad eseguire l'intera opera) ?: 

se (ed eventualmente a quali condizioni) l'Amministrazione possa revocarlo e con 

1:
quali effetti; 

i:
b) e comunque se (ed eventualmente a quali condizioni), l'Amministrazione possa, f:: 
in sede di transazione della succitata controversia, affidare all'appaltatore i lavori di 
completamento dell'opera (es. 4150/96). 

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PARTE II, CONSULTAZIONI 

Appalto di opere pubbliche -Controversie -Arbitrato -Declinabilit� competenza arbitrale 
dopo la sentenza 152196 Corte Costituzionale -Effetti art. 9 bis d.J. 1O111995 
su clausole compromifsorie che prevedono un collegio composto come previsto 
dall'art. 45 d.P.R. 1063/1962. 

a) quando e fino a quando{dopo la sentenza 152/96 della Corte Costituzionale) sia 
possibile per la P.A. declinare la competenza del Collegio Arbitrale; 

�/b) quali effetti abbia avuto l'entrata in vigore dell'art. 32 legge� 109/94 (cos� come 
novellato dalla legge 216/95) su clausole compromissorie che prevedono la devoluzione 
delle controversie a collegio arbitrale costituito cosi' come prescritto dall'art. 45 

d.P.R. 1063162 (es. 19680/96). 
Appalto di opere pubbliche -Perizie di variante -Non importanti aumenti superiori al 
quinto,. opere nuove, variazioni essenziali nella natura delle opere -Atto aggiuntivo: 
necessit� di stipula -ANAS: Organo competente ad approvarle. 

Perizie di variante che non comportino aumenti superiori al quinto e non introducano 
nuove ope1:e e rispettino essenzii;�mente la natura delle opere comp1:ese nel!'
appalto: 

1) se relativamente ai lavori di cui alle ridette perizie sia necessario che la .stazione 
appaltante e l'appaltatore stipi�ino appositoatto aggiuntivo; 

2) a quale organo dell'Ente Nazionale per le Strade competa l'approvazione di siffatte 
perizie (es. 8727/96). 

Disposizioni perla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso -Art. 18, 14 �comma, 
legge 5511990-Lavori aggiudicati o affidati prima dell'entrata in vigore della legge 
5511990 -Nozione. 

Norme in materia .di opere pubbliche dettate dalla legge 19 marzo 1990, n. 55 
(nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi 
forme di manifestazione di pericolosit� sociale); art. 18, 14� comma legge cit. (giusta il 
quale: le disposizioni del presente articol�, escluse quelle di ciii ai commi 5�, 6� e 7�, non 
si applicano ai subappalti o ai cottimi relativi ai lavori pubblici aggiudicati o affidati 
prima della data di entrata in vigore della presente legge); interpretazione: lavori aggiudicati 
o affidati prima dell'entrata in vigore della legge 55/90: nozione (es. 5972/97). 

Lavori pubblici -Art. 32, 1� comma legge 109/1994 -Arbitrato ivi previsto -Assenza di 
compromesso o clausola compromissoria -Esperibilit� dell'arbitrato. 

Art. 32 primo comma legge quadro de:i lavori pubblici (giusta il quale �ove non si 
proceda all'accordo bonario ai sensi del comma 1� <fell'art. 31 bis e laffidatario confermi 
le riserve, la definizione delle controversie � attribuita ad un arbitrato ai sensi 
delle norme del titolo VIII del libro quarto del codice di procedura civile�): se possa 
procedersi ad arbitrato allorch� fra l'amministrazione e l'affidatario dei lavori non sia 
stato stipulato compromesso o clausola compromissoria (es. 5967/95). 

Opere gi� della gestione separata della ex Cassa per il Mezzogiorno -a) Opere (realizzate 
in settori di competenza del Ministero delle Risorse Agricole) gi� trasferite 
agli enti destinatari; procedura per apportare variazioni ai progetti delle stesse -b) 
Opere non ancora trasferite: varianti apportabili e procedura per approvarle. 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

78 

Opere gi� della Gestione separata (di cui all'art. 5 legge 64/86) della ex Cassa per 
il Mezzogiorno: 

a) opere (realizzate in settori di competenza del Ministero delle Risorse Agricole, 
Alimentari e Forestali) gi� trasferite agli enti destinatari; quale sia la procedura da 
adottare per apportare variazioni ai progetti di dette opere; 

b) opere della ridetta gestione separata (e dei progetti Speciali) non ancora trasferiti 
agli enti destinatari; quali varianti possano essere apportate e con quali modalit� 
(es. 6381/96). 

ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA -Fondo di solidariet� per le vittime dell'usura a) interpretazione 
art. 14, comma 2� legge 108196 -b) contratto di mutuo stipulato dall'usurato 
ex art. 14 legge 108196: conseguenze della risoluzione o dell'annullamento 
del contratto o della revoca del mutuo -e) inserzione nel piano di utilizzo 
del mutuo (ex art. 14 legge 108196) di creditori usurari: prowedimenti che il 
fondo deve assumere. 

a) interpretazione dell'art: 14 secondo comma ultima parte legge 108/96 (giusta il 
quale �il fondo � surrogato quanto all'importo dell'interesse e limitatamente a questo, 
nei diritti della persona offesa verso l'autore del reato�); 

b) conseguenze della risoluzione del contratto di mutuo --stipulato dall'usurato 
ex art. 14 legge 108/96 -per inadempimento dell'usurato stesso, dalla 
revoca del mutuo o dell'annullamento di questo per inesistenza dei presupposti di 
concessione; 

e) inserzione nel piano di utilizzo del mutuo di creditori-usurai: quali provvedimenti 
vadano assunti dal fondo (es. 8999/96). 

Misure antimafia -Confisca di beni -Ipoteche iscritte prima del sequestro ex art. 2 ter 
legge 57511965 -Sorte. 

Confisca di bene di propriet� di persona sospettata di appartenenza alla mafia: 
sorte delle ipoteche iscritte prima del sequestro (ex art. 2 ter 2� comma legge 575/65) 
del bene medesimo (es. 11520/89). 

Vigilanza sulla pesca -Art. 22, legge 96311965 -Richiesta al Prefetto di nomina di 
guardie particolari giurate -FIPSAS -Legittimazione ad avanzare detta richiesta. 


Se la FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attivit� Subacquee) abbia 
titolo a richiedere al Prefetto (ex art. 22 legge 963/65) la nomina di guardie particolari 
giurate da adibire alla vigilanza sulla pesca (es. 7681/96). 

PATRIMONIO DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI -Convenzione Ente EUR -Sri Luppro 20 
luglio 1987, n. 6376 -Art. 6 -Interpretazione. 

Concessione alla Soc. LUPPRO di area di propriet� dell'Ente Eur (sulla quale � stato 
realizzato il Luna Park dell'EUR); interpretazione dell'art. 6 della Convenzione (relativo 
alla facolt� del concessionario di richiedere il rinnovo anticipato della convenzione) 
(es. 7563/96). 

1: 

PARTE Il, CONSULTAZIONI 

PENSIONI -Impiegato pubblico -Collocamento a riposo con fruizione dei benefici com


battentistici -Assunzione di nuovo impiego pubblico -Servizio prestato in viola


zione art. 6 d.l. 26111974 -Trattamento economico e previdenziale spettante. 

Impiegato dello Stato collocato a riposo (dopo l'entrata in vigore del d.l. 261174) 
usufruendo dei benefici combattentistici (di cui alla legge 336170) ed al quale � stato 
successivamente conferito incarico di insegnamento presso universit�: incarico dal 
quale � stato dichiarato decaduto (con effetto ex tunc) in applicazione dell'art. 6 d.l. 
261174, con provvedimento dapprima sospeso e poi annullato dal TAR ed infine riconosciuto 
legittimo dal Consiglio di Stato: se, il soggetto considerato, per i periodi (antecedenti 
o susseguenti i provvedimenti del TAR) nei quali abbia effettivamente prestato 
servizio in qualit� di professore incaricato, abbia diritto -ex art. 2126 cc -al trattamento 
economico e previdenziale spettante per le mansioni svolte (es. 6373/86). 

POSTE E RADIOTELECOMUNICAZIONI PUBBLICHE -Emittente televisiva telepi� Tre -Se possa 
trasmettere solo in forma codificata. 

Se l'emittente televisiva Telepi� Tre debba trasmettere in forma codificata per 
tutta la durata delle proprie trasmissioni o possa trasmettere, per una parte della giornata, 
anche in chiaro (es. 684/97). 

Emittenti radiotelevisive -Sanzioni -Recidiva ex art. 31, 5� comma, legge 22311990 Nozione. 


Emittente radiotelevisiva alla quale � stata irrogata sanzione pecuniaria amministrativa 
per violazione dell'art. 8, comma 9� bis legge 223/90 (avendo la stessa messo in 
onda programmi di offerte al pubblico per un tempo superiore al limite giornaliero 
consentito); nuova violazione da parte della suddetta emittente della norma di cui 
sopra, commessa entro 365 giorni dalla notifica dell'ingiunzione con la quale � stata 
applicata la predetta pena pecuniaria; se possa irrogarsi la sanzione (prevista dall'art. 
31, 5� comma legge cit. per i casi di recidiva) della sospensione dell'autorizzazione a 
trasmettere, ancorch� avverso la surriferita ingiunzione sia stata proposta opposizione 
al Pretore e questi ne abbia sospeso l'esecuzione (es. 1704/96). 

