ANNO XLII � N. 2 � 3 APRILE � SETTEMBRE 1990 

RASSEGNA 


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DELL'AVVO�A,TURA DELLO STATO 

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Pubblicazione trimestrale di servizio 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA 1991 



ABBONAMENTI ANNO 1991 

ANNO � � � � � � � � � � � � � � � � � . � � . . � . . . � . � . � � � � � � � � L. 45.000 
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ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
Direzione Commerciale -Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

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Stampato in ltalia -Printed in ltaly 
Aurori:zHlone Tribunale di Roma -Decrero n. 11089 del 13 luglio 1966 


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(3219047) Roma, 1991 -lstihfto 'P�ligrafico e Zecca dello Stato .� P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura de/


l'avv. Franco Favara) . . . . . . . . . . . . pag. 173 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura del/'avv. Oscar Fiumara) . . . � 195 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 
(a cura degli avvocati Antonio Cingolo e 
Giuseppe Stipo) . . . . . . . . . . . . . . . . � 216 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura de//'
avv. Raffaele Tamiozzo . . . . . 281 

Sezione quinta� 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Bafile) . . . . . . . � 313 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI 


QUESTIONI ........ . 
)) 57 


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE . 
li 82 

CONSULTAZIONI 
J 97 

Comitato di redazione: Avv. D. Del Gaizo -Avv. G. Mangia -
Avv. M. Salvatorelli -Avv. F. Sclafanl 


La pubblicazione � diretta dall'avvocato: 

UGO GARGIULO 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

C. 
BAFILE, Rinnovazione della notifica dell'accertamento e sanatoria 
dei vizi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 333 
C. BAFILE, Sulla rinnovabilit� dell'accertamento annullato I, 352 
I. F. CARAMAZZA e G. M. DE &lcio, Il processo amministrativo nella sua 
evoluzione storica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 57 
O. 
FIUMARA, �Forum rei sitae � e � actio pauliana" nella Convenzione 
.di Bruxelles 27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale 
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . r', 205 
S. 
LAPoRTA, Tariffe e diritto d'impresa: a proposito di uno sconcer� 
tante precedente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 272 
R. 
TAMIOZzo, Legge quadro del pubblico impiego: contrattazione 
decentrata e accordi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I, 281 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO -ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


ACQUE 

,...,. 
Acque pubbliche -Contributo per 
la costruzione di serbatoi -Controlli 
tecnici precedenti o concomitanti 
l'atto di concessione -Sono finalizzati 
al perseguimento dell'interesse 
pubblico -Diritto del concessionario 
-Fattispecie complessa che si 
esaurisce col collaudo dell'opera, 

1.62. 
- 
Acque pubbliche -Contributo per 
la costruzione di serbatoi -� uni, 
tario -Mancata realizzazione del!'
opera -Rischio della P.A. -Non 
sussiste, 261. 

ASSOCIAZIONI E FONDAZIONI 

-Associazioni sindacali -Associazioni 
maggiormente rappresentative -Criteri 
-Rappresentanza in organi collegiali 
-Accordo Confederale -Rilevanza 
-Limiti, 3fJ7. 

ATTI AMMINISTRATIVI 

-Potere di disapplicazione -Concerne 
solo le materie devolute alla giurisdizione 
del giudice adito, 250. 

AVVOCATURA DELLO STATO 

-Rappresentanza in giudizio dello 
Stato e degli Enti pubblici -Non 
occorre mandato all'Avvocatura dello 
Stato n� delibera a stare in giudi:
zfo, 234. 

CINEMATOGRAFIA 

-Ammissione alla programmazione 
obbligatoria -Annullamento -Diritto 
ai contributi -Caducazione -Effetti 
� ex nunc � -Programmazione di 
fatto gi� avvenuta -Irrilevanza, 266. 

CIRiCOLAZIONE STRADALE 

-Patente di guida -Revoca -Illegittimit� 
(art. 81 d.P.R. 15 giugno 1959, 

n. 
393), 299. 
COMUNIT� EUROPEE 

-Competenza della Corte di giustizia 
-Riruvio pregiudi2liale da parte 
di giudice nazionale -Compatibilit� 
con il diritto comunitario di norme 
di uno Stato membro diverso da 
quello del giudice di rinvio, 195. 

-Conv�enzione di Bruxelles 27 settembre 
1968 sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni 
in materia civile e commerciale Azione 
pauLiana -Donazione di beni 

�immobili in nuda propriet�, con 
nota di o. FIUMARA, 205. 
- 
Libera circolazione delle persone -
Diahiarazione di soggiorno -Limiti, 

201. 
-Organizzazione comune del mercato 
vitivinicolo -Vinificazione dei vini 
VQPR\D e VSQPRD, 210. 

-Prodotti cosmetici -Ravvicinamento 
delle legislazioni -Etichettatura, 195. 

CONCErSSIONI .i\MMINISTRATIVE 

-Cessazione automatica allo scadere 
del tempo previsto -Contestuale insorgenza 
dell'obbligo di restituzione 
del bene da parte del concessionario, 
250. 

-Concessione di terre incolte -Estinzione 
-Necessit� di provvedimento 
amministrativo -Giurisdizione esclusiva 
del TAR sino all'emissione del 
provvedimento di estinzione, 234. 

-Concessione di terre incolte -Morte 
dell'assegnatario -Estinzione del 
rapporto -Insussistenza, 234. 


-Scadenza -Emissione di nuovo prov.. 
vedimento su bene illegittimamente 
detenuto dal cessato concessionario 
-Ammissione -Facolt� del nuovo 
concessionario di agire per il rilascio 
-Ammissione -Non esclude 
concomitante, distinto interesse della 
P.A. alla pronuncia di rilascio, 

250. 
-Scadenza -Recupero del bene -Potest� 
della P.A. di agire in autotutela 
-Ovvero di avvalersi degli 
ordinari rimedi innanzi all'A.G.O., 

250. 
CONTRATTI (IN GENERALE) 

-Contratti della Pubblica Amministrazione 
-Esecuzione della prestazione 
da parte del privato in pendenza 
del procedimento di approva2!
ione -Mancata approvazione del 
contratto -Responsabilit� precontrattuale 
della Pubblica Amministrazione, 
235. 

CORTE COSTITUZIONALE 

-lmpugnaziione diretta di deliberazione 
legislativa regionale -Delibera 
a ratifica del Consiglio dei Ministri, 

176. 
-Legge di delegazione -Autonomia 
rispetto al decreto legislativo -Diretta 
impugnabilit� ex se della legge 
di delegazione -Attualit� dell'interesse 
a ricorrere; 188. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Determinazione dell'indennit� -C.d. 
legge di Napoli -Legittimit� costituzionale, 
184. 

-Occupazione illegittima -Amone di 
risarcimento -Legittimazione passiva 
-Spetta al soggetto che ha eseguito 
�l'opera, 261. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Concessione serviz;i trasporto aereo 
di linea -Tariffe -Adeguamento Diritto 
soggettivo del concessiona11io 
-Esclusione, con nota di S. LA 
PORTA, 272. 

�VII 

-Controversia relativa a diritti soggettivi 
rientrante nella giurisdizione 
esclusiva del T AR -Facolt� di compromettere 
in arbitri -Esclusione, 

234. 
-Dipendenti FF.SS. -Indennit� di 
buonuscita -Cessazione del rapporto 
prima della L. n. 210/85 -Giurisdi2lione 
amministrativa, 271. 

GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 

-Demanio e patrimonio -Beni patrimoniali 
inddsponibili -Concessione Scadenza 
del termine -Estinzione 
del rapporto concessorio -Obbligo 
dL motivarione -Non sussiste -Necessit� 
di tempestiva rituale disdetta 
-Non occorre, 293. 

-Giudizio amministrativo -Sentenze 
interlocutorie emanate a fini istruttori 
-Esclusione del giudicato anche 
implicito, 299. 

-Pubblico impiego -Stiipendi assegni 
indennit� -� Reformatio in peius � Divieto 
-Compensi e indennit� -Limiti 
del divieto, 288. 

-Ricorso giurisdizionale contro atti 
del1a P.A. -Notificazione � Regolarit� 
della notificazione eseguita al!'
Avvocatura dello Stato nella persona 
del Ministro competente per 
materia, 299. 

-Ricorso giurisdizionale contro decreto 
prefettizio di revoca della patente 
di guida -Notificazione all'Avvocatura 
�dello Stato nella persona 
del Miniis.tro dei Trasporti -Ammissibilit�, 
299. 

IMPIEGO PUBBLLCO 

-Accordi sindacali -L. n. 93/1983 Contrasto 
dell'art. 29 con gli articoli 
76, 97, 39 e 113 della Costituzione 
-Infondatezza, con nota di 

R. TAMIOZZO, 28tl. 
-Inqualdramento -Dipendenti Enti 
Locali -Inquadramento ex d.P.R. 
347/1983 -Insegnanti tecnico-praticiVI 
ldvello, con nota di R. TAMIOZzo, 
281. 

IMPOSTE E TASSE IN GENERE 

-Contenzioso tributario -Requisiti 
del ricorso -. Difetto -Inammissi



vm RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DBLLO STATO 
nilit� -Sanatoria -Art. 164 c.p.c. --Enti amministrativi dipendenti 


I 

Inapplicabi1it� -Omessa ecceZione Controllo di legittimit� sugli atti , 
della parte resistente -Sanatoria, Assegnazione al Co.Re.Co. -Limite, 


I 

. 381. 180. 

~ 

-Contenzioso tributario -Requisiti 
del ricorso -Indicazione del legale 
rappresentante -t! necessaria, 380. 

PENSIONI 

-Casse pensioni amministrate dagli 
Istituti di previdenza -Domande 
aventi ad oggetto la pensione e la 
indennit� � una tantum � -Giurisdi


, Zione della Corte dei conti -Domande 
aventi ad oggetto la ricongiunzione 
con la posizione assicurativa 
INPS -Giurisdizione ordinaria, 257. 

-Pensioni civili -Controversia promossa 
davanti al giudice amministrativo 
circa contributi da versare 
alla Cassa Pensioni Dipendenti EnN 
LocaH -Sopravvenuto collocamento 
a riposo -Improcedibilit� per difetto 
di interesse, 290. 

-Pensioni ciivili -Dipendenti enti locali 
-Controversia sul computo ai 
fini pensionistici di un emolumento 
facente parte della retribuzione Giurisdizione 
della Corte dei conti 

�ancorch� la controversia sia stata 
promossa durante il rapporto di impiego, 
290. 

-Ricorso avverso il provvedimento 
che respinge la domanda di riliquidazione 
della pensione -Giurisdizione 
della Corte dei Conti -Ricostruzione 
economica della carriera Ininfluenza, 
295. 

POSTE E R�DIOTELECOMUNICAZIONI 


-EIDittenti locali -Disturbi e interferenze 
alle comunic~ioni -Potere 
sanzionatorio della P.A. ex art. 240 

d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 -Presupposti 
-Accertamento di concreti 
disturbi e interferenze -Necessit� � 
Limiti -Interferenze su canali riservati 
alla P.A., 296. 
REGIONI 

-Attivit� economiche in regime pri. 
vatistico -Limite delle competenze 
regionali -Elasticit�, 173. 

' 

-Finru:iza regionale -Spesa corrente 
-Finanziata mediante contrazione 
di mutui -Illegittimit� costituzionale, 
179. 

I

I 

RESPONSABILITA CIVILE 

-Responsabilit� precontrattuale -Natura 
extracontrattuale -Prescrizione 
quinquennale ex art. 2947 cod. civ. Applicabilit�, 
235. 

STAMPA 

-Editoria -Diritto di rettifica -Eser� 
cizio a mezzo di rappresentante � 
Procura scritta -. Necessit�, 230. 

-Provvedimento di iscrizione nel registro 
dei giornalisti � Impugnazione 
del terzo -Esclusione -Questione 
non manifestamente infondata di 
costituzionalit�, 216. 

-Tele-cine-foto operatori -Iscrizione 
nel registro dei giornalisti -Interesse 
d�ll'editore a non veder modificato 
il contenuto del rapporto di 
lavoro -Diritto soggettivo, 216. 

-Teie~cine-foto operatori -Iscrizione 
nel registro dei giornalisti -Ricorso 
dell'editore d~ giornale contro il regolamento 
e le delibere di iscrizione 
in quanto attd applicativi -Giurisdizione 
amministrativa, 216. 

T&ASPORTI PUBBLICI. 

-Ferrovie concesse all'industria priivata 
-Scadenza della concessione Istanza 
di proroga da parte del concessionario 
-Gestione diretta da 
parte dello Stato -Obbligo di motivazione, 
307. 

TRENT.JNO-ALTO ADIGE 

-Bolzano -Proporzionale etnica � Ufi�ici 
statali aventi sede in Bolzano Pianta 
organica locale e relative procedure 
di reclutamento, 188. 



TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Imposta sui redditi di ricchezza mobile 
� Squa<lre nazionali di calcio � 
Convocazione di atleti di societ� 
sportive -Premi di.i partita -Rap� 
porto di lavoro autonomo -Obbligo 
di ritenuta -E:sclusione, 348. 

-Imposta unica sul reddito delle persone 
fisiche -Applicabilit� alle liquidazioni 
successive al 1� gennaio 
1980 -Liqwdazioni anteriori -Applicabilit� 
solo se � pendente procedi� 
mento proposto nel termine dell'art. 
3i8 d.P.R. 29 settembre 1973, 

n. 
602, 313. 
-Imposta unica sul reddito delle persone 
fisiche -Interessi -Rimborso 
indennit� di buonuscita ENPAS Decorrenza, 
313. 

-Lmposta unica sul reddito delle persone 
l!isiehe -Recliditi di lavoro autonomo 
� Presunzione di percerione di 
corrispettivo per l'opera prestata Legittimit�, 
346. 

-Imposta unica sul reddito delle persone 
fisiche -Rimborsi -Indennit� 
di buonuscita ENPAS -Ritenuta di 
acconto � 1'. eseguita dal sostituto 
di imposta -Decadenza del diritto 
al rimborso ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 602, 313. 

-Nuovo t.u. delle imposte sui red� 
diti -Applicabilit� ai periodi di imposta 
anteriori -Art. 36 d.P.R. 4 
febbraio 1988, n. 42 -Condizioni e 
limiti -Rimborsi -Esclusione, 3170. 

-Restituzione e rimborsi -Caducazione 
della norma di imposizione Azione 
generale clii indebito -Esclusione, 
313. 

- 
Riscossione -Competenza e giurisdi� 
zione -Amministratore di societ� 
responsabile della sanzione ex art. 98 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 Contestazione 
sulla sussistenza della 
responsabilit� e sulla esistenza del 
titolo esecutivo -Giurisdizione delle 
Commissioni, 329. 
- 
Riscossione � Competenza e giurisdizione 
-Amministratore di societ� responsabile 
della sanzione ex art. 98 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 Contestazione 
sulla validit� verso 
l'amministratore del ruolo emesso 
nei confronti deHa societ� � Giurisdizione 
delle commissioni, 329. 
-Riscossione -Competenza e giurisdizione 
-Opposizione di terzo -Amministratore 
di Societ� responsabile 
della sanzione ex art. 98 d.P.R. 29 
settembre 1973, n. 602 -Non � terzo 
. Difetto di giurisdizione del1'
A.G.O. -Ricorso ex art. 700 c.p.c. Improponibilit� 
assoluta, 329. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Imposta di bollo -Condono ex 
art. 3�1 d.l. 10 luglio 1982, n. 429 � 
Avvenuto pagamento del tributo � 
Controversia pendente s�ltanto per 
le sanzioni -lnapplicabildt� del con 
dono, 342. 

-Imposta di registro -Fusione di 
societ� -PriWlegio sui beni della 
societ� fusa o incorporata -Non 
sussiste, 314. 

-Sanzioni -Opposizione al provvedi.mento 
sanzionatorio -Competenza 
del pretore -Esclusione -Legge 
24 novembre 198-1, n. 689 -Inapplicabilit�, 
388. 

-Sanzioni -Provvedimento -Opposizione 
� Decisione del Pretore -Impugnazione 
-Ricorso per cassazione, 
388. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento -Motivazione -Riferimento 
a verbale di ispezione di cui 
il contribuente ha rifiutato la copia Legittimit�, 
374. 

-Accertamento -Notificazione -Consegna 
a persona convivente -Rinven1mento 
presso l'abitazione -Necessit�, 
con nota di C. BAFILE, 332. 

-Accertamento tributario -Dichiarazione 
di nu11it� da parte della commissione 
-Nuovo accertamento not1ficato 
entro il termine di decadenza 
-Ammissibilit� -Limiti -Effetto 
del giudicato, con nota dii C. 
BAFILE, 352. 

-Accertamento tributario -Imposte 
indirette � Requisito minimo di 
motivazione 375. 

-Accertamento tributario -Imposte 
indirette -Requisito minimo di 
motivazione, 375. 

-Accertamento tributario -Motivazione 
-Provvedimento sulla spet



X 

RASSEGNA DEIL'AVVOCATURA DEILO STATO 

tanza di esenzioni -Richiamo alla 
norma -� sufficiente, 385. 

-Contenzioso tributario -Giurisdizione 
delle commissioni -Opposizione 
all'esecuzione -Vi � ricompresa, 
364. 

-Contenzioso tributario -Giurisdizione 
delle commissioni -Opposizione 
all'esecuzione e Vi � ricompresa, 
365. 

-Contenzioso tributario -Natura -
Vdzi dell'atto di accertamento -Rilevanza, 
374. 

-Contenzioso tributo -Rinnovazione 
della notif�ica dell'atto impugnato Ricorso 
contro ruolo per irregolare 
notifica dell'accertamento -Inapplicabilit� 
della rinnovazione, con 
nota di C. BAFILE, 332. 

-Esenzioni ed agevola2lioni -Onere 
della prova -� a carico del contribuent�, 
322. 

-Sanzioni non penali -Non applicabilit� 
per obiettive condizioni di 
incertezza -Art. 38-bis d.P.R. 26 ottobre 
1972, n. 636 -Ha sostituito 
l'art. 55 d.P.R. 29 settembre 1973, 
Il. 600, 360. 

-Sanzioni non penali -Non applicabilit� 
per obiettive condizioni di 
incertez2la -Potere-dovere di pronunzia 
di ufficio -Domanda espressa 
-Obbligo di pronunzia, 360. 

TRIBUT1I LOCALI 

-Imposta locale sui redditi -Reddito 
di ag�ente di commercio -Assenza 
di elementi patrimoniali e capitalistici 
-Non soggezione all'imposta, 

324. 
-Imposta locale sui redditi -Reddito 
di artigiano -Distinzione -Quando 
� da considerare reddito di impresa, 

370. 

INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE 

Sez. VI, 23 novembre 1989, nella causa C.;150/88 pag. 195 
Sez. I, 12 dicembre 1989, nella causa C.265/88. � 201 
Sez. V, 10 gennaio 1990, nella causa C415/88 . � 205 
Sez. III, 27 marzo 1990, nella causa C-315/88 . � 210 

CORTE tCOSTITUZIONALE 

2 febbraio .1990, n. 51 . pag. 173 
2 febbraio 1990, n. 54 � 176 
4 aprile 1990, n. 159 . � 179 
4 aprile 1990, n. 164 . � 180 
19 aprile 1�990, n. 216 � 184 
4 maggio 1990, n. 224 � 188 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. I, 23 ottobre 1989, n. 4318 pag. 3'13 
Sez. I, 28 novembre 1989, n. !Y17i1 � 314 
Sez. I, 3 febbraio 1990, n. 758 . . � 322 
Sez. I, 7 febbraio 1990, n. 788 . . � 3:24 
Sez. Un., 13 febbraio 1990, n. 1021 � 329 
Sez. Un., 14 febbraio 1990, n. 1102 � 216 
Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1434 � 332 
Sez. I, 27 febbraio 1990, n. 1501 � 342 
Sez. I, 27 febbraio 1990, n. 1508 � 346 
Sez. I, 1� marzo 1990, n. 1548 � 348 
Sez. I, 29 marzo 1990, n. 2576 � 352 
Sez. I, 5 aprile 1990, n. 2852 . 230

)) 

Sez. I, 10 ap~ile 1990, n. 2979 � 360 
Sez. Un., 10 aprile 1990, n. 3011 � 364 
Sez. Un., 11 aprile 1990, n. 3075 � 234 
Sez. Un., 19 aprile 1990, n. 3:273 )) 365 
Sez. I, 23 aprile 1990, n. 3370 . � 370 
Sez. I, 11 maggio 1990, n. 4051 � 235 
Sez. I, l1 maggio 1990, n. 4054 � 250 
Sez. Un., 15 maggio 1990, n. 4186 � 257 
Sez. I, 17 maggio 1990, n. 4290 � 374 
Sez. I, 21 maggio 1990, n. 4586 . � 261 


XI1 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEl.J..O STATO 

Sez. I, 22 maggio 1990, n. 4616 
Sez. I, 22 maggio 1990, n. 4624 
Sez. I, 22 maggio 1990, n, 4625 
Sez. Un., 29 maggio .1990, n. 4991 
Sez. Un., 30 maggio 1990, n. 5099 
Sez. Un., 30 maggio 1990, n. 5115 
Sez. Un., 30 maggio 1990, n. 5116 
Sez. Un., 22 giugno 1990, n. 6318 
Sez. Un., 18 agosto 1990, n. 8423 

GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 

Ad Plen., 6 giugno 1990, n. 5 
Sez. IV, .19 febbraio 1990, n. 109 
Sez. IV, 20 aprile 1990, � n. 292 
Sez. V, 3 aprile 1990, n. 315 . 
Sez. VI, 29 marzo 1990, n. 414 
Sez. VI, 23 aprile 1990, n. 460 
Sez. VI, 23 aprile 1990, n. 469 
Sez. VI, 11 giugno 1990, n. 586 
Sez. VI, 26 giugno 1990, n. 663 

)) 

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PARTE SECONDA 


Questioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 57 
RAssEGNA DI LEGISLAZIONE: 
Questioni di legittimit� costituzionale 
I � Norme dichiarate incostituzionali . . . . . . . . . . . . . . . . . 
II -Questioni dichiarate non fondate . . . . . . . . . . . . . . . . . 
Consultazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
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PARTE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1990 n. 51 -Pres. Saja -Rel. Cheli Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Braguglia) e Regione 
Valle d'Aosta (avv. Romanelli). 

Regioni -Attivit� economiche in regime privatistico -Limite delle competenze 
regionali -Elasticit�. 

In tema di attivit� economiche svolte dall'ente regionale secondo le 
forme e gli strumenti propri del diritto privato la corrispondenza tra 
.tali attivit� e le singole materie affidate alla competenza regionale non 
pu� essere intesa in termini cos� rigidi da limitare gli oggetti possibili 
dell'attivit� imprenditoriale soltanto ai contenuti specifici delle stesse materie 
(1). 

Il ricorso investe la legge regionale della Valle d'Aosta riapprovata 
il 7 giugno 1989 e recante �Acquisto di partecipazione azionaria della 
Air Vall�e S.p.a. con sede in Saint-Christophe, Aosta>>, mediante la 
quale, al fine di incentivare e sviluppare il trasporto ed i collegamenti 
aerei con il territorio della Valle d'Aosta, la Giunta regionale � stata 
autorizzata � a sottoscrivere una partecipazione azionaria fino al 35 % del 
capitale sociale della S.p.A. Air Vall�e, con sede in Saint-Christophe, 

(1) La sentenza suscita qualche pe11pilessit�. Essa parrebbe affermare che 
� sufficiente alle regioni utilizzare � gli strumenti propri del diritto privato � 
per poter impiegare danaro pubblico fuori degli ambiti di competenza ad 
esse assegnati. � indicato un limite in ci� che le attivit� � economiche � siano 
� strumentalmente collegate � con le � finailit� proprie � delle regioni; ma si 
tratta di un ili.mite di oui sono incerti ed opinabili, al punto che � doveroso 
dubitare della configurabilit� conce1lt!Uale di essi, sia il parametro di riferimento 
(quelle oscure �finalit� proprie�) sia la correlazione tra parametro ed 
attivit� economiche. 
llllvero, le cO!IIlJpetenze regionaili sono -allo stato della normativa .costituzionale 
e statutaria -tassatirvamente delimitate per �materie�, e al temp() 
stesso garantite da un ria:>arto esso pure per �materie >>. La vicenda storica 
e giuridica del �trasferimento deMe funzioni � ha utilizzato Io strumento concettuale 
giuspubblicistico rdi �funzione � {sul punto, si rinvia al Commentario 
al d.P.R. n. 616 del 1977 coordinato da CAPACCIOLI, sub art. 3); da ci� non pu� 
per� trarsi a1oun argomento per sostenere che '1a tass.a:tivit� anzidetta .ope;ri 

2 



174 

RASSEGNA DEUJAvVOCATURA DELLO STATO. 

Aosta�, con la riserva della nomina di un numero di amministratori e 
di sindaci proporzionato alla quota sottoscritta. 

Ad avviso della Presidenza del Consiglio la Regione sarebbe legittimata 
a partecipare al capitale di una societ� solo ��in quanto l'oggetto 
e i fini di questa societ� rientrino nell'ambito delle materie attribuite 
dall'ordinamento alla Regione medesima�, mentre il �trasporto ed i 
collegamenti aerei, anche a fini turistici � non risulta materia compresa 
tra quelle statutariamente assegnate alla Valle d'Aosta. Da qu� l'asserita 
illegittimit� costituzionale della legge � perch� concernente materia 
non attribuita alla Regione autonoma e per conseguente violazione 
dello Statuto speciale e delle sue norme di attuazione �, 

Il ricorso � infondato. In relazione alle opposte tesi esposte in giudizio 
dalle parti conviene innanzitutto precisare. la natura della legge impugnata, 
con riferimento al suo oggetto ed ai suoi contenuti. 

A questo proposito va certamente escluso -a differenza di quanto 
sembra ritenere la Presidenza del Consiglio -che la legge abbia inteso 
regolare, con gli strumenti di intervento normativo consentiti alla Regione, 
una materia sottratta alla competenza regionale, quale quella del 
� trasporto e collegamenti aerei �. Cos� come va parimenti escluso che 
la stessa legge possa essere qualificata -a differenza di quanto �sostiene 
la Regione -come � mera legge di spesa�, destinata non tanto a formulare 
una disciplina di carattere sostanziale quanto ad attuare una 
forma di intervento finanziario a sostegno di un'attivit� imprenditoriale. 

In realt�, la legge in esame, oltre a prevedere una spesa, si caratte� 
rizza� nella sostanza per il suo contenuto autorizzatorio, in quanto risulta 
diretta a consentire la partecipazione della Regione al capitale sociale 
ed alla gestione di una societ� per azioni operante nel settore del trasporto 
aereo. Scopo primario della legge �, dunque, quello di facoltizzare 

solo per le fuinzioni amministrative e legislative, e non anche per le attivit� 
svolte mediante strumenti privatistici. Del resto, il diritto pubblico ha da tempo 
acquisito consapevolezza delle 31II1!pie poss~bmt� di uso congirunto e/o aLternativo 
di � strumenti � giuspubblicistici e gius!Privatistici per lo svolgimento di attivit� 
che rimangono lato sensu amministrative; sioch� l'affermazione cli una 
non-coincidenza dello spazio entro il quafo possono essere utilizzati gli � strumenti
� dell'uno e deH'l:Vltro itipo introduce elementi di incertezza, che -tra 
l'altro (e questo profilo non � .considerato nella sentenza). -possono ritorcersi 
a danno delle autonomie regionali attenuando la garanzia costituzionale ad 
esse derivante dal riparto delle competenze. 

Il tema delle iniziative economiche privatistiche dei soggetti delle auto� 
nomie territoriali � antico (si pensi alle esperienze avutesi per comuni e 
province, ed anche a quanto ora di5'posto nell'art. 22 deHa legge n. 142 del 
1990); per le regioni i<t�~a � stato dibattuto ampiamente :in relazione alle 
partecipazioni regionali in societ� finanziarie. Forse, non sarebbe inopportuna 
una .rioonsiderazione ab� ovo dell'arg01II1ento, ed una approfondita ricerca di 
criteri pi� certi ed oggettivi 



PARTE I, �sEZ~ �1, GIURISPRUDENZA'COSTITIJZIONALE 

la Regione al compimento di una determinata operailone �:et:�iii�ini�a 
e al conseguente svolgimento di un'attivit� destinata a espletarsi con le 
forme proprie dell'impresa e attraverso gli strumenti tipici del diritto 
privato. 

L'oggetto della controversia va dunque identificato nella valutazione 
della compatibilit� di una attivit� economica di natura privatistica, quale 
quella autorizzata dalla legge in esame, con le finalit� e le competenze 
proprie dell'ente regionale. 

Ai sensi del proprio statuto la S.p.a. Air Vall�e ha per scopo l'esercizio 
del trasporto aereo non di linea di persone e cose e lo svolgimento 
di qualsiasi lavoro aereo ed attivit� complementari. Di fatto -come risulta 
dagli atti di causa -la societ� � stata costituita, nel 1987, al fine 
di potenziare l'aeroporto di Saint Christophe, che rappresenta l'unica 
�struttura aeroportuale della Regione e che � attualmente autorizzato 
al solo traffico turistico non di linea. 

L'obiettivo del potenziamento dell'aeroporto di Saint Christophe anche 
ai fini di un successivo ampliamento dell'autorizzazione al traffico 
commerciale -si trova, d'altro canto, enunciato tra le finalit� 
del Piano regionale dei trasporti approvato dalla Giunta regionale della 
Valle d'Aosta con la deliberazione n. 5925 del 17 giugno 1988, mentre, con 
successiva delibera n. 9991 del 4 dicembre 1988, la stessa Giunta ha ritenuto 
di poter affidare alla Air Vall�e l'incarico di redigere il progetto 
di adeguamento di tale aeroporto, anche ai fini della successiva 
gestione da parte della stessa societ�. 

Questi dati concorrono a chiarire la connessione esistente tra il 
tipo di attivit� economica che la Regione Valle d'Aosta sar� in grado di 
svolgere attraverso la prevista partecipazione azionaria e le competenze 
proprie dell'ente regionale: connessione che pu� essere individuata sia 
con riferimento alla materia del �turismo�, affidata dallo Statuto (art. 2, 
lett. q) alla competenza esclusiva regionale, anche per quanto concen:ie 
�le opere, gli impianti ed i servizi complementari all'attivit�. turistica � 
(art. 31 del d.P.R. 22 febbraio 1982, n. 182); sia con riferimento alla materia 
dei �lavori pubblici di interesse regionale� (art. 2, lett. f), in considerazione 
della riserva disposta a favore della Valle d'Aosta per gli 
interventi relativi agli � aerodromi aventi carattere esclusivamente turistico
� (art. 6, terzo comma, lett. d) della legge 16 maggio 1978, n. 196); 
sia, infine, con riferimento alla materia dell' � industria e commercio � 
(art..3, lett. a), ove si voglia tener conto anche del possibile (e preventivato) 
sviluppo della attuale struttura aeroportuale in direzione del trasporto 
commerciale. 

Ma al di l� di tali riferimenti a specifiche competenze richiamate 
nello Statuto specfaJe e nelle relative norme di attuazio;ne, ci� che va sott<>;lineato, 
in linea pi� generale, � che in tema di attivit� economiche svol



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

te dall'ente regionale secondo le forme e gli strumenti propri del diritto 
privato la corrispondenza tra tali attivit� e le singole materie affidate 
alla competenza regionale non pu� essere intesa in termini cos� rigidi da 
limitare gli oggetti possibili dell'attivit� imprenditoriale soltanto ai con� 
tenuti specifici delle stesse materie. 

La delimitazione delle materie attiene, infatti, all'esercizio delle competenze 
di natura pubblicistica (legislative e amministrative) dell'ente regionale, 
mentre per le attivit� inerenti alla capacit� di diritto privato 
dello stesso ente ci� che va considerato concerne essenzialmente l'esistenza 
di un rapporto servente o di collegamento strumentale tra tali 
attivit� e le finalit� proprie della Regione, come ente esponenziale degli 
interessi della comunit� regionale (cfr. sentt. 562 e 829 del 1988). 

In tale quadro appare, dunque, possibile giustificare una legge quale 
quella in esame, stante l'evidente collegamento delle sue finalit� -oltre 
che con le singole materie di competenza regionale sopra ricordate con 
tJli obiettivi pi� generali dello �sviluppo economico�, cui la Regione, 
nell'esercizio delle sue competenze incidenti nell'area delle attivit� 
produttive, � tenuta a provvedere con riferimento agli interessi della 
comunit� regionale, (cfr. d.P.R. n. 182 del 1982, tit. IV). 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 febbraio 1990 n. 54 -Pres. Saja -Rel. Cheli Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato. Zotta) e Regione Molise 
(avv. Rescigno). 

Corte Costituzionale � Impugnazione diretta di deliberazione legislativa 
regionale � Delibera a ratifica del Consiglio dei Ministri. 

Una delibera del Consiglio dei Ministri di ratifica della anteriore determinazione 
adottata in via d'urgenza dal Presidente del Consiglio di 
impugnare una deliberazione legislativa regionale ha efficacia sanante 
solo se � accertata l'oggettiva impossibilit� di procedere alla convocazione 
del Consiglio dei Ministri; tale oggettiva impossibilit� non si ha durante 
le annuali ferie estive (1). 

(1) Notoriamente !.'attivit� del Governo �, per solito, sospesa per un 
paio di settimane tra il 7-8 agosto ed 11 24-25 agosto. Durante detto periodo 
per� non opera alcuna sospensione dei termini per proporre ricorso diretto 
alla Corte costituzionale; e ci� d� luogo ad un problema tutt'altro che frivolo, 
anche perch� in prossimit� della � quiete agostana � i Consigli regionali 
approvano un cospicuo numero ,di testi legislativi. La soluzione pi� ;lineare e 
razionale sarebbe prevedere -ed all'uopo � sufficiente una legge ordinaria 
-non tanto. una sospensione dei termini di che tratt;asi (diversa e pi� r 
.. ~~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 177 

(omissis) Va preliminarmente esaminata l'eccezione di inammissibilit� 
proposta dalla Regione in relazione al fatto che il ricorso � stato 
disposto mediante provvedimento del Presidente del Consiglio (rectius 
del Ministro per gli affari regionali su delega del Presidente del Consiglio), 
senza la preventiva adozione di una delibera da parte del Consiglio 
dei ministri. In tale provvedimento la procedura adottata � stata giustificata 
richiamando: a) la materiale impossibilit� di convocare il Consiglio 
dei ministri entro la data della scadenza del ricorso; b) l'urgenza di provvedere; 
e) la presunzione del permanere della volont� di opporsi alla 
legge, gi� espressa collegialmente dal Governo in sede di rinvio; d) il 
precedente giurisprudenziale espresso da questa Corte con la sentenza 

n. 147 del 1972. 
Il richiamo a tali argomenti non � tale, peraltro, da inficiare la fondatezza 
dell'eccezione, che merita di essere accolta. L'art. 127, quarto 
comma, Cost., riferisce al Governo l'impugnativa delle leggi regionali: 
questa Corte, in pi� occasioni, ha gi� avuto modo di affermare che, nel 

contesto di tale norma, il Governo dev'essere inteso nella sua unit� e 
identificato, ai sensi dell'art. 92 Cost., con il Consiglio dei ministri (sentenze 
33/62; 76/63; 116/66; 8/67). Questa interpretazione trova, d'altro 
canto, piena conferma anche sul piano della legislazione ordinaria: in 
primo luogo, nell'art. 31, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, 
dove si prevede che il ricorso proposto dal Presidente del Consiglio av


breve di quella prevista per la maggior parte dei giu,djzi � comUIIli �), quanto 
una equiparazione a festivi, al fine che qui interessa, di alcuni giorni attorno 
al Fermgosto, equiparazione dimensionata in msura tale da non pregiudicare 
gli interessi di rilievo costituzionale in giuoco. ~ bene precisare che una siffatta 
equiparazione non interesserebbe l'Avvocatura dello Stato, il cui ftm2Ji.onamento 
-seppur a ranghi ridotti -� assiourato anche nel periodo anzidetto, 
ed invece potrebbe interessare le Regioni (per i ricorsi che esse possono 
proporre). 

Pi� complesso, e pervero rimasto ancora da approfondire, dii problema 
della legit�timit� e rilevanza di deliberazioni del Consi.glio dei Ministri � a 
ratifica � cli determina2Ji.oni assunte in via d'urgenza dal P.residente del Consig1io. 
Una interpretazione in iproposito della legge 23 agosto 1988, n. 400, 
poflrebbe essere messa al!lo studio: non si tratta di discutere dell'art. 92 primo 
comma Cost. (e dell'art. 1 comma 1 deMa legge anZ�idetta), ma soltanto di 
esaminare se la volont� .callegiale dell Governo debba �necessariamente " formarsi 
entro una certa daiba, od dinvece possa formarsi anche in occasione 
d'ella prima riunione del Consiglio dei Ministri successiva ad essa. 

In parte dive11so iii discorso per quanto attdene al rinvio delle delibere 
legislative regionalii ai sensi delil'airt. 127 Cost. (e corrispondenti disposizioni 
degli Statuti spedali). LI termine � qui fdssato da nomne costituzionali; cionondimeno 
potrebbe . essere ritenuta non costituzionalmente Hlegittima una disposizione 
cli legge ordinaria che ad esempio disponesse: � I giorni dal 12 al 19 agosto 
compresi sono considerati festivi ai fd:ni dell'applicazione degli articoLi ... "� 



178 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA� DELLO STATO 

verso la legge regionale dev'essere preceduto dalla deliberazione del Consiglio 
dei ministri; in secondo luogo, nell'art. 2, terzo comma, lett. d) 
della legge 23 agosto 1988, n. � 400, che, nell'elencare le competenze del 
Consiglio dei ministri, attribuisce allo stesso gli atti � previsti dall'articolo 
127 Cost. ... in ordine alle �leggi regionali �. Per quanto concerne 
questa seconda disposizione va rilevato che la stessa � stata approvata 
dopo la soppressione dal testo della proposta di legge iniziale (Atti Camera, 
X legislatura, proposta n. 38 del 1987) di un inciso che riferiva alla 
competenza del Consiglio dei ministri anche � le ratifiche, nella prima 
seduta successiva, delle determinazioni adottate in materia dal Presidente 
del -Consiglio dei ministri in via di urgenza �: soppressione giustificata, 
in sede di dibattito parlamentare, con l'esigenza di non istituzionalizzare 
.una deroga alla procedura ordinaria (cfr. Atti Camera, X legislatura, seduta 
del 14 ottobre 1987, pagg. 3500 ss.). 

L'interpretazione che qui si conferma trova il suo fondamento come.. 
questa Cd�te ha gi�. "Sottolinea~o -.in � un'esigem;a �non di natura 
formale, ma di.�� sostanz�, connessa all'importanza dell'atto di impugnativa 
della legge ed alla gravit� dei suoi possibili effetti di natura costi~ 
tuzionale (sent. 33/62): esigenza che -con riferimento al carattere tas~ 
sativo delle competenze di ordine costituzionale -ha condotto ad esclud�re 
che, in linea ordinaria, il Presidente del Consiglio possa sostituirsi, 
per motivi di urgenza, al Consiglio dei ministri e che una delibera di 
ratifica del Consiglio dei ministri, adottata dopo la scadenza del termine 
dell'impugnativa, possa considerarsi idonea a sanare l'originario difetto 
di potere del Presidente (sent. n~ 119 del 1966)... 

L'indirizzo �che . qui si richiama non conduce, d'altro canto, anche ad 
escludere che, in presenza di drcostanze straordinarie (da valut�re caso 
per caso), il Presidente del Consiglio dei ministri -accertata l'oggettiva 
impossibilit� di procedere alla convocazione del Consiglio dei ministri e 
l'esigenza dj garantire. ,la cQntinuit� e l'indefettibilit� della funzione di 
governo -possa provvedere, sotto la propria responsabilit�, alla propo" 
sizibn� dell'impugnativa' a-VV.ersd lii I�gge::regforiale, salv�; in ogni� caso, 
ia successiva. ratifica .cons�liare. Tale evenienza, invero ..:.. come la stessa 
Presidenza del Consiglio ricorda nell'atto di disposizione del presente 
ricorso -� gi� stata ammessa da questa Corte in una fattispecie particolare 
(sent. n. 147/72), caratterizzata dall'esistenza di una crisi ministeriale 
non ancora conclusa e dalla presenza di un Governo che, a causa 
del giuramepto ritardato di uno dei suoi componenti, si era potuto formare 
nella sua inter.ezza soltanto il giorno stesso della scadenza del 
termine per l'impugnativa. 

Anche il richiamo a tale preced�nte dimostra, peraltro, come la deroga 
alla norma generale possa essere consentita non per ~~!Dplici motivi 
di� urgenza o sulla scorta di una pur sempre proqlematic� .presunzione 



PARTE'. I1 SEZ. I, GIURISPRUDENZA: COSTTI1JZIONALE 179 

di volont� all'impugnativa dell'organo collegiale, bens� soltanto in presenza 
di circostanze oggettive di carattere eccezionale, suscettibili di 
determinare l'impossibilit� o l'estrema difficolt�, giuridica o di fatto, 
di una convocazione del Consiglio dei ministri. 

� del tutto evidente che tali circostanze non ricorrono nel cas� in 
esame; dal momento che l'impugnativa di cui � causa � stata avanzata 
dal Presidente del Consiglio in presenza di un Governo gi� investito nella 
pienezza delle sue funzioni, mentre la mancata convocazione del Consiglio 
dei ministri � stata implicitamente giustificata soltanto con riferimento 
ad un evento prevedibile e di natura ordinaria, quale deve �onsiderarisi 
il decorso. delle ferie estive. (omissis) 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 aprile 1990 n. 159 -Pres. Saja -Rel. Borzellino 
-Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta) e Regione 
Abruzzo (n. p.). 

Regioni � Finanza regionale � Spesa corrente � Finanziata mediante contrazione 
di mutui � Illegittimit� costitmtonale. 

E costituziOnalmente illegittima la deliberazione legislativa regionale 
che preveda la copertura di una spesa corrente mediante la contrazione 
di mutui (1). 

Con la h~gge oggetto d'esame la Regione Abruzzo intende provvedere 
a talune iniziative� assistenziali nei confronti di portatori di handicaps 
(art. 1), prescrivendo le relative procedure (artt. da 2 a 4); si sopperisce 
all'onere di spesa (art. 5) attingendo a un fondo globale di bilancio 
alimentato co1 ricavo della contrazione di mutui. 

Il ricorrente oppone essersi violato, in tal modo, il precetto �ontenuto 
nell'art. 119, primo comma, Cost., l� dove � disposto che l'autonomia 
finanziaria regionale � operante nelle forme e nei limiti stabiliti da 
leggi della Repubblica. E dei cespiti d'entrata ottenuti da prestiti resta 
consentito l'impiego solo per spese d'investimento (oltrech� per rassunzione 
di partecipazioni finanziarie): art. 10 della legge 16 maggio.1970, 
n, 281. 

La censura � fondata. Va chiarito che il disposto dell'anzidetto art. 10, 
confermato per effetto dell'art. 22 della legge 11 maggio 1976, n. 335 (recante 
principi fondamentali per il bilancio e la contabilit� delle regioni), 
� ispirato ad un ovvio criterio, inteso questo a circoscrivere l'utilizzazione 

(1) La sentenza, cli notevale impol1t<an2la, fissa un preciso limite alla legislazione
� r�gionale. 

180 

RASSEGNA DBLL'AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'indebitamento pubblico a politiche d'investimento, all'incremento, cio�, 
dello sviluppo delle economie locali cooI'dinate con quella nazionale. 

I 

I'� 

N� la Corte ha ravvisato lesive della autonomia finanziaria regionale 
-esigenza indefettibile per la esplicazione delle necessarie funzioni 
istituzionali -quei contesti di norme dello Stato che siano volte a di?: 


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sciplinare con coerenza ed organicit� le erogazioni di bilancio, senza cio� 
incidere sulle scelte sostanziali di competenza (cfr. sentenza n. 535 
del 1989). 

Orbene, con la legge in esame � disposta, con prelievo da mutui, 
l'erogazione di una spesa che, diretta com'� a � potenziare, coordinare 
ed integrare i servizi �, si prospetta di natura corrente: sono rimasti 
violati, pertanto, i contenuti degli enunciati principi imposti, per la 
ragione che li muove, nell'interesse eminente e generale delle collettivit� 
utenti. 

Con la conseguente declaratoria di illegittimit� va confermato, peraltro, 
che i valori sostanziali in gioco (volti al sostegno di soggetti che 
sono espressione delle garanzie di cui all'art. 3, secondo comma, e 32, 
primo comma Cost.) impegnano, non potendo evidentemente la norma 
avere vita priva della sua copertura, a ritrovare una corretta allocazione 
di bilancio, tale da rendere operanti compiti alla cui attuazione le Istituzioni 
della Repubblica sono comunque tenute (cfr. sentenza n. 50 
del 1990). 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 aprile 1990 n. 164 -Pres. Saja -Rel. Cheli 
-Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Cevaro) e Regione 
Molise (avv. Scoca). 

Regioni � Enti amministrativi dipendenti � Controllo di legittimit� sugli 
atti � Assegnazione ai Co.Re.Co. � Limite. 

Spetta alla Regione di disciplinare, nelle forme ritenute pi� appropriate 
(salvo il rispetto dei principi fondamentali) il controllo di legittimit� 
sugli atti degli enti amministrativi da essa dipendenti. Premesso 
che il Co.Re.Co. � organo inquadrato nella struttura regionale, la Regione 
pu� disporre meditati amplidmenti da sottoporre al controllo ad 
opera di detto Comitato, nel limite derivante dalla esigenza di evitare 
ogni alterazione anche indiretta della funzione primaria e naturale 
dell'organo quale stabilita dall'art. 130 Cast. (1). 

(1~ La sentenm riconosce, ancorch� indicando un limite (pervero alquanto 
empirico), una competenza legislativa delle Regioni in tema di funzioni dei 
Co.Re.Co. Di poco successiva la legge 8 giugno 1990, n. 142, che detta � principi 
diell'ordil1!amento dei comuni e de1le prOVlince � e che all'art. 49 (integrato 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 181 

Le disposizioni regionali impugnate, contenute nei commi primo e 
terzo dell'art. 1 della legge della Regione Molise (norme in materia di 
controllo sugli atti degli enti sottoposti a vigilanza e tutela della Regione), 
attribuiscono al Comitato regionale, istituito -in attuazione 
degli artt. 130 Cost. e 62 dello Statuto regionale -con la legge regionale 
5 novembre 1976, n. 32, il controllo di legittimit� sugli atti degli 
enti amministrativi dipendenti dalla Regione (salvo il potere di approvazione 
sugli �atti fondamentali� riservato, ai sensi dell'art. 2, al Consiglio 
regionale), includendo nel novero degli enti sottoposti a tale con� 
trollo l'Ente regionale di sviluppo agricolo molisano, l'Ente risorse idri� 
che Molise, l'Ente per il diritto allo studio universitario, gli Istituti 
autonomi case popolari, gli Enti provinciali per il turismo e l'Azienda 
autonoma di soggiorno e turismo di Termoli. 

La Presidenza del Consiglio ritiene le suddette disposizioni viziate 
nella legittimit� costituzionale con riferimento all'art. 130 Cost., dal 
momento che, se alla Regione spetta il potere di effettuare il controllo 
sulle deliberazioni degli enti amministrativi da essa dipendenti, la legge 
regionale non potrebbe comunque attribuire tale controllo all'organo 
previsto dall'art. 130 Cost., la cui sfera di competenza � stata circoscritta 
dalla legge statale agli atti dei Comuni, delle Province e dei loro 
Consorzi (artt. 55 ss. legge 10 febbraio 1953 n. 62). Un'ulteriore violazione 
costituzionale andrebbe poi riferita all'art. 49 dello Statuto della Regione 
Molise, norma che riserverebbe al Consiglio regionale il controllo 
sugli enti istituiti con legge della Regione e che non potrebbe essere 
innovata da una legge regionale ordinaria in ragione della peculiare forza 
giuridica dello Statuto e del principio di � riserva di Statuto � desumibile 
dall'art. 123 della Costituzione. 

Dal canto suo la Regione Molise difende la legittimit� costituzionale 
delle disposizioni impugnate ritenendo che la locuzione � enti locali �, contenuta 
nell'art. 130 Cost., sia tale da ricomprendere tutti gli enti che 
operano nell'ambito di una limitata circoscrizione territoriale: con la 
conseguenza che anche gli enti amministrativi regionali indicati nell'articolo 
l, terzo comma, della legge impugnata potrebbero essere sottoposti 
al controllo di legittimit� dell'organo previsto dall'art. 130 Cost., 
senza violazione alcuna del dettato costituzionale. 

La questione non � fondata. Va preliminarmente chiarito che -contrariamente 
a quanto assume la difesa regionale -gli enti amministra� 

dall'art. 61 comma 3) recita: � Salvo diverse .di~posi:itloni recate da1le leggi 
vigenti, alle undt� sanitaTie focali, ai consoci (si alLude a queMii d;i cui ruol'articolo 
25), alle unioni di comuni e alle comu1llirt� montane si applicano le norme 
sul controllo ... dettate per .i comun~ e per le province"� . 

H problema del controllo sugli 'atn delle U.S.L. � oggetto di dibattito 
nelil'aml�to della trasformazione di esse in a:itlende fucenti oopo alle Regioni. 



182 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tivi dipendenti dalla Regione, disciplinati nell'art. 49 dello Statuto regionale 
(e in parte elencati �nell'art. 1, terzo comma, della legge impugnata) 
non possono essere assimilati,. per il solo fatto di operare nell'ambito 
di una limitata circoscrizione territoriale, agli �enti locali� 
di cui parla l'art. 130 Cost. 

L'esistenza di una distinzione tra la categoria degli enti locali e 
quella degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione �, infatti, desumibile 
dalla stessa lettera della carta costituzionale: basti solo considerare 
che la Costituzione nomina, all'art. 117, gli �enti amministrativi 
dipendenti dalla Regione � -la cui disciplina affida alla competenza 
concorrente regionale -mentre utilizza la diversa locuzione di 
�enti locali� per designare i soggetti istituzionali destinatari, insieme 
ai Comuni ed alle Province, sia della delega di funzioni amministrative 
d� cui all'art. 118, ultimb comma, sia del controll� dLlegitfimit� tli cui 
all'art~ 130. R�sulta dunque che, tanto� neifart.� 130 �quanto nell'art. 118 
della Costituzione, � gli � enti locali � sono accomunati �in� un identico 
regime a Comuni e Province: dato, questo, che viene a evidenziare la 
presenza� di elementi di affinit� sostanziale tra i due enti territoriali 
primari specificamente richiamati e gli altri �enti locali� e che impedisce 
di identificare questi ultimi solo sulla base di un generico ed indifferenziato 
richiamo al circoscritto ambito spaziale delle loro funzioni. 

Del resto, la diversit� tra enti locali ed enti amministrativi regionali, 
dipendenti o strumentali, � stata da tempo messa in luce dalla giuri~ 
sprudenza di questa Corte che, fin dalla sentenza n. 24 .del 1957, ebbe 
modo "di sottolineare la linea di separazione che corre tra i primi, per 
i �quali non sussiste � un vincolo di stretta ausiliariet� nei confronti 
della Regione � ed i secondi, configurabili invece come � enti immediatamente 
ausiliari della Regione ... che possono addirittura chiamarsi pararegioriali 
in quanto svolgono un'attivit� che, per i fini pubblici che 
persegue e per i limiti territoriali entro i quali si svolge, interessa soprattutto 
e direttamente la Regione �. Tale distinzione risulta, d'altro 
canto, condivisa anche dalla dottrina pi� accreditata, che, nel mentre 
rifiuta di includere nel novero degli � enti locali � di cui all'art. 130 Cost. 
tutti i soggetti istituzionali comunque operanti all'interno delle circoscrizioni 
regionali, appare, invece, in prevalenza orientata a definire tali 
enti sulla base di pi� complesse coordinate istituzionali, quali la territorialit� 
e la rappresentativit� diretta o indiretta degli interessi comunitari. 


La rilevata diversit� tra enti locali ed enti amministrativi dipendenti 
dalla Regione induce, dunque, ad escludere che questi ultimi possano 
considerarsi implicitamente compresi tra gli � enti locali � destinatari 
del controllo di cui all'art. 130 Cost. 

,Ma.. da tale assunto��non pu� anche discendere la conseguenza che il 
ricon-ente pretende affermare e 'cio� che sia comunque preclusa alla 



PARTE r, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Regione l'adozione di norme in grado di attribuire il controllo di legittimit� 
sugli atti degli enti amministrativi regionali all'organo previsto 
dall'art. 130 Cost. N� tale conseguenza potrebbe essere fatta derivare 
da un'implicita estensione della riserva di legge statale, richiamata nell'art. 
130 Cost., anche a forme di controllo diverse da quelle previste da 
tale norma nei confronti degli enti locali. 

Va tenuto presente, a questo proposito, che l'art. 117 Cost. conferisce 
alle Regioni potest� legislativa di tipo concorrent� nella materia 
dell'� ordinamento degli enti amministrativi dipendenti dalla Regione � 
e che. l'art. 13 del d.P.R. n. 616 del 1977 ha definitivamente chiarito co, 
me, in questa materia, debbano farsi rientrare anche i controlli relativi 
a tali enti (cfr. sent. n. 21 del 1985). Spetta q�indi alla Regione -e trae 
il suo fondamento direttamente dall'art. 117 Cost. __;;.il potere di disciplinare, 
nelle forme ritenute pi� appropriate, il controllo di legittimit� 
sugli atti degli enti amministrativi da essa dipendenti, salvo il rispetto 
dei principi fondamentali stabiliti, in tema di ordinamento degli enti 
amministrativi dipendenti, dalle leggi dello Stato e dell'interesse nazionale. 


N� si deve dimenticare che l'organo previsto dall'art. 130 Cost. -sebbene 
costituito nei modi stabiliti dalla legge statale, al fine di garantire 
una fondamentale esigenza di uniformit� nell'esercizio della fun. 
zione di controllo -� comunque organo inqu1:1drato nella struttura 
regionale: ci<) implic~ che al legislatore r�gionaie non pu� rjsajtare 
preclusa la possibilit�, non solo �di dettare norme integrative sull'organizzazione 
del Corri�:ato regionale come organo di .controllo ;:;ugli atti 
delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali, allo scopo di assicur~:
r;ne il miglior funzionamento (cfr. sentt. n. 612 del 1988. e n. 2~ del 
'1985): ma anche di disporre,, -sempre in. vista del perseguimento di giustificate 
esigenze di funzionalit� e di. efficacia del controllo -meditati 
ampliamenti dell'area dei soggetti da sottoporre al controllo di legittimit� 
dello stesso Comitato, includendo in tale area, a fianco degli� enti 
locali, anche gli enti (o taluni enti) amministrativi istituiti dalla Regi�ne 
e da essa dipendenti. 

Resta, comunque, fermo il fatto che, nell'esercizio di ta1e potest� 
legislativa, la Regione sar� pur sempre tenuta ad evitare ogni possibile 
forma di alterazione, diretta o indiretta, della funzione, primaria e naturale, 
dell'organo, che, secondo Costituzione, resta pur sempre quella 
relativa al controllo sugli atti delle Province, dei Comuni ed altri enti 
locali. 

Nella specie tale esigenza risulta peraltro rispettata dalle disposizioni 
impugnate che -come si � gi� ricordato -hanno attribuito al 
Comitato regionale il controllo di legittimit� limitatamente agli atti di 
minor rilievo, facendo di contro salvo il controllo di merito mediante 
approvazione, affidato dall'art. 49 dello Statuto al Consiglio regionale, 


184 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nei confronti di una serie di atti fondamentali, quali gli statuti, i regolamenti 
interni, i piani e programmi di intervento, i bilanci di previsione 
ed i consuntivi, la strutturazione degli uffici, le piante organiche 
etc. Tale riserva -espressa nell'art. 2 della legge impugnata -se, 
da un lato, vale ad escludere che all'organo di controllo siano stati assegnati 
dalla legge regionale compiti esorbitanti sotto il profilo qualitativo 
e quantitativo, tali da alterare la funzione primaria dell'organo, 
conduce dall'altro a chiarire come la normativa impugnata, esaminata 
nel suo complesso, risulti rispettosa anche dell'art. 49 dello Statuto regionale 
(e conseguentemente dell'art. 123 Cost.), dal momento che la 
norma statutaria riconosce al Consiglio regionale poteri di indirizzo e 
di controllo sugli enti dipendenti �anche attraverso l'esame e l'appro


vazione dei loro atti fondamentali�, senza peraltro impedire la possi� 
bilit� di adottare forme diverse di controllo di legittimit� per determinate 
categorie di atti. 

Tali considerazioni inducono, dunque, a ritenere infondate, sotto i 
profili prospettati, le questioni di costituzionalit� sollevate nei confronti 
delle disposizioni contenute nell'art. 1, commi primo e terzo, della legge 
in esame. 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 aprile 1990 n. 216 -Pres. Saja -Rel. Pescatore 
-Consorzio proprietari comprensorio Marina Reale (avv. Di 
Majo e Venitucci) ed altri, e Presidente Consiglio dei Ministri (avv. 
Stato D'Amato). 

Espropriazione per pubblica utilit� � Determinazione dell'indennit� � C.d. 
legge di Napoli � Legittimit� costituzionale. 
(Cost., art. 3; I. 23 luglio 1985 n. 372, art 5). 

I criteri di indennizzo posti dalla legge � pel risanamento di Napoli 
" sono tuttora validi e non contrastano con il principio di eguaglianza 
(1). 

(omissis) L'art. 5 della legge 23 luglio 1985, n. 372, nel comma quinto, 
impugnato, dispone che l'indennit� di espropriazione per i beni indicati 
nel primo comma, � determinata � in base all'art. 13 della legge 

(1) La Corte conferma -e questa volta ainche con riguarido all'art. 3 Costituzione 
-la legittimit� costi1JU:cionaile dli. di,sposizion1 che si ricolleghino alla 
c.d. �legge di Napoli. La senten21a sottolinea fa razionalit� del � sistema medi-ano 
tra il valore del bene e quello del suo reddito �, seimia peraltro inserire tale 
� sistema � nel quadro cli pi� aggiornate tematiche (ad esempio, relative alle 
piainifica:cioni territoriali ed urbanistdc:a). 
�1���..._~....�=� 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

15 gennaio 1885; n. 2892 �, cosi commisurandola alla media del valore 
venale e dei fitti coacervati dell'ultimo decennio o, in difetto, tra il valore 
venale e l'imponibile netto nell'ultimo decennio agli effetti delle 
imposte sui terreni e fabbricati. 

Tale criterio, adottato originariamente per le espropriazioni preor� 
dinate ai lavori di risanamento della citt� di Napoli, � stato esteso da 
molte leggi posteriori ad espropriazioni finalizzate all'esecuzione di altre 
opere pubbliche (da ultimo cfr. la legge n. 219 del 1981) ed � stato ri� 
tenuto da questa Corte (ordinanza n. 607 del 1987; sentenze n. 15 del 1976 
e n. 5 del 1960) non contrastante n� con l'art. 42, n� con l'art. 3 della 
Costituzione. Esso non viola l'art. 42, in quanto garantisce all'espropria� 
to. un indennizzo �congruo�, perch� rapportato al valore venale del 
bene con un meccanismo di correzione che gli assicura, anche nelle 
ipotesi meno vantaggiose, una indennit� di ammontare intermedio tra 
la met� del valore reale del bene ed il suo valore effettivo. 

Nelle suesposte valutazioni, inerenti ai criteri di indennizzo fissati 
dall'art. 13 della legge n. 2892 � pel risanamento di Napoli � o agli stessi 
ispirati, � opportuno ora inserire i diversi profili di illegittimit� di tale 
normativa proposti dal giudice a quo e svolti approfonditamente nelle 
memorie e nella discussione orale. 

Il riferimento, che l'art. 5, comma quinto, della legge n. 372 del 1985 
fa all'art. 13 della legge n. 2892 del 1885, viene contestato, assumendosi 
l'inidoneit� della norma ad attribuire vigore alla disciplina in materia 
di indennizzo posta dalla legge per Napoli. Essendo stata questa abrogata, 
non si sarebbe potuto richiamarne il contenuto: donde l'incostituzionalit� 
dell'art. 5, quinto comma, della legge n. 372 �per adozione 
di legge abrogata �. La censura non � fondata. L'abrogazione e la ces� 
sazione degli effetti della norma sull'indennit� posta dalla legge per Na� 
poli non comportano la cancellazione di essa come fatto. storico e come 
atto, caratterizzato da un suo specifico contenuto, anche se ormai sprovvisto 
di efficacia. Legittimamente, dunque, l'art. 5, comma quinto, della 
legge n. 372 si appropria di quel contenuto e lo assume come elemento 
sostanziale della normazione, immettendolo nel tessuto della disciplina 
regolatrice degli espropri della tenuta di Capocotta: si ripristina cos� 
la operativit� del precetto abrogato, al fine di disciplinare l'indennizzo 
dovuto per realizzare l'ampliamento della tenuta previsto dalla legge. 
Si tratta di tecnica non frequente, ma sicuramente legittima, in quanto 
intesa a porre un precetto, anzich� in via diretta, attraverso il richiamo 
a norma, specificamente individuata, rendendone operante il .contenuto 
in base alla nuova fonte di produzione. 

I criteri di indennizzo contenuti nell'art. 13 della legge 15 gennaio 
1885, n. 2892, richiamati dall'art. 5, comma quinto, della legge n .. 372, .sono 


186 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

stati, poi, censurati come espressione di una normativa � epocale �, inadeguata 
fin dal tempo in cui veniva in essere; inadeguata, a maggior 
ragione, nella situazione generale che caratterizza attualmente la materia 
degli espropri, inadeguata infine con riguardo al carattere specifico 
dei �particolari�, beni, ai quali si riferiscono gli artt. l, 3 e 5, 
comma quinto; della legge n. 372 del 1985. 

Va in proposito subito osservato che i criteri di indennizzo posti 
dalla legge � pel � risanamento di Napoli � costituirono il risultato di 
una approfondita valutazione, ampiamente documentata dai lavori parlamentari. 
Questa valutazione si caratterizz� per almeno tre elementi: 
l'attenzione che fu data alle diverse normative vigenti in Europa; l'esigenza 
di fissare un sistema mediano tra il valore del bene e quello del 
suo reddito; la necessit� di porre giuste regole per contenere l'eccessiva 
discrezionalit� della valutazione peritale, dalle quali derivavano aumenti 
eccessivi del � costo ,, degli espropri. 

La sintesi di questi elementi � contenuta nella replica del relatore 
della Commissione della Camera dei deputati, De Zerbi, in sede di discussione 
del progetto della legge del 1885 pi� volte richiamata (Atti parlamentari, 
legisl. XV, sess. 1882-1884, Discussioni, tornata 21 dicembre 
1884): � ��� La legge vigente lascia un arbitrio sconfinato ai periti, poich� 
vuole soltanto che l'indennit� sia stabilita secondo la perizia. Questa 
perizia potr� bens� essere riveduta da un'altra. Ma la legge non d� norma 
ai periti. Noi abbiamo creduto necessario prescrivere questa norma. 
E qual � la possibile norma che si possa prescrivere? -Le leggi inglesi 
dicono il fitto coacervato di dieci anni: i critici tedeschi delle leggi inglesi 
dicono che questo sia troppo grave, talvolta per l'amministrazione 
e talvolta per la propriet� privata; le leggi belghe dicono il valore venale: 
ma questo valore venale tante volte � troppo basso ed � opposto 
al diritto di privata propriet�. Allora, secondo la formola felicemente 
proposta dall'onor. Crispi nella Commissione, abbiamo trovato giusto 
indicare la media tra il valore venale ed il reddito coacervato di dieci 
anni�. 

La norma relativa alla determinazione dell'indennizzo, come le altre 
contenute nell'art. 13 della legge del 1885, non ebbe alcuna critica nella 
successiva discussione al Senato (cfr. Atti parlamentari, Senato del Regno, 
sess. 1882-1884, doc. 155 A e Discussioni, tornata 11 gennaio 1885) e, come 
sar� rilevato, pone criteri sostanziali che sono alla base di normative 
recenti della materia. 

Quanto al profilo di illegittimit� del richiamato art. 13 della legge 

n. 2892 per l'asserita violazione del principio di uguaglianza, � da porre 
in rilievo che tale censura � articolata nel senso che la norma determinerebbe 
una indennit�, caratterizzata dall'attribuzione di �somme diver

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 187 

se per l'espropriazione di beni identici in vista di particolari e nori generali 
finalit�.�. In sostanza, la censura si appunta sul diverso trattamento 
che verrebbe fatto per l'ablazione di beni appartenenti ad una 
categoria omogenea, arbitrariamente diversificati quanto all'indennizzo. 

Osserva la Corte che l'art. 5 della legge n. 372 del 1985 individua una 
intera ed unitaria categoria di beni, quando conferisce (con la norma, 
primo comma, in relazione al terzo) la tenuta di Capocotta �alla dotazione 
immobiliare del Presidente della Repubblica�, �ad integrazione 
della adiacente tenuta di Castelporziano �. Scopo della norma � il ripristino 
dell'originaria unit� del complesso territoriale, di cui i beni, oggetto 
del nuovo conferimento, costituiscono naturale ed omogeneo complemento. 
Esattamente ha posto in luce l'Avvocatura generale dello 
Stato che l� tenuta di Capocotta � legata a quella confinante di Castelporziano 
da peculiari vincoli storici e ambientali: entrambe furono di 
pertinenza reale, la prima. come bene patrimoniale privato del �.Re, la 
seconda come dotazione della Corona. La diversa qualificazione dell'appartenenza 
non incise sull'� unicit� del bosco, di caratteristiche natur�li 
omogenee�. 

La legge n. 372 del 1985 ha perseguito, dunque, l'unificazione, in un 
� insieme � organico, di beni di composizione naturale identica, parti di 
�un unitario millenario complesso forestale�; tali beni, ai quali si riferiscono 
conferimento ed esproprio, oggetto della norma censurata (art. 5 
legge n. 372 cit.) riacquistano, cos�, la loro funzione unitaria, legittimata 
dalle loro qualit� strutturali e dalla comune finalit�. 

Elementi, questi, che operano una identificazione netta, per le cennate 
caratteristiche, dei beni interessati, in quanto compresi in una 
specifica area delimitata dall'art. 5 della legge n. 372 e, come tali, oggetto 
dell'espropriazione, cos� da giustificare il trattamento unitario e 
differenziato rispetto agl'immobili esterni al complesso al quale la legge 

n. 372 si riferisce. 
Non fondatamente, poi, si lamenta, nella normativa dell'individuazione 
dei beni sottoposti all'espropriazione, la mancanza del requisito 
della generalit�. Destinatari della norma sono, invero, tutti coloro che 

si trovano nelle condizioni indicate: tutti coloro, cio�, che sono insediati 
nella parte di territorio, descritta nel primo comma dell'art. 5 della 
legge n. 372, proprietari dei terreni da conferire alla dotazione immobiliare 
del Pvesidente e specificata, quanto ai confini, nel terzo comma 
della stessa norma. La comunanza della qualifica di proprietari di siffatti 
beni comporta la comunanza dello stato di soggezione alla potest� 
ablativa: disuguaglianza ricorrerebbe, in'.vece, se la norma sottraesse all'esercizio 
di tale potest� alcuni dei beni nella stessa condizione di quelli 
espropriati. (omissis) 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

188 

CORTE COSTITUZIONALE, 4 maggio 1990 n. 224 -Pres. Saja -Rel. Baldassarre 
-Provincia di Bolzano (avv. Panunzio e Riz) e Presidente 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruno). 

Corte Costituzionale -Legge di delegazione -Autonomia rispetto al decreto 
legislativo -Diretta impugnabilit� ex se della legge di delegazione 
-Attualit� dell'interesse a ricorrere. 

Trentino-Alto Adige -Bolzano -Proporzionale etnica -Uffici statali aventi 
sede in Bolzano -Pianta organica locale e relative procedure di 
reclutamento. 
(Statuto Trentino-Alto Adige, artt. 89 e 100; legge 10 ottobre 1989 n. 349, art. 3). 

I limiti di ammissibilit� di un ricorso di costituzionalit� proposto 
dalle regioni (o dalle province autonome) avverso disposizioni di delegazione 
legislativa coincidono con i pi� generali limiti posti a garanzia 
della �non -astrattezza� del giudizio di legittimit� costituzionale; l'attualit� 
dell'interesse a ricorrere nei giudizi di legittimit� costituzionale 
sulle leggi deve essere valutata, non gi� in relazione alla effettiva producibilit� 
di effetti delle singole disposizioni e, tantomeno, alla concreta 
applicabilit� delle stesse nei rapporti della vita, ma, piuttosto, in rela


I 

zione all'esistenza giuridica delle disposizioni impugnate nell'ordinamen~] 


~ 

to giuridico (1). ru 

In mancanza di una chiara manifestazione di volont� diretta ad ~ 
escludere l'applicazione del principio della proporzionale etnica, non si 
pu� interpretare una norma volta a stabilire una disciplina generale 
come se fosse rivolta a derogare a quel principio. Le norme di attuazione 
contenute nel d.P.R. �n. 752 del 1976 (e successive modificazioni), 
con le allegate tabelle, stabiliscono le modalit� e l'estensione dell'anzidetto 
principio (2). 

I 

~ 

(1) La sentenza puntualizza, seppur oon strumenti concettuali necessitatamente 
eLastici, i �Mmiti di amm1ssib1lit� � della impugnaZJione dixet1Ja avverso 
disposizioni recanti � iprinoiipi e 011�teri direttivi � corutenute in <leggii di delegazione, 
e quindi definisce la natum e l'ellfilcacia di ta1i disposizioni (escludendo 
che esse s1ano configurabi:li � 001II1e no11me ad efficacia differita �). Questa 
puntualizzazione porta con s� -se non altro per decorso del termine -conseguenziali 
� limiti di amrrussibil!�it� � della iIIllPllgnazione diretta avverso le 
disposizioni attuative contenute nei decreti Legislattivi; anche se, sul punto, la 
sentenza non pare si soffermi, forse per niserva!re aq,]_a Corte margini di apprezzamento 
oaso per oaso. �!. appena il oaso di aggiungere che leggii di delegazione 
sovente contengono anche di'S1posizioni direttamernte applioabili (alias, non recanti 
�principi o criteri direttivi�). 
(2) Mentre il prtlncitPio massiiinato va corndiviso, qualche peJ:'P'lessit� pu� 
susoitare la te!lldenZJa ad attribuiire '�l� � prj!lJCirpio della proporzfonale etnica � che, 
a ben vedere costituisce deroga al principio di eguaglLianZJa -una partico'


. 

-.:. 
.. 
' 

���'h��Y//,,xdfil..�~...z.,.._...,,.<.y,JIL.,wn.,.,...,..,,,,.WJfffififJLy,,,....w,...B.Jfff-�,...,m.,.z..�$1 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 189 

La Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe, 
ha sollevato questioni di legittimit� costituzionale nei confronti 
degli artt. 1, primo comma, 3 e 7 della legge 10 ottobre 1989, n. 349, contenente 
una delega al Governo ad adottare norme v�lte, fra l'altro, alla 
riorganizzazione dell'amministrazione delle dogane e delle imposte indirette. 
I predetti articoli sono impugnati per violazione degli artt. 52, 
ultimo comma, 89, 100 e 107 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Testo unico 
delle leggi costituzionali sullo Statuto del Trentino-Alto Adige), e, in connessione 
con questi, degli artt. 11, primo e secondo comma, e 15 del 

d.P.R. 26 luglio 1976, n. 752 (Norme di attuazione dello Statuto speciale 
della Regione Trentino-Alto Adige in materia di proporzione negli uffici 
statali siti nella Provincia di Bolzano e di conoscenza delle due lingue 
nel pubblico impiego). 
Contro il ricorso della Provincia di Bolzano ha proposto un'eccezione 
d'inammissibilit� il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale, 
sul presupposto che la legge di delegazione debba esser configurata come 
un atto preliminare o preparatorio della concreta disciplina legislativa 
successivamente posta dal decreto delegato e debba essere quindi concepita 
come un atto regolante esclusivamente i rapporti (�interni�) tra 
Parlamento e Governo, contesta che la ricorrente possa fondatamente 
lamentare una lesione concreta ed attuale delle sue competenze costituzionali 
e possa quindi avere un interesse al giudizio di legittimit� costituzionale 
prima dell'adozione dei decreti delegati. 

Va, innanzitutto, respinta l'eccezione di inammissibilit�. In base agli 
artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, la delegazione al Governo 
della funzione legislativa pu� avvenire, per oggetti definiti e per 
tempo limitato, attraverso una legge ordinaria contenente i �principi� 
e i �criteri direttivi� cui dovr� attenersi lo stesso Governo nell'esercizio 
della funzione delegata. Tuttavia, mentre nell'ordinamento anteriore alla 
Costituzione la legge di delegazione, in coerenza con la �flessibilit�� 
della Carta costituzionale allora vigente e con il conseguente ordine 
delle fonti normative basato sulla legge (ordinaria), costituiva la fonte 
del potere di legislazione delegata del Governo (per la qual cosa essa 
era definita dalla dottrina come legge meramente �formale�, diretta a 
regolare esclusivamente i rapporti �interni� fra delegante e delegato), 
nell'ordinamento costituzionale attuale, invece, in armonia con la � ri


lare � furza �. In realt�, il princip10 della proporzionale etrnica da un lato 
� solo uno dei parametri costituzionali (per il che � dia escludersi che esso 
possa operare omisso medio, ossia in assen21a dli una sentenza de11a Corte), e 
d'aLtro lato � regola eoce2liona�e da applkarisii solo nei casi specifici ed entro 
i limiti puntuali posti diane no.rme stJatutarie, e non suscettibrle dii applicazioni 
analogiche o estensive (le quali ultime, oltretutto, non sarebbero neppure 
coerenti con la sopI'avvenuta maturit� delle popolazioni d:eHa provdncia). 



190 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

gidit� � della Costituzione e con il conseguente principio che ogni atto 
normativo con valore di legge pu� avere la propria fonte soltanto in 
norme di rango costituzionale, costituisce, pi� semplicemente, il presupposto 
che condiziona l'esercizio dei poteri delegati del Governo e ne delimita 
lo svolgimento della relativa funzione, come riconosciuta e determinata 
dalla Costituzione stessa. 

In conseguenza di ci� la legge di delega, pur se rappresenta una 
deroga costituzionalmente stabilita al principio per il quale � la funzione 
legislativa � esercitata collettivamente dalle due Camere� (art. 70) 
e pur se � attribuita alla competenza _riservata delle Assemblee parlamentari 
(art. 72, u.c.), non contiene, nella sua qualit� di atto-fonte, caratteri 
differenziali tali da comportare un regime d'impugnazione diverso 
da quello proprio delle altre leggi. Sotto il profilo formale, infatti, 
la legge delega � il prodotto di un procedimento di legiferazione ordinaria 
a s� stante e in s� compiuto e, pertanto, non � legata ai decreti 
legislativi da un vincolo strutturale che possa indurre a collocarla, rispetto 
a questi ultimi, entro una medesima e unitaria fattispecie procedimentale. 
Sotto il profilo del contenuto, essa � un vero e proprio 
atto normativo nel senso che � un atto diretto a porre, con efficacia 
erga omnes, norme (legislative) costitutive dell'ordinamento giuridico: 
norme che hanno la particolare struttura e l'efficacia proprie dei � prin� 
cipi � e dei �criteri direttivi�, ma che, per ci� stesso, non cessano di 
possedere tutte le valenze tipiche delle norme legislative (come, ad 
esempio, quella di poter essere utilizzate, a fini interpretativi, da qual� 
siasi organo o soggetto chiamato a dare app�icazione alle leggi). Pertanto, 
come non pu� essere contestata l'idoneit� delle disposizioni contenute 
nella legge delega a concorrere a formare, quali norme interposte, 
il parametro di costituzionalit� dei decreti legislativi delegati (v., ad 
esempio, sentt. nn. 243 del 1976, 158 del 1985, 48 e 128 del 1986), cos� non 
pu� essere negata, in linea di principio, l'impugnabilit� ex se della legge 
di delegazione. 

Pi� in particolare, occorre precisare che i �principi e criteri direttivi 
� presentano nella prassi una fenomenologia estremamente variegata, 
che oscilla da ipotesi in cui la legge delega pone finalit� dai confini 
molto ampi e sostanzialmente lasciate alla determinazione del legislatore 
delegato a ipotesi in cui la stessa legge fissa � principi � a basso livello 
di astrattezza, finalit� specifiche, indirizzi determinati e misure 
di coordinamento definite o, addirittura, pone principi inestricabilmente 
frammisti a norme di dettaglio disciplinatrici della materia o a norme 
concretamente attributive di precise competenze. Nelle ipotesi da ultimo 
menzionate non si pu� negare che la legge di delegazione possa contenere 
un principio di disciplina sostanziale della materia o una regolamentazione 
parziale della stessa ovvero possa stabilire norme attri




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

butive di competenza, da cui potrebbe derivare una diretta e immediata 
incidenza sulle attribuzioni costituzionalmente garantite alle regioni 
o alle province autonome. In altre parole, ai fini della valutazione 
della riicorrenza dell'interesse ad agire delle regioni (o delle province 
autonome) nei giudizi di costituzionalit� in via principale, decisivo � il 
particolare contenuto normativo dei � principi e criteri direttivi � di 
volta in volta considerati, nel senso che non pu� escludersi che, in ragione 
del loro grado di determinatezza e di inequivocit�, ricorrano ipotesi 
normative sufficientemente precise e tali da poter dar luogo ad effettive 
lesioni delle competenze regionali (o provinciali). In casi del genere, 
come non si pu� contestare che le regioni (o le province autonome) 
abbiano interesse a ottenere una pronuncia d'illegittimit� costituzionale 
delle norme di delegazione e a impedire, quindi, che siano adottati 
decreti legislativi conseguentemente invalidi e ulteriormente lesivi 
delle proprie competenze, cos� non si pu� non sottolineare che sarebbe 
profondamente irragionevole ritenere che questa Corte non possa eliminare 
tempestivamente eventuali illegittimit� costituzionali, ma debba 
attendere che i relativi vizi siano riprodotti o, addirittura, ampliati nei 
successivi decreti delegati. 

