1, SSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO �� ,.. ;rr Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. ANNO XLIV N. 2-3 APRILE -SETTEMBRE 1992 ~A��JE(GNA AVV(Q)CAJrllJ~A JD)JEJLJL(Q) �1rAJr(Q) PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1993 ABBONAMENTI ANNO 1993 ANNO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L. 52.000 UN NUMERO SEPARATO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 13.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Marketing e Commerciale Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma -Decreto n. 11089 del 13 luglio 1966 (4219145) Roma, 1993 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato -P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura del- l'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . pag. 159 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . . � 213 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI (a cura degli avvocati Giuseppe Stipo e Antonio Cingolo) . . . . . . . . . . . . . . . � 235 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/' avv. Raffaele Tamiozzo) . . . . . � 290 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura de/l'avvocato Carlo Bafile) . . . . . . . . . . . . . . � 302 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI RASSEGNA Di LEGISLAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 47 Comitato di redazione: Avv. D. Del Gaizo -Avv. G. Mangia - Avv. M. Salvatorelli -Avv. F. Sclafani La pubblicazione � diretta dall'avvocato: UGO GARGIULO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI G. AZZARITI, Conflitto di attribuzioni tra Consiglio Superiore della Magistratura e Ministro di Grazia e Giustizia sul conferimento di incarichi direttivi a magistrati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 190 M. SALVATOREIJ..I, Procedimento per la repressione di condotta antisindacale di una Pubblica Amministrazione e litispendenza . . . . . . I, 281 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO -ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA ARBITRATO CORTE COSTITUZIONALE -Arbitrato rituale -Procedimento di esecutivit� del lodo -Difetto di contraddittorio -�Questione di costituzionalit� -Infondatezza, 159. -Obbligatorio e facoltativo -Concorde volont� delle parti -Arbitrato previsto da norma regolamentare -Illegittimit� -Possibilit� di deroga -Irnilevanza, 250. ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI -Sindacati -Procedimenti per la repressione di condotta antisindacale Ricorso proposto dinanzi a pi� Pretori -Litispendenza, con nota di M. SALVATORBLLI, 281. BENI -Brevetti per invenzioni industriaH Domanda di rinnovo del brevetto per marchio d'impresa -Legittimazione -Titolare del brevetto -Delega ad un terzo -Forma scritta -Gestione d'affari altrui -Esclusione, 266. COMUNIT� EUROPEE -Agricoltura -Semi di soia -Regime d'aiuti alla produzione -Regolamento contenente modalit� di applicazione -Violazione del principio di parit� di trattamento e del principio di proporzionalit� -Invalidit�, 213. -Aiuti di Stato -Procedura d'esame Atto impugnabile, 227. - Armonizzazione delle legislazioni in materia fiscale -IVA -Avvocati e procuratori legali -Contributo integrativo a favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza Non assimilabilit�, 222. -Giudizio di legittimit� costituzionale in via incidentale -Soggetti legittimati a costituirsi -Terz rimasti estranei al giudizio a quo -Legittimazione -Condizioni, 179. COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA -Camera dei deputati � Autodichia � Controversia riguardante la procedura concorsuale per l'assunzione Difetto di ~iurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, con nota di F. SCLAFANI, 257. GIURISDIZIONE CIVILE -Impiego pubblico -Giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo -Ingiunzione fiscale -Opposizione dinanzi all'AGO -Difetto di giurisdizione, 280. -Provincia autonoma di Bolzano Rapporto di impiego con ente pubglico economico -Provvedimento di trasferimento del dipendente -Controversia sulla normativa concernente il bilancio -Giurisdizione del Giudice � ordinario, 235. -Responsabilit� civile -Lesione di interessi legittimi in materia di prezzi -Tutela -Non spetta -Contrasto con la normativa comunitaria -Non sussiste, 241. IMPIEGO PUBBLICO -Dipendenti degli enti lirici -Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, 274. -Dipendenti dell'Azienda Autonoma di assistenza al volo -Passaggio ad altra Amministrazione -Applicabilit� degli artt. 202 T.U. n. 3 del 1957 e 12 d.P.R. n. 1079 del 1970 -Esclusione, 296. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO VI -Rapporto di lavoro subordinato Nullit� -Diritti patrimoniali del lavoratore -Art. 2126 cod. civ. -Applicabilit�, 290. -Stipendi, assegni e indennit� -Indennit� di funzione dei magistrati e indennit� � di presidenza � -Cumulabilit�, 300. LAVORO -Lavoro a tempo parziale -Determinazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa -Rilevanza -Potere del datore di lavoro di modificare unilateralmente tale collocazione -Esclusione -Clausola di distribuzione dell'orario priva della necessaria determinazione Nullit� del contratto -Esclusione, 165. - Vice Pretore onorario -Rapporto di impiego professionale (autonomo o subordinato) -Esclusione -Eventuale compenso -Natura indennitaria, 276. LOCAZIONE -Immobili ad uso non abitativo Responsabilit� del conduttore per il ritardo nella restituzione dell'immobile -Esonero per il periodo anteriore alla data fissata dal giudice per il rilascio -Caso di comprovata insussistenza della difficolt� per il conduttore di reperire altro immobile idoneo -Illegittimit� costituzionale, 162. OBBLIGAZIONI (IN GENERE) -Adempimento -Imputazione del pagamento al capitale -Consenso del creditore -Interessi maturati per periodo inferiore al semestre -Non producono interessi, 239. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi -Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura Attivit� di concertazione con il Ministro di Grazia e Giustizia da parte della Commissione per gli incarichi direttivi -Mancato accordo in tempi ragionevoli sulla proposta da formulare -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura -Insussistenza,con nota di G. AZZARITI, 190. -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi -Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura Mancato concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia sulla proposta della Commissione per gli incarichi direttivi -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura -Sussistenza, con nota di G. AZZARITI, 189. -Magistrati -Procedimento disciplinare -Riabilitazione ex art. 87 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 -Applicabilit� Illegittimit� costituzionale, 174. POSSESSO -Usucapione -Conferimento di bene immobile in concessione da parte della P. A. nell'errata convinzione della demanialit� -Costituisce atto dispositivo utile ai fini dell'usucapione, 260. PROCEDIMENTO CIVILE -Atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti ad uno Stato estero Autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia -Applicabilit� a beni diversi da quelli sottratti a misure coercitive secondo il diritto internazionale -Illegittimit� costituzionale in parte qua, 183. RESPONSABILIT� CIVILE -Lesione di interesse legittimo -Risarcimento del danno -Esclusione, 262. SANZIONI AMMINISTRATIVE -Interferenze nelle bande di radiofrequenza tutelate -Caso fortuito Nozione, 270. INDICE DELLA GIURISPRUDENZA -Interferenze nelle bande di 1:adiofrequenza tutelate -(;olpevolezza Onere della prova a carico dell'am� ministrazione, 270. TRIBUTI ERARIALI DIRETTI . -Imposta sui ~~ddit{di.riccb~za�mobile ~. Plusvalenza �~� Maggior.� valore dovuto a svalutazione monetaria � Iscrizione in bilancio � . Non costi� tuisce reddito, 351. -� Imposta s�l reddito delle persone fisiche � � Accertament� �� � In:c�iilpleta indicazione nelle :l'attute -Accetta� mento induttivo � legittimit�, 354. -Iiilposta sul reddito delle persone fisiche ~ Accertarrienfo�~ � Motiva2:ione Metodo iriduttivo -� Deterininazione del reddito in base a fatti indice accertamenti -Legittimit�, 326. -Imposta sul reddito delle persone fisiche e imposta locale sui redditi . Agente di assicurazione � Regime anteriore alla legge 29 dicembre 1990 n. 408 -Reddito di impresa -Assoggettamento all'ILOR. 327. -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari -Fabbricati -Procedimenti -Procedimento catastale � Classamento -Motivazione Requisiti, 304. -Imposta sul reddito delle persone fisiche � Redditi fondiari � Fabbricati � Ricorso contro il classamento Motivi, 304. -Imposta sul reddito delle persone fisiche � Reddito di impresa � Contributi in conto esercizio -Non costitu�scono reddito, con nota di C. BAFILE, 309. - Imposta sul reddito delle persone fisiche -Reddito di impresa . Perdite su cambio -Deducibilit� alla chiusura dell'esercizio � Esclusione -Deduzione al momento della scadenza (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 72), 345. - Imposta sul reddito delle persone giuridiche � Redditi fondiari � Terreni � Deduzione dei contributi di bonifica obbligatori � Esclusione, 333. - Imposte sui redditi -Riscossione Controversia sulla spettanza di esen zioni ~ Iscrizion.e a ruolo a titolo definitivo della. int{;}ra imposta� ��. bcrizione a ruolo frazionata -. Esclusione, 322. � -llJ).poste sui redditi -Sp{;}ttanza di esertziom -Negazione -lscriziorte a :rui:>Io �.a, tifo1o definitivo -Ille!P:it�mi� t�, 322. . . .�� .. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI .;;;;;. Accertamento �.Motivazione � Criteri di svalutazione -Valore in comune commercio ~ Ammissibilit�, 366. -Diritti e imposte varie -Lotto e lotterie � Premi in denaro � Attivit� il� lecita non aui:orizzabile � Esclusione dell'imposizi<:>ne, 342. -Imposta di registro -Base imponi� bile � Vendita in esecuzione di con� cordato fallimentare -Estensione dell'art. 42 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 364 -Esclusione, 369. -Imposta di registro � Trasferimento di azienda -Cessione di azienda, 364. -Imposta di successione -Condono � Successiva deduzione di passivit� Inammissibilit�, 357. - Imposte doganali � Riscossione � In� giunzione -Opposizione -Termine Contestazione per mancanza di tem� pestivo accertamento -Decadenza, 339. TRIBUTI IN GENERE. Accertamento -Accessi ispezioni e verifiche -Rifiuto di esibire libri registri e documenti -Divieto di esibizione in giudizio -Tmposte dirette Si estende, 371. -Accertamento -Notificazione -Inesistenza di abitazione ufficio o azienda -Deposito e affissione presso il comune -Insufficienza -Ricerche anagrafiche -Necessit� -Omissione Nullit� insanabilit�, 315. -Accertamento -Notificazione -Societ� -Cambiamento della sede legale Dovere di comunicazione dell'ufficio -Notifica a mani ael legale rappresentante -Sostituzione -Omessa comunicazione all'ufficio -Irrilevanza, 314. RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO VJll -Accertamento -Rinnovazione prima della scadenza del termine -Ammissibilit�, 321. -Contenzioso tributario -Giurisdizione condizionata -Imposte dirette Rimborsi -Ricorso alla commissione non preceduto da istanza amministrativa -Improponibilit�, 331. -Contenzioso tributarfio -Giurisdizione -Opposizione all'esecuzione Terzo -Controversia di imposta Giurisdi. zione delle commissioni, 349. -Contenzioso tributario -Imposte indirette -Atti impugnabili -Avviso di liquidazione preceduto da avviso di accertamento di valore -Impugnabilit� per contestare la debenza dell'imposta proporzionale, 302. -Restituzioni e rimborsi -Decadenza Diritti indisponibili -Rilevabilit� d'ufficio, 336. TRIBUTI LOCALI -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Detrazione del contributo di miglioria -Contributo corrisposto nel periodo di riferimento relativamente a presupposto verificatosi anteriormente -Esclusione, 360. -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Soggetti passivi Solidariet� -Parti in senso formale Esclusione, 373. -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Spese incrementative -Denuncia -Termine, 375. I I I ~ 0 INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE pag. 159 4 marzo 1992, n. 80 . . 162 1� aprile 1992, n. 149 � � 11 maggio 1992, n. 210 165 22 giugno 1992, n. 289 . � 174 8 luglio 1992, n. 315 . � 179 15 luglio 1992, n. 329 183 � 27 luglio 1992, n. 379 � 189 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE Sez. V, 8 aprile 1992, nella causa C-256/90 . . . . . pag. 213 Sez. VI, 7 maggio 1992, nella causa C-347/90 .. )) 222 )) Sed. Plen., 30 giugno 1992, nella causa C-47/91 . 227 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 17 giugno 1991, n. 6847 . pag. 235 Sez. I, 17 luglio 1991, n. 7960 . . � 239 � Sez. Un., 14 gennaio 1992, n. 364 . 241 Sez. Un., 10 febbraio 1992, n. 1458 . )) 250 Sez. Un., 18 febbraio 1992, n. 1993 . � 257 Sez. I, 11 marzo 1992, n. 2913 . . )) 260 Sez. Un., 18 marzo 1992, n. 3357 . )) 262 Sez. I, 2 aprile 1992, n. 4017 . � 302 Sez. I, 3 aprile 1992, n. 4085 . � 304 Sez. I, 7 aprile 1992, n. 4264 . � 309 Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4302 . � 314 Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4303 . )) 321 Sez. I, 8 aprile 1992, n. 4308 . � 315 Sez. I, 9 aprile 1992, n. 4360 . )) 322 Sez. I, 14 aprile 1992, n. 4551 . � 326 Sez. I, 16 apI'ile 1992, n. 4695 . � 266 � 327 Sez. I, 16 aprile 1992, n. 4698 . Sez. I, 23 aprile 1992, n. 4900 . � 270 Sez. Un., 23 aprile 1992, n. 4929 . � 274 Sez. Lav., 27 aprile 1992, n. 5008 . � 276 Sez. I, 4 maggio 1992, n. 5242 . . . � 331 X RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Sez. I, 11 maggio 1992, n. 5604 . )) 333 Sez. I, 12 maggio 1992, n. 5620 . )) 336 Sez. I, 28 maggio 1992, n. 6446 . � 339 Sez. I, 29 maggio 1992, n. 6520 . � 342 Sez. I, 29 maggio 1992, n. 6521 . � 345 Sez. Un., 3 giugno 1992, n. 6786 . � 280 Sez. Un., 3 gfogno 1992, n. 6789 . � 349 Sez. I, 10 giugno 1992, n. 7151 . )) 351 Sez. I, 11 giugno 1992, n. 7180 . � 354 Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8026 . )) 357 Sez. I, 26 giugno 1992, n. 8032 . )) 360 Sez. I, 9 luglio 1992, n. 8362 . � 364 Sez. I, 10 luglio 1992, n. 8399 . � 322 Sez. I, 14 luglio 1992, n. 8546 . � 366 Sez. I, 14 luglio 1992, n. 8552. � 369 Sez. I, 17 luglio 1992, n. 8694 . )) 371 Sez. I, 20 luglio 1992, n. 8754 . )) 373 Sez. I, 27 luglio 1992, n. 9009 . )) 375 PRETURA DI ROMA Sez. Lav., 17 giugno 1992 (decreto) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 281 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Ad. Plen., 29 febbraio 1992, n. 1 . . pag. 290 Ad. Plen., 16 marzo 1992, n. 8 . . . � 296 Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 238 . � 300 PARTE SECONDA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: Questioni di legittimit� costituzionale I -Norme dichiarate incostituzionali .................. pag. 47 II -Questioni dichiarate non fondate . . . . . . . . . . . . . . . . . . � 52 PARTE PRIMA I I ' GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 4 marzo 1992, n. 80 -Pres. Corasaniti -Red. Granata; Soc. Technicolor (avv. Colesanti) c. Soc. Telecolor (avv. Di Gravio); Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Arbitrato -Arbitrato rituale � Procedimento di esecutivit� del lodo � Difetto di contraddittorio � Questione �di costituzionalit� � Infondatezza. (Cost., art. 24; cod. proc. civ., ari:. 825). E infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 825, cod. proc. civ., in riferimento all'art. 24 Cost., nella parte in cui non prevede la previa instaurazione del contraddittorio per la dichiarazione di esecutivit� del lodo (1). (Omissis) Nel merito la questione non � fondata. La norma impugnata -modificata, ma non nella parte che interessa, dall'art. 3 1. 9 febbraio 1983 n. � 28 (modificata della disciplina dell'arbitrato) -prevede che la parte che intende far eseguire il lodo in Italia � tenuta a depositarlo in originale, unitamente itl compromesso (o ad altro atto equipollente), nella cancelleria della pretura del luogo in cui � stato deliberato nel termine (perentorio) di un anno dal ricevimento del lodo. Su tale lodo il pretore opera un duplice controllo, essendo chiamato ad accertare sia la tempestivit� del deposito, sia la regolarit� formale del lodo stesso. All'esito di tale verifica, se positiva, dichiara esecutivo il (1) Ci� che rileva, ai fini del rispetto dell'art. 24 Cost., � la sindacabilit� anche successiva . del decreto di exequatur che la legge garantisce attraverso i diversi strumenti processuali indicati nella sentenza; tale pronuncia � dichiaratamente in linea con C. Cost., sent. 6�1ugliO 1972 n. 125, in Foro it. 1972, I, 2355; ord. 19 gennaio 1988 n. 37, ivi, 1988, I, 3668; sent. 6 luglio 1970 n. 141, ivi, 1970, I, 2038. La dottrina si � in particolare soffermata sul problema della natura contenziosa o volontaria della g;iurisdizione esercitata dal Pretore con il decreto di cui all'art. 825 c.p.c.: al riguardo si veda CECCHELLA, L'arbitrato, UTET, To., 1991 p. 193 e segg. e NICOTINA, La dichiarazione di esecutivit� del lodo arbitrale, Cedam, PD., 1983 � pag. 33 ss. L'ordinanza di rimessione Pret. Roma 1� giugno 1991 � pubblicata in Temi romana 1991, I, 148. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 160 lodo con decreto, emesso inaudita altera parte, ed in tal modo gli conferisce efficacia di sentenza. Il procedimento che conduce al decreto pretorile di esecutivit� � quindi estremamente snello ed � ben circoscritto il controllo operato dal pretore; sicch� in questa fase processuale cos� configurata, la norma non prevede un obbligo del pretore della previa audizione delle parti; n� � prevista la previa instaurazione del contraddittorio. C'� per� da rilevare innanzi tutto che l'atto di impulso del procedimento che sfocia nella dichiarazione di esecutivit� del lodo � rappresentato dalla determinazione di una delle parti espressa con il mero atto di deposito del lodo (e del compromesso) senza che sia prevista alcuna attivit� difensiva ancorch� volta unicamente ad illustrare le ragioni della ritenuta tempestivit� del deposito e della regolarit� del lodo. Il sindacato del pretore � quindi operato sugli atti e pertanto, come non sente la parte che ha promosso il procedimento, analogamente non � tenuto a sentire la controparte, giustificandosi tale disciplina -ispirata a finalit� di semplificazione e di celerit� -per il fatto che il decreto pretorile si colloca, come appendice terminale, dopo la procedura arbitrale nel corso della quale il contraddittorio tra le parti ha avuto possibilit� di estrinsecarsi (arg. ex art. 816, 3� comma, c.p.c. che fa salvo in ogni caso il diritto delle parti ad avere un termine per presentare documenti e memorie e per esporre le loro repliche). D'altra parte l'ordinamento appresta adeguati strumenti processuali per instaurare successivamente all'emanazione del decreto pretorile il contraddittorio delle parti sulla sussistenza, o meno, dei presupposti per la declaratoria di esecutivit� del lodo. Infatti, in caso di decreto del pretore che (illegittimamente) nega l'esecutoriet� del lodo, � ammesso reclamo mediante ricorso al presidente del tribunale che � tenuto a sentire le parti prima di provvedere con ordinanza (art. 825, ultimo comma, c.p.c.). Nel caso, invece, del decreto che (illegittimamente) dichiara l'esecutivit� del lodo, cos� facendo venire ad esistenza la sentenza arbitrale (art. 825, 5� comma, c.p.c.), � vero che il legislatore sia del codice di rito del 1940, sia della riforma del 1983 -sulla scorta di risalenti sollecitazioni della dottrina che aveva ritenuto ridondante la previsione del reclamo contro il decreto pretorile che dichiara l'esecutivit� (com'era previsto nel previgente codice di procedura civile) -non ha contemplato uno specifico mezzo di impugnazione che consente di aggredire il solo decreto pretorile, essendo questo assorbito nella sentenza arbitrale di cui segue le sorti {analoghe ragioni si rinvengono nella relazione al disegno di legge n. 1686 di ulteriore riforma della disciplina dell'arbitrato, presentato dal ministro di grazia e giustizia e comunicato alla presidenza del senato della repubblica il 10 aprile 1989). � anche vero per� che nei confronti della sentenza arbitrale � esperibile l'impugnazione per nullit� nei casi previsti dal . �:-::: �-:-:::.�.::�.::.��.-:�� .�:�� . .� ..�. . .. ... ... . ....... .. . .. . . . . . . ...... . . . :�: .:-��� .� .� ..-: .. �.�.� .. /� �.l'!~#� $~~ �,P',i:k.(~ $e~aJ�l:l�~J�t~ in r#~rl~ento a!Ja regplant~.. formale del 1o4ot*etc~~g PMtett1plat() d~ h. s della normak cQ.nie .anche � possibile, r:l'.�pJ;'r~.g'.Qpe;. i Pl.'~~.ppp~ti~ l'.<>ppqaj~i~, aWeseci,Jzjgne. I:n e:nttamb:i i casi ~ ~i#~~ l;tpprQXitata J~ �?p$$lW#j� <ti ifua tutel� itnmediat�i potendo� richie~ t~t l~ $os);)~:#$;i()njl� Q:~'.6se~Jj;}zj~ .:!ella )entt�llta� . arbitrate; �rispettiva ���.��ᥥ��m~~~i�~#:���~~# �3,q,. ~rᥥ~li:lm�:t~� ~ i~i 1M~�~ᥥA:tre��.pof��s~. titenga.� ammissibile ����.�����t'�pp?i~~i~11~�� aijt~� ~*~~���~~~B#~N~���ᥥ������99~e ~~eP#~.��!t.�� ~.dfo~���timettente ..� ~ !;:?�p.ll(JJ1e possil)jt~ i.'e##W.a#<:i#~ l:ll pr6\l&~<.Ji�#�nli ~fudilazionabm � ex art. ~t~(;;;p,c,~J� 4uaU.S.ee<>hoo. Un'ac~�:'emtata oPini:.One; dottrinale, fatta .PP9p.~ii:l.. qaj,la.�m:4.... te~l:ltc;}.. ~l;ltj$,Pf44~i.t-�.�4ell<t;.�pl.'te.�.�.~.i::li);ssazione, com ᥥ�pt~�#9 aj#���l"-�~~<;tj~t~.�4~ $()$p~#4~~.�l"~**~o#e�.�l114()frrina� si .ritiene �. ##t#1$s~p.~ #ll{)h~ @l'()i@#~v~r ~i()#e. cl[acc�lftafue!lfo. tnoltre, nel caso p�rth;:olaJ;'ecleIJ.'errore c�lllmesso dal pretore nel valutare come rituale (e CJ.lJ:iri�li c;>.i:.ofogy~)/l\Pl lodo �he invece � irrituale la giurisprudenza .� .. P:tie~ aj.W�$&jpjJ~ )'iffi.pj.fgp.ati�~ Jlegoih�e detlQ<lo sJe~so e non gi� ::!'!!iE~-~~~::�~~ �ontr�llato i. 1lr~J.il'.>1'()~~i .J?~r 1~ fl'.i�biar~iQne di esectithtit� de1 lodo tra$ t�rffi.�ritto1()��fu. ~~ht~nzi afl:�tr�l�lsia /.��?cdme� lli��efi�tH����e �.;;;_;_ esso stesso :i~?~t~~~~��l~~i~~~~t~f~l~~~iJ~~b ~~;~ ~#~*tfo~e ffi �ostiturionalit� per J,?oter � ric�rioscere �Clj~ U ��J#ta4!:litt9P:9 Jt~.Je��:P~cti si instaura in terr.w~..... ~~~it1*~8H~l:Q~4t~ a4~i.~#����#<>i?Q... i'~ffiffii~i9n~����.c1e1 .decreto pretorile anche: riell'iJ?<>tesi in �.j �ss� sia dfohiarativo dell'esecutivit� del lodo. >�.� Vers~g.Qsi 'lll,!~cli in, f~~~j$1?~�ie� <;li m,~o.�.. f:lif#etjll)ento dell'instauraz~ one .. del. �ontra4flitt()tj9,. q,ii~#~ {)pri~.~itime .di �ol}fermare la propria giurisp:,i:u4ellta}t1 9#t~~...aJAA.�.�r~~t1m .C:<>ffipat~l:>.it� 4i siffatta posticipa~ io:n,e...col1 111.. ~~:r~.a... geil .. dir~~t9.�..�~�... <:ijfei�a ..�1;1:p�!t.q c1all)~rt~.��24 Cost. ...�. �qs�, �1;>n lifmW.~nto.. al c1~ci;~t() .�<>l]�� c'aj.il gfty,ii��. U(lUida il compenso al consulente . te�?lico, . decreto. che costituisce. titol() ei�ecutivo contro la parte a carioo della �quale � posto il pagamento� ed � pronunciato senza la previa i11s~urMione del P~!ltradditt()ri() (art'. 2.4 disP� att, c.p.c.), la ~orte (serit. n. �� 1~5�c1el .1972, .foro it., �1912~ J, 7~55)���"7 #e.ll'assimilare tale pf6vve4i#iegt(J���.�~l����.a~�t~tC>���ingjfultiv()�.�.ci:>n�.�� ~~l').s~g�e~te����r#enuta a'.tnmissibili��. g�!N)pposiifo!l~ d.el1a ij,�l"~e. interessat� ' ha affermato. che in tale fattispecie non � precluso il contraddittorio, ma ne � differita l'attuazione alla fase pr<)<:essuale .di .oppo$.,i911e .� e<l �. in q.e$ta, succes~i:va fase che trova esplicazione la gaJ:ru;iZia.. clel dirittQ di difesa, che � non resta .infirmato dalla legge che� ne adegua le modalit�< di esercizio alle speciali caratteriStiche di struttura def singbli procedimenti �, E tale indirizzo ha trovato <.foi:l.rerma anche con . riferimento al procedimento per ing1u.2lione e alla possibilit� di iscrizione dell'ipoteca giudiziale sulla base del decreto provvisoriamente esecutivo (prd. n. 37 del 1988, id., 1988; I, 3668). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 162 Solo allorch� nel procedimento che precede l'instaurazione del contraddittorio si sia formato un titolo dotato di provvisoria esecutivit�, non suscettibile di sospensione nella successiva fase in cui il contraddittorio viene instaurato, risulterebbe gravemente inciso il diritto di difesa (sent. n. 141 del 1970, id., 1970, I, 2038); ma nella specie -come gi� posto in evidenza -l'esecuzione della sentenza arbitrale, formatasi sulla base di un illegittimo decreto pretorile dichiarativo dell'esecutivit� del lodo, � in ogni caso suscettibile di sospensione. Per questi motivi, la Corte costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 825 c.p.c., sollevata, in riferimento all'art. 24 Cost., dal Pretore di Roma con l'ordinanza di cui in epigrafe. CORTE COSTITUZIONALE, 1� aprile 1992, n. 149, Pres. Corasaniti -Red. Mengoni -S.p,a. Futura Inzago (avv. Vitucci), Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Locazione -Immobili ad uso non abitativo -Responsabilit� del conduttore per il ritardo nella restituzione dell'immobile -Esonero per il periodo anteriore alla data fissata dal giudice per il rilascio -Caso di comprovata insussistenza della difficolt� per il conduttore di reperire altro immobile idoneo -Illegittimit� costituzionale. (Cost., art. 42; D.L. 25 settembre 1987, n. 393 conv. in L. 25 novembre 1987, n. 478). L'art. 2 del D.L. 25 settembre 1987, n. 393 conv,. in L. 25 novembre 1987, n. 478 � illegittimo, per violazione dell'art. 42 Cast, nella parte in cui esonera il conduttore dalla responsabilit� per i danni cagionati al locatore dalla ritardata restituzione dell'immobile senza eccettuare il caso di comprovata insussistenza della difficolt� per il conduttore di reperire altro immobile (1). (Omissis) Dalla Corte d'appello di Milano � sollevata questione di legittimit� costituzionale del.l'art. 2 del d.l. 25 settembre 1987, n. 393, convertito nella legge 25 novembre 1987, n. 478, �nella parte in cui (non) (1) Pronuncia dichiaratamente in linea con la sent. 24 gennaio 1989, n. 22 (in Foro it. 1989, I, 959 con nota di PIOMBO ed in Giust. civ. 1989, I, 521 con nota di Izzo) in cui il temporaneo esonero dalla responsabilit� ex art. 1591 cod. civ. venne giustificato per la �grave difficolt� per il conduttore, dipendente da circostanze estranee alla sua volont�, di trovare un altro immobile adatto alle sue necessit� di lavoro �. Se questa � la ratio della norma non v'� dubbio che il sacrificio del diritto di propriet� non si giustifica quando � provata la disponibilit� di altro immobile idoneo all'esercizio dell'impresa. PARTE I, SEZ,, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE dispone che l'esonero dall'obbligo risarcitorio di cui all!art. 1591 cod.. civ. in favore del conduttore di immobile non abitativo non si applica all'ipo� tesi dLcornprovata. insussistenza della difficolt�. di reperire altro immobile idoneo�, La questione concerne il primo dei� due: periodi. alternativamente previsti dalla disposiZione impugnata; compreso tra la data di scadenza del regime transitorio. previsto dalla legge 27 foglio 1978, n. 392 -ovvero, se posteriore, la data dLpubblicazione della sentenza di questa Corte n. 108 del 1986 (30 aprile. 1986), che ha dichiarato l'illegittimit� costituzionale delle prorogh~. legalLulteriori a quella disposta dall'art. 15 bis della legge 25 marzo 1982, n.. 94 -e la data fissata giudiZialmente per il rilascio dell'immobile. Nel dispositivo dell'ordinanza non � indicato alcun parametro costitu� zionale, ma da un passo della motivazione si argomenta esplicitamente il riferimento amart. 42, secondo com;ma, Cost. Va .preliminarmente dis�ttesa l'eccezione di inammissibilit� opposta dall'Avvocatura. dello Stato, del resto in forma dubitativa, sul duplice rilievo,. da un lato;� delle perplessit� espresse nell'ordinanza� di rimessione�, dall'�ltro, della non riferibilit� dell'apprezzamento in merito alla legittimit� della norma denunciata �all'astratta valutazione legislativa del nucleo degli interessi .con essa regolamentati �. Sotto il primo profilo si osserva che l'allusione (superflua) alla possibilit� di una sentenza interpretativa di rigetto, .�fondata su una interpretazione diversa da quella accolta dal giudice remittente, non crea una perplessit� della motivazione paragona� bile a� quella determinata dalla prospettazione di due o pi� ipotesi possibili di sentenza di accoglimento, tale da rendere . fa questione inammissibile. Sott� il secondo profilo, si pu� obiettare che, a parte certi elementi peculiari del danno lamentati dal locatore, il caso oggetto del giudizio a quo presenta connotati di tipicit� sociale -non individuati dalla precedente ordinanza che ha dato luogo alla. sentenza n. 22 del 1989 -i quali giusti� ficano la proposizione di.una autonoma questione di legittimit� della norma in parte. qua. La questione � fondata. In relazione, al periodo, sopra precisato al punto 1, di detenzione dell'immobile locato protratta dopo la cessazione del titolo del conduttore, l'esoner� di questi dal risarcimento del danno previsto dall'art. 1591 cod. civ. � stato interpretato dalla senten2:a n. 22 del 1989 come una figura di temporanea inesigibilit� della prestazione restitutoria, disposta dalla legge impugnata in esito a un bilanciamento degli interessi in gioco commisurato alla � grave difficolt� per il conduttore, dipendente da circostanze estranee alla sua volont�, di trovare un altro immobile adatto alle sue necessit� di lavoro �. In considerazione di tale stato di fatto e limitatamente al periodo definito dalla data fissata giudiZialmente per il rilascio, la legge giudica pi� meritevole di tutela l'interesse del conduttore -costituzio 164 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nalmente rilevante ai sensi dell'art. 41 Cost. -a non interrompere l'esercizio dell'impresa per il tempo occorrente a reperire un'altra sede, rispetto all'interesse antagonistico del locatore protetto dall'art. 42 Cost. La tutela dell'interesse del conduttore sul piano processuale, nella forma della dilazione dell'esecuzione della sentenza di convalida dello sfratto fino al termine fissato dal giudice, � integrata sul piano sostanziale dall'art. 2 del decreto n. 393 del 1987 con una norma di inesigibilit� della restituzione dell'immobile per il periodo corrispondente, la quale esonera il debitore da responsabilit� per mora, salvo l'obbligo di continuare a corrispondere il canone vigente alla scadenza del contratto, eventualmente aumentato ai sensi dell'art. 2, comma 4, del d.l. 9 dicembre 1986, n. 832, convertito nella legge 6 febbraio 1987, n. 15. Cos� precisati il significato e la ratio della norma sotto esame, ne emerge un limite di legittimit� costituzionale, derivante appunto dalla sua natura di norma espressiva di un giudizio di valore risultante dalla ponderazione di due interessi in conflitto, entrambi costituzionalmente rilevanti. Caratteristica dei valori (o principi) costituzionali soggetti a bilanciamento � la non predeterminabilit� in assoluto, una volta per tutte, dei loro rapporti reciproci di sovra o sottordinazione. La prevalenza dell'uno sull'altro, quando il bilanciamento non sia rimesso caso per caso al giudice, ma sia operato dalla legge nella forma di una norma astratta, deve essere collegata a determinate condizioni tipiche, come effetto giuridico alla propria fattispecie. In assenza di tali condizioni l'esito della valutazione comparativa non pu� essere il medesimo. Perci� una norma di questo tipo � costituzionalmente illegittima se e in quanto non riservi al portatore dell'interesse postergato la prova dell'inesistenza nel caso concreto delle condizioni che, secondo il bilanciamento sotteso alla norma stessa, giustificano la precedenza attribuita all'interesse antagonistico. Tale � la norma denunciata, la quale preclude al locatore ogni prova contraria, senza tenere conto che la compressione inflitta al suo diritto � fondata solo nella misura in cui risponde effettivamente a una funzione di sostegno dell'attivit� economica del conduttore, bisognoso di un lasso di tempo per trovare un altro immobile idoneo all'esercizio dell'impresa. Se questa condizione non sussiste, cio� se e dal momento in cui il conduttore acquisisce la disponibilit� di un altro immobile o potrebbe acquisirla con l'ordinaria diligenza, il diniego al locatore del risarcimento del danno per l'ulteriore ritardo della restituzione dell'immobile locato viola la garanzia costituzionale del diritto di propriet�. p.q.m. dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'art. 2 del d.l. 25 settembre 1987, n. 393 (norme in materia di locazione di immobili ad uso non abitativo, PARTI! I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 165 nonch� di cessione e di. assegnazione di alloggi di edilizia agevolata-convenzionata), convertito nella legge 25 novembre 1987, n. 478, nella parte in cui esonera il conduttore da responsabilit� per i danni cagionati al locatore dal ritardo della restituzione dell'immobile senza eccettuare il caso di comprovata insussistenza della difficolt� per il conduttore di reperire altro immobile idoneo. CORTE COSTITUZIONALE, 11 maggio 1992, n. 210 -Pres. Corasaniti -Red. Spagnoli -Stella Monica (avv. Bellotti). Lavoro � Lavoro a tempo parziale -Determinazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa � Rilevanza -Potere del datore di bworo di modificare unilateralmente tale collocazione -Esclusione � Clausola di distribuzione dell'orario priva della necessaria determinazione � Nullit� del contratto � Esclusione. (Cost., artt. 3, 36 e 38; d.l. 30 ottobre 1984, n. 126, art. S, conv. in I. 19 dicembre 1984, n. 863). Il rapporto di lavoro a tempo parziale si caratterizza per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e correlativamente della retribuzione, viene lasciato al lavoratore ampio spazio per altre eventuali attivit�, per cui � necessaria la determinazione della collocazione temporale della prestazione ed il datore di lavoro non pu� modificarla unilateralmente; comunque la clausola di distribuzione dell'orario di lavoro priva della necessaria determinatezza non comporta la nullit� dell'intero contratto (1). (Omissis) La norma che il Pretore di Firenze sottopone all'esame di questa Corte � rappresentata dall'art. 5, secondo comma, della legge 19 dicembre 1984, n. 863, secondo cui �Il contratto di lavoro a tempo parziale deve stipularsi per iscritto. In esso devono essere indicate le mansioni e la distribuzione dell'orario con riferimento al giorno, alla settimana, al (1) La Corte Costituzionale non condivide quanto incidentalmente affermato da Cass. 22 marzo 1990 n. 2382 (in Mass. giur. lav. 1990, 421 con nota di MORGERA P., La predeterminazione, elastica o rigida, dell'orario di lavoro nel part-time) e cio� che nel contratto d� lavoro a tempo parziale sarebbero possibili clausole � elastiche � nella determinazione dell'orario con le quali le parti si limiterebbero a determinare la durata del periodo lavorativo senza specificarne la collocazione nell'unit� di tempo immediatamente pi� ampia. Se � vero infatti -come si legge nella stessa Cass. 2382/90 e in Cass. 21 aprile 1986 166 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO mese e all'anno. Copia del contratto deve essere inviata entro trenta giorni al competente ispettorato provinciale del lavoro �. Il Pretore premette che la Corte di cassazione ha dato a tale norma un'interpretazione che consente anche l'adozione di clausole �elastiche�, in virt� delle quali le parti si limitano a determinare la durata del periodo lavorativo senza specificarne la collocazione nell'unit� di tempo immediatamente pi� ampia, con conseguente facolt�, per il datore di lavoro, di determinare e variare unilateralmente, nel corso del rapporto, la collocazione temporale della prestazione lavorativa. Cos�. intesa, peraltro, la norma confliggerebbe con l'art. 36 della Costituzione, in quanto il potere dell'imprenditore di determinare e variare unilateralmente l'orario di lavoro nel rapporto a tempo parziale, rende impossibile al lavoratore di assumere e di programmare altre occupazioni al fine di percepire, con pi� rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva sufficiente a realizzare un'esistenza libera e dignitosa. Anche l'art. 38 della Costituzione risulterebbe violato da un simile assetto normativo, per il pregiudizio che esso determinerebbe alla posizione previdenziale e pensionistica del lavoratore. Dopo aver chiesto alla Corte di dichiarare l'illegittimit� costituzionale della norma impugnata, �nella parte in cui non specifica la necessit� che la distribuzione dell'orario sia precisata, oltre che rispetto al giorno, alla settimana, al mese e all'anno, altres� nella sua collocazione temporale nell'ambito della giornata�, il Pretore affronta il problema delle conseguenze da collegare alla presenza di clausole in cui manchi o sia insufficiente la determinazione della distribuzione dell'orario. Al riguardo, il Pretore deduce che tale ipotesi � equivalente a quella della clausola di distribuzione dell'orario priva di forma scritta e riferisce che la Cassazione, per quest'ultima ipotesi, ha ritenuto che la forma scritta � richiesta ad substantiam, n. 2797 (in Foro it., 1988, I, 1585; in Riv. it. dir. lav. 1986, II, 733 con nota di !CHINO ed in Riv. giur. lav. 1986, II, 9 con nota di ALAIMO) -che la caratteristica del lavoro part-time sta nella programmabHit� del tempo libero da parte del lavoratore per eventuali altre attivit� di lavoro. allora la clausola di parttime non pu� lasciare al datore di lavoro n� il potere di variare unilateralmente l'orario pattuito n� quello di decidere ad libitum quando utilizzare il lavoratore. Nell'affermare tale principio la Corte Costituzionale sottolinea che � il legislatore ha escluso, appunto, l'ammissibilit� di qualunque forma di contratto c.d. a chiamata o a comando (...) e di certo lo ha fatto -adottando una precisa formulazione letterale -con piena consapevolezza e con piena intenzione�. Quanto alle sorti del contratto con clausola part-time indeterminata la Corte Costituzionale condivide l'opinione del giudice a quo secondo cui dalla violazione di una norma imperativa posta al fine di tutelare H lavoratore contro la pattuizione di clausole vessatorie non pu� derivare la liberazione del datore di lavoro da ogni vincolo contrattuale; quindi esclude decisamente che PARTB :I; �SEZ. �l; GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 167 m1;1.:la ��. sua: mancanza .non���Pmducec.:altro� effetto che �quello :derivante��.dalla nitllit� del .contratto e~ art.2126 cod. civ. A questa .interpretazione si col� lega Ja second~ censura che il< giudice a. qua fo:rmula nei .confronti�� del riliede,sin:lq arfr 5, "lf#a simile��� disciplina;�infatti �-...;;. �� osse�tita �il Pretore di Firenz~ ~.appare detetmti�ar� una �rrazionale contraddizlo*1e conia volont�. . di . tut~la del. ia'v�tafofo a tei:ripcf );)afafale, .�ch� pu�'� isJ;>ifa fa stessa �),QtJ;ila l�glsllil.tiiia, �fondh.� tiri� ifratiotifile fuco�teriz� cbff 1a,���disdplina: prevfat� per te altre ip&tesi .� dfriiilll:t�. :P�tiiale defcd!lfrait6 di..favoro sl.tbor~ dmafo, sf da C�iifllgge�'e con gff MltC 3, 3cfe 38ct�ifo. Costituiione. �n 1~1~~~~~~~1r~i~!t~~�~1 prestazione : la~orati~a di fatto, . priva. di valido ~ttQ l!e11�tf(;pj, .ii che costi~ WJs�t;J ~~~f9f1e 4xi l?fmP.Pi c;o~t~~YP2I1a~i ~cwr~ 1ll~i~9gati. ��. � � . � < .:t.(i~terpr.et~~9n<;... c1et .. cita,t9 ;;p;t~ s, seS9PdR�wn:iwa�.alla .. quale. il g~.i::lice ~ q;t,tpJa riferi:cn,ento per.. Ia pril;)la.delltil< 4ue. ques'f;ioni .di costituzi9palit� sottoposte all'esame di questa Corte, � form.lata .ella. sentel}Za della Cassazione, sezione lavoro, 22 marzo 1990, n. 2382,Jn cul;:: in effetti, si legge che�� l'obbligo .. della:��distribuzione. dell'orario. stabilito :dal� citato art. 5 I; 86:3 del 1984 ... non implica la necessit� di determinare; oltre alla durafa Urtitaria, la disfocazidne temporale � della.� prestazione� �lavorattfa. DF>guisa che nel eonttatto individuale� possono��utilmente ��essere adbtfat� Clausole (cosiddette A rigide '') recanti l'indicazione� sia �della quantit� che della c&ll.ocazfone temporale cfolla prestazfone, owero clausole (cosiddette it elastiche "), cori. le quali le �parti . si �itnltari.b :�a :determinare la durata delperfod() lavorativo setiia spedficarne la disfocat�one 11eu�l.lmt~ �di tempo in:ihtediata:cn,ente pi� ampia �. dhlliindetermin�:t�:Zza della� dal.lsola � parMiml derlv� � J'applicazione dell'art; 2126 cod. Civ; SU! favore) di fatt�<ma -"" dopo aver richiamato molti casi di clausole del coi�tratto<di lavoro la cui nullit�, per difetto di forma o di contenuto, non si estende. � all'intero contratto �in q.anto � determil1a )a. c.d; copversione. in �un �I10PIIale� contratto di lavoro ,Ja Ccine non ac�oglieil stigge,ri.J,el1todel.gi..dice rimette.te di ritenere clie. anajqgq . effettq lit abbia : 11,e,ila. fattispecie .�in �.esame perch� . ritiene : di non .do:Versi. ingerire in.�op:l:i&iii intetpretativ� elle speti�iio ai giudicf ordinari. . . . Nel senso della presunzione di tempo pieno iii caso� di nullit� della clausola parHime si veda Cass .. 8 .aprile 1987, n. 3450, in Foro it. 1988, I, 1584; contra Cass. 11 agosto 1990 n.. 8169, in Notiz-., git.lr.-> lav. 1990, 487 in cui >Si nega la conversione in coptratto di lavoro atempo pieno, a meno che non. risu).ti voluta dalle parti, e si applica la disciplina del lavoro di fatto. In dottrina si veda da ultimo MoRGERA P., Lavoro a tempo parziale, in Enc. giur. Treccani Roma 1990, vol XVIII; MELE L., Il part-time Milano, 1990; PAGANO S;, Linee di tendenza del lavoro temporaneo, in Dir. Lav. 1990, I. 6L 168 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Questa interpretazione � stata assunta dal Pretore di Firenze a base e ad oggetto dell'ordinanza di remissione perch� ritenuta �diritto vivente �, in ragione dell'affermazione di essa da parte del Supremo Collegio. Occorre invece osservare che non sussistono le condizioni perch� l'emJ,t1ciato interpretativo in esame sia considerato idoneo a rappresentare .�un coni;olidato indirizzo giurisprudenziale. A questo ri.gual'do, � da rilevar(! che l'affermazione suddetta -che, peraltro, non risulta essere stata successivamente ripresa dalla giurisprudenza della Cassazione -non costituiva la ratio decidendi della richiamata prqnun.:z;ia, �ma rapppresentava un semplice obiter dictum. Il caso ~ottoposto al.l'esame. della Cassazione, infatti, riguardava contratti di lavoro a tempol?arziale ai quali, come si legge nella motivazione, la normativa impugnata n:on era �applicabile, essendo stati gli stessi conclusi prima della sua entrata in vigore. La stessa pronunzia, del resto, dichiara che non aveva alcuna rilevanza, nella fatt�spede ih esame, la questione relativa alla� dedotta essenzialit� della specifica deterfuinaziorie della collocazione temporale della prestazione� lavoratiVa. Se, quindi, nori Vi sono elementi per ritenere che l'interpretazione presupposta dal giudice� a quo si sia affermata come � diritto vivente�, vi � da osservare che . essa non appare imposta e neppur suggerita dai comuni canoni ermeneutici, mentre preminente rilievo deve essere riconosciuto, in qiiei>to. caso, al. criterio secondo cui, tra pi� significati possibili di una medesima disposizione, l'intel'Prete deve escludere quello. tra di essi, che non sia coerente con il dettato costituzionale. ~Ul piano letterale, la prescrizione secondo cui nel contratto di lavoro a tempo parziale devono. essere indicate, oltre alle mansioni, anche � la distribuzione dell'orario, con rifer�mento al giorno, alla settimana, al mese e all'anno � non appare poter essere intel'Pretata nel senso che il legislatore abbia considerato sufficiente l'indicazione della durata della prestazione lavorativa in riferimento ai . parametri temporali specificati nella norma {e tanto meno in riferimento ad alcuni soltanto di essi). Il ricorso al termine � distribuzione � ed il riferimento congiunto a tutti i parametri temporali denotano con chiarezza che il legislatore non ha considerato sufficiente che il contratto specifichi il numero di ore di lavoro al giorrip (ovil'ero il nUil'lero di giorni alla settimana, al mese o all'anno, ovvero il numero di settimane al mese o all'anno, ovvero il numero di mesi all'anno) in cui la prestazione lavorativa deve svolgersi, ma ha inteso stabilire che, se le parti� si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve es!�ere determinata la � distribuzione � e cio� la collocazione nel1' arco della giornata; se le parti hanno convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quello normale, la � distribuzione � di tali giorni nell'arco della settimana deve PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE essere preventivamente determinata; se le parti hanno pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente determinato dal contratto quali (e non solo quante) sono le settimane e i mesi in cui l'impegno lavorativo dovr� essere adempiuto. In definitiva, il legislatore ha escluso, appunto, l'ammissibilit� di qualunque forma di contratto c.d. a chiamata o a comando (ove, con tali formule si intenda far riferimento a rapporti nei quali il contratto individuale consente al datore di lavoro di decidere in modo unilaterale quando ultilizzare il singolo dipendente), e di certo lo ha fatto -adottando una precisa formulazione letterale -con piena consapevolezza e con piena intenzione, posto che simili figure contrattuali erano gi� presenti nell'esperienza di alcuni paesi europei e nel dibattito che aveva preceduto e accompagnato l'elaborazione del testo legislativo. L'ammissibilit� di un contratto di lavoro a tempo parziale nel quale sia riconosciuto il potere del datore di lavoro di determinare o variare unilateralmente, a proprio arbitrio, la collocazione temporale della prestazione lavorativa, sarebbe del resto in contraddizione con le ragioni alle quali � ispirata la disciplina di tale rapporto. Come ha giustamente rilevato la giurisprudenza della Cassazione, il rapporto di lavoro a tempo parziale �si distingue da quello a tempo pieno per il fatto che, in dipendenza della riduzione quantitativa della prestazione lavorativa (e, correlativamente, della retribuzione), lascia al prestatore d'opera un largo spazio per altre eventuali attivit�, la cui programmabilit�, da parte dello stesso prestatore d'opera, deve essere salvaguardata, anche all'ovvio fine di consentirgli di percepire; �con pi� rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva che sia sufficiente (art. 36, primo comma, della Costituzione) a realizzare un'esistenza libera e dignitosa�. E su tali rilievi la medesima giurisprudenza ha basato l'affermazione che �il carattere necessariamente bilaterale della volont� in ordine a tale riduzione nonch� alla collocazione della prestazione lavorativa in un determinato orario (reputato dalle parti come il pi� corrispondente ai propri interessi) comporta che ogni modifica di detto orario non possa essere attuata unilateralmente dal datore di lavoro in forza del suo potere di organizzazione dell'attivit� aziendale, essendo invece necessario il mutuo consenso di entrambe le parti� (Cass., sez. lav., 22 marzo 1990, n. 2382). � del tutto evidente, peraltro, che le stesse ragioni che escludono il potere del datore di lavoro di variare unilateralmente la pattuita collocazione temporale della prestazione lavorativa ridotta, conducono altres� ad escludere l'ammissibilit� di pattuizioni che attribuiscano al datore di lavoro un simile potere. Clausole di questo genere, infatti, farebbero venir meno la possibilit�, per il lavoratore, di programmare altre attivit� con le quali integrare il reddito lavorativo ricavato dal rapporto a tempo parziale. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 170 Tale possibilit� -come � stato osservato -deve invece essere salvaguardata, poich� soltanto essa rende legittimo che dal singolo rapporto il lavoratore possa ricevere una retribuzione inferiore a quella sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Sarebbe inoltre certamente lesivo della libert� del lavoratore che da un contratto di lavoro subordinato potesse derivare un suo assoggettamento ad un potere di chiamata esercitabile, non gi� entro coordinate temporali contrattualmente predeterminate od oggettivamente predeterminabili, ma ad libitum, con soppressione, quindi, di qualunque spazio di libera disponibilit� del proprio tempo di vita, compreso quello non impegnato dall'attivit� lavorativa. A questo riguardo non � superfluo ricordare quale particolare rilievo riveste il rapporto a tempo parziale per il lavoro femminile: per molte donne � questa, infatti, la figura contrattuale che rende possibile il loro ingresso o la loro permanenza nel mondo del lavoro, perch� consente di contemperare l'attivit� lavorativa con quegli impegni di assistenza familiare che ancor oggi gravano di fatto prevalentemente sulla donna. Ma � chiaro che queste esigenze verrebbero completamente obliterate ove fosse consentito pattuire la variabilit� unilaterale della collocazione temporale della prestazione lavorativa. Il significato proprio della rigorosa formulazione della norma legislativa appare pienamente coerente con la necessaria salvaguardia di tali principi e di tali esigenze. Non vi � quindi alcuna ragione n� alcuna possibilit� di attribuire alla norma stessa un'interpretazione tale da consentire la pattuizione di contratti di lavoro a tempo parziale nei quali la collocazione temporale della prestazione lavorativa nell'ambito della giornata, della settimana, del mese e dell'anno non sia determinata -o non sia resa determinabile in base a criteri oggettivi -ma sia invece rimessa allo jus variandi del datore di lavoro. La questione di costituzionalit� in esame -fondata su un'opposta interpretazione della norma -deve quindi essere drichiarata non fondata. La seconda questione di costituzionalit� investe, come gi� si � rilevato, la disciplina applicabile -secondo la giurisprudenza della Cassazione -al contratto di lavoro a tempo parziale privo della forma scritta richiesta dal comma secondo del citato art. 5, ipotesi alla quale il giudice a quo ritiene assimilabile quella della clausola di distribuzione dell'orario priva della necessaria determinatezza. Per il profilo che ha riguardo al difetto di forma scritta del contratto di lavoro a tempo parziale o della clausola di riduzione e di distribuzione dell'orario, la questione non pu� essere esaminata perch� priva di rilevanza nel giudizio a quo. Nel caso che il Pretore di Firenze deve decidere, infatti, il contratto era stato stipulato per iscritto e scritta era altres� la clausola che rego fARTE--I���SBZ;��I,GIURlSPRUDE!NZA��cosnTUZIONALE 111 ...� .. � � .. :: ... �...:::::.-:>-:. ��::. _::-:::.::-::::...:.:>�..::::. !~~!fisJlt~~~e~a:~:.r\1~c~==~!0~i:1i~t:t::~!=:!:~:1�%~~: tuitaattiep-eal SOllten.tp e non allll--forma _di_ t)Ssa�ed un'eventuale identit� ������.�� ᥥ,��ev<�;:: tali s@tlt~~~ n�l1>��mjtolge dirtttam~nte la soluztone interpretativa . pre ~=-1:::;;0:==~==: ;ssE:;En::-~~..;:;; 1111.t.i.,qu(;} _esclud.e#l;li tra pi� __ significati .possil:>ili di una-�lisposizione1 q�ello <;:})e ;llon .sia .�9~r~11Js: _�.on il c;'l�ttato__ �ostituzionl'}.le, cos,ic�h� -una legge nQn p.p. esse:cyi :rite!l.ta iny~~i�la, p~rcll~ ftlcQ.stitQzjonale, . fino. a quando ;Il~ s~~ ;t?RssiJ:>Jle, :w?-~interpret~j,ql1e_-�qstitw:i2v~_I.:iel1te co~forme. -�--.-�_--Net .caso dii nullit� d'.~lla c;;laJ.lsola di :ri<:tW:ione . e. distrib.zione del 11ma1t;t~t~fi8 non lo avrebbero� c()Acluso senza quella parte del suo _contenutd che � colpita dalla .nullit�/ --�. --�� --. -----------.--. ._-----_---.-� � da condividete l'opiniori:e del Prefore di Firenze, secondo cui sarebbe .palesemente irrazkma1e--che dalla -violaziQn� di t.Ula norma imperatiVa regolante-il� eontenuto del contratt�� di lavofo a �tempo parziale e posta proprio al fine di tutelare il lavoratore �ontro la pattuizione di clausole vessatorie; potesse derivare la liberazione del datore di lavoro ad -ogni --vincolo -contrattuale. Se. questi fossero gli effetti -della-norma RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in tiva in esame, essa di certo non sarebbe in sintonia con la Costituzione. Ma la .suddetta paradossale conclusione non � certamente imposta dall'ordinamento legislativo. L'art. 1419; �primo comma, infatti, non � applicabile rispetto ai contratto di lavoro, allorquando la nullit� della clausola derivi dalla contrariet� di essa a norme imperative poste a tutela del lavoratore, cos� come, pi� in generale, la disciplina degli effetti della contrariet� del contratto a norme imperative trova in questo campo (come anche in altri) significativi adattamenti, volti appunto ad evitare la conseguenza della nullit� del contratto. Ci�, in ragione del fatto che, se la norma imperativa � posta a protezione di uno dei contraenti, nella presunzione che il testo contrattuale gli sia imposto dall'altro contraente, la nullit� integrale del contratto nuocerebbe, anzich� giovare, al contraente che il legislatore intende proteggere. Cos� non si dubita che non si estende all'intero contratto la nullit�, per motivi di forma o di contenuto, del patto di prova {art. 2096 cod. civ.) o del patto di non concorrenza (articolo 2125), oppure del patto con cui venga attribuito al datore di lavoro un potere illimitato e incondizionato di variare unilateralmente le mansioni o il luogo di lavoro (art. 2103, secondo comma) ovvero della clausola appositiva di un termine alla durata del contratto di lavoro (legge 18 aprile 1962, n. 230), ovvero della clausola che preveda la risoluzione del rapporto di lavoro in caso di matrimonio (art. 1 legge 9 gennaio 1963, n. 7), e cos� via. Ed il medesimo assetto si registra anche rispetto a pattuizioni che incidono sullo stesso schema causale del contratto: cos� � per l'apprendistato (legge 19 gennaio 1955, n. 25 e successive modificazioni) e per il contratto di formazione lavoro (art. 3 decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726 e art. 8 legge 29 dicembre 1990, n. 407), posto che la nullit� delle relative pattuizioni -per motivi di forma o procedimentali ovvero per difetto delle condizioni sostanziali di ammissibilit� di tali figure contrattuali � -non � comunque idonea a travolgere integralmente il contratto, ma ne determina la c.d. conversione in un �normale � contratto di lavoro (o meglio, la qualificazione del rapporto come normale rapporto di lavoro, in ragione della inefficacia della pattuizione relativa alla scelta del tipo contrattuale speciale) senza che vi sia spazio per l'indagine oggettiva o soggettiva -circa la comune volont� dei contraenti in ordine a tale esito. Tutto ci�, del resto, rappresenta una naturale e generale conseguenza del fatto che, nel campo del diritto del lavoro -in ragione della diseguaglianza di fatto delle parti del contratto, dell'immanenza della persona del lavoratore nel contenuto del rapporto e, infine, dell'incidenza che la disciplina di quest'ultimo ha rispetto ad interessi sociali e collettivi -le norme imperative non assolvono �Solo al ruolo di condizioni di efficacia giuridica della volont� negoziale, ma, insieme alle norme PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE collettive, regolano direttamente il rapporto, in misura certamente prevalente rispetto all'autonomia individuale, cosicch� il rapporto di lavoro, che pur trae vita dal contratto, � invece regolato soprattutto da fonti eteronome, indipendentemente dalla comune volont� dei contraenti ed anche contro di essa. Non hanno quindi modo di trovare applicazione, in questo campo, quei limiti alla operativit� del principio di conservazione del rapporto che sono strettamente collegati all'identificazione nel contratto della fonte primaria del regolamento negoziale, come si verifica nell'ambito della disciplina comune dei contratti. E la violazione del modello di contratto e di rapporto imposto all'autonomia individuale d� luogo, di regola, alla conformazione reale del rapporto concreto al modello prescritto -per via di sostituzione o integrazione della disciplina pattuita con quella legale ovvero per via del disconoscimento di effetti alla sola disposizione contrattuale illegittima -e non gi� alla riduzione del rapporto reale ad una condizione di totale o parziale irrilevanza giuridica. L'art. 2126 cod. civ., del resto -come risulta dall'esame della giurisprudenza -ha sempre trovato applicazione rispetto ad ipotesi in cui la nullit� del contratto derivava dalla contrariet� a norme imperative riguardanti il fatto stesso della costituzione e dell'esistenza del rapporto (ad esempio, ipotesi in cui l'esercizio di una determinata attivit� lavorativa era condizionata all'iscrizione in un albo o elenco o al possesso di una determinata autorizzazione; ipotesi in cui l'instaurazione del rapporto era vietata da una norma di legge, come si verifica per le assunzioni senza concorso ove tale procedimento sia prescritto dalla legge a pena di nullit�; ipotesi di lavoro prestato da minori di et� inferiore a 14 anni; e cos� via) e non anche ad ipotesi di difformit� tra la disciplina del rapporto pattuita dalle parti rispetto a quella dettata dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Deve quindi escludersi che, nell'ipotesi di nullit� della clausola di riduzione e distribuzione dell'orario di lavoro che dia al datore di lavoro il potere di variare liberamente e unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, si possa verificare l'estensione della nullit� all'intero contratto. La configurazione da dare alla fattispecie che risulta da tale evenienza costituisce un problema suscettibile di una pluralit� di soluzioni, la scelta tra le quali dipende dalle caratteristiche del caso concreto ed anche da opzioni interpretative che spettano ai giudici ordinari e non alla Corte. Non pu� quindi trovare avallo, in questa sede, l'implicazione che il giudice a quo ha chiesto invece alla Corte di dichiarare, e cio� che in caso di nullit� della clausola di distribuzione dell'orario il rapporto si deve intendere a tempo pieno, con conseguente diritto alla retribuzione integrale per il periodo pregresso. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 22 giugno 1992, n. 289 -Pres. Corasaniti -Red. Baldassarre -Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Onufrio). Ordinamento Giudiziario -Magistrati -Procedimento disciplinare -Ria bilitazione ex art. 87 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 � Applicabilit� � Il legittimit� costituzionale. (Cost., art. 3; d.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3, art. 87; r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276). La specificit� costituzionale dello status di magistrato non consente l'automatica estensione ai giudici dell'istituto della riabilitazione cos� come previsto per gli impiegati civili dello Stato; pertanto � illegittimo, 1:er contrasto con l'art. 3 Cost., il combinato disposto formato dall'art. 87 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 e dall'art. 276 r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 nella parte in cui consente la suddetta estensione (1). (omissis) Investita di un procedimento disciplinare a carico del magistrato d'appello Giuseppe Renato Croce a seguito di un annullamento con rinvio di una stessa pronunzia di inammissibilit� operato dalla Corte di cassazione -Sezioni unite civili, la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura ha sollevato questione di legittimit� costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 87 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato) e dell'art. 276 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), dal quale si desume, secondo la Corte di cassazione, il principio di diritto relativo all'estensione ai giudici dell'istituto della riabilitazione, come previsto in caso di condanna nei procedimenti disciplinari posti in essere a carico degli impiegati civili dello Stato. Pi� precisamente, ad avviso del giudice a quo, l'applicabilit� ai magistrati della riabilitazione prevista dall'art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957 -basata sul rilievo che, trattandosi di un istituto di carattere generale non contrastante con le norme dell'ordinamento giudiziario e con lo status riconosciuto ai giudici, rientrerebbe tra � le disposizioni generali (1) Il trapianto della disciplina della riabilitazione ex art. 87 d.P.R. n. 3/1957 nel sistema disciplinare previsto per i magistrati d� luogo secondo la Corte ad un � irragionevole innesto � considerata l'eterogeneit� del procedimento disciplinare degli impiegati, avente natura amministrativa, e di quello dei magistrati, il quale si svolge invece secondo moduli giurisdizionali. Sul procedimento disciplinare degli impiegati si veda C. Cost. 2 febbraio 1990 n. 40 e 4 aprile 1990 n. 158 in Giur. cost. 1990, pagg. 142 e 979; sulla peculiarit� del procedimento disciplinare dei magistrati si veda C. Cost. 22 giugno 1976, n. 145, ivi, 1976, 975. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE relative agli impiegati civili dello Stato �, estensibili ai giudici ai sensi dell'art. 276, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941 -si porrebbe in conflitto con le seguenti disposizioni costituzionali: a) art. 101, secondo comma, della Costituzione, che, nello stabilire che i giudici sono soggetti soltanto atla legge, dispone una � riserva di giurisdizione�, fa quale precluderebbe ai magistrati, in sede di interpretaziort� �e �di applicazione delle leggi, di porre ��in� ~~sere attivit� sostanzialmente normative, contrar�amente a quanto nel caso avrebbe compiuto la Corte di cassazione, allorch� ha attribuito ai Consigli giudiziari poteri nuovi e ha istituito sub-procedimenti non previsti dalle leggi; b) artt. 101 e 104 della Costituzione, che, nel garantire l'indipendenza della magistratura tanto come potere investito della funzione giurisdizionale quanto come ordine autonomo, vieterebbero di applicare ai magistrati un istituto, come la predetta riabilitazione, il quale avrebbe unq spiccato carattere discrezionale -. finalizzato, per di pi�, . all'interesse particolare del buon andamento della pubblica amministrazione -e comporterebbe, cos� come risulta delineato nell'interpretazione contestata, che un organo giurisdizionale, la Sezione disciplinare, sia sottoposto al parere praticamente vincolante di un organo amministrativo, il Consiglio giudiziario; e) art. 105 della Costituzione, il quale, nell'attribuire al Consiglio Superiore della .Magistratura il potere disciplinare nei riguardi dei giudici, precluderebbe di . riconoscere ai Consigli giudiziari un parere praticamente vincolante in relazione alle decisioni della Sezione disciplinare a pena della violazione della competenza in materia disciplinare attribuita �alla Sezione stessa; d) art. 3 della Costituzione, che, nel vietare ingiustificate disparit� di trattamento e irragionevoli parificazioni di posizioni obiettivamente differenziate, impedirebbe di equiparare, contrariamente a quanto sostenuto nell'interpretazione contestata, la posizione degli impiegati civili dello Stato e lo status dei magistrati, status che, ad avviso del giudice a quo, giustificherebbe, in ragione delle diversit� attinenti alla configurazione del procedimento disciplinare e alla natura del rapporto di servizio relativi alle categorie considerate, la mancata previsione per i magistrati di un istituto del tipo della riabilitazione regolata dall'impugnato art. 87. La questione va accolta in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal momento che la specificit� costituzionale dello status del magistrato, che si riverbera sulla configurazione legislativa del procedimento disciplinare e, quindi, sul regime normativo degli atti incidenti sulle sanzioni irrogate con quel procedimento, impedisce di considerare le situazioni poste a confronto come omogenee e preclude, pertanto, la possibilit� di RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 176 un.~aut�matica estensione ai.giudici dell'istituto della riabilitazione previsto per gli impiegatLcivili dello Stato. Come questa Corte ha pi� volte affermato, non si pu� negare che la G�>stit.zione, anche. sotto profiliattinenti alla materia sottoposta al present~ giuclizio, s~~l:lilisce _principi comuni, valevoli tanto per il publ? li<::9:.. i.ipiegl;lt() q.ant<t per n magistrato. In tema di responsabilit� dei p\t~l:ll~ci ft.;lzfqnip:{ questa.-Corte,. sin dalla sentenza n. 2 del 1968, ha affe)?~i;i.tC> che _l'art'.~8 della Costituzione pone principi applicabili a tutti coforo -che syqlgon,9 attivit~ statali, inclusi i magistrati. E, con specifico riferimento al prog~dimento disciplinare, la stessa Corte (v. sent. n. 145 del 1976) ha afferriiat~ che, tanto per i funzionari statali quanto per i magiSfrati;qriel pi'Oc�diniento dev'esser legisfatfvamente determinato sulla base di>urta vat�tazirine conipaiativa di due contrapposti interessi: il prestigio della f�nZione esercitata e� una giusta tutela dei diritti dei singoli dipendenti -pubblici. --TUtta'via; nel n:iec:lesirtl.o tertl.po, qu�sta Corte ha precisato che il eoniune aspet-t� dffondo, dipendente dal fatto che ambedue le categorie ihteressate sorio legate da un rapporto di servizio pubblico con lo Stato e svolgoil� attivit� in 1lortl.e e per �onto dello Stato medesimo, non impedisce � e, anzi, impone al legislatore di considerare, nell'ambito di un esercizio non irragionevole della sua discrezionalit� politica, le differenze e le peculiarit� che debbono indurre a disciplinare diversamente, sotto vari aspetti;J-0 status e icom:Piti dei magistrati rispetto a quelli degli altri_ dipendenti pubblici. Un trattamento .differenziato dei giudici �, infatti; imposto dalla stessa Costituzione, la quale, agli articoli da 101 a 1131 prevede. apposite. disposizioni dirette ad assicurare, a garanzia dell'autonomia e dell'imparzialit� di una funzione di vitale importanza per l'esistenza e l'att.azione di uno Stato di diritto, la pi� ampia tutela dell'indipendenza dei giud,ici, considerati sia come singoli soggetti sia come ordine. gh:i,diziario'. A questi principi costituzionali, che comportano momenti di disciplina comune e momenti di differenziazione, il legislatore si � essenzialmente attenuto allorch� _ha regolato il procedimento disciplinare per i dipendenti civili dello Stato e quello per i magistrati. Il fqnd;u:.ento costituzjqnale di entrambi i procedimenti, come s'� gi� precisatq, � il medesimo: assicurare, nel rispetto del principio di legalit�, l'interesse pubblico, riconosciuto in via generale dall'art. 97 della Costituzione, al buon andamento e all'imparzialit� delle funzioni statali (v. sentt. nn. 86 del 1982 e 18 del 1989) in bilanciamento con i diritti, costituzionalmente rilevanti, dei singoli dipendenti (v. sent. n. 145 del 1976). Ma, in relazione ai magistrati, l'uno e l'altro termine del bilanciamento assumono una qualificazione ulteriore del tutto peculiare, dovuta al fatto che, per un verso, l'interesse pubblico sopra enunciato consiste in tal caso nell'assicurazione del regolare e corretto svolgimento della funzione PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE giurisdizionale, vale a dire di una funzione che gode in Costituzione di una speciale garamJia di indipendenza e di autonomia rispetto a ogni altra funzione pubblica :(art. 101, secondo comma: �I giudici sono soggetti soltanto alla legge�; art. 104, primo comma: �La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere�); e, per altro verso, l'interesse costituzionale alla tutela dei diritti dei singoli dipendenti pubblici dev'essere commisurato, nel caso dei giudici, alla salvaguardia pi� rigorosa del dovere di imparzialit� e della connessa esigenza di credibilit� che si collegano all'esercizio di una funzione essenziale, come quella che la Costituzione affida ai magistrati nel quadro dei principi dello Stato di diritto (v. spec. sent. n. 145 del 1976, nonch� sent. n. 100 del 1981). Queste peculiarit� costituzionali hanno avuto un'attuazione legislativa attraverso le norme che regolano il procedimento disciplinare per i magistrati, le quali sono sostanzialmente difformi da quelle che regolano il procedimento disciplinare per gli impiegati civili dello Stato. Quest'ultimo, infatti,� � configurato dalle leggi vigenti come un procedimento amministr: ativo, che, sebbene tenda a riconoscere uno spazio sempre maggiore a principi di razionalizzazione delle procedure ispirati ai modelli giurisdizionali (v. sentt. nn. 971 del 1988, nonch� sentt. nn. 40 e 158 del 1990), sfocia in un provvedimento di carattere non giurisdizionale, adottato da un'autorit� amministrativa superiore e soggetto al regime delle impugnazioni proprio degli atti amministrativi. Il procedimento disciplinare legislativamente previsto per i magistrati, invece, consiste in � un giudizio che si svolge secondo moduli giurisdizionali�, al quale sono applicabili, in quanto compatibili, le disposizioni sul processo penale relative all'istruzione e al dibattimento; la cui decisione � demandata a un collegio composto in prevalenza da �pari � ed espressione, comunque, di un organo, quale il Consiglio Superiore della Magistratura, appositamente istituito dalla Costituzione a tutela dell'indipendenza dei giudici e dell'autonomia dell'ordine giudiziario (v. sent. n. 145 del 1976); e la cui pronunzia � sottoposta a un regime di impugnazione costituito dal ricorso diretto alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, oltre ad essere soggetta a revisione secondo modalit� e a condizioni non dissimili da quelle previste per l'analogo istituto processuale penale. In definitiva, la scelta legislativa di configurare il procedimento disciplinare per i magistrati secondo paradigmi di carattere giurisdizionale mostra chiaramente che quest'ultimo costituisce un procedimento struttutalmente e funzionalmente diverso da quello previsto per gli impiegati civili dello Stato. In esso, infatti, come questa Corte ha gi� avuto modo di precisare (v. sent. n. 145 del 1976), la scelta di moduli giurisdizionali -pur se indebolita nella legislazione vigente da una grande latitudine della previsione degli illeciti disciplinari e, conseguenzialmente, da 'un ampio margine di discrezionalit� dell'organo decidente -risponde �al RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 178 l'esigenza di una pi� rigorosa tutela del prestigio dell'ordine giudiziario, che rientra senza dubbio tra i pi� rilevanti beni costituzionalmente protetti �, Le differenze ora sottolineate sussistenti tra il procedimento disciplinare per i magistrati e quello per gli impiegati civili dello Sfato si riflettono inevitabilmente sulla disciplina legislativa degli istituti, tra i quali rientra la riabilitazione, destinati a incidere sulle sanzioni disciplinari al fine di farne cessare gli effetti. Nel regolare la riabilitazione a favore degli impiegati civili dello Stato colpiti da sanzione disciplinare, l'art. 87 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, att;ribuisce ad essa la configurazione di un atto amministrativo. La riabilitazione, infatti, � adottata con decreto ministeriale, sentiti il Consiglio di amministrazione e la Commissione di disciplina; pu� essere concessa all'impiegato rimasto in servizio a partire dal compimento del secondo anno successivo alla data dell'atto con cui fu inflitta la sanzione disciplinare, semprech� l'impiegato abbia riportato negli ultimi due anni la qualifica di �ottimo�; puo render nulli gli effetti della sanzione, con esclusione di qualsiasi efficacia retroattiva, ed, eventualmente, pu� comportare la modifica dei giudizi complessivi riportati dall'impiegato dopo la sanzione e in conseguenza di questa. Si tratta, insomma, di un atto amministrativo di perdono, non legato a eventi eccezionali o straordinari, con il quale 'l'autorit� ammin~strativa di vertice nel settore considerato, in base a una valutazione complessiva dell'interesse della pubblica amministrazione da essa diretta, decide di cancellare gli effetti di una sartzione disciplinare a seguito della buona condotta dimostrata successivamente dall'impiegato che era stato colpito dalla sanzione stessa. Cos� come � regolata dall'art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957, la riabilitazione non pu� essere automaticamente estesa alle sanzioni disciplinari irrogate ai magistrati in conseguenza del ben diverso procedimento previsto per questi ultimi. Considerata l'eterogeneit� della disciplina legislativa dell'uno e dell'altro procedimento disciplinare, il trapianto della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato nel sistema disciplinare stabilito per i magistrati d� luogo a un irragionevole innesto e, come tale, si pone in manifesto contrasto con il principio disposto dall'art. 3 della Costituzione. Del resto, se si pu� ammettere che la riabilitazione, come istituto in s� considerato, sia espressione di un principio generale e di un'esigenza che, ancorch� non rispondenti ad alcuna norma costituzionale, possono comunque trovar applicazione anche all'interno di un sistema disciplinare ispirato a paradigmi giurisdizionali, come quello previsto per i magistrati, ci� non pu� significare affatto che la raffigurazione di quell'istituto generale sia perfettamente rispecchiata nella particolare fattispecie regolata dall'impugnato art. 87. Infatti, se � ben vero che in ciascuna delle forme di riabilitazione previste nell'ordinamento vigente -se PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE gnatamente sia nella riabilitazione penale (art. 178 c.p.) e in quella civile (art. 466 e.e.), sia nella riabilitazione dei pubblici impiegati (art. 87, del d.P.R. n. 3 del 1957) e in quella del fallito (artt. 142-145 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) -si riscontra un nucleo normativo comune, tanto con riferimento ai presupposti per l'applicazione (decorso del tempo e valutazione della buona condotta) quanto cori riferimento agli effetti (estinzione di specifiche incapacit� giuridiche e di effetti ulteriori rispetto alla sanzione principale della condanna), non � meno vero che ciascuna delle forme di riabilitazione indicate costituiscono un modello a s�, composto da una diversa combinazione e da una diversa determinazione degli elementi essenziali sopra ricordati. E non vi � dubbio che la scelta di un modello ovvero di un altro e, persino, la scelta di affidare alla riabilitazione ovvero a meccanismi diversi l'eliminazione degli effetti ulteriori della condanna disciplinare spettano al legislatore, il quale, nelresercizio non irragionevole della sua di:screzionalit� politica, deve valutare quale istituto o quale modello sia pi� coerente con il sistema disciplinare considerato. Le suesposte considerazioni portano, dunque, a escludere che l'art. 87 del d.P.R. n. 3 del 1957 possa rientrare tra �le disposizioni generali relative agli impiegati civili dello Stato�, che, in quanto non contrarie all'ordinamento giudiziario e non incompatibili con lo status riconosciuto ai giudici, sono applicabili, ai sensi dell'art. 276 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, anche ai magistrati dell'ordine giudiziario. p.q.m. dichiara l'illegittimit� costituzionale del combinato disposto formato dall'art. 87 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato), e dall'art. 276 del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti da sanzione disciplinare. CORTE COSTITUZIONALE, 8 luglio 1992, n. 315 -Pres. Corasaniti -Red. Pescatore -CODACONS (avv. Rienzi, Canestrelli e Lo Mastro); ANIA (avv. Pace); Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Fiumara). Corte Costituzionale � Giudizio di legittimit� costituzionale in via inciden� tale � Soggetti legittimati a costituirsi -Terzi rimasti estranei al giudizio a quo � Legittimazione -Condizioni. Nei giudizi di legittimit� costituzionale in via incidentale sono legittimate a costituirsi soltanto le parti del giudizio a quo che, al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell'ordinanza di rimessione, 180 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO avevano tale qualit�, fatta eccezione nel caso di giudizio di costituzionalit� direttamente incidente su posizioni giuridiche soggettive quando non vi sia stata la possibilit� per i titolari delle medesime posizioni di difenderle come parti nel processo a quo (1). (Omissis) Si � costituito in giudizio il CODACONS (Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori), il quale ha chiesto che la proposta questione di legittimit� venga dichiarata fondata. Ha depositato atto di costituzione l'A.N.I.A. (Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici). Precisando di essersi costituita nel giudizio a quo il 21 marzo 1992 e di conoscere la giurisprudenza di questa Corte che nega la legittimazione ad intervenire nel giudizio di costituzionalit� ai controinteressati che non si siano costituiti prima dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione. L'A.N.I.A. chiede tuttavia di essere ammessa, eventualmente previa sollevazione da parte della stessa Corte della questione di legittimit� costituzionale degli artt. 23, terzo comma, e 25 della legge n. 87 del 1953 (cos� come interpretati dalla sentenza n. 220 del 1988). La situazione di specie, osserva l'A.N.I.A., non pu� non ricollegarsi al diritto di agire e di difendersi in giudizio, protetto dall'art. 24 della Costituzione, cui la Corte ha riconosciuto valore di principio supremo. Del resto, riconoscere che il giudizio di costituzionalit� � fondato sulla ragionevolezza e sul bilanciamento dei valori comporta -soprat (1) Il principio secondo il quale nei giudizi di legittimit� costituzionale in via incidentale sono legittimate a costituirsi sole le parti del giudizio a quo (da ultimo sent. 11 luglio 1991 n. 333 in questa Rassegna, 1991, 172; sent. 8 feb� braio 1991, n. 63 in Giur. cost. 1991, 455) subisce alcune deroghe quando i terzi rimasti estranei al giudizio a quo, perch� non potevano parteciparvi, non hanno altra possibilit� di far valere le loro ragioni direttamente pregiudicate dalla eventuale pronuncia di incostituzionalit�. Al iriguardo si segnalano la sent. 27 novembre 1991, n. 429, Giur. cost., 1991, 3620 in cui si ammette l'.interv�ento di un soggetto portatore di un interesse connesso alla prospettazione della questione di legittimdt� (nella specie si trattava del preteso padre naturale intervenuto riguardo al profilo di incostituzionalit� relativo alla esclusione del padre natural.e dal novero dei soggetti legittimati a promuovere l'azione di disconoscimento); la sent. 4 febbraio 1982. n. 20, ivi, 1982, 18-8, in cui si afferma che quando l'incidente di costituzionalit� viene sollevato dalla stessa Corte e per effetto della relativa prospettazione nasce l'interesse a costituirsi, prima inesistente (tanto che sarebbe stato escluso l'intervento nel giudizio di merito) la legittimazione ad intervenire nel giudizio di costituzionalit� prescinde dalla qualit� di parte nel processo a quo; la sent. 1� luglio 1992 n. 314 in cui � stato ammesso l'intervento di un soggetto che sarebbe stato legittimato ad in� tervenire nel giudizio a quo, in quanto titolare di un interesse dipendente da quello che costituiva l'oggetto della controversia, ma non ha potuto parteciparvi perch� non ne � venuto a conoscenza. PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA� COSTITUZIONALE 181 tutto come indispensabile arricchimento delle rationes decidendi -la partecipazione di tutti coloro che sono interessati in senso sia formale che sostanziale. Nel merito, l'A.N.I.A. sostiene che la censura proposta �. infondata perch� muove clall'erron~a classificazione delle tariffe per la responsa� bilit�. civile automobilistica tra le.. prestazioni imposte a norma dell'art. 23 Cost. Ma quand'anche si volesse accedere a tale impostazione, il dubbio di costituzionalit� sarebbe comunque infondato. La previsione di una Commissione consultiva composta soltanto di tecnici od esperti (oltre che da rappresentanti del ministero dell'industria, commercio e artigianato e daU1I.N.A.), mira prc>prio .a soddisfare pienamente la riserva relativa di legge della norma costituzionale, mediante l'osservanza di cri� teri obiettivi e. con la salvaguardia dell'iniziativa economica delle imprese assicurative. � intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso� dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che si dichiari l'infondatezza della questione. La composizione della Commissione -si afferma -assicura una valutazione obbiettiva, comprendendo .. rappresentanti pubblici ed esperti indipendenti e dotati di competenza specifica. Del tutto irrilevante appare per converso l'assenza di rappresentanti delle categ()rie di utenti: la rappresentanza ncm � infatti da ritenersi indispensabile, q:uando sussista una sufficiente garanzia di effettiva e obbiettiva ponderazione degli interessi contrapposti. Considerato in diritto Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento all'art. 23 della Costituzione, questione di legittimit� dell'art. 11, sesto comma, della 1egge 24 dicembre 1969, n. 990 (Assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), modificato dalla legge 26 febbraio 1977, n. 39 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 di� cembre 1976, n. 857, concernente modifica della disciplina dell'assicurazione obbligatoria della responsabilit� civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti), nella parte in cui, prevedendo -in sede di approvazione da parte del Comitato interministeriale prezzi delle tariffe dei premi e delle condizioni generali di polizza relative all'assicurazione della responsabilit� civile per i danni causati dalla circolazione degli autoveicoli -l'intervento di una apposita Commissione ministeriale, in luogo della Commissione centrale prezzi, ne determina la composizione in modo meno garantistico rispetto a quest'ultima. Deve anzitutto dichiararsi inammissibile la costituzione nel presente giudizio dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici (A.N.I.A.), che nel giudizio a quo si � costituita soltanto dopo l'emanazione dell'or ..~~,...�' wr7::,�,-~,~ 182 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dinanza di rimessione. Anche nei confronti di tale associazione era stato proposto e notificato il ricorso iniziale. L'A.N.I.A. invoca, in questa sede, l'osservanza del diritto di difesa s�nc.\to dall'art. 24 della Costituzione, con particolare riferimento all'emergere dell'interesse a contraddire proprio a seguito della conoscenza -per il tramite della Gazzetta Ufficiale -della proposta questione di legittimit� costitt1zionale. Questa Corte ha costantemente affermato che nei giudizi di legittimit� costituzionale in via incidentale sono legittimate a costituirsi soltanto le parti del giudizio a quo che, al momento del deposito o della lettura in dibattimento dell'ordinanza di rimessione, avevano tale qualit� (tra le altre, v. sent. nn. 63 del 1991, 124 del 1990, 220 �e 1022 del 1988). Al principio si � derogato nel caso di giudizio direttamente incidente su posizioni giuridiche soggettive, quando non vi sia la possibilit� per i titolari delle medesime posizioni di difenderle come parti nel processo stesso;� :i:!. stata, cos�, ammessa la costituzione nel giudizio incidentale di legittimit� della parte non. costituita nel giudizio a quo, quando: a) viene sollevata una questione dalla cui risoluzione dipende l'intervento in questo giudizio del soggetto che ha chiesto di costituirsi nel processo costituzionale (sent. Ii. 429 del 1991); b) l'interesse a stare nel giudizio di costituzionalit� sorge dall'ordinanza di rimessione, con la quale la stessa Corte ha sollevato questione di legittimit� cost�tuzionale di fronte a se medesima (sent. n. 20 del 1982); c) l'interesse di cui � titolare il soggetto, pur se formalmente esterno� rispetto ad un giudizio cautelare, inerisca immediatamente al rapporto sostanziale, rispetto al quale -con riguardo alla concreta formulazione da parte del giudice rimettente della questione di costituzionalit� -un'eventuale pronuncia di accoglimento eserciterebbe una influenza diretta, tale da produrre un pregiudizio irrimediabile della posizione soggettiva fatta valere. Se, in tali casi, non si ammettesse la costituzione, si darebbe luogo ad un giudizio direttamente incidente su situazioni soggettive, senza la possibilit� per i titolari di � difenderle � come parti nel processo stesso (sent. n. 314 del 1992). Del tutto div�rso � per contro il caso di specie. La questione di legittimit� costituzionale sollevata dal Tirbunale amministrativo regionale per il Lazio era infatti gi� proposta, sia pure in via subordinata, nel ricorso introduttivo, in concorso con altre questioni, di pari natura. L'A.N.I.A., anche nei confronti della quale, come si � gi� detto, era stato proposto il ricorso introduttivo, si � trovata quindi nella condizione di poter tempestivamente valutare il proprio interesse e decidere le modalit� di difesa dello stesso, con riferimento ai profili di legittimit� dellt;i norme. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 183 La questione di legittimit� costituzionale sollevata dall'ordinanza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio � a sua volta inammissibile. Tale Tribunale ha emanato l'ordinanza di rimessione dopo aver pronunciato la sentenza parziale recante la stessa data. Con detta sentenza il giudice amministrativo aveva respinto la censura rivolta contro il d.m. 14 gennaio 1989, riconoscendo che il ministero dell'industria, commercio e artigianato si era correttamente attenuto alla legge nel comporre la Commissione ministeriale prevista dall'art. 11, sesto comma, impugnato. Con la decisione il Tribunale amministrativo regionale ha definito quello che era l'unico oggetto del giudizio, esaurendo di conseguenza la propria cognizione. L'ammettere la questione sollevata dopo la decisione del merito della causa si porrebbe in contraddizione evidente col carattere incidentale del giudizio sulla legittimit� costituzionale delle leggi. (Omissis) CORTE COSTITUZIONALE, 15 luglio 1992, n. 329 -Pres. Corasaniti -Red. Mengoni -Soc. CONDOR e FILVEM (avv. Morbidelli e Vincenzini) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato D'Amato). Procedimento civile -Atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti ad uno Stato estero . Autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia . Applicabilit� a beni diversi da quelli sottratti a misure coercitive secondo il diritto internazionale � Illegittimit� costituzionale in parte qua. (Cast., art. 24; r.d.l. 30 agosto 1925 n. 1621, articolo unico). E illegittimo, per contrasto con l'art. 24 Cost., l'articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621 (Atti esecutivi sopra beni di Stati esteri nel Regno), convertito nella legge 15 luglio 1926, n. 1623, nella parte in cui subordina all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti ad uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive (1). (1) � certamente mutato il contesto di diritto internazionale che trent'anni fa aveva indotto la Corte a giudicare legittima la norma in esame (sent. 13 luglio 1963, n. 135, in Giur. cast. 1963, 1494). Oggi, vigendo il principio della c.d. immunit� ristretta o funzionale della giurisdizione, la suddetta norma non rigua!'da i beni di Stati esteri destinati all'esercizio di f1.mzioni pubbliche i quali sono immuni ex se da misure coercitive in virt� della norma di adattamento al diritto internazionale ex art. 10 Cost. e senza condizione di reciprocit�. Pertanto, come affermato dalla Cassazione 184 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Il T.A.R. del Lazio mette in dubbio, in riferimento agli artt. 3, 23, 24 e 41 Cost., la legittimit� costituzionale dell'articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621, convertito nella legge 15 luglio 1926, n. 1263, secondo cui � non si pu� procedere al sequestro o pignoramento e, in genere, ad atti esecutivi su beni mobili o immobili, navi, crediti, titoli, valori e ogni altra cosa spettante a uno Stato estero, senza l'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia �, sempre che si tratti di uno Stato che ammette la reciprocit�, la quale deve essere dichiarata con decreto del Ministro. In un passo della motivazione il giudice remittente lamenta che nella legge denunciata non � sia prevista alcuna forma di ristoro per il pregiudizio sub�to dal destinatario del diniego di autorizzazione �, ma non se ne pu� argomentare che il petitum dell'ordinanza, non definito nel dispositivo, miri a una sentenza dichiarativa di illegittimit� costituzionale della legge nella parte in cui non prevede l'obbligo dello Stato italiano di corrispondere un congruo indennizzo al creditore cui � stata preclusa la tutela cautelare o esecutiva del suo diritto. Valutato nel contesto in cui � inserito, il passo citato non svolge un argomento autonomo (nel quel caso il giudice non avrebbe mancato di richiamare l'art. 42, terzo comma, Cost.), bens� ha la funzione di rafforzare l'argomentazione precedente, volta a dimostrare la violazione dei principi di eguaglianza e di razionalit� in relazione al principio della tutela giurisdizionale dei diritti: argomentazione che porta coerentemente a un giudizio di radicale illegittimit� costituzionale della norma impugnata. L'Avvocatura dello Stato eccepisce l'inammissibilit� della questione sul riflesso che l'obbligazione assunta dalla Repubblica federale della Nigeria verso le imprese ricorrenti non deriva da un atto compiuto in veste di privato contraente, ma � da un intervento diretto ad attuare la moratoria del debito estero nell'esercizio di poteri sovrani di governo�, e come tale sarebbe sottratta alla giurisdizione italiana. (Sez, Un. 25 maggio 1989 n. 2502 in Riv. dir. int. priv. e proc., 1990, 663 e Sez. Un. 23 agosto 1990 n. 8568, ivi, 1992, 67) l'autorizzazione ministeriale riguarda solo le procedure esecutive o cautelari su beni non destinati a fini pubblici dello Stato estero. Ed � per questo motivo che la Corte, non essendo stato richiamato l'art. 10 Cost. dal giudice a quo, ha ritenuto di dover emettere una pronuncia di illegittimit� in parte qua che tuttavia non lascia alcun margine di effettiva operativit� alla norma stante il suddetto adattamento al principio dell'immunit� ristretta e il citato orientamento della Cassazione. In argomento, per qualche analogia, si segnala Cass. Sez. Un. 18 maggio 1992, n. 5942, di prossima pubblicazione su questa Rassegna, che, mutando orientamento rispetto a Cass. Sez. Un. 18 ottobre 1982 n. 5399, ha affermato l'mmunit� assoluta della FAO dalla giurisdizione del giudice italiano riguardo ad una controversia di lavoro. l'ARTB I, SEZ. I; GIURISPRUDENZA COSTI'ttJZIONALE L'ecqezione non pu� essere accolta. Nella sfera dei poteri sovrani e di govemodello Stato< n�geriano :tientran<>ikprovvedimento di moratoria deLdebito esterp e1 il �piano� succes.sivameh.te predisposto di ripianamento dei debiti�e>ntfatti <:la oper~tori nigeriani 'Verso fornitori. esteri. fino.al 3l���.dii.:e~br~���l9$~�����~o~ ��pentrar19~�. �.in,ve~1.�.le�� proroe$se�ᥥdi ��pagamento��.che; )��~V�i;:~itt: e�.. pertanto�� sog~eti���alfa�� giuris<lizione..italiana � .���~6~.�i~1;~~~f"~�~:;:=b:!����t91~;;:~~~~!i~:~;n:a.d~a!::11::!~:~:�.. ~~~ t;() la llAAc~ centJ:aie !:!ella Nigeria (salva .. la� diversa nat~a:dei �beni su criiera ~til,ta �J.estala misura cautelare). A ulteriore conforto pu� �.essere licl,1i�tn~t~ la ~ez.J (3 b) dello. ~t<lte, Immun�tyr Act brUannico del� 20 lu. ��:Ufi~~t�h:td~r'~l=����tiX:&.~i~b{lb~:~~=~~=:::'�a~::~os;:.�:!: Stato ester()J e le $'arai..ie prestate per illoro adempimento>� Lf! questfo�i e ~l)n(fata�/ . . .� . L'immunit� deglLStati esteri dala giurisdizione cautelare ed esecutiva dello; $tata d�l fbro non �iun �. seII1plice prolringamento. dell'immunit� ~IagiUrlsdizi()ne di cognizione; In anni norilontani, al caratteterelativo dell'bn.Ufiit� dalla cognizione sko;pponeva; nella pi�f diffusa convinzione giundica.��degli Stati;; il carattere (ahnefto tendenzialmente)assoluto�� dell'immunit� dall'esec'UZi�ne; . Nell'tt1tim� ti'entenni� sL � �.determinata pro. gressivamente ~n'inversione �di� tendenza,.... soprattutto. n�i ���paesi di �cu1� tura europea; per cui non � pi� oggi riconoscibile una nonna intei:nazfo. nale non. scritta: �.. di.� divieto �assoluto di misure � coercitive sit beni. appar� tenenti a Stati stranieri. L'argomento pi� frequente con cui viene giustificata la restrizione de:trimmu,riit� . ari.che��. in questa � materia .�<.� di l�gica . pratica,. e ��nella ��recente .. giurispl:'ild:enza della�nostr.a.�Corte di cassazi:one si trova �cos~for~ rilulatoi �Se ni;>n �ipera l'immunit�� da:llagiurisdizi�ne�� di cogniZione .per le�� a.ttivit� �iure pri-vatorum; � non deve� egualmente �.operare l'immunit�� in ordine ali'esecltlzione forzata� della sentenza che' ha riconosciuto la pretesa del privato; qualora l� Stato straniero rifiuti di adempiere� Diversamente la sentenza verrebbe a. perdete la sua forza;la sua> stessa .. essenza, e inoltre si rivelerebbe pressdcch� inutile consentire riei confronti degli Stati esteri la giurisdizione di cognizione pure nelle limitate ipotesi in cui � ammessa attualmente � (Sez' un., . n. 2502 del 1989)� L'argomento si adatta anche alle misure . cautelari; che hanno la funzione di conservare la ga. ranzia patrimoniale deLeredito: il rilievo della loro maggiore attitudine, rispett� a quelle di esecuzione, a turbare i rapporti tra gli Stati, sugge� risce una. rigorosa� :Cautela nel concederle, ma. non. vale ad escluderle in linea di principio. 186 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO- L'immunit� dall'esecuzione conserva per� un ambito normativo pi� ampio di quello in cui opera l'immunit� dalla giurisdizione: per negarla non basta un titolo esecutivo efficace nel territorio dello Stato del foro, oppure, se � chiesta una misura cautelare, la soggezione del rapporto controverso alla cognizione delle corti di questo o di altro Stato, ma , Ioccorre altres� che i beni investiti dalla domanda di sequestro o dal procedimento esecutivo non siano destinati aLl'adempimento di funzioni pub� bliche {iure imperii) dello Stato estero. Cos� intesa, l'immunit� ristretta '(o funzionale) in materia cautelare ed esecutiva, verso la quale la giurisprudenza italiana si era orientata gi� nel primo dopoguerra (cfr. Cass., s.u., 13 marzo 1926, n.. 729), � stata affermat�, per esempio, dalla Corte di cassazione francese a partire dagli arrets Englander dell'H febbraio 1969 e Clerget del 2 novembre 1971, dalla Corte costituzionale della Germania federale con le sentenze 13 dicembre 1977 (in una causa contro la Repubblica delle Filippine) e 12 aprile 1983 (in una causa contro la National Iranian Oil Coinpany), dal Tribunale federale svizzero con numerose pronunce (da ultimo, sentenza 19 gennaio 1987, in una causa contro la Repubblica socialista della Ro I mania) e dalla Corte d'appello dell'Aja (sentenza 28 novembre 1968, in I ~ causa N. V. Cabolent c. National Iranian Oil Company). Al principio dell'immunit�. ristretta in executivis sono improntate anche le recenti legislazioni del Regno Unito (State lmmunity Act, cit.), degli U.S.A. .(Foreign I Sovereign lmmunities Act del 21 ottobre 1976) e altre di tipo analogo (Canada, Sud Africa, Pakistan, Singapore e Australia), le quali impostano I I ~ il limite con criteri e misure divevsi dalla distinzione tra beni 1destinati ~ ad atti iure imperii e beni destinati ad atti iure gestionis. La Corte non si nasconde che la distinzione d� luogo a difficolt� applicative, soprattutto nel caso di beni a destinazione promiscua, come i depositi bancari o i conti correnti intestati a un'ambasciata. straniera, ma, in mancanza di un I intervento legislativo, essa � l'unica disponibile. ~ opportuno ricordare in proposito che non � generalmente riconosciuto, e in particolare � rifiutato dagli Stati dell'Europa occidentale, compreso il Regno Unito, il limite ulteriore per cui non basterebbe la destinazione del bene aggredito a fini (lato sensu) commerciali, ma occorrerebbe inoltre un legame specifico con l'oggetto della domanda, cio� la destinazione specifica del bene all'operazione commerciale da cui deriva il rapporto controverso. Come spiega la relazione al testo modificato del disegno di legge per la conversione del d.l. del 1925, proposto dal Senato, rilevando � l'eccezionale gravit� del provvedimento legislativo sotto questo punto di vista�, esso �Contiene una �dichiarazione unilaterale� da parte dello Stato italiano, di � pienissima tutela giurisdizionale � accordata ai privati contro gli Stati esteri, temperata, nei confronti di quegli Stati che ammettono la reciprocit�, dall'assoggettamento dell'applicazione di misure coercitive su beni di loro propriet� all'autorizzazione del Ministro per la giustfaia.iIl .�otripito�<:U��� a�C~rt~e la>re~iprocit� � rimesso �lfo>stesso Ministro; sul rifl~sso che si tratt� d� ~< uria hld�gine ��di fatto1 �he Ia�� magi� <iltltflitii �. c�ill'art. 10 Cost., (a tliffer~a�� dell'�rt�.� H}� n� dalla� consuetudine iriter� ����;�ll�i~lr~!I~ ....l~--�~ r;Btaas.Si~;!E=:~= sfera de~li atH ittrei infp~rii!. . . �. . . �.. . ........� . . ... ...�. . . . ....� . . . . . < . �~~-~i1~1iWi~ non possa essere accerl�t�s� non d�lld stesifo � giudice . cbn �le garanzie del pto6edihleiJ.t6 giud1Ziari6/N� si pu� dire che a giustificare il� nuovo �poteie- d�\tere di acce:rfatrieritci df cui, iri virti'i � �dellif giurisprudenza appen� msep,s9. neg~tiyol 4el pQte:re discrezipna.te. attril:luijo 111 l\fini~tro della giustizi11. Co:r:i:isponctentemente� il :rifiuto dell'au.toi::izzazione si ripercuote sul piano dei i;apportLsostanziali svuotandoJLdiritto di obbligazione fatto valere dal privato dell'elemento della responsabilit� patrimoniale del debitore, che. ne � una componente essenziale (art.. 2740 cod. civ.) e funge da tramite dell!assoggettamento . all'esecuzione forzata. RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 188 Ci� premesso, non si nega che nei rapporti con gli Stati stranieri il diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale possa subire un limite ulteriore rispetto a quelli imposti dall'art. .io Cost. Ma il limite deve essere giustificato da.� un interesse pubblico riconoscibile come. potenzialmente preminente su un principio, quale quello dell'art. 24 Cost., annoverato tra. i �priticipi �U,Prell1i � dell'ordinamento costituzionale (cfr. sent. n. 18 c'!.el 1982); jnoltre la norma che stabilisce il limite deve garantire una rigorosa valutazione di tale interesse alla stregU,a delle esigenze del caso concreto. Entrambe !e condizioni fanno difetto nella specie. L'interesse di politica . estera del Governo . a mantenere buoni . rapporti internazionali e a impedire che siano compromessi . da misure coercitive adottate in territorio italiano su beni appartenenti a Stati stranieri, pur se non destinati specificamente all'esercizio delle loro prerogative sovrane o a fini pubblici, potrebbe giustificare il limite della norma in esame in un contesto di diritto inter.azionale come quello osservato da questa Corte nella sentenza n. 135 del 1963, la quale giudic� che non vi fosse a quell'epoca � concc;>rdanza di indirizzi e sistemi relativam<;:nte all'esenzione dai procedimenti. conservativi. e di esecuzione su beni di Stati esteri non destinati a funzioni attinenti all'esercizio della sovranit��. Nel contesto attuale, in cui si � largamente affermato il principio dell'immunit� ristretta, � scemata la probabilit� di una reazione diffusa da parte degli Stati i cui beni in Italia fossero fatti oggetto di misure coercitive: essi non potrebbero dolersi, fondandosi su ragioni di natura giuridica, di ricevere in territorio italiano il medesimo trattamento che in casi analoghi sarebbe riservato ai beni di propriet� italiana situati nel loro territorio. Inoltre la prassi applicativa della norma impugnata (della quale occorre tenere conto secondo il canone ermeneutico di valutazione della legittimit� costituzionale delle leggi anche alla stregU,a delle loro consegU, enze empiriche) dimostra che, lungi dal garantire un informato e rigoroso bilanciamento degli interessi in conformit� delle esigenze del caso concreto, essa ha finito col ripristinare virtualmente l'immunit� assoluta. Almeno a partire dal 1953, anno di emissione del primo decreto di reciprocit� publicato nella Gazzetta Ufficiale (concernente la Jugoslavia), le domande di autorizzazione sono state quasi sempre respinte. La sommariet� delle motivazioni �dei decreti di reciprocit� tradisce non di rado l'intento di inibire la procedura cautelare o esecutiva per mere ragioni di cortesia o di quieto vivere, affatto sproporzionate al danno che ne deriva al privato, tanto pi� quando si tratti di crediti di impresa, dal cui tempestivo soddisfacimento dipende l'equilibrio finanziario della gestione, o di crediti di lavoro, particolarmente meritevoli di protezione in ragione della loro funzione alimentare. Del resto, non mancher� al potere esecutivo uno strumento di in tervento idoneo a evitalJ."e, senza sacrificio del diritto dei singoli alla PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 189 tutela giurisdizionale, l'applicazione di misure coercitive su beni appartenenti �a uno Stato estero, quando reputasse tali misure, bench� limitate a beni � privati �, suscettibili di prov�care reazioni pregiudizievoli all'interesse nazionale. fo�. vist�. ��di � tale eventualit� potr��.� ess�re predisposta, p�r esempio, la pOssib�ita� che �10 Starto italiano interv~nga nella procedura esecutiva offrendo al creditore il pagamento del terzo ai sensi dell'art. 1180 cod. civ., oppure nella procedura cautelare offrendo al ricorrente, in cambio de1l'abbandono della domanda di sequestro, garanzia di pagamento del debito . che sar� accertato a carico dello Stato estero mediante un ordinario processo di cognizione. Restano assorbite le altre censure di costituzionalit� riferite agli artt. 23 e 41 Cost. PoicM iil giudice a quo non ha richiamato l'art. 10 Cost. tra i parametri del giud,izio di legittimit� costituzionale, l'articolo unico del r.d.l. n. 1621 del 1925 viene di.chiarato costituzionaLmente� illegittimo solo nella parte in cui subordina �all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive. Per l'altra parte la norma ~mpugnata � .da ritenersi tacitamente abrogata secondo l'interpretazione sopra esposta al punto 4. p.q.m. dichiara l'illegittimit� costituzionale dell'articolo unico del r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621 (Atti esecutivi sopra beni di Stati esteri nel Regno), convertito nella legge 15 luglio 1926, n. 1623, nella parte in cui subordina al�'autorizzazione d�l Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive. CORTE COSTITUZIONALE, 27 luglio 1992, n. 379 -Pres. Corasaniti -Red. Bald,assarre -Consiglio Superiore della Magistratura (avv. Barile e Onida) c. Ministero di Grazia e Giustizia e Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. Gen. Stato Azzariti). Ordinamento giudiziario -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi � Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura � Mancato concerto con il Ministro di Grazia e Giustizia sulla proposta della Commissione per gli incarichi direttivi -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura � Sussistenza. 190 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Ordinamento giudiziario -Magistrati -Conferimento degli uffici direttivi -Deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura -Adeguata attivit� di concertazione con il Ministro di Grazia e Giustizia da parte della Commissione per gli incarichi direttivi -Mancato accordo in tempi ragionevoli sulla proposta da formulare -Potere del Ministro di non dare corso alla deliberazione del Consiglio Superiore della Magistratura -Insussistenza. (Cast., artt. 105, 106, 107 e 110; legge 24 marzo 1958, n. 195, art. 11). Spetta al Ministro della Giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura di conferimento degli Uffici di� rettivi quando, da parte della commissione competente, sia mancata una adeguata attivit� di concertazione, ispirata al principio di leale cooperazione ai fini della formulazione della proposta e, conseguentemente, essendo mancata nella specie la detta attivit�, spetta al Ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'Appello di Palermo relativo alla delibera del Consiglio Superiore della Magistratura in data 11 dicembre 1991 (1). Non spetta al Ministro della Giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio Superiore della Magistratura sul conferimento degli uffici direttivi quando, nonostante che sia stata svolta un'adeguata attivit� di concertazion.e, non si sia convenuto in tempi ragionevoli tra la commissione competente e il Ministro sulla proposta da formulare (2). (1-2) Viene qui di seguito pubblicata la parte in diritto della memoria redatta dall'Avvocato Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro di Grazia e Giustizia. Conflitto di attribuzioni tra Consiglio Superiore della Magistratura e Ministro di Grazia e Giustizia sul conferimento di incarichi direttivi a magistrati. 1. � Il ricorrente C.SM. deduce, col primo motivo del ricorso, la �illegittimit� del rifiuto ministeriale di dare corso alla delibera del Consiglio �: al Ministro di Grazia e Giustizia non spetterebbe alcun potere di controllo o sindacato sulla legittimit� delle delibere adottate dal C.S.M. onde H rifiuto dello stesso Ministro di adempiere al dovere di proporre al Presidente della Repubblica l'emanazione del decreto conforme alla delibera del C.SM. realizzerebbe in ogni caso una illegittima [esione delle attribuzioni costituzionali del Consiglio. La inammissibilit� di qualsiasi controllo da parte dei Ministro, in sede di esercizio delle funzioni previste dall'art. 17 della legge istitutiva del C.SM.� sulla legittimit� della deliberazione adoUata dal Consiglio viene, nel ricorso, desunta dad principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 44 del 1968: se l'intervento ministeriale e presidenziale previsto da quell'articolo � esclusivamente finalizzato all.a esternazione della volont� del Consiglio onde le deliberazioni consiliari, una volta formatesi e comunicate agli organi esecutivi, determinano il dovere giuridico a carico di questi, di renderle operanti e la pretesa da parte dell'organo deliberante alla loro adozione, deve escludersi ogni potere del Ministro non solo di assenso o di partecipazione, ma anche di sindacato sulla legittimit� della deliberazione che resta riservata alla Corte dei PARTE I, SEZ �. l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 191 (omissis) Con il ric:orso indicato in epigrafe il .Consiglio superiore della magistrl;ltura ha elevato conflitto di attribuzioni nei confronti del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al rifiuto opposto dal predetto Ministro di dare corso, me� diante la proposta del relativo decreto del Presidente della Repubblica, alla nomina del Presi4ente delJ.a Corte di appello. di .Palermo deUberata 4arllo stesso Consiglio superiore della magistratura in data 11 dicembre 1991. Il ricorrente, netlamentare la menomazione delle attribuzioni ad esso garantite. dagli artt. 105,. 106, 107 e< 110 della Costituzione, domanda a questa Corte di dichiarare che non spetta al Ministro di grazia e giusti� zia il potere di rifiutare di dare corso alle deliberazioni che egli ritenga illegittime e, ove questa possibilit� . dovesse essere. ritenuta inerente al potere di .proposta del decreto presidenziale disciplinato dall'art. 17, primo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195, domanda che la Corte medesima sollevi ,di fronte a se stessa. questione di legittimit� costitu� zionale del citato art. 17 per violazione degli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione. In via subordinata, il Consiglio superiore della magistratura chiede che questa Corte dichiari che non spetta al Ministro di grazia e.� giustizia il.potere di impedire allo stesso Consiglio, negando il proprio positivo concerto alla proposta. di nomina, di deliberare legittimamente il conferi� mento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte di appello di Palermo. Conti, in sede di controllo, ed al giudice amministrativo in sede di sindacato giurisdizionale di legittimt�.. Simile potere di sindacato potrebbe riconoscersi ma solo al Presidente della Repubblica e solo nella forma del rinvio con richiesta di riesame; al Ministro esclusivamente nei confronti delle deliberazioni consiliari giuridicamente inesistenti (si propone l'esempio deUa deliberazione adottata dalla Commissione anzich� dal plenum). N�. la natura del vizio rilevato nella fattispecie dal Ministro, consistente nella menomazione della sua competenza �di concorrere con il concerto alla formulazione della proposta, potrebbe giustificare il rifiuto di dar corso al provvedimento: non si tratterebbe di una competenza costituzionale perch� questa � prevista non dalla Costituzione bens� dall'art. 11 della legge ordinaria n.. 195/58. N�, inl�ine, potrebbe �ammettersi . un sindacato ministeriale sulla regolarit� del procedimento seguito che, se non si esclude senz'altro in applicazione dei principi affermati dalla Corte Costituzionale a proposito degli interna corporis delle Camere con la sentenza n. 9 del 1959, potrebbe essere svolto esclusivamente in sede dd controllo giurisdizionale sul decreto presidenziale. Al Ministro resterebbe soltanto, a tutela delle sue competenze -se ritenute costituzionali -lo strumento del conflitto di attribuzioni. Ma se, conclude sul punto il C.S.M., dovesse ritenersi che l'art. 17 citato, conferisce al Ministro il potere di sindacare fa legittimit� delle deliberazioni del C.S.M., allora quest'articolo dovrebbe essere considerato incostituzionale per contrasto con gli artt. 104, 105 e 110 Cost. 192 RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO Anche in tal caso, ove la prestazione del positivo concerto da parte del Ministro rispetto alla proposta della Commissione per� gli incarichi direttivi dovesse essere ritenuta condizionante la formazione della proposta stessa, il ricorrente chiede che questa Corte sollevi di fronte �a se stessa questione di legittimit� costituzionale, in riferimento agli artt. 104, 105 e UO della Costituzione; dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 d�l 1958, nella parte in cui, prevedendo il concerto del Ministro sulla proposta di conferimento dell'ufficio, direttivo, impedisce al Consiglio superiore della magistratura di deliberare tale conferimento a favore del candidato da esso ritenuto pi� idoneo anche in assenza del positivo concerto del Ministro o in presenza di un diniego di concerto del Ministro sul nominativo del candidato medesimo. Occore, innanZitutto, verificare in via definitiva l'ammissibilit� del conflitto di attribuzione in questione, �che questa Corte ha gi� dichiarato, in linea di prima e sommaria delibazione, con l'ordinanza n. 184 d�ll992. Sotto il profilo oggettivo non v'� dubbio che ricorrono i requisiti previsti dall'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte), in base al quale sono risolti dalla Corte costit\.lzionale i conflitti tra i poteri dello Stato insorti � per la delimitazione della sfera di attribuzioni determinata per i va11i poteri da norme costituzionali �. Nel caso, infatti, vengono in questione com 2. -La tesi cos� sostenuta nel ricorso trova; � vero. il conforto di una parte autorevolissima della dottrina, ma � anche vero che dottrina altrettanto autorevole, e pu� diirsi prevalente, ha� ritenuto: I -che dato il disposto dell'art. 17, la deliberazione del C.S.M. �assume il valore di una proposta a cui il Ministro � tenuto a conformarsi (atto dovuto) salva l'ipotesi in cui il contenuto della deliberazione sia contra legem � (v. Torrente, voce Consiglio Superiore deN.a Magistratura, della Enciclopedia del diritto) e che a parte ogni valutazione�� se la soluzforte cos� adottata dalla legge sia o no felice; deve riconoscersi che nessuna barriera costituzionale � stata infranta da una normativa che nulla toglie alla competenza devoluta al C.S.M.; -'-che la� controfirma del Ministro prescritta daU'art. 17 non significa certificazione della collaborazione prestata al Capo dello Stato nell'esercizio di una funzione esecutiva, ma ,attesta la partecipazione effettiva e primaria del Ministro al procedimento di formazione� di quegli atti nell'esercizi� di competenze amministrative che apparteng�no esclusivamente al suo dicaster�; -che dagli stessi lavori preparatori della Costituzione� r.isulta che, secondo i costituenti, la funzione di vdgilanza del Ministro deve estendersi anche alla legittimit� delle deliberazioni del CoIJ/Siglio, essendo del tutto naturale che il Ministro, prima di proporre al Capo dello Stato la firma dei decreti, con cui vengono adottati provvedimenti del Consiglio (o prima di emanare egli stesso decreti ministeriali dello stesso contenuto) si accerti deUa conformit� di questi alla legge; -che il fatto che l'art. 17 impone a carico dell'esecutivo il dovere giuridico di dare esecuzione alle delibere consiliari, non esclude ~a possibilit� di un con PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 193 petenze ......, come quelle relative . alla proposta ministeriale del decreto presidenziale che d� forma alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura di conferimento degli incarichi direttivi e quelle relative alla formulazione, � di concerto � con il Ministro della giustizia, della proposta...di conferimento dei ipredet1li incarichi da parte della commissione <COmpetente . del� Consiglio stesso -le quali si riferiscono a1le attrihuziont del Ministro della giustizia (art. 110 della Costituzione) in relazione a quelle spettanti al Consiglio superiore della magistratura (art. 105 della� Costituzione). Eguale valutazione deve darsi sotto al profilo soggettivo, poich� non v'� dubbio che il Consiglio superiore della magistratura � l'organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 105 ��della �Costituzione e il solo competente a esercitarle in via definitiva e in posizione di indipendenza da .altri poteri dello Stato, ai sensi delfart. 37, primo . comma, della legge n .. 87 del 1953. Allo stesso modo, il Ministro della giustizia deve essere considerato legittimato a resistere nel presente .conflitto, sempre in base al ricordato art. 37, essendo il diretto titolare delle competenze determinate. dall'art. 110 della Costituzione, afferenti all'organizzazione e. al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, il cui esercizio � assunto in questo giudizio come causa di menomazione delle competenze in ordine allo status dei magistrati attribuite al ricorrente dall'articolo 105 della Costituzione. trollo di mera legittimit� che abbia luogo proprio durante l'esecuzione delle deliberazioni del C.S.M. 3. -Le affermazioni della dottrina ora ricordate costituiscono applicazione, allo specifico caso del decreto presidenziale previsto dai primo comma dell'art. 17, del principio generale affermato dalla prevalente dottrina e dalla giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. sa, 19 marzo 1982 n. 237) secondo il quale .anche nel caso degli atti non solo dovuti, ma anche vincolati. cio� di provvedimenti o statuizioni amministrative non accompagnati dalla libert� di determinazione del contenuto dell'atto, questi costituiscono pur sempre manifestazione della volont� di statuire sicch� anche quando richieste; designazioni, deliberazioni preparatorie, proposte vincolanti facciano sorgere il dovere dell'autorit� competente di emanare il provvedimento costitutivo, � pur sempre compito dell'autorit� emanante verificare, escluso ogni potere di assenso o partecipazione, la legittimit�, particolarmente quella formale, dell'atto dal quale deriva il dovere di provvedere. N� la soggezione del decreto presidenziale al controllo preventivo della Corte dei Conti ed a quello giurisdizionale del giudice amministrativo possono giustificare la volontaria emanazione di un provvedimento destinato, nella convinzione dell'autorit� emanante, a non superare quei controlli. Quanto ora osservato non � contrastato da quanto osservato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 44/68 invocata 111el ricorso del C.S.M. (n. 5 della motivazione in diritto): in quelia sentell2Ja � invero ben precisato che dalla comunicazione dei singoli atti di esercizio dei poteri deliberanti del C.S.M. il dovere giuridico di renderli concretamente operanti, mediante l'emanaz!ione 4 fil-*.ffifffij X �' X�X.�h.� X:: h, . , ., .. x, :::: m.,.m =,:q .0. : ..ZR2A\:.r s:::A!h 194 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Non legittimato a resistere nel presente giudizio �, invece, il Presidente del Cqnsig1i() dei, ministri ..,... il cui intervento pertanto va dichia r;;<to:inam:missibile -dal momento che le attribuzioni in contestazione sono esclusivamente affidate dalla Costituzione al Ministro della giustizia (art. 110 c;l,ella Costituzione) swla base di una. ripartizione di competenze che no. pu� considerarsi alterata dal potere di sospensione .. degli atti mjnisteriali e . c;l,i sottoposizione delle relative questioni aLConsiglio dei :ministri, che gli artt. 5, secondo comma, lettera e); e. 2, terzo comma, lettera q), della legge 23 agosto 198'8, n. 400, riconoscono al Presidente del Consiglio dei ministri. Il conflitto di attribuzione in esame � insorto a seguito della comun1cazione d;el Presidente della Repubblica al Consiglio superiore della magistratura, inviata il 17 dicembre .1991, con la quale si riferiva che il Ministro di grazia e giustraia, con lettera del 14 dicembre 1991, aveva portato a. conoscenza del Capo dello Stato .che egli non intendeva proporre l'emanazione del decreto presidenziale relativo alla deliberazione del predetto Consiglio, adottata nella . seduta dell'U dicembre 1991, concernente il.confe11imento dell'incarico direttivo di Presidente della Corte di appello di� Palermo. Con Ja stessa comunicazione �si precisava. che la determinazione del Ministro dipendeva dal fatto che egli riteneva. invalida la deliberazione adottata dal Consiglio superuore della magistratura, dal mo mento che quest'ultimo aveva deliberato in violazione dell'art. 11, terzo di. appositi. decreti che ne adottino integralmente il contenuto, si determina � a carico dell'Esecutivo�. Il disposto dell'art. 17 � del tutto coerente col principio cosi.affermato~ il dovere giuridico sopra indicato viene adempiuto dal Ministro, organo dell'Esecutivo,. proponendo l'emanazione del decreto del. Presidente della Repubblica di. � adozione � del . provvedimento conforme, che dovr� essere da lui controfirmato. Il Presidente della Repubblica, quindi, adotta il suo provvedimento non gi� nella qualit� di presidente del C.S.M,, ma in quella diversa, e nella relativa responsabilit�,� .del titolare della funzione, prevista dal 7� comma dell'art. 87 Cost., di nominare, su proposta del ministro competente, nella fattispecie indicato nel Ministro di. grazia e giustizia dall'art. 110 Cast., e nei casi indJ:cati ~lla legge (appunto: l'art. 17 1. 195/58) i funzionari dello Stato. Se si vuole utilizzare una tipologia elaborata da autorevolissima dottrina la .deliberazione .del C.SM. non rientra, allora, tra le �deliberazioni accessive �, quelle cio� che non operano da sole ma in collegamento necessario con atti di altro organo appartenente alla stessa istituzione; si, tratta, piuttosto di � deliberazioni operative � .che costituiscono elementi di fattispecie complete in cui l'atto deliberativo, per operare, deve. essere seguito dall'atto di un altro soggetto, esterno rispetto . all'istituzione deliberante, . ma fa sorgere nell'autorit�, cui spetta emanare l'atto successivo, il dovere di provvedere in un determinato modo. In sede di emanazione del decreto previsto dall'art. 17 il Presidente della Repubblica ed il Ministro proponente e controfirmante sono organi appartenenti a poteri diversi da quello giudiziario, sono comunque estranei al C.SM.; non possono essere considerati il mero portavoce dell'organo collegiale: il decreto costi'tutivo, cos� come l'atto preparatorio -la proposta ministeriale -, si distin� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZiONALE 195 comma, della legge n. 195 del 1958, il quale, in attuazione del precetto costituzionale che attribuisce al Ministro della giustizia la responsabilit� dell'organizzazione e del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, diispone che il conferimento degli uffici direttivi venga delberato dal Cons~glio superiore su proposta della competente commissione formulata di concerto con il Ministro;. E nel c�so, aveva rilevato quest'ultimo, il Consiglio aveva deliberato su una proposta sulla �quale non era stato raggiunto il prescritto concerto tra la� commissione e il Ministro stesso. Il ricorrente Consiglio superiore afferma che l'espresso rifiuto del Ministro della giustizia di dar corso al procedimento previsto dall'art. 17 della legge n; ,195 del 1958 in sede dii pr0posta di emanazione con decreto presidenziale delle �deliberazioni�� dello stesso Consiglio� appare lesivo delle competenze ad esso attribuite dagli artt. 105, 106, 107 e 110 della Costituzione, i quali attribuiscono all'esclusiva competenza del Consiglio superiore della magistratura tutti i provvedimenti di stato comunque riguardanti i magistrati. In baS� a tale attribuzione di competenza, prosegue il rfoorrente, una volta che il Consiglio abbia deliberato, sorge in capo al Ministro della giustizia un dovere giuridico di proporre l'emanazione di un decreto presidenziale volto ad adottare integralmente il contenuto della relativa deliberazione, dal momento che, non trattandosi di atti sostanzialmente governativi, non si potrebbe riconoscere al Ministro n� un potere di assenso o di compartecipazione decisionale. al provvedimento, guano dai punti di vista soggettivo ed oggettivo, dalla deliberazione del C.S.M., ci� che � bene sottolineato dalla formulazione :letterale dehl'art. 17 che lo def.ill�sce provvedimento del Presidente della Repubblica adottato in conformit� della deliberazione del C.S.M. anche se, secondo i principi. la lillegittimit� dell'atto � deliberativo si ripercuote sull'atto finale. Da oi� il potere ed il dovere dell'autorit� competente di astenersi dalla emanazione dell'atto quando ne ritenga la illegittimit�. La legittin1it� del rifiuto del Ministro di provocare, nella vicenda in esame, l'emanazione del decreto presidenziale� si verifica allora verificando se effettivamente sussista il vizio della deliberazione consiliare indicato quale ragione del rifiuto stesso: ma ci� costituisce l'oggetto del secondo motivo del ricorso del C.S.M. 4. -Quanto fin ora osservato prescinde del tutto dalla considerazione della natura della illegittimit� della �delibera consiliare rilevata, o ritenuta, dal Ministro, natura che giustifica in ogni caso il� suo rif.iuto di dar corso al provvedimento anche se non si ritengono applicabili al decreto presidenziale previsto dall'art. 17 gli ora ricordati principi generali relativi ai poteri dell'autorit� emanante atti amministrativi obbligatori e vincolanti. Il Ministro ha invero ritenuto di non poter proporre al Presidente della Repubblica l'adozione del provvedimento conforme al deliberato 11 dicembre 1991 del C.SM. su proposta formulata, in violazione di quanto espressamente prescritto dal terzo comma deWart. 11 1. 195/58, dalla commissione consi1iare senza il concerto del Ministro. Era stata cio� contestata dal C.S.M. una attribuzione conferita al Ministro dalla legge ora citata in attuazione, come si osserver� esaminando il secondo motivo del rkorso del C.SM., dall'art. 110 Cost. (onde 196 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n� un potere cli controllo sulla conformit� del procedimento seguito rispetto alle norme di legge che lo regolano. L'art. 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), dispone che � tutti i provvedimenti riguardanti i magistrati sono adottati, in conformit� delle deliberazioni del Consiglio superiore, con decreto del Presidente della Repubblica controfirmato dal Ministro ovvero, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto del Ministro per la grazia e giustizia �. Nel valutare la legittimit� costituzionale cli tale disposizione -che, per la parte qui interessante, � stata successivamente confermata, anche con esplicito riferimento al conferimento degli incarichi direttivi, dall'art. 1, primo comma, lettera f), della legge 12 gennaio 1991, n. 13, questa Corte, dopo aver premesso che l'attribuzione in via esclusiva al Consiglio �superiore cli tutti i poteri in or.cline allo status dei magistrati costituisce una gavanzia dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura, pur se non comporta una forma piena di autogoverno sulla stessa (v. spec. sentt. nn. 168 del 1963, 44 del 1968, 4 del 1986), ha affermato che non rappresenrta una lesione dell'art. 105 della Costituzione la previsione che le delibemzioni del Consiglio superiore debbano avere la forma del decreto presidenziale {o di quello ministeriale), dal momento che tale veste, oltre ad essere conforme alla natura effettiva del.l'atto da adottare e a permettere che su questo si svolgano gli ordinari controlli non pu� convenirsi con quanto osservato nel ricorso, che cio� non si tratterebbe di una attribuzione costitwnonale). Comunque, quale che sia la posizione, nella gerarchia delle fonti, della norma dalla quale deriva l'attribuzione ministeriale, l'esercizio di questa, ed anche la sua affermazione contro le illegittime contestazioni, costituisce non gi� un diritto, ma un dovere non rinunciabile del Ministro. Il rifiuto di dar corso ad un deliberato adottato in violazione di quella attribuzione costituisce allora non soltanto esercizio del generico dovere, affermato dall'on. Ruini nella sed�ta antimeridiana del 15 novembre 1947 dell'Assemblea Costituente, di vigilare la legalit� delle decisioni pur vincolanti del C.SM. riguardanti il personale della magistratura; ma anche dovere non rinunciabile, imposto dalla legge, di partecipare, con il concerto nella formulazione della proposta, alla formazione dell'atto di conferimento dell'ufficio direttivo. Non � infatti certamente condivisibile, apparendone immediatamente la illogicit�, la tesi prospettata nel ricorso del C.SM. secondo la quale il Ministro dovrebbe in ogni caso concorrere alla perfezione od all'efficacia della (quanto meno da 1ui ritenuta) lesione deHa sua sfera di att11ibuzioni, provocando l'emanazione del decreto presidenziale per poi impugnarlo avanti la Corte Costituzionale, in sede di conflitto di attribuzioni, o addirittura avanti al giudice amministrativo, in sede di controllo giurisdizionale di legittimit�: ricorsi questi che, data la responsabilit� derivante dalla controfirma pure prescritta dalla norma, il Ministro dovrebbe proporre contro se stesso. 5. -N� alcun ausilio alle tesi del C.SM. pu� derivare dai principi affermati dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 9/59 a proposito degli interna corporis delle Camere: anzi, la Corte ha precisato in quella sentenza, che di PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 197 finanziari e di legittimit� previsti per gli atti amministrativi, non implica alcuna limitazione dell'autonomia di determinazione costituzionalmente garantita al Consiglio superiore (v. spec. sentt. nn. 168 del 1963 e 44 del 1968). Il ricordato art. 17, infatti, precisa espressamente che i decreti del Presidente della Repubblica ivi previsti sono adottati � in conformit� delle deliberazioni del Consiglio superiore�, con ci� imponendo al Ministro della giustizia, in sede di proposta, e al Presidente della Repubblica, in sede di emanazione, un vincolo di legittimit� consistente nel dovere di conferire al decreto presidenziale un contenuto decisionale identico a quello adottato dalla correlativa deliberazione del Consiglio superiore. Dallo stesso art. 117, tuttavia, deriva un vincolo in ordine al potere del Ministro della giustizia di inoltrare la predetta proposta al Presidente del1a Repubblica per l'emanazione del relativo decreto ~sul quale v. gi� 1a sentell2)a n. 44 del 1968 di questa Corte), che corrisponde ai principi sul procedimento, in base ai quali, quando a quest'ultimo partecipano pi� organi o pi� soggetti pubblici, questi hanno il dovere giuridico di cooperare lealmente in vista del raggiungimento del risultato cui il procedimento medesimo � costituzionalmente o legislativamente finalizzato. Quando l'organo o i.I soggetto che deve dar corso al procedimento non � investito di particolari poteri di rinvio o di riesame, come nel caso del Ministro della giustizia in sede di proposta ai sensi dell'art. 17 della interna corporis non sindacabili pu� parlarsi quando si discuta della applicaZlione o della interpretazione di norme dei regolamenti parlamentari poste dalle Camere nell'esercizio della facolt� ad esse attribuita dall'art. 72, 3� comma Cost., per le quali deve ritenersi decisivo l'apprezzamento della stessa Camera; ma quando si tratta di norme, diverse daii regolamenti parlamentari, disciplinanti il procedimento di formazione della legge. allora � la posizione costituzionale di indipendenza delle Camere non implica l'assoluta insindacabilit�, da parte di qualsiasi altro organo dello Stato, del procedimento con cui gli atti delle Camere vengono deliberati�. Ma nella fattispecie non si discute della applicazione o della interpretazione di una norma di regolamento del C.S.M., al quale nessun articolo della Costituzione attribuisce alcuno specifico potere regolamentare cui sia riservata una determinata materia, bens� della interpretazione e dell'applicazfone dell'art. 17 della legge n. 195 del 1958 che, disciplinando il procedimento di formazione dell'atto di conferimento dell'ufficio direttivo, prescrive che il C.S.M. sfa chiamato a deliberare su una proposta formulata di concerto con il Ministro. Nessuna posizione costituzionale del C.S.M. -certamente non equiparabdle a quella delle Camere -pu� precludere, da parte di qualsiasi altro organo dello Stato, di controllare se il processo formativo dell'atto si � compiuto in conformit� di quell'articolo. 6. -Data la natura, prima indicata, del vizio rilevato dal Ministro di Grazia e Giustizia, nel deliberato del C.S.M., che lo ha indotto a non provocare la emanazione del decreto presidenziale conforme, la questione di legittimit� costituzionale sollevata, in via subordinata, del C.SM. assume rilevanza nel giudizio a quo, costituito da questo giudizio per conflitto di attribuzioni, solo in rela 198 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge n. 195 del 119581 ricade su di lui il dovere di adottare l'atto di propria competenza, cio� la proposta di decreto presidenziale, a meno che il sub� ~ procedimento costituente la fase. dell'iniziativa e quella della delibera� I zione manchi di un elemento essenziale, necessario per il perfezionamento della fattispecie procedimentale o del suo �atto conclusivo. I Sulla base dell'art. H, terzo .comma, della legge n. 195 .del 1958, che contiene la �disciplina . legislativa� della fase dell'iniziativa presso il Con� siglio superiore riguardo al conferimento degli incarichi direttivi, il con� certo .del Ministro della giustizia sulla proposta della commissione ivi menzionata . costituisce un elemento essenziale del procedimento. Tale articolo, infatti, dispone. che �sul .conferimento degli uffici direttivi (,...) il Consiglio delibera su proposta, formulata di concerto col Ministro per la grazia e giustizia, di una commissione formata da sei dei suoi componenti, di oui quattro eletti dai magistrati e due eletti dal Parlamento �. Salvo a precisare nei. punti seguenti che cosa si intenda per concerto nella disposizione ora citata e salvo ad accertare se nel caso contestato il �concerto si sia concretamente realizzato, al fine di verificare se il Ministro della .giustizia� si trovava di fronte a un'ipotesi di mancanza di un elemento necessario per il compimento del procedimento di formazione della deliberazione del Consiglio superiore, che lo legittimava a sospen� dere �direttamente l'iter procedimentale, oocorre sottolineare che nel caso lo strumento del concerto costituisce la modalit� con cui il legislatore zione alla precisa disposizione certamente contenuta nell'art. 17 che conferisce al Ministro il potere di astenersi dal proporre al Presidente della Repubblica l'emanazione del decreto. sia pure cc;mforme al deliberato .del C.SM., ma lesivo della sfera di competenza attribuita al Ministro dagli artt. 89 -in relazione all'art..87, comma 7� -e 110 Cost. La questione � comunque da ritenersi oggi manifestamente infondata essendo stata gi� esaminata, sostanzialmente negli stessi termini nei quali viene nuova mente sollevata, con la ricordata sentenza n. 168 del 1963, richiamata e confer� mata dalla successiva sentenza n. 44 del 1968. La prescrizione della emanazione dei decreti. del Presidente della Repubblica che renda operanti i delibera1Ji. del C.SM. trova la sua . ragione nella conside razione che la magistratura non � avulsa dall'ordinamento generale dello Stato; che gli artt. 105, 106, 107 e 110 Cost.. garantiscono l'indipendenza della magistratura ma� ~wn stabiliscono� una .forma .piena. di autogoverno; che perci� i provvedimenti deliberati dal C.S.M. hanno carattere sostanzialmente aromi� nistrativo onde la necessit� che assumano la forma del decreto del Capo dello Stato, controfirmato dal Ministro; ci� anche al fine di consentire non soltanto il controllo finanziario ma anche le varie specie dii sindacato destinate ad assicurarne il contenimento nell'ambito dell'ordine legale. La garanzia di indipendenza ed autonomia assicurate dai citati articoJ.i della Costituzione alla Magistratura ed al C.S.M. consiste quindi in ci� che i decreti che l'Esecutivo ha il dovere giuridico di emanare per rendere operanti i deliberati del C.SM. ne adottino, e non possono che adottarne, integralmente il contenuto: questa esigenza � pienamente soddisfatta dall'art. 17 che precisa la naturn !JOP. ~olo dowt@ ma anche vincolata ctel decreto presidenziale; natura PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 199 ha configurato il dovere di collaborazione, che questa Corte (v. sentenza n. 168 del 1963) ha gi� individuato come punto di equilibrio interpretativo fra Ia disposizione costituzionale che attribuisce al Consiglio superiore l'esclusiva competen:l'la sui provvedimenti concernenti lo status dei magistrati (art. �105)� e quella che affida al Ministro della giustizia la responsabilit� dell'organizmzione e: del funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. (art. 110). Le gavanzie costituzionali predisposte per la tutela dello status d'indipendenza dei magistrati e dell'ordine giudiziario ricomprendono nel proprio .ambito di applicazione -come � stato gi� affermato da questa Corte (v. sentenza n. 72 del 1991) -anche la nomina dei magistrati negli uffici direttivi. E, invero, il conferimento di tali uffici, non soltanto incide sullo status dei magistrati, poich� concorre a connotare la loro posizione nell'ambito dell'ordinamento giudiziario attraverso la titolarit� di poteri specifici concernenti, fra l'altro, le proposte di formazione delle tabelle, l'assegnazione degli affari e, in genere, la � amministrazione della giurisdizione�, ma comporta altres� una connessione con l'assegnazione delle funzioni e il trasferimento dei giudici, che, a norma dell'art. 105 della Costituzione, spettano in via esclusiva al Consiglio superiore della magistratura. Ci� non toglie, tuttavia, che nell'attuale assetto ordinamentale, la direzione degli uffici giudiziari attenga anche all'amministrazione dei questa che, come si � osservato, non esclude il potere-dovere di astenersi dalla emanazione dii un decreto il cui contenuto sia in contrasto con l'ordine legale e, in particolare, lesivo della sfera di attribuzioni del Ministro di giustizia. 7. -Con il secondo motivo del ricorso viene contestata la legittimit� del controllo compiuto sulla delibera del C.S.M. in forza del quale il Ministro di Giustizia non ha ritenuto di poter inoltrare al Presidente della Repubblica la proposta per la emanazione del decreto di adozione del provvedimento di nomina del Presidente della Corte d'Appello di Palermo. Il concerto, pure prescritto dal terzo comma dell'art. 11 1. 195 del 1958, non potrebbe incidere sulle competenze, attribuiite al C.S.M. dall'art. 105 Cost., in materia di assegnazioni, trasferimenti e promozioni di magistrati: tra questi provvedimenti rientrerebbe, infatti, ;il conferimento di ufficio direttivo. N� la considerazione dei compiti, anche organizzativi, dei capi degli uffici potrebbe valere ad attrarre questi provvedimenti nena competenza iin materia di servizi relativi alla giustizia, attribuita al Ministro dall'art. 110 Cost. Le funzioni organizzative dei capi degli uffici sono iinfatti secondarie, rispetto a quella principale di esercitare la funzione giurisdizionale; comunque richiedono, in chi � chiamato ad� esercitarle, quella autonomia ed indipendenza che sono garantite dal C.SM. Poich�, come la Corte Costituzionale ha affermato con la sentenza n. 168 del 1%3, l'attribuzione al C.S.M, della competenza a deliberare sui provvedimenti di cui all'art. 105 Cost., comporta la possibilit� per il Consiglio di adottare le sue deliberruiioni anche in assenza o in difformit� dell'iniziativa mmasteriale, il concerto di cui all'art. 11, terzo comma deve intendersi -come RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 200 servizi giudiziari, amministrazione che, come questa Corte ha gi� precisato (v. sentt. nn. 168 del 1963 e 142 del 1973), non concerne semplicemente i mezzi (locali, arredi, personale ausiliario, etc.) necessari per l'esercizio delle funzioni giudiziarie, ma riguarda altres� �sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all'attivit� e al comportamento dei magistrati che vi sono addetti �. In considerazione di questo suo oggetto specifico e dell'indubbia incidenza oggettivamente esercitata sullo status dei magistrati, il conferimento degli uffici direttivi attraverso la deliberazione del Consiglio superiore su proposta della commissione competente, formulata a seguito della partecipazione del Ministro della giustizia, rappresenta un bilanciamento non irragionevole dei valori costituzionali contenuti negli artt. 105 e 110 della Costituzione e, in particolare, del principio affermato da questa Corte (v. sent. n. 168 del 1963), secondo il quale, se l'autonomia della magistratura esclude ogni intervento determinante del potere esecutivo nelle deliberazioni concernenti lo status dei magistrati, non impedisce, tuttavia, che tra Consiglio superiore della magistratura ,e Ministro della giustizia, nel rispetto delle competenze a ciascuno attribuite, sussista un :mpporto di collaborazione. Tutto ci� comporta che il concerto previsto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958 non costituisce soltanto un elemento essenziale nella prassi sarebbe stato ~nteso -come un intervento non suscettibile di limitare la piena autonomia del Consiglio n� in positivo n� in negativo. Questa, del resto, sarebbe la sola interpretazione della norma conforme a costituzione, dato che la diversa interpretaziione fatta valere dal Ministro condurrebbe ad attribuire all'art. 11, comma 3, un significato incostituzionale, disconoscendo la piena competenza deliberativa al Consiglio che potrebbe trovarsi impedito dallo scegliere il candidato reputato pi� adatto; attribuendo, al contrario, al Ministro un potere di assenso o di veto che potrebbe risolversi nell'imposizione al Consiglio di prescegliere l'unico candidato preferito dal Ministro. Anche questo motivo � peraltro infondato. 8. -1?. certo, in punto di fatto, che la deliberazione del C.S.M. in data 11 dicembre 1991 di conferire l'ufficio di Presidenza della Corte di Appello di Palermo al Dr. Giardina � stata adottata in accoglimento della proposta formulata dalla Commissione prevista dall'ultimo comma dell'art. 11 della legge n. 195/58, ma non concertata col Ministro di Giustizia, come prescritto dalla stessa disposizione. 1?. anche pacifico che la norma ora richiamata, nel suo significato letterale, prescrive che il C.SM., in sede di conferimento degli uffici direttivi, possa deliberare esclusivamente su una proposta che sia formulata d'accordo tra la Commissione ed il Ministro: i termini � proposta� e � concerto � hanno un significato ben preciso nel nostro linguaggio legislativo. Ci� � anche sostanzialmente riconosciuto dallo stesso C.S.M. nel suo ricorso che per� ritiene di poter proporre una interpretazione della norma in contrasto col chiaro significato delle parole usate ricorrendo al noto criterio interpretativo secondo PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 201 del procedimento, legislativamente determinato, circa il conferimento degli uffici direttivi, ma rappresenta anche una congrua soluzione procedimentale prescelta dal legislatore in attuazione della funzione assegnata dall'art. 110 della Costituzione al Ministro della giustizia relativa all'organizzazione e al funzionamento dei servizi giudiziari. Il conflitto di attribuzioni in esame � dovuto, in larga misura, al diverso significato che le parti assegnano alla nozione di concerto contenuta nel ricordato art. 1'1, terzo comma, della legge n. 195 del 1958. Sebbene non si possa dubitare che consista in un modulo procedimentale volto al coordinamento di una pluralit� di interessi, spesso eterogenei e imputabili ad autorit� distinte, il concerto d� luogo nel diritto pubblico a una molteplicit� di figure alla quale � in ogni caso estranea la connotazione del parere. Allo stato attuale della legislazione deve pertanto escludersi che l'art. lil, terzo comma, possa essere interpretato nel senso di riferirsi semplicemente a un parere non. vincolante che il Ministro della giustizia:� deve esprimere nei confronti della proposta formU:lata dalla commissione per il conferimento degli incarichi direttivi. D'altra parte, la nozione di concerto cui si riferisce l'art. 11 non si identifica neppure con quella di accordo. A questa conclusione si perviene atraverso un'interpretazione adeguatrice dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958. il quale, a fronte di due possibili interpretazioni una delle quali risulti in contrasto con alcun precetto costituzionale, l'interprete deve scegliere l'interpretazione conforme a Costituzione: ma nella specie non sussiste alcuno dei due presupposti che pur devono concorrere per l'adozione dell'indicato criterio di interpretazione. Si � detto che la formulazione letterale della norma non lascia spazio a dubbi di interpretazione onde la c.d. interpretazione proposta nel ricorso, che tende a manipolare la norma per pretese esigenze di legittimit� costituzionale, sostituendo la parola � concerto � con quelle � parere non vincolante �, oltre ad essere in chiaro contrasto col primo comma dell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, si risolve in una impugnazione diretta della legge, oltre tutto inammissibile in questa sede di conflitto tra poteri dello Stato, tuttJi tenuti alla osservanza delle leggi in vigore (sent. n. 406 del 1989). Deve comunque aggiungersi che neppure sussiste l'asserito, dal C.SM., contrasto tra le attribuzioni costituzionali del C.SM. e la disposizione che prescrive il concerto del Ministro della Giustizia sulla proposta di conferimento dell'ufficio direttivo. La tesi del C.S.M. si fonda sul disposto dell'art. 105 Cost. per il quale spettano al Consiglio Superiore le assegnazioni, I� trasferimenti e le promozioni dei magistrati: il conferimento di un ufficio direttivo si identifiicherebbe con l'atto di assegnazione del magistrato all'ufficio, ne comporta il trasferimento, pu� affiancarsi ad una promozione. La tesi ora riassunta, peraltro, non si preoccupa di accertare la ragione per la quale la norma ora in esame prescrive il concerto del Ministro della Giustizia non gi� per le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni, nominativamente elencati al n. 1 dell'art. 10 della legge, bensi soltanto per il conferimento degli uffici direttivi, previsto da una norma diversa, il successivo 202 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Infatti, poich� questa Corte ha pi� volte escluso Ia conformit� a Costituzione di interventi ministeriali di carattere determinante sulle decisioni di competenza del Consiglio superiore (v. sentt. nn. 168 del 1963, 44 del 1968 e 12 del 1971), occorre verificare, prima di dar corpo a un sospetto d'illegittimit� costituzionale nei confronti del ricordato terzo comma dell'art. 11, se quest'ultimo possa plausibilmente avere un significato diverso da quello dell'accordo, che non sia incompatibile con i principi costituzionali. E non v'� dubbio che tale significato sia identificabile in quello che fa coincidere il concerto, non gi� con un atto sostanziale di assenso o di veto, ma con un'attivit� di concertazione finalizzata alla formulazione di una proposta comune. Pi� precisamente, sulla base di un'interpretazione dell'art. 11, terzo comma, adeguata ai principi costituzionali, la commissione del Consiglio superiore competente a formulare le proposte di conferimento degli incarichi direttivi non pu� inoltrare le proprie designazioni al plenum del Consiglio medesimo se non dopo aver svolto una seria e approfondita opera di concertazione diretta al fine sopra indicato. E, poich� tale attivit� inerisce a un procedimento comportante il concorso di organi o soggetti distinti nell'esercizio di una funzione pubblica di rilievo costituzionale -i quali pertanto, come questa Corte ha gi� precisato (v. sent. n. 80 del 1989), sono tenuti a comportarsi secondo i principi della correttezza nei loro rappol'ti reciproci e nel rispetto sostanziale dell'altrui art. 11. La considerazione di questa ragione mostra chiaramente come l'ultimo comma dell'art. 11 non sia in alcun modo in contrasto con l'art. 105 Cost., ma risulti invece necessaria applicazione del disposto dell'art. 110 della Carta fondamentale. :B infatti certamente vero che il conferimento dell'ufficio direttivo pu� -ma non necessariamente -essere contestuale ad un atto di assegnazione del magistrato a quell'ufficio, pu� comportarne il trasferimento e pu� essere collegato ad una promozione; � per� anche vero che, rispetto alle assegnazioni, trasferimenti e promozioni, il conferimento dell'ufficio direttivo, pur quando sia contestuale, contJiene qualcosa di pi�: appunto la preposizione del magistrato alla direzione di un ufficio giudiziario la cui organizzazione e funzionamento sono attribuiti al Ministro di Giusti7)i:a dall'art. 110 Cost. :B anche certamente vero che, tra le funzioni proprie dei magistrati preposti agli uffici giudiziari, hanno importanza essenziale quelle giurisdizionali per l'esercizio delle quali si richiedono attitudini che possono essere valutate esclusivamente dal C.SM.; ma accanto a queste vengono richieste al magistrato posto a capo dell'ufficio altre attivit� e funzioni di natura propriamente amministrativa, specialmente ma non soltanto riguardo alla organizzazione dell'ufficio ed alla disciplina del personale ausiliario ad esso addetto: si tratta di attivit� di carattere propriamente amministrativo nell'esercizio delle quali gli organi giudiziari operano come organi della pubblica amministrazione, si � ritenuto alla dipendenza gerarchica del Ministro della Giustizia, sicch� le necessarie attitudini possono essere valutate solo dall'autorit� che dall'art. 110 Cost. � resa responsabile della organizzazione dell'ufficio giudiziario. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 203 autonomo ruolo -e poich�, come s'� prima ricordato, in base agli artt. 105 e 110 della Costituzione, tra Consiglio superiore e Ministro della giustizia sussiste, pur nella salv,aguardia delle reciproche competenze, un dovere specifico di collaborazione, il modulo procedimentale del concerto, previsto dal citato art. 11, comporta che la relativa attivit� debba essere svolta nel pieno rispetto del principio costituzionale di leale cooperazione. In definitiva, il concerto del Ministro della giustizia sulla proposta della commissione per gli incarichi direttivi, disciplinato dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958, implica un vincolo di metodo, non gi� di risultato. Ci� significa, innanzitutto, che, anche se al termine della loro attivit� di concertazione non perverranno in concTeto a una proposta unitaria, la commissione e il Ministro sono tenuti a porre in essere una discussione e un confronto realmente orientati al superiore interesse pubblico di operare -a seguito di un esame effettivo ed obiettivo, dialetticamente svolto, di tutti gli elementi ai fini della copertura di quel determinato incarico direttivo -la scelta pi� idonea. Oltre a dover essere effettive e obiettivamente finalizzate all'interesse pubblico indicato, la discussione e il confronto tra la commissione e il Ministro devono metodologicamente svolgersi in base al principio di leale cooperazione e, in particolare, in base ai paradigmi e alle regole della correttezza nei rapporti reciproci e del rispetto dell'altrui autonomia. La sentenza n. 168 del 1963 invocata dal ricorrente ebbe invero a ripudiare l'interpretazione dell'art. 110 Cost. nel senso restrittivo che i servizi, l'organizzazione ed il funzionamento dei quali spetta al Ministro, sarebbero soltanto quelli inerenti al personale delle cancellerie e segreterie, agli ufficiali giudiziari, alle circoscrizioni giudiziarie, ai locali, all'arredamento dei medesimi e, in genere, a tutti i mezzi necessari per l'esercizio delle funzioni giudiziarie; i servizi affidati al guardasigilli dallo stesso articolo comprendono altres� sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento dei medesimi in relazione all'attivit� ed al comportamento di magistrati che vi sono addetti. Data questa estensione dei compiti attribuiti al Ministro dall'art. 110 Cost. deve escludersi una netta separazione con i compiti attribuiti al C.S.M. dall'art. 105 Cost., sicch� proprio il rispetto delle � competenze a ciascuno attribuite � pu� richiedere un � rapporto di collaborazione � tra i due organi; simile rapporto appare allora particolarmente necessario nel caso del conferimento dell'ufficio direttivo che, come si � osservato, deve rispondere alle due diverse esigenze: quella pi� strettamente giudiziaria, attribuita al C.S.M., e quella organizzativa e funzionale dell'ufficio attribuita invece al Ministro. � allora del tutto logico e conforme alle ricordate norme costituzionali che alla scelta della persona idonea a ricoprire l'ufficio collabori, con il C.S.M., il Ministro di Giustizia sia pure nella forma limitata del concerto nella formulazione della proposta da sottoporre al plenum del Consiglio. Significativa, e dimostrativa che nessuna violazione della autonomia del C.S.M. nella valutazione delle attitudini giurisdizionali dei magistrati viene lesa dall'art. 11, � la considerazione che la partecipazione del Ministro di Grazia e Giustizia, sotto forma del concerto nella formulazione della proposta, � chiesta RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 204 Sotto il primo profilo, occorre osservare che la commissione concertante � tenuta a formulare una valutazione preliminare da comunicare al Ministro, la quale deve essere basata su motivazioni non rituali o stereotipe, ma dirette a evidenziare i reali motivi della scelta proposta e la non incidenza sulla stessa di logiche estranee alla valutazione obiettiva e imparziale dei candidati. Alla valutazione preliminare, ove una delle parti ne ravvisasse la necessit�, deve esser allegata copia della documentazione utile per la formulazione della proposta e devono esser fornite, su richiesta, le eventuali integrazioni di dati e di informazioni. Analoghi vincoli ricadono sul Ministro, il quale, in particolare, se utilizza una propria documentazione, ha il dovere di renderla nota alla commissione, in modo che fil confronto 1sugli argomenti e sulle valutazioni risulti serio, approfondito, esauriente e costruttivo. In ogni caso, quando la valutazione preliminare della commissione incontrasse iniziale ostacolo nelle valutazioni difformi del Ministro sulle capacit� organizzative e gestionali del candidato indicato, il dovere di discussione ricadente sull'autorit� procedente comporta che si ponga in essere, in tempi 11agionevolmente brevi, un serio tentativo di superare le divergenze attraverso le necessarie fasi dialogiche, quantomeno articolate nello schema propostarisposta, replica-controreplica. Sotto il profilo della leale cooperazione e, in particolare, sotto quello della correttezza nei rapporti reciproci, l'attivit� di concertazione deve solo per dl conferimento degli uffici direttivi che non sempre si accompagna alle promozioni alle pi� alte qualifiche della carriera per le quali, quindi, pi� delicata, ma resta riservata al C.S.M., � la valutazione delle attitudini del candidato allo svolgimento della funzione giurisddzionale. N� alcun sostegno alla tesi della interpretazione dell'art. 11, comma 3�, in contrasto con la sua formulazione letterale ovvero anche della sua illegittimit� costituzionale, pu� trarsi dalla ripetuta sentenza 168/63 che dichiar� la illeg.ittimit� costituzionale della disposizione dell'originario art. 11, comma 2�, per il quale il Consiglio poteva deliberare solo su richiesta del Ministro. Ben diverso � infatti il significato e la portata delle due disposizioni: la prima era applicabile in genere a tutte le deliberazioni del C.S.M. e non limitatamente a quelle che incidono sulla organizzazione dei servizi giudiziari; essa, inoltre, indicava, nella richiesta del Minii.stro, il mezzo esclusivo stabilito per promuovere l'attivit� del Consiglio Superiore. Perci� la Corte ne dichiar� la illegittimit� costituzionale considerando lesivo dell'autonomia dell'organo collegiale il potere attribuito al Ministro di condizionare l'attivti� del C.S.M., laddove non devono ritenersi lesive, come si � visto la Corte lo ha espressamente chiarito nella sentenza, le norme che presuppongono e disciplinano un rapporto di collaborazione tra il C.S.M. ed il Ministro Guardasigilli, rapporto reso necessario per l'espletamento dei compiti a questa attribuiti dall'art. 110 che comprendono sia l'organizzazione degli uffici nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati in base alle piante organiche, sia il funzionamento degli uffici medesimi in relazione all'attivit� ed al comportamento dei magistrati che vi sono addetti. Appunto questo rapporto di collaborazione � previsto e regolato dal 3� comma dell'art. 11 che prescrive H concerto del Ministro sulla proposta da PARTE. I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 205 svolgersi. secondo .comportamenti coerenti e non contraddittori, tanto in relazione alla specifica proposta da formulare, quanto in relazione a pregresse proposte riguardanti lo stesso magistrato� o lo stesso incarico. Le parti, inoltre, non possono dar luogo ad atteggiamenti dilatori, . pretestuosi;/ ambigui,. incongrui o insufficientemente motivati, di modo che il c<,>nfronto possa avvenire s.u basi di correttezza e di apertura alle altrui posizioni � .Cos�..�. precisata.. in base . all'interesse .publ;>lico da perseguire e al metodc;> della leale> co�perazione, l'attivit� di concertazione tra comInissione e l\4inistro, prevista dal ricordato art. 11, risponde all'esigenza costituzion~1 per la quale, quando si tratta di preposizione a uffici, cqme. q.e!ii relativi agli incarichi direttivi, dove forte � l'incidenza delle capacit� organizzative e gestionali nell'assegnazione da compiere, l'esercb; io .delle competenze. del Consiglio superiore sui provvedimenti di stato dt.'li magistrati (art. 105 della Costituzione) deve tenere ragionevolmente conto degli interessi relativi all'organizzazione e al funzionamento dei servizi giudi~iari, imputati al l\finiS<tro della giustizia (art. 110 della Costituzione)~ Il .dove:r;e. <li reciproca collaborazione, . che deve. ispirare l'esercizio d.ell.e .predette competenze, comporta che, se l'attivit� di concertazione deve esser~ soggettivame)lte ed oggettivamente orientata a ricercare, pe;r quanto possibile, la convergenza fra le parti, allo .stesso modo il �rifiuto del concerto� da parte del Ministro dev'essere motivato, non formulare al plenum del Consiglio: simile potere, infatti, non pu� confondersi, come vorrebbe il C.SM, nel suo ricorso, .n� con un potere positivo di nomina, n� di assenso o di veto rispetto alla nomina stessa. Si tratta di un potere diverso, di un vero e proprio potere di proposta, neppure esclusivo, ma da esercitarsi; di concerto con la Commissione del � C.S.M., nel pieno rispetto dei poteri deliberanti del plenum del Consiglio. Il C.SM., nel suo ricorso, formula l'ipotesi che il Ministro, negando via via il proprio positivo concerto anche a pi� candidati indicati dalla Commissione del C.S.M., potrebbe costringere lo stesso Consiglio a prescegliere l'unico candidato non gi� ritenuto pi� idoneo dal Consiglio stesso, ma preferito dal Ministro. Ma si. tratta di un'ipotesi astratta e mai realizzatasi storicamente, dato che, come � ricordato nello stesso ricorso del C.S.M., fino ad ora si � pur sempre giunti, sia .pure seguendo l'anomalo procedimento gi� previsto dall'originario art. 22 del regolamento, alla formull.i.one di proposte concertate tra la Commissione ed> .il Ministro. N� la vicenda ora in esame pu� considerarsi realizzazione .deU'ipotesi .formulata. in quel ricorso, ci� che, del resto neppure � stato so.stenuto dal ricorrente C.S.M. Il.ddniego di concerto � stato infatti espresso dal Ministro nei confronti di un solo candidato, e non � stato ripetuto via via anche. nei confronti di altri, n� � valso a far prevalere la scelta del Ministro . sulla quale non si era formato il consenso della maggioranza della Commissione. L'ipotesi del ripetuto diniego � quindi un'ipotesi astratta, si ripete, di violazione dell'obbligo imposto dall'art. 11, 3� comma, al Ministro e ai componenti la Commissione di formulare proposta concertata; violazione che pu� essere compiuta, non soltanto dal Ministro, ma da tutti i soggetti che devono 206 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO gi� da semplici divergenze, ma da gravi e insuperabili contrasti sulla proposta da formulare. In quest'ultima evenienza spetter� al plenum del Consiglio superiore la deliberazione sull'incarico da conferire in relazione alla proposta della commissione competente e alle eventuali diverse indicazioni del Ministro, con il dovere per il Consiglio di motivare adeguatamente la propria scelta anche in riferimento alle vailutazioni e alle argomentazioni formulate in sede di proposta. Il conflitto di attribuzioni in esame e, pi� in particolare, la questione se tra la commissione per gli incarichi direttivi e il Ministro della giustizia si sia realizzato il concerto previsto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958, in attuazione degli artt. 105 e 110 della Costituzione, vanno risolti sulla base dei criteri ora precisati. Al fine di verificare se si sia effettivamente svolta ovvero sia mancata un~adeguata attivit� di concertazione, ispimta al principio della leale cooperazione, occorre procedere all'esame dei comportamenti in concreto tenuti dalle parti in sede di concerto. Dopo che, in ossequio al previgente art. 22 del regolamento interno del Consiglio superiore della magistratura, la commissione per gli incarichi direttivi, il 18 luglio 1991, aveva inviato al plenum l'elenco degli aspiranti al posto di Presidente della Corte d'appello di Palermo, le proprie valutazioni e le conseguenti motivate conclusioni e dopo che, in osservanza dello stesso art. 22, il plenum aveva espresso il proprio avviso, concertarsi, tanto che � stato autorevolmente osservato che la prescrizione del concerto, da ritenere opportuna sul piano pratico, pu� sul piano teorico esporsi alla critica che il congegno potrebbe attribuire aii componenti la Commissione, e per di pi� a due soli -ora, dopo le modifiche introdotte con l'art. 3 l. 3 gennaio 1981, n. 1, a quattro -di essi, il potere di escludere un magistrato da un ufficio direttivo, un potere cio� superiore a quello degli altri componenti, il che contrasta con il principio della pariteticit� del voto dei componenti nello stesso collegio. Deve, quindi, ritenersi che l'eventuale illegittimo comportamento del Ministro o dei componenti la Catmmissione, in sede di formulazione della proposta, sia sanzionabile in modo diverso dalla pronunzia dii illegittimit� della norma che prescrive la formulazione di proposta concertata e che possa anche, quando l'ipotesi sopra configurata si realizzi in concreto, costituire lesione delle attribuzioni costituzionali dall'altro organo chiamato al concerto: ma, nella fattispecie, deve invece ritenersi che la delibera del Consiglio che ha deliberato definitivamente la nomina del Dr. Giardina, pur dopo aver preso atto ed aver considerato il negato concerto sulla relativa proposta espresso dal Ministro nella nota dell'll novembre 1991, abbia illegittimamente violato le attribuzioni conferite al Ministro stesso dall'art. 11, 3� comma, della legge n. 195/58 in attuazione dell'art. 110 Cost.: abbia, in definitiva, leso attribuzioni costituzionali del Ministro. 9. -Con un terzo, e subordinato motivo, il C.S.M. solleva questione incidentale di legittimit� costituzionale dell'art. 11, comma 3, della legge n. 195 del 1958: se interpretata nel senso che condiziona al previo positivo concerto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 207 il Ministro della giustizia, richiesto del concerto dalla predetta commissione, inviava . una lettera al Vice-presidente del Consiglio superiore con la quale faceva presente che, in relazione all'interesse pubblico a che siano conferiti incarichi . direttivi a magistrati idonei a dirigere i servizi -servizi di cui lo stesso Ministro � costituzionalmente responsabile -, egli era indotto a chiedere urgentemente una sostanziale modifica del ricordato art, 22. A parere del Ministro, infatti, quest'ultimo articolo, nel prevedere in fase di proposta la valutazione della commissione e l'avviso del plenum anteriormente al concerto con il Ministro, riduceva la partecipazione di quest'ultimo a un atto formale di assenso o di rifiuto nei confronti di una scelta sostanzialmente gi� effettuata dal Consiglio superiore. In ragione di ci� il Ministro chiedeva una modifica dell'art. 22 che, per essere. in armonia con la legge e con la Costituzione, avrebbe dovuto promuovere una pi� proficua collaborazione tra il Consiglio e il Ministro stesso, ferma restando l'autonomia della decisione finale da parte del plenum, Con lettera del 30 luglto 1991, il Vicepresidente del Consiglio superiore rispondeva al Ministro che, pur ritenendo il testo allora in vigore dell'art. 22 pienamente legittimo, concordava sull'esigen.m della collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze e, pertanto, non poteva non ravvisare un fondamento nella richiesta del Ministro, specialmente con riguardo alla sottolineatura da questo compiuta sull'autonomia di decisione del Consiglio. Il 5 agosto dello stesso anno, il Presidente della Repubblica scriveva al Vicepresidente del Consiglio superiore rilevando del Ministro la deliberazione consiliare di conferimento dell'ufficio direttivo, allora la norma sarebbe in contrasto con gli artt. 104, 105 e 110 Cost. Per la verit� non �, quella cos� indicata, la esatta interpretazione desumibile dal significato letterale delle parole usate dal legislatore: il previo concerto del Ministro � richiesto, e la condiziona, non gi� per la deliberazione consiliare, bens� per la formulazione della proposta da sottoporre alla deliberazione del C.SM. La questione � comunque manifestamente infondata. Come si � prima osservato, il conferimento dii ufficio direttivo � provvedimento che incide sulle due sfere di competenze costituzionali attribuite al C.S.M. dagli artt. 105 Cost. e 10, n. 1, l. 24 marzo 1958, n. 195 ed al Ministro di Giustizia dall'art. 110 Cost. e dal d.P.R. 26 agosto 1959, n. 775. Questo concorso di competenze � propmo il presupposto che non solo giustifica, ma rende anzi necessaria, quella collaborazione tra le autorit� titolari delle rispettive competenze. che si realizza appunto con il concerto o con l'intesa, la cui necessit� � stata affermata dalla Corte Costituzionale con la ricordata sentenza n. 168 del 1963 proprio per la tutela delle competenze attribuite dalla Costituzione al C.S.M. ed al Consiglio dei Ministri. La necessit� della leale collaborazione � stata poi ripresa e riaffermata dalla Corte con la sentenza n. 175 del 1976, quale strumento necessario per coordinare tra loro le competenze regionale e statale e realizzare un giusto contemperamento delle finaLit� rispettive (si trattava, allora, delle competenze regionale in materia urbanistica, e statale in materia di parchi nazionali). In .. II 208 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO la delicatezza della questione sollevata dal Ministro e manifestando l'in-~ tenzione di non porre all'ordine del giorno dei lavori consiliari il confe-[ rimento degli incarichi direttivi finch� le procedure interne si prestavano W a critiche sotto il profilo del rispetto delle competenze degli organi par-,~i tecipanti. Anohe a questa lettera il Vicepresidente del Consiglio superiore 3 rispondeva il 9 agosto 199�1 dichiarandosi d'accordo e comunicando di II aver gi� pregato la commissione per il regolamento di varare la modifica ~ dell'art. 22 con sollecitudine, onde evitare la paralisi nel conferimento degli incarichi direttivi; Raccogliendo la preoccupazione manifestata dal Vicepresidente del � Consiglio superiore circa l'urgenza del provvedere alla copertura degli ~ incarichi, il Ministro, in data 18 settembre 1991, dava il proprio assenso ~ al conferimento di tutti gli incarichi direttivi, ad eccezione di due (fra I cui quello contestato), ribadendo, tuttavia, riguardo a questi ultimi, che, Ila fino a quando non fosse adottata una nuova norma regolamentare resa conforme alla legge e alla Costituzione, non avrebbe preso in considera-' zione ulteriori provvedimenti adottati secondo l'art. 22 allora in vigore, fil ritenendo che quest'ultimo fosse in contrasto con la legge. I In conseguenza della nuova lettera del Ministro, il Consiglio supe-~ riore decideva di riunire il suo plenum per prendere posizione sulla situa-~ zione. Il 3 ottobre 1991 quest'ultimo adottava una risoluzione, con la t f,'.,_. quale, dopo aver premesso che le nuove procedure per il concerto non f: potevano avere applicazione ai conferimenti di incarichi direttivi in corso I fil attuazione del princ1p10 cos� affermato venne annullata una delibera di appro � vazione di piano regolatore, comprendente zone incluse in un Parco nazionale, adottata dalla Regione senza che fosse previamente intervenuta un'intesa con ~ i competenti organi dello Stato. Dopo le due sentenze n. 168 del 1963, relativa a rapporti tra organi dello I Stato, e n. 175 del 1976, relativa a rapporti tra Stato e regioni, la Corte ha ripetutamente e costantemente ribadito, in sede di definizione di conflitti tra Stato e regioni, il principio della leale collaborazione, da realizzarsi attraverso la mutua informazione ovvero attraverso intese, quale strumento basilare e necessario a garantire, con il rispetto delle rispettive competenze, l'osservanza dell'art. 97 Cost. quando l'at1livit� amministrativa debba compiersi nelle zone di confine tra le I competenze statale e regionale. Ed allora, quando invece si tratti di adottare, nel rispetto dell'art. 97 Cost., provvedimenti in materia incidente su competenze non gi� di Stato e regioni, bens� di diversi organi o poteri dello Stato, quella leale collabora2tlone, necessaria a coordinare e contemperare le rispettive competenze e finalit�, dovr� realizzarsi secondo una definiziolne generalmente ac I colta, non gi� attraverso intese, bens� attraverso il concerto, appunto quel concerto prescritto dall'art. 11 legge 195/58 per la emanazione di provvedimenti I di conferimento degli uffici direttivi giudiziari, che coinvolgono le competenze f attribuite al C.SM. dall'art. 105 ed al Ministro dall'art. 110 Cost. ~ Perci� si chiede che il ricorso del C.S.M. sia dichiarato infondato. 1 GIORGIO AZZARITI Avvocato dello Stato I ! ! ' I I I I o, coniunque;; alle .fasi . pregresse. del procedimento in atto, chiedeva al Ministro un sollecito �perfezionamento � delle proposte gi� avviate� �sulla base dell'art. 22 nel�. testo da liii contestato. Nel corso della stessa �seduta; iliConsiglio. approvava poi il nuovo testo delr~rt; 221 con il quale si stabilisce che in fase �di.�proposta. la Commissione per gli incarichi direttivi in(l,ica al Ministro . l'elen<zo degli; aspfran.tif le proprie valutazioni, le conseguenti m9tivate conclusionLe> quelle deLdissenzienti al .fine di proeedere al.� coricertO: e; all'esito <11 ques~o, riferisce al Consiglio che �delibera sull'incarico da asseg.are� A seguito . de;tla richiesta del Consiglio superiore, il Ministro.. in data 11 nov.embre 19911 �rifiuta il concerto � sulla proposta di conferiniento dell'iricarico�di �Presidente della Corte��d'appello di�Palermo nella� persona del dott/Pasquale. Giardina, allegando motivazionirelative tanto al merito della scelta quanto a;tle capacit� organizzative dei candidati e� affermando di J:>referire sotto� entrambi i profili il�dott: Antonino Palmeri;. gi� indicato da alcuni commissari" � � Il 18 novembre 1991 �fa Commissione competente,. invocando ancora il testo dell'art.22�contestato, riteneva di essere priva. di.qualsiasi ulterfore potere sulLa procedura in corso e, conseguentemente, investiva per la decisione il plenum comunicando tanto la propria proposta quanto quella deLMinistro;.In.data H dicembre, il Consiglio; dopo aver deciso che non occorreva tornare in commissione per. la riformulazione della proposta o per fa prose�uzione dell'istruttoria e .che occorreva procedere alla deci� sione �definitiva, conferiva l'incarico. in questione..�al�.. dott. �Giardina. ���Il 17 dicembre 1991 �il Presidente della Repubblica: inviava una lettera al Consiglio :superiore con la quiale �portava a conoscenza dello stesso che ilMimstro della giustizia non intendeva proporre l'emanazione del decreto presidenziale previsto dall'art; 17 della legge n. 195 del 1958 per il fatto che. consideravair:bicevibile la deliberazione del Consiglio, �ssendo questa avvenuta ��su una�� pr()post�. sulla.�� quale non era stato effettuato il prescritto concerto .. In particolare;.