Garante per l'Editoria -Obbligo di inoltro alla Autorit� Giudiziaria penale di copia 
delle diffide effettuate per le violazioni di cui art. 14, 16 e 17 d.P.R. 25511992 -Se 
sussista ancora. 

Se il Garante per l'Editoria debba ancora inoltrare all'Autorit� Giudiziaria copia 
delle diffide che il Garante medesimo � tenuto ad inoltrare per i casi: di mancata osservanza 
del termine per presentare la domanda di iscrizione nel registro nazionale delle 
imprese radiotelevisive (v. art. 14 d.P.R. 255/92); di violazione dell'obbligo di comunicazione 
dei trasferimenti di propriet� delle imprese radiotelevisive o di azioni o di 
quote di cui all'art. 13 legge 223/90 (v. art. 16 d.P.R. cit.); di violazioni concernenti le 
comunicazioni di variazione dei dati richiesti per l'iscrizione al RNIR (art. 17 d.P.R. 
cit.) (es. 5288/96). 

Prodotti del tabacco -Divieto di pubblicit� televisiva -Pubblicit� indiretta -Nozione. 

Quando rientri nel divieto di pubblicit� televisiva dei prodotti del tabacco 
(Direttiva CEE del Consiglio 89/552 e d.m. PPTT 425/91) la propaganda commerciale 
di prodotti diversi da questi ultimi, nella quale vengano utilizzati nomi, marche, simboli 
o altri elementi caratteristici dei prodotti del fumo (es. 1797/96). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

PROCEDIMENTI SPECIALI -Crediti previdenziali maturati prima del 1� gennaio 1992 


Crediti retributivi, pensionistici, assistenziali maturati prima del 1� gennaio 1995 

-Regime degli interessi e della rivalutazione monetaria. 

Regime degli interessi e della rivalutazione monetaria sui crediti previdenziali 
maturati prima del 1�gennaio1992 (data di entrata in vigore della legge 412/91) e sui 
crediti retributivi, pensionistici ed assistenziali maturati prima del 1� gennaio 1995 
(data di entrata in vigore della legge 724/94) (es. 10183/85). 

PROFESSIONISTI -Ingegneri e architetti -Competenze -Vigenza art. 52, 2� comma, d.P.R. 
253711925 -Progetti di lavori su aree o edifici di valenza storico-artistica non sottoscritti 
da architetto -Diniego autorizzazione ex legge 108911939 -Possibilit�. 

Competenze degli architetti e degli ingegneri in tema di lavori da effettuarsi in 
aree e/o edifici di valenza storico artistica: 

a) se sia tutt'ora vigente l'art. 52, 2� comma, r.d. 2537/25 (giusta il quale �le opere 
di edilizia civile, che presentano rilevante carattere artistico ed il restauro ed il ripristino 
degli edifici contemplati dalla legge 20 giugno 1909, n. 364, per l'antichit� e le 
belle arti sono di spettanza della professione di architetto�); 

b) (nell'affermativa) se l'Amministrazione dei Beni Culturali e Ambientali possa 
negare l'autorizzazione alla effettuazione di opere e lavori perch� i relativi progetti non 
sono stati sottoscritti da professionista competente ai sensi dell'art. 52, 2� comma, r.d. 
2537/25 (es. 6395/96). 

Periti agrari -Fabbricati rurali in zona sismica -Progettazione e direzione dei lavori Redazione 
e sottoscrizione calcoli statici -Abilitazione. 

Se i periti agrari siano abilitati alla progettazione architettonica e alla direzione 
dei lavori di costruzione dei fabbricati rurali siti in zona sismica; e se siano abilitati a 
redigere e sottoscrivere i calcoli statici relativi ai ridetti fabbricati (es. 10134/96). 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Amministrazione statale -Proposta transattiva alla controparte 
-Determinazione della somma offerta a tal fine -In modo che ricomprenda 
anche le spese di contratto -Possibilit�. ' 

Se un'Amministrazione Statale possa determinare la somma da offrire alla controparte, 
al fine di transigere una controversia, in modo da far s� che detta somma 
includa anche un ammontare corrispondente all'importo delle spese del contratto di 
transazione (spese di registrazione, di bollo, di copia) (es. 9699/94). 