Pur se questa conclusione non collima con le motivazioni addotte 
in alcuni lontani precedenti di questa Corte (v. sentt. nn. 3 del 1957, 
13 del 1964, 11 del 1972, 91 del 1974), non di meno essa risponde all'orientamento 
complessivo risultante dall'insieme delle decisioni della stessa 
Corte, la quale, mentre in alcuni casi, in consegu,enza della precisione e 
univocit� dei principi e dei criteri in esse contenuti, non ha esitato a 
giudicare direttamente della legittimit� costituzionale delle norme di 
delegazione (v. sentt. nn. 37 del 1966, 39 del 1971 e 242 del 1989), in altre 
occasioni, invece, ha ritenuto che non vi fosse nella legge delega una 
manifestazione di volont� sufficientemente determinata o definitiva e, 
pertanto, ha dichiarato inammissibili le relative questioni (v. sent. n. 111 
del 1972). In altri termini, i limiti di ammissibilit� di un ricorso di 
costituzionalit� proposto dalle regioni (o dalle province autonome) avverso 
disposizioni di delegazione legislativa coincidono con i pi� generali 
limiti posti a garanzia della � non-astrattezza � del giudizio di legittimit� 
costituzionale. Di modo che, ove il ricorso riguardi una certa 
disposizione di legge ordinaria esistente nell'ordinamento, il cui significato 
sia sufficientemente determinato e plausibile in ordine alla prospettazione 
di un puntuale contrasto con parametri costituzionali precisamente 
indicati, non si dovrebbe dubitare, sotto il profilo considerato, 
della ricorrenza dei requisiti di ammissibilit� del giudizio. 

Del resto, in senso contrario non si potrebbe affermare che i principi, 
gli indirizzi, i criteri e le disposizioni di cui consta la legge di delegazione, 
essendo principalmente diretti a orientare e delimitare l'attivit� 
decisionale del legislatore delegato, debbano essere configurati come 


192 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

norme ad efficacia differita, dalle quali, si asserisce, non potrebbero 
derivare lesioni attuali delle competenze costituzionalmente attribuite 
alle regioni (o alle province autonome). In realt�, diversamente da 
quanto accade nei giudizi di legittimit� sui provvedimenti amministrativi 
o nei conflitti di attribuzione aventi per oggetto i medesimi, l'attua


lit� dell'interesse a ricorrere nei giudizi di legittimit� costituzionale 
sulle leggi dev'esser valutata, non gi� in relazione alla effettiva producibilit� 
di effetti delle singole disposizioni e, tantomeno, alla concreta 
applicabilit� delle stesse nei rapporti della vita, ma, piuttosto, in relazione 
all'esistenza giuridica delle disposizioni impugnate nell'ordinamento 
giuridico. Ed � perci� che l'art. 2, primo comma, della legge costituzionale 
9 febbraio 1948, n. 1 (Norme sui giudizi cli legittimit� costituzionale 
.e sulle garanzie d'indipendenza della Corte), e l'art. 32, secondo comma, 
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento 
della Corte), fanno decorrere il termine per la promozione della 
azione di legittimit� costituzionale �dalla pubblicazione della legge o 
dell'atto avente forza di legge�, e non gi� dal momento in cui le disposizioni 
in esse contenute diventano concretamente efficaci nei rapporti 
della vita (v. in tal senso, in relazione alla legge delega, sentt. nn. 75 del 
1957, 37 del 1966, 242 del 1989, nonch�, a contrario, sent. n. 39 del 1971). 
Sulla base dei principi enunciati non si pu� dubitare dell'ammissibilit� 
del ricorso della Provincia autonoma di Bolzano nei confronti della 
legge di delega n. 349 del 1989. Tutte le disposizioni impugnate conten� 
gono principi e criteri direttivi dotati di un grado di determinatezza 
tale da non poter escludere, a una valutazione ex-ante operata in limine 
litis, la prefigurabilit� di un possibile contrasto con le norme statutarie 
invocate e con le relative norme di attuazione (v. sent. n. 1012 del 1988). 
Non v'� dubbio, infatti, che il principio della proporzionale etnica (art. 
89 dello Statuto speciale) potrebbe essere plausibilmente ritenuto violato 
dalla norma di delegazione che demanda al Governo la riduzione su 
scala nazionale delle direzioni compartimentali delle dogane da 45 a 15 
(art. 3, primo comma, lett. b, n. 1), allo stesso modo in cui potrebbero 
contrastare con le norme di attuazione esistenti in materia sia le deroghe 
che il legislatore delegato dovr� disporre ai vincoli di permanenza 
minima degli impiegati in determinate zone del territorio nazionale 
(art. 3, primo comma, lett. b, n. 6), sia la previsione di un ruolo unico 
del personale addetto ai servizi centrali dei dipartimenti da istituire 
con i decreti delegati (art. 3, primo comma, lett. f), sia, infine, la previsione 
che i posti vacanti saranno coperti con procedure rapide (anche mediante 
concorsi basati sulla valutazione dei titoli professionali e di cultura
� (art. 3, primo comma, lett. h). A fortiori, poi, �, ipotizzabile un 
contrasto della legge impugnata con le disposizioni statutarie e di attuazione 
che esigono la richiesta del parere della c.d. Commissione paritetica 
nel caso di modificazione delle norme di attuazione e che impongono I 
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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

l'obbligo di sentire il Presidente provinciale in occasione delle deliberazioni 
del Consiglio dei ministri relative ad atti riguardanti la Provincia 
di Bolzano. 

Non fondata, nei sensi di cui in motivazione, � la questione di legit� 
timit� costituzionale concernente l'art. 3, primo comma, lett. b, n. l, 
nella parte in cui vincola il Governo a istituire � non pi� di quindici 
direzioni compartimentali �. 

Secondo la ricorrente, la predetta riduzione dei compartimenti doganali 
a non pi� di quindici, dai quarantacinque oggi esistenti, comporterebbe 
la eliminazione del compartimento di Bolzano, con conseguente 
lesione dell'art. 89 dello Statuto, relativo al principio della proporzionale 
etnica, nell'attuazione datane dalla Tabella n. 5, allegata al d.P.R. 26 luglio 
1976, n. 752. In realt�, questa interpretazione non pu� essere condivisa, 
poich� il principio costituzionale della proporzionale etnica, come 
ha pi� volte affermato questa Corte (sentt. nn. 571, 768 e 1145 del 
1988, 85 del 1990), trova applicazione indipendentemente dal fatto che 
sia richiamato dalle singole leggi che regolano un certo settore, tanto 
pi� se si tratta di leggi che stabiliscono una disciplina generale. La stessa 
Corte, anzi, in un caso che presenta significative analogie con quello 
esaminato, ha ammessa l'applicabilit� del medesimo principio anche in 
relazione a leggi di riorganizzazione generale di un certo settore che 
comportano una ridefinizione sul piano nazionale del numero degli uffici 
e, quindi, una potenziale alterazione della ripartizione dei posti stabilita 
nelle tabelle annesse alle citate � norme di attuazione � (v. sent. n. 585 
del 1989). 

In altre parole, in mancanza di una chiara manifestazione di volont� 
diretta a escludere l'applicazione del principio della proporzionale 
etnica, non si pu� interpretare una norma v�lta a stabilire una disciplina 
generale come se fosse rivolta a derogare a quel principio. 

L'applicabilit� di quest'ultimo s'impone da s�, mentre le modalit� e 
l'estensione di tale applicazione sono stabilite, finch� non sono modificate 
con il procedimento costituzionalmente richiesto, dalle tabelle allegate 
alle ricordate � norme di attuazione � e, in particolare, per quanto 
riguarda gli uffici doganali, dalla Tabella n. 5. E, poich� questa prevede 
tuttora che vi sia un ufficio compartimentale doganale a Bolzano, la 
norma impugnata, finch� la tabella rester� in vigore in tali termini, 
dovr� essere interpretata e attuata in modo da escludere che Bolzano 
resti priva di un ufficio di quel tipo. 

Questa interpretazione, proprio perch� non � direttamente contraddetta 
dalla legge delega impugnata, si impone anche al legislatore delegato, 
dal momento che non � ipotizzabile che quest'ultimo possa validamente 
derogare a norme di attuazione dello statuto speciale, espressio



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

194 

ne di una competenza legislativa atipica il cui ambito � precluso alle 
comuni leggi ordinarie e agli atti a queste equiparati. (omissis) 

Non fondata � la questione di legittimit� costituzionale sollevata, per 
contrasto con gli stessi parametri indicati nel paragrafo n. 4, nei confronti 
dell'art. 3, primo comma, lett. f), nella parte in cui dispone che 
� sar� previsto un ruolo unico del personale addetto ai servizi centrali e 
periferici del dipartimento �. 

Secondo la ricorrente, tale disposizione violerebbe il principio della 
proporzionale etnica (art. 89 dello Statuto), come attuato dalla citata 
Tabella n. 5, in quanto quest'ultima risulterebbe illegittimamente derogata 
dall'istituzione del ruolo unico nazionale e dalla conseguente eliminazione 
del ruolo locale stabilito dall'anzidetta tabella. In realt�, come 
ha correttamente sottolineato l'Avvocatura dello Stato, le tabelle allegate 
al d.P.R. n. 752 del 1976 non prevedono un vero e proprio ruolo 
locale, cio� un particolare inquadramento giuridico-funzionale del personale 
addetto agli uffici statali siti nella Provincia di Bolzano, ma, seppure 
quel termine sia contenuto nel d.P.R. n. 752 del 1976, con esso si 
vuol indicare, piuttosto, le piante organiche locali, vale a dire la distribuzione 
dei posti di ruolo negli uffici statali della dogana localizzati a 
Bolzano. Da ci� risulta con tutta evidenza che l'istituzione di un ruolo 
unico nazionale non pu� collidere in alcun modo con i parametri invocati. 


Parimenti infondata � la questione di legittimit� costituzionale sollevata 
nei confronti dell'art. 3, primo comma, lett. h), nella parte in cui 
dispone che � saranno previste procedure rapide di copertura dei posti 
vacanti, anche mediante concorsi basati sulla valutazione di titoli professionali 
e di cultura, salvi i casi di procedure ulteriormente semplificate 
previste dalle disposizioni generali sul pubblico impiego �. 

Ad avviso della ricorrente, tale disposizione contrasterebbe con l'articolo 
89 dello Statuto, come attuato dagli artt. 12 e segg. del d.P.R. 

n. 752 del 1976, i quali nello stabilire la disciplina delle procedure concorsuali 
per la copertura dei posti vacanti nella provincia di Bolzano, non 
prevederebbero semplicazioni o abbreviazioni delle procedure stesse. Anche 
in tal caso non pu� condividersi l'interpretazione che delle � norme 
di attuazione � fornisce la ricorrente, poich� tali norme pongono alcune 
prescrizioni a salvaguardia de1la proporzionale etnica e della peculiarit� 
dell'autonomia di Bolzano senza precludere l'applicabilit� nella stessa 
provincia di procedure concorsuali semplificate o abbreviate. Naturalmente 
resta fermo, come ha ammesso la stessa Avvocatura dello Stato, 
che anche a queste ultime procedure si applicano le norme particolari 
predisposte, a tutela della proporzionale etnica, dagli artt. 12 e segg. del 
d.P.R. n. 752 del 1976. (omissis) 

SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, sez. 6a, 23 novembre 
1989, nella causa C-150/88 -Pres. Kakouris -Avv. Gen. Darmon Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht di Colonia 
nella causa fra la Ditta Eau de Cologne e Parfiimerie-Fabrik 
Glockengasse n. 4711 KG e la Soc. Provide -Interv.: Governi spagnolo 
(avv. Rosario Silva de Lapuerta) e italiano (avv. Stato Braguglia) 
e Commissione delle C.E. (ag. Sack). 

Comunit� europee � Competenza della Corte di giustizia � Rinvio pregiudiziale 
da parte di giudice nazionale � Compatibilit� con il diritto 
comunitario di norme di uno Stato membro diverso da quello del 
giudice del rinvio. 
(Trattato CEE, art. 177). 

Comunit� europee � Prodotti cosmetici � Ravvicinamento delle legisla� 
zioni � Etichettatura. 
(Direttiva CEE del Consiglio 27 luglio 1976, n. 76/768, art. 6; legge italiana 11 ottobre 

1986, n. 713, art. 8). 

La Corte di giustizia delle Comunit� europee, adita da un giudice nazionale 
ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, se deve risolvere questioni 
miranti a consentire al giudice nazionale di valutare la conformit� con 
il diritto comunitario di disposizioni nazionali, pu� fornire gli elementi 
interpretativi del diritto comunitario che consentiranno al giudice nazionale 
di pronunciarsi sul problema giuridico di cui � investito: lo stesso 
avviene allorch� si deve valutare la compatibilit� con il diritto comunitario 
di norme di uno Stato membro diverso da quello del giudice del rinvio 
(1). 

L'art. 6, n. 2, della direttiva del Consiglio n. 76/768, concernente il ravvicinamento 
delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici, 
osta a che una disciplina nazionale prescriva l'indicazione dei dati qualitativi 
e quantitativi delle sostanze menzionate sull'imballaggio, nella pubblicit� 
e nella denominazione dei prodotti cosmetici contemplati nella 
direttiva. L'art. 6, n. 1, lett. a) della direttiva medesima vieta ad uno 
Stato membro di prescrivere, per i prodotti cosmetici importati, fab


(1) La sentenza deM<a Come 16 dicembre 1981, nella causa 244/88, FoGLIA-No'
VELLO, citata in mo1JivaziOllle, � pubblicata in questa Rassegna, 1982, I, 61. 

196 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

bricati da un produttore stabilito nella Comunit�, che il nome dell'impresa 
nazionale responsabile per la vendita in questo Stato membro figuri 
sull'imballaggio, sui recipienti e sulle etichette del prodotto. 

(omissis) 1. -Con ordinanza 4 maggio 1988, giunta alla Corte il 26 dello 
stesso mese, il Landgericht di Colonia ha posto, a norma dell'art. 177 
del Trattato CEE, due questioni pregiudiziali relative all'interpretazione 
della direttiva del Consiglio 27 luglio 1976, n. 76/768, concernente il ravvicinamento 
delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici 
(G.U. n. L. 262, pag. 169) onde valutare la compatibilit� col diritto 
comunitario della disciplina italiana adottata per l'attuazione della summenzionata 
direttiva. 

2. -Dette questioni sono sorte nell'ambito di una controversia 
tra la societ� tedesca in accomandita Firma Eau de Cologne & ParfiimerieFabrik 
Glockengasse n. 4711 KG (in prosieguo �societ� 4711 �) e la ditta 
italiana Provide cirica l'esecuzione di un contratto di vendita di prodotti 
cosmetici. 
3. -A norma dell'art. 6, n. l, lett. a), della direttiva gli Stati membri 
adottano adeguate misure affinch� i prodotti cosmetici possano essere 
immessi sul mercato soltanto se i loro imballaggi, recipienti o etichette 
indicano in particolare il nome o la ragione sociale e l'indirizzo o la sede 
sociale del fabbricante o del responsabile dell'immissione sul mercato 
del prodotto cosmetico, stabilito all'interno della Comunit�. L'art. 6, n. 2, 
dispone che gli Stati membri adottano adeguate misure affinch� nell'etichettatura, 
nella presentazione alla vendita e nella pubblicit� relativa ai 
prodotti cosmetici, i testi, le denominazioni, i marchi, le immagini o altri 
segni figurativi o meno non vengano impiegati per attribuire a tali pro� 
dotti caratteristiche che essi non possiedono. 
4. -L'art. 8, n. l, lett. a), della legge italiana n. 713 dell'll ottobre 1986, 
che d� attuazione all'art. 6, n. l, lett. a), della direttiva summenzionata, 
come interpretata mediante circolare ministeriale, prescrive la menzione 
del produttore italiano o del responsabile in Italia dell'immissione sul 
mercato dei prodotti cosmetici. Per i prodotti che gi� recano l'indicazione 
del produttore o del responsabile della vendita stabilito in un 
altro Stato membro, � sufficiente che l'indicazione dell'impresa italiana 
responsabile della vendita in Italia venga apposta da quest'ultima sull'imballaggio 
esterno del prodotto, dopo l'importazione e prima della vendita 
al pubblico. D'altro canto l'art. 8, n. l, lett. d), della legge summenzionata, 
che reca disposizioni d'attuazione dell'art. 6, n. 2, della direttiva, prescrive 
l'indicazione dei dati qualitativi e quantitativi delle sostanze di cui si fa 
menzione sull'imballaggio, nella pubblicit� o nella denominazione del prodotto. 

PARTE I, SEZ. II, GIURJS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

5. -La Provide ordinava alla societ� 4711 il prodotto Vitamol, cosmetico 
il cui imballaggio e le cui istruzioni per l'uso indicavano il nome 
delle vitamine che esso contiene, menzionando in particolare il D Panthenol. 
La societ� 4711 garantiva in particolare che il prodotto in questione 
era conforme alle leggi e alle disposizioni vigenti e poteva venir 
posto in commercio in Italia. 
6. -La Provide rifiutava per� la fornitura, osservando che la stessa 
non era conforme alle clausole del contratto. Il prodotto non avrebbe 
potuto venire venduto in Italia giacch� non menzionava, contrariamente 
alle disposizioni della normativa italiana di cui sopra, n� l'importatore 
italiano, n� la quantit� di vitamine contenuta nel prodotto, mentre il 
nome di queste era espressamente indicato sull'imballaggio. 
7. -La societ� 4711 adiva il Landgericht di Colonia, competente in 
virt� d'una clausola del contratto, chiedendo che la controparte venisse 
condannata a eseguire il contratto stesso, in quanto in sostanza il prodotto 
offerto era perfettamente conforme alle disposizioni della direttiva 
e quindi poteva venir posto in commercio in tutti gli Stati membri. 
8. -Il Landgericht di Colonia ritiene che la disciplina italiana sia 
incompatibile con le disposizioni summenzionate della direttiva. Il giudice 
nazionale ritiene in particolare che l'obbligo di fornire un'indicazione 
qualitativa e quantitativa delle sostanze, pur costituendo incontestabilmente 
un modo di perseguire la finalit� enunciat.a dall'art. 6, n. 2, della 
direttiva summenzionata, vale a dire tutelare il consumatore contro le 
frodi, �sia nondimeno eccessivo e di dubbia efficacia. 
9. -Di conseguenza il Landgericht decideva di sospendere il procedimento 
per sottoporre alla Corte, a norma dell'art. 177 del Trattato CEE, 
le seguenti questioni pregiudiziali: 
� 1) Se l'art. 8, n. 1, lett. d), della legge italiana 11 ottobre 1986, 

n. 713, sia compatibile con l'art. 6, n. 2, della direttiva del Consiglio 
27 luglio 1976 e con l'art. 30 del Trattato CEE, in quanto prescrive la 
dichiarazione "qualitativa e quantitativa delle sostanze,. la cui presenza 
� annunciata nella presentazione, nella pubblicit� o nella denominazione del 
prodotto. 
2) Se l'art. 8, n. l, lett. a), della legge italiana n. 713, nell'interpretazione 
fornitane dal n. 3 della circolare del Ministro della Sanit� italiano 
2 febbraio 1987, sia compatibile con l'art. 6, n. l, lett. a), della 
direttiva del Consiglio 27 luglio 1976 e con l'art. 30 del Trattato CEE 
in quanto, anche per i prodotti di un fabbricante stabilito nella Comunit� 
importati in Italia, si deve indicare sugli imballaggi, recipienti o etichette 
" il nome dell'azienda italiana responsabile dell'immissione in commercio,,
�. 


198 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

10. -Per una pi� ampia esposizione dello sfondo giuridico e degli 
antefatti della controversia, dello svolgimento del procedimento nonch� 
delle osservazioni scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione 
d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono richiamati in prosieguo 
solo nei limiti necessari per comprendere il ragionamento della 
Corte. 
Sulla competenza della Corte. 

11. -Il Governo italiano osserva che le questioni pregiudiziali sono 
state sollevate nell'ambito di una controversia tra privati, nella quale 
il contrasto di interessi reali appare dubbio, e mirano a far valutare dal 
giudice di uno Stato membro la compatibilit� col diritto comunitario 
della disciplina di un altro Stato membro. Richiamandosi alla sentenza 
della Corte 16 dicembre 1981, Foglia/Novello (causa 244/80, Racc. pag. 
3045) il Governo italiano esprime pertanto dei dubbi sulla correttezza 
del ricorso al procedimento pregiudiziale. Esso sostiene inoltre che, nell'ambito 
dell'applicazione dell'art. 177, la Corte non � competente a pronunciarsi 
sulla compatibilit� tra disposizioni nazionali e diritto comunitario. 
12. -Si devono disattendere queste obiezioni. Da un lato, gli elementi 
del fascicolo non consentono di mettere in dubbio la realt� della 
controversia principale n�, di conseguenza, la correttezza del ricorso al 
procedimento pregiudiziale. D'altro canto, emerge da una costante giurisprudenza 
(v. in particolare la sentenza 9 ottobre 1984, Heineken, cause 
riunite 91 e 127/83, Racc. pag. 3435) che se deve risolvere questioni 
miranti a consentire al giudice nazionale di valutare la conformit� con 
il diritto comunitario di disposizioni nazionali, la Corte pu� fornire 
gli elementi interpretativi del diritto comunitario che consentiranno 
al giudice nazionale di pronunciarsi sul problema giuridico di cui � investito. 
Lo stesso avviene allorch� si deve valutare la compatibilit� col 
diritto comunitario di norme di uno Stato membro diverso da quello del 
giudice di rinvio. 
Sulla prima questione 

13. -Tale questione mira in sostanza ad accertare se l'art. 6, n. 2, 
gi� ricordato, della direttiva osti a che una disciplina nazionale prescriva 
l'indicazione dei dati qualitativi e quantitativi delle sostanze menzionate 
sull'imballaggio, nella pubblicit� o nella denominazione dei prodotti 
cosmetici. 
14. -� d'uopo ricordare a questo proposito che, secondo uno dei 
considerandi della direttiva, questa si ispira alla necessit� di � determina

PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

re a livello comunitario le regole che devono essere osservate per quanto 
riguarda la composizione, l'etichettatura e l'imballaggio dei prodotti 
cosmetici �. Essa mira perci� a sopprimere le divergenze esistenti tra 
le legislazioni nazionali, in quanto dette divergenze costringono le imprese 
comunitarie a differenziare la loro produzione a seconda dello Stato membro 
di destinazione ed ostacolano cos� gli scambi relativi a questi prodotti. 


15. -A questo scopo l'art. 6, n. 1, della direttiva, elenca le varie 
menzioni che devono comparire sugli imballaggi, recipienti o etichette 
dei prodotti cosmetici; tra queste menzioni non sono compresi i dati 
qualitativi e quantitativi delle sostanze indicate nella confezione di tali 
prodotti. 
16. -Inoltre, l'art. 7 della direttiva vieta, nel suo n. 1, agli Stati 
membri, di rifiutare, vietare o restringere l'immissione sul mercato dei 
prodotti cosmetici che rispondono alle prescrizioni della direttiva con 
la sola riserva, enunciata al n. 2, che essi possono imporre per talune 
delle menzioni di cui all'art. 6, n. l, l'uso delle loro lingue nazionali 
o ufficiali. 
17. -Ne consegue che l'elenco di queste menzioni � esauriente e 
che uno Stato membro non pu� prescrivere l'indicazione, non espressamente 
contemplata dalla direttiva, dei dati quantitativi e qualitativi delle 
sostanze menzionate nella presentazione dei prodotti cosmetici. 
18. -Infatti una prescrizione di questo genere sarebbe per l'appunto 
tale da ostacolare gli scambi intracomunitari, dato l'obbligo ch'essa 
comporta di modificare la presentazione con la quale i prodotti vengono 
legittimamente posti in vendita in taluni Stati membri. Un distributore 
stabilito in uno di questi Stati pu� anche incontrare difficolt� ad esportare 
prodotti cosmetici in un altro Stato membro se questo prescrive 
la menzione di questione e se il produttore non fornisce al distributore 
le informazioni richieste. 
19. -Occorre aggiungere che, nonostante l'art. 6, n. 2, della direttiva 
obblighi gli Stati membri ad adottare le disposizioni adeguate onde evitare 
che nell'etichettatura e nella confezione per la vendita le diciture, 
le denominazioni, i marchi, le immagini e gli altri segni non vengano utilizzati 
per attribuire ai prodotti cosmetici in questione caratteristiche 
che essi non possiedono, ci� non autorizza gli Stati membri a prescrivere 
l'apposizione di menzioni non contemplate dalla direttiva nell'etichettatura 
o nell'imballaggio di detti prodotti. 
20. -D'altro canto, la finalit� di tutela dei consumatori che sta alla 
base dell'art. 6, n. 2, della direttiva pu� essere� perseguita mediante mezzi 

200 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

meno restrittivi degli scambi comunitari. Emerge infatti da un esame 
comparativo delle norme nazionali elaborate a questo scopo che taluni 
Stati membri hanno vietato in via generale qualsiasi indicazione atta ad 
indurre in errore il consumatore. Orbene, non risulta che tale divieto 
generale sia insufficiente per conseguire l'obiettivo desiderato. 

21. -Si deve quindi risolvere la prima questione dichiarando che 
l'art. 6, n. 2, della direttiva 76/768 osta a che una disciplina nazionale 
prescriva l'indicazione dei dati qualitativi e quantitativi delle sostanze 
menzionate sull'imballaggio, nella pubblicit� o nella denominazione dei 
prodotti cosmetici contemplati dalla direttiva. 
Sulla seconda questione. 

22. -Tale questione mira in sostanza ad accertare se l'art. 6, n. 1, 
lett. a), della direttiva vieti ad uno Stato membro di prescrivere, per i 
prodotti cosmetici importati, fabbricati da un produttore stabilito nella 
Comunit�, che il nome dell'impresa nazionale e responsabile della loro 
vendita in questo Stato figuri sugli imballaggi, recipienti o etichette dei 
prodotti. 
23. -Emerge dalla sua stessa lettera che l'art. 6, n. l, lett. a), della 
direttiva prescrive soltanto l'indicazione o del fabbricante o del responsabile 
dell'immissione sul mercato del prodotto cosmetico, semprech� 
l'uno o l'altro siano stabiliti nella Comunit�. 
24. -Ne consegue che questa disposizione vieta ad uno Stato membro 
di prescrivere, per i prodotti importati, fabbricati da un produttore 
stabilito nella Comunit�, che il nome del distributore nazionale responsabile 
della loro vendita in questo Stato figuri sugli imballaggi, recipienti o 
etichette dei prodotti. 
25. -A questo proposito � irrilevante che lo Stato membro si limiti 
a prescrivere che l'indicazione del distributore possa venire apposta sull'involucro 
esterno del prodotto dopo l'importazione, prima della sua 
vendita al pubblico e secondo modalit� che non obblighino ad aprire 
la confezione originale del prodotto. 
26. -Infatti tale obbligo rende in ogni caso pi� onerosa la vendita 
del prodotto ed implica di conseguenza un ostacolo agli scambi, che la 
direttiva mira ad eliminare. 
27. -Si deve quindi risolvere la seconda questione dichiarando che 
l'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva vieta ad uno Stato membro di prescri� 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 201 

vere, per i prodotti cosmetici importati, fabbricati da un produttore stabilito 
nella Comunit�, che il nome dell'impresa nazionale responsabile 
per la vendita in questo Stato membro figuri sull'imballaggio, sui recipienti 
o sulle etichette del prodotto. 

28. -Poich� la direttiva ha operato un'armonizzazione esauriente 
delle norme nazionali in materia di imballaggio ed etichettatura dei 
prodotti cosmetici, non � necessario pronunciarsi sull'interpretazione dell'art. 
30 del Trattato, chiesta dal giudice nazionale. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, 1a sez., 12 dicembre 
1989, nella causa C-265/88 -Pres. Slynn -Avv. Gen. Mischo Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Pretura di Volterra 
in processo penale contro Lothar Messner -Interv.: Governo 
italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle C. E. (ag. Berardis). 

Comunit� europee -Libera circolazione delle persone -Dichiarazione di 
soggiorno � Limiti. 

(Trattato CEE, artt. 3 e 56; direttive CEE del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 68/360 e 
21 maggio 1973, n. 63/148; R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 142),. 

Il comportamento di uno Stato membro, il quale imponga a cittadini 
degli altri Stati membri che esercitano il diritto alla libera circolazione 
l'obbligo, munito di sanzione penale in caso di inosservanza, di effettuare 
una dichiarazione di soggiorno entro tre giorni a decorrere dall'ingresso 
nel territorio, non � compatibile con le norme del diritto comunitario 
relative alla libera circolazione delle persone (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza in data 14 settembre 1988, pervenuta 
alla Corte il 28 dello stesso mese, la Pretura di Volterra, ai sensi dell'art. 
177 del Trattato CEE, ha sottoposto una questione pregiudiziale relativa 
all'interpretazione degli artt. 3, lett. c), e 56 del Trattato, relativi 
alla libera circolazione delle persone. 

(1) La Corte ha sviluppato e precisato quanto gi� aveva enunciato in 
via di pruncipio oon la sentenza, oi1Ja1Ja in motivazione, 7 lug.Uo 1976, neHa causa 
118/75, WATSON e BELMANN (in questa Rassegna 1'976, I, 730, con nota dii MARZANO, 
Brevi spunti sulla ragionevolezza e sulla proporzionalit� come criteri di verifica 
della compatibilit� con la normativa comunitaria di norme di diritto interno), 
dichiarando questa volta hTagionevole il tenmine di tre giorni per la denuncia 
del soggiorno e ribadendo che una sanzione per l'inosservanza dii formalit� 
richieste per l'aocertamento del wrlitto di soggiorno devono essere proporzionate. 
Resta fermo, dunque, che uno Stato membro pu�, in linea di pruncipio, 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

202 

2. -Detta questione � stata sollevata nell'ambito di un procedimento 
penale intentato contro il sig. Lothar Messner, cittadino tedesco, cui � 
stato contestato di non aver effettuato, entro i tre giorni a decorrere dall'ingresso 
nel territorio italiano, la dichiarazione di soggiorno prescritta 
dalla legislazione italiana. Nei confronti dei cittadini degli Stati membri, 
questo obbligo � imposto ai lavoratori dipendenti ed ai prestatori e destinatari 
di servizi che intendono rimanere in Italia per un periodo non 
superiore a tre mesi. L'inosservanza di questo obbligo � punita con l'arresto 
fino a tre mesi o con l'ammenda fino a Lit. 400.000. 
3. -Dubitando della compatibilit� di tale normativa con il diritto 
comm1itario, il giudice nazionale ha sospeso il procedimento ed ha sottoposto 
alla Corte la seguente questione pregiudiziale: 
� Se il combinato disposto degli artt. 3, lett. e) e 56, 1� comma, 
del Trattato possa essere interpretato nel senso di ritenere legittima l'imposizione 
da parte dell'Italia ai cittadini di altro Stato membro della 
CEE dell'obbligo di effettuare la dichiarazione di soggiorno, nei tre 
giorni dall'ingresso nel territorio, facendone discendere, in difetto, 1a comminazione 
di una sanzione penale, tenuto conto che nes.sun concreto motivo 
di ordine pubblico o di sicurezza o di sanit� pu� ritenersi presiedere 
ad un simile feudale obbligo di natura e scopo palesemente vessatorio 
e di chiara ispirazione xenofoba �. 

4. -Per una pi� ampia illustrazione degli antefatti, dello svolgimento 
del procedimento e delle osservazioni scritte presentate dinanzi alla Corte, 
si fa rinvio alla relazione d'udienza. Questi elementi del fascicolo sono 
richiamati solo nella misura necessaria alla comprensione del ragionamento 
della Corte. 
5. -La questione posta dal giudice nazionale � diretta in sostanza 
ad accertare se il comportamento di uno Stato membro, il quale imponga 
a cittadini degli altri Stati membri che esercitano il diritto alla li-
imporre l'obbligo della denltlllcia, purch� fissi un termine ragionevole per 
l'esecuzione di esso e stabilisca una sanzione proporzionata per la sua 
violazione. 

Con il d.I. 30 dicembre 1989, n. 416, oonvert>ito in legge, con modificazioni, 
con legge 28 febbraio 1990, n. 36, contenente �norme urigenti in materia di 
asilo poli1lico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di regolarizzazione 
dei� dtta.dini extracomunitari ed apo.I.idi gi� presenti nel territorio 
dello Stato�, � stavo abrogato, fra l'ailtro, l'art. 142 del T. U. di pubblica 
sicurezza approvato con r.d. 18 g~ugino 1933, n. 773, che disponeva, appunto, 
l'obbMgo per tutti gLi stran:ieri dii presen1laJl.isi entro tre giorni dal loro ingresso 
nel territorio deMo Stato amautorit� di p.s. 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 203 

bera circolazione l'obbligo, munito di sanzione penale in caso di inosservanza, 
di effettuare una dichiarazione di soggiorno entro tre giorni 
dall'ingresso nel territorio, sia compatibile con le norme del diritto comunitario 
relative alla libera circolazione delle persone. 

6. -Nella sentenza 7 luglio 1976 (causa 118/75, Watson e Belmann, 
Racc. pag. 1185), la Corte ha gi� deciso che il diritto comunitario, pur 
proclamando la libert� di circolazione delle persone ed attribuendo ai 
singoli che rientrano nella sua sfera di applicazione il diritto di poter 
accedere al territorio degli Stati membri, per uno scopo contemplato 
dal Trattato, non aveva soppresso la competenza di questi Stati a prendere 
i provvedimenti atti a consentire di essere costantemente e tempestivamente 
informati circa i movimenti della popolazione sul loro territorio. 
7. -La Corte ha ricordato che, a norma dell'art. 8, n. 2, della direttiva 
del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 68/360, relativa alla soppressione delle 
restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati 
membri e delle loro famiglie all'interno della Comunit� (G. U. n. L 257, 
pag. 13), e dell'art. 4, n. 2, della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 
n. 63/148, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al 
soggiorno dei cittadini degli Stati membri all'interno della Comunit� in 
materia di stabilimento e di prestazione di servizi (G. U. n. L 172, pag. 14), 
le autorit� competenti degli Stati membri possono prescrivere, per i 
cittadini degli altri Stati membri, l'obbligo di denunciare la loro presenza 
alle autorit� dello Stato in cui si trovano. 
8. -La Corte ne ha tratto la conseguenza che detto obbligo non co� 
stituisce, di per s�, una violazione delle norme sulla libera circolazione 
delle persone. Essa ha tuttavia rilevato che una violazione di queste norme 
potrebbe risultare dalle formalit� di legge, qualora esse siano concepite 
in modo da limitare la libert� di circolazione voluta dal Trattato o il diritto, 
conferito ai cittadini degli Stati membri, di recarsi e di soggior� 
nare nel territorio di qualsiasi altro Stato membro, per gli scopi contemplati 
dal diritto comunitario (sentenza 7 luglio 1976, cit., punto 18 
della motivazione). 
9. -Risulta dalla stessa sentenza che ci� avviene in particolare qualora 
il termine� imposto per la dichiarazione di ingresso degli stranieri non 
sia contenuto entro limiti ragionevoli e qualora le sanzioni comminate 
per l'inosservanza di tale obbligo siano sproporzionate rispetto alla gravit� 
dell'infrazione. 

204 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

10. -Va rilevato a tal proposito che il termine di tre giorni cui fa 
riferimento la questione pregiudiziale appare eccessivamente costrittivo, 
tenuto conto della necessit�, per gli interessati, di disporre di un periodo 
di tempo sufficiente per spostarsi dalla frontiera fino al luogo di destinazione 
nonch� per informarsi circa l'autorit� competente e le formalit� 
amministrative richieste. 
11. -L'imposizione di un tale termine non appare indispensabile per 
tutelare l'interesse dello Stato ospitante ad essere esattamente informato 
dei movimenti della popolazione nel territorio. Infatti, niente consente di 
supporre che tale interesse sarebbe compromesso qualora venisse concesso 
un termine pi� lungo. Questa valutazione � d'altronde confermata dal 
fatto che la maggioranza degli Stati membri della Comunit� i quali impongono 
un obbligo analogo accordano ag1i interessati termini notevolmente 
pi� lunghi. 

12. -Ne consegue che il termine di tre giorni non pu� essere considerato 
contenuto entro limiti ragionevoli. 
13. -Per quanto riguarda le sanzioni dell'arresto o dell'ammenda 
comminate in caso di inosservanza deHa normativa di cui trattasi, occorre 
osservare che non � ammissibile alcuna sanzione in quanto il termine 
imposto per effettuare la dichiarazione di soggiorno non � ragionevole. 
14. -D'altra parte, occorre aggiungere che, come la Corte ha gi� 
ritenuto nella sentenza 3 luglio 1980 (causa 157/79, Pieck, Racc. pag. 2171, 
punto 19 della motivazione) in merito all'inosservanza di formalit� richieste 
per l'accertamento del diritto di soggiorno di un lavoratore tutelato dal 
diritto comunitario, � ben vero che le autorit� nazionali hanno facolt� 
di comminare, per l'inosservanza di tali disposizioni, penalit� analoghe 
a quelle previste per le infrazioni minori contemplate dal diritto nazionale, 
ma che � ingiustificato comminare una sanzione sproporzionata che 
creerebbe uno ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori. Ci� avviene 
in particolare nel caso di pena detentiva. 
15. -Occorre quindi rispondere al giudice nazionale nel senso che il 
comportamento di uno Stato membro il quale imponga a cittadini degli 
altri Stati membri che esevcitano il diritto alla libera circolazione l'obbligo, 
munito di sanzione penale in caso di inosservanza, di effettuare 
una dichiarazione di soggiomo entro tre giorni a decorrere dall'ingresso 
nel territorio, non � compatibile con le norme del diritto comunitario relative 
alla libera circolazione delle persone. (omissis) 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 205 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, 5a sez., 10 gennaio 
1990, nella causa C-115/88 -Pres. Slynn -Avv. Gen. Mischo -Do� 
manda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour d'appel di 
Aix-en-Provence nella causa Reichert contro Dresdner Bank -Interv.: 
Governi francese (ag. R�gis de Gouttes e Geraud de Bergues), tedesco 
(ag. Bohmer), britannico (ag. Gensmantel e Carpenter) e italiano 
(avv. Stato Fiumara) e Commissione delle C.E. (ag. Kremlis). 

Comunit� europee -Convenzione cli Bruxelles 27 settembre 1968 sulla 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia 
civile e commerciale -Azione pauliana -Donazione di beni immobili 
in nuda propriet�. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 

21 giugno 1971, n. 804, art. 16). 

Non appartiene al campo di applicazione dell'art. 16, punto 1, della 
Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, 
l'azione che, intentata da un creditore, tende a rendere non opponibile 
nei suoi confronti un atto di disposizione relativo ad un diritto reale 
immobiliare che egli sostenga essere stato concluso dal suo debitore in 
frode ai suoi diritti (1). 

(omissis) 1. -Con sentenza del 18 novembre 1987, pe:i;venuta alla 
Corte 1'11 aprile 1988, la Cour d'appel di Aix-en-i>rovence ha posto, in 

(1) �Forum rei sitae � e � actio pauliana � nella Convenzione di Bruxelles 
27 settembre 1968 sulla competenza giurisdizionale. 
L'art. 16, comma l, n. 1, della Convenzione dli Bruxelles 27 settembre 1968 
sulla competenza girurwsdizionaile e l'esecuzione delle decisioru in materia civile 
e commerciale oospone che � illldipendenuemente dai domicilio, l,lanno competenza 
esclusiva in materia di cbimitti rwli immobiiliari e di contTatti. d'affitto 
d'1immobHi i giudliJci deilio Stato oontrarote in cui l'immobile si trova �. 

L� relazione Jenard alla conveinzione (in G.U.C.E. n. C/59, sub art. 16, 
pag. 35). ha precisato che tale norma, la quale generaillizza quelle c9rrispondenti 
in vdgore partioo1armente in ItaHa (airtt. 4 e 21 cod. proc. civ.) e nella 
Repubblica federale di Germania (art. 24 cod. proc. civ.), � giustificata dal fatto 
che le oontroverSlie in essa ccmtempfa,te � comportano in modo frequente 
accertamenti, indago e perime che dovil"anno esseil"e effettuati sul posto � e 
che �la materia inoltre � spesso sottoposta in parte ad usi che Sono c�nosciuti 
in genere so1o dagli organi giUil"1sdi:Monali del lruogo, o quantomeno del paese 
in cui l'iimmobile � sito�. La norma, per quanto attiene ai �diritti reald immcr 
bmari �, comprOOJde �tutte le coilltroverisie ohe abbiano per oggento diritti 
reali su beni immobili �. 

La relazione Schlosser alla convenzi0111e di adesione del Regno di Dani� 

marca, dell'Irlanda e del Regno Univo di Gmn Bretagna e Irlanda del Nord 

4 

..,��~,........... 



206 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

virt� del protocollo del 3 giugno 1971, relativo all'interpretazione da parte 
della Corte di giustizia della Convenzione del 27 settembre 1968 sulla 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile 
e commerciale (in prosieguo: �la Convenzione�), una questione pregiudiziale 
relativa all'interpretazione dell'art. 16, punto 1�, della Convenzione. 


2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di una lite fra i 
coniugi Reichert ed il loro figlio, il sig. Mario Peter Antonio Reichert, da 
una parte, e la societ� Dresdner Bank, dall'altra. 
3. -I coniugi Reichert, che risiedono nella Repubblica federale di 
�Germania, 
sono proprietari di beni immobili, situati nel territorio del 
comune di Antibes (Francia, dipartimento delle Alpi Marittime), dei quali 
hanno donato la nuda propriet� al loro figlio Mario Reichert con rogito 
notarile redatto a Creutzwald (Francia, dipartimento della Mosella). La 
donazione � stata impugnata dalla societ� Dresdner Bank, creditrice dei 
coniugi Reichert, davanti al Tribunal de grande instance di Grasse, 
nella cui circoscrizione si trovano i beni in lite, sulla base dell'art. 1167 
del codice civile francese, a termini del quale i creditori possono, � in loro 
nome personale, impugnare gli atti compiuti dal loro debitore in frode 
ai loro diritti�; tale articolo costituisce la base per l'azione cosiddetta 
� pauliana �. 

(loc. oit., pag. 120, � 162 e segg.), nel dar conto delle ragioni deMa conferma della 
normativa sul punto d:eiLla convenzione originaria malgrado la diversit� degli 
istituti giuridici dei nuovi Stati membri, ritli.ene cli poter tranquililamente affermare 
(cfr. in particolare il � 171 in fondo) che l'art. 16 n. 1 non sia applicabile 
nel caso di azioni pevsonaii che pur riguardano immobili. 

E in effetti appare ch:iairo che la norma in questione (cos� come 1a norma 
italiana che l'ha in parte ispdrata: art. 21 cod. proc. civ.: cfr., fra le pi� recenti, 
le sentenze dehla Corte suprema 4560/85, 4541/85, 5402/81, 3987/&l, 4444/80) riguarda 
solo le azioni .reali imrmobiJ;i,ami. e non anche quelle pe11sonalii, anche se relative 
ad immobili, che non hrumo come causa petendi la propriet� o un diritto 
reale (ad esempio, azioni dli siimulazione, dli ri:soluzdone, di rescissione di con� 
tratti di vendita di immobH:i, ecc.). Per arve11Si la competenza esclusiva del 
giudice del luogo in cui � sii.to l'immobile non � sufficiente che la domar1da 
attrice abbia relazione, sia pure immedli011:a e dda:etta, con un immob:ile, ma 
occorre che si tratti di causa che possa veramente e rigorosamein:te consideravsi 
relativa a dlinitti reali su beini immobili. 

Una t�aJ.e limitazione dem'ambtl>to di applicazione della norma in parola, 
oltre che co11dspondere al seDJso e alila port:ata deihle conri:spondeDJti norme 
nazionali ohe l'hrumo rspirata, trova precisa oonrfevma nella letteva del testo, 
che pallia appunto di � diritti reali fu:mnobiliari � (e non di cause relative a 



i'ARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 207 

4. -Il Tribunal de grande instance di Grasse, con sentenza 20 febbraio 
1987, ha riconosciuto la propria competenza, che era contestata dai 
coniugi Reichert e si � fondato a questo fine sull'art. 16, punto 1�, della 
Convenzione, in virt� del quale indipendentemente dal domicilio, hanno 
competenza esclusiva � in materia di diritti reali immobiliari... i giudici 
dello Stato contraente in cui si trova l'immobile�. 
5. -I coniugi Reichert hanno impugnato la sentenza contestando la 
competenza del tribunale davanti alla Cour d'appel di Aix-en-Provence, 
che ha decis9 di sospendere il procedimento ed ha sottoposto alla Corte 
la seguente questione: 
� Se la Convenzione di Bruxelles, disponendo che in materia di diritti 
reali immobiliari e di contratti di affitto d'immobili sono esclusivamente 
competenti i giudici dello Stato contraente in cui l'immobile si 
trova, abbia inteso stabilire una norma sulla competenza, senza alcun 
riferimento alla classificazione delle azioni in azioni personali, azioni reali 
e azioni miste, prendendo in considerazione unicamente la sostanza del 
diritto, cio� la natura dei diritti di cui trattasi, di modo che la norma 
sulla competenza cos� stabilita consenta al creditore il quale impugni gli 
atti del debitore lesivi dei suoi diritti, nella fattispecie una donazione 
di diritti reali immobiliari, di adire il giudice dello Stato contraente in 
cui l'immobile si trova �. 

immobili), e nelila ratio che ne costituisce fil fond:amento, che � queJJla -segna� 
lata gi� nella relamone Jenard -di rendere pi� agevold gli incombenti in loco 
e concretamente applicabiH gli usi del posto (cfr., gi� prima, le sentenze della 
Corte citate in motivazione, 14 dicembre 1977, nella causa 73/76, SANDERS, in 
Racc. 1977, 2383 e 15 gennaio 1985, nella causa 241/83, R�isLER, in questa 
Rassegna, 1985, I, 392, con nota), esigenze queste che si riscontrano solo per le 
azioni strettamente reali e non a.I11Che, in genere, per le azioni in cui il 11iferi� 
mento all'rimmobiie � meramente inddentaJ.e, come avviene per le azioni 
per�sonald. 

L"amone revocatoria richiao:nata dal. giudice del rinvio, strutituraJmente 

comune a tutti gli ol'dinamentd giuridlici (actio pauliana), � certamente una 

azione pe11sonale. Essa, avendo di mdl'a fa oonservamone dclii.a garanzia del 

patrimonio del debitore, tende a f.ar dichiaJI"are l'ineffiioacia relativa di deter


minati atti di dii:sposizione del debitore e si concreta quind~ non ne!Ma paralisi 

degli effetti tipici dell'atto cti�sposi1:rivo del patttiimonio del medesimo, ma nella 

inidloneit� dell'atto stesso a spezzan"e il v.incolo che lega il bene che ne � oggetto 

alla sua natura!le desHnamone aI soddi:sfa:cimento dei creditori del disponente. 

Essa, quindi, non riguardando un diritto reale immobiMare, non rientra certa


mente nel campo di applica:1l�one de1l'a11t. 16 n. 1 della convenmone di Bruxelles. 

OSCAR FIUMARA 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

6. -Per .una pi� ampia esposizione degli antefatti della causa princip<\
le, dello svolgimento del procedimento e delle osservazioni presentate 
davanti alla Corte, si rinvia alla relazione d'udienza. Questi elementi 
del fascicolo sono ricltiamati pi� avanti solo nella misura necessaria alla 
comprensione del ragionamento della Corte. 
7. -Risulta dai termini stessi della questione posta, come dai motivi 
accolti nella sentenza della Cour d'appel di Aix-en-Provence che quesfultima 
desidera sapere se rientra nella sfera di applicazione dell'art. 16, 
punto 1�, della Convenzione il caso in cui, per mezzo di un'azione prevista 
da un ordine giuridico nazionale, nella fattispecie l'azione pauliana 
del diritto francese, un creditore impugna una donazione d'immobile che 
considera effettuata dal suo debitore in frode ai suoi diritti. 
8. -Appare innanzitutto evidente che, onde garantire, nella misura 
del possibile, la parit� e l'uniformit� dei diritti e degli obblighi che derivano 
dalla Convenzione per gli Stati contraenti e le persone interessate, 
occorre determinare in maniera autonoma, in diritto comunitario, la 
portata dell'espressione �in materia di diritti reali immobiliari�, come 
la Corte ha d'altronde gi� fatto, a proposito di altri criteri di competenza 
esclusiva prevista dall'art. 16, nelle sue sentenze 14 dicembre 1977, 
� � d 

Sanders/Van der Putte (causa 73/77, Racc. pag. 2383, nozione di �affitto 
d'immobili �, art. 16, punto 1�) e 15 novembre. 1983, Duijnstee/Lodewijk 
Goderbauer (causa 288/82, Racc. pag. 3663, nozione di lite � in materia di 
registrazione o di validit� di brevetti�, art. 16, punto 4�). 

9. -In secondo luogo, occorre rilevare che, conformemente a quanto 
la Corte ha gi� statuito, l'art.. 16 non dev'essere interpretato in senso pi� 
largo di quanto non richieda la finalit� da esso perseguita, dal momento 
che ha per effetto di privare le parti della scelta che altrimenti spetterebbe 
loro, del foi;-o competente, e, in taluni casi, di portarle davanti ad un 
giudice che non � quello proprio del domicilio di alcuna di esse (sentenza 
14 dicembre 1977, Sanders/Van der Putte, precitata). 
10. -Sotto questo aspetto, bisogna considerare che la ragione essenziale 
della competenza esclusiva attribuita ai giudici dello Stato contraente
� in cui si trova l'immobile � data dalla circostanza che tali giudici 
sono quelli meglio in grado, vista la prossimit�, di avere una buona 
conoscenza delle situazioni di fatto e di applicare le norme ed usi particolari 
che sono, nella generalit� dei casi, quelli dello Stato di ubicazione 
del�'immobile (sentenze 14 dicembre 1977, Sanders/Van der Putte, precitata 
e 15 gennaio 1985, Rosler/Rottwinkel, causa 241/83, Racc. pag. 99). 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 209 

11. -In queste condizioni, l'art. 16, punto 1�, deve interpretarsi nel 
senso che la competenza esclusiva dei giudici dello Stato contraente ove 
si trova l'immobile rion ingloba il complesso delle azioni che si riferiscono 
ai diritti reali immobiliari, ma solo quelle che, al tempo stesso, 
rientrano nel campo di applicazione della Convenzione di Bruxelles e 
tendono a determinare l'estensione, la consistenza, la propriet�, il possesso 
di beni immobili o l'esistenza di altri diritti reali su tali beni e ad 
assicurare ai titolari di questi diritti la protezione delle prerogative derivanti 
dal loro titolo. 

12. -Ora l'azione detta � pauliana � ha il suo fondamento nel diritto 
di credito, diritto personale del creditore nei confronti del debitore, e 
mira a proteggere il diritto di garanzia di cui il primo pu� disporre sul 
patrimonio del secondo. Se essa ha successo, la sua conseguenza � di 
rendere inopponibile al solo creditore l'atto di disposizione stipulato dal 
debitore in frode ai diritti del primo. Inoltre, il suo esame non richiede 
la valutazione di fatti n� l'applicazione di norme ed usi del luogo di ubicazione 
del bene che possano giustificare la competenza di un giudice 
dello Stato nel quale si trova l'immobile. 
13. -Infine, se le norme relative alla pubblicit� fondiaria in vigore 
in cerri Stati membri esigono che siano rese pubbliche le azioni giudiziarie 
tendenti alla revoca o alla dichiarazione d'inopponibilit� a terzi 
degli atti relativi ai diritti soggetti a tale forma d� pubblicit�, nonch� le 
decisioni giudiziarie pronunciate in seguito alle azioni medesime, questa 
circostanza non basta da sola per giustificare la competenza esclusiva dei 
giudici dello Stato contraente ove l'immobile oggetto di quei diritti � 
ubicato. In effetti, la protezione giuridica dei terzi che � all'origine di 
tali norme di diritto nazionale pu� essere garantita, in caso di bisogno, 
dalla pubblicazione secondo le forme e nel luogo previsti dalla legge dello 
Stato contraente ove si trova l'immobile. 
14. -Ne risulta che l'azione, esperita da un creditore contro un contratto 
di vendita d'immobile concluso dal suo debitore o una donazione 
effettuata da quest'ultimo, non rientra nel campo di applicazione dell'art. 
16, punto 1�. 
15. -Occorre quindi risolvere la questione posta dalla Cour d'appel 
di Aix-en-Provence nel senso che non appartiene al campo di applicazione 
dell'art. 16, punto 1�, della Convenzione l'azione che, intentata da un 
creditore, tende a rendere non opponibile nei suoi confronti un atto di 
disposizione relativo ad un diritto reale immobiliare che egli sostenga 
essere stato concluso dal suo debitore in frode ai suoi diritti. (omissis) 
.,....,....,,......


~.~ 



210 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, 3a sez., 27 marzo 
1990, nella causa C-315/88 -Pres. Zuleeg -Avv. Gen. Mischo -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Pretura di Frascati 
in processo penale contro A. Bagli Pennacchiotti -Interv.: Governi 
italiano (avv. Stato Braguglia) e spagnolo (avv. Conde de Saro e R. 
Garcia Valdecasas) e Commissione delle C.E. (ag. Prozzillo, De March 
e Borchardt). 

Comunit� europee -Organizzazione comune del mercato vitivinicolo Vinificazione 
dei vini VQPRD e VSQPRD. 
(Reg. CEE del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 338, e 16 marzo 1987, n. 823; reg. CEE della 
Commissione 25 agosto 1970, n. 1698; cod. pen. italiano, art. 515; d.P.R. 12 luglio 1963, 

n. 290). 
Il regolamento (CEE) del Consiglio 16 marzo 1987, n. 823, contenente 
disposizioni particolari per i vini di qualit� prodotti in regioni determinate 
cos� come il precedente regolamento (CEE) del Consiglio 5 febbraio 
1979, n. 338, debbono essere interpretati nel senso che impongono che tutte 
le operazioni o tutti gli immagazzinamenti relativi a prodotti in corso di 
vinificazione che non hanno ancora acquisito la qualit� di VQPRD o 
di VSQPRD abbiano luogo all'interno della regione determinata di produzione, 
mentre gli Stati membri possono derogare a tale regola solo nei 
limiti e alle condizioni stabilite dagli artt. 6, n. 2, di detti regolamenti e dal 
regolamento della Commissione 25 agosto 1970, n. 1698, relativo a deroghe 
concernenti l'elaborazione dei vini di qualit� prodotti in regioni determinate 
(1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 21 settembre 1988, pervenuta in cancelleria 
il 27 ottobre successivo, il Pretore di Frascati ha sottoposto a 
questa Corte, a norma dell'art. i77 del Trattato CEE, una questione pregiudiziale 
vertente sull'interpretazione delle norme comunitarie sui vini 
di qualit� prodotti in regioni determinate e sulle condizioni in base a 
cui gli Stati membri possono autorizzare il trasferimento di detti vini, in 
corso di elaborazione, al di fuori delle regioni di produzione. 

2. -Tale questione � stata sollevata nell'ambito di un procedimento 
penale a carico del sig. A. Bagli Pennacchiotti, presidente di una cantina 
cooperativa a Monte Porzio, nel Lazio, in Italia. 
3. -L'azienda da costui diretta avrebbe vinificato 1495 ettolitri di 
vino Frascati, in un deposito sito al di fuori della regione determinata di 
produzione di detto vino. Per questi fatti, accertati nel corso del 1987, 
jl sig. A. Bagli Pennacchiotti viene penalmente perseguito a norma del(
1) Soluzione conforme a quella proposta dal Governo italiano. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 211 

l'art. 515 del codice penale suHa frode in commercio e dell'art. 28 del 

d.P.R. 12 luglio 1963, n. 930, che punisce � chiunque produce, vende, pone 
in vendita o comunque distribuisce per il consumo con denominazione 
di origine controllata o controllata e garantita vini che non hanno i 
requisiti richiesti per l'uso di tali denominazioni ( ... ) �. 
4. -Dinanzi al Pretore di Frascati, l'imputato ha sostenuto che nella 
normativa italiana esistevano norme discordanti circa le condizioni 
in base a cui i vini in corso di vinificazione potevano essere trasferiti 
al di fuori delle rispettive regioni determinate di produzione e ha chiesto 
che venisse adita la Corte di giustizia delle Comunit� Europee perch� fosse 
precisato se il regolamento (CEE) del Consiglio 16 marzo 1987, n. 822, relativo 
all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo (G.U. n~ L 84, 
pag. 1) autorizzi gli Stati membri a emanare discipline interne che 
consentano siffatti trasferimenti. 
5. -In tali circostanze, il Pretore di Frascati ha deciso di sospendere 
il procedimento sino alla pronuncia della Corte di giustizia sulla seguente 
questione pregiudiziale: 
� Se le attribuzioni conferite agli Stati membri dal regolamento numero 
822/87 relativamente ai trasferimenti ed ai limiti territoriali ,di vinificazione 
comportino un mero divieto ovvero facolt� di discipline differenziate 
mediante provvedimenti de11o Stato membro �. 

6. -Per una pi� ampia esposizione dei fatti relativi alla causa principale, 
della normativa comunitaria applicabile, cos� come delle osservazioni 
scritte presentate alla Corte, si fa rinvio alla relazione d'udienza. 
Questi elementi del fascicolo sono richiamati solo nella misura necessaria 
alla comprensione del ragionamento della Corte. 
7. -La questione sollevata dal giudice nazionale � diretta, in sostanza, 
a sapere se la normativa comunitaria da applicare ai vini di qualit� 
prodotti in regioni determinate vieti sic et simpliciter qualsiasi trasferimento 
dei prodotti in corso di vinificazione all'esterno delle regioni determinate 
di produzione dei vini, o, al contrario, autorizzi gli Stati membri 
a emanare discipline nazionali che, a determinate condizioni, consentano 
siffatti trasferimenti. 
8. -Come rileva la Commissione nelle sue osservazioni scritte presentate 
alla Corte, il vino Frascati � un vino classificato come vino di 
qualit� prodotto in regioni determinate (VQPRD) o vino spumante di 
qualit� prodotto in regioni determinate (VSQPRD). Poich� negli atti mancano 
elementi che permettano di circoscrivere con certezza l'ambito della 
questione sollevata dal giudice a quo ad una soltanto di dette due categorie 
di vini, al fine di statuire sul presente rinvio pregiudiziale occorre 

212 

RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

interpretare le disposizioni comunitarie da applicare ai VQPRD e ai 
VSQPRD. 

9. -Il regolamento del Consiglio n. 822/87 sul quale espressamente 
verte la questione pregiudiziale non contiene di per s� alcuna disposizione 
sulla localizzazione delle operazioni di vinificazione. Contrariamente a 
quanto sostiene l'imputato nella causa principale, le disposizioni dell'art. 
15 e dell'allegato VI di detto regolamento riguardano esclusivamente 
la definizione delle pratiche e dei trattamenti enologici autorizzati e non 
possono essere interpretate nel senso di autorizzare un qualunque trasferimento 
dei prodotti in corso di vinificazione al di fuori dei confini della 
regione determinata di produzione. 
10. -Tuttavia, per fornire una soluzione utile al giudice che le ha 
sottoposto una questione pregiudiziale, la Corte pu� essere indotta a 
prendere in considerazione norme di diritto comunitario alle quali il giudice 
nazionale non ha fatto riforimento nel formulare la questione (sentenza 
20 marzo 1986, causa 35/85, Tissier, Racc. pag. 1207). Per contro, 
spetta al giudice nazionale decidere se la norma comunitaria, cos� come � 
interpretata dalla Corte in forza dell'art. 177, si applichi o no al caso 
sottoposto alla sua valutazione. 
11. -A questo proposito, la Commissione e i Governi italiano e spagnolo 
sostengono, correttamente, che il regolamento atto a fornire una 
soluzione utile alla questione pregiudiziale sollevata � il regolamento (CEE) 
del Consiglio 16 marzo 1987, n. 823, che stabilisce disposizioni particolari 
per i vini di qualit� prodotti in regioni determinate (G.U. n. L 84, pag. 59), 
tra i quali rientrano i VSQPRD. Questo regolamento ha sostituito, a partire 
dal 1� aprile 1987, il regolamento (CEE) del Consiglio 5 febbraio 1979, 
n. 338 (G U. n. L 54, pag. 48), che, rispetto alla questione sollevata, conteneva 
disposizioni identiche. 
12. -Il regolamento n. 823/87 � stato successivamente modificato 
dal regolamento (CEE) del Consiglio 19 giugno 1989, n. 2043 (G.U. n. L 202, 
pag. 1). Inoltre le disposizioni relative alla localizzazione delle operazioni 
di vinificazione dei VSQPRD, dopo la sua modifica ad opera del regolamento 
(CEE) del Consiglio 19 giugno 1989, n. 2044 (G.U. n. L 202, pag. 8), 
sono contenute nel regolamento (CEE) del Consiglio 5 febbraio 1979, 
n. 358, relativo ai vini spumanti prodotti nella Comunit� (G.U. n. L 54, 
pag. 130). Poich� tali modifiche sono entrate in vigore solo il 1� settembre 
1989 -cio� successivamente all'ordinanza del pretore di Frascati e, 
.quindi; dopo i fatti a seguito dei quali � stato promosso il procedimento 
penale a carico del sig. A. Bagli Pennacchiotti dinanzi al giudice italiano 
--', di esse non si deve tener conto ai fini della soluzione della 
questione pregiudiziale sottoposta alla Corte. 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

13. -Dagli artt. 3, n. 1, del regolamento n. 823/87 e del precedente regolamento 
n. 338/79 emerge che i VQPRD e i VSQPRD sono prodotti in 
un'area o in un complesso di aree viticole denominate �regione determinata
�. 
14. -Il n. 2 dei medesimi articoli dispone: 
�Ciascuna regione determinata forma oggetto di una delimitazione 
precisa, per quanto possibile in base alla parcella o all'appezzamento vitato. 
Tale delimitazione che � effettuata da ciascuno degli Stati membri 
interessati tiene conto degli elementi che contribuiscono alla qualit� dei 
vini prodotti in detta regione e in particolare della natura del terreno e del 
sottosuolo, del clima e della situazione delle parcelle e degli appezzamenti 
vitati �. 

15. -Per quanto riguarda la localizzazione delle operazioni di vm1ficazione 
rispetto alle �regioni determinate� di produzione, gli artt. 6, 
n. 2, del regolamento n. 823/87 e del precedente regolamento n'. 338/79 hanno 
posto la regola secondo la quale la trasformazione delle uve in mosti 
e del mosto in VQPRD, come pure la vinificazione dei VSQPRD dovrebbero, 
in linea di massima, aver luogo solo all'interno della regione determinata. 
Come emerge dalla motivazione del regolamento n. 823/87, questa 
regola � stata emanata allo scopo di conservare il carattere tipico dell'origine 
di ciascun vino e nell'intento di agevolare il compito dei servizi di 
controllo. 
16. -Le medesime disposizioni ammettono tuttavia, in deroga alla 
regola precedentemente posta, che le operazioni di vinificazione possono 
aver luogo all'esterno della regione determinata: 
a) se la legislazione dello Stato membro nel cui territorio le uve 
sono state raccolte lo autorizza e 
b) se � garantito un controllo della produzione. 

17. -Le condizioni alle quali gli Stati membri possono, su questa 
base, autorizzare deroghe, debbono essere stabilite conformemente al 
n. 3 degli artt. 6 del regolamento n. 823/87 e del precedente regolamento 
n. 338/79, dalla Commissione o, se del caso, dal Consiglio, secondo la 
procedura detta del �comitato di gestione�, definita, per l'applicazione 
di ciascuno di questi regolamenti, dall'art. 83 del regolamento n. 822/87 
e dall'art. 67 del regolamento (CEE) del Consiglio 5 febbraio 1979, n. 337, 
relativo all'organizzazione del mercato vitivinicolo (G.U. n. L 54, pag. 1). 
18. -Nessun regolamento di applicazione � stato emanato sulla 
base delle dette disposizioni. Le condizioni in base a cui gli 'Stati membri 
possono derogare alla regola della localizzazione delle operazioni di 

214 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

vinificazione all'interno delle regioni determinate sono, per contro, precisate 
nel regolamento (CEE) della Commissione 25 agosto 1970, n. 1698, relativo 
a deroghe concernenti l'elaborazione dei vini di qualit� prodotti in 
regioni determinate (G.U. n. L 190, pag. 4). 

19. -Il regolamento n. 1698/ 70 � stato adottato sulla base dell'art. 5, 
n. 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 28 aprile 1970, n. 817, che stabilisce 
disposizioni particolari relative ai vini di qualit� prodotti in regioni 
determinate (G.U. n. L 99, pag. 20), abrogato con regolamento n. 338/79. 
20. -Il disposto dell'art. 5, n. 2, del regolamento n. 817/70 � identico 
nella sostanza a quello degli artt. 6, n. 2, dei regolamenti nn. 823/87 e 
338/79. Il regolamento n. 1698/70 � stato predisposto secondo una procedura 
identica a quella contemplata dai detti regolamenti. Infine, nulla 
consente di rilevare una discordanza tra le disposizioni del regolamento 
n. 1698/70 pertinenti al caso di specie e norme comunitarie successive. 
21. -Ci� considerato, il regolamento n. 1698/70 deve essere ritenuto 
pertinente e va considerato come l'atto normativo che dispone le modalit� 
di applicazione dell'art. 6, n. 2, del regolamento n. 823/87, finch� non sar� 
intervenuto un nuovo atto normativo, o, se del caso, dell'art. 6, n. 2, del preI 


cedente regolamento n. 338/79. 

I

22. -Si deve precisare che il regolamento n. 1698/70 � stato emanato 
quando i VSQPRD non costituivano una categoria di vini distinta dai 
VQPRD. Va pertanto riconosciuto che le disposizioni di questo regolamenI 


to si applicano indistintamente ai VQPRD e ai VSQPRD. 

I 

fil 

23. -Dal regolamento n. 1698/70 risulta che le deroghe che possono 
I 
~ 

essere concesse dagli Stati membri sono subordinate a condizioni molti 
to severe. Da una parte, le operazioni di vinificazione possono aver luogo 
all'esterno della regione determinata solo dietro autorizzazione dell'ente 
competente dello Stato membro produttore e possono essere effettuate 
solo in uno stabilimento del vinificatore situato nelle immediate vicinanze 
della regione determinata; d'altra parte, le uve e i mosti destinati all'elaborazione 
dei VQPRD e dei VSQPRD debbono essere conservati separatamente 
rispetto alle altre uve e agli altri mosti ed essere facilmente 
identificabili. Inoltre, le persone fisiche o giuridiche che producono uve 

o mosti d'uva, cos� come quelle che li trasformano in vino, debbono tenere 
dei registri da cui risultino con precisione i movimenti dei prodotti. 
lnfine, lo Stato membro interessato deve garantire un controllo di dette 
operazioni. 
24. -Gli Stati membri possono, di conseguenza,. derogare alla regola 
stabilita dagli artt. 6, n. 2, del regolamento n. � 823/87 e del precedente 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

regolamento n. 338/79, solo nei limiti in cui la normativa di deroga da 
essi emanata risponda ai requisiti del regolamento n. 1698/70. 

25. -Poich� il sig. A. Bagli Pennacchiotti ha distinto, dinanzi alla 
Corte, le operazioni di vinificazione dal semplice immagazzinamento, va 
precisato che gli artt. 6 dei regolamenti nn. 823/87 e 338/79 e del regolamento 
n. 1698/70 sarebbero resi praticamente inefficaci se fossero interpretati 
nel senso che non si applicano all'immagazzinamento dei prodotti 
in corso di vinificazione. La libert� di immagazzinare prodotti all'esterno 
delle regioni determinate, che una simile interpretazione implicherebbe, 
non consentirebbe pi� di controllare l'autenticit� dei vini considerati e si 
porrebbe contro lo scopo perseguito. Inoltre, tale interpretazione violerebbe 
l'art. 3 del regolamento n. 1698/70, che disciplina le condizioni per 
l'immagazzinamento all'esterno delle regioni determinate di produzione. 
26. -Le sopracitate disposizioni debbono pertanto essere interpretate 
nel senso che si applicano all'insieme delle operazioni, immagazzinamento 
compreso, riguardanti i prodotti in corso di vinificazione che non 
hanno ancora acquisito la qualit� di VQPRD o di VSQPRD. 
27. -Si deve pertanto risolvere la questione pregiudiziale sollevata 
dichiarando che il regolamento (CEE) del Consiglio 16 marzo 1987, n. 823, 
contenente disposizioni particolari per i vini di qualit� prodotti in regioni 
determinate, cos� come il precedente regolamento (CEE) del Consiglio 
5 febbraio 1979, n. 338, debbono essere interpretati nel senso che impongono 
che tutte le operazioni o tutti gli immagazzinamenti relativi a prodotti 
in corso di vinificazione che non hanno ancora acquisito la qualit� 
di VQPRD o di VSQPRD abbiano luogo all'interno della regione determinata 
di produzione, mentre gli Stati membri possono derogare a tale 
regola solo nei limiti e alle condizfoni stabilite dagli artt. 6, n. 2, di detti 
regolamenti e dal regolamento della Commissione 25 agosto 1970, n. 1698, 
relativo a deroghe concernenti l'elaborazione dei vini di qualit� prodotti 
in regioni determinate (omissis). 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA CIVILE, 
GIURISDIZIONE E APPALTI 


CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 14 febbraio 1990, n. 1102 -Pres. Zucconi 
Galli Fonseca -Rel. Senese -P. M. Di Renzo -S.p.A. Editrice La 
Stampa (avv. Pace e Pastore) nonch� Federazione Italiana Editori di 
giornali (avv. Pace) c. Consiglio Nazionale dell'Ordine dei giornalisti 
(avv. Scoca), Ministero di Grazia e giustizia (avv. Stato Ferri), Solavaggione 
Sergio (avv. Agostini). 

Stampa -Tele-cine-foto operatori � Iscrizione nel registro dei giornalisti � 
Ricorso dell'editore di giornale contro il regolamento e le delibere di 
iscrizione in quanto atti applicativi � Giurisdizione amministrativa. 

Stampa � Tele-cine-foto operatori � Iscrizione nel registro dei giornalisti . 
Interesse dell'editore a non veder modificato il contenuto del rapporto 
di lavoro � Diritto soggettivo. 

Stampa. � Provvedimento di iscrizione nel registro dei giornalisti � Impugnazione 
del terzo � Esclusione � Questione non manifestamente 
infondata di costituzionalit�. 
(legge 3 febbraio 1963 n. 69, artt. 60, 62, 63, 64; d.P.R. 191uglio 1976, n. 649, art. l; Cost., 

artt. 24, 113). 

Ha natura di interesse legittimo e come tale appartiene alla giurisdizione 
del giudice amministrativo la situazione giuridica sostanziale dedotta 
in giudizio dalla Federazione Italiana Editori di giornali e da alcuni edi


tori di giornali con l'impugnazione del d.P.R. 19 luglio 1976 n. 649 e relative 
delibere applicative che, modificando il regolamento di esecuzione 
della legge 3 febbraio 1963 n. 69 sull'ordinamento della professione di giornalista, 
consente l'iscrizione dei tele-cine-foto operatori nel registro dei 
giornalisti (1). 

(1-3) La sente.ma di primo grado (TAR Lazio 14 setitembre 1981, n. 678), 
che dichiar� neHa fatt1specie la giurisdizione del[ giudice amministriatJivo, � 
pubbLicata in Foro it. 1982, III, 126, mentre la sentenza cassata (Cons. di Stato 
16 dicembre 1983, n. 945), che neg� la gforisdizione ammirastrati.va affermando 
che 1a controversia attiene ad uno status priofessionale in relazione al quale 
gli interessati vantano un di.ritto soggettivo, si legge in Riv. amm. 1984, 163, 
con nota di !ARIA. 

Le Se:lliond Unite nel fare il punto su!lila giumsdizfone, analizzano i1 principio 
del c.d. �effetto caduoante � deH'annuHamento del regolamento dal quale 
deriverebbe l'automatico travolgimento deg1i atti applicativi del regolamento 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 217 

Ha natura di diritto soggettivo -suscettibile di essere inciso dall'atto 
amministrativo di iscrizione del lavoratore dipendente nel registro 
dei giornalisti -l'interesse patrimoniale dell'editore di giornale a non 
veder modificato il contenuto del rapporto di lavoro a seguito della modifica 
della natura della prestazione in esso dedotta, con la conseguente modifica 
della prestazione retributiva (2). 

Non � manifestamente infondata la questione di legittimit� costituzionale 
del combinato disposto degli artt. 1, 26 ss., 60, 62, 63 e 64 legge 3 
febbraio 1963, n. 69, in connessione con gli artt. 806 e 819 c.p.c., 19 c.p.p., 
28 e 30 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, 7, 3� comma, legge 6 dicembre 1971, 

n. 1034, nella parte in cui, letti in correlazione, escludono che il terzo, 
la cui posizione giuridica sia incisa dal provvedimento di iscrizione nel 
registro dei giornalisti, possa impugnare (o contestare la legittimit� chiedendo 
la disapplicazione di) tale provvedimento dinanzi ad una qualsiasi 
istanza giurisdizionale, in relazione agli artt. 24, 1� comma e 113, 2� comma, 
Cost. (3). 
(omissis) 4. Giova premettere che, secondo quanto accennato in narrativa, 
dinanzi al giudice amministrativo sono state proposte due distinte 
impugnazioni: la prima, avente ad oggetto l'atto regolamentare costituito 
dal d.P.R. n. 649/1976; la seconda, avente ad oggetto i puntuali provvedimenti 
d'iscrizione (nonch� una serie di atti preparatori facenti parte della 
serie procedimentale sboccata in tali provvedimenti) di alcuni tele-cine-foto 
operatori nel registro dei praticanti giornalisti. 

Le due impugnazioni (o serie d'impugnazioni), ancorch� proposte 
con un unico ricorso cumulativo, erano state nettamente distinte dalla 
ricorrente societ� editrice La Stampa (e dall'interveniente Fieg) tanto nella 
formulazione del petitum quanto nell'indicazione dei motivi, dei quali, 
gli ultimi tre si riferiscono esclusivamente a pretesi vizi di legittimit� del 
regolamento, mentre i primi quattro prescindono da tale illegittimit� e 
si appuntano su pretesi vizi del procedimento d'iscrizione, astrattamente 
rilevanti ex se indipendentemente dalla legittimit� dell'atto regolamentare 
presupposto (iscrizione senza la prescritta dichiarazione del direttore 
comprovante l'effettivo inizio della pratica; ammissione all'esame di cultura 
generale in assenza di tale dichiarazione; travisamento di fatti in 
ordine a tale requisito; iscrizione senza l'effettivo inizio della pratica). 

annu1lato (nella specie le delibere di iscrizione nel registm dci giornalisti). 
Sotto1ineando che questa � 1a pmma volt!a ohe detto principio viene saggiato 
riguardo ad atti la cui impugnazione � affidata a diversi complessi di giurisdizione, 
la Corte afferma che :iJl principio non oostituisce � la tradiumone dommatica 
di norme o precetti dell'ordinamento g&uddmco >>, bens� mera �soluzione 
pratica� e1aborata dai giuidioi amm1nistmtiw. 

Sul punto si rinvia alle osserv.aziond di C. M. BARONE iin Foro it. 1990, I, 853 
a commento della stessa sentenza. (F.S.) 



218 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Diverse risultavano anche le autorit� che avevano emanato gli atti 
distintamente impugnati: un organo centrale dello Stato per l'atto regolamentare; 
il Consiglio interregionale Piemonte/Valle d'Aosta dell'ordine 
dei giornalisti per i provvedimenti d'iscrizione (e loro atti preparatori): 

tanto che, in ragione di tale diversit� e della diversa efficacia territoriale 
degli atti impugnati, il Consiglio di Stato, in sede di regolamento di competenza, 
aveva affermato la competenza territoriale del TAR del Lazio. 

Diverso, infine, il petitum (e, quindi, l'oggetto della materia del contendere): 
nell'un caso, rappresentato dall'annullamento, con efficacia 
erga omnes, delle norme generali ed astratte poste dall'atto regolamentare 
(e non gi� dalla loro mera disapplicazione, come mezzo al fine della 
demolizione degli atti applicativi); nell'oaltro, rappresentato dall'annullamento 
dei provvedimenti di accertamento costitutivo di status in capo 
agli aspiranti giornalisti in epigrafe indicati. Correlativamente, diverse anche 
le posizioni giuridiche soggettive dedotte a sostegno delle distinte impugnazioni, 
per il differente grado d'incidenza dei diversi atti impugnati 
sulla sfera giuridica dei ricorrenti, rispetto alla quale il regolamento, 
da un lato, e gli atti d'iscrizione, dall'altro, si configurano come �distinti 
episodi della vita� in diverso modo e misura per essa rilevanti e su 
di essa incidenti. 