� il Mirustro �affermava. di�. non . poter partecipare alla formazione di un atto illegittimo, perch� privo del richie" sto concorso della volont� ministeriale alla proposta ~della commissione, e lamentava l'appUcazione nel caso del vecchio art. 22 del regolameto, il quale, a suo giudizio, costituiva un intralcio a un'effettiva collaborazione, dal �no1nento che limitava, ad� un tempo, la discrezionalit� della commissione e l� libert� di valutazione del Mimstro; Su questa decisione del Ministro� della giustizia di non dar corso a1 predetto decreto; i1 Consiglio superiore, in data 29 gennaio 1992, �. deliberava di elevare n� conflitto di��attribuzioru ora m esame. Dal � complesso dei comportamenti osservati dalle due parti in relazione all'attivit� di concertazione svolta per il conferimento dell'incarico direttivo di Presidente della Corte di appello di Palermo risulta che il contestuale rifiuto del�� Ministro della giustizia di � dare il� concerto � e 210 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO di applicare il testo allora vigente dell'art. 22 del regolamento interno esprimeva l'esigenza di procedere, specialmente con riguardo agli incarichi pi� delicati, a una pi� intensa e fattiva collaborazione tra i partecipanti al concerto prescritto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958. Questa richiesta � stata sostanzialmente condivisa dal Consiglio superiore, tanto che, per un verso, ha ripetutamente manifestato su di essa il consenso attraverso il suo Vicepresidente e, per altro verso, ha posto sollecitamente mano a una modifica dell'art. 22 del regolamento interno, diretta a disciplinare le modalit� del concerto in una direzione collimante con quella postulata dal Ministro della giustizia. Tutt�via, mentre esprimeva questa posizione generale concordante con quella del Ministro, il Consiglio st1periore, in relazione al caso di specie, teneva un comportamento contraddittorio rispetto a quella posizione. Infatti, nella seduta della Commissione per gli incarichi direttivi del 18 novembre 1991, di fronte a un primo rifiuto del Ministro di �dare il concerto � e di fronte alle sue osservazioni critiche, la Commissione medesima negava la propria disponibilit� a proseguire il confronto in relazione a un incarico direttivo di estrema delicatezza, allegando w1a carenza di potere riguardo a ulteriori confronti, che, a ben vedere, avrebbe potuto essere affermata soltanto sull'erroneo presupposto che il concerto fosse equiparabile a un parere obbligatorio, ma non vincolante. In realt�, cos� facendo, la commissione per gli incarichi direttivi ha mancato di esplicare l'attivit� di concertazione, venendo meno al dovere di leale cooperazione cui deve ispirarsi il concerto, per il quale ricade sull'organo procedente il vincolo di fare quanto � possibile per tentare di superare le eventuali divergenze insorte in vista del miglior perseguimento dell'interesse pubblico in discussione. E ci� vale tanto pi� in relazione al conferimento di un incarico direttivo di importanza fondamentale qual era, nel caso, quello di Presidente della Corte d'appello di Palermo. In base alle considerazioni suesposte, che portano a negare la sussistenza in concreto di un'adeguata attivit� di concertazione, questa Corte, in riferimento al conflitto di attribuzioni promos�so in via principale, dichiara che spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura di conferimento degli uffici direttivi quando, da parte della commissione competente, sia mancata un'adeguata attivit� di concertazione, ispirata al principio della leale cooperazione in vista della formulazione della proposta. Conseguentemente, la stessa Corte dichiara che, essendo mancata, nel caso di specie, la detta attivit�, spetta al Ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo, relativo alla deliberazione adottata dal Consiglio superiore della magistratura in data 11 dicembre 1991. In via subordinata, il Consiglio superiore della magistratura chiede a questa Corte di dichiarare che non spetta al Ministro della giustizia PARm I~ SBZ; I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE il potere di impedire allo stesso Consiglio, negando il proprio positivo concerto alla proposta di nomina, di deliberare il conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo. Le argomentazioni svolte e le. conclusioni raggiunte nei punti pre� cedenti della motivazione contengono gi� i motivi e la risoluzione da dare anche alla domand� subordinata. Se alla nozione di concerto non pu� associarsi la figura del parere non vincolante, ancorch� obbligatorio, allo stesso modo deve negarsi che, a un'interpretazione dell'art. 11, terzo �comma, della legge n. 195 del 1958 non incompatibile con la Costi� tuzione, il .concerto possa coincidere con la necessit� che tra commis� sione per gli incarichi direttivi e. Ministro si raggiunga un accordo sul nome da proporre per la decisione del plenum. Il concerto, s'� prima detto, comporta un vincolo di metodo, non di risultato: un vincolo che obbliga le parti a una leale cooperazione, finalizzata alla ricerca della maggiore convergenza possibile attraverso una discussione effettiva e costruttiva. Pertanto, posto che l'attivit� di concertazione deve essere effettuata in modo adeguato, nel senso sopra precisato, e posto che le parti non debbono tenere comportamenti ostruzionistici e sleali, n� usare espedienti dilatori o pretestuosi, i tempi ragionevoli della concertazione sono quelli necessari a un'effettiva e leale discussione, quantomeno secondo lo schema dialogico indicato in precedenza: i tempi irragionevoli, infatti, sono quelli utilizzati per manovre dilatorie e per comportamenti non conferenti rispetto al miglior soddisfa� cimento dell'interesse pubblico connesso al conferimento dell'incarico direttivo al candidato professionalmente pi� idoneo. In considerazione del fatto che, in caso di mancato raggiungimento di un accordo, non pu�, dunque, essere impedito l'ulteriore corso del procedimento (v., per l'applicazione di tale modulo in altro ambito, sentt. nn. 21 e 4822 del 1991) e, in considerazione del fatto che, come pure convengono le due parti, non pu� essere arbitrariamente ostacolata la decisione finale di spettanza del plenum e l'autonomia del Consiglio superiore relatJivamente al conferimento dell'incarico direttivo, questa Corte, in ri.fedmento alla domanda subordinata del ricorrente, dichiara che non spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura sul conferimento degli uffici direttivi, quando, nonostante che sia stata svolta un'adeguata attivit� di concertazione nel senso sopra precisato, non si sia convenuto in tempi ragionevoli, tra la commissione e il Ministro sulla proposta da formulare. Le interpretazioni degli artt. 11, terzo comma, e 17, primo comma, della legge n. 195 del 1958 accolte ai fini della risoluzione del presente conflitto di attribuzioni precludono la possibilit� che ai suddetti articoli si conferiscano i signdficati in relazione ai quali il ricorrente ha prospettato i dubbi di legittimit� costituzionale menzionati all'inizio della motivazione in diritto. Il che fa venir meno le condizioni perch� questa 212 . RASSEGNA DELL'AVVOCATURA. "DELLO srAro� Corte sia tenuta a valutare se sollevare, o meno, le prospettate questioni di legittimit� costituzionale. p.q.m. -dichiara inammissibile il conflitto fra poteri dello Stato, indicato in epigrafe, promosso dal Consiglio superiore della magistratura nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri; -dichiara che spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura di conferimento degli uffici dfrettivi quando, 1da parte della commissione competente, sia mancata un'adeguata attivit� di concertazione, ispirata al principio di leale cooperazione ai fini della formulazione della proposta e, conseguentemente, essendo mancata nella specie la detta attivit�, spetta al Ministro non proporre al Presidente della Repubblica il decreto di conferimento dell'uf:IJicio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo relativo alla delibera del Consiglio superiore della magistratura in data l1 dicembre 1991; -dichiara che non spetta al Ministro della giustizia non dar corso alle deliberazioni del Cons�iglio superiore della magistratura sul confe� rimento degli uffici direttivi quando, nonostante che .sia stata svolta un'adeguata attivit� di concertazione nei sensi indicati� nel capo precedente, non si sia convenuto in tempi ragionevoli tra la commissi�ne e il Ministro sulla proposta da formulare. SEZIONB _SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, s� sez., 8 aprile 1992, nella causa C-256/90 -Pres. Joliet -Avv. gen. Jacobs -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Perugia nella causa Mignini s.p.a. (avv. E. Cappelli) c. A.I.M.A. -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Conti e Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. de March). Comunit� europee -Agricoltura -Semi di soia -Regime d'aiuti alla pr�d~ione � Regolamento contenente modalit� di applicazione � Viola� Zione del principi� di �parit� � di trattamento e del principio di proporzionalit� � Invalidit�. (Regolamenti CEE del Consiglio 23 maggio 1985, 1491, e succ. mod., art. 2; 25 luglio 1985 n. 2194, e succ. mod., art. 4; e della Commissione 8� agosto 1989, n. 2537, e succ. mod., art. 2). E� invatido l'art. 2, n. 1, lett. b), del reg. CEE della Commissione 8 agosto 1989, n. 2537, recante modalit� di applicazione delle misure speciali per i semi di soia, come integrato dall'art. 1, n. 1, del reg. CEE della Commissione 19 gennaio 1990, n. 150, in quanto esso riserva un trattanien, to d.itf erente agli incorpor_q,to!i e ai_ produttori di olio pir quanto rig..arda il controllo dell'aiuto �comunitario alla soia ed eccede palesemente le_ differenze che potrebbero essere adeguate e necessarie per conseguire lo scopo perseguito (1). ' (1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano, il quale aveva presentato alla Corte osservazioni, in funzione di amicus curiae, in favore della tesi dei mangimisti � 'sostenuta dalla Soc. Mignini. �Considerato che <l'importo dell'aiuto comunitario -si era detto -� fissato dalla Commissione almeno .due volte al mese, in relazione alle variazioni di prezzo del mercato mondiale, il momento -dell'identificazione del prodotto assume' una rilevanza essenziale, aeterminando esso l'ammontare dell'aiuto spettante al primo acquirente: costui, sulla base di sue valutazioni di carattere e�onomic�, chiedendo l'identificazione nel momento da lui ritenuto pi� opportuno ed ancorando ad essa la domanda di aiuto, opera una scelta, che gli potr� essere pi� o meno favorevole, ma che � rimessa al suo potere. ,i: � La domanda di identificazione per�, secondo l'art. 11, n. 2, del reg. 2537/89. � ricevibile � solo se i semi sono entrati nell'impresa al pi� tardi il giorno della sua presentazione�, intendendosi per impresa uno dei luoghi indicati nell'art. 2, n. 1, del medesimo regolamento, cio� un luogo dentro ovvero anche fuori del perimetro dello stabilimento di trasformazione a seconda che. il. primo acquirente sia o non sia_ un trasformatore in alimenti destinati RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 214 (omissis) 1. -Con ordinanza 6 agosto 1990, pervenuta in cancelleria il successivo 22 agosto, la Pretura circondariale di Perugia ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale vertente sulla validit� dell'art. 2 ,n. l, lett. b), del regolamento (CEE) della Commissione 8 agosto 1989, n. 2537, recante modalit� d'applicazione delle misure speciali per i semi di soia (G.U. L. 245, pag. 8), come modificato dal regolamento {CEE) della Commissione 19 gennaio 1990, n. 150 (G. U. L. 18, pag. 10, in prosieguo: le � disposizioni controverse �). 2. -La detta questione � stata sollevata nell'ambito di una controversia sorta tra la societ� Mignh� s.p.a. (in prosieguo: la � Mignini �), produttrice di mangimi a base di semi di soia, e l'Azienda di Stato per gli interventi sul mercato agricolo (in prosieguo: l'� AIMA �) a seguito del rifiuto di ,corrispondere alla detta societ� il cosiddetto aiuto � al primo acquirente� previsto dall'art. 2, n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 maggio 1985, n. 1491, recante misure speciali per i semi di soia (G.U. L. 151, pag. 15), da ultimo modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 luglio 1988, n. 2217 (G.U. L. 197, pag. 11). 3. -L'AIMA si � rifiutata di versare l'aiuto richiesto dalla Mignini per. l'acquisto di una partita di 37,7 quintali ,di semi di soia per il motivo che i detti semi non erano stati identificati nel perimetro dello stabili- al consumo umano (escluso l'olio) o in mangimi. L'identificazione, inoltre, deve essere chiesta rumeno tre giorni prima della trasformazione con un lasso di tempo maggiore nel caso di domanda trasmessa per fax o per telex (artt. 12 e seg. del reg. cit.). � Ne consegue che il primo acquirente alimentarista o mangimista (a differenza del primo acquirente disoleatore o non trasformatore) che possiede un'impresa con ridotte capacit� di stoccaggio, non � in grado di effettuare liberamente le sue scelte economiche secondo una sua analisi del mercato, determinando, con l'identificazione dei semi, -l'importo dell'aiuto. Un tale operatore � costretto a condizionare l'identificazione (e con essa l'importo dell'aiuto) alla ridotta disponibilit� dei magazzini interni allo stabilimento e quindi ai ritmi di trasformazione dei semi attuati nella propria impresa. Considerato altres� che, ai sensi dell'art. 6, n. 2, lett. d'J, del reg. cit., il primo acquirente deve prendere in consegna la totalit� del quantitativo di semi raccolto dai produttori sulle superfici seminate e oggetto del contratto, risulta limitata la possibilit� del primo acquirente alimentarista o mangimista, che disponga di una ridotta capacit� di stoccaggio, di stipulare un adeguato numero di contratti, tenuto conto delle condizioni dell'identificazione e della palese non convenienza economica di trattenere i medesimi semi in deposito (fuori del perimetro dello stabilimento di trasformazione) senza il corrispettivo aiuto (possibile solo con l'identificazione nel perimetro dello stabilimento). � Le conseguenze sono che il primo acquirente trasformatore alimentarista o mangimista pu� godere dell'aiuto in un importo che risulta determinato non PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 215 mento di produzione, contrariamente a quanto prescritto dalle disposi� izioni controverse; 4. � La Mignini ha quindi adito la Pretura circondariale di Perugia chiedendo la declaratoria, previo rinvio pregiudiziale aJla Corte, cl.ell'in� va1icl.it� delle disposizioni .controverse ed inoltre la condanna dell'AIMA .!:\�versarle. l'importo di 1.650.000 lire come aiuto al primo acquirente. 5. � Alla luce di .. quanto sopra, la Pretura circondariale di Perugia ha S()~peso .il i;>rocedimento�. fino a . che la Corte non si � pronunzi 'in via pregitJ,cliziale sulla validit� dell'art. 2, n. l, lett. b), del regolamento (CEE) ~. 2537/89 della Commissione in data 8 agosto 1989, come integrato dal regolamento {CEE) n. 150/90 in data 19 gennaio 1990 �. 6. � Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti della causa prin� dpale; delle norme coII1un�tarie �di �cui trattasi, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione. d'udienza. Questi elemerlti del fascicolo� sono richiamati solo nella misura necessaria alfa comprensione del ragionamento della Corte. 7. � In via preliminare, si deve ricordare che, per favorire lo svi� luppo della produzione comU:iJ.itaria di soia, il citato regolamento del Consiglio n. 1491/85, nella versione modificata dal citato regolamento in relazione alle sue libere scelte economiche ma solo in relazione ai suoi ritmi di lavorazione e; non potendo stoccare il prcidotto senza godere dell'aiuto in attesa della possibilit� �d'identificazione secondo i suddetti ritmi, � costretto ad approvvigionarsi da un mediatore (primo acquirente non trasformatore) con ovvio aggravio di spese. � Non sembra possa essere negata la sussistenza di una irragionevole disparit� di trattamento a carico del primo acqUirente di cui trattasi, non solo nei confronti degli altri primi acquirenti degli stessi semi destinati ad altri usi (come .la disoleazione), ma anche nei confronti dello stesso mangimista o alimentarista che trasformi contemporaneamente sia semi di soia che altri semi oleosi, come colza e girasole, per i quali non esiste nessuna delle restrizioni" sopra descritte,-malgrado la sostanziale identit� delle situazioni di base. � E una ragione della diversit� di disciplina non sembra doversi riscontrare neanche in particolari necessit� di controllo, posto che da un lato il meccanismo della identificazione, quale precisato e . rafforzato nel reg. 2537/89, appare funzionale e idoneo al controllo nella stessa misura in cui lo � per il prodotto � acquistato dal trasformatore; e poi .perc)l� comunque, ammesso e non concesso che vi sia effettivamente una particolare e differenziata esigenza di controllo per i soli primi acqUirenti mangimisti o alimentaristi, non. sembra affatto che ad una tale esigenza debba farsi fronte necessariamente ed esclusivamente con una misura cos� illogica, che tanto fortemente penalizza gli operatori a differenza di altri in posizione sostanzialmente similare, donde la violazione del principio di proporzionalit� oltre che quello della parit� di trattamento (O.F.) �. 216 .RASSOONA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO n. 2217/88, che si applica nella fattispecie di cui alla causa principale, dispone la concessione di un'integrazione a tutti i trasformatori di semi di soia che abbiano stipulato con i produttori dei semi stessi, singoli o associati, contratti i quali prevedano il pagamento di un prezzo almeno pari al prezzo minimo fissato ogni anno dalle autorit� comunitarie (in prosieguo: i �contratti di coltivazione�). Il detto prezzo minimo garantisce al produttore di semi la vendita del prodotto ad un prezzo il pi� vicino possibile al prezzo d'obiettivo, tenuto conto delle variazioni del mercato e delle spese di trasporto dalle zone di produzione alle zone di impiego. L'integrazione, pari alla differenza tra il prezzo d'obiettivo e il prezzo del mercato mondiale, allorch� questo � inferiore, � concessa per i semi raccolti e trasformati ne11a Comunit� previa produzione della prova della trasformazione. 8. � Inoltre, l'art. 2, n. 2, del regolamento dispone che � fino al 31 dicembre 1992 negli Stati membri nei quali la commercializzazione di semi di soia � disciplinata da una normativa nazionale che garantisce un'organizzazione e un controllo sufficienti, l'integrazione pu� essere con� cessa ad un primo acquirente che non sia il trasformatore �. 9. � A tenore dell'art. 4 ,nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 25 luglio 1985, n. 2194, che stabilisce le norme generali relative alle misure speciali per i semi di soia (G.U. L. 204, pag. 1), nella versione modificata dal regolamento (CEE) del Consiglio 3 maggio 1989, n. 1231 (G.U. L. 128, pag. 24), che si applica nella fattispecie di cui alla causa principale: � ai fini del presente regolamento s'intende per ' identificazione ' l'atto mediante il quale l'organismo competente dello Stato membro atte� sta, su richiesta dell'interessato, che per il quantitativo di semi di soia oggetto della domanda l'importo dell'integrazione da concedere � quell� valido il giorno della presentazione della domanda. (. ..) L'identificazione dei semi ha luogo a partire dal loro ingresso nell'impresa dove essi saranno trasformati e prima della loro trasformazione� 2. Su richiesta dell'interessato, lo Stato membro procede all'identificazione dei semi �. 10. � Per l'applicazione del detto regime di aiuti, si intende per � im� presa�, ai sensi dell'art. 2, n. l, del citato regolamento della Commissione n. 2537/89, nella versione modificata dal regolamento 19 gennaio 1990, n. 150: a) un oleificio comprendente: -qualsiasi locale o altro luogo dello stabilimento di produzione; -qualsiasi impianto di deposito al di fuori di detto perimetro situati nel ter;ritorio doganale dello Stato membro dove � ubicato lo stal:>i� PARTE t, SU:. II,. GIURIS. COMUNITARIA B. INTBRNAZIONALE lU;nento.di produzione, che presenti garanzie sufficienti ai fini del controllo .dei prodotti immagazzinati e che sia stato preventivamente riconosciuto dall'organismo responsabile del controllo; b) oppure uno stabilimento per la produzione di alimenti destinati al consum� umano o di mllnSimi. che possano essere utilizzati come tali dal consumatore mnhle. . Lo stabiliriiellfo e.leve essete dotato d�un impianto di deposito, situato entro il suo perimetro, la cui capacit�, determinata dall'organismo respons�bile � del controllo, sia adeguata alle prescrizioni del presente regolamento per quanto riguarda de disposizioni concernenti l'identificazione del semi ed il controllo della loro presenza e della loro utilizzazione da parte dell'impresa; e) oppure qualsiasi stabilimentQ gestito da un primo acquirente non trasformatore, riconosciuto a norma dell'art. 2. n. 3, del regolamento (CEE) n. 2194/85, comprendente impianti di deposito dei semi che offrano suffi. denti garanzie, ai fini del controMo dei prodotti immagazzinati e preventivamente riconosciuti dall'organismo responsabUe del controllo. 11. �La Mignini e ilgoverno italiano sostengono che l'obbligo imposto ai produttori di .mangimi. e non agli .oleifici, di disporre di un impianto di deposito all'interno dello stabilimento di produzione � in contrasto con il principio di proporzionailit�, tesi contestata dalla Commissione. 12, ~ La Mignini e il governo italiano deducono in sostanza che, sotto il profilo dei controlli, i produttori di alimenti zootecnici o di alimenti destinati �lconsumo umano (in prosieguo: gli � incorporatori �) si trovano in una situazione analoga a quella dei produttori di olio. In particolare, il controllo dei quantitativi di semi di soia impiegati nella produzione potrebbe effettuarsi sug1i alimenti prodotti con garanzie di applicabilit� analoghe a quelle fornite dal controllo della produzione dell'olio. Il provvedimento di cui trattasi sarebbe quindi inutMe ai fini del controllo, mentre risulterebbe molto oneroso, o addirittura dissuasivo, per le imprese interessate. 13. � Dal canto suo la Commissione sostiene che gli incorporatori si trovano �in situazione diversa da quella degli altri trasformatori, poich� nel� loro caso il numero dei beneficiari dell'aiuto � potenzialmente. molto superiore e fa trasformazione dei semi � molto pi� difficile da controllare, non sussistendo rendimenti standard. Essa deduce inoltre che, tenuto conto dei quantitativi di soia prodotti ed importati nella Comunit� nonch� del numero e della difficolt� dei controlli da effettuare nel settore considerato, le disposizioni controverse sono necessarie per evitare che l'aiuto sia distolto dalla sua finalit�. 218 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 14. -Tanto dalla natura delle disposizioni controverse quanto dagli argomenti presentati, da un lato, dalla Mignini e dal governo italiano e, dall'altro, dalla Commissione risulta che, per l'esame delle dette disposizioni, la violazione del principio di non discriminazione non pu� andare disgiunta dalla violazione del principio di proporzionalit�. Di conseguenza, la validit� delle disposizioni controverse dev'essere giudicata con riguardo si.a al principio di non discriminazione sia al principio di proporzionalit�. 15. -Secondo la costante giurisprudenza della Corte (v. in particolare la sentenza 29 giugno 1988, Van Landschoot, punto 9 deHa motivazione, causa 300/85, Racc. pag. 3445), il divieto di discriminazione sancito dall'art. 40, n. 3, secondo comma, del Trattato, in quanto espressione specifica del principio generale della parit� di trattamento osta a che situazioni analoghe siano trattate in modo diverso, a meno che la differenziazione sia obiettivamente giustificata. 16. -Sempre secondo la giurisprudenza della Corte (v. in particolare, sentenza H marzo 1987, Rau ed altri, punto 34 della motivazione, cause riunite 279, 280, 285 e 286/85, Racc. pag. 1069) onde stabilire se una disposizione di diritto comunitario sia conforme al principio di proporzionalit� si deve accertare se i mezzi da essa contemplati siano idonei a conseguire lo scopo perseguito e non eccedano quanto � necessario per raggiungere il detto scopo. Inoltre, bench� la manifesta inadeguatezza di un provvedimento rispetto allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire possa inficiarne la legittimit�, si deve tuttavia riconoscere alle istituzioni comunitarie un ampio potere discrezionale in materia di politica agricola comune tenuto conto delle responsabilit� loro conferite dal Trattato. 17 -Emerge tanto dal diciannovesimo considerando del citato regolamento della Commissione n. 2537/89, quanto dal primo considerando del citato regolamento n. 150/90, che le disposizioni controverse mirano ad ovviare alle difficolt� incontrate nel controllo degli aiuti destinati a favorire .Ja coltivazione della soia nella Comunit�, ma versati ai fabbricanti di mangimi o di alimenti destinati al consumo umano. 18. -Gli scopi e le modalit� generali del controllo degli aiuti versati ai primi acquirenti sono definiti nell'art. 6 del citato regolamento del Consiglio n. 2194/85, il quale dispone, nella versione modificata dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 luglio 1988, n. 2218 (G. U. L 197, pag. 12), che si applica nella fattispecie di cui alla causa principale che: � 1. Gli Stati membri produttori istituiscono un sistema di controllo per accertare che l'integrazione sia assegnata solo in relazione ai prodotti per i quali � attribuito il diritto. Tale sistema deve includere in particolare un controllo per campione delle superfici coltivate e della contabilit� PARTE I, Sl!Z~ II; GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE di magazzino e, se del caso, . della contabilit� finanziaria dei richiedenti l'integrazione. Lo. Stato membro procede agli opportuni controlli: ��:...;.. ogni volta che il qu�ntitativo consegnato da un produttore ad un� primo acqufrente��supera �quello che ragionevolmente pu� essere prodotto sulla superficie in questione, oppure -in ca~o di dubbio. 2. Gli Stati membri si prestano mutua assistenza. 19. -L'art. 3 � del citato reg�lamento della Commissione n. 2537/89, stabilisce che il detto controllo deve, in particolare, consentire di verifi~ care la corrispondehz� tra il quantitativo di semi entrato nell'impresa, il cosiddetto quantitativo di semi � identificato � e il quantitativo di semi impiegato nei mangimi. 20. -A tenore dei nn. 2 e 3 dello stesso articolo: � 2. Ai fini del controllo, le imprese t�ngono una contabilit� di magazzino separata per i semi di soia raccolti nella Comunit� e i semi di soia importaJ;i; tale contabilit� deve contenere almeno i seguenti dati: -quantitativi entrati, con indicazione del peso del prodotto tal quale e, nel caso dei prodotti raccolti nella Comunit�, del tenore di umidit� e di b:npurit�; -movimenti di prodotti fra i magazzini dell'impresa; -.quantitativi di semi trasformati nonch� natura e quantitativi dei prodotti ottenuti, qualora il primo acquirente sia anche trasformatore. A richiesta dell'organismo competente, occorre indicare la percentuale di semi di soia utilizzati nei prodotti composti ottenuti; -quantitativi di semi o di prodotti trasformati che lasciano l'impresa e loro destinazione; :...;.. regolare inventario delle giacenze effettuato su base perlomeno trimestr�le; .;.;_ riferimenti ai contratti, alle dichiarazioni di consegna, alle fatture o a documenti equivalenti sia per i prodotti acquistati che per i prodotti venduti, nonch� riferimenti ai documenti riguardanti le consegne al trasformatore, qualora esso non sia il primo acquirente. 3. L'impresa deve inoltre tenere i propri libri contabili a disposizione dell'organismo responsabile del controllo'" 21. � Ai sensi del n. 4 dello stesso articolo, il primo acquirente s'impegna in particolare a consentire l'accesso ai suoi impianti agli agenti dell'ente incaricato del controllo, a tenere a loro disposizione i documenti relativi alle operazioni effettuate, ivi compresa la contabilit� finanziaria, e a facilitare le operazioni di controllo. 220 'RA-SSEGNJ\i DELL'AVVOCATURA DBLW STATO 22. -�Il primo acquirente � inoltre tenuto, in forza dell'art. 2, n. �l, lett. b), del citato regolamento del Consiglio n. 1491/85, a depositare presso l'ente competente dello Stato membro riel quale i semi sono stati raccolti i contratti � di coltivazione � stipulati con i produttori comunitari nonch� le dichiarazioni corrispondenti a ciascuna fornitura di semi che egli riceve dai produttori. 23. -I contratti devono obbligatoriamente contenere le indicazioni di cui all'art. 6, n. 2, del citato regolamento della Commissione n. 2537/89, tra le quali rientrano l� indicazioni relative all'identificazione delle� superfici seminate e quelle relative alle rese ottenute dal produttore interessato. Le dichiarazioni di fornitura devono contenere, in particolare, ai sensi dell'art. 8, n. 4, dello stesso regolamento, i riferimenti al contratto �di coltivazione� nonch� la data e il peso della partita fornita. 24. -Gli enti incaricati del controllo dispongono cos� di mezzi di controllo diversificati, particolarmente quanto all'origine dei semi trasformati. In particolare possono confrontare tra loro le informazioni onde verificare la concordanza e scoprire eventuali frodi. 25. -La Commissione sostiene, anzitutto, che un'indagine effettuata in Ital�a nel 1988 ha confermato, per quel che riguarda l'aiuto versato agli incorporatori, le carenze del sistema allora in vigore, che non preve� deva l'obbligo del deposito all'interno dello stabilimento di produzione. 26. -La relazione redatta a conclusione dell'indagine, che � stata versata agli atti su richiesta della Corte, mette in luce i punti deboli del controllo esercitato dalle autorit� italiane, ma non fa emergere alcuna difficolt� d'applicazione delile nornie allora vigenti in materia di controllo, specie per quel che riguarda gli incorporatori. 27. -La Commissione sostiene inoltre che solo controlli fisici sui prodotti finiti possono garantire l'affidabilit� delle verifiche operate in altri modi. Tali . controlli sarebbero possibili per quel che riguarda la produzione dell'olio, ma non per quel che riguarda la produzione di mangimi. 2_8. -Questo argomento non pu� essere accolto. Da un lato, emerge dai documenti del fascicolo e dalle disc~ssiorii svoltesi dinanzi alla Corte che la resa in olio dei semi di soia di una determinata qualit� � soggett~ a variazioni e che quindi i rischi di frode in questo settore non vanno totalmente esclusi, malgrado i controlli fisici effettuati sul prodotto finito. D'altro canto, risulta che, come ha sostenuto la Mignini senza essere contraddetta su questo punto, per la composizione dei mangimi si applicano formule precise, difficilmente modificabili, che consentono di deter PARTE I, :snz::u; GlURts::�COMUNI'tAlUA e-.�1&'11mNAZIONALE minare ih base aL pr�dotto finito il quant�tativ6 di semi trasformati. Questo� quantitativo �pu� essere determinato anche mediante �nalisi al microscopio del prodotto finito, fatto non contestato dalla Commissione. 29. � La Commissione ha poi rilevato che, siccome gli incorporatori sono potenzi!;llmente<Il.l,(';)lto pi\l numeI"osi dei procl.u.ttori di olio, H controllo dei movimenti delle merci tra lo stabilimento di produzione ed il luogo di deposito, .. qualora .. questo si trovas.se fuori degli stabilimenti, p()treqbe ris~ltaI,"f! pi� diffkile per quel �he riguarda gli incol'"Poratori. �l. provv�dirpento cqntroveri:;o sarebbe necessario per evitare che le stesse partite di semi fruiscano pi� volte dell'aiuto comunitario. 30. � Nemmeno questo argomento pu� venir accolto. Come sostiene la Mignini, i movimenti dei prodotti possono essere limitati con procecl. imenti comportanti minori oneri rispetto a quello prescelto, come. l'approvazione degli impianti di �leposito~ prevista nel caso degli altri primi acquirenti, che �consente di limitare il numero dei luoghi di deposito e di gar~tire tjle questi .siano consoni alle esigenze .del controllo. Si deve osservare, inoltre, che il costo :dell'applicazione delle misure controverse pu� essere alto p.er le imprese interessi;tte, che sono obbligate a costruire, eventualmente; nuovi. im,pia.nti �:di deposito� �all'interno dei loro stabilimenti di produzione ed accollarsi ulteriori spese . di magazzinaggio. Sif� fatte misure possono risultare sufficientemente dissuasive da indurre taluni produttori a riunciare all'aiuto. 31. -Infine la Commissione, sebbene sia stata invitata a farlo tanto :6.elfa f�s� �scritta quantO nella fase orale, non �. riusdta a dimostrare con altri argomenti, diversi da quelli or ora esaminati e disattesi, la necessit� della differenza di trattamento prevista dalle disposizioni controverse tra� i� produtfori'� d'olio e gli incoI"Poratori e l'adeguatezza delle dette disposizioni allo scopo perseguito . .32. -Ne consegue. cl;le le. disp.osiziop.i controverse, che riservano un trattamento differente agli incorporatori e ai produttori di olio per quanto riguarda il controllo dell'aiuto comunitario alla soia e che eccedono palesemente � le differenze che potrebbero essere adeguate e necessarie per.conseguire lo �scopo pers~gU:ito; violano tanto il. principio della parit� �li trattam~mto .quantq il pri:r;i.c,ipio d.i proporzion~lit�. 33. -Pertanto, la q~estione sollevata dal giudice di rinvio dev!essere risolta dichiarando che. l'art: 2, rn 1, lett. b), del �regolamento (CEE) della Commissione 8 agosto 1989, n. 2537, recante modalit� d'applicazione delle misure specfali per i semi di soia, come integrato dall'art. 1, n. l, del i;egol�mento (C�E) dellli!. Commissione 19 gennaio 1990, n. iso; � invalid.o. (omissis) , 222 � RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sez. 6a, 7 mag� gio 1992, nella causa C-347/90 -Pres. Schockweiler -Avv. Gen. Jacobs Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Pretore di Milano nella causa Bozzi (avv. Bozzi) c. Cassa nazionale previdenza assistenza avvocati {avv. Perrone e De Stefano) -Interv.: Governo italiano (avv. Stato Favara) e Commissione delle C. E. (ag. Bilhl e Traversa). Comunit� europee � Armonizzazione delle legislazioni in materia fiscale � IVA � Avvocati e procuratori legali � Contributo integrativo a favore della Cassa nazionale di previdenza e assistenza � Non assimilabilit�. (Direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 33; legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 11). L'art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, n. 77/388/ CEE, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di altari -sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme -, deve essere interpT'etato nel senso che esso non osta alla istituzione o al mantenimento in vigore di un contributo avente le caratteristiche del contributo integrativo a Ii favore della Cassa di previdenza, previsto in Italia a carico degli avvocati e procuratori legali dall'art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576 (1). ~ (omissis) 1. -Con ordinanza 14 dicembre 1989, pervenuta in cancelleria il 28 novembre 1990, il Pretore di Milano ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 117 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale I relativa all'interpretazione dell'art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977, 77/388/CEE, in materia di armonizzazione delle legisla l zioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra d'affari -sistema (1) La Commissione delle C.E. e la parte privata attrice nel procedimento principale -richiamata la giurisprudenza della Corte secondo la quale l'art. 33 I della sesta direttiva IVA mira ad impedire agli Stati membri di mantenere ! in vigore o di introdurre imposte, tasse o diritti aventi comunque il carattere di un'imposta sulla cifra d'affari e che abbiano l'effetto di compromettere il funzionamento del sistema comune di IVA, gravando sulla circolazione dei beni e dei servizi e colpendo le operazioni commerciali in modo analogo a quello che caratterizza l'IVA (sentenza 27 novembre 1985, nella causa 295/84, WILMOT, in I Racd. 3759; 3 marzo 1988, nella causa 252/86, BERGANDI, in Racc. 1343; 13 lu� glio 1989, nelle cause 93 e 94/88, WISSELINK e ABEMIJ BV, in Racc. 2671) -avevano osservato che il contributo di cui si tratta ha caratteristiche tali da doverlo assimi I lare ad un'imposta sulla cifra d'affari. Esso, infatti, avrebbe il carattere della ! generalit�, applicandosi ai corrispettivi (prezzi) di tutti i servizi forniti da un I intero settore di operatori economici; essendo un tributo � ad valorem �, sar.ebbe 1 esattamente proporzionale al prezzo del servizio reso dall'avvocato; si ripercuo-1 I I I I I PARTE I, SEZ�. II,. GIURIS. COMUNITARIA B INTERNAZIONALE 223 comune d'imposta sul valore aggiunto: base. imponibile uniforme (G. U. L. 145, pag. 1, in prosieguo: la �Sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE �), 2. � Tale . questione. � stata sollevata nell'ambito di una controversia sorta fra .il sig. J\ldo Bozzi, avvocato del foro di Milano, e la Cassa Naziop, ale di frevi9,enza ed Assistenza a favore degli Avvocati e dei :Procuratori legali (in prosieguo: la �Cassa di previdenza�) a proposito della normativa che i!�tituiscein Italia, a favore della Cassa di previdenza, un contributo integrativo a carico degli avvocati e dei procuratori legali. 3. -Risulta dal fascicolo che tutti gli .avvocati e i procuratori legali che esercitano c9n continuit� la loro attivit� in Italia sono tenuti ad iscriversi alla Cassa di previdenza, istituita con la legge 8 gennaio 1952, n. 6 {Gazzetta Ufficiale della Repubblica ital.iana n. 16 del 19 gennaio 1952). Le modalit� della contribuzione alla Cassa di previdenza e le prestazioni da questa erogate sono disciplinate dalla legge 20 settembre 1980, n. 576 (� Riforl:ri.a del sistema pteviaenzfale forense�, Gl.JRI n. 266 del 27 settembre 1980, in prosieguo: la <degge n. 576/80 �). 4. -Il contributo integrativo � previsto dall'art. 11 della legge n. 576/80, ai sensi del quale: a) tutti gli iscritti agli albi di avvocato e di procuratore legale nonch� i praticanti procuratori iscritti alla Cassa di previ� denza devono applicare una determinata maggiorazione percentuale su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d'affari ai fini dell'IVA e versarne alla Cassa l'ammontare indipendentemente dall'effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore. La maggiorazione � ripetibile nei confronti di quest'ultimo; b) le associazioni o societ� di professionisti devono�� applicare la maggiorazione per la quota di competenza di ogni associato iscritto agli albi di avvocato e di procuratore. L'ammontare complessivo annuo . delle maggiorazioni obbligatorie dovute alla Cassa terebbe sul prezzo finale con traslazione sul consumatore, essendo l'avvocato obbligato a rivalersi nei confronti del cliente; sarebbe strettamente legato all'IVA,. di cui costituirebbe una vera e propria addizionale, interferendo sul funzionamento delsis.tema comune dell'imposta sia sotto il profilo della sua non assoggettabilit� � all'imposta stessa sia sotto . quello della non deducibilit� eia parte dell'operatore economico -soggetto passivo dall'IVA di cui risulti debitore. La Corte non ha condiviso tali argomenti e ha fatto propri quelli addotti dal Governo italiano e dalla Cassa di previdenza. In effetti il � contributo integrativo � � un. contributo specificamente previdenziale a beneficio di una Cassa di previdenza che opera con finalit� simili a quelle assicurative, e non � un'imposta o comunque un tributo a beneficio dello Stato o di enti territoriali. Esso non � in alcun modo assimilabile all'IVA, non essendoci rivalsa obbligatoria, n� un meccanismo di detrazione (n� quindi neutralit�), n� una costante coincidenza fra base di computo del contributo ed imponibile IVA; ed esso non influisce neanche sulla circolazione dei servizi all'interno della Comunit�. 224 ... RASSllGNk DBLL1AVVOCATtJRi\ 0Dllt.to STA'1'0 dal singolo professionista � calcolato su una percentuale del volume d'affari dell'associazione o societ� pari alla percentuale degli utili spettanti al professionista stesso; e) gli iscritti alla Cassa sono annualmente tenuti a versare, a titolo di contributo integrativo, un importo minimo risultante dall'applicazione della percentuale ad un volume d'affari pari a quindici volte il contributo minimo di cui all'art. 10, secondo comma, dovuto per l'anno stesso; d) la maggiorazione percentuale � stabilita nella misura del 2 %; e) il contributo integrativo non � soggetto all'IRPEF n� all'IVA e non concorre alla formazione del reddito professionale. 5. -Il.sig. Bozzi, ritenendo illegittima, perch� contrastante con l'art. 33 della sesta direttiva del Consigilo 77/388/CEE, l'istituzione del detto contributo integrativo, ha adito il Pretore di Milano per ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di tale contributo. Il Pretore ha deciso di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale: � Se l'art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE del 17 maggio 1977 vada interpretato nel senso che fa s� che debba disapplicarsi la disciplina di uno Stato membro che istituisce, a carico degli avvocati e procuratori legali, un ' contributo integrativo ' a favore della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Avvocati e Procuratori legali, il cui imponibile � costituito dal corrispettivo dovuto dal cliente per la prestazione professionale, corrispettivo gi� assoggettato all'imposta sul valore aggiunto {IVA); 'contr1ibuto integrativo', inoltre, da esporre in occasione dell'emissione di ciascuna fattura unitamente ed in aggiunta all'IVA da porre a carico del cliente; 'contributo integrativo ', infine, avente una funzione previdenziale soltanto attraverso il principio solidaristico e in favore della generalit� degli avvocati e procuratori contribuenti, ma non nei confronti diretti del singolo contribuente, non essendo computabile ai fini pensionistici n� ripetibile da chi l'ha versato in caso di mancata maturazione del diritto a pensione�. 6. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti della causa principale e in particolare delle disposizioni concernenti la Cassa di previdenza, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni scritte presentate alla Corte si .fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 7. -Con la sua questione pregiudi2iiale il giudice nazionale mira, in sostanza, a fare accertare se l'art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 77/388/CEE osti all'istituzione o al mantenimento in vigore di un contri]) uto avente le caratteristiche del contributo integrativo, istituito in Italia a favore. della Cassa di previdenza ed a carico degli avvocati e dei procuratori legal�. \ PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 225 8. -Ai fini della soluzione della questione si deve anzitutto ricordare che l'art. 33 della sesta direttiva dispone che, �fatte salve le altre disposizioni comunitarie, le disposizioni della presente direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte sui contratti di assicurazione, imposte sui giochi e sulle scommesse, accise, imposte di registro e, pi� in generale, qualsiasi imposta, diritto e tassa che non abbia il carattere d'imposta sulla cifra d'affari �. 9. -Va poi rilevato che, secondo la costante giurisprudenza della Corte {v., da ultimo, la sentenza 31 marzo 1992, Dansk Denkavit, punto 11 della motivazione, causa C-200/90, non ancora pubblicata nella Raccolta), lo scopo del citato art. 33 consiste nell'evitare che vengano istituiti imposte, diritti e tasse � quali, per il fatto di colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello che caratterizza l'IVA; compromettano il funzionameno del sistema comune dell'IVA. Devono in ogni caso essere considerati colpire la circolazione dei beni e dei servizi in modo analogo a quello tipico dell'IVA le imposte, i diritti e le tasse che posseggono le caratteristiche essenziali dell'IVA. 10, e Ne consegue che il citato art. 33 non osta al mantenimento in vigore o all'istituzione di tipi di imposte, diritti e tasse non aventi le caratteristiche essenziali dell'IVA. H. -Per stabilire se il diyieto sancito dal citato art. 33 si applichi ad un contributo come il contributo integrativo di cui trattasi nella fattispecie occorre pertanto accertare se il detto onere possieda le caratteristiche essenziali dell'IVA e, quindi, se esso vada considerato imposta sulla cifra d'affari nel senso in cui tale espressione viene impiegata nell'art. 33. 12. -A questo proposito va rilevato che, come la Corte ha gi� pi� volte precisato (v. in particolare le sentenze 3 marzo 1988, Bergandi, punto 15 della motivazione, causa 252/86, Racc. pag. 1343; 13 luglio 1989, Wisselink, punto 18 della motivazione, cause riunite 93/88 e 94/88, Racc. pag. 26711; 19 marzo 11991, Giant, punti 11 e 12 della motivazione, causa C-109/90, Racc. P8;g. I-1385; 31 marzo 1992, Dansk Denkavit, citata, punto 11 della motivazione), le caratteristiche essenziali dell'IVA sono le seguenti: l'IVA si applica in maniera generale ai negozi aventi ad oggetto beni o servizi; essa � proporzionale al prezzo di tali beni o servizi; essa � riscossa in ciascuna fase del processo di produzione e di distribuzione; infine, essa co1pisce il valore aggiunto dei beni e dei servizi giacch� l'imposta dovuta in occasione di un negozio viene calcolata previa detrazione di quella pagata in occasione del negozio precedente. 6 226 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO B. -Orbene, si deve constatare che un contributo come quello cui si riferisce il giudice di rinvio non possiede le summenzionate caratteristiche essenziali dell'IVA. 14. -In primo luogo, il contributo integrativo non costituisce un onere di carattere generale. Infatti, da un lato la legge n. 576/80 riguarda solo gli avvocati e i procuratori legali e, dall'altro, la maggiorazione da essa prevista nell'art. H non si applica agli onorari corrispondenti a tutti i servizi forniti dagli avvocati e dai procuratori legali poich�, com'� stato precisato all'udienza, si applica solo all'attivit� forense. Inoltre, anche se, come risulta dal fascicolo, altri liberi professionisti sono assoggettati ad una normativa analoga, ci� non vale per tutte le categorie di liberi professionisti n� per tutti coloro che forniscono servizi dietro corrispettivo. 15. � In secondo luogo, il contributo integrativo non � sempre proporzionale al corrispettivo dovuto dal cliente per la prestazione professionale. Infatti, l'art. 11 della legge n. 576/80, pur disponendo in via di principio che l'importo del contributo integrativo corrisponde ad una percentuale dei corrispettivi rientranti nel volume annuale di affari ai fini dell'IVA, prevede per� due eccezioni di rHievo. La prima riguarda le associazioni e societ� di professionisti, per le quali il contributo integrativo � costituito da una percentuale degli utili spettanti al professionista interessato. � evidente che in tal caso la base imponibile del contributo integrativo � determinata in base a parametri diversi dal prezzo del servizio pagato dal cliente. La seconda eccezione riguarda gli iscritti alla Cassa di previdenza il cui volume d'affari � inferiore ad un determinato importo e che devono pertanto versare un contributo minimo calcolato forfettariamente. Anche nel caso di tale categoria, che, come risulta dalle discussioni svoltesi dinanzi alla Corte, rappresenta il 25% degli avvocati e dei procuratori legali iscritti alla Cassa di previdenza, il contributo integrativo non � basato sul prezzo pagato per la prestazione del servizio. 16. � In terzo luogo, il contributo integrativo, diversamente dall'IVA, � un onere riscosso in una sola fase. Esso, infatti, � dovuto solo al momento in cui l'avvocato o il procuratore legale emette la fattura a carico del cliente. Inoltre, esso non comporta meccanismi di detrazione poich� l'avvocato o il procuratore legale, che � tenuto a versare alla Cassa di previdenza il contributo integrativo fatturato al cliente, non ha il diritto di effettuare detrazioni connesse in qualsivoglia maniera al costo dei beni e dei servizi utilizzati nell'esercizio delle sue attivit�. Analogamente, ma inversamente, il cliente, se � soggetto all'IVA, pu� detr~rre dall'imposta da lui dovuta l'IVA pagata in precedenza all'avvocato, ma non il contributo integrativo. PARTE I, SBZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 227 17. -La questione del giudice a quo va pertarito risolta come segue: l'art. 33 della sesta direttiva del Consiglio 77/388/C�E dev'essere interpretato nel senso che esso non osta all'istituzione o al mantenimento in vigore di un contributo avente le caratteristiche del contributo integrativo a favore della Cassa di previdenza, istituito in Italia a carico degli avvocati e dei .procuratori legali. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Sed. Plen., 30 giugno 1992, .nella causa C-47/91 -Pres. Due -Avv. Gen. Van Gerven Repubblica italiana (avv. Stato Ferri) c. Commissione della C. E. (ag. Abate). Comunit� europea � Aiuti di Stato � Procedura d'esame � Atto impugnabile. {'l):~ttato C)'l)'l, ip:t, 93 n. 2). La decisione con la quale la Commissione delle Comunit� europee d� avvio alla procedura di cui all'art. 93, n. 2 del Trattato CEE, applicando la disciplina dei nuovi aiuti, con conseguente obbligo dello Stato membro di sospenderne l'erogazione, �. immediatamente impugnabile dallo stesso Stato membro che contesti la novit� dell'aiuto controdeducendo che si tratta di aiuto gi� esistente e autorizzato (1). (omissis) 1. -Con ricorso presentato in cancelleria il 31 gennaio 1991, Ja Repubblica italiana, ai sensi dell'art. 173 del Trattato CEE, ha chiesto l'annullamento della decisione della Commissione di avviare la procedura d'esame di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato, notificatale con lettera 23 novembre 1990. 2. � Dagli atti di causa emerge che la legge italiana 1� marzo 1986, Ii. 64 sull'intervento straordinario nel Mezzogiorno, ha istituito una disciplina organica di aiuti� in favore del Mezzogiorno per un periodo di nove anni. In conformit� all'art. 93, n. 3, del Trattato, tale disciplina (1) Decisione interlocutoria della� Cotte sulla ricevibilit� del ricorso italiano (con sentenza in pari data nella causa C-312/90 � stato dichiarato ricevibile altro ricorso analogo proposto dal Regno di Spagna) di notevole importanza per fapertura che � stata �data al controllo giurisdizionale dell'attivit� della Commissione nel corso della procedura di verifica della compatibilit� degli aiuti di Stato. In effetti ben diversi fra loro sono i regimi procedurali stabiliti dal Trattato per gli aiuti nuovi e per quelli esistenti. Solo i primi sono soggetti ad un preventivo esame della Commissione, fino all'esaurimento del quale lo Stato � obbligato a non erogarli (obbligo di standstill sancito espressamente dall'art. 93 n. 3 del 228 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO veniva notificata alla Commissione, che -almeno per quanto riguarda le norme ai sensi delle quali gli aiuti sono stati in seguito concessi alla societ� Italgrani -la approvava con decisione 2 marzo 1988, 88/318/CEE, relativa aUa legge 1� marzo 1986, n. 64 sulla disciplina organica dell'intervento straordinario nel Mezzogiorno (in prosieguo: la � decisione di approvazione della disciplina organica italiana�, G. U. L. 143, pag. 37). Nell'art. 9 della suddetta decisione si faceva obbligo alla Repubblica italiana di rispettare le disposizioni e i regolamenti comunitari allora in vigore �> che sarebbero stati adottati dalle istituzioni comunitarie in materia di -coordinamento dei vari tipi di aiuto nei settori dell'industria, dell'agricoltura e della pesca. 3. -In seguito a tale decisione, le autorit� italiane concedevano aiuti alla societ� Italgrani, avente sede in Napoli, che si occupa della trasformazione dei cereali. Gli aiuti formavano oggetto di un � contratto di programma� ai sensi della legge 1� marzo 1986, n. 64, contratfb stipulato tra il ministro per gli interventi nel Mezzogiorno e�' la societ� Italgrani ed approvato il 12 aprile 1990 dal Comitato interministeriale per il coordinamento della politica industriale (in prosieguo: il � CIPI �). 4. -Tale contratto, avente ad oggetto un programma integrato di produzione sulla base di cereali; frutta, soja e barbabietole, si articolava su vari punti: la costruzione di impianti industriali e di centri di ricerca, la realizzazione di progetti .di ricerca, nonch� la formazione della manodopera industriale. I sistemi d'intervento progettati variavano in funzione del settore considerato: contributi in conto capitale, finanziamenti senza interessi o a tassi d'interesse agevolati. L'importo globale degli aiuti previsti in favore dell'Italgrani ammontava a 522,3 miliardi di lire ed era destinato al finanziamento di investimenti del valore di 964,5 miliardi di lire. 5. -Il 26 luglio 1990, in seguito ad un reclamo proposto dalla Casillo Grani, una societ� concorrente dell'Italgrani, la Commissione chiedeva alle autorit� italiane informazioni relative a tali aiuti. Trattato CEE); per gli aiuti gi� esistenti � previsto un controllo permanente della Commissione, durante l'espletamento del quale non v'� alcun obbligo dello Stato membro di sospenderne l'erogazione. Nelle specie il Gover;no italiano aveva messo in evidenza che la decisione impugnata di dare avvio alla procedura di cui all'art. 93 n. ;l del. Trattato CEE aveva revocato la precedente decisione n. 88/318 recante approvazione del re� gime generale italiano, venendo cosi a modificare Ia situazione giuridica deri� vante da quella stessa decisione. Comportando l'ordine di sospendere il versamento dell'aiuto, essa ostacolava gravemente l'attuazione della sua politica per il mezzogiorno d'Italia, con tutte le conseguenze. negative per gli operatori economici interessati. Si attende ora la decisione nel merito del ricorso. PARTE I, SEZ. u; Glt1Rrs;. COMUNlTARlA E INTERN'.AZIONALE 6. -Il 7 settembre 19901 le autorit� italiane notificavano la decisione del CIPI 12 aprile 1990. Informazioni aggiuntive venivano fornite nel corso di una riunione tenutasi il 28 settembre 1990 e con lettere del 4 e del14 ottobre seguenti. �� 7. -Con lettera 23 novembre 1990, la Commissione comunicava al governo italiano !a propria decisione di avviare la procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato con riferimento all'insieme degli aiuti concessi alla ltalgrani, ad eccezione di quelli relativi all'alcole d'origine agricola< e� all'�lievamento di suini, ed intimava allo stesso governo di presentare le proprie osservazionCLa>Comrriissione, infatti, dopo un primo esame dei documenti inviatile, }iteneva che gli ai�ti non potessero froire di alcUila delle deroghe di cui all'art. 92, n. 31 lett. a) e e), del TrattatO.> Nella motivazione della decisione, la Commissi�ne del resto esprimeva dubbi quanto al rispetto, d� part� del governo ita1ian6; di due condizioni �poste�. dalla Commissione stessa �nella decisione �di approvazione della disciplina organ�ca italiana. La prima riguarda i � massimali d'Intensit� � degli �aiuti, l� seconda le esclusioni ed i limiti menzfo:hati nell'art. �� 9 .�della suddetta�� decisione e che andrebbero applicati n�l �caso di aiuti. per i prodotti di cui all'Allegato II al Trattato. Nella lettera i3 novembre 1990 si � r�mmentava � inoltre al governo italiario che �a norma dell'art. 93, n. 3, del Trattato CEE, non pu� essere data esecuzione ane misure progettate prima��che � 1a ��procedura prevista dal paragrafo 2 del medesimo articolo abbia � condotto ad una decisione definitiva �. 8. -Gli Stati membri e gli altri interessati sono stati informati dall'avvio della procedura di cui all'.art. 93, n. 2, del Trattato tramite pubblicazione dela decisione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� europee (g. U ..1990, C 315,.pag. 7 e G. U.1991, .C 11, pag . .32), Essi sono. stati invitati a presentare Je loro osservazioni entro il termine di q1.Jattro. mesi. 9. -Il presente ricorso � diretto contro la lettera del 23 novembre 1990. Il governo italiano ritien,e infatti che il � �ontratto di programma,� stiptilato con la ~ociet� Italgra;,.i ed appr~v~to n ~2ap~ile 1990 con delibera CIPI non fosse nient'altro che un provvedimento applicativo della disciplina di aiuti istitltlta dalla legge italiana n. 64/86ed. approvato dalla Commissione con la citata decisione 88/318/CEE. Pertanto, quest'ultima istituzio.e avrebbe dovuto. limitarsi a controllare il rispetto delle condizioni 'dettate nel�a decisione di approvazione della disciplina organica italiana, e non sarebb� stata legittimata a procedere ad un nuovo esame globale dell'aiuto aila luce delle norme d�l Trattato. La decisione controversa dovrebbe quindi essere annullata nei limiti in cui ha revocato la decisione ,88/318iCEE. Il governo italiano precisa che il ricorso non � diretto contro le valutazioni operate dalla Commissione sulla compatibilit� dell'aiuto con il Trattato. Secondo questo governo, tali valuta 230 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zioni hanno infatti un contenuto ed una finalit� meramente preparatori della decisione finale. 10. -A sostegno del proprio ricorso, il governo italiano adduce vari mezzi, tra cui la violazione delle forme sostanziali, l'inosservanza dei principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto e lo sviamento di potere, quest'ultimo da valutare in relazione tanto all'art. 175, quanto all'art. 93 del Trattato. ll. -Relativamente al primo mezzo, il governo italiano ritiene che un'atto di revoca debba essere esplicito, motivato e sottoscritto dalla stessa autorit� che lo ha adottato. Tali requisiti non ricorrerebbero nel caso di specie. Quanto al secondo mezzo, il governo italiano rileva che dopo la decisione d'approvazione della disciplina organica esso poteva ritenere di essere autorizzato ad adottare i provvedimenti contestati dalla Commissione. La Commissione, avviando una nuova procedura che comporta il riesame di un aiuto autorizzato e quindi una revoca dell'autorizzazione, avrebbe conseguentemente violato i principi di legittimo affidamento e di certezza del diritto senza una valida giustificazione. Per quanto riguarda lo sviamento di potere, il governo italiano adduce, in primo luogo, che l'art. 175 non faceva obbligo alla Commissione di attivarsi in seguito al reclamo della societ� Casillo Grani. Tale istituzione avrebbe in realt� approfittato dell'invito ad agire rivoltole dalla detta societ� per avviare una procedura senza avere n� il potere, n� il dovere di intraprenderla. Inoltre, i motivi invocati dalla Commissione non consentirebbero di giustificare l'avvio di una nuova procedura ai sensi dell'art. 93 del Trattato. A questo fine, non sarebbe stato sufficiente che la Commissione nutrisse qualche dubbio sul rispetto da parte del governo italiano della prima condizione, posta dalla Commissione stessa nella decisione di approvazione della disciplina organica. Quanto alla seconda condizione, essa non avrebbe alcun fondamento in tale decisione. 12. -Con provvedimento 9 aprile 1991, la Commissione ha sollevato un'eccezione di irricevibilit� ai sensi dell'art. 91, n. l, del Regolamento di procedura della Corte. Quest'ultima ha deciso di pronunciarsi su tale eccezione senza impegnare la discussione nel merito. 13. -Avverso la ricevibilit� del ricorso, la Commissione eccepisce che la decisione impugnata � un atto preparatorio, non impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato. All'affermazione del governo italiano secondo cui l'atto controverso ha efficacia revocatoria e pertanto valore di decisione, la Commissione obietta che la procedura avviata da tale atto � diretta contro un aiuto non autorizzato, -pi� precisamente contro un aiuto attuato in modo abusivo ai sensi dell'art. 93, n. 2. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 14. -La Commissione sostiene, del resto, che non si deve tener conto dell'obbligo di sospendere il versamento dell'aiuto previsto per decidere sulla ricevibilit� del ricorso, poich� tale effetto costituirebbe un'inevitabile conseguenza attribuita dal Trattato all'avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato stesso. 15. -La Commissione considera infine che se il ricorso venisse accolto, il sistema di controllo istituito dall'art. 93 del Trattato risulterebbe alterato. Innanzitutto, la Commissione sarebbe privata della possibilit� di condurre indagini e di intervenire nei confronti degli Stati membri nel caso in cui questi ultimi concedano singoli aiuti nell'ambito di una disciplina generale previamente autorizzata da parte sua. Inoltre, la Corte sarebbe costretta a pronunciarsi sulla compatibilit� con il Trattato di aiuti che non sarebbero stati ancora oggetto di esame completo e definitivo da parte della Commissione. Quest'ultima esprime inoltre il timore che una sentenza favorevole alla ricevibilit� provochi una proliferazione di ricorsi per l'annullamento di decisioni d'avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato. 16. -A sostegno della ricevibilit� del ricorso, il governo italiano fa valere che l'atto controverso costituisce invece una decisione impugnabile ai sensi dell'art. 173 del Trattato. Oltre ad aver revocato la decisione della Commissione 88/318/CEE, tale atto avrebbe impedito il versamento degli aiuti alla societ� Italgrani, creando gravi ostacoli all'attuazione della politica economica e sociale del governo italiano in favore del Mezzogiorno. Contrariamente a quanto affermato dalla Commissione, tale effetto sospensivo non costituirebbe una conseguenza automatica dell'applicazione del Trattato, poich� la Commissione sarebbe deliberatamente ritornata sulla decisione 88/318/CEE con cui aveva approvato la disciplina organica di aiuti istituita dal governo italiano. 17. -Per una pi� ampia illustrazione della normativa di cui trattasi, dello svolgimento del procedimento e dei mezzi ed argomenti delle parti si rinvia alla relazione d'udienza. Questi elementi del fasci:colo sono richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento della Corte. 18. -Dall'argomentazione esposta dal governo italiano emerge chiaramente come il ricorso per annullamento verta soltanto sulla decisione della Commissione di avviare la procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato nei confronti degli aiuti concessi alla Italgrani, nei limiti in cui essa revoca la precedente decisione di approvazione della disciplina organica italiana e non invece nei limiti in cui contiene valutazioni sulla compatibilit� dell'aiuto con il Trattato. L'esame della Corte si limiter� quindi a tale aspetto della decisione. 232 � RAS.$EG!'.'1A l)El:.I.,'AVVOCATURA �DEI;LO STATO 19. -Per statuire sulla ricevibilit� del ricorso, si deve in primo luogo ricordare che un atto pu� essere impugnato, ai sensi dell'art. 173 del Trattato, soltanto se produce effetti giuridici, (v. sentenza 31 marzo 1971, detta � AETR �, Commissione/Consiglio, causa 22/70, Racc. pag. 263). 20. -Nella fattispecie, occorre innanzitutto rilevare che la decisione d'avvio della procedura d'esame di cui all'art. 93-, n. 2, del Trattato, notificata al governo italiano con lettera 23 novembre 1990, comportava per quest'ultimo il divieto di versate alla societ� Italgrani gli aiuti pre� visti prima che tale procedura si fosse conclusa con una decisione definitiva. 21. -Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, tale divieto deriva da una precisa decisione della Commissione stessa. Ci� appare evidente se si inserisce l'atto controverso nel contesto del sistema di controllo degli aiuti istituito dall'art; 93. 22. -Le norme procedurali stabilite dal Trattato variano a. seconda che si tratti di aiuti gi� esistenti oppure di nuovi aiuti. Mentre i primi sono soggetti all'art. 93, nn. 1 e 2, i secondi sono disciplinati dai nn. 2 e 3 dello stesso articolo. 23. -Per quanto riguarda gli aiuti gi� esistenti, nel citato art.. 93, .n. si attribuisce alla Commissione la competenza a procedere, con gli Stati membri, al loro esame permanente. Nell'ambito di tale esame, la Commissione propone agli Stati le opportune misure richieste dal graduale sviluppo e dal funzionamento del mercato comune. Il n, 2 di detto articolo dispone poi, che qualora la Commissione, dopo aver intimato. agli interessati di presentare le loro osservazioni, constati ch,e. un aiuto non � compatibile con il mercato comune a .norma dell'art. 9Z, oppm;e che tale aiu,to � attuato in modo abusivo, decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo nel termine da essa fissato. 24. -Quanto ai nuovi aiuti, l'art. 93, n. 3, prevede che alla Commissione sono. comunicati, in tempo utile perch� presenti le sue osservazioni, i progetti diretti ad istituire o modificare aiuti. Quest'ultima procede allora ad un primo esame degli aiuti progettati. Se, in esito a tale esame, ritiene che un progetto non sia compatibile� con il mercato comune a norma dell'art. 92, la Commissione inizia senza indugio la,,proceduFa di es�me in contraddittorio di cui�all'art. 93, n; 2. In t�l caso;� H �n. ,3, ultima frase, v1eta �llo Stato meinbto interessato di dare esecuzione �alle misure progettate prima che tale procedura abbia condotto ad una decisione finale. I nuovi aiuti sono quindi sottoposti a:d un controllo preventivo da parte della Commissione e rton possono, in via di principio, essere attuati fino a che tale istituzione non li abbia dichiarati compatibili con il Trattato. PARTE I, SEZ. :n; GIURis:�coMUNITARJA: E� INTERNAZIONALE :H3 25. -Da quanto precede emerge come la decisione di intimazione agli Stati interessati e di avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato produca effetti diversi a seconda che l'aiuto considerato sia nuovo o gi� esistente. Mentre, nel primo caso, lo Stato non pu� attuare il progetto d'aiuto sottoposto all'esame della Commissione, un tale divieto invece non si applica nell'ipotesi di un aiuto gi� esistente. 26. -Nel caso di specie, la Commissione ha deciso di applicare la disciplina sui nuovi aiuti ad aiuti che il governo italiano considerava gi� esistenti in quanto concessi sulla base della legge italiana n. 64 che era stata oggetto di una decisione di approvazione della Commissione. Non pu� quindi ritenersi che, nel caso presente, la sospensione del versamento dell'aiuto discenda automaticamente dal Trattato. Comportando una scelta della Commissione in ordine alle norme procedurali da applicare, la impugnata decisione di avvio della procedura di cui all'art. 93, n. 2, del Trattato produce pertanto effetti giuridici. 27. -In secondo luogo, occorre accertare che la decisione impugnata non costituisca un mero atto preparatorio, contro la cui legittimit� ci si possa sufficientemente tutelare impugnando la decisione che conclude la procedura (v. sentenza 24 giugno 1986, AKZO/Commissione, punto 20 della moti;vazione, causa 53/85, Racc. pag. 1965'). 28. -Va osservato, in proposito, che una decisione che accerti la compatibilit� dell'aiuto con il Trattato o il ricorso proposto contro una decisione della Commissione che accerti la sua incompatibilit� non consentirebbero l'eliminazione delle irreversibili conseguenze di un ritardo nel versamento dell'aiuto, dovuto al rispetto del divieto di cui all'art. 93, n. 3, ultima frase. 29. -Del resto, si deve constatare che qualora i provvedimenti qualificati dalla Commissione come nuovi aiuti fossero stati gi� eseguiti, gli effetti giuridici derivanti da una tale qualificazione resterebbero definitivi. Infatti, la sentenza 21 novembre 1991, F�d�ration nationale du commerce ext�rieur des produits alimentaires/Francia (causa C-354/90, Racc. pag. I-0000) dimostra come neppure una decisione definitiva della Commissione che dichiarasse tali aiuti compatibili con il mercato comune potrebbe sanare gli atti d'esecuzione che fossero ritenuti contrari al divieto di cui all'art. 93, n. 3, ultima frase. 30. -Si deve dunque concludere che la decisione controversa, implicando ~a scelta, da parte dell'istituzione competente, di una procedura di controllo che comporta, tra l'altro, la sospensione del versamento dell'aiuto progettato, costituisce un atto impugnabile a norma dell'art. 173 del Trattato. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 234 31. -In risposta all'obiezione della Commissione fondata sul rischio di anticipare la discussione sulla compatibilit� dell'aiuto con il Trattato, va inoltre precisato come, nell'esame del merito della presente controversia, spetter� esclusivamente alla Corte decidere se un aiuto, concesso sulla base di una disciplina generale gi� approvata dalla Commissione, costituisca un nuovo aiuto e debba quindi sottostare al divieto di cui all'art. 93, n. 3, del Trattato qualora la Commissione ritenga che sia stato attribuito violando le condizioni poste dalla decisione di approvazione. 32. -Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve respingere l'eccezione d'irricevibilit� sollevata a norma dell'art. 91, n. 1, del Regolamento di procedura della Corte, e dichiarare ricevibile il ricorso. (omissis) ---:t'::"'. 236 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO La Provincia ricorrente, demiriziando violazione -per falsa applicazione -delle norme e dei principi generali attinenti alla giurisdizione e, in particolare, dell'art. 43 del d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752, in relazione agli artt. 1, 3, 4 e 5 dello stesso d.P.R. n. 752 (nel testo modificato ed integrato con gli artt. 1, 4 e 5 del d.P.R. 29 aprile 1982, n. 327), agli artt. 7 e 8 del d.P.R. 31 agosto 1978, n. 571 e gli artt. 2, 99 e 100 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), sostiene che la giurisdizione del Consiglio di Stato discende dalla previsione dell'art. 43 cit., che ha attribuito alla Sezione autonoma del Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa una giurisdizione esclusiva (fungibile � medio tempore � dal Consiglio di Stato) in ordine ai provvedimenti di cui ai titoli 1� e 2� del medesimo d.P.R. n. 752/1976 in materia di bilinguismo, giurisdizione che investe quindi anche il campo dei diritti soggettivi e prescinde dall'esistenza di un atto amministrativo, ai sensi dell'art. 31 legge n. 1034/1971; che l'ENEL � ente strumentale che svolge un servizio pubblico di cui al predetto titolo 1� e all'art. 8 d.P.R. n. 571/1978; che in ordine all'inosservanza delle norme sull'uso della lingua tedesca sussiste la legittimazione della Provincia ricorrente, essendo lesi dalla? I violazione gli interessi della minoranza tedesca. Tanto premesso, osserva il collegio che esula dal presente giudizio IJla questione della legittimazione attiva della Provincia Autonoma di Bolzano, in relazione al disposto dell'art. 9 del d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426 (Norme di attuazione dello Statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige concernenti istituzione del T.A.R. di Trento e della Sezione autonoma di Bolzano),. l� dove -in aderenza, peraltro, alla norma costituzionale I dell'art. 92 di detto Statuto -riserva l'impugnazione degli atti amministrativi degli enti ed organi della pubblica amministrazione, ritenuti I! lesivi del principio della parit� dei cittadini in quanto appartenenti ad un i i ~ gruppo linguistico, ai componenti dei gruppi consiliari regionali, provinciali e comunali e non alla Provincia. .. Non si t~atta i.rifatti di questione che foyesta la susslSienza.o i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 362, cod. proc. civ. I Va poi disattesa l'altra eccezione, �riguardante la pretesa novit� del richiamo d�ll'art. 43 cit., perch� l'individuazione del giudice investito della giurisdizione .. va compiuta -:-sempre che non ostino giudkaio o preclusioni. -in base ad ogni parametro applicabile alla concreta fattispecie, quand'anche non dedotto dalle parti. Il ricorso, che per le indicate ragioni � ammissibile, non � fondato. L'art. A3 cit.; che � compt�so tra l� � :i:J.ot'rne final� e transitorie � del d.P.R. 26 h1giio 1976, n: 752 (Norme diattuaziorie dello Statuto spe~ ~ial~ dell� ~~gion� Treo'tino-Ali:~ �dige {Il mat~ri~ di pr~porzione ~egli uffici statali siti nella provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue nel pubblico impiego) dispone: � contro i provvedimenti di cui PARTE 11 SBZ�.IJl; GIUR:tSPRUDBNZA Cl\IILB, GIURISDI.ZIONB E APPALTI 2,37 a.l ~tolo le Il deli presente. decreto � ammesso ricorso alla sezione .auto. noma di Bolzano del 'Iribun~e di giustizia amministrativa ȥ I primi .cl'lle titoli, nelq11aclro dei .printj;pi posti dalle norme costit, .z\9p~i: gegli ai:::tt. &f.l .. e.�.lOQ<dellQ. StatutQ, ria,J;ferm~o l'obbligo �. della conoscenza delle lingue, italiana e tede,s�i:t .per Je .ass'llnzic,mi, .<;_omunque str.tturate<e deno~inate, ad impiegbi nl;llle ammb1istri:tzioni �dello Stato, cqm~t~~~ q.eil~ CO~ o~~in~1ll~n1:o autonomq, e degli e~ti pubblici in pr()vincil:\, di Bolzafiq, dis!;;iplinarn;lo sia gli spe�ifii;i req..isiti, ricbiesti, da i9Fr~ll:\,re ai1i~eUi e ~Iie, quaj~fiche dei clipend~ti, sia le modalit�. di ac�erj~ lJ:l.ento ed il rjJ;:t,scjq c1ei relativi (gradl;l.ti) attestati . .��.������.�Il c;Iecreto n. 752/.76 (che .ha subito. mocUfiche . ed integrazi()ni . ad opera d~i.~uccessi~}31 >l~g}iq)978, ~. 571,46 germaio 1980, n. 84, W aprile 19$2, .i1. 327) va completato -ai fini della presente co11,troversif!;. ~ cori l'art. 8 del �itat<J d'.PJl. r1. 571/78,second() il q.ale il titolo primo del decreto .'. 752/76 si.. applica... PUl'e 1:1igit enti. :pubblici. costituiti od. ordinati con legge o.. con.atti.avexiti. f.orz~ di .leggei�9()n.� esC,l.sioD.e.degli .enti p.bblici ~con,oxr�d. che operano� in regime .cli.. li'bera. �.concorrenza, �c�.ett.ate .... le i.t!ti~fr~, qi q.esti. .fowi cpe; cO.�ti!.iscqno: e!:lerci;1;~0. di s.erviz.iq..(ilj ~.g9Iic9 il:tterf!SSe, ai sensi del primocomrpa dell'art. 100 del d.P.R}l �\gosto 1972, n. 670. Non v'� dubbio che nell'ampia previsione dell'art. 8 debba essere ricompreso l'ENEL �l r~gione c:!elservizio di produzion.e e fornjt.ra di energia ~lettric~. il che non . �lnp�.a, t.ttavia, deroga ~i pri~cipi fon~ ~mentali. sulla . competenza . giurisdizionale del . giudice . amministrativo e, in particolare, della. Seziofloe autonoma ciel T.G.A. di Bolzano (ed,' allo ~tato, .ciel Consiglio di Stato iI1 s,upplenia), nemmeno in. fQrza �del collegamep. to con la disposizione dell'art. 43 � cit. � . . ... .Non si intende discqnoscere n superiore livello normativo dei decreti di .~ttuazione de�o Statuto speciale per H Trentin<rAlto Adige, i quali, nell'ambito . della .COIXtpetenza .. riservatagli in .~ia esclusiva, prevalgono s.lle stesse leggi (>rdinarie dello Stato. Ma ci� non comporta il superamento. clegH ordiriari criteri ermeneutici, n��. ff venir meno. della esi~ geI1Za e degli effetti dell'inseriment� di dette norme � rinforzate � nel sistema, al quale varuio pur sempre rapportate. La formtilazione 1essk:a1e ��dell'art; 43, innanzi� trascritto �-'-dal �quale, secondo� l'assunto di. parte ricorrente,�� dovrebbe desun:iersi ��l'introduzione nel nostro ordinamento 'df una lloveila ��giurisdizione� esdusiva, compren" dente la cognizione da parte di un organo di giustizia amministrativa, oltre che sugli interessi legittimi, sui diritti soggettivi -esclude una tale interpretazione, dal �momento che la stessa �norma prevede il ricorso al T.GA -Sezione di Bolzano .(soltanto) �contro i .provvedimenti�, con dizione non dissimile da quella dell'art. 2 lett. b) della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, in tema di giurisdizione generale di legittimit� del T.A.R., ovvero dell'art. 26 del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (T.U. delle leggi sul 238 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Consiglio di Stato); ma ben diversa da quella dei rispettivi artt. 7 e 29 sulla giurisdizione esclusiva dei predetti giudici amministrativi. L'introduzione di una speciale tutela in materia di diritti soggettivi, in difformit� dai principi generali, avrebbe richiesto invece una ben diversa e precisa forma espressiva. Se, in tesi, si dovesse accedere alla ricostruzione dell'istituto processuale sostenuta dalla ricorrente, si porrebbe un problema non eludibile di legittimit� costituzionale dell'art. 43, in quanto la disposizion�, intesa in senso cos� ampio, avrebbe ecceduto dai limiti derivanti dalla norma costituzionale dell'art. 92 dello Statuto speciale, gi� citata, l� dove � previst� che �gli atti amministrativi ..., ritenuti lesivi ..., possono essere impugnati dinanzi alla autonoma sezione di Bolzano� del T.R.G.A. Nella prospettiva sia dell'art. 92 che dell'art. 43 (nel combinato disposto con le norme dei precedenti titoli primo e secondo e con l'art. 8 cit.) l'interesse del gruppo linguistico, tutelabile con il ricorso a detta Sezione da parte dei soggetti abilitati, si configura, invece, quale interesse legittimo, in quanto distinto da quello pubblico e generale, connesso a:H'osservanza del!le norme sul biHnguismo ed all'esercizio (mediante, appunto, l'emanazione di atti) della relativa potest� amministrativa; con la conseguenza che l'interesse medesimo pu� essere fatto valere nei limiti e nelle forme propri della giurisdizione generale di legittimit�. Nella fattispecie in esame difetta, per�, il presupposto dell'esercizio del potere di autorganizzazione dell'ente pubblico economico e manca un provvedimento o atto amministrativo suscettibile d'impugnazione. Difatti, secondo il consolidato indirizzo di queste Sezioni Unite (conf. sent. nn. 2064/88, 63/86, 1509/82 e, con riguardo ad altri enti, nn. 6118/89, 2722/85), oltre che del Consiglio di Stato {conf. A.P. nn. 9/75; 9/78), l'art. 13, primo comma, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, stabilisce che il rapporto di lavoro del personale dipendente dell'ENEL � regolato dal1e norme di diritto privato, su base contrattuale, riservando, quindi, al giudice ordinario la cognizione delle controversie inerenti a detto rapporto. Solo nella fase che precede lo stesso bando di concorso per l'assunzione dei dipendenti, l'ENEL pone in essere una tipica attivit� organizzatoria e, in posizione autoritativa, istituisce, modifica e sopprime organi ed uffici, adottando provvedimenti, che sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo, se lesivi di interessi legittimi. Della non configurabilit� nella specie di siffatta impugnativa appare avvertita la stessa Provincia ricorrente, allorch� -al fine di superare la costruzione privatistica, con riguardo alla indiscutibile posizione di diritto soggettivo relativa al trasferimento del dipendente Gianni Sommavilla -espone la tesi, qui di,sattesa, di una giurisdizione esclusiva della Sezione autonoma del T.G.A., comprendente cio� le controversie, su diritti. PARTE I, SEZ. Ili, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 239 N� dalla negazione di una tale forma speciale di tutela giurisdizionale pu�. ritenersi menomata la protezione del principio del bilinguismo, dal momento che --., ferma la normale azione innanzi al giudice amministrativo in presenza di atti e provvedimenti dell'ente pubblico economico ritenuti lesivi dell'interesse del. gruppo linguistico, giusta la previsione dell'art, n dello Statuto e la disciplina attuativa dettata dall'art. 9 del d.P.R. 6 aprile 1984, n. 426 -nulla impedisce che nei giudizi innanzi al giudice ordinado, instaurati per azionare diritti connessi al rapporto di lavoro privatistico, siano dedotte violazioni di detto principio. Essendo esclusa per le ragioni esposte, [a giurisdizione deN.'adito Giudice amministrativo, il ricorso principale deve essere respinto. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I Civ., 17 luglio 1991, n. 7960 � Pres. Falcone -Rel. Maltese -P. M. Amirante (concl. diff.). Amministrazione Nazionale Autonoma Strade {avv. Stato Cosentino) c. S.p.A. Farsura Costruzioni (avv. Cochetti). Obbligazioni (in genere) � Adempimento � Imputazione del pagamento al capitale � Consenso del creditore � Interessi maturati per periodo inferiore al semestre � Non producono interessi. Per il congiunto disposto degli artt. 1194 e 1283 cod. civ., ove il cre� ditore consenta che il pagamento sia imputato al capitale, gli interessi gi� maturati per un periodo inferiore al semestre non sono produttivi a suo favore di ulteriori interessi (1). Con l'unico mezzo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 1193, 1194, 1283 cod. civ. in relazione all'art. 360, n. 3 c.p. Sostiene che il credito di interessi ha una particolare causa ed una particolare disciplina -quanto alla prescrizione e all'adempimento � e questa non cessa di applicarsi perch� il credito di interess<i. cessa di essere accessorio a quello principale�. Siccome -prosegue la ricorrente -la posizione del creditore di interessi � meno garantita, (l) � orientamento pacifico in giurisprudenza che l'art. 1283 e.e. faccia ri� ferimento tanto agli interessi moratori che a quelli corrispettivi (Cass., 24 maggio 1986, n. 3500). Tali interessi devono, per�, riferirsi ad obbligazioni di valuta, e non ai debiti di valore (Cass., SS.UU., 10 dicembre 1984, n. 6476; Cass., 19 marzo 1990, n. 2296; infine, dopo la sentenza che qui si pubblica, Cass., 7 maggio 1992, n. 5423); la liquidazione operata in sentenza di interessi compensativi dal d� del fatto costituisce, infatti, una componente del debito complessivo e non un autonomo debito di interessi (Cass., 14 dicembre 1991, n. 13508). Peraltro, una volta che il debito, in seguito alla liquidazione, si � trasformato in debito di valuta, ben pu� produrre interessi (anche per la parte dell'importo rappresen RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 240 l'art. 1194 e.e. impedisce al debitore � di liberarsi prima� dell'obbligazione di capitale e poi di. quella di interessi�. Questo effetto legale, pu� essere evitato solo dalla volont� del creditore, il quale accetti l'imputazione del pagamento al capitale anzich� agli interessi. Ora -conclude il ricorrente -se unicamente il consenso del creditore pu� produrre tale risultato, non v'� ragione di ricercare in supposti limiti all'applicabilit� del� l'art. 1283 e.e. una tutela dell'interesse del creditore di fronte al ritardo nell'adempimento del debito degli interessi, ohe � gi� assicurata dal1' art. 1194 e.e. Il motivo � fondato e deve . essere accolto. Il creditore trova il massimo di tutela giuridica nel congiunto disposto degli artt. 1283 e 1194 e.e. con l'imputazione del pagamento, secondo legge, agli interessi prima che al capitale. Se aderisce, invece, all'impu� tazione del pagamento al capitale anzich� agli interessi, l'obbligazione relativa a questi ultimi mantiene inalterata la propria natura, e la somma che ne costituisce l'oggetto � improduttiva di nuovi interessi tutte le volte che il pagamento, imputato al capitale, sia avvenuto entro il semestre. Rimangono salvi i principi concernenti il comportamento doloso o gravemente colposo del debitore -principi di ordine pubblico e quindi non derogabili dallo stesso debitore consenziente (arg. ex artt. 1229 e 1175 e.e.) -, la cui contestazione darebbe luogo ad una controversia d'altra natura, perch� basata su una diversa e pi� specifica causa petendi, della quale in questa sede non si discute. A questo proposito giova ripetere che nella .specie l'ordine di paga� mento �era stato emesso il 26 maggio 1981, con un ritardo di 116 giorni dalla data ultima del 29 gennaio 1981 in cui H pagamento sarebbe dovuto tato dagli interessi compensativi) ai quali pu� applicarsi l'anatocismo (Cass., 10 marzo 1990, n. 1983). L'art. 1283 e.e. consente che, in forza di � usi contrari� (da qualificarsi quali usi �normativi�) possa derogarsi a quanto nella norma stessa previsto. Ci� val� sia con riferimento ad usi tendenti ad escludere l'ammissibilit� dell'anatoci� smo -la cui prova spetta, ovviamente, alla parte che ne allega l'esistenza: cfr. Cass., 7 febbraio 1980, n. 859 -, sia a quelli che lo ammettono, derogando, ad es., al termine semestrale (cfr. Cass., 30 maggio 1989, n. 2644, in Foro lt., 1989, I, 3127, con ampia nota redazionale), come avviene per gli usi bancari (sui quali v. Cass., 5 giugno 1987, n. 4920, in Il risparmio. 1987, 805, con nota. di BATTAGLIA e, da ultimo, Cass., 20 giugno 1992, n. 7571). In merito..alla imputazione del pagamento (artt. 1193-1194 e.e.), il divieto di imputare lo stesso al capitale prima che agli interessi -in quanto meno. ga� rantito -trova deroga non solo in caso di consenso del creditore (come nella fattispecie esaminata dalla S.C. nella decisione pubblicata), ma anche in quello in cui il credito accessorio non sia certo, liquido o esigibile (Cass., 8 marzo 1988, n.. 2352; Cass., 18 ottobre 1991, n. 11014), ed in quello in cui il pagamento sia coattivo, ipotesi nella quale le parti non possono che uniformarsi alla predeter� minazione giudiziale (Cass., 18 ottobre 1991, n. 11014 cit.). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 241 avvenire. E occorre soggiungere che l'A.N.A.S. aveva chiesto che la societ� attrice fornisse adeguata prova sul ritardo dedotto a fondamento della domanda {v. sent. di primo grado, p. 4); e che a seguito della produzione da parte dell'attrice della relativa documentazione entrambe le parti avevano finito col dare per pacifico l'obbligo della convenuta di corrispondere gli interessi sulle somme pagate col ritardo anzidetto; s� che risultava esatto per mancanza di contestazione il conteggio in L. 47.284.564 di quanto dovuto dall'appaltante per il ritardo nel pagamento delle somme precisate dall'attrice (v. la stessa sent. di primo grado, pagg. 4 e 5). Nulla invece era dovuto a titolo di interessi anatocistici dall'A.N.A.S alla soc. Farsura, che aveva consentito alla imputazione del pagamento al capitale. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. Civ., 14 gennaio 1992, n. 364 � Pres. Vela � Rel. Sensale � P. M. Di Renzo (conf.). Soc. Giacinto Padula e figli {avv. Bianca e Grassani) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Mataloni). Giurisdizione civile � Responsabilit� civile � Lesione di interessi legittimi in materia di prezzi � Tutela � Non spetta � Contrasto con la normativa comunitaria � Non sussiste. Il Trattato CEE -e in particolare gli artt. 30, 36, 37, 85, 86, 90 attribuisce agli Stati membri rilevanti poteri di intervento in economia, ma li ammette con le modalit� proprie dei rispettivi ordinamenti,� fo materia di prezzi, tali poteri si esplicano, nel nostro ordinamento come limitativi del diritto di impresa, con la configurabilit� di meri interessi legittimi in capo all'imprenditore. La tutela di dette situazioni giuridiche non pu� ottenersi mediante esperimento di azione risarcitoria ex articolo 2043 e.e., n� tale principio contrasta con gli artt. 3, 24 e 113 Cast., poich� il diverso trattamento discende dalla diversit� di struttura e di funzione di diritti soggettivi e interessi legittimi (1). (1) L'importante pronunzia qui pubblicata ribadisce un orientamento per vero pacifico nella giurisprudenza del Giudice di legittimit�, ma affronta, per quanto consta, per la prima volta la problematica del risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo con riferimento alla normativa comunitaria, con eludendo nel senso della non risarcibilit� dello stesso nel nostro ordinamento poich� restano certamente applicabili le norme interne volte ad individuare gli strumenti di tutela accordati al privato in caso di illegittimo esercizio di pubbliche potest�. In partieolare, si riconosce, come � noto, la risarcibilit� del danno laddove una pos1z10ne di diritto soggettivo preesista all'adozione di un provvedimento autoritativo e -precedentemente � affievolito � -riviva a seguito dell'annul 7 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 242 1. Con il primo motivo, la qualificazione come interesse legittimo, da parte della Corte d'appello, della posizione soggettiva dedotta in giudizio viene censurata sotto i seguenti profili: a) violazione degli artt. 1 e ss. della legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E, ed omessa o insufficiente motivazione, in relazione alle deduzioni dell'appellante sulla esistenza, o meno, di un diritto soggettivo dell'imprenditore antecedente all'intervento dello Stato con l'inclusione del prezzo della merce tra quelli autorizzati e sulla struttura unitaria del relativo procedimento; b) violazione dei criteri d'interpretazione del provvedimento amministrativo ed omessa motivazione sulla natura del provvedimento di fissazione del prezzo; e) contraddittoria motivazione sulla questione della rilevanza del costo di produzione ai fini della determinazione del prezzo, affermata dalla. sentenza impugnata, cl).e tuttavia ha negato un collegamento necessario tra tale determinazione di costi. Con il secondo motivo si ripropone, sotto il profilo della violazione dei criteri legali d'interpretazione dell'atto amministrativo secondo gli artt. 1362 e ss. e.e., la questione della natura, che si sostiene ablatoria, del� provvedimento di fissazione del prezzo. Con il terzo motivo la tesi della configurabilit� di un diritto soggettivo d'impresa viene argomentata prima riprendendo le critiche alla sen� tenza impugnata formulate con i preced(;!nti motivi, poi sulla base di un principio dell'ordin�inhito che tende ad assicurare un equilibrio tra costi e ricavi (desumibile dal sistema delle revocatorie fallimentari) ed infine con riferimento ��alle garanzie di libera circolazione delle merci poste dalle norme del trattato CEE. Da queste ultime si desume un principio di redditivit� dell'attivit� d'impresa, cui si ricollegano posizioni di diritto soggettivo alla libert� commerciale dell'impresa, suscettibile di affievolimento solo entro determinati limiti imposti da tale principio. Si deduce, lamento di atti dichiarati illegittimi dal Giudice amministrativo, come nel caso di diritto di propriet� sottoposto a procedura espropriativa; ove, invece, tale originaria posizione sostanziale manchi, nessun risarcimento potr� essere riohiel�to (cfr., in materia di annullamento di licenza di commercio, Cass., 16 febbraio 1%8, n. 544; di diniego cli licenza edilizia, Cass., 8 febbraio 1972, n. 313; di silenzio-rifiuto, Cass.; SS.UU., 21 gennaio 1988, n. 436; di esclusione da gara, Cass., 9 luglio 1991, n. 7550) . . Da ultimo, per una interessante fattispecie in tema di importazione di merci nel territorio dello Stato si vecla Cass., 4 agosto 1977, n. 3458, in Foro It., 1978, I, 135, e per un precedente aventi notevoli punti di contatto con quello di cui alla odierna. sentenza, in materia di provvedimenti del CIP in tema di prodotti petroliferi, si veda Cass., SS.UU., 1� ottobre 1982, n. 5030, in Foro It., 1982, I, 2424, con nota di BARONE. II f@ PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 24) in particolare, sotto questo profilo, una violazione del divieto posto dall'art. 85 del trattato CEE relativo agli accordi tra imprese e alle pratiche concordate limitative della concorrenza all'interno del mercato comune, con riferimento all'accordo raggiunto in seno ad un'associazione di produttori della pasta nel corso della procedura di fissazione del prezzo di vendita da parte del Comitato provinciale prezzi di Matera. Infine -si sostiene con il quarto motivo -la tesi che esclude la risarcibilit� dei danni derivanti dalla lesione d'interessi legittimi, ove la posizione soggettiva dedotta in giudizio venisse in tal modo qualificata, contrasta con gli artt. 24 e 113 Cost. Il ricorso � infondato. 2. Il tema della qualificazione della posizione soggettiva dell'impren� ditore, di fronte ai provvedimenti di determinazione dei prezzi di merci, prodotti e servizi, resi dal Comitato interministeriale e dai Comitati provinciali dei prezzi, ha gi� formato oggetto, da parte delle Sezioni unite, di approfondito esame con riguardo al diritto interno, nella sentenza 1� ottobre 1982, n. 5030, cui hanno fatto seguito, confermandone l'impostazione, le sentenze 24 febbraio 1986, n. 1108, 8 marzo 1986, n. 1560 e, sia pure in relazione. ad una� fattispecie diversa, la sentenza 16 luglio 1985, n. 4151. Le conclusioni raggiunte dalle citate sentenze, e segnatamente dalla prima, contro la quale in realt� le critiche della ricorrente si appuntano, vanno tenute ferme in questa sede. Muovendo dall'int�rrogativo se, di fronte ai poteri che l'ordinamento attribuisce alla P.A. (c.i.p. e comitati provinciali dei prezzi) di determinazione dei prezzi di qualsiasi m�rce, prodotto o servizio, si verifichi o meno la degradazione del diritto soggettivo d'impresa, nella sua tipica manifestazione riflettente la fissazione autonoma dei prezzi da parte dell'imprenditore, a diritto affievolito (con la conseguenza che, in ipotesi affermativa, fa seguito all'annullamento giurisdizionale dell'atto illegittimo, debba riconoscersi che la situazione giuridica originaria sia stata ripristinata nella sua consistenza di diritto soggettivo perfetto, suscettibile di reintegrazione sotto forma di risarcimento del danno); e dopo una puntuale ricognizione della discipl�na autorizzativa dei prezzi e della giurisprudenza costituzionale in materia, il ragionamento seguito nella sentenza n. 5030/82 si snoda attraverso i seguenti passaggi. Tale disciplina, determinata dalla necessit� di sostituire un blocco elastico a quello rigido preesistente, insorta in una situazione di emergenza determinata dalle condizioni economiche dell'epoca, si � poi svincolata dalla sua matrice originaria e si � inquadrata nella logica e nella prassi dell'interventismo sociale, cui, nell'epoca attuale, lo Stato sempre pi� largamente ispira la propria azione politico-economica sulle lin�e tracciate dalla Costituzione. 244 RA'SSEGNA DELL'AVVOCATURA �DELLO STATO I provvedimenti del c.i.p. costituiscono, quindi, l'esplicazione di una potest� amministrativa attraverso l'emanazione di provvedimenti di carattere generale, rivolti cio� ad una categoria indeterminata di destinatari (operatori economici del settore)... L'ampia discrezionalit� dei suddetti organi non � tuttavia illimitata, poich� la scelta dell'attivit� amministrativa da svolgere richiede l'uso di criteri tecnici (accertamento del costo .delle merci, etc., con un margine di utile), operandosi .il raccordo tra potere pubblico e autonomia privata nel senso. che i. prez:zii cos� determinati, pi� favorevoli ai consumatori e agli utenti, sono di diritto inseriti nei .contratti e che la vendita o la messa in vendita di merci e l'offerta o l'esecuzione di servizi o prestazioni a prezzi superiori � penalmente sanzionata. Gli atti in �esame costituiscono, quindi, provvedimenti ispirati a discrezionalit� politico-amministrativa, emanati sulla base di leggi che attuano i principi costituzionali della inerenza del limite della utilit� sociale al diritto d'impresa, che risente sin dal suo costituirsi del limite che attiene al potere pubblico di determinazione dei prezzi devoluto all'autorit� amministrativa nell'interesse generale, il che esclude la possibilit� d'inquadrare i provvedimenti c.i.p; tra gli atti' ablatori, i quali sono caratterizzati dal fatto d'incidere dall'esterno sul :contenuto del diritto, privandolo di tutte o di alcune facolt� che lo caratterizzano erga omnes. Si � precisato al riguardo che-l'art. 41 cost. non pu� essere letto in maniera atomistica e frammentaria, interpretando la norma come se, da un lato, il Costituente avesse inteso, anche in tal caso, riconoscere un diritto d'impresa opponibile in senso assoluto al potere pubblico e dall'altra ammettere ab extra la (eventuale) possibiHt� di comprimerlo nel concorso di date condizioni. Riconosciuta, invece, in linea di principio, la libert� della iniziativa economica privata, la quale � un potere pregiuridico, non s_ostanziandosi di per s� in alcuna attuale situazione soggettiva, la Costituzione ha cost;ruito u;n diritto, d'impresa che, in attuazione di quella libert�, sorge ab origine gi� limitato dall'interno dei poteri pubblici d'intervento economico della P. A., che, proprio per la loro permanenza e per il tipo d'incidenza che attuano, non possono essere spiegati ricorrendo alla fattispecie .dell'affievolimento, che postula, tra l'altro, soltanto la eventualit� �lel su~ verificarsi ove 8(re~lizzino �dati presupposti, che in fatto possono � anche niai prodursi. . J)ato conto delle ragioni per le quali alla tesi dell'affievolimento pu� farsi ricorso al fine di spiegare il potere pubblico di espropriazione del diritto di propriet� e del potere di annullamento della revoca della licenza ! di commercio, ma non anche cori riferimerito al potere pubblico di deter ~ minazione dei prezzi, si � rilevato che quc;st'ultimo, attribuito dalla legge ff. al c:i.p., costituisce� una particolare enucleazione di quello stesso limite 'i �attinente aHa� utilit� sociaQe che � immanente al diritto d'impresa sin dail 1 suo sorgere, s� che il diritto stesso deve considerarsi costituito con quella i I l I I I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZ:A CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI limitazione di utilit� individuale, privato cio� della facolt� dell'imprenditore di fissare liberamente i prezzi dei prodotti amministrati; e che, pertanto, nell'area di esercizio di quel potere non sussiste che l'interesse legittimo dell'imprenditore al rispetto da parte della �P.A. delle norme (di azione) che ne disciplinano il procedimento. In questo ambito -si � precisato -il criterio del costo costituisce solo uno dei criteri di cui la P. A. deve tenere conto nella determinazione dei prezzi pubblici, poich� anche un prezzo, che di per s� sarebbe non remunerativo, pu� essere corretto nel quadro di una pi� ampia manovra economica, attraverso l'adozione di altre misure ritenute in concreto pi� adatte allo scopo che si � inteso di raggiungere; e la� valutazione globale, nel merito, di questa manovra � funzione propria del potere esecutivo, al quale mai potrebbe sostituirsi il giudice. g vero che il sacrificio imposto all'imprenditore dev'essere tollerabile e� ragionevole, ma tale esigenza� non incide sulla qualificazione della sua posizione soggettiva, che rimane d'interesse legittimo, in quanto� l'imposizione di un� sacrificio irragionevole e ingiustificato attiene al legittimo esercizio del potere, con la conseguenza che la posizione soggettiva dei destinatari indeterminati dei provvedimenti in esame si risolve nella titolarit� di un interesse legittimo, quando venga fatta valere una illegittimit� attinente alla non remunerativit� dei prezzi. Occorre aggiungere, per concludere su tale punto, che, mentre non incide su quanto si � osservato il sistema delle revocatorie fallimentari, ispirato a tutt'altra logica e volto a soddisfare esigenze �di diversa natura, la correzione della non remunerativit� dei prezzi attraverso misure economiche d'intervento pubblico (fornitura gratuita. di materie prime da parte dello Stato; concessione di contributi o. sovvenzioni a fondo perduto; istituzione di casse o fondi di conguaglio o compensazione) raggiunge sia pure indirettamente ed in termini economici pi�.. generali, per l'impresa, lo stesso risultato di un sostanziale equilibrio. tra costi e ricavi. Nella stessa se.ntenza n. 5030 si � ulteriormente osservato.. che, se le parti contraenti, nell'esercizio della loro autonomia, concludono contratti stabilendo convenzionalmente un. dato prezzo, non per questo esse possono far valere alcun diritto soggettivo nei confronti della P. A., dopo che questa, facendo uso dei suoi poteri costituzionalmente garantiti, ritenga di comprendere un determinato prodotto tra quelli sottoposti alla disciplina amministrata, tanto pi� che il provvedimento-prezzi non ha efficacia retroattiva e riguarda soltanto i rapporti contrattuali futuri. Quanto agli effetti della pronuncia giurisdizionale di annullamento del provvedimento, che perde per ci� ex post la sua forza cogente per il periodo della sua efficacia, si � osservato che, di fronte alla eventualit� che la decisione di annull�inei1to intervenga q�ando � ormai decorso il periodo di efficacia del provvedimento (sostituito nel frattempo da altro successivo), la efficacia della decisione di annullamento non perde la sua connotazione tipica consistente, anche, nel dovere della P.A. dLuniformare RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 246 la propria condotta ai criteri enunciati nel giudicato. In conseguenza, il c.i.p. sar� tenuto ad emanare -ora per allora -un nuovo provvedimento che, sostituendo il precedente annullato, soddisfi le esigenze concrete poste in evidenza nella decisione; ed, avendo il prezzo amministrato la forza d'imporsi all'osservanza dei contraenti anche in sostituzione di clausole difformi, la mancata previsione della clausola imposta determina un fenomeno d'integrazione ex lege dell'atto di autonomia privata, mentre se la clausola � difforme sar� sostituita di diritto dalla disciplina legale. 3. Escluso che la posizione soggettiva dedotta in giudizio possa qualificarsi, secondo l'ordinamento interno, come diritto soggettivo, occorre verificare se a conclusioni diverse debba indurre la disciplina comunitaria: problema, questo, di cui la sentenza n. 5030/82 non si � occupata e che viene prospettata dalla ricorrente nel terzo motivo. L'ordinamento comunitario -al pari di alcuni ordinamenti interni non conosce la distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi che � alla base del riparto della giurisdizione italiana. Conseguentemente, una questione interpretativa di norme comunitarie, al fine di conoscere se esse abbiano inteso attribuire ai cittadini degli Stati membri posizioni di diritto soggettivo oppure d'interesse legittimo, non ha modo di porsi in senso tecnico, dato che una tale distinzione non pu� essere stata tenuta presente nella stipulazione e nella redazione del trattato istitutivo delLa CEE. Quale sia il tipo di tutela riconoscibile a ciascuna di quelle posizioni non pu�, quindi, desumersi dall'ordinamento c�munitario, che pu� contemplare una tutela differenziata e che, quando una tutela esige, deve necessariamente riferirsi, quanto al tipo di essa, alle regole interne degli Stati membri. E i criteri posti da tali regole per la individuazione del giudice fornito di giurisprudenza (come per la individuazione del giudice competente) non possono non essere quelli dell'ordinamento cui appartiene il giudice che deve applicarli (v. Corte di giustizia delle comunit� europee 7 luglio 1981, in causa n. 158/80). Problema diverso � quello concerne,nte le norme che il giudice -nella individuazione della posizione soggettiva tutelata e del tipo di tutela ad essa accordata, secondo i criteri posti dall'ordinamento cui appartiene deve avere presenti. Se, infatti, la fattispecie ricade sotto la disciplina (anche) del diritto comunitario, la individuazione, secondo i criteri nazionali, della posizione soggettiva tutelata deve avvenire (anche) con riguardo alle norme comutarie. In tal senso si � espressa questa Corte {dopo la pi� generica sentenza 10 marzo 1976; n. 814) con le .successive sentenze 14 marzo 1977, n. 1009, 26 aprile 1977, n. 1545, 17 giugno 1981, n. 3967 e 24 giugno 1981, n. 4197, che hanno proceduto alla individuazione della posizione soggettiva tutelata in base, .appunto, al diritto comunitario. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 247 In generale, non pu� contestarsi che, ove sorgano problemi interpretativi di norme comunitarie, occorre investirne la Corte di giustizia. Ma, quando non � dubbia l'esistenza di limiti comunitari al diritto inte.rno in materia economica, e il dubbio riguarda esclusivamente la natura dell'interesse tutelato e il tipo di tutela ad esso accordato, secondo criteri che l'ordinamento comunitario ignora (e che per ci� debbono essere necessariamente verificati in base alle categorie proprie dell'ordinamento nazionale), una rimessione della questione alla Corte di Giustizia non avrebbe alcun significato (e non sortirebbe alcun utile risultato), dato che quel giudice non .potrebbe ricercare nelle norme comunitarie una differenzazione tra posizioni soggettive e tra modi di tutela che esse non contengono ed, anzi, ignorano. Nell'ambito della indagine riservata, per quanto si � osservato, al giudice nazionale, non � sufficiente a far qualificare come diritto soggettivo una determinata situazione riferibile al cittadino di uno Stato membro, affermare che le norme del Trattato hanno come destinatari non solo gli Stati ma anche, direttamente, i cittadini dell'intera Comunit�; n� che l'art. 30 o altre norme del Trattato possono essere invocate da un soggetto privato davanti al giudice nazionale per opporsi a misure adottate dalla legge nazionale in contrasto con i divieti posti dall'ordinamento comunitario. Ci�, infatti, non � risolutivo della questione di giUrisdizione, trattandosi di stabilire davanti a quale giudice nazionale (e a quale ordine giurisdizionale appartenente) quei divieti possano essere fatti valere. N� basta dire che l'ordinamento comunitario contempla e tutela il diritto d'impresa con connotati propri della posizione soggettiva qualificabile -secondo '1e categorie del diritto nazionale ignorate dalle norme comunitarie -come diritto soggettivo perfetto. Ci� che, infatti, occorre stabilire � se il Trattato consente ai singoli Stati l'adozione di norme o provvedimenti destinati ad incidere sulla propria economia; e, nella ipotesi affermativa, se tali interventi operino sul diritto d'impresa dall'esterno (dando luogo alla fattispecie dell'affievolimento del diritto, con la conseguenza che l'annullamento dell'atto che l'abbia determinato ripristina un diritto d'impresa senz'altri limiti) ovvero dall'interno, nel qual caso, nascendo tale diritto gi� con questo limite, il privato non potrebbe pretendere altro se non che l'imposizione in concreto del limite avvenga in modo legittimo e non potrebbe chiedere altra tutela che quel!la riservata agl'interessi legitttimi, anche quando l'atto sia stato annullato o debba disapplicarsi perch� contrastante con norme comunitarie. Che ai singoli Stati siano consentiti dal trattato interventi sulla loro economia, � ammesso anche dalla ricorrente. L'art. 36 consente agli Stati membri d'imporre divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito, giustificati da particolari motivi. Il successivo art. 37 non vieta monopoli nazionali che presentano un carattere commerciale, ma chiede solo .che essi formino oggetto di un 248 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO progressivo riordinamento al fine di escludere discriminazioni fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi. L'art. 90 vieta agli Stati membri di emanare misure nei confronti delle imprese pubbliche e di quelle cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, purch� non siano contrarie alle regole di concorrenza. L'art. 92 non vieta gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, se non nella misura in cui incidono sugli scambi tra gli Stati membri. L'art, 222 espressamente afferma che il Trattato lascia del tutto impregiudicato il regime di propriet� esistente negli Stati membri. In altri termini, il Trattato non espropria gli Stati membri dei loro poteri d'intervento in campo economico, ma vuole che questi poteri siano esercitati in modo da non superare quei limiti che esso pone al fine di assicurare la libera circolazione delle merci e all'interno dei quali attribuisce ai singoli Stati una certa libert� di manovra. Vieta, quindi, le restrizioni quantitative all'importazione e qualsiasi misura d'effetto equivalente tra gli Stati membri (art. 30) e per gli Stati membri (art. 34); ed impone gli altri limiti di cui ai citati artt. 36, 37, 90 e 92. Il Trattato, eio�, fa divieto di adottare misure discriminatorie o protezionistiche, ma non ha inteso paralizzare i poteri di regolamentazione economica degli Stati n� trasformare le norme antiprotezionistiche in strumenti di sindacato delle scelte di politica economico-sociale degli Stati. Nessuna norma del Trattato, in particolare, impedisce agli Stati membri d'intervenire, aH'interno del proprio ordinamento, sui prezzi delle merci e dei servizi n� di conformare la propria legislazione al consenso delle categorie interessate, secondo una tecnica ormai sempre pi� diffusa nel campo del>l'economia e del lavoro. L'art. 85 ritiene incompatibili con il mercato comune gli accordi tra imprese diretti a fissare i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione e l'art. 86 vieta lo sfruttamento abusivo da parte di una o pi� imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo, ma nessuna delle due norme restringe il potere d'intervento degli Stati sulla propria economia n� impedisce che questi, nell'esercizio di quel potere, tengano conto degli accordi che non superino i limiti di tolleranza fissati dal Trattato. Una opinione diversa condurrebbe a ritenere che il Trattato abbia voluto sostituire totalmente la propria disciplina economica a quella dei singoli Stati (il che non si conciHerebbe con la tecnica adottata d'impo sizione di limiti e divieti determinati) e che si sia ispirato non gi� ad una tendenziale pr_eferenza per una economia di mercato, ma al pi� assoluto liberismo, il che non si spiegherebbe, per il fatto che alla CEE hanno dato vita Stati ad economia per lo pi� mista, senza un abbandono esplicito o implicito della loro impostazione ecoriomico-sociale. PARm I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISUIZIONE E APPALTI Se, dunque, il Trattato attribuisce agli Stati membri rilevanti poteri d'intervento sulla loro economia e nulla dice circa le modalit� di esercizio di tali poteri, limitandosi a tracciare i confini all'interno dei quali essi possono essere esercitati, vuol dire che consente tale esercizio agli Stati membri con le modalit� proprie dei rispettivi �ordinamenti e, quindi, in materia di prezzi, secondo il modo di operare dei relativi provvedimenti sul diritto d'impresa che, per il nostro ordinamento, si esplica non ab extra, come fattispecie di affievolimento, ma dall'interno, come limite connaturale al diritto d'impresa, con la configurabilit�, di fronte al potere di fissazione dei prezzi massimi, di un interesse legittimo in capo all'imprenditore. Inoltre, essendovi il potere, ed operando dall'interno del diritto d'impresa nel senso precisato dalla sentenza n. 5030/82, da un lato, l'illegittimo esercizio di esso (anche con riguardo al diritto comunitario), che determina l'annullamento dell'atto, non pu� che lasciare la posizione soggettiva nella sua originaria configurazione d'interesse legittimo; dall'altro, lo stabilire se l'imposizione di prezzi massimi sia una misura d'effetto equivalente secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia; se tale imposizione avvenga ad un livello tale da ostacolare l'importazione del similare prodotto straniero ed abbia contenuto discriminatorio o protezionistico, secondo la direttiva in materia di prezzi del 22 dicembre 1969, ovvero ostacoli gli scambi intracomunitari; se le misure di sostegno, adottate dallo Stato italiano per compensare le imprese della perdita di utili determinata dalla fissazione di prezzi massimi di vendita, incidano sugli scambi fra Stati membri, costituisce il merito della controversia che il giudice fornito di giurisdizione deve esaminare in concreto e che non interferisce coo il problema di giurisdizione. 4. Resta da esaminare la questione, prospettata con l'ultimo motivo, della risarcibilit� della lesione degl'interessi legittimi. La giurisprudenza dellle Sezioni unite � ispirata ail principio secondo cui l'ingiustizia del danno risarcibile ai sensi dell'art. 2043 e.e. � da intendersi nella duplice accezione di danno prodotto non jure (e cio� in assenza di cause giustificative del fatto dannoso) e contra jus (in quanto tale fatto incida su una posizione soggettiva attiva tutelata come diritto soggettivo perfetto). Tra questi ultimi sono da comprendere anche i diritti affievoliti nel caso in cui l'atto amministrativo che li abbia degradati venga annullato dal giudice amministrativo, mentre �leve escludersi la risarcibilit� degl'interessi legittimi, i quali ricevono tutela esclusivamente dinanzi al giudice amministrativo attraverso la rimozione dell'atto lesivo, com'� stato ribadito nella sentenza 3 luglio 1989, n. 3183. Nella pi� volte citata sentenza n. 5030 del 1982, talune critiche a tale indirizzo giurisprudenziale, formulate in dottrina, hanno .ricevuto puntuale confutazione, che in questa sede � sufficiente richiamare, 250 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Nella stessa sentenza si � anche affermato che la disciplina che esclude la risarcibilit� della lesione degl'interessi legittimi � conforme al dettato costituzionale {artt. 3, 24 e 113), attesa la profonda differenza di struttura e funzione che sussiste tra le due situazioni soggettive, per modo che non solo la loro diversa disciplina giuridica non urta contro alcun precetto costituzionale, ma questa diversit� � imposta dalla esigenza logico-giuridica di non risolvere, in definitiva, gli interessi legittimi in diritti soggettivi alla legittimit� dell'azione amministrativa. 5. La sentenza impugnata, che appare anche logicamente e adeguatamente motivata, si � uniformata ai principi suddetti e si sottrae per ci� alle censure proposte nel ricorso. Ci� implica il rigetto del ricorso medesimo, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. Civ., 10 febbraio 1992, n. 1458 -Pres. Brancaccio -Rel. Sensale -P. M. Caristo (conf.). Ministero della Difesa (avv. Stato Favara) c. COMIND (avv. Aula). I Arbitrato -Obbligatorio e facoltativo -Concorde volont� delle parti Arbitrato previsto da norma regolamentare -Illegittimit� -Possibilit� I di deroga -Irrilevanza. ~ I ~ Affinch� la previsione di devoluzione della controversia al giudizio arbitrale sia legittima. occorre che essa scaturisca dalla concorde volont� delle parti, e non da norma regolamentare; in tale ultimo caso la previsione risulta illegittima e suscettibile di disapplicazione, a nulla rilevando la previsione di possibili patti in deroga (1). I Con il primo motivo, il Ministero deduce il difetto di competenza qel collegio arbitrale e denunzia la violazione e falsa applicazione della sentenza della Corte Costituzionale 14 luglio 1977 n. 127 e delle disposizioni costituzionali in essa menzionate, nonch� degli artt. 806 e segg. c.p.c., degli artt. 55, 57, ultimo comma e 61, ultimo comma, del capitolato (1) La pronunzia che si pubblica risolve un contrasto giurisprudenziale in una materia particolarmente delicata quale quella degli arbitrati cd. � obbligatori �. Come � noto, a seguito dei ripetuti interventi della Corte Costituzionale (12 febbraio 1963, n. 2; 6 giugno 1968, n. 62) si pu� oggi aff�rmare che la legittimit� della devoluzione de1la controversia agli arbitri si pu� fondare unicamente sulla volont� delle parti; da ci� consegue la potenziale illegittimit� costituzionale dell'arbitrato obbligatorio previsto c:la norma di legge, e la possibifo disapplicazione delle norme di rango regolamentare. Sorge per� il problema di individuare la effettiva natura dell'arbitrato (obbligatorio ovvero facoltativo) laddove un capitolato preveda la inserziorie di patti difformi, e, in difetto di infro PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 251 generale d'oneri approvato con d.m. 20 ottobre 1938, in relazione all'articolo 360, nn. 2 e 3 c.p.c. Secondo il ricorrente, potrebbe attribuirsi natura pattizia soltanto alle clausole contrattuali difformi da quelle contenute nei capitolati, mentre quelle non degorate conserverebbero il loro pieno valore regolamentare, e quindi cogente, in contrasto con quanto affermato dalla Corte Cost. con la citata sentenza n. 127 del 1977, secondo cui soltanto il contratto e non una volont� autoritativa pu� costituire la fonte dell'arbitrato, potendo gli atti autoritativi tutt'al pi� predisporre e non disporre gli arbitrati tra le parti e cio� preparare il possibile contenuto di future clausole compromissorie, fermo restando che queste ultime, in quanto costituenti negozio giuridico distinto ed autonomo e non patto accessorio del contratto, non potrebbero che essere formulate in modo esplicito. Ci� tanto pi� deve ritenersi, ad avviso del Ministero, in quanto, come nel caso del D. M. in esame, sia prevista anche la non impugnabilit� del lodo, senza contare, inoltre, che l'art. 57 del capitolato esclude comunque dalla competenza del Collegio Arbitrale le � contestazioni relative al rifiuto dei materiali presentati al collaudo e quelle relative alle condizioni tecniche delle forniture�, tra le quali rientrerebbe appunto la controversia in esame: obiezione, questa, che il Collegio Arbitrale aveva ritenuto di superare affermando il contrasto di detta disposizione con l'art. 113 Cost., senza porsi il problema che l'esclusione della competenza arbitrale potesse dar luogo a quella del giudice ordinario. duzione degli stessi, se la fonte dell'obbligatoriet� sia da ricercare nella volont� delle parti o nella norma. La Corte di Cassazione ha oscillato tra le due tesi, ritenendo ora suscet� tibile di disapplicazione la norma che prevedeva l'arbitrato in quanto fonte eteronoma rispetto alla volont� delle parti (Cass., 28 gennaio 1980, n. 658, in questa Rassegna, 1980, I, 209, con ampia nota redazionale; Cass., 14 maggio 1981, n. 3167, in quest�. Rassegna, 1981, I, 421, e in Giustizia civile, 1981, I, 2635, con nota di CARBONE, entrambe sulle Condizioni Generali d'appalto del Genio Mi� litare; Cass., 13 marzo 1982, n. 1638, in questa Rassegna, 1982, I, 843), ora, invece, ritenendo sufficiente a fondare l'arbitrato sulla volont� delle parti la presenza della possibilit� di modificare pattiziamente le disposizioni del capitolato (Cass., 27 maggio 1981, n. 3474, in questa Rassegna, 1981, I, 597, in tema di Capitolato d'oneri per la fornitura di materiali occorrenti all'Amministrazione aeronautica). La sentenza in esame sembra aver concluso il cammino percorso dalla giurisprudenza per riportare l'arbitrato in materia di opere pubbliche nell'ambito dell'autonomia negoziale. Il divieto di arbitrato obbligatorio sancito da Corte Cost. 14 luglio 1977 n. 127 (in Giur. it. 1978, I, 1809 con nota di ScozzAFAVA e in Giur. cast. 1977, 1143 con nota di ANDRIOLI) e confermato recentemente da Corte Cast. 27 dicembre 1991 n. 488 (in Rass. arbitrato, 1992, 247, con nota di REccHIA, Disponibilit� dell'azione in senso negativo ed incostituzionalit� dell'arbitrato obbligatorio) era stato infatti eluso da alcune pronunce in cui si era manifestata la tendenza a conservare arbitrati sostanzialmente obbligatori qualificandoli facoltativi con argomentazioni formalistiche (come ad es. la. citata Cass. 27 maggio 1981, n. 3474 in Foro it. 1982, I, 199 con osservazioni .di C. M. 252 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Con il secondo motivo, il Ministero denunzia la violazione e falsa applicazione della citata sentenza della Corte Costituzionale e delle disposizioni costituzionali in essa menzionate, dell'art. 1671 e.e., degli artt. 8, secondo comma, e 61, ultimo comma, del Cap. Gen. approvato con D.M. 20 ottobre 1938, degli artt. 1218 e segg. e.e. e dell'art. 829 c.p.c., il vizio di omessa motivazione su punti decisivi, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5 c.p.c. Questo motivo viene espressamente proposto solo in via subordinata, atteso il dichiarato carattere assorbente del primo, per lamentare il mancato esame, da parte della Corte d'Appello, delle censure relative alla �rronea commisurazione e liquidazione dell'indennizzo ed alla erronea configurazione come risarcitorie delle somme liquidate e alla qualificazione delle stesse come debito di valore, nonostante l'affermazione d�l legittimo esercizio del potere del Ministero di recedere dal contratto. Il ricorso � fondato. � incontroverso fra le parti che, come risulta accertato anche nella sentenza impugnata, al contratto di fornitura di serbatoi per combustibili, intercorso tra l'Amministrazione militare (ORMEC, ora STAVECOStabilimento veicoli da combattimento) e la s.p.a. COMIND, fosse applicabile il d.m. 20 ottobre 1938, contenente, all'art. 55, una clausola compromissoria con previsione di arbitrato per la decisione delle controversie I ~ fra le parti, e, all'art. 61, comma 3�, una clausola di non impugnabilit� del fodo, salvo, ad avviso della sentenza impugnata, che per la dedu- BARONE e da ultimo Corte App. Roma 2 aprile 1990, in Riv. arbitrato, 1991, 102 con nota di SELVAGGI). Le Sezioni Unite respingono tale tendenza e dopo aver affermato che la i concorde volont� delle parti di escludere l'arbitrato non lo rende affatto facoltativo -perch� in tal modo si rimette alla volont� di una sola parte il potere di :rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altra -giungono alla conclusione che � l'arbitrato � veramente facoltativo solo quando sia consentito anche ad una sola parte di escluderlo, come nella previsione del citato art. 47 d.P.R. 1063/62 prima del 1981 �. l Tale riferimento al vecchio testo dell'art. 47 del capitolato generale d'appalto per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici come esempio II di arbitrato veramente facoltativo -poich� consentiva anche ad una sola parte di optare per il giudizio ordinario -equivale evidentemente ad affermare che il testo vigente dell'art. 47 (introdotto dall'art. 16 legge 10 dicembre 1981 n. 741) prevede invece un arbitrato obbbligatorio camuffato (in tal senso CLARIZIA, Legge 10 dicembre 1981 n. 741, in Nuove leggi civ. comm. 1983, 1019 ss . e SANDULLI, Ii Prime considerazioni sulla legge n. 741 del 1981, in Riv .giur. edil. 1982, II, 285). La sentenza, pertanto -pur riguardando gli artt. 55 e 61 del capitolato d'oneri per le provviste, i lavori e le vendite per il servizio del materiale automotociclistico dell'amministrazione militare approvato con d. m. 20 otttobre I 1983 -contiene una affermazione di principio che coinvolge direttamente ed espressamente la disciplina dell'arbitrato prevista dal capitolato generale d'appalto per le opere pubbliche e che difficilmente potr� ssere contraddetta in l futuro .stante l'esauriente e particolareggiata motivazione che la sorregge. PARTE I, SEZ. lii, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI zione di motivi di nullit� concernenti gli errores in procedendo del giudizio arbitrale. � del pari certo che, in base all'art. 1 del capitolato, qualora nelle condizioni speciali stabilite in contratto (comprese quelle sopra menzionate) siano inseriti patti difformi da quelli dei capitolati generali d'oneri, �le parti contraenti saranno tenute all'osservanza dei patti stessi, fermi restando pel rimanente i capitolati generali�. � noto che, in tema di arbitrato, la Corte costituzionale si � pi� volte pronunziata. Con la sentenza 12 febbraio 1963, n. 2, la Corte dichiar� legittimo -in relazione all'art. 102 Cost., cui conferiva una funzione garantista dell'esercizio del potere attribuito al privato dal comma 1� dell'art. 24, Cost. -l'arbitrato disciplinato dal codice di procedura civile, osservando che il principio di statualit� della giurisdizione � non implica che sia vietato ad ogni soggetto giuridico di svolgere la propria autonomia per la soluzione di controversie di suo interesse e di ricorrere ad un mezzo, come quello dell'arbitrato, che � legittimato da un regolamento del diritto di azione�, ma avvertendo, nel contempo, che un regolamento del genere � valido nel limite in cui su questo diritto (di azione) la volont� singola operi efficacemente. Ribadito, con sentenza 6 giugno 1968, n. 62, che un problema di compatibilit� con l'art. 102 Cost. si pone per i soli arbitrati necessari, la Corte costituzionale, in materia di obbligatoria devoluzione al collegio arbitrale delle controversie tra datore di lavoro e dipendente-inventore ex art. 25, 1� comma, del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, ha infine affermato (sent. n. 127 del 14 luglio 1977) che tale norma � illegittima nella parte in cui non riconosce la facolt� dell'inventore e del datore di lavoro di adire il giudice ordinario. Ha osservato la Corte che, per il congiunto disposto degli artt. 24, comma 1�, Cost. (diritto di azione in giudizio e correlativo esercizio, costituzionalmente garantiti) e 102, comma 1�, Cost. (riserva della funzione giurisdizonale ai giudici ordinari, salve le eccezioni di cui all'articolo seguente), il fondamento di qualsiasi arbitrato � da rinvenirsi nella libera scelta delle parti, perch� solo la scelta dei soggetti (intesa come uno dei possibili modi di disporre, anche in senso negativo, del diritto di cui all'art. 24, comma 1�, Cost.) pu� derogare al precetto contenuto nell'art. 102 Cost., s� che la fonte dell'arbitrato non pu� pi� ricercarsi e porsi in una legge ordinaria o, pi� generalmente, in una volont� autoritativa; ed il principio fissato nell'art. 806, comma 1�, (prima parte), c.p.c. (�le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra loro insorte... �) assume il carattere di principio generale, costituzionalmente garantito, dell'intero ordinamento. Nel richiamare tali pronunzie, queste Sezioni unite hanno gi� avuto modo di affermare che possono non ritenersi conformi al dettato costitu zionale solo gli arbitrati resi obbligatori o necessari dalla legge e non anche quelli obbligatori per volont� delle parti, le quali, nell'esercizio dell'auto 254 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO nomia negoziale, ben possono anche escludere l'impugnabilit� del lodo per errores in judicando (sent. 24 febbraio 1981, n. 1112). I principi che si traggono dai ripetuti interventi della Corte costituzionale possono compendiarsi nell'affermazione che l'arbitrato � legittimo solo se la sua fonte sia la (concorde) volont� delle parti. Conseguentemente, nella ipotesi di arbitrato obbligatorio, se la fonte della obbligatoriet� � una norma di legge, occorre rimettere la questione -non manifestamente infondata -alla Corte costituzionale; se come nel caso concreto, � una norma regolamentare, questa deve disapplicarsi. Si tratta, dunque, di stabilire: a) se sia obbligatorio o facoltativo un capitolato che prescriva in via generale l'arbitrato, ma consenta l'inserzione nel contratto di patti difformi, fermi restando per le rimanenti parti i capitolati generali; b) se, nel silenzio della parti (le quali, come nel caso in esame, non abbiano inserito nel contratto patti difformi), il capitolato operi come fonte esterna, non contrattualizzata, oppure per libera scelta delle parti sufficiente ad assumere nel contratto, quale fonte della loro concorde volont�, l'obbligatoriet� dell'arbitrato; in particolare, quanto ad a), se, per considerare facoltativo l'arbitrato, basta che sia consentita un'astratta possibilit� di deroga alla norma che lo prescrive (su cui occorre che entrambe le parti concordino), oppure � necessario che sia consentito anche ad una sola parte di rifiutare l'arbitrato, com'era, ad esempio, nella previsione dell'art. 47 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 per le opere di competenza del Ministero dei lavori pubblici, il quale, nel testo non ancora modificato dall'art. 16 della legge 10 dicembre 1981, n. 741 (secondo cui, in casi di trattativa privata, la competenza arbitrale pu� essere esclusa solo con apposita clausola inserita nel contratto), stabiliva che la parte attrice potesse escludere la competenza arbitrale, proponendo la domanda davanti al giudice ordinario, e che la parte convenuta potesse farlo, a sua volta, notificando tale determinazione all'altra parte. Ai quesiti, sopra formulati, non sono state fornite risposte concordi da alcune decisioni rese da questa Corte in sezione semplice su fattispecie omologhe a quella oggetto della presente controversia. La sentenza n. 628 del 28 gennaio 1980, dopo aver ritenuto che i princ�pi affermati dalla Corte costituzionale hanno una forza espansiva al di l� delle questioni di volta in volta decise e dopo avere rilevato che la Corte costituzionale ha indicato, come esempio di una normativa rispettosa della Costituzione, il capitolato generale dei lavori pubblici approvato con il citato d.P.R. n. 1063/62 (che istituisce un arbitrato facoltativo, dato il particolare meccanismo, ivi previsto, che consente sia all'attore che al convenuto di escludere il ricorso all'arbitrato), ha disapplicato la disposizione impositiva dell'arbitrato obbligatorio o necessario, in quanto proveniente da fonte eteronoma rispetto alla volont� delle parti, quantunque tale disposizione fosse stata richiamata nel contratto a titolo meramente ricognitivo. Sulla stessa linea si sono poste le sentenze n. 3167 del 14 mag PARTE I, SEZ. III, GIURISPlWDBNZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI gio 198-1 (nella quai.le, recepiti i princ):pi affermati nella precedente decisione, si � osservato che l'effetto della improponibilit� della impugnazione del lodo basata sulla violazione delle regole di diritto; previsto in apposita clausola .contenuta del capitolato generaJ.e, pu� derivare, invece, solo dalla inequivoca conforme volont� delle parti, non potendosi ammettere che le po~izioni soggettiv�, che nel diritto trovano il loro fondamento, rimangano prive.. di tutela avanti i giudici presso i quali la Costituzione ha inteso concentrare la funzione giurisdizionale) e la sentenza 13 marzo 1982, n. 1638, nella qua:le � stata ribadita l'Nlegittimit� di deroghe o rinunzie preventive alla. facolt� di optare per la competenza del giudice ordinario in luogo di quella arbitrale. Un orientamento sostanzialmente diverso � espresso nella sentenza n.. 3474 del 27 maggio 1981, con riguardo all'art. 75 del capitolato d'oneri per ola fornitura dei materiali speciali occorrenti all'Amministrazione dell'aeronautica (che deferisce ad un collegio arbitrale tutte le contestazioni sulla inter:pretazione ed esecuzione dei singoli contratti) ed all'art. 2 dello stesso capitolato, secondo il quale il capitolato d'oneri, in quanto non sia modificato espressamente dai contraenti, ha efficacia normativa fra le parti. Con tale pronunzia si � ritenuto che nel caso esaminato ricorresse non un arbitrato obbligatorio o necesario, avente fonte autoritativa eteronoma rispetto alla volont� delle parti, ma un arbitrato facoltativo, avente la sua fonte nella libera volont� delle parti. Le Sezioni unite non condividono questo secondo orientamento e ritengono di dover risolvere l'accennato contrasto, ripudiando tale indirizzo alla stregua delle seguenti considerazioni. Come si � rilevato, la Corte costituzionale ha affermato che l'arbitrato � legittimo solo se ha la sua fonte nella concorde volont� delle parti (nel senso che, affinch� non possa farsi ricorso all'arbitrato, basta che una sola di essa voglia il giudizio ordinario). Ci� vuol dire che l'arbitrato � veramente facoltativo solo quando sia consentito anche ad una sola parte di escluderlo, come nella previsione del citato art. 47 della legge 1063/62 prima del 1981; non anche quando; ai fini di tale esclusione, � richiesta la volont� di entrambi, nel qual caso si finisce per rimettere alla volont� di una sola parte di rendere l'arbitrato concretamente obbligatorio per l'altra. In altri termini, la concorde volont� delle parti occorre per derogare al giudizio ordinario e non gi�, all'opposto, per escludere il giudizio arbitrale; e non � vero che la mancanza della concorde volont� di escludere l'arbitrato rende quest'ultimo facoltativo e quindi legittimo. Una norma che prescriva in via di principio l'arbitrato, salvi patti difformi inseriti nel �contratto, solo apparentemente introduce una ipotesi di arbitrato facoltativo nel senso indicato dalla Corte costituzionale, se non consente anche ad una sola delle parti di optare per il giudizio ordinario. Basta, infatti, che l'altra -da sola .(il che, a giudizio della Corte 256 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO costituzionale, non � consentito) -voglia l'arbitrato per vanificarne l'apparente facoltativit�. Queste conclusioni -che consentono di rispondere al primo dei quesiti formulati nel senso che deve ritenersi pur sempre obbligatorio, e non facoltativo, un capitolato che prescriva in via generale l'arbitrato, ma consenta l'inserzione nel contratto di patti difformi, fermi restando per le rimanenti parti i capitolati generali -incidono anche sulla soluzione del secondo quesito. Affinch� la norma che prescrive l'arbitrato operi non come fonte eteronoma di esso, ma come .fonte negoziale, non basta che le parti tacciano nel contratto, poich� il silenzio rende operante la fonte esterna come tale; ma occorre che la richiamino -e non con un significato meramente ricognitivo di quella fonte, che resta in taI caso esterna -e dichiarino di farla propria come oggetto di concorde volont� negoziale. La mancanza del patto � difforme � non si traduce nella presenza di un patto � conforme � alla norma di arbitrato, necessario a far ritenere recepita la norma stessa nell'ambito negoziale, potendo anche significare (soltanto) che sulla scelta dell'arbitrato non si � formato l'accordo e che quindi non vi � stato ai1cun patto, s� che l'arbitrato risulta e rimane imposto da una fonte esterna. Quanto si � osservato conduce alla conclusione che, avendo inteso la norma costituzionale concentrare, come regola, la funzione giurisdizionale avanti ai giudici ordinari, ma essendo tuttavia consentito alle parti, nell'esercizio dell'autonomia che l'ordinamento loro attribuisce, derogare a quella regola, scegliendo il giudizio arbitrale come uno dei possibili modi di provvedere alla tutela dei propri interessi e di disporre, anche in senso negativo, del diritto sancito dall'art. 24, comma 1�, Cost., ne discende che, affinch� l'arbitrato possa considerarsi facoltativo, e quindi legittimo, occorre che oggetto del patto sia la deroga al giudizio ordinario, perch� solo in tal caso rimane consacrata la concorde volont� delle parti che pu� costituire la fonte negoziale dell'arbitrato, essendo evidente che, se manca tale concorde volont�, il patto non pu� venire ad esistenza e rimane irrilevante, ai fini della deroga al giudizio arbitrale. Analogo significato, con un capovolgimento logico dei rapporti fra giudizio ordinario e giudizio arbitrarle, non potrebbe, invece, attribuirsi ad un patto che, contro la previsione del giudizio arbitrale, contenuta nel capitolato come regola contrastante ed incompatibile con quella, opposta, sancita in via di principio dalla norma costituzionale, manifestasse la volont� delle parti di sottrarsi al giudizio arbitrale. In questa ipotesi, infatti, basta che una sola deMe parti non consenta l'opzione per il giudizio ordinario perch� la norma regolamentare esplichi, autoritativamente per l'altra, la sua efficacia di fonte eteronoma dell'arbitrato, vanificando il principio secondo cui soltanto la concorde volont� delle parti pu� costituire la fonte costituzionalmente legittima. I I I tmmr'�-I PARTB I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 25 7 In conseguenza, la norma regolamentare contenuta del d.m. 20 ottobre �1938, che prevede l'arbitrato per fa risoluzione delle controversie fra le parti derivanti dai contratti cui il capitolato si riferisce e sancisce la non impugnabilit� del lodo, non perde la sua natura di fonte di un arbitrato obbligatorio o necessario, anche se consente alle parti d'inserire nel contratto patti difformi da quelli dei capitolati generali d'oneri. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 febbraio 1992, n. 1993 -Pres. Brancaccio -Red. Amirante -P. M. Caristo (conci. conf.). Camera dei Deputati (avv. Stato Sclafani) c. Polito (avv. D'Urso). Costituzione della Repubblica -Camera dei deputati -Autodichia -Controversia riguardante la procedura concorsuale per l'assunzione -Difetto di giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo. Sono sottratte alla giurisdizione sia del giudice ordinario che del comune giudice amministrativo, perch� rientrano nel potere di autodichia della Camera dei Deputati, non solo le controversie con i dipendenti ma anche quelle con i terzi riguardanti le procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli della Camera(l). (omissis) Il Collegio rileva la fondatezza della tesi esposta in ricorso, secondo la quale, per l'autodichia, di cui la Camera dei Deputati � dotata, il giudice ordinario, nonch� il comune giudice amministrativo (complesso TAR-Consiglio di Stato) sono carenti di giurisdizione. Infatti, in una controversia, avente ad oggetto pretese avanzate da un dipendente della Camera dei Deputati, queste sezioni unite affermarono il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo, in quanto la giurisdizione, era attribuita agli organi di (1) Prima d'ora la Corte di Cassazione si era pronunciata sull'autodichia parlamentare in controversie con i dipendenti delle Camere. Quella che si annota � la prima sentenza in cui l'argomento viene affrontato con riguardo ad una controversia sorta con un candidato ad un concorso per l'assunzione nei ruoli della Camera dei Deputati, cio� con un terzo che aspira di diventare dipendente parlamentare. Inoltre si tratta della prima pronuncia dopo l'emanazione dei regolamenti processuali approvati dal Consiglio di Presidenza del Senato il 10 gennaio 1986 (ma il testo coordinato � stato emanato con decreto del Presidente del Senato del 1� febbraio 1988, n. 6314) e dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati il 28 aprile 1988 (reso esecutivo con decreto del Presidente della Camera 16 maggio 1988, n. 420 e modificato con decreto 19 novembre 1990, n. 1754) con i quali si disciplina compiutamente la procedura sulla falsariga del processo amministrativo con un doppio grado di giudizio. In particolare l'art. 1 del Regolamento per la tutela giurisdizionale dei dipendenti della Camera dispone che la stessa facolt� di ricorso al giudice dome 258 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO quest'ultima, ai sensi dell'art. 12, n. 3 del regolamento della Camera dei Deputati del 18 febbraio 1981 e successive modificazioni, il quale, tra l'altro, disponeva che l'Uffico di presidenza, con provvedimenti resi esecutivi mediante decreti del Presidente, decideva in via definitiva i ricorsi II attinenti allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera (v. Sez. Un., 23 aprile 1986, n. 2861, nonch�, riguardo ai dipendenti del Senato, per i quali la questione si � posta in termini analoghi, Sez. Un., 10 aprile 1986, n. 2546; Sez. Un., 18 novembre 1988, n. 6241). Tutto ci�, dopo che la Corte Costituzionale, nel dichiarare l'inammissibiUt� del sindacato del giudice delle leggi sugli atti regolamentari dei due rami del Parlamento, aveva in motivazJione affermato che alle Camere spettava � una indipendenza guarentigiata � nei confronti di qualsiasi altro potere, cui doveva ritenersi precluso ogni sindacato degli atti di autonomia normativa ex art. 64, 1� comma della Costituzione. Ed aveva proseguito affermando che le guarentigie non andavano considerate singolarmente, bens� nel loro insieme, menzionando quindi l'immunit� personale dei membri del parlamento e quella locale delle sedi (v. Corte Costituzionale n. 154 del 23 maggio 1985). I & stico, prevista per i dipendenti in servizio o in quiescenza, � � ammessa a favore dei terzi interessati dalle decisioni degli organi dell'Amministrazione concernenti ~ procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli della Camera dei Deputati �. I Tale disposizione non � altro che la traduzione, sul piano della legittimazione ~ ad agire, di un principio gi� espresso dall'art. 12, 3� comma, del Regolamento della Camera il quale, nel delineare i confini dell'autodichia, indica � i ricorsi I che attengono allo stato e alla carriera giuridica ed economica dei dipendenti della Camera�. Secondo le Sezioni Unite il fatto che quest'ultima norma, nella sua letterale formulazione, riguardi i rapporti di lavoro gi� costituiti � del tutto ininfluente I perch� la ratio della disposizione � di sottrarre il Parlamento ad ogni ingerenza di altri poteri stante la sua insindacabile autonomia normativa prevista dal I l'art. 64, 1� comma, Cost. In verit� � gi� discutibile che la lettera dell'art. 12, 3� comma, del Regolamento si riferisca soltanto alle vicende di rapporti d'impiego gi� instaurati perch� l'uso del termine � stato � in aggiunta a � carriera giuridica ed economica � non pu� che essere interpretato con riferimento anche alle vicende che attengono alla nascita dello status di dipendente parlamentare quindi alla scelta del personale e all'instaurazione del rapporto di impiego. ! Comunque � evidente che l'indipendenza delle Camere ha i suoi punti di emergenza non solo nelle vicende del rapporto di impiego successive alla sua I instaurazione ma anche e soprattutto nel procedimento di provvista e di selezione del personale il quale a maggior ragione deve essere sottratto ad ogni sindacato esterno. I Ma ci sono anche ragioni di ordine sistematico che militano a favore ! della interpretazione � estensiva� dell'art. 12 cit. compiuta dalle Sezioni Unite. Infatti la riduzione dell'autodichia alle sole controversie con i dipendenti in l servizio o in quiescenza porterebbe ad un ingiustificato sdoppiamento della ! l I ! i I PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 259 Sulla base di tiali premesse, era gi� ininfluente, il fatto che l'art. 12 del regolamento della Camera nella parte sopracitata che qu� interessa -(come i precedenti citati) -riguardasse, nella sua letterale formulazione, i rapporti di lavoro gi� costituiti. Se, infatti, l'autodichia della Camera concernente le controverSI�e con i propri dipendenti, trovava la sua ragione giustificatrice, tale da sottrarre al sindacato del giudice delle leggi la norma che la prevede, nell'esigenza che il Parlamento, quale organo centrale nell'assetto costituzionale dello Stato, fosse sottratto ad ogni ingerenza di altri poteri o organi pubblici, sarebbe stato necessario interpretare la norma regolamentare in questione alla luce di tale � ratio �. Ed in q�est'ordine d'idee, sarebbe stato errato interpretare la norma in senso non estensivo e limitarne il campo di applicazione alle controversie aventi ad oggetto rapporti gi� costituiti. Se l'autonomia del Parlamento pu� essere lesa qualora a:ltri poteri s'-ingeriscano nei rapporti che intrattiene con i suoi dipendenti, con pari ragione tale lesione pu� prodursi qualora si ammetta che organi estranei al Parlamento giudichino sui rapporti � in fieri �. La determinazione dei crite1i di scel1Ja dei propri dipendenti e le procedure di ammissione sono, infatti, espressione di quella stessa autonomia riconosciuta, come si � giurisdizione sul rapporto d'impiego che verrebbe ad essere giudicato dai giudici comuni per tutto ci� che attiene alla sua instaurazione e dal giudice domestico per le vicende successive; mentre di regola tutta la giurisdizione sulle controversie comunque attinenti al rapporto di lavoro � devoluta allo stesso giudice (TAR o Pretore del lavoro). D'altra parte non v'� dubbio che l'interesse alla partecipazione ad un concorso pubblico � strettamente connesso con l'interesse alla nomina nei ruoli dell'amministrazione, anzi � privo di una sua autonoma rilevanza, per cui non v'� alcuna ragione di attribuire le relative controversie ad un giudice diverso da quello c.d. del rapporto. Peraltro � opportuno sottolineare che l'art. 12 del regolamento della Camera determina l'ambito dell'autodichia ratione materiae, cio� con riferimento a tutti i provvedimenti che in qualunque modo attengono alla nomina e, in generale, al rapporto d'impiego. Ci� vuol dire che fa giurisdizione non pu� essere ammessa o esclusa a seconda che l'atto impugnato abbia contenuto positivo o negativo quando la sua causa e il suo effetto finale sullo status di dipendente sono gli stessi. Ed � proprio questa l'inaccettabile conseguenza della interpretazione restrittiva disattesa nella sentenza in quanto da un lato si dovrebbe negare l'autodichia sul provvedimento di esclusione da un concorso mentre dall'altro fa si dovrebbe ammettere nel caso in cui, a nomina avvenuta, si controverta sull'illegittimit� della nomina derivante dall'illegittimit� del provvedimento di ammissione al concorso. Tra la dottrina pi� recente si segnalano SCOCA, Operazione cosmetica per i giudici parlamentari, in Dir. proc. amm., 1988, p. 491; DI MUCCIO, L'autodichia parlamentare sugli impiegati delle camere, in Dir. e societ�, 1990, p. 133. (Francesco Sclafani) RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 260 detto, ai due rami del Parlamento sui rapporti costituiti con propri dipendenti. Tutto ci� � stato reso esplicito con il regolamento per la tutela giu� risdizionale dei dipendenti, approvato con decreti del Presidente della Camera dei deputati 16 maggio 1988, n. 420 e 19 novembre 1990, n. 1754. Esso, infatti, oltre a stabilire le competenze ed a regolare le procedure, istituendo un'apposita commissione, definita � Commissione giurisdizionale per il personale �, ha espressamente stabilito -art. 1, n. 2 -, che la facolt� di ricorrere per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi � ammessa anche a favore dei terzi interessati alle decisioni degli organi dell'Amministrazione concernenti procedure concorsuali per l'assunzione nei ruoli della Camera dei deputati. Pertanto, deve essere dichiarato i1l difetto di giurisdizione del giudice mdina:rio e del comune giudice amministrativo (TAR-Consiglio di Stato). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I Civ., 11 marzo 1992, n. 2913 -Pres. Mon� tanari Visco -Rel. Luccioli -Est. De Musis -P. M. Donnarumma (concl. diff.). Amministrazione delle Finanze (avv. Stato Salvatorelli) c. Donato Filippo ed altri {avv. Mancuso) e Scimone Placido (avv. Biondo). Possesso � Usucapione � Conferimento di bene immobile in concessione da parte della p.A. nell'errata convinzione della demanialit� � Costituisce atto dispositivo utile ai fini dell'usucapione. J)eve riconoscersi la possibilit� che la p.A. usucapisca il diritto di propriet� su un immobile, del quale abbia per oltre un ventennio disposto conferendolo in concessione nell'erroneo presupposto della sua demanialit�, poich� il regime di concessione costituisce uno dei modi fisiologici di uso e disposizione dei beni pubblici, attuandosi una situazione analoga a quella prevista dall'art. 1140 e.e. di possesso mediato (1). (omissis) 7) Fondati sono, per converso, i motivi secondo del ricorso Scimone e primo del ricorso della Finanza che, per quanto detto, possono congiuntamente esaminarsi. Il capo della sentenza di appello, che detti motivi convergono a censurare, � invero quello relativo alla negata usucapibilit�, da parte (1) Con la pronunzia di cui qui si pubblica uno stralcio la S.C. riesamina il problema della usucapibilit� di immobili da parte della Amministrazione pubblica nella ipotesi in cui il possesso ad usucapionem si esplichi in attivit� di disposizione tipicamente pubblicistica (concessione di un bene ritenuto dema� niale). La decisione appare di notevole interesse, poich�, accogliendo le tesi sostenute dalla Avvocatura dello Stato nel ricorso per cassazione, supera con ampia e coerente motivazione una precedente sentenza (Cass., 15 gennaio 1987, n. 232) PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 261 della P.A., di un immobile,. del quale essa abbia, pur per oltre un ventennio, disposto, conferendolo in concessione, nell'erroneo convincimento della sua natura demaniale. Siffatta conclusione, del. Collegio a� quo, si fonda -come gi� in narrativa 1riferito -sul duplice presupposto che non sussista, per un verso, nella specie, l'elemento materiale del possesso (utile ad usucapione), non ravvisabile nella semplice attivit� amministrativa di concessione in uso del bene; e non ne ricorra, per altro verso, neppure l'elemento soggettivo, manifestando la detta attivit� di concessione �non la volont� di esercitare un diritto di propriet� patrimoniale, bens� quella di esercitare una pubblica potest� su un bene demaniale �. Ed entrambe tali linee argomentative effettivamente non resistono alle critiche dei ricorrenti. 7 /1) Non � infatti, in primo luogo, esatto che l'attivit� amministrativa di concessione in uso a terzi di un bene della P. A. non implichi il possesso del bene medesimo, da parte della concedente; vero essendo, invece, che il regime di concessione costituisce uno dei modi fisiologici, alternativi, di uso (indiretto) e di disposizione dei beni pubblici da parte dell'ente titolare. L'art. 1140, comma 2� e.e., del resto, espressamente ammette il possesso mediato attraverso il detentore; e tale appunto � il concessionario nei confronti dell'amministrazione che -come � ius receptum a mezzo di lui possiede. 7 /2) N� pu� condividersi l'altro segmento del sillogismo decisorio del giudice d'appello (che pure trova riscontro in un precedente di questa Corte -sentenza n. 232 del 1987 -dal quale, melius re perpensa, il Collegio ritiene ora di discostarsi) per cui il possesso (ultraventennale), come nella specie esercitato dalla P. A. nelle forme corrispondenti alla (supposta) natura demaniale del bene posseduto, sia, per ci� stesso, non utile all'usucapione, perch� non assistito dalla volont� di comportarsi uti dominus. Il vizio di fondo che inficia tale affermazione � quello di configurare la �propriet� pubblica� come qualcosa di diverso, quoad essentiam, dal diritto di propriet� (�privata�). Invero, tale impostazione, bench� talvolta sostenuta in giurisprudenza, non appare reggere ad un sereno vaglio critico: unico, infatti, come la cui lo stesso Procuratore Generale aveva fatto richiamo in sede di discussione orale per fondare la richiesta di rigetto del ricorso. La Corte afferma che non possono configurarsi due �tipi� di propriet�, �pubblica� e �privata�, bens� due categorie giuridiche di beni, aventi regimi peculiari, ma rientranti nello schema del medesimo diritto reale di propriet�; coerentemente, pertanto, la S.C. conclude rilevando che l'errore compiuto dalla Amministrazione � errore sul regime giuridico del bene, che non incide sul possesso finalizzato alla usucapione. 262 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DBLLO STATO dottrina ha rilevato, appare essere il concetto di propriet�, bench� i rapporti relativi a determinati beni -per le peculiarit� loro proprie -possano essere retti da una particolare normativa. � sempre, infatti, il codice civile a disciplinare (Libro III, titolo I, capo Il) nella pi� ampia categoria dei beni, i beni appartenenti allo Stato, che possono poi essere demaniali o non demaniali. E decisivo appare, in particolare al riguardo, il supporto normativo dell'art. 823 e.e., il quale, in applicazione del principio della giurisdizione unica dell'a.g.o. in tema di diritti mggettivi, consente all'Amministrazione il ricorso alternativo alla potest� di autotutela ovvero alla tutela giurisdizionale per quanto concerne i beni demaniali (cfr. Cass. SS. UU. 1976, n. 2592), facultizzandola ad �avvalersi dei mezzi oroinari a difesa della propriet� e del possesso�. La connotazione alternativa pubblico-privato non discrimina, quindi, due categorie concettuali di propriet�, ma pi� propriamente due categorie giuridiche di beni. Ed � significativo che l'individuazione della categoria dei � beni pubblici � sia operata dalla pi� accreditata dottrina in materia non gi� in base ad un criterio soggettivo (essendoci beni dello Stato e degli enti pubblici che non sono pubblici; e beni, per converso, dei privati, come quelli di interesse storico, artistico ecc., che tali vanno considerati) sibbene in base ad un criterio oggettivo. Tale criterio � propriamente correlato alla peculiarit� del regime giuridico, che, con varia modulazione, va dalla inalienabilit� ed inusucapibilit� dei beni demaniali al vincolo di destinazione (ed alla soggezione a poteri di polizia amministrativa ecc.) dei beni pubblici di appartenenza ai privati. Senza che mai tale pur accentuata specialit� di regime (che, si ripete, pu� inerire anche a beni di privata appartenenza) possa, per�, infrangere lo schema paradigmatico del diritto reale {di propriet�) su di essi esercitato. Consegue da ci� che l'errata supposizione di demanialit� del bene, da parte della P. A., non pu� incidere sulla sua volont� di gestirlo uti dominus, ma si risolve in un errore sul regime giuridico della cosa posseduta, come tale irrilevante ai fini dell'usucapione. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 marzo 1992, n. 3357 -Pres. Brancaccio -Rel. Volpe -P. M. Amatucci (concl. conf.). Codelli (avv. Stato Nunziata) c. Rossi Antonioli (avv. Paoletti e Mussato). Responsabilit� civile -Lesione di interesse legittimo -Risarcimento del danno -Esclusione. Non � risarcibile il danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo in quanto la fattispecie dell'illecito civile presuppone la viola PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 263 zione di un diritto soggettivo (caso di un insegnante che ritiene di essere stato danneggiato dal mancato conferimento di una supplenza (1). (omissis) Con il primo motivo, denunciando �difetto assoluto di giurisdizione -violazione art. 4 L.A.C. e principi generali in tema di risarcibilit� di 1interessi legittimi lesi -violazione art. 28 Cost. e art. 23 T.V. imp. civ.�, la ricorrente deduce che in forza della legge abolitrice del contenzioso amministrativo (citato art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248 AH. E) sono -e debbono rimanere -sottratti alla giurisdizione dei tribunali civili tutti i casi nei quali la pretesa illegittimit� compiuta dall'Amministrazione, pur in ipotesi lesiva di interessi di soggetti privati, non si risolve in pregiudizio di situazioni configuranti diritti soggettivi. E nella specie nessun ragionevole dubbio pu� sussistere in ordine alla natura di interesse legittimo della posizione soggettiva che si assume lesa dall'atto amministrativo. L'assoluto difetto di giurisdfaione del giudice ordinario va altresi ricollegato -�secondo la ricorrente -alla circostanza che i provvedimenti amministrativi di cui si discute non sono stati affatto emanati in una situazione di carenza di potere, ma in pieno, perfetto esercizio del potere demandato all'organo amministrativo, la cui azione era (come doveva essere) ispirata unicamente all'esigenza del migliore soddisfacimento del pubblico interesse. La pretesa, dunque, di risarcimento danni, sul presupposto di un atto amministratvo illegttimo, non potrebbe trovare accoglimento ex artt. 28 Cost. e 23 T.V. imp. civ., azionato in questa sede, richiedendo tali norme la violazione dei diritti dei terzi. (1) Com'� noto la dottrina � decisamente favorevole ad un ampliamento della portata dell'art. 2043 e.e., tale da ricomprendere nella nozione di � danno ingiusto >>, non solo la lesione di un diritto soggettivo, ma anche di altre situazioni giuridiche economicamente risarcibili e considerate rilevanti dall'ordinamento. In tale prospettiva, ai fini di configurare l'illecito civile e la conseguente obbligazione risarcitoria, si pone l'accento sull'esistenza di un pregiudizio cagionato da una condotta contraria al diritto oggettivo piuttosto che -come tradizionalmente argomentato -sulla natura (di diritto soggettivo) della posizione soggettiva lesa. Per una attenta disamina delle situazioni giuridiche protette dall'ordinamento ai fini del risarcimento da atto illecito cfr. F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, III ed., E.S.I., 673 e segg. Per un completo inquadramento della questione nel senso appena prospettato cfr. Ar.PA-BESSONE. I fatti illeciti, in tratt. Rescigno, XIV, Torino, 1982, 56 e segg.; FORCHIELLI, Lesione dell'interesse, violazione del diritto, risarcimento, in Riv. dir. civ., 1964, I, 346; pi� recentemente cfr. S. TASSONE, Ancora sul risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, in Giur. it., 1992, I, 1, 303 e segg.; nonch�, con riguardo ad una questione pi� particolare, A. PRINCIGALLI, nota a Cass., Sez. Un., 367/1992 in Foro it., 1992, 1421. Recependo le affermazioni della dottrina la giurisprudenza ha gi� notevolmente esteso l'area del danno risarcibile. Cos� � avvenuto per il risarcimento 264 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Con il secondo motivo, denunciando �violazione artt. 22 e 23 T.U. imp. civili -mancanza e contraddittoliet� della motivazione �, la ricorrente deduce che erronamente � stata ravvisata la sussistenza della colpa grave, non essendovi gli estremi di quella grave negligenza rispetto ai doveri d'ufficio richiesta dalla normativa richiamata. Osserva il Collegio che la presente controversia verte tra privati, avendo la Rossi Antonioli agito contro la Codelli perch� ritenuta responsabile, nella sua qualit� di preside del liceo scientifico statale di Latisana, di un fatto colposo, dal quale assume di aver ricevuto un danno. Ha contestato, infatti, alla Codelli di aver proceduto, nell'esercizio di attribuzioni proprie dell'ufficio, senza osservare le prescrizioni dettate dall'ordinanza ministeriale per il conferimento delle supplenze, nominando supplente una insegnante che la seguiva in graduatoria. Essendo la domanda intesa a far valere la responsabilit� civile della Codelli ai sensi degli artt. 22 e 23 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico delle disposizioni concernenti :lo statuto degli impiegati civili dello Stato), la controversia non pu� non rientrare nella competenza giurisdizionale del giudice ordinario. E d'altra parte � noto che secondo l'attuale, costante giurisprudenza di questa Corte, non � neppure prospettabile un dubbio sulla sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario allorch� la lite verta esclusivamente fra privati. I Va, dunque, disattesa l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla ricorrente con il primo motivo. Ci� posto, occorre stabilire per� se sia configurabile, nel particolare I caso in esame, la lesione di un diritto soggetivo: che � questione attinente al merito della causa. del danno derivante da � lesione del diritto di credito � ad opera di soggetti I diversi dal debitore, che ne abbiano impedito l'adempimento (cfr. Cass., Sez. ~ I! ~ Un., 174/71, in Foro it., 1971, I, 1284; Cass., 2135/72, in Foro it., Rep., 1972, voce Resp. civile, n. 40; Cass., 2489/76, in Foro it., Rep., 1976, voce Resp. civile, n. 77; Cass., 2449/77, in Foro it., Rep., 1977, voce Resp. civile, n. 72; Cass., 9407/87, in Giust. civ., 1988, I, 2053; Cass., Sez. Un., 6132/88, in Foro it., 1989, I, 742); ovvero, ancora, per il risarcimento del danno provocato dalla perdita di �chance� (Cass., Sez. Un., 6506/85, in Foro it., 1986, I, 383). Altre volte la stessa Corte ha pi� espressa mente riconosciuto la risarcibilit� dell'interesse legittimo leso dall'esercizio di un potere privato (cos� Cass., Sez. Un., 5688/79, in Giur. it., 1980, I, 1, 440 con riferimento al � potere imprenditoriale � in materia di progressione di carriera dei dipendenti). Diversa � la posizione assunta dalla giurisprudenza per quanto riguarda la risarcibilit� di situazioni giuridiche differenti dal diritto soggettivo, in particolare degli interessi legittimi, nei rapporti tra privati e P.A. A tale proposito costituisce ius receptum nella giurisprudenza della Cassa zione, l'affermazione secondo la quale perch� sorga il diritto al risarcimento del danno nei confronti della P .A. occorre che l'atto amministrativo sia non solo illegittimo ma anche illecito ossia lesivo di un bene rispetto al quale il singolo sia in una rel!lZione che l'ordinamento tuteli immediatamente (diritto soggettivo) PARTB I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONB E APPALTI 265 La fattispecie dell'illecito civile presuppone, infatti, la violazione di tale posizione, non essendo risarcibile, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il danno per lesione di interessi legittimi (S. U., sent; .lluglio 1989, n. 3183). E l'art.. 23 del citato testo unico, specificando quanto del testo � gi� scritto nell'art. 28 Cost.,. chiarisce che il danno ingiusto .risarcibile dall'impiegato personalmente, a norma� del precedente art. 221 � �quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l'impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave ��, Orbene, la pretesa di risarcimento, fatta valere direttamente nei confronti della preside ai sensi delle ricordate norme, si ricollega non gi� (come prospettato dall'attrice) ad una posizione di diritto soggettivo, bens� all'interesse. legittimo che i docenti inseriti nell'apposita graduatoria hanno al corretto esercizio dell'attivit� amministrativa che si concreta nel conferimento delle supplenze. Invero, le norme che disciplinano i pubblici concorsi o le modalit� di. conferimento di incarichi nella pubblica amministrazione sono dettate in� modo precipuo nell'interesse pubblico, affinch� �il posto sia ricoperto da chi al:lbia. i requisiti previsti; sono,. cio�, I1orm�. di 1:1.zione,. stabilite per l'eserci;z;io defpot�re demandato all'organo amministrativo (cfr. S. U., sent. 24 ottobre 1991, n. 11325; nonch� le sent. & agosto 1989, n. 3649 e 7 novembre 1978, n. 5066). Ne consegue� che la condotta ascritta alla convenuta si sarebbe comunque inserita -alterandolo -in un rapporto di interesse legittimo fra l'attrice e l'ammirJistrazione pubblica e quindi, quand'anche fosse stata irregolare, non avrebbe mai potuto ledere un diritto della Rossi Antonioli. (cos�, testualmente, Cass., Sez .. Un., 1742/71, in Giur. it., 1972, I, l, 1505; nello stesso senso<Cass., Sez, Un.�, 313/72, in Foro It., Rep., 1972, voce Bdilizia ed Urbanistica, nn. 294 e 511; Cass., Sez. Un., 1867/73, in Foro it., Rep. 1973, voce Resp.. civile, nn. 46 e 47; Cass., Sez. Un., 5813/85; in Foro it., Rep. 1985, voce Resp. civile, n. 130; Cass., Sez. Un., 2579/88, in Foro it., Rep. 1988, voce Resp. civile, nn. 133 e 134; Cass., Sez. Un., 13171/91, in Foro it., Rep. 1991, voce Concorso e Pubblico impiego, n. 137). Si ribadisce dunque che l'interesse del privato non assurge a diritto soggettivo e, quindi, non � .degno di tutela aquiliana, nei casi in cui le norme violate siano poste nell'interesse pubblico a guida dell'Amministrazione nella sua attivit� e rigUardino i criteri della sua azione (norme d'azione) (cfr., per es., Cass., Sei: Un;; 2723/91, in Foro it., 1991, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 212, rispetto alle norme d'azione disciplinanti l'espletamento dei pubblici concorsi). A favore invece di una incondizionata � ammissibilit��� della� tutela aquiliana di fronte alla P.A., parte della dottrina amministrativistica osserva come l'art. 2043 e.e. si configuri come norma aperta, fondamento di un illecito atipico, che comprende tutte quelle ipotesi giuridicamente rilevanti nelle quali sembra necessario ammettere il risarcimento del danno e, dunque, anche quelle relative a interessi legittimi ingiustamente lesi dall'operato dell'Amministrazione (vedi, pert utti, F. SATTA, Responsabilit� della P.A., voce dell'Enci 266 RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DBLLO STATO Sotto questo profilo va accolto il motivo in esame, con il qua:le appunto si sostiene che l'aspettativa di un soggetto che ritiene di essere leso da provvedimento di conferimento di supplenza va tutelata solo con le forme e i tempi previsti dal sistema di autodichia (ricorso gerarchico -sistema giustiziale) ovvero di giurisdizione amministrativa (ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale -sistema giurisdizionale). L'accoglimento, nei limdti suddetti, del primo motivo comporta l'assorbimento del secondo. L'impugnata sentenza va, pertanto, cassata e la causa va rinviata al Tribunale di Gorizia, che dovr� uniformarsi al principio secondo il quale non costituisce causa di danno risarcibile, a norma degli artt. 22 e 23 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, la condotta dell'impiegato pubblico che abbia provocato la lesione di un interesse legittimo vantato dal terzo nei confronti dell'amministrazione pubblica. (omissis) clopedia del diritto, MilanQ, 1988, 1369). La previsione normativa, infatti, ai fini della configurabilit� dell'illecito civile richiede la sola presenza di un danno ingiusto e non anche l'esistenza di una precisa posizione soggettiva (diritto soggettivo). Questa stessa dottrina sottolinea, inoltre, l'incongruenza di statuire la risarcibilit� del danno derivante da lesione di interesse legittimo nell'ambito dei rapporti tra privati e non anche nei confronti della PA. In ultimo, la irrisarcibilit� dei danni prodotti da lesione di interesse legit� timo � stata a lungo ritenuta come causa di improponibilit� della domanda di risarcimento del danno, implicante un difetto assoluto di giurisdizione (cfr., tra le tante, Cass., Sez. Un., 2491/83, in Giust. civ., 1983, I, 1683). Tale orientamento � stato, di recente, rimeditato, nel quadro di una pi� rigorosa delimitazione dei confini del regolamento di giurisdizione, pervenendosi alla conclusione che la non risarcibHit� del danno per lesione di interessi legittimi comporta non l'improponibilit� (per difetto assoluto di giurisdi� zione) ma la reiezione nel merito (per difetto del diritto) della domanda risarcitoria proposta dal privato, nei confronti della P.A., in relazione alla lesione di una sua posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo (cos� Cass., Sez. Un., 3183/89, in Foro it., Rep., 1989, voce Resp. civile, n. 138; Cass., Sez. Un., 2041/91, in Giur. it., 1992, I, 1. 304; Cass., Sez. Un., 367/92, in Foro it., 1992, I 1421). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 aprile 1992, n. 4695 -Pres. Pannella - Rel. De Musis -P. M. (conci. conf.). Lano (avv. Mastrobuono e Linardo) c. Ministero dell'Industria, Commercio ed Artigianato (avv. Stato Tallarida). Beni -Brevetti per invenzioni industriali -Domanda di rinnovo del brevetto per marchio d'impresa � Legittimazione � Titolare del brevetto � Delega ad un terzo � Forma scritta � Gestione d'affari altrui � Esclusione. La proposizione della domanda di rinnovo del brevetto per marchio d'impresa spetta solo al titolare del brevetto o al suo avente causa, pu� I I( I I I lI I I I PARTE I, SEZ. Ili, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 267 essere delegata ad un terza solo per iscritto e non � suscettibile di essere attuata mediante. gestione di affari non rappresentativa (1). (omissis) Con l'unico motivo si deduce che la commissione dei ricorsi in materiia di brevetti: a) ha violato lo spirito della normativa sui brevetti in quanto: 1) l'attivit� diretta al rinnovo del brevetto, essendo di carattere amministrativo (deposito di documentazione e pagamento della tassa), poteva essere svolta da chiunque; 2) la proposizione della domanda di rinnovo da parte di soggetto non legittimato non aveva danneggiato n� la titolare del brevetto (in quanto essa aveva ratificato l'operato del gestore) n� eventuali terzi; b) non ha rilevato che si versava nella ipotesi di �gestione di affari senza rappresentanza � per cui l'atto compiuto dal gestore era non invalido, ma inefficace, in quanto i suoi effetti erano subordinati alla (eventuale) ratifica e che questa, intervenuta, aveva determinato la decorrenza degli stessi �ex tunc �, ai sensi degli artt. 1399 e 2032 e.e. Il motivo � infondato. La decisone, pur essendo in parte non correttamente motivata, � conforme a diritto e pertanto � sufficiente, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., correggere la motivazione di essa. Gli artt. 3 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929 e 11 del d.P.R. 8 maggio 1948, n. 795, disponendo, rispettivamente, che �la rinnovazione del brevetto ..... spettante allo stesso titolare o al suo avente causa ... ha luogo mediante ... � e che � la domanda per brevetto di rinnovazione di marchio d'impresa dev'essere fatta dal titolare del brevetto o dal suo avente causa ... � non consentono alcun dubbio sulla individuazione del soggetto legittimato a proporre la domanda di rinnovo del brevetto: il titolare di questo (o il suo avente causa). E la chiarezza della individuazione preclude il ricorso alla � ratio legis� per accertare la estensione della legittimazione a soggetti diversi. A tal fine i ricorrenti hanno fatto riferimento alla natura degli adempimenti da svolgere per ottenere il rinnovo del brevetto. (1) Dopo aver richiamato l'inequivocabile lettera degli artt. 3 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929 e 11 del d.P.R. 8 maggio 1948, n. 795 la Corte sottolinea comunque che la domanda di rinnovo del brevetto non pu� annoverarsi tra le attivit� meramente amministrative, come tali esercitabili da chiunque per conto dell'interessato, stante la sostanziale analogia con la domanda di concessione del brevetto. Quanto all'esclusione della ratifica essa appare logicamente conseguente al regime formale della domanda di rinnovo il quale per� non sembra impedire l'applicazione dell'istituto della gestione d'affari c.d. rappresentativa allorch� risulti provata l'absentia domini; ma sul punto la sentenza � sibillina. 268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ma � evidente che, al fine, occorre fare prevalente e decisivo riferimento non (tanto) agli adempimenti successivi alla domanda, ma unicamente a questa: � della legittimazione a proporla, e non della materiale consegna della stessa o dell'espletamento di incombenti meramente materiali che si discute. Anche a voler, comunque, considerare l'attivit� complessiva da svolgere per ottenere i:l rinnovo del brevetto, ci� che rileverebbe, al fine, non sarebbe, come sostengono i ricorrenti, la natura di quell'attivit�, bens� il risultato della stessa, e cio� l'acquisizione (a seguito del provvedimento di rinnovo) del (permanere del) diritto, in capo al precedente titolare del brevetto, di � far uso esclusivo del marchio �, ai sensi dell'art. 1 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929. E secondo tale (pi�) corretto approccio interpretativo la individuazione normativa del soggetto legittimato alla proposizione della domanda di rinnovo trova coerente e logica giustificazione nella considerazione che rientra nella sola disponibilit� di colui (titolare del brevetto) al quale spetter� il di.Pitto (al brevetto rinnovato) valutare la necessit� o la opportunit� di acquisirlo. La conclusione trova conferma neil rilievo che anche alla proposizione della domanda di concessione di (primo) brevetto � legittimato � ... chi ha diritto di ottenerlo ... � (airt. 25 del citato decreto) e cio� colui II I al quale esso sar� attribuito: e pertanto appare coerente, stante l'evidente parallelismo tra Ia domanda di concessione di (primo) brevetto e la domanda di rinnovo dello stesso, che la legittimazione alla proposizione delle due domande abbia la medesima giustificazione. Problema ulteriore -sul quale la motii.vamone della decisione impu� gnata � errata -� se l'attivit�, e l'indagine � limitata a1la proposizione della domanda di rinnovo, possa essere delegata, e in qual modo, dal legittimato. Al riguardo: il d.P.R. 21 giugno 1942, n. 929, contenente il testo delle disposizioni Jiegislative in materia di brevetti per marchi d'impresa, dispone che �la nomina di uno o pi� maindatari, qualora non sia fatta con separato atto autentico od autenticato, pu� farsd. con apposita lettera di incarico... � e che �:hl mandato conferito con la Iette:ro di incarico vale soltanto per l'oggetto in essa specificato e l~mitatamente ai rapporti con l'ufficio centrale dei brevetti� (art. 27); il d.P.R. 8 maggio 1948, n. 795, contenente il testo delle disposizioni regolamentari ~n materia di brevetti per marchi di impresa, dispone che �la lettera d'incarico dev'essere sottoscritta dal richiedente e controfir mata dall'incaricato� (art. 13), che �!il mandatario, che abbia depositato la procura generale, ha facolt� in ciascuna successiva domanda di brevetto PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI a nome dello stesso mandante, di fare riferimento a tale procura � (art. 15) e ohe l'atto di procura o la lettera d'incarico � debbono essere uniti � alla domainda (di brevetto per marchio di impresa (art. 8) e) di rinnovo del brevetto ~art. 12). Le Ili.portate disposizioni prevedono la delega, stabiliscono le forme di conferi.mento e l'ambito di utilizzazione della stessa e prescrivono che l'atto che la contJiene dev'essere allegato alla domanda. Siffatte prescriziOD!� evidenziano che !hl terzo � abilitato a presentare la domanda in vece del soggetto legittimato solo: a) se ha ricevuto apposita delega; b) se agisce non in nome proprio, ma in rappresentanza del delegante. Che questa interpretazione, scaturente dal contenuto letterale e logico delle disposizioni, sia quehla esait1Ja si evtlnce altres� da un ulteriore rilievo. Il oitato decreto n. 795 dispone all'art. 13 -il cui contenuto si riferisce, data 1a collocazione della norma, sia alla domanda di brevetto che alla domanda di rinnovo dello stJesso -: che � la documentazione incompleta all'atto di deposito pu� essere completata nel termine di un mese dal<la data del depos[to stesso, salvo il disposto del successivo art. 26 � (art. 13); 1all':art. 26: che "il deposito della domanda di brevetto non pu� essere ricevuto se alla domanda non siano unW ... d) la procurd o la lettiera di incarico, o fa dichiarazione di riferimento a prooura generale, quando la domanda non sia sottoscritta dal richiedente �. Se � previsto, adunque, che gld attJi di delega debbano essere allegati alla domanda a pena di irrioevibilit� di questa, e che il loro deposito non possa essere procrastinato rispetto alla presentazione della domanda, laddove ci� � invece consentito per altra, pur necessaria, documentazione, deve inferirsene che solo una delega conferita per iscritto e con contenuto rappresentativo abiliti il terzo a presentare la domanda in vece del soggetto legittimato, e che pertanto non sia consentita, al fine, (l'applicazione del) la gestione di affari. In conclusione deve affermars!