Appalto opere pubbliche -Perizie di variante Non importanti aumenti superiori al 
quinto, opere nuove, variazioni essenziali nella natura delle opere -Atto aggiuntivo: 
necessit� di stipula -ANAS: organo competente ad approvarle. 

Appalto di opere pubbliche. Perizie di variante che non comportino aumenti superiori 
al quinto e non introducano nuove opere e rispettino essenzialmente la natura 
delle opere comprese nell'appalto: 

1) se relativamente ai lavori di cui alle ridette perizie sia necessario che la stazio


ne appaltante e l'appaltatore stipulino apposito atto aggiuntivo; 

2) a quale organo dell'Ente Nazionale per le Strade competa l'approvazione di sif


fatte perizie (es. 8727/96). 

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PARTE Il, CONSULTAZIONI 

Organismi logistici e di protezione sociale istituiti con d.m. Difesa 21 maggio 1981 Natura. 


Natura degli organismi logistici e di protezione sociale istituiti dall'Amministrazione 
della Difesa con d.m. 21 maggio 1981 applicativo dell'art. 24 d.P.R. 616/77 
(es. 1695/96). 

RESPONSABILIT� CIVILE -Reati di terrorismo -Condanna generica al risarcimento del 
danno a favore di amministrazioni statali pronunziata dal giudice penale Giudizio 
civile di quantiB.cazione -Quando sia opportuno procedervi. 

Sentenze emesse dal giudice penale con le quali persone riconosciute colpevoli di 
reati di terrorismo (in particolare commessi nella seconda met� degli anni '70 e nei 
primi anni '80) sono state condannate, in favore di Amministrazioni Statali, al risarcimento 
dei danni da liquidarsi in separata sede: quando sia opportuno procedere al giudizio 
civile di quantificazione (es. 9973/86). 

RESPONSABILIT� PATRIMONIALE (C.C. 2760-2906) -Misure antimaB.a -ConB.sca di beni Ipoteche 
iscritte prima del sequestro ex art. 2 ter legge 57511965 -Sorte. 

Confisca di bene di propriet� di persona sospettata di appartenenza alla mafia: 
sorte delle ipoteche iscritte prima del sequestro (ex art 2 ter 2� comma legge 575/65) 
del bene medesimo (es. 11520/89). 

RiscossIONE DELLE IMPOSTE -Abusiva occupazione di beni del demanio o del patrimonio 
indisponibile dello Stato -Indennizzi non liquidati con sentenza -Affidamento 
della riscossione coattiva degli stessi al concessionario ex d.P.R. 4311988 Possibilit�. 


Indennizzi per abusiva occupazione di beni del demanio o del patrimonio indisponibile 
dello Stato, non liquidati con sentenza; se sia possibile, previa emissione del 
decreto del Ministro delle Finanze di cui all'art. 2, 3� comma d.P.R. 43/88, affidare la 
riscossione coattiva di questi ai concessionari del servizio di riscossione dei tributi e di 
altre entrate dello Stato e di altri enti pubblici (et. 12103/93). 

Commissario governativo delegato provvisoriamente alla riscossione (art. 24 d.P.R. 
4311988) -Decreto di esonero dall'obbligo del non riscosso come riscosso (art. 5 

d.1. 66911996) -Ambito di efficacia temporale. 
Decreto (emesso ai sensi dell'art. 5 d.l. 669/96) di esonero del commissario governativo 
delegato provvisoriamente alla riscossione (art. 24 d.P.R. 43/88) dall'obbligo del 
non riscosso come riscosso: se l'esonero riguardi anche i ruoli consegnati al commissario 
prima della notifica del suddetto decreto (es. 5279/97). 

SANZIONI AMMINISTRATIVE (legge 24 novembre 1981, n. 689 -d.P.R. 22 luglio 1982, n. 
571) -Infrazioni punite con sanzione pecuniaria amministrativa -Violazione art. 
1161, 2� comma e art. 1174, 2� comma Codice Navale -Autorit� competente ad 
irrogare la sanzione. 

Sanzioni pecuniarie amministrative (trasformazione di reati minon m illeciti 
amministrativi operata con legge 561/93); violazione art. 1161 secondo comma codice 
della navigazione (occupazione abusiva di spazio del demanio marittimo o aeronauti



RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

82 

co o delle zone portuali della navigazione interna con un veicolo) e violazione art. 1174, 
2� comma codice della navigazione (inosservanza di un provvedimento dell'autorit� in 
materia di circolazione nell'ambito del demanio marittimo o aeronautico): esame dell'art. 
3 d.P.R. 582/95 (regolamento di cui all'art. 4, 3� comma, legge 561/93) al fine di 
stabilire quale sia l'autorit� competente a ricevere i rapporti concernenti le infrazioni 
alle norme di cui sopra (art. 1161, 2� comma C.N. e 1174, 2� comma C.N.) relative al 
demanio aeronautico; e quale seguito debbano avere i rapporti (sempre concernenti le 
suddette infrazioni relative al demanio aeronautico) redatti prima dell'entrata in vigore 
del d.P.R. 582/95, trasmessi in origine alla Prefettura e da questa inviati alla 
Capitaneria di Porto e da quest'ultima trasmessi alla Direzione della Circoscrizione 
aeroportuale (es. 7417/95). 