Peraltro, le due (serie di) impugnazioni si presentavano connesse, 
in quanto i provvedimenti applicativi sono stati ritenuti, in conformit� 
di un consolidato indirizzo �della giurisprudenza amministrativa, elementi 

I 

necessari (e sufficienti) ad integrare l'attualit� degli interessi fatti valere 
attraverso l'impugnazione diretta dell'atto regolamentare. 
Deve riconoscersi che trattasi di una connessione penetrante e particolare, 
in quanto gli atti applicativi non soltanto si presentano come 

Ielementi costitutivi dell'attualit� dell'interesse a ricorrere contro il regolamento 
ma rappresentano, a loro volta, atti astrattamente idonei ad 
incidere sullo stesso ambito d'interessi sostanziali toccato dal regolamento 
coinvolgendo (almeno per quanto concerne la ricorrente societ� editrice) 
posizioni giuridiche soggettive aventi consistenza di diritti (v. infra 

n. 
8). 
Siffatto particolare rapporto di connessione, tuttavia, non autorizza 
il giudice a risolvere l'una impugnazione nell'altra, anche perch� -mentre 
la legge sottrae al giudice amministrativo, per affidarlo ad un organo 
specializzato dell'AGO, il potere di annullare il provvedimento applicativo 
(v. infra n. 8) -la competenza giurisdizionale a pronunciare 
l'annullamento del regolamento appartiene indubbiamente al giudice naturale 
degli interessi legittimi. 

5. Un tale � assorbimento � dell'una impugnazione nell'altra � stato, 
invece, operato dal TAR del Lazio, allorch� -dopo aver (correttamente, 
come meglio si vedr�) affermato la giurisdizione del giudice amministrati

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

vo a conoscere dell'impugnazione diretta del regolamento e dopo aver 
giudicato fondata nel merito la stessa impugnazione, annullando di conseguenza 
l'atto regolamentare -ha ritenuto di dover dichiarare contestualmente 
caducati i singoli provvedimenti attuativi, in applicazione del 
principio (di derivazione giurisprudenziale ed oggetto di vivace dibattito 
in dottrina) del c.d. � effetto caducante � dell'annullamento del regolamento 
sugli atti ad esso conseguenziali. 

Per tale via, lo stesso TAR ha sostanzialmente �demolito� una serie 
di provvedimenti, in relazione ai quali pure esso aveva riconosciuto 
�la competenza (con potere d'annullamento) del giudice ordinario a 
conoscere della legittimit�� degli stessi �da qualunque soggetto interessato 
l'azione sia proposta �. 

Ma la medesima operazione, sia pure in termini rovesciati, ha compiuto 
il Consiglio di Stato, con risultati non meno squilibranti sul 
riparto di giurisdizione ed addirittura sulla stessa tutela giurisdizionale 
delle posizioni giuridiche soggettive, allorch� -con la decisione impugnata 
-ha sostanzialmente fatto refluire l'autonoma impugnazione del 
regolamento in quella dei puntuali provvedimenti adottati in applicazione 
di esso, affermando che la norma regolamentare doveva ritenersi � impugnata 
come atto presupposto dei provvedimenti applicativi� e declinando 
la giurisdizione amministrativa in ordine a tutte le impugnazioni in esame 
sul rilievo che la competenza giurisdizionale a conoscere delle controversie 
in materia d'iscrizione e cancellazione nei registri professionali 
dei giornalisti appartiene al giudice specializzato di cui all'art. 63 L. 

n. 69/1963. 
Per tale via -mentre il TAR del Lazio aveva indebitamente esteso 
l'area della giurisdizione amministrativa sino a farvi rientrare la demolizione 
di provvedimenti annullabili solo dal giudice ordinario specializzato 
-il Consiglio �di Stato ha ristretto l'area della stessa giurisdizione 
amministrativa interdicendole la cognizione delle controversie aventi 
ad oggetto l'annullamento del regolamento; cos� sottraendo a qualsiasi 
istanza giurisdizionale tali controversie, posto che -come lo stesso 
Consiglio di Stato riconosce -il giudice, in ragione della cui esclusiva 
competenza giurisdizionale esso ha declinato in toto la propria, potrebbe 
solo disapplicare il regolamento impugnato ma non annullarlo. 

Un tale rilievo, per vero, non � sfuggito alla decisione impugnata, la 
quale per� -come ricordato in narrativa -ha ritenuto di poterlo superare 
osservando: 

a) che si tratterebbe solo di un inconveniente, in quanto tale non 
decisivo per disattendere le esplicite indicazioni desum~bili dagli artt. 63 e 
segg. L. n. 69/1963. 

b) che una soluzione diversa da quella ritenuta porrebbe in crisi 
principi fondamentali del sistema della giustizia amministrativa. 


220 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Sa. In contrario,. � da rilevare -quanto alla prima delle due ragioni 
suindicate -che il noto principio ermeneutico, secondo cui l'addurre 
gli inconvenienti derivanti da una data interpretazione della legge non 
costituisce valido argomento per disattendere tale interpretazione, non 
pu� trovare applicazione allorch� � l'inconveniente � addotto riguardi il 
contrasto della norma (risultante dall'interpretazione adottata) con pre� 
cetti della Costituzione. In tal caso, in realt�, non gi� d'inconvenienti 
(pratici) si tratta ma d'invalidit� del prodotto normativo cos� come 
ricostruito attraverso l'attivit� dell'interprete. 

E, nella specie, il risultato interpretativo cui � pervenuto il Consiglio 
di Stato, tanto quanto sottrae a qualsiasi giudice l'impugnazione diretta 
del regolamento, intesa all'annullamento di esso con efficacia.erga omnes, 
si rivela in contrasto con glri artt. 24/1 e 113/2 Cost. perch� preclude 
alle ricorrenti la possibilit� di agire in giudizio per la tutela di annullamento 
del prioritario interesse legittimo in ipotesi inciso dall'atto re� 
golanientare, limitando la tutela di detto interesse alla sola possibilit� 
di ottenere la disapplicazione del regolamento in via incidentale da 
parte del giudice ordinario (specializzato o meno). 

D'altro canto, la sussistenza in capo alle ricorrenti di un interesse 
differenziato e qualificato in relazione alle norme che disciplinano lo 

~ 

status dei giornalisti e pubblicisti -gi� affermato con puntuale moti~ 
vazione dalla ricordata decisione n. 576/1977 del TAR del Lazio, ribadito J 
dallo stesso giudice nella successiva decisione n. 678/1981 -non � posta in 
questione dalla decisione impugnata, la quale .anzi sembra presupporla. 


I 

N� i resistenti hanno contestato in questa sede la sussistenza di un 
tale interesse, se si eccettua il Consiglio nazionale dell'ordine che, solo 
in memoria, ha riportato ampi stralci di uno scritto di dottrina ove 

I si sostiene, tra l'altro, che gli editori (e le loro associazioni di categoria) 
sono portatori di un mero interesse di fatto rispetto all'assetto della 
professione giornalistica. Il che, se fosse esatto, escluderebbe l'accen� 
nato contrasto tra l'interpretazione adottata dal Consiglio di Stato e 
le norme della Costituzione. 

Ma, in contrario, queste sezioni unite, sostanzialmente facendo propria 
la concorde posizione espressa sul punto dai vari organi della 
giustizia amministrativa che hanno pronunciato in questa vicenda, riten� 
gono che non sia possibile disconoscere che la legge n. 69/1963, nell'isti� 
tuire l'Ordine dei giornalisti e nel disciplinarne la tenuta, prenda in con� 
siderazione anche l'interesse materiale degli editori di giornali (e delle 
loro associazioni di categoria). Ci�, sia perch� tra i profili di pubblico 
interesse soddisfatti dalla legge v'� anche quello inerente all'osservanza 
dei canoni di deontologia professionale del giornalista, che coinvolge 
l'interesse di chi della prestazione di lavoro giornalistico sia creditore: 
sia e soprattutto perch� la finalit� di associare i giornalisti �in un 
organismo che, nei confronti del contrapposto potere economico dei 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

datori di lavoro, possa contribuire a garantire il rispetto della loro personalit� 
e quindi della loro libert� (Corte Cost. n. 11/1968), lungi dall'escludere 
dal proprio orizzonte l'interesse degli editori, siccome contrastante 
con detta finalit�, lo chiama ancora una volta in causa connettendolo, 
sia pure dialetticamente, al potere pubblico, che di tale interesse 
deve costituire remora e misura, attraverso la garanzia che tale 
funzione di limite si dispieghi nell'alveo ed in conformit� dei precetti 
posti dalla legge. 

Per vero, lo stesso controricorrente Consiglio nazionale dell'Ordine 
sembra avvertire la insostenibilit�, sul piano della legalit� costituzionale, 
della soluzione ritenuta .dalla decisione impugnata, tanto da� tentarne 
un'interpretazione adeguatrice a tenore della quale � il giudice di cui 
all'art. 63... se investito della cognizione della � questione >>, ove riconosca 
l'illegittimit� dei regolamenti, li pu� e li deve disapplicare, mm trattandosi 
di atti dell'autorit� tenuta alla gestione dell'albo. A seguito di tale, 
eventuale, declaratoria d'illegittimit�, ove l'amministrazione non si � conformi 
� al giudicato, l'interessato potr� fare ricorso al giudizio di ottemperanza, 
dato che la legge n. 69/1963 prevede l'annullamento dei soli atti 
applicativi �. 

Ma la tesi adombrata -se vale ad evitare l'obiezione d'illegittimit� 
di un sistema normativo che sottragga irrimediabilmente alla tutela di 
annullamento un atto regolamentare (posto che il terzo potrebbe, secondo 
la surriportata prospettazione, ottenere pur sempre la demolizione 
del regolamento, in ipotesi illegittimo, anche se attraverso un 
tortuoso percorso processuale) -non � per� conforme a diritto, dal 
momento che, a parte ogni altra considerazione, il giudizio di ottemperanza 
non � azionabile in presenza (non gi� di un giudicato sulla 
lesione di un diritto ad opera dell'atto amministrativo), ma di un mero 
accertamento incidentale dell'illegittimit� di questo. 

Da quanto sin qui precisato, discende che il Consiglio di Stato, a 
fronte del fondato rilievo che la soluzione adottata finiva col tradursi 
in una violazione di garanzie costituzionali, aveva soltanto l'alternativa 
tra il tentare una diversa ricostruzione della volont� legislativa ovvero, 
ove ci� non fosse stato giudicato possibile, rimettere all'esame della 
Corte costituzionale il congiunto normativo ritenuto suscettibile di 
quella sola interpretazione. 

Sb. Le medesime considerazioni sopra svolte valgono anche per 
la seconda delle due ragioni offerte dalla decisione impugnata alfine 
di superare il rilieyo in esame, e cio� la crisi �di principi fondamentali 
del sistema di giustizia amministrativa che deriverebbe da qualsasi soluzone 
diversa da quella ritenuta. Qui, anzi, l'unica strada percorribile esclusa 
la prevalenza dei � principi fondamentali � sulle garanzie costituzionali, 
implicitamente affermata dal giudice a quo -sembrerebbe la 


222 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sottoposizione al giudice delle leggi del congiunto normativo cui tali 
principi fondamentali si connettono. 

Se. Senonch�, prima di sollevare un incidente inteso ad eliminare 
dal mondo dei valori giuridici norme ed istituti non irragionevoli, il 
giudice non pu� esimersi dal dovere di verificare per via ermeneutica 
se quelle norme e quegli instituti non consentano una diversa interpretazione 
(cfr., tra le ultime, Corte cost. n. 36/1984). 

Al riguardo, la decisione impugnata non specifica quali siano i principi 
fondamentali che una diversa soluzione porrebbe in crisi. Dal controricorso 
del Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti sembrerebbe 
che il momento di crisi consista in ci� che, a seconda che l'impugnazione 
delle delibere del Consiglio dell'Ordine dei giornalisti si accompagni 
oppure no all'impugnazione anche del regolamento, la competenza giurisdizionale 
a conoscere di tale impugnazione, e quindi all'eventuale 
annullamento delle delibere, spetterebbe al giudice amministrativo ovvero 
a quello ordinario. Ci� in quanto, riconoscendo al primo la giurisdizione 
sull'impugnazione del regolamento, l'eventuale annullamento di questo 
comporterebbe, per effetto della cd. � caducazione automatica�, anche 
l'annullamento delle delibere. Assetto, questo, che introdurrebbe �un 
cuneo nell'unitariet� della giurisdizione voluta dal legislatore �. 

Ora, a parte la sottolineatura della particolare inaccettabilit� di 
un riparto di giurisdizione �mobile�, che affida la cognizione della medesima 
controversia ora all'uno ed ora all'altro complesso di organi 
giurisdizionali in funzione dell'estrinseca circostanza che l'impugnazione 
di un atto si accompagni o meno a quella di un diverso atto, la critica 
di cui sopra -pienamente condivisibile -si risolve nella critica della 
soluzione adottata dal primo giudice, a fondare la quale � sufficiente il 
disposto dell'art. 63 L. n. 69/1963 che affida alla cognizione di sezioni 
specializzate dell'AGO le controversie nascenti dall'impugnazione di delibere 
�d'iscrizione o cancellazione nel registro dei giornalisti. 

V'� per� da chiedersi se la soluzione adottata dal TAR Lazio rappresenti 
l'unica alternativa a quella ritenuta dalla decisione impugnata. 
E cio� se l'ordinamento non additi una strada diversa da quelle, pur 
opposte, seguite rispettivamente dal TAR e dal Consiglio di Stato, strada 
idonea ad evitare sia la violazione del riparto di giurisdizione esplicitamente 
affermato in materia dal legislatore sia la violazione di precetti 
costituzionali. 

6. Viene qui in rilievo il cd. � effetto caducante � dell'annullamento 
del regolamento, in virt� del quale a tale annullamento conseguirebbe 
!!automatico travolgimento delle delibere adottate in base al regolamento 
stesso. 
Trattasi di una costruzione della giustizia amministrativa che -af


facciata nella decisione 19-10-1955 n. 17 dell'Adunanza plenaria del Con


,. ! 

liiitBC~~ 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

siglio di Stato -� stata successivamente ripresa e puntualizzata (cfr. in 
particolare Cons. di Stato Ad. plen. 27-10-1970, n. 4; 21-10-1980, n. 37; 
9-3-1983 n. 1), s� da poter essere considerata un �principio� della giustizia 
amministrativa. 

Tale � principio �, peraltro, secondo quanto gi� avvertito, non � assistito 
da unanime consenso in dottrina, ch� anzi autorevoli esponenti 
di questa contestano in radice che possa configurarsi un automatico 
� effetto caducante � di annullamento di atti amministrativi � nei confronti 
di atti che non abbiano formato oggetto di uno specifico provvedimento 
di. caducazione �. Ed anche tra quanti inclinano a riconoscere 
l'astratta possibilit� di un tale effetto, non v'� concordia di opinioni 
nell'individuazione del discrimine tra gli atti conseguenziali che sarebbero 
travolti dall'annullamento dell'atto presupposto e gli atti conseguenziali 
rispetto ai quali tale annullamento provocherebbe solo un effetto invalidante 
o viziante (da far valere con distinta impugnazione) ma non la 
caducazione automatica. 

Aggiungasi che, nella prima decisione con la quale l'Adunanza plenaria 
del Consiglio di Stato fece applicazione del �principio� (A.P. 

n. 17/1955 cit.), la fattispecie riguardava gli atti di una medesima serie 
procedimentale, nella quale l'atto conseguenziale �caducato � si presentava 
vincolato all'atto annullato (che di quello costituiva l'unico presupposto) 
da un nesso strettissimo (si trattava del nesso corrente tra approvazione 
della graduatoria di un concorso e atto di nomina def vin� 
citori), e che, nella successiva decisione n. 4/1970, la stessa Adunanza plenaria 
ebbe a convenire sull'esigenza di porre un limite all'estensione del 
principio dell'� effetto caducante �, accettando al riguardo la distinzione 
tra � invalidit� derivata ad effetto caducante � ed � invalidit� derivata 
ad effetto meramente viziante �. 
Tutto ci� dimostra che il preteso principio dell'� effetto caducante � 
dell'annullamento dell'atto presupposto, lungi dal costituire la traduzione 
dommatica di norme o precetti dell'ordinamento giuridico, rappresenta 
piuttosto una soluzione pratica (ancora in via di elaborazione) offerta 
dai giudici amministrativi rispetto a problemi posti dal funzionamento 
della giustizia amministrativa (e che involgono questioni diverse 
da quella in esame, quale ad es. l'ammissibilit� di un'impugnazione 
dell'atto presupposto in mancanza della impugnazione dell'atto conseguenziale). 


Mai, comunque, prima della vicenda in esame, il preteso e contrastato 
principio � stato saggiato con riferimento ad atti la cui impugnazione 
sia affidata a diversi complessi di organi giurisdizionali. 

S� che deve concludersi che -quale che sia la sistemazione pi� appropriata 
della suindicata soluzione pratica nell'ambito del funzionamento 
della giustizia amministrativa -le elaborazioni al riguardo formulate 
non possono essere invocate per eludere i precetti di legge in 


224 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

materia di riparto della giurisdizione o per alterare i risultati cui l'applicazione 
di tali precetti conduce e che, pertanto, in presenza dell'impugnazione 
di un atto presupposto, che la legge affidi alla cognizione del 
giudice amministrativo, e della cumulativa impugnazione di un atto 
conseguenziale, la cui cognizione sia dalla legge riservata all'AGO, il 
giudice deve applicare i precetti relativi all'attribuzione della competenza 
giurisdizionale in relazione ai diversi oggetti della materia del contendere, 
senza alterare il funzionamento di tali regole attraverso l'impropria 
estensione di soluzioni pratiche elaborate all'interno dell'uno o 
altro complesso giurisdizionale e con riferimento a problemi che in 
tale ambito si pongono. 

Pertanto, egli affermer� la giurisdizione del giudice amministrati. 
vo rispetto alla prima impugnazione e quella dell'AGO rispetto alla 
seconda. 

Siffatto criterio, applicato al caso di specie, mentre per un verso 
si rivela aderente alle norme che regolano il riparto di giurisdizione in 
materia, per altro verso offre una soluzione che sfugge al rilievo di incostituzionalit� 
nel quale incorre la soluzione adottata dalla decisione 
impugnata (v. supra sub Sa e Sb). 

I

7. N� ci� ferir� il principio dell'unit� della giurisdizione, poich� tale 
principio (nei limiti in cui � accolto dal nostro ordinamento) non esclui
@I

de che, allorch� da una medesima vicenda nascano pretese diverse e 
queste siano azionate cumulativamente, la competenza giurisdizionale in 
relazione a tali diverse pretese possa spettare a due diversi ordini di 
giurisdizione, i rapporti tra i quali troveranno disciplina nei principi di 
separazione-coordinamento che, in via generale, regolano tali rapporti. 

iIPrincipi, dalla cui applicazione trover� risposta anche il problema sollevato 
dal controricor�rente Consiglio nazionale dei giornalisti circa le 
reciproche influenze dei due giudizi nell'ipotesi in cui siano simultaneamente 
proposte, dinanzi al giudice amministrativo, l'impugnazione del 
regolamento e, dinanzi al giudice ordinario, l'impugnazione delle delibere 
d'iscrizione. 

Infine, non sembra obiezione decisiva all'ordine d'idee qui accolto 

il rilievo che, per tale via, si rischia di ridurre il compito del giudice 

dell'impugnazione degli atti attuativi ad � un giudizio solo formale e 

apparente�, perch� la decisione sarebbe insita nel giudicato del giudice 

che ha conosciuto dell'impugnazione del regolamento. Invero, nell'ipotesi 

sottesa a tale obiezione, il compito del giudice, dinanzi al quale venga 

impugnata la delibera d'iscrizione dopo l'eventuale annullamento del 

regolamento (salvo quanto si dir� a proposito di tale giudice infra sub 8), 

non � diverso da quello cui � chiamato (ogni volta che non si ritenga 

operante la caducazione automatica) il giudice dell'atto applicativo nel


l'ipotesi d'illegittimit� derivata di questo per effetto dell'annullamento 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

dell'atto presupposto. Pi� in generale, � a dire che il preteso inconveniente 
(che qui di tanto si tratta) ricorrerebbe in tutti i casi di rapporti 
di pregiudizialit� corrente tra giudizi affidati a diverse competenze giurisdizionali 
o a diversi giudici dello stesso complesso giurisdizionale. 

Deve pertanto affermarsi che, nella fattispecie in esame, la questione 
di giurisdizione, relativa all'impugnazione del regolamento, va risolta 
sulla base della natura della situazione giuridica soggettiva dedotta in 
causa attraverso tale impugnazione ed indipendentemente dalla soluzione 
da riservarsi alla questione di giurisdizione insorgente nella connessa 
controversia avente ad oggetto l'impugnazione delle delibere di 
iscrizione. E poich�, secondo quanto sopra precisato (sub Sa), la posizione 
sostanziale dedotta in causa dalle ricorrenti, attraverso l'impugnazione 
diretta del regolamento, � una posizione d'interesse legittimo 
(al di l� della prospettazione offertane dalle parti), deve dichiararsi che 
la competenza giurisdizionale a conoscere di tale impugnazione spetta 
al giudice amministrativo; per tale parte accogliendo i ricorsi e cassando 
la decisione impugnata. 

8. Diverso discorso � a farsi per ci� che attiene all'impugnazione 
delle delibere d'iscrizione. 
Le ricorrenti non contestano che la legge demandi alla competenza 
dei tribunali civili e delle Corti d'appello, in composizione allargata a 
due giornalisti nominati dal presidente della stessa Corte d'appello, la 
cognizione delle controversie in materia d'iscrizione e cancellazione negli 
albi e registri professionali dei giornalisti (art. 63 L. n. 69/1963). Sostengono 
tuttavia che una tale competenza riguarderebbe soltanto le controversie 
interne all'ordinamento professionale che oppongono l'aspirante 
giornalista (o praticante) all'Orcdine e/o al pubblico ministero (portatore 
del pi� generale interesse pubblico all'ordinato e corretto svolgimento 
della vita dello stesso Ordine professionale), e non si estenderebbe 
alle controversie di cui sia parte un terzo, estraneo alla vita dello 
stesso Ordine e tuttavia inciso nella propria sfera giuridica dai provvedimenti 
da quest'ultimo adottati. La posizione giuridica di tale terzo 
non potrebbe essere tutelata dinanzi al giudice indicato dall'art. 63 cit. 

L. n. 69/1963, cos� come ritenuto dalla decisione impugnata, ma dovrebbe 
trovare tutela dinanzi al giudice amministrativo ovvero a quello 
ordinario a seconda che in essa si ravvisi una consistenza d'interesse legittimo 
ovvero di diritto soggettivo, eventualmente riconoscendo in quest'ultimo 
caso il potere del giudice ordinario di disapplicare la delibera 
d'iscrizione in ipotesi illegittima oltrech� lesiva dei diritti del terzo. 
La tesi non � condivisibile alla stregua della normativa vigente. 

Invero, non par contestabile che, secondo tale normativa (ed in 
particolare la citata legge n. 60 del 1963), il provvedimento d'iscrizione 
del giornalista (o del praticante) nel relativo registro si configuri come 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

226 

atto amministrativo di accertamento costitutivo di uno status professionale 
(cfr. S.U. n. 6252/1981 e giurisprudenza ivi richiamata, cui adde con 
riferimento generale all'iscrizione di un professionista nel relativo 
albo -S.U. n. 3675/1982 e, con specifico riferimento all'iscrizione dei 
giornalisti, Cass. 3849/1984; 109/1987). 

Da tale natura e funzione del provvedimento d'iscrizione all'albo, 
discendono le conseguenze che la legge ricollega alle controversie relative 
alle questioni di stato, tra le quali l'esclusione di un accertamento 
incidentale senza efficacia di giudicato (artt. 806 e 819 cpc, 19 cpp, 28 
e 30 T.U. leggi sul Consiglio di Stato: cfr. Cass. 2220/1980) e la conseguente 
necessit� che tali questioni siano decise, con efficacia di giudicato 
erga omnes, dal giudice all'uopo competente. 

Ulteriore corollario, rispetto ad un tale assetto normativo, � che ove 
la legge individui un particolare organo giudiziario per la soluzione 
delle suindicate controversie -la competenza attribuita a tale organo 
avr� carattere esclusivo. Infatti, l'esigenza di certezza legale che impone 
l'accertamento dello status con efficacia di giudicato nei confronti 
della generalit�, risulterebbe frustrata da una concorrenza di competenze 
a conoscere della relativa questione. 

In particolare, per quanto riguarda lo stato di giornalista, l'art. 63 
della legge n. 69/1963, che tra l'altro conferisce all'AGO il potere di annullare, 
modificare o revocare gli atti impugnati, non pu� non implicare 
sottrazione, nella materia de qua, di qualsiasi competenza giurisdizionale 
al giudice amministrativo. Ma la stessa norma, tanto quanto individua 
per il giornalista il giudice naturale del suo status, esclude anche 
qualsiasi concorrente competenza di altri organi, che implicherebbe la 
possibilit� di modificare lo status del giornalista al di fuori dello speciale 
giudizio all'uopo predisposto dal legislatore. La norma sopra citata, 
infatti, � parte integrante di una legge �sostanziale� attributiva 
di status e, nell'indicare il giudice dinanzi al quale quello status pu� 
essere contestato, al tempo stesso assicura al giornalista che solo da 
quel giudice (e con quel procedimento) il suo status potr� essere modificato. 


Esattamente, pertanto, il Consiglio di Stato ha declinato la giurisdizione 
del giudice amministrativo a conoscere dell'impugnazione delle 
delibere d'iscrizione. 

Meno esattamente, lo stesso giudice ha adombrato in motivazione 
che la competenza giurisdizionale in materia spetterebbe al giudice indicato 
nel citato art. 63. 

Ed invero, tale norma, non soltanto istituisce un giudice specializzato, 
con competenza giurisdizionale esclusiva, ed uno speciale procedimento 
per le controversie in esame, ma indica anche i soggetti legittimati 
all'impugnazione dei relativi provvedimenti; escludendo dal novero 
di tali soggetti il terzo che si ritenga leso dal provvedimento stesso. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

Ci� comporta che la posizione giuridica soggettiva del terzo risulti 
sfornita di tutela giurisdizionale. 

Anzi, secondo il controricorrente Ministero di grazia e giustizia, 
la delimitazione dei soggetti legittimati all'azione ex art. 63 cit. � non 
pu� non riflettere una valutazione legale che nega rilevanza, sui fatti di 
partecipazione all'Ordine, ad ogni altro interesse al di fuori di quelli 
radicati nella persona dell'aspirante giornalista e nella posizione istituzionale 
dell'Ufficio pubblico,,, L'interesse dell'editore di giornali, rispetto 
al provvedimento d'iscrizione, si configurerebbe dunque -secondo 
tale tesi, ripresa anche dagli altri controricorrenti -come interesse 
di mero fatto; in quanto tale, coerentemente sfornito di tutela. 

Ove tale tesi fosse fondata, il ricorso proposto avverso la decisione 
del Consiglio di Stato, per la parte ora in esame, dovrebbe essere rigettato 
non gi� perch� la competenza giurisdizionale a conoscere dell'impugnazione 
delle delibere dell'Ordine dei giornalisti spetti al giudice ordinario 
specializzato di cui al citato art. 63, ma per l'inconfigurabilit� in 
astratto della posizione giuridica soggettiva dedotta dalla ricorrente societ� 
editrice, e cio� per improponibilit� assoluta della domanda, implicante 
che nessun giudice possa conoscere di essa. 

Tale conclusione, tuttavia, non sembra possa essere ritenuta. Per 
la verit�, sin dalla remota sentenza n. 1450/1939 di queste sezioni unite 
(richiamata dalla cit. sentenza n. 6252/1981) � stato affermato che il 
provvedimento d'iscrizione nell'albo dei giornalisti non ha di per s�, 
attitudine a ledere direttamente diritti subiettivi di terze persone, facendosi 
derivare da questa considerazione la giustificazione dell'inimpugnabilit� 
di tale provvedimento dinanzi all'AGO, da parte di terzi, ai sensi 
dell'art. 4 della legge sul contenzioso amministrativo. Siffatta affermazione 
riecheggia anche nella giurisprudenza pi� recente, ed in particolare 
nella sentenza n. 3849/1984 di questa corte, ove si esclude che 
�il diritto soggettivo, derivante dal rapporto del quale lo status costituisce 
elemento della fattispecie, rimanga senza tutela ... poich� tale diritto, 
di per s�, non � suscettibile di essere inciso dall'atto di iscrizione 

o di cancellazione dall'Albo'" A tale affermazione, per�, la sentenza da ultimo 
citata fa seguire l'esame della concreta fattispecie del rapporto dedotto 
in causa, esame inteso a dimostrare la indifferenza di tale rapporto 
al provvedimento d'iscrizione, sia in via diretta che in via indiretta: 
dal che sembra potersi dedurre che un tale provvedimento sia stato ritenuto 
inidoneo a ledere il diritto del terzo non solo ex se ma anche combinandosi 
con tutti gli altri elementi della fattispecie nel cui ambito quel 
diritto si collocava e che, su tale inidoneit� lesiva (per la via diretta o riflessa), 
sia stato fondato il giudizio d'indifferenza della posizione giuridica 
soggettiva del terzo rispetto al provvedimento d'iscrizione. Un giudizio, 
dunque, che non escludeva ma anzi presupponeva (nonostante la formu

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

!azione impiegata) l'astratta possibilit� deHa lesione della sfera del 
terzo ad opera del provvedimento. 

Del resto, la stessa pronuncia aveva gi� escluso, in apertura di motivazione, 
che potesse negarsi la sussistenza in astratto di un diritto 
soggettivo, in capo all'impresa giornalistica, suscettibile di essere inciso 
dal d.P.R. n. 649/1976 oltre che dall'atto amministrativo d'iscrizione all'albo 
dei giornalisti del lavoratore dipendente, affermando che tale diritto 
doveva invece ravvisarsi � nell'interesse patrimoniale, tutelato dalla 
legge direttamente in capo al titolare di esso, a non veder modificato 
il contenuto del rapporto di lavoro a seguito della modifica della natura 
della prestazione in esso dedotta, con la conseguente modifica 
della prestazione retributiva "� E, sulla base di tale astratto riconoscimento, 
questa corte, in quel caso, aveva proceduto all'esame incidentale 
della legittimit� del regolamento (concludendo nel senso della legittimit� 
di tale atto). 

AHa luce degli svolgimenti di cui sopra, � opportuno verificare la 
posizione sostanziale della societ� ricorrente nei con:6ronti degli impugnati 
provvedimenti d'iscrizione, con riferimento alla fattispecie dedotta 
in giudizio. 

Giova in proposito richiamare che, secondo quanto assume la societ� 
ricorrente ed � confermato dagli atti, l'iscrizione di un fotografo, 
suo dipendente, nel registro dei giornalisti determina -a norma della 
contrattazione collettiva del settore -il passaggio d'inquadramento del 
medesimo dipendente dal regime del contratto nazionale collettivo dei 
poligrafici a quello del contratto collettivo nazionale dei giornalisti, con 
modificazione, tra l'altro, del trattamento economico. 

In siffatta vicenda, se pur non mutano le mansioni del fotografo, 
muta tuttavia il suo trattamento giuridico-economico, e cio� alcuni non 
secondari elementi del rapporto di cui l'editore � parte. Tale modificazione 
si verifica in conformit� delle norme che regolano il rapporto stesso, 
le quali ricollegano l'effetto modificativo al venire ad esistenza di 
un atto amministrativo, qual'� appunto l'atto di iscrizione. 

La situazione di diritto soggettivo, tutelata nell'ambito del rapporto 
di lavoro in capo a ciascuna delle parti di questo, reciprocamente, e 
quindi nella specie in capo al datore, implica certamente la tutela 
della pretesa di questi a non veder modificati i termini del rapporto 
stesso se non in conformit� della legge del contratto (artt. 1372, 1374, 
2077 e.e.). 

Il problema �, allora, se tale lex contractus postuli o meno la 
validit� dell'atto amministrativo in presenza del quale si verifica il mutamento 
di alcuni termini del rapporto: ovvero se -detto in altri 
termini -il datore possa contestare l'applicazione della lex contractus 
denunciando che la fattispecie, al cui verificarsi tale lex ricollega 


PARTE I, SEZ. Hl, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

l'effetto contestato, non si � realizzata in modo conforme all'ordinamento. 


Le sezioni unite� ritengono che al problema debba darsi risposta 
affermativa in considerazione del puntuale rilievo (assorbente di ogni 
altra considerazione) che, dall'art. 5 della legge abolitrice del contenzioso 
amministrativo � dato trarre il principio generale secondo cui, 
ogni qualvolta su di una posizione di diritto soggettivo incida anche 
mediatamente un atto amministrativo, in tanto pu� ritenersi integrata 
la fattispecie incidente sul diritto e della quale l'atto amministrativo 
sia elemento essenziale, in quanto tale atto sia legittimo. 

La portata generale di tale principio (riflesso del pi� generale principio 
di legalit� che informa tutto l'ordinamento) non esclude che, in ipotesi 
particolari (come quella in esame), la disapplicazione possa essere 
esclusa per fa particolare natura dell'atto, ma esige -in tali casi -che 
il sistema offra una sede nella quale chi sia soggetto aH'applicazione dell'atto 
stesso sulla propria sfera giuridica (nei sensi sopra specificati) possa 
far valere l'eventuale illegittimit� di esso con conseguenti effetti 
sulla fattispecie incid~nte sul rapporto. Ove cos� non fosse, si sarebbe 
in presenza di una f�ttispecie della quale � elemento costitutivo un atto 
amministrativo trattato, non gi� come manifestazione del potere pubblico 
e quindi dell'ordinamento ma, come mero accadimento, fatto bruto, 
del quale il giudice dovrebbe verificare solo che sia venuto ad esistenza. 
La situazione giuridica soggettiva di chi sia inciso da una fattispecie 
siffatta, sarebbe allora carente di tutela di fronte all'eventuale illegittimit� 
dell'atto della pubblica amministrazione. 

Pertanto, se della legittimit� dell'atto amministrativo in questione 
non pu� discutersi in alcuna sede giurisdizionale, v'� da sospettare che 
si versi in una situazione di lesione del diritto costituzionale alla tutela 
giurisdizionale (artt. 24/1 e 113/2 Cast.), con riferimento alla 
posizione giuridica soggettiva incisa dalla fattispecie di cui l'atto amministrativo 
� incontestabile � sia elemento essenziale. 

Tale � la situazione che sembra configurabile nella specie, posto che 
il datore di lavoro si trova, conformemente alla lex contractus, a 
dover subire la modificazione del rapporto di cui � parte per effetto 
di un atto amministrativo del quale non pu� in alcuna sede contestare 
la legittimit�, essendogli preclusa -secondo quanto sopra indicato l'azione, 
sia dinanzi al giudice amministrativo sia dinanzi al giudice ordinario 
comune sia dinanzi al giudice specializzato ex art. 63 legge n. 69/ 
1963, nonch� la possibilit� d'invocare la disapplicazione dell'atto stesso 
dinanzi al giudice del rapporto di lavoro. 

E poich� un tale effetto consegue alle norme (artt. 1, 26 e segg., 
60/62, 63 e 64 e 65 legge n. 69/1963 in connessione con le norme 
disciplinanti le questioni di status) delle quali queste sezioni unite dovrebbero 
fare applicazione nella decisione dei ricorsi dinanzi ad esse 


230 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

proposti, dichiarando che nessun giudice pu� conoscere delle impugnazioni 
azionate dai ricorrenti avverso le delibere del Consiglio interregionale 
dell'Ordine dei giornalisti del Piemonte/Valle d'Aosta, la questione 
di costituzionalit� delle sud4ette norme, per contrasto con gli artt. 24/1 
e 113/2 Cost. -non manifestamente infondata per le considerazioni 
sopra svolte -si presenta rilevante nel presente giudizio. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 5 aprile 1990, n. 2852 -Pres. Tilocca -
Rel. Cantillo -P. M. Martone -Emiliani (avv. Montefoschi) c. Prefetto 
di Roma (avv. Stato Figliolia). 

Stampa � Editoria -Diritto di rettifica -Esercizio a mezzo di rappresentante 
-Procura scritta � Necessit�. 
(legge 8 febbraio 1948 n. 47, art. 8; legge 5 agosto 1981 n. 516, art. 42). 

Il diritto di rettifica relativo a notizie o immagini pubblicate su 
giornali pu� essere esercitato anche a mezzo di rappresentante; trattandosi 
per� di un diritto personale per il cui esercizio la legge prescrive 
determinate modalit�, tra cui la redazione della rettifica mediante atto 
scritto, � necessario che anche la procura rivesta la forma scritta, altrimenti 
non sorge il dovere giuridico del direttore del giornale di pubblicare 
la rettifica (1). 

Nell'ordine logico-giuridico deve essere esaminato con precedenza 
il secondo motivo, con il quale il ricorrente critica la sentenza impugnata 
per avere affermato che la richiesta di rettifica di cui al primo 
comma dell'art. 42 della legge 5 agosto 1981, n. 516, sostitutivo dell'art. 
8 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, possa essere formulata anche 
da persona che dichiari di agire nell'interesse del soggetto cui si riferisce 
lo scritto o l'immagine dallo stesso ritenuto lesivo o contrario 
a verit�. Sostiene che il diritto di rettifica ha carattere personale, in 
quanto il suo esercizio, e il correlativo obbligo di pubblicazione, inci


(1) Come si legge nel!la sellltenza, non vi sono precedenti nelfa giurisprudenza 
de11a Corte di Cassarione. 
Tra le corti di merito si ved!a :fuet. Firenze 13 giugno 1987 in Giur. merito 
1989, 318, in cui si affeITIJia che la richiesta di rettifica pu� essere inoltrata a 
mezzo di procuratore ma non si affronta il problema de1'la necessit� e della 
esibizione di una prova scritta. 

Sulla natum de:l diri1tto di rettifica come diritito potestativo a tutela 
dell'identi-t� personale -intesa quest'mt�i-ma come �immagine morale del 
soggetto nei vari aspetti in cui la sua pernonailit� si esplica nella vita di 
relazione � -la sentenza in commento si pone in linea con Cass. 22 giugno 1985, 

n. 3769 in Foro it. 1985, I, 2211 in cui per la pri-ma volta s�i � affermata l'esi

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 231 

dono sulla libert� di espressione del pensiero a0 mezzo stampa e possono 
produrre conseguenze penali anche per il rettificante; che perci� 
la rettifica deve essere chiesta direttamente dall'interessato o, comunque, 
da persona munita di apposito mandato del titolare del diritto, oggettivamente 
verificabile dal direttore del giornale; e che nella specie, 
quindi, poich� il richiedente, ancorch� qualificatosi legale del Meli, non 
aveva esibito un mandato scritto, nessun illecito poteva ascriversi ad 
esso ricorrente, che aveva pubblicato la rettifica con qualche giorno di 
ritardo, dopo aver verificato la legittimazione del richiedente. 

La censura � fondata. 

Il problema che essa suscita (per la prima volta pervenuto all'esame 
della Corte) consiste nello stabilire se il soggetto cui spetta il diritto 
di rettifica, previsto dalla norma suindicata, possa delegarne 
l'esercizio ad altri, in particolare ad un legale, senza che il conferimento 
del mandato risulti da atto scritto; e la risposta negativa al 
quesito � agevole, ove si considerino, da un lato, la natura e le modalit� 
attuative del diritto e, dall'altro, il contenuto e le conseguenze della 
condotta imposta al soggetto obbligato. 

Sotto il primo profilo, va ricordato che il diritto di rettifica che 
� dato a tutela dell'identit� personale, intesa come immagine morale 
del soggetto nei vari aspetti in cui la sua personalit� si esplica 
nella vita di relazione (intellettuali, religiosi, politici, professionali, etc.) 
-compete a coloro che ritengano lesivi � della loro dignit� o contrari 
a verit�� atti, pensieri o affermazioni ad. essi attribuiti ovvero 
immagini pubblicate da giornali; ed altres� che a detti soggetti � conferito 
il potere di pretendere la pubblicazione, con le modalit� e nei 
tempi stabiliti dalla norma, di smentite, di risposte di precisazioni o 
integrazioni del testo pubblicato, nonch� di dichiarazioni volte a rendere 
pubblica una diversa versione dei fatti, ancorch� non rispondente al 
vero (appunto per questa ragione si � affermato che la rettifica, disciplinata 
come strumento di tutela dell'interesse del soggetto cui si riferisce 
lo scritto o l'immagine che si contesta, adempie altres� alla funzione di 
favorire il pluralismo dell'informazione, attraverso valutazioni opinioni o 
rnppresentazioni diverse da quelle pubblicate). 

stenza di quel diritto di creazione giudsiprudenzi<ale chiamato, appunto, diritto 
all'indentit� personale e disti'llJtO c1a a:Ltri diritti delila personaloit� nei quali 
l'identit� della persona viiene tute1ata sotto specil)id aspetti o come uno solo 
degli elementi deliJa fattispecie (H diritto al nome, ailiJa riservatezza, all'imma� 
gine, aM'onore). 

Per tma panoramica sUill'argomento si segnalano FIGANA A., Il diritto di 
rettifica nelle recenti elaborazioni di dottrina e �giurisprudenza, in Giur. it. 1987, 
IV, 404 e LAX, Il diritto di rettifica nell'editoria e nella radiotelevisione, Pado� 
rn, 1989. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

232 

Per quanto ora iqteressa, da questa disciplina risulta evidente, in 
primo luogo, che l'esercizio del diritto � riservato, sia per I'an che per 
il quomodo, alla valutazione soggettiva della persona presunta offesa, 
al cui discrezionale e insindacabile apprezzamento � rimesso tanto di 
stabilire il carattere lesivo dello scritto o dell'immagine, quanto di fissare 
i:l contenuto e i termini della rettifica. 

In secondo luogo risulta che questa deve sempre essere redatta per 
iscritto, cio� � un atto a forma vincolata, stabilita ad essentiam, non 
configurandosi una rettifica, ad es., nella richiesta di precisazioni formulata 
verbalmente. 

Quanto, poi, alla condotta imposta al direttore del giornale (o ad 
altro responsabile), va detto che esso � tenuto all'integrale pubblicazione 
dello scritto di rettifica purch� contenuto nelle dimensioni stabilite 
dalla norma, essendogli inibito qualsiasi sindacato sostanziale, salvo quello 
diretto a verificare che la rettifica non sia tale da dar luogo ad 
azione penale, nel qual caso il rifiuto di pubblicarla � lecito (v. comma 
1 dell'art. 42 1. n. 516 del 1981, in relazione all'art. 57 c.p.). Inoltre l'obbligo 
di pubblicazione deve essere adempiuto in tempi ristrettissimi, 
cio� per i quotidiani in due giorni e per i periodici non oltre il secondo 
numero successivo alla settimana in cui � pervenuta la richiesta (v. 
comma 2 e 3 dello stesso art. 42). 

Ci� posto, mentre deve escludersi che l'apprezzamento circa l'idoneit� 
dello scritto a ledere la pe11Sonalit� di colui al quale si riferisce 
l'informazione possa da questi essere delegato ad altro soggetto, trattandosi 
di una determinazione strettamente personale, non vi sono motivi 
per negare che il diritto possa essere in concreto esercitato, in base a 
specifico mandato del titolare, da un'altra per,sona, perci� abilitata a 
redigere e a presentare la rettifica in nome e per conto del primo. 

Ma � necessario che la procura, al pari della rettifica, sia redatta 
per iscritto o, comunque, risulti da atto sottoscritto dal mandante, e 
concerna specificamente la dichiarazione che si vuole pubblicata. 

A questa conclusione si perviene, anzitutto, in base alla regola sancita 
dall'art. 1387 e.e., che assoggetta la procura alla stessa forma richiesta 
per l'atto cui si riferisce, principio che si applica anche per la 
rappresentazione in atti non negoziali a forma vincolata, quale deve 
considerarsi la rettifica (inquadrabile fra gli atti di partecipazione). 

In secondo luogo, in base alla ratio per cui la dichiarazione di rettifica 
deve essere scritta, giacch� solo il mandato scritto consente di ritenere 
che la dichiarazione medesima sia espressione fedele dl pensiero 
del (preteso) offeso e sia, quindi, a lui imputabile nella forma verbale e 
nel contenuto; profilo, questo, che assume massimo rilievo in relazione 
alle conseguenze, anche penali, della pubblicazione della rettifica, 
le quali conseguenze possono riguardare tanto il suo autore, sicch� � 
necessario che l'imputazione dell'atto a lui non sia contestabile se non 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

attraverso il formale disconoscimento della sottoscrizione), quanto il 
responsabile dell'organo di stampa, che deve quindi avere ex actis la 
piena certezza di tale imputazione. 

Infine, e in relazione a questa esigenza, il mandato scritto � necessario 
affinch� il direttore o il responsabile del giornale possa accertare 
immediatamente alla stregua degli atti, la provenienza della dichiazione 
dal legittimato, stante il brevissimo tempo a sua disposizione per 
provvedere alla pubblicazione, che non lascia spazio per una verifica 
aliunde, del resto non prevista dalla norma. 

La quale, appunto perch� delinea una fattispecie procedimentale 
la cui inosservanza � fonte di responsabilit� amministrativa, deve essere 
interpretata restrittivamente; ci� che � coerente anche con la funzione 
della norma, che, pur non costituendo un limite alla libera manifestazione 
del pensiero, regola la libert� di espressione a mezzo stampa, 
costituzionalmente garantita. 

Nel caso in esame -in cui, come si � ricordato in narrativa, la 
rettifica venne formulata da un avvocato, qualificatosi difensore del 
titolare del diritto, ma non munito di procura -il pretore ha ritenuto 
di escludere la necessit� del mandato scritto osservando, in via di principio, 
che l'avvocato che agisce in via stragiudiziale non deve munirsi di 
procura del cliente, ci� non essendo imposto da alcuna norma; e che, 
in concreto, la sicura conoscenza del rapporto procuratorio da parte 
del direttore del giornale risultava dalla circostanza che nella rettifica 
pubblicata in ritardo, cio� i[ 19 settembre 1981, si dava atto che l'avv. Romeo 
era legale del Meli. 

Entrambi gli argomenti non reggono alla critica. 

M primo � agevole obiettare che la mancata previsione di una procura 
analoga a quella richiesta, ex art. 83 c.p.c. per la difesa della parte 
in giudizio, rende applicabile all'attivit� stragiudiziale del difensore le 
ordinarie regole della rappresentanza sostanziale, sicch� egli pu� operare 
senza apposito mandato scritto, al limite, quando svolge attivit� di 
assistenza, non certo quando deve porre in essere atti formali direttamente 
impegnativi per il cliente. 

Il secondo argomento cade in applicazione del principio per cui la 
procura deve risultare da atto scritto, dovendosi escludere che, in mancanza, 
venga ad esistenza l'obbligo del direttore di pubblicare la rettifica; 
in tal caso, se provvede ugualmente alla pubblicazione, il direttore 
si espone al rischio della smentita totale o parziale dell'interessato, ma 
non pu�, manifestamente, essere sottoposto a sanzione per il ritardo. 

In definitiva, in accoglimento del motivo fin qui esaminato, che comporta 
l'assorbimento del primo (con cui si deduce la mancanza dell'elemento 
intenzionale della violazione) la sentenza impugnata deve essere cassata 
con rinvio ad altro giudice, che si designa nel Pretore di Velletri, 
il quale proceder� a nuovo. esame della controversia attenendosi al se



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

234 

guente princ1p10 di diritto: � Il diritto di rettifica relativo a notizie o 
immagini pubblicate su giornali, previsto dall'art. 8 della legge 8 febbraio 
1948, n. 47, come sostituito dall'art. 42 della legge 5 agosto 1981, n. 516, 
pu� essere esercitato dall'interessato, che ritenga la pubblicazione lesiva 
della sua identit� personale o del suo onore, anche a mezzo di rappresentante, 
in particolare di un legale. Trattandosi, per�, di un diritto personale, 
per il cui esercizio la legge prescrive determinate modalit�, fra 
cui la redazione della rettifica mediante atto scritto, � necessario che 
anche la procura rivesta la stessa forma, cio� sia conferita specificamente 
per il compimento dell'atto e sia sottoscritta dal titolare del diritto. 
In mancanza, non sorge iI dovere giuridico del direttore o altro 
responsabile del giornale di provvedere alla pubblicazione della rettifica 
e conseguentemente il ritardo nella pubblicazione non realizza la violazione 
sanzionata dall'art. 42 comma 6, cit. �. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 11 aprile 1990 n. 3075 -Pres. Granata -
Rel. Mo!'sillo -Marinaro (avv. Testini) c. ERSAP (avv. Stato De 
Stefano). 

Avvocatura dello Stato -Rappresentanza in giudizio dello Stato e degli 
Enti pubblici -Non occorre mandato all'Avvocatura dello Stato n� 
delibera a stare in giudizio. 

Giurisdizione civile -Controversia relativa a diritti soggettivi rientrante 
nella giurisdizione esclusiva del TAR -Facolt� di compromettere in 
arbitri � Esclusione~ 

Concessioni amministrative -Concessione di terre incolte -Morte dell'assegnatario 
-Estinzione del rapporto -Insussistenza. 

Concessioni amministrative -Concessione di terre incolte -Estinzione Necessit� 
di provvedimento amministrativo � Giurisdizione esclusiva 
del TAR sino all'emissione del provvedimento di estinzione. 

Ad eccezione degli enti che esercitano funzioni delegate o subdelegate 
della Regione, per le Regioni, per tutte le altre Amministrazioni 
pubbliche non statali e per gli Enti pubblici statali e regionali autorizzati 
ad avvalersi del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato ftra i quali 
vanno compresi anche gli Enti di colonizzazione e trasformazione fondiaria, 
ora Enti di sviluppo), la stessa esercita la rappresentanza in 
via organica ed esclusiva, salvo il caso di conflitto di interessi con lo 
Stato (1). 

(1) L'ammissione deU'E.S.A.B. al patlt'Ooi.nio deM'Avvooatura dello Stato 
� stata gi� riconosciuta pi� vo1te da1!la Corte Suprema (cfr. Cass. 10 aprile 1984, 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 235 

In ipotesi di controversia relativa a diritti soggettivi, gi� devoluta 
al giudice ordinario ma attualmente rientrante nella giurisdizione esclusiva 
del T AR -in quanto non compresa nella riserva di giurisdizione 
dell'AGO, limitata alle indennit�, canoni ed altri corrispettivi delle concessioni 
di beni o di servizi pubblici, ai sensi dell'art. 5, secondo comma, 
della legge -in difetto di contraria previsione normativa deve escludersi 
la facolt� di compromettere in arbitri (2). 

Con la morte dell'assegnatario non si verifica l'estinzione del rapporto 
di assegnazione, che automaticamente prosegue nei confronti degli 
aventi diritto: solo se nessuno dei discendenti o il coniuge dell'assegnatario 
� disposto a subentrare nell'assegnazione il fondo ritorna nella 
disponibilit� dell'Ente, ma ci� comporta l'espletamento di un procedimento 
amministrativo, a conclusione del quale l'ente potr� formalmente 
dare atto dell'estinzione della concessione ovvero anche dichiararne la 
decadenza, ferma restando, fino a quando tale provvedimento non sia 
emanato, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. 

n. 2300 in Rep. Foro It. 1984, voce �Amministrazione dello Stato (rappresentanza) 
�, n. io; Cass. Sez. Un. 27 luglrio 1982, n. 43>17 e ss., in Giur. It. 1983, I, 761). 
Vedi retro, Cass. 22 febbraio 1990, n. 1308, I, 60. 
(2) Sul'la inoperativ�i-t�, nell'!�pQtesi in parola, delfa clausola compromissoria,
� cfr. Cass. 27 luglio 1982, n. 4317 cit. La devoluzione al giudice amministrativo 
ex art. 5 legge 1034/1971 delle controversie relative alla spettanza 
dell'assegnatario receduto d!ail rapporto, in quanto .coinvolgenti posizioni di 
diritto soggettiivo � pressoch� pacifica (cfr. Cass. 12 ottobre 1983, n. 5924-5934, 
cui adde Cass. 18 gennaio 1984, nn. 404405 e 9 febbraio 1984, nn. 98().982). Anche 
nel caso in cui l'attore avaI1Zi pretese risarcitorie per un dedotto inadempimento 
del concedente, � stata esclusa la giurisdizione del giudice ordinario 
(cfr. Cass. 18 gennaio 1984, n. 406). 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 maggio 1990, n. 4051 -Pres. Maltese -
Rel. Lipari -P. M. Minetti (concl. conf.) � Eredi Bellucci Renzo (avv. 
Selvaggi) c. Ministero della Difesa (avv. Stato Onufrio). 

Contratti (in generale) � Contratti della Pubblica Amministrazione . Esecuzione 
della prestazione da parte del privato in pendenza del procedimento 
di approvazione � Mancata approvazione del contratto Responsabilit� 
precontrattuale della Pubblica Amministrazione. 

Responsabilit� civile -Responsabilit� precontrattuale � Natura extracontrattuale 
-Prescrizione quinquennale ex art. 2947 cod. civ. -Applicabilit�. 


Il contratto con una pubblica amministrazione in attesa di approvazione 
ministeriale � un contratto gi� perfetto ma subordinato al veri




236 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ficarsi di una condizione legale di efficacia; nell'ipotesi che la p.a. abbia 
ottenuto l'esecuzione anticipata del contratto, pendente il procedimento 
di approvazione, e tale approvazione non sia poi intervenuta, la pretesa 
risarcitoria dell'altro contraente che non pu� ottenere il corrispettivo 
pattuito, pur avendo eseguito la sua prestazione, deve essere valutata 
alla stregua del dovere di correttezza e buona fede posto dall'art. 1337 
cod. civ. al fine di verificare l'esistenza o meno di una responsabilit� 
precontrattuale della P.A. (1). 

La responsabilit� precontrattuale, non avendo alcuna attinenza con 
le obbligazioni che nascono dal contratto, ha natura extracontrattuale, 
pertanto l'azione diretta a farle valere soggiace al termine di prescrizione 
quinquennale ex art. 2947 cod. civ. (2). 

1. La presente vicenda trae origine dalla pretesa di un professionista 
che era stato richiesto della esecuzione anticipata della prestazione progettuale 
commessagli dalla pubblica amministrazione prima della approvazione 
del contratto, secondo una impostazione che addebitava alla pubblica 
amministrazione la colpa precontrattuale. 
Il giudizio si � svolto in senso sfavorevole all'attore nei primi due 
gradi di giudizio; ma questa Corte di Cassazione con sentenza 23 maggio 
1981 n. 3383, ha annullato la sentenza della Corte d'Appello di Bologna, 
osservando che l'esecuzione anticipata dei contratti della pubblica amministrazione 
pu� essere autorizzata prima della approvazione solo nei 
casi di urgenza, con provvedimento positivo. espresso, risultando per 
converso configurabile la responsabilit� precontrattuale della P.A. ove 
questa, in pendenza dell'approvazione, pretenda ed ottenga l'esecuzione 
anticipata del contratto stesso imponendo una penale e l'esonero dell'incarico 
senza diritto al compenso qualora il contratto non sia eseguito 
nel termine assegnato. 

(1-2) La tesi della responsabi1i�t� precontrattuale oome figura tipica della 
generale e atipica responsabilit� ex art. 2043 e.e. prevale sia in giurisprudenza 
(Oass. 18 giugno 1987 n. 5371, in Foro it. 1988, I, 181; Cass. 19 aprile 1983 n. 2705, 
in Foro it. rep. 1983, voce Contratto in genere, n. 143; Cass. 28 gennaio 1972, 

n. 199 in Foro it. 1972, I, 2088) ohe in dottrina (BIANCA, Diritto civile III, Il contratto, 
MI, 1984, p. 160; SACCO, Il contratto, in Trattato diretto da F. VASSALLI, 
TO, 1975, pp. 676 e 919; VIGOTTI, La responsabilit� precontrattuale, in Nuova 
Giur. civ. 1986, II, p. 174). 
Nella lunga motivazione de1la sentenza si analizza a fondo sia la tesi che 
configura la responsabilit� precontrattuale come specie della responsabilit� 
contrattuale, sia que11a che vorrebbe inquadrarla in un tertium genus i cui 
caratteni, se ne evidenziano l'alterit� riispetto al1a responsabitldt� per fatto illecito, 
altrettanto non fanno rispetto a quella contrattuale, configurando pur 
sempre la culpa in contrahendo come strettamente attinente alla vicenda negoziale. 


Va :cico1idato comunque che la tesi contrattualistica ha avuto un certo 
seguito. Sul solco della dottrina tedesca -che ha ravvdsato il fondamento 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

237 

Non avendo la parte vittoriosa riassunto la causa nei termini di 
cui all'art. 392 c.p.c., si � verificato l'effetto estintivo di cui all'art. 393 
C;p.c. ed � stato necessario procedere alla instaurazione di un nuovo 
processo, che ha rispettato il termine prescrizionale decennale, ma non 
quello quinquennale, stabilito dall'art. 2947 cod. civ. che riguarda le 
azioni volte ad ottenere il risarcimento del danno. E poich� tale prescrizione 
� stata eccepita dalla P.A., la cui responsabilit� precontrattuale 
era stata delineata in termini estremamente puntuali dalla richiamata 
pronuncia di questa Corte (che sarebbero stati assolutamente vincolanti 
nel giudizio di rinvio, spiegando tuttavia effetti cogenti anche 
nel processo instaurato ex novo), il problema giuridico che .si pone nella 
causa � quello della qualificazione come contrattuale o extracontrattuale. 
della c.d. responsabilit� precontrattuale per l'individuazione del termine 
prescrizionale ad hoc. 

La difesa degli eredi Bellucci si sforza di sovvertire un orientamento 
giurisprudenziale cl:le se si affida ad un solo precedente specifico 
per quanto attiene al corollario de~la applicabilit� della prescrizione 
ex art. 2947 alla responsabilit� precontrattuale, risulta assolutamente 
univoco nel ricondurre tale tipo di responsabilit�, a quella da 
fatto illecito, ex art. 2043 cod. civ., (sia pure con i correttivi discendenti 
dalla disciplina dettata ad hoc). 

Ritiene il Collegio che i profili equitativi della causa non debbano 
in alcun modo condizionare la decisione della questione giuridica di 
rondo: sia, ed � ragione assorbente, perch� questa Corte di legittimit�, 
nell'esercizio della funzione nomofilattica, � giudice del diritto e non 
dell'equit�; sia perch� sarebbe metodologicamente pericoloso sforzare 
le norme traendone indirizzi di carattere generale sotto la spinta emozionale 
dell'apparente ingiustizia della soluzione cui nell'applicazione di 
corretti canoni esegetici si deve pervenire; sia infine perch� non esiste 

della culpa in contrahendo nell'assunzione implicita di garanzia, da parte dei 
contraenti, avente ad oggetto H dovere di correttezm nella formazione del 
contratto e l'esistem:a dei presupposti di validit� -parte della dottrina italiana 
ha sottolineato che la responsabiLit� precontrattuale deriva dalla violazione di 
un'obbliga2lione legale di buona fede che la legge pone a carico delle parti 
di un dato rapporto giuridico il quale nasce con l'inizio delle trattative (ScoGNAMIGLIO, 
Dei contratti in generale, .in Comm. Scialoja-Branca 1970, p. 213 ss.; 
BENATTI, La responsabilit� precontrattuale, MI, 1963, p. 115; DI STASO, I contratti 
in generale, in Giur. sist. civ. e comm., TO, 1980, I, p. 341 ss.; TURCO, Interesse 
negativo e responsabilit� precontrattuale, MI, 1990, p. 755). 

Per la tesi del tertium genus va richiamata la teoJ:'ia del negozio in itinere 
inteso come fattispecie a formazione progressiva (discipiinata dag!J art<t. 1337, 
1357, 1358, 1372 e.e.) a cui si ricollegano i cxl. eUfettii preliminari o procLromici, 
che non sarebbero n� contrattuali n� extracontrattuali (REscIGNO, Obbligazioni, 
in Enc. dir., MI, 1979, p. 142; CUFFARO, Responsabilit� precontrattuale, Enc. dir., 
MI, 1988, p. 1265 ss.). (F.S.) 



238 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


alcuna correlazione � diretta � fra la proposta interpretativa, che sta a 
cuore .ai ri�<>rrenti; e la concreta iniquit� da �rimuovere attraverso la 
prospettata esegesi innovatrice, trovando radice la prospettata iniquit� 
non gi� in una discrasia fra la disciplina introdotta dal legislatore e la 
ingiustizia delle conclusioni esegetiche, ma nel comportamento processuale 
omissivo detla stessa parte interessata. Notazione questa che vale 
comunque a rasserenare la coscienza dei giudici di legittimit� nel rendere 
la decisione. 

Non � iniquo che in una� certa situazione differenziata secundum 
legerti si applichi la prescrizione quinquennale alla stregua di un ap. 
prezzamento discrezionale del legislatore connotato da indubbia razionalit� 
dato che l'ord�namento apprestava adeguata tutela per un tempo 
congruo e la pretesa fatta �valere in giudizio aveva ricevuto corretto inquadramento. 


2. La�� precedente sentenza n. 3383/81 emessa in questa causa rappresenta 
il necessario approccio al problema dell'individuazione del termine 
prescrizionale applicabile perch� ne emerge con sicurezza l'inquadramento 
deHa responsabilit� concretamente fatta valere al di fuori dell'ambito 
della responsabilit� contrattuale ed implicitamente l'equiparazione 
di colpa in contrahendo e di responsabilit� da fatto illecito. 
Ha osservato questa Corte di Cassazione nella suddetta decisione che 
il problema fondamentale della causa consisteva nello stabilire se la 
prestazione che �il �Bellucci assumeva di avere eseguito non -spontaneamente, 
m:a su -pressante richiesta dell'amministrazione militare, prima 
ancora che sul contratto fosse stato espresso il parere degli organi consultivi, 
e cio� in una fase in cui l'iter contrattuale non era stato ancora 
completato, potesse essere posta in relazione di causalit� con un comportamento 
di mala fede della P.A. rilevante sotto il profilo della dedotta 
responsabilit� precontrattuale di cui all'art. 1337 cod. civ. E premesso 
che, per ius receptum l'approvazione dei contratti di diritto privato 
della-P A. viene considerata una condicio iuris comportante che gli 
effetti non si verificano, non -soltanto per la pubblica amministrazione 
medesima, ma anche per il privato, in pendenza della condizione stessa, 
ha rilevato che la norma di legge (tradotta in una clausola negoziale) 
seeondo cui il privato � vincolato dal contratto sin dal momento in cui 
lo ha sottoscritto,� inentre il vintolo sorge per la pubblica amministrazione 
dop� l'approvazione, non va -iriterpretata nel senso che ne possa 
conseguire il vincolo a carico del privato aH'adempimento immediato 
-delle sue obbligazioni ma in queMo, coerente con la suddetta qualificazione 
di condicio 1.uris della approvazione, trattandosi cio� di sottolineare 
l'effetto negoziale contrapposto all'effetto finale, non attenendo 
il vincolo contratto all'obbligo di esecuzione, ma al venire in essere fra 
le parti contraenti di un regolamento di interessi avente forza di legge 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

irretrattabile se non per mutuo consenso, o per altre cause ammesse 
dalla legge, vincolo il cui riconoscimento non comporta, peraltro, sempre 
e comunque l'immediata efficacia del contratto, la quale pu� dipendere 
dall'apposizione di un termine e/o di una condizione. La condizione 
legale influisce sull'impegno negoziale della P.A., pur non integrando 
un elemento di perfezione del contratto da ritenersi raggiunta 
con l'incontro della volont� del privato e della p.a., dovendosi respingere 
il concetto di contratto claudicante per qualificare H contratto non ancora 
approvato (che sarebbe immediatamente eseguibile, ma sottoposto 
ad impugnazione da parte del soggetto a cui favore � stabilito un 
potere di impugnativa). 

Secondo la sentenza richiamata l'approvazione non riguarda dunque 
la perfezione del vincolo, sicch� la norma di legge (o la clausola' contrattuale 
la quale sancisce che anche prima dell'approvazione il privato 
� vincolato non � altro che una norma, o una clausola, che regola 
la irrevocabilit� del consenso del privato, la quale non dipende ' dall'approvazione, 
che riguarda l'inizio della eseguibilit� del contratto, ma 
dal fatto che il consenso prestato dal privato non pu� essere pi� ritirato, 
dovendosi pervenire alla conclusione (ampiamente motivata nella 
sentenza in esame) che l'assunzione dell'impegno, su cui l'amministrazione 
faceva _leva, per escludere la propria responsabilit�, doveva essere 
interpretata nel senso che veniva ad essere regolato esclusivamente il 
vincolo contrattuale, e cio� l'effetto di legge fra le parti prodotto dal 
consenso. 

Esclusa l'assunzione di un obbligo di esecuzione da parte del � privato, 
non giustificata da un'efficacia immediata del contratto ed incompatibile 
con la testuale postergazione del termine di inizio della sua 
durata ad un momento successivo a quello di comunicazione della intervenuta 
approvazione, la ragione dell'avvenuta esecuzione anticipata 
non poteva essere ricondotta all'obbligo di esecuzione a suo rischio, dovendosi 
far capo alla richiesta dell'amministrazione che non si era concretata, 
per sua stessa ammissione, in una richiesta di esecuzione. ,di 
urgenza per decreto ministeriale e _che doveva essere valutata, pertanto, 
alla stregua del dovere di correttezza e di buona fede posto dall'art. 1337 
cod. civ. pacificamente potendosi invocare la responsabilit� precontrattuale 
anche rispetto ad un contratto gi� concluso. D'altra parte, la circostanza 
che si trattasse di contratto non ancora efficace, in attesa 
della approvazione ministeriale, da cui non sorgevano, pertanto, diritti 
e doveri reciproci di esecuzione, impediva di valutare il comportamento 
delle parti alla stregua dei doveri di diligenza nell'adempimento e di 
buona fede nella esecuzione ex art. 1375 cod. civ., sicch� doveva inquadrarsi 
la fattispecie risarcitoria con riguardo ad un contratto in pendenza 
di avveramento della condicio iuris nello schema legale dell'art. 
1337, valutando la malafede sotto vari profili: a_r1zitutto la pre



240 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tesa di esecuzione del contratto addirittura prima .che venisse reso il 
parere del Consiglio di Stato (che per l'art. 5 della legge di contabilit� 
va richiesto sul � progetto � di contratto salve ragioni di speciale urgenza 
non invocate dalla P.A.), sicch� in concreto era accaduto che una 
clausola onerosa per il Bellucci � stata aggiunta al contratto molti 
anni dopo la avvenuta esecuzione anticipata; in secondo luogo l'evidente 
diseg110 della P.A. di sottoporre al parere degli organi consultivi e tecnici 
non tanto lo schema di contratto, quanto la prestazione eseguita 
dall'architetto e cio� il progetto esecutivo, potendosi ravvisare in un 
comportamento siffatto, malafede nella misura in cui eccedeva i limiti 
della clausola contrattuale liberamente accettata dalla parte per cui l'amministrazione 
si riservava il diritto di non accettare il progetto essendo 
diversa la misura del rischio assunto in forza di questa clausola 
rispetto alla quale l'architetto alla stregua del diritto scaturente dal 
contratto efficace avrebbe potuto avvalersi di tutela giurisdizionale, in 
contrapposizione a quello scaturente dalla esecuzione anticipata di un 
contratto non ancora efficace che potrebbe sfociare nella realizzazione 
di un progetto tecnicamente apprezzabile ma non gli darebbe diritto 
ad alcun compenso in difetto di efficacia del contratto in previsione del 
cui venir in essere, la prestazione era stata eseguita; in terzo luogo 

Iz

nella prospettiva della responsabilit� precontrattuale della pubblica amministrazione 
veniva in considerazione il ritardo della approvazione 
occorrendo verificare la coerenza e la buona fede del .comportamento 
della amministrazione che da un lato esigeva l'esecuzione del contratto 
da parte del Bellucci entro il termine inderogabile del 15 novembre 1965 
e dall'altro lato ancora cinque anni dopo chiedeva i pareri sul pro


Igetto (e non solo sul contratto) senza aver prima curato di far approvare 
il contratto. 

I 

3. La puntualizzazione della sentenza della Corte di Cassazione si 
~ 
impone in linea di principio anche in situazioni come quella qui considerata 
in cui non avendo provveduto la parte vincitrice alla riassunI 
zione della causa davanti al giudice di rinvio per ottenere soddisfazione 
delle proprie ragioni, chiaramente trasparenti dalle argomentazioni svol~ 


I te a sostegno della pronuncia di accoglimento ed essendone conseguita 
ai sensi dell'art. 392, c.p.c., la estinzione del processo, dato che come 
espressamente precisato nella seconda parte del comma unico della 
predetta norma � la sentenza della Cort� di Cassazione conserva il suo 
effetto vincolante anche nel nuovo processo che sia instaurato con la 
riproposizione della domanda� che in tanto � possibile in quanto l'estinzione 
riguarda l'intero processo sicch� sulle pretese che con il medesimo 
si erano fatte valere in giudizio non si viene a costituire alcun 
giudicato. 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

Senonch� l'efficacia della sentenza di cassazione contenente statuizioni 
di merito in tanto pu� influire sul merito in quanto il giudice 
nuovamente adito possa passare all'esame del merito stesso. 

Nel caso in esame � accaduto che per gli effetti della interruzione 
della prescrizione, correlati alla proposizione della prima domanda, la 
seconda proposta quasi allo scadere del decennio in tanto si pu� sottrarre 
all'eccezione di prescrizione in quanto il diritto fatto valere in 
giudizio possa annoverarsi fra quelli che sono assoggettati alla prescrizione 
ordinaria; e poich� nel caso in esame l'azione proposta attiene alla 
responsabilit� precontrattuale il cui regime prescrizionale viene generalmente 
ricondotto nell'area della responsabilit� extracontrattuale � evidente 
che il passaggio al merito ed il conseguimento del prefigurato esito. 
positivo della lite impone il passaggio obbligato della innovazione 
giurisprudenziale circa la qualificazione contrattuale e non pi� extracontrattuale 
come per ius receptum � stato ritenuto sempre dalla giurisprudenza 
di questa Corte di cassazione. 

In effetti al riguardo per escludere l'applicabilit� dell'art. 2947 cod. 

civ. uon � indispensabile postulare in positivo la contrattualit� della 
responsabilit� in discorso, bastando ritenere, come acutamente avverte 
la difesa dei ricorrenti, la �diversit�� della responsabilit� precontrattuale 
da quella ex art. 2043 e.e., ipotizzando un tertium genus di responsabilit�: 
per cos� dire paracontrattuale che si radica nell'area del contratto 
pur non attenendo alle conseguenze dell'inadempimento, trovando 
il suo fondamento, nell'assunto degli eredi Bellucci, nella disciplina legale 
dei rapporti contrattuali in itinere sul piano del conseguimento degli 
effetti la cui mancata attuazione addebitabile alla parte controinteressata 
genera una obbligazione risarcitoria ad hoc, la cui prescrizione in 
mancanza di disposizione derogatoria puntuale, dovrebbe ricondursi alla 
regola generale e non a quella specifica per fatto illecito, non coincidente 
con la disciplina dall'art. 1337 cod. civ. e quindi non riconducibile all'art. 
2947 cod. civ. 
Nonostante l'eleganza della prospettazione sviluppata nella memoria 
e nella discussione orale le argomentazioni dei ricorrenti non persuadono. 


4. Pu� forse sembrare semplicistico afferm.are (cfr. Cass. 1650/64, 
1738/64, 2257/72, 2705/83) che la responsabilit� precontrattuale, appunto 
perch� sorge prima che un contratto venga ad esistenza (anche se fatta 
valere dopo la conclusione del contratto stesso) non pu� essere che 
una responsabilit� extracontrattuale, con la conseguente applicabilit�, fra 
gli altri effetti che conseguono da tale qualificazione, della prescrizione 
quinquennale. Ma � sufficiente contrapporre la responsabilit� da inadempimento 
contrattuale (che trova la sua fonte nel vinculum iuris e 
scaturisce dalla sua inosservanza) alla responsabilit� che non attiene 

242 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

alla prestazione cui si riferisce l'impegno contrattuale come tale, pur 
riconnettendosi alla vicenda negoziale anche se gi� sfociata nella assunzione 
del vincolo (peraltro, come nella specie, non ancora efficace) 
per escludere con sicurezza che la fattispecie disciplinata dall'art. 1337 
cod. civ. attenga all'impegno assunto ex contractu, sia pure sotto la limitata 
prospettiva dell'effetto negoziale (e non gi� finale) ma rientra 
nella specie dell'illecito come violazione del principio della buona fede 
oggettivit�, illecito, che, nella atipicit� delle sue previsioni, trova addentellati 
testuali e specificanti, rispetto alla generale previsione dell'art. 2043, 
appunto nell'art. 1337, la cui significativit� pu� farsi consistere fra l'altro 
anche, nella subtipizzazione come ingiusto (e quindi risarcibile, sia pure 
in una determinata misura .tradizionalmente ricondotta all'interesse ne. 
gativo) del comportamento tenuto vuoi in funzione della conclusione di 
un �contratto per la ingiustificata rottura delle trattative, vuoi in fun


zione non pi� del perfezionamento, ma del contenuto del negozio. 

Al livello istituzionale si insegna che le parti .nello svolgimento delle 

trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi �secondo 

buona fede (in senso oggettivo), comportando la violazione di questo 

dovere una responsabilit� per danni; sia .nel caso che le trattative si 

I 

concludano con la stipulazione del contratto; sia nel caso che esse ven


gano interrotte. 

I 

Gi� sotto l'impero del codice civile abrogato, che non disciplinava 
in alcun modo la materia, si riteneva pacificamente la legittimit� del 


I

recesso giustificato dalle trattative, discutendosi soltanto sulle conseguenze 
dell'eventuale recesso ingiustificato, avendo finito per prevalere 
la tesi della responsabilit� del recedente che avesse troncato le trattative 
senza plausibile ragione (Cass: 949/43; 1004/43; 1461/52); ipotizzando addi~ 


I

rittura in tal caso una responsabilit� senza colpa. Tale opinione non � pi� 

sostenibile alla stregua del vigente art. 1337 da intendersi appunto con 

I 

~ 

riferimento alla buona fede in senso �oggettivo� (cfr. Cass. 2853/52) ~ 

e cio� all'osservanza della lealt� di condotta verso la controparte, che 

si concreta in un obbligo (e non in un mero onere) in quanto la sua 

inosservanza espone il� soggetto alla responsabilit� per il danno arrecato. 

Per generare la responsabilit� del recedente occorre, oltre alla vio


l11;zic:me del canone di buona fede in senso oggettivo, che siano andate 

deluse le fond�te aspettative dell'interlocutore. Ove ci� non accada il 

recedente, non risponde, perch� non ha causato danno, nemmeno quel 

particoJare danno tipico della rottura delle trattative che viene denomi


nato interesse negativo. 

Resta con ci� escluso il buon fondamento, .alla stregua del codice 

vigente, della tesi della pura e semplice causalit� che favorirebbe troppo 

colui che subisce le conseguenze. del recesso, nemmeno volendo invo


care rispetto alla fase delle .trattative il principio dell'affidamento, es




PARTE I, SEZ. :UI, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 243 

sendo estremamente aleatorio che le trattative stesse sfocino nella conclusione 
del contratto. 

5. Ma la tipizzazione dei contenuti della responsabilit� precontrattuale 
non si esaurisce nelle situazioni di recesso dalle trattative ex art. 1337, 
occorrendo avere riguardo anche a quella derivante dalla eventuale 
mala fede nel corso della formazione del contratto, ed alla responsabilit� 
per omissione del dovere di diligenza contemplata dall'art. .1338 
e.e. fra cui prende spicco il dovere di informazione stabilendo la legge 
che la parte a conosc.enza (o che avrebbe dovuto conoscere) dell'esistenza 
di una causa di invalidit� del contratto ove non ne abbia dato 
notizia all'altra parte, � tenuta a rispondere dei danni che quest'ultima 
abbia risentito per avere confidato senza sua colpa nella validit� del 
contratto. 
Tale principio viene applicato a tutti i casi in cui una parte con 
dolo, o anche solo per negligenza, omette di segnalare all'altra .parte 
circostanze tali da influire sulla efficacia del contratto, o sulla realizzazione 
dello scopo che la parte stessa ,si proponeva. 

Nessun dubbio sussiste che tutta l'area della. responsabilit�. precontrattuale, 
proprio perch� tale, a differenza di quella che riguarda 
l'inadempimento della prestazjone, si commisura al danno c.d. . negativo 
che consiste nell'interesse dell'altra parte alla conclusione del 
contratto, ed alla attitudine del contratto stesso e produce il risultato 
sperato. 

Al riguavdo, pur nell;;J. mancanza di un. ciato positivo espresso e 
specifico, esiste una communis opinio dottrinale e giurispruc,lenziale. 

Pare al collegio che la commisurazione del danno non gi� ai vant�ggi 
che sarebbero stati ottenuti ed alle perdite che sarebbero state 
evitate ottenendo l'esecuzione del contratto, ma alle perdite che non 
sarebbero state subite se le trattative non� fossero state iniziate, o se 
il contratto concluso .Si fosse rivelato efficace e quindi suscettibile di 
<vantaggi (mentre stante la accertata inefficacia gli esborsi correlati alla 
sua conclusione restano insuscettibili di trovare contropartita), rappre� 
senta utile approccio per affrontare il nodo problematico della causa 
che . � quello della natura giuridica della responsabilit� precontrattuale. 

In definitiva i ricorrenti muovono critica al semplicismo della contrapposizione 
alternativa di responsabilit� contrattuale a responsabilit� 
extracontrattuale cui residualmente andrebbero� ricondotte tutte le ipotesi 
di responsabilit� non contrattua'le e postulano se non la contrattualit� 
almeno l'inquadramento in un tertium genus della responsabilit� 
in questione che sarebbe comunque diversa� da . quella da fatto 
illecito in senso proprio. Posto che le norme che �fissano term�ni brevi 
di prescrizione non sono suscettibili �di interpretazione analogica .o estensiva 
applicandosi soltanto alle fattispecie cui espressamente si riferi



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

244 

scono, basterebbe, infatti, far venir meno la riconducibilit� della fattispecie 
puntualmente alla norma di cui all'art. 2947 e.e. per ricondurre 
la specie alla normale prescrizione decennale. 

Si da atto che ab antiquo la bipartizione della responsabilit� risulta 

categorica nella contrapposizione (comportante I'inclusio unius e l'exclusione 
alterius) tra la responsabilit� contrattuale e quella extracontrattuale, 
ma si esclude che allo stato attuale della dottrina e della legislazione 
tale soluzione possa restare ferma, essendosi evidenziata la 
funzione del contratto come atto e in particolare come fattispecie (titolo). 