�. il seguente principio: la proposizione della domanda di ninnovo del brevetto per marchio d'impresa: spetta solo al titolare del brevetto (o al suo avente causa); pu� essere delegata ad un terzo solamente per iscritto (procura generale, procura speciale, lettera d'incari.co) e con funzione rappresentativa; � insuscettibile di essere attua'1Ja mediante gestione di affani (in particolare) non rappresentativa. In tal senso deve intenders!�. modificata sul punto la motivazione della decisione impugnata e resta pertanto assorbito l'esame della legittimit� o no delLa retroa1l1livit� della ratifica rispetto alla gestione concretatasi nel compimento di un atto (proposizione della domanda di rinnovo di brevetto) da espletaTsi entro un termine scaduto anteriormente alla ratifica. (omissis) RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 270 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1992, n. 4900 -Pres. Caturani - Rel. Lupo -P. M. Iannelli (concl. parz cliff.). Direzione Provinciale P.T. di Verona .(avv. Stato Polizzi) c. Radio Monte Baldo di Ospedaletto di Pescantina (avv. Pascucci e Pasetto). Sanzioni amministrative -Interferenze nelle bande di radiofrequenza tutelate -Colpevolezza -Onere della prova a carico dell'amministrazione. Sanzioni amministrative -Interferenze nelle bande di radiofrequenza tutelate -Caso fortuito -Nozione. Per l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria comminata dall'art. 3 legge 8 aprile 1983, n. 110 in caso di interferenze nelle bande di radiofrequenza tutelate occorre che la violazione sia commessa con dolo o con colpa e la sussistenza dell'elemento soggettivo deve essere provata dall'amministrazione che ha applicato la sanzione (1). Nella responsabilit� amministrativa la colpa � esclusa dal caso fortuito il quale consiste in un fatto eccezionale, imprevedibile ed inevitabile che deve essere accertato nel caso concreto (nella fattispecie il c.d. effetto diodo nelle radiocomunicazioni pu� rientrare nel caso fortuito solo se si accerta la sua imprevedibilit� ed inevitabilit�) (2). (Omissis) Con J'unico complesso motivo del ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'a:rt. 2697, cod. civ. e dell'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, nonch� la insuffioiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia; si deduce altres� la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 della legge 8 aprile 1983, n. 110, in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. La parte ricorrente prospetta diverse censure, che possono essere cos� riassunte: a) per la violazione dell'art. 1 della legge 8 aprile 1983, n. 110 non � necessario l'elemento della colpa, dato che la ratio di talle legge sarebbe vanificata se fosse possibHe sottrarsi alle responsabilit� in essa previste a causa della mancanza di colpa nella oausazione delle interferenze ahle radiocomunicazioni relative all'assistenza ed ailla sicurezza del volo; b) in ogni caso non spetta aM'Ammi (1-2) La Corte applica il princ1p10 della colpevolezza sancito dall'art. 3 I. 689/81 alla violazione amministrativa delle interferenze nelle bande di radiofrequenza relative all'assistenza e alla sicurezza del volo distinguendo tra l'ordine di eliminazione della causa di interferenza, che prescinde dalla colpevolezza, e l'applicazione della sanzione pecuniaria, che presuppone almeno la colpa; in argomento si veda Cass. 2 ottobre 1989 n. 3961 nel senso che il caso fortuito e la forza maggiore, bench� non espressamente contemplati dalla I. 689/81, escludono rispettivamente la colpevolezza e la coscienza e volontariet� dell'azione; nonch� Cass. 26 settembre 1990, n. 9756 nel senso che nella disciplina delle violazioni amministrative, dove � richiesto lo stesso elemento psicologico che la legge penale esige per le contravvenzioni, operano anche le esimenti putative. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 271 nistrazione provare la sussistenza dell'elemento colposo, onde, una volta accertato il verificarsi del disturbo alle trasmissioni, spettava all'opponente provare la impossibilit� di evitare H fatto a causa di circostanze indipendenti dai! proprio controllo; e) '1a motivazione deltla sentenza impugnata � contraddittoria, perch� il pretore ha ritenuto sufficente, per l'assenm cli colpa, soltanto la omologazione dewli impianti e la loro manutenzione, facendo cadere sull'Amministrazione il rischio del difetto intrinseco dell'impi:anto in pregiudizio dell'inteTesse pubblico (alla sicurezza della radionavigazione). Vero � invece che ciascuno risponde della efficienza e della funzionalit� dei mezzi di cui si avvale, per cui non pu� mai addurre a propira giustificazione l'impreVlista avaria degli stessi. Ciascuna delle tre censure va esaminata separatamente. La censura sopra esposta sub a) � infondata. La legge 8 'aprile 1983, n. 110, che disciplina la protezione delle radiocomunicazioni re[ative all'assistenza ed alla sicurezza del volo, prevede, nell'art. 1, che � gli impiantii di telecomunica:z;ione non debbono causare emissioni, radiaziorui. o induzi01r:ti tali da compromettere sia il funzionamento dei servizi di radionavigazione sia la sicurezza de1le operazioni di volo�. Nel successivo art. 3 si prevede che, in caso di inosservanza di tale divieto, �l'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni ordina che vengano immediatamente eliminate le cause delle interferenze e applica la sanzione amministrativa da lire 2 milioni a lire 10 milioni. La discipliina di detta sanzione amministrativa pecuniara, in assenza di prev:ision~ normative contenute netl'la citata legge n. 110/83, � quella generale dettata da1la legge 24 novembre 1981, n. 689, il cui art. 3 prevede la necessit� dell'elemento soggettivo ne1la violazione amministrativa, e cio� la presenza del dolo o della colpa perch� l'autore di essa sia assoggettato aMa sanzione amministrativa. Se la sussistenza di una condotta colposa non � richiesta per l'emanazione dell'ordine di immediata eliminazione delle cause delle interferenze (una volta che sia stata individuata la provenienza delle stesse da UIIl determinato impianto), l'applicazione della sanzione presuppone invece l'accertamento che ~e stesse interferenze si riconducono ad una condotta colposa, secondo il principio generale espresso dall'art. 3 della legeg n. 689/81, non derogato dalla legge n. 110/83. Anche la censura ,sopra esposta sub b) � infondata. La necessit� che la condotta colposa sia provata dall'Amministrazione che irroga 1a sanzione ammirnistrativa deriva dall'applicazione di altra disposizione deHa legge n. 689/81 che, pure se non inclusa nella sezione di tale legge contenente i principi generali (come l'art. 3), deve Titenersi applicabile alla sanziOIIle in discorso. Trattasi del penultimo comma dehl'art. 23, secondo cui �il pretore accoglie l'opposizione quando non vi sono prove sufficenti della responsabilit� dell'opponente�. Taile disposizione recepisce le regole civilistiche 272 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sull'onere della prova, spettando all'autori.t� che ha emesso l'ordinanzaingiUil7Jione di dimostrare gli elementi costitutivi della pretesa avanzata nei confronti deM'intimato e restando a carico di quest'ultimo la dimostrazfone 1di eventua:li fatti impeditivii o estintivi (Cass. 29 dicembre 1989, n. 5826). E tra gli elementi costitutivi della pretesa dell'Amministrazione va inclusa la sussistenza dell'elemento soggettivo dell'li1lecito amministrativo richiesto dal citato art. 3 legge n. 689/181. Fondata �, invece, la censura relativa al vizio di motivazione della sentenza impugnata (sopra esposta nella lettera e), limitatamente alla asserita sussistenza del caso fortuito. Va premesso che, come questa Se2lione ha gi� affermato (sentenza 2 ottobre 1989, n. 3961), dal priincipio posto dall'art. 3 della legge n. 689/81 (ed applicabile anche alla vio1azione in esame) si desume che il caso fortuito � ostativo all'iaffermaZJione della responsab:i!liit� perch� esso esclude la colpa deM'agente. Il pretore ha rii.tenuto, sulla base dei risultati della consulenza tecnica, che le interferenze fossero dovute al c1d. � effetto diodo� ed ha ravviisato in tale fenomeno una ipotesi di caso fortuito, I poich� esso appartiene � a quella sfera di incontrollabilit� apprezzabilmente ~ vasta in materi.a di onde radio �. ~ La giurisprudenza penale, nella interpretazione dell'art. 45 c.p. (che prevede la non punibiiliit� di chi ha commeso il reato per caso fortuito), ravW.isa tale �situazione in un fatto accidentale non conoscibile e non eli Iminabile con l'uso della comune prudenza e di1igenza, un fatto cio� che si concreta in un avvenimento eccezionale del tutto improvviso, impre I visto ed imprevedibile, tale da .impedire all'agente di adeguare ad esso la propria condotta {v., tra le tante, Sez. un. pen., 14 giugno 1980, Felloni). Si ha caso fortuito, perci�, in presenza di un fatto eccezionale, imprevedibile ed !�nevitabiil.e. LI pretore ha qua:lificato come caso fortuito il c.d. effetto diodo (non I ~ meglio specifficato), sul1a base della considerazione che esso si � verifif; cato nonostante che l'impianto teoll!ico dell'apparato trasmittente avesse ~ le caratteristiche di omologazione previste dal D.M. 16 Iuglio 1975 ed in assenza di una sua cattiva o insufficiente manutenzione. Ma gli elementi tenuti presenti dal pretore non sono sufficienti per giudioare sussistente una situaZJione di caso fortuito, la quale, costituendo (come si � detto) un fotto eccemonale, appare difficilmente inseribile nell'ambito di UiIJ.a � sfeJJa di incontrollabllilit� � che lo stesso pretore definisce come � apprezzabilmente ampia �, In particolare, va affermato che il c.d. effetto diodo pu� rientrare nel caso fortuito solo se si accerti la sua imprevedibilit� e la sua inevitabilit�. La prima caratteristica � affermata dal pretore in modo apodittico, mediante un rinvio a:i risuil.tati della consulenza tecnica. Nella premessa in fatto del rii.corso per oassazione si riportano, per�, alcune affermazioni PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI �7.J in s�ns� contrario del consulente tecnico d'ufficio (sulla cui presenza nella rela2lione peritale non vi � contestaiJione da controparte), e tra le altre la seguente: �La previsione di tale effetto (sdl.: effetto diodo) � senz'altro possibile, ed esso � infatti ben noto ai tooniai del settore �. Per quanto riguarda la inevitaMliit� delle interferenze dovute al c.d. effetto diodo, essa non �� neanche affermata dalla sentenza impugnata, che si � Limitata a verificare, come si � detto, la condizione obiettiva dell'impianto trasmittente, rilevando l'assenza in esso di � manchevolez.; ze intrinseche �, dopo avere premesso, in linea di dfritto, che per integrare gli estremi delYiiHecito previsto della legge 8 aprile 1983 n. 110 � necessario -oltre ad UJll � diisturbo giuridicamente rilevante � che sia sicuramente 11iferibile ad un �dato apparato trasmittente -l'accertamento di � una conforma2lione o prediispozione tecnica di tale impianto che consenta di ricavare con sufficiente certezza l'elemento psicologico quanto meno debla colpa, in capo al trasgressore �. Tale intel'preta2lione della legge 8 aprile 1983, n. 120 appare a questa Corte erronea, perch� riduttiva degfil obb1ighi da essa posti a tutela� di interessi di primario rilievo quali sono iJ. funzionamento dei servizi di radionavigazione e 'la sicurezza delle operazioni di volo. Detta legge, dopo avere posto l'obbligo generico per tutti gli impianti di telecomunicazione di non causare � emissioni, racliaziOilli o induzioni tali da compromettere � detti interessi (art. 1), ha precis�ato, nell'art. 2, il contenuto di tale obbligo, disponendo che le bande di frequenza destinate alle necessit� di radiocomU1nica2lione e radioassistenza relative al traffico aereo (alcune delle quali specificarrnente mdicate ne1la stessa legge) non devono subire interferenze. Dal combinato disposto degli artt. 1 e 2 della legge n. 110/83 si desume che il titolare dell'impianto non ha soltanto l'obbligo di predisporre e di mantenere l'impiianto stesso in �condiziOilli tali da non causare le dette interferenze, ma ha ail1ires� ii.il dovere di controllare che taili interferenze non avvengano, mediante l'impiego di tutti gli strumenti consentiti dalla tecnica moderna, senza che il mancato uso di controlli (anche continua1livi) possa riteners!�.� giustifficato da considerazioni relative l:!.lla spesa necessaria, a tale uso. � evidente, infatti, che il tipo dii interess.j per la cui protenzione � stata specificamente dettata la legge 8 aprile 1983, n. 110 esige la subordinazione ad essi di ogni ragione di carattere economico, con la conseguente imposs�biHt� di ricondurre alla assenza di colpa fotti che potrebbero es�sere evitati mediame controlli tecnicamente posS!�bili deHe emissioni, radiazioni ed induzioni. Solo se sii aocerta che il c.d. effetto diodo costituisce una causa di interferenze suhle bande di frequenza tutelate dalla legge n. 110/83, che � non prevedibile e non evitabile (sia mediante la perfetta predisposizione e manutenzione dell'impianto tras.mittente, sia a mezzo di un'attivit� di controllo !intesa ad evitare le dette interferenze), pu� esere affermata la 274 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO sussistenza del caso fortuito e quindi l'assenza della colpevolezza richiesta dailll'art. 3 della Jegge n. 689/81. In conclusione, poich� il ricorso proposto dalla Direzione provinciale PP. TT. di Verona � solo parzialmente fondato, esso va accolto nei limiti sopra specificati. La sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata al pretore di Vicenza, che si pronunzier� nuovamente sulla opposi2lione proposta dai titolaJI"e deHa Radio Monte Baldo, uniformandosi ai principi di diritto di seguito formulati. � Per l'appHcazione della sanzione amministrati.va pecuniaria comminata da1Ia legge 8 aprile 1983, n. 110, occorre che la violazione sfa commessa con dolo o con colpa, secondo la previsione dell'art. 3 della legge 24 novemhre 1981, n. 689�. La suss!istenza delil'elemento soggettivo deve essere provata, nel caso concreto, dail['Ammincr:strazione che ha applicato la sanzione. La colpa � esclusa dalla sussistenza del caso fortuito, che consiste ill1 un fatto eccezionaile, imprevedibile ed inevitabile. NeU'ipotesi in cui [e interferenze alle bande di frequenze tutelate dalla legge n. 110/83 siano state determinate dal c.d. effetto diodo, la ravvisabilit� in tale fenomeno del caso fortuito � subordinata all'accertamento della presenza in esso di tutte le indicate caratteristiche del fortuito�. (Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 23 aprile 1992, n. 4929 -Pres. Brancaccio -Rel. Amirante -P. M. Caristo (eone!. conf.). Borghi (avv. Carul: lo) c. Ente Autonomo Teatro Comunale di Bologna (avv. Stato Tall.arida). Impiego pubblico � Dipendenti degli enti lirici � Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. La natura di enti pubblici non economici degli enti autonomi lirici e la conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie inerenti al rapporto di lavoro con il personale deve essere riconosciuta anche dopo l'entrata in vigore del d.l. 11 settembre 1987, n. 374 (conv. con modificazioni con l. 29 ottobre 1987, n. 450) il quale, pur rendendo applicabili a detto rapporto disposizioni riguardanti i dipendenti degli enti pubblici economici, non incide su detta qualit� del. datore di lavoro (1). (1) Giurisprudenza costante, si veda da ultimo Cass. 19 gennaio 1990, numero 241-273 e Cass. 11 gennaio 1990, n. 65; la sentenza riassume quattro principi fondamentali in materia di pubblico impiego tra cui quello secondo il quale la natura privata di un rapporto di lavoro subordinato con un ente pubblico non economico, ai fini della giurisdizione, pu� essere ritenuta soltanto in presenza di una norma di legge che la riconosca a tutti gli effetti non essendo sufficiente il fatto che il rapporto sia regolato da una disciplina privatistica di origine contrattuale. I I I i PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIV�LB, GIURISDIZIONE B APPALTI {Omiss~s) Con i�l primo motivo, il ricorrente denuncia difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per violazione dell'art. 3 della legge 29 ottobre 1987, n. 450, di conversione del d.l. 11 settembre 1987, n; 374 e sostiene che la norma citata, stabiJ.enJCl:o che ai dipendenti degli enti autonomi Lirici ed iiistituzioni concertistiche si applica la normativa vigente p�r i dipendenti degli enti pubblici economici, ha reso privato il rapporto. di lavoro in oggetto, �con la conseguenza che la controversia va attribuita al giudice 011dittmrio. Sostien�, altres�, il ricorrente che, gi� prima della citata legge del 1987, il rapporto era regolato dalla contrattazione. collettiva,. dimodoch�, se non si attribuisse alla norma che si assume violata il1 valore .di rendere privato i�l rapporto anche ai fini processuaild, essa sarebbe inumle. Soggiunge ancora il ricorrente che, ritenendosi pubb1ico il rapporto, resterebbe inapplicabile i:1 principio che esso pu� costituirsi anche mediante comportamenti concludenti. Con i;} secondo motivo, U ricorrente sostiene che il sistema normativo di cu~ alJl'�airt. 25 I. 14 agosto 1967, n. 814; alla legge n. ,426 del 1977 ed all'art; 3 detla citata 1. n. 450 del 1987, se inteI'}>retato nel senso che il rapporto dei dipendenti degrli enti Iirioi; bench� regolato dalla contrattazione colilettiva e da norme privatistiche, sia pur sempre .di pubblico impiego, sarebbe in contrasto con gl[ arbt. 3, 23 e 113 detla Costituzione. Secondo iii ricorrent� d cliperidenti d�gli enti pubblici economici ed i� dipendenti di enti ilirioi godrebbero di una diversa tutela giurlsdizionalle, pur essendo sostanzialmente i loro rapporti di lavoro regolati da norme analoghe. I dipendenti degli enti lirici da un lato non fruirebbero delle garallZJ�e proprie del rapporto di pubbJico impiego, da1Jl'altro, soggiunge il ricorrente, dowebbero soggiacere ai principi dell'impugnazione degli atti ammimstrart:ivii. Le censure, concernenti entrambe la questione di giurisdizione, la sola dedudbiJle in questa sede, devono essere trattate congiuntamente e sono infondate. � necessario premettere ail.cuni principi, consolidati nella giurisprudenza di qu�ste sezioni unite: a) il rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di ente pubblico non economico ha natura di pubblico impiego; b) tale rapporto � conDigurabile anche in difetto di atto formale di nomin�; qualora, esserido subordinato, risulti l'inserzione del lavoratore nella struttura dell'ente; e) non osta alla configurazione come pubblico del rapporto il fatto che esso �sia disdplin~to nella sostanza da norme contrattuali -(v. tra le molte, S. U. 18 dicembre 1990, n. 12010) -;' d) la natura privata di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di ente non economico, anche agli effetti processuali e della individuazione della giurisdizione competente, pu� essere ritenuta soltanto in presenza di una norma di legge che ne stabilisca la natura privata a tutti gli effetti. (v. S. U. 21 aprile 1982, n. 2647). 276 RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO Siffatti principi manifestamente non sono in contrasto con le indicate norme costituzionali, dal momento che rientra nell'esercizio ragionevole delia discrezionaliit� legislativa stabilire che, quando il datore ha qualit� di ente non economico, i mpporti di lavoro dei suoi dipendenti siano di pubblico impiego, anche se regol.ati da una disciplina di natura privata di origine con1lrattuaJe. (v. S. U. 20 gennaio 1989, n. 300; 5 febbraio 1983, n. 950; 5 agosto 1975, n. 2979; 21 agosto 1973, n. 2373). Si deve, inoltre, osservare che 1a giurisdizione esclusiva, per quanto concerne 1a tutela dei dirtti soggettivi, non verte sull'impugnazione di atti, ma sul rapporto, sicch� nessuna sostanziale diminuzione di tutela dci lavoratori � configurabile per essere soggetti alla giurisidizione del giudice amministrativo anzich� a quella del giudice ordinario. Tutto oi� premesso, 111 Cohlegio rileva che in controversie analoghe alla presente si � cos� statuito: La natura di enti pubblici non economici degli enti autonomi lirid, ne1la disciplina di cui alla 1. 14 agosto 1967, n. 800, con '1a conseguenziaile giurisdizione esdusiva del giudice amministrativo su1le controversie inerenti al rapporto di lavoro con il personale, deve essere riconosciuta anche dopo l'entrata in vigore del d.l. 11 settembre 1987, n. 374, (convertito con modificazioni con la 1. 29 ottobre 1987, n. 450), il quale, pur rendendo applicab�lli a detto rapporto disposizioni r1guardan1li i dipendenti degli enti pubblici economici (art. 3), non incid� s. detta quarlit� del datore di lavoro. (v., tra le pi� recenti, S. U. 11 gennaio 1990, n. 65). Per le considerazioni esposte, l'orientamento deve essere ribadito, non ravvisandosi ragioni che possano indurre a discostarsene. (Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Lav., 27 apri~�e 1992, n. 5008 � Pres. Mollica � Rel. Bicone -P. M. La Valva (concl. conf.). Crimi ~avv. Toscano) c. Ministero di Grazia e Giustizia (avv. Stato Zotta). Lavoro (rapporto) � Vice Pretore onorario � Rapporto di impiego professionale (autonomo o subordinato) � Esclusione � Eventuale compenso -Natura indennitaria. L'attivit� di vice pretore onorario, ancorch� incaricato di funzioni giudiziarie o �reggente>>, si colloca fuori dello schema generale della prestazione lavorativa subordinata per cui non � riconducibile ad un ,rapport:Jo di pubblico impiego, ma neppure ad un rapporto di lavora' autonomo, trattandosi di servizio non professionale ma onorario il cui compenso, se accordato da leggi o atti amministrativi, ha natura indennitaria o di ristoro delle spese ai sensi e per gli effetti dell'art. 2041, cod. civ. (1). (1) La Corte conferma l'orientamento gi� espresso in Cass., Sez. Un., 21 febbraio 1991 n. 1845 in cui Si legge che la posizione giuridica correlata allo svol PARTE I, SEZ. III; GIURISPRUDENZA CIVILI!; GIURISDIZIONE E APPALTI 277 (Omissis) Secondo iil costante orientamento della Suprema Corte, 'l'attivit� di vice pretore onarario, ancooch� incaricato di funzioni giudiziarie o �reggente�, si colloca fuori dello schema generale de1la prestazione lavorativa subordinarta, sicch� non � riconduoibile ad un rapporto di pubblico impiego, ma neppure ad un riapporto di lavoro autonomo, trattandosi di una fattispecie di servizio non professionale ma onorario ('sentenze nn. 1845 del 1991, n. 9315 del 1987). Al servii.zio onorario non sono perci� applicabiilii gli artt. 35 e 36 Cost., che tutelano specificamente il �lavoro�, mentre dall'art. 54 del medesimo testo normativo si evince l'esclusione di qualsiasi connotato di sinallagmaticit� tra esercizio de.ltla funzione e compenso per tale esercizio, compenso che, se accordato da leggi o atti amministrativi, ha natura indennitaria �o di ristoro deiHe spese. L'atto d'investituria, per effetto del quaile un soggetto presta servizio in favore dell'amministrazione in veste cli funzionario onorario, costituisce quindi la causa giuridica deH'attribuzione patrimoniale che iii soggetto pubblico riceve, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2041, cod. civ. Dalla natura del servizio onorario discende l'impossibilit� di app;lioare ad esso i principi generali e le .regole che forniscono la disciplina: del rapporto di pubblico impiego. In particolare, mentre non sono richiesti atti formali di nomina per rives,tire la qualifica soggettiva di impiegato pubblico, la funzione onoraria � attribuita esclusivamente da atti formali di investitura, come si desume dal 2� comma dell'art. 54 Cost. (i cittadini cui �sono affidate � funzioni pubbliche ...), posto che � dall'attribuzione della funzione pubblica che nasce il rapporto di servizio e non � il rapporto di servizio a precedere H conferimento della funzione, come avviene invece per i pubblici dipendenti. La disciplina dei compensi per la funzione onoraria, ove previsti, � data esclusivamente daHe fonti che specificamente li contemplano, re gimento delle funzioni di vice pretore onorario �non � riconducibile, neppure a,strattamente, n� al rapporto. di impiego privato, n� a quello pubblico, posto che l'esercizio delle funzioni giudiziarie, come non pu� essere oggetto di un rapporto di servizio di diritto� privato, cos� non pu� essere oggetto di un rapporto d'impiego di diritto pubblico che non si costituisca, per concorso, con formale titolo di nomina �; in senso conforme si veda anche Cass., Sez. Un., 16 dicembre 1987, n. 9315. Mentre nei due precedenti citati la questione era stata esaminata solo sotto il profilo della giurisdizione, nella sentenza che si annota la Cassazione appro� fondisce l'analisi sottolineando che al servizio onorario non sono applicabili gli artt. 35 e 36 Cost., che tutelano il lavoro. e non c'� alcun rapporto sinal� lagmatico tra la prestazione onoraria e il relativo compenso il quale trova la sua causa giuridica nell'art. 2041 cod. civ. Si veda anche Corte Cost. 21 aprile 1983, n. 105, in Giur. cost. 1983, I, 474 in tema di trattamento economico dei vice pretori onorari. 278 RASSBGNA DELL'AVVOCATURA DBIJ.O STATO stando preclusa ogni integrazione cli essa mediante il ricorso a regole dettate per l'apporti di natura diversa. Di questi principi ha fatto corretta applicazione la sentenza , impa'gnata: -attvibuendo rilievo esolusivamente alla certificazione del Tribunale di Catania, in ordine ai preriodi di reggenza de1la Pretura per assenza del titolare, non al servizio svolto di fatto (sicch� non ha fondamento la critica del ricorrente di omesso esame del documento proveniente daMa canceLleria della Pretura di Randazzo, che avrebbe consentito di accertare l'attivit� effettivamente svolta); -giudicando suilile pretese azionate dal Crimi in base alle sole norme che prevedono benefici economici e giuridici per i vice-pretori onorari, senza prendere in considerazione principi e ,disposizioni dettati per i publ) l.ici dipendenti, in particolare per gli impiegati non di ruolo deHo Stato. L'anzidetta specifica normativa � sta:ta, infine, correttamente applicata dal Tribunale di Catania alla fattispecie. La legge 18 maggio 1974, n. 217 (� sistemazione giuridico-economica dei vice pretori onorari incaricati di funzioni giudiziarie ai sensi del 2� comma dell'art. 32 dell'ordinamento giudiziario�), e pi� precisamente l'art. 1 della legge medesima (che assicura la conservazione dell'incarico a tempo indeterminato e la corresponsione dello � stipendio spettante ai magistrati di tribunale�, con l'applica2lione del d.l. n. 147 del 1948 e successive modificazioni o integrazioni, de!Jla legge n. 1077 del 1966, della legge n. 336 del 1970, deM'art. 90 dell'ordinamento giudiziario, come modificato dalla legge n. 704 del 1%1, nonch� dii �tutte le altre leggi a favore del personale non di ruolo dello Stato�, non include fra i destinatoo dei benefici giuridici ed economici i vice pretori onorari reggenti le preture prive di titolare, previsti dall'art. 101 ord. giud. (la Corte Costituzionale, con sentemla 21 aprile 1983, n. 105, ha giudicato costituzionalmente legiUima siffatta esclusione). Per cogliere H divario esistente tra la categoria dei vice pretori incaricati, di cui al capoverso dell'art. 32 deLl'ordinamento giudizario, e la categoria dei vice pretori reggenti previsti da!Jl'art. 101, comma 3�, dell'ordinamento medesimo, basta confux>ntare le due disposizioni ricordate. Stando alila prima di esse, �se nelle preture indicate nella tabella M � -poi sostituita dalla tabella D allegata al d.P.R. 30 agosto 1951, n. 757 � mancano gli uditori giudiziari, possono essere destinati, in loro vece, .. vice pretori onora�ri, i quali non esercitano la professione forense �; stando invece aUa seconda previsione normativa, � in caso di mancanza o di impedimento del titolare, cui non si possa altrimenti rimediare, le � funzioni sono esercitate ... dal vice pretore onorario o da uno dei vice pretori onorari destinato dal presidente del ,tribunale�. Diversamente dai vice pretori 1ncaricati, i vice pretori reggenti non entrano dunque a comporre l'ufficio pretorile, ma esercitano solo funzioni vicarie, non si ve PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 279 dono precluso a priori qualunque esercizio della professione forense, n� il corrispondente trattamento di quiescenza (anche se circolari del Consi~ J.io Superiore de1la Magistratura prescrivono che gli stessi reggenti devono impegnarsi a non trattare cause innanzi alla pretura od alla se2lione di pretura cui siano destinati) e possono, infine, supplire il titolare in ogni sede, anzich� neMe sole preture indicate dalla predetta tabe1la. Cos� precisata la categoria del vice pretori incaricati di funzioni giudizarie di cui a1l capoverso dell'art. 32 dell'ordinamento giudizario, non � controverso che il Crimi non aveva la qualifica soggettiva necessaria per l'applicazione dell'art. 2 de:Ha menzionata legge n. 217 del 1974 (che dispone l'applicazione dei benefici di cui aiJJI'art. 1 � anche al vice pretori onorari di cui aHo stesso articolo in servizio ail 1� ottobre 1972, e con decorrenza da tale data, ancorch� non lo siano pi� alla data di entrata in vigore deHa presente legge�). Soltanto la sopravvenuta legge 4 agosto 1977, n. 516, con riguardo a coloro che si trovavano in servizio al!J.a data del 30 giugno 1976 avendo esercitato �le funzioni di reggente per quindici anni, astenendosi dalla professione forense e da ogni ailtra attivit� retribuita, ha esteso i predetti benefici, nei limiti predetti, anche ai1Jla categoria dei �reggenti�. Ma la sentenza impugnata ha correttamente accertato che il Crimi non possedeva il requisito deM'esercizio delile funzioni di reggente per quindici anni. P�resupposto indefettibile perch� un vice pretore onorario, ai sensi della seconda parte dell'ultimo comma de1l'art. 101 dell'ordinamento giu diziario, sia investito della funzione di �reggente�, � la mancanza del titolare dell'ufficio, in quanto non nominato o giuridicamente impossi bilitato ad esercitare le funzioni. Si tratta di eventi accertati con atti formali, in presenza dei quali H vice pretore onorario che sia l'unico addetto all'ufificio assume ipso iure, in veste vicaria, le funzioni del tito lare, mentre se pi� siano i vice pretori deve intervenire una designazione da parte dei titolari degli uffici superiori. Lo stesso art. 1 dellla legge n. 516 del 1977 si esprime molto chiara mente nel senso che destinatari dei benclici economici e giuridici sono i �vice pretori onorari reggenti sedi di preture prive di titolare... remu nerati ai sensi dell'art. 1 decreto legislativo 30 gennaio 1948, n. 99, che sostituisce l'art. 208 del vigente ordinamento giudi2liario �. Pertanto, i periodi di � reggenza � della P�retura di Randazzo non potevano essere che quelJi coincidenti con la mancanza o l'impedimento, in senso giuridico-formale, del titolare dell'ufficio, durante i quali al Crimi era stato corrisposto il previsto trattamento economico. In considerazione deMa natura e delle peculiarit� della .controversia, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti per intero le spese di questo giudizio. 280 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELllO STATO CORTE DI CASSAZJONE, Sez. Un. Civ., 3 giugno 1992, n. 6786 -Pres. Zucconi Ga11li Fonseca -Rel. Pontrandolfi -P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Poste e Telecomunicazioni (Avv. Stato Del Gaizo) c. Bucci (avv. Rocco). Giurisdizione civile -Impiego pubblico -Giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo -Ingiunzione fiscale -Opposizione dinanzi all'AGO Difetto di giurisdizione. Sussiste il difetto .di giurisdizione del Giudice ordinario a conoscere dell'opposizione ad ingiunzione fiscale per la riscossione di entrate patrimoniali (R.D. n. 639/1910) quando l'opponente deduce una pretesa che trovi il suo titolo necessario in. un rapporto di pubblico impiego (1). Col quinto ed ultimo motivo, denunciando difetto di giurisdizione del giudice ordinario, la ricorrente deduce che nella specie sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo, sicuramente in ordine alla seconda domanda formulata dall'opponente, volta a contestare la ripetibilit� della somma perch� percepita in buona fede~ dato che tale pretesa trova il I suo titolo nel rapporto di pubblico impiego. La ricorrente fa presente, per quanto occorrer possa anche a titqlo .di regolamento preventivo di giurisdizione, che questo motivo viene pro� l posto per mero scrupolo difensivo, �qualora si ritenga che, nell'even~ I ~ tualit�. dell'accoglimento del ricorso, per uno dei precedenti motivi, e d"'l rinv.io della causa ad altro giudice, rimarrebpe pregiudicata la questione �� di giurisdizione circa il merito deHa pretesa fatta valere con .l'opposizione �. Riilevato che la ric~rribilit� diretta per Cassazione delle sentenze del Gi�dice condliatore � prevista dall'ultimo comma dell'art. 339, c.p.c., come I i sostituito dall'art. 5 della legge 30 luglio 1984, n. 399; ancorch� tale modifica 1 I� non abbia, per mera dimenticanza e mancato coordinamento, modificato, di conseguenza, l'art. 360, c.p.c., che, nel testo originario, escludeva l'impugnabilit� in Cassazione di tutte le sentenze del Conciliatore e che, per questa parte, deve ritenersi implicitamente abrogato, si osserva che, ! per il suo carattere pregiudiziale ed assorbente, va esaminato con prioI rit� il quinto motivo del ricorso con cui si deduce il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l'appartenenza della controversia nel merito (la~dove si contesta la ripetibilit� della somma in quanto percepita in buona fede) al giudice amministrativo perch� la pretesa azionata con l'opposizione all'ingiunzione fiscale troverebbe il suo titolo nel rapporto di pubblico impiego. (1) La Corte di Cassazione fa applicazione �di un principio pacifico nella sua giurisprudenza: in termini cfr. Cass .. 25 febbraio 1967, n. 430. PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 281 n suddetto motivo � fondato. Anzitutto, v� rilevato che non � proponibile'�davanti al giudice urdi� nario l'opposizione ad un'ingiunzione fiscale per la riscossione di entrate patrimoniali (R.D. 14 aprile 1910, n. � 639) quando l'opponente deduce in �giudizio una pretesa che trovi il suo titolo necessario in un rapporto di pubblico impiego (Cass, civ;1 S. U., 25 .febbraio 1967, n. 430). Inoltre, la domanda proposta dallo Stato o da un ente pubblico non economico, per la ripetizione di somme che assuma indebitamente corri� sposte al proprio dipendente in relazione al rapporto d'impiego, rientra nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la quale riguarda tutte le controversie che trovino titolo immediato e diretto in detto rapporto, e qtiindi, non solo quelle instaurate dal pubbl�.co dipendente, ma anche quelle promosse dall'Amministrazione, ove �non possa� o non voW}ia avvalersi de1la facolt� di attuare coattivamente le proprie pretese (Cass. civ., S. U., 21 novembre 1983~ n. 6922; idem, 5 novembre 1987, n. 8207; 24 ottobre 1990, n. 10326). Ne deriva che va accolto il quinto motivo del ricorso e che vanno 'dicl�Httati assorbiti gli alfri: motivi, che va dichiarata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e che la �. sentenza impugnata va cassata senza rinvio. PRETURA DI ROMA, Sez. Lav., 17 giugno 1992 (decreto). Pretore Laterza. COMU (avv.. Baldari) c. Ente Ferrovie dello Stato (Avv. Stato Salvatorelli); interv. AGENS (avv. Scognamiglio, De Luca-Tamajo, Vesci). AssociaZloni e fondazioni . Sindacati -Procedimenti per la repressione . di condotta antisindacale -Ricorso proposto dinanzi a pi�i. Pretori Litispendenza. Sussiste la litispendenza tra pi� ricorsi volti alla repressione di comportamento asseritamente antisindacale, aventi il medesimo .oggetto .� e proposto da organismi locali della. stessa organizzazione sindacale dinanzi .a Giudici diversi, nel cui ambito. territoriale si sia egualmente; verificata la condotta ~he si assume zesiva delle prerogative sindac~li (1). . (1) Non constano precedenti in termini. Procedimento per la repression� di c()ndotta antisindacale c;li una pubblica Amministrazione . e litj.spendenZa. 1. Il. decreto del Pretore di Roma concerne una fattispecie che ha destato l'interesse dell'opinione pubblica in seguito all'ampio risalto dato alla vicenda dalla stampa. Come � noto, in seguito alla proclamazione da parte del COMU (organiz� zazione, della. quale � incerta la natura sindacale, che intende tutelare. i mac 282 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Ritenuto che � stata sohlevata dal convenuto e daM'Agens eccezione di litispendenza in relazione al ricorso ex art. 28 legge 300/70 proposto davanti aJ. Pretore di Firenze il 14 aprile 1992 dal Comu in persona di Gallori Ezio quale coordimatore compartimentale del relativo organismo territoriale, nonch� quale legale rappresentante nazionale del COMU, ricorso deciso con decreto del Pretore di Firenze del 24 aprile 1992 (Foro it., 1992, I, 2535) avverso H quale � pendente l'opposizione come hanno espressamente dichiarato gli stessi ricorrenti; ritenuto che la litispendenza costituisce questione rilevabile anche d'ufficio, e secondo una giurisprudenza consoUdata ha la priorit� nel1' ordine logico anche nelil'ambito delle questioni pregiudiziali (cfr. Cass. 1216/65, id., Rep. 1965 voce Competenza e giurisdizione civile, n. 359); letto i:1 ricorso avanzato davanti al Pretore di Firenze, ritenuto che tra la presente controversia e quella pendente davanti al pretore di Firenze vi � litispendenza ex art. 39 c,p.c., sussistendo identit� di parti, di petitum e causa petendi; ritenuto infatti che in entrambe le controversie le parti sono l'ente Ferrovie dello Stato convenuto, l'Agens interveniente ed il COMU ricorrente, ed infatti la parte ricorrente non pu� che essere l'associazione sindacale nazionale, come peraltro dispone espressamente l'art. 28 legge 300/70 per le seguenti considerazioni in diritto. chinisti dipendenti delle Ferrovie deNo Stato) di agitazioni in contrasto con il codice di autoregolamentazione e con gli stessi accordi in precedenza sottoscritti dalla medesima associazione, l'Ente FF.SS. faceva affiggere in tutti luoghi di lavoro comunicati con i quali si prospettava, per i dipendenti che avessero aderito a dette agitazioni, il diniego di estensione di determinati trattamenti economici pattuiti con altre Organizzazioni Sindacali nell'ambito delle pi� vaste intese concernenti l'organizzazione del lavoro gi� accettate dallo stesso COMU. L'associazione reagiva proponendo una serie di identici ricorsi volti alla repressione del comportamento, asseritamente antisindacale, dinanzi ai Pretori di ciascuna sede di Compartimento ferroviario (luoghi in ognuno dei quali si sarebbe quindi posto in essere il lamentato comportamento lesivo delle prerogative sindacali). Nel costituirsi in giudizio dinanzi al Pretore di Roma -adito successivamente rispetto al Pretore di Firenze, che aveva gi� rigettato il ricorso -l'Ente FF.SS. eccepiva, tra l'altro, il giudicato e -appreso che il primo decreto ex art. 28 St. Lav. era stato gravato di opposizione -la litispendenza tra i due giudizi. Con la pronunzia che qui si pubblica, il Pretore di Roma, accogliendo l'eccezione formulata, ha dichiarato con decreto la litispedenza ed ha disposto con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo. 2. La statuizione -che, pure, avrebbe dovuto forse essere adottata con sentenza -appare convincente nel suo contenuto, facendo giustizia, anche alfa luce di considerazioni equitative, di un comportamento processuale a dir poco disinvolto. Sembra, peraltro, che, al di l� dei motivi contingenti che possono aver ispirato la pronunzia pretorile, solidi argomenti sistematici militino a favore della PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 283 L'art. 28 conferisce espressamente la legitimatio ad processum agli � organiismi locaili � delle associazioni sindacali naziona:li e la ratio della norma �. evidente in quanto 'l'organismo focale � queno a pi� stretto contatto con il luogo ove �si deduce �essersi verificato il comportamento antisinJClacale; La legitimatio ad. processum conferita espressamente dal[a legge non va per� confusa, secondo la migliore dottrina e giurisprudenza con la legitimatio ad causam. La legitimatio ad processum � regolata dall'art. 75 c.p.c. e viene in genere. qua1Uficata come capacit� processuale o formale, e consiste nella capaicit� di stare in giudizio come attore o come convenuto, investendo quale presupposto processuale, la regolarit� formale del rapporto. La� leg�timatio ad causam, o legittimazione a:d agire presuppone in primo luogo la soggettivit� giuridica e risulta dall'identit� della persona dell'attore con il titolare dell'azione (legittimazione attiva) o della persona del convenuto con quella c�ntro cui l'azione � concessa (legittimazione passiva), essa costituisce condizione dell'azione, ossia la condizione a cui � subordin.ato l'ac.coglimento defil:a domanda. In genere vi � coincidenza tra queste entit�, in quanto alla capacit� giuridica, ossia alila soggettivit� corrisponde quella di essere parte nel processo. tesi della esistenza di una litispendenza tra i diversi giudizi incardinati dal medesimo Sindacato dinanzi a . vari Pretori. Invero, pacificamente essendo, in casi quale quello di specie, identici il petitum e la causa petendi, unico argomento utile per contrastare la eccezione sarebbe costituito dalla mancanza del requisito della identit� dell.e parti del giudizio, essendo stati incardinati i due procedimenti da diverse articolazioni della OS. Tale tesi, per�, come si tenter� brevemente di dimostrare in queste note .scaturite da una prima riflessione sulla vicenda, appare non reggere ad un sereno� vaglio critico, non solo in conseguenza di un attento e$ame della lettera dell'art. 28 St. Lav. e defila origine della norma, ma soprattutto attese la iMogicit� della contraria interpretazione e le aberranti conseguenze cui condurrebbe, in contrasto con fondamentali principi del sistema: per tacere poi della circostanza che si finirebbe con il �premiare " ima condotta processuale altamente spregiudicata. :e noto, infatti, che costituisce principio cardine del nostro ordinamento processuale, volto a soddisfare la stessa esigenza della certezza del diritto, quello espresso nel noto brocardo del ne bis in idem. Con esso vuole evitarsi la possibilit� della pendenza di pi� giudizi aventi il medesimo oggetto ed, in ultima analisi, di giudicati contrastanti (si veda per tutte la necessaria norma di chiusura posta dall'art. 395, n. 5, c.p.c.). 3. Un primo rilievo deve essere fatto, con riferimento a:l concetto di �parte sostanziale� del giudizio, poich� � ad essa che vanno riferiti tanto la pendenza del giudizio quanto i limiti soggettivi del giudicato: sembra invero indubitabile che, nel procedimento di repressione deHa condotta antisindacale, tale posizione RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 284 Nel caso di cui all'art. 28 legge 300/70 sembra invece vi sia-�una distinziori: e: ila capacit� di stare in giudizio (legitimatio ad processum) non � conferita alla associazione sindacale nazionale, che sicuramente � fornita di soggettivit� giuridica, ma essa � conferita all'organismo locale, che in genere � sfornito di soggetivit� giuridica autonoma e distinta rispetto alla associazione naziona>le di cui fa parte. Invero la dizione stessa della legge � organismi locali � pare far riferimento proprio ad entit� sfornite di soggettivit� giuridica autonoma ed ai quali. pure conferisce la legitimatio ad processum. Nel caso di specie � evidente che il coordinamento compartimentale di Roma, come la maggioranza degli organismi locali delle organizzazioni sindacali nazionali, non ha una soggettivit� autonoma rispetto al COMU, eppure la legge� prescrive che sia questo a proporre l'azione ex art. 28 ed all'uopo analoghi poteri sono previsti dallo statuto del COMU (cfr. art. 5-del testo depositato presso il notaio); si tratta di una sorta di rappresentanza ex lege, che per� non pu� far dimenticare che la parte in senso sostanziale � in ogni caso il COMU; si pu� infatti parlare di soggettivit� del COMU come associazione che non � persona giuridica, ex art. 75, ultimo comma, c.p.c., ma non di soggettivit� giuridica da quetO distinta e autonoma di un suo � coordinamento compartimentale �, ed infatti, rileva esattamente �l'avvocatura dello Stato che non si pu� rica sia rivestita dall'O.S. nazionale della quale � emanazione l'organismo locale espressamente indicato dalla disposizione quale �legittimato ad processum. Quest'ultimo, come dimostra il dettato testuale dell'art.. 28 St. Lav., ha una mera legittimazione processuale ex lege, ma non ha n� pu� avere una personalit� giuridica distinta da quello dell'O.S. di appartenenza, n� potrebbe divenire centro d'imputazione diverso e distinto di rapporti giuridici, specie in considerazione del rilievo che tale posizione sostanziale (gravida, tra l'altro, di rilevanti conseguenze giuridiche) verrebbe ad essere ricavata da una norma avente carattere meramente processuale; risulta, d'altro canto, evidentemente inconcepibile che possa esistere una personalit� giuridica distinta dell'organismo locale, ma uni. camente a certi fini, ovvero limitatamente a determinati rapporti giuridici, trat. tandosi di costruzione estranea al nostro ordinamento. Sembra, pertanto, indubitabile che l'efficacia dell'accertamento contenuto. in una pronuncia ex art. 28 St. Lav. possa essere opposta da (o fatta valere nei confronti di) un'O.S. nazionale il cui organismo locale abbia incardinato il giudizio. 4. In realt�, la complessa problematica che oggi s'i pone, anche e soprattutto in seguito alla novellazione introdotta con la legge n. 146/90 e la estensione della procedura in discorso alle Amministrazioni statali, deriva dall'uso distorto e comunque ampliato del rimedio del ricorso ex art. 28 St. Lav. rispetto alla originaria previsione del Legislatore. Non vi � dubbio che intento della norma fosse quello di prevenire e/o reprimere quei conflitti in campo aziendale, minuti e circoscritti, ma pur assai rilevanti nell'ottica di una legislazione di sostegno, aventi ad oggetto la lesione di posizioni soggettive del sindacato che trovano perspicua esplicazione in quello PARTE I, SEZ. III1 GIURISPRUDENZA CIVILE; GIURISDIZIONE E APPALTI 285 vare la soggettivit� �sostanziale� de1l'organi!smo locale da una norma meramente processuale come quella di cui all'art. 28 legge 300/70. Non si ignora che una parte della giurisprudenza ritiene che lo statuto riconosca negli organismi locali delile associazioni sindaca:H nazionali una soggettivit� distinta rispetto a quefila di tali associazioni, considerando che gli stessi, quali autonomi titolari di determinati interessi co]i[ettivi, sono dotati pertanto di una propria legittimazione a chiederne la relativa tutela (cfr. Cas. 29 marzo 1979, n. 1825, id., 1979, I, 1443). Invero la n0I1ma non autorizza a ritenere l'esistenza di una soggettivit� distinta da parte delil'organismo locale, in quanto la sua previsione riguarda sola la legitimatio ad processum (come peraltro ritenuto da larga parte dehla dottrina). Se cos� non fosse, l'art. 28 legge 300/70 sarebbe passibile di applicazione in contrasto con i pr�lllcipi cardine dell'ordinamento processuale. Se infatti, seguendo questa tesi, in tutti i casi in cui una qualsiasi azienda nazionale, avente una pluralit� di sedi, mettesse in atto, in seguito ad una decisione a livelilo centrale, degli identici comportamenti diretti, nelle varie sedi, a impedire o limitare l'esercizio della libert� e dell'attivit� sindacale, nonch� dcl diritto di sciopero, dovrebbe essere consentito ai vari organismi locali di proporre distinti ricorsi ex art. 28 legge 300/70, e quindi ottenere distinti decreti, con possibilit� di contrasto l'uno con l'altro. stesso, limitato ambito (si pensi ai diritti di cui al titolo III della L. n. 300/70, che sono quelli che per elezione dovrebbero trovare tutela con questo particolare strumento), conflitti che sarebbero invece di complessa e non rapida individuazione e tutela se riguardati a livello nazionale. Per essi si ritenne necessario fornire uno strumento di tutela immediato ed efficace, ed a tal fine non poteva che farsi riferimento alla realt� locale -e, in primo luogo, aziendale -che, meglio di ogni altra, pu� conoscere con immediatezza i fatti lesivi ed avvertirne la rilevanza. Si volle pertanto istituire un procedimento a cognizione sommaria, legittimando all'azione un �organismo locale�; peraltro, ad escludere una eccessiva parce1lizzazione della tutela giurisdizionale e al fine di garantire una fondamentale aderenza a problematiche di rilevanza non esclusivamente locale ed una 'Sostanziale � seriet� � del ricorso allo strumento introdotto, si previde che la parte attrice dovesse essere strettamente collegata con associazione sin� dacale di rilevanza nazionale. 5. � comunque certo che il Legislatore concep� H particolare strumento in esame come ben circoscritto, e non mai riferito ad atti aventi efficacia estesa sul territorio e, al limite, a carattere nazionale. Ci� vale a maggior ragione per atti provenienti da Amministrazioni pubbliche, che hanno contenuto organizza. torio e si rapportano con una particolarissima reaJlt� qual � quella della con� trattazione collettiva in campo pubblico, e, talora, contenuto autoritativo e provvedimentale: anche e soprattutto in quanto un tal tipo di contenzioso non era all'epoca nemmeno prevedibile. La odierna estensione dell'ambito di applicazione del procedimento _per la repressione della condotta antisindacale a soggetti ed atti completamente diversi da quelli originariamente contemplati dal Legislatore non pu� e non deve por� 286 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEIJ.O STATO Infatti, radicandosi la competenza territoriale in ciascuna delle varie sedi aziendali, uno stesso comportamento potrebbe essere ritenuto antisindacale nei confronti di un determinato organismo locale, mentre ben potrebbe essere dichiarato pienamente legittimo in altro contemporaneo giudizio, nei confronti di un altro organismo locale parte in quel processo. Si comprende che ci� comporterebbe una applicazione inammissibile della norma posta a tutela deM'attivit� e libert� sindacale, in quanto la valutazione di uno stesso comportamento datoriale non pu� essere diversa per l'uno o per l'altro organismo locale: un comportamento o � antisindacale o non >lo �. Si Consideri ino1tre che, ammettendo la possibilit� di �concorso� di pi� ricorsi ex art. 28 da parte di vari organismi locali, alcuni decreti potrebbero oridinare la cessazione del comportamento e la rimozione degli effetti e la pronuncia sarebbe efficace solo nei confronti degli organismi locali ricorrenti, mentre altri decreti potrebbero non inficiare il comportamento datoriale nei confronti di altri organismi locali ricorrenti, il che darebbe luogo a problemi � insormontabiili � ove si lamentasse come antisindacale un atto datoriale assolutamente non scindibile. Si pensi, ad es., alla stipulazione di un contratto tra datore di lavoro e terzo, che si assumesse essere antisindacale, ad es. perch� non preceduto da obb[igatorie conswltazioni deHe organizzazioni sindacali, in tal caso, tare, dunque, ad un pedissequo ed acritico recepimento di schemi riguardanti la realt� pi� propriamente aziendale, pur se consolidati. Deve pertanto soccorrere, in primo luogo, il dettato normativo, laddove si legittima all'azione l'organismo locale che vi abbia interesse. Tale formula, per riprendere la terminologia adottata dalla Suprema Corte di Cassazione nella pi� nota -e oramai risalente -pronunzia adottata in punto di legittimazione (Cass., 29 marzo 1979, n. 1826, la quale, peraltro, risulta alla lettura riferirsi alle situazioni tipicamente � azienda1i � cui prima si faceva cenno), non pu� che fare riferimento all'interesse collettivo di cui la parte ricorrente lamenta la lesione ed alla estensione della efficacia del comportamento che si assume antisindacale. E non a caso, di fronte ad atti, come quello sottoposto all'esame del Pretore di Roma, aventi ambito di applicazione pi� esteso di quello strettamente loc~ le, la giurisprudenza di merito � andata oscillando tra diverse posizioni, tutte per lo pi� qualificate dalla ritenuta diversit� della fattispecie rispetto a quella � tipica �, e dalla conseguente necessit� di trovare un soddisfacente fondamento giuridico alla soluzione da adottare: vi � stato cos� chi, in base alla gi� rammentata ratio della norma, ha ritenuto tout court impraticabile, nel caso di specie, la strada dell'azione ex art. 28 St. Lav., rimanendo esperibili i soli rimedi forniti dal giudizio in via ordinaria; chi ha ritenuto -il che, peraltro, sembra contrastare con il testuale disposto normativo -in ipotesi di tal genere l'ambito � locale� -e la conseguente legittimazione ad agire -pi� esteso, fino a ricomprendere, al limite, l'intero territorio nazionale, con conseguente azionabilit� da parte del Sindacato nazionale; chi ha comunque ravvisato la legittimazione deH'organismo locale � pi� periferico � del sindacato nazionale, con il sussidio di vari criteri per stabilire la eventuale competenza territoriale. PARTE I, SBZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE B APPALTI 287 seguendo questa� logica, M contratto con il terzo dovrebbe essere annullato solo nei confronti di alcuni organismi sindacali locali e non nei confronti di adtri, il che sarebbe inammiss~bile. Ci� �conferma che . l'interpretazione corretta della norma � quella secondo cui la ;parte. sostanziale deil procedimento � il'associazione nazionale non l'organiSill� locale� In questo modo il comportamento datoriale, impugnato presso pi� giudk:i dai vari organismi locali, attraverso il meccanismo della litispendenza, dovr� essere correttamente sottoposto al giudizio di un solo giudice, quelllo. prevenrtivamente adito, iJ quale dir� se lo stesso � antisindacale o. meno, in tutte le sedi ove si svolge. E presente ricorso � poi uguale a quello esaminato dal Pretore di Firenze ed infatti anche se il testo non � coincidente, il comportamento impugnato di antisindacailit� � lo stesso, si tratta invero di due diversi comportamenti: l'esistenza ed il contenuto deH'ordine di servizio del 10 .aprile c.m. con cui l'ente dichiarava di non ritenersi obbligato ad estendere l'efficacia del contratto integrativo dell'8 aprile 1992 ai dipendenti che avessero partecipato allo sciopero dell'll-12 aprile 1992, comportamento che sarebbe idoneo a ledere. il diritto di sciopero. In entrambi i ricorsi poi si lamenta anche un diverso comportamento idoneo a fodere l'attivit� sindacale del Comu: si deduce cio� che Una cosa, peraltro, appare chiara ed incontestabile: uno ed uno solo � il comportamento lesivo, e n� lo stesso, n�, soprattutto, le sue giuridiche conseguenze possono essere frazionati con riferimento a singole realt� territoriali. Il comportamento da giudicare � sempre lo stesso, insomma, e pu� essere o non essere antisindacale (ill.ecito, illegittimo, ecc.), ma non pu� mutare tale sua connotazione a seconda di rea:lt� che siano territorialmente distinte, ma sostanzialmente identiche nel regime del rapporto di lavoro e delle relazioni sindaca!li. 6. Se l'ultima considerazione � corretta, l'unica conclusione logica e coerente appare la seguente: il giudizio non pu� che essere uno ed uno soltanto, in quanto proposto da una parte sostanziale (il sindacato, inteso come organizzazione a livello nazionale che lamenta la antisindacalit� di un comportamento interessante l'intero territorio nazionale) contro l'altra parte sostanziale (l'Amministrazione che ha tenuto il comportamento in esame), a prescindere dal luogo ove il giudizio venga incardinato (e salva ogni considerazione in punto di competenza); anche a voler. ipotizzare, in taluni casi, una concorrente legittimazione dei vari organismi locali, la fattispecie apparirebbe per qualche verso assimilabi>le ai beni noti � diritti potestativi concorrenti � dei quali si parla in materia di impugnazioni di delibere assembleari (come � noto, pi� sono i soggetti legittimati ad impugnare -i.e. i soci dissenzienti -ma l'accertamento contenuto in sentenza fa stato nei confronti di tutti), per i quali � pacifico che il giudizio impugnatorio � e resta uno solo; nel caso del procedimento ex art. 28 St. Lav., pertanto, in caso di ritenuta competenza concorrente, il Giudice concretamente competente dovrebbe essere individuato in base all'ordinario criterio dehla prevenzione. 7. i!. d'altro canto evidente che negare la sussistenza della litispendenza in casi quali quelli esaminati dal decreto che si pubblica, porterebbe ad aberranti 288 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STA'!'O l'ente Ferrovie dello Stato non avrebbe mantenuto i patti con il Comu, con cui aveva gi� stipuJato l'accordo del.['8 novembre 1991, e che l'ente non potrebbe negare agli scioperanti, aderenti aJ Comu, i benefici economici che aveva gi� concesso con il citato accordo dell'8 novembre 1991. Ed infatti a pag. 5 del ricorso presso la Pretura di Firenze ed a pag 6 del presente ricorso si deduce che la condotta antisindacale denunciata, ossia il mancato pagamento dei benefici economici di cui al contratto integrativo, non si � esaurita ma continua a produrre gli effetti, di talch� si dice nel ricorso al Pretore di Firenze che essa � invece risulter� pienamente in atto e della stessa potr� legittimamente chiedersi la repressione �, ed infatti nelle conclusioni di quel ricorso si chiede che sia dichiarata l'antisinda:calit� non solo del comportamento aziendale concretizzatosi con la diffusione e la pubb~i:cazione dell'avviso datato 10 aprile 1992, ma si chiede anche di dichiarare l'antisindacalit� del comportamento aziendale concretizzatosi nell'espresso rifiuto di riconoscere i miglioramenti economici previsti dai recenti accordi sindacali ai dipendenti sindacalmente rappresentati dal Comu e si chiede quindi la cessazione immedi�ta �dei comportamenti illegittimi�. Anche nel presente ricol'So si chiede sostanzialmente di dichiarare antisindacale il comportamento di cui aJ capo A) ossia la minaccia, fatta I con la comunicazione del >10 aprile 1992, di non pagare agli scioperanti I I � conseguenze, certamente non volute dal Legislatore, in contrasto con i fondamentali principi processuali che si i11ustravano sopra. , Invero, H sindacato ricorrente avrebbe a sua disposizione non una azione, ma tante quante sono le realt� territoriali nelle quali opera l'Ente che ha posto in essere il comportamento impugnato, avendo agio di affinare le proprie argomentazioni sulla medesima questione alla luce de11e difese proposte e sempre in attesa di trovare -il che, in questioni cos� complesse ed in una certa misura II& controvertibili, potrebbe non essere difficile -un Giudice disposto a dare ingresso alle doglianze proposte. La conseguenza di anche un solo decreto di accoglimento -o di una sentenza, su opposizione, o su appello; ecco come � agevole moltiplicare le ipotesi potenzialmente favorevoli ai ricorrenti -sarebbe d'altronde quella di travolgere in toto il comportamento impugnato, essendo arduo, ad esempio, ritenere le Igittima in una parte del territorio e non in un'altra l'affissione di un manifesto, ovvero dovuto un determinato trattamento economico a seconda del luogo presso il quale il dipendente pubblico presta servizio. 8. In conclusione, sembra che si debba in ogni modo evitare l'adozione di pronunzie che potrebbero portare ad un sostanziale contrasto di giudicati e a risultati manifestamente assurdi, e correttamente, pertanto, il Pretore di Roma ha dichiarato nel caso di specie la litispendenza. Rimane evidente come la rHevanza, la novit� e l'obiettiva incertezza della questione non possano peraltro che indurre ad una certa cautela l'interprete, in attesa di un auspicabile consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali, con l'intervento anche della Suprema Corte regolatrice. l\AASSIJ.\10 SALVATORELLI PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 289 i benefici economici del contratto integrativo e si chiede di dichiarare antisindacale il comportamento di oui ail capo B), ossia il rifiuto di corrispondere i benefici economici che agli aderenti al C0mu sarebbero gi� dovuti in forza dell'accordo stipulato 1'8 novembre 1991. Le argomentazioni dei due rico11si presentano delle dhrersit� perch�, ripetesi ,il testo non coincide, ma petitum ossia da condanna alla cessazione dei due compo11tamenti e causa petendi ossia il fatto che entrambi sarebbero idonei a violare il diritto di sciopero. nonch� la libert� a l'attivit� del Comu, sono uguaU nei due ricorsi ed � irrilevante che le argomentazioni a sostegno siano parzialmente diverse. Riilevato che avverso il decreto emesso dal Pretore di Firenze � stata proposta opposizione e quindi si � aperto un giudizio a cognizione piena sugli stessi comportamenti dell'ente Fenovie dello Stato qui lamentati e che pertanto sussiste liti�spendenza tra quello ed il p�resente procedimento, perch� a determinare la fattispecie di cU!� all'art. 39, 1� comma, c.p.c. � necessario e sufficiente fa simultaneit� dehl'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di giudici diversi in ordine aMo stesso oggetto e tra le stesse parti. lO SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 29 febbraio 1992, n. 1 -Pres. Crisci -Est. Barberio Corsetti -Fargetta (avv. Ferrari) c. Ministero Difesa ed altri (avv. Stato Russo V.). Impiego pubblico � Rapporto di lavoro subordinato -Nullit� � Diritti patrimoniali del lavoratore -Art. 2126 cod. civ. � Applicabilit�. Il rapporto di lavoro instaurato con la Pubblica Amministrazione, in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano, ove sia espressament� prevista una sanzione di �nullit�� come quella di cui all'art. 12, primo comma, del d.l.c.p.s. n. 207 del 1947, sia esso rapporto a termine o a tempo indeterminato, nasce e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rivelatori del pubblico impiego assumono soltanto fun~ zione di astratta qualificazione al fine della determinazione della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative: a tali prestazioni di fatto, rese nell'ambito del rapporto nullo, si applica l'art. 2126 cod. civ., con tutte le conse-, guenze retributive e previdenziali connesse (1). (omissis) � pacifico che la Signora Fargetta prest� serv1z10 presso il Comando della I Regione aerea -Direzione Demanio di Milano ininterrottamente dal 1� febbraio 1971 al 15 ottobre 1982 con mansioni di dattilografa. Ella si avvalse, per l'espletamento dei suoi compiti, rientranti tra quelli istituzionali dell'amministrazione, dei mezzi e dei locali posti a disposizione dell'amministrazione stessa (con accesso mediante documento di riconoscimento rilasciato dall'amministrazione ai propri dipendenti), osserv� un orario d'ufficio (con sottoscrizione dei fogli di presenza), fu sottoposta a controllo gerarchico e fu retribuita con compensi sostanzialmente costanti anche se formalmente corrisposti su presentazione di fattura. Ne discende che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il rapporto di lavoro intercorso con l'amministrazione militare aveva (1) Cfr. Cass., Sez. Un., 18 marzo 1988, n. 2490, in Mass. Foro It. 1988, p. 303; in dottrina, si veda A� M., Le prestazioni di fatto nel pubblico impiego, in Atti del convegno su Le prestazioni di fatto nel rapporto di lavoro con le USL, Catania 1990 e VIRGA, Il pubblico impiego, Milano 1991. PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA tutte le caratteristiche ritenute dalla giurisprudenza amministrativa indici sostanziali rivelatori di un rapporto di pubblico impiego. La continuit� e l'ultradecennale estensione del rapporto confortano del resto,. tale convincimento .. � Ci� posto, occorre esaminare .se nella fattispecie possa configurarsi, sotto il profilo giuridico, un tappo:rto di pubblico impiego, con. tutte le cox;lseguenze anche economiche che ne derivano; ovvero se le prestazioni rese dalla Fargetta debbano essere valutate come semplici prestazioni di fatto. In primo. luog9 si deve osservare che nella specie non si � in presenza di .n contratto gi,l.avoro a termine pi� volte prorogato, in quanto non risulta che l'a:mministrazione apbia mai adottato un provvedimento in tal senso, ma piuttosto di un comportamento concludente dal quale si evince il perdurare nel tempo del rapporto in relazione al protrasi delle esi~enze dell'am:ministrazione. Fu affidato alla Fargetta un compito di dattilografia, a partire da urta certa data (1� febbraio i971), ed ella seguit� a svolgerlo ininterrottamente fino all'atto di adozione del provvedimento impugnato, .senza che, intervenissero da parte dell'amministrazione atti di conferma o di proroga. Da ci� deriva che l'unico atto lesivo dell'interesse della Fargetta � il provvedimento impugnato, col quale l'Amministrazione le ha comunicato di non avere pi� intenzione di avvalersi della sua opera. Non vi sono dunque dubbi di sorta circa la facolt� del giudice amministrativo di valutare l'intero rapporto, unitariamente considerato. L'ordinallZ.a della quarta Sezione sottopone all'Adunanza, come primo problema, quello della possibilit� di accesso al pubblico impiego in contrasto con quanto disposto dall'articolo 3 dello Statuto degli impiegati civili dello Stato (t.u. 3 gennaio 1957, n. 3) che, espressamente dispone: � salve le eccezioni previste dal presente decreto, l'assunzione agli impieghi senza il concorso prescritto per le singole carriere � nulla di diritto e non produce alcun effetto a carico dell'Amministrazione, ferma restando la responsabilit� dell'impiegato che vi ha provveduto�. Il Collegio osserva che a parte ogni altra considerazione, tale divieto non sembra applicabile al caso di specie, perch� in questo non si discute della possibilit� di accesso senza concorso all'impiego di ruolo, bens� della possibilit� di instaurazione di un rapporto di impiego non di ruolo. Per quest'ultimo, che ha sempre avuto disciplina autonoma rispetto all'impiego di ruolo, si rinvengono nell'ordinamento specifiche disposizioni. L'articolo 12 del D. Lgs. C.P.S. 4 aprile 1947, n. 207, introducendo un espresso divieto di assunzione di personale non di ruolo presso le Amministrazioni dello Stato � per qualunque titolo e sotto qualsiasi forma e su qualunque capitolo di bilancio � comminava la nullit� del provvedi 292 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO .STATO mento assunto in contrasto col divieto e poneva a carico degli amministratori la responsabilit� economica personale e solidale per le assunzioni in contrasto. La stessa disposizione introduceva per� talune eccezioni al divieto, delle quali la pi� rilevante � quella relativa alle assunzioni di carattere eccezionale e straordinario di breve durata. Tale eccezione � quella che ha provocato, nel corso del tempo, maggiori problemi applicativi prestandosi, per la sua genericit�, ad interpretazioni estensive. Con legge 28 ottobre 1970, n. 775, si � inteso porre un rimedio a disfunzioni verificatesi, abrogando ad un tempo tutte le disposizioni che consentivano assunzioni di personale straordinario (art. 25 comma 2) e dando al Governo la delega per disciplinare nuovamente la materia. A tanto si � provveduto col d.P.R. 31 marzo 1971, n. 276, recante norme sulle assunzioni temporanee di personale presso le amministrazioni dello Stato. La legge 28 ottobre 1970, n. 775, all'art. 25, dopo la norma di delega al Governo per la disciplina delle assunzioni temporanee, stabilisce che �con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge cessano di avere efficacia tutte le disposizioni che consentono assunzioni di personale straordinario, anche con contratto di diritto privato o a contratto a termine, comunque denominato�. Il decreto delegato, d.P.R. 31 marzo 1971, all'articolo 3 ha provveduto a regolarizzare la situazione di tutti gli assunti anteriormente alla data di entrata in vigore della legge 775/70 ed ha sancito all'articolo 4 la nullit� di diritto delle assunzioni effettuate in violazione delle disposizioni degli articoli 1, 2 e 3. La Fargetta fu assunta il 1� febbraio 1971, vale a dire dopo l'entrata in vigore della legge, ma prima dell'entrata in vigore del decreto delegato. In tale situazione ella non ha potuto usufruire della citata disposizione contenuta nell'art. 3 in base alla quale l'amministrazione ha provveduto a regolarizzare la situazione di tutti gli altri dattilografi che si trovavano nella sua stessa posizione di lavoro, ma erano stati assunti prima della entrata in vigore della legge n. 775/70. Il primo problema che si pone con riguardo alla fattispecie in esame � se essa rientri nelle ipotesi di assunzione temporanea, ovvero se essa sia da riguardare come un'assunzione a tempo indeterminato, rientrante nel generale divieto di cui alle disposizioni del 1947. Il collegio � d'avviso che, in relazione alla documentazione esibita, nella quale si fa riferimento ad esigenze particolari dell'amministrazione in un determinato periodo, possa ritenersi che l'amministrazione della difesa abbia inteso inizialmente ricorrere all'opera di taluni dattilogra{i PARTE l, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA per sopperire �a �momentanee carenze di personale, anche se, come detto, il rapporto ebbe a protrarsi per il perdurare di tali carenze; Sembra, quindi, che la fattispecie rientri tra quelle disciplinate dalla citata legge n. 775170 e dal d.P.R. n. 276/71. Occorre ora es�i:nin�re �la disposizione abrogativa contenuta nel citato art. 25 della citata fogge n; 775170; Se si ritiene che con esso si sia inteso porre nel nulla il complesso dell� disposizioni che regolavano precedentemente tutto il regime delle assunzioni temporanee, si deve ritenere che all'epoca (1� febbraio 1971) fosse venuta meno anche la sanzione di nullit� dei rapporti di lavoro costituiti in violazione di dette disposizfoni;���se si ritiene, invece, che it legislatore abbia � �nteso� limitare gli effetti dell'abrogazfon� alle disposizfoni che autorizzavano le assunzioni temporanee, mantenendo ferini il divieto e la relativa sanzione di nullit�; si deve concludere che all'atto dell'assunzione della Fargetta vigeva ancora il d�vieto di� cui all'art. 12 primo comma, del d.l.C.p;S. n. 207/1947. L'adunanza Plenaria ritiene che la seconda impostazione interpretativa sia pi� coerente con la ratio della legge n. 775/70, la quale, a mezzo della delega al Governo contenuta nel . primo comma dell'art. 25 si proponeva di sostituire integralmente le deroghe previgenti con un sistema diverso, ma non poteva. non tener fermo il generale divieto di assunzioni di personale non di ruolo sancito dal primo comma dell'art. 12 del d.l.C.p.S. del 1947, poich�, altrimenti, nelle more, sarebbe stata consentita una libert� di �assunzioni, sia pur temporanea, certamente non voluta dal legislatore. Ne discende che il rapporto di lavoro instaurato dall'Amministrazione della difesa con la Fargetta, ai sensi del citato art. 12, deve ritenersi �nullo�. Per quanto riguarda la portata di tale comminatoria, l'Adunanza Plenaria richiama le considerazioni svolte nelle decisioni rese in pari data sui ricorsi Frugis e altri contro Comune di Taranto, e Lagomarsino ed altri contro Provincia di Genova in ordine ad una formulazione normativa che, per i suoi caratteri e per le sue .finalit�, impone una interpretazione rigorosa, nel senso della nullit� intesa in senso civilistico, e pertanto imprescrittibile, insanabile e rilevabile d'ufficio. Da tale impostazione discende una serie di conseguenze, tra le quali la prima � che il rapporto di lavoro instaurato con lo Stato in contrasto con le disposizioni che lo disciplinano, ove sia espressamente prevista una sanzione di � nullit� � del tipo sopra menzionato, sia esso rapporto a termine o a tempo indeterminato, nasce e vive come rapporto di fatto, rispetto al quale gli indici rivelatori del pubblico impiego assumono soltanto funzione di astratta qualificazione al fine della determinazione - RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 294 della giurisdizione e della disciplina economica e previdenziale cui debbono essere sottoposte le prestazioni lavorative. Altra conseguenza � che in simile circostanza a parte qualsiasi altra considerazione, si appalesa inapplicabile la conversione del rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato (art. 2 legge 18 aprile 1962, n. 230) in quanto esiste una specifica disciplina del lavoro temporaneo del personale non di ruolo dello Stato. Poich� si tratta di prestazioni di fatto, in favore della Pubblica Amministrazione, si prospetta poi il problema relativo all'applicabilit� dell'art. 2126 e.civ. da parte del giudice amministrativo. A tal proposito l'indagine relativa alla astratta configurabilit� del pubblico impiego rileva sia ai fini della giurisdizione, sia ai fini del merito. Ripartita la giurisdizione sulla base della domanda circostanziata, accompagnata dall'indicazione dell'esistenza di indici rivelatori dell'esistenza del rapporto di pubblico impiego (Cass. n. 5631/81), il giudice amministrativo dovr� infatti rigettare la domanda relativa all'applicazione dell'art. 2126 solo laddove ritenga che il rapporto dedotto non sia configurabile come pubblico impiego. Ma ci� non si verifica nel caso in esame. Il giudice della giurisdizione si � pi� volte pronunciato, affermando che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, in controversia promossa per conseguire la retribuzione dovuta in relazione a prestazioni lavorative subordinate svolte in favore dello Stato o di enti pubblici non economici, non resta esclusa dalla nullit� del relativo rapporto atteso che, sia pure ai limitati fini della retribuzione, l'art. 2126 e.civ. pone una fictio iuris di validit� del rapporto nullo (Cass., Sez. Un., n. 2993 del 3 maggio 1986 e n. 2490 del 18 marzo 1988). L'art. 2126 del codice civile, sotto la rubrica � prestazioni di fatto con violazione di legge � stabilisce che � la nullit� o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullit� derivi dall'illiceit� dell'oggetto o della causa�. Per stabilire se esso sia applicabile alle prestazioni lavorative di fatto, astrattamente definibili come di impiego pubblico, occorre dunque indagare se nel rapporto sia ravvisabile un oggetto o una causa illecita. Quanto all'oggetto, rappresentato dalla prestazione lavorativa, ci� deve senz'altro escludersi. Per quanto, riguarda la causa, l'indagine appare pi� delicata, essendo a sua volta definita l'illiceit� anche come contrariet� a norme imperative (art. 1343 cod. civ). Come accennato, la Cassazione ha peraltro sempre ritenuto che per causa del contratto debba intendersi la funzione economica giuridica (Cass., 15 gennaio 1947, n. 32; 3 giugno 1967, n. 1216; 11 gennaio 1973, PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 295 n. 68), posta direttamente dalla norma per ciascun contratto tipieo, e presenti contratti atipici attraverso il limite di rispondenza concreta ad una delle funzioni astratte degne di tutela secondo l'ordinamento. Ha al riguardo precisato che anche per i contratti tipici � possibile l'illiceit� della causa ove la funzione astrattamente assegnata al contratto dall'ordinamento venga meno nel contratto concretamente posto in essere. D'altra parte, se per norma imperativa s'intendesse quella che detta la sanzione di nullit� del rapporto di lavoro posto in essere in contrasto con essa, l'art. 2126 non potrebbe mai trovare applicazione nel caso di nullit� del c�mtratto. Ne consegue che l'illiceit� della causa in subiecta materia deve ritenersi limitata alle altre due ipotesi tipiche di causa illecita individuate nell'art. 1343 cod. civ. (contrariet� all'ordine pubblico o al buon costume), ovvero l'individuazione dell'imperativit� delle norme ai fini che ne interessano deve esser fatta in base a parametri diversi da quello della sanzione di nullit�. La Corte Costituzionale, riprendendo un indirizzo gi� tracciato dalla Cassazione (Cass., Sez. Un., 11 gennaio 1973, n. 63), si � recentemente pronunciata su tale argomento (sent. 14-19 giugno 1990, n. 296) affermando testualmente che � l'illiceit� che, ai sensi dell'art. 2126, primo comma, cod. civ., priva il lavoro prestato della tutela collegata al rapporto di lavoro, non pu� ravvisarsi nella violazione della mera ristretta legalit�, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con princ�pi basilari pubblicistici dell'ordinamento�. Nel caso di specie non pu� ritenersi violato nessun principio fondamentale perch� il rapporto di lavoro temporaneo nello Stato � sempre stato previsto, anche se � stato assoggettato a precisi limiti temporali (da ultimo anche dalla legge 28 dicembre 1988, n. 554). E, riprendendo la citata sentenza della Corte Costituzionale � la violazione di un limite temporale dettato dalla legge per ragioni che non attengono a princ�pi giuridici ed etici fondamentali dell'ordinamento non si riflette in un giudizio di illiceit� della prestazione di lavoro �, L'Adunanza Plenaria condivide l'accennata impostazione, nella considerazione che � intenzione del legislatore tutelare le prestazioni esplicate effettivamente dal lavoratore, a meno che il contratto nullo che ha reso di fatto possibili tali prestazioni, non urti, con la partecipazione di entrambi i contraenti, con indirizzi vitali per l'integrit� dell'Ordinamento. Le stesse considerazioni possono essere svolte per l'ipotesi di cui all'art. 1344 cod. civ., che estende l'illiceit� della causa al caso in cui il contratto costituisca il mezzo per eludere l'applicazione di norme imperative. Pu� aggiungersi che nel caso del negozio in frode alla legge le parti pongono in essere una dichiarazione negoziale effettivamente voluta da entrambe, al fine di eludere una norma imperativa. 296 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Nel caso che ne occupa, invece, le parti nulla hanno dichiarato, n� risulta la volont� fraudolenta, avendo esse semplicemente posto in essere un rapporto di lavoro di fatto collegato ad esigenze reali, sia pure in violazione di un divieto assoluto. Potrebbe al massimo ricadersi nel caso della simulazione (emergente dal pagamento delle prestazioni sulla base di fatture di quasi costante importo). Non ogni simulazione nasconde per� una ipotesi di frode alla legge. Deve pertanto concludersi che nella fattispecie l'incarico attribuito dall'appellante si � risolto in un rapporto avente le caratteristiche del pubblico impiego; che tale rapporto � nullo in forza di quanto disposto dall'art. 12 del D.L.C.P.S. n. 207/1947; che alle prestazioni di fatto rese dalla Fargetta deve applicarsi l'art. 2126 cod. civ., con tutte le conseguenze retributive e previdenziali connesse. L'appello deve pertanto essere accolto nei limiti sopra descritti. CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 16 marzo 1992 n. 8 -Pres. Crisci -Est. Bozzi -Ministero dei Trasporti (avv. Stato Cocco) c. Denitto e altro (avv. Recca). ~ Impiego pubblico -Dipendenti dell'Azienda Autonoma di assistenza al volo -Passaggio ad altra Amministrazione -Applicabilit� degli artt. 202 T.U. n. 3 del 1957 e 12 d.P.R. n. 1079 del 1970 -Esclusione. Considerata la normale accezione del termine �Amministrazione statale �, l'Azienda di assistenza al volo non pu� qualificarsi come apparte I nente ad essa: l'Azienda ha, infatti, una personalit� giuridica del tutto I distinta da quella dello Stato, come espressamente sottolinea l'art. 1 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145 e deve, pertanto, escludersi l'inserimento funI zionale dell'Azienda stessa nell'organizzazione statale (1). Non � consentito comprendere anche l'Azienda autonoma di assistenza al volo nel novero delle amministrazioni alle quali riferire la sfera di operativit� degli artt. 202 del t.u. n. 3 del 1957 e 12 del d.P.R. n. 1079 del 1970 -relativi al divieto della c.d. reformatio in peius del trattamento economico raggiunto dall'impiegato nell'ipotesi di un mutamento di carriera nell'ambito dell'organizzazione burocratica dello Stato -perch� non ricorrono a tal fine le condizioni richieste da tali norme (2). I (1) Su:lle aziende autonome e la loro natura cfr. P. VIRGA, Manuale di diritto amministrativo, I, Milano, 1991, 58 e segg. ! (2) Sul divieto di reformatio in pejus nel pubblico impiego cfr. Cons. I Stato, Sez. V, 21 dicembre 1985, n. 26, in Cons. Stato, 1985, I, 1561; in dottrina, j si veda P. VIRGA, Il pubblico impiego, Milano 1991, 243. II I �I I I PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (omissis) Viene sottoposta all'Adunanza Plenaria la questione della applicabilit� dell'art. 12 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1079 (in relazione all'art. 202 del d;P.R. 10 gennaio 1957, n. 3) a due dipendenti dell'Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale, transitati al Ministero dei Trasporti. Quest'ultimo; con gli atti di appello, contesta che nei casi in esame possa �trovare� applicazione il meccanismo, contemplato dal citato art..12, di rideterminazione del trattamento economico goduto dagli interessati quali dipendenti del Ministero dei Trasporti, con riferimento al precedente trattamento economico, presso l'Azienda di assistenza al volo. A suo avviso l'Azienda, ente pubblico non economico distinto dallo Stato, non pu� essere. qualificata � amministrazione dello Stato � ai sensi e per gli effetti delle su richiamate disposizioni. Gli appelli sono fondati. Nell'accogliere la domanda dei ricorrenti, il TAR ha affermato che l'Azienda di assistenza al volo � svolge funzioni proprie dello Stato � e che pertanto � da ricomprendere tra i c.d. �enti strumentali rispetto allo Stato e perci� legati a questo da vincoli di soggezione �. Dal canto loro gli appellati, contestando le tesi svolte dalla difesa della Amrilinistrazione, richiamano, fra l'altro, la legge 7 agosto 1990, n. 248, la� quale prevede che per il� trattamento di quiescenza e di previdenza dei dipendenti dell'Azienda trovino applicazione le disposizioni del T.U. 29 dicembre 1973, n. 1092; delle norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato. Sicch�, secondo il TAR e le pari appellate, la �statizzazione� della Azienda risulterebbe� in modo evidente dal modello di organizzazione tracciato dall'ordinamento dell'Azienda stessa, contenuto nel d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, e caratterizzato dalla natura della attivit� dell'Ente, nonch� dalla intensit� dei poteri di direttiva e di controllo, anche di merito esercitati dallo Stato. Ritiene l'Adunanza Plenaria che, considerata la normale accezione del termine �Amministrazione statale� l'Azienda di assistenza al volo non possa qualificarsi come appartenente ad essa. L'Azienda ha, infatti, una personalit� giuridica del tutto distinta da quella dello Stato, come espressamente sottolinea l'art. 1 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145. Per le stesse ragioni l'Azienda di assistenza al volo non pu� essere assimilata ad una azienda statale autonoma, inquadrata organicamente nell'Amministrazione dello Stato. Essa, infatti, non � dotata di mera autonomia amministrativa, finanziaria e contabile nell'ambito dell'apparato statale, ma � nettamente separata dallo Stato essendo munita di un proprio patrimonio � giuridicamente distinto da quello dello Stato (art. 18 d.P.R. n. 145 del 1981), avendo propri amministratori e revisori (art. 7 seg.), - RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 298 avendo dipendenti con un proprio stato giuridico (art. 26) e costituendo, insomma, un centro di riferimento di rapporti, di diritti e di obblighi che non sono imputabili allo Stato Amministrazione e neanche allo Stato Ordinamento. Ora, come � noto, � stato in pi� occasioni affermato dalla giurisprudenza, che l'art. 202 del T.U. n. 3 del 1957 prevede l'attribuzione di un assegno personale utile a pensione agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova qualifica solo nel caso di passaggio di carriera presso la stessa amministrazione o diversa amministrazione, � ma anche essa statale � (Sez. VI, 20 febbraio 1970, n. 102; Sez. IV, 2 luglio 1969, n. 333). Si �, al riguardo, osservato (Cons. Stato, Sez. IV, 21 novembre 1958, n. 878) che l'intento del legislatore � stato quello di conservare al personale che passi da uno ad altro ruolo della stessa o di altra Amministrazione, la posizione economica acquisita al momento di passaggio (favorito attualmente dall'orientamento verso la �mobilit��), in modo che mai il mutamento di carriera � nell'ambito dell'Organizzazione burocratica dello Stato � possa comportare, per gli interessati, un � regresso � nel trattamento economico raggiunto. E di � regresso � pu� parlarsi confrontando posizioni omogenee nel contesto di un sistema burocratico unitario, entro il quale il dipendente statale si sposti con le modalit� previste per il �passaggio� ad altra Amministrazione o ad altra carriera (v. art. 199 e 200 del Testo Unico n. 3 del 1957) e non attraverso una libera vicenda di dimissioni e di riammissioni nel servizio statale. Sotto gli accennati profili, dunque, la normativa invocata dagli interessati non appare applicabile. Il Collegio non ignora che alcune pronunzie hanno affermato che il citato art. 202 del Testo Unico del 1957 ed il meccanismo da esso contemplato possono trovare applicazione dilatando o travalicando l'area dello Stato-Amministrazione in senso stretto, inteso come soggetto di diritto al cui interno si articolano varie branche operazionali. Cos�, l'art. 202 e il collegato art. 12 del d.P.R. n. 1079 del 1970 sono stati ritenuti estensibili a favore di dipendenti gi� appartenenti al personale della Banca d'Italia, dell'Amministrazione per le Attivit� Assistenziali Italiane ed Internazionali, del Senato della Repubblica e delle Universit�, sulla motivazione che l'attribuzione a quegli organismi e istituzioni di una sfera giuridica distinta sotto altri aspetti dallo Stato Amministrazione, e di una particolare autonomia non di mera esecuzione, non costituisce circostanza idonea a escludere l'operativit� del meccanismo contemplato dalle su citate disposizioni. Si tratta non dell'applicazione di un principio generale, ma di situazioni eccezionali in cui si � ritenuto di poter pervenire ad una interpre PARm I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA tazione estensiva delle norme citate, tenendo conto, caso per caso, dello strettissimo collegamento funzionale degli Organismi� presi in considerazione con lo Stato, con i suoi fini e con i suoi poteri essenziali, ovvero dell'appartenenza degli interessati alla categoria dei funzionari dipendenti dallo Stato, anche se fuori dall'ambito dell'Esecutivo. Nella materia, che qui interessa, dei dipendenti degli enti pubblici, pu� ritenersi che l'accennata interpretazione estensiva sia percorribile, di massima, per i cosiddetti �enti-organi�, o �organi con personalit� giuridica � o �uffici entificati �. Si tratta di una categoria limitata in cui� l'attribuzione della qualifica di organo sta a. sottolineare l'assoluta e connaturale essenzialit� per lo Stato delle funzioni esplicate dall'ente, e in cui il conferimento della personalit� giuridica appare frutto di contingenti valutazioni relative all'opportunit� di un distacco dalle normali regole in vigore presso l'Amministrazione statale. Nei predetti casi, in altri termini, vi � pi� l'apparenza che la sostanza di una separazione fra enti pubblici e Stato, costituendo essi una sostanziale unit�, caratterizzata dalla immedesimazione tecnologica e funzionale. Sembra per� inammissibile dilatare l'interpretazione in modo da ricomprendere nell'ambito della normativa di cui all'art. 202 del Testo Unico, i dipendenti di tutti gli enti pubblici c.d. �strumentali�, a prescindere dalle accennate, eccezionali caratteristiche. Non pu� dirsi, infatti, che gli enti parastatali o strumentali svolgano indiscriminatamente compiti � istituzionalmente � statali, e che, perci�, siano Stato. Al di fuori della contingente disciplina normativa delle singole fattispecie, � infatti spesso arduo, specialmente in materia di servizi di utilit� pubblica, tracciare il confine fra attivit� proprie dello Stato e attivit� da esso distinte (si pensi alle vicende delle ferrovie, degli enti pubblici economici, delle partecipazioni statali, della Banca d'Italia, ecc.). Vero �, invece, che gli enti parastatali o strumentali svolgono, in genere, attivit� � complementari � a quella dello Stato e soggette a un intenso controllo statale, non attivit� statali; sono vicini allo Stato, e a volte indispensabili per lo svolgimento della sua attivit�, ma non sono Stato. Nel caso di specie, va considerato che l'Azienda autonoma di assistenza al volo non � un organo-ente, poich� non esiste un rapporto di immedesimazione organica con l'Amministrazione .Statale, pur se lo Stato ha poteri di direttiva, esercita un penetrante controllo, anche di merito, e pur se altri aspetti organizzativi dell'Ente si richiamano alla disciplina vigente per l'Amministrazione statale. D'altra parte i compiti dell'Azienda, quali sono indicati negli artt. 3 e 4 del d.P.R. 24 marzo 1981, n. 145, hanno natura prevalentemente tecnica e, pur se appaiono rilevanti per l'interesse collettivo, non determinano 300 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO una coessenzialit� fra organizzazione dell'ente e organizzazione statale (come accade, del resto, per altri servizi esercitati da enti vari). Deve conseguentemente escludersi l'inserimento funzionale dell'Azienda nell'organizzazione dello Stato. Deve altres� escludersi che il vigente ordinamento assegni all'Azienda una collocazione tale da indurre a considerarla riconducibile nell'ambito dello Stato-Comunit� (o dello Stato-Ordinamento), come pu� ipotizzarsi per talune Amministrazioni indipendenti o per taluni settori amministrativi appartenenti a poteri statali diversi dall'organizzazione governativa. Per le considerazioni sopra svolte, non � pertanto consentito comprendere anche l'Azienda autonoma di assistenza al volo nel novero delle amministrazioni alle quali riferire la sfera di operativit� dei pi� volte citati artt. 202 del T.U. n. 3/1957 e 12 del d.P.R. n. 1079/70, non ricorrendo a tal fine le condizioni richieste da quelle norme (a parte le modalit� particolari con cui si � attuato, nella specie, l'inserimento degli interessati dall'Amministrazione statale nell'ente, il successivo distacco dall'Ente, e la riammissione in servizio statale). Per le esposte considerazioni, gli appelli debbono essere accolti, con la conseguente totale riforma delle sentenze appellate. I I CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 28 febbraio 1992, n. 238 -Pres. Paleologo -Est. Santoro -Presidenza del Consiglio dei Ministri (avv. Stato ~ Laporta) c. Catrical� ed altri (avv. Marzano). Impiego pubblico -Stipendi, assegni e indennit� -Indennit� di funzione dei magistrati e indennit� � di presidenza � -Cumulabilit�. L'indennit� ex art. 8 legge 8 agosto 1985 n. 455 (c.d. indennit� � di Presidenza � spettante al personale � comunque in servizio � presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri) � cumulabile con l'indennit� di funzione di cui all'art. 3 legge 19 febbraio 1981 n.27, spettante ai magistrati ed equiparati, indipendentemente dall'effettivo esercizio di funzioni giurisdizionali, o di difesa giudiziale e consulenza alle Amministrazioni. (omissis) L'appello � infondato. La questione di diritto da risolvere nella presente controversia consiste nello stabilire se alla corresponsione agli appellati della c.d. � indennit� di Presidenza� di cui all'art. 8 della legge 8 agosto 1985, n. 455, sia di ostacolo il divieto di cumulo stabilito dal capoverso del medesimo articolo, secondo cui tale indennit� �sostituisce ogni altra indennit� o compenso dovuti in relazione all'espletamento delle effettive prestazioni ordinarie di servizio o comunque connessi all'espletamento di compiti di istituto�, e ci� in relazione alla speciale indennit� non pensionabile c.d. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 301 �di funzione� di cui all'art. J della legge 19 febbraio 1981, n. 27 ed agli artt. 1 e 2 della legge 6 agosto 1984, n. 425, goduta dagli appellati nel periodo in cui essi hanno anche� prestato servizio.� presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il problema consiste, in particolare, nello stabilire se l'indennit� ex legge n. 27/1981 abbia natura retributiva ovvero indennitaria e, comunque, se essa sia connessa con 1a prestazione effettiva di servizi non pi� espletati dagli appellati a seguito del comando o distacco od altra forma dt applicazione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nella seconda ipotesi infatti non soltanto opererebbe il divieto di cum.lo sopra esaminato, ma sorgerebbe anche l'onere per gli interessati di scegliere tra le Indennit� o compensi goduti presso l'Amministrazione di appartenenza e. l'indennit� ex art. 8 legge 455 cit., giusta l'ultimo comma di tale articolo. Il criterio per la disamina del problema � stato individuato dal parere della I Sezione del Consiglio di Stato 15 giugno 1988, n. 1519. Sulla base delle indicazioni contenute nella decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 16 dicembre 1983, n. 27, circa la natura strettamente retributiva dell'indennit� ex legge n. 27/1981 e n. 425/1984 in quanto legata allo status di magistrato (o di avvocato o procuratore dello Stato) e non gi� all'effettivo ed attuale esercizio delle funzioni giurisdizionali (o di difesa giudiziale e consulenza alle Amministrazioni), il richiamato parere ha concluso per la piena compatibilit� di questa con la diversa indennit� c.d. � di Presidenza �. Depongono a favore delle tesi qui condivise pure circostanze ulteriori. L'indennit� c.d. � di funzione � � soggetta al medesimo sistema di rivalutazione periodica previsto per lo stipendio tabellare. Compete anche a soggetti che occasionalmente assumano lo status di magistrato, ed indipendentemente dall'effettivo esercizio delle relative funzioni (cos� la legge 25 ottobre 1982, n. 795 che l'ha estesa ai giudici popolari). Di essa � espressamente esclusa la pensionabilit� e la computabilit� ai fini della determinazione delle indennit� parlamentari; esclusioni queste che resterebbero prive di significato se non riferite ad emolumento di carattere retributivo. � corrisposta in ratei mensili, insieme con lo stipendio tabellare e le altre voci stipendiali. Ed � soggetta al medesimo trattamento tributario dei redditi di lavoro dipendente, dimodoch� il collegamento dell'indennit� in questione con gli �oneri� inerenti allo svolgimento dell'attivit� resta soltanto formale. N� infine � inutile ricordare che il divieto di cumulo, anche a seguito dell'interpretazione qui accolta, conserva la sua logica in relazione a tutte quelle indennit� aventi carattere di premio o compenso incentivante, incompatibili come tali con l'indennit� � di Presidenza �, in quanto stret tamente collegate ad un'attuale prestazione del servizio presso l'Am ministrazione di provenienza ed alla produttivit� del medesimo.( omissis) SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 2 aprile 1992 n. 4017 � Pres. Corda -Est. Carbone -P. M. Donnarumma (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta) c. Ospedali civili di Brescia (avv. Carboni Corner). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Imposte indirette -Atti impugnabili -Avviso di liquidazione preceduto da avviso di accertamento di valore -Impugnabilit� per contestare la debenza dell'imposta proporzionale. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16). L'avviso di liquidazione dell'imposta di registro anche se preceduto dall'avviso di accertamento di valore, � impugnabile su tutto quanto at~ tiene alla liquidazione dell'imposta (1). I (omissis) Con il primo mezzo del proposto ricorso, l'Amministrazione I I ili finanziaria censura l'impugnata sentenza per violazione e falsa applicalli Im zione dell'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 lamentand� la mancata declaratoria di inammissibilit� del ricorso del contribuente avverso l'avviso di liquidazione di imposta in quanto non preceduta dall'impugnazione dell'avviso di accertamento da considerarsi presupposto indispensabi!e II del secondo. In altri termini, se il contribuente non impugna l'avviso di accertamento decadrebbe in ogni caso dal diritto di impugnare successivamente la liquidazione, l'ingiunzione, il ruolo e l'avviso di mora per vizi che non siano loro propri. @ (1). Decisione esatta. Per antica tradizione nelle imposte indirette sul trasferimento della ricchezza vi � sempre stata una netta separazione (a cui un tempo corrispondeva anche una distinta competenza degli organi del contenzioso) tra atti relativi alla determinazione della base imponib�'le (accertamento di valore, un tempo concordato) e atti relativi aHa determinazione dell'imposta con riferimento ad una base imponibile anteriormente definita (ingiunzione e poi avviso di liquidazione). Tale separazione � conservata nelle norme sostanziali e processuali deHa riforma: l'accertamento di maggior valore contiene soltanto l'indicazione di un valore ed � impugnabile solo per ragioni estimative; successivamente e separatamente interverr� l'avviso di liquidazione che, sulla base del valore predeterminato, liquider� l'imposta e sar� impugnabile soltanto per ragioni di imponibilit�. Questo tradizionale assetto, che invero appesantisce i procedimenti, tende ad essere superato: gli artt. 34 e 35 del t.u. sull'imposta di successione (d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 346) stabiliscono che l'Ufficio del registro provvede con lo PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 303 La censura � infondata. Nella fattispecie � pacifico in punto di fatto che l'Ufficio del Registro di Brescia ha notificato agli Ospedali civili di Brescia avviso di accertamento di maggior valore in data 5 novembre 1981 e che detto accertamento � divenuto definitivo ed inoppugnabile per mancanza di contestazione, avendo il contribuente ritenuta esatta la valutazione degli immobili compiuta dal Fisco. Successivamente il Fisco ha notificato in data 11 maggio 1982 avviso di liquidazione applicando sui valori non contestati l'imposta proporzionate. Avverso quest'ultimo avviso, impugnabile autonomamente ai sensi del comma 1 dell'art. 16 del richiamato d.P.R. 636/1972, il contribuente presenta ricorso contestando unicamente la misura dell'imposta, in quanto considera illegittima quella proporzionale applicata dall'ufficio, mentre ritiene corretta quella fissa da applicare sulla non opposta e definitiva valutazione. Ci� nonostante secondo il Fisco dovrebbe dichiararsi inammissibile il ricorso avverso l'avviso di liquidazione d'imposta in quanto non preceduto dall'impugnazione dell'avviso di accertamento da considerarsi atto presupposto. Ma l'argomentazione non regge ove si pensi che l'oggetto della controversia attiene alla misura dell'imposta, proporzionale o fissa, in relazione alla quale l'accertamento di valore non esplica alcun rilievo e non pu� pertanto atteggiarsi ad atto presupposto della successiva liquidazione. Questa autonomia, relativa al tipo di liquidazione e cio� all'imposta in concreto applicabile, tra avviso di liquidazione e avviso di accertamento trova piena conferma nella norma del citato art. 16 sotto un duplice profilo. Da un lato, la norma al terzo consente espressamente l'impugnazione dei c.d. atti conseguenti quali l'ingiunzione, il ruolo e l'av stesso atto alla rettifica e alla liquidazione della maggiore imposta. Resta ancora l'antica separazione per l'imposta di registro. In base al sistema tradizionale pu� bene accadere che la determinazione della base imponibHe, che pu� anche essere il risultato di un laborioso giudizio, pu� rivelarsi irrilevante se in altra sede si stabilir� che � dovuta l'imposta fissa (si ricordano tuttavia i casi, pi� frequenti in passato, in cui si doveva proce dere aH'accertamento di valore, nell'osservanza del termine, per l'eventualit� che a seguito della decadenza da agevolazioni dovesse liquidarsi l'imposta pro porzionale). La contestazione dell'avviso di liquidazione per ragioni di imponibilit� pu� incontrare un limite, di natura sostanziale, nel principio della consolidazione del criterio di tassazione: se l'ufficio in sede di liquidazione dell'imposta prin cipale ha liquidato e percepito l'imposta proporzionale liquidata con un deter minato criterio (il che � presumibile se poi l'ufficio ha proceduto ad accerta mento di maggior valore), quel criterio non sar� contestabile se entro tre anni non � stato domandato il rimborso dell'imposta principale ex art. 77 d.P.R. n. 131/1986 e art. 42 comma 2 d.P.R. n. 346/1990: non � infatti ammissibile che l'imposta principale sia liquidata con un criterio (ad es. aliquota 8 %) e l'imposta completamente con un criterio diverso (ad es. aliquota 1% o fissa) . � ,����,����,.""....Jr... RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 304 viso di mora senza l'impugnazione dell'atto presupposto quando si tratti di � vizi propri � ed autonomi del singolo atto; e la sola misura dell'imposta, fissa o proporzionale, costituisce un vizio proprio dell'avviso di liquidazione che non richiede affatto la preventiva impugnazione dell'atto presupposto. Dall'altro, da un esame attento della normativa, si evince che il legislatore mentre per l'ingiunzione, il ruolo e la mora ha creato tranne che per i vizi propri -questo collegamento con l'atto presupposto che pu� essere uno dei due avvisi (accertamento o liquidazione), una siffatta conseguenzialit� non ha posto invece tra gli stessi, cio� tra avviso di accertamento ed avviso di liquidazione. In altri termini, erra il ricorrente quando vuole porre sullo stesso piano dell'ingiunzione, del ruolo e della mora, l'avviso di liquidazione, perch� il legislatore ha considerato entrambi gli avvisi come atti presupposti senza porre alcuna conseguenzialit� tra accertamento e liquidazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 aprile 1992 n. 4085 -Pres. Favara -Est. Olla -P. M. Romagnoli (conf.) -Ravaioli (avv. Ravaioli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari -Fabbricati -Procedimento catastale -Classamento Motivazione -Requisiti. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Redditi fondiari -Fabbricati -Ricorso contro il classamento -Motivi. (d.P.R. 1 dicembre 1949, n. 1142, artt. 74 e 75). L'atto di classamento di un fabbricato � sufficientemente motivato con la sola indicazione dei dati oggettivi della categoria e della classe (1). Il ricorso contro il classamento sull'applicazione della categoria e della classe � inammissibile ove non contenga, a norma dell'art. 75 del d.P.R. 1 dicembre 1949 n. 1142, l'indicazione delle unit� immobiliari della stessa zona da assumere a raffronto. Il ricorso contro il classamento sulla consistenza � inammissibile, a norma dell'art. 74 dello stesso d.P.R., se non � allegata la planimetria dell'unit� immobiliare o non � depositata la somma necessaria per la spesa occorrente per la verifica d'ufficio (2). (omissis) 1. -La Corte d'appello di Roma ha affermato che tutte le censure formulate da Parisio Ravaioli nei confronti della decisione della Commissione tributaria di secondo grado in Roma che aveva rigettato (1-2) Sulla prima massima v. Cass. 17 novembre 1983, n. 6854, in questa Rassegna, 1984, I, 161 e Corte Cost. ord. 10 marzo 1988, n. 296. l'~li. s~vv, GIURI;$J'l,lUDBN,:zlA TRIBU'l'A!UA . . . . .. � �.� =�,,=~~==:n:1as.:!'Z:;::s=:~ ragi()l:li� .> > .�... �.. < .. �.� ��..� �. .. . . � � . . ...� .���.......� . � � . . . .� � �� m�a~11s1~~1f:@ di c.(a!I'art. 75, c, 1. d.:�.R. 19 dicembre 1949, .11.1142. . . . . . . . � -~=:~~ � reg9lare plaJliD.)e?'ia dell'unit~ imlll()bili~re urbma; fit1llata da ingegnere o� �arcJ:iitett()�� o��petjto��edile�� <l���. Se<lntet:ra;.�:iscritti�nei.�.rispetti:Vi�� albi�. pf'ofes� siomiJi. �~ rlt1la:O:end:o inosseJ;'Vat~, di conseguen,za,Ja, prescrizione����c.U. cui a1 pr�n9e()tn1lla dell'art" 74 del d.PJ.l. n� 1142 4el:1949.,... �.� .. � dlst~!i�� i!II!i:~~:��~�c�J~�..~���P~i~. lll()~ixri���~���~}\~s~fone�...su...tre ..ProfiU ... l))~elprbno, sostiene cl:fo, n�ll'il'ripugriar� da'\'antialla. Corte d'appello di Rom~la cte��sio?le della CoJX!1lli~si().e t.rfb.taria di. secondo grado, aveva 11:at~~1!l~i��z~ Affeffu~(che fa Corte ]�ri;it()rial�.. no1i ha esaJl'.l�tiato � .ta1 .. motivo d'~Pp�l1(), ~t�i� i?�l'cb.� ri� ha �qw\rddath u�SAt�n~t.oi .lia ritenuto .c1le.. eon 10 11tes110 f()i;se stat() de.J,lll�i~to che, � ~hl punto; la (lecisione . tributaria era r~~~~~~M~l~'t..~IB Denuncia, perci�, con riferifueri.to all'art. 360 n. 4Cod. � pf'oc. civ., che la se11tell:za. d'appello � y.iata per extra od ultra I!~92't()l:le. avendo .deciso UI1 motiv() non proposto; e per oni,~ssa pronuncia J?er n<ln aver. deciso sulla censura concretamente proposta. II) Nel secondo profilo il ricorrente sostiene che, ove si debba con� eludere che la Corte romana ha esaminato, e rei;pinto, Ja .censura effet� 11 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 306 tivamente formulata, sulla base del principio che l'avviso di dassamento non deve essere motivato, allora la sentenza d'appello ha violato l'art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Questa norma, infatti, ha introdotto nel sistema positivo il principio per il quale tutti indistintamente gli avvisi di accertamento connessi ad una imposizione tributaria diretta devono essere motivati a pena di nullit�; quindi, ha introdotto l'onere della motivazione anche con riferimento agli avvisi di classamento catastale d'un immobile. III) Nel terzo profilo, infine, sostiene che ove, invece, si debba ritenere, in alternativa, che la Corte territoriale ha respinto il motivo sotto la prospettiva che, nella specie, l'avviso fosse congruamente motivato, allora � incorsa nel duplice vizio di violazione di legge e di difetto di motivazione. Sotto la prima prospettiva, in quanto a realizzare una motivazione valida a mente dell'anzidetto art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, non � sufficiente che l'avviso si limiti ad enunciare circostanze idonee a porre in grado il contribuente che intenda farlo, di contestare i dati dell'accertamento, ma � necessario che giustifichi analiticamente i dati indicati dall'Ufficio Tecnico Erariale. Sotto l'altra prospettiva, in quanto -anche ad accedere alla conclusione meno rigorosa in tema di contenuto della motivazione -non si pu� dire adeguatamente motivato un avviso che, come nella specie, si limiti ad attribuire la categoria (A/7), e la classe (7) nonch� a fissare il numero dei vani (8) senza fornire altra giustificazione. 2.2. -Tutti i profili devono essere respinti. 2.3. -In relazione al primo motivo dell'appello del Ravaioli, la Corte di Roma ha affermato che � la motivazione dell'avviso di accertamento relativo all'accatastamento di un immobile � data attraverso gli elementi tecnici essenziali che ne determinano la classificazione catastale ed �, quindi, del tutto sufficiente a porre in grado il contribuente, che intenda farlo, di contestare i dati di accertamento�. Dunque, non solo ha preso in esame il motivo (sicch� non � incorsa negli errores in procedendo denunciati nel primo profilo) ma ha anche affermato che l'avviso di classamento deve essere motivato, di modo che risulta infondato anche il secondo profilo. 2.4. -Nel contempo, sono corretti sia il principio enunciato in ordine al contenuto dell'avviso di classamento, che la sua applicazione al caso di specie. Come ha affermato, sia pure in estrema sintesi, la Corte territoriale, l'obbligo della motivazione di siffatto avviso si deve ritenere osservato PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 307 anche mediante la mera indicazione dei dati oggettivi acclarati dall'ufficio tecnico e della classe conseguentemente attribuita all'immobile, trattandosi di elementi idonei a consentire al contribuente, mediante il raffronto con quelli indicati nella propria dichiarazione, di intendere le ragioni della classificazione, s� da essere in condizione di tutelarsi mediante ricorso alle Commissioni tributarie (cfr., Cass. 19 novembre 1983, n. 6854 e 31 marzo 1989, n. 1582). Quindi, sono infondate anche le due censure del terzo profilo. 3.1. -Il secondo mezzo di cassazione � pur esso articolato in tre profili. I) Il primo, investe la statuizione della sentenza d'appello che ha dichiarato inammissibile l'impugnazione nella parte relativa alla contestazione della classe e della categoria attribuite all'immobile del Ravaioli, a norma dei primi due comma dell'art. 75 d.P.R. 1� dicembre 1949, n. 1142. Il ricorrente sostiene che questo precetto normativo deve essere disapplicato in quanto si tratta d'un atto amministrativo (� contenuto in un testo avente natura formale e sostanziale di regolamento) nullo per violazione di legge: mentre introduce a carico del reclamante un onere che realizza l'inversione della disciplina legale sull'onere della prova dettata dall'art. 2697 Cod. civ., una siffatta inversione non pu� essere imposta da una norma avente mera natura amministrativa. Denuncia, perci�, la violazione degli artt. 2697 Cod. civ. nonch� dell'art. 75 d.P.R. n. 1142 del 1949. II) Il secondo profilo investe l'affermazione della sentenza d'appello che, in ogni caso, la contestazione della classificazione avrebbe dovuto essere rigettata in quanto assolutamente generica e sfornita di qualsiasi elemento di riscontro. Secondo il ricorrente, invece, mentre le proprie contestazioni erano precise e sorrette da adeguati elementi di conforto, la statuizione della Corte romana � priva di valida motivazione perch� � giustificata da una argomentazione apodittica e contraddittoria. Da ci� la denuncia di violazione degli artt. 115 e 116 Cod. proc. civ. disciplinanti i doveri del giudice in tema di valutazione degli elementi di prova acquisiti nel giudizio; nonch� di vizo di motivazione su un punto decisivo. III) Il terzo profilo, da ultimo, investe il rigetto della contestazione circa le determinazioni dell'ufficio in ordine alla consistenza dell'unit� immobiliare del Ravaioli, giustificato con il richiamo della mancata produzione in giudizio di una copia della planimetria dell'immobile. Secondo il ricorrente, la Corte di Roma ha violato l'art. 74 d.P.R. n. 1142 del 1949 perch�, alla stregua di questa norma, la mancata produzione 308 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO in giudizio cli detta planimetria, determina non gi� il rigetto della contestazione, sibbene soltanto il � dovere della Commissione di acquisirla d'ufficio, salvo a porre la relativa spesa a carico dell'interessato nella ipotesi di infondatezza del ricorso �. La Corte territoriale, perci�, � venuta meno al suo dovere di accertare d'ufficio la reale consistenza dell'immobile in questione. 3.2. -Nessun profilo pu� essere condiviso. 3.3. -Dall'esegesi dell'art. 75 d.P.R. n. 1142 del 1949 e, in particolare, dal canone testuale emerge il precetto normativo per il quale, l'atto di impugnazione davanti alle Commissioni (ora) tributarie del provvedimento che attribuisce ad una unit� immobiliare urbana la classe e la categoria, non pu� limitarsi ad una generica contestazione della classificazione adottata, ma deve ancorare la censura, a pena cli preclusione dell'esame del merito dell'impugnazione, alla denuncia della diversit� di trattamento riservata dall'Amministrazione a fattispecie omogenee speficamente e concretamente richiamate. La norma, cio�, si limita a disciplinare l'atto di impugnazione ed a subordinare l'esame del merito della contestazione alla presenza, in quell'atto, della enunciazione dello specifico motivo di doglianza (sostanzialmente il vizio della classificazione per eccesso di potere) prima enunciato. Vale a dire, che introduce soltanto un requisito dell'atto di impugna� zione e non incide in alcun modo sul regime dell'onere della prova e della relativa ripartizione che rimane assoggettato alla disciplina ordinaria. Ne risulta immediata l'infondatezza dell'affermazione sulla quale il ricorrente incentra il primo profilo del motivo (ossia che la norma immuta il regime ordinario dell'onere della prova) e, di conseguenza, dell'intero profilo. Ed � appena il caso di sottolineare come il progetto normativo nella portata qui ricostruita, risulta del tutto conforme ed armonico ai principi generali del nostro sistema positivo in tema di requisiti degli atti cli impugnazione d'un provvedimento amministrativo, che subordinano l'esame del merito delle censure alla loro specificit�. Quindi, si deve escludere la configurabilit� di alcun vizio che comporti la disapplicazione del precetto di cui all'art. 75 d.P.R. n. 1142/1949, la cui natura d'atto amministrativo non � contestata. Perci�, una volta che -come � incontroverso -il ricorso del Ra vaioli alla commissione tributaria di primo grado non conteneva il requisito del quale si tratta, risulta corretta la statuizione della sentenza impugnata circa la preclusione all'esame della contestazione dell'attuale ricorrente sul punto relativo alla classificazione dell'immobile. Ne consegue il rigetto del profilo. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 3.3. -Tanto comporta anche che il ricorrente non ha interesse al secondo profilo. Esso investe una ratio decidendi che la Corte territoriale ha sviluppato solo in via subordinata rispetto alla ragione principale del rigetto della censura sulla classificazione. dell'immobile fondata, come s'� detto, sulla preclusione all'esame della questione. Di conseguenza, il rigetto della censura afferente a tal ratio e la connessa intangibilit� della decisione sul punto fan s� che l'eventuale accoglimento del profilo non potrebbe mai determinare l'annullamento della statuizione una volta che la stessa rimarrebbe ancorata alla ratio principale. Pertanto, il profilo � inammissibile. 3.4. -Infine, dal secondo comma dell'art. 74 del d.P .R. n. 1142/1949 si evince in modo univoco che di fronte all'omissione della produzione della planimetria dell'immobile da parte dell'interessato il quale abbia impugnato il prowedimento di classificazione catastale per ragioni inerenti alla consistenza attribuita all'unit� immobiliare, sorge effettivamente il dovere della Commissione tributaria di procedere d'ufficio alla verifica della reale consistenza dell'unit� medesima: tanto, tuttavia, non gi� in ogni caso -come sostiene il ricorrente -ma soltanto quando il reclamo sia " accompagnato da� ricevuta comprovante l'avvenuto versamento d'un deposito provvisorio � in funzione delle spese occorrenti per la verifica. Ora, nel caso di specie, � incontroverso che il Ravaioli non aveva prodotto la planimetria del proprio immobile, n� aveva provveduto al deposito delle spese occorrenti per la verifica d'ufficio della consistenza della sua unit� immobiliare; di conseguenza non era insorto il dovere della Commissione tributaria di procedere alla ver�fica d'ufficio della consistenza medesima,. Perci�, la censura espressa nel terzo profilo � infondata. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 aprile 1992 n. 4264 -Pres. Scanzano Est. Nardino -P. M. Grossi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Soc. Maglificio Beby. Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Reddito di impresa � Contributi in conto esercizio -Non costituiscono reddito. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 53 e 55). I contributi in conto esercizio corrisposti in base a norma di legge dallo Stato o da altri enti pubblici, non sono qualificabili come soprav 310 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO venienze attive a norma dell'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 e di conseguenza non concorrono a formare il reddito di impresa (1). (omissis) Ci� premesso, la pronuncia della Corte deve essere limitata alla soluzione della questione di diritto dibattuta nei precedenti gradi di giudizio, che costituisce il reale oggetto della controversia e che consiste -come gi� si � detto -nello stabilire se i contributi in conto esercizio, corrisposti dallo Stato a parziale copertura degli oneri previdenziali gravanti sull'impresa e degli interessi passivi dovuti al Mediocredito Regionale della Toscana in relazione a finanziamenti agevolati, concorrano, oppur no, a formare il reddito imponibile ai fini dell'I.R.P.E.G. e dell'ILOR. 3) La Commissione Centrale ha dato a tale problema risposta negativa in base al rilievo che l'art. 55, comma 2�, del d.P.R. n. 597/73 espressamente esclude dal novero dei proventi � considerati � sopravvenienze attive i suddetti contributi e, quindi, la loro tassabilit�. L'Amministrazione ricorrente contesta la correttezza di questa conclusione, sostenendo che la cennata � esclusione � non riguarderebbe le somme �erogate (dallo Stato) per copertura di costi specifici o ad essi commisurate ... �, Ma tale assunto � palesemente privo di fondamento giuridico, poich� la norma (art. 55) non pone alcuna distinzione tra i contributi di cui trattasi, a seconda che essi siano finalizzati ad alleviare genericamente i costi di gestione dell'impresa o siano, invece, diretti alla riduzione di oneri particolari, legislativamente prestabiliti. N� la Finanza indica alcuna accettabile ratio per la quale soltanto il primo tipo di contributi, e non anche il secondo, dovrebbe ritenersi escluso (1) La pronunzia non pu� essere condivisa. L'art. 83 del T.U. del 1958 stabiliva: �non sono soggetti all'imposta ... e) i contributi di ogni genere pagati dallo Stato o da altri enti pubblici che non costituiscono concorso in spese di produzione o passivit� detraibili �. Dunque non sono soggetti all'imposta i contributi in conto capitale (ossia diversi da quelli che costituiscono concorso in spese di produzione) e quindi vi sono sog getti i contributi in conto esercizio. E ci� � perfettamente logico: le sovvenzioni vincolativamente destinate all'investimento in impianti e beni strumentali non sono componenti di reddito; al contrario i contributi destinati a sostegno dei costi di esercizio sono naturalmente componenti attivi del reddito. Il d.P.R. n. 597/1973, secondo la lettura formalistica che adesso d� la sen tenza in esame, avrebbe affermato esattamente il principio opposto: i contributi in conto capitale (o diversi da quelli in conto esercizio) sono (o si considerano) sopravvenienze attive e quindi concorrono alla formazione del reddito e, per esclusione, i contributi in conto esercizio (ignorati dalle norme) sono neutri ai fini del reddito. Ma questa conclusione � all'evidenza illogica e inverosimile. La lettura delle norme deve essere pi� articolata. L'art. 55 assimila alle sopravvenienze i contributi in conto capitale, ma non per farne una componente positiva del reddito. I contributi infatti se vengono accantonati in apposito fondo del passivo non concorrono a formare il reddito a meno che non siano utilizzati per scopi diversi dalla copertura di perdite PARTE I, SEZ; V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 311 dalla imposizione� fiscale; .quasi che un intervento finanziario dello Stato, sol perch� destinato a coprire � costi specifici � delle imprese, non risponda ugualmente� a quelle � finalit� di sostegno economico di settore o di promozione dell'attivit�� che giustificano, secondo la ricorrente, il� particolare trattamento di favore riservato dalla legge a siffatte erogazioni. Vero �, al contrario, che l'art 55 cit. (richiamato, per quanto attiene a:ll'I.R.P.E.G., dall'art. 5, comma 2�; del d.P.R. n. 598/73 e, riguardo all'ILOR, dell'art. 4 del d.P.R. n. 599/73), dopo aver definito le sopravvenienze attive che �concorrono a formare il reddito d'impresa�. (cio� quelle � derivanti dal com>eguimento di proventi a fronte di costi ed oneri dedotti o di passivit~ . iscritte in bilancio in precedenti periodi di imposta � e quelle � derivanti dalla sopravvenuta insussistenza di costi o di oneri dedotti o di passivit� iscritte in bilancio in precedenti periodi di imposta�), aggiullgei al. secondo comma, che � sono inoltre considerati sopravvenienze attive: a) le somme in, danaro e i beniin natura ricevuti a titolo di contributo o di liberalit�, ad esclusione dei. contributi in conto esercizio corrisposti in base a norma di legge dallo Stato e da altri enti pubblici�; ( ... omissis ... ). Poich� la equiparazione delle somme di cui alla lettera a) alle sopravvenienze attive � stabilita �ai fini del precedente comma� (cio� ai fini del concorso dei relativi importanti alla formazione del reddito d'impresa), l'espressa � esclusione � dei suddetti contributi statali significa inequivocabilmente che essi non costituiscono componenti del reddito dell'impresa (art. 55 ultimo comma). Ma soprattutto la collocazione dei contributi fra i componenti (apparentemente) attivi del reddito si spiega perch�, essendo i contributi vincolativamente destinati all'investimento in beni strumentali, entra in gioco l'ammortamento; ma puntl,lalmente l'art. 68 stabilisce che la deduzione delle� quote di ammortamento � ammessa in �misura non superiore a quella risultante dall'applicazione al costo dei beni, a lordo degli eventuali .contributii di terzi, .dei coefficienti stabiliti con decreto ministeriale. Si ha quindi che i contributi che figurano come componenti attivi di recldito (sopravvenienze) figurano anche come componenti passivi (parte delle quote di ammortamento). In sostanza il d.P.R. n. 597, pur adottando una pi� sofisticata impostazione, non si discosta dal principio, logico e oggettivo; affermato :nel T.U. del 1958. Ma lo stesso principio � seguito anche riguardo ai contributi in conto esercizio. � vero che di questi contributi non si parla, ma ci� non autorizza l'affermazione che essi siano un elemento neutro. Non era necessaria una espressa considerazione perch� in base all'art. 52 il reddito dUmpresa (che non � definito autonomamente) � costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo di imposta determinati in base al conto dei profitti e delle perdite con le variazioni derivanti dai criteri stabilitii nelle successive disposizioni del titolo V. E poich� non � dubbio che i contributi in conto esercizio devono necessariamente figurare nel conto dei profitti e delle perdite (art. 2425-bis n. 12 codice civile), s� che sarebbe falso il conto economico nel quale i contributi percepiti risultassero occultati, e poich� nessuna norma del titolo V consente di appor 312 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e sono, pertanto, intassabili, a condizione che risultino corrisposti in conto esercizio e trovino la loro fonte in norme di legge. N� giova alla ricorrente affermare che essa non ha � mai preteso di tassare quelle somme come tali (giacch� oggetto del tributo � il reddito, e quindi una differenza tra costi e ricavi). � infatti, evidente che, ove si seguisse la tesi della Finanza, gli importi dei contributi in questione, comunque considerati, determinerebbero un corrispondente aumento dei componenti attivi del reddito ed un conseguenziale aumento degli �utili netti � assoggettabili ad imposizione. Sono, pertanto, infondati i profili di censura fin qui esaminati. 4) N� hanno maggior consistenza i rilievi critici che sembrano far leva sulla oggettiva natura di� ricavi� delle somme corrisposte dallo Stato per i titoli pi� volte indicati, sicch� queste somme concorrerebbero alla formazione del reddito d'impresa -a quanto � dato comprendere -in forza della disposizione generale di cui all'art. 53 del d.P.R. n. 597/73 (della quale, peraltro, non viene specificamente denunciata la violazione o l'omessa applicazione), piuttosto che ai sensi dell'art. 55. Questa tesi si basa sulla considerazione che, ove l'impresa esponga tra i costi di esercizio gli interi importi della contribuzione previdenziale a suo carico e degli interessi dovuti all'Istituto mutuante, nonostante che una parte di tali oneri sia pagata dallo Stato agli enti creditori, risulterebbero contabilizzate come passivit� nel bilancio (e come costi nel conto economico) somme che non rappresentano �costi effettivi� per l'im tare al conto una variante in diminuziione, � incontestabile che i contributi in conto esercizio debbono figurare aN'attivo. Si potr� discutere su quale posta dell'attivo detti contributi debbono correttamente figurare (il che � irrilevante in termini di risultato); comunque secondo la pi� affermata tecnica aziendalistica che deve presiedere alla formazione del bilancio (art. 15, ultimo comma, d.P .R. n. 600/1973) i contributi in conto esercizio vanno collocati fra i ricavi. Non � corretto procedere alla esegesi delfart. 53 per stabilire se nelle definizioni in esso contenute possono essere ricompresi i contributi. L'art. 53, come tutte le successive disposizioni del titolo V, vanno lette come derogatorie alle regole civilistiche e contabili del bilancio; il cardine di ci� che entra a comporre il reddito � fondamentalmente l'art. 52. Il T.U. sulle imposte sui redditi n. 917/1986 chiarisce all'art. 53 che sono considerati ricavi i contributi in conto esercizio dello Stato e degli altri enti pubblici spettanti a norma di legge, e all'art. 55 che sono considerate sopravvenienze i proventi conseguiti a titolo di contributo diversi da quelli di cui all'art. 53. Questa nuova sistemazione normativa � da intendere (piuttosto che interpretativa) come mero perfezionamento testuale, utile ad intendere la portata delle corrispondenti norme del 1973, senza far ricorso all'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42. Non � infatti ragionevole supporre che dal 1958 al 1986 la materia dei contributi abbia subito due rivoluzioni copernichiane. C. BAFILE PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA presa, proprio perch� parzialmente sostenuti dallo Stato; ne deriverebbe, secondo la Finanza, la necessit� di � correggere � la contabilit� aziendale con una posta attiva, sotto forma di � credito � dell'impresa verso lo Stato, di importo pari a quello dei contributi da quest'ultimo corrisposti, al fine di riequilibrare il rapporto tra costi (reali) e ricavi e di giungere ad una determinazione contabilmente corretta del reddito d'impresa. La Corte non ritiene di poter condividere tale assunto, che risponde forse a rigorosi criteri di contabilit� aziendale, ma contrasta con una specifica disposizione della legge tributaria e non tiene conto delle finalit� e degli obiettivi perseguiti con le speciali normative che prevedono l'erogazione di incentivi, contributi, agevolazioni alle imprese, nelle pi� svariate forme e con le pi� diverse modalit�. Come gi� risulta dalle precedenti considerazioni, i contributi in questione sarebbero � considerati � sopravvenienze attive (al pari delle altre somme, dei beni e dei valori indicati nel secondo comma dell'art. 55) -e come tali sarebbero tassati -se il legislatore non avesse espressamente disposto, alla lettera a), la loro � esclusione � dal novero dei componenti attivi del reddito d'impresa. A fronte di una cos� chiara espressione della volont� del legislatore, evidentemente volta ad evitare qualsiasi decurtazione per oneri fiscali dei contributi corrisposti dallo Stato per insindacabili finalit� di politica economica e sociale (ed anche ad impedire -come � stato esattamente rilevato -che fossero avvantaggiate le imprese che chiudono il loro bilancio in passivo rispetto a quelle �pi� sane�), non � consentito all'interprete eludere la ratio legis con argomenti improntati ad una logica � ragioneristica �, non compatibile con la diversa logica seguita dal legislatore tributario per esigenze di pubblico interesse, riconducendo i contributi statali alla generale nozione di � ricavi � per renderli comunque rilevanti agli effetti della determinazione del reddito imponibile. Oltre tutto, ai contributi in esame non si attaglia la definizione dei � ricavi� dettata dall'art. 53, primo comma, del d.P.R. n. 597/73, secondo cui � costituiscono ricavi i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio � diretta l'attivit� dell'impresa, nonch� i corrispettivi delle cessioni di materie prime, materie sussidiarie, semilavorati e merci acquistati per essere impiegati nella produzione, al netto dei relativi sconti, abbuoni e premi �. Lo stesso art. 53 indica poi le condizioni alle quali � i titoli azionari e obbligazionari e i titoli similari si comprendono fra beni al cui scambio � diretta l'attivit� dell'impresa (comma secondo); e precisa infine che � compreso tra i ricavi � il valore normale dei beni indicati nel primo e nel secondo comma destinati al consumo personale o familiare dell'imprenditore o ad altre finalit� estranee all'esercizio dell'impresa o assegnati ai soci� (ultimo comma). RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 314 A nessuna delle suddette categorie di � ricavi � appaiono riconducibili le somme di cui si discute. Ed il fatto che i contributi statali in conto esercizio, esclusi dalle sopravvenienze attive, non risultino neppure com� presi tra i ricavi non � certo casuale, ma costituisce conseguenza di una precisa scelfa legislativa nel senso della totale intassabilit� dei re� lativi importi, indipendentemente dalla loro collocazione nel bilancio � civile � e nel relativo conto dei profitti e delle perdite (che devono essere in ogni caso redatti secondo criteri di verit� e trasparenza, a norma degli artt. 2217, 2423, 2424, 2425 bis cod. civ.): scelta successivamente mutata in favore di un'opzione opposta, come chiaramente emerge dal confronto tra il testo dell'art. 53 del d.P.R. n. 597/73, inanzi riportato, e quello dell'art. 53 del nuovo T.U. delle imposte dirette, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 ed entrato in vigore il 1� gennaio 1988, il quale espressamente include tra i ricavi � i contributi in conto esercizio dello Stato e di altri enti pubblici spettanti a norma di legge� (comma primo, lettera f), escludendoli per tale ragione dalle sopravvenienze attive (art. 55, comma terzo, lettera b). La Corte, in conclusione, ritiene che, nel regime della imposizione sui redditi di cui ai dd.PP.RR. 29 settembre 1973 nn. 597, 598 e 599, le somme corrisposte dallo Stato o da altri enti pubblici, in base a norme di legge, a titolo di contributi in conto esercizio (come nel caso di parziale fiscalizzazione degli oneri sociali prevista dalla legge n. 102/77 e succ. modif. e di contributo in conto interessi passivi su finanziamenti agevolati a medio termine ai sensi della legge n. 623/59, ancorch� non erogate direttamente alle imprese beneficiarie, non concorrono alla formazione del reddito dell'impresa assoggettabile ad IRPEF e ad ILOR, essendo espressamente escluse dalle sopravvenienze attive (art. 55, comma secondo, lett. a cit. d.P.R. n. 597/73) e non risultando compresi tra i proventi costituiscono ricavi a norma dell'art. 53 dello stesso decreto. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 8 aprile 1992 n. 4302 -Pres. Bologna Est. Lupo -P. M. Amirante (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. soc. Montefiorino. Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Societ� -Cambiamento della sede legale -Dovere di comunicazione all'ufficio -Notifica a mani del legale rappresentante -Sostituzione -Omessa comunicazione all'ufficio � Irrilevanza. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36 e 60; e.p.e. art. 145; e.e. 2450 bis). Le societ� hanno il dovere di comunicare all'ufficio tributario le variazioni di indirizzo della loro sede legale o amministrativa agli effetti PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 315 delle notificazioni; non � invece prescritto il dovere di comunicare la sostituzione della persona del legale rappresentante. Pertanto � nulla la notifica che, risultata impossibile presso la sede legale non pi� attuale, sia stata eseguita a norma del terzo comma dell'art. 145 c.p.c. personalmente al legale rappresentante che non rivesta pi� tale qualit� per essere stato sostituito con deliberazione pubblicata a norma dell'art. 2450 bis e.e. -La nullit� � insanabile (1). II CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 8 aprile 1992 n. 4308 -Pres. Bologna -Est. Ruggiero -P. M. Romagnoli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli) c. Spano. Tributi bi genere � Accertamento � N�tificazione � Inesistenza di abitazione ufficio o azienda � Deposito e affissione presso il comune � Insufficienza � Ricerche anagrafiche � Necessit� � Omissione � Nullit� hisana. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 60; c.p.c. art. 140). Quando nel luogo indicato come domicilio fiscale non si trova abitazione, ufficio o azienda del destinatario, non si pu� procedere alla no1 tifica a norma dell'art. 60 lett. e) del d.P.R. n. 600/1973 (deposito dell'atto e affissione dell'avviso presso il comune) se prima non siano state eseguite ricerche, anche anagrafiche, per rintracciare il destinatario. In difetto la nullit� della notifica � insanabile (2). (1-2) La tormentata materia delle notificazioni continua a ricevere dalla giurisprudenza interpretazioni non omogenee ma prevalentemente improntate ad un rigore che non tiene conto della realt� operativa. Nel caso della prima sentenza una societ� in liquidazione aveva trasferito la sede sociale ed aveva sostituito la persona del liquidatore, senza dare alcuna comunicazione all'ufficio; non meritava quindi troppi riguardi. 1' stata invece dichiarata nulla la notifica eseguita, non essendo stata� possibile la consegna presso la sede legale non pi� attuale, personalmente al liquidatore che risultava dagli atti, in quanto il liquidatore era stato sostituito con deliberazione depositata presso la cancelleria a norma dell'art. 2450 bis codice civile. Se si aggiunge che altre sentenze hanno affermato che nel caso di inesistenza nel luogo indicato come domicilio fiscale di ogni collegamento con il destinatario non � possibile la notifica a norma deM'art. 140 c.p.c., che presuppone un impedimento solo temporaneo della consegna nel luogo di effettiva sussistenza di un recapito del destinatario (Cass. 6 dicembre 1978 n. 5753. Foro it. 1979, I, 9, seguita da numerose altre), ed ancora che per le societ� non � possibile la notifica a norma dell'art. 143 c.p.c. perch� la societ� � sempre reperibile presso la sua sede pubblicizzata (Cass. 1 marzo 1989 n. 1102, in ci:uesta 316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO I (omissis) Con l'unico motivo del ricorso l'Amministrazione ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36, 58 e 60 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nonch� dell'art. 145 c.p.c. (in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.). Nel ricorso si sostiene che la notifica effettuata il 29 dicembre 1977 mediante consegna alla sig.ra Alma Scicluna � valida ai sensi del terzo comma del citato art. 145. Invero il trasferimento della sede della societ� a r1. Montefiorino -deliberato con atto del 27 novembre 1987 registrato il successivo 1� dicembre -non era opponibile all'Amministrazione finanziaria perch� non era stato ad essa comunicato, come prescritto dell'art. 36, secondo comma, del citato d.P.R. n. 600/73. La notifica degli avvisi di accertamento era stata perci� tentata presso la vecchia sede sociale (sita in via Ridolfino Venuti) il 20 dicembre 1977, ed essendo risultata ivi impossibile, poteva farsi applicazione del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., che prevede la notifica alla persona fisica che rappresenta l'ente. Tale persona fisica doveva essere considerata la sig.ra Alma I ~ Scicluna, liquidatore della societ�, non essendo opponibile all'Amministrazione finanziaria la sostituzione del liquidatore (avvenuta con delibera I del 25 novembre 1977, registrata il successivo 1� dicembre), perch� non Ii Rassegna 1990, I, 131), appare chiaro come raggiungere il risultato di una notifica valida � pressoch� impossibile. Ed infatti altre pronunzie hanno fatto diventare un obbligo la facolt� dell'U!ltimo comma dell'art. 145 c.p.c. di eseguire la ! notifica alla persona fisica del rappresentante che sia indicata nell'atto (15 marzo 1989 n. 1296, ivi, 1990 I, 132). Ma ora si aggiunge un altro trabocchetto: la persona fisica del rappresentante deve essere indiv1duata esaminando le risultanze I della cancelleria commerciaie del tribunale; non basta che risulti dall'atto. Pervero tutto questo sistema di barriere qualche volta viene infranto da I altre pronun:Zlie: infatti la sentenza 10 luglio 1991 n. 7650, in questa Rassegna ' ! 1991, I, 329) ha affermato che la notifica � validamente eseguita nel luogo indicato nella dichiarazione (del quale non siano state comunicate variazioni ex art. 60, d.P.R. n. 600/1973) anche a norma de~l'art. 140, senza che siano necessarie altre ricerche; si pu� cio� procedere ex art. 140 anche se nel luogo indicato della societ� destinataria non esiste traccia. Questa conclusione � ineccepibile: l'ultimo periodo dell'ultimo comma dell'art. 60 del d.P.R. n. 600 � chiarissimo in tal senso; ne danno conferma proprio quelle sentenze che ritengono che le societ� sono sempre reperibili in una sede dichiarata, sede che per l'ufficio tributario � quella indicata nella dichiarazione, anche se diversa da quella pub� blicizzata secondo le disposizioni del cod. civ. Questa linea non � per� sufficientemente chiara e costante, cosicch� avviene che l'ufficiale giudiziario che nella sede dichiarata non trova traccia della societ� destinataria non procede ex art. 140 e per eccesso di zelo prende altre iniziative o ex art. 143 o ex art. 145 ultimo comma; e qui si urta contro rigori ingiu� stificati. La seconda sentenza, che riguarda le persone fisiche, ritiene ammissibile la notifilca a norma della lettera e) dell'art. 60 del d.P.R. n. 600, solo se sonc PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 317 comunicata all'Amministrazione, come prescritto dal primo comma del citato art. 36 del d.P.R. n. 600/73. Il motivo di ricorso � infondato. � esatta la considerazione iniziale della parte ricorrente, che fa leva sul secondo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 600/73, il quale impone alla societ� di � dare comunicazione all'ufficio delle imposte della variazione dell'indirizzo della loro sede legale o amministrativa �. A tale comunicazione il successivo art. 60, ultimo comma, subordina l'efficacia della variazione rispetto all'Amministrazione finanziaria, nel senso che tale variazione ha effetto � dal trentesimo giorno successivo a quello della ricezione da parte dell'ufficio della comunicazione prescritta dal secondo comma dell'art. 36 �, Poich� il trasferimento della sede della societ� r.l. Montefiorino (da via Ridolfino Venuti a via di Vigna Stelluti), deliberato con atto del 27 novembre 1977, non era stato comunicato all'Amministrazione finanziaria, esso non aveva effetto rispetto alla stessa, onde la sede sociale ove effettuare la notifica degli avvisi di accertamento, a norma del primo comma dell'art. 145 c.p.c., era ancora quella di via Ridolfino Venuti. Dato che la notifica tentata a quest'ultimo indirizzo il 20 dicembre 1977 non pot� essere eseguita, sussisteva il presupposto per l'applica state eseguite ricerche, anche anagrafiche, per rintracciare il destinatario nell'ambito del comune in luogo diverso da quello indicato nella dichiarazione. Questo orientamento � in netto contrasto con l'ultimo comma dell'art. 60 e con la ragion d'essere della predeterminazione formale del luogo nel quale la notifica pu� essere eseguita senza rischi. Le ricerche, anche anagrafiche, di cui � menzione nell'art. 148 (che concerne i requisiti della relazione ma non prescrive la necessit� di tali ricerche) non hanno ragion d'essere quando deve esistere un luogo predeterminato nel quale la consegna deve avvenire; � certamente incongruo parlare di ricerche anagrafiche per le notifiche di cui agU artt. 170, 330, 645 c.p.c. Del resto anche la prima delle sentenze in esame riconosce che la notifica � vaLidamente fatta presso la sede dell.a societ� risultante dagli atti se della variazione non � stata data comunicazione. In conclusione non si pu� ammettere che sulle soglie della scadenza di un termine perentorio la validit� della notifica possa essere subordinata a ricerche, presso l'anagrafe o presso la cancelleria, che in una grande citt� sono laboriose e richiedono tempo. Infine non si pu� non esprimere sorPresa per l'affermazione disinvoltamente fatta in ambedue le sentenze che le imperfezioni riscontrate comportano la nullit� insanabile (anzi l'inesistenza) della notificazione. Ci� si risolve nella soppressione dell'art. 160 c.p.c. che non si vede in quali casi potrebbe operare (in senso contrario Cass. 30 marzo 1988 n. 2670, in questa Rassegna 1988, I, 414). 318 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO zione del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., e cio� la possibilit� di notificare gli avvisi di accertamento alla persona fisica che rappresentava la societ�. Ma tale persona fisica non era, come ha rilevato la decisione impugnata, la sig.ra Alma Scicluna, che negli atti notificati il 29 dicembre 1977 era indicata come liquidatore, ma che in tale carica era stata sostituita da altra persona con delibera del 25 novembre 1977. L'Amministrazione finanziaria afferma che tale sostituzione le doveva essere comunicata, a norma del primo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 600 del 1973, e che, non essendo stata comunicata, essa non era alla stessa opponibile. Va, in senso contrario, osservato che dal citato art. 36, primo comma, non deriva l'obbligo di comunicare all'ufficio tributario la sostituzione del liquidatore. La citata disposizione, invero, prevede che devono essere inviate alil'ud�ficio delile imposte, entro tre mesi, �copia dell'atto costitutivo e delle deliberazioni che lo modificano �. La sostituzione dei liquidatori, e cio� il cambiamento delle persone dei liquidatori (art. 2450, ultimo comma, e art. 2450-bis cod. civ.), non comporta una modifica dell'atto costitutivo e pertanto essa non pu� essere I inclusa tra i fatti che le societ� devono comunicare a norma del primo comma dell'art. 36 del d.P.R. n. 600/73. Va, inoltre, osservato che il terzo comma del citato art. 36 prevede I specificamente l'obbligo della societ� di inviare al competente ufficio delle imposte, entro trenta giorni, � copia della deliberazione o del provvedimento con il quale la societ� � posta in liquidazione �, ma non estende la comunicazione anche alle persone dei liquidatori, ed in particolare al cambiamento delle persone degli stessi. I & Con riguardo a tali cariche la legge tributaria ha, perci�, ritenuto suf ~ ficiente la pubblicit� generale imposta dall'art. 2450-bis cod. civ., che ~ prevede l'iscrizione nella cancelleria commerciale e la pubblicazione nel BUSARL della nomina e della sostituzione dei liquidatori. Non � inutile, infine, osservare che l'art. 60, invocato correttamente dalla parte ricorrente per sostenere la inefficacia rispetto all'Amministrazione finanziaria della variazione della sede sociale ad essa non comunicata, non prevede le conseguenze della inosservanza dell'obbligo di comunicazione imposto nel primo e nel terzo comma dell'art. 36, onde, anche se si volesse ritenere che la sostituzione dei liquidatori deve pure essa formare oggetto di comunicazione, occorrerebbe dimostrare che daHa omessa comunicazione discende lo stesso effetto che l'art. 60, ultimo comma, limita espressamente alla violazione del secondo comma dell'art. 36. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA In conclusione, va confermata la decisione della Commissione tributaria centrale, che ha ritenuto nulla la notifica effettuata il 29 dicembre 1977, ai sensi del terzo comma dell'art. 145 c.p.c., alla sig.ra Alma Scicluna, dato che la stessa non era pi�, dal 25 novembre 1977, la persona fisica rappresentante della societ� rl. Montefiorino. (omissis) Il (omissis) Con l'unico motivo del ricorso, l'Amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 38 d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645, 140 cod. proc. civ. e 21 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 come modificato dall'art. 23 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, e deduce che erroneamente la commissione tributaria centrale avrebbe dichiarato la nullit� degli accertamenti per gli anni 1970 e 1971 per irritualit� della notifica. Sostiene in particolare: a) che l'omessa indicazione nella relata di notifica delle ricerche anagrafiche effettuate costituiva vizio che sarebbe stato sanato per avere l'atto raggiunto il suo scopo, tanto che il contribuente aveva proposto tempestivo ricorso avverso gli accertamenti; b) che per la notificazione al contribuente irreperibile era sufficiente, a norma dell'art. 38 del d.P.R. 645/1958, il deposito dell'atto nella casa del comune, senza necessit� di spedizione di alcuna raccomandata; e) che in ogni caso la c.t.c. avrebbe �dovuto �disporre la rinnovazione della notifica. La censura � infondata. Deve essere anzitutto precisato che nella specie, essendo stata la notificazione degli accertamenti in questione disposta il 31 dicembre 1977, essa era regolata dall'art. 60 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che peraltro, per la parte che qui interessa, corrisponde al disposto dell'art. 38 del d.P.R~ 29 gennaio 1958, n. 645 nel testo risultante a seguito della dichiarazione di parziale Hlegittimit� costituzionale di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 189 del 26 giugno 1974. Ai sensi della citata mora la notificazione degli atti di accertamento deve essere eseguita secondo le norme degli artt. 137 e seguenti cod. proc. civ. nel comune di domicilio fiscale del contribuente; se per� nel suddetto comune non vi � abitazione, ufficio o azienda del contribuente, l'avviso del deposito prescritto dall'art. 140 cod. proc. civ. si affigge nell'albo del comune e la notificazione, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si ha per eseguita nell'ottavo giorno successivo a quello di affissione (art. 60 lett. e) d.P.R. 600/1973, art. 38 lett. f) d.P.R. 645/1958). 320 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Sulla base, quindi, delle menzionate disposizioni, come questa Suprema Corte ha ripetutamente avuto modo di precisare, soltanto nell'ipotesi in cui, nonostante le ricerche che il mezzo notificante deve svolgere nell'ambito del comune di domicilio fiscale, in esso non si rinvenga l'effettiva abitazione o l'ufficio o l'azienda del contribuente, la notificazione dell'avviso di accertamento � ritualmente effettuata mediante deposito dell'atto nella casa comunale ed affissione dell'avviso di deposito nell'albo del comune, senza necessit� di comunicazione all'interessato a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno, n� di ulteriori ricerche al di fuori del detto comune. Nel caso invece di mancato rinvenimento del contribuente o di altra persona capace e disposta a ricevere l'atto nel luogo di effettiva abitazione o ufficio o azienda del contribuente nel comune di domicilio fiscale, la notificazione va eseguita per intero a norma dell'art. 140 cod. proc. civ., con tutti gli adempimenti ivi prescritti (deposito di copia dell'atto nella casa comunale, affissione dell'avviso alla porta dell'abitazione, spedizione della raccomandata), che sono tutti essenziali per il compimento e la costituzione della stessa fattispecie notificatoria; sicch� la mancanza anche di uno solo di essi non costituisce un semplice vizio di una notificazione comunque effettuata, ma esclude proprio che la notificazione possa ritenersi eseguita ed il procedimento di accertamento completato, con la conseguenza che, ove siano trascorsi i termini stabiliti dalla legge per l'accertamento stesso, si determina la decadenza dell'ufficio dal relativo potere che, per il suo carattere sostanziale, non � suscettibile di sanatoria per effetto della successiva proposizione di ricorso da parte del contribuente, e tanto meno di trovare rimedio in una rinnovazione della notificazione (cfr. Cass. 7453/90. 4782/84, 2937/84, 2358/84, 1686/84, 723/83 e altre). Nella specie, come ha rilevato la commissione tributaria centrale, la notificazione degli accertamenti in questione � stata eseguita direttamente a norma dell'art. 140 c.p.c. (che contempla appunto l'ipotesi del mancato rinvenimento del destinatario o di altra persona atta a ricevere nel luogo di notificazione) mediante il solo deposito nella casa del comune ed affissione nel relativo albo, omettendosi gli altri adempimenti prescritti dalla norma, senza che dalla relata risultasse io svolgimento di ricerche che avessero accertato la mancanza nel comune dell'effettiva abitazione, o ufficio o azienda del contribuente. Correttamente, pertanto, la c.t.c., alla stregua dei principi sopra esposti, ha dichiarato la nullit� (rectius: inesistenza) della notificazione degli accertamenti. (omissis) PARTB I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 321 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 8 aprile 1992; n. 4303 -Pres. Scanzano � Est. De Musis -P. M. Leo (conf.) -Lazzaroni (avv. Moretti) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zecca). Tributi in genere -Accertamento -Rinnovazione prima della scadenza del. termine � � AmmisSibilit�, Prima della scadenza del �termine di decadenza, l'ufficio pu� annullare l'accertamento che ritiene viziato e sostituirlo con altro (1). (omissis) Con il primo motivo si deduce che, ritenendo legittima la sostituzione di avvisi di accertamento nulli per l'omessa indicazione delle aliquote con nuovi avvisi privi di tale vizio, e ci� entro il termine di decadenza dall'accertamento, la commissione tributaria centrale � incorsa in violazione degli artt. 42, secondo comma e 43, u.c., del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 699: perch� quest'ultima norma consente la modifica dell'accertamento solo per la sopravvenienza di nuovi elementi e perch� l� sol~ione adottata: vanificherebbe la dichiarazione d� nullit� dei primi avvisi... di accertamento eventualmente pronunziata. dalle commissioni tributarie. Il motivo � infondato. L'art. 42 dispone che � l'avviso di accertamento deve recare indicazione .......�delle aliquote applicate .. � (secondo comma) e che � l'accertamento � nullo se l'avviso non reca ... le indicazioni ...�di cui al presente articolo (terzo comma). L'art. 43 dispone che � gli avvisi di ac�ertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione � (primo comma) oppure � fino al 31 dicembre del sesto anno successivo a quello in cui la dichiarazione (omessa o nulla) avrebbe dovuto essere presentata� (secondo comma) e che � fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l'accertamento pu� essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell'avviso devono. essere specificati, a pena di nullit�, i nuovi elementi e. gli atti o fatti� attraverso i quali sono venuti a conoscenza dall'ufficio delle imposte� (terzo comma). La normativa � stata esaminata sotto entrambi i profili per i quali � stata mossa censura e l'orientamento (gi� espresso in Cass., 27 aprile 1984 n. 2646 e ribadito, previo esame approfondito, da Cass., 29 marzo 1990 n. 2576), dal quale, in difetto di valide contrastanti argomentazioni, non (1) Si conferma la sent. 29 marzo 1990 n. 2576, in questa Rassegna 1990, I, 352, con nota di C. BAFILB. 12 322 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO si ha motivo per discostarsi, � nel senso: che la disciplina dell'art. 43, , comma terzo, non � applicabile all'atto di accertamento colpito da nullit� perch� l'atto giuridico nullo � insuscettibile di integrazione o modificazione; che pertanto l'atto di accertamento nullo non � di ostacolo alla rinnovazione � ex nunc � dell'atto stesso in base al potere sostanziale dell'Amministrazione di correggere gli errori dei propri provvedimenti nei termini di legge, salvo il limite che l'atto rinnovato non costituisce elusione o violazione dell'eventuale giudicato formatosi nel precedente atto nullo. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 aprile 1992 n. 4360 -Pres. Vela -Est. Sgroi -P. M. Iannelli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Borgna. Tributi erariali diretti . Imposte sui redditi � Riscossione � Controversia sulla spettanza di esenzioni � Iscrizione a ruolo a titolo definitivo della intera imposta � Iscrizione a ruolo frazionata � Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 15). L'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, che prevede l'iscrizione provvisoria a ruolo frazionata, presuppone una controversia sulla misura della base imponibile; esso non pu� trovare applicazione quando la controversia investe la spettanza delle esenzioni. In tal caso l'imposta va iscritta a ruolo per intero e definitivamente, salvo sgravio o rimborso a seguito del giudicato {1). II CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 luglio 1992 n. 8399 -Pres. Vela -Est. Grieco �Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Rubatti. Tributi erariali diretti � Imposte sui redditi � Spettanza di esenzioni � Negazione � Iscrizione a ruolo a titolo definitivo � Illegittimit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36-bis; d.P.R. 29 settembre� 1973, n. 602, art. 14). L'iscrizione a ruolo a titolo definitivo presuppone la definitivit� dell'accertamento ed � consentita solo eccezionalmente, nei casi dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600/1973, quando debba essere soltanto liquidata (1-2) La prima pronunzia � di evidente esattezza, e opportunamente precisa la legittimit� della iscrizione a ruolo definitivo anche in pendenza del ri PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 323 l'imposta su un reddito dichiarato. Pertanto ove il contribuente abbia nella dichiarazione considerato esente un reddito, l'ufficio non pu� procedere alla iscrizione a ruolo fino a che la controversia sulla spettanza dell'agevolazione non sia definitivamente decisa (2). I (omissis) Il secondo motivo cli ricorso � fondato. L'art. 15 del d.PR n. 602 del 1973 (sul quale ha basato la propria sol.zione del�a vertenza la. Commissione centrale) si riferisce chiaramente all'ipotesi di reddito o di maggior reddito imponibile accertato rispetto a quello dichiarato dal contribuente -e non ancora definito, in quanto contestato o suscettibile di contestazione nella sua esistenza e nel suo ammontare; e la disciplina dell'iscrizione provvisoria a ruolo, con la sua gradualit�, si spiega, appunto, soltanto con la possibilit� cli una diversa determinazione del reddito, sulla base delle contestazioni del. contribuente, nel giudizio davanti alle Commissioni, e della maggiore o minore probabilit� di una diversa determinazione quantitativa a seconda della fase in cui si trova il giudizio. Non � invece compatibile con la suddetta normativa la fattispecie in esame, in cui non vi � stato l'accertamento� di un reddito o di un maggior reddito non dichiarato, n� si fa questione circa la sussistenza o l'importo del reddito stesso, ma si discute soltanto se ricorrano o meno le condizioni dell'esenzione di legge. Il reddito, dato che non � oggetto di contestazione, � definitivo e non provvisorio, e la controversia non riguarda la sua determinazione quantitativa, ma unicamente la possibilit� di. applicare l'esenzione. Fino a che non venga riconosciuta la ricorrenza dell'esenzione, non vi � luogo ad un'iscrizione provvisoria a ruolo, ma l'imposta deve essere iscritta a ruolo per intero e definitivamente, salvo sgravio o rimborso a favore del contribuente, ove venga accertato, in sede competente, il diritto all'esenzione. (omissis) corso contro l'atto che revoca (o nega) la spettanza dell'esenzione. Nello stesso senso. Cass. 9 aprile 1991 n. 3718, in questa Rassegna, 1991, I, 121. Non pu� invece condividersi la seconda sentenza che capovolgendo l'argomentazione, ritiene iscrivJbili a ruolo a titolo definitivo, ex art. 14 d.P.R. n. 602/1973, solo le imposte definitivamente accertate, senza considerare che sia l'art. 14 che l'art. 15 fanno riferimento alla circostanza che sia o meno controversa la quantit� imponibile. Sarebbe certamente illogico escludere totalmente la riscuotibilit� di una imposta su w1 reddito certo e dichiarato fino a quando � controversa l'imponibilit�, mentre si accede a11a riscossione frazionata quando � controversa la quantit� imponibile. 324 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO II (omissis) Il Comune di Loano contest� a Pierangelo Rubatti la violazione di norme edilizie per avere, in contrasto con la licenza, trasformato 546 mq di un suo immobile destinato all'industria in � appartamenti�. Notificato al Rubatti il provvedimento di decadenza dal diritto alla esenzione venticinquennale dalla imposta sui fabbricati, quegli lo impugn� vittoriosamente sia in primo che in secondo grado. Successivamente, l'Ufficio delle imposte dirette di Albenga iscrisse a ruolo nel 1976 l'imposta fabbricati per l'anno 1973 relativa al predetto edificio. Avverso la iscrizione a ruolo, il Rubatti propose ricorso sostenendo la illegittimit� dell'operato dell'Ufficio in pendenza del giudizio contro il provvedimento di diniego della esenzione venticinquennale. Tanto la Commissione di primo che di secondo grado accolsero la tesi del contribuente annullando la iscrizione a ruolo e disponendo il rimborso della somma pagata. La Commissione tributaria centrale adita dall'Ufficio -con decisione del 17 marzo 1986 -rigett� l'impugnazione osservando che non essendo definitivo il provvedimento di ruolo in seguito al ricorso dell'interessato non era legittima la iscrizione in quanto l'art. 14 del d.P.R. 602/72 la consente solo se le relative imposte risultano da accertamenti definitivi; il che non si era verificato nella fattispecie. Contro la decisione ha proposto ricorso per cassazione l'Amministrazione finanziaria dello Stato sulla base di un unico motivo. Motivi della decisione. Con l'unica censura, l'Amministrazione finanziaria dello Stato denunzia violazione e falsa applicazione dell'art. 14, lett. b) del d.P.R. 602/73 e dell'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765 ed afferma che il provvedimento di diniego dei benefici fiscali, in quanto atto di accertamento negativo, non di imposizione, abilita l'Amministrazione ad esercitare il potere-dovere di recupero dell'imposta mediante iscrizione a ruolo; che a detto esercizio non osta la impugnazione del provvedimento perch�, non risolvendosi esso in un accertamento in rettifica di quanto dichiarato dal contribuente, all'Amministrazione compete il potere di agire esecutivamente per il recupero dell'imposta fino all'eventuale annullamento di quel provvedimento. La censura non ha fondamento giuridico. L'Amministrazione ricorrente omette di considerare che la iscrizione a ruolo delle imposte costituisce il punto terminale di un procedimento specificamente disciplinato che prevede la notifica preventiva dell'avviso di accertamento. Solo con riferimento alla liquidazione delle imposte dovute in base a �dichiarazioni�, l'art. 36 bis, comma 2�, lett. a d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, attribuisce all'Amministrazione finanziaria il potere di correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai PARTE I, SEZ. V, GIURlSPRUDENZA TRIBUTARIA 325 contribuenti nella determinazione degli imponibili e delle imposte e di procedere direttamente alla iscrizione a ruolo a titolo definitivo ex art. 14 d.P.R. n. 602/73 della maggiore imposta dovuta, delle soprattasse per ritardato pagamento e degli interessi. E, dunque, emerge all'evidenza il carattere eccezionale del procedimento ex art. 36 bis previsto per superare agevolmente, in fase di liquidazione del tributo, situazioni connotate da errori materiali e di calcolo, epperci�, idonee ad essere valutate compiutamente con rapidit�. Siffatti caratteri fanno salvo -come ha gi� rilevato questa Corte: Cass. 4958/89 il principio secondo cui il potere-dovere di rettificare la dichiarazione va esercitato attraverso atti di accertamento rigorosamente motivati proprio perch� la specialit� della fattispecie, caratterizzata da errori materiali e di calcolo, conferisce all'Amministrazione, attraverso la notifica al contribuente dell'iscrizione a ruolo -e,� quindi, con un atto che non prevede alcuna motivazione (per essere stata, questa, espressa nel precedente avviso di accertamento) -la facolt� di agire in via esecutiva. E per quel che concerne il caso in esame i rilievi espressi sono, allo stato, sufficienti ritenendo acquisito che esulano dalla disposizione (art. 36 bis) �le ipotesi che implicano l'applicazione di norme non considerate dal contribuente; una interpretazione della legge diversa da quella seguita nella dichiarazione; valutazioni o apprezzamenti di fatto difformi; etc.�, sicch� se il contribuente, ritenendo di essere nelle condizioni agevolative, determina conseguentemente il tributo, l'Amministrazione finanziaria che intenda contrastarne l'operato non pu� esimersi dal notificare al contribuente l'avviso di accertamento. Nessun carattere risolutivo pu� avere, poi, la dedotta qualifica di � accertamento negativo � che la ricorrente Amministrazione attribuisce al provvedimento di diniego della esenzione venticinquennale essendo intuitivo che il presupposto necessario per la iscrizione a ruolo � la notifica dell'avviso di � accertamento dell'imponibile � in base al quale � calcolata la imposta dovuta. In definitiva, l'Amministrazione ricorrente ha effettuato una illegittima iscrizione a ruolo non essendo stato accertato in giudizio il correlativo obbligo del contribuente secondo l'ordinario iter procedurale che -vale rilevarlo -sarebbe stravolto dall'applicazione del principio sostenuto dalla ricorrente secondo cui la dichiarazione di decadenza dalla esenzione venticinquennale abiliterebbe, di per s�, e fino a decisione contraria, l'Amministrazione a iscrivere a ruolo l'imposta che ritiene dovuta; risultando evidente, in tal modo, la contraddizione tra questa affermazione e l'altra formulata nel ricorso dalla stessa Amministrazione finanziaria allorch�, parlando di potere-dovere di � recupero � dell'imposta mediante iscrizione a ruolo, presuppone, evidentemente, una imposta legittimamente accertata. Nella specie, inesistente. (omissis) 326 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 aprile 1992 n. 4551 -Pres. Montanari Visco -Est. Carbone -P. M. Zema (conf.) -Soc. OAM (avv. Vacirca) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali diretti � Imposta sul reddito delle persone fisiche � Accertamento � Motivazione � Metodo induttivo � Determinazione del reddito in base a fatti indice accertati � Legittimit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39; d.P.R. 23 dicembre 1974, n. 689, artt. 1 e 15). Ove per l'inosservanza dei doveri formali del contribuente (nella specie presentazione del prospetto delle attivit� e passivit� esistenti al 1� gennaio 1974 a norma degli artt. 1 e 15 del d.P.R. 23 dicembre 1974 n. 689) l'ufficio � abilitato a procedere all'accertamento a norma �del secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, la determinazione del reddito � legittimamente eseguita sulla base di un dato certo (nella specie consumo di materie prime e sussidiarie) ricostruendo il reddito imponibile presuntivamente (1). (omissis) Con il primo motivo del proposto ricorso la societ� contribuente censura l'impugnata decisione per violazione dell'art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 per avere la Corte territoriale ritenuto legittimo l'accertamento sintetico nonostante che l'intervento della Guardia di Finanza non avesse accertato alcuna evasione d'imposta, dando luogo ad un comportamento contraddittorio che aveva impedito al contribuente di esplicare le proprie difese al fine di contestare la indicazione dei fatti assunti a fondamento della propria pretesa da parte dell'Amministrazione finanziaria. La censura non � fondata. L'avviso di accertamento soddisfa l'obbligo della motivazione allorquando pone il contribuente nella condizione di conoscere la pretesa dell'Aro� ministrazione finanziaria individuata nel suo petitum e nella causa petendi e conseguenzialmente di difendersi davanti le Commissioni senza che sia necessario che negli avvisi siano specificati tutti gli elementi probatori che potranno essere prodotti anche nel corso del giudizio. Nella specie, l'ufficio, sulla base dei dati e delle notizie offerte dal contribuente e dei rilievi analitici della Guardia di Finanza, poich� le societ� contribuenti (1) La pronunzia va segnalata in quanto riconosce come a fronte della mancanza di elementi offerti dal contribuente, la determinazione quantitativa del reddito deve necessariamente essere sintetica e approssimativa, affidata cio� all'id quod plerumque accidit. Da un fatto indice, quale il consumo di materie prime e sussidiarie, attraverso una operazione di scandaglio, il reddito pu� essere ragionevolmente determinato; non si possono pretendere dall'ufficio impossibili anaLisi. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA si erano rese inadempienti rispetto all'obbligo imposto dal d.P.R. 689/1974 di redigere e presentare il� prospetto, rendendo cos��. inattendibili i redditi dichiarati, ha rilevato come il consumo di materie prime (e sussidiarie) risultante dalle dichiarazioni dello stesso contribuente fosse del tutto sproporzionato rispetto ai ricavi dichiarati; proprio dal consumo stesso, in base ai normali rapporti tra consumi e materie prime e produzione dei beni dell/impresa 1la dedotto.i ricavi non dichiaratj. In altri termini, il consumo notevole di materie prime e SJ.tsiiidiarie dichiarato dal contribuente, Ill,a sproporzi0nato rispetto ai ricavi indicati, costituisce il�fatto-indice.rilevante, .fatto certo da cui risalire .al fatto incerto. e cio�in via pre,sun:tiva, ai maggic>ri..ricavi oggetto dell'accertamento. Non sussiste inoltre alcuna contraQ,dittoriet� nella motivazione per il riferimento ai dati analitici offerti dalllil Guardia di Finanza, dati. che sono il risultato . di. un'operazio.e a scandaglio, perch� questi dati analittci Jp..sieme a q1;1.elli forniti dal contribmmte sono insuffi�ienti per un accei:tainent0 analitico aveni:lo ome$so il contribuente, in violazione. della specifica norma, di .��redigere ed inviare n richiesto prospetto,.. facendo co$t scattare. la necessit�.� per l'ufficio dell'accertamento induttivo (art� 15 d.P.R. 689/'1974 e 39 d.P.R. 600/73) che dal fatto. noto perch� dichiarato dal contribuente (il consumo di materie prime) � risalito al fatto ignoto (i maggiori ricavi non dichiarati) in .base all'id qtwd plerumque accidit. Infine, nella motivazione degli avvisi di accertament0, � ben evidente .il .fatto in<Uce che � ana base de}l'accertamento sintetico, e cio� il consumo di materie..prime denunciato�dal contrib.ente come costo. Pertanto con l'avviso di accertamento il contribuente � stato messo in grado di conoscere la pretesa fiscale nei suoi elementi essenziali . ricognitivi (ma_ggior consumo di materie prime) e logico-deduttivi (maggiori ricavi), in modo da poter pienamente ed esaurlentemente svolgere la propria difesa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 16 apt�le 1992 n. 4698 -Pres. Scanzano Est. Sgroi -P. M. Amirante (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Bizzini. Tributi erariali diretti � Imposta sul r�ddito delle person� fisiche e imposta focale sui redditi � Agente di assicuraZione � Regime anteriore alla legge 29 dicembre 1990 n. 408 � Reddito di impresa � Assoggett�mento all'ILOR. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. S'fl, artt. 49 e 51; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 599, artt. 1 e 7; e.e. art. 2195). Anteriormente all'entrata in vigore della legge 29 dicembre 1990 n. 408, l'agente di assicurazione, quale esercente di una attivit� ausiliaria ex ar~ RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 328 ticolo 2195 n. 5 e.e. era da qualificare come produttore di un reddito di: impresa indipendentemente dall'esistenza di una organizzazione in forma di impresa; ci� non � contraddetto dalla circostanza che ai soli fini dell'indennit� di fine rapporto l'art. 49 del d.P.R. n. 600/1973 ricomprenda detta indennit� nel lavoro autonomo (1). (omissis) L'Amministrazione ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'art. 1 d.P.R. 29 settembre 1979 n. 599, in relazione all'art. 51 d.P.R. n. 597 del 1973, all'art. 2195 e.e. ed agli artt. 101 e 134 cost.; violazione dell'art. 2967 e.e.; carenza di motivazione su un punto decisivo (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), osservando che anche a seguito di quanto affermato dalla Corte Cost. con la sentenza n. 87 del 1986, dall'art. 1 del d.P.R. n. 599 del 1973 non pu� desumersi che il reddito dell'agenzia di assicurazioni sia da classificarsi come reddito di lavoro autonomo e come tale esente da ILOR, perch� in base alla definizione del reddito d'impresa dettata dall'art. 51 d.P.R. n. 597/73 non vi � dubbio che l'attivit� di cui si tratta dia luogo -in quanto compresa nell'art. 2195 n. 4 e n. 5 e.e. -a reddito d'impresa). Una volta estesa, per effetto deMa sentenza della Corte cost. n. 42/80, l'esenzione dall'ILOR ai reciditi di lavoro autonomo, l'ulteriore pretesa estensione delll'esenzione ai redditi di agenzia di assicurazione costituisce modifica della legislazione. Anche ammesso che sia necessario valutare se ricorrano i requisiti minimi perch� si possa parlare di impresa (Corte cost. n. 87/86), la decisione impugnata n� specifica quali siano detti Tequisiti minimi, n� motiva sulla loro ricorrenza nella specie, ci� che sarebbe stato onere del contribuente di provare, trattandosi di domanda di rimborso. La disciplina civilistica del contratto di agenzia attiene -conclude la ricorrente -ad un rapporto di affari fra due imprenditori e non fra un imprenditore ed un lavoratore autonomo; il fatto che l'ultimo comma dell'art. 49 d.P.R. n. 597/73 considera reddito di lavoro autonomo l'indennit� per cessazione del rapporto di agenzia non significa che, necessariamente, anche il reddito derivante dall'attivit� di agenzia costituisca reddito di lavoro autonomo. Il ricorso � fondato. In primo luogo, occorre occuparsi del problema se la questione debba essere decisa alla stregua dello jus superveniens costituito dall'art. 9 secondo comma della legge 29 dicembre 1990 n. 408 che recita: dopo la lettera e) del comma 2 dell'art. 115 del t.u. n. 917/86 � aggiunta la seguente: �e-bis) i redditi d'impresa derivanti dall'esercizio di attivit� commerciali svolte da soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 dell'art. 87, or (1) Identiche sono varie altre decisioni di cui si omette la pubblicazione. Decisione esatta di grande rilievo pratico. Pi\RJE I, .S.EZ. �V, GlURISl'R.t.JDENZA TIUBUTARIA ganizzate prevalentemente con il la:vpro pr9prio e cleifamiliari* ovvero con ilJ11voro dei soci, a C:Pn9izi0ne�che. il numero c:omp1essivo .delle persone a44ette,.. esclusi� gli appJ:;e11di.::1ti .. f�tlo ad un massimo di. tre, compreso il titoll;l.re, qvvero c<m1pi;esi) Jio�i, non sia superiore a tr� .�. �.�. ll Collegio Qsserva che tale norm.ativa non pu� riguardare la. presente controversia, rigttafd~te il. reddito del 1977, per�h� non si pu� inferire .ria S\la J:etr()l\t&tivit�; clalla ch~cQSial'.'lza che. il comma .3 dello Stesso ar. ticolo 9 eleva la <i:aj'1Zione previ~ta nel comma l <l:~ll{art>120 del d.P.R. n. 9l7/S6 e 9be U cC>mWa terz() � applicabile ai te�i!:li<ti ProdC>tth partire dal 1� getlI,laioJ992.. (sicch� Jl. comma secondo dovrebbe ritenersi applicabile anche pdma�... se!lZa �. tale��limite tempPrale).Inver<;� il� .comma quartC>� .(che sposta a. p~ire. dal 1�<gennafo 1992, l'appU.!Cabi.Ut� del .terzo comma) h,a solC> J'eff~tto. di esd.dere quell'.applica:bilit� d.al 1� genn~o 1991 che sarebbe discesa dall'al'.t; 22 e~< la presente legge entta in vigore il giorno success~ vq .a 9"1:lel~o del!a�sua pubblicazione.