STRADE -Appalto opere pubbliche -Perizie di variante -Non importanti aumenti superiori 
al quinto, opere nuove, variazioni essenziali nella natura delle opere -Atto 
aggiuntivo: necessit� di stipula -ANAS: organo competente ad approvarle. 

Appalto di opere pubbliche. Perizie di variante che non comportino aumenti superiori 
al quinto e non introducano nuove opere e rispettino essenzialmente la natura 
delle opere comprese nell'appalto: 

1) se relativamente ai lavori di cui alle ridette perizie sia necessario che la stazione 
appaltante e l'appaltatore stipulino apposito atto aggiuntivo; 
2) a quale organo dell'Ente Nazionale per le Strade competa l'approvazione di siffatte 
perizie (es. 8727/96). 

Concessioni autostradali Proroga ventennale di cui all'art. 14, legge 35911992 Applicabilit�. 


Se, (e nell'affermativa a quali condizioni) la proroga di venti anni prevista dall'art. 
14 legge 359/92 si applichi alle concessioni autostradali (es. 6105/97). 

Strade e autostrade -Costruzioni realizzate senza osservare le prescritte distanze -a) 
Verbali di contestazione elevati prima dell'entrata in vigore del nuovo Codice della 
Strada; perdita di efficacia -b) Possibilit� di applicare la sanzione della demolizione 
ove l'opera sia passata in propriet� di un soggetto diverso dal trasgressore e) 
Richiesta di sanatoria ex legge 4711985: effetti. 

Costruzioni realizzate senza osservare le prescritte distanze dalle strade ed autostrade: 


a) violazioni accertate prima della data di entrata in vigorb (1� gennaio 199 3) del 
Codice della Strada (d.lgs. 285/92) ma per le quali, alla ridetta data, non sia stata applicata 
la sanzione della demolizione: se debba procedersi ad un nuovo accertamento 
delle stesse e quindi ad elevare un nuovo verbale di contestazione ai sensi dell'art. 200 
d.lgs. 285/92; 

b) se possa procedersi a demolizione ove il trasgressore abbia pagato la pena pecuniaria 
amministrativa prevista per la violazione o la costruzione illecitamente realizzata 
sia passata in propriet� di altri; 

c) quali effetti si producano in caso di richiesta di sanatoria (ex legge 47/85) da 
parte del trasgressore con pagamento delle somme previste a titolo di oblazione e di 
silenzio del Comune (es. 1247/96). 

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PARTE U, CONSULTAZIONI 

1?PCCESSIONI MORTIS CAUSA -Eredit�. giacente -Potere del curatore di procedere a vendita 
di immobili -Quando sussista -Abusi del curatore -Iniziative che il Ministero 
delle Finanze possa assumere. 

Eredit� giacente: 

a) qi.taBdo il cur~i,tor.e p9ssa procedere all'alienazion~ dei beni immobili; 

b) quali iniziative possa assumere l'Arnminist;razione, uni:1 volta che l'eredit� sia 
stata devoluta allo Stato, avverso. alienazioni di immobili compiute dal curatore, 
durante la giacenza dell; eredit�, senza. autorizzazione dell'Autorit� Giudiziaria, o pur 
essendovi autorizzazione, senza che ve ne fosse legittima ragione o (a trattativa privata:) 
ad un prezzo congruo; . . 

e) quali iniziative possa assumere l'Amministrazione Statale, durante la giacenza 
dell' eregit�,. avverso decreti dell' A.G. che autorizzino la vendita di immobili o nel caso 
in cui 1:1}:lbia n9tizia di neglige)lze o abusi del curatore (es. 4194/96). 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI (poste:rip:ri alla riforma del 1972) -Dichiarazioni di redditi e N A 
non sottoscritte e Art. 1; comn1i9ter equa.tet, d.l. 33011994 �Quesiti (se la legge si 
applichi agli i1vvfsi di accertamento NA emessi ma non ancora notificati alla sua 
dat� di entrata iii Vigore; effetti sottosc:ritione didliaraiicine IVA -Applicabilit� 
delle considerate nonne alle dichiarazioni presentate da persone giuridiche). 