Si � parlato al riguardo come � noto, di effetti preliminari della 
fattispecie e si � messo in luce il tratto accomunante i negozi in corso 
di formazione retti da norme intese a regolare il contenuto delle obbligazioni 
di risarcimento a seguito di comportamenti che impediscano il 
perfezionamento e/o l'efficacia del negozio in itinere. 

S� richiamano al riguardo gli artt. 1357, 1358, 1372, 1137 e si sostiene 
che la responsabilit� per. la violazione di oneri (recte: obblighi) imposte 
d�lle norme medesime, pur non potendosi qualificare come inadempimento 
di obbligazione� ex contractu ha una configurazione propria e 
tipica, sufficiente �ad escludere l'applicabilit� delle norme sulla responsabilit� 
aquiliana. E q~i si sottolineano le differenze di disciplina rispetto 
a quella generale riguardante il risarcimento da fatto illecito con rigual:'do 
sia al danno risarcibile; sia al contenuto, sia alla causa dell'obbligazione. 

6. Non ritiene il Collegio che l'impostazione volta ad ipotizzare �ri 
tertium genus di responsabilit� riferito al contratto in itinere rispetto 
al condizionamento degli effetti del medesimo (vuoi in forza di 1 una 
condicio iuris, vuoi in forza di una condicio facti) sia .producente: n� 
quanto al risultato negativo della differenziazione delle regole� applicabili 
al risarcimento aquiliano in generale; .n� quanto al profilo positivo 
della autonomia di quella disciplina che si vorrebbe far gravitare 
nell'area tipicamente contrattuale delle vicende impeditive, per responsabilit� 
della parte che ha posto remore al raggiungimento dell'effetto 
(finale) del negozio. 
Sotto il primo aspetto � sufficiente ribadire quanto si � gi� accennato: 
la estrema genericit� della responsabilit� aquiliana ricostruita, 
nel codice vigente, secondo gli schemi dell'atipicit�, non impedisce al 
legislatore di circoscrivere puntualmente in maniera differenziata il 
regime di un determinato fatto illecito considerato nella sua peculiarit� 
e ciononostante pur sempre riconducibile al genus. L'art. 1337 cod. civ. 
in esame rappresenta appunto una ipotesi di enucleazione di quel particolare 
tipo di illecito che si concreta nei corportamenti descritti dalla 
norma (e, se si vuole, anche dall'art. 1338 che, ai fini del decidere non 
viene in considerazione e sul quale pertanto sarebbe superfluo soffermarsi). 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 245 

L'obbligo di comportarsi con lealt� nelle trattative e nella formazione 
del contratto comporta la qualificazione come illecito dei fatti di 
inosservanza relativi proprio perch� posto dalla norma qui considerata 
con riguardo ad un impegno che non scaturisce dal vincolo contrattuale, 
ma attiene al procedimento formativo del negozio; sia nel senso di impedirne 
la conclusione sia in quello di determinarne il contenuto in 
maniera distorta, senza che rilevi sotto questo aspetto l'eventuale vizio 
della volont� rispetto al quale l'ordinamento prevede altri strumenti di 
tutela peraltro inidonei a porre riparo al danno da cosiddetto interesse 
negativo. 

Trattandosi, nel caso in esame, di applicare l'art. 1337 cod. civ., (circostanza 
assolutamente pacifica in questa fase, secondo le lucide notazioni 
che si leggono nella precedente decisione di questa Corte di Cassazione 
pi� volte richiamata) e non di chiedere il ristoro di danni che 
hanno come matrice la mancata conservazione delle ragioni della parte 
in pendenza dello avveramento della condizione, la proposta analogia, 
alla stregua del metro della buona fede non risulta pertinente, conservando 
su questo versante della responsabilit� contrattuale ex art. 1337 
cod. civ. piena validit� persuasiva le argomentazioni che si leggono nella 
sentenza impugnata. 

Nel ragionamento del ricorrente, nonostante l'eleganza della prospettazione,. 
si annida un vizio logico. � indubbiamente esatto che un diritto 
non inquadrabile in nessuna delle ipotesi per cui la legge prevede periodi 
prescrizionali (pi�) brevi, resta assoggettata alla norma sulla prescrizione 
decennale; ma il quid demostrandum consiste proprio nella verifica 
della riconducibilit� delle ipotesi ex art. 1337 cod. civ., in cui pacificamente 
va inquadrata la fattispecie in esame, nella responsabilit� 
aquiliana. 

In realt� le vicende che attendono alla responsabilit� cui vanno incontro 
i soggetti di un rapporto in itinere per quanto attiene alla efficacia 
del vincolo gi� perfezionato, secondo la sistemazione che ne ha 
offerto qualificata dottrina, come ben messo in evidenza dalla impugnata 
sentenza non si attagliano al caso di specie in quanto il Bellucci 
ha dedotto in questa causa la malafede della P.A. non gi� per avere, 
in pendenza della condicio iuris, posto in essere comportamenti impeditivi 
del suo verificarsi, ma per aver tenuto comportamenti di mala 
fede nel processo di formazione del contratto. 

� quindi esatto che le azioni che nascono da comportamenti impeditivi 
del verificarsi delle condizioni essendo di sicura matrice contrattuale 
ben si inquadrano nella fattispecie della prescrizione ordinaria 
ex art. 2946 cod. civ.; ma esatto non � che la vicenda in esame di 
culpa in contrahendo della P.A. attenga al mancato avveramento della 
condicio iuris alla medesima addebitabile. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Se quindi, rispetto al contratto perfetto (e sottoposto alla condicio 
iuris) la malafede dedotta dal Bellucci non riguardava un comportamento 
della P.A. pregiudizievole per il suo diritto alla controprestazione, 
ma l'avergli imposto clausole particolari e segnatamente l'esecuzione dei 
progetti prima ancora che si fosse addivenuti alla stipula della convenzione, 
se cio� il comportamento di mala fede addotto era inerente 
al processo di formazione del contratto e non allo stato di pendenza della 
condizione, si era chiaramente al di fuori delle ipotesi di cui all'articolo 
1358 cod. civ., risultando non producente il richiamo alla categorizzazione 
di situazioni del tipo di quella considerata da tale norma per 
ricondurre al genus la fattispecie di cui all'art. 1337 cod. civ. che, sotto 
questo aspetto, presenta connotazioni peculiari ed assolutamente autonome. 


In altre parole la responsabilit� precontrattuale non pu� considerarsi 
ascrivibile ad una categoria nella quale convergono situazioni disciplinate 
dalla legge qualificando comportamenti prodromici al conseguimento 
dell'effetto finale del negozio, la cui inosservanza determina responsabilit� 
che pur non potendosi considerare contrattuale in senso stretto, 
obbiettivamente extracontrattuale non �. 

7. L'approccio metodologico, sia pure ricondotto ad una responsabilit� 
ex lege, non contrattuale, ma nemmeno aquiliana, non persuade il 
Collegio. 
Risultando per tabulas dall'art. 2946 cod. civ. che, di regola, i diritti 
si estinguono per prescrizione decennale, salvo i casi stabiliti dalla legge1 
occorre verificare, per derogare a tale regola se, rispetto al diritto 
considerato, si rinviene nell'ordinamento una norma derogatoria, avendo 
riguardo al � titolo � invocato in giudizio. 

Rispetto ad una pretesa risarcitoria appare fondamentale enucleare 

la fonte dell'obbligazione. Ed al riguardo l'art. 1173 cod. civ. non concede 

spazi. alla fantasia dell'interprete contemplando, accanto al contratto 

ed al fatto illecito, puntuali figure attinte a �cause varie�, ma sempre 

espressamente riconducibili a matrice legale positiva. Il commendevole 

sforzo sistematico della dottrina in tanto ha senso e significato in quanto 

~ccomuna nella categoria della precontrattualit� situazioni in cui la fonte 

della responsabilit� non attiene all'inadempimento, risoluzione o rescis


sione del vincolo e quindi pur sempre alla fonte dell'obbligazione sca


turita dal contratto, ma prende in considerazione, almeno per quanto 

attiene alle ipotesi di cui all'art. 1337 cod. civ. qui considerato, il com


portamento tenuto dell'addivenire o non addivenire al contratto; ov


vero nella formazione del medesimo. 

Enucleare una differenza quantitativa fra l'obbligazione risarcitoria 
precontrattuale e quella risarcitoria ex art. 2043, cod. civ. non appare 
determinante per giustificare l'apparentamento della prima al genus delle 

.�-f 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 247 

obbligazioni contrattuali, trattandosi, molto pi� semplicemente, di considerare 
che l'obbligo scaturente dal contratto e quello derivato dal 
comportamento tenuto contra ius costitutivo del fatto illecito connotato 
dalla malafede oggettiva, non si presentano qualitativamente omogenei, 
in quanto quest'ultimo pur risultando collegato ad una vicenda contrattuale 
e disciplinato secondo particolari regole non viene trasformato 
nella sua intima essenza di fatto illecito. 

I ricorrenti, per escludere la responsabilit� aquiliana, assumono che 
nella fattispecie dell'art. 1337 cod. civ. non vengono in considerazione i 
generali principi del neminem laedere, ma le specifiche norme che in 
funzione di un rapporto negoziale in fieri impongono alle �parti�, (e solo 
ad esse) nel corso di svolgimento delle trattative un determinato comportamento. 


La situazione apparirebbe ancora pi� netta quando, conclusasi la 
fase delle trattative e stipulato il contratto, questo si pone come fonte 
di obblighi e di comportamenti fra le parti tenute ad attuare e rispettare 
i diritti e le aspettative fondati su di esso. 

Assumono .cio� i ricorrenti che l'illiceit� del comportamento dell'amministrazione 
della difesa si risolve nella lesione dei diritti spettanti 
~all'architetto Bellucci per avere acquisito la prestazione . nello stato 
di pendenza del contratto, restando esonerata dal pagamento del corrisp.
ettivo. 

Con ci� si ritorna al punto focale della causa circa la qualificazione 

in senso contrattuale, ovvero extracontrattuale .del pregiudizio subito 

dal dante causa degli attuali eredi ricorrenti. 

L'art. 1137 distingue, ma accomuna nella disciplina la responsabilit� 

attinente allo svolgimento delle trattative ingiustificatamente interrotte 

e la responsabilit� nella formazione del contratto. Secondo i ricorrenti 

nell'uno e nell'altro caso la responsabilit� scaturirebbe da doveri di com~ 

portamenti che sono posti nei confronti dei consociati in generale, 

quale espressione del principio neminem laede1�e, ma si impongono quali 

doveri specifici nei confronti di determinati soggetti individuati con 

riguardo al rapporto fra essi intercorrente in dipendenza di una vicenda 

contrattuale. 

� agevole replicare che anche rispetto all'obbligazione da fatto ille


cito l'atipicit� delle fattispecie riconducibili allo schema legale dell'arti


colo 2043 cod. civ. non esclude che l'astratta generalizzazione del neminem 

laedere si puntualizzi nella specificit� di particolari rapporti rispetto ai 

quali� prendono rilievo a priori, quali possibili soggetti passivi soggetti 

predeterminati o predeterminabili, sicch� l'elemento differenziale tipico 

torna ad essere non gi� la predeterminazione o predeterminabilit� dei 

soggetti nei confronti dei quali sussiste l'obbligo, ma la fonte, contrat


tuale o meno, di quell'obbligo. In altre parole il comando ex art. 1337 

cod. civ suona: nello svolgimento delle trattative e nella formazione del 


248 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

contratto ti comporterai secondo buona fede e ci� significa che il dovere 
di buona fede si indirizza indifferentemente nei confronti di tutti coloro 
che si accingono a stipulare un contratto, salvo a specificarsi hic et nunc 
ogni qualvolta concretamente si svolgano le trattative fra determinati 
soggetti ovvero si tratti di procedere alla formazione di un particolare 
contratto. 

8. Non � possibile, pertanto, pervenire alla conclusione che sta a 
cuore ai ricorrenti senza prendere posizioni sul problema della natura 
giuridica della responsabilit� ex art. 1337 cod. civ. 
Al riguardo, in sede di ricognizione delle posizioni della dottrina 
e della giurisprudenza si deve dare atto di un orientamento univoco 
di questa nel senso della extracontrattualit� in aderenza a quelle che 
sono le posizioni prevalenti di quella. 

A favore della tesi della contrattualit� si � osservato che la responsabilit� 
considerata discende dalla violazione di doveri che corrono fra le 
� parti �. Ma l'argomento, nella sua portata pi� estensiva, discendente 
dalla contrapposizione di doveri di comportamento generale e doveri di 
comportamento particolare, non pu� essere condiviso per le considerazioni 
appena svolte nel paragrafo precedente; se poi si vuol far leva sul 
significato tecnico della parola "parte�, considerandola come equivalente 
di quella � contraente � � agevole constatare, confrontando la di~ 
zione dello art. 1337 con quella dell'art. 1338, che in entrambi i casi il 
legislatore usa il termine " parte � che manifestamente non si attaglia 
alla accezione semantica di contraente con riferimento alla ipotesi di 
buona fede nello svolgimento delle trattative e della formazione del contratto 
essendo ovvio che finch� non si giunga alla conclusione del contratto 
medesimo non � possibile parlare di parte in senso tecnico legata 
alle obbligazioni che nascono dal negozio (fra cui, come si � accennato, 
quella della irretrattabilit� del vincolo anche rispetto a negozi ancora pri� 
vi di efficacia). Ma se cos� �, pare azzardato ritenere che in due norme 
contigue del codice il legislatore abbia inteso adoperare lo stesso termine 
in accezione tecnica diversa, il che porta a concludere che nell'uno 
come nell'altro caso i soggetti a cui carico sorge la prevista responsabilit� 
connessa e preordinata ad una vicenda contrattuale, ma che non 
ne costituisce direttamente un esito, attenendo all'adempimento (od inadempimento) 
delle obbligazioni assunte nel provvedere al regolamento di 
interessi perseguito, non sono � tenuti � in quanto legati da un contratto, 
in forza di esso, ma per avere violato una regola di comportamento specificamente 
dettata dal legislatore nei confronti di tutti coloro che si 
accingono alla stipulazione di contratti ed a prescindere dal vincolo che 
comporta l'assunzione di obbligazioni �contrattuali� in senso stretto 
e tipico. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 249 

Proprio perch� attiene ad una fase precontrattuale, avendo esclusivo 
riguardo ai comportamenti tenuti nel corso di tale fase, non pu� ricollegarsi 
al contratto come sua fonte nemmeno nel caso in cui non si 
tratti puramente e semplicemente di rottura delle trattative, ma il contratto 
si � concluso attraverso un procedimento alterato dal comportamento 
non di buona fede di uno dei partecipanti alle trattative. Tale alterazione 
del processo formativo della volont� in una determinata 
prospettiva, tradizionalmente ricondotta ai � vizi del volere � quando la 
stipula � avvenuta per l'inganno o la minaccia determina l'annullamento 
del negozio; ma ci� non � sufficiente ad eliminare ogni danno perch� il 
contraente ingannato o minacciato pu� avere affrontato spese per le 
trattative o per la conclusione del contratto, e pu� anche essersi lasciato 
sfuggire altre occasioni ed ha diritto quindi ad essere risarcito di 
tali patiti danni extracontrattuali che non toccano direttamente una 
vicenda del negozio o del rapporto che ne � scaturito, ma derivano dal 
fatto illecito che si � concretato nel comportamento di mala fede in una 
fase prodromica alla conclusione del contratto comportante in ipotesi 
quella stipula che non vi sarebbe stata se fossero stati rispettati i doveri 
di informazione. 

Pare al Collegio che se qualche dubbio potrebbe sorgere sulla qualificazione 
del tipo di responsabilit� rispetto all'art. 1338 il quale muove 
dalla premessa della conoscenza di fatto, o dal dovere di conoscenza 
della causa di invalidit� del contratto, riportandosi cio� al contraente in 
concreto (a differenza dall'art. 1431 il quale in tema di riconoscibilit� 
dell'errore fa riferimento ad un tipo astratto di contraente) non sia 
ipotizzabile persuasivamente un legame di dipendenza genetica della 
culpa in contrahendo dal contratto che si vorrebbe porre in essere se 
il discorso resta circoscritto, alla ipotesi di responsabilit� ex art. 1337 
cod. civ. che � la norma alla cui stregua va decisa la presente causa. 

In effetti l'argomento pi� forte che si pone in dottrina a favore 
della contrattualit� si attaglia esclusivamente alla ipotesi di responsabi-. 
lit� ex art. 1338, sostenendosi che poich� la norma impone ai contraenti 
futuri anche nella fase delle trattative doveri di informazione e di comunicazione 
i quali dipendono dalla natura contrattuale del comport.amento 
delle parti, in mala fede oggettiva: si deve ipotizzare necessariamente 
la natura contrattuale della responsabilit� alla cui radice c'� un vincolo 
contrattuale. 

Ma quale che possa essere la posizione da assumere rispetto alla 
responsabilit� ex art. 1338, l'argomento suddetto non si attaglia alla 
fattispecie contemplata dall'art. 1337 cod. civ. 

La condotta eventualmente di mala fede oggettiva della pubblica 
amministrazione in pendenza dell'approvazione di un contratto va ricondotta 
nell'alveo della previsione dell'art. 1337 cod. civ e come tale 


250 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

I

resta estranea alla previsione di cui all'art. 1375 cod. civ. (cfr. gi� pri


ma della citata sentenza n. 3383/81, Cass. 3008/68). 

Il 

8. In conclusione il ricorso non merita accoglimento. Dovendosi ri~ & 
levare che la responsabilit� c.d. precontrattuale ex art. 1337 va ricondotta 
I 

al genus delle responsabilit� di fatto illecito, potendosi far valere in giur: 
dizio solo entro il termine prescrizionale quinquennale ex art. 2547 cod. 

civ. 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 11 maggio 1990, n. 4054 -Pres. Corda -
Rel. Favara -P. M. Golia -La Rosa Basilio (avv. Cavaliere) c. Finanze 
(avv. Stato Arena G.). 


Concessioni amministrative -Cessazione automatica allo scadere del tempo 
previsto -Contestuale insorgenza dell'obbligo di restituzione del 
bene da parte del concessionario. 


Concessioni amministrative -Scadenza -Recupero del bene -Potest� della 

P.A. di agire in autotutela -Ovvero di avvalersi degli ordinari rimedi 
innanzi alla A.G.O. � 
Concessioni amministrative -Scadenza -Emissione di nuovo provvedimento 
su bene illegittimamente detenuto dal cessato concessionario 
� Ammissione � Facolt� del nuovo concessionario di agire per il 
rilascio -Ammissione -Non esclude concomitante, distinto interesse 
della P .A. alla pronuncia di rilascio. 


Atti amministrativi � Potere di disapplicazione -Concerne solo le materie 
devolute alla giurlsdizione del giudice adito. 


Il provvedimento con il quale la P.A. attribuisce per un tempo determinato 
in concessione un bene demaniale trasferisce al concessionario 
le facolt� inerenti all'uso del bene, ma cessa di avere effetto (qualora 
gi� nel corso del rapporto non sia intervenuta pronuncia di revoca o di 


�decadenza) automaticamente, alla scadenza del periodo di tempo previsto, 
con conseguente perdita da parte del concessionario dei poteri a lui 
attribuiti e contestuale obbligo di immediata restituzione del bene de'
maniale. 

Correlativamente, allo scadere della concessione l'Amministrazione 
concedente recupera automaticamente la titolarit� del diritto a conseguire 
il rilascio del bene illegittimamente trattenuto dal cessato concessionario, 
con potest� di agire a tal fine in autotutela, ovvero avvalersi 
jure privatorum degli ordinari rimedi dinanzi all'A.G.O. 


Allo scadere del termine della concessione l'Amministrazione pu� emettere 
un nuovo provvedimento concessivo anche se il bene sia ancora illegittimamente 
detenuto da altro soggetto, e, una 'l!Olta costituito il nuovo 
concessionario, investirlo della pienezza delle facolt� inerenti alla quali



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTl 251 

t� riconosciutagli,. tra cui in primo luogo quella di ottenere, nel proprio 
interesse, il rilascio del bene: ci� peraltro non esclude la concomitanza 
di un interesse anche della P.A. concedente rispetto alla pronuncia di 
rilascio del bene in favore del concessionario, come ad esempio quando 
questi sia tenuto al pagamento del canone a partire dalla data di effettiva 
sua immissione nel godimento del bene (1). 

Il potere di disapplicazione degli atti amministrativi previsto dall'articolo 
5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, spetta al giudice unicamente 
nelle materie devolute alla sua giurisdizione, e cio� quando si faccia 
questione di diritti soggettivi: non � perci� consentito eccepire dinanzi 
all'A.G.O., adita dal nuovo concessionario per l'attuazione del diritto 
soggettivo al rilascio da parte del precedente concessionario, vizi conae.
rnenti la legittimit� del provvedimento che non configurino lesione 
di un diritto soggettivo. 

(omissis) 2. -Tutte tali censure, tra loro logicamente connesse, sono 
prive di fondamento. 

Il provvedimento con il quale la P.A. attdbuisce per un tempo 
determinato, in concessione un bene demaniale, trasferire al concessionario 
le potest� o le facolt� inerenti all'uso del bene, ma cessa di avere 
effetto (qualora. gi� nel corso del rl;'.pp0rto non sia intervenuta pronuncia 
di revoca o, di decadenza), autom~ticamente, alla scadenza del periodo 
di tempo previsto. 

Il concessionario resta pertanto da tale data. privo dei poteri a lui 
attribuiti ed ha l'obbligo di immediata restituzione del J:>ene demaniale 
concessogli, senza che sia ipotizzabile ult;rattivit� della concessione� scaduta, 
sopravvivenza di fatto del rapporto, o. ratifica tacita della situazione 
illegittima determinatasi alla scadenza della concessione. .� infatti, 
di regola, necessario per la protrazione. del regime di concessione 
un provvedimento formale di rinnovazione o di nuova concessione secondo 
le regole procedimentali proprie di tali atti restando salvo (ove 

(1) Nelil'i!Potesi in quesrtiooe ric01re un concorso di interessi distinti, convergenti 
Vffi'So iil medesiim.o risUJLtato, perseguito in via diret>ta da un soggetto 
e in via mddretta ddl.'ai1tro. Ci� g�iustiifi.ca la leginU�irllazione sussidiaria, per 
un interesse autonomo e dunque in via non meramente ades!iva, della P. A. 
concedente. 
La problematica so1Ievata dall'esercizio dilI'etto e autonomo da parte dcl. 
privato del potere di autotutela riconosciuto aN'Ammmisn:-Mione dall'art. S23, 
2� c., e.e., presenta aspetti di par.ticolare novit�: l'<interes�se del privato � configurato 
come interesse personaile e diretto ail ri!lascio del bene coesiS>tente con 
un interesse (questo, inviece, mediato) drula P. A. che risU'lta comunque subordinato 
a11a condiz,ione che l'obbligo di pagamento deil pirivato sorga solo nel 
momento in cui questi entra effettiwmente nel godimento dcl. bene. 

Le precedenti pronunce in materia di rilascio di beni oggetto di concessione 
hanno sempre avuto ad oggetto fattiispecie divense. 



252 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

ne ricorrano presupposti) il c.d. �diritto di insistenza � del vecchio 
concessionario (che non ha tuttavia consistenza di diritto soggettivo 
bens� di pretesa soggetta al riscontro discrezionale di opportunit�) oltre 
al diritto di devoluzione degli impianti (ove previsto). 

Con lo spirare del termine finale della concessione si estinguono 
quindi tutte le facolt� originariamente trasferite al privato, tra le quali 
il diritto (che � affievolito verso la P.A.) ad usare in modo esclusivo il 
bene demaniale; e viene meno lo ius possidendi cosicch� l'eventuale illegittimo 
protrarsi di fatto della relazione col bene in questione d� luogo 
ad una detenzione abusiva. 

Tutto ci� significa che, contrariamente a quanto il La Rosa assume 
col terzo motivo di ricorso, allo scadere della concessione -come 
esattamente ritenuto dalla Corte di merito -egli era divenuto occupante 
abusivo del terreno e obbligato al rilascio in favore dell'Amministrazione 
concedente. Pu� anche aggiungersi (riservando invece all'ulteriore 
disamina del ricorso la risposta ai rilievi concernenti la legittimazione 
dello Scognimillo a dedurre l'illegittimit� della situazione creatasi nei 
confronti di esso La Rosa alla scadenza della concessione) che sono 
certamente corrette le affermazioni contenute nella sentenza (anche 
a proposito della non deducibilit� dinanzi al giudice ordinario, perch� 
riservata alla competenza giurisdizionale del giudice amministrativo: 
art. 5 L. 6 dicembre 1971 n. 1034 delle questioni attinenti ai �provvedimenti 
relativi a rapporti di concessione di beni �. 

Nel caso di specie non erano perci� deducibili dinanzi a detto giudice 
le questioni dedotte dal La Rosa in ordine al mancato riconoscimento 
del suo diritto di insistenza e in ordine alfa pretesa violazione 
delle disposizioni dettate dall'art. 37 cod. nav. per il caso (qui ricorrente) 
di concorso di pi� domande di concessione del demanio marittimo; 
questioni che il La Rosa non aveva proposte dinanzi al giudice amministrativo 
e che comunque sono state ritenute maniifestamente prive di 
consistenza dalla Corte di Messina, ad abundantiam, con rilievi qui 
non impugnati. E pu� infine osservarsi, quanto alle implicazioni che 
il ricorrente ravvisa nel fatto che egli nel 1983, dopo cio� la scadenza 
della concessione, invi� alla P.A. talune somme a titolo di �acconto 
canone�, che costituisce accertamento di fatto non sindacabile in que� 
sta sede quello operato dai giudici di merito in ordine alla imputazione 
operata dalla Amministrazione concedente di quelle somme non a titolo 
di �canone�, per rinnovazione (tacita) della concessione (nel frattempo, 
dal 1980, attribuita allo Scognimillo), bens� a titolo di indennizzo 
derivato dall'Amministrazione dell'illegittimo protrarsi del rapporto dopo 
la scadenza e dalla ritardata consegna del bene demaniale. 

3 -Se con lo scadere della concessione l'Amministrazione concedente 
recupera l'esercizio delle facolt� inerenti al bene temporaneamen




PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 253 

te trasferite al concessionario, e il possesso dello stesso sino a quel momento 
ceduto in uso esclusivo, � chiaro che essa di regola � titolare 
del diritto al rilascio del bene che (illegittimamente) il cessato concessionario 
ritardi a restituire dopo la scadenza della concessione. 

E conseguentemente la P.A. ha la potest� di agire in autotela per il 
recupero del bene, ovvero di avvalersi jure privatorum degli ordinari 
rimedi giuridici concessi dall'ovdinamento dinanzi all'A.G.O. 

Ci� in vista di una possibile nuova concessione ad altro soggetto 

o di una diversa utilizzazione del bene demaniale. 
Avendo peraltro la P.A. concedente riottenuto l'esercizio delle potest�, 
cio� lo jus possidendi, dello stesso, non pare dubbio che essa possa 
nuovamente disporre anche prima di averne ottenuto la materiale riconsegna 
da parte del vecchio concessionario; dando cio�inizio ad un nuovo 
procedimento diretto ad attribuirlo ad altro concessionario. 

E il provvedimento adottato al termine di tale procedimento (nella 
specie, in ossequio alle norme del codice della navigazione -art. 37 
ss. -previa gara tra i vari offerenti invitati a concorrere), e cio� il verbale 
di aggiudi�azione, assume anche quando la P.A. non abbia recuperato 
la detenzione del bene il valore proprio di tale atto terminativo 
della ricordata procedura, diretta alla scelta del nuovo concessionario e 
al trasferimento, immediato, in suo favore delle potest� inerenti a simile 
atto amministrativo. 

Rispetto a questo procedimento il La Rosa, invitato a partecipare alla 
gara assieme ad altri concorrenti, ha formulato doglianze che certamente 
non potevano trovare ingresso e considerazione davanti al giudice 
ordinario (egli peraltro non insiste su di esso in questa fase del 
giudizio): ma anche rilievi in ordine alla legittimit� del provvedimento 
che attribu� allo Scognimillo la concessione (mancata approvazione 
del verbale di aggiudicazione da parte dell'autorit� tutoria; pretesa 
decadenza dell'aggiudicatario per inosservanza delle disposizioni sul 
versamento entro il termine di legge di un deposito cauzionale), ai 
quali la Corte territoriale ha esattamente -come si dir� subito -negato 
ingresso, ritenendo che neppure in via incidentale potesse discutersi nel 
presente giudizio di vizi che potevano essere solo devoluti alla cognizione 
del giudice amministrativo. 

Il potere� di disapplicazione degli atti amministrativi previsto dall'art. 
5 della L. 20 marzo 1865 n. 2248, infatti, spetta (secondo la costante 
giurisprudenza di questa Corte) al giudice unicamente nelle materie 
devolute alla sua giurisdizione; nelle materie cio� in cui si faccia 
questione di diritti soggettivi. Quando perci� colui che deduce l'illegittimit� 
di un atto amministrativo, del quale chieda al giudice ordinario 
la disapplicazione in via incidentale, vanti una posizione soggettiva� che 
non ha consistenza di diritto soggettivo, bens� di interesse legittimo 
(tale cio� da legittimarlo al ricorso presso il giudice amministrativo) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

254 

l'esame della questione sollevata, da parte del giudice ordinario avverrebbe 
principaliter e non incidenter tantum. 

Non pu� perci� ritenersi consentito, al fine di negare la legittimazione 
del nuovo concessionario del bene demaniale ad esercitare le 
facolt� a lui trasferite, dedurre dinanzi al giudice ordinario, adito per 
l'attuazione di diritti soggettivi che si assumono derivanti da quel provvedimento, 
vizi concernenti le legittimit� del provvedimento medesimo 
che non abbiano leso un diritto soggettivo dell'istante. 

Nel caso in esame, la Corte di Messina, ispirandosi a tali principi 
giuridici, ha escluso che il La Rosa, occupante abusivo (quindi mero 
detentore del bene demaniale) dopo la scadenza della precedente concessione, 
in favore dello Scognimillo .. 

La Corte di merito ha peraltro aggiunto, ad abundantiam (ma comunque 
con affermazioni giuridicamente corrette, che resistono all'impugnativa 
mossa col primo motivo del ricorso per cassazione), che il verbale di aggiudicazione 
emesso all'esito del procedimento volto �alla scelta del nuovo 
concessionario risultava conforme alle regole poste nella materia in 
esame dalla legge e dal regolamento sulla contabilit� dello Stato (t.d. 
18 novembre 1923, n. 2440, Titolo I; r.d. 23 maggio 1924, n. 827, Titolo 
II, art. 36 ss.) e che in particolare non sussisteva violazione degli artt. 
16 e 19 della legge n� dell'art. 88 del regolamento. Ed ha perci� correttamente 
ritenuto che il verbale di aggiudicazione predetto costitutiva 
titolo idoneo a dar vita alla nuova concessione e a trasferire in 
favore dello Scognimillo l'esercizio dei poteri e facolt� inerenti al bene 
demaniale, unitamente al possesso dello stesso; che il provvedimento 
di concessione in favore dello Scognimillo aveva poi ottenuto la necessaria 
approvazione in sede tutoria, anche se del dedotto iniziale difetto 
di approvazione il La Rosa non era legittimato a dolersi, in quanto 
terzo rispetto al rapporto i cui vizi solo l'Amministrazione poteva eccepire; 
e sempre ad abundantiam, con statuizione non utilmente .censurabile 
in questa sede e comunque non censurata, ha rilevato che Io 
Scognimillo aveva debitamente osservato prescrizioni circa il pagamento 
derivanti dalla legge e dal provvedimento amministrativo per la 
piena efficacia di questo. 

4 -Si deve a questo punto porre in rilievo (non avendo, come si 
� detto, il La Rosa prodotto impugnazione del provvedimento di nuova 
concessione dinanzi al competente giudice amministrativo e non po� 
tendosi p�rci� discutere della legittimit� del detto atto di giudizio), che 
il verbale di aggiudicazione costituiva titolo idoneo a legittimare lo 
Scognimillo per la esplicazione di tutte le facolt� da esso derivanti 
pciich� attribuiva un diritto a fruire della concessione valido erga 
omnes non solo verso la P.A. concedente (ma qui ci� non viene in rilievo) 
quale diritto affievolito, ma anche quale diritto pieno verso tut




PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 255 

ti i terzi che potessero vantare interessi confliggenti rispetto all'uso 
esclusivo del bene demaniale attribuito in concessione oltre che e verso 
gli autori di molestie di diritto o di fatto. 

Lo Scognimillo aveva perci� piena legittimazione ad agire per ottenere 
la disponibilit� del bene demaniale a lui concesso e a chiedere il 
rilascio dello stesso nei confronti del terzo detentore. La domanda da 
lui proposta nel presente giudizio, che � di restituizione e non di mero 
accertamento del diritto (non ha quindi pregio tutto quanto sostiene 
il ricorrente in ordine alla necessit�, per chi agisce in rivendica, di 
dimostrare l'esistenza del titolo; e resta anche superata l'eccezione di 
novit� della prospettazione che, rispetto, a quanto dedotto nella memoria 
illustrativa, ha formulato nella discussione orale il resistente) 
poteva pertanto trovare ingresso ed avere autonoma considerazione, 
anche rispetto a quella avanzata (come dir� subito in appresso) dalla 

P.A. concedente con la comparsa di intervento. La posizione dell'aggiudicatario 
non era infatti -come sostiene il ricorrente -di mera 
aspettativa ad ottenere, quale aggiudicatario designato a subentrare 
al vecchio concessionario (a mezzo della licitazione privata), nella concessione; 
bens� di pieno diritto, attuale ed efficace (perch� la presunzione 
di legittimit� che accompagna gli atti amministrativi non era 
stata contestata dinanzi al competente giudice amministrativo), ad 
ottenere, dal mero detentore di esso il rilascio del bene demaniale oggetto 
della concessione disposta in suo favore. Senza che potessero neppure 
avere valore ostativo nei confronti dello S�ognimillo (come si dir� 
a proposito del quinto motivo di ricorso) le ragioni attinenti al rapporto 
interno tra esso La Rosa, vecchio concessionario, e la P.A. concedente 
seguita dalla nomina di nuovo concessionario. 
Ed � evidente anche che perdono rilevanza le censure riguardanti 
la violazione delle norrne di ermeneutica per l'interpretazione data dai 
giudici di merito al verbale di aggiudicazione (quale atto negoziale) e 
ai comportamenti successivi tenuti dalle parti, per quanto riguarda la 
clausola in esso contenuta con la quale si precisava che lo Scognimillo 
doveva interessarsi per estromettere il La Rosa dal terreno. 

Per vero, la Corte di merito ha dato rilievo a tale clausola per dedurne 
che lo Scognimillo aveva anche una veste di mandatario della 

P.A. concedente e che perci� egli aveva agito per il rilascio del bene nella 
duplice qualit� di nuovo concessionario e di mandatario. La precisazione 
contenuta in detta clausola doveva, in tutta evidenza, servire nel caso 
in cui fosse stata ritenuta (nella competente sede) l'esistenza di taluno 
dei vizi di legittimit� o l'inefficacia (temporanea) del provvedimento di 
concessione, e comunque per stabilire il principio che, oltre che un 
onere per il nuovo concessionario (in detta ipotesi), l'estromissione del 
vecchio concessionario costitutiva anche un obbligo per lo Scognimillo, 
contrattualmente impostogli nell'interesse della P.A. concedente, dal mo

256 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mento che questa avrebbe iniziato a incassare il canone del nuovo concessionario 
(in base ai patti intervenuti al riguardo) solo dal momento 
dell'effettivo inizio del godimento del terreno da parte dello stesso. 

In effetti, per la proposizione della domanda di rilascio, la qualit� 
(contestata) di mandatario poteva anche non essere utilizzata, essendo 
sufficiente quella dedotta in via primaria di nuovo concessionario, che 
era jure proprio. Restano cos� superate le questioni proposte dal ricorrente 
circa l'interpretazione della domanda e la spedita anche della 
qualit� di mandatario da parte dello Scognimillo. Ed anche le discussioni 
che le parti hanno fatto (su cui i giudici di merito hanno espresso 
il proprio avviso) circa l'interpretazione della clausola, se cio� contenesse 
un obbligo o piuttosto un onere, restano quindi superate, almeno 
per quanto concerne il problema qui all'esame della legittimazione dello 
Scognimillo all'azione di rilascio del bene demaniale. 

Tale precisazione deve ritenersi sufficiente agli effetti di quanto dispone 
l'art. 384 cpv. cpc per ristabilire la funzionalit� della motivazione, 
da porsi a sostegno della (corretta) decisione adottata dalla Corte territoriale. 


5 -Si evidenzia invece, a questo punto, l'esigenza di dare risposta 
ai rilievi mossi con il secondo motivo di ricorso, a proposito del concorso 
la tra legittimazione del (nuovo) concessionario e quella, svolta in 
sede di intervento, della p.a. concedente. 

Come risulta chiaro da quanto sopra pre:.iesso, non vi � dubbio 
che la p.a. concedente, alla scadenza della concessione, aveva diritto alla 
restituzione del bene demaniale da parte del vecchio concessionario. 
Essa aveva perci� legittimazione ad agire per il rilascio; e non pu� negars� 
che, per un pi� corretto agire amministrativo, sarebbe stato opportuno 
che fosse stata essa a procurarsi la restituzione del bene demaniale, 
prima di farne oggetto di nuovo procedimento di concessione in favore 
di altro oggetto. 

Ma non pu� neppure dubitarsi, come si � detto e per l'autoritariet� che 
accompagna gli atti amministrativi, stante la sua ricordata automaticit� 
dell'effetto estintivo della vecchia concessione che consegue ipso jure 
allo scadere del termine originariamente fissato, che l'Amministrazione 
aveva la potest� di emettere nuovo provvedimento concessivo, una volta 
recuperato l'esercizio delle facolt� inerenti all'uso del bene demaniale ed 
il possesso dello stesso, anche se il bene era ancora, illegittimamente, 
detenuto da altro soggetto; e, una volta sostituito a s� tale soggetto 
come nuovo concessionario e titolare del diritto di uso esclusivo del 
bene demaniale, di investire questi della pienezza delle facolt� inerenti 
alla qualit� riconosciutagli tra le quali � da riconoscere in primo luogo 
quella di ottenere, nel proprio interesse, il rilascio del bene. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

257 

Ci� non esclude, come nell'ipotesi qui in esame, che possa persistere, 
in concreto, un interesse anche della p.a. concedente rispetto ad una 
pronuncia di rilascio del bene non direttamente in proprio favore, bens� 
in favore del concessionario quando questi, pur divenuto titolare dei 
diritti e facolt� derivanti dalla concessione, sia tenuto al pagamento del 
canone solo a partire dalla data di effettiva sua immissione nel godimento 
del bene. Si delinea, in tale particolare ipotesi, un concorso di 
interessi distinti, convergenti verso il medesimo risultato, perseguito in 
via diretta da un soggetto ed in via indiretta dall'altro. 

Ed � appunto tale situazione processuale, riscontrata in punto di 
fatto insindacabilmente dal giudice di merito, che d� piena giustificazione 
della legittimazione sussidiaria, per un interesse autonomo e perci� 
in via non meramente adesiva, della P.A. concedente. Questa perci� 
bene poteva spiegare intervento nel giudizio promosso dal legittimato 
principale al fine di ottenere, indirettamente e prestando adesione 
alla domanda di rilascio del concessionario, la tutela del rapporto, suo 
autonomo interesse. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 15 maggio 1990 n. 4186 -Pres. Granata -
Rel. Panzarani -P. G. Grossi (conf.) -Bassi (avv. Novelli) c. CPDEL 
(avv. Stato Stipo). 

Pensioni -Casse pensioni amministrate dagli Istituti di previdenza -Domande 
aventi ad oggetto la pensione e la indennit� � una tantum � Giurisdizione 
della Corte dei conti � Domande aventi ad oggetto la 
ricongiunzione con la posizione assicurativa INPS -Giurisdizione 
ordinarla. 

Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei ricorsi contro i provvedimenti 
aventi ad oggetto la decisione sulle istanze rivolte al conseguimento 
della pensione o dell'indennit� una tantum corrisposte dalle 
Casse Pensioni amministrate dagli Istituti di Previdenza presso il Ministero 
del Tesoro; sussiste invece la giurisdizione del giudice ordinario 
(pretore del lavoro) relativamente alle domande rivolte ad ottenere 
la ricongiunzione del rapporto assicurativo gi� instaurato presso gli 
Istituti di Previdenza al fine della costituzione di un'unica posizione 
assicurativa presso l'Assicurazione generale obbligatoria gestita dall'INPS. 
(1) 

(omissis) Deduce l'istante che la questione di giurisdizione sorge esclusivamente 
se si assume il criterio secondo cui il diritto alla prestazione 

(1) Anche riguardo a11a presente sentenza vaJgono i I'ilievi esposti in occasione 
de]la precedente sentenza deHe stesse SS. UU. 22 aprile 1988 n. 3134, in 
questa Rassegna 1989. I. 152. 
....,,,�� , ��,,�����,...... 



258 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

� una tantum � integra il presupposto per l'applicabilit� della ricostituzione 
a norma della legge n. 322, il che per� non trova alcun riscontro normativo. 
Ed invero l'art. unico della suddetta legge n. 322 del 1958 e l'art. 39 
della legge n. 1646 del 1962 dispongono, al contrario, che l'importo dei 
contributi versati all'INPS in sede di ricongiunzione � portato in detrazione 
dell'eventuale trattamento in luogo di pensione spettante all'avente 
diritto e che, ove la cessazione del servizio non comporti diritto 
all'indennit� una volta tanto, la costituzione si effettua con l'assunzione 
del totale onere a carico dello Stato o degli Istituti. 

Rileva comunque che, ove anche si accogliesse l'impostazione contraria, 
l'eccezione di giurisdizione sarebbe da disattendere in relazione all'art. 
60 del RDL n. 680 del 1938, ed invero il �petitum� mediato della 
presente causa � costituito, non gi� dall'indennit� erogata dalla CPDEL 
bens� dalla pensione indiretta dell'INPS (gi� concessa e poi revocata) pre� 
supposto essenziale della quale � costituito dall'intera posizione assicurativo 
contributiva realizzata per ricongiunzione, a sua volta subordinata, 
secondo l'opposta tesi, alla sussistenza dei requisiti di cui all'ultimo comma 
dell'art. 6 della legge n. 1646 del 1962. In proposito rileva il ricorrente 
che � principio costante che la giurisdizione esclusiva della Corte dei 
conti in materia pensionistica vada intesa in senso restrittivo riguardando 
essa le sole controversie relative alla liquidazione e alla riliquidazione 
delle pensioni in tutto o in parte a carico dello Stato (disciplina 
generale di cui agli artt. 13 e 62 del testo unico n. 1214 del 1934) e all'impugnazione 
del decreto che concede o nega l'indennit� o la pensione 
(artt. 59 e 60 del RDL n. 680 del 1938). Assume pertanto che ogni altra 
questione riferentesi ai presupposti del diritto � attratta dalla giurisdizione 
della Corte dei conti solo se ad essa appartiene in via esclusiva la 
cognizione della causa principale avente ad oggetto la prestazione 
pensionistica (richiama al riguardo la sentenza di queste Sezioni unite 
5 marzo 1985 n. 1824), mentre nella fattispecie ricorre la situazione 
opposta, non controvertendosi invero circa la spettanza ad esso istan-

Ai sensi dtill� legge 2 apdle 1958 n. 322 il dipendente, che ha prestato 
attivit� lavorativa privata (con relativa pOSlizione assicm:iativa INPS) e attivit� 
lavorativa presso enti locali (con re1ativa posizione assicurativa presso una 
delle Casse amministirate dagild Istituti di fueviJdenza), ha diritto alila costituzione 
di un'unica posizione assicurativa, in tal caso l'lsHtuto previdenziale 
(nehla specie lstitut:I� di Previdenza) deve provvedere a!l trasferimento dei contributi 
presso l'altro Istituto previdenzfale ~nella specie INPS), che � tenuto a 
corrispondere il trattamento pensionistico sulila base de1'1a somma dei due 
periodi assicurativi. 

.Se l'Istituto (come nella specie Istituti. di previdenza) nega il trasfer�� 
mento, la controversia non ha ad oggetto il trattamento pensionistico che 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

259 

te dell'indennit� � una tantum � ma del suo diritto alla pensione indiretta. 
dell'INPS per effetto della costituzione presso tale istituto della 
posizione assicurativa. Chiede pertanto che sia dichiarata la giurisdizione 
dell'Autorit� giudiziaria ordinaria. 

Tutto ci� richiamato, osserva il Collegio come in relazione alle ragioni 
che seguono, debba essere riconosciuta la fondatezza delle deduzioni 
dell'istante. 

Queste Sezioni unite, nella recente sentenza 22 aprile 1988 n. 3134, 
hanno, tra l'altro, affrontato una questione che direttamente corrisponde 
al problema centrale del presente incidente di giurisdizione e cio� quello 
della portata dell'art. 60, comma 1, del RD 3 marzo 1938 n. 680 che, 
con riferimento alle controversie con la Cassa di previdenza per i dipendenti 
degli enti locali, prevede il ricorso alla Corte dei conti contro i 
provvedimenti di cui al quinto comma dell'art. 59 e cio� quelli aventi 
ad oggetto la decisione sulle istanze rivolte al conseguimento della pensione 
(o dell'indennit�) amministrativa dalla suddetta Cassa. Si � in 
proposito puntualizzato che siffatta giurisdizione della Corte dei conti 
sussiste esclusivamente in ordine alle domande dirette ad ottenere il 
trattamento pensionistico dovuto dalla Cassa e perci� anche quando 
l'interessato abbia 'chiesto, a tal fine, il ricongiungimento e la riunificazion� 
della sua precedente posizione assicurativa presso l'Istituto nazionale 
della previdenza sociale, dato invero che in tale ipotesi la causa 
non investe direttamente il rapporto assicurativo. con tale Istituto e i diritti 
ad esso relativi, ma tende all'individuazione. ed alla qualificazione 
di diritti afferenti pur sempre al suddetto trattamento pensionistico 

l'altro Istituto (nehla specie INPS) deve corrispondere, in quanto la domanda 
�on � rivolta contro quest'ultimo lstitiuto. 

Pertanto non � corretto affermare che .la giurisdizione va determinata 
con rifevimento aM'Ente previdexwiale che dopo la rioongtunzione deve corrispondere 
il trattamento, pensionistico e che � estraneo alla controversia. 

L'affermazione di principio enunciata dail!la sentenza in Rassegna porte� 
rebbe ahla inammissibile conseguenza che ncl caso inver�so a quehlo in esame 
(e cio� rkongiunzione dailil'INPS agi1i Istituti .di Previdenza), l'INPS dovrebbe 
essere evocata davanti la Corte dei conti qua�ora negasse il trasferimento dei 
contributi agili Istituti di Previdenza; la Corte dei conti dovrebbe cos� estendere 
"la sua giurisdizione ad un rapporto (INPS.dirpenldente) della cui cognizione non 
� investita da alcuna no!lma processuale. 

Nella controversia in argomen,to gli lstitlllti di Previdenza hanno negato 
la ricongiunzione, in quanto sostenevano che l'interessato non ha titolo per 
ottenere la indenndt� una tantum, presupposto necessario per procedere alla 
ricongiunzione; quindi sostanziailmente la contiroversia aveva ad oggetto l'accertamento 
del diritto a quelila indennit�, che la stessa sentenza in rassegna 
ammette ricadere sotto la giurisdizione deMa Corte dei conti. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO. STATO

260 

della Cassa (si � al riguardo rievocata la sentenza di queste stesse 
Sezioni unite 5 marzo 1985 n. 1824 richiamata anche dal ricorrente). Ma 
� stato nel contempo precisato che diametralmente opposta � invece 
l'ipotesi in cui l'interessato non abbia affatto domandato il trattamento 
pensionistico della Cassa di previdenza, bens� quello dell'INPS ancorch� 
incrementato in relazione alla posizione assicurativa gi� costituita presso 
la Cassa medesima. L'azione proposta contro quest'ultima -si � aggiunto 
-affinch� provveda ai necessari adempimenti al riguardo, presenta 
perci� un � petitum � nettamente diverso rispetto a quello dell'azione 
prevista dall'art. 60 del RD n. 680 del 1938 ed invero l'accertamento della 
posizione assicurativa costituita presso la Cassa � solo strumentale ai 
fini della determinazione del trattamento pen&ionistico globale dovuto 
esclusivamente dall'INPS. Pertanto la relativa controversia rimane pienament� 
nell'ambito della disciplina degli artt. 442 e ss. cod. proc. dv. 
in base a cui (tranne specifiche eccezioni) la giurisdizione in materia 
di previdenza ed assistenza obbligatorie appartiene alla autorit� giudiziaria 
ordinaria e alla competenza � ratione materiae � del giudice del la


voro. 

Con riferim�nto alla fattispecie � perci� sufficiente considerare 
come il signor Bassi abbia chiesto la prestazione pensionistica non gi� 
della Cassa di previdenza dipendenti enti locali, bens� esclusivamente 
dell'Assicurazione generale .. obbligatoria dell'Istituto. nazionale della previdenza 
sociale (pensione ai superstiti) anche se ci� presuppone in attuazione 
dei precetti di cui, in particolare, all'art. unico della legge 2 aprile 
1958 n. 322, all'art. 5 della legge 29 aprile 1976 n. 177 e all'art. 39 della 
legge 22 novembre 1962 n. 1646 l'operativit� della ricongiunzione del rapporto 
assicurativo gi� instaurato presso la suddetta Cassa con la moglie 
dell'attore in relazione al lavoro svolto presso ente ospedaliero e conclusosi 
senza diritto a pensione. Dato invero che si tratta, in ordine alla 
costituzione di un'unica posizione presso l'Assicurazi�ne generale obbligatoria, 
di stabilire la sussistenza e la consistenza di un'obbligazione 
propria dell'INPS, l'accertamento� al riguardo di ogni presupposto di 
fatto e di diritto cos� come degli obblighi �strumentali� della Cassa 
medesima -anche in relazione all'avvenuta costituzionalizzazione, ad 
opera della sentenza della Corte costituzionale 30 gennaio 1980 n. 6, della 
disposizione di cui al comma 1 dell'art. 11 della legge 9 dicembre 1977 

n. 903 che manteneva una disparit� cronologica di trattamento del coniuge 
superstite, nonch� alla valutazione del fondamento giuridico del diniego 
della Cassa (Ministero del Tesoro, Direzione Generale degli Istituti di 
previdenza) ad adempimenti che, ripetesi, in ogni caso sono solo � stru� 
mentali � -necessariamente rientra nella cognizione piena del Pretore 
-giudice del lavoro -(art. 444 cod. proc. civ.). (omissis) 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 261 

CORTE DI CASSAZIONE -Sez. I, civile, 21 maggio 1990, n. 4586 Pres. 
Corda; Rel. Carbone; P. M. Martinelli (conf.). Amministrazione Provinciale 
di Messina (avv. Mirti della Valle) c. Assessorato LLPP 
Regione Sicilia (Avv. Stato Cingolo). 

Espropriazione per pubblica utilit� -Occupazione illegittima -Azione di 
risarcimento -Legittimazione passiva -Spetta al soggetto che ha 
eseguito l'opera. 

La partecipazione all'attuazione di un'opera pubblica da parte di ente 
pubblico per conto di un altro soggetto pu� rientrare negli schemi 
della delegazione intersoggettiva, dell'affidamento, del finanziamento 
e della sostituzione; in tali casi, la legittimazione passiva nei confronti 
dei terzi si determina caso per caso, in base ai poteri che la legge o il 
provvedimento amministrativo conferisce all'Ente operante. Ove, per�, 
il privato espropriato agisca a seguito di occupazione cd. appropriativa 
a titolo di risarcimento del danno, quest'ultimo � dovuto dall'occupante 
od esecutore materiale dell'opera (che � pertanto il legittimato passivo) 
e non dal delegante o finanziatore (1). 

(1) lil prino1p10 di cui a:Ma prima parte della massima �, di recente, costantemente 
recepito da1l[a giurisprudenza de([ SJC.: ad es., in Cass., 21 dicembre 
1'984, n. 6651, dove, in un caso di delegalcione amministrativa intersoggettiva, 
la Corte ha affermato che l'Ente delegato agis1ce in nome proprio, e non come 
rappresentante de([ delegante, assumendo pertanoo dllll. lato passivo ogni obbligo 
e responsabilit� per l'esecuzione dell'opera, con esc!Jusione della rivalsa nei 
confronti del delegante; conformi Cass., 9 ottobre 1987, n. 7509, Cass., 12 dicembre 
1988, n. 6730, Cass. 27 1ug!do 1989, n. 2513, Cas�s., 14 marzo 1990, n. 2097 
e Cass., 1� giugno 1990, n. 5143 (in una interessante ipotesi neHa qrualle l'opera 
era stata eseguita da priV'ato). 
Per una ipotesi di � affidamento � nelil:a quale si � invece ravvisata la 
responsabillit� dell'Amministrazione affidante v. Cass., 28 marzo 1990, n. 2532. 

Nella seconda parte della massima, invece, si ewdenzia come la S. C. 
appaia superare �a monte � �ll probilema deJJla individuazione concreta del 
legittimato passivo in base ai poteri spettanti all'Ente ohe attua l'opera 
pubblica, in quanto, in caso di allione risarcitoria, sarebbe comunque unica 
~ parte � l'esecutore mate11iale deli'opera. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 29 maggio 1990, n. 4991 � Pres. Montanari-
Visco -Rel. Rebuffat -P. M. Amatucci -ENEL (avv. Conte) c. 
Ministeri Lavori Pubblici e Tesoro (Avv. Stato Zecca). 

Acque -Acque pubbliche -Contributo per la costruzione di serbatoi � � 
unitario . Mancata realizzazione dell'opera -Rischlo della P.A. � Non 
sussiste. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURJ\. DELLO STATO

262 

Acque -Acque pubbliche -Contributo per la costruzione di serbatoi Controlli 
tecnici precedenti o concomitanti l'atto di concessione -Sono 
finalizzati al perseguimento dell'interesse pubblico -Diritto del concessionario 
-Fattispecie complessa che si esaurisce col collaudo 
dell'opera. 

Il contributo per la costruzione di serbatoi di acque pubbliche di cui 
agli artt. 73 ss. del R.D. 11 dicembre 1933 n. 1775 deve considerarsi unitario, 
anche ove siano state effettuate erogazioni parziali, in relazione 
all'importo di lavori risultanti dagli stati di avanzamento, ed � subordinato 
al completamento ed al collaudo dell'opera, con esclusione quindi 
della partecipazione della P.A. al rischio connesso alla mancata realiz� 
zazione dell'opera stessa (1). 

I controlli, anche tecnici, che precedono e accompagnano l'atto di concessione 
del contributo di cui agli artt. 73 e ss. del R.D. 11 dicembre 1933, 

n. 1775, sono finalizzati al perseguimento dell'interesse pubblico per l'opera 
stessa e non al saggio dell'accettabilit� di un rischio, atteso che causa 
giuridica del contributo � proprio l'importanza dell'opera per l'interesse 
pubblico, attributo quest'ultimo necessariamente riferibile al completamento 
dei lavori: pertanto il diritto del concessionario sorge col perfezionamento 
di una fattispecie complessa, scaturita con l'atto di concessione 
ed esauritasi con il collaudo dell'opera (2). 
(omissis) La decisione di appello si basa sul convincimento che il 
contributo di cui si disputa, previsto dagli articoli 73 e seguenti del R.D. 
11 dicembre 1933, n. 1775, sia unitario anche quando siano stati liquidati 
otto decimi di quanto di esso corrisponde all'importo di lavori risultanti 
dagli stati di avanzamento (art. 78), e, secondo la legge (art. 75) nonch� 
per espressa condizione posta nel decreto di concessione, sia subordinato 
al completamento e al collaudo dell'opera, escludendosi la partecipazione 
della Pubblica Amministrazione al rischio connesso alla realizzazione 
dell'opera stessa. 

Nel motivo di ricorso per cassazione si assume che quell'opinione 
comporti la violazione degli articoli 78 e 80 del citato R.D., nonch� di 

(1-2) Non si rinvengono precedenti. La pronuncia conferma Trib. Sup. 
Acque Pubbliche, 20 novembre 1984, n. 33, secondo cui la P.A. che contribuisce 
alla spesa per la costruzione di un serbatoio o lago artificiale non partecipa 
comunque al rischio connesso con 1a reailizzaztione del11o stesso, sicch�, cN conseguenza, 
deve ritenersi legittima la revoca dell contributo a seguito del:la sopravvenuta 
impossibi<lit� di realizzazione del!l'opera (nella fattispecie il collaudo, 
ai sensi dell'art. 78 T. U. 11 dicembre 1933 n. 1775, non si era reso possibile 
a causa della irreailizzabilit� delil'opera in seguito al sovvertimento oro-idrografico 
causato dal disastro del Vajont). 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

altre disposizioni legislative e principi di diritto in materia di contributi 
per le costruzione di serbatoi d'acque pubbliche, sia insufficientemente motivato 
e trasgredisca anche agli articoli 1362 e 1363 cod. civ .. 

Nella tesi del ricorrente, premessa una sorta di corresponsabilit� 
dell'Amministrazione nella scelta dell'opera pubblica da realizzarsi, la liquidazione 
degli importi del contributo corrispondenti agli stati di avanzamento, 
esprimendo il senso vero del dettato legislativo e, nel fatto, 
quello dello stesso provvedimento di concessione, segna un'operazione che 
'rende irreversibile l'acquisizione degli importi medesimi al patrimonio del 
concessionario, lasciando al collaudo dell'opera la mera funzione, non 
costitutiva, di determinazione del conguaglio finale da corrispondersi. 

Il motivo non ha fondamento. 

L'avviso del Tribunale Superiore, secondo cui, a mente del decreto 
di concessione e secondo le previsioni della legge, il contributo di cui 
si tratta era condizionato al completamento e al collaudo dell'opera, oltre 
ad essere logicamente coerente al tema del dibattito fra le parti ha 
solide basi in diritto. 

Per il primo aspetto vale dare atto che il dettato espresso di quel 
provvedimento � stato opposto all'ENEL, dai Ministeri convenuti, sin 
dalle prime mosse della lite ed ha costituito costante argomento difensivo 
delle Amministrazioni medesime. 

Correttamente, perci�, il giudice del merito ne ha fatto oggetto di 
interpretazione. 

Quanto al secondo, una scorsa delle disposizioni legislative regolanti 
la materia convince che � le condizioni � poste dal decreto concessivo, 
quali semplici attualizzazioni di previsioni positive eseronome, ben a ragione 
possono avere la rilevanza giuridica loro attribuita nella sentenza 
denunciata per cassazione. 

� opportuno, innanzi tutto, far giustizia dell'assunto difensivo dell'ENEL 
secondo cui l'Amministrazione Pubblica, quando d� in concessione 
la costruzione di un'opera regolante il flusso delle acque pubbliche, 
venga a condividerne il rischio col concessionario. 

Quel principio � ignoto all'ordinamento, se per �rischio� voglia in


tendersi la perdita di un investimento finanziario. 

I controlli, anche tecnici, che precedono e accompagnano l'atto di 

concessione, sono finalizzati al perseguimento dell'interesse pubblico per 

l'opera stessa e non al saggio dell'accettabilit� di un rischio, alla pro


gnosi del grado di sicurezza dell'alea di dovere in un certo qual senso 

sopportare a vuoto un esborso di pubblico denaro, pagare per qualche 

cosa che pu� anche non ottenersi. 

L'abile difesa dell'ENEL tenta di trarre spunti, a sostegno della tesi 

del �rischio pubblico�, dal comma terzo dell'art. 80 del T.U. citato -a 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

mente del quale, �in caso di decadenza della concessione per mancato 
compimento dell'opera, il contributo resta vincolato per la parte necessaria 
all'ammortamento del mutuo effettivamente somministrato dell'istituto 
finanziatore -, e dal comma quarto dell'art. 91 dello stesso testo 
legislativo, -per cui, nelle ipotesi in cui i concessionari o costruttori 
si siano resi colpevoli di negligenza o mala fede nell'esecuzione delle 
opere, �quando si tratti di contributi gi� accordati, la perdita si limiter� 
alla quota parte non vincolata a favore di istituti finanziatori �. 

Il tentativo, per altro, non pu� sortire l'esito sperato perch� le 
disposizioni invocate hanno riguardo a una situazione di diritto della 
quale non consta la verificazione nella specie, ci� quella in cui -come 
prevede il comma primo dell'art. 80 citato -il contributo sia stato � vincolato 
a garanzia di operazioni finanziarie per la provvista di capitali 
occorrenti alla costruzione nelle opere >>, ipotesi nella quale � persino 
prevista la facolt� del Ministro dei Lavori Pubblici, sentito quello delle 
Finanze, di rilasciare certificati di credito scontabili fino alla concorrenza 
degli otto decimi del contributo stesso (comma secondo dell'articolo 
in disamina). 

� il �vincolo a garanzia�, assunto dall'Amministrazione nei confron


ti dell'istituto finanziatore, che d� titolo alla permanenza dell'obbligo as


sunto dallo Stato, nonostante la decadenza o la colpevolezza del conces


sionario. 

Di un siffatto aggancio non vi � traccia nella disputa agitata in sede 

di merito e nei fatti ivi accertati dal giudice .. 

Ivi consta soltanto che l'Amministrazione ha prestato adesione alla 

cessione del credito fatta dall'ENEL in favore del CREDIOP, ma tale 

vicenda non integra quel vincolo. Essa, a mente dell'art. 9 della legge 20 

marzo 1865 n. 2248 all. E, ha mera rilevanza amministrativa, senza al


cun accertamento del titolo sottostante alla cessione di credito e, 

in un qual senso corrispondente, senza alcuna dismissione, da parte del 

debitore ceduto, dei suoi normali poteri di eccezione e di tutela espe


ribili nei confronti del cedente. 

Non giova, infine, anzi nuoce alla tesi del ricorrente il fatto che, 

nella specie, lo Stato abbia esercitato la facolt� di partecipare agli uti


li dell'azienda concessionaria (art. 82 del T.U. cit.) perch� non si sono de


dotte perdite dell'azienda stessa e perch� quella partecipazione ha, 

per espresso dettato della Legge, proprio la funzione di rilevare, almeno 

in parte, lo Stato della sovvenzione concessa ( � utili ... � da percepire "��� 

sino a che lo Stato non si sia reintegrato di met� della sovvenzione 

complessiva�). �, cos�, smentito quel dare dello Stato �a fondo perdu


to �, che � sottinteso nell'argomentazione dell'ENEL. 

Tornando al tema centrale dell'indagine, quello relativo alla natura 

unitaria del contributo di cui si tratta e alle �condizioni� del suo do



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

ver essere, ancora una volta il testo normativo specifico soccorre, del 
resto in armonia con i principi generali, a delineare il diritto. 

Il T.U. sulle acque e sugli impianti elettrici, dopo aver previsto la 
possibilit� di �contributi governativi� da accordarsi per la costruzione 
di serbatoi o laghi artificiali a altre opere regolanti il deflusso delle 
acque pubbliche (art. 73), stabilisce che � nel fissare la misura del contributo 
si tiene conto dell'importanza dell'opera per l'interesse pubblico� 
oltre che degli oneri che l'aggravano. 

� proprio � l'importanza dell'opera per l'interesse pubblico � la causa 
giuridica del contributo, ed essa non pu� che essere un attributo 
necessariamente riferibile al completamento dei lavori perch� soltanto 
in quel momento viene ad esistenza l'opera progettata e soccorrono le 
condizioni tecniche e fattuali per l'assolvimento, da parte di essa, della 
funzione economica pubblica che la impronta. 

Discende da questa fondamentale premessa teleologica che, nel paradigma 
normativo del contributo in disamina, il diritto del concessionario 
sorge col perfezionamento di una fattispecie complessa, scaturita con 
l'atto� di concessione ed esauritasi con il collaudo dell'opera, atto con� 
clusivo cui � assegnata la complessa, inscindibile funzione di accertare 
gli elementi costitutivi del credito e di porre le premesse e i termini 
per la liquidazione dell'importo del medesimo. � questo il significato 
sistematico della regola primaria posta nell'art. 78 del T.U. (�Il contributo 
� liquidato per intero in seguito al collaudo dell'opera�). Quella 
successiva ( � Gli interessati possono per� ottenere che si proceda, alla 
scadenza di termini periodici, alla liquidazione di otto decimi del contributo 
corrispondente all'importo dei lavori quale risulta dallo stato di 
avanzamento accertato dal Genio Civile�), inquadrata -come dev'essere 
doverosamente in sede di esegesi -nel complesso normativo di 
cui partecipa, rivela la mera natura di acconti, salvo buon fine, delle liquidazioni 
interinali nel corso dell'esecuzione dell'opera. Tale avviso 
� anche suffragato dal rilievo che, sempre a tenore dell'art. 78, comma 
ultimo, � I restanti due decimi sono liquidati in sede di collaudo� e, 
sopratutto, � confortato dall'attenzione a ulteriori disposizioni del T.U. 
le quali figurano, per il concessionario, la perdita del contributo in 
casi nei quali l'opera non venga compiuta. Ci si riferisce all'art. 80, 
comma terzo, che prevede il potere dello Stato di compensare l'ammon� 
tare del contributo vincolato -e, perci� da corrispondere all'istituto 
finanziatore nonostante il mancato compimento dell'opera -col valore 
degli impianti acquisiti. Ci si riporta pure ai commi terzo e quarto dell'art. 
91 secondo i quali i costruttori resisi colpevoli di negligenza o 
mala fede nell'eseguire le opere di cui si tratta, venendo esclusi dai 
contributi, perdono anche quelli accordati o non vincolati a favore degli 
istituti finanziatori. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 30 maggio 1990 n. 5099 -Pres. Brancaccio 
-Rel. Sgroi -P. M. Caristo (conf.). -Bertolucci (avv. Di Maio) 
e P.E.A. (avv. Fazzalari) c. Ministero del Turismo e dello spettacolo 
(vice avv. gen. Stato Gargiulo). 

Cinematografia -Ammissione alla programmazione obbligatoria -Annul


lamento -Diritto ai contributi -Caducazione � Effetti � ex tunc � 


Programmazione di fatto gi� avvenuta . Irrilevanza. 

In tema di ammissione dei films alla programmazione obbligatoria 
disposta con decreto del Ministro del Turismo e dello spettacolo ai 
sensi dell'art. 7 della legge 4 novembre 1965 n. 1213 (modificata dalla 
legge 21 giugno 1975 n. 287), il provvedimento� di annullamento di tale 
decreto, cos� qualificato dal giudice amministrativo (dinanzi al quale 
ha avuto esito sfavorevole il ricorso) e dal giudice ordinario (adito per 
la lesione del diritto soggettivo), spiega efficacia ex tunc, con conseguente 
caducazione del diritto ai contributi, essendo l'annullamento come 
esercizio del potere di autotutela, rivolto ad eliminare gli effetti interinali 
prodotti con la circolazione dei films, tra i quali rientrano i contributi 

I

consistenti nel c.d. storno dei diritti erariali a favore del produttore e 

I ~ 
del regista, che si basa non solo sul fatto della programmazione, ma 
anche sull'atto legittimo dell'ammissione alla programmazione obbligatoria, 
di competenza esclusiva della p.a. �senza la possibilit� di essere 
sostituito da un accertamento del giudice ordinario (1). 

(1) La sentenza esamina e definisce la controversia, in corso da vari anni 
(gi� decisa in tema di giurisdizione: cfr. Sez. Un. l'8 ottobre 1984 n. 5247, in 
I

questa Rassegna 1984, I, 576), ohe verte sul diritto ai contributi sorti in 
seguito alfa circoJ.azione del film � Udtimo tango a Parigi� nel periodo (1972-1976) 
in cui ta<le proiezione � stata riconosciuta spettacolo osceno dalfa Cassazione 
con la pronuncia del 29 gennaio 1976. 

M produttore ed ~l regista sostenevano, nel giudizio P<t"Omosso dinanzi al 

ITribunale, di essere titolari del diritto ai contributi per H fatto che, comunque, ~ 
aveva avuto luogo la circolaziqne del film, anche se riconosciuto spettacolo ~ 
osceno e nonostante fosse stato annU!lilato, successiv,amente al!la proposizione 
del giudizio, il decreto di ammissione alla programmazione obbligatoria. 

La sentenza che ha respinto la pretesa colllfermando cos� la pronuncia 
emessa da1La Corte di Aippello la quaile, a sua volta, aveva riformato la 
sentenza del Tribunale, enuncia principi di particolare interesse: 

1) lia quaUficazione delil'atto di annullamento, che � stato emesso in un 
momento successivo alil'inizio del giru:drizio, non pu� inl3luire sui compiti del 
gfadice adito: Cass. 23 novembre 1974 n. 3801; 

2) fa operativit� ex tunc dell'atto di annU!ll.amento discende dai principi 
costantemente enunciati dalla giurisprudenza (O!ltre aille sentenze citate in 
motivazione Sez. Un. 4 luglio 1%2 n. 1714; 28 giugno 1984 n. 37%; 21 novembre 
1986 n. 6839, cfr. Sez. Un. 26 ottobre 1972 n. 3268, Giur. it. 1972, I, 1, 164 con 

f 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APP.\LTI 267 

(Omisiss). Il Bartolucci, col suo ricorso, denuncia la violazione e falsa 
applicazione di norme di diritto, nonch� insufficiente e contraddittoria 
motivazione su un punto decisivo (art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.), osservando 
che il compito della Corte d'appello era quello di stabilire se i diritti ai 
benefici acquisiti dai soggetti (produttori ed autori di opere cinematografiche 
ammesse alla programmazione obbligatoria ex lege n. 1213/65) 
potevano o meno ritenersi travolti o caducati per effetto del provvedimento 
Ministeriale col quale si era preteso di annullare i precedenti provvedimenti 
ministeriali di ammissione alla programmazione obbligatoria, 
sul presupposto che il provvedimento (di annullamento) era da ritenere 
legittimo perch� emanato nell'esercizio di un potere spettante all'Amministrazione 
(Sez. Un., sent. n. 5247/84). 

Il quesito, secondo il ricorrente, consisteva nello stabilire se il provvedimento 
avesse anche il potere di travolgere i diritti che si erano maturati 
a seguito del fatto che il film aveva circolato dal 1972 al 1976, con 
incassi cospicui sui quali lo Stato aveva prelevato i suoi diritti erariali. 

�Secondo lo stesso ricorrente, la Corte d'appello si � sottratta a tale 
compito, ritenendo che il quesito era ormai risolto, a seguito della sentenza 
della Cassazione, quale giudice della giurisdizione, il che non poteva 
essere (art. 386 c.p.c.) mentre vi era carenza di motivazione sulle ragioni 
per le quali il discusso provvedimento avrebbe travolto irrimediabilmente, 
con effetti ex tunc. i diritti in questione. 

La verit� � che i ric�rrenti erano titolari di un diritto in base a 
norme di legge, mentre la funzione della p.a. era semplicemente quella 
di accert�re � presupposti di legge ai quali era condizionata la nascita 
dei benefici; l'incidenza del supposto potere di autotutela della p.a. non 
poteva che avere riferimento a tali diritti regolarmente acquisiti, per 
cui i ricorrenti restavano titolari di diritti soggettivi. 

Si trattava di decidere se, nell'esercizio di tale potere di autotutela, 
la p.a. potesse arrivare non solo a rimuovere ex tunc provvedimenti rite


ampia nota), e la sentenza esattamente distingue ira situazioni soggettive 
nate dall'atto in modo interinale o proVV'isorio, che vanno eliminate, e situazioni 
esaurite con la consumazione totaile (o parziale) dell'esercizio del diritto 
(fatti compiuti) che vanno salvate; 

3) il diTitto ail contributo non sopge sotlo dal fatto della programmazione, 
ma anche daill'atto di ammissione Mia programmazione, il quale, come 
atto concessorio, rientra neLla competenza deUa p. a., e non pu� essere sosti� 
tuito da afoun accertamento del giudice; 

4) il ritiro dell'atto di ammissione non pu� qualificarsi r.imozione, che 
� rivolta a fiar cessare ex nunc gli effetti dell.'atto a causa del venir meno 
delle condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento (iniziale) dell'emanazione, 
perch� dalle sentenze penali risulta l'assenza dei requi&.iti (di artisticit�, 
cu1tura e spettJaioolarit�) ohe H f�illm doveva possedere sin dalil'origine 
per ottenere i benefici di l�gge. 



268 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nuti non pi� conformi al pubblico interesse (perch� contrari ad un ordine 
di valori, risultante da giudicato penale), ma anche di agire sulla stessa 
fonte dei diritti acquisiti, affermando che l'ammissione del film alla 
programmazione era stato ad initio un provvedimento sbagliato ed errato, 
in quanto di essi difettavano i presupposti (a seguito di quanto successivamente 
stabilito dal giudice penale). 

La sentenza impugnata ha giustificato l'efficacia ex tunc col fatto che 
non pu� pretendersi l'adempimento di un'obbligazione della quale � venuto 
meno il titolo, con una vera e propria tautologia. 

Infine, la motivazione � contraddittoria, giacch�, in contrasto con la 
tesi della degradazione, la Corte d'appello ha sostenuto che i ricorrenti 
sarebbero stati titolari di crediti venuti meno per eventi sopravvenuti, e 
ci� addirittura in termini di inesistenza, per cui si poteva obiettare che, 
se un diritto � da ritenersi ab initio inesistente, esso � nondum natus. 

Il ricorso � infondato. 

Il compito del giudice del merito era quello di qualificare l'atto (successivo 
all'inizio della causa) del Ministro del 4 aprile 1979 e di stabilirne 
gli effetti che non potevano influire sulla giurisdizione, ma sul merito (S.U. 
23 novembre 1974 n. 3801). 

La Corte di appello ha qualificato l'atto come un annullamento avente 
efficacia ex tunc, con conseguente caducazione dei diritti sorti in capo ai 
ricorrenti, per effetto della programmazione obbligatoria del film. 

Tale pronuncia si sottrae alle censure del Bertolucci, anche prendendo 
in considerazione lo svolgimento che egli ne ha fatto nella memoria e 
nella discussione orale, l� dove ha fatto ric�rso alla figura della rimozione 
dell'atto. 

Invero, partendo dalla qualificazione dell'atto di secondo grado del 
1979 (rispetto agli atti di ammissione del 1974 e del 1975) come atto di 
annullamento, la sua operativit� ex tunc ne discendeva de plano, alla 
stregua di principi costantemente affermati dalla dottrina e dalla giurisprudenza 
almeno da oltre un cinquantennio (cfr. Cass. Sez. Un. 4 luglio 
1962 n. 1714; Cass. 28 giugno 1984 n. 3796; S.U. 21 novembre 1986 

n. 6839). 
Le prime definizioni dell'atto di annullamento date dalla dottrina 
(che la giurisprudenza non ha mai contestato) sono quelle che fanno 
capo alla eliminazione dell'esistenza di un atto con efficacia ex tunc, in 
quanto la caratteristica fondamentale dell'annullamento � la sua capacit� 
di travolgere le �situazioni sorte sulla base dell'atto annullato; difatti, il 
retroagire degli effetti � naturale, dal punto di vista giuridico, per una 

I

vicenda in cui � colpita la radice stessa dell'efficacia dell'atto (annullato), 

' 

per l'avvenuto accertamento dei vizi (di legittimit� e/o di merito) da cui ~ 
era inficiato quest'ultimo. i 

i

Il retroagire degli effetti non � senza limiti, in base ai principi gene


' 

�

rali, alla stregua dei quali -come � pacifico -non possono essere sal-

I 
�i 


I 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 269 

vati dall'annullamento retroattivo i diritti quesiti dei destinatari dell'atto 
(si tralascia l'ipotesi pi� controversa, ma qui non rilevante, dei diritti 
dei terzi), mentre non possono essere toccati i fatti compiuti. 

La distinzione sta in ci�: la situazione soggettiva di diritto, nato dall'atto, 
non � preclusiva dell'efficacia retroattiva dell'annullamento. 

La retroattivit�, infatti, va fondata sulla figura dell'invalidit� dell'atto 
(che ne giustifica l'efficacia provvisoria, fino all'annullamento), perch� 
gli effetti giuridicamente producibili dalla fattispecie invalida non possono 
confondersi con quelli in fatto gi� prodotti e l'annullamento ha la 
funzione di eliminare (invalidandolo) l'atto e di ricostruire la fattispecie 
su cui ha operato (ripristinando la situazione anteriore). 

Quegli effetti interinali o provvisori gi� prodotti dall'atto invalido 
possono essere resi salvi in base ad altri principi generali, quali sono 
quelli dei � fatti compiuti �. 

Alla stregua di esso, non una situazione soltanto maturata o costituita 
pu� sopravvivere all'annullamento, ma soltanto una situazione esaurita, 
con la consumazione totale (o parziale) dell'esercizio del diritto (per 
esempio, in tema di pubblico impiego: v. Cons. Stato, IV 21 ottobre 1969 

n. 564; Cons. Stato V, 3 maggio 1966, n. 627, questa seconda per un'ipotesi 
di limiti della retroattivit� a danno del privato). 
Nella fattispecie, nessuna situazione si era consolidata in un fatto 
compiuto, tale non potendo considerarsi l'avvenuta programmazione. 
Invero, come � stato detto nelle note d'udienza, quella circolazione 
del film avrebbe potuto considerarsi un �fatto compiuto" non travolto 
dall'annullamento soltanto se si fosse svolta � con le stimmate e sotto 
il regime del provvedimento di ammissione �. 