�1 avv~uta il 31 dicembre J990); ma.�.~..�.t:.vl@.te �hejl comma: secondo .. si appUcner�claL1~ gimnaio.1991. :e.opportuno citare le�.succ~si:ve vicende; che confermano fa��suddetta concb.tsione: con dJ. l'L mai:zo 1991 n.. 62, .art. 2 comma secondo;. sono st1:tte apportate. modifiche alla �legge n; 408 del �1990 ed in particolare � stato sostituito il comma secondo dell'art 9; il comma terzo del decreto legge disponeva: �le mocUficaziom all'art. 51 comma secondo lett. a) ed all'art/ 115 del d.P�R. n. 917/86, app<>rtate con l'art. 9 dell� L n. 408/90 e con il presente articolo si applicano <ai redditi prodotti a partire dal 1� gennaio 1992�. In tal modo, si era voluto equiparare il giorno dell'efficad� dell'intera riortnativa modificata (l� gennaio 1992). Poich� il d.l. n. 62/91 non � stato corivertito in legge (v. comunicato a pag. 13 in G. U. n. 102 del 1991) e poich� la parte della normativa che interessa non � stata ripet(lta nel d.l. l3 maggio 1991 ti. 151 (che riproduce altrl articoli defdecrefo legge n. 62), la situazione normativa � ritornata quella contenuta nellalegge n. 40S del1990, applicabile dalle suddette date differenziate del l<i gennai01991 e 1� g~nnafo.1992;sieche� si tratta di normativa irrilevante �ri.. causa. Alla stregua della normativa precedente, il problem11 si articola in due/11spetti: . a) .. occorre> sta'bilire . se )a n()zione. (li. reddito .. d'hnprel)a. ai fini. delf'IL01l.�si11 quell~.stessa .che�.co.tenut.a ..ell'art. 51. d.J,>.R n. 597 del 1973; b) fu caso affermativo, occorre �tldividuare l'esatta portata del cit. art. 51 (si veda, ora, l'art. 51 del 1:.u. :ri. 917 del 1986, le cui modifiche non interessano la figura dell'agente di commercio). I decreti del 1973 (emanati in base alla delega del 1971) non forniscono la nozione di � reddito �, .quindi le disposizioni in esse contenute definiscono i singoli redditi (art. 6 d.P.R. n. 597). A sua volta, il d.P.R. n. 599/73 sull'ILOR non contiene alcuna autonoma definizione delle cin 330 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO que categorie di reddito e l'art. 4 dispone che nei confronti delle persone fisiche l'imposta si applica sull'ammontare dei singoli redditi determinato ai fini dell'IRPEF; l'art. 7 dispone in tema di deduzione dai redditi agrari, d'impresa e di lavoro autonomo; l'art. 6 parla di redditi fondiari; l'art. 8 richiama i decreti n. 600 e n. 602; l'art. 11 elenca i redditi di cui al d.P.R. n. 597. Pertanto, le categorie di reddito sono soltanto quelle definite dal d.P.R. n. 597; e il reddito d'impresa � quello individuato dall'art. 51, secondo cui � tale quello che deriva dall'esercizio di imprese commerciali, con la puntualizzazione che per tale si intende l'esercizio per professione abituale, ancorch� non esclusiva, delle attivit� commerciali di cui all'articolo 2195, anche se non organizzate in forma di impresa. Pertanto, non ha il minimo rilievo la forma dell'organizzazione e l'assenza dell'azienda organizzata ai sensi dell'art. 2555 e.e. Il terzo comma dispone che i servizi a terzi, diversi da quelli indicati nell'art. 2195 e.e., danno luogo a reddito d'impresa solo se l'attivit� � organizzata in forma d'impresa. L'agente di assicurazione rientra fra gli esercenti un'attivit� ausiliaria, ai sensi del n. 5 dell'art. 2195 (Cass. 1516/73; n. 6770/82). Ai fini tributari non � prevista quella distinzione fra attivit� organizzata ed attivit� prevalentemente personale che � posta dall'art. 409 novellato c.p.c. Il t.u. n. 917 del 1986 apporta una modifica che non riguarda gli ausiliari di cui all'art. 2195 n. 5 e.e., appunto perch� il presupposto della sua operativit� � che i servizi prestati non rientrino nell'art. 2195. La sentenza della Corte cost. n. 87 del 1986 non consente di pervenire ad una diversa articolazione del reddito d'impresa, che � compito del legislatore, secondo criteri puramente �quantitativi� che non potrebbero essere affidati all'interprete, caso per caso. Deve seguirsi il criterio qualitativo della legge, che non consente distinzioni di dimensioni dell'attivit� dell'agente (a tale esigenza si � provveduto con la legge n. 408 del 1990), mentre per il passato, all'esigenza di tener conto dell'apporto del lavoro personale � sufficiente il meccanismo delle deduzioni di cui all'art. 7 d.P.R. n. 599 del 1973 e successive modifiche. Nessun argomento pu� essere tratto -come ha ritenuto la Commissione centrale -dall'art. 49 ultimo comma del d.P.R. n. 597: se per l'indennit� di fine rapporto di agenzia la qualifica fiscale � quella di reddito di lavoro autonomo, tale dato normativo � irrilevante nella specie (in cui non � stata tassata l'indennit� suddetta), perch� l'attivit� di gestione ed esercizio dell'agenzia di assicurazioni rientra nell'art. 51 del d.P.R. 597 e nell'art. 51 del t.u. Dalla qualifica di una componente specifica del reddito, non si pu� trarre la qualifica dell'intero reddito; ch� anzi la norma � stata dettata per evitare che alla specifica indennit� si estendesse la qualifica generale. Lo stesso articolo 49 alla lettera a) ha cura di distinguere dai redditi di ,,��,.,,.,,,,,,.,,,,,,.,,.,.,���� PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 331 lavoro autonomo quelli derivanti da attivit� considerate nel titolo V (reddito d'impresa). Il legislatore ha inteso dare all'indennit� di fine rapporto una qualificazione espressa, senza rendere inoperante l'art. 51 per i redditi della attivit� ausiliaria (agente di assicurazione) che vi rientra �anche se non organizzata in forma di impresa �. Con le suddette argomentazioni si intendono superate quelle contenute nelle sentenze n. 3477 del 19 aprile 1987 e n. 788 del 6 febbraio 1990 (vedi sent. 13 aprile 1991 n. 3950). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 4 maggio 1992 n. 5242 -Pres. Scanzano Est. Vignale -P. M. Lami (conf.). -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Chiavegatti. Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giurisdizione condizionata Imposte dirette -Rimborsi � Ricorso alla commissione non preceduto �da istanza amministrativa � Improponibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38). Il procedimento innanzi alle commissioni tributarie � sempre costruito come processo di impugnazione di atti; anche .nel caso di rimborso, presupposto processuale � un atto esprf4sso o un atto equiparato quale il silenzio. Conseguentemente � improponibile il ricorso per rimborso di imposte dirette non preceduto da istanza amministrativa ex art. 38 del d.P.R. n. 602/1973 (1). (omissis) L'Amministrazione finanziaria ha censurato la decisione della Commissione Tributaria Centrale nella parte in cui ha ritenuto che il rapporto tributario contestato non fosse esaurito. Il contribuente ha dedotto, a tal proposito, che all'epoca della decisione della Corte Costituzionale, il rapporto in questione non poteva essere ritenuto definitivo, in quanto. relativamente ad esso egli aveva proposto ricorso innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado ancor prima che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimit� della norma impositiva. Dagli atti di causa risulta, per�, che il contribuente adl la Commissione Tributaria direttamente, senza, cio�, osservare le regole prescritte dalla legge per la richiesta di rimborso. Invero, la ripetizione dell'Ilor � regolata dal comb. disp. dell'art. 38 d.P.R. n. 602 del 1973, in materia di riscossione dell'imposta sui redditi, (1) Viene riaffermato il principio, costantemente seguito, de11a giurisdizione condizionata del giudice tributario; non � ma.ii ammessa fazione di accertamento negativo, neppure in materia di rimborsi. 332 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO e dall'art. 16 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sulla disciplina del contenzioso tributario. La prima di tali disposizioni, nel disciplinare la materia specifica del rimborso dei versamenti diretti di imposte sui redditi (tra i quali vanno ricompresi quelli eseguiti per autotassazione), pone a carico del contribuente l'onere di presentare apposita istanza all'Intendente di Finanza, nel termine di diciotto mesi dal versamento. La seconda, nella formulazione vigente all'epoca in cui il Chiavegatti propose ricorso alla Commissione Tributaria di primo grado, disponeva che, nel caso di autotassazione (o meglio, in tutte le ipotesi di tributi corrisposti �senza preventiva imposizione�), il contribuente che intendesse agire per la ripetizione del pagamento in via giurisdizionale era tenuto a notificare alla Amministrazione un'intimazione a provvedere e solo dopo che fossero inutilmente trascorsi novanta giorni da questa, poteva, nell'ulteriore termine di sessanta giorni, adire la Commissione Tributaria di primo grado per impugnare l'implicito rifiuto dell'amministrazione a provvedere, equiparato dalla legge all'atto impositivo. Invero, il procedimento innanzi alle Commissioni Tributarie � costruito come processo d'impugnazione di atti impositivi, sicch� l'esistenza dell'atto impugnabile si configura come presupposto processuale della domanda. Conseguentemente, la mancanza, al tempo della proposizione del ricorso, di un atto d'imposizione o di un atto equiparato (il c.d. silenzio-rifiuto), non consentendo alcuna forma di sindacato sull'atto da parte del giudice tributario, rendeva improponibile la domanda. Non pu�, peraltro, neppure ritenersi che la formazione dell'atto impositivo, nell'ipotesi di controversia sul diritto al rimborso di pagamento eseguito col sistema delil'autotassazione, non fosse soggetta (se non per via analogica e, quindi, con il limite dell'inapplicabilit� di disposizioni restrittive) al procedimento di cui ai citati artt. 38 d.P.R. n. 602 del 1973 e 16 d.P.R. n. 636 del 1972. Invero, come le Sezioni unite di questa Corte (sent. 9 giugno 1989 n. 2786) hanno affermato componendo le difformit� emerse nella precedente giurisprudenza della 1a Sezione, l'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 trova applicazione in tutti i casi di versamenti diretti, cio� non preceduti da un formale atto impositivo, senza possibilit� di distinguere tra i versamenti effettuati presso l'Esattoria e quelli eseguiti presso la Sezione di Tesoreria dello Stato tramite gli Istituti di credito all'uopo delegati. Alla luce di questi principi, quindi, la decisione impugnata si appalesa erronea, giacch� nella specie, quantunque risultasse che, all'epoca della sentenza della Corte Costituzionale, innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado gi� pendeva il procedimento relativo al rapporto tributario, � certo che non esisteva, in quanto neppure aveva avuto modo di formarsi, un provvedimento da sottoporre all'esame della commissione stessa, non essendo mai stata proposta l'istanza di rimborso all'Autorit� PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 333 competente. E poich� tra i poteri del giudice rientra certamente quello (esercitabile anche d'ufficio in ogni stato grado del processo, nel rispetto del solo giudicato) di controllare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio della giurisdizione, questa Corte, mancando un presupposto processuale, deve dichiarare che la domanda del Chiavegatti era sin dall'origine improponibile e cassare senza rinvio la decisione impugnata, a norma dell'art. 382 cod. proc. civ. {Omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1992 n. 5604 -Pres. Caturani Est. Ruggiero -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Liasora. Tributi erariali diretti . Imposta sul reddito delle persone giuridiche � Redditi fondiari � Terreni � Deduzione dei contributi di bonifica obbligatori Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 10, 40 e 52; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 598, artt. 3, 5 e 6). L'imposta sul reddito delle persone giuridiche � costituita per le societ� di capitali dagli utili netti risultanti dal conto dei profitti e delle perdite secondo le norme stabilite nel d.P.R. 597/1973 per il reddito di impresa, con la conseguenza che per i beni immobili non strumentali non si tiene conto dei proventi e dei costi relativi e il reddito, determinato secondo le regole dei redditi fondiari, concorre a formare il reddito complessivo; pertanto non sono deducibili i contributi di bonifica obbligatori (1). (omissis) Con il secondo motivo del ricorso, l'Amministrazione denuncia violazione dell'art. 6 del d.P .R. 29 settembre 1973 n. 598 e dell'art. 10 del d.P.R. 597/1975, ed assume che erroneamente la c.t.c. avrebbe ritenuto deducibili ai fini dell'IRPEG i contributi obbligatori versati a consorzi di bonifica, previsti dalla legge in deduzione dal reddito complessivo soltanto per l'imposta sul reddito delle persone fisiche e non anche per quella sul reddito delle persone giuridiche, n� peraltro detraibili dai redditi fondiari, nella specie denunciati dalla contribuente come tali, quali redditi dominicali ed agrari, nell'esercizio di un'azienda agricola. La censura va accolta. E' anzitutto certamente da escludere che la deducibilit� dei contributi in questione possa farsi derivare dall'art. 10 lett. b) del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, tale norma prevedendo la deduzione soltanto ai fini (1) Decisione di evidente esattezza. La motivazione offerta dalla sentenza porta a ritenere che anche per l'impresa individuale debbono valere le stesse conclusioni, anche se a queste si applica l'art. 10 lett. b) del d.P.R. n. 597/1973. 334 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO dell'IRPEF. Ma in effetti l'inapplicabilit� della citata disposizione ai fini dell'IRPEG � stata ritenuta anche dalla commissione tributaria centrale, la quale ha richiamato a fondamento della sua decisione l'art. 6 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598 che ammette in deduzione i costi e gli oneri che concorrono alla formazione degli utili netti, rilevando che i contributi per i consorzi obbligatori rientrano tra i suddetti oneri e costi e che essi non sono considerati nelle tariffe di estimo catastale. Senonch�, � proprio in base alla norma richiamata dalla c.t.c., coordinata con le precedenti disposizioni del d.P.R. 598/1973 istitutivo dell'IRPEG, come vigenti ed applicabili per i periodi d'imposta in questione, che deve escludersi la deducibilit� dei contributi di cui si tratta dai redditi fondiari che come tali siano denunciati ai fini dell'IRPEG concorrendo alla determinazione del reddito imponibile. Anzitutto l'art. 3 del citato d.P.R. 598/1973 stabilisce che �l'imposta si applica sul reddito complessivo netto, formato da tutti i redditi del soggetto passivo... �; l'art. 5 dispone che � il reddito complessivo � costituito dagli utili netti conseguiti nel periodo d'imposta determinati in base alle risultanze del conto dei profitti e delle perdite o del rendiconto secondo le norme del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 relativa al reddito d'imposta �. L'art. 6, infine, stabilisce al primo comma che � dal reddito complessivo determinato a norma dell'articolo precedente non sono ammesse deduzioni in aggiunta a quelle dei costi e degli oneri che concorrono alla formazione degli utili netti�, ammettendo poi al secondo comma, anche in deroga al precedente comma, la deducibilit� delle (sole) spese relative ad immobili di interesse storico, artistico ed archeologico sostenute ai sensi della legge 1� giugno 1939 n. 1089. Il reddito imponibile ai fini dell'IRPEG ha quindi la stessa natura del reddito d'impresa ai fini dell'IRPEF, ed � determinato con le stesse regole e gli stessi criteri, l'art. 5 del d.P.R. 598/1973 ripetendo la stessa formula adoperata come criterio fondamentale per la determinazione del reddito d'impresa (commerciale) dall'art. 52, primo comma, del d.P.R. 597/1973, e richiamando espressamente le norme di quest'ultimo decreto che disciplinano specificamente, secondo i principi e le esigenze proprie dell'imposizione tributaria, la concreta determinazione di tale categoria di reddito nelle varie voci che lo compongono secondo la tecnica contabile e le regole civilistiche. Il reddito d'impresa (commerciale) � un reddito determinato analitica IImente attraverso la somma algebrica dei ricavi e dei costi (effettivamente) conseguiti o sostenuti nel periodo d'imposta, sia pur secondo I ! i criteri e con i limiti, le variazioni ed i correttivi dettati dalla legge i tributaria. Nel reddito d'impresa rietrano anche i redditi degli immobili j posseduti ed utilizzati per l'esercizio dell'attivit� di impresa, e tali I redditi anzi, a norma dell'art. 40 del d.P.R. 597/1973, non sono pi� conside- I ! I I I I 1 I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA rati redditi fondiari, ma concorrono a formare il reddito complessivo come componenti del reddito di impresa; essi cio� non vanno denunciati in base alle risultanze catastali, ma vanno compresi nel conto dei profitti e delle partite con gli effettivi ricavi e gli effettivi costi ad essi relativi. Detta regola, ai sensi della citata disposizione, vale per� soltanto per i redditi degli immobili che siano direttamente strumentali all'esercizio dell'impresa commerciale, mentre, a norma dell'art. 52, secondo comma, del d.P.R. 597/1973, quando si tratta di immobili per i quali quella strumentalit� faccia difetto, nella determinazione degli utili netti non si tiene conto dei proventi e dei costi ad essi relativi, ed i redditi dei suddetti immobili concorrono a formare il reddito d'impresa nell'ammontare determinato secondo le regole concernenti i redditi fondiari, vale a dire mediante l'applicazione delle tariffe d'estimo catastale, le quali, come � noto, hanno riguardo al reddito medio netto ordinariamente ritraibile da immobili di una data classe, categoria e qualit�, determinato in maniera presuntiva e forfettaria secondo i criteri prestabiliti daMe norme catastali, indipendentemente dai ricavi e dai costi effet tivi del singolo periodo d'imposta. Ai fini dell'IRPEF, dal reddito complessivo, costituito dalla somma dei redditi netti delle varie categorie che siano posseduti dal soggetto d'imposta, e ciascuno di essi determinato secondo le disposizioni che rispettivamente le riguardano, sono ammessi in deduzione gli oneri specificamente indicati nell'art. 10 del citato d.P.R. 597/1973 e successive modificazioni, nei termini, nei limiti ed alle condizioni ivi indicati. Ai fini dell'IRPEG, invece la citata disposizione dell'art. 6 del d.P.R. 598/1973 vieta qualunque deduzione che non si riferisca ai costi ed agli oneri che concorrono alla formazione degli utili netti (con la sola eccezione delle spese relative ad immobili di interesse artistico, storico ed archeologico), e pertanto, ove si tratti di oneri, costi o spese riguardanti immobili il cui reddito debba essere denunciato sulla base delle risultanze catastali e non mediante l'esposizione dei ricavi e dei costi relativi, essi non sono deducibili, trattandosi di costi che, unitamente ai ricavi, non rilevano, come si � visto, ai fini della determinazione degli utili netti non andando ricompresi nel conto analitico dei profitti e delle perdite. Nella specie i contributi per i consorzi di bonifica di cui la societ� contribuente ha chiesto la deduzione dal reddito imponibile ai fini dell'IRPEG, si riferiscono a terreni non strumentali all'esercizio di un'impresa commerciale, ma destinati ed utilizzati per attivit� agricola, ed i cui redditi perci�, come � pacifico in causa, sono stati denunciati e determinati nell'ammontare risultante dall'applicazione delle tariffe d'estimo catastale, e non in quello risultante mediante l'appostazione analitica dei proventi e dei costi relativi; di conseguenza erroneamente, per quanto sopra si � 336 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO detto, la commissione tributaria centrale ha ammesso la deduzione dei suddetti contributi. In contrario non potrebbe opporsi il rilievo dello stesso giudice tributario che dei contributi in questione non risulterebbe essere stata tenuta considerazione in sede di determinazione delle tariffe catastali, poich� la circostanza potrebbe eventualmente determinare nella sede competente una revisione della rendita e delle deduzioni catastali, ma non giustificare l'alterazione ed il sostanziale svuotamento della determinazione legale del reddito fondiario, effettuata a priori con criteri di media e di ordinariet�, mediante l'enucleazione a posteriori e la considerazione e la valutazione analitica di uno solo dei suoi elementi. Pertanto, in accoglimento del secondo motivo del ricorso dell'Amministrazione, sul punto in questione la decisione impugnata deve essere cassata con rinvio alla stessa commissione tributaria centrale, la quale, in ordine alla deducibilit� dei contributi di cui si tratta, decider� la controversia attenendosi al principio che nella determinazione del reddito imponibile ai fini dell'IRPEG, nel sistema di cui agli artt. 5 e 6 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, dai redditi fondiari esposti e denunciati come tali, mediante l'applicazione delle tariffe di estimo catastale, non sono ammessi in deduzione oneri, spese o costi relativi agli immobili da cui i redditi provengono, ad eccezione delle sole spese indicate nel secondo comma del citato art. 6 del suddetto d.P.R. 598/1973, ed in particolare dal reddito dominicale dei terreni non sono deducibili i contributi versati a consorzi obbligatori di bonifica. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 12 maggio 1992 n. 5620 -Pres. Vela -Est. Olla -P. M. Martinelli (conf.) -Soc. Miniati (avv. Soldani Benzi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato G. Arena). Tributi in genere � Restituzioni e rimborsi -Decadenza -Diritti indisponibili � Rilevabilit� d'ufficio. (e.e. art. 2969). Poich� in materia tributaria il regime relativo ai termini entro i quali il contribuente pu� proporre l'azione di rimborso � sottratto alla disponibilit� delle parti, la decadenza deve essere rilevata d'ufficio a norma dell'art. 2969 e.e. in ogni grado del processo, salvo che sul punto si sia creato giudicato interno (1). (1) Viene confermata l'importante affermazione gi� fatta con la sent. 2 lu� glio 1991, n. 7248, in questa Rassegna, 1991, I, 355. Natura[mente il principio � estensibile ad ogni decadenza in materia di tributi. l'ARTB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 337 (omissis) -1.2. -La prima si fonda sulla circostanza che nel giudizio tributano l'Amministrazione Finanziaria non aveva mai dedotto che il rapporto era divenuto definitivo a far data dal 21 ottobre 1978 per la ragione valorizzata dalla Commissione Tributaria centrale; nonch� sul rilievo che1 perci�, tal ragione di definitivit� � stata rilevata d'ufficio da quel giudice. Sennonch�, osserva la ricorrente, la caducazione del diritto al rimborso di un tributo indebitamente corrisposto, per il mancato esercizio della relativa azione entro il termine di legge, realizza un fatto estintivo del diritto stesso; ossia, � un'eccezione in senso stretto e, in quanto tale, non � rilevabile d'ufficio dal giudice neanche nel giudizio di primo grado e, a, fortiori, in quello di secondo. Tanto, ad ancor maggior ragione nel pro�esso tributario, che limita ulteriormente i poteri del giudice perch� li �ncora rigorosamente ai motivi prospettati dalle parti, come � reso evidente dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 sul Contenzioso tributario e, ili particolare, dai suoi artt. 11 (per il quale il thema del giudizio di primo grado � circoscritto ai motivi enunciati nel ricorso integrabile soltanto a determinate condizioni ed entro precisi limiti) 22 e 26. D'altra parte, soggiunge, la decisione impugnata ha dichiarato l'estinzione del diritto al rimborso (con la connessa definitivit� del rapporto tributario} come conseguenza della decadenza dall'azione al rimborso, e dunque ha rilevato d'ufficio una decadenza, laddove ci� non � consentito dal disposto dell'art. 2969 cod. civ. Denuncia, perci�, che la decisione impugnata, nel rilevare d'ufficio la anzidetta ragione d'estinzione del diritto al rimborso, ha violato gli artt.Jl, 22 e 26 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 ed i principi di diritto processuale di cui agli artt. 345 e 346 Cod. proc. civ. Come risulta evidente, la ricorrente si limita a censurare l'avvenuto rilievo d'ufficio della sua decadenza dall'azione di rimborso. Non contesta, cio�, la fondatezza dei principi affermati dalla CommissiOne Tributaria Centrale, per i quali la decadenza dell'azione per il rimborso del tributo principale, corrisposto a seguito d'un avviso di liquidazione non impugnato, determina la definitivit� del rapporto tributario ili ordine a tutti i momenti logico-giuridici dell'avviso e, in particolare, al lll.efodo ed ~.criteri di tassazione da applicarsi in relazione al presupposto impositivo; tal definitivit� ha effetti diretti sull'imposta complementare, con la conseguenza che, dopo la detta definitivit�, non � pi� contestabile che la liquidazione di questo tributo debba avvenire secondo il metodo ed il criterio di tassazione utilizzato per la liquidazione deU'imposizione principale; e, in ultima analisi, la definitivit� dell'imposta principale determina la coeva definitivit� del rapporto tributario relativo all'imposta complementare in ordine al punto sul sistema di tassazione. 13 338 RASSEr.NA DEI.L'AVVOCATURA DELLO STATO Pertanto, l'indagine � circoscritta alla questione sulla rilevabilit� d'ufficio della decadenza del contribuente dall'azione al rimborso d'un tributo indebitamente versato. In proposito, contrariamente a quanto sostenuto dalla societ� Miniati, la regola per la quale la decadenza non pu� essere rilevata d'ufficio non ha carattere assoluto: a mente dell'art. 2969 Cod. civ., il precetto trova deroga (con la conseguente rilevabilit� d'ufficio) nell'ipotesi che si controverta � su materia sottratta alla disponibilit� delle parti�, e che la declaratoria di decadenza determini l'improponibilit� dell'azione. -~ Ora, � materia sottratta alla disponibilit� delle parti � non � soltanto quella che riguarda i diritti indisponibili per la loro propria natura, ma, piuttosto, quella per la quale v'� un regime legale che escluda un potere di disponibilit� delle parti nel senso che tal regime non pu� essere da loro obliterato, rinunciato o, comunque modificato. Ebbene, � di tutta evidenza che in materia tributaria il regime relativo ai termini entro il quale il contribuente pu� proporre l'azione di rimborso del tributo indebitamente versato � sottratta alla disponibilit� delle parti nel senso chiarito, di modo che il giudice deve rilevare d'ufficio la decadenza dall'azione, ove non proposta entro il termine di legge. Del resto, il principio � stato gi� affermato da questa Corte nella I sentenza 29 ottobre 1975 n. 3635, sia pure con riferimento all'ipotesi della decadenza del contribuente dal diritto a dedurre un debito dall'asse ereditario per l'inosservanza dell'onere di produrne la documentazione entro il termine di cui all'art. 50 R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270. Peraltro, la rilevabilit� d'ufficio della decadenza in presenza dei requisiti dei quali s'� detto, non � limitata al giudizio di primo grado (per l'art. 112 Cod. proc. civ., in siffatte ipotesi il giudice non viola la regola della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato) ma pu� essere effettuata anche negli altri gradi del processo, salvo che sul punto Inon si sia creato il giudicato interno espresso, ossia che sulla questione vi sia stata una statuizione espressa non impugnata e, perci�, divenuta intangibile a norma dell'art. 329 secondo comma Cod. proc. civ.; in altri termini, a precludere a tali giudici la rilevabilit� d'una questione che l'ordinamento positivo assoggetta alla regola deHa rilevabilit� d'ufficio, non � sufficiente che fa questione si debba considerare risolta, per implicito, dal giudice di grado inferiore ma necessita un'esplicita pronuncia sul punto. La disciplina esposta, poi, afferendo ai principi generali del processo civile, trova applicazione anche nel processo tributario. i ! Ne consegue che la Commissione Tributaria Centrale, nel rilevare d'uf ! ficio la decadenza della societ� Miniati dall'azione per il rimborso del tributo principale, non � incorsa nelle violazioni di legge denunciate nella censura. I Questa, pertanto, � infondata e deve essere disattesa. (omissis) I I . II I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 339 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 maggio 1992 n. 6446 -Pres. Vela -Est. Olla -P. M. Martinelli (conf.) -Mussetti (avv. Di Pasquale) c. Mini stero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). Tributi erariali indiretti -Imposte doganali � Riscossione � Ingiunzione � Op� posizione -Termine -Contestazione per mancanza di tempestivo accertamento � Decadenza. (d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, artt. 74 e 82). Il termine di quindici giorni per l'opposizione alla ingiunzione sta" bilito nell'art; 82 del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 � inoperante solo quando sia negato in astratto il potere di imposizione nei confronti della generalit� dei cittadini in quanto non previsto dalla legge; � di conseguenza inammissibile l'opposizione contro l'ingiunzione che si dice non preceduta da tempestivo accertamnto (1). (omissis) 1. -Il ricorrente assume che la disposizione dell'art. 82, secondo comma del d.P.R. 23 genaio 1973, n. 43 contenente il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale (per la quale l'opposizione avverso l'ingiunzione fiscale con cui l'Amministrazione doganale ha ordinato il pagamento di un tributo doganale deve essere proposta entro il termine di quindici giorni dalla sua notificazione) non si applica nell'ipotesi che con il provvedimento monitorio l'Amministrazione attui una pretesa, pur essendo decaduta dal relativo diritto non avendo compiuto tempestivamente i preventivi adempimenti. Difatti, spiega, in questi casi l'ingiunzione fiscale ha mera natura di atto di riscossione, sicch� non coinvolge il tema relativo all'accertamento della sussistenza del credito e la mancata opposizione tempestiva non pu� determinare una preclusione a far valere l'infondatezza della pretesa fiscale. Ora, soggiunge, nella specie, la pretesa da lui resistita (tra l'altro, con una azione di accertamento negativo e non con un'opposizione all'ingiunzione fiscale) riguardava proprio una simile ipotesi. Infatti la fattispecie riguardava importazioni di automezzi per le quali, a seguito di accertamenti definitivi, erano stati riscossi i tributi doganali previsti per la categoria degli autoveicoli destinati al trasporto di merci; ma per le quali, sul presupposto dell'erroneit� della tariffa applicata, trattandosi, invece, di autoveicoli destinati al trasporto di persone, l'Amministrazione pretendeva il pagamento dei maggiori tributi contemplati nella tariffa per questa diversa categoria. Sennonch�, osserva, siffatta pretesa si ricollega non gi� ad un'erronea interpretazione ed applicazione della tariffa doganale, ma ad una revi (1) Applicazione ad un caso specifico di principio pacifico in gdurisprudenza. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 340 sione della qualificazione del bene in relazione alle sue caratteristiche oggettive. Perci� essa pretesa era soggetta all'effettuazione della revisione entro il termine di sei mesi dall'accertamento definitivo di cui all'art. 74 del T.U. n. 43/1973, e non al termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 84 dello stesso testo legislativo; inoltre, come era incontroverso, nella specie il termine semestrale era ampiamente decorso. Pertanto, il decorso del termine di quindici giorni dalla notifica del-. l'ingiunzione fiscale non gli aveva precluso il diritto ad opporsi, con una azione di accertamento negativo, a siffatta pretesa. Ne trae che la sentenza della Corte di Torino che ha dichiarato l'inammissibilit� della sua azione tesa a dichiarare l'illegittimit� della pretesa fiscale per le ragioni esposte, � viziata per un duplice ordine di ragioni, racchiuse, rispettivamente, nel primo e nel secondo motivo di cassazione: a) ha omesso di motivare il rigetto della deduzione relativa alla sopraggiunta immodificabilit� dell'accertamento definitivo per il man� cato espletamento tempestivo della revisione, punto, questo, la cui decisivit� deriva dalla constatazione che all'acclaramento di tal circostanza � connessa l'ammissibilit� dell'azione proposta; b) affermando che la disciplina dell'art. 82 comma secondo del d.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43 si applica anche nei confronti di una controversia tesa alla declaratoria dell'infondatezza di una pretesa fiscale per la decadenza dell'Amministrazione dal diritto fatto valere, ha violato gli artt. 74, 82, 84 del detto T. U. n. 43 del 1973. 2. -Questa Corte ha gi� reiteratamente esaminato la questione di fondo proposta dal ricorso, relativa alla portata della disposizione di cui all'art. 82, comma secondo d.P.R. n. 43/1973. L'ha costantemente risolta nel senso che il precetto non trova appli� cazione soltanto nell'ipotesi che, con la controversia, si neghi l'esistenza del potere di imposizione in astratto e nei confronti della generalit� dei cittadini in quanto non previsto dalla legge; e che, invece, si applica quando la controversia ha per oggetto la sussistenza in concreto dei presupposti impositivi, ossia quando contesti l'esercizio del potere impositivo rispetto al caso singolo. Inoltre, ha specificato che la carenza del potere impositivo in astratto si pu� configurare soltanto quando, con l'ingiunzione, l'Amministrazione pretenda l'adempimento di una prestazione pecuniaria non prevista dall'ordinamento, H che si potrebbe verificare, ad esempio, quando si fondi su un presupposto d'imposta o su un tributo non contemplati dal sistema impositivo. Non anche quando fa prestazione, in astratto, � riconducibile ad una previsione normativa impositiva, mentre non � do PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vuta solo per le particolarit� del caso di specie: in queste ipotesi, l'Amministrazione non crea una previsione impositiva, ma si limita a supporre come effettivamente accaduti, contrariamente al vero, fatti astrattamente idonei ad integrare la fattispecie normativa effettivamente esistente; si limita, cio�, ad esercitare in modo scorretto un potere attribuitole. (V., da ultimo, Cass. 30 novembre 1985, n. 5985). Alla stregua di questo indirizzo, che si conferma, risulta di immediata percezione che al fine di accertare se una opposizione ad ingiunzione fiscale debba essere proposta, o no, entro il termine di decadenza fissato dall'art. 82 della legge doganale, occorre far riferimento al tema della controversia proposto dal contribuente. Se si incentra sulla deduzione che gi� dall'esposizione dei fatti costitutivi della pretesa tributaria espressa nel provvedimento monitorio, appare esulare, nella sua prospettiva astratta, da qualsiasi paradigma normativo impositivo, � certo che il tema ha per oggetto la contestazione � in radice � della pretesa impositiva, ossia la sua negazione in astratto. Se, di contro, si incentra sulla deduzione dell'insussistenza, nel caso concreto, di quei presupposti -positivi o negativi -per l'esercizio del potere impositivo che, ove esistenti, legittimerebbero l'esercizio medesimo, � altrettanto certo che il tema ha per oggetto la contestazione in concreto di detto potere. Perci�, al fine di acquisire se l'opposizione all'ingiunzione fiscale proposta dal ricorrente (tal natura, infatti, ha la sua azione, come emerge in maniera incontestabile dalla richiesta, in essa contenuta, della declaratoria di illegittimit� e di inefficacia giuridica del provvedimento monitorio) fosse soggetta o no al termine di decadenza del quale si tratta, occorre tener conto soltanto delle ragioni della contestazione della pretesa fiscale in essa sviluppate; non anche della loro fondatezza, come presuppone il primo motivo di cassazione, che, quindi, � per ci� solo infondato e da respingere. 3. -In quest'ordine di idee, � indubbio che si deve considerare diretta a contestare in concreto, e non in astratto, il potere impositivo dell'Amministrazione una controversia con la quale -come nel caso di specie -il debitore ingiunto deduca che la pretesa tributaria � infondata in quanto presuppone una revisione degli accertamenti definitivi ormai inammissibile per l'intervenuta decadenza dal diritto a provvedervi. Con una simile controversia, infatti, si contesta esclusivamente l'esercizio del potere impositivo della Amministrazione con riferimento al caso singolo. Ne deriva che un'opposizione ad ingiunzione fiscale che sviluppi una siffatta contestazione deve essere proposta, a pena di inammissibilit�, entro il termine di quindici giorni dalla notifica del provvedimento. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 342 4. -Tanto comporta che la sentenza impugnata che, uniformandosi a questi principi, ha dichiarato inammissibile l'opposizione proposta dal Mussetti stante la sua tardivit�, non � incorsa nella violazione di legge denunciata nel secondo motivo, sicch� anche questa censura deve essere disattesa. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 maggio 1992 n. 6520 -Pres. Vela Est. Sgroi -P. M. Martinelli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Guicciardi) c. Soc. Permaflex (avv. Puoti). Tributi erariali indiretti � Diritti e imposte varie -Lotto e lotterie � Premi in denaro -Attivit� illecita non autorizzabile -Esclusione dell'imposizione. (r.d.l. 19 ottobre 1933 n. 1938, artt. 49 e 51). Una tassa collegata ad una autorizzazione � dovuta quando l'autorizzazione non sia stata chiesta per il solo fatto che l'attivit� (nellf4 specie operazioni a premio) sia stata svolta, semprech� trattisi di attivit� autorizzabili; se al contrario vengono svolte attivit� non autorizzabili (nella specie operazioni con premio in denaro) il tributo non � dovuto (1). (omissis) Col primo motivo l'Amministrazione denuncia la mancanza od insufficienza di motivazione su un punto decisivo; la violazione dell'art. 112 c.p.c. (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), osservando che nella specie il'imposta applicata era stata quella proporzionale di cui al quarto comma dell'art. 49 r.d.l. n. 1933 del 1938, che non � tassa di licenza (tassa fissa dovuta in relazione all'avvenuta autorizzazione ad espletare un numero indefinito di operazioni per un certo periodo di tempo), ma un prelievo che � previsto perch� � superato il limite, fissato dal Ministero, dell'ammontare dei premi, non pi� ragguagliato al tempo di durata dell'autorizzazione, ma all'ammontare effettivo dei premi, con l'aliquota dell'8 %. (1) Decisione allarmante. Per quanto stretto possa essere il collegamento tra provvedimento di autorizzazione e tributo. � diff~cile ammettere che una attivit�, in tutto simiJle a quella considerata dalla norma, possa sfuggire all'imposta solo perch� si caratterizza con un elemento che sarebbe stato di ostacolo aiJ.la autorizzazione. D'altra parte non si vede una effettiva differenza tra autorizzazione inesistente (perch� non richiesta) e autorizzazione inesistente (perch�, oltre che non richiesta, ipoteticamente non autorizzabile). Ancor pi� preoccupa il qualificare l'operazione con premio in denaro come una legittima elusione. Elusione � un risultato ottenuto con comportamenti leciti non l'esecuzione di attivit� illecita, voluta come tale per sottrarsi all'imposizione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Nella specie non vi era tassa di licenza, ma tassa proporzionale, per cui: a) o la Corte di Roma aveva avuto presente la differenza suddetta, ed allora la questione da essa decisa in realt� non si presentava; b) o la Corte non aveva avuto presente detta differenza, ed allora la sentenza � erronea, perch� la tassa proporzionale non � collegata alla licenza ed � un prelievo collegato al fatto che comunque si conseguono (in modo lecito o non, con autorizzazione o non) effetti promozionali. Col secondo motivo, l'Amministrazione denuncia la violazione degli artt. 43, 46, 49, 53, 54 del r.d.I. n. 1933/38 (art. 360 n. 3 c.p.c.), osservando che la tesi accolta dalla Corte di Appello � paradossale, perch� teorizza un beneficio da doppia illegittimit�, in quanto ammette che la Permaflex, in quanto non ha chiesto la preventiva autorizzazione ed ha erogato premi consistenti in denaro, commettendo un atto vietato, non deve pagare la tassa proporzionale. Secondo l'Amministrazione, a parte gli aspetti sanzionatori penali, vi � la necessit� del ripristino della situazione giuridica lesa sotto il profilo dell'entrata fiscale, perch� l'effetto promozionale conseguito con il denaro non pu� andare esente da tributo. Trattasi di tributi percetti in occasione di un'autorizzazione amministrativa, che hanno come presupposto lo svolgimento di attivit� promozionali mediante meccanismi premiali. Secondo l'Amministrazione, non si pu� ricorrere all'argomento secondo cui non � suscettibile di tassazione !"attivit� illecita, perch� il fatto illecito consiste nell'aver organizzato una manifestazione a premi senza aver ricevuto la preventiva autorizzazione e senza aver pagato la relativa tassa, non nella scelta del mezzo (denaro) con cui il premio veniva erogato, essendo questa una circostanza influente sulla concedibilit� dell'autorizzazione, ma non costituente un autonomo specifico illecito. L'obbligo fiscale -secondo la ricorrente -non � eludibile organizzando la manifestazione con modalit� tali da renderla non autorizzabile. Una volta che l'operazione si sia svolta, le sue modalit� non possono escludere la percezione del tributo sull'ammontare dei premi erogati. Il ricorso � infondato. In primo luogo, le censure contenute nel primo motivo non colgono nel segno perch� � evidente e chiaro il contenuto della sentenza impugnata, che � partita dal presupposto che la tassa di cui all'art. 49 del r.d. n. 1933 del 1938 e succ. mod. sia in ogni caso una tassa di licenza, sia quando � stabilita in misura fissa che quando � stabilita in misura proporzionale all'ammontare dei premi. Tale assunto si deve condividere. 344 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO L'art. 49 stabilisce una tassa di licenza in misura variabile a seconda del reddito del soggetto ed a seconda della oircostanza che le operazioni a premio siano limitate ad una provincia od estese in due o pi� province, ma sempre in misura fissa, per ciascuno dei suddetti casi. Il quarto comma dispone: �L'applicazione della tassa di licenza � subordinata, per�, alla condizione che i premi assicurati a tutti, considerati nel loro valore assoluto e non in relazione all'entit� degli acquisti, siano contenuti nei limiti che sono fissati ogni anno... �. Ed il successivo comma dispone: � Qualora il valore dei premi sia per tutti superiore al limite stabilito, dovr� applicarsi la tassa proporzionale nella misura dell'8 per cento sul valore complessivo dei premi stessi; qualora invece il valore dei premi sia per alcuni contenuto nei limiti stabiliti nel decreto del Ministro per le finanze e per gli altri sia superiore a tale limite, � dovuta sui primi la tassa di licenza e sugli altri la tassa proporzionale dell'8 per cento � . Dall'ultimo comma dell'art. 49 risulta l'alternativit� fra le due misure di tassa, ma non la distinzione fra esse. La tassa fissa � indicata come tassa di licenza, per brevit� (comprendendosi in essa tutte le ipotesi indicate nei primi tre commi); la tassa proporzionale non � espressamente indicata come tassa di licenza, ma ci� non significa che essa non sia tale. Altrimenti si dovrebbe concludere che quella proporzionale non � collegata all'autorizzazione, ma ad un altro presupposto, e cio� al compimento di fatto dell'operazione a premio. Tale conclusione contrasta con tutto il sistema del titolo V della legge, che si occupa, appunto, delle previe autorizzazioni necessarie per i concorsi e le operazioni a premio, nonch� con il tenore letterale dell'art. 124: � Chiunque promuove od organizza concorsi od operazioni a premio senza aver ottenuto la prescritta autorizzazione o senza aver pagato la relativa tassa, � punito... �. La punizione si riferisce, evidentemente, ai due tipi di tassa, non essendo previsto un esonero da responsabilit�, nel caso che sia dovuta la tassa proporzionale la quale, quindi, � espressamente definita come � relativa � all'autorizzazione, e cio� come tassa connessa all'autorizzazione medesima. L'alternativit� fra le. due ipotesi si spiega con l'osservazione che, evidentemente, chi non ha ottenuto la prescritta autorizzazione, non avr� pagato la tassa relativa ad essa; ma chi ha ottenuto l'autorizzazione pu� incorrere nella contravvenzione solo per il fatto (diverso) di non aver pagato la �relativa tassa�. Sorge il problema se una tassa collegata all'autorizzazione sia dovuta quando detta autorizzazione non sia stata chiesta (e cio� per il fatto I i obiettivo di avere organizzato o promosso le operazioni a premio) e la risposta non pu� che essere positiva (perch� altrimenti si autorizzerebbe l'evasione volontaria dal tributo, realizzata con la semplice astensione dal richiedere l'autorizzazione), ad una precisa condizione: che, cio�, la suddetta operazione rientri fra le operazioni autorizzabili. I I 1 II I I I - PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 345 Se l'autorizzazione non pu� essere data (per esempio, come nel caso di specie, perch� i premi consistevano in denaro e cio� l'operazione era organizzata con modalit� vietate dall'art. 51) si spezza il lagame necessario fra l'autorizzazione (concessa o concedibile) e la tassa, la quale andrebbe a colpire non un fatto di evasione fiscale, ma un fatto di � elusione � e cio� un procedimento indiretto rivolto al medesimo risultato pratico, con modalit� diverse da quelle previste dalla legge. Si pu� ammettere la parificazione fra l'evasione o l'elusione quando la legge prevede un'ipotesi specifica di frode fiscale, colpendo con la stessa imposizione tutti i fatti -comunque configurati -diretti a raggiungere il medesimo scopo, ovvero quando dal sistema risulta l'indifferenza di un atto formale, per la percezione della tassa. Se, invece, il sistema �, come nel caso di specie, nel senso di un'indefettibile correlazione fra la tassa e l'atto formale, se questo non solo non esiste, ma non potrebbe neppure esistere per difetto di un requisito dell'atto da autorizzare, l'imposizione andrebbe a colpire un atto diverso da quello configurato dalla legge e, quindi, difettandone uno degli elementi costitutivi, non pu� essere pretesa. Certamente, il sistema ricostruito in tal modo si presta ad una facile elusione fiscale, ma dovrebbe essere la legge a prevedere tale fenomeno (con l'espressione, per esempio: �con qualunque mezzo o modalit�� riferita all'operazione a premio, per la quale � dovuta la tassa di licenza non richiesta e, quindi, non ottenuta e, per avventura, neppure ottenibile). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 29 maggio 1992 n. 6521 -Pres. Vela -Est. Morelli -P. M. Martinelli (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laporta) c. Soc. Laria (avv. Cagnano). Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Reddito di impresa -Perdite su cambio -Deducibilit� alla chiusura dell'esercizio -Esclusione -Deduzione al momento della scadenza. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, artt. 9, 51 e 74; d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 72). Nel vigore del d.P.R. 597/1973, ai fini delle imposte sul reddito di impresa e con riguardo ai debiti in valuta estera non ancora scaduti, non sono deducibili le differenze negative tra il cambio esistente al momento dell'assunzione dell'obbligo e quello in atto alla chiusura dell'esercizio; la perdita sar� deducibile al momento della scadenza dell'obbligazione (1). (1) Decisione esatta. Soltanto per i titoli posseduti dall'imprenditore le variazioni devono essere valutate, come beni merce, a norma dell'art. 63 del 346 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) 1. -Sulla premessa, in fatto non controversa, che nell'esercizio 1974 la societ� Laria non aveva effettuato alcun pagamento in restituzione dei prestiti da essa contratti, nel 1971, per 200.000 dollari U.S.A. e per 1 milione di marchi tedeschi, l'Ufficio delle Imposte ha negato -come gi� detto -la detraibilit�, ai fini dell'imponibile IRPEG per il 1974, della somma (di Lit. 91.806.644) esposta in deduzione dalla resistente alla stregua dei cambi dell'ultimo esercizio. Ed avverso la dichiarazione di illegittimit� di tale rettifica -contenuta nella sentenza impugnata -insorge ora appunto l'Amministrazione, con la denuncia di violazione delle norme in narrativa indicate. 2. -Il problema, che con l'odierna impugnazione si chiede in sostanza al Collegio di risolvere, � quello (invero assai risalente) del trattamento fiscale delle differenze-cambio [sulle divise in portafoglio e] sui [crediti e] debiti in valuta estera, nell'ambito del sistema di determinazione del reddito di impresa. Di esso si � cominciato a dibattere nel vigore del T .U. di R.M. del 1877: gi� in quel contesto delineandosi l'antitesi di fondo (che qui tende a riproporsi) tra una prospettiva aziendalistica e civilistica, favorevole alla detraibilit� e tassabilit� immediata delle differenze in questione (per cui non rileva che esse siano durature o passeggere) ed un opposto orientamento che nega rilevanza alle differenze-cambio in quanto prive del requisito di definibilit�. Dopo iniziali oscillazioni, prevalse -come � noto -sempre pi� decisamente, in quel contesto normativo, la seconda tesi. Per cui la giurisprudenza fin� col consolidarsi nell'affermazione che (al di fuori delle ipotesi di divise o titoli esteri rimasti in portafoglio a fine es�ercizio a chi ne faccia oggetto della propria attivit� industriale o commerciale, configurabili come �monte merci �, anche per quanto riguarda le correlative � differenze �; e delle variazioni dovute non a mere oscillazioni del corso del cambio ma a mutamento nella consistenza obiettiva della moneta), in ogni altro caso, il momento rilevante coincidesse non col verificarsi delle variazioni nel corso del cambio ma [con la vendita delle divise estere, con la riscossione del credito o] con il pagamento del d.P.R. 597/73. Rispetto ai crediti e ai debiti le fluttuazioni intermedie sono irrilevanti fino alla scadenza. Indipendentemente dal principio di competenza, che pure sarebbe applicabile nel reddito di impresa, � evidente che la variazione negativa non costituisce perdita come la variazione positiva non costituisce reddito prima della reailizzazione (alla scadenza) del credito e del debito. Il nuovo t.u. n. 917/1986 ha previsto per la prima volta (art. 72) un fondo a copertura dei rischi di cambio che consente, con un complicato meccanismo, la deduzione di .una quota che sar� riassorbita al momento della riscossione o del pagamento; ma questa � una facolt� che non modifica la regola che le variazioni del cambio diventano rilevanti solo altla scadenza. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA debito. E ci� perch�, avendo la legge concepito come reddito soltanto una effettiva entit� economica, � si disinteressa, agli effetti della sua determinazione, di quei fatti od emergenze, passive od attive, che non si sono ancora tradotti in una precisa e definitiva realt� economica�. 3. -Questo indirizzo, mantenuto fermo anche nella vigenza del T.U. del 1958, dovrebbe considerarsi -secondo la Corte d'Appello -viceversa modificato con l'entrata in vigore della successiva riforma del 1973, per effetto della adesione da questa operata al principio di � competenza � in materia di determinazione del reddito di impresa (art. 74 d.P.R. 597 cit.). Per cui in definitiva -come sostenuto da dottrina, cui pi� volte il giudice torinese mostra di volersi adeguare -anche agli effetti del trattamento delle differenze-cambio sarebbe divenuto ora dlevante �il momento di nascita del diritto o dell'obbligazione e non quello della loro estinzione, se diverso dal primo �. 4. -Osserva, per�, il Collegio che questa prospettiva interpretativa -mossa dall'intento di conformare la disciplina tributaria alla configurazione aziendalistica del fenomeno della oscillazione dei cambi (in un contesto, per di pi �in cui varie congiunture internazionali ne hanno, a volte drammaticamente, amplificato la dimensione) -urta per� con la connotazione reddituale e non patrimoniale dell'imposta in questione e soprattutto non trova reali spazi di inserimento nelle maglie del tessuto normativo in applicazione. 5. -L'art. 9 del menzionato d.P.R. 597, di cui non a torto l'Avvocatura lamenta la violazione, drasticamente esclude, infatti -con disposizione (sub lett. a) di carattere generale, estendibile ad ogni tipo di credito o debito (anche quindi, a quelli in moneta estera) -che possa tenersi conto, ai fini della determinazione del reddito, �[dei crediti esigibili non ancora riscossi e] dei debiti scaduti non ancora pagati�. E ci� gi� di per s� conduce a negare la deducibilit� (come nella specie si pretende) rdi componenti di debiti addirittura neppure ancora scaduti. Sulla stessa linea -per quanto riguarda le categorie (per alcuni profili omogenea a quella considerata) delle � spese ed oneri in valuta estera� -stabilisce del resto, ancora l'art. 9 sub lett. b, che la correlativa valutazione debba operarsi � secondo il cambio del giorno in cui sono stati sostenuti�. 6. -Il significato di tali prescrizioni � quindi tranciante; e non pu� valere a superarlo la tesi, pur suggestivamente esposta, che trattisi di disposizioni generali in materia di reddito, derogabili, all'interno dello stesso d.P.R., dalla normativa speciale (artt. 51 ss., 74) in tema di reddito d'impresa. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 348 Una siffatta deroga -nel senso prospettato della immediata detraibilit� delle differenze sui cambi nell'esercizio in cui risultino verificate, anche in relazione a debiti non scaduti -dovrebbe in tesi, direttamente infatti discendere dalla opzione espressa, in materia, dal legislatore per il principio di competenza: che -come si sostiene -dovrebbe appunto implicare, per le suddette � differenze �, il disancoraggio della correlativa rilevanza dal momento di effettiva incidenza suU'operazione in valuta, quale sarebbe viceversa postulato dail principio di cassa. Gli � per� -e qui sta la forzatura (se non l'equivoco) concettuale dell'esaminata costruzione -che, a fronte del fenomeno della modificazione del corso dei cambi, la perdita eventualmente risentita dal mutuarlo non deriva dal fatto che egli debba, per l'effetto, corrispondente un importo superiore del proprio debito (che resta viceversa fermo nel suo valore nominale iniziale) sibbene dal maggior costo della moneta estera di cui egli deve approvvigionarsi per estinguere l'obbligazione. Si tratta, in altre parole, di perdita che non si pone in relazione a spese od oneri in valuta estera, ma all'acquisto di tale valuta, nella contrapposizione tra costo e ricavo. Per modo che, anche applicando il criterio della competenza, non si modifica comunque la soluzione (gi� scaturente dall'art. 9 cit.) per cui la sopravvenienza passiva (se cos� pu� qualificarsi) per differenza cambi diviene rilevante ed � conseguentemente deducibile [solo] nell'esercizio in cui, dovendosi estinguere (per l'intervenuta scadenza) in tutto o in parte l'obbligazione restitutoria il mutuatario viene a subire il maggior costo della valuta all'uopo occorrente: dacch� quello, appunto, � l'esercizio di competenza di detto costo. 7. -Antecedentemente al momento estintivo del debito, in correlazione alle modifiche dei cambi sopravvenute nell'arco temporale successivo alla stipula del mutuo, non esiste quindi un dato reddituale riferibile all'imprenditore mutuatario, che sia fiscalmente rilevante. Esiste bens� un rischio per il maggior costo cui in futuro questi pu� andare incontro nell'approvigionamento della valuta estera. Ma tale rischio -in considerazione del quale il legislatore dell'86 ha configurato una ipotesi ad hoc di �accantonamento� entro dati limiti) deducibile (v. art. 72 T.U. 1986 n. 917) non aveva sbocchi di rilevanza normativa nella pregressa disciplina delle imposte sul reddito d'impresa, attesa la mancanza, in quel contesto, di una ipotesi analoga ed il principio di tassativit� degli accantonamenti deducibili. 8. -Il ricorso della Finanza �, pertanto, fondato e va accolto: con la conseguente cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Torino. La quale si atterr�, nel deciderla, al principio di diritto per cui, � nel vigore dei PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 349 decreti P.R. n. 597 e n. 598 del 1973, ai fini delle imposte sul reddito d'impresa e con riguardo a debiti di valuta dell'imprenditore non ancora scaduti, non sono deducibili le eventuali differenze negative tra il cambio esistente al momento di stipulazione del mutuo e quello in atto alla chiusura dell'esercizio�. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 3 giugno 1992 n. 6789 -Pres. Montanari Visco -Est. Favara -P. M. Di Renzo (conf.). -Rivetti (avv. Jona) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Criscuoli). Tributi in genere � Contenzioso tributario � Giurisdizione � Opposizione all'esecuzione � Terzo � Controversia di imposta � Giurisdizione delle commissioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, artt. 1 e 16; d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, artt. 52 e 53; c.p.c. art. 619). Nelle imposte ricomprese nell'art. 1 del d.P.R. n. 636/1972 la tutela giurisdizionale � sempre affidata alle commissioni tributarie ogni volta che sia contestata nei confronti della Amministrazione, anche in sede di opposizione all'esecuzione, la debenza del tributo; tale principio � valido anche per il terza che non limiti la sua opposizione alla appartenenza del bene pignorato al debitore (1). (omissis) 2. -Con i primi due motivi del ricorso principale, che possono esaminarsi congiuntamente perch� tra loro logicamente connessi, si deduce (denunciando -rispettivamente -violazione degli artt. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 in relazione all'art. 54 d.P.R. n. 602/73 e 619 c.p.c., nonch� violazione degli artt. 8 legge 2 dicembre 1975 n. 576 e 65 d.P.R. n. 602/73 in relazione agli artt. 34 d.P.R. n. 645/1958 e 619 c.p.c.): a) che erroneamente la Corte di Torino ha pronunciato il proprio difetto di giurisdizione, senza considerare che non si trattava di azione proposta dall'obbligato principale o solidale d'imposta (come nel caso di cui alla sentenza n. 6042/83 della Cassazione, richiamata e posta a base della (1) Decisione conforme a varie altre (da ultimo Cass. 19 marzo 1990, n. 2281 e 29 agosto 1990, n. 8979, in questa Rassegna, 1991, I, 86) esatta in termini generali sulla giurisdizione, ma che non affronta, malgrado un accenno, il problema della legittimazione del terzo a proporre una vera controversia di imposta. Sul punto � necessario un maggiore approfondimento per distinguere la posizione del vero e proprio terzo, da quella del terzo in particolare situazione (come il possessore di bene gravato di privilegio speciale) e dei soggetti (non pi� terzi) diversi dal contribuente ma soggetti passivi dell'obbligazione, come i responsabili di imposta. Sulla questione v. C. BAFILE, Alcune riflessioni sui limiti della giurisdizione speciale tributaria, in Riv. dir. trib., 1991, I, 721. 350 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO decisione), ma di opposizione di terzo che si affermava proprietario dei beni pignorati, estraneo al processo tributario, il quale aveva richiesto un mero accertamento in via incidentale limitato al giudizio di opposizione ed esulante dal concetto di controversia tributaria (affidata dal d.P.R. n. 636/72 alla giurisdizione speciale delle Commissioni; b) che inoltre la Corte, nel respingere l'opposizione, ha erroneamente ritenuto estesa la responsabilit� d'imposta alla Gualino, moglie del debitore, in base ad un'inesistente solidariet� ex art. 65 d.P.R. n. 602/73 (poich� il ruolo era stato emesso in base a titolo costituito dail concordato fiscale posto in essere dal curatore dell'eredit� giacente del defunto marito, a cui non aveva partecipato la Gualino). Entrambi i motivi sono infondati. Questa Corte, nell'esaminare la questione della tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente a seguito della nuova disciplina del contenzioso tributario introdotta dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, ha gi� avuto pi� volte modo di affermare il principio che, con riguardo alle imposte contemplate dall'art. 1 del decreto su citato, detta tutela si esplica esclusivamente mediante il ricorso alle Commissioni tributarie e che perci� resta preclusa, per difetto di giurisdizione, la proponibilit� davanti all'autorit� giudiziaria ordinaria delle azioni volte a contestare, nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, la debenza del tributo, anche in forma di accertamento negativo della pretesa della detta amministrazione (S.U. 3 febbraio 1986 n. 660; Id. 17 ottobre 1988 n. 5629, oltre alla gi� citata sentenza n. 6042/83; e pi� di recente, Cass. 19 giugno 1990 n. 6174). i Ci� anche in sede di opposizione all'esecuzione, quando con essa I ~ si introduca una controversia tributaria, denunciando l'illegittimit� dell'azione esecutiva. In tali ipotesi infatti la domanda, anche se limitata all'accertamento della non debenza dell'imposta, tende a risolvere in via preventiva una questione di carattere tipicamente tributario, come tale riservata alla giurisdizione speciale attribuita in materia dal citato d.P.R. n. 636/73 in via esclusiva alle Commissioni, che non pu� risultare pregiudicata ad opera di un giudice diverso. Con la sentenza n. 6040 del 15 ottobre 1986 questa Corte ha poi specificamente esaminato il caso dell'opposizione all'esecuzione esattoriale intrapresa nei confronti di un soggetto diverso dal debitore iscritto a ruolo in forza di una pretesa sua coobbligazione solidale; ed ha affermato che la domanda di detto soggetto passivo rivolta a denunciare l'illegittimit� dell'azione esecutiva per difetto di titolo configura un'opposizione all'esecuzione, come tale non proponibile (ai sensi degli artt. 53 e 54 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 604) dinanzi al giudice ordinario e che resta invece devoluto alle commissioni tributarie l'accertamento dell'inesistenza dei presupposti dell'obbligazione. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351 Tale principio non pu� non essere esteso al terzo che, in via di opposizione ex art. 619 c.p.c., faccia valere un'uguale pretesa, con riferimento alla posizione del debitore d'imposta o di un coobbligato di questi, e chieda al giudice (ordinario) dell'esecuzione l'accertamento in via incidentale della non debenza del tributo da parte dei detti soggetti, per i riflessi che indirettamente deriverebbero a suo favore da un simile accertamento negativo. Oggetto del giudizio di opposizione di terzo, che � autonomo rispetto al processo esecutivo, � la legittimit� dell'esecuzione esclusivamente sotto il profilo dell'appartenenza del bene pignorato al debitore. Il terzo non � cio� legittimato a far valere vizi della procedura; tanto meno pu�, quando per l'accertamento di questi � prevista la giurisdizione delle Commissioni Tributarie, dedurre detti vizi dinanzi al giudice ordinario dell'opposizione ex art. 619 c.p.c., al quale non pu� essere rimessa la cognizione di una controversia tributaria neppure in via di accertamento incidentale. Al di fuori di ci�, resta invece ferma ovviamente, la competenza giurisdizionale dello stesso giudice a conoscere nel merito dell'opposizione di terzo, per quanto riguarda l'appartenenza del bene sottoposto all'esecuzione fiscale. Correttamente perci� nel caso in esame la Corte di merito ha ribadito il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a conoscere della questione proposta dall'opponente in ordine all'inesistenza dell'obbligazione tributaria, a titolo solidale, della Gualino quale moglie del debitore, per non avere essa sottoscritto il concordato fiscale concluso dal curatore dell'eredit� giacente del marito, unico debitore d'imposta. Ci� tanto pi� in quanto di detta questione era stato investito (su istanza degli eredi della Gualino) proprio il giudice tributario, come risulta dalla decisione della Commissione Centrale esibita dal ricorrente in questa sede. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 giugno 1992 n. 7151 -Pres. Montanari Visco -Est. De Musis -P. M. Amirante (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Zecca) c. soc. ISMEP (avv. Bassi). Tributi erariali diretti � Imposta sui redditi di ricchezza mobile � Plusva� lenza � Maggior valore dovuto a svalutazione monetaria � Iscrizione hl bilancio � Non costituisce reddito. (t.u. 29 gennaio 1938, n. 645, artt. 100 e 106). La plusvalenza imponibile, che ha un substrato economico, deve essere non soltanto nominale ma effettiva, cosicch� i valori da porre a raffronto per determinare l'incremento devono essere riportati ad omoge-1 neit� tenendosi conto dell'intervenuta svalutazione monetaria (1). (1) La decisione, riferita all'imposta di ricchezza mobile, non dovrebbe fare da precedente, si spera, per Je imposte ora vigenti. Ma anche con riferimento 352 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) Con l'unico motivo si deduce che la Commissione tributaria centrale, affermando, in conformit� con l'orientamento di questa Corte, che la rivalutazione degli immobili iscritti in bilancio, in base alla intervenuta svalutazione monetaria, non costituiva plusvalenza tassabile, � incorsa in violazione degli artt. 44 e 106 del d.P.R. 20 gennaio 1958 n. 645, dell'art. 11 della preleggi, dei principi generali sul carattere nominalistico della imposizione tributaria nonch� in vizio di motivazione perch�: a) la tassazione deHa p1usvailenza (allorch� questa �) iscritta in bilancio costituisce una conseguenza normale della disciplina dei criteri di valutazione dell'attivo, secondo la quale (art. 2425 e.e.) gli immobili non possono essere iscritti per un valore superiore al prezzo di costo e solo speciali ragioni consentono di derogare a tale prescrizione; b) la tassazione della plusvalenza meramente monetaria � conforme al principio, sul quale � basato l'intero sistema tributario, e secondo il quale il reddito tassabile � quello monetario e non quello reale e, inoltre, tale principio, del tutto ragionevole, � stato ritenuto legittimo dalla Corte costituzionale, con riferimento alla tassazione della indennit� integrativa speciale (sentenza n. 277 del 1984); e) ha ritenuto che solo la peculiarit� della fattispecie consentisse di seguire l'orientamento di questa Corte, e ci� nonostante che questo esprimesse un principio di portata generale e che la ragione che aveva determinato l'iscrizione (ottenimento di un maggior credito) era irrilevante ai fini fiscali. Il motivo � infondato. Il vizio di motivazione, consistente nell'erroneit� della giustificazione di doversi conformare all'orientamento di questa Corte non sussiste poich� � irrilevante il motivo che ha indotto il giudice del merito e seguire un determinato orientamento giurisprudenziale, essendo invece decisivo al tributo abrogato, le conclusioni della sentenza non possono essere condivise. In passato � gi� stata affermata la intassabilit� delle plusvalenze meramente nominali in relazione alle plusvalenze da speculazione realizzate da soggetto non imprenditore, ma non per quelle conseguite nell'ambito dell'impresa e pi� ancora di soggetti tassabili in base a bilancio (Cass. 23 gennaio 1984, n. 547 in questa Rassegna, 1984, I, 343 e 10 febbraio 1987, n. 1338, in Dir. prat. trib., 1987. II, 399). Proprio per la affermata omogenea natura delle plusvalenze realizzate mediante cessione e delle plusvruenze iscritte, si deve ritenere che come la plusvalenza iscritta d� luogo immancabilmente alla imposizione, senza poter discernere nel maggior valore risultante da bilancio la parte afferente alla svalutazione monetaria, cos� ogni altra plusvalenza prescinde dalla svalutazione, come avviene universalmente in tutto il sistema tributario rigidamente nominalistico. Diversamente non si saprebbe comprendere la ragione della lunga serie delle rivalutazioni monetarie (parziali) esenti da imposta stabilite con legge, se in PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 che egli si sia in concreto uniformato all'orientamento, e pertanto solo questo � censurabile. La violazione di legge non sussiste poich� l'orientamento di questa Corte, espresso nella sentenza n. 547 del 23 gennaio 1984 -e secondo il quale in tema di imposta di ricchezza mobile il concetto giuridico-tributario di plusvalenza non pu� separarsi dal substrato economico e si riferisce ad una plusvalenza non meramente nominale, bens� effettiva e reale, per cui i valori da porre a confronto per la determinazione della plusvalenza devono essere riportati ad omogeneit� tenendosi conto della intervenuta svalutazione monetaria -� stato confermato nella sentenza n. 1388 del 10 febbraio 1987, la quale ha ulteriormente approfondito la questione. E non v'� motivo per discostarsi da tale orientamento, dal momento che le argomentazioni addotte nell'attuale ricorso devono ritenersi sostanzialmente gi� esaminate nelle citate sentenze. Due sole considerazioni appaiono opportune, in relazione a due argomentazioni sulle quali la ricorrente particolarmente insiste, e cio�: 1) che la tassabilit� della plusvalenza, in caso di iscrizione in bilancio, deriva dai criteri che presiedono a tale iscrizione; 2) che la iscrizione di un immobile con un valore di rivalutazione desunto dall'intervenuta svalutazione monetaria importerebbe la iscrizione di maggiori quote di ammortamento, le quali determinerebbero il computo di costi in realt� non sostenuti. Va al riguardo rilevato: sub 1): la iscrizione in bilancio non costituisce essa la ragione della sussistenza della plusvalenza; questa, cio�, non � diversa dalla plusvalenza non iscritta in bilancio, ma (comunque) realizzata o distribuita. La plusvalenza ha sempre la stessa natura, quale � fissata, per le imprese commerciali, dall'art. 100 del T.U. 29 gennaio 1958, n. 645. Il successivo art. 106 -secondo il quale � le plusvalenze di tutti i beni appartenenti ai soggetti tassabili in base a bilancio concorrono a via ordinaria la rivalutazione � sempre possibile e per l'intero. Al contrario l'iscrizione in bilancio della rivalutaziooe fondata sulla sola perdita del potere di acquisto della moneta, al di fuori di specifiche norme che la autorizzano, non solo non � esente da imposta ma � vietata dall'art. 2425 cod. civ.; se quindi l'iscrizione di un maggior valore � stata possibile, vuol dire che essa � dovuta a causa diversa dalla svalutazione. Inesatta � anche l'affermazione che il maggior valore iscritto in bi!lancio non d� luogo ad un maggiore ammortamento perch� questo resta sempre riferito al prezzo di costo del bene. L'ammortamento deve invece seguire gli incrementi patrimoniali del bene proprio per bilanciare il deperimento e il consumo a nor ma dell'art. 2425 n. 1 cod. civ. Ed infatti nel:le leggi di rivalutazione monetaria (cfr. da ultimo art. 25 comma 7, ilegge 30 dicembre 1971, n. 413) � espressamente previsto che le quote di ammortamento vanno commisurate al valore aggiornato. 14 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 354 formare il reddito imponibile dell'esercizio nel quale sono realizzate, distribuite o iscritte in bilancio � -indica solamente il periodo fiscale al quale vanno riferite le plusvalenze, ma non contiene una definizione di queste, la quale � presupposta e non pu� essere che quella data nel precedente art. 100; sub 2): le quote di ammortamento vanno calcolate come prescrive l'art. 2425 n. 1 e.e., (nel testo anteriore al d.l. n. 127 del 1991) non in relazione al valore dell'immobile, ma in relazione al valore di esso non superiore al prezzo di costo. � quindi a quest'ultimo, e non al valore in s� dell'immobile che va parametrato l'ammortamento, il cui ammontare, se fosse parametrato al valore attuale dell'immobile, costituirebbe, nella parte in cui supera l'ammontare dell'ammortamento come individuato, un fondo di rinnovamento. CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 giugno 1992 n. 7180 -Pres. Scanzano Est. Sgroi -P. M. Grossi (conf.). -Marchese (avv. Tiraboschi) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cingolo). Tributi erariali diretti -Imposta sul reddito delle persone fisiche -Accertamento � Incompleta indicazione nelle fatture � Accertamento induttivo � Legittimit�. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21). La indicazione delle quantit� da riportare nelle fatture, quando no11; � sufficientemente espressa dal numero delle unit�, deve essere espressa nel peso (nel caso deciso si trattava di animali da macello); di conseguenza l'indicazione del solo numero delle unit� d� la facolt� all'ufficio di procedere all'accertamento induttivo a norma del secondo comma dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 (1). (omissis) Il Marchese, col primo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi generali che regolano l'accertamento induttivo e in particolare dell'art. 39 secondo comma punto d) del d.P.R. n. 600/73, nonch� omessa e comunque insufficiente motivazione circa punti decisivi (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), lamentando che la motivazione della decisione impugnata si esaurisca nella trascrizione dei giudizi espressi dalla Guardia di Finanza, facendoli propri sic et simpliciter, mentre essa avrebbe dovuto verificare se la fattispecie concreta rilevata nel (1) Decisione da condividere pienamente e da segnalare per la tecnica di ricostruzione del reddito quando non esistono gli elementi per l'accertamento analitico. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA processo verbale della Guardia di Finanza si potesse attagliare a quella astratta prevista dal dt. art. 39 e se tale norma poteva applicarsi ai fatto concreto; e cio� avrebbe dovuto motivare indicando le omissioni contenute nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni del ricorrente, nonch� la particolare gravit� e ripetuta frequenza delle irregolarit� formali delle scritture contabili e delle dichiarazioni del Marchese. Dalla motivazione della decisione impugnata non risulta quali fossero gli elementi necessari perch� le scritture contabili meritassero fede o per rendere trasparente l'ammontare dei ricavi; la Commissione Centrale avrebbe dovuto procedere ad identificare le irregolarit� formali e quelle sostanziali delle dichiarazioni e della contabilit�, mentre essa ha confuso le une e le altre, senza neppure indicarle. Secondo il ricorrente, non esistevano n� le une n� le altre, perch� il Marchese aveva puntualmento annotato i corrispettivi, aveva puntualmente annotato le spese ed aveva regolarmente dichiarato i ricavi, come le spese e gli utili; si imputava al Marchese di non avere annotato nelle fatture di acquisto del bestiame vivo il peso di quest'ultimo, ma egli aveva indicato in fattura il numero dei capi acquistati, ai sensi dell'art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, che impone l'indicazione della quantit� e non del peso; e poich� nessun rilievo era stato mosso in relazione al numero dei capi acquistati, era incomprensibile l'esistenza di un'omissione o falsa ed inesatta indicazione nelle scritture contabili che potesse portare ad accertamento induttivo, mentre nessuna violazione era stata accertata nell'annotazione dei corrispettivi. Col secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 39 primo comma del d.P.R. n. 600 del 1973, nonch� omessa o comunque insufficiente motivazione su punti decisivi (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), affermando che, alla luce di quanto affermato nel primo motivo, era evidente l'omessa motivazione in ordine ai maggiori ricavi accertati, perch� [e presunzioni devono essere gravi, precise e concordanti, mentre la Commissione Centrale non ne indicava neppure uno, pur affermando che le scritture contabili del Marchese erano inattendibili, mentre l'unica presunzione ipotizzabile era quella relativa alla mancata indicazione, nelle fatture, del peso dei capi acquistati vivi (soltanto in via ipotetica, perch� la motivazione della sentenza non dava alcuna indicazione al riguardo, per cui era affetta da omissione di motivazione). Il ricorso � infondato. Cos� risulta dal testo dell'art. 39 d.P.R. n. 600, l'Ufficio procede alla rettifica sulla base (anche) delle ispezioni e delle altre verifiche di cui all'art. 33, che possono essere effettuate anche dalla Guardia di Finanza. Una motivazione dell'accertamento (e della decisione giudiziale sulla sua contestazione) ben pu� essere esaurita dal rinvio totale alle risultanze delle suddette verifiche, se esse corrispondono alla previsione della legge. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 356 Nella specie, dalla lettura integrale della decisione impugnata (che, invece, non � contenuta nel ricorso) risulta che la Commissione Centrale ha ritenuto provati i seguenti dati: a) omissione delle quantit� (nel senso di �peso�) degli animali acquistati per il macello (il cui numero era incontroverso); b) accertamento dei corrispettivi pagati per il loro acquisto desunto dalla contabilit� del Marchese; e) accertamento del peso vivo e della resa, desunto da uno studio settoriale; d) accertamento del prezzo medio (di rivendita) risultante presso la Camera di Commercio. Il ricorrente non ha preso in considerazione altro che il primo elemento, con considerazioni errate in diritto. Infatti, l'art. 21 d.P.R. n. 633 del 1972, che impone che nella fattura debba essere indicata (fra l'altro) la quantit� dei beni, deve essere interpretato nel senso che non � sufficiente indicare il numero delle unit� dei beni acquistati, quando esso non esprime adeguatamente le � quantit� � e cio� l'elemento determinante del corrispettivo. � evidente che, per gli animali da macello, l'elemento rilevante per la determinazione del prezzo � il peso e non il numero degli animali. L'omissione delle quantit�, (nel senso del peso) ripetuta per tutte le fatture, concretava quella omissione nelle scritture che la Commissione Centrale ha ritenuto che rientrassero nell'ambito del secondo comma lettera d) dell'art. 39 del d.P.R. n. 600/73 (�cos� gravi, numerose e ripetute da rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza delle garanzie proprie di una contabilit� sistematica�). Tale giudizio sfugge alle censure del ricorrente, perch� l'assenza dell'elemento fondamentale per determinare la quantit� di carne rivenduta (il peso), impediva di dar credito alla contabilit�, riflettendosi in un vizio che inficiava sistematicamente la sua attendibilit�, sotto il profilo dei ricavi, da rapportare alle quantit� (in peso) effettivamente comprate e rivendute, in luogo di quelle risultanti dalla contabilit�. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Commissione Centrale ha dato succinta, ma completa e precisa giustificazione del ricorso dell'Amministrazione all'accertamento induttivo di cui al secondo comma, nell'ipotesi della lettera d) dell'art. 39 citato, alla stregua di principi pi� volte affermati (Cass. n. 4726 del 29 aprile 1991; Cass. n. 1022 del 24 febbraio 1989). La norma dispone che, in caso di ricorrenza dei suddetti presupposti, 1'Amministrazione possa avvalersi anche di presunzioni prive di requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma 1 (e cio� � presunz�oni semplici, purch� queste siano gravi, precise e concordanti. � evidente che, a maggior ragione, l'Amministrazione pu� avvalersene anche nell'ipotesi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 di cui al secondo comma lettera d), quali sono quelle ritenute in concreto dalla Commissione Centrale. Contrariamente all'opinione del ricorrente, le presunzioni erano basate non solo sul primo, ma anche sugli altri tre fatti supra elencati; ed il giudizio di gravit�, precisione e concordanza � giustificato, solo che si consideri: 1) che il fatto sub b) era stato desunto dalla stessa contabilit� del Marchese e non � contestato dal predetto (che afferma �nessuna violazione, n� formale n� sostanziale � stata accertata nell'annotazione dei corrispettivi �). 2) che H fatto sub c) non � contestato, al pari di quello sub d). Ora, � evidente che, rapportando fra di loro i vari dati (quantit� effettiva di carne comprata; peso vivo e resa; corrispettivo pagato per il suo acquisto; prezzo medio di rivendita) potevano determinarsi i ricavi effettivi in modo presuntivo, alla stregua di presunzioni gravi, perch� provate o non contestate; concordanti, perch� cospiranti tutte ad ottenere un dato risultato (ricavi complessivi, a cui applicare un certo grado di redditivit� e quindi la percentuale di utili). Anche sotto questo secondo profilo, pertanto, le censure del ricorrente principale sono infondate; invero, una volta che l'inattendibilit� di cui a:lla lettera d) del secondo comma dell'art. 39 era stata esattamente basata sulla mancanza del dato essenziale della quantit� in peso degli animali acquistati per il macello e la rivendita, era possibile determinare il reddito d'impresa sulla base dei dati e notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, con facolt� di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze delle scritture conta!bili e avvalersi anche delle suddette presunzioni, il giudizio in ordine alla quale � stato dato implicitamente, ma chiaramente dalla Commissione Centrale, come risulta dalla correlazione fra i dati di fatto esposti nella parte in � fatto � e le considerazioni in �diritto� della seconda parte. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1992 n. 8026 -Pres. Caturani Est. Nardino -P. M. Lo Cascio (conf.) -Sogno (avv. Spaziani) c. Mi nistero delle Finanze (avv. Stato Palatiello). Tributi erariali indiretti -Imposta di successione -Condono -Successiva deduzione di passivit� -Inammissibilit�. (d.l. 5 novembre 1973, n. 600, art. 6}. La definizione per condono nelle imposte indirette comporta l'irretrattabile definizione per tutte le parti della base imponibile,-di conseguenza il condono preclude la successiva deduzione di passivit� (1). (1) La decisione fa applicazione, forse troppo assoluta, di un principio esatto. Nell'imposta di successione. anche successivamente a:lla definizione della 358 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO (omissis) La ricorrente principale, denunciando violazione dell'art. 6 della legge 19 dicembre 1973 n. 823, censura la decisione della C.T.C. per aver ritenuto definitivamente fissata la base imponibile al momento della presentazione dell'istanza di condono e, di conseguenza, indeducibili dalI' . ' ~ l'attivo ereditario le passivit� denunciate e documentate. Ad avviso della ricorrente, sia la deduzione delle passivit� sia la contestazione della loro ammissibilit� da parte dell'Ufficio sarebbero �attivit� consentite� anche dopo la richiesta di definizione del rapporto tributario secondo i criteri della �legge di condono�, trattandosi di materia che esula dall'ambito del condono medesimo, limitato alla valutazione dei beni che compongono l'attivo ereditario e che possono formare oggetto di giudizio di congruit�. La censura non � fondata. La Commissione Centrale, nell'escludere la possibilit� di �rimettere in discussione la base imponibile..., ormai divenuta definitiva �, per effetto dell'istanza di applicazione del condono, si � puntualmente uniformata al consolidato principio secondo il quale il condono tributario di cui al d.I. 5 novembre 1973 n. 660, convertito nella legge 19 dicembre 1973 n. 823, ha �carattere di automaticit� e globalit�� e persegue lo scopo di porre termine a qualsiasi contestazione ulteriore sia sull'an che sul quantum della pretesa tributaria. Questa finalit� risulterebbe frustr�ta se, con riferimento all'imposta di successione, l'art. 6 del citato d.l. fosse interpretato nel senso che la richiesta di applicazione del condono renderebbe immodificabile il solo � valore � dei beni caduti in successione ma non impedirebbe la contestazione, anche in sede contenziosa, su ogni altra questione -di fatto o di diritto -esulante dalla � materia � della valutazione dell'attivo ereditario. Tale assunto, oltre tutto, non trova il minimo fondamento nel testo della suindicata norma agevolativa, la quale chiaramente dispone che �per le successioni apertesi e per gli atti formati entro il 31 dicembre 1972, purch� registrati entro il 26 gennaio 1973, se alla data del presente decreto non sia stato ancora notificato avviso di accertamento di maggior valore, il contribuente pu� chiedere che l'imposta dovuta sia liquidata sulla base del valore dichiarato aumentato del venti per cento, senza applicazione di soprattasse e pene pecuniarie �, base imponibile (per decadenza dell'ufficio o per giudicato) possono verificarsi sopravvenienze sia attive (bene la cui propriet� � riconosciuta, crediti prima esclusi ex art. 11 d.P.R. n. 637/1972), sia anche passive (debiti il cui accertamento sia successivo, art. 16). ~ infatti normale la presentazione di ulteriori dichiarazioni e di ulteriori richieste di deduzioni di passivit�. Tutto ci� pu� dar luogo a qualche problema di coordinamento con il condono, ma non si pu� affermare rigidamente che il condono elimina ogni rilevanza degli eventi futuri. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA La norma stabilisce un criterio automatico per la determinazione della base imponibile, in sostituzione dei criteri normali dettati dalla legge regolatrice del tributo. Il contribuente ha facolt� di scelta tra l'applicazione dell'uno o dell'altro sistema; ma ove eserciti tale facolt� nel senso di richiedere la liquidazione dell'imposta in base alle disposizioni della legge di condono, non pu� pretendere che la liquidazione cosi effettuata venga successivamente sottoposta a revisione o, per qualsiasi ragione, modificata in suo favore, in applicazione d�i diversi criteri di determinazione dell'imponibile previsti dal d.P.R. n. 637/72, salvo i casi, espressamente contemplati dall'art. 11 cpv del D.L. n. 660/73, di errore materiale o di violazione delle norme del decreto di condono. Ne consegue che correttamente la Commissione centrale ha ritenuto incompatibile con il prescelto sistema di definizione automatica del rapporto tributario in questione [a pretesa deWa contribuente di ottenere la riliquidazione dell'imposta dovuta su un imponibile ridotto per effetto delle passivit� denunciate nonch� il rimborso di una parte dell'imposta pagata. Tale conclusione � perfettamente in linea -come gi� si � detto con la costante giurisprudenza di questa Corte, che, sia pure in relazione a tributi diversi, ha statuito che, una volta proposta dal contribuente la domanda di definizione agevolata in base ai criteri automatici di cui al D.L. n. 600/72), �non � pi� possibile esaminare, n� in sede amministrativa n� in sede contenziosa � (salvo i casi previsti dal citato art. 11 cpv.) � se quell'imposta era realmente dovuta e, in particolare, se ricorresse o meno qualche causa di esenzione o agevolazione, restando preclusa..., sia al contribuente che all'Ufficio, ogni questione sull'individuazione o determinazione dell'imponibile effettivo� (cfr. Cass. 8 gennaio 1991 n. 80) ed essendo irrilevante l'eventuale riconoscimento del diritto all'esenzione con provvedimento posteriore alla data di presentazione dell'istanza di condono o a quella di scadenza del termine per la proposizione di detta istanza (cfr. Cass. 19 giugno 1990 n. 6169; v. anche, in senso sostanzialmente conforme, Cass. nn. 4662/90, 3723/90, 425/90, 5087/89, 4077/89 e numerose altre pronunce precedenti e successive). � fin troppo evidente che, alla stregua del suesposto principio, la preclusione non pu� non estendersi alla questione relativa all'ammissibilit� di debiti ereditari, denunciati dopo la domanda di definizione agevolata, i quali comporterebbero una modifica -non consentita -dell'imponibile definitivamente determinato in base ai criteri automatici. Il ricorso principale deve essere, pertanto, rigettato. (omissis) 360 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 giugno 1992 n. 8032 -Pres. Sensale Est. Nardino -P. M. Romagnoli (diff.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Soc. Tintoretto. Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Detrazione del contributo di miglioria -Contributo corrisposto nel periodo di riferimento relativamente a presupposto verificatosi anteriormente -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, artt. 6 e 32). La disposizione dell'art. 32 terzo comma del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 va intesa nel senso che non sono detraibili i contributi di miglioria che, sebbene corrisposti nel periodo di riferimento valevole ai fini della determinazione dell'incremento di valore, abbiano causa da presupposto verificatosi anteriormente (1). (omissis) L'Amministrazione ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, sostiene che l'interpertazione data dalla C.T.C. a tale norma, pur sembrando rispettosa del dato testuale di essa, contrasta con l'intenzione del legislatore, ravvisabile nell'esigenza di � evitare, mediante la I detraibilit� dall'imposta INVIM di quanto dovuto per contributo di miglioria, la duplice imposizione di uno stesso incremento�. Ove si ritenesse detraibile il contributo � materialmente pagato nel periodo di riferi I 1 mento, anche se relativo a presupposti verificatisi antecedentemente �, ! si creerebbero �inammissibili sperequazioni tra i contribuenti�, risul i tando favoriti i proprietari degli immobili � avvantaggiati dall'opera pubblica eseguita antecedentemente al periodo preso a base per il calcolo dell'incremento imponibile agli effetti dell'INVIM �: costoro, infatti, oltre a corrispondere l'INVIM calcolata � con riguardo al valore iniziale I dell'immobile gi� maggiorato del plusvalore ad esso derivato dall'opera pubblica, avrebbero l'ulteriore vantaggio di detrarre dal tributo quanto I corrisposto in relazione all'incremento di valore precedentemente lucrato �. Aggiunge la ricorrente che, in ogni caso, l'art. 32 cit. non pu� esser � letto � senza tener conto del sistema in cui la norma s'inquadra, ed in particolare delle regole dettate dagli artt. 11 e 12 del d.P.R. n. 643/72. Il ricorso � fondato. Sulla questione sottoposta al giudizio della Corte sono intervenute contrastanti pronunzie della Commissione Tributaria Centrale, alcune (1) Con ampia motivazione la S. C. per la prima volta affronta la questione che � stata oggetto di contrastanti pronunzie della Commissione Tributaria Centrale. PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA delle quali (nn. 7499/84, 97/85, 5661/85, 904/86), privilegiando il contenuto testuale della norma in esame (art. 32 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643), ritengono decisivo, ai fini della detraibilit� del contributo di miglioria dall'INVIM, il fatto che il contributo stesso sia stato � corrisposto � n�l periodo considerato agli effetti dell'INVIM, non richiedendo la legge alcun altro requisito o condizione, mentre altre decisioni (nn. 511/81, 2989/85) escludono la detraibilit� del contributo di miglioria ove il suo �presupposto� (cio� l'esecuzione dell'opera pubblica che ad esso ha dato causa) si sia verificato anteriormente all'inizio dell'anzidetto periodo. Il contrasto � stato risolto dalle Sezioni Unite della Commissione Centrale che; con la decisione n. 5072 del 22 giugno 1987, hanno condiviso il secondo dei cennati orientamenti. E non diversa soluzione ritiene di dover adottare questa Suprema Corte, sembrando non persuasive ed agevolmente confutabili le argomentazioni svolte a sostegno dell'opposto indirizzo (al quale ha aderito la decisione impugnata). L'art. 32 del citato decreto istitutivo dell'INVIM (d.P.R. n. 643/72), contenente �norme transitorie e finali�, cos� dispone: � Con effetto dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono soppressi i contributi di miglioria previsti dalle norme vigenti nonch� l'imposta sull'incremento di valore delle aree fabbricabili istituita con legge 5 marzo 1963 n. 246 � (primo comma). �L'ente titolare pu� tuttavia procedere all'accertamento ed alla riscossione dell'imposta e dei contributi di cui al primo comma se alla data dell'entrata in vigore del presente decreto si era gi� verificato il presupposto per l'applicazione dell'imposta o del contributo � (secondo comma). � L'importo del contributo di miglioria o di altre analoghe contribuzioni obbligatorie corrisposte nel periodo preso a base per il calcolo dell'incremento imponibile ai fini dell'applicazione dell'imposta di cui a[ presente decreto � dedotto dall'ammontare dell'imposta medesima � (3� comma). (omissis) La decisione impugnata, prendendo in esame il solo terzo comma dell'art. 32, afferma che la � lettera della disposizione normativa � � a tal punto chiara (nel senso che la detraibilit� del contributo � condizionata unicamente al pagamento di questo � nel periodo di riferimento preso a base per la liquidazione dell'INVIM �) da rendere superflua ogni altra indagine in ordine alla mens legis ed irrilevante � l'inconveniente prospettato dall'Ufficio circa un vantaggio ricollegato al mero ritardo del pagamento del contributo �. Ritiene, invece, il Collegio che questa interpretazione non sia conforme ai criteri ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi. La Commissione Centrale ha, infatti, fondato il proprio giudizio esclusivamente sul significato letterale di alcune parole del testo normativo, RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 362 ignorando del tutto l'intenzione del legislatore ed il fine perseguito dalla norma stessa e -per giunta -isolando la disposizione del terzo comma dal contesto della disciplina transitoria in cui essa si inserisce e dal sistema di accertamento e liquidazione dell'INVIM, con l'effetto di attribuire irrazionalmente un rilevante vantaggio a quei contribuenti che, per cause accidentali e fortuite o addirittura per fatti dipendenti dalla loro volont� e dal loro comportamento, abbiano corrisposto, nel periodo preso in considerazione ai fini dell'INVIM, il contributo di miglioria, bench� questo sia collegato ad un'opera pubblica che, per essere stata realizzata anteriormente all'inizio di detto periodo, ha gi� determinato un aumento del valore iniziale dell'immobile soggetto ad INVIM ed una corrispondente diminuzione dell'incremento di valore imponibile agli effetti di quest'ultimo tributo (da calcolarsi con i criteri previsti dagli artt. 3, 6 ed 11 del d.P .R. n. 643/72). Se � vero che -come la decisione impugnata e l'orientamento giurisprudenziale da essa seguito non disconoscono -la ratio della detrazione del contributo di miglioria dall'INVIM risiede nell'esigenza di evitare una iniqua doppia imposizione per l'incremento di valore conseguito dal bene in uno stesso periodo di tempo, risulta assolutamente illoggica e discriminatoria una interpretazione della norma in esame, in forza della quale vengono posti sullo stesso piano ed assoggettati al medesimo trattamento tributario i contribuenti che si trovano nella situazione considerata dal legislatore e quelli che, per le ragioni innanzi spiegate, in nessun caso potrebbero andar soggetti ad una duplicazione d'imposta. Questo rilievo avrebbe dovuto indurre i giudici tributari a dubitare della correttezza del risultanto interpretativo da essi raggiunto, posto che l'asserita � chiarezza � del dettato normativo non impedisce di constatare che, ove si dia rilevanza assoluta ed esclusiva -come ha fatto la C.T.C. al mero dato temporale della � corresponsione � del contributo, scindendolo dal momento in cui si realizza il presupposto giuridico e di fatto che determina l'insorgenza della relativa obbligazione, si fa dipendere il diritto alla detrazione da un elemento meramente occasionale, che pu� variare in relazione alla maggiore o minore speditezza del procedimento di accertamento e riscossione del contributo ed anche -come si � accennato -in dipendenza di fatti e comportamenti imputabili allo stesso contribuente; con l'ulteriore conseguenza che la disposizione del terzo comma dell'art. 32 risulta priva di qualsiasi giustificazione nella misura in cui consenta al contribuente di detrarre dall'INVIM dovuta con riferimento ad un determinato periodo (normativamente stabilito) il contributo afferente ad una � miglioria � realizzata in un periodo precedente e diverso e che aveva gi� prodotto gli effetti rilevanti sotto il profilo economico e tributario. N� pu� indurre in contrario avviso la considerazione in base alla quale la C.T.C. disattende la tesi della Finanza relativa al �possibile lucro del PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA l'interessato�, derivante dall'� aumento del valore iniziale� dell'immobile. Secondo i giudici tributari siffatto lucro sarebbe da escludere, perch� � il vantaggio connesso ad un'opera pubblica del tipo di quello qui considerato � (costruzione della metropolitana di Milano) �si riflette necessariamente anche sul valore finale �. Ma la decisione impugnata omette di considerare che il valore finale dell'immobile soggetto ad INVIM decennale � in ogni caso positivamente influenzato dalla costruzione dell'opera pubblica, sia questa eseguita prima dell'inizio o nel corso del decennio, mentre varia sensibilmente l'ammontare dell'incremento imponibile ai fini dell'INVIM, a seconda che il valore iniziale del bene venga determinato tenendo conto della �miglioria� apportata dall'opera pubblica gi� eseguita (cio� avendo riguardo, in concreto, al valore venale -accertato in base ai criteri di cui all'art. 6 d.P.R. n. 643/72 e succ. modif. -di un immobile gi� servito dalla rete metropolitana alla data d'inizio del decennio di riferimento) ovvero senza tener conto di tale apporto migliorativo (non ancora verificatosi alla suddetta data). Il �lucro�, vanamente negato dalla C.T.C., consiste proprio nella possibilit�, inspiegabilmente offerta al contribuente (ove si seguisse la soluzione qui contrastata), di assolvere l'INVIM decennale su un imponibile minore (per effetto del minor divario tra il valore finale e quello iniziale dell'immobile) e di detrarre -al tempo stesso -dall'ammontare dell'imposta l'importo del contributo di miglioria, pagato nel corso del decennio preso in considerazione ma collegato ad un presupposto verificatosi prima dell'inizio di tale periodo. Il vero � che l'interpretazione dell'art. 32 accolta dalla C.T.C. non solo si discosta -come si � dimostrato -dai criteri (logico, teleologico e sistematico) che debbono insieme concorrere al conseguimento di un corretto risultato ermeneutico, quando l'elemento letterale non consente, da solo, di attribuire alla norma un significato ed una ratio appaganti, ma neppure sembra adeguatamente sorretta dal mero riferimento al dato testuale della norma stessa. Ed infatti il rilievo che il terzo comma dell'art. 32 consente la detrazione dall'INVIM del contributo di miglioria � corrisposto � nel periodo preso a base per il calcolo dell'incremento di valore assoggettabile ad INVIM non impedisce di ritenere, anche sotto il profilo strettamente letterale, che il legislatore abbia inteso subordinare il diritto aHa detrazione all'uUeriore condizione (implicita ma Tispondente ad elementari principi di razionalit� e di equit� fiscale) che, oltre al materiale pagamento, anche il presupposto dell'obbligo correlativo si sia verificato nell'anzidetto periodo. Questa conclusione, che consente di dare alla norma un senso ed una portata coerenti con il suo scopo e con il sistema di calcolo dell'imponibile previsto dal d.P.R. n. 643/72, trova indiretta ma sicura conferma nella disposizione del secondo comma dello stesso art. 32, la quale dimostra come il legislatore, lungi dal trascurare il necessario collegamento crono 364 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO logico tra il fatto generatore dell'obbligo di corrispondere il contributo di miglioria e l'adempimento dell'obbligo medesimo, abbia dato ad esso decisiva rHevanza, nel contesto di un'unica ed articolata norma transitoria, stabilendo che, ove � il presupposto per l'applicazione � del contributo si sia verificato prima dell'entrata in vigore del d.P.R. n. 643/72, �l'ente titolare � pu� procedere all'accertamento ed alla riscossione del contributo stesso, nonostante la soppressione di tal genere di tributo disposta con il primo comma. In definitiva, la Corte ritiene non conforme a diritto l'impugnata pronuncia; la quale va, di conseguenza, cassata con rinvio della controversia ad altra� Sezione della Commissione Tributaria Centrale, che si uniformer� al seguente principio: �La disposizione transitoria di cui all'art. 32, terzo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 va interpretata nel senso che l'importo del contributo di miglioria � detraibile dall'INVIM allorch� non solo il pagamento del contributo medesimo ma anche il presupposto per la sua applicazione si sia verificato nel periodo preso a base per il calcolo dell'incremento di valore imponibile ai fini dell'INVIM �. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 9 luglio 1992 n. 8362 -Pres. Favara -Est. Baldassarre -P. M. Lanni (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Corsini) c. Soc. SARI. Tributi erariali indiretti -Imposta di registro -Trasferimento di azienda Cessione di azienda. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 48). Si deve ravvisare una cessione d'azienda (esente da IVA ma soggetta all'imposta di registro) quando nell'insieme dei beni trasferiti permanga una residua organizzazione che ne dimostri la complessiva attitudine all'esercizio dell'impresa, anche se il complesso sia non funzionante al momento del trasferimento (1). (omissis) Con i due motivi, che per connessione vanno trattati congiuntamente, la ricorrente Amministrazione deduce: 1) Violazione e falsa applicazione dell'art. 2 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 e dell'art. 2555 cod. civ., per non avere considerato la C.T.C. che, trattandosi di vendita di un complesso immobiliare costituito da locali adibiti a lavorazione del latte, a cabina elettrica, a magazzino per la con( 1) La sentenza 9 agosto 1991 n. 8678, citata nel testo, � pubblicata in questa Rassegna, 1991, I, 573 con annotazione critica. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA servazione degli acidi, a lavaggio ed officina, a pasticceria, a magazzino e refettori, ad alloggio custode, tutti debitamente attrezzati (accessioni, pertinenze e dipendenze), sussisteva un nesso funzionale tra i beni venduti, che coprivano tutte le fasi della produzione, e, stanti la complementariet� ed interdipendenza al fine della produzione, integravano il concetto di azienda, essendo, comunque, irrilevante il requisito volontaristico in relazione ell'esecuzione coattiva. 2) Mancata, insufficiente, contraddittoria motivazione, per avere il Giudice tributario tralasciato la necessaria indagine in ordine al fattore organizzativo ed alla attitudine produttiva dei beni, mentre l'ammissione che essi costituivano un � complesso strumentale � avrebbe dovuto far concludere per la natura aziendale del complesso medesimo. I due motivi, nei Hmiti e per le ragioni appresso indicati, vanno accolti. Invero, a norma dell'art. 2, terzo comma, lettera b) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 nel testo introdotto dall'art. 1 del d.P.R. 29 gennaio 1979 n. 24 (applicabile al caso in esame), non sono considerate cessioni di beni, ai fini dell'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto, le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell'impresa. La nuova formulazione, eliminando l'inciso � gestiti distintamente e con contabilit� separata�, che nel testo previgente restringeva le ipotesi di esenzione dall'IVA (e di correlativa corresponsione dell'ordinaria imposta di registro) per le cessioni di parti organizzate dei beni aziendali e le qualificava in base, oltre che alla loro piena autonomia, al perdurare della gestione del singolo ramo dell'impresa, ricollega l'esenzione al solo aspetto obiettivo e strutturale del ramo d'impresa trasferito. Va quindi ribadito il principio, espresso, anche di recente da questa Sezione (conf. sent. 9 agosto 1991 n. 8678), secondo cui �sussiste cessione di azienda, agli effetti dell'imposta di registro, ogni volta che permanga nel complesso dei beni oggetto del trasferimento un residuo di organizzazione che ne dimostri la complessiva attitudine all'esercizio dell'impresa, non rilevando in contrario che, al momento della cessione, il complesso aziendale non si trovi in stato attuale di produttivit� ed essendo, invece, sufficiente che esso, anche se momentaneamente inutilizzato, mantenga una residua potenzialit� produttiva (o ne presenti una nuova a seguito di prevedibili ristrutturazioni). A>la stregua di tale principio, che si enuncia ai sensi ed effetti di cui all'art. 384 cod. proc. civ., la motivazione della decisione impugnata risulta insufficiente, in quanto il Giudice del merito, dopo avere elencato i beni posti in vendita � in unico lotto �, comprese � tutte le accessioni, pertinenze e dipendenze inerenti all'unit� predetta �, non fornisce ragioni a sostegno della (implicita) esclusione di una potenzialit� produttiva, che, 366 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO in concreto, potrebbe non essere stata esclusa dalla ces\iazione dell'attivit� dell'impresa cedente, n� dall'esecuzione forzata da questa subita. I La C.T.C. cade, per altro, in contraddizione quando ?-fferma trattarsi di trasferimento solo di alcuni elementi patrimoniali, subito dopo qualifi I candoli come �costituenti un complesso strumentale �. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 luglio 1992 n. 8546 -Pres. Falcone -Est. Olla -P. M. Bonaiuto (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Canegallo (avv. Mandela). Tributi erariali indiretti -Accertamento -Motivazione -Criteri di valutazione � Valore in comune commercio -Ammissibilit�. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 48). L'accertamento di valore degli immobili trasferiti pu� essere basato su criteri diversi da quelli stabiliti nell'art. 48 del d.P.R. 634/J.972 e quindi anche sul criterio del valore in comune commercio (1). (omissis) L'avviso di accertamento per il quale � controversia fondava la rettifica: sul valore in comune commercio degli edifici aventi carat teristiche similari all'immobile acquistato dai coniugi Paolo Canegallo ed Ines De Rossi; sul reddito netto del quale detto immobile era suscet tibile tenuto conto del tasso medio di capitalizzazione; e, infine, sul dato che lo stesso immobile faceva parte di un fabbricato di tipo economico ubicato nel quartiere Montesacro di Roma costituente zona periferica ricercata, ottimamente collegata col centro urbano, dove gli immobili vengono valutati a non meno di L. 12.000.000 a vano catastale. La Commissione Centrale ha fondato la decisione sul principio che, in tema di imposta di registro, ai fini della validit� della motivazione di un avviso di accertamento del maggior valore di un immobile, occorre sia che tal atto sia fondato esclusivamente sui criteri previsti dall'art. 48, secondo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, e sia che questi criteri vengano non solo enunciati ma, anche, � specificati nei rispettivi elementi concreti�. (1) Decisione di grande rilevanza che va a completare la lunga catena di pronunce che hanno demolito il mito della motivazione degli avvisi di accertamento di valore nelle imposte indirette (fra le numerose pronunce v. da ultimo 19 luglio 1991 n. 8033 ed altre in questa Rassegna, 1991, I, 569), Il criterio, di gran lunga prevalente, del valore in comune commercio, copre ogni esigenza di motivazione; tutto il resto � merito. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 Difatti, non ha attribuito alcuna rilevanza all'indicazione delle caratteristiche dell'immobile e del suo valore in comune commercio, ed ha ritenuto insufficiente ai fini della validit� dell'avviso l'enunciazione degli altri due criteri: tanto perch�, ha affermato, l'Ufficio avrebbe dovuto � indicare gli immobili aventi analoghe caratteristiche raffrontate a quello da valutare, e i valori concreti da essi assunti nelrultimo trimestre [rectius, triennio] e ad atti di trasferimento o di divisione o le perizie per i quali tali valori erano stati determinati. Del pari, il reddito, di cui l'immobile sarebbe stato suscettibile, doveva essere indicato nella sua dimensione numerica, insieme al tasso medio di capitalizzazione concretamente individuato tra tutti quelli possibili �. 2. -Nel motivo d'annullamento la ricorrente denuncia che tal pronuncia viola gli artt. 48 e 49 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 ed il sistema del contenzioso tributario come delineata dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 e successive modificazioni; inoltre � inficiata da difetto di motivazione. In concreto, secondo la Amministrazione Finanziaria, la Commissione Tributaria Centrale ha errato allorch�: I) si � limitata a pronunciare la nullit� dell'avviso di rettifica; difatti, il giudizio tributario -essendo di tipo non annullatorio ma di accertamento -non si pu� concludere con una statuizione di annullamento o di nullit� per difetto di motivazione dell'atto impositivo, ma deve sempre decidere sul merito della pretesa tributaria; II) ha ritenuto che il difetto di motivazione dell'avviso di rettifica comporti la nullit� di tal atto, laddove l'ordinamento positivo non riconduce a tal vizio una siffatta sanzione; III) ha disatteso i precetti normativi in ordine al contenuto dell'avviso di accertamento in tema di imposta di registro; IV) ha motivato la conclusione che l'avviso di accertamento era carente del requisito della specificit� della indicazione dei criteri adottati per la rettifica; difatti, non ha fornito ragione del mancato rilievo attribuito alla circostanza che l'avviso in questione aveva giustificato la rettifica con riguardo a dati concreti e specifici, come la qualit� deHa zona, il collegamento con il centro e cos� via. 3. -Nell'ordine logico, il secondo ed il terzo profilo della censura -tra loro connessi e, perci�, da esaminarsi congiuntamente -hanno carattere prioritario. Secondo l'orientamento consolidato di questa Corte (espresso, da ultimo, nella sentenza delle sue Sezioni Unite 17 agosto 1990 n. 8351), che qui si ribadisce, con riguardo all'avviso di accertamento di maggior valore ai fini dell'imposta di registro e dell'INVIM, la sussistenza d'una motiva 368 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO zione adeguata, cio� tale da delimitare l'ambito delle contestazioni dell'Ufficio e mettere il contribuente in grado di esercitare il diritto di difesa, ed il cui difetto impone al giudice tributario di dichiarare la nullit� dell'avviso medesimo senza possibilit� di statuire nel merito del rapporto, postula l'enunciazione dell'astratto criterio normativo in base al quale viene determinato il maggior valore, con le eventuali illustrazioni richieste dalla fattispecie, ovvero, in caso di utilizzazione di criteri diversi da quelli previsti dalla legge, l'indicazione ancorch� implicita, dell'insufficienza di questi ultimi, in relazione alle peculiarit� della situazione concreta; ove detta motivazione adeguata sia presente, resta poi a carico dell'Amministrazione, nel giudizio instaurato dal contribuente con ricorso avverso l'avviso, di provare la sussistenza delle circostanze che giustificano, nell'ambito del parametro prescelto, il quantum accertato (rimanendo inibita l'utilizzazione di criteri diversi), mentre il contribuente stesso pu� dimostrare l'infondatezza della pretesa creditoria anche in base a criteri non utilizzati dall'Ufficio. La decisione impugnata si � discostata da questi principi. Innanzitutto, nel punto in cui ha escluso che ai fini della validit� della motivazione dell'avviso di accertamento del maggior valore (ed aprescindere, perci� dalla loro valutazione ai fini del merito) possano essere I I @utilizzati criteri diversi da quelli dettati dalla legge; e, in questa prospettiva, non ha valutato l'incidenza del richiamo al valore del bene in comune commercio espresso nell'avviso di accertamento del quale si tratta. Inoltre, nel punto in cui ha escluso, sempre ai fini della validit� della motivazione dell'avviso, la sufficienza dell'enunciazione dell'astratto criterio normativo in base al quale viene determinato il maggior valore con le eventuali illustrazioni richieste dalla fattispecie. In tal modo, ometI tendo di valutare se tanto si fosse realizzato nel caso di specie; e se le I ~ indicazioni contenute nell'avviso circa le caratteristiche dell'immobile del quale si tratta e del suo valore di mercato, fossero idonee ad integrare l'elemento della eventuale illustrazione della fattispecie; si tratta, tra I l'altro, di un accertamento che, in effetti, avrebbe dovuto essere espletato anche nell'ambito del principio cui ha fatto riferimento il giudice tributario (questi, cio�, avrebbe dovuto accertare se l'anzidetta indicazione esaudisse la �specificit� e la concretezza� della motivazione dell'avviso) sicch�, il suo difetto avrebbe determinato, comunque, un vizio di motivazione della pronuncia impugnata. Ne deriva che le due censure in esame sono fondate e devono essere accolte. Stante il loro carattere prioritario tanto comporta l'annullamento della decisione impugnata e l'assorbimento degli altri due profili del ricorso. (omissis) PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 369 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 14 luglio 1992, n. 8552 -Pres. Vela -Est. De Musis �� P. M. Martinelli (conf.) -Ministro delle Finanze (avv. Stato Cocco) c. Soc. Libert�. Tributi erariali� indiretti ,; Imposta di registro -Base imponibile -Vendita iIJ:>esecuzione di concordato fallimentare -Estensione dell'art. 42 del d.P,;a. 26 ottt>bre 1972, n. 634 -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, art. 42). Il priripipio stabilito nell'art. 42 del d.P.R. n. 634/1972, secondo il quale nqn sono $Oggette a verifica della congruit� del valore le vendite fatte all'incanto, non � applicabile alla vendita conclusa in esecuzione di concordato fallimentare (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce che la Commissione Tributaria Centrale,..affermando che il prezzo indicato nell'atto di trasferimento di immobili disposto in esecuzione di concordato fallimentare costituivai ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. 26 settembre 1972 n. 634, base imponibile insuscettibile di ulteriore accertamento, � incorsa in violazione e falsa applicazione di tale articolo e dell'art. 14 delle preleggi, perch�, non essendo detto trasferimento compreso tra le ipotesi previste dall'art. 42, essa Commissione ha finito con l'applicare questa norma analogicamente, e ci6 era vietato dal menzionato art. 14 in quanto si trattava di norma eccezionale rispetto alla regola generale che consente all'Amministrazione, nel caso di trasferimento di immobili, l'accertamento di un valore di questi maggiore di quello dichiarato nell'atto. Il motivo � fondato. L'art. 42, intitolato �espropriazione forzata e trasferimenti coattivi�, dispone: �Per la �vendita di beni mobili e immobili fatta all'incanto in sede di espropriazione forzata o comunque all'asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito � pubblico incanto la base imponibile � costituita dal prezzo di aggiudicazione. Per l'espropriazione per pubblica utilit� e per ogni altro atto della pubblica autorit� traslativo o costitutivo della propriet� di beni mobili o immobili, di aziende e di diritti reali sugli stessi la base imponibile � costituita dall'ammontare dell'indennizzo �. La Commissione� Tributaria Centrale ha ritenuto che la fattispecie in esame doveva essere compresa� tra le ipotesi previste dalla riportata norma in base� ai seguenti rilievi: a) il trasferimento era avvenuto con (1) Conforme � ia sent. 11 luglio 1992, n. 8470: Decisione da condividere :pienamente. 15 - 370 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO provvedimento giudiziale e il prezzo era stato determinato con procedura cautelare che garantiva la corretta individuazione del valore dei beni; b) tali due circostanze erano state ritenute sussistenti per le vendite forzate senza incanto, effettuate ai sensi degli artt. 570 e segg. c.p.c., dalla Corte Costituzionale, la quale per questo motivo aveva, con sentenza n. 328 del 1983, dichiarato la illegittimit� costituzionale dall'art. 42 nella parte in cui non disponeva che anche per dette vendite la base impo nibile fosse costituita dal prezzo di aggiudicazione. La decisione � errata gi� per una preliminare considerazione. La dichiarazione di illegittimit� � conseguita all'accertamento che la vendita forzata senza incanto aveva la medesima �ratio� in base alla quale era stata prevista una delle specifiche ipotesi indicate nell'art. 42, e, nonostante ci�, non era stata inserita tra le stesse dal legislatore. Analogamente il rilievo che la medesima � ratio � ricorresse nella fattispecie ora in esame avrebbe potuto giustificare la denunzia di illegittimit� costituzionale dell'art. 42, nella parte in cui non comprendeva anche detta fattispecie, ma giammai avrebbe potuto portare alla diretta inclusione di questa tra le ipotesi, previste nell'articolo, mediante interpretazione estensiva. Ma in realt� non sussiste la ritenuta identit� di � ratio�: e ci� esclude sia la eventuale denunzia di illegittimit� costituzionale dell'art. 42 che la eventuale applicazione analogica dello stesso, a prescindere in questa seconda ipotesi dall'ulteriore accertamento della ricorrenza del divieto di tale applicazione per la eccezionalit� della norma. La identit� di � ratio � � stata rinvenuta dalla Corte Costituzionale nel rilievo che nelle vendite con incanto e senza incanto -in quanto accomunate dalle stesse circostanze: costituiscono due diversi modi di attuazione della (stessa) espropriazione forzata; presuppongono la determinazione giudiziale del prezzo dell'immobile, sono preordinate alla realizzazione del maggior prezzo possibile -ricorrono le due condizioni ritenute giustificatrici delle ipotesi previste dall'art. 42: e cio� la autenticit� del prezzo pagato e la presumibile corrispondenza di questo al prezzo di mercato. Nessuna delle due condizioni ricorre nelle vendite disposte in esecuzione del concordato fallimentare. Non la prima: perch� il prezzo � fissato non dal giudice ma dalle parti (le quali quindi possono integrarlo attraverso convenzioni non trasfuse nel concordato). Non la seconda: perch� il controllo, che il giudice esercita sulla proposta di concordato, nel suo complesso � inteso soprattutto ad accertare se il concordato sia conveniente per i creditori (rispetto ai risultati presumibili dell'esecuzione della procedura fallimentare), ma non � invece finalizzato principalmente ad accertaTe se il prezzo di vendita dei beni sia corrispondente a quello di mercato. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Il ricorso dev'essere pertanto accolto e la decisione impugnata va cessata, con rinvio della causa alla Commissione Tributaria Centrale, la quale si atterr� al seguente principio: il trasferimento di immobili disposto in esecuzione di concordato fallimentare non pu� essere compreso, n� mediante interpretazione estensiva n� in via di applicazione analogica tra le ipotesi (�espropriazione forzata e trasferimenti coattivi�) per le quali l'art. 42 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 predetermina la base imponibile. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 luglio 1992 n. 8694 -Pres. Scanzano Est. Finoccbiaro -P. M. Bonaiuto (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Soc. Lancia Film. Tributi in genere -Accertamento � Accessi ispezic;mi e verifiche -Rifiuto di esibire libri registri e documenti � Divieto di esibizione in .giudi� zio -Imposte dirette -Si e.stende. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 33; d;P.R. 26 ottobre 1932, n. 633, art. 52; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636; art. 19 bis). Il rinvio che l'art. 33 del d.P.R. n. 600/1973 fa all'art. 52 del d.P.R. n. 633/1972 deve intendersi riferito all'intero articolo e quindi anche al quinto comma il quale dispone che i libri, registri, scritture e documenti di cui � rifiutata l'esibizione nel corso dell'istruttoria non possono essere presi in considerazione a favo re del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Conseguentemente detti documenti non possono essere esibiti in giudizio e ci� non contraddice alla regola dell'art. 19 bis del d.P.R. n. 636/1972 (1). (omissis) Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazion� e falsa applicazione degli artt. 52, comma quinto, d.P.R. n. 633 del 1972 e 33, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 in relazione all'art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. per non avere la Commissione Centrale� tenuto presente il rinvio contenuto nel richiamato art. 33 d.P.R. n. 600 del 1973 all'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972 e per. non avere dichiarato l'inammissibilit� della produzione, innanzi alle Commissioni Tributarie degli atti documentanti oneri e costi deducibili. Il ricorso � fondato. L'art. 33, comma primo, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 -in tema di disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi (1) Identica � altra senten:l'Ja 27 giugno 1992, n. 8033. Decisione di evidente esattezza. L'omogeneit� delle regole dell'accertamento in materia di imposta sui redditi e di IVA risulta con evidente esattezza da tutta l'impostazione deUa disciplina. 312 RASSEGNA .DELL'AVVOCATURA �DELLO STATO ,dispone che � per l'esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche si applicano le disposizioni dell'art: 52 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 �. La norma richiamata -in tema di istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto -nel disciplinare accessi, ispezioni e verifiche, contiene un. quinto comma cos� formulato: �I libri, registri, scritture e documenti di cui � rifiutata l'esibizione non .possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa. Per rifiuto di esibizione si intendono anche la dichiarazione di non possedere i libri, registri, documenti e scritture e la sottrazione di essi all'ispezione �. Nel caso di specie � incontroverso che la documentazione relativa ai costi deducibili nori � stata esibita in occasione dell'ispezione della Guardia di Finanza. La questfone sottoposta a questa Corte consiste nello stabilire se, i11 presenza del rinvio contenuto ~ell'art. 33, comma primo d.P.R. n. 600 del 1973, in mat�rla di imposte sul reddito si applichino solamente le disposizioni dell'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972 .che disciplinano la esecuzione degli accessi, ispezioni e verifiche o se invece siano applicabili tutte le disposizjo; n~,nyllo stesso t1:rticolo co:i:itenute, ivi comprese quelle clie comminano ~a dec~denza per omis.sioni compiute dal contribuente in occasione degli ac II cessi, isp~zioni e veijfiche. Rifa~ne .U Collegio .che si. , debba . seguire la seconda interpretazione inducendo tale conclusione 11' dato testuale costituito dall'art..33, com rna l, d.P.R. n. 600 del 1973, senz.a che. possa opporsi in contrario il fatto che la norma, ne! disporre il rinvio, sembra limitar-lo alla sola� � esecuzione � degli accessi, dal momento.� che; tale parola -in materia tributaria -si riferisce anche alle conseguenze dell'esecuzione di attivit� accertative1 co;me � dimostrato dal comma ottavo dell'art. 52 d.P.R, n. 633 I del 1972 il quale nello stabilire che �< le disposizioni dei commi precedenti ~i applicano an�he per l'esecuzione di verifiche e di ricerche relative a merci o altri beni� viaggianti su autoveicoli e natanti adibiti al trasporto per confo terzi �, ricomprende anche il comma quinto della stessa norma relativa alle 66nseguenze del comporfamenf� omissivo del contribuente. Tale �interpretazione, oltre ad essere coer�rite con il dato testuale, � l'unica che consente di uniformare la disciplina dei controlli ai fini sia dell'IVA che delle imposte dirette ed impedisce una �disciplina differenziata che sarebbe �ir~azionale ove si tenga presente' ciie -com� esi:tttamenle rilevato dall'Amministrazione rico~rente -il controllo ha per oggetto la medesima attivit� economica del contribuente, che costituisce la base di applicazione di ambedue i regimi di imposta. N� la precedente conclusiqp.~ � .. �on,traddetta d�ll'art.. 19 bis d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 che prevede, con carattere di generalit�, la prod� PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA cibilit�, innanzi alle Commissioni Tributarie, di documenti non prodotti dal contribuente in occasione della dichiarazione. Tale disposizione infatti -applicabile anche in materia di IVA -va coordinata con le altre norme con le quali sono comminate decadenze o preclusioni, le quali altrimenti finirebbero con l'essere implicitamente caducate nel momento stesso in cui sono poste, sicch� la stessa � da intendere nel senso che il potere per il contribuente di produrre documenti non prodotti in occasione della dichiarazione sussiste nei limiti in cui il contribuente non sia incorso in decadenza, con la conseguenza che tanto in materia di imposte dirette, quanto in materia di IVA il contribuente non pu� produrre o -il che � lo stesso -� non possono essere prese in favore del contribuente ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa� i libri, registri, scritture e documenti di cui � stata rifiutata l'esibizione in occasione di accessi, ispezioni e verifiche. Ci� del resto � espressione di un principio generale dell'ordinamento che gi� sulla base del t.u. di cui al d.P.R. 29 gennaio 1958 n. 645 espressamente vietava all'art. 42 di prendere in considerazione, ai fini dell'accertamento in sede amministrativa o contenziosa, i libri, registri, scritture e documenti che il contribuente aveva rifiutato di esibire in sede di ispezione documentale. La Commissione Tributaria Centrale non ha applicato gli esposti principi, sicch� la decisione impugnata va cassata e la causa va rinviata alla stessa Commissione la quale, nel decidere, applicher� il seguente principio di diritto: �in materia di imposte sui redditi, in considerazione del rinvio contenuto nell'art. 33, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 alle disposizioni di cui all'art. 52 d.P.R. n. 633 del 1972, il contribuente non pu� produrre innanzi alle Commissioni Tributarie atti che documentano l'esistenza di oneri deducibili, qualora il contribuente abbia rifiutato la esibizione degli stessi in occasione di accessi, ispezioni e verifiche, senza che possa invocarsi in contrario il disposto dell'art. 19 bis d.P.R. n. 636 del 1972, il quale consente la produzione di documenti non prodotti in sede di dichiarazione nella sola ipotesi, in cui il contribuente non sia decaduto, sulla base di altre disposizioni, dal potere di produrli �. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 20 luglio 1992 n. 8754 -Pres. Scanzano Est. Pannella -P. M. Nicita (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Fallimento Greco. Tributi locali -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Soggetti passivi -Solidariet� -Parti in senso formale -Esclusione. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 26). Nell'imposta di incremento di valore degli immobili, a differenza dell'imposta di registro, rispondono solidalmente del tributo gli alienanti 374 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO o i beneficiari del trasferimento, e non gi� la parte in senso formale (nella specie procuratore dell'alienante) (1). I (omissis) La ricorrente Amministrazione denuncia violazione dell'art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, in quanto non (sarebbe stato) correttamente interpretato alla stregua dell'insegnamento della Suprema Corte regolatrice che in tema di imposta di registro ha considerato � parte contraente � sia la parte in senso sostanziale, titolare del rapporto negoziale, e sia la parte in senso formale, immediata e diretta destinataria del rapporto giuridico: qual � il rappresentante volontario. Tale principio -aggiunge la ricorrente -� di portata generale ed � riferibile a tutte le imposte indirette sugli affari, essendo finalizzato ad allargare la sfera dei soggetti obbligati al pagamento del tributo per meglio garantire l'interesse pubblico alla riscossione dell'imposta. La censura non � condivisibile sull'evidente considerazione che anche in tema di imposte indirette esistono diversit� di ragioni economicosociali e diversit� di scopi, a fondamento di ciascuna di esse, tali da non consentire una mutualit� di principi fra loro. � proprio il caso dell'imposta di registro e dell'imposta INVIM. I La prima � stata sempre ed � tuttora ritenuta un'imposta � d'atto � legata soprattutto al crisma della �registrazione�: significativo � il I contenuto del concetto di solidariet� rimasto inalterato (nella sua parte essenziale) nella novella dell'art. 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 rispetto all'art. 93 n .1 del R.D. 30 dicembre 1923 n. 3269. Oltre ai pubblici ufficiali I ed alle parti contraenti dell'atto negoziale sono indicati -in entrambe le disposizioni legislative -� i soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione �. Di modo che si presenta palese come il legislatore, at I tribuendo alla formalit� della registrazione una ragione ed uno scopo di peculiare rilievo rispetto al contenuto del negozio registrato, ha I ampliato la sfera dei soggetti obbligati al pagamento del tributo, includendovi i soggetti interessati alla sola effettuazione della formalit� di registrazione, tra i quaU da comprendere i procuratori volontari delle parti contraenti, in quanto necessariamente coinvolti a compiere un atto fiscale in prosecuzione dell'attivit� giuridica attribuita loro per mandato (Confr. sent. 28 giugno 1984 n. 3824). . La seconda imposta � di recente istituzione (legge delega del 9 ottobre 1971 n. 825 -legge delega d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643). Deriva dall'abrogata legge 5 marzo 1963 n. 246 (incremento valore aree fabbricabil�). Sorta per ragioni contingenti in favore dei Comuni (nel cui territorio � sito l'immobile da tassare), essa ha lo scopo di colpire il plusvalore dei (1) Non �constano precedenti. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 beni immobili realizzatosi per effetto delle regole di mercato e di moneta nel corso del tempo. Non essendo un'imposta d'atto, e non assumendo quindi rilevanti aspetti puramente formali, essa non pu� che gravare unicamente sugli alienanti dei beni a titolo onoroso o sugli acquirenti a titolo gratuito o per usucapione (art. 4). Il legislatore, con l'art. 26, ha, espressamente, disciplinato in modo autonomo (senza la possibilit� di rinvio ad altre leggi come erroneamente potrebbe sembrare da un'errata lettura dell'art. 31) il principio della �solidariet�.>>, limitandolo fra �gli alienanti ovvero i beneficiari di ciascun immobile >>. Da ci� l'ulteriore considerazione che sarebbe fuori da ogni concezione di responsabilit� patrimoniale tributaria l'assunto volto a ravvisare nelle enunciazioni: �alienanti� e �beneficiari� dell'art. 26 citato due tipi o categorie di parti: in senso sostanziale e formale, per attribuire la responsabilit� patrimoniale anche ai rappresentanti volontari degli alienanti o dei beneficiari. Si giungerebbe -cos� -ad un'arbitraria esegesi degli enunciati legislativi: � alienanti � e � beneficiari � senza neppure il sostegno dell'ulteriore enunciato: � soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione >>, che � proprio e soltanto dell'art. 55 della legge di registro (legge 634/72). CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 luglio 1992 n. 9009 -Pres. Scanzano Est. Vignale -P. M. Amirante (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Arena G.) c. Soc. Nautica Allestimenti. Tributi locali � Imposta sull'incremento di valore degli immobili � Spese incrementative � Denuncia . Termine. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 18). Le spese incrementative devono essere denunciate al pi� tardi al momento della registrazione dell'atto, se pure � consentita successivamente la relativa documentazione (1). (omissis) La ricorrente Amministrazione lamenta che erroneamente la Commissione Tributaria Centrale, ai fini della liquidazione dell'INVIM. abbia ritenuto legittimo il computo di una spesa incrementativa del valore iniziale dell'immobile (sotto il profilo che la relativa documentazione probatoria poteva essere prodotta anche in corso di giudizio). Omettendo di considerare che la contestazione verteva sulla computabilit� della (1) Decisione dneccepibile. 376 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO spesa, quando il contribuente abbia omesso (oltre che di documentare), addirittura di denunciare quella spesa, nel termine di decadenza di cui all'art. 18 d.P.R. n. 643 del 1972. La censura � fondata. In tutti i gradi di giudizio, come risulta dalle decisione impugnata, l'Amministrazione Finanziaria ha sempre eccepito che la decadenza del contribuente dal diritto di detrnrre la spesa incrementativa, derivava dal mancato rispetto, da parte dello stesso, del termine posto dalla norma citata. E il terzo comma deH'art. 18 'd.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 prescrive appunto che le spese di cui al precedente art. 11 debbono, � a pena di decadenza, essere denunciate all'Ufficio al momento della registrazione dell'atto ... �, La decisione deve, pertanto, ritenersi errata nella parte in cui non ha applicato la suddetta norma alla fattispecie concretamente dedotta in giudizio. Ne consegue l'accoglimento del ricorso, con rinvio alla Commissione Tributaria Centrale che s� atterr� al prin� cipio che, ai fini della liquidazione dell'INVIM, non � ammesso il computo di spese incrementative del valore iniziale dell'immobile, quando queste non siano state denunciate nei termini di cui al terzo comma dell'art. 18 d.P.R. n. 646 del 1972. (omissis) PARTE SECONDA I I I ~ I II RASSEGNA DI LEGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilit� a partecipare all'udienza dibattimentale del giudice per le indagini preliminari presso la pretura che abbia respinto la richiesta di applicazione di pena concordata per la ritenuta non concedibilit� di circostanze attenuanti. Sentenza 25 marzo 1992, n. 124, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilit� del giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata di cui all'art. 444 dello stesso codice a partecipare al giudizio. Sentenza 22 aprile 1992, n. 186, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. Codice di procedura penale, art. 70, primo comma, limitatamente alle parole � sopravvenuta al fatto �. Sentenza 20 luglio 1992, n. 340, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Codice di procedura penale, artt. 406, primo comma, e 553, secondo comma, nelle parti in cui prevedono che il giudice possa prorogare il termine per le indagini preliminari solo � prima della scadenza � del termine stesso. Sentenza 15 aprile 1992, n. 174, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. Codice di procedura penale, art. 406, secondo comma, nella parte in cui prevede che il giudice possa concedere ulteriori proroghe del termine per le indagini preliminari solo � prima della scadenza del termine prorogato �. Sentenza 15 aprile 1992, n. 174, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. Codice di procedura penale, art. 500, terzo comma. Sentenza 3 giugno 1992, n. 255, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. Codice di procedura penale, art. 500, quarto comma, nella parte in cui non prevede l'acquisizione nel fascicolo per il dibattimento, se sono state utilizzate per le contestazioni previste dai commi primo e secondo, delle dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Sentenza 3 giugno 1992, n. 255, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. 4/J RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO Codice di procedura penale, art. 513, secondo comma, nella parte in cui non prevede che il giudice, sentite le parti, dispone la lettura dei verbali delle dichiarazioni di cui al primo comma del medesimo articolo rese dalle persone indicate nell'art. 210, qualora queste si avvalgano della facolt� di non rispondere. Sentenza 3 giugno 1992, n. 254, G.U~ 4 giugno 1992, n. 24. Codice di procedura penale, art. 519 secondo comma: a) nella parte in cui, nei casi previsti dall'art. 516 del codice di procedura � penfile, non consente al pubblico ministero e alle parti private diverse dall'imputato di chiedere l'ammissione di nuove prove; b) dell'inciso, �a norma dell'art. 507 �. Sentenza 3 giugno 1992, n. 241, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. Codice di procedura. penale, art. 566, nono comma, nella parte in cui esclude l'applicabilit� al rito pretorile dell'art. 449, quarto comma, dello stesso codice. Sentenza 15 aprile 1992, n. 175, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. Codice penale militare di pace, art. 122. Sentenza. 24 giugno 1992, n. 299, G.U. 1� luglio 1992, n. 28. legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, ultimo comma, ~ d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b), nella parte in cui non prevedono che siano esentati dagli obblighi di leva coloro-che abbiano perduto la cittadinanza italiana a seguito dell'acquisto di quella di un altro Stato nel quale siano tenuti a prestare il servizio militare. Sentenza 17 giugno 1992, n. 278, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. R.D. 30 dicembre 1923, n. 3282, art. 11, nella parte in cui non prevede, tra gli effetti dell'ammissione al gratuito patrocinio, l'anticipazione a carico dello Stato delle spese per il compimento dell'opera non eseguita o per la distruzion� di quella compiuta. Sentenza 28 aprile 1992, n. 194, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. r.d.l. 30 agosto 1925, n. 1621, articolo unico [coiiv. 1n legge 15 luglio 1926, n. 1263], nella parte in cui subordina all'autorizzazione del Ministro di grazia e giustizia il compimento di atti conservativi o esecutivi su beni appartenenti a uno Stato estero diversi da quelli che, _secondo le norme del diritto internazionale generalmente riconosciute, non sono assoggettabili a misure coercitive. Sentenza 15 luglio 1992, n. 329, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. Combinato disposto R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 276, e d.P.R. 10 gen� naio 1957, n. 3, art. 87, nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti da san� zione disciplinare. Sentenza 22 giugno 1992, n. 289, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. combinato disposto d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 87 e R.D. 30 gen� naio 1941 n. 12, art. 276, nella parte in cui consente l'applicazione ai magistrati della riabilitazione prevista per gli impiegati civili dello Stato colpiti da sanzione disciplinare. Sentenza 22 giugno 1992 n. 289, G:U. 24 giugno 1992, h~ 27. PARTE li, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 49 legge 9 gennaio 1963; n. 9, art. 1, secondo comma, nella p�rte in cui preclude l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit� a carico del Fori.do per coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione erogata dal Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia. Sentenza 8 aprile 1992, n. 165, G.U. 15 aprile 1992, n. 16. legge . 9 gennaio �1963, n �. 9, art. 1, secondo comma, nella parte in cui pre�l.de Yintegrazione al minimo della pensione di riversibilit� a carico del Fondo per coltivatori diretti, mezzadri e coloni in caso di cumulo con pensione di veccehiaia erogata dal Fondo speciale per gli artigiani. Sentenza 8 aprile 1992, ri. 165, G.U. 15 aprile 1992, n. 16. d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, art. 1, lett. b) e legge 13 giugno 1912, n. 555, art. 8, .ultimo comma, nella parte in cui non prevedono che siano esentati dagli obblighi' di leva colpro che' abbiano perduto ia .cittadinanza italiana a .seguito deH:acquisto di quella d{ un altro Stato nel quale siano tenuti a prestare il sei-vizio militare. . . . ~ Sentenza 17 giugno 1992, n. 278, G.U. 24 giugno 1992, n. 27 d.P.R. 30 giugno � 1965, n. 1124, art. 4, nella parte in cui non prevede tra le persone assicurate gli associati .in partecipazione i quali prestino opera.manuale, oppure non manuaie, alle pondizioni di cui al n. 2 del medesimo art. 4. Sentenza. 15 luglio 1992, n. 332, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minirno della pensione di riversibilit� erogata dalla Ges.tione speciale commercianti .in caso. di cumulo con pensione di rivers.ibilit� a dtico dell'ENPALS. Sentenza 8 giugno 1992 n. 257, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui non consente l'integrazione al minimo della . pensione di riversibilit� erogata dalla Gestione speciale commercianti in caso di cumulo con pensione diretta a carico dell'ENPALS. � ' S(':nt(;!nz~. 8. aprile 1992, n.1~, (;.U. 15.aprile 1992~ n. 16. . legge 7 ottobre 19~9,. n. 7421 ,i.-t. 1, nella� parte in cui non dispone cheJ'istituto della sospensiony ciei teqni!li. ;>i app\ic:W �~che a quello stabilito per ricorrere, avverso le delibere dei Consigli provinciali, al, Consiglio nazionale degli architetti. Sentenza 29 iuglio 1992, n.�380, G.U. 5 ~gosto 1992, n. 33. legge 22 ottobre 1911, n. 865, art. 20, quarto comma, nella parte lii 'cui non prevede che anche l'espropriante possa proporre opposizione davanti alla corte d'appello contro la determinazione dell'inderinit� di occupazione dei beni da espropriare, con atto di citazione notificato alle controparti nei modi ivi stabi liti e; quando l'espropriante sfa il 'comune; i:on decorrenza del termine per l'op posizione dal giorno �in cui sia pervenuta: aI comune stesso l� comunicazio:tie della determinazione di detta indennit� da parte della comm'issione prevista dall'art. 16. � Sentenza 27 luglio 1992, i:i.; 365, G.U. �5 agosto 1992, n. 33. 17 fO RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DEU.O STATO dP.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 97, primo comma, nella parte in cui non determina la misura della retribuzione, oltre la quale non compete la tredicesima mensilit�. Sentenza 27 maggio 1992, n. 232, G.U. 3 giugno 1992, n. 23. D.L. 8 luglio 1974, n. 261, art. 1 [come modificato dall'art. 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355], nella parte in cui non estende a tutti gli altri lavoratori destinatari di quelle provvidenze, tra le ipotesi di cessazione dal servizio non pregiudicanti il godimento dei benefici stabiliti per gli ex combattenti, anche quella della anticipata estinzione del rapporto di lavoro per soppressione del posto o riduzione dell'organico. Sentenza 15 luglio 1992, n. 330, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 69 nella parte in cui non prevede che l'obbligo del locatore di corrispondere al conduttore la indennit� per l'avviamento commerciale non ricorre quando causa di cessazione del rapporto � un provvedimento della pubblica Amministrazione che esclude indefinitamente la utilizzazione economica dell'immobile. Sentenza 3 giugno 1992, n. 242, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 17, primo comma e D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 15, [conv. in legge 29 febbraio 1980, n. 33], nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione oltre la quale diventano operanti l'esclusione e il congelamento dell'indennit� integrativa speciale. Sentenza 28 aprile 1992, n. 204, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 2, nella parte in cui, ai fini dell'inquadramento nella posizione funzionale di psicologo coadiutore degli psicologi provenienti dagli enti di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70 che alla data del 20 dicembre 1979 prestavano attivit� nei predetti enti con la qualifica di psico� logo collaboratore tecnico coordinatore, richiede che gli stessi fossero preposti alla direzione di strutture organizzative. Sentenza 15 luglio 1992, n. 331, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 15 [conv. in legge 29 febbraio 1980 n. 33] e legge 21 dicembre 1978, n. 843, art. 17, primo comma, nella parte in cui non determinano la misura della retribuzione, oltre la quale diventano operanti l'esclusione e il congelamento dell'indennit� integrativa speciale. Sentenza 28 aprile 1992, n. 204, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. legge reg. Marche 21 maggio 1980, n. 35, art. 7, secondo comma, limitatamente alle parole � o statutarie �. Sentenza 28 aprile 1992, n. 195, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. d.P.R. 30 dicembre 1981, n. 834, art. 25, primo comma [nel testo di cui all'art. 17, primo comma, della legge 6 ottobre 1986 n. 656], nella parte in cui non prevede l'esperibilit� dell'azione in via giurisdizionale anche in mancanza del preventivo ricorso gerarchico. Sentenza 2 aprile 1992, n. 154, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 20 ottobre 1982, n. 773, art. 2, quinto comma. Sentenza 3 giugno 1992, n. 243, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. legge 20 novembre 1982, n. 890, art. 5, terzo comma, nella parte in cui non prevede la sua applicabilit� ai giudizi dinanzi ai giudici amministrativi, ivi compresi i giudizi elettorali. Sentenza 30 marzo 1992, n. 140, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 29 aprile 1983, n. 167, art. 2, primo comma [come sostituito dall'art. 1, numero 1, della legge 23 dicembre 1986, n. 897], nella parte in cui non prevede l'adozione del provvedimento dell'affidamento in prova indipendentemente dall'osservazione della pesonalit� del condannato per almeno un mese nello stabilimento militare di pena. Sentenza 23 marzo 1992, n. 119, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 6, secondo comma, nella parte in cui non consente l'adozione di uno o pi� fratelli in stato di adottabilit�, quando per uno di essi l'et� degli adottanti supera di pi� di quarant'anni l'et� dell'adottando e dalla separazione deriva ai minori un danno grave per il venir meno della comunanza di vita e di educazione. � Sentenza 1� aprile 1992, n. 148, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. n. 76, nella parte in cui prevede il potere del giudice di allegare nel fascicolo processuale, tra gli atti utilizzati per le contestazioni, solo le sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero nel corso delle perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto, e non anche le dichiarazioni precedentemente rese dal testimone e contenute nel fascicolo del pubblico ministero. Sentenza 3 giugno 1992, n. 255, G.U. 4 giugno 1992, n. 24. legge 6 marzo 1987, n. 74, art. 19 [in relazione agli artt. 4 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 635 e 1 tariffa allegata], nella parte in cui non comprende nell'esenzione dal tributo anche le iscrizioni di ipoteca effettuate a garanzia delle obbligazioni assunte dal coniuge nel giudizio di separazione. Sentenza 15 aprile 1992, n. 176, G.U. 22 aprile 1992, n. 17. <LL 25 settembre 1987, n. 393, art. 2 [convertito in legge 25 novembre 1987, n. 478] nella parte in cui esonera il conduttore da responsabilit� per i danni cagionati al locatore dal ritardo della restituzione dell'immobile senza eccettuare il caso di comprovata insussistenza della difficolt� per il conduttore di reperire altro immobile idoneo. Sentenza 1� aprile 1992, n. 149, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203, art. 25, sesto comma, nella parte in cui fa riferimento alla � autorizzazione prescritta dall'art. 13 � anzich� alla � autorizzazione prescritta dall'art. 15 �. Sentenza 22 aprile 1992, n. 185, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Uguria 8 gennaio 1990, n. 1, art. 18, primo comma. � Sentenza 1� luglio 1992, n. 307, G.U. 8 luglio 1992, n. 29. Jegge 29 dicembre 1990, n. 407, art. 5, q.attordicesimo comma, nella parte in cui, per gli altri soggetti ivi contemplati (coltivatori diretti, mezzadri e coloni e rispettivi concedenti, nonch� per ciascun componente attivo dei rispettivi nuclei familiari) non � consentita, nella determinazione del contributo dovuto, prova contraria di un effettivo minore imponibile. Sentenza 8 giugno 1992, n. 256, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge 29 dicembre 1990, n. 407, art. 5, quattordicesimo comma, nella partei in cui, nella determinazione del contributo dovuto dai soggetti ivi contemplati al primo alinea, .non � consentita prova contraria di un minore effettivo imponibile. Sentenza 8 giugno 1992; n. 256, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge 14 agosto. 1991, n. 281, art. 5, Stl.11to comma, nella parte in cui prevede che le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative di cui ai commi li 2 e 3 del medesimo articolo confluiscono nel fondo per l'attuaziope della legge previsto dall'art. 8, anzich� nei bilanci delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge reg. Friuli Venezia Giulia 4 settembre 1991, n. 41, artt. 3, secondo, terzo e quarto comma, e 4, comina; nella parte in cui in materia di rifiuti tossici, �sia in regime transitorio che in via definitiva, introducono l'istituto del silenzioassenso, pr�vedend� la possibilit� di una autorizzitZione tacita per l'esercizio del� l'attivit� di stoccaggio provvisorio. Sentenza 1� luglio 1992, n. 306, G.U. 8 luglio 1992, n. 29. legge 8 novembre 1991, n. 362, art. 4, terzo, quarto, quinto, sesto, settimo ed ottovo comma. Sentenza 23 luglio 1992, n. 352, G:U. 29 luglio 1992, ri, 32. � legge 30 dicembre 1991-, n. 411, art. 3, nella parte in cui sostituendo l'art. 4 della legge 18 ottobre 1961, n. 1048 (n. 2 lett. e) prevede la: designazione da parte dei consigli regionali, de~ rappresentanti regionali nel consiglio di amministra� zione dell'ente. Sentenza 23luglio 1992, n. 353, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Il -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE Codice civile, art. 291 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 20 luglio 1992, n. 345, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Codice civile, art. 574 [abrogato dal,l'art. 187 della legge 19 maggio 1975, n. 151] (artt. 3 e 30, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 8 aprile 1992, n. 167, G.U. 15 aprile 1992, n. 16. I I ~ fil PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE Codice di procedura civile, art. 20 (art. 25, primo comma della Costituzione). Sentenza 12 giugno 1992, n. 269, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. Codice di procedura civile, art. 305, nella parte in cui anche in caso di fallimento della parte costituita fa decorrere dalla interruzione del processo il termine utile per la sua riassunzione (art. 24 della Costituzione). Sentenza 27 marzo 1992, n. 136, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. Codice penale, art. 528, nella parte in cui punisce chiunque, allo scopo di farne commercio o distribuzione, detiene scritti, disegni, immagini od altri oggetti osceni di qualsiasi specie, (artt. 21, 27, terzo comma, e combinato disposto degli artt. 2, 3, 13 e 25, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 27 luglio 1992, n. 368, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non prevede l'incompatibilit� a partecipare all'udienza preliminare del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale, che abbia ordinato di formulare l'imputazione ai sensi dell'art. 409, quinto comma, codice di procedura penale (artt. 76, 77, 25 e 101 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 124, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma (artt. 76, 77 e 25 della Costituzione). Sentenza 22 aprile 1992, n. 186, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. Codice di procedura penale, art. 34, secondo comma (artt. 76 e 77 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1992, n. 261, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. Codice di procedura penale, art. 34, terzo comma (artt. 76, 25 e 101 della Costituzione). � Sentenza 22 giugno 1992, n. 292, G.U. 1� luglio 1992, n. 28. Codice di proc~ura . penale, art. 314, terzo comma (artt. 3. e 24, ultimo comma, della Costituzione). Sentenza 3 giugno 1992, n. 248, G. U. 10 giugno 1992, n. 25. Codice di procedura penale, art. 3~0, secondo comma, Iett. g) (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1992, n. 260, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. Codice di procedura penale, art. 428 (artt. 3 e 76 della Costituzione). Sentenza 29 luglio 1992, n. 381, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. Codice di procedura penale, art. 431 (artt. 76, 24 e 97 della Costituzione. Sentenza 30 marzo 1992, n. 142, G.U, 8 aprile 1992, n. 15. J4 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO Codice di procedura penale, artt. 444 e 448 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1992, n. 266, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. Codice di procedura penale, art. 458, primo e secondo comma (art. 3 dellai Costituzione). Sentenza 24 giugno 1992, n. 300, G.U. 1� luglio 1992, n. 28. Codice di procedura penale, art. 493 (artt. 3, 24 e 77 della Costituzione. Sentenza 28 aprile 1992, n. 203, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. Codice di procedura penale, art. 519, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 luglio 1992, n. 316, G.U. 15 luglio 1992, n. 30. II Codice di procedura penale, art. 669, nono comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1992, n. 200, G.U. 6 maggio 1992, n. 19). r.d.I. 15 marzo 1927, n. 436, art. 10 [conv. in legge 19 febbraio 1928, n. 510] (artt. 2, 3, secondo comma, 13, 25, secondo comma, 27, secondo e terzo comma della Costituzione). Sentenza 22 giugno 1992, n. 291, G.U. 1� luglio 1992, n. 2& r.dl. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10 [convertito in legge 6 luglio 1939, n. 1272] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1992, n. 258, G.U. 17 giugno 1992, n. 26). r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 22, terzo comma (artt. 101, secondo comma, 107, terzo comma e 111, primo comma della Costituzione). Sentenza 1� luglio 1992, n. 310, G.U. 15 luglio 1992, n. 30. d.P.R. 16 settembre 1958 n. 916 art. 59, sesto comma (artt. 3, 24, 101, secondo comma e 104, primo comma, della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1992, n. 196, G. U. 6 maggio 1992, n. 19. d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, art. 83, n. 11, quinto comma (art. 97, primo comma, della Costituzione). Sentenza 30 maggio 1992, n. 140, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 23 ottobre 1960, n. 1369, artt. 1, quarto e quinto comma, e 8 (artt. 3, 4 e 81 della Costituzione). Sentenza 2 2aprile 1992, n. 191, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. d.I. 21 giugno 1961 n. 498, artt. 1 e 3 [convertito in legge 28 luglio 1961, n. 770] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 aprile 1992, n. 177, G. U. 29 aprile 1992, n. 18. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE legge 18 ottobre 1961, n. 1048, art. 2, n. 1, lett. a) [cos� come sostituito dall'art. 2 della legge 30 dicembre 1991, n. 411] (artt. 97, 117, 118 e 123 della Costituzione e 57 statuto reg. Toscana). Sentenza 23 luglio 1992, n. 353, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 4 febbraio 1966, n. 51 (artt. 32 e 34 della Costituzione). Sentenza 27 marzo 1992, n. 132, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 28, primo e secondo comma (artt. 3, 24 e 39 della Costituzione). Sentenza 20 luglio 1992, n. 342, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Combinato disposto legge 5 novembre 1968, n. 1115, art. 8, secondo comma.11 e legge 8 agosto 1972, n. 464, art. 4, primo comma (artt. 3, 36 e 38 della Costituzione). Sentenza 15 luglio 1992, n. 337, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16 [come sostituito dall'art. 7 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739] (artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione). Sentenza 23 marzo 1992, n. 120, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. d.P.R. 28 ottobre 1972, n. 634, art. 46 (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 15 .luglio 1992, n. 336, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. legge 22 dicembre 1975, n. 685, artt. 71, 72 e 72 quater (art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione). Sentenza 27 marzo 1992, n. 133, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 22 dicembre 1975 n. 685, art. 82 bis (art. 3 della Costituzione). Sentenza 27 marzo 1992, n. 133, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 26 luglio 1978, n. 417, art. 1, terzo comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 3 giugno 1992, n. 249, G.U. 10 giugno 1992, n. 25. legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 35 (artt. 3, primo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1992, n. 264, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge reg. Sardegna 23 ottobre 1978, n. 62, art. 9, primo comma (art. 46 statuto spec. reg. Sardegna). Sentenza 4 maggio 1992, n. 208, G.U. 13 maggio 1992, n. 20. d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, allegato 2. Sentenza 15 luglio 1992, n. 335, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. f6 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 21 febbraio 1980, n. 28, art. 5, terzo comma, n. 3 (art. 3 della Costi tuzion~). Sentenza 23 luglio 1992, n. 359, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Sentenza 27 luglio 1992, n. 367, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, art. 50, n. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 359, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Sentenza 27 luglio 1992, n. 367, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 20 settembre 1980, n. 576, art. 2 (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sent�nza 27 luglio 1992, n. 372, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 3 gennaio 1981, n. 6, art. 21, quinto comma (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1992, n. 259, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, primo comma, n. 11 (art. 51 della Costituzione). Sentenza 17 giugno 1992, n. 280, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. d.l. 29 luglio 1981, n. 402, art. 13 [come modificato dalla legge di conversione 26 settembre 1981, n. 537] (artt. 11 e 3 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 354, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 66, primo comma (artt. 13 e 27, terzo comma, della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1992, n. 199, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. d.I. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, primo comma [conv. in legge 26 febbraio 1982, n. 54] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 1� luglio 1992, n. 309, G.U. 15 luglio 1992, n. 30. d.P.R. 24 aprile 1982, n. 340 (artt. 3 e 97 dello Costituzione). Sentenza 22 aprile 1992, n. 190, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. d.l. 10 luglio 1982, n. 429 art. 12, secondo comma [convertito in legge 7 agosto 1982 n. 516] (artt. 3, 24, 53 e 97 della Costituzione). Sentenza 23 marzo 1992, n. 120, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. d.l. 15 dicembre 1982, n. 916, art. 2-bis [convertito in legge 12 febbraio 1983,; n. 27] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 30 marzo 1992, ii. 143, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 27 (artt. 3, 10 e 30 della Costituzione). Sentenza 20 luglio 1992, n. 344, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE J7 legge 10 luglio 1984, n. 292, art. 2, primo comma (artt. 3, 35 e 36 della Costituzione). Sentenza 15 luglio 1992, n. 333, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. d.l. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, secondo comma [conv. in legge 19 dicem~ bre 1984, n. 863). Sentenza 11 maggio 1992, n. 2101 G.U. 20 maggio 1992, n. 21. dJ. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1-bis, primo e secondo comma [convertito� in legge 1� marzo 1985, n. 42) (artt. 3 e 42 della Costituzione). Sentenza 30 marzo 1992, n. 141, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 6 febbraio 1985, n. 16, art. 3 (artt. 5, 9, secondo comma, 117, 118 e 128 della Costituzione). Sentenza 1� aprile 1992, n. 150, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge reg. siciliana 10 agosto 1985 n. 37, art. 5, primo comma, nella parte in cui prevede, che � l'autorizzazione del sindaco costituisce la concessione ... per la costruzione di recinzioni, con esclusione di quelle di cui ai fondi rustici di cui all'art. 6 � (art. 25, secondo comma, e 3 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1992, n. 201, G.U. 6 maggio 1992, n. 19). legge reg. Sicilia 25 ottobre 1985, n. 39, art. 2 (art. 97 e 3 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1992, n. 197, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 31, (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1992, n. 256, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. d.l. 28 febbraio 1986, n. 49, art. 9 [conv. in legge 18 aprile 1986, n. 120) (art. 3 della Costituzione). Sentenza i7 giugno 1992, n. 283, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. legge reg. Emilia Romagna 17 maggio 1986, n. 16, art. 16, quinto comma (artt. 3, 24, 41, 113, 117, e 118 della Costituzione). Sentenza 24 giugno 1992, n. 301, G.U. 1� luglio 1992, n. 28. d.I. 9 dicembre 1986, n. 832, art. 4 [convertito in legge 6 febbraio 1987, n. 15) (artt. 3, 41 e 97 della Costituzione). Sentenza 30 luglio 1992, n. 388, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2, n. 76 (artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione). Sentenza 3 giugno 1992, n. 254, G.U: 4 giugno 19!?2, n. 24. f8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge reg. Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25, art. 7, quarto comma (artt. 24, 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 27 maggio 1992, n. 237, G.U. 3 giugno 1992, n. 23. legge reg. Abruzzo 3 marzo 1988, n. 25, art. 7, quarto e quinto comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 25 maggio 1992, n. 221, G.U. 3 giugno 1992, n. 23. legge 11 marzo 1988, n. 67, art. 10 (artt. 3, 53 e 97 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1992, n. 256, G.U. 17 giugno 1992, n. 26. legge 27 ottobre 1988, n. 460, art. 1, commi secondo e terzo (artt. 3, 97 e 32 della Costituzione). Sentenza 20 luglio 1992, n. 343, G.U. 29 luglio 1992 n. 32. legge 15 febbraio 1989, n. 51, art. 1, primo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 luglio 1992, n. 334, G.U. 22 luglio 1992, n. 31. legge 21 febbraio 1989, n. 63 (art. 36 della Costituzione). Sentenza 27 maggio 1992, n. 236, G.U. 3 giugno 1992, n. 23. d.l. 27 dicembre 1989, n. 413, art. 1, comma quarto-quinquies [convertito in legge 28 febbraio 1990, n. 37] (art. 3 della Costituzione). Sentenza 27 luglio 1992, n. 374, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 12 aprile 1990, n. 74, art. 4 (artt. 3, 24 e 125, secondo comma, della Costituzione e art. 23, primo comma, statuto reg. Sicilia). Sentenza 22 aprile 1992, n. 189, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 58, quarto comma (artt. 3 e 26, recte 24, della Costituzione). Sentenza 29 luglio 1992, n. 383, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 30 luglio 1990, n. 217, art. 3 (artt. 1, primo comma, 3, 4, secondo comma, e 24 della Costituzione). Sentenza 30 marzo 1992, n. 144, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. legge 30 luglio 1990, n. 217, artt. 3 e 4 (artt. 1 e 3 della Costituzione). Sentenza 30 marzo 1992, n. 144, G.U. 8 aprile 1992, n. 15. d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 73 (artt. 3 e 32 della Costituzione). Sentenza 1� luglio 1992, n. 308, G.U. 15 luglio 1992, n. 30. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.L 16 marzo 1991, n. 83, art. 7, secondo comma [conv. in legge 15 maggio 1991, n. 154] (artt. 3 e 53 della Costituzione). Sentenza 22 aprile 1992, n. 192, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. d.l. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, comma primo e secondo [conv. in legge 1� giugno 1991, n. 166] (artt. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 3 giugno 1992, n. 246, G.U. 10 giugno 1992, n. 25. legge 15 maggio 1991, n. 154, art. 7, nella parte in cui esclude dalla sanatoria l'ipotesi di reato previsto dall'art. 1, comma secondo, della legge 516/82 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 15 aprile 1992, n. 178, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 14 agosto 1991, n. 281, artt. 2, primo, quinto, ottavo, decimo, undicesimo e dodicesimo comma; 3, primo, secondo, terzo, quarto, quinto e sesto comma; 4 e 8 (artt. 81, quarto comma, e 119 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 14 agosto 1991, n. 281, artt. 2, quinto e ottavo comma, e 3, primo comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 14 agosto 1991, n. 281, art. 3, sesto comma (art. 119 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 14 agosto 1991, n. 281, art. 3, settimo comma (art. 8, n. 21, dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 14 agosto 1991, n. 281, art. 5, primo, secondo e terzo comma (artt. 8, n. 21 e 16 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige e artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 14 agosto 1991, n. 281, art. 5, quarto comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 14 agosto 1991, n. 281, art. 8 (art. 119 della Costituzione). Sentenza 25 marzo 1992, n. 123, G.U. 1� aprile 1992, n. 14. legge 25 agosto 1991, n. 284, art. 1, primo comma (art. 117 e 118 della Costituzione; art. 4, n. 10, statuto reg. Friuli; artt. 8, n. 20, 9, n. 7, e 16 statuto reg. Trentino). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. 60 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO legge 25 agosto 1991, n. 284, art. 1, secondo comma (artt. 117 e 118 della Costituzione; art. 4, n. 10, statuto reg. Friuli; art. 8, n. 20, 9, n. 7, e 16 statuto reg. Trentino). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 25 agosto 1991, n. 284, art. 1, terzo e quarto comma (artt. 117 e 118 della Costituzione; art. 4, n. 10, statuto spec. reg. Friuli; art. 8, n. 20, 9, n. 7, e 16 statuto spec. Trento e Bolzano). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge .25 agosto 1991, n. 284, art. 1, quinto comma (artt. 117 e 118 della Costituzione; art. 4, n. 10, statuto spec reg. Friuli). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 25 agosto 1991, n. 284, art. 1, sesto comma (artt. 117 e 118 della Costituzione; art. 4, n. 10, statuto spec. reg. Friuli; artt. 8, n. 20, 9, n. 7, 16 e 68 dello statuto spec, reg. Trentino). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 25 agosto 1991 n. 284, art. 2, quinto e sesto comma (artt. 8, n. 20, 9, n. 7 e 16 dello statuto spec. reg. Trentino). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 25 agosto 1991, n. 284, art. 2, sesto comma (art. 117 della Costituzione). Sentenza 22 aprile 1992, n. 188, G.U. 29 aprile 1992, n. 18. legge 6 novembre 1991, n. 394, artt. 1, quinto comma, 2, sesto e settimo comma, 3, 4, primo comma, lett. a) e b), 5, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 17, 21, primo e secondo comma, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, secondo comma, 34, nono com� ma; e 35, primo comma (artt. 8, nn. 1, 5, 6, 7, 14, 15, 19, 21, 22, 24 .e 29; 9, nn. 8, 9 e 11; 14, secondo e terzo comma; i6, primo comma; 18, secondo comma; 68 e 107 dello statuto spec. reg. Trentino-Alto Adige). Sentenza 27 luglio 1992, n. 366, G.U. S' agosto 1992, n. 33. legge 6 novembre 1991, n. 394, artt. 4, primo comma, lett. c) e d), 16 e 38 (titolo VI statuto spec. reg. Trentino-Alto Adige). Sentenza 27 luglio 1992, n. 366, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 6 novembre 1991, n. 394, artt. 6, terzo comma, 22, quinto comma, e 32, terzo comma (artt. 3 e 36 legge 26 febbraio 1948, n. 3 come attuati dall'art. 58 statuto spec. reg. Sardegna). ' Sentenza 27 luglio 1992, n. 366, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. l�gge 6 �novembre 1991, n. 394, art. 7 (titolo VI dello st�tuto spec. reg. Trentino- Alto Adige). Sentenza 27 luglio 1992, n. 366, G.U. � 5 agosto 1992, n. 33. ~ j ; i I i I I ~~�1�~�r� ~ARTE II, RASSEGNA DI. LEGlSLAZIONE legge 6 novembre 1991, n. 394, art. 18 primo conuna (artt�. 3 e 6 � legge 26 febbraio 1948 n. 3 come attuati dall'art. 58 statuto spec. reg. Sardegna). Sentenza 27 luglio 1992, n. 366, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 8 novembre� 1991, n. 362, art.A, primo e: secoud!l col'Oma. (artt. 9, n� 10, e 16 dellQ statuto spec. reg, Trentino-Alto J\dige). . . . . . Sentenza 23 luglio 1992, n. 352, G.U. 29 luglio 1992/n.; 32. legge 8 novembre 1991, n. 362, artt. 4, nono comma, e 11 (artt. 9, n. 10; e 16 dello statuto spec. reg. Trentino-Alto Adige). Sentenza 23 �luglio 1992, n. 352, G.U. 29 luglio 1992, Ii. 32. legge 8 novembre 1991 n. 381, art. 9, terzo comma (artt. 117, 118, 119 e 81, ultimo comma, della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1992, n. 202, G.U. 6 maggio 1992, n. 19. legge 2 dicembr.e 1991, p.�..390, artt. 7, primo comma, lett. d); 10; 18, quarto comma; 21, primo, secondo e quinto comma; 25, primo comma (artt. 3, 33, 34, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 17 giugno 1992, n. 281, G.U. 24 giugno 1992, n. 27. legge 30 dicembre 1991, n. �411, art. 6 (artt. 97, 117; 118 e 123 della CostitU� zione e 57 statuto reg. Toscana). Sentenza 23 luglio 1992, n. 353, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, quinto comma (art. 119 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge '30 dicembre 1991, 'n. 412, art. 4, ottav� ~o~ma (artt: 117, 118, 119 e 130 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, undicesimo comma (vari articoli di vari statuti regionali). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, quindicesimo comma (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n .412, art. 6, primo comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. 62 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 9 (artt. 8, n. 1; e ��];6: statuto prov. Bolzano; artt. 3, lett. a) e 6 statuto reg. Sardegna). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 19 (artt. 16 e 80 statuto prov. Bolzano; artt. 3, 81, 119 della Costituzione e titolo VI statuto prov. Trento; artt. 3, 97, 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 22 (art. 4, n. 1, statuto reg. Friuli; artt. 8, 9, .16 statuto prov. Bolzano; artt. 3, lett. a), 4, 5 e 6 statuto reg. Sardegna). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356; G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 23 (artt. 117 e 119 della Costituzione). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 30 dicembre 1991, n; 412, art. 24, primo e terzo comma (art. 4, n. l, statuto reg. Friuli). Sentenza 23 luglio 1992, n. 356, G.U. 29 luglio 1992, n. 32. legge 31 dicembre 1991, n. 415, art. 2, secondo comma, e allegata tabella B (art. 38 statuto spec. reg. Sicilia e art. 81 Costituzione). Sentenza 27 luglio 1992, n. 369, G.U. 5 agosto 1992 n. 33. legge 31 dicembre 1991, n. 415 art. 2, undicesimo comma (artt. 81 e 119 della Costituzione). Sentenza 27 luglio 1992, n. 369, G.U. 5 agosto 1992, n. 33. legge 5 febbraio 1992, n. 68, art. 3, secondo e terzo conuna 4, 6, 7, 8, 9, 10 e Il (artt. 8, n. 9, e n. 29; 9, n. 8; 15 e 16 dello statuto spec. prov. di Trento). Sentenza 29 luglio 1992, n. 382, G.U. 5 agosto 1992, n. 33.