Art. 1 commi.9ter e quatei:: dJ. 330/94 (ove � prevista la possibilit� per il contribuente 
di sottoscrivere la dichiarazione IVA o dei redditi -presentata priva di sottoscrizione 
-entro trenta giorni dal ricevimento dell'invito a sottoscrivere formulato 
dall'ufficio finanziario competente): 

a) se la modificazione (comma 3� ter) delle condizioni per procedere all'accertamento 
induttivo -ex art. 55 d.P.R 633/72 -riguardi anche gli avvisi di accertamento 
emessi ma non ancora notificati alla data di entrata in vigore del surriferito art. 1 (31 
luglio 1994); 

b) quali effetti derivino dalla sottoscrizione ....,.-ex art. 1 comma 9 ter cit. -della 
dichiarazione IVA; 

e) se sia possibile la sottoscrizione -ai sensi dei considerati commi -delle 
dichiarazioni presentate da persone giuridiche (es. 7403/95). 

Imposta sul patrimonio netto delle imprese -Ferrovie dello Stato S.p.A. -Se vi sia 
assoggettata. 

Imposta sul patrimonio netto delle imprese. (art. 1 d.l. 394/92): se al tributo di che 
trattasi sia assoggettata la �Ferrovie dello Stato societ� di trasporti e servizi SpA� (cosa 
che quest'ultima nega, invocando il principio di intangibilit� del suo patrimonio, asseritamente 
posto dall'art. 15 d.l. 333/92, norma applicabile alla ridetta societ� giusta 
deliberazione CIPE 12 agosto 1992, n. 2306) (es. 8680/96). 

TRrsun ERARIALI INDIRETTI -Contrabbando di tabacchi esteri -Sentenza ex art. 444, 2� 
comma, C.P.P. -Che non dispone confisca ex art. 301 TULD -Rimedi esperibili 
dalla P.A. 

Quali provvedimenti debba o possa adottare e quali iniziative debba o possa assumere 
l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato, allorquando il Giudice 


84 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 
Penale pronunziando 
sentenza ex art. 444, 2� comma c.p.p. (di applicazione della 
pena su richiesta delle parti) per fatti di contrabbando, relativi a tabacchi esteri, non 
abbia disposto la confisca ex art. 301 d.P.R. 43173 (es. 1903/96). 
Controversia doganale relativa a violazione integrante delitto di contrabbando -
Definizione ex art. 3 legge 549195 -Confisca ex art. 301 TULD -Possibilit� ed autorit� 
eventualmente competente a procedervi. 
Se, ove il contribuente proceda a definizione amministrativa ex art. 3 commi 170� 
e 176� legge 549/95 di controversia doganale relativa a violazione costituente delitto di 
contrabbando possa procedersi a confisca ex art. 301 tuld e (nell'affermativa) quale sia 
l'organo che vi debba procedere (es. 9343/96). 
Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord-Atlantico sullo statuto delle loro 
forze armate Benefici 
per temporanea importazione di autoveicoli -Soggetti che 
possono goderne -Indebita fruizione di benefici -Iniziative da assumere. 
Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord-Atlantico sullo statuto delle 
loro Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951,ratificata con legge 1335/55: 
benefici per la temporanea importazione di autoveicoli privati esteri (esenzione dal 
pagamento dei diritti doganali, da imposta di fabbricazione relativa al carburante e 
ali' olio lubrificante, dalla tassa di �circolazione�): 
a) quali soggetti possano godere (nozione di �Force� e di �Element Civil� ); 
b) possibilit� ed opportunit� di procedere al recupero di tributi nei confronti di 
soggetti (appartenenti al personale Nato) che abbiano indebitamente goduto dei benefici 
di che trattasi (con particolare riguardo al caso di soggetto denunziato per il delitto 
di contrabbando e la cui posizione penale sia stata definita con decreto di archiviazione) 
(es. 43/97). 
Imposta di fabbricazione sugli oli minerali -Violazioni alla normativa dettata in materia 
-Commesse dopo l'entrata in vigore del d.l. 331193 -Sanzioni applicabili -
Esame di fattispecie (relative a carburanti agricoli; depositi liberi di oli combustibili 
diversi da quelli speciali). 
Accise sugli oli minerali: 
a) violazioni alle disposizioni in materia di carburanti agricoli dettate dal d.m. 
Finanze 6 agosto 1963, commesse dopo l'entrata in vigore del d.!. 331/93; regime sanzionatorio; 
b) depositi liberi di oli combustibili diversi da quelli speciali: mancata tenuta del 
registro di carico e scarico previsto dall'art. 4 legge 1161171; detenzione di quantit� di 
prodotto eccedente nella 
misura prevista dall'art. 10 legge 1161171 -le risultanze 
del registro di carico e scarico: sanzioni applicabili (es. 2766/94). 
Lotterie istantanee -Biglietto non previsto come vincente recante punteggio che d� 
diritto a premio -Diritti del titolare -Responsabilit� dell'Istituto Poligrafico dello 
Stato. 
Se sussista il diritto al pagamento del premio, nel caso di biglietto di lotteria istantanea 
(nel caso di specie Sette e Vinci) il cui numero segreto di validazione non sia 
compreso tra quelli per i quali erano stati previsti premi; e, nell'affermativa, se sia con-
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PARTE II, CONSULTAZIONI 