Si tratta di quegli effetti interinali dell'atto invalido, che sono effetti 
giuridici (tanto � vero che, finch� l'annullamento non � intervenuto, sono 
suscettibili delle conseguenze che l'ordinamento loro assegna in via normale), 
ma di carattere provvisorio, in quanto cadono nell'ambito dell'effetto 
ripristinatorio dell'annullamento; effetto che -a sua volta -� 
legato alla logica della figura, che consiste nell'eliminazione di un atto 
invalido (dal quale, pertanto, per definizione, non possono sorgere diritti). 


Altro � la programmazione di fatto (che non pu� -ovviamente esser 
posta nel nulla, perch� il film � stato proiettato e gli utenti e le 
sale cinematografiche, necessariamente, hanno pagato i biglietti e i 
diritti erariali sullo spettacolo gi� eseguito); altro � il c. d. �storno� dei 
diritti erariali a favore del produttore e del regista, che si basa non soltanto 
sul fatto della programmazione, ma anche sulla ammissione alla 
programmazione obbligatoria, atto che soltanto la p.a. pu� emanare (cfr. 
Cass. 23 ottobre 1980 n. 5692; S.U. 16 luglio 1983 n. 4894) in quanto avente 
carattere concessorio, e non pu� essere sostituito da alcun accertamento 
del giudice ordinario, il quale -preso atto che l'atto concessorio � stato 


270 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

annullato -non pu� riconoscere che tuttora esistono i diritti che a suo 
tempo sono stati costituiti in base ad esso. 

E pertanto, se si tratta di diritti gi� soddisfatti, nessun ostacolo 
esiste alla ripetizione del credito (che costituisce un indebito pagamento); 
se il credito non � stato ancora soddisfatto, non pu� essere emessa condanna 
a carico di chi non � (mai stato) debitore, per venir meno del 
titolo giuridico. 

Un'efficacia ultrattiva del provvedimento di ammissione alla programmazione 
obbligatoria, fino al momento del suo annullamento, si 
scontra con la gi� riconosciuta illegittimit� (invalidit�) del provvedimento 
iniziale. 

Invero, come risulta dagli atti richiamati dal ricorrente, dinanzi 
alla giurisdizione amministrativa si era gi� esaminato il problema della 
retroattivit� dell'atto del 1979, sotto il profilo della sua pretesa illegittimit� 
(che era stata esclusa) per non aver salvaguardato pretese posizioni 
acquisite; e la Corte di Cassazione, nella sentenza del 1984 resa fra 
le stesse parti a conclusione di quel giudizio, ha confermato che anche 
tale profilo di esame dell'atto di annullamento apparteneva al giudice 
amministrativo, perch� era inaccettabile la proposizione del Bertolucci 
secondo cui l'annullamento d'ufficio opererebbe ex tunc; ed ha affermato 
che nella specie si � trattato di esercizio del potere di annullamento che, 
tendendo a restaurare una situazione di legalit�, opera ex tunc, non 
trovando ostacoli nei diritti allegati da cicchessia sulla base dell'atto annullato. 


Tralasciando il profilo della giurisdizione (ormai risolto) e passando 
al merito, la conclusione non pu� essere diversa, se si qualifica l'atto del 
1979 come atto di annullamento, perch� il credito del ricorrente esisterebbe 
(almeno in parte), solo se si potesse ritenere operante almeno per 
un certo tempo (malgrado l'annullamento), e cio� con effetto definitivo 
e non meramente interinale e provvisorio, l'atto di ammissione alla programmazione 
obbligatoria, ritenuto invece illegittimo. 

In altri termini, occorrerebbe qualificare il ritiro dell'atto di ammissione 
come semplice � rimozione � dell'atto stesso (si veda la memoria, 
che insiste su questo aspetto). 

Si tratterebbe, secondo tale prospettazione, del venir meno delle 
condizioni di fatto e di diritto esistenti al momento dell'atto iniziale, per 
cui la rimozione sarebbe diretta a far cessare una nuova situazione 
contra jus, per il sopraggiungere di una causa ostativa alla persistenza 
dell'atto che occorre rimuovere; ci� sarebbe avvenuto nella fattispecie, 
allorch� � intervenuto il giudicato sulla oscenit� del film (29 gennaio 
1976), da cui � nato l'interesse pubblico di adeguarsi alla nuova 
realt�, provvedendo alla rimozione ex nunc di quell'atto che detta programmazione 
(obbligatoria) aveva autorizzato. 

La tesi non pu� essere seguita. 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

271 

Secondo la dottrina a cui si � espressamente richiamato il ricorrente, 
gli atti ad efficacia prolungata, in tanto possono essere mantenuti 
in vigore, in quanto perdurino le condizioni di fatto e di diritto in presenza 
dei quali furono posti in essere; ove tali condizioni siano venute 
meno, il permanere della loro vigenza non sar� pitt conforme al diritto 
e dovr� cessare. 

Peraltro, la stessa dottrina si cura di precisare che, a differenza dell'annullamento, 
la rimozione non inerisce ad uno stato patologico dell'atto, 
bens� all'antigiuridicit� del perdurare dell'assetto da esso fatto nascere; 
non si tratta di rimuovere un atto illegittimo, ma di far cessare delle 
situazioni divenute in seguito contra jus. � 

Pertanto, tale qualificazione non si attaglia all'atto del 1979, perch� 
dalla sentenza impugnata risulta che esso � stato� emanato per il difetto 
(evidentemente originario) dei �prescritti requisiti di artisticit�, cultura 
e spettacolarit� � del film in questione, e cio� per un'illegittimit� 
originaria (per violazione dell'art. 7 legge n. 1213/65 che prevede quei 
requisiti) dell'atto di ammissione alla programmazione obbligatoria. 

La sentenza penale � stata considerata dalla Corte d'appello soltanto 
una prova da cui � risultata l'assenza di quei requisiti che il film doveva 
possedere per ottenere i benefici di cui si discute. 

Si tratta proprio di quello stato � patologico � da cui � affetto l'atto 
iniziale, che la stessa dottrina richiamata reputa incompatibile con la 
figura della rimozione, in quanto ad esso si adatta solo quella dell'annullamento. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. Civili, 22 giugno 1990, n. 6318 -Pres. 
Montanari-Visco; Rel. Giustiniani; P. M. Amatucci (conf.) � La Porta 
Aldo (avv. Apolloni) c. OPAFS (Avv. Stato Stipo). 

Giurisdizione civile -Dipendenti FF.SS. � Indennit� di buonuscita -Cessazione 
del rapporto prima della legge n. 210/85 -Giurisdizione amministrativa. 


Rientra nella giurisdizione amministrativa la controversia promossa 
per la riliquidazione della indennit� di buonuscita nei confronti dell'OP 
AFS da parte di ex dipendente dell'Azienda Autonoma delle Ferrovie 
dello, Stato il cui rapporto di impiego sia cessato prima dell'entrata 
in vigore della legge n. 210/85 istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato, 
purch� il momento della cessazione del rapporto non sia specifico oggetto 
del contendere (1). 

(1) Principio oramai pacifico nella giurisprudenza del S. C. Cfr., da ultimo, 
Cass., 28 giugno 1989, n. 3123, che app:lica il medesimo principio in materia 
di domanda di rioonoscimento di qualifica superiore per lo svolgimento delle 
relative mansioni. 

272 l

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 18 agosto 1990, n. 8423 -Pres. Bran


caccio -Rel. Taddeucci -P. M. Paolucci (conci. conf. -Soc. Alisarda 
(avv. Romanelli) c. Ministero dei Trasporti (Avv. Stato Braguglia). 

Giurisdizione civile � Concessione servizi trasporto aereo di linea � Tariffe � 
�Adeguamento � Diritto soggettivo del concessionario � Esclusione. 
(Cost. art. 41; legge 5 maggio 1976, n. 324). 

Il concessionario d'un servizio di trasporto aereo di linea non pu� 
vantare -neppure in base all'art. 41 Cost. -un diritto soggettivo all'adeguamento 
delle tariffe di trasporto secondo criteri imprenditoriali 
(atti a consentirgli la remunerazione dei costi e la realizzazione d'un 
profitto). Le questioni relative all'approvazione rJ,'una tariffa che il con


.cessionario assuma non remunerativa attengono al modo di esercizio 

del potere spettante, in materia, alla P.A. e sono da ritenere pertanto 

attribuite alla giurisdizione del giudice amministrativo (1). 

1. -Nel rivendicare a s� la titolarit� di un diritto soggettivo, e non 
di un mero interesse legittimo in ordine alla determinazione delle tariffe 
per il trasporto di passeggeri e di merci sulle linee aeree nazionali 
oggetto di concessione, la societ� ricorrente sostiene preliminarmnte 
che, nel settore dell'aviazione civile, la amministrazione statale concedente 
difetterebbe di quella generale potest� di imposizione unilaterale 
(1) Tariffe e diritto d'impresa: a proposito di uno sconcertante precedente. 
La riprodotta sentenza interviene a far giustizia del diverso principio 

che le stesse Sezioni Unite, con sentenm 16 luglio 1985 n. 41Sl (in questa 

Rassegna, 1985, I, 585 con nota di G. PALMIERI, nonch� in Foro it. 1985, I, 2205 

con nota di C. M. BARONE), avevano affermato nel caso, del tutto analogo, 

concernente le tariffe di � handling � da applHcar�si sugli aeroporti mi.fanesi 

gestiti, in regime di concessione, da<lla SEA. 

Merita d'esser sottolineato, nel contesto d'una aoourata motivazione, il 

vigoroso richiamo ora fatto dalla Cor�te regolatrice ai � risalenti e ripetuti 

insegnamenti giurispruidenziaili �, tutti puntual!Illente evocati per ribadirne la 

�persuasivit�, coerenza e compattezza>>, a fronte delle quadi gli elementi di 

contrasto della pur citata Cass. 4151/1985 (espres�samente definiti non validi 

e tanto meno soverchianti) appaiono destinati a rimanere relegati nei ruolo 

proprio d'un isolato precedente. 

Erano, dunque, pienamente fondate le riserve suscitate dalila sentenza 

del 1985 che aveva indotto alcuni critici (cos�, C. M. BARONE, loc. cit.) a 

chiedersi se e fino a che punto 1a so1uzione del caso a1lora deciso potesse 

coordinarsi con le acquisizioni della sentenza n. 5030/1982 e del1e altre, pre


cedenti e successive. 

Il vero � che la (ormai) isolata sentenza del 1985 non s'era neppure provata 
a tentare una impossibille condliazione, semplicemente ignorando l'esistenza 
del diver�so (e consolidato) orientamento, ad punto che -come posto in 
risalto da pi� di un annotatore -soltanto ad una postina apposta in calce 

fil?: 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 273 

dei livelli tariffari che tradizionalmente le viene riconosciuta nel campo 
dei servizi pubblici in concessione. 

Tale impostazione del problema -che nella memoria difensiva la 
ricorrente tende a sostenere con inconfenti richiami alla regolamentazione 
dei servizi aerei non di linea ed alla direttiva C.E.E. in materia 
di traffico aereo intercomunitario -non pu� essere condivisa. 

A norma dell'art. 776 del Codice della Navigazione i �servizi di trasporto 
aereo di linea non possono essere istituiti n� esercitati se non per 
concessione governativa, mediante decreto del Presidente della Repubblica 
�; e nella fattispecie si controverte, appunto, in ordine alle posizioni 
giuridiche godute e rivendicate, rispettivamente, dalla Amministrazione 
concedente e dalla concessionaria societ� per quanto attiene 
all'adeguamento del corrispettivo dovuto, dagli utenti del pubblico servizio 
di trasporto, alla predetta societ� esercente (in costanza di svolgimento 
del rapporto concessorio e per effetto della lievitazione, nel tempo, 
dei costi di gestione); corrispettivo cui correttamente si addice la 
qualifica di �tariffa� in ragione dei criteri di pubblico interesse che 
devono presiedere alla individuazione -al di fuori del libero gioco 
delle leggi economiche di mercato -della sua misura. 

Orbene, nella convenzione del 17 maggio 1979 per la concessione 
dei servizi di trasporto aereo in questione � precisato: che essi sono assentiti 
con clausola di esclusiva (art. 2); che le tariffe ordinarie e speciali 
dei trasporti interni, di persone e cose, esclusi i trasporti postali, 

alla sentenza stessa (dopo la data deHia su:a deliberazione e le firme del 
presidente e deill'estensore) era stato affidato i;l compito di far sa:lvo, in 
qua1che modo, il precedente insegnamento in materia. l'l disagio, di cui la 
gi� menzionata � postH~a � voleva essere espressione, trova neHa sentenza 
in rassegna niente pi� ohe una labile eco, Ol1IIlai, nell'inddentale e fugace 
accenno alLa � oggettiva diversit� della fattisp�ecie alilora esaminata � (n.d.r.: 
dafila sentenza del 1985), col quale le Sezioni Unite hanno inteso -evidentemente 
-stendere un velo, ponendo cos� un reciso fermo ai guasti che la 
sentenza del 1985 avrebbe potuto ancora arrecare in un settore tanto delicato. 

In effetti, per un meno sottinteso ripudio del precedente del 1985 la 
copiosa giurisprudenza offriva abbondante messe di argomenti quando si 
consideri che gi� Cass., S. U., 6 dicembre 1966 n. 2861 (Foro it. 1967, I, 30) 
aveva insegnato ohe, ail pari di queille esercenti ti trasporto aereo di linea, 
� le imprese che gestiscono gli in}JJianti aeroportuali hanno ad oggetto il 
compiimento di pubblici servizi in regi:me di monopolio�, di gu1sa che l'organizzazione 
aziendale di taili imprese trova limitazioni ne1le disposizioni dell'autorit� 
amministrativa, ouii compete -attraverso l'esercizio di poteri di 
inibizione e contJro1lo -di curare che l'interesse deiltla c~lettivit� non venga 
pretermesso nelila gestione concreta del servizio. 

Orbene, il potere di �approvazione� de1le tarrifife di handling (e dii quelle 
dei servizi pubblici, in genere) non altro rappresenta se non manifestazione 
delle pi� late attribuzioni conferite dafil'ordimm1ento ail'la P. A. al fine di 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

274 

sono stabilite dal Ministero su proposta della societ�, sentita la Commissione 
di cui all'art. 9 della legge 5 maggio 1976 n. 324 (art. Il); che 
la societ� concessionaria � tenuta a trasmettere al Ministero dei Trasporti 
ed al Ministero del Tesoro copia conforme del bilancio e dei costi 
annuali approvati dall'Assemblea ed a fornire ogni richiesto chiarimento 
(art. 35). 

Occorre subito aggiungere che ai sensi dei decreti legislativi luogotenenziali 
19 ottobre 1944 n. 347 e 23 aprile 1946 n. 363; dai decreti legislativi 
del Capo provvisorio dello Stato 22 aprile 1947 n. 283 e 15 settembre 
1947 n. 896, e delle deliberazioni C.I.P.E. in data 26 giugno 1974 
e 17 luglio 1974 sono sottoposte al parere preventivo vincolante del Comitato 
interministeriale dei prezzi, tra le altre, anche le tariffe dei pubblici 
servizi di trasporto in regime di concessione. 

L'iter per la revisione delle tariffe per i trasporti aerei di linea su 
rotte nazionali eserc�ti in regime di concessione pu� essere quindi cos� 
riassunto: la proposta di aumento, formulata dal vettore e corredata 
dall'analisi dei costi e dalle previsioni di bilancio viene inoltrata alla 
Direzione Generale dell'Aviazione Civile che la rimette, in allegato a 
relazione eventualmente integrativa, al Ministero dei Trasporti; questi 
acquisisce il parere circa la determinazione e la modifica delle tariffe 
della Commissione prevista nell'art. 9 della legge n. 324 del 1976 (c.d. Commissione 
Sangalli); gli atti vengono quindi trasmessi al C.I.P. che sulla 

contemperare la naturale tendenza a:l profitto di una attivit� imprenditoriale 

(avente ad oggetto un pubblico servizio) con l'esigenza di assicurare in ogni 

momento, e ne11e pi� varie contingenze economiche e sociaili, la disponibilit� 

del servizio alla generalit� degli utenti, a'Ll'uopo considerando il pi� ampio 

contesto di tutti i settori economici ooinvo1ti e la gamma di interventi colla


terailimente predisposti in un organico programma d'interesse collettivo. 

Anche per le tariffe dei servizi di assistenza a telll'a negld aeroporti pu�, 

inrvero, pertinentemente ripetemi quanto ancora osservato dalfa Corte regola


trice neMa materia delia disc~ina pubblica dei prezzi (S. U., 1 ottobre 1982, 

n. 5030, Foro it. 1982, I, 2424) e cio� ohe n criterio del costo costituisce solo 
uno dei parametri dri cui la P. A. deve tener conto nell'approvazione delle 
tariffe di un pubblico servizio gestito in regime di concessione, poich� � anche 
un prezzo che di per s� sarebbe non remunerativo pu� essere corretto nel 
quadro di una pi� ampia manovra economica, attraverso l'adozione di altre 
misure ritenute in concreto pi� adatte allo scopo �, la cui globale valutazione 
-nel merito -costituisce funzione propria del potere esecutivo 
(cfr. loc. cit., passim e, specialmente, ool. 2429). 
� deteriminante per i fini d'interesse generale perseguiti che l'apprez� 
zamento demandato ai pubblici poteri vada ben oltre la sfera delle valutazioni 
soltanto tecniche, attingendo que11a della discrezionailit� amministrativa di cui 
� espressione tipica l'atto di � approvazione � da emanarsi ad esito di un 
procedimento (regolato dall'art. 9 legge n. 324/1976) nel cui ambito trova 
tutela, mediata ed indiretta, l'interesse del gestore il quale nell'organizzazione 
e nell'esercizio dell'iimpresa relativa (ad un bene o) ad un servizio pubblico 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 275 

base della attivit� istruttoria esperita formula un parere obbligatorio 
vincolante, alla stregua del quale il Ministero dei Trasporti delibera, 
con decreto ministeriale, la misura percentuale dell'aumento delle tariffe 
e la sua decorrenza. 

Giova a questo punto precisare: a) che la necessaria acquisizione del 
parere della c.d. commissione Sangalli non � affatto incompatibile con 
la successiva formulazione di un parere, sulla stessa materia, da parte 
del C.I.P., sia per la ordinaria configurabilit� di concorrenza di pi� 
organi consultivi ai fini dell'adozione di un medesimo provvedimento, 
sia per il carattere �vincolante� per legge attribuito soltanto al secondo 
e successivo parere; b) che la menzione, nel c.d. �paniere� per la formazione 
degli indici ISTAT di alcuni soltanto tra i pi� accorsati voli 
di. linea nazionale, rende certa la inclusione della intera categoria dei 
servizi di trasporto aereo di linea gestiti in regime di concessione tra 
quelli per i quali operano i vincoli di compatibilit� imposti dalle relazioni 
previsionali e programmatiche del Governo per gli anni 1984, 1985 
e 1986 (cfr. D.L. 17-4-1984, n. 70, legge 12-6-1984, n. 219; D.L. 15-2-1984, n. 10; 
legge 22 dicembre 1984, n. 887 art. 14; legge 28 febbraio 1986, n. 41, art. 17); 
e) che nelle ora citate disposizioni di legge � chiaramente espresso il principio 
secondo cui, sulle proposte di incremento delle tariffe dei servizi 

(o di rilevante interesse generale) incontra il connarurato limite derivantegli 
da:l:le superiori esigenze dell.a utillit� sociale. 

In altri termini, il � didtto � dell'esercente ailfa remunerazione del servizio 
non soffre un limite esterno ~quale potrebbe configural'si ove, in luogo che 
all'approvazione �prevista, le tariffe fossero soggette ad un visto di esecutivit� 
della P.A.), ma ab origine si atteggia come limitato -dall'interno -dai 
poteri pubblici di intervento economico della P. A. che �per la loro permanenza 
e per il tipo di incidenza ohe attlllano non possono essere spiegati 
ricorrendo alla� fattispecie de1l'aiifievolimento � la quale, oltre tutto, presuppone 
soltanto l'eventua!lit� del suo verificarsi (in tal senso, dr. ancora la 
citata Caiss., S. U., n. 5030/1982). 

Dunque, la ratio dell'art. 704 cod. nav. nonch�, sotto altro e concorrente 
profilo, il significaiti.vo accostamento operato, dalJ'art. 9 legge n. 324/1976, 
tra le tariffe dei servizi di traspor.to aereo di linea e quelle dei servizi di 
assistenza a terra agli effetti del procedimento ammdnistrativo preordinato, 
� in .base al:le disposizioni vigenti �, a sfociare ne11a determinazione o modifica 
de'.l:le prime e -rispettivamente -nelll'approvazione deUe seconde dimostrano 
la fragilit� degli argomenti alla cui stregua la sentenza del 1985 
aveva voluto contenuta sul solo piano � tecnico )) la discreziona!lit� dell'intervento 
della P.A. in materia; e confortano, per contro, la ricostruzione del 
sistema deHe tariffe dei servizi pubblici in concessione quale operata dalla 
sentenza in rassegna, che, riconducendo la posizione soggettiva dell'impresa 
concessionaria nelil'ambito d'un mero interesse legittimo, � opportunamente 
intervenuta a bloccare il tentativo di allargare una breccia, poco meditatamente 
aperta ed, ora, saldamente richiusa. 

SERGIO LAPORTA 



RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

inclusi nell'indice ISTAT il parere preventivo vincolante deve essere 

I ~= 

espresso dal C.I.P. �al fine del contenimento, nel complesso, della ITT 
media ponderata degli incrementi entro il tasso massimo di inflazione 
indicato per l'anno stesso nella relazione previsionale e programmatica 
del Governo�. 


2. -Escluso, dunque, che nella determinazione di nuove ed aggiornate 
tariffe possa ravvisarsi la espressione di una �autonomia privata" 
imprenditoriale da parte della societ� concessionaria del servizio pubblico 
di trasporto aereo di <linea su rotta nazionale, deve esaminarsi 
l'assunto difensivo secondo cui tale societ� vanterebbe comunque un diritto 
soggettivo perfetto a sentirsi riconoscere, dalla P.A., livelli tariffari 
adeguati e non inferiori agli aumentati costi di� gestione, idonei per ci� 
a garantire, nella sua concreta estrinsecazione, il principio di libert� di 
iniziativa economica sancito dall'art. 41 della Costituzione, principio non 
dissociabile da quello della c.d. � re�nunerativit� � del prezzo o della tariffa. 
Nemmeno questa prospettazione pu� trovare accoglimento. 

Si versa, infatti, in materia di gestione di un servizio pubblico di trasporto, 
per la utilizzazione del quale � rimessa, alla amministrazione concedente, 
la potest� di fissare una tariffa c.d. politica o sociale. 

La dipendenza di ci� sin dal R.D.L. 18 ottobre 1923 n. 3176 era data 
facolt� al governo di concedere annue sovvenzioni ai concessionari dei 
pubblici servizi esercitati mediante aeromobili (art. 1) nella misura e nei 
modi fissati da emanando regolamento; ed appunto in quest'ultimo, emanato 
con d.P.R. 4 gennaio 1973 n. 65, dette sovvenzioni vengono disciplinate 
nel senso che esse possono essere erogate a motivo della esigenza 
dal � mantenimento in esercizio di servizi di trasporto aereo di linea, di 
accertato pubblico interesse, i cui proventi non consentano una gestione 
economica dei medesimi� (art. 2 sub lettera b); e che in tal caso le 
istanze dei concessionari devono essere corredate da analitica documentazione 
attinente al fatturato ed al consuntivo delle spese (art. 5) e la misura 
del beneficio deve essere calcolato, sulla base di valori medi prestabiliti, 
a ripianamento del divario costo-provento (art. 7). 

N� pu� essere dimenticato che le stesse recenti � misure urgenti in 
materia di tariffe e di prezzi amministrati (di cui al d.l. 15 febbraio 1984 

n. 10, d.l. 17 aprile 1984 n. 70; legge 12 giugno 1984 n. 219; legge 22 dicembre 
1984 n. 887; legge 28 febbraio 1986 n. 41). nel demandare al C.I.P. 
di esprimere il proprio parere vincolante circa gli incrementi tariffari 
(da deliberarsi da parte di altri organi dello Stato) in modo tale che la 
media annua ponderata degli incrementi in questione non superi nel complesso, 
il tasso massimo di inflazione indicato nella relazione previsionale 
e programmatica del Governo per l'anno medesimo, hanno considerato 
come possibile e lecita la eventualit�� che per alcuni servizi pubblici -i 
cui costi di gestione fossero aumentati in percentuale superiore a quella 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 277 

del tasso medio di inflazione annua prevista -l'incremento tariffario non 
coprisse totalmente i maggiori oneri di spesa e che a colmare il disavanzo 
si provvedesse per altre vie (quali, ad es., le sovvenzioni ex legge n. 3176 
del 1923, o i contributi ex art. 6 della legge quadro sui servizi pubblici 
locali n. 151 del 1981, e l'apposito Fondo di cui all'art. 1 quinquies della 
citata legge di conversione n. 219 del 1984). 

In sintesi, e circoscrivendo l'esame al settore dei servizi pubblici di 
trasporto aereo di linea gestiti in regime di concessione amministrativa, 
non sembra potersi dubitare che l'ordinamento positivo riservi alla amministrazione 
concedente margini di scelta circa gli strumenti economici 
di cui avvalersi in materia di copertura dei costi di gestione: o intervenendo 
nel senso della lievitazione dei livelli delle tariffe, (e quindi addossando 
il maggiore onere sui soli fruitori del pubblico servizio) o concedendo 
sovvenzioni a conguaglio (e quindi ripartendo tale voce di spesa 
su tutti i contribuenti). 

Del pari non sembra dubitabile che l'ordinamento positivo coordini 
e colleghi la suindicata facolt� discrezionale di scelta con gli scopi della 
legislazione vincolistica in materia di prezzi e di tariffe, nel senso di assegnare 
al contenimento dell'incremento del loro livello una funzione essenzialmente 
calmieratrice ed antiinflazionistica, ovvero di rallentamento, 
nel tempo, della velocit� ed interazione di determinati meccanismi inflattivi. 


Ora, le considerazioni sopra svolte conducono agevolmente ad escludere 
che in ordine all'adeguamento delle tariffe. di trasporto di persone 
e di cose, il vettore concessionario del pubblico servizio, possa vantare 
una posizione di diritto soggettivo: sia perch� manca, nel sistema positivo, 
una qualsivoglia norma direttamente volta a soddisfare la pretesa di tale 
operatore a percepire, attraverso il solo provento tratto dalla tariffa praticata, 
la integrale remunerazione dei costi sostenuti oltre ad un ragionevole 
profitto (sulla base di un meccanismo di adeguamento automatico dei 
livelli tariffari predeterminato per legge e con esclusione a favore della 

P.A. di ogni discrezionalit�, a parte quella puramente tecnica e ricognitiva 
occorrente per la verifica dei dati di fatto in comparazione); sia perch� anche 
ammesso che nel settore dei servizi pubblici di trasporto aereo 
gestiti in regime di concessione viga il principio (ripetutamente affermato 
dalla giurisprudenza dei giudici amministrativi in tema di �prezzi imposti
�) secondo cui il privato concessionario non pu� essere costretto 
a svolgere il servizio in condizioni non renumerative dei fattori di produ� 
zione -la individuazione di un siffatto limite alla discrezionalit� della 
pubblica amministrazione solo dal giudice amministrativo pu� essere eseguita, 
in esito alla verifica, entro un complessivo e consuntivo quadro 
di riferimento, circa tutte le varie forme di intervento e di sostegno adottate 
dalla P.A., nel settore e circa la correttezza della di lei azione rispetto 
alle norme che regolano le modalit� di esercizio dei suoi poteri; sia e 

278 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

riassuntivamente perch� la esigenza di un costante e tendenziale equilibrio 
tra costi e ricavi corrisponde anzitutto all'interesse della amministrazione 
concedente -quale garanzia della regolarit� e della sicurezza di svolgimento 
del pubblico servizio, -e solo mediatamente e di riflesso ad un 
interesse personale del privato concessionario (che quell'equilibrio potrebbe 
anche perseguire attraverso una rischiosa riduzione delle spese di esercizio). 


L'esame della disciplina prevista nell'art. 5 della legge n. 1034 del 1971 
non conduce, del resto, a conclusioni diverse. 

Le controversie concernenti indennit�, canoni ed altri corrispettivi 
riservate,� in materia di concessione amministrativa, alla giurisdizione del 
giudice ordinario, sono, infatti, quelle contrassegnate di un contenuto 
meramente patrimoniale, attinente al rapporto interno tra P.A. concedente 
e soggetto concessionario del bene o del servizio pubblico; contenuto in 
ordine al quale la contrapposizione tra le parti si presta ad essere schematizzata 
secondo il binomio obbligo-pretesa, senza che entri comunque in 
gioco un potere d'intervento riservato alla P.A. per la tutela di superiori 
esigenze della pubblica economia. 

Quando, invece, la controversia esula dai suindicati limiti e coinvolge 
la verifica dell'incidenza dell'azione dirigistica ed autoritativa della P.A., 
sull'intera economia del rapporto concessorio, nei riflessi esterni che sulla 
base di essa si instaurano tra il concessionario ed i terzi fruitori del 
pubblico servizio, il conflitto tra P.A. e concessionario si impernia secondo 
il binomio � potere-interesse � e viene attratto nella sfera della competenza 
giurisdizionale del giudice amministrativ�. 

3. -L'affermazione che, nella specie, la giurisdizione appartiene a 
quest'ultimo, riceve ulteriore conferma ed avallo in risalenti e ripetuti 
insegnamenti giurisprudenziali. 
La giustizia amministrativa risulta, invero, costantemente informata 
ai principi che la fissazione d'imperio di un prezzo o di una tariffa non 
remunerativi non determina un difetto di giurisdizione -quasi che il 
provvedimento che lo determina fosse emesso in carenza di potere -ma 
configura un tipico caso di illegittimit� del provvedimento stesso; che il 
controllo circa le modalit� di esercizio di quel potere impositivo � riservato, 
quindi, alla giurisdizione del giudice amministrativo; che la scelta 
metodologica di analisi, in tema di fissazione del prezzo � imposto � rientra 
nell'ambito della discrezionalit� riservata all'amministrazione, comunque 
sindacabile in sede di legittimit� sotto il profilo della ragionevolezza. 

In senso del tutto convergente questa Suprema Corte ha gi� avuto 
occasione di affermare: che in materia di aumento delle tariffe di pubblici 
servizi di trasporto in concessione, la posizione del concessionario 
ha consistenza di semp�ice interesse legittimo (sent. n. 2288 e n. 2289 del 
1969, n. 998 del 1973); che la impugnativa per illegittimit� del provvedi



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

mento determinativo della tariffa di un pubblico servizio (nella specie, 
telefonico) � devoluta alla cognizione del giudice amministrativo (sent. 
3457 e n. 3992 del 1977); che l'autorit� giudiziaria ordinaria difetta di giurisdizione 
in ordine alla domanda di risarcimento danni a seguito di 
annullamento (da parte del giudice amministrativo) di un provvedimento 

C.l.P. in materia di prezzi amministrati di prodotti petroliferi (sent. 
n. 5030 del 1982) e cos� pure in ordine alla domanda di annullamento di 
un provvedimento del C.l.P. relativo a tariffa telefonica (sent. 4995 del 
1983) e relativo a tariffe idriche (sent. n. 5780 del 1984); che rientra nella 
giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione del ricorso proposto 
da concessionario del servizio di distribuzione di gas metano e volto ad 
impugnare il provvedimento del C.I.P. di revisione della tariffa del gas 
(sent. 1108 del 1986) oppure ad impugnare il comportamento omissivo tenuto 
dal C.I.P. sulla istanza di revisione (sent. n. 1560 del 1986); che 
spetta al giudice amministrativo conoscere della controversia promossa 
dal concessionario di un pubblico servizio per ottenere la revisione di un 
canone la cui misura � stabilita con provvedimento discrezionale della 
amministrazione concedente (sent. n. 3477 del 1988). 
Il concetto dominante, chiaramente espresso o sotteso ai precedenti 
giurisprudenziali ora citati � che, a fronte della esplicazione di una potest� 
discrezionale politico-amministrativa conferita dall'ordinamento (in tema 
di prezzi amministrati e di tariffe imposte) in attuazione del principio 
costituzionale (art. 41, secondo comma Cost.) del limite dell'utilit� 
sociale al diritto di impresa, la posizione dell'imprenditore, ed a maggior 
ragione quella del concessionario di un pubblico servizio, ha natura e 
consistenza di interesse legittimo allorch� tali soggetti reclamano il rispetto 
delle norme che regolano l'esercizio del potere medesimo, ancorch� 
in riferimento ad una asserita non remunerativit� dei prezzi o delle tariffe. 

A fronte della persuasivit�, coerenza e compattezza degli insegnamenti 
giurisprudenziali sin qui ricordati sembra a questa Corte che validi, 
e tanto meno soverchianti, elementi di contrasto possano essere desunti 
dalla sentenza n. 4151 del 1985, pronunziata a Sezioni Unite, e sulla falsariga 
della quale la ricorrente societ� ALISARDA ha impostato le proprie 
difese, scritte ed orali. 

Le ragioni di ci� -a parte la oggettiva diversit� della fattispecie 
allora esaminata attinente alla tariffa per l'uso di servizi aereoportuali sono 
state gi� esposte nei precedenti paragrafi 1 e 2, ai quali si rinvia 
senza indugiare in inutili ripetizioni. 

� piuttosto il caso di precisare che nella negazione della sindacabilit�, 
ad opera del giudice ordinario, del corretto esercizio da parte della 

P.A. dei poteri relativi alla determinazione degli incrementi tariffari proposti 
dal vettore concessionario del servizio pubblico di trasporto ae� 
reo di linea, rimane ricompresa la negazione che detto sindacato possa 

280 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

essere condotto sotto il profilo del ritardo nella adozione del provvedimento 
di approvazione del nuovo livello delle tariffe. 
Anzitutto non � invocabile, in materia, norma alcuna di contenuto 
analogo a quello contenuto nel quarto comma dell'art. 5 del d.l. 24/7 /1973 

n. 427, convertito in legge 4/8/1973 n. 496, (relativa al blocco dei prezzi 
di vendita di determinati beni di largo consumo dal 16/7 al 31/10/1973) a 
tenore della quale veniva imposto al C.I.P. di provvedere sulla richiesta 
di aumento in deroga entro 60 giorni, termine trascorso il quale la domanda 
si intendeva accolta. 
In secondo luogo, nell'ambito delle discrezionali valutazioni rimesse al 

C.I.P. in materia di determinazioni di prezzi (o tariffe) amministrati 
vi � anche quella relativa alla scelta del tempo d'intervento (cfr. C. Stato 
sez. VI, 18/11/1985 n. 596); e nell'assenza di una -espressa previsione normativa 
non � consentito al giudice ordinario (e nemmeno a quello amministrativo: 
cfr. C. Stato sez. VI, 15/9/1986) di fissare alla Pubblica 
Amministrazione un termine entro il quale essa, a fronte della istanza 
del privato interessato, debba adottare le proprie determinazioni. Cosicch�, 
avendo il privato interessato al sollecito espletamento dell'attivit� 
provvedimentale della P.A. una posizione soggettiva di mero interesse 
legittimo, la risarcibilit� del danno derivante dal ritardo nel provvedere 
mai potrebbe essere fatta valere, sub specie di lesione di un diritto 
soggettivo, davanti al giudice ordinario (cfr. per riferimenti, Cass. n. 3183 
del 1989). 
In fine, sarebbe erroneo opinare che per tal modo rimarrebbe privo 
di concreta tutela l'interesse del concessionario alla tempestivit� dell'azione 
amministrativa, ancorch� discrezionale; ed erroneo perch� a fronte 
della inerzia o del prolungato indugio degli organi della P.A. preposti 
alla istruttoria ed alla emanazione del richiesto provvedimento di incremento 
tariffario, l'interessato � comunque abilitato ad avvalersi dell'ordinaria 
procedura del silenzio-rifiuto. 

4. -In definitiva deve essere dichiarata, in rigetto del ricorso, la 
giurisdizione del giudice amministrativo. (omissis) 
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SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV -19 febbraio 1990, n. 109 -Pres. Buscema, 
Est. Santoro -Patel;'lini ed altri (avv. Pasini) e De Agostini ed altri 
(avv. Novelli) e/o Presidenza Consiglio dei Ministri, (avv. Stato Cenerini) 
ed altri -(Conferma T.A.R. Lazio I Sez., 12 novembre 1986 n. 1933). 

Impiego pubblico -Inquadramento -Dipendenti Enti Locali -Inquadramento 
ex d.P.R. 347/1983 -Insegnanti tecnico-p,:atici -VI livello. 

Impiego pubblico� Accordi sindacali -L. n. 93/1983 -Contrasto dell'art. 29 
con gli articoli 76, 97, 39 e 113 della Costituzione . Infondatezza. 

Va dichiarata la illegittimit� del D.P.R. 25 giugno 1983 n. 347 nella parte 
in cui inquadra alla VI qualifica funzionale e non alla VII gli assistenti 
di cattedra con qualifica di insegnanti tecnico pratici. 

Va dichiarata la manifesta infondatezza della questione di legittimit� 
costituzionale per contrasto con gli articoli 76, 97, 39 e 113 della 
Costituzione, riferita all'art. 29 della legge 29 marza 1983, n. 93 che disciplina 
la formazione delle norme concernenti la contrattazione collettiva 
dei pubblici dipendenti (1). 

(1) LEGGE QUADRO DEL PUBBLICO IMPIEGO; CONTRATTAZIONE DECENTRATA E ACCORDI. 
1. Premessa. 
Nehl'esciludere la fondatezza deHe eccezioni di costituzionalit� denunciate 
nei confronti dell'art. 29 della legge quadro sul pubblico impiego (29 marzo 
1983, n. 93) la decisione chiarisce anzitutto che l'art. 29, secondo comma -a 
norma del quale sono fatte salve le disposizioni vigenti allfa data di entrata 
in vigore de11a stessa legge nel~e materie escluse dalla contrattazione collettiva 
dalla medesima prevista -non ipotizza certamente una abrogazione 
di leggi ad opera di regolamenti. 

Con detto secondo comma den'art. 29, invero, il legislatore si � molto 
pi� semplkemente limitato ad escludere dalla discipilina deMa contrattazione 
collettiva alcune delle materie individuate dall'art. 2 della stessa legge quadro, 
relativamente alle quali vi sia una espressa dserva di legge (ad es. l'organizzazione 
dei pubblici uffici) o comunque lo stesso legislatore abbia ritenuto 
nella sua discrezionaHt� di escludere che la relativa disciplina sia devoluta 
alla contrattazione collettiva. 

In un momento in oui si fanno sempre pi� numerose le iniziative volte 
a modificare e riformare pi� o meno radica!lrmente i principi contenuti 
nella legge quadro, sembra opportuno riohiamare brevemente qualche interessante 
prindpio interipretativo che la giurisprudenza amministrativa e contabile 
� venuta elaborando in materia. 



282 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

2. Particolari forme di contrattazione decentrata. 
Preliminarmente, sotto il profi'lo dclJ.'ambito di incidenza, � stata affermata 
la piena legittimit� di una contrattai:ione decentrata limitata ad un solo 
ufficio statale, anche se il titdlare di tale ufficio risulti competente, occasionalmente, 
a stipulare accordi relativi ad una p1uralit� di uffici dello Stato 
aventi sede neilla medesima regione: l'ipotesi esaminata � que'lla del Commissario 
del Governo, presidente della delegazione di parte pubblica (cfr. al 
riguardo parere della Corte dei Conti, Sez. contr. Stato, 13 novembre 1986, 

n. 1703, i:n Il Consiglio di Stato 1987, II, 461). 
La stessa Corte dei Conti in sede consultiva ha escluso dal sistema normativo 
di contrattazione decentrata, previsto dalla legge-quadro sul pubblico 
impiego, la facallt� di c011'sentire una contrattazione � atomizzata�, e cio� 

una contrattazione decentrata, relaitivamente ailla quale resti preclusa la possibiilit� 
di una chiara delimitazione territoriale o funzionale: la principale 
delle ragioni della esc'l!Usione va ricolfogata alla �ircostanza che il sistema 
della contrattazione decentrata risulta essenzialiinente fina:Iizzato e diretto a 
scopi di omogeneizzazione e di perequazione; l'art. 14 della legge n. 93/83 
riferisce, infatti, gli accordi decentrati a singole branche della Pubblica Amministrazione 
o a gruppi di uffici in aree territorialmente delimitate negli 
accordi di comparto. 

Sono stati, inoltre, chiariti i limiti della riserva di legge prevista dal~ 
l'art. 2 nn. 2 e 5 della legge quadro, con sottrazione espressa alla contrattazione 
collettiva delle materie relative al rec1utamento del personale e alla 
assegnazione agli uffici; l'efficacia temporale digli accordi sindacali, riferita al 
triennio ai sensi dell'art. 13 de~la legge n. 93/83, � stata diffusamente e 
analiticamente motivata con riferimento: 

a) alla esigenza di assicurare congrui periodi di certezza nelle relazioni 
fra Amministrazioni e Organizzazioni sindacali; 
b) alla opportunit� di consentire una revisione periodica e sufficientemente 
tempestiva delle disposizioni concoroate; 

e) alla necessit�, infine, di conseguire -attraverso una uniforme e 
sostanzialiinente contestuale scadenza degli accordi -itl raggiungimento di 
principi di omogeneit� del.le posizfoni giuridiche dei destinatari, con connessa 
perequazione dei relativi trattamenti economici. 

Dalla stessa Corte dei Conti � stato ribadito che in forza del carattere 
� tassativo � e non meramente indicativo delle disposizioni concernenti i procedimenti 
di contrattazione, contenute neNa legge-quadro, non � consentito 
all'interprete di colmare pretese lacune normative della legge in esame utilizzando 
norme di natura regolamentare, ema!Ilate in applicazione di altre disposi:/
Jioni deHo stesso testo normativo (dr., al riguardo, pareri della Corte dei 
Conti, Sez. contratti Stato, 1 luglio 1987, n. 1793 e 3 luglio 1987 nn. 1803 e 
1805, in Il Consiglio di Stato 1988, Il, rispettivamente 89, 100 e 110). 

La giurisprudenza amministrativa ha avuto occasione anche di occuparsi 
della analisi dei criteri di negoziazione nell'ambito della contrattazione decentrata 
e, in parti:colare, ha affrontato lo specilfico problema concernente la 
possibilit� della negoziazione � separata � qualora akrune associazioni sindacali 
facenti parte della delegazione previ\Sta dall'articolo 12 L. 93/83 chiedano di 
negoziare in sedi separate; la soluzione adottata � nel senso affermativo, 
ci� in relazione alla normale dinamica contrattuale, ontologicamente caratterizzata 
dalla esistenza di rapporti, sia di convergenza che di contrasto, 
che possono intercorrere fra le diverse Associazioni sindaca>li e le basi sociali 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

da esse rappresentate (cfr'. al riguardo T.A.R. Lazio, Sez. I, 17 dicembre 1986, 
in I Tribunali Amministrativi Regionali 1988, I, 22). 

3. 
Criteri di composizione delle delegazioni sindacali e rappresentativit� delle 
medesime. 
Il citato art. 12 della legge-quadro stabilisce al 3� comma che la delegazione 
delle organizzazioni sindacali per la contrattazione relativa al'1'accordo 
intercompartimentale � composta da tre rappresentanti per ogni confederazione 
maggiormente rappresentativa su base nazionale. Tale disposizione deve 
essere rafifrontata con quella contenuta al 4� comma dell'articolo 6, che 
tratta della delegazione sindacale per la contrattazione relativa agli accordi 
sindacali per i dipendenti deHe amministrazio!li dello Stato anche ad ordinamento 
autonomo: essa � composta dai rappresentanti delle organizzazioni 
nazionali di categoria maggiormente rappresentative per ogni singolo comparto 
e� delle confederazionri mag.gio:runente rappresentative su base nazionale. 

Anzitutto occorre precisare che il grado di maggiore rappresentativit� 
necessario per giustificare la partecipazione a:lila formazione e stipula degli 
accordi sindacali per M pubblico impiego, previ�sti da1la le.gge 29 marzo 1983, 

n. 93, va sempre valutato anche in funzione della rilevanza qualitativa degli 
interessi aggregati dalla organizzazione sindacale. Tale rilevanza qualitativa � 
espressamente prevista in tema di accordi decentrati dall'art. 14 della legge-
quadro, che contempla esplicitamente anche i � rappresentanti delle organizzazioni 
sindacali maggiormente rappresentative nel settore interessato,. 
(sui criteri di indiwdruazione del grado di maggiore rappresentativit� delle 
associazioni sindacali e, in particolare, sulla esigenza di una valutazione 
comparativa anche degli interessi delle organizzazioni minoritarie cfr., da 
ultimo, T.A.R. Toscana, 3 luglio 1990 n. 552 in Rassegna T.A.R. 1990, I, 3192); 
ai fini della individuazione del grado di rappresentativit� l'art. 6 L. 93/83 e 
l'art. 8 D.P.R. 23 agosto 1988, n. 395, indicano i seguenti elementi: a) diffusione 
organizzativa negli ambiti territoriali e di categoria di ciascun comparto; 
b) adesione ricevuta in occasione di elezioni di rappJ:esentanti dcl 
personale in organi amministrativi; c) infine, consistenza associativa rilevata 
dal;le deleghe rilasciate per la riscossione dei contributi sindacali. 
Poich� non risulta regolato in maniera certa e definitiva il modo di 
partecipazione aHa delegazione sindacale, � da ritenere che resti riservato 
all'Amministrazione un ulteriore, sia pure limi<tato margine di apprezzamento 
da utilizzare, nel rigpetto delle prescrizioni normative vincolanti e nell'osservanza 
dei precetti della logicit� e della imparzialit�, in sede di esercizio 
delle funzioni di indirizzo e coordinamento nella materia del pubblico impiego 
e in sede di svolgimento dell'attivit� istruttoria e preparatoria delle trattative 
con le organizzazioni sindacali, funzioni e attivit� che l'art. 27 della stessa 
legge-quadro espressamente riconosce e attribuisce al Dipartimento per la 
funzione pubblica. 

Nello svolgimento di tale compito, l'Amministrazione sar� tenuta cos� 
ad accertare di volta in volta, con riferimento ai singoli comparti interessati 
aII'accordo, se sussistano interessi di settori o di gruppi professionali aventi 
una fisionomia diversificata rispetto al.la generalit� del personale perch� in 
tale ipotesi le organizzazioni nazionali di categoria maggiormente rappresentative 
di quegli interessi dovranno essere ammesse nella delegazione. 


824 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

4. Rilevanza e limiti del mancato consenso. 
Cos� delineati i criteri per la illld:ividluazione dei soggettti legittimati a 
partecipare alle trattative per la foimazione degli accordi sindacali per il 
pubblico impiego, occorre fare una breve rilJlessione circa il valore e gli 
effetti del mancato consenso di taluno dei membri de11a delegazione di parte 
sindacale. 

Il legislatore si � giustamente preoooupato di introdurre meccanismi 
idonei ad evitare che, a causa del dissenso di uno o pi� soggetti ammessi 
alla contrattazione, si possano verificare effetti paralizzanti per l'emanazione 
della nuova disciplina: � stato, a tail fine, attribuito al Consiglio dei Ministri 
il potere di integrare la volont� delle parti sociali e di deliberare conseguentemente 
il perfezionamento dell'accordo, pur in presenza del dissenso di 
alcune di esse: ai sensi del 7� comma dell'art. 6 della legige-quadro (applicabile 
sia agli accordi sindacali per i dipendenti delle amministrazioni dello Stato 
anche ad ordinamento aiutonomo, sia agili aocoridi "sindacali intercompartimentali, 
in forza della norma di richiamo contenuta nell'uilitimo comma del� 
l'art. 12) le organizzazioni sindacali dissenzienti, cos� come quelle che dichiarino 
di non partecipare alle trattative, possono trasmettere al Presidente del 
Consiglio dei Ministri e ai Ministri ohe compongono la delegazione le loro 
osservazioni. 

Va a tale proposito rilevato ohe la circostanza che sia la legge ad individuare 
i soggetti aventi titalo a partecipare alle trattative per la formazione 
degli accordi sindacali per il pU!bblico impiego non costituisce valida ragione 
per ritenere che il consenso di ciascuno dei soggetti legittimati si ponga 
come condizione di esistenza dell'aocorido; l'erroneit� di una tesi siffatta 
risiede nella considerazi~ne che l'accordo -come si � gi� riJcordato -non 
� un contratto, per il cui perfezionamento si rende necessaria la convergenza 
al medesimo scopo di tutte le volont� e cio� del medesimo intento di tutte 
le parti contraenti; l'aocorido � solo la manifestazione di volont� delle due 
delegazioni (di parte sindacale e di parte pubblica), alle quali il legislatore 
ha affidato il compito di presentare all'autorit� decidente, e cio� al Consiglio 
dei Ministri, un'ipotesi concordata di regolamentazione del rapporto di lavoro, 
una proposta che � soltanto il momento inizia'le del procedimento di formazione 
dell'aocordo. 

Nel loro insieme, le due delegazioni, di parte sindacale e di parte pubblica, 
costituiscono, secondo la definizione indicata dalla giurisprudenza 
amministrativa (ofJ:., ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 luglio 1989, 

n. 452, in Il Consiglio di Stato, 1989, I, 899), un organo che � non solo collegiale 
e rappresentativo, ma anche � virtuale � peroh� formato proprio allo 
scopo di comporre interessi ohe, in linea di principio, presentano aspetti 
contrapposti e confliggenti; ed essendo � virtuale �, esso non � chiamato ad 
operare necessariamente con il plenum dei suoi componenti e pu� anche deliberare 
a maggioranza perch�, diverisamente opinando, in un sistema che 
attribuisce in via esc1usiva all'accordo sindaca'le la disciplina del trattamento 
economico e i criteri per l'organizzazione del lavoro sarebbe assurdo consentire 
a ciascun soggetto legittimato aMe trattative di impedire, con la sua 
assenza o con il suo voto contrario, sia il funzionamento dell'organo collegiale 
che la formazione della fonte di prodluzione noimativa. 
Non si dimentichi che esclusivamente nella controparte sindaicale e cio� 
nelle organizzazioni sindacali debbono essere individuati i soggetti realmente 
titolari della contrattazione: invero, fra le organizzazioni sindacali e i dipen




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

denti interessati all'accordo non corre un rapporto di rappresentanza vera 
e propria, poich�, fra l'altro, attraverso gli accordi sindacali si perseguono 
e si debbono perseguire soprattutto finalit� di omogeneizzazione delle posizioni 
giuridiche dei dipendenti pubblici destinatari dell'accordo, finalit� di 
perequazione e trasparenza dei trattamenti e dell'efficienza amministrativa 
come richiesto espressamente dall'art. 4 della legge-quadro: interessi, questi 
ultimi ricordati, che non sono e non possono essere sempre coincidenti con 
quelli propri dei singoli dd!pendenti; ne consegue, pertanto, che l'intervento 
anche di tutti i dipendenti interessati all'aicrcordo sindacale non � certamente 
idoneo a supplire alla mancata partecipazione delle organizzazioni sindacali 
al procedimento di formazione dell'accordo stesso (cfr., al riguardo, Consiglio 
di Stato, Sez. IV, 6 aprile 1987, n. 211, in Il Consiglio di Stato 1987, I, 502). 
Una ulteriore, indiretta coni.ferma del carattere restrittivo dei criteri che 

presiedono alla interpretazione della normativa che riguarda la riferibiHt� 
esclusiva alle organizzazioni sindacali anohe della ve>lont� espressa dai loro 
rappresentanti � stata recentemente offerta dal Dipartimento per la funzione 
pubblica il quale, nel dicembre del 1989, ha conferito validit� formale e sostanziale 
alla tesi della inesistenza del vincolo di subordinazione gerarchica, con 
connessa inammissibilit� di un procedimento disciplinare nei confronti di 
un esponente sindacale che agisca in nome e per conto della organizzazione 
sindacale di appartenenza e ci� proprio in conformit� alla disciplina generale 
sulla rappresentanza, secondo la quale va direttamente ed esclusivamente 
�riferita all'associazione sindacale la volont� manifestata dal proprio rappresen


tante (cfr. Boll. Camera 14 marzo 1990, XIX). 

5. Natura ed effetti dell'accordo sindacale e dell'atto di recepimento. 
Particolari approfondimenti in dottrina e in giurisprudenza sono stati 
compiuti con riferimento alla individuazione sia della natura giuridica rivestita 
dagli accordi sindacali nazionali (che, come � noto, costituiscono soltanto 
il presupposto procedimentale necessario dell'atto finale imputabile al Presidente 
della Repubblica: gli aocordi sindacali del pubblico impiego, infatti, sono 
recepiti e resi esecutivi con d.P.R.), sia della natura giuridica dell'atto che 
recepisce l'accordo sindacale e cio� del decreto presidenziale. 

� opportuno, anzitutto, precisare che l'art. 6 della legge-quadro ha fis


sato quattro principali fasi nella foru:nazione dell'atto normativo: a) la formu


lazione dell'ipotesi di accordo da parte delle delegazioni; b) l'autorizzazione 

alla sottoscrizione dell'accordo, di competenza del Consiglio dei Ministri; c) la 

sottoscrizione; d) l'emanazione dell'atto con d.P.R., previa delibera del Consi


glio dei Ministri. 

La caratteristica, peouliare e di pi� immediata percezione, della predetta 

articolazione strutturnle � offerta proprio daHa scansione netta della fatti


specie in due diverse fasi (formazione dell'accordo e formazione dell'atto 

normativo), scansione che viene resa ancor pi� esplicita ed evidente anzi


tutto in conseguenza della previsione di una duplice deliberazione da parte 

del Consiglio dei Ministri. 

A tale proposito giova ricordare che la legge-quadro ha introdotto due 

interessanti novit�: una di natura terminologica, in quanto l'atto, che nella 

legislazione precedente era chiamato � approvazione �, ora viene definito 

come � autorizzazione alla sottoscrizione �; l'altra pi� direttamente connessa 

alla stessa articolazione del procedimento nel quale viene inserita con auto


nomo rilievo, contrariamente al passato, la sottoscrizione. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO

286 

Invero, con il nuovo sistema introdotto dalla legge 93/83 la autonoma 
previsione della sottoscrizione, formalit� successiva all'intervento governativo, 
consente di distinguere l'intera articolazione deLla fase negoziale nei momenti 
funzionali della ipotesi, della autorizzazione e del!la sottoscrizione: tale distinzione 
trova ulteriore conferma sia nel fatto che l'atto bilaterale, che viene 
definitivamente sottoscritto, � definito, ai sensi del citato articolo 6, ultimo 
comma, � accordo � e non pi� � ipotesi �, sia nella corrispondenza tra i due 
stadi di formazione dell'atto (formulazione dell'ipotesi di accordo e sottoscrizione 
dell'aocorido) e le due deliberazioni del Consiglio dei Ministri, delle 
quali la prima ha per oggetto appunto l'ipotesi di accordo, laddove la seconda 
assume a riferimento il vero e proprio accordo sottoscritto: solo con la 
deliberazio.ne finale del Consiglio dei Ministri la volont� del Governo si 
realizza e si manifesta in modo pieno e finale, assumendo valme costitutivo 
rispetto al perfezionamento dell'accordo: solo detto 011gano, infatti, in .rela� 
zione alla posizione che esso riveste e ai poteri di cui � dotato, � in grado 
di assumere nei confronti della controparte gli obblighi che, nell'ordinamento 
intersindacale, scaturiscono dalla stipulazione dell'accordo, laddove l'ipotesi 
di accordo non pu� mai essere considerata idonea a perfezionare l'accordo 
con la controparte, anche se costituisce indubbiamente qualcosa di pi� di un 
atto meramente preparatorio: l'ipotesi di acco11do �, infatti, destinata ad assolvere 
alla specifica finalit� di definire i termini di un reciproco impegno tra 
le parti, ancorch� non definitivo: dal che deriva, altres�, che la delegazione 
pubblica, pur rappresentando 1'011dinamento statuale, non assume la veste 
di rappresentante, in senso tecnico, del Governo. 

N� sembra da condividere la cosiddetta �teoria contrattualistica >>, secondo 
cui. andrebbe effettuata una interpretazione strettamente e rigorosamente letterale 
dell'art. 6 in esame, che porta ad attribuire all'accorido sindacale intercorso 
tra le organizzazioni dei lavoratori e fa controparte pubblica natura 
di contratto collettivo di diritto comune, dotato' di efficacia generale erga 
omnes o, comunque, di stipulazione a carattere privatistico, come tale immediatamente 
vincolante per le parti in quanto gi� perfezionata in tutti i suoi 
elementi costitutivi, con la ulteriore, conseguenziale attribuzione, al decreto 
presidenzale di recepimento dell'accordo, della natura cii mero atto integrativo 
dell'efficacia dell'accordo stesso in analogia, quanto al regime degli 
effetti, alla categoria dei contratti ad evidenza pubblica. 

Invero, una siffatta interpretazione trascura di considerare che l'accordo 
per la parte pubblica non � elemento sufficiente ad iIIJiI>egnare lo Stato e 
gli altri enti pubblici, in quanto sussiste in parallelo la duplice necessit� della 
emanazione non solo dei decreti presidenziali di recepimento contemplati 
dall'ultimo comma dell'art. 6, ma anche delle disposizioni di copertura finanziaria 
della contrattazione collettiva, normalmente inserite nella legge finanziaria 
e, in difetto, contenute in apposite leggi di modifica della stessa � finanziaria 
� nel rispetto delle norime di copertura, in relazione agli obblighi di spesa 
assunti in sede di contrattazione collettiva, secondo quanto espressamente 
previsto dall'art. 15 della legge-quadro. Un recente esempio di norma di 
copertura finanziaria emanata a modifica delle disposizioni della legge finanziaria 
� costituito dalla legge 12 gennaio 1991, n. 4, di conversione in legge, 
con modificazioni, del decreto-legge 13 novembre 1990, n. 326, recante disposizioni 
urgenti per assicurare l'attuazione di rinnovi contrattuali relativi al 
triennio 1988-1990 e, in particolare, per garantire la necessaria copertura 
finanziaria, nel citato triennio, degli oneri derivanti dagli accordi sindacali 
per i comparti della sanit� e della ricerca. Nell'occasione il ricorso, da parte 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

del Governo, ana decretazione d'urgenza si rese indispensabile in conseguenza 
del rifiuto assoluto di registrazione (cfr. ar.t. 25, 3" comma, lett. a) R.D. 12 lu� 
glio 1934, n. 1214), opposto dalla Corte dei Conti in ordine al decreto del 
Presidente della Repubblica di recepimento del contratto relativo al comparto 
�sanitario. 

In particolare, rpoich� le osservazioni della Corte dei Conti avevano 
fatto riferimento, f�ra l'altro, alla violazione del riparto di competenze fra 
la legge e gli accordi, sancito dalla legige-quadro sul rpubblico impiego, con 
il citato decreto legge n. � 326 il Governo dovette prevedere una diversa formula 
di copertura degli oneri contrattuali, posti a totale carico dei bilanci �degli 
enti interessati �con un concorso agli stessi oneri contrattuali da parte dello 
Stato per gli enti del servizio sanitario e per le regioni a statuto ordinario; 
l'art. 2 del decreto legge n. 326, oltre a :stabilire il principio del concorso 
statale agli oneri del contratto, demandava al decreto del Presidente della 
Repubblica di recepimento del contratto stesso, la� quantificazione di tale 
concorso: �, cosi, di tutta evidenza che gli effetti costitutivi, modificativi o 
estintivi non possono essere riferiti all'acco!'do, ma al provvedimento amministrativo 
di recepimento, essendo la dichiarazione di volont� espressa nell'accordo 
solo parte integrante del proc~dimento amministrativo p�reordinato 
all'emanazione del decreto, senza alcuna possibilit� sia di assumere valore 
negoziale o contrattuale autonomo, sia di produrre da sola, conseguentemente, 
effetti giuridici rilevanti all'esterno, con l'ulteriore conseguenza che deve 
essere preclusa anche la possibilit� di conferire all'accordo efficacia cogente 

o vincolante, fonte di diritti azionabili, sia pure solo a titolo di dsarcibilit� 
per danni, presuntivamente derivanti da mancato adempimento degli impegni 
sottoscritti, in sede giurisdizionale ordinaria, considerata l'assoluta discrezionalit� 
che caratterizza l'azione 'politica del Governo e quindi la fase di rece� 
pimento dell'accordo e di elaborazione e perfezionamento del relativo decreto 
presidenziale, fase fra l'altro caratterizzata dalla 1diversit� dei soggetti che 
formulano il provvedimento -Consiglio dei Ministri, Presidente della Repubblica 
-rispetto a quello che ha concluso e sottoscritto l'accordo -delegazione 
formata solo da alcuni Ministri. 
La delegazione governativa con la sottoscrizione dell'accordo impegna 
esclusivamente la propria responsabilit� politica, posto che l'atto sottoscritto 
diviene giuridicamente rilevante solo con la ricezione formale e nei limiti 
in cui t�le ricezione � operata dal decreto presidenziale. 

Inoltre il decreto presidenziale di recepimento dell'accordo conserva 
pienamente i suoi margini di autonomia rispetto all'accordo stesso e ci� in 
quanto esso presuppone una distinta e autonoma valutazione, da parte del 
Governo, dei contenuti dell'aiccordo e della loro effettiva compatibilit� con 
le esigenze della finanza pubblica, allo scopo di prevedere tempestivamente 
e quindi evitare, come nell'esempio soprarichiamato del comparto sanit�, il 
rischio di � sfondamenti � di bilancio che potrebbero essere provocati da 
aumenti salariali definiti in base ad accordo, nel momento della loro messa 
a regime, con diretta, effettiva incidenza sui costi e sulla spesa pubblica. 
Quanto alla determinazione delle risorse finanziarie da destinare alla contrat� 
tazione pubblica, occorre ribadire che l'esigenza di assicurare la relativa 
copertura finanziaria e di individuare 1gi� in sede di bilancio pluriennale 
.dello Stato le compatibilit� generali di tutti gli impegni di spesa da destinare 
al pubblico impiego � espressamente contemplata nel gi� esaminato art. 15 
della stessa legge-quadro n. 93/83. 


288 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Appare di tutta evidenza che, per poter concedere l'autorizzazione prevista 
dal 4� comma di detto articolo, il Parlamento deve dotarsi di meccanismi 
idonei a valutare tempestivamente i reali fabbisogni per la copertura dei 
rinnovi contrattuali, operando altresl i necessari collegamenti, a titolo infor� 
mativo e tecnico, non solo con il Ministero del Tesoro, ma altresl con il Dipartimento 
per la funzione pubblica, entrambi opportunamente coordinati allo 
scopo di evitare il rischio di coincidenza, sovrapposizione o addirittura contrapposizione 
di ruoli e competenze. 

Infine, le peculiari caratteristiche del decreto presidenziale ne escludono 
la sindacabilit� da parte del giudice costituzionale, essendo il giudizio sul 
medesimo interamente devoluto al giudice amministrativo, come tale abilitato 
ad esaminare tutte le questioni ad esso riferibili, ivi comprese quelle dedotte 
sub specie di questioni di incostituzionalit�, come censure di illegittimit� 
ordinaria (cfr. al riguardo Corte Costituzionale, 25 giugno 1980, n. .100, in 
Il Consiglio di Stato 1980, II, 813; T.A.R. Lazio, Sez. I, 23 marzo 1988, n. 359, 
in I Tribunali Amministrativi Regionali 198�8, I, 1023; TAR. Piemonte, Sez. II, 
13 novembre 1987, n. 527 in I Tributi Amministrativi Regionali, 1988, I, 113). 

RAFFAELE TAMIOZZO 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 29 marzo 1990, n. 414 -Pres. Laschema Est. 
Torsello -Linguanti e Comellini C. ENEA (avv. Stato D'Amico). 

Giustizia amministrativa -Pubblico impiego -Stipendi assegni indennit� � 
� Reformatio in peius � � Divieto -Compensi e indennit� -Limiti del 
divieto. 

Il divieto della � reformatio in peius � del trattamento economico del 
pubblico dipendente riguarda il suo stipendio tabellare e le voci retributive 
di carattere fisso e continuativo, con esclusione degli emolumenti variabili 
e provvisori sui quali, per il loro carattere di precariet� e accidentalit�, 
il dipendente non ha ragione di riporre affidamento. Deve pertanto 
escludersi che sussista violazione del suddetto divieto nel caso in cui 
un accordo contrattuale recepito da un ente pubblico non economico 
abbia previsto un'indennit� di servizio all'estero inferiore a quella precedentemente 
spettante, attesa la natura non retributiva di tale indennit� 
e la mancanza, in essa, di qualsiasi carattere di continuativit� e fissit� (1). 

(1) Giurisprudenza costante; cfr. da ultimo CdS., V, 6 dicembre 1988 n. 781, 
in Cons. Stato, 1988, 1609; CdS. VI, 2 marzo 1983 n. 117, in Cons. Stato 1983, 1, 
290 ss.. 
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale del CdS. la ratio 
del principio dell'intangibilit� del .trattamento economico del pubbblico dipendente, 
la oui base normativa � costituita dall'art. 227 T.U,C.C.P. n. 383/1934, 
deve ravvisarsi nell'esigenza di evitare ohe progressioni di carriera o mutamenti 
di status -derivati aid es. da trasferimenti di ruolo -possano com 
portare una diminuzione del livello economico raggiunto dal dipendente 



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

289 

La questione posta all'esame del Collegio concerne, in definitiva, la 
sussistenza o meno della violazione del principio del divieto di � reformatio 
in pejus �, nel caso in cui un accordo contrattuale, recepito da un ente 
pubblico non economico (nel caso di specie i'ENEA), abbia previsto una 
indennit� di servizio all'estero inferiore a quella precedentemente spet� 
tante. 

Al riguardo questo Consiglio di Stato ha pi� volte affermato il principio, 
richiamato anche nella decisione impugnata, che tale divieto riguar� 
da il solo stipendio tabellare e le voci retributive di carattere fisso e con� 
tinuativo, con esclusione degli emolumenti variabili e provvisori, sui qua� 
li, per il loro carattere di precariet� e accidentalit�, il dipendente non ha 
ragione di riporre affidamento (cfr. da ultimo, C.d.S. V. 6/12/1988, n. 781), 
e che, i singoli compensi o indennit� vanno conservati solo se, e nella 
misura in cui, norme espresse o provvedimenti legittimi dell'Amministrazione 
ne prevedano l'obbligo di corresponsione anche in presenza di una 
diversa disciplina destinata a regolare il nuovo status giuridico-economico 
del dipendente (cfr. C.d.S., VI 2/3/1983, n. 117). 

Facendo applicazione di tali principi alla fattispecie in esame, si 
deduce chiaramente, che l'indennit� di servizio all'estero di cui fruivano 
i ricorrenti in virt� del rinvio dell'art. 4 del D.P.R. 26 maggio 1976, 

n. 411 e dell'art. 30 del D.P.R. 16 ottobre 1979, n. 509 alle disposizioni relative 
alla corrispondente indennit� del personale dipendente dal Ministero 
degli affari esteri, non � voce retributiva avente caratteri di fissit� 
e continuativit�. 
arrecando grave noctllillento al preminente interesse pubblico al buon andamento 
dell'amministrazione, garantito -tra l'altro -attraverso l'incentivazione 
dell'impiegato alla carriera, assicurata dal principio .della proporzionalit� 
retributiva. Conseguentemente il divieto di reformatio in peius postula, a giudizio 
del collegio, un raffronto meraimente quantitativo tra i valori monetari 
dei due differenti trattamenti economici complessivi dell'impiegato e si concreta 
in un obbligo di conservazione, per l'ente pubblico, del solo livello 
globale di retribuzione acquisito dal dipendente (comprensivo dello stipendio 
tabellare e delle voci retributive di carattere fisso e continuativo) e non gi� 
di quei compensi o di quelle indennit� dallo stesso percepiti che per la loro 
natura di emolumenti precari e accidentali, non sono suscettibili di essere 
classificati come voci retributive sulle quali il dipendente possa fare affidamento. 
Da un lato infatti non esiste nell'ordinamento un principio giuridico 
generale per il quale il datore di lavoro debba restare vincolato ad erogare 
compensi che, ove non presentino i caratteri della continuit� e fissit�, formano 
oggetto di mere aspettative da parte dei lavoratori e non di diritti 
acquisiti; d'altra parte la comp�ressione dell'autonomia organizzativa dell'ente 
pubblico non pu� estendersi, stante la particolare natura del rapporto di 
pubblico impiego, sino a vanificare del tutto il �potere dell'ente stesso di 
modificare nel tempo la disciplina giuridica del trattamento economico dei 
propri dipendenti. 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

290 

Non solo, difatti, l'art. 171 del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18 esclude 
espressamente la natura retributiva di tali somme, essendo destinate a 
sopperire agli oneri derivanti dal servizio all'estero ed essendo ad essi 
commisurate, ma nella stessa caratterizzazione strutturale tale indennit� 
si appalesa composta, per una parte, da componenti indubbiamente 
variabili, come si rileva immediatamente dall'esame del comma 2 di tale 
articolo. 

Sotto tale profilo, come osservato nella decisione impugnata, la mancanza 
del carattere della continuativit� deriva, con tutta evidenza, dalla 
circostanza che tale indennit� � erogata nelle sole ipotesi di trasferimento 
all'estero e per la durata di tale trasferimento. 

Il ricorso in appello va pertanto respinto, confermando la decisione 
impugnata. (omissis). 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 3 aprile 1990 n. 315 -Pres. Gessa -Rel. De 
Lipsis -C.P.D.E.L. (avv. Stato Stipo) c. Ballerini (avv. Graziosi). 

Pensioni . Pensioni civili � Dipendenti enti locali � Controversia sul computo 
ai fini pensionistici di un emolumento facente parte della retri� 
buzione � Giurisdizione della Corte dei conti ancorch� la controversia 
sia stata promossa durante il rapporto di impiego. 

Pensioni � Pensioni civili � Controversia promossa davanti al giudice am� 
ministrativo circa contributi da versare alla Cassa Pensioni Dipendenti 
Enti Locali � Sopravvenuto collocamento a riposo � Improcedibilit� 
per difetto di interesse. 

Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nella controversia, con 
la quale il dipendente di un ente locale chiede che determinati emolumenti 
(sui quali sono sempre stati effettuati e versate alla C.P.D.E.L. 
le trattenute contributive) siano considerati come facenti parte della retribuzione 
utile ai fini del trattamento di quiescenza, ancorch� il dipendente 
stesso abbia promosso un'azione di accertamento giurisdizionale in 
costanza di rapporto di impiego, intendendo prevenire, attraverso una 
sentenza dichiarativa, il provvedimento con il quale la C;P.D.E.L. gli li


;quider� la pensione. 

� improcedibile per. sopravvenuta carenza di interesse l'azione promossa 
davanti al giudice amministrativo in ordine alla imposizione dei 
'contributi ed alla dichiarazione di pensionabilit� di determinati emolumenti 
qualora nelle more sia intervenuto il collocamento a riposo, essendo ogni 
questione assorbita dal provvedimento di liquidazione della pensione, avverso 
il quale � consentito solo il ricorso alla Corte dei conti (1). 

(1) Sussiste la giurisdizione del giudice del rapporto di lavoro qualora la 
controversia riguardi l'obbligo o la misura dei contributi che l'Ente datore 
di lavoro � tenuto a versare alla Cassa Pensioni {per talune fattispecie 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 291 

1) � preliminare, seguendo l'ordine logico delle eccezioni e dei motivi 
di merito, l'esame del dedotto difetto di giurisdizione del giudice adito, 
prospettato dalla appellante anche in questo grado del giudizio, essendo 
stata disattesa l'eccezione dai primi giudici.. 

Sostiene la Cassa di Previdenza per le Pensioni ai Dipendenti degli 
Enti Locali che la pretesa azionata dall'avv. Ballerini in questa sede 
(di giurisdizione esclusiva), intesa all'accertamento della pensionabilit� 
della voce stipendiale relativa alla quota-parte degli onorari da lui percepiti 
nella sua veste di consulente legale del Comune di Bologna, nonch� 
alla dichiarazione che tale quota dovesse essere calcolata ai fini 
del trattamento di quiescenza dalla C.P.D.E.L., rientra nella giurisdizione 
della Corte dei Conti ai sensi del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214. 

L'eccezione � fondata e merita accoglimento.. 

Non � in contestazione tra le parti che l'avv. Ballerini -prima con 
la qualifica di sostituto legale di prima classe e, successivamente, a seguito 
di vincita di concorso interno, quale consulente legale -abbia 
percepito, nella misura stabilita dal vigente regolamento organico del 
Comune, una quota parte degli onorari, sulla quale sono state regolarmente 
effettuate le trattenute di legge ai fini del trattamento di previdenza 
e di quiescenza, che il Comune, per la propria quota, ha sempre 
versato. 

� quindi pacifico che il beneficio economico di cui si discute � 
stato sempre corrisposto al ricorrente dall'Ente datore di lavoro, il quale, 
per parte sua, ha altres� provveduto al regolare versamento alla Cassa 
Pensioni della quota contributiva mensile. 

In altri termini, nella fattispecie in esame, non si tratta di accertare 
se la partecipazione agli onorari spettanti all'avvocato del Comune abbia 

o meno carattere di elemento integrativo dello stipendio fisso (questione, 
v. Cass. SS. UU. 29 marzo 1983 n. 2240; Cass., Sez. Un., 24 giugno 1985 n. 3798, 
in questa Rassegna 1985, I, 784; Cass., Sez. Un. 3 giugno 1986 n. 3704, ivi, 1987, 
I, 66; nonch� 1Cons. Stato VI, 18 novembre 1985, n. 598. 
Qualora invece l'Ente datore di lavoro ha corrisposto i contributi in 
ordine ad un determinato emolumento, la controversia sulla computabilit� 
di questo ai fini pensionistici spetta alla giurisdizione della Corte dei conti 

(v. Cass. SS. UU. 10 gennaio 1984 n. 168) anohe se, come la decisione in 
rassegna era tenuta a precisare, l'interessato non sia stato collocato a riposo 
e ci� perch� la g~urisdizione esclusiva sussiste anche in ordine alle azioni 
di mero accertamento prima che il preteso diritto venga riconosciuto o 
negato (v. Cons. Stato, sez. V, 21 settembre 1983 n. 370). 
Se poi nelle more del giudizio interviene il collocamento a riposo dell'interessato, 
la controversia promossa davanti a giudice diverso da quello 
esclusivo delle pensioni perde attualit� di interesse, non potendo farsi rientrare 
nella giurisdizione del rapporto di lavoro ormai cessato (v. in argomento 
Pretura di Roma 21 maggio 1986, in questa Rassegna 1987, I, 82 e giurisprudenza 
della Cassazione ivi richiamata). 



292 I

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

peraltro, gi� risolta in senso positivo da questa Sezione con la sentenza 

n. 924 del 5 dicembre 1959), n� di esaminare la (contestata) natura retributiva 
di un emolumento proprio di una posizione di lavoro, le sue caratteristiche 
di fissit� o di aleatoriet�, di ricorrenza o di saltuariet�, n� ancora 
di valutare l'omessa iscrizione di un dipendente pubblico alla Cassa 
Pensioni ovvero di decidere una controversia attinente ad un rapporto 
giuridico d'impiego. 
Nelle predette ipotesi � incontestabile la giurisdizione esclusiva del 
giudice amministrativo. 

Nel caso di specie, invece, l'originario ricorrente, odierno appellato, 
ha chiesto che determinati emolumenti (sui quali sono sempre stati effettuati 
e versati alla C.P.D.E.L. le trattenute contributive nella misura 
dovuta) siano considerati come facenti parte della retribuzione utile ai 
fini del trattamento di quiescenza, ai sensi degli artt. 15 e 16 della legge 
5 dicembre 1959, n. 1077, che hanno individuato la parte fondamentale 
della retribuzione ai fini della contribuzione e del pensionamento. 

Si tratta, quindi, di accertare l'esatta incidenza della voce retributiva 
� de qua � sul futuro trattamento pensionistico dell'interessato, il quale, 
con la proposizione del ricorso di primo grado, ha, in un certo senso, 
inteso prevenire -con l'ottenimento di una sentenza dichiarativa in 
materia -il provvedimento con il quale la C.P.D.E.L. gli liquider� la 
pensione. 

La circostanza che, nel caso di specie, non� sia ancora sorto un rapporto 
previdenziale, non esclude che la questione si inserisca in un rapporto 
giuridico di natura previdenziale, intercorrente fra tre soggetti: 
Cassa Pensioni, Ente datore di lavoro e lavoratori, la cui competenza 
esclusiva -con l'instaurazione del giudizio -appartiene alla Corte dei 
Conti, che giudica integralmente nell'esatta determinazione del� quantum� 
pensionistico in relazione alle correlative norme. 

Invero, la giurisdizione della Corte dei Conti in materia di pensioni che 
alla luce di un consolidato indirizzo giurisprudenziale di questo Consiglio 
� limitata a quanto concerne con immediatezza, anche nella misura, 
il sorgere, il modificarsi e l'estinguersi totale o parziale del diritto a pensione 
in senso stretto (VI Sez., 12 aprile 1986, n. 317; V Sez., 14 gennaio 
1987, n. 20) -pu� essere adita, oltre che su ricorso avverso il provvedimento 
di concessione del trattamento di quiescenza, anche prima dell'adozione 
del suddetto provvedimento, con un'azione di accertamento giuridizionale. 


Tali tipi di azioni, come ormai � pacificamente affermato in giurisprudenza, 
sono di competenza del giudice che ha la giurisdizione nella-materia 
e, pertanto, nella fattispecie in esame, afferente alla valutazione ai fini 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 293 

pensionistici di una voce stipendiale, sempre corrisposta all'appellato, la 
giurisdizione non pu� che essere della Corte dei Conti. 