figurabile una responsabilit� dell'Istituto Poligrafico dello Stato per l'errore compiuto 
(stampando un biglietto, non previsto come vincente, con un punteggio dante diritto a 
Premio) (es. 8187/96). 

Tassa di stazionainentosu unit� da diporto (art. 17 legge51/76)-a) Soggetto passivo epresupposto 
del tributo -b) Pagamento (insufficiente) del tributo -e) Procedura e termini 
perla contestazione del mancato versamento del tributo o di parte di questo. 

Navi, imbarcazioni, natanti da diporto; tassa di stazionamento: 

1) soggetto passivo e presupposto del tributo; 

2) se nel caso di pagamento insufficiente del tributo, l'Amministrazione possa pretendere 
la parte residua di questo e le. penalit� pur non disponendo della prova che l'unit� 
sia stata utilizzata (cio� messa in mare); 

3) procedura e termini per la contestazione al trasgressore del mancato versamento 
(o del versamento insufficiente) del tributo (es. 5961/96). 

'TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI (RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972) -Contratti di appalto stipulati 
da pubbliche amministrazioni -Documentazione posta in essere nel corso dell'esecuzione 
degli stessi -Regime fiscale agli effetti dell'imposta di bollo. 

Regime fiscale, agli effetti dell'imposta di bollo, della documentazione posta in 
essere nel corso dell'esecuzione di contratti di appalto stipulati con la pubblica amministrazione 
(es. stati di avanzamento, verbali di visita, di collaudo) (es. 5296/96). 

Dichiarazioni di redditi e IVA non sottoscritte -Art. 1 commi 9 ter e quater d.J. 330194 
-Quesiti (se la legge si applichi agli avvisi di accertamento IVA emessi ma non 
ancora notificati alla sua data di entrata in vigore; effetti sottoscrizione dichiarazione 
IVA -Applicabilit� delle considerate nonne alle dichiarazioni presentate da 
persone giuridiche. 

Art. 1 commi 9 ter e quater d.l. 330/94 (ove � prevista la possibilit� per il contribuente 
di sottoscrivere la dichiarazione IVA o dei redditi -presentata priva di sottoscrizione 
-entro trenta giopii dal ricevimento dell'invito a sottoscrivere formulato 
dall'ufficio finanziario competente): 

a) se la modificazione (comma 3� ter) delle condizioni per procedere all'accertamento 
induttivo -ex art. 55 d.P.R 633/72 -riguardi anche gli avvisi di accertamento 
emessi ma non ancora notificati alla data di entrata in vigore del surriferito art. 1 
(31 luglio 94); 

b) quali effetti derivino dalla sottoscrizione -ex art. 1 comma 9 ter cit. -della 
dichiarazione IVA; 

c) se sia possibile la sottoscrizione -ai sensi dei considerati commi -delle 
dichiarazioni presentate da persone giuridiche (es. 7403/95). 

Diritti spettanti agli interpreti ed esecutori ex art. 73 legge 633141 -Regime fiscale ai 
fini dell'imposta sul valore aggiunto. 

IVA: trattamento fiscale applicabile ai diritti spettanti (ex art. 7 3, 1� comma, legge 
22 aprile 1941, n. 633) agli interpreti ed esecutori per l'utilizzazione, da parte di terzi, 
delle registrazioni delle loro prestazioni artistiche, in programmi radiotelevisivi, cinematografici, 
pubbliche manifestazioni, etc. (es. 6592/96). 


RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

86 

Imposte ipotecarie -Formalit� di iscrizione e cancellazione di ipoteche (ex art. 38, 3� 
comma, d.lgs. 34611990) a garanzia di credito per INVIM sui trasferimenti a titolo 
gratuito -Se siano soggette a imposta su misura fissa. 

Se le formalit� di costituzione e di estinzione di ipoteche, a garanzia della dilazione 
del pagamento dell'INVIM sui trasferimenti a titolo gratuito, siano soggette alle 
imposte ipotecarie in misura fissa (es. 9015/96). 

IVA -Acquisto di beni e seIVizi in sospensione di imposta (art. 8 d.P.R. 63311972) Utilizzo 
del c.d. �plafond mobile� -Condizioni -Attivit� iniziata da almeno 12 
mesi -Necessit� -Nozione. 

Imposta sul valore aggiunto. Acquisto di beni e servizi in sospensione di imposta 
(art. 8, 2� comma d.P.R. 633/72): se il contribuente per potersi avvalere del cosiddetto 
�plafond mensile (o mobile)� debba aver iniziato da almeno 12 mesi attivit�: e, nell'affermativa, 
cosa debba intendersi per attivit� iniziata da almeno 12 mesi (es. 9794/95). 

TRIBUTI (IN GENERALE) -Contenzioso tributario -D.lgs. 546192 -Autorizzazione ex art. 
52, 2� comma, d.lgs. cit., alla proposizione dell'appello principale -Potere autorizzatorio: 
funzionario competente all'esercizio; se possa essere delegato. 

Proposizione di appello principale avverso sentenza della Commissione Tributaria 
Provinciale; autorizzazione agli uffici periferici del Dipartimento delle Entrate: quale 
sia il funzionario competente ad autorizzare la proposizione del gravame e se possa 
delegare il potere autorizzatorio (es. 5962/97). 

Sentenza della Suprema Corte di Cassazione depositata vigente il d.lgs. 546192 Cassazione 
di decisione della Commissione Tributaria Centrale con rimjo a quest'ultima 
-Riassunzione del giudizio -Giudice competente. 

Sentenza della Corte di Cassazione depositata vigente il d.lgs. 546/92, con la quale 
� stata disposta la cassazione di una decisione della Commissione Tributaria Centrale 
con rinvio a quest'ultima: se la riassunzione del giudizio debba avvenire dinanzi la 
Commissione Tributaria Centrale o dinanzi la Commissione Tributaria Regionale 
(es. 10410/96). 

TRIBUTI LOCALI (COMUNALI, PROVINCIALI, REGIONALI) -Imposte ipotecarie -Formalit� di 
iscrizione e cancellazione di ipoteche (ex art. 38, 3� comma d.lgs. 34611990) a 
garanzia di credito perINVIM sui trasferimenti a titolo gratuito -Se siano soggette 
a imposta in misura fissa. 

Se le formalit� di costituzione e di estinzione di ipoteche, a garanzia della dilazione 
del pagamento dell'INVIM sui trasferimenti a titolo gratuito, siano soggette alle 
imposte ipotecarie in misura fissa (es. 9015/96). 

URBANISTICA -Condono edilizio ex legge 4711985 -Opere abusive realizzate su)mmobili 
soggetti a vincolo paesistico -Parere ex art. 32, legge 4711985. 

Condono edilizio (legge 47/85) di opere abusive realizzate su immobili soggetti a 
vincolo paesistico: 
a) pareri (ex art. 32 legge citata) favorevoli resi dalle Regioni dopo il formarsi del 
silenzio rifiuto; quando vadano annullati dall'Amministrazione dei Beni Culturali; 



PARTE II, CONSULTAZIONI 

b) istanza di pronunzia in via sostitutiva, del parere di cui all'art. 32 legge 47/85, 
rivolte all'Amministrazione dei Beni Culturali, allorch� sull'istanza presentata alla 
Regione si sia formato il silenzio rifiuto; se l'Amministrazione possa provvedere; 

e) istanze di pronunzia, in via sostitutiva, del parere di cui sopra rivolta 
all'Amministrazione dei Beni Culturali, in relazione ad istanza reiterata alla Regione 
dopo la formazione del silenzio rifiuto: se sia ammissibile (es. 463/96). 

Immobili soggetti a vincolo paesistico -Opere abusive compiute sugli stessi Concessioni 
edilizie in sanatoria ex art. 39 legge 72411994 -Autorizzazione regionale 
espressa per silenzio assenso -Potere di annullamento e di sostituzione del 
Ministero dei Beni Culturali -Sussistenza. 

Concessioni edilizie in sanatoria (ex art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724) per 
opere abusive compiute su immobili soggetti a vincolo paesistico in base alla legge 29 
giugno 1939, n. 1497 e alla legge 431185: se l'Amministrazione per i Beni Culturali 
possa annullare l'autorizzazione regionale espressa per silenzio-assenso e possa esercitare 
il potere istitutivo nelle ipotesi in cui sarebbe operante il detto silenzio-assenso 
(es. 463/96).