2) Osserva altres� il Collegio che il rapporto di pubblico impiego, 
che legava l'avv. Ballerini al Comune di Bologna, � cessato, essendo stato 
il medesimo collocato in quiescenza successivamente alla proposizione 
del ricorso e, pertanto, sotto questo profilo, l'appello � improcedibile, in 
quanto l'attuale controversia in ordine alla imposizione di contributi 
ed alla dichiarazione di pensionabilit� degli onorari percepiti dall'inte� 
ressato nella veste di consulente legale del Comune, ha perso il carattere 
dell'attualit�, essendo stata assorbita dal provvedimento di liquidazione 
della pensione, avverso il quale l'appellato -qualora non si ritenga sod� 
disfatto -potr� far valere autonomi motivi di impugnazione. 

Conclusivamente, l'appello va accolto e, per l'effetto, in totale riforma 
della sentenza impugnata, va dichiarato il difetto di giurisdizione 
del giudice amministrativo in ordine alla domanda proposta dall'avv. 
Ballerini. 

Restano assorbite le altre eccezioni pregiudiziali e le censure di 
merito. (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV, 20 aprile 1990 n. 292 -Pres. Buscema -Est. 
Martorelli -Drioli (avv. Volli) c. Regione Friuli-Venezia Giulia (avv. 
Stato Cosentino). 

Giustizia amministrativa � Demanio e patrimonio -Beni patrimoniali indisponibili 
� Concessione � Scadenza del termine � Estinzione del rapporto 
concessorio � Obbligo di motivazione -Non sussiste . Necessit� 
di tempestiva rituale disdetta -Non occorre. 

La sopravvenienza del termine convenzionale di scadenza comporta 
l'estinzione del rapporto concessorio avente ad oggetto un bene patrimoniale 
indisponibile senza che sia necessaria, da parte dell'Amministrazione, 
alcuna tempestiva rituale disdetta o alcun provvedimento formale di revoca 
fondato su ragioni di pubblico interesse (1). 

(1) Come � noto, la giurisprudenza amministrativa e della Corte di Cassazione 
sono concordi nel ritenere che il rapporto instaurato tra il singolo e la 
P. A. mediante un contratto di diritto civile, in attuazione di un atto deliberativo 
di natura concessoria della P. A., avente ad oggetto l'uso particolare 
di beni pubblici sia di natura pubblicistica: cfr. Cass. 25 ottobre 1978 n. 4827; 

294 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

L'appello � infondato. 

La sentenza impugnata -che va condivisa -ha statuito che il concessionario 
di un bene patrimoniale indisponibile, alla scadenza prestabilita 
in convenzione, sia tenuto a rilasciare l'immobile, esclusa la necessit� di 
una tempestiva rituale disdetta oppure di un formale provvedimento 
di revoca fondato su ragioni di pubblico interesse e, ci�, contrariamente 
a quanto ritenuto dalle appellanti. 

Sta di fatto che, con la delibera 24 settembre 1971, n. 3306, la G.R. 
Friuli-Venezia Giulia aveva confermato il rilascio della concessione alla 
Ditta Andrioli di un nuovo locale adibito a negozio di abbigliamento, in 
sostituzione di un precedente rapporto riguardante un diverso locale. 

Il sottostante atto concessorio, stipulato il 12-11-1971, ne stabiliva all'art. 
2, la durata in anni 3, a partire dal 1 luglio 1971, senza possibilit� 
di rinnovo, ed in tal senso il conduttore assumeva esplicito impegno 
� ��� di rilasciare libero il locale da persone e cose alla convenuta scadenza 
del 30 giugno 1974 �. 

Ebbene, precisato che il � vano �, oggetto della controversia, incorporato 
nell'edificio sito in Trieste, alla via Carducci, n. 6, acquistato 
dalla Regione come sede dei propri uffici, non pu� non essere qualificato 
bene patrimoniale indisponibile della Regione stessa, la predeterminata 
durata del negozio -alla cui formazione avevano partecipato la P.A. 
ed i privati -� elemento decisivo per escludere l'intermediazione di altri 
atti da parte del concedente. 

Avuto riguardo a detti presupposti, non ha �rrato il primo giudice ad 
affermare che la sopravvenienza del termine convenzionale di scadenza 
comportava ex se l'estinzione del rapporto concessorio e che, a quella 
data, pertanto, doveva considerarsi conclusa la sottrazione dell'immobile 
alla sua particolare destinazione, tenuto conto dell'interesse generale valutato 
a suo tempo dall'Amministrazione. 

Si appalesano quindi inconsistenti le pretese delle appellanti -succedute 
alla Ditta Drioli -basate sull'assenza di una valida disdetta e 
sulla mancata motivazione di una revoca dell'atto di concessione. 

Tenuto conto di quanto precede, l'appello va respinto e la sentenza 
TAR Friuli-Venezia Giulia 16 giugno 1988 n. 399 confermata. (omissis) 

Cons. Stato, sez. V, 11' marzo 1977 n. 167, in Foro Amm. 1977, 440; sez. IV, 

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26 maggio 1984 n. 372, in Foro Amm. 1984, 870; sez. IV, 16 marzo 1987 n. 155, w 

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in Foro Amm. 1987, 450 e ss.. 

Il Consiglio di Stato ribadisce, con la sentenza in esame, che la sopravvenienza 
del termine convenzionale di scadenza comporta ex se l'estinzione 
del rapporto concessorio senza la necessit� di una valida disdetta e a prescindere 
dalla motivazione della revoca: dr., in termini, Cons. Stato, sez. IV, 
7 settembre 1988 n. 733, in questa Rassegna 1988 ,I, 121 e ss .. 

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PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 aprile 1990, n. 460 -Pres. Salvatore P. -
Rel. Salvatore C. -Istituti di Previdenza (avv. Stato Stipo) c. Zecchin 
(avv. De Petris). 

Pensioni -Ricorso avverso il provvedimento che respinge la domanda 

di riliquidazione della pensione -Giurisdizione della Corte dei Conti � 

Ricostruzione economica della carriera -Ininfluenza. 

Rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti la vertenza 
nella quale oggetto di impugnativa non � il provvedimento amministrativo 
attinente alto status del dipendente, bens� il provvedimento con il 
quale � stata respinta la domanda di riliquidazione della pensione prodotta 
dall'interessato in dipendenza della ricostruzione economica della 
carriera. 

(omissis) L'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ammm1strativo, 
riproposto dall'Avvocatura Generale dello Stato, secondo la quale 
la controversia rientra nella giurisdizione della Corte dei Conti, � fondata. 

� esatto che sul trattamento pensionistico si riflettono gli effetti di 
atti amministrativi che, in quanto attributivi di posizioni giuridiche del 
pubblico dipendente, si ricommettano tutti tratti al suo status, con 
l'ovvia conseguenza che le controversie circa la legittimit� degli atti 
amministrativi regolatori di quelle posizioni assumono carattere pregiudiziale 
e debbono essere necessariamente decise con efficacia di giudicato 
dal giudice amministrativo competente. 

Deve, per�, osservarsi che tale generale principio non � invocabile 
nel caso di specie, nel quale oggetto di impugnativa non � il provvedimento 
amministrativo attinente allo status del dipendente (in concreto 
i decreti del Prefetto di Verona) ma solo il decreto del Direttore Generale 
degli Istituti di Previdenza con il quale � stata respinta la domanda 
di riliquidazione della pensione prodotta dall'interessato in dipendenza 
della ricostruzione economica della carriera. 

L'errore in cui sono incorsi i primi giudici � nel non aver considerato 
cbe la richiesta dello Zecchin � in funzione esclusiva della rideterminazione 
del � quantum � della pensione, esulando dalla controversia qualsiasi 
questione di � status �. 

Ma, appunto perch� vertente unicamente sul � quantum � del trattamento 
pensionistico, tale questione sfugge alla cognizione del giudice amministrativo 
e, rientra nella giurisdizione esclusiva della Corte dei conti a 
norma del R.D. 12 luglio 1934 n. 1214 (in tal senso Corte Costituzionale 

n. 186 del 1986). 
Alla luce delle considerazioni svolte, l'appello va accolto e la sentenza 
impugnata annullata senza rinvio, con conseguente dichiarazione 
di inammissibilit� del ricorso originario. (omissis) 


296 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 23 aprile 1990, n. 469 -Pres. Laschena Est. 
Salvatore -Radio Lido (avv. Vitucci) c. Circostel (avv. Stato Polizzi). 


Poste e radiotelecomunicazioni � Emittenti locali � Disturbi e interferenze 
alle comunicazioni � Potere sanzionatorio della P .A. ex art. 240 d.P.R. 
29 marzo 1973, n. 156. Presupposti. Accertamento di concreti disturbi 
e interferenze � Necessit� . Limiti � Interferenze su canali riservati 
alla P.A. 

L'esercizio dei poteri di polizia, attribuiti alla P.A. dall'art. 240 d.P.R. 
29 marzo 1973 n. 156 nei confronti di chi trasgredisca il divieto di �arrecare 
disturbi o causare interferenze alle telecomunicazioni ed alle opere ad 
esse inerenti� presuppone, di norma, l'accertamento di concreti disturbi. 
Tale accertamento �, tuttavia, irrilevante rispetto a quei canali che siano 
riservati alla P.A. per esigenze che postulano la loro disponibilit� in qualsiasi 
momento. Infatti la semplice trasmissione non autorizzata, su frequenze 
riservate in tutto il territorio nazionale, integra il disturbo alle 
radio telecomunicazioni che giustifica l'esercizio del potere repressivo da 
parte della P.A. (1) 

Con il primo motivo l'appellante deduce l'erroneit� in cui sarebbero 
incorsi i primi giudici quando, nel respingere il primo e terzo motivo di 
ricorso, affermano che �a tenore della nota 16 del D.M. 31 gennaio 1983 
non � richiesto, ai fini del legittimo esercizio dei poteri repressivi di 
competenza del Ministro delle Poste e Telecomunicazioni che vi siano 
in atto disturbi o interferenze, perch� la tutela assicurata al servizio di 
radionavigazione aeronautica � preventiva rispetto al verificarsi di eventi 
pregiudizievoli per il servizio stesso �. 

Ad avviso dell'appellante, il T.A.R. avrebbe confuso il momento autorizzativo 
dell'attivit� con quello preventivo, non tenendo conto da un 
lato che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 237 
del 1984, la trasmissione via etere su scala locale Ǐ assolutamente libera� 
per cui non avrebbe senso il richiamo, contenuto nel provvedimento di 
disattivazione, all'art. 195 cod. Postale (dichiarato incostituzionale proprio 
nella parte concernente le trasmissioni in ambito locale) e, dall'altro lato, 

(1) La giurisprudenza amministrativa (CJCl.S. 9 giugno 1986 n. 423, in Cons. 
Stato 1986, 900; VI, 6 aprile 1988 n. 409, in Cons. Stato 1988, I, 477), sopratutto 
in seguito ai decisivi interventi della Corte Costituzionale nella materia de qua, 
ha in pi� occasioni affermato il principio della prevalenza dell'interesse della 
P. A. al regolare svolgimento dei servizi pubblici di radiotelecomunicazioni 
rispetto a quello avente ad oggetto l'uso delle frequenze radiotelevisive da 
parte dei privati. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

che il potere di cui all'art. 240 del codice postale � esercitabile dall'amministrazione 
per reprimere effettivi � disturbi o interferenze � e non 
per tutelare preventivamente una determinata banda di frequenza. 

A confronto della propria tesi l'emittente ricorda che, nel sistema del 
codice postale, la tutela preventiva � affidata all'art. 183, che prevedeva 
l'obbligo di fornirsi di concessione o autorizzazione ma che, dichiarata incostituzionale 
tale disposizione, l'infrazione al divieto di irradiare trasmissioni 
su bande di frequenza, riservata si�:J.o alla definizione del Piano 
di assegnazione delle frequenze, sarebbe senza sanzione e, quindi, non 
perseguibile attraverso l'art. 240, trattandosi di attivit� liberamente esercitabile 
dai privati e costituzionalmente garantita dall'art. 21 Costituzione. 

La tesi anzidetta non pu� essere condivisa. 

Come questa Sezione ha avuto modo di chiarire (cfr. decisioni n. 423 
del 9 giugno 1986 e n. 409 del 6 aprile 1988), se � vero che i poteri 
di cui allo art. 240 D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156 sono attribuiti all'Amministrazione 
per impedire quelle trasmissioni che, seppure illegittime, 'non 
cagionano interferenze e che, di regola, l'esercizio di detti poteri presuppone 
l'accertamento di concreti disturbi, � vero, altres�, che taluni canali 
sono riservati ad amministrazioni pubbliche (come le bande di frequenza 
riservate all'Amministrazione della difesa) per esigenze che postulano 
la loro disponibilit� in qualunque momento. Rispetto a tali esigenze � 
irrilevante una indagine sul concreto uso da parte dell'Amministrazione, 
che pu� essere anche saltuario, e sulla effettiva sussistenza dei disturbi alle 
trasmissioni da parte di altri soggetti. 

In tali ipotesi -come � stato precisato con le richiamate decisioni la 
trasmissione non autorizzata su frequenze riservate in tutto il territorio 
nazionale integra il disturbo alle telecomunicazioni che giustifica l'esercizio 
del potere repressivo dell'Amministrazione, il quale sarebbe inefficace, 
se fosse subordinato al verificarsi di quelle situazioni di emergenza 
che richiedono la pronta disponibilit� di frequenze riservate, anche 
perch� -come pure � stato sottolineato -il conflitto fra l'utilizzazione 
pubblica, potenzialmente estesa all'intero territorio nazionale, di una banda 
di frequenza e l'utilizzazione in sede locale della stessa banda non pu� 
essere risolto con accorgimenti tecnici, giacch� questi presuppongono 
trasmissioni da effettuarsi in zone delimitate e distinte. 

Da quanto sopra deriva che nessuna confusione ha fatto il Tribunale 
Amministrativo Regionale tra momento autorizzativo e momento 
repressivo della attivit� di radiotelecomunicazioni via etere ma solo 
esatta applicazione della disciplina vigente, per cui le relative conclusioni 
vanno confermate, anche se la motivazione deve essere integrata 
con le precisazioni avanti svolte. 

Del resto la tesi che all'infrazione al divieto di irradiare trasmissioni 

senza la preventiva definizione del Piano di assegnazione delle frequenze 

sia allo stato non sanzionabile, si scontra con lo univoco orientamento 


298 RASSEGNA DEU.'AWOCATURA DELLO STATO 

della Corte Costituzionale, la quale (cfr. sentenze nn. 237 del 1984 e 826 
e 1030 del 1988) ha chiaramente escluso la configurabilit� di un diritto 
soggettivo del privato all'attivazione ed all'esercizio di impianti televisivi, 
dato che questi .comportano l'utilizzazione di un bene comune -l'etere naturalmente 
limitato e perch� non fruibile da tutti e presuppongono 
necessariamente, di conseguenza, un provvedimento di assegnazione della 
banda di frequenza, che, in quanto immette un quid novi nella 
sfera giuridica del privato, ha indubbio carattere costitutivo. 

In particolare, la Corte ha sottolineato (si vedano il par. 22 della 
sentenza n. 826 ed il par. 9 della sentenza n. 1030 del 1988) che la necessit� 
di un provvedimento abilitativo -il quale, nel settore in esame, 

I 

implica un ambito di discrezionalit� non solo tecnica ma anche amministrativa 
-si fonda sulla esigenza di assicurare un razionale ed ordinato 

I 
governo dell'etere, la quale comporta tra l'altro che venga garantito il ! 
coordinamento e la compatibilit� reciproca tra i vari servizi di telecomunicazioni 
ivi compresa la emittenza radiotelevisa, e che correlato al potere 
di assegnazione e di disciplina delle modalit� d'impiego delle frequenze, 

I

� il potere di disattivazione conferito alla Pubblica Amministrazione dallo 
art. 240, il quale � appunto preordinato a prevenire e reprimere usi non 

I 

consentiti o concrete interferenze. 
Assume ancora l'appellante che, anche a voler ammettere con la sen


I 

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tenza impugnata che il D.M. 31 gennaio 1983 precluda l'installazione di 

I ~ 

emittenti radiofoniche sulla banda 104-108 MHz <<al fine di assicurare in 
via preventiva assenza di disturbi pregiudizievoli al servizio di radionavigazione 
aeronautica funzionante nella banda adiacente al di sopra di {: 

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108 MHz �, una tale riserva sarebbe comunque venuta meno per effetto 
della legge 8 aprile 1983 n. 110, la quale ha radicalmente innovato la disciplina 
concernente la � protezione delle radiocomunicazioni relative all'assistenza 
e alla sicurezza del volo �. 

I!

Anche questa censura deve essere disattesa. 

I! 

Come questa Sezione ha osservato con decisione n. 409 del 6 aprile 1988, 
la legge n. 110 del 1983 ha inteso rafforzare gli strumenti di tutela di talune 
radiocomunicazioni, particolarmente importanti per la sicurezza dei 
voli, dettando una disciplina che completa quella generale e non sarebbe, 

I 

pertanto, conforme a tale ratio un'interpretazione che tendesse ad assii


!

curare ai servizi di radionavigazione una protezione meno efficiente di 
quella riconosciuta alle telecomunicazioni in genere. 

In tale prospettiva, l'art. 2 della legge citata, nel quale si fa riferimento 
a �segnalazioni di disturbi nocivi�, va inteso alla luce dell'esigenza (gi� 
posta in rilievo a proposito dell'art. 240 d.P.R. n. 156 del 1973 di garantire 
la completa disponibilit� di certe frequenze, la cui utilizzazione 
pubblica pu� essere anche discontinua. Come nell'art. 240 il concetto di 
� disturbo � non presupppone necessariamente l'utilizzazione continua di 
frequenze riservate alla difesa nazionale o alla assistenza al volo, cos�, 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

ai fini dell'applicazione dell'art. 2 legge n. 110 del 1983 ha rilevato soltanto 
il fatto che certe bande di frequenza possano subire interferenze. 

Con il terzo ed ultimo motivo si deduce la violazione -gi� sollevata 
col terzo motivo del ricorso di primo grado -dell'art. 3 legge 4 febbraio 
1985 n. 10, a norma del quale � sino all'approvazione della legge generale 
sul sistema radiotelevisivo ... � consentita la prosecuzione dell'attivit� 
delle singole emittenti radiotelevisive private con gli impianti di radiodiffusione 
gi� in funzione alla data del 1� ottobre 1984, fermo restando il 
divieto di determinare situazioni di incompatibilit� con i pubblici servizi �. 

Anche tale doglianza � infondata. 

Una volta chiarito nei termini precisati che l'attivit� di trasmissioni 
via etere da parte dei privati non � libera e che sia l'art. 240 codice 
postale che l'art. 2 legge n. 110 del 1983 sono preordinati anche a prevenire 
usi non consentiti di bande di frequenze suscettibili di recare interferenze 
o disturbi a servizi pubblici, � chiaro che l'esigenza di �assicurare 
in via preventiva assenza di disturbi pregiudizievoli al servizio 
di radionavigazione aeronautica funzionante nella banda adiacente al di 
sopra di 108 MHz �, espressamente indicata nella nota del 16 del Piano nazionale 
di ripartizione delle frequenze, postula necessariamente la disatti� 
vazim;J.e di quelle emittenti che, come l'appellante, trasmettono senza prov� 
vedimento abilitativo della Pubblica Amministrazione (omissis) 

CONSIGLIO DI STATO, Ad. Plen., 6 giugno 1990 n. 5 -Pres. Crisci -Est. 
Baccarini -Magnabosco c. Ministero Trasporti (avv. Stato Cocco). 

Giustizia amministrativa � Giudizio amministrativo � Sentenze interlocutorie 
emanate a fini istruttori � Esclusione del giudicato anche im� 
plicito. 

Giustizia amministrativa . Ricorso giurisdizionale contro atti della P .A. � 
Notificazione � Regolarit� della notificazione eseguita all'Avvocatura 
dello Stato nella persona del Ministro competente per materia. 

Giustizia amministrativa � Ricorso giurisdizionale contro decreto prefet� 
tizio di revoca della patente di guida � Notificazione all'Avvocatura 
dello Stato nella persona del Ministro dei Trasporti � Ammissibilit�. 

Circolazione stradale � Patente di guida � Revoca � Illegittimit� (art. 81 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393). 
Le sentenze interlocutorie che non definiscono questioni preliminari o 
non decidono una parte del merito ma sono emanate a fini ordinatori del 
processo o a fini istruttori non sono suscettibili, stante la loro natura 
di provvedimenti privi di carattere decisorio, di passare in giudicato n� 
di determinare il giudicato implicito. 


300 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Non si forma, pertanto, giudicato implicito sulla regolarit� dei pre� 
supposti processuali e sulla conseguente ammissibilit� del ricorso, in seguito 
ad una sentenza interlocutoria del giudice che si limita ad ordinare 
incombenti istruttori (1). 


Gli atti introduttivi dei giudizi contro amministrazioni statali devono 
essere notificati presso l'Avvocatura dello Stato in persona del Ministro 
competente per materia, per effetto del combinato disposto della legge 
25 marzo 1958, n. 260 e dell'art. 10, terzo comma, legge 3 aprile 1979 

n. 103 che deroga agli artt. 21 legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e 36, secondo 
comma, T.V. 26 giugno 1924, n. 1054. 
� pertanto ammissibile la notifica di un ricorso giurisdizionale contro 
il decreto prefettizio di revoca della patente eseguita presso l'Avvocatura 
�dello Stato in persona del Ministro dei Trasporti (2). 

(1) Il princ1p10 � pacificamente ammesso dalla giurisprudenza del Con� 
siglio di Stato; da ultimo ofr. sez. VI, 8 marzo 1990, n. 366, in Cons. Stato, 
II

1990, I, 453 e ss.. 

(2) L'Adunanza Plenaria ha affermato, con la decisione in esame, che gli 
artt. 21, primo comma, legge 6 dicembre 1971 n. 1034 e 36, secondo comma, 
I

T. U. 26 giugno 1924 n. 1054 sono derogati, per quanto riguarda le amministraI 
~ 

zioni statali, dal combinato disposto della legge 25 marzo 1958 n. 260 e dall'art. 10, 
terzo comma, legge 3 aprile 1979 n. 103, dovendosi gli atti introduttivi dei 
giudizi contro amministrazioni statali notificare presso l'Avvocatura dello @ 
Stato in persona del Ministro competente. 


Peraltro, la giudsprudenza del Consiglio di Stato aveva oscillato circa 
l'applicabilit� del principio in esame al gilllidizio amministrativo, affermando 
che, in tale ipotesi, il ricorso giurisdizionale andava notificato all'amministra


II

zione statale in persona dell'autorit� che aveva emanato il provvedimento 
im:pugnato e nella sua sede istituzionale. 


I 
~ 
@

In questo senso si era in precedenza espressa l'Adunanza Plenaria nella ~ 
decisione in data 15 gennaio 1960 n. l, in Cons. Stato 1960, 3� e ss.. Pi� di 
recente, cfr. due sentenze della VI sez. del 2 maggio 1983 n. 305 (in Cons. Stato 
1983, I, 501) e del 16 luglio 1983 n. 595 (in Cons. Stato 1983, I, 815). La base 
normativa cui si era richiamata la suindicata giurisprudenza era rappresentata 
dalle norme specifiche sul processo amministrativo -art. 36, secondo 
comma, R.D. 26 giugno 1924 n. 1054; art. 21, primo comma, legge 6 dicembre 
1971 n. 1034 -che, secondo la precedente interpretazione del Consiglio 
di Stato, non sarebbero state derogate dal tenore generale dell'art. 1 della 
legge 25 marzo 1958 n. 260. 


Per la dottrina in materia, favorevole all'orientamento girurisprudenziale 
di cui all'Adunanza Plenaria del 1%0 cit., si veda NIGRO, L'infelice � resurre 
zione � per i giudizi amministrativi della legge 25 marzo 1958, n. 260, in Cons. 
Stato 1979, II, 1091; SANTORO, L'Avvocatura dello Stato dopo la legge 3 aprile 
1979, n. 103, T.A.R. 1981, II, 303. 


L'art. 10, terzo comma, legige 3 aprile 1979 n. 103 (contenente modifiche 
all'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato) ha precisato, in via di interpretazione 
autentica, ohe l'art. 1 legge 25 marzo 1958; n. 260 �si applica anche 




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 301 

� illegittimo, in relazione all'art. 81 cod. strad., il provvedimento prefettizio 
di revoca della patente di guida adottato nei confronti di un saltuario 
fumatore di marijuana, qualora dall'esame condotto dall'istituto 
di medicina legale non emergano elementi obiettivi che permettano di 
diagnosticare la tossicodipendenza (3). 

Fatto. -In esito a rapporto giudiziario del comandante della stazione 
dei carabinieri di Battaglia Terme del 23 novembre 1981 a carico di Magna� 
bosco Floriano per detenzione di sostanze stupefacenti (due grammi circa 
di marijuana), veniva iniziato, tra l'altro, un procedimento di revisione 
della patente di cui il predetto era in possesso. 

In quest'ambito la commissione medica provinciale di Padova, visto 
che, come da accertamento dell'Istituto di medicina legale di Padova, il 
Magnabosco si era dichiarato saltuario fumatore �di marjuana, in data 9 
marzo 1982 lo dichiarava non idoneo alla guida. 

Con ricorso al T.A.R. del Veneto notificato il 29 aprile 1982 ai ministri 
dei trasporti e della sanit� presso l'avvocatura distrettuale dello Stato di 
Venezia e all'Usl n. 21 del Veneto Magnabosco Floriano impugnava tale 
giudizio, nonch� il provvedimento di revoca della patente, non notificato, e, 
occorrendo, gli art. 470 e 77 d.p.r. 30 giugno 1959 n. 420. (omissis) 

Si costituivano in giudizio i ministeri dei trasporti e della sanit� con 
generica memoria di resistenza del 25 maggio 1982. 

Con successiva memoria del 29 settembre 1982 eccepivano, tra l'altro, 
il loro difetto di legittimazione passiva e la mancata evocazione in giudizio 
del prefetto. 

Intanto, con un secondo ricorso al T.A.R. del Veneto notificato il 15 settembre 
1982 al Ministero dei trasporti, il Magnabosco impugnava il decreto 
del prefetto di Padova del 25 marzo 1982, notificatogli il 3 settembre pre


nei giudizi dinanzi al Consiglio di Stato e ai T.A.R. �. Tale interpretazione ha 
per� suscitato diverse critiche. 

Da pi� parti si riteneva, argomentando dal fatto che la legge 103/1979 si 
oocupa dell'assistenza dell'Avvocatura dello Stato alle Regioni, che esclusivamente 
a queste ultime dovrebbe essere esteso il regime relativo alla notificazione 
degli atti introduttivi dei giudizi amministrativi stabilito dall'art. 10. In 
questo senso cfr. ANDRIOLI, Regioni e Avvocatura dello Stato nella recente legislazione, 
Foro it., 1981, I, 2993'; DE SIMONE, La notificazione dei ricorsi alle pubbliche 
amministrazioni nel processo amministrativo dopo la legge 3 aprile 1979, 

n. 103, Milano 1981. 
La so'luzione indicata neLla sentenza in esame era stata, peraltro, gi� sostenuta 
da SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli 1989, 1432 e ss., 
� sull'incontestabile tenore generale del testo dell'art. 10, terzo comma( e sulla 

illogicit�, inspiegabilit� e incongruit� di una interpretazione restrittiva della suddetta 
norma, che deporrebbe -oltretutto -per Ja sua inutilit��, risultando la 
materia delle notifiche alle Regioni gi� ricompresa nel Zo comma deU'art. 10. 

(3) Sull'argomento, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 maggio 1984 n. 420, in 
Cons. Stato 1984, 53'4 riguardante il controllo di legittimit� da parte del giudice 
amministrativo sui provvedimenti prefettizi di revoca della patente. 
10 



302 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

cedente, di revoca della patente di guida, riproponendo la censura gi� formulata 
con il primo ricorso. 

Il Ministero dei trasporti prima si costituiva in giudizio con generica 
memoria di resistenza del 18 ottobre 1982 e poi, con successiva memoria 
del 15 dicembre 1982, si riportava alle deduzioni di merito svolte 

nel precedente ricorso, richiedendone il rigetto. 
Il T.A.R. adito con sentenza 2 marzo 1983, n. 159 disponeva la riunione 
dei ricorsi ed ordinava incombenti istruttori. 

Con sentenza 26 novembre 1984, n. 592 definiva il giudizio dichiarando 
i ricorsi inammissibili: 1) per difetto di legittimazione passiva dei ministri 
dei trasporti e della sanit�; 2) perch� il giudizio della commissione era atto 
meramente preparatorio e contenente un accertamento tecnico incensurabile 
in sede di legittimit�; 3) perch� il secondo ricorso non era stato 
notificato al prefetto; 4) perch� nonostante l'impugnazione di norme di un 
regolamento governativo, i ricorsi non erano stati notificati alla presidenza 
del consiglio dei ministri. (omissis) 

Diritto. -Occorre preliminarmente esaminare il primo profilo della 
censura, con il quale l'appellante lamenta la declaratoria d'inammissibilit� 
del ricorso di primo grado pronunciata nonostante il giudicato implicito 
sulla regolarit� dei presupposti processuali conseguente alla sentenza inJ 


r,

0

terlocutoria 2 marzo 1983, n. 159. 

If: 

Il rilievo � infondato. Le sentenze interlocutorie concludono una fase 
nei processi destinati ad essere proseguiti e pronunciano in ordine ad uno 

o pi� punti della causa, attinenti al rito o al m�rito. ~ 
Nel primo caso hanno o carattere preparatorio (quelle che ordinano 
la riunione di pi� cause o l'integrazione del contraddittorio) o carattere 

I 
istruttorio (quelle che dispongono e regolano mezzi istruttori) o carattere 
preliminare (quelle che risolvono questioni pregiudiziali o preliminari, 

I 

pronunciando su: giurisdizione, comp.etenza, ammissibilit�, ricevibilit�, pro


~ 

cedibilit� degli atti delle parti). 
Nel secondo caso decidono definitivamente su una parte soltanto del 
merito (sentenze parziali). 
Soltanto le sentenze che definiscono questioni preliminari e quelle par


I!

ziali hanno carattere decisorio e possono produrre la cosa giudicata, ! 

anche per quanto attiene al giudicato implicito, mentre gli altri provve


I

dimenti che, pur rivestendo la forma di sentenza, sono emanati a fini 

I 

ordinatori del processo o a fini istruttori non hanno carattere decisorio 
e non sono, quindi, suscettibili di passare in giudicato n� di determinare il I 

I

giudicato implicito. 

i 

Segue, nell'ordine delle questioni, il terzo profilo della censura, con il 

!

quale l'appellante, censurando la sentenza di primo grado, deduce di aver 

! 

ritualmente notificato il ricorso di primo grado, diretto contro un provve


i 

dimento prefettizio di revoca della patente, al ministro dei trasporti. 

! 

, I 

~a:;



PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

�In relazione a tale questione la sezione remittente ha devoluto la cogni, 
zione del ricorso all'adunanza plenaria, apparendo dubbio se il rinvio del� 
l'art. 10 legge 3 aprile 1979 n. 103 all'art. 1 legge 25 marzo 1958 n. 260 
concerna soltanto la regola della notificazione del ricorso presso l'avvocatura 
dello Stato o anche quella della notificazione in persona del ministro 
competente. 

Al riguardo si osserva che l'art. l legge 25 marzo 1958 n . .260, recante: 
� modificazioni alle norme sulla rappresentanza in giudizio dello Stato �, 
aveva sostituito l'art. 11, 1� comma, t.u. 30 ottobre 1933 n. 1611 stabilendo 
che gli atti introduttivi dei giudizi � devono essere notificati alle _ammini� 
strazioni dello Stato presso l'ufficio dell'avvocatura dello Stato nel cui 
distretto ha sede l'autorit� giudiziaria innanzi alla quale � portata la causa, 
nella persona del ministro competente �. 

Correlativamente, l'art. 4 stessa legge cos� aveva disciplinato la patologia 
processuale dell'evocazione in giudizio dello Stato: �L'errore di 
identificazione della persona alla quale l'atto introduttivo del giudizio ed 
ogni altro atto doveva essere notificato, deve essere eccepito dall'Avvocatura 
dello Stato nella prima udienza, con la contemporanea indicazione 
della persona alla quale l'atto doveva essere notificato. 

Tale indicazione non � pi� eccepibile; 

Il giudice prescrive un termine entro il quale l'atto deve essere rinnovato. 
L'eccezione rimette in termini la parte�. 
Quanto al luogo delle notificazioni, l'art. 11, 3� comma, t.u. 30 ottobre 

1933 n. 1611 disponeva invece: �Le notificazioni di cui ai commi precedenti 
devono essere fatte prsso la competente Avvocatura dello Stato 
a pena di nullit� da pronunciarsi anche d'ufficio�, 

In ordine al peculiare regime della legge 25 marzo 1958 n. 260, la 
cui perdurante vigenza veniva ribadita, anche in costanza di ordinamento 
della dirigenza, dall'art. 2, 2� comma, d.P.R. 30 giugno 1972 n. 748, la 
giurisprudenza della Cassazione, in ambito civile, ne affermava la maggiore 
latitudine, sul rilievo del carattere unitario ed inscindibile della 
personalit� dello Stato: � Nell'ipotesi di procedimenti promossi dai privati 
l'inadempimento dell'onere di individuare l'amministrazione competente 
comporta, al pari dell'errore nell'indicazione dell'organo com 
petente a rappresentarla in giudizio, non la nullit� del processo ma una 
semplice irregolarit� eccepibile soltanto dall'amministrazione convenuta 
alla prima udienza e sempre sanabile � (Cass 19 settembre 1970, n. 1594, 
Cass. 21 novembre 1983, n. 6939, in fattispecie di erronea evocazione in giudizio, 
in controversia relativa a bene appartenente al demanio marittimo, 
del ministro della marina mercantile anzich� del ministro delle finanze). 

Sul versante della giustizia amministrativa, questa Adunanza Plena


ria, con decisione 15 gennaio 1960,, n. 1 affermava il principio di diritto se


condo il quale 11nche dopo la promulgazione della legge 25 marzo 1958 


304 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

n. 260 era valido e regolare il ricorso giurisdizione amministrativo notificato 
direttamente all'autorit� emanante a norma dell'art. 36, 2� comma, 
t.u. 
26 giugno 1924 n. 1054. 
La giurisprudenza successiva sarebbe stata in senso conforme. 
Intervenuta la legge 3 aprile 1979 n. 103, recante modifiche dell'ordinamento 
dell'Avvocatura dello Stato, l'art. 10, ,3� comma, disponeva: 
�l'art. 1 legge 25 marzo 1958 n. 260 si applica anche nei giudizi dinanzi 
al Consiglio di Stato ed ai T.A.R. �. 

Dell'interpretazione di tale disposizione si controverte. 

Ora, � stato avanzato il dubbio, in dottrina, che la disposizione in 
esame, come le altre dell'art. 10 si riferisca alle amministrazioni regionali. 


Il dubbio, pur apparendo non manifestamente infondato, non resiste 
ad una pi� approfondita disamina. 

Infatti, a parte il fatto che l'argomento topografico appare scarsamente 
persuasivo, avuto anche riguardo alla tardiva introduzione della disposizione 
in esame, non contenuta nel progetto di legge originario, 
nel procedimento legislativo di che trattasi, appare assorbente il rilievo 
che per le amministrazioni regionali il richiamo al t.u. 30 ottobre 1933 n. 
1611 e successive modificazioni sull'Avvocatura dello Stato � contenuto 
gi� nel 2� comma, sicch� la disposizione del 3� comma, se intesa in 
senso restrittivo come riferita alle sole amministrazioni regionali, sarebbe 
inutile. 

Per contro, la formulazione letterale in termini generali, il fatto di 
succedere a disposizione continente relativa alle amministrazioni regionali 
e il fatto di intervenire a guisa di interpretazione autentica, 
dopo quasi un ventennio di consolidata giurisprudenza che aveva sostanzialmente 
dichiarato l'estraneit� al processo amministrativo della Legge 
260/58, rendono persuasi che la disposizione si riferisce alle amministrazioni 
statali. 

L'ordinanza di rimessione considera dubbia, piuttosto, la questione se 
il rinvio normativo concerna il solo precetto dell'Avvocatura dello Stato 
domiciliataria o anche quello della notificazione in persona del ministro 
competente. 

Al riguardo va osservato che le due regole sono contenute in una 
unica proposizione normativa, la disposizione dell'art. 1 legge 260/58. 

Gi� la decisione n. 1 del 1960, sopra ricordata, aveva disatteso analoga 
prospettazione dell'Avvocatura dello Stato, osservando: � ... questi due 
precetti ... sono contenuti ... in un unico contesto, cos� che non � possibile 
dissociarne l'applicazione �. 

In effetti, applicando il noto brocardo: ubi lex non distinguit, nec 
nos distinguere debemus, non � dato comprendere come possa distinguersi 
l'efficacia dei due precetti, avuto anche riguardo al fatto che oggetto 
del rinvio dell'art. 10 legge 103/79 � l'intero art. 1 legge 260/58. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

N�, di fronte ad una volont� di legge che appare chiaramente diretta a 
modificare l'orientamento giurisprudenziale precedente, vale l'argomento 
delle difficolt� che il ricorrente potrebbe incontrare in singoli casi 
(organi funzionalmente collegati a pi� ministeri, organi collegiali) nell'individuare 
il ministro competente. 

Ed invero, a parte il fatto che la legge, nel dare una soluzione uniforme 
al problema del destinatario delle notificazioni per gli atti introduttivi 
dei giudizi di ogni natura contro le amministrazioni statali, 
sembra essersi comunque ispirata ad un criterio di semplificazione, � 
da osservare che, secondo antico principio, adducere inconvenientes non 
est solvere quaestionem. 

Inoltre, non par dubbio che il rinvio normativo dell'art. 10 legge 
103/79 sia formulato all'art. 1 legge n. 260 del 1958 in quanto su questa 
disposizione si era formato l'orientamento giurisprudenziale che la legge 
intendeva mutare, ma che esso debba intendersi esteso all'intera legge 
ed in particolare all'art. 4 che coerentemente trasforma il regime degli 
errori nell'identificazione della persona alla quale l'atto di parte doveva 
essere notificato da quello della nullit� e, quindi, dell'inammissibilit� a 
quello dell'irregolarit�, eccepibile solo nella prima udienza e produttivo del 
solo effetto della rinnovazione dell'atto, senza alcuna decadenza. 

Infine, va affermato, in conformit� alla giurisprudenza sopra ricordata, 
che il regime dell'irregolarit� si applica non soltanto in caso di errore 
nell'individuazione dell'organo competente alla rappresentanza in 
giudizio, ma anche in caso di inadempimento. dell'onere di individuazione 
dell'amministrazione competente. 

Da ci� si evince che il problema dell'individuazione del ministro 
competente e della connessa eventualit� di errori si svuota di contenuto, 
in quanto la conseguenza � comunque la mera irregolarit�, improduttiva 
di effetti irrimediabilmente preclusi. 

Si deve quindi affermare che gli art. 21, 1� comma, legge 6 dicem 
bre 1971 n. 1034 e 36, 2� comma, t.u. 26 giugno 1924 n. 1054 sono derogati, 
per quanto riguarda le amministrazioni statali, dal combinato disposto 
della legge 25 marzo 1958 n. 260 e dell'art. 10, 3� comma, legge 3 aprile 1979 

n. 103, dovendosi gli atti introduttivi dei giudizi contro amministrazioni 
statali notificare presso l'Avvocatura dello Stato in persona del ministro 
competente. 
La regola generale della notificazione all'autorit� emanante nella 
sede reale vale per tutti gli altri casi (cfr. anche il recente art. 23 
legge 24 novembre 1981 n. 689 in tema di opposizione dinanzi all'autorit� 
giudiziaria ordinaria contro ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione 
pecuniaria amministrativa). 

Nella specie, il ricorrente aveva notificato i ricorsi presso la competente 
Avvocatura distrettuale dello Stato in persona del Ministro dei 
trasporti. 


RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Ora, come evidenziato anche nell'ordinanza di rimessione, il prefetto 
si trova in posizione di dipendenza funzionale non soltanto dal Ministro 
dell'interno (nella cui amministrazione � incardinato) ma anche dagli 
altri ministri nell'ambito delle cui sfere di attribuzioni si svolge la sua 
azione (art. 1 reg. com. e prov., r.d. 12 febbraio 1911 n. 297). 

Nella specie, non par dubbio che il potere prefettizio di revoca delle 
patenti si svolga nella sfera delle attribuzioni del Ministero dei trasporti, 
al quale � ammesso il relativo ricorso amministrativo (art. 91, ultimo 
comma, d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393). 

Lo stesso � a dire per le commissioni mediche provinciali che esprimono, 
in materia, giudizi di idoneit�. 

Bene, quindi, il ricorrente in primo �grado aveva notificato i ricor.
si, presso la competente Avvocatura distrettuale dello Stato, in persona 
del Ministro dei trasporti; sicch� la relativa eccezione, che comunque 
non avrebbe potuto determinare la dichiarazione d'inammissibilit�, do.
veva essere disattesa dal T.A.R. Le altre questioni sollevate nell'ordinanza 
di rimessione restano assorbite. 

In accoglimento della censura dell'appellante, quindi, i ricorsi di 
primo grado vanno dichiarati ammissibili (anche in relazione al giudizio 
medico-legale che � impugnato unitamente al provvedimento prefettizio 
gi� emanato) ed esaminati nel merito: 

Nel merito, i ricorsi sono fondati. 

L'art. 81 cod. strad. prevede che non possa essere ammesso all'esame 
per ottenere la patente di guida chi sia affetto da malattia fi. 
sica o psichica, deficienza organica o minorazione anatomica o funzionale 
che impedisca di condurre con sicurezza autoveicoli e motoveicoli. 

L'art. 470 reg. cod. strad. (nel testo allora vigente) prescriveva il 
requisito generale di essere esenti da malattie fisiche e psichiche che 
potessero comunque pregiudicare � la sicurezza della guida e, in particolare, 
escludeva dal conseguimento della patente coloro che risultassero 
dediti all'uso di bevande alcooliche o di altre sostanze inebrianti 

o stupefacenti. 
Il giudizio medico-legale e il provvedimento prefettizio impugnati 
hanno attribuito valore risolutivo alla parte anamnestica dell'accertamento 
dell'istituto di medicina legale in cui si dava atto che l'esaminato 
riferiva di essere saltuario fumatore di marijuana e non anche all'esame 
obiettivo che concludeva per l'assenza di elementi obiettivi per 
una diagnosi di tossicodipendenza. 

Mancavano, quindi, i presupposti per l'accertamento di un effettivo 
stato di dipendenza da sostanze stupefacenti, cio� di una vera e propria 
malattia di un particolare tipo, dalla quale soltanto pu� discendere, 
secondo la norma citata un pericolo per la sicurezza della guida. 

I provvedimenti impugnati vanno, pertanto, annullati. Ogni altra 
questione resta assorbita. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

307 

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI, 11 giugno 1990, n. 586 -Pres. Salvatore P. 
Est. Salvo -C.I.S.N.A.L. (avv. Moricca) c. U.P.L.M.O. di Pescara (Avv. 
Stato Polizzi) (annulla T.A.R. L'Aquila, 7 maggio 1984, n. 233). 

Associazioni e fondazioni -Associazioni sindacali � Associazioni maggior� 
mente rappresentative � Criteri � Rappresentanza in organi collegiali � 
Accordo Confederale � Rilevanza � Limiti. 

Ciascuna organizzazione sindacale pu� designare esclusivamente 
rappresentanti che interessano le categorie dalla medesima impersonate 
e pertanto costituisce falsa rappresentazione dell� realt� e violazione 
del pubblico interesse sotto il profilo .della violazione del criterio di rappresentativit� 
sopraindicato l'accordo fra alcune organizzazioni sindacali, 
anche separate e distinte in linea giuridica 'e di fatto; ne consegue 
la illegittimit� del criterio seguito dal Direttore .dell'Ufficio provinciale 
�del lavoro e della massima occupazione di Pescara che, ai fini della 
scelta dei cinque rappresentanti dei lavoratori a domicilio in seno alla 
Commissione di controllo istituita con l'art. 5legge18 dicembre 1973 n. 877 
ha ritenuto rilevante anche la rappresentativit� ,della Federazione costi� 
tuita da C.G.l.L., C.I.S.L. e U.I.L. (1). 

(1) La decisione fa puntuale applicazione di un principio gi� affermato in 
altra sentenza della stessa Sez. VI (n. 510 del 21 giugno 1983, in Il Consiglio di 
Stato, 1983, I, 785), pronunciata in tema di nomina nei Consigli scolastici provinciali 
dei rappresentanti dei lavoratori autonomi .residenti nel distretto, designati 
dalle Organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. 
Nell'occasione la Sezione ebbe a chiarire esplicitamente che ciascuna organizzazione 
sindacale pu� designare solo i rappresentanti che interessano le categorie 
da essa impersonate perch� diversamente opinapido, � ��.l'associazione 
sindacale pi� forte sul piano nazionale potrebbe praticamente avere il monopolio 
delle designazioni, solo che si accordasse con le associazioni minori e meno 
rappresentative per presentare liste congiunte�. 

R.T. 
CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 26 giugno 1990 n. 663 -Pres. Imperatrice 
� Rel. Zucchelli � Ministero Trasporti (avv. Stato Stipo) c. La 
Ferroviaria Italiana S.p.A. (avv. Sambiagio) e Provincia di Arezzo 
(avv. Predieri). 

Trasporti pubblici � Ferrovie concesse all'industria privata � Scadenza 
della concessione � Istanza di proroga da parte del concessionario � 
Gestione diretta da parte dello Stato � Obbligo di motivazione. 

La scadenza del termine della concessione di esercizio di una ferrovia 
non comporta un diritto del concessionario all'automatico rinnovo 

o alla proroga; tuttavia l'assunzione diretta della gestione da parte del

308 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

lo Stato richiede una approfondita motivazione in ordine alla sussistenza 
del presupposto sulla impossibilit� di tempestiva rinnovazione della 
concessione scaduta in presenza della disponibilit� del concessionario alla 
continuazione del servizio manifestata attraverso istanza di proroga (1). 

(omissis) 3. -Il terzo motivo di appello � infondato prima in fatto 
che in diritto. 

L'istanza di proroga della concessione venne presentata con largo 
anticipo rispetto alla scadenza (quasi un anno prima), mentre solo 
l'inerzia del Ministero ha protratto l'istruttoria fino al termine di scadenza. 
Per qualificare il tipo di procedura occorre quindi riferirsi al� 
l'istanza del privato ed ai tempi di presentazione e non certo al momento 
in cui la Pubblica Amministrazione per motivi per altro non manifesti, 
decide di completarne l'istruttoria. Pertanto � priva di riscontro 
con la realt� l'affermazione che nel caso si tratterebbe di rinnovo di 
concessione e non di proroga, essendo soltanto vero che l'inerzia del 
Ministero ha condotto l'istruttoria oltre il termine di scadenza senza 
colpa veruna del richiedente. Se la tesi prospettata dall'Amministrazione 
fosse fondata, basterebbe alla Pubblica Amministrazione ritardare le 
istruttorie per considerare tutte le istanze di proroga nuove domande 
di concessione, con effetti chiaramente distorti rispetto alla correttezza 

i ! 
I 

dell'azione amministrativa. 
Trattandosi pertanto di procedura diretta alla proroga della concessione, 
l'onere di motivazione del provvedimento negativo avrebbe do


9 

vuto essere ben pi� approfonditamente soddisfatto. 

I

(1) La concessione di servizi ferroviari � regolata dal T. U. 19 maggio 1912 
n. 1447 e successive modificazioni e integrazioni. I 
I rapporti tra Amministrazione concedente e concessionario si atteggiano 
diversamente nel periodo di esel'Cizio della concessione ed una volta ohe questa 

I 

� venuta a cessare. 
Durante il periodo della concessione l'Amministrazione pu� intervenire a 

I

tutela del regolare esercizio del servizio ferroviario attraverso una duplice possibilit�: 
a) istituire la gestione governativa a srpese e rischio del concessionario 
fino a quando le condizioni per la riconsegna della linea al concessionario stes


I

so siano tali da assicurare la regolarit� e continuit� del servizio; 

b) pervenire alla revoca della concessione attraverso un provvedimento 
dichiarativo della decadenza e contestuale istituz1one della gestione governativa. 
I poteri della Amministrazione in pendenza della concessione hanno formato 
oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 1982 

n. 70, richiamata in motivazione. 
Ora, i principi esposti in detta decisione non possono valere nella diversa 
ipotesi in cui la durata della concessione si � esaurita per essere venuto a 
scadenza il termine previsto nell'atto concessorio e quindi essendo cessato il 
vincolo che lega l'Amministrazione al concessionario. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 309 

Non � da accogliere la tesi prospettata dal Ministero appellante, 
secondo cui la discrezionalit� della Pubblica Amministrazione nel deliberare 
la proroga sarebbe cos� ampia da non subire limitazioni di sorta 
e da sfuggire, in pratica, a qualsiasi sindacato di legittimit�. � agevole 
osservare che anche ove la c.d. discrezionalit� amministrativa sia amplissima, 
essa deve pur sempre sottostare a limiti interni costituiti dalla 
logica, dalla razionalit� e comunque deve sempre essere assistita dalla 
esposizione delle ragioni poste a base della scelta circa il modo di esercizio 
di essa: ci� che prospetta il Ministero appellante � in sostanza 
una libert� totale della Pubblica Amministrazione prossima all'arbitrio. 

L'affermazione comunque, non � neppure fondata nei suoi postulati 
di base. L'art. 16 del r.d.I. 19 ottobre 1923, n. 2311, stabilisce il potere 
di prorogare, per un massimo di dieci anni, le �oncessioni ogni qual 
volta ci� si renda necessario per assicurare la continuit� dell'esercizio. 
Dalla disposizione discende in maniera inequivoca l'obbligo per la Pubblica 
Amministrazione, procedente di dare conto in motivazione della 
necessit� di assicurare la continuit� dell'esercizio, onde giustificare la 
utilizzazione di un potere che la legge stessa le attribuisce. 

Dal fondamento della norma si comprende per altro che l'obiettivo 
primario d'essa � l'assicurazione del servizio ferroviario, in funzione 
del quale l'esercizio del potere deve congruamente essere motivato. 

Se ci� � vero per il caso di riconoscimento della proroga non � 
men vero per il caso di diniego, poich� non vi � dubbio che, dovendosi 

Venuto a scadere il termine previsto per la concessione, occorre fare riferimento 
alle seguenti norme giuridiche: 

-art. 186 T. U. 9 maggio 1912 n. 1447, secondo oui alla scadenza del tempo 
della concessione, e per il solo fatto della scadenza, lo Stato sottentra in tutti 
i rapporti giuridici del concessionario; 

-art. 16 r.d.l. 19 ottobre 1923 n. 2311 (modificativo dell'art. 196 T. U. 

n. 1447 citato), che accorda all'Amministrazione il potere discrezionale di concedere 
� proroghe delle scadenze delle concessioni delle ferrovie e delle tramvie 
a trazione meccanica per un periodo che non potr� mai eccedere i dieci anni�, 
e ci� �ogni qualvolta si renda necessario per assicurare la continuit� dell'esercizio
�; 
-art. 18 legge 2 agosto 1952 n. 1221, secondo cui � nel caso di normale 
scadenza di una concessione, senza che ne sia stata resa possibile la tempestiva 
rinnovazione, durante il periodo intercedente tra la cessazione della precedente 
concessione e l'assunzione dell'esercizio da parte del nuovo concessionario, 
il Ministero dei trasporti � autorizzato a gestire direttamente il pubblico 
servizio �. 

Ora, la sentenza in rassegna ha omesso completamente l'esame del soprarichiamato 
art. 186 T. U. 9 maggio 1912 n. 1447; inoltre � andata in contrario 
avviso a quanto aveva affermato la sez. IV dello stesso Consiglio di Stato 
(7 settembre 198,8 n. 73,3, in questa Rassegna 1988, I, 121), dove, in caso di 
concessione scaduta (in quella fattispecie trattavasi di concessione di beni 
ma i prinicipi espressi sono validi per ogni tipo di concessione) cos� aveva 



310 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

comunque assicurare il servizio ferroviario, esso pu� avere solo due 
significati: o la dismissione della linea ferroviaria (e quindi la negazione 
del servizio) e l'assunzione da parte di altro soggetto. 

Nell'uno e nell'altro caso non potr� negarsi la necessit� di una ampia 
motivazione: per il primo, in quanto il servizio contrariamente agli 
scopi della legge vien meno; nel secondo in quanto il concessionario, per 
definizione, � colui che pu� assicurare al momento la continuazione del 
servizio senza soluzione di continuit�, s� che il passaggio ad altro soggetto, 
con gli inevitabili potenziali contraccolpi sul servizio stesso, dovr� 
pur essere giustificato dalla amministrazione. A ci� si aggiunge 
che secondo i principi in tema di concessioni, e particolarmente di quelle 
che richiedono grande impegno di capitali fissi, a parit� di condizioni 
il concessionario in scadenza gode di una preferenza rispetto ad altri 
richiedenti. 

A maggior ragione nel caso di specie la motivazione del diniego avrebbe 
dovuto essere pi� pregnante, in quanto non solo il concessionario 
aveva previamente manifestato la richiesta di proroga, ma per di pi� 
non sussistevano istanze di altri soggetti per assumere la concessione. 
Quanto si � or ora accennato conduce a ritenere infondati altres� i 
motivi quinto e sesto. Infatti alla scadenza della concessione non sussiste 
certamente un diritto del concessionario all'automatico rinnovo o 
alla proroga, ma un onere di puntuale motivazione a carico della Pubblica 
Amministrazione. N� pu� ravvisarsi la necessit�, nella specie, di 
una previa messa in mora della Pubblica Amministrazione onde for


puntualmente osservato: �Se si trattasse di revoca di una concessione in atto, 
si potrebbe anche parlare di un sindacato sulla sufficienza e congruit� della 
motivazione; si potrebbe porre il problema di eventuali travisamenti di fatto, 
di una ipotetica disparit� di trattamento, di una mancata comparazione fra 
l'interesse pubblico e l'affidamento del privato e via dicendo. Ma la realt�, che 
il ricorrente non dovrebbe fingere di ignorare, � che il rapporto di concessione 
era scaduto alla data prevista nella convenzione�. 

La sentenza in rassegna quindi mwtua i prinicipi esposti dalla stessa Sezione 
nella richiamata decisione n. 70 del 1982, come se si trattasse di concessione 
tuttora in corso. 

� evidente come, in pendenza della concessione, la nomina di un commissario 
ha carattere eccezionale e deve essere motivata, ma, venuta a scadere 
la concessione, vige la regola che lo Stato sottentra in tutti i rapporti del concessionario 
(art. 186 T. U. n. 1447 cit.) e solo eccezionalmente pu� procedere alla 
proroga. 

L'ipotesi eccezionale � quella prevista dall'art. 16 rJC.i.1. 19 ottobre 1923 

n. 2311 sopra richiamato, consistente nella necessit� di �assicurare la continuit� 
dell'esercimo �, quando altrin1enti non sarebbe possibile; se tale possibilit� 
dall'Amministrazione � stata ravvisata attraverso la gestione diretta del 
servizio, viene a mancare la ragione per oud � si renda necessario � pervenire 
alla proroga �per assicurare la continuit� dell'esercizio�. 

PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

malizzare l'obbligo di provvedere sulla istanza di proroga. In effetti 
l'obbligo di provvedere proviene non tanto dalla istanza del privato, 
quanto dalla legge stessa, poich� alla scadenza della concessione a 
norma del citato art. 16 la Pubblica Amministrazione dovr� assicurare 
la continuazione del servizio, accogliendo l'istanza di proroga o rigettandola 
nei modi gi� sopra indicati. 

4. -Cos� impostata la questione il problema si sposta sui modi di 
assicurazione del servizio, fermo restando che non � accettabile un principio 
di incensurabilit� assoluta delle scelte della Pubblica Amministrazione. 
Viene cio� in questione la legittimit� del secondo D.M. (nomina 
del commissario e assunzione diretta). 
Sotto questo profilo appare infondato l'ott�vo motivo di appello. 

Si conviene con l'appellante sul fatto che allo scadere della concessione 
non si verifica di diritto il rinnovo o la proroga di essa, ma 
non appare necessitata nello stesso caso la continuit� dell'esercizio mediante 
la nomina di un commissario governativo ed inevitabile la gestione 
diretta da parte dello Stato. 

Quanto alla nomina del commissario straordinario non pu� farsi 
a meno di riconoscere che l'uso di tale strumento � riservato al sod� 
disfacimento di esigenze pubbliche ben diverse. 

Secondo le pronuncie del Consiglio di Stato (Vedi VI Sez., 9 febbraio 
1982, n. 70) la nomina del commissario straordinario � un tipico 
atto di autotutela esecutiva, appartenente alla categoria delle misure direttamente 
ripristinatorie, la cui funzione si esaurisce nell'eliminare la 
situazione di danno o di pericolo per l'interesse pubblico presidiato dalle 
norme attributive del relativo potere all'autorit� amministrativa. Pertanto 
condizione per l'esercizio di tale potere � che effettivamente un 
danno o un imminente pericolo di lesione si sia determinato per il pubblico 
interesse. Nella specie, pertanto, per la nomina del commissario 
sarebbe stata necessaria l'esistenza di un pericolo di futura ed altamente 
probabile interruzione del servizio; la situazione invece non presentava 
tali presupposti e l'assenza anzi di una qualsiasi contestazione circa 
l'operato pregresso della concessionaria e la sua disponibilit� alla continuazione 
del servizio manifestata mediante l'istanza di proroga, escludevano 
proprio quel periodo di interruzione, che solo avrebbe giustificato 
la nomina del Commissario. 

L'assunzione della gestione diretta da parte dello Stato, necessitava 
pertanto, quanto meno, di una approfondita motivazione in ordine alla 
sussistenza del presupposto sulla impossibilit� di tempestiva rinnovazione 
della concessione scaduta in presenza di tale disponibilit� cosicch� 
non � dato verificare la piena osservanza dell'art. 18 della legge 2 agosto 
1952, n. 1221, che lo prevede e consente. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

312 

5. -Quanto al decimo motivo non ha fondamento la doglianza secondo 
cui il Tribunale avrebbe invaso considerazioni di merito in ordine 
alla convenienza della durata della gestione governativa. In realt� 
il Tribunale ha osservato che appariva contraddittoria l'affermazione 
della Pubblica Amministrazione secondo cui la proroga decennale si 
poneva in contrasto con l'erogazione di finanziamenti a norma dell'art. 2 
della legge 9 ottobre 1985, n. 910, quando la stessa gestione per legge, 
non pu� superare la durata di tre anni: ed in effetti la contraddizione 
non pu� negarsi. (omissis) 

SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 ottobre 1989, n. 4318 -Pres. Falcone Est. 
Lipari -P.M. Iannelli (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Laporta) c. Chiliberti (avv. Pascasio). 

Tributi erariali diretti -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Rimborsi 
-Indennit� di buonuscita ENPAS -Ritenuta di acconto -� 
eseguita dal sostituto di imposta -Decadenza del diritto al rimborso 
ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. � 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 37 e 38; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 23). 
Tributi erariali diretti -Restituzione e rimborsi -Caducazione della norma 
di imposizione -Azione generale di indebito -Esclusione. 

Tributi erariall diretti -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Indennit� 
di buonuscita ENPAS -Art. 5 legge 26 settembre 1985 

n. 482 -Applicabilit� alle liquidazioni successive al 1� gennaio 1980 Liquidazioni 
anteriori -Applicabilit� solo se � pendente procedimento 
proposto nel termine dell'art. 38 d.P .R. 29 settembre 1973, n. 602. 
(I. 26 settembre 1985 n. 482, artt. 4 e 5; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38). 
Tributi erariali diretti -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Interessi 
-Rimborso indennit� di buonuscita ENPAS -Decorrenza. 
(art. 7 legge 26 settembre 1985 n. 482, art. 7; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 44; e.e. 

art. 2033). 

La ritenuta di acconto sull'indennit� di buonuscita corrisposta dall'ENPAS 
ai dipendenti statali � una ritenuta alla fonte eseguita dal sostituto 
di imposta e non una ritenuta diretta eseguita dall'Amministrazione 
dello Stato. Conseguentemente ai rimborsi del versamento diretto 
della ritenuta si applica l'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 con 
il relativo termine di decadenza di diciotto mesi e non l'art. 37 (1). 

La caducazione della norma di imposizione per effetto di pronunzia 
della Corte Costituzionale non apre la via ad una azione generale 
di indebito soggetta alla prescrizione ordinaria, perch� il rapporto tributario 
resta soggetto alle vicende legali di esso s� che anche l'azione 
di ripetizione resta regolata dalle norme del contenzioso tributario e 
dalle relative preclusioni (2). 

(1-4) Decisione da condividere pienamente. � incontestabile che l'ENPAS, 
soggetto che eroga un trattamento previdenziale, non � l'Amministrazione dello 
Stato che opera la ritenuta diretta (senza movimento di cassa) ma � un soggetto 
autonomo che quale sostituto di imposta esegue un materiale versamento; 



314 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DEU.O STATO 

Il nuovo regime tributario introdotto con la legge 26 settembre 1985 

n. 482 si applica, con il conseguente rimborso delle somme eccedenti 
gi� versate, a tutte le liquidazioni successive .al 1� gennaio 1980, vi sia 
stata o meno domanda rituale di rimborso; per le liquidazioni anteriori a 
tale data il nuovo regime si applica soltanto se � pendente procedimento 
di rimborso ritualmente proposto, vale a dire se era stata proposta 
domanda di rimborso ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 
nel termine di diciotto mesi dal versamento (3). 
Sulle somme rimborsate a seguito della riliquidazione dell'indennit� 
di buonuscita ENPAS sono dovuti gli interessi con decorrenza dal 1� gennaio 
1986, a norma dell'art. 7 della legge 26 settembre 1985 n. 482 (4). 

ineccepibile � quindi la conclusione che al rimborso della ritenuta ENPAS 

si applica l'art. 38 del d.P.R. 602/1973. 

La seconda massima ripete quanto recentemente affermato dalle Sez. unite 

con la sent. 9 giugno 1989, n. 2786 in questa Rassegna, 1990, I, 164. 

La terza massima fa coerente applicaziione della prima per quanto con


cerne in termini generali il procedimento di rimborso e applica la norma 

speciale per le liquidazioni successive al 1� gennaio 1980. 

Con l'ultima massima si respinge ancora una volta, ai fini della decorrenza 

degli interessi, il tentativo di qualificare il rimborso dei tribU'ti come indebito 

ordinario. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 28 novembre 1989 n. 5171 � Pres. Bologna 
-Est. Lipari -P. M. Tosatti (conf.) Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Favara) c. Fallimento UNICER S.p.A. 


Tributi erariali indiretti -Imposta di registro . Fusione di societ� � Privilegio 
sui beni della societ� fusa o incorporata � Non sussiste. 


(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634 art. 47; !. 16 dicembre 1977 n. 904, art. 7; e.e. artt. 2502 
e 2772). 
Poich� il privilegio speciale immobiliare sui tributi indiretti previsto 
dall'art. 2772 e.e. riguarda esclusivamente gli immobili cui il tributo 
si riferisce individualmente considerati, non pu� sussistere privilegio 
sul credito di imposta nascente da fusione di societ� nella quale 
oggetto del trasferimento � il patrimonio delle societ� fuse o incorporate 
considerato unitariamente, quale risulta dalla situazione patrimoniale 
di cui all'art. 2502 e.e. (1). 


I 

I f 

(1) Sulle conclusiond cui la sentenza perviene sono lecite riserve. 
� certamente da condividere la prima parte della motivazione che, nello ! 
stabilire gli effetti della fusione di societ� (sia essa fusione propria o incorporazione) 
utilizza il concetto della successione universale, bene trascurando 

I 

I 
I 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 315 

(omisiss) 1. -Si discute in causa della spettanza del privilegio 
speciale sugli immobili di cui all'art. 2772 cod. civ. in relazione ad un 
atto di fusione per incorporazione. 

La Corte del merito l'ha negato, disattendendo la tesi affermativa 
della amministrazione finanziaria che la ripropone in questa sede di legittimit�, 
assumendo che con l'atto di fusione si realizza l'attribuzione, 
o il trasferimento, del patrimonio della societ� incorporata in quello 
della societ� incorporante, anche se la base imponibile, ai fini dell'imposta 
di registro � rappresentata dalla somma del capitale e delle riserve 
della societ� incorporata, ai sensi dell'art. 47 comma 6 del d.P.R. 
26 ottobre 1972, n. 634, che regge ratione temporis la disciplina dell'atto 
di trasferimento considerato. 

Il parallelismo della vicenda svoltasi in grado d'appello con quella 
di cui � investita la Sezione, che comporta la soluzione di un problema 
di interpretazione di norme giuridiche, incontestati i presupposti di 
fatto, induce a prendere le mosse dalla motivazione della decisione impugnata 
che merita adesione, per vagliarla alla stregua delle critiche 
sviluppate dall'Avvocatura dello Stato. 

Premessa la distinzione tra � base imponibile� individuata con riferimento 
alla somma del capitale e delle riserve ed � oggetto della 
tassazione � che, riguardando il negozio di incorporazione, si riferisce necessariamente 
al patrimonio sociale che passa dalla societ� incorporata 

ai fini che qui interessano le pi� recenti impostazioni dottrinali che tendono a 
superare tale definizione ~per una ampia rassegna della dottrina cfr. da ultimo 
LUPI, Profili tributari della fusione di societ�, Padova 1989 le cui conclusioni 
non possono condividersi); non � infatti contestabile che per effetto della fusione 
si estinguono le societ� fuse o incorporate e si verifica una successione 
�in activis et in passivis �, e quindi un subingresso in tutti gli obblighi e i 
diritti, come espressamente si legge nell'att. 16 del D.P.R. 29 settembre 1973 

n. 598 e attualmente nell'art. 123 del T. U. sulle imposte sui redditi. � parimenti 
incontestabile che l'imposta di registro, dopo l'aggiustamento introdotto 
con l'art. 6 della legge 16 dicembre 1977 n. 904, riprodotto nell'art. 50 del T. U. 
vigente, si applica, con l'aliquota unificata dell'l '%, sul patrimonio (capitale e 
riserve) risultante dalla situazione patrimoniale dell'art. 2502 e.e. 
Ma questa premessa non � sufficiente per trarre, quasi come cosa evidente, 
la conseguenza che il privilegio speciale sui beni ai quali il tributo si riferisce 
(art. 2772 e.e.) non � logicamente configurabile rispetto ad un patrimonio globalmente 
trasferito nel quale i singoli beni perdono la loro individualit�. 

Se si riflette sulla evoluzione legislativa, conclusa con la legge 904/1977, 
si pu� osservare che originariamente nel trasferimnto d~ complessi organizzati 
(azienda, eredit�, quota di societ�) l'imposta veniva riferita ai beni trasferiti 
secondo la loro natura (con distinte aliquote per immobili, mobili, diritti) e 
senza tener conto delle passivit�; in base agli artt. 43 e 46 della legge del 1923 
e all'art. 81 della tariffa, si riteneva che non potesse mai darsi rilievo alla considerazione 
unitaria di una universitas composta di beni di diversa natura, e di 
rapporti giuridici attivi e passivi. Nella evoluzione successiva si � fatta strada 



316 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

a quella incorporante, attuando conseguentemente anche il � trasferi


I

mento � di tutti i beni che di quel patrimonio facevano parte, l'amministrazione 
finanziaria sostiene che ciascuno di questi beni trasferiti 
sarebbe aggredibile con privilegio speciale: ex art. 2772 comma 1 cod. 

II

.

civ. relativamente agli immobili ed ex art. 2758 comma 1 relativamente 
ai mobili (pur non venendo direttamente in considerazione tale 
ultima norma nella presente causa, essendo stata tardivamente invocata 
per la prima volta soltanto nell'atto di appello e di essa non facendosi 
comunque pi� menzione nel ricorso per cassazione in esame). 
2. La distinzione tra � base imponibile � ed � oggetto dell'imposta � 
� indubbiamente esatta: ma esatto non � che tale distinzione sia stata 
obliterata dai giudici emiliani. 
La sentenza impugnata si � preoccupata anzitutto di individuare la 
ratio legis sottesa dall'art. 7 comma 1 1. 16 dicembre 1977, n. 904. Era 
accaduto che il legislatore, nel dettare l'art. 47 della legge di registro 
all'atto della riforma tributaria del 1971-73 allo scopo di semplificare 
la stima dei valori aveva stabilito che la base imponibile ai fini del 
tributo fosse rappresentata dall'ammontare dei capitali e delle riserve; 
tuttavia, per un evidente difetto di coordinazione, nel redigere la tabella 
delle aliquote non si provvide a fissare quella unitaria che, in 

l'interpretazione che nella universitas non pu� tenersi conto del valore unitario 

netto (v. Relazione Avvocatura Stato, 19711-75, Il, 753) pur rimanendo ferma la 

distinzione delle aliquote. Con il d.P.R. n. 634/1972 � stata recepita per l'azien


da la regola della tassazione al netto (art. 44) ancora mantenendo la distinzione 

fra aliquote (art. 22). Non dissimile era la norma dell'art. 47 (che per la prima 

volta considera la fusione di societ� separatamente dal conferimento) che, pur 

facendo riferimento per la determinazione della base imponibile alla situazione 

patrimoniale dell'art. 2502 e.e., attuava la stessa regola della tassazione al netto. 

Rimaneva ancora (art. 4 lett. b della tar0iffa) la distinzione delle aliquote, cosa 

che costituiva un grave ostacolo peroh� l'unitariet� della operazione di fusione, 

che non poteva contenere indicazioni distinte di valori, portava all'applicazione 

della aliquota pi� elevata in forza dell'art. 22. Si arriva cos� alla legge n. 904 

che, anche con un chiaro intento di incentivazione della ricomposizione delle 

strutture societarie, ha unificato e alleggerito l'aliquota ed ha esteso La stessa 

regola al conferimento di aziende o co~lessi aziendali. 

L'innovazione della legge n. 904 non � allora tanto incisiva da trasformare 

radicalmente la natura stessa della imposta di registro che nel caso della fu


sione non avrebbe pi� per oggetto beni. La situazione patrimoniale contiene 

la valutazione unitaria del caipitale e delle riserve, nel senso che sono ricom


presi evidentemente anche i beni che si trasferiscono per effetto della fusione. 

La considerazione unitaria di una universitas non esclude che, ai fini del


l'art. 2772 e.e. nel suo ambito siano iIJJdivkliuati singoli beni. 

Secondo la sentenza in esame, esasperando il principio affermato, sem


brerebbe di dover trarre la conseguenza della esclusione del privilegio ogni 

volta che l'imposta ha per oggetto una pluralit� di beni e diritti di varia na



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 317 

conformit� ai criteri dettati dalla direttiva CEE 17 luglio 1969, avrebbe 
dovuto essere, per le fusioni di societ� dell'l % rapportata al valore 
netto delle societ� partecipanti alla fusione, cos� come risultante dalla 
situazione patrimoniale redatta ai sensi dell'art. 2502 cod. civ.; sicch� 
venne riprodotta, anche a proposito delle aliquote in tema di fusioni 
la disposizione dettata a proposito dei conferimenti per la costituzione, 
comportante differenziazione, secondo la natura dei beni, riducendo la 
aliquota della met�. 

La legge del 1977 n. 904 in esame ha ovviato a questa evidente discrasia. 


L'innovazione normativa indubbiamente comporta che agli effetti 
della base imponibile non viene in considerazione la consistenza dei 
beni trasferiti, mobili od immobili che siano, ragguagliata ad un val�re 
espresso dalla situazione patrimoniale; i beni vengono considerati, 
cio�, non gi� nella loro quantit�, ma forfettariamente per il valore che 
esprimono. L'oggetto del negozio � il trasferimento, ma sotto questo 
riguardo ugualmente non rileva specificamente la identit� particolare 
dei beni trasferiti poich� la successione che si attua con la fusione non 
� una successione a titolo particolare ma una successione la quale 
anche a non volerla assimilare tout-court a quelle in universum ius, si 

tura; l'impossibilit� di individuare una inerenza esclusiva del tributo al bene 
� intesa in un modo troppo assoluto, come emerge dalla considerazione che vi 
sarebbe una esorbitanza del tributo globalmente privilegiato rispetto al singolo 
bene; ritiene dunque la S. C. che il privilegio potrebbe garantire solo la quota 
percentuale di imposta riferibile ad un bene determinato e non il credito esorbitante 
riferibile ad altre entit�; cosicch� quando un tale sceveramento non sia 
possibile, debba escludersi il privilegio giacch� l'imposta si riferisce ad un insieme 
che comprenda � anche�, ma non soltanto, un bene determinato. 

Ora non pare dubbio che quando con unica pattuizione siano trasferiti diversi 
beni, anche mobili e immobili, che possono successivamente avere sorte. 
separata, ciascuno di essi sopporta il privilegio per l'intero credito di imposta 
e non soltanto per la percentuale riferibile (vale per il privilegio speciale lo 
stesso principio di indivisibilit� stabilito nell'art. 2809 e.e.); del pari incontestabile 
� che il credito per imposta di successione, che pure � riferito all'intero 
asse ereditario nel quale sono ricompresi anche crediti, danaro, gioielli ('Peraltro 
considerati non come cose ma per il loro valore presunto) e diritti in 
genere, � privilegiato sui beni caduti in successione; parimenti nel trasferimento 
di azienda rientrano valori non corporali ma ci� non esclude che il privilegio 
sia esercitabile sui beni della a2lienda. Il concetto di inerenza esclusiva su cui 
si basa la sentenza rischia di v�anificare il privilegio og�ni volta che il trasferimento 
non riguarda un solo bene. Il fatto che il tributo di registro pu� avere 
per oggetto valori non corporali e quindi ogigetti per i quali il privilegio non 
� raffigurabile, non basta per escludere il privilegio sui beni corporali 
trasferiti contestualmente. Quando poi in relazione alle universitas il valore 
� determinato al netto delle passivit� a maggior ragione non pu� escludersi 
il privilegio sui beni ai quali il credito di imposta � anche � si riferisce. 

11 



RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO

318 

riferisce comunque al patrimonio sociale nella sua globalit� indifferenziata, 
verificandosi quantomeno la � confluenza � in unum dei patrimoni 
delle societ� che si fondono e che in questo confluire vengono 
considerate appunto unitariamente e non come coacervo di belli specificamente 
individuati. 

La fusione, come � noto, rientra nel novero delle trasformazioni 
delle societ�, caratterizzandosi perch� trova la sua matrice non gi� 
nella deliberazione unilaterale dell'ente che intende procedere alla trasformazione 
medesima, ma si realizza in forza di convergenti deliberazioni 
sociali attraverso la reductio in unum, la compenetrazione di 
u:na compagine societaria nell'altra. Essa pu� eseguirsi, come risulta 
dall'art. 2501 cod. civ., mediante la costituzione di una societ� nuova, 

o mediante l'incorporazione in una societ� di. altra societ� (o di altre 
societ�) che vengono a perdere la loro identit� giuridica, potendosi avere 
o la costituzione di una nuova societ� che prende il posto di quelle 
che si fondono, ovvero l'assorbimento di una o pi� societ� in altra societ� 
che, pur arricchendosi del confluire in essa dei patrimoni delle 
societ� incorporate, mantiene la sua identit�. 
In senso economico la fusione serve a determinare la concentrazione 
delle imprese per fare ad esse raggiungere la dimensione ottimale per 
operare nel mercato in maniera competitiva. 

Per enucleare la natura giuridica della fusione si � posto l'accento 
sulla circostanza che con la fusione i gruppi sociali si compenetrano realizzandosi 
l'unicit� del soggetto giuridico, mediante una successione nel 
patrimonio analoga a quella delle persone fisiche. La fusione pone in 
essere, nell'opinione di alcuni autori, un negozio giuridico inter vivos 
per cui si verifica un~ successione a titolo universale per effetto della 
quale, a seconda del tipo di fusione considerata i due patrimoni si fondono 
quando si d� luogo ad un nuovo ente che prende il posto di quelli 
che si sono fusi, ovvero l'un patrimonio confluisce nell'alveo della societ� 
incorporante nell'ipotesi della fusione per incorporazione. 

Da un lato si sottolinea la coesistenza dei due aspetti estintivo e 
costitutivo, rilevando che la fusione non si esaurisce nell'estinzione di 
due o pi� societ�, o nella modificazione di una societ� gi� esistente, ma 
si concreta nell'una e nell'altra cosa insieme; dall'altro. si postula che la 
fusione si risolve essenzialmente nella � compenetrazione � di diversi 
gruppi sociali, essendo il risultato di una trasformazione del vincolo sociale 
originario e della trasmissione del patrimonio sociale attuata in 
virt� di tale trasformazione, costituendo la trasmissione il presupposto 
della partecipazione alla nuova societ� o alla soci�t� incorporante, 
e dell'estinzione delle soci~t� che si fondono in quanto appresta da un 
lato il contenuto patrimoniale della partecipazione e dall'altro realizza 
la definizione dei rapporti giuridici della societ� che ne determina la 
estinzione. 

' 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ai fini del decidere ritiene il Collegio che sia superfluo un approfondimento 
delle opinioni cui si � fatto descrittivamente cenno, dal momento 
che esiste una communis opinio minimale dottrinale� e giurisprudenziale 
nel senso che si determina una successione nel patrimonio in 
activis e in passivis e che il patrimonio viene in considerazione nella 
sua globailit� sorgendo le divergenze nella individuazione �del titolo del 
trapasso, essendo forse a questo riguardo falsamente suggestivo il parallelismo 
con la successione mortis causa, e sembrando pi� rigoroso 
parlare di successione per volont� di legge. In particolare per quel che 
qui interessa la propriet� ed il possesso di tutti i beni mobili ed immobili 
che gi� appartenevano alla societ� estinta passano senza necessit� 
di atti particolari che si riferiscano ai singdli beni della societ� 
incorporata a quella incorporante. Il trasferimen.to che si realizza � un 
trasferimento del patrimonio uno actu nel quale le singole componenti 
patrimoniali perdono la loro individualit�. Si realizza cio� in definitiva, 
a prescindere dal pi� o meno esatto inquadramento dommatico, una 
successione nel .patrimonio per volont� della legge che potr� anche 
differenziarsi concettualmente della successione mortis causa ma si caratterizza 
comunque per l'effetto di riguardare il patrimonio in quanto 
tale nella sua unitariet� e non atomisticamente nei singoli cespiti 
che lo compongono.� E tanto basta per dare sicuro fondamento alla soluzione 
del problema interpretativo di cui il Collegio � investito o, al 
quale si correla l'orientamento della giurisprudenza di questa Corte di 
cassazione che accoglie in talune decisioni la tesi pi� radicale dell'assimilazione 
della fusione alla successiva universale mortis causa (cfr. 
Cass. 6612 e 6613/83; 2381/87), mentre altre decisioni, pi� sensibili ai 
� distinguo � della dottrina, mettono in luce che la fusione per incorporazione, 
non i~plica l'estinzione vera e propria della societ� incorporata, 
ma determina comunque la confluenza del suo patrimonio 
in una pi� ampia sfera giuridico-economica (Cass. 3217/84; 4382/86). 

3. � quindi esatto che il referente del tributo, riguardando il patrimonio 
come tale e non i singoli beni, che ne vengono a far parte, non 
trova il suo ubi consistam nei singoli e specifici beni, mancando quel 
nesso di puntuale inerenza fra imposta e bene individuato che rappresenta 
l'imprescindibile presupposto del privilegio � speciale � venendo 
in considerazione il patrimonio nella sua indifferenziata globalit� e non 
i singoli beni che ne fanno parte. 
Mentre nel sistema previgente il singolo bene rappresentava il necessario 
referente della tassazione, prevalendo la considerazione tributaria 
della sua individualit� sulla qualificazione civilistica del fenomeno 
giuridico della fusione ricondotta dell'area della successione in 
universum ius, ovvero deH.a confluenza dei patrimoni in unum, l'intervenuta 
modificazione della base imponibile, prescindendosi ormai dalla 


320 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

rilevanza specifica dei singoli beni che di quel patrimonio facevano 
parte, consente alla fusione di spiegare i suoi effetti anche nel campo 
del diritto tributario rispetto ad un trasferimento che non riguarda 
una somma o coacervo di singoli specifici beni e quindi non consente 
di riferire a ciascuno quel nesso di puntuale inerenza che costituisce 
la condicio sine qua non perch� possa impostarsi un discorso in termini 
di � privilegio speciale �. 

Il nodo problematico della causa si sposta quindi necessariamente 
dai profili tributari a quelli civilistici in quanto soltanto ipotizzando 
una ricostruzione atomistica della fusione di societ� potrebbe ragionevolmente 
giustificarsi l'applicazione del privilegio che presuppone una 
relazione biunivoca fra bene trasferito, che deve scontare l'imposta sul 
trasferimento, e privilegio del fisco che abbia per oggetto specificamente 
quel bene. � 

Se cos� non �, se il proprium della fusione consiste quantomeno, 
ma sicuramente, nel con.fluire globalmente del patrimonio della societ� incorporata 
nella societ� incorporante, ne consegue che la fusione non 
pu� essere considerata ai fini tributari come un atto che implichi il 
trasferimento di singoli beni da un soggetto ad un altro, restando esclusa 
quell'inerenza del tributo ai singoli beni costituente per communis 
opinio l'imprescindibile presupposto per far valere sul bene trasferito 
il privilegio speciale che si caratterizza e distingue da quello generale 
proprio per un collegamento specifico ed esclusivo tra il tributo ed il 
bene. 

La raggiunta conclusione trova conforto nella considerazione che, 
salvo il caso, difficilmente ipotizzabile, in cui il patrimonio si identifica 
e si esaurisce nel singolo bene immobile (ed � ipotesi sicuramente di 
scuola giacch� sia pure in misura limitata all'immobile per il funzionamento 
della societ� debbono aggiungersi altri beni mobili di corredo 
al primo) vi sarebbe una manifesta esorbitanza del tributo che si vorrebbe 
globalmente privilegiare rispetto al singolo bene ovvero rispetto 
alla quota �riferibile� (anche se non �inerente� per le considerazioni 
che si sono venute svolgendo) al bene medesimo. In altre parole solo 
attraverso una percentualizzazione del tributo riferito solo parzialmente 
al singolo bene su cui si vorrebbe esercitare il privilegio si potrebbe 
coerentemente esercitarlo, essendo manifesto che non sarebbe riconducibile 
alla ratio del privilegio il soddisfo del creditore esorbitante 
dall'ambito del riferimento esclusivo a quel bene. Ma se cos� �, indipendente 
dalla praticabilit� ragioneristica di una siffatta operazione 
risulta confermato per tabulas che quel tributo non riguarda esclusivamente 
quel bene, ma a tutto concedere, anche quel bene, venendo a 
mancare il nesso di inerenza esclusiva che rappresenta i'l connotato fondamentale 
del privilegio speciale. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

4. Chiaramente privo di pregio �, infine, il rilievo dell'Avvocatura 
dello Stato circa le conseguenze di una interpretazione sfavorevole al 
fisco che lascerebbe privo di garanzia reale il reddito tributario relativo 
agli atti di fusione della societ�. 
Giustamente � stato risposto all'obiezione, nella impugnata sentenza, 
che se il legislatore avesse voluto garantire in ogni caso in via privilegiata 
i crediti per tributi indiretti dello Stato, anche se non riferentisi 
specificamente al trasferimento di singoli beni, avrebbe previsto a 
favore di tali crediti il privilegio generale cos� come ha fatto ad esempio 
per l'imposta sul valore aggiunto. 

N� le conclusioni mutano anche a volere escludere che nella fusione 
di societ� si debba ravvisare un fenomeno successorio mortis causa dato 
che comunque il patrimonio della societ� incorporata confluisce, come 
si � gi� notato, in quello della societ� incorporata per volont� di legge. 

Nella limitata prospettiva della spettanza o meno del privilegio speciale 
non � determinante stabilire se ai fini tributari il fenomeno della 
fusione dia luogo ad un effettivo trasferimento di ricchezza. Trattasi in 
effetti di profilo che attiene esclusivamente alla tassabilit� ed alla misura 
dell'aliquota una volta ritenuta applicabi:le l'imposta proporzionale. 
Quel che importa � stabilire quale sia l'oggetto del passaggio cui si 
riferisce la tassazione. Se non passano singoli beni, ma passa un patrimonio 
nelle forme della successio in universum ius non � dubbio 
che l'individualit� dei singoli beni che ne fanno parte non viene in 
alcun modo in rilievo; ma anche a parlare di semplice �confluenza�, 
risulta tipica della fusione la �totalit�� del trapasso la indifferenziata 
globalit� del flusso che si riversa nell'alveo patrimoniale della societ� incorporante, 
non venendo in considerazione i beni come tali ma in quanto 
appartenenti alla societ� che si fonde con l'altra. E resta pur sempre 
insuperabile l'obiezione, precedentemente formulata, che si tratta 
di imposta non riguardante specificamente il singolo bene, ma un complesso 
di beni unificati nel patrimonio a taluno dei quali soltanto si 
riferisce il tributo e che quindi non pu� riflettersi con il vincolo della 
specificit� esclusiva su determinati beni (immobili) che del patrimonio 
fanno parte. 

Contrariamente all'assunto della difesa dell'amministrazione finanziaria 
non basta perci� rilevare che nel patrimonio � confluito � ci sono 
immobili sicch� il tributo da essi dovrebbe pertanto essere garantito 
con il privilegio speciale riferito a ciascuno di essi, perch� il tributo non 
si riferisce all'immobile od alla pluralit� di immobili eventualmente 
compresi nel patrimonio �trasferito�, specificamente e singolarmente 
considerati, ma abbraccia tali immobili come parte, sotto questo riflesso 
�indifferenziati� del patrimonio che �come tale�, e nella sua globalit� 
costituisce l'oggetto della fusione per incorporazione, sicch� viene 
meno quel rapporto di inerenza e biunivoca fra il bene ed il tributo 


322~ RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

ad esso es�lusivamente riferibile e quindi perci� solo suscettibile di 
costituire la garanzia specifica della obbligazione tributaria considerata. 

5. In conclusione la sentenza impugnata, sorretta da ineccepibili 
argomenti giuridici, si sottrae alle censure che contro di essa vengono 
mosse con il ricorso essendo fondata sulla applicazione di un esatto 
principio giuridico che pu� essere puntualizzato nei seguenti termini: 
� Il privilegio speciale immobiliare previsto dall'art. 2772 comma 1 
cod. civ. relativamente ai tributi indiretti (nella specie imposta di registro) 
riguarda esclusivamente gli immobili cui il tributo �si riferisce
�, vale a dire il bene che specificamente forma oggetto della pretesa; 
non basta cio� postulare una relazione fra detto bene e l'atto 
giuridico da sottoporre a tassazione, ma occorre evidenziare un rapporto 
di corrispondenza puntuale ed esclusiva fra il tributo preteso 
dalla finani:a ed il bene che s~ pretende di assoggettare al privilegio 
speciale, tale essendo il significato pregnante dell'� inerenza � postulata 
dalla legge �. 

E poich� nella fusione di societ� la confluenza in unum dei patrimoni 
nelle societ� che si fondono non riguarda i beni specificamente 
considerati dei patrimoni che vengono in considerazione, ma assume 
la consistenza patrimoniale delle societ� considerate nella sua globalit� 
unitaria, resta escluso che si possa postulare tale inerenza avendo 
riguardo, all'oggetto dell'atto di fusione (non rilevando in senso determinante 
la circostanza che ai fini del calcolo della base imponibile della 
tassazione ai sensi dell'art. 7 comma 1 della legge 16 dicembre 1977, 

n. 904 non vengono in considerazione i valori dei singoli beni che formano 
oggetto della fusione ma soltanto l'entit� del capitale e delle riserve) 
che � il patrimonio in quanto tale e non un coacervo di beni specificamente 
considerati ciasctmo dei quali mantiene fa sua individualit�, 
stemperandosi la specificit� delle componenti del patrimonio trasferito 
nella globalit� del trasferimento che unitariamente lo riguarda, restando 
esclusa la riferibilit� specifica dell'imposta che ha quale referente il 
patrimonio suddetto e non questo o quel bene specificamente individuato 
(omissis). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 3 febbraio 1990, n. 738 -Pres. Corda � 
Est. Carbone -P. M. Papi (conf.) Soc. Tendimmobi1iare (avv. Rocca) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara). 
Tributi in genere -Esenzioni ed agevolazioni � Onere della prova -t?. 
a carico del contribuente. 

Poich� il presupposto di fatto considerato dalla norma di imposizione 
tributaria fa sorgere l'obbligazione, mentre il presupposto della 

I 


I


f; 

f: 

PARIB I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 323 

esenzione costituisce il fatto impeditivo o estintivo d.ella obbligazione 
stessa, la prova del presupposto della esenzione � a 1carico del contribuente 
che domanda l'applicazione della norma di favore (1). 

(Omissis) Con il primo motivo di ricorso la soc. ricorrente censura 
l'impugnata sentenza per violazione ed errata applicazione dell'art. 3 
della legge 22 luglio 1966 n. 614 in riferimento all'art. 2697 e.e. e in relazione 
all'art. 360 n. c.p.c., per aver la Commissione centrale omesso di 
considerare i requisiti ai quali l'ordinamento subordina la concessione 
della prevista esenzione, ponendo a carico del contribuente l'onere di 
provare la sussistenza di siffatti requisiti ed in particolare quello relativo 
alla natura dell'attivit� produttiva, che la legge prevede come attivit� 
produttiva di beni. La censura non � fondata. Con l'art. 8 comma 1 della 
legge 614/1966 si � introdotta un'esenzione per dieci anni da ogni tri� 
buto diretto sul reddito �a favore delle nuove imprese artigiane e delle 
nuove imprese piccolo o medie industriali aventi per oggetto la produzione 
di beni. I requisiti richiesti sono quelli della novit� (cfr. Cass. 
7 marzo 1984 n. 1583 nonch� Cass. 28 giugno 1985 n. 3880) del tipo e delle 
dimensioni dell'impresa, e dell'oggetto dell'attivit� imprenditoriale, limi� 
tato alla produzione dei beni; con� esclusione della produzione dei servizi 
anche se effettuata da impresa artigiana (Cass. 17 febbraio 1981 n. 958). 
Tanto premesso giova rilevare che il fulcro del motivo del ricorso 
� costituito dalla premessa secondo cui l'onere della prova per negare 
l'esenzione dovrebbe gravare sull'ufficio. Ma l'assunto non regge ove 
si rifletta che l'obbligo tributario rappresenta la regola mentre l'esen� 
zione, in presenza di determinati elementi, l'eccezione. Ed infatti le norme 
che prevedono esenzioni o agevolazioni si pongono come derogatorie o 
eccezionali rispetto a quelle che prevedono l'applicazione del tributo. Tan� 
to ci� � vero che se la norma agevolativa non fosse stata emessa o 

(1) Decisione di evidente esattezza che propone una chiara motivaziOllle dell'assunto. 
Rispetto alla pretesa tributaria l'onere della prova grava !!Ulla Amministrazione, 
come � stato ormai alifermato in modo definitivo superando le 
tesi meno recenti che facevano leva sulla presunzione di legittimit� deN'accertamento 
(Cass. 23 maggio 1979 n. 2996 e 15 novembre 1979 n. 5951, in questa 
Rassegna, 1980, I, 3'77; 4 febbraio 1980 n. 774, ivi, &19; 12 ottobre 19&1 n. 5338 ivi, 
1982, I, 175). Ma sicuramente grava sul contribuente l'onere della prova non 
solo del presupposto delle esenzioni e agevolazioni ed in genere dei fatti im� 
peditivi ed estintivi, ma anche di tutte le allegazioni opposte contro l'accertamento. 
In particolare nell'accertamento induttivo se � sempre a carico dell'Amministrazione 
la prova dei fatti idonei, sia pure presuntivi, che sorreggono 
l'accertamento, la prova contraria del contribuente acquista un particolare ri� 
Iievo, come nella ipotesi dell'accertamento parametrico basato su indici presuntivi 
di reddito (redditometro) contro il quale il contribuente deve dimostrare 
che il reddito accertato � costituito da redditi esenti o assoggettati a 
ritenuta a titolo di imposta. 

324 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fosse abrogata, l'imposta sarebbe dovuta senza alcun dubbio. J;I che si 

spiega facilmente sol che si consideri il contenuto della norma di esenzione 
che pu� cos� schematizzarsi: in base ai principi fondamentali della 
singola imposta ove si verifichi il fatto o la situazione considerata come 
presupposto del tributo sorge l'obbligazione tributaria; peraltro 
ove si verifichi un fatto impeditivo -il presupposto dell'esenzione l'obbligazione 
di esenzione attribuisce ad un fatto o ad una situazione 
il potere di impedire il sorgere dell'obbligazione tributaria perch� rappre. 
senta un fatto modificativo o estintivo rispetto al fatto costitutivo 
che � alla base della pretesa dell'amministrazione finanziaria. Ma se il 
fatto che � alla base della norma di agevolazione o di esenzione si pone 
come un fatto impeditivo, modificativo od estintivo di quello che � base 
dell'obbligazione tributaria derivano due conseguenze: la prima, che il 
carattere derogatorio quindi eccezionale della norma di agevolazione 
ne impedisce l'applicazione analogica; dall'altro che i fatti tenuti presenti 
dalla norma derogatoria si presentano come fatti impeditivi o 
estintivi della pretesa tributaria e come tali non possono ricadere 
sull'ufficio, ma soltanto sul privato contribuente che chiede l'applicazione 
della norma di favore. Onere della prova non assolto, nonostante 
che sino all'avviso di accertamento l'amministrazione finanziaria avesse 
costatato che l'attivit� svolta dalla societ� ricorrente fosse limitata alla 
vendita di immobili la cui costruzione � stata eseguita da terzi. (Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 7 febbraio 1990 n. 788 -Pres. Vela Est. 
Sgroi -P. M. Di Renzo (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Guicciardi) c. Moretti. 

Tributi locali -Imposta locale sui redditi -Reddito di agente di commercio 
-Assenza di elementi patrimoniali e capitalistici -Non soggezione 
all'imposta. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 51; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, art. 1). 
Il reddito dell'agente di commercio anche se qualificabile come 
reddito di impresa ai fini IRPEF, non � soggetto all'ILOR quando alla 
sua produzione non concorra una organizzazione con componente patrimoniale 
o capitalistica (1). 

(1) Con la sentenza 26 marzo 1.980 n. 42 (in questa Rassegna, 1980, I, 246) 
la Corte Costituzionale nel dichiarare l'illegittimit� dell'art. 1 del d.P.R. isti� 
tutivo dell'ILOR nella parte in cui non esclude � i redditi di lavoro autonomo 
che non possono essere assimilati a 'quelli di impresa �, dopo aver premesso 
che la nuova imposta era diretta a colipire i redditi caratterizzati anche solo 
parzialmente da elementi di patrimonialit�, ammise ampiamente che il reddito 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 325 

(Omissis) Con l'unico motivo, l'Amministrazione deduce la violazione 
ed errata applicazione dell'art. 4 n. 1 <legge 9 ottobre 1971 n. 825, 
art. 1 29 settembre 1979 n. 599 in riferimento all'art. 51 d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 597 e art. 2195 e.e., in relazione all'art. 360 n. 3 e.e. ed art. 360 

n. 5, nonch� omes�sa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo, 
osservando che � erroneo ascrivere l'attivit� degli ausiliari di commercio 
(della quale categoria fanno parte gli agenti o rappresentanti di 
commercio) tra quelle di lavoro autonomo, a cui si riferisce la pronuncia 
n. 42/80 della Corte Cost., n� vale il riferimento all'esistenza 
o meno in fatto di una struttura organizzativa, a parte le considerazioni 
che possono farsi sulla nozione vaga e senza precisi contorni, sia 
in astratto che nel caso concreto, quale si ricava dalla decisione che si 
censura. 
Secondo il ricorrente, la distinzione � improponibile, perch� l'ILOR 
continua ad applicarsi a tutti i redditi d'impresa ex art. 51 d.P.R. n. 597 
del 1973, tra cui rientrano i redditi prodotti dall'attivit� di rappresentante 
di commercio � anche se non organizzate in forma d'impresa �. 
Dalla distinzione di cui al terzo comma (attivit� di prestazione di servizi 
a terzi) e dalla onnicomprensiva previsione del secondo comma dell'art. 
51 si ricava un ulteriore elemento contrario alla decisione impugnata. 


di lavoro autonomo potesse essere prodotto con iI concorso del capitale, ma 
ritenne illegittimo J'assoggettamento indiscriminato al tributo di tutti i redditi 
di lavoro autonomo. 

La sentenza venne commentata per estendere il principio anche ai redditi 
di impresa prodotti prev�alentemente con il lavoro del contribuente e dei 
suoi familiari (FEDELE, La discriminazione dei redditi di lavoro autonomo e i 
principi di eguaglianza e di capacit� contributiva rn Giur. it., 1980, I, 1, 1797; 
MARONGIU, Incostituzionalit� dell'ILOR sui redditi di lavoro autonomo, in Dir. 
prat. trib., 1980, Il, 189; Io. Redditi di lavoro autonomo e di impresa ai fini 
dell'ILOR, ivi, 1982, Il, 840; TABET, l'ILOR e il lavoro autonomo: prime letture, 
in Giur. Cost., 1980, I, 280),. Questa tesi trovava corrispondenza nella prevalente 
interpretazione dell'art. 51 del d.P.R. n. 597/1973 secondo la quale erano 
da considerare redditi di impresa tutti quelli che, anche senza una organizzazione 
in forma di impresa, rientravano nella defini2Jione dell'art. 2195 e.e. o 
per l'attivit� considerata solo oggettivamente o per J'ausiliarit�; venivano 
cio� considerati di impresa anche redditi aLla produzione dei quali era estranea 
la componente patrimoniale. 

Questo indirizzo veniva per� criticato perch� introduceva un elemento 
quantitativo al sistema della legge basato sul criterio qualitativo e rompeva 
l'omogeneit� della imposizione ILOR automaticamente riferita a tutti i redditi 
di impresa ed imponeva invece una non agevole determinazione caso per caso. 

Ed anche la Corte di Cassazione con la sent. 16 febbraio 1982 n. 952 (in 
questa Rassegna, 1982, I, 7~) ritenne che ai redditi qualificabili come di 



RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

326 

Il ricorso � infondato. 
La materia di cui � causa deve esaminarsi in base al testo dell'art. 1 


d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, coordinato con la pronuncia di illegittimit� 
costituzionale dell'art. 4 n. 1 legge 9 ottobre 1971 n. 825 e dell'art. 
1 comma 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, in quanto non escludono 
i redditi di lavoro autonomo, che non siano assimiilabili ai redditi d'impresa 
dall'ILOR (Corte Cost. 26 marzo 1980 n. 42) nonch� alla luce della 
successiva sentenza della Corte Cost. 14 aprile 1986 n. 87; con la differenza 
che mentre la prima sentenza � vincolante (art, 136 Cost,), la seconda 
offre -soltanto elementi di interpretazione del diritto da applicare, 
dato che ha dichiarato inammissibile la questione di illegittimit� costituzionale 
delle norme che consentono .l'assoggettabilit� all'ILOR dei 
redditi (fra l'altro) dei rappresentanti di commercio, dovendosi verificare 
in concreto, da parte dei giudici tributari, se possano riscontrarsi 
gli estremi per l'assogg~ttabilit� all'ILOR del reddito di cui si tratta 
(cfr. Cass. 9 aprile 1987 n. 3477, che ha motivatamente corretto l'impostazione 
gi� data al problema da Cass. 16 febbraio 1982 n. 952). 
� noto che fa suddetta impostazione non ha trovato i consensi di 
tutti i commentatori (vedi la memoria dell'Avvocatura erariale), in quanto, 
seguendo i criteri �quantitativi� suggeriti dalla Corte Cost., si sconvolgerebbe 
il sistema della legge tributaria, basata sui criteri qualitativi 
di cui all'art. 51 d.P.R. n. 597 del 1973. La critica non coglie nel segno, 
appunto perch� si tratta di correggere il sistema della legge per 

impresa ai sensi dell'art. 51, e particolarmente a que11i degli agenti di commercio, 
non fosse riferibile la sentenza della Corte Cast. n. 42/1980. 

In realt� sarebbe stato pi� corretto e pi� lineare non ricomprendere 
nel reddito di impresa dell'art. 51 le attivit� in cui fosse estranea ogni organizzazione 
e consistenti in solo lavoro (POLANO, Attivit� commerciali e impresa 
nel diritto tributario, Padova 1984, 32, ss), piiut.tosto che ritenere non soggetti 
ad ILOR redditi che pure sono considerati di impresa a fini IRPEF. 

Con la successiva sentenza 14 aprile 11986 n. 87, (Foro it., 1987, I, 3225) la 
Corte Cast. dichiarando di non .poter introdurre nuove classificazioni di tipi 
di reddito (con particolare riferimento alle attivit� ausiliarie) in quanto spetta 
al legislatore stabilire criteri per definire i redditi di impresa assimilabili a 
quelli di lavoro autonomo, e, all'inverso, i redditi di lavoro autonomo assimilabili 
a quelli di impresa, ha affermato che ben pu� il giudice tributario, in 
sede di interpretazione, compiere quelle valutazioni che sono sottratte al 
giudice delle leggi. A seguito di ci� la Corte di Cassazione con la sent. 9 aprile 
1987 n. 3477 (Foro it., .1987, I, 3!225) ha affermato che il reddito di un agente 
di commercio per essere assoggettato ad ILOR deve concretarsi in una attivit� 
con requisiti mintmi di organizzazione imprenditoriale, non essendo sufficiente 
la sua ricomprensione nell'art. 51 del d.P.R. n. 597, norma che, dettata ai 
fini IRPEF, non pu� acriticamente applicarsi ai fini ILOR �(sulla stessa linea si 
;;ione la sentenza ora intervenuta). 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 327 

rendevlo conforme a Cost., con un'interpretazione che tenga conto 
delle indicate sentenze, per cui � possibile apporre limitazioni all'in� 
discriminata trasposizione del citato art. 51. nell'ambito dell'ILOR, in 
quanto bisogna tener conto del raggio d'azione dell'esclusione dalla 
seconda imposta dei redditi di lavoro dipendente ed assimilati (comma 
secondo lettera a) dell'art. 1 d.P.R. n. 599 del 1973); esclusione la quale, 
nell'ottica della sentenza della Corte Cosi:. n. 42 del 1980 ha un peso decisivo, 
in quanto la dichiarazione di illegittimit� costhuzfonale � stata 
basata sia sul trattamento diverso riservato al lavoro 'subordinato ed a 
quello autonomo, sia sul trattamento uguale d�l reddito di lavoro autonomo 
e del reddito d'impresa (la Corte ha citato l'art. 7 del d.P.R. n. 599, 
che parla dei redditi d'impresa, ai .Paragrafi 2 e 3 della sentenza). In 
sostanza, secondo la tecnica della Corte Cost. bisogna aggiungere alle 
esclusioni .stabilite dal secondo comma dell'art. 1 citato i redditi di lavoro 
autonomo; ma per evitare equivoci, la Corte ha aggiunto �che 
non siano assimilabili ai redditi d'impresa � e cio� ha fatto riferimento 
ai casi in cui vi sia un concorso di capitale e di lavoro nella produzione 
di un certo reddito. La Corte Cost. ha voluto sicuramente escludere 
dalla dichiarazione di incostituzionalit� la comprensione nell'ILOR dei 
redditi di lavoro che, per la loro combinazione con elementi capitalistici, 
costituivano elemento di un reddito d'impresa. Ma la lettura della 
sentenza (in base alla successiva n. 87 del 1986) consente anche la seguente 
interpretazione: che anche i redditi i quali alla stregua dell'arti-

Questo indirizzo ha destato serie perplessit� perch� comporta una modifica 
e non un'interipretazione del sistema normativo e apre la via ad un aleatorio 
apprezzamento del caso per caso (FANTOZZI, Ancora equivoci sulla nozione 
fiscale di reddito di impresa, in Rass. trib., 1986, II, 464; TABET, Sulla qualifi� 
cazione del reddito dell'agente di commercio ai fini ILOR, ivi, 1987, II, 549). 

Una nuova prospettiva si presenta con il t.u. n. 917/1989 che all'art. 51, 
2� comma, riproducendo la norma che considera di impresa i redditi derivanti 
dall'esercizio di attivit� organizzate in fovma di ima>resa anche se non rientranti 
neil'art. 2195 e.e. esclude quelle organizzate prevalentemente con il lavoro 
del contribuente e dei suoi familiari. Benoh� resti invariato il primo comma, 
secondo il quale restano di ima>resa i redditi derivanti, solo qualitativamente, 
dall'esercizio delle attivit� indicate ne1l'art. 2195, anche se non organizzate in 
forma di impresa, l'innovazione .semlbra diretta a ricreare l'unit� del concetto 
di impresa sia ai fini IRPEF che ai fini ILOR; si dovranno cio� riportare 
nel lavoro autonomo quel:le attivit� di solo lavoro che crune tali non saranno 
soggette all'ILOR piuttosto che avventurarsi nella incoerente esclusione dalla 
imposizione in ILOR di redditi che pure sono di ima>resa ai fini IRPEF 
(FANrozzI, Il reddito di impresa: relazione introduttiva, in Rass. trib., 1989, I. 
1, D'AYALA VALVA, I redditi di lavoro autonomo sul TUIR n. 917 del 22 dicembre 
1986, ivi, 1989, I, 321). 

Ma � il momento di battere anche la via inversa: considerare cio� se 

siano da ricondurre alla impresa, e quindi alla imposizione ILOR, attivit� 



328 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

colo 51 d.P.R. n. 597/73 dovrebbero (e devono) qualificarsi d'impresa at 
fini dell'IRPEF non possono considerarsi tali ai fini dell'ILOR (stante 
la diversa ratio dell'imposizione, basata sull'esclusione del reddito di 
lavoro personale) se, in realt�, manca la componente patrimoniale o 
capitalistica del reddito stesso. La presenza o meno di un'organizzazione 
aziendale (irrilevante ai fini dell'IRPEF) � rilevante ai fini dell'ILOR 
nell'ambito della quale un reddito prodotto da lavoro autonomo (anche 
non intellettuale, senza l'apporto di capitale, ovvero con l'apporto di 
capitale minimo, tale da non dar luogo ad una vera e propria organizzazione 
imprenditoriale non � imponibile, alla stregua del criterio di 
esclusione fissato dall'art. 1 secondo comma lett. a) del d.P.R. n. 599 
del 1973, allargato dalla Corte Cost. al lavoro autonomo non assimilato 
all'attivit� d'impresa. 

Pertanto, in primo luogo � legittima l'indagine in fatto, compiuta dal 
giudice tributario, allo scopo di stabilire �se esiste o meno un'organizzazione 
minima d'impresa s� che l'attivit� � svolta nella forma del lavoro 
autonomo puro e semplice. 

In secondo luogo, l'indagine in concreto svolta dalla Commissione 
Centrale non si presta alle censure assai generiche mosse dal ricorso, 
posto che la Comm. Centrale ha ritenuto che fosse stato provato dalla 
contribuente (nell'azione di ripetizione d'indebito esperita) che essa svolgeva 
l'attivit� senza deposito e senza alcuna organizzazione e cio� col solo 
lavoro, senza alcun concorso di capitale. Si tratta di accertarmento 
di fatto incensurabile in questa sede. (Omissis) 

professionali con apporto rilevante di componenti patrimoniali o con organizzazione 
di lavoro e rischio di :impresa, secondo l'indicazione della Corte 
Cost. Oggi il fenomeno delle professioni, anche intellettuali, organizzate, anche 
con vesti di associazione abilmente confezionate, � di vaste e crescenti proporzioni. 
Finora la prevalente interpretazione, mentre � stata assai rigorosa nel 
qualificare di impresa i redlditi rientranti nell'art. 2195 per il solo aspetto 
qualitativo (cosicch� � un imprenditore che svolge una attivit� di trasporto 
il portavaligie) � stata altrettanto rigorosa nell'escludere la ricomprensione 
nell'impresa delle professioni intellettuali. L'incoerenza e l'ingiustizia di queste 
conclusioni � manifesta. Quando la professione � esercitata con l'organizzazione 
del lavoro di altri professionisti legati ad 'llll1 caipo anche da rapporto di 
lavoro subordinato, con rischio di impresa e con apporto di capitale, non si 
pu� escludere l'applicazione dell'art. Srl secondo comma lett. a). 

Quando si raccoglie l'indicazione della Corte Cost. rper compiere in via di 
interpretazione quelle valutazioni che la Corte non pu� fare per creare nuove 
classificazioni di tipi di reddito che sarebbe compito del legislatore di introdurre, 
non si pu� procedere in una sola direzione, perch� l'indicazione del 
giudice delle leggi � nel du(plice senso di individuare i tirpi di reddito di 
impresa assimilabili a quelli di lavoro autonomo e i tipi di reddito di lavoro 
autonomo assimilabili ai redditi di impresa. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 329 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 13 febbraio 1990 n. 1021 -Pres. Brancaccio 
-Est. Sgroi -P. M. Minetti (conf.). Volpe (avv. Casulli) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Criscuoli) e Esattoria Comunale di 
Roma. 

Tributi erariali diretti -Riscossione -Competenze e giurisdizione -Opposizione 
di terzo -Amministratore di Societ� responsabile della sanzione 
ex art. 98 d.P .R. 29 settembre 1973, n. 602 -Non � terzo -Difetto 
di giurisdizione dell'A.G.O. -Ricorso ex art. 700 c.p.c. -Improponibilit� 
assoluta. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 54 e 98; c.p.c. art. 615, 619 e 700). 
Tributi erariali diretti -Riscossione -Competenza e giurisdizione � Amministratore 
di societ� responsabile della sanzione ex art. 98 d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 602 -Contestazione sulla sussistenza della responsabilit� 
e sulla esistenza del titolo esecutivo -Giurisdizione delle 
Commissioni. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 98; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 1). 
Tributi erariali diretti -Riscossione -Competenza e giurisdizione -Am� 
ministratore di societ� responsabile della sanzione ex art. 98 d.P .R. 
29 settembre 1973, n. 602 -Contestazione sulla validit� verso l'ammi� 
nistratore del ruolo emesso nei confronti della societ� -Giurisdizione 
delle commissioni. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 54 e 98; c.p.c. 615). 
L'Amministratore della societ� responsabile ex art. 98 d.P.R. 29 set� 
tembre 1973, n. 602 della sanzione a carico della societ� � coobbligato 
e non terzo e di conseguenza non pu� proporre opposizione, da consi� 
derare opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c. contro gli atti dell'esattore 
per il divieto stabilito nell'art. 54 del d.P.R. n. 602; neppure 
pu� proporre ricorso ex art. 700 c.p.c. che si concreterebbe in una sospensione 
della procedura esecutiva in ordine alla quale sussiste un 
difetto assoluto di giurisdizione ed � ammesso soltanto il ricorso all'intendente 
di finanza (1). 

L'Amministratore della societ� responsabile ex art. 98 d.P.R. 29 
settembre 1973, n. 602 della sanzione a carico della societ� pu� contestare 
la sussistenza della sua responsabilit� e l'esistenza nei suoi confronti 
del titolo esecutivo solo con ricorso innanzi alle commissioni (2). 

Appartengono alla giurisdizione delle commissioni tutte le questitJni 
proposte dall'amministratore della societ� responsabile della sanzione 
ex art. 98 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 in ordine alla efficacia nei 
suoi confronti del ruolo emesso a carico della societ� (3). 

(1 � 3) La sentenza affronta e risolve correttamente un grappolo di questioni. 
Sulla prima massima � evidente che l'amministratore della societ� 
responsabile in proprio della sanzione � � obbligato in solido � e come tale 



330 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

(omissis) Col ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione il 
Volpe sostiene: a) che la cognizione dell'opposizione di terzo ex art. 619 

c.p.c. o, in via suppletiva, il provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. 
per prevenire gli effetti della esecuzione esattoriale ed opporsi ad essa, 
appartiene alla giurisdizione del magistrato ordinario; b) che l'amministratore 
di una societ� di capitali fallita � da ritenersi terzo rispetto 
al rapporto tributario per tributi della societ� resi liquidi ed esigibili. 
dopo la dichiarazione di fallimento; e) che la cognizione delle opposizioni 
ad esecuzione esattoriale, allorch� si deduce l'assoluta inesistenza 
del titolo esecutivo (ruolo dei tributi) appartiene alla giurisdizione 
ordinaria; d) che nel conferimento della delega all'Esattore da 
parte dell'Intendenza di Finanza l'individuazione del contribuente deve 
essere rigorosa e che non sono ammissibili, in sede esecutiva, variazioni, 
modifiche o aggiunte concernenti� la titolarit� del ruolo che non abbiano 
costituito variazioni, modifiche o aggiunte in sede di accertamento 
in contraddittorio col nuovo soggetto; in particolare, la contestazione 
della solidariet� dell'ex amministratore di cui all'art. 98 d.P.R. 
n. 602 del 1973 non pu� avvenire in sede esecutiva e ad opera dell'Esattore 
delle imposte. 
Nessuna delle suddette affermazioni pu� essere accolta, in parte anche 
perch� concernenti il merito e non la giurisdizione (rilievi sub. b) e sub. e). 
In primo luogo, � puramente verbale e non corrispondente alla reale 
configurazione della domanda, la qualificazione del ricorso al Pretore 
come opposizione di terzo, ex art. 619 c.p.c., sia perch� non esiste nel 
petitum alcuna richiesta di accertamento della propriet� sui beni pignorati, 
sia soprattutto perch� il Volpe non � �terzo�, ma obbligato 

non pu� proporre n� l'opposizione di terzo dell'art. 619 c.p.c. n� l'opposizione 
alla �secuzione dell'art. 615 innanzi al giudice ordinario. ' 

Se intende contestare la sua responsabilit� pu� soltanto proporre ricorso 
alla commissione~ � poi consolidatissima la giurisprudenza della Cassazione 
e della Corte Costituzionale che esclude la proponibilit� innanzi a qualsiasi 
giudice, anche sotto forma di ricorso ex art. 700 c.p.c., di una domanda di sospensione 
della riscossione esattoriale (fra le tante v. Cass. 20 gennaio 1987 

n. 461, Foro it., 1977, I, 1368; Corte Cost., dopo la fondamentale sentenza 1� aprile 
1982 n. 63 in questa Rassegna, 1982, I, 227, le numerose ordinanze confermative 
12 novembre 1987 n. 427; 27 novembre 1987 n. 550; 26 luglio 1988 n. 916; 
6 dicembre 1989 n. 529). 
Per la sospensione della riscossione, anche in materia di imiposte indirette, 
� percorribile solo la via del ricorso all'intendente di finanza e quindi al 
giudice amministrativo; su questa linea si � attestato il Consiglio di Stato, 
sez. IV, 18 novembre 1989 n. 792, Foro it. 1990, IV, 255 rivedendo la posizione 
negativa che era stata affermata con la decisione della stessa Sezione 28 dicembre 
1984 n. 1067, ivi, 1985, IV, 383. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

331 

d'imposta ai sensi dell'art. 98 penultimo comma del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 602. 
Da tale premessa discende de plano il difetto di giurisdizione del 

G.O. in ordine all'opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 (art. 54 
secondo comma del d.P.R. n. 602), ed altres� il difetto assoluto di giurisidizione 
in ordine al richiesto provvedimento d'urgenza, concretato in 
una sospensione (art. 54, primo comma cit.). 
Tali principi sono stati riaffermati innumerevoli volte da questa 
Corte (fra le tante altre, da Sez. un. 14 maggio 1967, n. 2338, per quanto 
concerne l'opposizione all'esecuzione, e da Sez. Un. 5 ottobre 1987, n. 7425, 
per quanto concerne la sospensione dell'esecuzione esattoriale con un 
provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c.). Il sistema ha pi� volte su� 
perato il controllo di legittimit� costituzionale (da ultimo, v. ordinanza 
Corte Costituzionale n. 916 del 7-26 luglio 1988). 

L'affermazione del ricorrente supra riportata sub b) dovr� essere 
esaminata dal giudice munito di giurisdizione, per la contestazione del 
credito; giudice che contrariamente a quanto affermato sub e) � costituito 
dalle Commissioni Tributarie, di cui al d.P.R. n. 636 del 1972 e 
succ. modifiche, poich� il credito fatto valere � costituito, come risulta 
dagli atti, da pene pecuniarie e sovratasse relative a ritenute d'acconto 
su redditi di lavoro dipendente riguardanti gli anni 1978-1979, e cio� riguarda 
rapporti tributari compresi nell'ambito della competenza fissata 
dall'art. 1 del d.P.R. n. 636 del 1972 sul contenzioso tributario, in sede 
di ricorso contro il ruolo. 

La pretesa irregolarit� dedotta sub d) appartiene all'ambito dell'opposizione 
ex art. �615 c.p.c. e, quindi, in ordine ad essa esiste la gi� rilevata 
inammissibilit� disposta dal secondo comma dell'art. 54 del d.P.R. 

n. 602 del 1973. La questione riguarda sempre l'inesistenza del titolo e la 
Tutte le contestazioni che l'amministratore pu� muovere quando viene 
compulsato per l'adempimento, nei limiti in cui sono aIDi!Ilissibili, son devolute 
alle commissioni la cui giurisdizione generale in ogni caso esclude la giurisdizione 
ordinaria; sono per� sottratte ad ogni sindacato giurisdizionale, anche 
delle commissioni, le opposizioo.i contro gli atti ese�utivi dell'esattore per le 
quali � ammesso solo il dcorso flIIlministrativo a norma dell'ar:t. 53 del 

d.P.R. n. 602. . 
Rimane molto aperta la discussione sull'ampiezza e sui modi delle contestazioni 
che il responsabile della sanzione pu� sollevare, dopo che la sentenza 
della Corte Cost. 29 ottobre 1987 n. 348, seguita dalle ordinanze 21 ge:1,1naio 1988 

n. 48 e 12 maggio 1988 n. 591 ha riconosciuto, in modo molto generico, che il 
responsabile pu� fotelare il suo interesse. Si discute se il responsabile pu� 
impugnare in modo pieno il provvedimento definitivo contro la societ�, se 
nei suoi confronti sia efficace lo stesso ruolo formato contro la societ� e 
quale sia l'atto contro n quale pu� ricorrere alla commissione. Per una ampia 
informazione sulla vasta problematica v. DEL FEDERICO, In tema di solidariet� 
dipendenza: l'art. 98 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 in Rass. Trib., 1990, I, 99. 

332 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nullit� del ruolo e quindi appartiene alla cognizione del giudice tributario, 
in contraddittorio con l'Amministrazione. 

I 
I
f: 

Concludendo: in ordine alla domanda di sospensione dell'esecuzione 

I fil 

esattoriale esiste il difetto assoluto di giurisdizione dell'A.G.O., posto 
che il potere di sospendere quella procedura esula dalle attribuzioni del 
giudice ordinario, come di qualsiasi altro giudice, comprese le commisili 
sioni tributarie e spetta, in sede amministrativa, all'Intendenza di Finanza 
(art. 39 del d.P.R. n. 602 del 1973), mentre la tutela delle posizioni 
soggettive del contribuente � affidata alla giurisdizione generale 
di legittimit�, avverso le determinazioni dell'Intendente. 

In ordine alla domanda di nullit� del ruolo per inesistenza della 
responsabilit� del contribuente e per la pretesa inopponibilit� nei suoi 
confronti del titolo (ruolo) formatosi nei riguardi della societ� da lui 
amministrata, va dichiarata la giurisdizione delle Commissioni Tributarie, 
(v. Cass. 15 ottobre 1986 n. 6040). � appena il caso di dire, infatti, 
che la giurisprudenza citata dalla difesa del Monte dei Paschi, in ordine 
alla esistenza e proponibilit� dinanzi al G.0. di una generale azione di 
accertamento negativo del debito tributario, riguarda l'ovdinamento preesistente 
e non quello successivo alla riforma del 1972 (cfr. Sez. Un. 3 marzo 
1977, n. 942) e che non sussistono neppure, nel presente caso, gli elementi 
in forza dei quali tale azione pu� ritenersi ancora ammessa dinanzi 
all'A.G.O., secondo Sez. Un. 17 febbraio 1988, n. 1677 (in motivazione) 
e cio� una esecuzione non ancora iniziata e, comunque, riguardante 
soltanto l'indennit� di mora devoluta all'Esattore. Invero, nella 
specie non solo l'esecuzione era gi� in corso, ma la controversia riguarda 
sovratasse e pene pecuniarie su imposte sul reddito, comprese 
nell'esclusiva giurisdizione delle Commissioni Tributarie, in sede di 
impugnazione dell'accertamento e/o del ruolo e dell'avviso di mora. 

(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 26 febbraio 1990, n. 1434; Pres. Scanzano 
-Est. Tilocca -P. M. Simeone (conf.). Ministero delle Finanze 
(Avv. Stato Palatiello) c. Fallimento Saraca. 

Tributi in genere -Accertamento � Notificazione � Consegna a persona 
convivente -Rinvenimento presso l'abitazione -Necessit�. 

(c.p.c. art. 139; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 60). 
Tributi in genere -Contenzioso tributario � Rinnovazione della notifica 
dell'atto impugnato -Ricorso contro ruolo per irregolare notifica 
dell'accertamento -Inapplicabilit� della rinnovazione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 21). 
La notificazione mediante consegna della copia nelle mani di persona 
di famiglia, se pure non legata da un rapporto di convivenza con 




PARTE.�� I, SEZ. V> GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 333 

il destinatario, � valida a condizione che la consegna sia avvenuta nella 
casa di abitazione e che ci� risulti dalla relazione di notificazione (1). � ' 

La rinnovazione con effetto di Sanatoria dell'atto dell'ufficio tributario 
prevista nell'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 � possibile solo 
relativamente all'atto oggetto immediato e diretto della impugnazione; 
non � di conseguenza consentita la rinnovazione della notificazione dello 
avviso di accertamento quando sia impugnato il ruolo in quanto non 
preceduto dalla regolare notifica dell'accertamento (2). 

(omissis) In data 20 dicembre 1977 l'Ufficio distrettuale delle Imposte 
Dirette di Viterbo notificava avvisi di accertamento per la R. M. e 
per l'imposta complementare, relativi agli anni 1971, 1972 e 1973, a 
Saraca Ferdinando, mediante consegna alla suocera. 

(1 -2) Rinnovazione della notifica dell'accertamento e sanatoria dei vizi. 

I. -La sentenza ripete, con poco aip;profondimento, una interpretazione 
dell'art. 21 del d.P.R. n. 636/1972 che merita una pi� articolata indagine. 
Le notificazioni degli atti degli uffici tributari, e particolarmente degli 
avvisi di accertamento, toccano un tema importante sia per il rilevante numero 
delle operazioni che gli uffici compiono, tra le quali � facile incorrere in 
irregolarit�, sia perch� la nodfica ha il duplice effetto di impedire la decadenza 
dell'ufficio e di far decorrere il termine per il ricorso del soggetto 
passivo. Ci� porrebbe in termini drammatici le questioni sulla regolarit� della 
notifica: la tutela giurisdizionale del contribuente pu� essere salvata solo 
affermando la decadenza dell'Amministrazione dal potere di accertare (o viceversa). 
Ma la decisione su questo contrasto non � semrpre possibile perch� 
vi sono situazioni in cui il destinatario pu� non avere avuto conoscenza 
dell'atto, ma allo stesso tempo al notificante non pu� essere imputata alcuna 
negligenza sicch� non � possibile una decisione (mors tua vita mea) giusta. 
Di ci� offre un esempio la decisione in parola quando (prima massima) 
ipotizza che la notificazione a mani di persona dichiaratasi legata da un 
rapporto di parentela e convivente possa cadere a seguito della prova successivamente 
data, di una presenza meramente occasionale; e pi� spesso di 
quanto pu� sembrare, ci si trova di fronte a situazioni irrisolvibili nettamente 
a favore di una o di altra parte. In casi del genere se si potrebbe 
indulgere in favore del destinatario della notificazione, quando la notifica 
pu� essere ripetuta senza preclusioni (come per la citazione). non si pu� pi� 
ammettere un orientamento di salvataggio quando l'irregolarit� della notifica 
d� luogo a decadenza per la parte istante (come per l'arppello). 

In considerazione di tali difficolt� nel processo civile, assai pi� perfe� 
zionato, � stata introdotta la regola (art. 291 c.p.c.) che attraverso la rinnovazione, 
che il giudice deve 011dinare invece di dichiarare la nullit� della 
notificazione, si sana ogni decadenza sia per la parte istante sia per la parte 
destinataria; ci� significa che il t~o della notificazione si sdoppia: per la 
parte istante vale ai fini dell'impedimento �della decadenza la data della 
prima notificazione bench� irregolare; per la parte destinataria vale a tutti 
gli effetti la data derla notificazione rinnovata..Solo cos� � possibile superare 
quella drammatica alternativa senza uscita di cui si � detto. 

12 



334 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

Decorso; senza impugnazione, il termine di legge, l'Ufficio provvedeva 
a notificare al Saraca le iscrizioni a ruolo. 

Il Saraca: proponeva contro tali iscrizioni ricorso davanti la Com� 
missione tributaria di primo grado deducendo che gli avvisi di accer� 
tamento � erano stati irritualmente consegnati alla suocera, non convi� 
vehte, mentre � passava nei pressi del Comune � e che egli : ne era 
venuto� a conoscenza quando era gi� decorso il termine utile per � hn� 
pugnare gli accertamenti. Produceva due certificazioni anagrafiche attestanti 
che la suocera viveva altrove con il suo nucleo familiare. 

�ome � noto il princiiJ,,io dell'art. ~1 � stato esteso a tutti i processi, 
anclie ove non esista giudice istruttore, ed era stato ritenuto applicabile 
anche al processo tributario dell'ordinamento abrogato (Relazione Avvocatura 
Stato, 1971-75, Il, 578). 

Analogia ancora maggiore con la materia in esame presenta la normativa 
.in materia di ingiunzione� ordinaria,.:Jn questo ..caso infatti la. notifica del 
decreto � rilevante. al duplice fine della inefficacia del decreto (art. 644 c.p.c.)edella decorrenza del termine per l'OPJ?OSizione (art. 641 e 645); ma Se nasce 
.un sospetto s�na regolarit� della nntifica, da un canto il giudice che ha 
emesso il decreto deve. ordinare cl;te �sia rinnovata la notificazione .quando 
risulta o' appare .probabile ohe l'intimato non abbia avuto conoscenza. del 
decreto (art. 647), dall'altro, l'intimato pu� fare opposizione taroiva se prova 

I

lli

,di .;non aver avuto conoscenza del decreto per irregolarit� della notificazione 
O� per caso. fortuito o forza maggiore (art. 650). L'interesse delle due parti 
viene 'cos� . tutelato, al di l� di quanto possa risultare da un rigoroso esame 
della validit� della notifica, sui presupposto che la notifica formalmente regolare 
possa non aver raggiunto lo SCO!PO e che le pur valide eccezioni dell'intimato 
non .possono pregiudicare il diligente procedente. Si deve sottolineare 
al riguardo come le norme citate bandiscono il formalismo quando 
impongono la rinnovazione anche quando appare �probabile � la mancata 
conoscenza e ammettono� la opposizione tardiva quando nono.stante regolare 
notifica, .l'atto non abbia raggiunto ,lo SCOJPO per caso fortuito O forza maggiore. 

II. -Non si pu� supporre che. il legislatore della riforma del processo 
I

tributario, abbia inteso discostarsi da un tale indirizzo per imporre un sistema 
di maggior rigore proprio nella materia nella quale il conflitto fra interessi 
insanabilment� contrapposti � gem:ralizzato; peraltro, in mancanza di una 
norma specifica, l'art. 291 avrebbe trovato comunque applicazione. La norma 
�lell'art. 21 del d.P.R. n. 636/1972, non pu� essere letta se non nel solco 
dell'esperienza dell'art. 291 e norme analoghe; la specificit� dell'art. 21 sta 
solo nel punto che � rivC1lto alla notificazione di atti che, pur essendo 
strettamente pregiudiziali al processo, non sono processuali in senso stretto. 
Ma l'art. 21, nel testo originario in modo specifico e nel testo novellato in 
modo pi� generico, ha la stessa portata dell'art. 291, produce cio� lo sdoppiamento 
temporale della notificazi.one rispetto alla parte istante ed alla parte 
destinataria; quando viene eccepita la irregolarit� della notifica (l'ipotesi pi� 
significativa � quella dell'atto apparentemente regolare da un esame testuale 
ma che non ha ra~iunto lo scopo per un _fatto conoscibile solo a seguito 
di eccezione del destinatario, quando in sostanza le due parti sono . pariteticamente 
dalla parte della ragione),. la .commissione. non deve� stabilire .. con un 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 335 

Si costituiva l'ufficio ed eccepiva che " la mancata indicazione del 
luogo della notifica .degli avvisi di accertamento � irrilevante .�perch� 
non solo il Saraca stesso ha ammesso di essere venuto in possesso degli 
avvisi ma ne ha dato ampia dimostrazione allegandone fotocopie al ricorso. 
Gli avvisi hanno, perci�, raggiunto lo scopo cui erano destinati. 
Che gli avvisi di accertamento poi -gli siano stati consegnati non in 
tempo utile per produrre gravame lo assedsce il contribuente senza 
poterne dare alcuna prova. Comunque ove a Codesta Commissione � s�>r� 
gano dubbi circa le asserzioni del contribuente, lo scrivente, visti gli 
artt. 160 e 162 c.p.c. chiede in subordine l'applicazione dell'art. 21 d.P.R. 

n. 636 >>. 
colpo di accetta se l'Amministrazione � decaduta dal potere di accertare o 
se il ricorso � inammissibile, ma deve semplicemente oroinare la rinnovazione 
che impedisce la decadenza per ambedue le parti. In vista cli� ci�--verranno 
a cadere anche molte contestazioni giacch� le parti non avranno pi� interesst:i 
ad eccepire irregolarit� delle quali pu� essere facilmente ottenuta sanatoria. 

Nel testo novellato l'art. 21 concepisce la sanatoria in termini di molt~ 
ampiezza; la commissione se rileva. un vizio, con �rdinanza sospende il-pro, 
cesso e assegna un termine per la rinnovazione; la rinnovazione impedisce 
ogni decadenza e fa cessare 1a materia. del contendere sui motivi che hanno 
determinato l'emissione dell'oOOinanza e perfino sui motivi che risultano accolti 
nell'atto rinnovato. L'ordinanza, pronunciata CC)I1 cpgnizione sommaria, ha lo 
scopo di troncare sul nascere tutte le questioni sui vizi formali senza� dare 
ingresso a discussioni aipiprofondite in sede di decisione; i vizi denunciati 
vengono eliminati prima ancora di verificare funditus se essi sussistano .realmente; 
come nell'opposizione alla ingiunzione oroinaria, la sanatoria,� che 
giova ad� ambedue le parti, ha la funzione di semplificare il processo per 
aprire l'accesso al merito, superando 'le questioni pregiudiziali. 

La portata dell'art. 21 � stata interpretata, non senza fondamento, nel 
senso che l'ordinanza che dispone la rinnovazione abbia sostanza decisoria 
e vincolante, per la futura decisione su quanto � stato oggetto di sanatoria 
(CONSOLO, Irrevocabilit� dell'ordinanza che dispone la rinnovazione dell'atto 
impugnato e rimedi concessi nei suoi confronti, in Rass. Trib., 1985, II 687; 
~D., Sul contenuto e sulla natura decisoria di merito dell'ordinanza di rinnovazione 
ex art. 21 d.P.R. n. 636 e della conseguiente eventuale dichiarazione 
di cessazione della materia del contendere, in Giur. it., 1988, III, 1, 17, GLENDI\ 
La sanatoria delle nullit� di notifica degli atti impugnabili nel -processo tributario, 
in Riv. dir. finanz., 1978, I, 80). Questa ricostruzione (che peraltro d� 
luogo a complesse questioni sulla impugnabilit� della � oroinanza � a carattere:; 
decisorio di cui non pu� ragionarsi in questa sede) riconferma ed amplifica 
la finalit� de11a norma di espellere dal processo tributario le questioni di 
rito puramente formali. 

III. -La norma dell'art. 21 � dunque molto saggia. 
Contro di essa si � invece sviluppata una reazione diretta a svuotarla 
di contenuto partendo dalla erronea convinzione che essa abbia introdotto 
un privilegio per l'Amministrazione, senza considerare che la sanatoria giova 
anche al soggetto passivo che non abbia proposto ricorso tempestivo. Si � 
cominciato col dire che la norma era inattuabile in quanto prevedeva la 



336 

RASSEGNA �DELL'AVVOCATURA. DELLO' STATO. 

La Commissione adita ci.gettava il ricorso, che, tuttavia, veniva ac� 
colto, su appello del curatore del fallimento, nel frattempo dichiarato, 
del Saraca, dalla Commissione tributaria di 2� grado. 

L'Ufficio ricorreva alla Commissione centrale delle Imposte, la quale, 
con la decisione indicata in epigrafe, rigettava il gravame. 

Osservava la Commissione centrale che la validit� della notificazione 
degli avvisi di accertamento va esclusa essendo stati essi consegnati 
ad un parente (del contribuente) � che vive in un appartamento autonomo 
ed indipendente sito in una via diversa da quella del contribuente� 
(medesimo). Deve ritenersi nulla la notifica di un accertamento effet� 
tuato nelle mani di un parente del contribuente del quale non si evince 
in alcun modo l'esistenza di un rapporto col destinatario dell'atto. Aggiungeva, 
poi, la Commissione centrale che �l'art. 21 d.P.R. n. 636 del 
1972 non � applicabile nell'ipotesi del ricorso contro il ruolo, se la nul


sanatoria nei cast m cui con la propos1z1one del ricorso l'effetto sanante si 
era gi� verificato (v. autori citati in MuscARA, Commentario delle leggi sul 
contenzioso tributario, diretto da C. GLENDI, Milano 1990, 395 s. s.), per arrivare 
a dubitare della legittimit� costituzionale; si � pensato che fossero s�i:J.abili 

I soltanto le irregolarit� minori ~Cass. 26 gennaio 1981 n. 572 in questa Rassegna, 
1981, I, 807; 24 maggio 1984 n. 3191, ivi rn84, I, 780), si � sostenuto, contro 

I

ogni logica, che la sanatoria potesse intervenire solo se non era ancora ~ 
avverata la decadenza (MUSCARA, op. cit., 445 ss.) e si � perfino messo in 
dubbio che a seguito della novella del 1~81 fosse sopravvissuta la sanatoria 

I 

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della notifica. 
Ma soprattutto si � affermato, come la sentenza in rassegna ripete, 

I ~

che la notifica dell'avviso di acoertamento non � sanabile n� con il raggiungimento 
dello scopo n� con la rinnovazione quando il ricorso � proposto 
contro un atto successivo (ruolo, ingiunzione), nemmeno se l'impugnazione 
si fonda per l'appunto sulla inesistenza, per nu11it� della notifica, dell'atto 
anteriore. 

La dottrina � tutta schierata in tal senso sia nella convinzione che 
questa debba ess�re la �soluzione corretta (GLENDI, La sanatoria delle nullit�, 

Icit.), sia nella convinzione che questa sia una incongruenza riparabile solo 
in sede legislativa (Russo, L'art. 21 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636: problemi 

I 

interpretativi e proposte di modifica, in Riv. dir. finanz. 1976, II, 95; ID., 
MAFFEZZONI, Atti impugnabili e funzione del processo avanti le commissioni 
tributarie, in Rass. trib., 1976, 1390; MuscARA, Contributo all'inquadramento 
sistematico dell'istituto della rinnovazione dell'atto impugnato, in Riv. dir. 
finanz., 1990, I, 63, ID., Commentari-O cit.). Da parte sua la giurisprudenza, con 
pronunzie poco approfondite si � posta sulla stessa linea (1Prima deHa sentenza 
ora in esame, v. C�.ss. 10 novembre 1979, n. 57189, Foro it., 1980, I, 1034; 26 
gennaio 1981 n. 572, in questa Rassegna, 1981, I, 807; 12 aprile 1984 n. 2358 in 
Rass. trib. 1985, Il, 551). 

In questo modo la norma viene veramente sterilizzata. Potr� funzionare 
solo quando il contribuente ingenuamente impugna l'accertamento per dedurre 
il vizio di notificazione, cosa che nessuno far� potendo sollevare la stessa 
eccezione impugnando il successivo atto di riscossione� senza dare occasione 
alla possibilit� di sanatoria. 

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PARTE .1;� SEZ � .V> GIURISPRUDENZA� TRIBUTARIA ..337 

lit� riguarda non l'iscrizione a ruolo, oggetto del gravame, ma il precedente 
avviso di accertamento�. 
Ha proposto ricorso per cassazione l'Amministrazione delle Finanze, 
sulla base di due motivi. Non si � costituito il Fallimento del Saraca. 

Motivi della decisione 

Con il primo mezzo l'Amministrazione ricorrente deduce la violazione 
dell'art. 139 c.p.c. nonch� vizi di motivazione sostenendo che � tale 
norma non richiede necessariamente un rapporto di convivenza con il 
destinatario dell'atto, allorch� il familiare, che si trovi nella casa del 
destinatario, accetti l'atto senza riserve, salvo restando la dimostrazione 
da parte di quest'ultimo, che assume di non aver ricevuto l'atto, dell'assoluta 
occasionalit� della presenza del familiare medesimo. Nel caso 
di specie -sottolinea l'Amministrazione -la C.T.C. non ha considerato 
che la notifica risultava eseguita nella casa del Saraca, che la suocera 

IV. -La questione va riconsiderata integralmente. 
Non si nega che, secondo la lettera dell'art. 21, l'atto rinnovabile sia sol� 
quello contro il quale il ricorso � stato proposto. Ma, a parte la necessit� 
di interpretare la norma in modo ohe abbia un senso, bisogna chiarire che 
cosa debba intendersi per atto contro il quale il ricorso � proposto 

L'art. 21 nel testo originario prevedeva la rinnovazione quando la notifica 
dell'atto iII11Pugnato fosse nulla ai sensi dell'art. 160 c,p.c. La rinnovazione 
presupponeva dunque che una notifica fosse stata eseguita, sia pure in modo 
imperfetto. Nello stesso senso va intesa la norma, con formulazione assai 
pi� ampia, dell'art. 21 novellato: � rinnovabile l'atto viziato: cio� la notifica 
irregolare n�n la notifica mai eseguita. prima della scadenza del termine di 
decadenza. 

Ora immaginiamo la sequenza normale degli eventi, supponendo la buona 
fede delle parti: l'ufficio fa notificare l'accertamento e l'operazione, almeno 
di norma, appare regolare e tale da giustificare, a seguito della mancata 
impugnazione, la iscrizione a ruolo a titolo .definitivo; ricevuta la notifica del 
ruolo il soggetto passivo propone il ricorso contro questo atto (il solo 
esistente secondo la sua visuale) affermando di non aver mai ricevuto la 
notifica di un precedente accertamento; ma l'ufficio esibisce l'accertamento 
con una relata di notifica eseguita. A questo punto il ricorrente deve .necessariamente 
scegliere: o si arrende riconoscendo che vi � stata una notifica 
regolare, con il che il ricorso contro il ruolo risulter� pienamente infondato, 
oppure impugna l'accertamento, anche se soltanto per la sua notificazione, 
per farne dichiarare la nullit� e sa!lvare cos� il ricorso contro il ruolo. Solo 
con la dichiarazione di nullit� � della notifica dell'accertamento potr� accogliersi 
il ricorso contro il ruolo; ma la nullit� della notifica dell'accertamento 
pu� essere dichiarata solo se viene prorposto ricorso contro questo atto. 

Quando si controverte sul punto se il ruolo � stato o meno preceduto 
da un accertamento ed un atto di accertamento materialmente esiste, la 
discussione non solo si estende ma si focalizza sulla validit� dell'accertamento. 
� dunque assai poco perspicuo affermare che in tal caso il ricorso � diretto 
soltanto contro il ruolo. 



338 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


non solo era � persona di famiglia �, ma addirittura era addetta alla 
casa con continuit� e stabilit�, anche se anagraficamente residente al


trove�. 

La censura � infondata. 

La tesi, esposta dall'Amministrazione, si richiama alla giurispruden� 
za, ormai consolidata, di questa Corte (oltre la sent. n. 397 del 1979, cit. 
dalla ricorrente, fra le pi� recenti sent. n. 3304 del 1985, n. 7191 del 1986, 

n. 5984 del 1987, n. 939 del 1988), secondo la quale ai sensi dell'art. 139, 
comma II, c.p.c. la validit� della notificazione a persona di famiglia 
non postula necessariamente un rapporto di convivenza con il destinatario 
dell'atto (intesa, stricto sensu, come appartenenza allo stesso nucleo 
familiare), comprendendo l'espressione usata da tale norma anche i 
soggetti legati al destinatario da vincoli di sangue o rapporti di parentela 
e rinvenuti nella casa di questo, cos� da lasciar presumere la successiva 
consegna dell'atto al notificando. Ne consegue, secondo tale 
giurisprudenza, che, nel caso in cui la persona di famiglia, reperita da1l'ufficiale 
giudiziario nella casa di abitazione del destinat,ario, accetti di 
ricevere l'atto senza riserve, la validit� della notificazione pu� essere 
esclusa soltanto se il notificando, il quale assuma di non aver rice-
Quandq poi, cOine nel caso deciso, il soggetto passivo gi� con il ricorso 

proposto dopo la notifica del ruolo, deduce la nullit� della notifica dell'accer


tamento pur venuta in suo possesso, � ancor pi� manifesto che il ricorso 

� proposto anche, anzi soprattutto, contro l'accertamento. 

Sembrerebbe che secondo la tesi ohe qui si critica la nuliJ.it� della notifica 

dell'accertamento sia data come un presUJpposto pacifico . (al pari della notifica 

omessa); ma � . evidente che quando una notifica esiste, quale che sia la 

gravit� del vizio, deve considerarsi efficace fino a quando non sia annullata 

a seguito di specifica domanda. � pacifico che l'accertamento � un atto 

ricettizio la cui notificazione � elemento essenziale; denunziando la irregolarit� 

della notifica si colpisce l'accertamento nella sua totalit�; il che � per l'appunto 

lo scopo del ricorso diretto a dimostrare che il ruolo non � stato preceduto 

dall'accertamento. 

Risorge cos� il dovere del giudice di ordinare la rinnovazione anzich� 

pronunziare la nullit�. Altrimenti si riproporrebbe la stessa situazione senza 

uscita (o la decadenza dell'Amministrazione o la definitivit� dell'accertamento) 

che non sempre pu� essere risolta in modo umanamente giusto e che solo 

la sanatoria pu� superare. Ma questa sanatoria non � un privilegio per 

l'Amministrazione; � anche interesse del contribuente essere rimesso in corsa 

per impugnare l'accertamento0 piuttosto che correre il rischio del rigetto del 

ricorso contro il ruolo. Lo scopo dell'art. 21, come dell'art. 291 c.p.c., non � 

quello di favorire l'una o l'altra parte, ma quello di sdoppiare iI tempo 

!

di riferimento della notificazione con salvezza di ambedue le parti. Impedire 

questo risultato significa recar danno a tutte le parti che si troverebbero ! 

costrette ad affrontare il rischio di una imprevedibile decisione di rito. l 

Tutto quanto precede, assume maggior valore se si parte dalla premessa 

ormai fermissima in giurisprudenza (da ultimo Cass. 26 ottobre 1988 n. 5783 

e 5782 in questa Rassegna, 1989, I, 304) che il processo tributario � un giudizio 

I 

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339

PARTE I, SBZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vuto l'atto, dia la dimostrazione che la presenza in casa del familiare 
era del tutto occasionale e momentanea, non essendo invece sufficiente 
la produzione della certificazione anagrafica attestante che il familiare, 
al quale � stato consegnato l'atto, risieda o abiti altrove. Senonch� la 
giurisprudenza cos� richiamata esige per la validit� della notifica che 
il familiare, il quale abbia ricevuto l'atto senza riserva, sia stato rinvenuto 
nella casa di abitazione, come del resto si desume dal testo del 
secondo comma dell'art. 139 c.p.c., non essendo sufficiente l'indicazione 
del solo vincolo familiare (espressamente in tal senso Cass.,. sent. n. 2830 
del 1985) e che del predetto rinvenimento sia dato atto nella relazione 
di notifica (Cass., sent. n. 1944 del 1972). Nella specie, a prescindere dall'affermazione 
del Saraca -effettuata nel ricorso alla Commissione di 
primo grado e ripetuta nelle successive fasi di merito, mai contestata dal!'
Amministrazione finanziaria, se non per la prima volta in modo apodittico 
nell'odierno ricorso (1) -secondo la quale l'atto veniva consegnato 
alla suocera per strada, va rilevato che la relazione di notifica 
(peraltro non sottoscritta dalla suocera) non attesta affatto ~che . .questa 
veniva rinvenuta dall'ufficiale �giudiziario nella casa di abitazione del 

di accertamento sostanziale del rapporto di imposta introdotto per il tramite 
della impugnazione di un atto; il� ricorso alla Commissione non � impugnazione 
di un atto ma piuttosto successivo ad. un atto. 

Non si pu� quindi parlare in modo esasperatamente formale di atto 
contro il quale il ricorso � stato proposto per individuare un atto (ruolo) 
ed escluderne altro (accertamento); il ricorso. pu� ben essere a cavallo dell'uno 
e dell'altro in quanto mira non all'annullamento di un atto ma alla 
dichiarazione di inesistenza della obbligazione. S quindi da escludere che 
nel ricorso proposto successivamente alla notifica del ruolo non possa essere 
contenuta anche; sia pure come mezzo al fine, la contestazione di un atto 
diverso. 

Potr� tuttalipi� presentarsi qualche difficolt� sul modo e sulla forma della 
impugnazione dell'accertamento successivamente al ricorso contro il ruolo. 
Nel caso esaminato nessun problema si presentava perch� il ricorso contro 
il ruolo gi� conteneva il ricorso contro l'accertamento. Quando il ricorso sia 
proposto soltanto contro il ruolo ignorando (o fingendo di ignorare) l'esistenza 
di un accertamento, che viene prodotto dall'ufficio nel corso del processo, 
e il ricorrente ne intende contestare la validit� nasce il problema se ci� 
possa farsi nello stesso processo (e con quale atto) o debba essere proposto 
ricorso autonomo (che potr� essere riunito al primo); la seconda soluzione 
potrebbe apparire pi� corretta quando contro l'accertamento si voglia proporre 
anche ricorso di merito. Ma tutto questo non influisce sul problema 
che stiamo esaminando: quando in qualunque modo sia contestata la validit� 
della notifica il giudice deve ordinare la rinnovazione. 

Non si pu� condividere la sentenza in commento ove afferma che il 
contribuente dopo aver ricorso contro il ruolo pu� domandare una pura 
e semplice dichiarazione di nullit� dell'accertamento a causa di un vizio 
di notifica o ricorrere contro l'accertamento per ragioni di merito o proporre 
l'una e l'altra azione e che nella prima ipotesi i:I ricorso non investe l'accer




340 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

contrib�ente. Anche a tale omissione ha inteso riferirsi la Commissione 

�centrale, allorch� dopo aver dato atto della deduzione del Saraca che 
gli avvisi di accertamento erano stati irritualmente notificati per strada 
alla di lui suocera, ha ritenuto la nullit� della notifica di un accertamento 
effettuata nelle mani di un parente del contribuente �del quale non 
si evince in alcun modo l'esistenza di un rapporto di convivenza col 
destinatario dell'atto�, giacch� un rapporto di convivenza, sia pure in 
senso lato, fra il destinatario dell'atto e il consegnatario, ma comunque 
sufficiente a far presumere che quest'ultimo consegner� al primo l'atto 
medesimo, non pu� evincersi che dal rinvenimento, specificamente attestato 
nella: relazione di notifica, del parente nella casa di abitazione del 
contribuente. 

Pertanto esattamente e con congrua motivazione la decisione impugnata 
ha affermato la nullit� del ruolo in conseguenza della nullit�, 
�ai sensi dell'art. 160 c.p.c., della notifica degli avvisi di accertamento, 
nullit� quest'ultima che non si � sanata con la produzione degli avvisi 

tamento. � questa una distinzione del tutto arbitraria fra vizi dell'accertamento 
che ne importano la nullit�. 
Non possono di conseguenza esservi ostacoli alla applicazione dell'art. 21 
in tutta la sua ampiezza. 

V . ..., Non sembra possa sostenersi che la questione della validit� della 
notifica dell'accertamento possa essere decisa incidenter tantum nel giudizio 
relativo al ruolo. 
Si discute dell'unico rapporto tributario fra le stesse parti nel quale la 
validit� della notifica dell'accertamento � rilevante ai fini sostanziali in quanto 
tende ad affermare che l'Amministrazione non ha diritto all'imposta e non 
ha il potere di procedere alla riscossione; la dichiarazione di nullit� della 
notifica travolge la validit� dell'accertamento a tutti gli effetti. La pronunzia 
sul punto ha pertanto efficacia di gtudicato. In ogni caso, ai fini dell'art. 21, 
quel che rileva � che esista un ricorso contro l'atto volto ad ottenere una 
pronunzia della Commissione, non importa se incidenter tantum o con efficacia 
di giudicato.. 

Approfondendo questa questione, occorre considerare lo stretto legame che 
esiste tra notificazione dell'accertamento e iscrizione a ruolo; non � possibile 
stabilire una separazione netta che possa far ritenere accertamento e ruolo 
come entit� indipendenti e tali da determinare sempre due processi assolutamente 
indipendenti. La notifica dell'accertamento � rilevante non solo per la 
validit� dell'accertamento stesso ma altres� per la validit� del ruolo, ma nello 

II 

�stesso tempo la nullit� della notifica dell'accertamento non fa decorrere il 
termine per la sua impugnazione. Di conseguenza il ricorso contro il ruolo 
pu� fondarsi sulla inesistenza di precedente accertamento solo a seguito della 
affermazione della nullit� della sua notifica. Come la nullit� della notifica 
dell'accertamento � refluisce sulla validit� del ruolo � (si legge nella sentenza >��� 
che si commenta) cos� l'impugnazione del ruolo refluisce sulla impugnazione r dell'accertamento, anche se, secondo le varie modalit� di svolgimento, � 
avanzata in un momento successivo. 

Una situazione per molti versi analoga si presenta nella notifica del 
decreto di ingiunzione ordinaria; come si .�. visto, se questa � irregolare non 

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PARTE I, SEZ. V, GIVRISPRUDENZA TRIBVTARIA 341 

medesimi nel presente giudizio atteso che questo ha per oggetto soltanto 
l'invalidit� del ruolo, del titolo di iscrizione per mancanza del necessario 
presupposto (valida notific� degli avvisi di accertamento) e non l'invalidit� 
di quegli avvisi o degli accertamenti direttamente o comunque 
questioni di merito (attinenti all'an o al quantum dell'imposta). Al riguardo 
si deve sottolineare che questa Corte ha avuto occasione di precisare 
(sent. n. 5529 del 1981) che in caso di mancanza o irregolarit� 
della notifica dell'avviso di accertamento, tale vizio finisce per rifluire 
sulla validit� del ruolo ed il contribuente che ricorre contro il ruolo 
pu� o domandare, attraverso la denuncia di .detto vizio, una pura e 
semplice dichiarazione di nullit� del ruolo o introdurre la lite di merito 
(an o/e quantum dell'imposta) impugnando cos� l'accertamento oppure, 
infine, cumulare le due azioni con il medesimo ricorso. Essendosi, 
dunque il Saraca limitato ad impugnare il ruolo, tale impugnazione 
non pu� comportare che gli avvisi, seppure irritualmente notifi


si verifica l'inefficacia del decreto ex art. 644 c.p.c. e sar� invece ammessa 
l'opposizione tardiva ex art. 650. Ma, a norma dell'ultimo comma dell'art. 650, 
l'opposizione al decreto non � pi� ammessa decorsi dieci giorni dal primo 
atto di esecuzione e scaduto detto termine la nullit� della notifica non 
pu� essere eccepita in sede di opposizione all'esecuzione (GARBAGNATI, I pro� 
cedimenti d'ingiunzione e per convalida di sfratto, Milano 1979, 125). 

Risulta dunque, oltre ad un sistema di sanatoria della notifica irregolare 
del decreto, che l'opposizione alla esecuzione non pu� essere. dissociata 
dalla opposizione al decreto quando involga la validit� della notifica di esso 

o addirittura che non pu� farsi valere in sede di opposizione all'esecuzione 
la nullit� della notifica del decreto di ingiunzione. 
Questa disciplina non pu� essere trasportata tal quale nel processo 
tributario, ma non pu� essere non applicato il suo principio essenziale: il 
ricorso contro il ruolo, che � l'equivalente dell'opposizione all'esecuzione 
(BAFILE, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni nella fase 
esecutiva, in questa Rassegna, 1982, I, 592) non pu� essere dissociato dal 
ricorso contro l'accertamento (atto di determinazione dell'obbligazione) ove 
si fondi sulla inefficacia, per vizio di notifica, di quest'ultimo. 

Saranno ovviamente diverse le regole del coordinamento fra le due 
impugnazioni deferito allo stesso giudice e che possono anche essere unificate, 
ma resta sempre confermato il principio che solo impugnando l'atto che 
definisce l'obbligazione pu� dedursi la invalidit� del successivo atto di 
riscossione. 

In conclusione ogni volta che venga comunque impugnato l'accertamento 
per un vizio di notifica, non potr� non trovare applicazione l'art. 21. Ci� 
eviter� che il contribuente possa maliziosamente differire l'impugnazione del� 
l'accertamento del quale ha comunque avuto conoscenza, ma allo stesso tempo 
consentir� al contribuente che non ha potuto avere conoscenza dall'accertamento 
pur notificato in modo apparentemente regolare di proporre la sua 
impugnazione tardiva. E questa sembra essere la ratio dell'art. 21 chiaramente 
ispirato al superamento delle esasperate nu11it� formali in un processo (dei 
poveri) che si svolge senza la presenza necessaria di difensori. 

CARLO BAFILE 



342 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


cati, abbiano raggiunto il loro scopo e che il vizio della loro notifica si 
sia sanato. Il Saraca ha prodotto in questo giudizio gli avvisi di accertamento 
solo per provare che il ruolo era invalido per difetto del 
presupposto. 

Con il secondo motivo l'Amministrazione lamenta la violazione dell'art. 
21 d.P.R. n. 636 del 1972 con riferimento all'art. 360, n. 3, c.p.c. 
censurando la decisione della Commissione centrale per aver affermato 
che il detto art. 21 � applicabile solo con riguardo all'atto immediatamente 
e direttamente impugnato, laddove esso deve essere interpretato 
nel senso che � il rinnovo della notifica non si riferisca all'atto direttamente 
ed immediatamente impugnato, bens� all'atto costitutivo della pretesa 
tributaria, presupposto necessario a quello direttamente impugnato. 

Anche tale motivo � infondato. 

Questa Corte ha pi� volte affermato (sent. n. 5789 del 1979, n. 572 

del 1981, n. 2358 del 1984) che, quando il ricorso del contribuente abbia 
ad oggetto la legittimit� dell'iscrizione a ruolo sul presupposto c;lella 
mancanza o dell'invalidit� della notificazione di un accertamento non 
impugnato, non � consentito al giudice di disporre la rinnovazione di 
detta notificazione sulla base degli artt. 21 e 24 d.P.R. n. 636 del 1972, 
poich� tali norme, sia nella formulazione originaria sia, in modo ancora 
pi� puntuale, in quella conseguente alla notificazione di cui all'art. 13 

d.P.R. n. 739 del 1981, prevedono la rinnovazione, con efficacia sanante, 
solo della notificazione affetta da nullit�, dell'atto costituente oggetto 
immediato e diretto dell'impugnazione, senza che di esse, atteso il loro 
carattere eccezionale, ,sia possibile alcuna applicazione analogica. 
Non vi � argomento, esposto nell'odierno ricorso, che non sia 
stato gi� considerato nelle citate sentenze, onde non ricorre alcuna 
ragione che possa indurre a discostarsi da esse. Nella specie, come si � 
detto, � stato impugnato soltanto il ruolo e non anche l'accertamento, 
per cui non poteva essere disposta, come esattamente ha ritenuto la 
Commissione centrale, la rinnovazione della notifica dell'avviso di accertamento. 
(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 febbraio 1990 n. 1501 -Pres. Jofrida Est. 
Saggio -P. M. Dettori (diff.). Ministero delle Finanze (Avv. Stato 
Palatiello) e Scandroglio. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di bollo -Condono ex art. 31 dJ. 
10 luglio 1982, n. 429 -Avvenuto pagamento del tributo -Controversia 
pendente soltanto per le sanzioni -Inapplicabilit� del condono. 

(d.!. 10 luglio 1982 n. 429, art. 91). 

Il condono previsto nell'art. 31 del d.l. 10 luglio 1982 n. 429 presuppone 
la pendenza, in atto o virtuale, di una controversia sul debito di 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUtARlA 

343 

imposta e non si applica quando l'imposta sia stata definitivamente 
pagata anteriormente al 31 dicembre 1981 e sia pendente controversia 
soltanto sulle sanzioni (1). 

(omissis) 1. -La sentenza impugnata ha ritenuto che l'art. 31 della 
legge 7 agosto 1982, n. 516, laddove prevede, al quarto comma, che �per 
le altre controversie pendenti e le altre violazioni commesse fino alla 
data del 31 dicembre 1981 relative alle imposte indicate nel primo comma 
..., le soprattasse e le pene pecuniarie non ancora corrisposte e le 
altre sanzioni non penali non si applicano a condizione che il contribuente 
provveda o abbia provveduto al versamento del tributo dovuto �, 
comprende anche l'ipotesi in cui il contribuente abbia gi� interamente 
pagato l'imposta prima della entrata in vigore della legge di condono. 
La sentenza trae argomenti in favore di questa interpretazione dell'articolo 
31 dalla formulazione letterale dell'ultima parte del quarto comma 
che, come detto, subordina l'estensione del condono alle sanzioni 
non penali alla condizione che il contribuente provveda o abbia provveduto 
al pagamento del tributo dovuto... �. Muovendo da questa premessa, 
i giudici di merito hanno dichiarato la estinzione della controversia a 
norma dell'ultimo comma dello stesso art. 31, secondo cui � le controversie 
in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto si estinguono 
per effetto del pagamento dei tributi dovuti �. 

2. -Con l'unico motivo di ricorso l'Amministrazione censura la 
prospettata interpretazione del quarto comma dell'art. 31, affermando 
che la sentenza sarebbe viziata per violazione della detta disposizione. 
Secondo la ricorrente, infatti, il caso di specie non sarebbe riconducibile 
n� all'ipotesi di � altre controversie pendenti � n� a quella di � altre 
violazioni commesse fino al 31 dicembre 1981 �, ipotesi, questa, cui si 
riferisce per l'appunto il citato quarto comma dell'art. 3L Non si tratterebbe 
di � controversia pendente � giacch� con questa espressione il legislatore 
si sarebbe riferito esclusivamente alle controversie di imposta, 
e non anche a quelle relative a pene pecuniarie e soprattasse; non si tratterebbe 
neppure di � altre violazioni commesse � giacch� con questa 
(1) Riportandosi alla giurisprudenza formatasi sulla analoga norma del� 
l'art. 6 del d.l. 5 novembre 1973 n. 660 (Cass. 15 marzo 1975 n. 1015, in questa 
Rassegna, 1975, I, 379; 13 ottobre 1975 n. 3276, ivi, 1106; 20 gennaio 1976 n. 159, 
ivi, 1976, I, 116; 5 luglio 1982 n. 3996 in Riv. leg. fisc. 1983, 729) la S. C. riconferma 
che non sono suscettibili di condono le controversie riguardanti soltanto 
gli accessori del tributo (interessi o sanzioni). 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

344 


espressione il legislatore avrebbe inteso riferirsi soltanto alle violazioni 
non definitivamente accertate, mentre nel caso in esame la violazione 
della legge sul bollo venne accertata con regolare processo verbale nel 
lontano 1967 e per di pi� tale accertamento fu immediatamente seguito 
dal pagamento dell'imposta dovuta. 

La censura � fondata. 

3. -La nozione di � controversia pendente �, intesa come controversia 
relativa all'imposta, che l'amministrazione prospetta, deve essere 
condivisa. L'art. 31, infatti, con la suddetta formula postula per l'appunto 
la pendenza di un debito di imposta. Depone in tal senso il sistema 
complessivo dell'art. 31, che appare ancorato alla esistenza di una 
controversia tributaria; basti al riguardo considerare che i primi due 
commi del detto articolo concernono controversie di valutazione in relazione 
a talune categorie di tributi (imposte di registro, imposte sulle 
successioni e donazioni, imposte sull'incremento di valore degli immobili) 
e quindi, palesemente, tipiche controversie di imposta, e che la 
stessa portata va riconosciuta anche al quart� comma il quale, ispirandosi 
alla stessa logica, quando parla di � altre controversie pendenti � 
si vuole riferire a controversie che riguardano sempre il debito di imposta 
come dimostra l'inciso � ...relative alle imposte indicate nel primo 
c�mma e alle altre tasse e imposte indirette sugli affari�, che accompagna 
e qualifica l'espressione �altre controversie�, chiarendo cos� 
in modo testuale che deve trattarsi pur sempre di controversie tributarie. 
4. -Resta da stabilire se una controversia vertente esclusivamente 
sulla pena pecuniaria, come quella oggetto del presente giudizio, possa 
essere ricondotta nell'ambito della nozione di �altre violazioni commesse 
fino alla data del 31 dicembre 1981 �, che pure figura nel quarto comma 
dell'art. 31. 
La corte ritiene che a tale quesito debba rispondersi negativamente 
sulla base del tenore letterale e della ratio della disposizione. 

Va ribadito che le pendenze ammesse a definizione ex art. 31 riguardano 
tutte le situazioni relative all'imposta e soltanto quelle. Secondo 
questa logica va letta anche l'espressione � altre violazioni �. In favore 
di una tale interpretazione sta non soltanto il rilievo sistematico gi� 
svolto nel precedente par. 3, secondo cui l'art. 31 postula sempre una 
controversia d'imposta, ma altres� il dato testuale rappresentato dal-
l'inciso (anche sopra riportato) �relative alle imposte indicate nel primo 
comma e alle altre tasse e imposte indirette sugli affari � che chiarisce e 
circoscrive il contenuto della formula �altre riduzioni�. 


PARTE 'I, SEZ~ V,. GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

D'altronde, non va trascurato che, gi� secondo l'art. 6 del condono 
del 1973 (D.L. 5 novembre 1973, n. 660), le controversie pendenti in or. 
dine all'applicazione delle imposte venivano �distinte dalle �ltre violazioni, 
in relazione alle quali anche allora veniva menzionato il requisito 
della pendenza; e che tale disposizione venne ripetutamente interpretata 
da questa Corte nel senso che le pendenze riguardanti soltanto le sanzioni 
amministrative e gli interessi non fossero contemplate dalla norma 

(v. Cass. 31-10-75 n. 3276, 5-7c82 n. 3996). Ritiene il Collegio che anche 
l'art. 31 del provvedimento di condono del 1982 debba essere interpretato 
allo stesso modo, e ci� nonostante la formulazione parzialmente diversa, 
nonostante, cio�, che il detto art. 31, nella parte finale del quarto 
comma, preveda che le soprattasse e pene pecuniarie non si applicano 
quando il contribuente provveda o abbia provveduto al pagamento dell'imposta. 
Tale prescrizione, infatti, se � indubbio che riguardi il condono 
delle controversie pendenti, per le quali il tributo sia stato o debba 
essere versato, non pu� riguardare anche le violazioni definitivamente 
accertate in relazione alle quali il tributo sia gi� stato corrisposto, in 
quanto, ove si ammettesse una tale possibilit�, il condono si risolverebbe 
in una mera rinuncia ad un credito gi� certo, in contrasto con il 
fine dichiarato dalla legge di acquisire prontamente nuove entrate ed. in 
contrasto altres� con tutto il sistema del condono che appare ispirato 
allo schema dell'aliquid datum -aliquid retentum, nel senso che esso 
offre sempre al contribuente una scelta basata sulla convenienza, scelta 
che ovviamente implica un rapporto fra vantaggi e svantaggi connessi alla 
richiesta del beneficio. 
5. -In definitiva, l'art. 31 prevede testualmente la applicabilit� del 
condono a condizione che vi sia pendenza, in atto o anche virtuale, di 
una controversia avente per oggetto il debito di imposta. Questa previsione, 
che si sviluppa in relazione alle due ipotesi di controversia d'imposta 
attuale o solo virtuale, � ravvisabile sia nei primi due commi dell'art. 
31, riguardante rispettivamente le controversie pendenti il primo 
e quelle virtuali il secondo, sia nel contenuto del quarto comma che 
con la formula � altre controversie pendenti � riguarda le controversie 
in atto e con quella � altre violazioni � riguarda le controversie eventuali 
e future. Ove, quindi, al momento dell'entrata in vigore della legge sul 
condono, la controversia sull'imposta non si configuri, in quanto il 
tributo sia stato anteriormente gi� pagato, le disposizioni sul condono 
non si applicano e, quindi, non sono invocabili se la controversia abbia 
per oggetto, non l'imposta ma solo le sanzioni correlate alla violazione 
della legge tributaria. (omissis) 

346 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 27 . febbraio 1990, n. 1508 -Pres. Bolo


gna -Est. Saggio -P. M.. Zema (conf.). Orlando c. Ministero delle 

Finanze (Avv. Stato Zecca). 

Tributi erariali diretti -Imposta unica sul reddito delle persone fisiche Redditi 
di lavoro �autonomo -Presunzione di perceZione di corrlspet� 
tivo per l'opera prestata � Legittimit�. 

(d.P.R. 29 sette.'.lbre 1973, n. 597, art. 50; e.e. art. 2697). 
Legittimamente l'ufficio presume .che i crediti professionali siano 
stati riscossi in concomitanza con. la pr-estazione; spetta quindi al con� 
tribuente dare la prova di .aver percepito i compensi in un diverso pe� 
riodo di imposta o di non averli percepiti affatto (1). 

(omissis) L ;;.... Con il primo motivo di ricorso l'Orlando deduce l� 
violazione e (o) falsa applicazione dell'art. 50 del d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 597 e dell'art. 2697 c;c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Egli 
deduce che la Corte di merito avrebbe erroneamente considerato giustificato 
l'accertamento del reddito facendo leva sulla presunzione, secondo 
cui i crediti professionali verrebbero saldati subito dopo la prestazione, 

II ~ 
presunzione questa, che si risolverebbe� nella imposizione a carico del 
contribuente dell'onere di fornire una prova negativa (la prova, cio�, 
della mancata percezione in un dato periodo di un dato reddito) in 
contrasto con quanto dispone, in tema di ripartizione dell'onere della 
prova, l'art. 2697 e.e. L'erroneo ragionamento della Corte di appello com� 
porterebbe an�he la violazione dell'art. 50 del d.P.R. n. 597/73 relativo 
all'IRPEF, secondo cui l'imposizione deve riguardare esclusivamente i 
redditi percepiti nel periodo di imposta considerato: infatti, osserva 

I

il ricorrente, l'arbitraria presunzione circa l'effettiva percezione del 
reddito subito dopo la prestazione professionale avrebbe implicato .la 


I 

collocazione del reddito in un periodo di imposta diverso (e precedente) 
rispetto a quello effettivo, in contrasto col menzionato art. 50. Infine, 
stando al ricorrente, la prescrizione utilizzata sarebbe, oltre che in contrasto 
con la anzidetta disposizione di legge, anche errata nel merito, 


(1) Decisione di evidente esattezza. La presunzione � perfettamente ragionevole 
e la prova contraria non � evidentemente una prova negativa. La 
massima � importante perch� nei redditi di lavoro autonomo, che vanno 
imputati al periodo di imposta secondo il principio di cassa, pu� essere agevole 
il gioco al rimbalzo da un periodo all'altro col risultato di sottrarsi 
a tassazione in materia sicuramente imponibile. 

PARTE. I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

giacch� l'esperienza non confermerebbe il preteso stretto nesso temporale 
fra esaurimento della prestazione professionale e pagamento del 
compenso. 

Il motivo �, sotto ogni profilo, infondato. 

Il fatto che la Corte di merito abbia utilizzato una presunzione per 
individuare il momento della effettiva percezione del reddito � legittimo, 
in quanto conforme al criterio generale posto dall'art. 2727 e.e. Ci� 
non ha comportato per il contribuente l'onere di fornire una prova negativa, 
giacch� pu� parlarsi di prova negativa solo quando taluno per 
far valere un diritto fosse tenuto a dimostrare non solo i fatti costitutivi 
ma altres� la inesistenza di fatti estintivi. Non � certo questa la situazione 
del caso di specie, Qui l'Amministrazione fonda la pretesa fiscale 
su di una prova per presunzione ed il contribu�nte, per resistere, deve 
.contrastare tale prova e quindi, a questo fine, ha l'onere di dimostrare 
Un fatto, cio� la percezione del reddito in un periodo diverso da quello 
ritenuto, sulla base di un preciso riferimento probatorio, dalla Amministrazione, 
ovvero la esistenza di impedimenti alla percezione. Si noti, 
comunque, che questa dimostrazione, che il contribuente per difendersi 
� chiamato a dare, non costituisce concettualmente, una prova negativa 
giacch� non riguarda il mancato verificarsi di un fatto estintivo, o per 
lo meno non lo riguarda necessariamente. Il contribuente, infatti, come 
detto, pu� svolgere la sua difesa efficacemente sia dimostrando la percezione 
del reddito in un periodo diverso (e quindi un fatto positivo) 
sia dimostrando la esistenza di fattori che avevano impedito o che comunque 
erano idonei ad impedire l'incasso tempestivo dei compensi (e 
quindi anche in tal caso dei fatti positivi). Correttamente la Corte di 
appello ha rilevato a questo proposito che il contribuente, attesi i tempi 
del giudizio tributario (la decisione della Commissione di secondo 
grado � del 1983 e l'accertamento si riferisce al 1975), ebbe comunque 
tutto il tempo per fornire la anzidetta dimostrazione e vincere l'efficacia 
probatoria della presunZJione. 

Il ricorrente lamenta, in particolare, che la Corte di merito avrebbe 
fatto discendere la ritenuta presunzione dall'art. 2956 n. 2 e.e. (che prevede 
che il diritto dei professionisti al compenso si prescrive in tre 
anni) senza considerare che tale norma riguarda soltanto il rapporto 
fra i professionisti ed i loro clienti e non anche i terzi, come dovrebbe 
essere qualificata l'Amministrazione finanziaria. Questo rilievo � pretestuoso. 
Invero, i giudici di merito si sono riferiti all'art. 2956 e.e. solo 
per rafforzare la costruzione della presunzione, quindi come ad un indice 
di quanto normalmente accade, e non essere ad una fonte normativa 
da applicare (del resto non. si comprenderebbe come) alla. fatti� 
!'pecie. (omissis) 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STAT�

348 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 1� marz� 1990, n. 1548 -Pres. Bologna 

Est. Corda -P. M. Scala (conf.). C.O.N.I. c. Ministero delle Finanze 

(avv. Stato Zotta). 

Tributi erariali diretti -Imposta sui redditi di ricchezza mobile -Squadre 
nazionali di calcio -Convocazione di atleti di societ� sportive -Premi 
di partita -Rapporto di lavoro autonomo -Obbligo di ritenuta Esclusione. 


(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, art. 85, 87, 127 e 163; I. 23 marzo 1981 n. 91). 
I calciatori professionisti, anche anteriormente alla legge 23 marza 
1981 n. 91, sono legati alla societ� sportiva da un rapporto di lavoro 
subordinato, ma quando vengono convocati dalla Federazione Nazionale 
per l'effettuazione di gare internazionali prestano una attivit� di lavoro 
autonomo, s� che sui premi di partita non doveva essere eseguita la 
ritenuta di acconto dell'imposta di ricchezza mobile e complementare (1). 

(omisiss) 1. -La sentenza impugnata ha respinto la tesi del C.O.N.I. 
imperniata sull'assunto della natura esclusivamente �ludica� del rapporto, 
dopo avere osservato che essa non aveva fondamento giuridico, 
perch� non considerava che mentre per l'atleta dilettante lo sport resta 
allo stato puro, per l'atleta professionale lo sport si trasforma in lavoro, 
cio� in occupazione abituale e mezzo normale di sostentamento. 
N� un tale assunto teneva conto che anche prima della legge 23 marzo 
1981, n. 91 che ha espressamente qualificato � di lavoro � il rapporto 
avente ad oggetto la prestazione sportiva in favore e per conto della 
societ� di appartenenza, era ius receptum che i calciatori professionisti 
svolgessero in favore delle dette societ� un'attivit� di lavoro subordinato, 
contraddistinto dai caratteri di collaborazione, abitualit� e subor


(1) Questione originale, bench� riferita alla normativa anteriforma. In 
vero non sembra di molto rilievo la considerazione che a carico delle societ� 
sportive sia stabilito dal regolamento soltanto un pati piuttosto che un 
facere. Il problema � se la convocazione per un breve periodo presso la 
Federazione nazionale sia un episodio nell'ambito del rapporto di lavoro con 
la societ� ovvero un rapporto autonomo. Sarebbe comunque da vedere se un 
tale rapporto, pur se autonomo, non sia anch'esso di lavoro subordinato, 
nonostante la breve durata. 
Oggi la prestazione dei calciatori per la squadra nazionale sembra inquadrabile 
nell'ipotesi dell'art. 47 lett. b del D..P.R. n. 597/1973 e del t.u. n. 917/1986: 
i premi di partita sono COODJPensi percepiti a carico di terzi da prestatori 
di lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualit�, formula 
assai ampia in cui rientra il comando o distacco. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

dinazione (tipici, appunto del lavoro dipendente), e che anche l'attivit� 
svolta dai c.d. � tecnici � (allenatori, massaggiatori, medici sportivi, ecc.) 
costituiva lavoro subordinato. 

La sentenza, quindi, ha esaminato il rapporto che si instaura tra 
tali �lavoratori� (dipendenti delle singole societ�) e la F.I.G.C. (organo 
del C.O.N.I.) per l'effettuazione di gare internazionali (tra squadre � nazionali
�); ed ha rilevato che in virt� dell'art. 22 del Regolamento Or: 
ganico della detta F.I.G.C. le societ� calcistiche sono tenute a mettere a 
disposizione della Federazione i propri dipendenti, secondo specifiche richieste 
formulate. Di modo che, verificatosi il fatto della richiesta, sorge 
in capo alla societ� l'obbligo di fornire alla Federazione l'attivit� lavorativa 
dei propri dipendenti subordinati, e in capo a questi ultimi l'ob~ 
bligo di fornire quella prestazione, se pure per un tempo determinato: 
la figura giuridica che, quindi, viene posta in essere � quella del � comando
� o �distacco�, di modo che la �corresponsione dei c.d. �premi 
partita � si configurava come retribuzione per prestazione di lavoro subordinato. 


Con riferimento alla fattispecie tributaria che aveva dato luogo alla 
controversia, perci�, la sentenza ha osservato che, essendo la detta re: 
tribuzione tassabile in R.M. cotegori� C/2, non poteva ess�re negata la 
sussistenza dell'obbligo del datore di lavoro di effettuare 1a prescritta 
ritenuta. 

Con l'unico motivo di censura (denunciando la violazione di legge) 
il ricorrente C.O.N.I. ripropone la tesi dell'insussistenza di un qualunque 
rapporto di lavoro tra la F.I.G.C. e i calciatori professionisti �convocati 
in nazionale�; e ci� nell'assunto che le federazioni sportive, in 
quanto organi dell'ente pubblico C.0.N.I. che collaborano all'attivit� diretta 
ad �approntare gli atleti�; non possono assumere la veste di datori 
di lavoro subordinato nei confronti di tali atleti. Lo scopo �ludico� (continuo 
miglioramento del risultato sportivo) sarebbe il fine principale 
ed essenziale ( � la causa�) dell'ordinamento sportivo; mentre il fine 
utilitario o economico, perseguito dagli atleti professionali, sarebbe in 
quest'ambito un fine secondario, non essenziale, in quanto rappresenterebbe 
il � movente �, del professionista, non la � causa� del rapporto, la 
quale dovrebbe essere individuata con esclusivo riferimento ai fini perseguiti 
da quel particolare ordinamento giuridico che � l'ordinamento 
sportivo. 

La Corte osserva che il ricorso � fondato, anche se diversa deve es


sere l'argomentazione giuridica che sorregge la tesi esposta (quella del� 

l'insussistenza dell'obbligo di effettuazione della ritenuta d'acconto). 

Non ha fondamento, invero, l'assunto che i giocatori professionisti, 

una volta chiamati a far parte della squadra nazionale, sarebbero legati 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

350 

alla Federazione (che li ha convocati) solo da un vincolo sportivo, non 
anche da un vincolo di lavoro. Una tesi siffatta, infatti, stravolgerebbe 
tutti i principi del professionismo sportivo, recepiti non solo dall'ordinamento 
calcistico (e della maggior parte delle altre Federazioni), ma 
anche da quello statale. 

Parimenti infondata, per�, � la tesi esposta dalla sentenza impugnata, 
secondo la quale i calciatori professionisti, convocati a far parte 
della squadra nazionale conserverebbero nei confronti della Federazione 
la loro qualifica di lavoratori subordi..ati, ossia quella qualifica che 
rivestono nei confronti delle societ� di appartenenza. Una tale tesi, infatti, 
pu� in astratto essere costruita (come ha fatto la sentenza impugnata) 
mediante il ricorso all'istituto giuridico del �comando� o del 
�distacco�: il lavoratore dipendente verrebbe comandato di prestare la 
propria opera lavorativa a favore di un altro datore di lavoro, per un 
tempo determinato. Ma siffatta costruzione comporta si debba ritenere 
che il vincolo di subordinazione permanga anche nei confronti del � diverso 
� datore di lavoro (la Federazione); e questo urta contro ogni 
principio di quell'ordinamento, ,essendo quel tipo di subordinazione del 
tutto estraneo al rapporto in esame. La configurabilit� di un �comando 
� o � distacco�;, dovrebbe, infatti, essere riallacciata a un obbligo di 
facere delle societ� nei confronti della Federazione; ma un obbligo di tale 
natura � escluso dalle norme del Regolamento Organico (art. 22, nel 
testo vigente all'epoca dei fatti), il quale prevede semplicemente l'obbligo 
di un pati ( � le societ� sono tenute sempre e comunque a mettere i loro 
calciatori a disposizione della F.I.G.C. �). 

A tale proposito va osservato che detta disposizione regolamentare 

� unica, per le squadre del settore professionistico e per quelle del set


tore dilettantistico; e poich� non � concepibile il �comando� o � distac


co � dei giocatori dilettanti (non lavoratori), la sola conclusione che pu� 

trarsene � che il Regolamento Organico impone semplicemente il pati. 

Ma se cos� � -come pare indubitabile -deve concludersi che le so


ciet� devono soltanto consentire alla Federazione l'instaurazione di un 

temporaneo rapporto con il calciatore: di tipo semplicemente sportivo, 

se il calciatore � dilettante; di tipo anche lavorativo, se il calciatore � 

professionista. 

Da tutto ci� consegue che se la societ� datore di lavoro non ha ob


bligo di comandare (o distaccare) il proprio lavoratore subordinato in 

favore della federazione, ma ha semplicemente l'obbligo di �metterlo 

a disposizione� di quella; e se il rapporto tra la Federazione e il cal


ciatore professionista non pu� non essere che � di lavoro �, la conse


guenza che ne scaturisce � che il rapporto (temporaneo) che si instaura 

(appunto tra la Federazione e il calciatore professionista) � un rap� 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

porto di lavoro autonomo. Tertium non datur, perch� una volta escluso 
il rapporto dilettantistico, se il rapporto non � (e non pu� essere, se 
non si vuole gravare la societ� calcistica, o la Federazione, di oneri anche 
sportivi non previsti da norme regolamentari) di lavoro subordinato, 
non resta che inquadrare il rapporto medesimo nello schema del 
lavoro autonomo. 

Questa impostazione, del resto ha sempre improntato i rapporti 
tra la Federazione e le societ� del settore professionistico, tanto che � 
stata pienamente recepita dalla legge statale sul professionismo sportivo 
(legge 23 marzo 1981, n. 91). Questa infatti, con l'art. 9 stabilisce 
(nel primo comma) che � la prestazione a titolo oneroso dell'atleta costituisce 
oggetto di contratto di lavoro subordinato� e (nel secondo 
comma) che � essa costituisce, tuttavia, oggetto di lavoro autonomo 
quando (omissis) l'attivit� sia svolta nell'ambito di una singola manifestazione 
sportiva o di pi� manifestazioni tra loro collegate in un breve 
periodo di tempo �. 

Ora, posto che l'attivit� del calciatore nell'ambito della squadra nazionale 
si inquadra, proprio, nella seconda delle riportate previsioni normative; 
e considerato che la citata legge sul professionismo sportivo non 
pu� essere considerata norma regolatrice del caso concreto, perch� ad 
esso successiva, deve essere fatta una considerazione di tipo diverso, e 
precisamente la seguente: la legge non ha introdotto alcuna innovazione 
nel sistema, ma ha semplicemente preso atto di una realt� giuridica 
abbondantemente stratificata nella prassi, e ha tradotto quella in una 
norma espressa. Non pu�, peraltro, pretermettersi la considerazione 
che, presentandosi in sede giurisprudenziale un caso analogo a quello 
oggi all'esame ma ratione temporum rientrante nella disciplina della 
citata legge del 1981, dovr� sicuramente dirsi che il rapporto giuridico 
� di lavoro autonomo, perch� cos� lo definisce la legge. Ma gi� una 
tale definizione pu� correttamente essere anticipata, considerando, appunto 
che la definizione legale non � frutto di una volont� irrazionale, 
ma discende da una approfondita conoscenza della realt� giuridica di 
un ordinamento che � bens� particolare, ma che continuamente interseca 
l'ordinamento statale, poich� pone problemi di inclusione, negli schemi 
tradizionali, di negozi di per s� atipici. 

Allora per�, se il rapporto � definibile come di lavoro autonomo, 
rientrando questo, nel paradigma dell'imposta di ricchezza mobile, nella 
categoria C/l, la conseguenza che deve trarsene � che il datore di lavoro 
(in concreto la Federazione, per la quale � sempre stato in giudizio 
il C.O.N.I., senza che alcuno, abbia sollevato questioni circa la titolarit� 
del rapporto) non era obbligato ad effettuare alcuna ritenuta d'acconto. 

In tali sensi, quindi, il ricorso deve essere accolto. (Omissis). 


352 RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 29 marzo 1990, n. 2576 -Pres. Granata Est. 
Caturani. Massa c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). 


Tributi in genere -Accertamento tributario -Dichiarazione cli nullit� da 

parte della commissione -Nuovo accertamento notificato entro il 
termine di decadenza -Ammissibilit� -Limiti -Effetto del giudicato. 


(d.P.R. 29 settembre 1973, art. 43; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 21; e.e. art. 2909). 
L'accertamento che sia stato dichiarato nullo dalla Commissione 
tributaria pu� essere rinnovato entro il termine di decadenza con effetto 
ex nunc ma per ragioni diverse da quelle assunte a sostegno del primo 
accertamento annullato, in modo da non eludere il giudicato (1). 

(omissis) Con i due motivi del ricorso, denunziando violazione dei 
principi sulla cosa giudicata (art. 324 c.p.c.), erronea interpretazione dell'art. 
21 comma 2 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 sostituito dall'art. 13 

d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 e dell'art. 43 comma 3 d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600 nonch� difetto di motivazione (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.), la 
I ricorrente. sostiene, contrariamente a quanto ritenuto dall'impugnata 
sentenza: a) che l'Amministrazione finanziaria non ha il potere di reiterare 
nel termine di decadenza l'atto di accertamento tributario, cio� di 

Ijnotificare per lo stesso periodo d'imposta nuovi avvisi di accertamento 
ancorch� i precedenti siano stati dichiarati nulli con decisione della 

(1) Sulla rinnovabilit� dell'accertamento annullato. 
I -Sentenza molto importante che tocca; non sempre con approfondimento, 
problemi fondamentali. 
La motivazione � ricca di enunciati che conviene inizialmente evidenziare 
e riassumere. Si premette, richiamando giurisprudenza assai abbondante, che 

di fronte ad un accertamento mancante di una motivazione che risponda ai 
requisiti minimi, il giudice tributario deve limitarsi a dichiarare la nullit� 
sen2la poter conoscere il merito. A ci� segue che non pu� essere integrato 
(a norma dell'art. 43, comma 3, d.P.R. n. 600/1973) un accertamento nullo 
perch� la nullit� si estenderebbe anche all'integrazione. A questo riguardo 
si precisa, il che appare importante come si vedr�, che l'accertamento a 
seconda abbia o non abbia i requisiti minimi richiesti, � o non � � idoneo 
ad instaurare il rapporto contenzioso con il contribuente>>. Si riconosce che 
in base ai principi generali l'Amministrazione abbia il potere di reiterare 
l'avviso di accertamento nullo con effetto ex nunc (su di che esistono vari 
precedenti in materia di imposte indirette: Cass. 26 ottobre 1988 n. 5872 e 
5783, in questa Rassegna, 1989, 304; 17 marzo 1989 n. 1333, ivi, 1990, I, 139); 
ma, ed � questa la novit�, la rinnovazione non pu� eludere il giudicato, 
formale e sostanziale, con cui l'accertamento sia stato annullato, a causa della 
inidoneit� ad introdurre il rapporto contenzioso con .il contribuente sul merito 
della controversia. Di conseguenza, conciiiando la potest� piena dell'Ammi� 
nistrazione di provvedere ex novo sul rapporto con la impossibilit� di eludere 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 

Commissione tributaria passata in giudicato per mancanza di impugnativa; 
b) che nel caso in esame tale preclusione traeva fondamento anche 
dal fatto che i nuovi accertamenti contenevano la stessa motivazione 
dell'accertamento che il giudicato aveva dichiarato nullo e non erano 
stati quindi dedotti nuovi elementi venuti a conoscenza dell'ufficio successivamente, 
come � previsto dall'art. 43 comma 3 del d.P.R. n. 600/73. 

Il ricorso � fondato. 

Gli accertamenti di cui si discute nel presente giudizio si riferiscono 
ad imponibili IRPEF ed ILOR relativi agli anni 1974 e 1975; le 
censure formulate dalla ricorrente alla impugnata sentenza vanno quindi 
esaminate tenendo presente la disciplina contenuta nel d.P.R. 29 settembre 
1973, n. 600, contenente disposizioni comuni in materia di accertamento 
delle imposte sui redditi, ai sensi dell'art. 77 del citato decreto. 

Per quanto riguarda, in particolare, le norme relative all'accertamento 
dei redditi, viene in rilievo l'art. 43 comma 3 del d.P.R. cit -la cui interpretazione 
viene compiuta per la prima volta da questa Corte -secon� 
do cui, �fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti 

anche indirettamente il giudicato, si deve ritenere che l'Amministrazione nel 
rivalutare ex novo i presupposti dell'imposizione possa prendere in considera� 
zione � ragioni rimaste accantonate � in occasione del primo accertamento 
dando la spiegazione � del perch� quelle ragioni non furono poste a presidio 
dell'atto originario e del perch� si sia ritenuto di prenderle in constderazione 
solo successivamente all'annullamento dell'atto che era fondato su ragioni 
del tutto diverse �. � invece preclusa dal giudicato la rinnovazione di un 
avviso di accertamento recante la stessa motivazione di quello annullato. Ma 
infine quasi esemplificando, si precisa che se il primo accertamento � si sia 
richiamato ad un criterio che il giudicato abbia ritenuto incongruo� in sede 
di rinnovo non potr� essere utilizzato quello stesso criterio. 

In definitiva, almeno nelle imposte dirette (non � chiaro se con questa 
pronunzia debbano intendersi emendate le precedenti decisioni intervenute 
in materia di imposte indirette) la rinnovazione dell'accertamento dichiarato 
nullo pur ammessa in tesi � concretamente pressoch� impossibile, attesa la 
rara eventualit� dell'esistenza di �ragioni rimaste accantonate�. 

Questa conc1usione, poco coerente con le premesse, induce a riflettere 
su alcune contraddizioni fra le enunciazioni sopra riassunte. 

Il -� esatta la premessa che l'art. 43, comma 3 del d.P.R. n. 600/1973 
non � utilizzabile per rinnovare l'accertamento dichiarato nullo non soltanto 
perch� non si pu� integrare un atto nullo, la cui nullit� travolgerebbe anche 
l'integrazione, ma anche perch� l'integrazione considerata dalla norma � diretta 
ad accertare un maggiore imponibile sulla base di elementi nuovi prima non 
conosciuti. 

Quando per� si afferma che l'accertamento va riguardato come l'atto 

che sia o meno idoneo ad instaurare il rapporto contenzioso con il contribuente 
e si invoca il giudicato che ha dichiarato nullo l'aJCcertamento a 
causa di detta inidoneit� che non ha consentito al giudice di conoscere il 
merito, non si pu� parlare di giudicato sostanziale, preclusivo ex art. 2909 e.e. 
della rinnovazione dell'accertamento. Non � evidentemente possibile verificare 



354 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

l'accertamento pu� essere integrato o modificato in aumento mediante 
la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza 
di nuovi elementi. Nell'avviso devono essere specificamente indicati, a 
pena di nullit�, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali 
sono venuti a conoscenza dell'ufficio delle imposte �. 

Questa Corte si � gi� occupata, a Sezioni unite, -con sentenza 
del 17 marzo 1989, n. 1333 in tema di imposta di registro -della rinnovazione 
dell'avviso di accertamento nullo per difetto di motivazione entro 
il termine di legge, e pur tenendo presente una diversa disciplina giuridica 
(quella del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634), ha avuto modo di precisare 
che non pu� confondersi fra il potere processuale delle Commissioni 
tributarie di disporre, in certi limitati casi, la rinnovazione della notificazione 
dell'atto impugnato, ai sensi dell'art. 21 del d.P.R. 636/72 (poi sostituito 
in base all'art. 13 del d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 dal potere 
processuale di disporre la rinnovazione dell'atto impugnato solo in casi 
determinati) ed il potere sostanziale dell'Amministrazione di correggere 
gli errori dei propri provvedimenti entro i termini di legge. 

se il nuovo accertamento sia basato sulla stessa motivazione dell'accerta� 
mento che � stato annullato proprio perch� non aveva motivazione alcuna; 
l'annullamento a causa del totale difetto di motivazione non pu� avere con� 
tenuto sostanziale che si tramuti in un giudicato di merito. Diventa cos� 
inattuabile quel riscontro tra � ragioni rimaste accantonate � e ragioni gi� 
consumate con il primo accertamento. 

Se il giudicato .si arresta su motivi pregiudiziali al merito, non pu� 
avere efficacia sostanziale. Ma in vero la sentenza non segue una chiara 
distinzione tra giudicato formale e giudicato sostanziale quando riferisce (nel 
caso deciso) tutto il suo costrutto ad una decisione che ha ritenuto incongruo 
il criterio di stima; questa � infatti una decisione di merito che certamente 
preclude la rinnovazione dell'accertamento basato sullo stesso criterio; una 
tale decisione si pone su un piano del tutto diverso da quello di mero annui� 
lamento di accertamento non motivato, che cio� non contiene alcun criterio 
e non consente di giudicare se esso sia congruo o incongruo. 

Infine quella ipotizzata ricerca di ragioni rimaste� accantonate, del cui 
accantonamento va data giustificazione, � un riaffioramento quasi puntuale 
dell'integrazione dell'accertamento ex art. 43, comma 3, prima ritenuta impraticabile. 


III -Il problema pratico affrontato dalla sentenza non � di molta rilevanza 
giacch� assai raramente si presenta l'ipotesi ohe dopo il passaggio 
in giudicato della decisione della commissione non sia ancora maturato il 
termine di decadenza dell'art. 43, comma 1. Sono tuttavia di molto rilievo 
le proposizioni della sentenza sia sulle tematiche generali dell'accertamento 
e del processo, sia sulla rinnovazione dell'accertamento quando non sia 
ancora intervenuto il giudicato. 

Il richiamo della pi� recente giurisprudenza sulla natura del processo 
tributario trova nel successivo svolgimento della motivazione importanti approfondimenti. 
Ho gi� avuto occasione di osservare la difficile interpretazione 
della proposizione secondo la quale il processo � di accertamento del rap


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

355 

Posta questa preliminare distinzione dei due poteri, .la quale va tenuta 
presente anche in questa sede per quanto concerne il potere sostanziale 
dell'Amministrazione di rinnovazione dell'avviso di accertamento 
dei redditi ai fini dell'ILOR e dell'IRPEF, l'interpretazione del cit. art. 43 
comma 3 del d.P.R. n. 600/73, deve prendere le mosse dalla recente giurisprudenza 
delle Sezioni unite, la quale -sempre in tema di imposta di 
registro ed INVIM, ma con implicazioni che tornano applicabili all'accertamento 
tributalio in via generale -ha sottolineato che in mancanza 
di una motivazione che risponda ai requisiti minimi (richiesti in quella 
occasione agli effetti dell'imposta di registro e dell'INVIM), il giudice 
tributario deve limitarsi a dichiarare la nullit� dell'accertamento senza 
poter conoscere del merito. 

Ci� premesso, pu� convenirsi con la impugnata sentenza nel senso 
che l'art. 43 comma 3 in esame, prevedendo la possibilit� dell'integrazione 
o modificazione dell'accertamento dei redditi mediante la notificazione 
di nuovi avvisi, presuppone che il precedente non sia colpito 
da nullit�, non potendo ovviamente porsi alcun problema di integra-

porto tributario, sia pure attraverso il ricorso contro un atto che � il �veicolo 
di accesso al merito >>, ma tuttavia di fronte ad un atto non adeguatamente 
motivato, il giudice tributario deve limitarsi alla dichiarazione di nullit� 
senza poter conoscere del merito (BAFILE, Considerazioni diverse sulla natura 
del processo tributario, in Rass. Trib. 1986, I, 393; Io., Motivazione dell'accertamento 
come atto processuale, ivi, 1987, II, 84;; Io., Recentissime di giurisprudenza 
sulla natura del processo tributario, ivi, 19&7, I, 497; Riflessioni sulla 
dichiarazione e sul processo tributario, ivi, 1988, I, SB; Io., Motivazione dell'accertamento 
e natura del processo secondo l'ultimo indirizzo delle Sezioni 
Unite, ivi, 1989, 247). La necessit� di dichiarare la nullit� dell'accertamento 
non motivato non pu� essere intesa nel senso che il processo tributario � ad 
un tempo di annullamento degli atti illegittimi (come il processo amministrativo) 
e di accertamento del rapporto di diritto sog�gettivo (come il processo 
ordinario); l'impossibilit� di accedere al merito va interpretata, come si vedr�, 
in altro modo ma sempre nell'ambito di un processo di accertamento. 

Sotto tale profilo � importante, in termini generali anche se poco coerente 
al caso deciso, l'affermazione che il giudicato della Commissione preclude alla 
Amministrazione la emanazione di un nuovo atto. Ci� vuol dire che il giudicato 
del giudice tributario � di accertamento del rapporto. Se il processo tendesse 
soltanto, come da molti si sostiene, all'annullamento dell'atto, non potrebbe 
porsi in discussione, decadenze a parte, il potere dell'ufficio di intervenire con 
un nuovo atto a definire la situazione giuridica. La decisione soltanto demolitoria 
della commissione non potrebbe precludere, ma anzi richiederebbe, un 
nuovo provvedimento che risolva il conflitto di interessi relativo ad un rap� 
porto comunque indisponibile. 

Si deve quindi condividere in termini generali, sottolineandone l'importan� 
za, l'affermazione che il giudicato della Commissione preclude un nuovo intervento 
dell'ufficio anche se non si � ancora verificata la decadenza. 

IV. Resta per� ancora da chiarire la portata del particolare giudicato che, 
senza entrare nel merito, dichiara la nullit� dell'accertamento. 

356 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

zione e modificazione rispetto all'atto giuridico radicalmente nullo. L'at


to nullo non pu� essere integrato, ma soltanto rinnovato con effetto ex 

nunc; ad esso non � possibile ricondursi per operarne una qualsiasi ret~ 


tifica, la quale sarebbe a sua volta colpita da nullit�. 

La disciplina dell'art. 43 comma 3 non � quindi applicabile all'atto 

I

�di accertamento colpito da nullit�. E poich�, come si � accennato, in tema 

.di accertamento tributario non sussiste che l'alternativa tra atto idoneo 

ad instaurare il rapporto contenzioso col contribuente ed atto non ido


neo a tal fine, in quanto tertium non datur, ne consegue che l'interpre


tazione logico-sistematica della norma in oggetto conduce a questo ri


sultato: l'integrazione o modificazione dell'atto di accertamento dei red


diti ILOR e IRPEF da parte dell'Amministrazione presuppone che que


st'ultimo presenti in concreto (non interessa, ai fini che si considerano, 

stabilire quali essi siano) i requisiti minimi necessari per la sua idoneit� 

ad introdurre il rapporto contenzioso con il contribuente. 

Ove tale idoneit� difetti e l'atto di accertamento debba perci� ri


tenersi radicalmente nullo, l'art. 43 comma 3 � inapplicabile e si pone, 

Anche sotto tale profilo � di molto rilievo l'affermazione che nei riguardi 

dell'accertamento va stabilita, in insuperabile alternativa, se esso sia o meno 

�idoneo ad instaurare (o introdurre) il rapporto contezioso con il contribuente 

sul merito della controversia�; non � tale l'accertamento non portato a co


noscenza o inficiato da altri vizi formali o anche non adeguatamente moti� 

vato. Dunque l'accertamento inidoneo per vizi che precludono l'esame di me


rito va riguardato per la sua rilevanza nel processo. L'accertamento, come 

parallelamente la dichiarazione, predetermina l'oggetto ed i limiti del futuro 

eventuale processo; � cio� atto a contenuto spiccatamente processuale che si 

pone come antecedente necessario e non pi� esterno al processo. 

Bene a ragione si � precisato nelle sentenze commentate negli scritti so


pra richiamati che la motivazione dell'accertamento deve rispondere all'esi


genza di delimitare l'ambito delle ragioni adducibili dall'ufficio nell'eventuale 

fase contenziosa e di consentire al destinatario l'esercizio della difesa. Dun


que l'accertamento quando non raggiunge lo scopo, diventando inoppugnabile, 

di definire il rapporto, ha rilevanza nel processo come atto processuale. 

I

Da ci� discende che, come nel processo ordinario, � ben possibile la di


chiarazione di nullit� dell'atto sostanzialmente introduttivo; ma questo giu


dicato di contenuto meramente processuale non � preclusivo della riproposi


zione dello stesso atto se non sono maturate decadenze. La dichiarazione di 

nullit� dell'accertamento non ha alcun contenuto che possa fare stato fra le 

parti ex art. 2909 e.e. 

La sentenza che si commenta non ha avvertito la possibilit� che il giudicato 
possa essere solo formale ed � caduta nella contraddizione quando ha 
qualificato di solo annullamento il giudicato intervenuto nel caso deciso: quando 
la Commissione ha giudicato incongruo un criterio di stima ha sicuramente 
emesso una decisione di merito (e non ha annullato l'accertamento ritenendolo 
inidoneo ad introdurre il rapporto contenzioso sul merito); e sicuramente 
quello stesso criterio, risultante dalla motivazione, non pu� essere utilizzato 
per un successivo accertamento. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 

pertanto, il problema della sua possibile rinnovazione nel termine di decadenza. 


Secondo i principi generali, si deve convenire con l'Amministrazione 
finanziaria sul punto della possibile reiterazione dell'avviso di accertamento 
nullo con effetto ex nunc; questo principio, in s� esatto, deve tuttavia 
nel caso di specie essere confrontato con i principi attinenti all'efficacia 
della cosa giudicata (art. 2909 e.e.). 

Risulta infatti dall'impugnata sentenza che i primi avvisi di accertamento 
di rettifica degli imponibili IRPEF e ILOR per gli anni 1974 e 
1975 furono annullati dalla Commissione tributaria di primo grado di 
Alessandria con decisione 5 aprile 1979; che questa decisione passava in 
giudicato perch� l'ufficio non interponeva appello; che sempre per gli 
stessi anni 1974 e 1975, l'ufficio, in data 29 maggio 1980, notificava altri 

avvisi di accertamento. 

Per decidere circa l'esistenza o meno del potere dell'amministrazione 
di rinnovare i precedenti accertamenti dichiarati nulli nel termine di decadenza 
di cui all'art. 43 del D.P.R. n. 600/73, potere contestato dalla 
contribuente, la Corte d'appello si �, tuttavia, limitata a svolgere alcune 

Ma ben diV'erso � il caso dell'accertamento non motivato o affetto da 
altri vizi formali annullato senza esame del merito; qui non vi � materia che 
possa creare preclusione e possa essere oggetto di confronto con il successivo 
accertamento. 

V. Tutto quanto precede non involge affatto l'art. 21 del d.P.R. 636/1972. 
Come afferma esattamente la sentenza in esame, il potere processuale delle 
Commissioni di disporre (anche dopo la maturazione della decadenza) la rinnovazione 
dell'atto impugnato � ben distinto dal potere dell'Amministrazione 
di correggere gli errori dei prorpri provvedimenti, prima che si avveri la decadenza. 
In questo ultimo caso non si ha rinnovazione con effetto di sanatoria 
ex tunc dell'atto originario ma ripetizione con effetto ex nunc di un atto invalido, 
ed � chiaro che finch� esiste il potere, non consumato dell'emanazione 
di un atto nullo, � sempre possibile emettere altro atto. 
L'art. 21 pu� valere solo per una conferma iI]diretta: se anche dopo l'avveramento 
della decadenza � possibile (anzi � dovere del giudice) conseguire la 
sanatoria, a maggior ragione sar� consentito riparare i difetti finch� il termine 
� aperto; e a maggior ragione, se non altro per econoonia processuale, 
anche dopo la presentazione del ricorso con il quale si eccepiscono nullit� 
formali, l'ufficio potr� prima che si compia la decadenza, riemanare l'atto 
antidpando l'esercizio del potere del giudice ex art. 21. 

Molto si � tuttavda congetturato sul fatto ohe l'art. 21 esclude dai vizi 
sanabili con la rinnovazione il difetto di motivazione e se ne � dedotto che 
questo sarebbe un vizio assolutamente insanabile (v. per tutti BASILAVECCHIA, 
La rinnovazione dell'avviso di accertamento, in Rass. Trib., 1989, I, 535). 

Questa tesi deve essere confutata. L'art. 21 opera solo nell'ambito del 
processo e non pu� essere utilizzato per la disciplina dell'attivit� dell'ufficio 
tributario nel procedimento amministrativo. Ma soprattutto la norma che non 



358 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

astratte considerazioni che attengono alla possibile reiterazione della pote 
st� impositiva fin quando non sia esaurito il termine di decadenza al� 
l'uopo previsto dalla legge. Ma la Corte non ha considerato che il thema 
decidendum era ben diverso e consisteva invece nel controllare quale fos� 
se nel caso di specie l'efficacia preclusiva del giudicato ormai forma� 
tosi inter partes per la mancata impugnativa, da parte dell'ufficio, 
della decisione della Commissione di primo grado che aveva annulla� 
to i primi accertamenti per difetto di motivazione, attesa la loro inido, 
neit� ad introdurre il rapporto contenzioso col contribuente sul merito 
della controversia. Poich� fra la nullit� dei primi avvisi di accertamento 
ed il potere impositivo della p.a. si era frapposto, come un dia� 
framma, l'efficacia formale e sostanziale del giudicato, il punto decisivo 
della controversia risiedeva nello stabilire quale fosse nella fattispecie, 
non gi� in astratto ma in concreto, la potest� di rinnovazione dell'atto 
nullo spettantte all'Amministrazione finanziaria, tenendo conto, in particolare, 
del contenuto del giudicato e della motivazione dei nuovi avvisi 
di accertamento. 

Vero � che l'Amministrazione, dopo il giudicato di annullamento del� 
l'avviso, � restituita nella pienezza della potest� di provvedere ex novo 

consente la rinnovazione con sanatoria ad effetto ex fune, capace cio� di scavalcare 
la decadenza, non pu� essere trasportata tal quale sulla situarione in 
cui la decadenza non si � ancora avverata. 

Se l'accertamento � nullo ma il termine � aperto non pu� esservi nessuna 
limitazione al potere di rifare da capo (non rinnovare) un atto dovuto. L'unico 
limite alla pienezza del potere dell'All1lministrazione di provvedere ex novo 
dopo che l'atto � stato dichiarato nullo �, secondo la sentenza in nota, il giu� 
dicato (sostanziale) ove esista. Non si pu� in alcun modo costruire un concetto 
di nullit� formale che non consente un nuovo esercizio del potere. 

VI. Una preclusione pu� discendere soltanto dall'esercizio in concreto del 
potere in forma valida: l'accertamento validamente emanato non pu� essere 
modificato se non in casi determinati. Ci� si argomenta proprio dal terzo 
comma dell'art. 43 d.P.R. n. 600 secondo il quale, ancora entro il termine 
di decadenza, l'accertamento non pu� essere modificato o integrato in aumento 
se non in base alla sopravvenuta conoscenza di elementi nuovi. Si deve peraltro 
ritenere che l'accertamento nelle ima>oste dirette possa essere corretto 
nel caso di erronea applicazione della norma tributaria cos� come per la stessa 
ragione pu� essere rettificata la dichiarazione; di fronte a norme di legge inderogabili 
� doverosa una applicazione corretta finch� non cade il sipario 
della decadenza; bench� nessuna norma la consideri, non sembra possa esclu� 
dersi l'esistenza di un principio analogo al supplemento nelle imposte indirette. 
Ma i limiti ohe il terzo comma dell'art. 43 pone all'integrazione in aumento 
di un accertamento valido, non hanno nessuna ragione d'essere allorch� l'ufficio 
intenda emanare un nuovo accertamento che sostituisce quello vanamente gi� 
emesso; in questo caso qualunque vizio formale dell'atto o della sua notifica 
pu� sempre essere eliminato con un nuovo atto, ovviamente con efficacia 

ex nunc. 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

359 

nell'ambito del rapporto tributario cui si riferivano gli avvisi dichiarati 
nulli; ma � altrettanto vero che il nuovo provvedimento non deve, neppure 
indirettamente, costituire elusione del giudicato perch�, altrimenti, 
tutte le decisioni di annullamento, nel sistema tributario -in cui l'Amministrazione 
finanziaria ha il potere di incidere con atti a carattere 
autoritativo nella sfera giuridica dei soggetti passivi -si ridurrebbero 
a mere pronunce astratte, senza poter sortire l'effetto che � loro proprio 
di tendere a restaurare l'ordine giuridico turbato. 

Pertanto, l'Amministrazione, nel rivalutare ex novo i presupposti dell'imposizione 
pu� ben prendere in considerazione ragioni rimaste accantonate 
all'epoca dell'emanazione dell'avviso di accertamento annullato, 
ma occorre pur sempre che venga data esauriente dimostrazione, in 
occasione dell'emanazione del nuovo atto, del perch� quelle ragioni non 
furono poste a presidio dell'avviso originario e del perch� si sia ritenuto 
di prenderle in considerazione solo successivamente all'annullamento 
dell'atto che era fondato su ragioni del tutto diverse. 

Ancor pi� efficacemente la preclusione del giudicato opera ove l'Amministrazione 
provveda ex novo notificando al contribuente un nuovo 
avviso di accertamento dei redditi il quale sia ispirato alla stessa motivazione 
posta a base del precedente avviso annullato. 

Di conseguenza deve essere ammessa la ripetizione di accertamento nullo 
anche dopo la proposizione del ricorso, entro i limiti della decadenza. 

VII. Importanza ancora maggiore hanno le proposizioni della sentenza 
commentata sulla rilevanza processuale del difetto di motivazione. Se l'accertamento 
va giudicato in ragione della sua idoneit� ad introdurre il rapporto 
contenzioso con il contribuente e se scopo della motivazione � quello di delimitare 
l'ambito delle ragioni aidldudbili dall'ufficio nella fase contenziosa e 
di consentire al destinatario l'esercizio della difesa, se in definitiva, l'accertamento 
rileva come atto processuale, � sotto tale profilo che va apprezzata la 
nullit�; non sar� allora da verificare la motivazione come giustificazione dell'esercizio 
di un potere pubblico, ma solo come atto idoneo ad esprimere una 
litis contestatio; non con i criteri che presiedono all'atto amministrativo, ma 
con quelli dell'art. 164 CJp1c. Ma in tal caso, in coerenza con !'-esperienza del 
processo civile, dovrebbe essere ben raro il riconoscimento della inidoneit� 
allo scopo, essendo larghissimi i margini entro i quali si ritiene sufficientemente 
specificata � la determinazione della cosa oggetto della domanda �. 
Nelle pretese quantitative (ad es. risarcimento del danno, determinazione di 
indennit� o di compensi etc.) non si � mai pensato che sia nulla la citazione 
quando non contiene criteri analitici di determinazione del quantum: atto 
idoneo ad instaurare il rapporto contenzioso � una pretesa, anche per somma 
indeterminata, la cui fondatezza, cio� il merito, potr� essere dimostrata fino 
alla fase finale del processo. 

Ragionando sul terreno del processo, diventa assai difficile giustificare la 
nullit� dell'accertamento per difetto di motivazione. 

CARLO BAFILE 



360 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

In tal caso pm che l'elusione vi � violazione del giudicato, non essendo 
possibile, proprio per la sua efficacia preclusiva, la riproduzione 
dell'atto amministrativo con lo stesso contenuto di quello annullato. 

Il nuovo provvedimento concretamente posto in essere per la rinnovazione 
dell'avviso annullato in sede giurisdizionale, deve quindi essere 
raffrontato con il precedente giudicato al fine di stabilire se sia stata o 
meno elusa la sua efficacia preclusiva. Ed ove il precedente accertamento 
(annullato) si sia richiamato ad un criterio di stima che il giudicato 
abbia ritenuto incongruo, tanto da determinare l'annullamento dell'atto, 
� evidente che, in sede di rinnovazione, non potr� essere utilizzato 
quello stesso criterio senza infrangere l'efficacia del giudicato. 

In definitiva, il ricorso deve essere accolto con la conseguente cassazione 
della sentenza impugnata ed il rinvio ad altro giudice che si 
designa in altra Sezione della Corte d'appello di Torino, la quale, nella 
definizione della controversia, si atterr� ai principi innanzi enunciati e 
pronuncer� anche sulle spese del giudizio (art. 385 c.p.c.). 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 10 aprile 1990 n. 2979 -Pres. Scanzano � 
Est. Caturani -P. M. Lanni (diff.) IACP Ravenna (avv. De Martini) c. 
Ministero delle Finanze (avvocato Stato Palatiello). 

Tributi in genere -Sanzioni non penali -Non applicabilit� per obiettive 
condizioni di incertezza -Art. 38-bis d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 -Ha 
sostituito l'art. 55 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 art. 39 bis introdotto dall'art. 26 d.P.R. 3 novembre 1981 
n. 739; art. 55 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 come modificato dall'art. 2 d.P.R. 24 dicembre 
1976 n. 920). 
Tributi in genere -Sanzioni non penali -Non applicabilit� per obiettive 
condizioni di incertezza -Potere-dovere di pronunzia di ufficio -Domanda 
espressa -Obbligo di pronunzia. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 cit.). 
La disposizione dell'art. 39 bis del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, introdotta 
con l'art. 26 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, in quanto norma 
che ha disciplinato l'intera materia ha sostituito la precedente norma 
dell'art. 55 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 che riguardava soltanto le 
imposte dirette (1). 

La disapplicazione delle sanzioni non penali quando la violazione 
� giustificata da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sul


(1-2) Sulla prima massima si pu� osservare che se pure pu� condividersi 
l'affermazione che secondo l'art. 39 bis del d.P.R. n. 636 il potere-dovere � esercitabile 
di ufficio, si pone egualmente la rilevanza del giudicato quando il giudice 
non abbia dichiarato la non applicabilit� della sanzione. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

361 

l'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce integra 
un potere-dovere del giudice esercitabile di ufficio in ogni fase del 
giudizio. Se tuttavia il ricorrente abbia formulato apposita istanza, il 
giudice deve prenderla in esame per non incorrere nel vizio di omessa 
pronunzia. (2) 

(omissis) Con unico motivo il ricorrente sostiene che la decisione 
impugnata � caduta in errore di diritto allorch� ha dichiarato inammissibile 
l'istanza dell'Istituto relativa alla debenza delle pene pecuniarie, 
in quanto ai sensi dell'art. 55 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, come 
modificato (con effetto dall'l gennaio 1974) dall'art. 2 d.P.R. 24 dicembre 
1976 n. 920, la C.T.C. avrebbe dovuto ritenere non dovute l� pene 
pecuniarie previste dalla legge per il mancato versamento dell'ILOR, te~ 
nuto conto delle incertezze verificatesi nella interpretazione delle norm� 
circa la debenza dell'imposta sul reddito derivante dalle locazioni degli 
Istituti Autonomi per le case popolari. 

Il ricorso � fondato nei termini che sono precisati dalle seguenti 
considerazioni. 
Ai sensi dell'art. 55 d.P.R; 29 settembre 1973 n. 600, come modificato 
(con decorrenza dall'l gennaio 1974) dall'art. 2 d.P.R. 24 dicembre 1976 

n. 920, �gli organi del contenzioso tributario possono dichiarare non 
dovute le pene pecuniarie quando la violazione � giustificata da obiettive 
condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle 
disposizioni alle quali si riferisce�. 
La norma -che costituisce applicazione di un principio gi� contenuto 
nell'art. 248 del d.P.R. 29 gennaio 1958 -� stata seguita dall'art. 39 bis 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, riflettente la revisione della disciplina del 
contenzioso tributario, articolo aggiunto dall'art. 26 d.P.R. 3 novembre 
1981 n. 739 con effetto dall'l gennaio 1982. 
Quest'ultima disposizione peraltro, perch� contenuta in un testo 
riflettente la revisione di tutta la disciplina del contenzioso tributario, 
ha abrogato, ai sensi dell'art. 15 disp. preL al codice civile, la precedente 
normativa prevista dall'art. 2 d.P.R. 920/74 cit., avendo disciplinato 
l'intera materia (con riferimento alla applicazione di tutte le sanzioni 
non penali) gi� regolata dalla legge anteriore con esclusivo riferimento 
all'applicazione delle pene pecuniarie previste per la sola violazione 
delle norme relative alle imposte sui redditi. 

Posta la prevalenza dell'art. 39 bis del d.P.R. n. 636/1972 sull'art. 55 del 

d.P.R. n. 600/1973, sarebbe risolta la questione se con la pi� ampia dizione del 
primo testo (�sanzioni non penali�) si siano ricomprese nel potere di non applicazione 
anche le soprattasse che rimanevano escluse dalla pi� remota normativa 
(�pene pecuniarie�). Resta tuttavia un serio dubbio, attesa la incor� 
porazione della soprattassa sul tributo cui afferisce. 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

La n�rma, pur essendo intervenuta dopo la cassazione della pronuncia 
della C.T.C. � applicabile quale ius superveniens che regola il rapporto 
controverso (limitatamente alla debenza delle sanzioni non pena



li) anche nel giudizio di rinvio (cfr. per il principio generale, le sentenze 
nn. 5567/82; 3607/77). Essa cos� statuisce: �La Commissione tributaria 
dichiara non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie 
quando la violazione � giustificata da obiettive condizioni di incertezza 
sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni 
alle quali si riferisce �. 

La nuova norma comunque, ricalca sostanzialmente la precedente 
disciplina contenuta nell'art. 2 d.P.R. 920/76 con l'unica variante che 
mentre l'art. 2 cit. attribuiva il potere in esame genericamente agli organi 
del contenzioso tributario i quali potevano dichiarare non dovute 
le pene pecuniarie in presenza dei presupposti menzionati dalla norma, 
l'art. 39 bis d.P.R. 636/72, introdotto in forza dell'art. 26 d.P.R. 739/81, ha 
con maggiore tecnicismo attribuito il potere di cui si discute alla Commissione 
Tributaria la quale dichiara non applicabili le sanzioni non penali 
in presenza degli accennati presupposti. 

Il potere-dovere della Commissione Tributaria presenta un caratte


re sostanziale che storicamente si riannoda all'origine puramente amministrativa 
dell'organo decidente ed il suo esercizio � strettamente connesso 
all'accertamento della violazione tributaria in quanto, ove si esclu


da in giudizio quella violazione, rimane logicamente assorbita qualsiasi 
possibilit� di esercizio del potere in esame. 

In considerazione del carattere sostanziale del potere e della sua 
origine storica ne discende che il giudice tributario, cui quel potere � 
stato dall'ordinamento attribuito, non � di regola vincolato al principio 
della domanda, nella esplicazione del potere medesimo, il cui esercizio 
deve ritenersi quindi possibile anche ex officio. 

Pertanto, quando manchi una formale istanza del contribuente, il 
mancato esercizio del potere di non applicazione della sanzione, anche 
se non esplicitamente giustificato con una statuizione apposita, implica 
che la Commissione tributaria ha, sia pure implicitamente, ritenuto che 
la violazione non fosse giustificata da obiettive condizioni di incertezza 
e che quindi nulla impedisce l'applicazione in concreto delle sanzioni 
non penali conseguenti a quella violazione. La mancanza di statuizione 
sul punto, peraltro, non d� luogo ad alcun vizio, che possa giustificare 
una censura. 

Il discorso �, tuttavia, diverso allorch� sussista una apposita istanza 
del contribuente volta ad eccitare l'esercizio del potere in questione. In 
tal caso il potere-dovere deUa Commissione Tributaria acquista un aspetto 
di vincolatezza nel senso che, una volta che ha formulato l'istanza 
nel giudizio tributario, il contribuente ha diritto alla corrispondente 
pronuncia (qualunque essa sia nel suo contenuto). Ed ove la Commis




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sione Tributaria, nonostante l'istanza dell'interessato, non provveda, 
la decisione � in tal caso impugnabile per omessa pronuncia per violazione 
del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato 
(art. 112 cpc). 

Il potere-dovere di non applicazione delle sanzioni non penali ex 
art. 26 d.P.R. 739/81, pur essendo esercitabile anche ex officio (come si 
� visto), non implica, tuttavia, l'attribuzione alla Commissione tributaria 
di alcuna discrezionalit� in ordine al suo esercizio. Gi� la dizione del 
testo dell'art. 2 d.P.R. 920/76, pur prevedendo che �gli organi del contenzioso 
tributario possono dichiarare non dovute le pene pecuniarie ... � 
non implicava che essi godessero del potere di applicare o meno la pena 
pecuniaria nonostante avessero riscontrato la presenza dei presupposti 
normativi della non applicazione (quando cio� la violazione fosse 
giustificata da obiettive condizioni di incertezza). 

Opportunamente perci� -ad evitare il dubbio interpretativo -la 
nuova disposizione, sancendo che � la Commissione dichiara non appli� 
cabili le sanzioni non penali quando ... �, ha fugato ogni perplessit� in 
proposito. La Commissione, cio�, quando accerta la ricorrenza dei 
presupposti accennati, esaurendo cos� la propria valutazione discrezionale, 
� tenuta a dichiarare la non debenza delle sanzioni. 

Il potere deve, pertanto, intendersi di carattere discrezionale esclu� 
sivamente per quanto concerne la valutazione dei presupposti del suo 
esercizio nel senso che l'ordinamento giuridico ha rimesso alla Commissione 
tributaria l'accertamento della obiettiva incertezza circa la portata 
e l'ambito di applicazione delle norme che vengono in rilievo nelle 
singole fattispecie. 

Il potere, inoltre, spettando a tutte le Commissioni Tributarie ex 
officio, deve dalle medesime essere esercitato in qualunque fase del 
processo su apposita istanza del contribuente e quindi anche nel giudizio 
di rinvio, non esplicando a tal fine alcuna incidenza il carattere chiuso 
di tale giudizio. 

Infatti, la questione relativa alla debenza delle sanzioni non� penali, 
rimasta assorbita nel giudizio definito dalla decisione cassata (la quale 
abbia ritenuto insussistente la violazione), pu� essere riproposta su 
istanza del contribuente dinanzi al giudice di rinvio senza preclusione 
alcuna, in quanto il suo esame � strettamente dipendente dalla 
pronuncia di cassazione e dall'affermazione del principio di diritto in 
essa contenuto (in quanto, cio�, si sia ritenuto sussistente quella viola� 
zione il cui accertamento fa insorgere la esigenza logica di esaminare 
la questione in esame). 

In applicazione dei criteri di cui sopra, ne consegue che -con specifico 
riferimento al presente giudizio -cassata la decisione della Commissione 
tributaria Centrale (che aveva dichiarato non dovuta l'imposta), 
con il conseguente assorbimento della questione attinente alla non de



364 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

benza delle sanzioni non penali, nel successivo giudizio di rinvio deve 
ritenersi compresa nella contestazione, in presenza di apposita istanza 
formulata (anche se soltanto) in quella sede dal contribuente, la questione 
(conseguenziale) riflettente la non debenza delle sanzioni non penali, 
le quali -ove non ricorrono le obiettive condizioni di incertezza 
sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni alle quali 
la violazione si riferisce -sarebbero altrimenti dovute. 

In definitiva, deve ritenersi erronea la decisione della C.T.C., impugnata 
in questa sede, allorch� ha ravvisato l'inammissibilit� dell'istanza 
del contribuente diretta ad attivare l'esercizio del potere in esame 
nel giudizio di rinvio, onde, in parte qua, si impone, in accoglimento del 
ricorso, la cassazione della decisione denunziata ed il conseguente rinvio 
alla stessa C.T.C., la quale nel decidere la controversia, valuter� se sussistevano 
nella specie i presupposti normativi per la pronuncia di non 
debenza delle sanzioni non penali, altrimenti dovuta (sui quali cfr. in 
generale la sentenza n. 2301/83), in applicazione del seguente principio 
di diritto: �Il potere-dovere delle Commissioni tributarie di dichiarare 
non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie, 
quando la violazione sia giustificata da obiettive condizioni di incer


I 

tezza sulla portata e nell'ambito di applicazione delle disposizioni alle 
quali si riferisce, a norma dell'art. 39 bis d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 

I

(articolo aggiunto dall'art. 26 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739 con effetto ?, 
dall'l gennaio 1982) � esercitabile anche ex officio in tutte le fasi del 

I

giudizio tributario, essendo strettamente connessa ex lege all'accertamento 
della violazione. 

I 

Esso implica l'esercizio ex officio di una discrezionalit� che attiene 
alla valutazione delle condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e 
l'ambito di applicazione delle disposizioni violate dal contribuente e che 
non esclude ma anzi implica che -ove il contribuente abbia formulato 
al riguardo apposita istanza, anche se soltanto nel giudizio di rinvio la 
Commissione sia tenuta all'esame della relativa questione incorrendo 
altrimenti la sua decisione nel vizio di omessa pronuncia�. (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 10 aprile 1990 n. 3011; Pres. Bran


caccio � Est. Sensale � P. M. Minetti (conf.). Romano (Avv. Roma� 

no) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Zotta). 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Giurisdizione delle commissioni 
� Opposizione all'esecuzione � Vi � ricompresa. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 art. 1 e 16; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, art. 54). 
Rientrano nella giurisdizione delle commissioni tutte le controversie 
concernenti l'accertamento del rapporto tributario nei suoi elemen




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 365 

ti oggettivi e soggettivi sia quando venga posto in discussione l'astratto 
potere impositivo, sia quando si contesti la legittimit� dell'esercizio in 
concreto; vi sono pertanto ricomprese, sotto forma di impugnazione 
dell'ingiunzione o del ruolo, anche le controversie di opposizione all'esecuzione 
(1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 19 aprile 1990 n. 3273; Pres. Brancaccio 
-Est. Finocchiaro -P. M. Di Renzo (conf.). Romano c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Zotta). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Giurisdizione delle commissioni 
-Opposizione all'esecuzione -Vi � ricompresa. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 art. 1 e 16; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, art. 54). 
Appartengono alla giurisdizione delle commissioni tutte le questioni 
attinenti all'esistenza e all'entit� della obbligazione tributaria, comprese 
quelle che hanno natura di opposizione all'esecuzione, senza che abbia 
rilievo la distinzione tra atti emessi in carenza di potere a atti costituenti 
illegittimo esercizio del potere (2). 

I 

(omissis) Premesso che l'atto d'accertamento era stato riformato 
dalla commissione tributaria di secondo grado e che, pertanto, per questa 
parte esso era da ritenere inesistente, sostiene la ricorrente che l'ufficio 
del registro non poteva n� in astratto n� in concreto far valere la 
pretesa tributaria per l'intera somma portata nell'atto d'accertamento 
e che, per ci�, nella opposizione alla ingiunzione non era configurabile 
una controversia tributaria. Secondo la ricorrente non sarebbe in di


(l-2) Decisioni ineccepibili che confermano orientamenti ormai ben solidi. 
Sull'irrilevanza della distinzione tra atti emanati in carenza di potere ed atti 
costituenti illegittimo esercizio del potere v. Cass. 17 giugno 1988, n. 4120, in 
questa Rassegna, 1988, I, 102; 24 febbraio 1987, n. 1948, Foro it., 1987, I, 1426; 
altra recente sentenza 23 maggio 1990 n. 4670 di cui si omette la pubblicazione, 
ha precisato che pu� configurarsi una contestazione in radice della pretesa, 
tale da riportare la controversia nel diritto comune, solo quando l'atto manchi 
dei requisiti essenziali per la sua qualificazione come provvedimento amministrativo, 
o quando l'ordinamento non contempli il potere di adottarlo o lo 
accordi ad autorit� diversa o nei confronti di una categoria di soggetti ahe non 
comprenda nemmeno potenziaLmente il destinatario della pretesa creditoria; 
ma ci� non si verifica allorch� l'Amministrazione finanziaria, fondatamente 

o meno, rivolga la sua pretesa di imposta nei confronti di persona indicata 
14 



366 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

scussione n� il cattivo o illegittimo uso n� l'esistenza del potere impositivo, 
essendo sicuramente inesistente l'atto d'accertamento, sul quale 
si fondava l'ingiunzione, nella parte in cui esso era stato annullato dalla 
commissione tributaria di secondo grado, e dovendosi attribuire alla 

citazione proposta dinanzi al tribunale il valore di opposizione all'esecuzione. 


Al fine d'inquadrare nei suoi esatti termini la prospettata questione 
di giurisdizione, occorre premettere che rientrano nell'ambito delle controversie 
tributarie sia quelle nelle quali sia posto in discussione l'astratto 
potere impositivo, sia quella in cui si contesti la legittimit� del suo 
esercizio in concreto (v. sent. 24 febbraio 1986 n. 1091 e 27 luglio 1988, 

n. 4768). 
Di seguito a questa premessa, si � ritenuto che oggetto delle controversie 
devolute alle commissioni tributarie � l'accertamento del rapporto 
tributario nei suoi elementi soggettivi ed oggettivi, contenuti in un 
atto emanato a tal fine o nella ingiunzione ovvero nel ruolo, che non 
siano stati preceduti da un previo atto d'accertamento, nonch�, quando 
questo vi sia stato, la legittimit� formale dell'ingiunzione o del ruolo 

(v. sent. cit., n. 1091/86); e che, come precedentemente si era precisato 
(sent. 3 febbraio 1986 n. 660), la tutela giurisdizionale dei diritti del 
contribuente si esplica esclusivamente mediante il ricorso contro gli atti 
contemplati dall'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, modificato dal 
d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739. 
Da quanto precede si � desunto che il criterio per la discriminazione 
della giurisdizione delle commissioni tributarie da quella del giudice 
ordinario � dato non dalla fase processuale in cui la controversia 
insorge (di cognizione o di esecuzione), bens� dalla intrinseca natura 
della controversia, a seconda che essa investa, oppur no, la pretesa tributaria 
e la regolarit� formale della ingiunzione o del ruolo. 

Analogo criterio di discriminazione della giurisdizione si era gi� 
adottato con la sentenza n. 1050 del 19 febbraio 1982, dichiarandosi la 

come obbligata. Parallelamente la S.C. ha sempre negato l'ammissibilit� dell'azione 
di indebito ordinario per il rimborso di somme introitate a titolo di 
imposta (27 aprile 1988 n. 3174; 28 aprile 1988 n. 3197; 27 luglio 1988 n. 4768; 
9 giugno 1989 n. 2786, in questa Rassegna, 1988, I, 421 e 422, 1989, I, 287 e 1990, 
I, 164). 

Importante la precisazione che rientrano nella giurisdizione del giudice tributario 
le controversie aiventi natura di opposizione all'esecuzione che prendono 
forma di ricorso contro il ruolo (o l'avviso di mora) e l'ingiunzione (v. in 
argom�nto BAFILE, Giurisdizione ordinaria e giurisdizione delle commissioni 
nella fase esecutiva, in questa Rassegna, 1982, I, 592). 

Meno chiara � la giurisprudenza relativamente alle controversie proposte 
da soggetti estranei al rapporto di imposta, diversi cio� dal contribuente, dal 
sostituto di imposta e dal responsabile di imposta. Alcune pronunzie tendono 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 

giurisdizione del giudice ordinario in una controversia introdotta con 
atto di opposizione all'esecuzione, nella quale non venivano in discussione 
l'an o il quantum del tributo (cio�, non si discuteva affatto del 
rapporto d'imposta, gi� definito), ma solo del diritto dell'Amministrazione 
di agire esecutivamente, o meglio di sottoporre a pignoramento 
un bene determinato. Lo stesso principio � stato affermato, nella citata 
sentenza n. 1091/86, con riguardo al caso in cui, per un credito verso il 
fallito anteriore alla dichiarazione di fallimento l'Amministrazione aveva 
emesso ingiunzione fiscale, sotto pena degli atti esecutivi, nei confronti 
del curatore, per il pagamento di un tributo liquidato sulla base 
della dichiarazione dello stesso presentata ai sensi dell'art. 74 bis, 1� comma, 
del d.P.R. n. 633 del 1972 e pertanto, oggetto della controversia non 
era il rapporto tributario, pacifico fra le parti, bens� il modus procedendi 
seguito dall'Amministrazione, cui il curatore contestava il potere 
di realizzare la pretesa fiscale al di fuori delle regole del concorso. E 
lo stesso criterio risulta, in realt�, seguito nella sentenza n. 6151 del 20 
ottobre 1983, nella quale � stata negata la proponibilit� dell'opposizione 
davanti al giudice ordinario (com'era consentito in passato dagli articoli 
3 e 4 del T.U. 14 aprile 1910, n. 639, non richiamati n� dall'art. 62 
del d.P.R. 633/72, sull'IVA, n� dall'art. 54 del d.P.R. 634/72, sull'imposta 
di registro, ai fini della riscossione dell'imposta in pendenza del giudizio), 
in una ipotesi in cui la controversia aveva indubbia natura tributaria, 
perch� vi si discuteva dell'avvenuta prescrizione, ossia di un fatto estin


tivo della pretesa tributaria. 

Quanto si � finora osservato conduce all'affermazione che l'opposi� 
zione all'ingiunzione proposta dalla ricorrente � riservata alla giurisdi� 
zione delle commissioni tributarie. 

Invero, l'ingiunzione, emessa dall'ufficio del registro ai sensi dell'art. 
54 del d.P.R. n. 634 del 1972, non � meramente riproduttiva del� 
l'iniziale accertamento del rapporto tributario (o. eventualmente, di una 
precedente ingiunzione non preceduta da un atto d'accertamento), ma 
contiene una nuova determinazione sia pure provvisoria, in pendenza 

a riconoscere il terzo indirettamente interessato, legittimato a proporre le 
domande inerenti alla sussistenza dell'obbligazione e di conseguenza affermano 
che anche su queste la giurisdizione appartiene al giudice speciale tributario 
(6 dicembre 1988 n. 6637 in Dir. prat. trib., 1989, II 982 in materia di contestazione 
dell'obbligazione da parte del terzo possessore di bene gravato di pri� 
vilegio speciale; 19 marzo 1990 n. 2281, con riferimento alle impugnazioni proponibili 
dal cessionario di credito per rimborso I.V.A.). A tale tendenza dovrebbe 
opporsi che il terzo non � legittimato a contestare l'obbligazione tri� 
butaria s� che le, assai limitate, eccezioni che pu� sollevare, non aventi natura 
tributaria, restano escluse dalla giurisdizione delle commissioni (PAVONE, Esercizio 
contro il terzo proprietario del privilegio speciale immobiliare che assiste 
i tributi indiretti sugli affari, in Dir. prat. trib., 1987, I, 1276). 



368 

RASSEGNA DEU..'AVVOCATURA DELLO STATO 

del giudizio concernente l'accertamento iniziale e preordinata alla riscossione 
della pretesa tributaria, quale risulta delimitata a seguito della 
decisione di primo grado emessa in quel giudizio. 

Trattasi, cio�, di una autonoma ingiunzione non preceduta da un 
nuovo atto di accertamento, reso necessario dalla decisione della Commissione 
di primo grado, e che contiene essa stessa i termini della pretesa 
tributaria rideterminata per effetto di quella decisione. 

In conseguenza, la controversia che da essa trae origine e che rimane 
distinta da quella, in corso, avente ad oggetto l'atto d'accertamento iniziale 
-prima che la realizzabilit� in via coattiva della pretesa -investe 
la pretesa stessa, nei suoi elementi costitutivi, ossia, nell'an e nel 
quantum di essa nella sua attuale configurazione; e l'opposizione della 
contribuente, con la quale si deduce il fatto estintivo della pretesa tributaria, 
costituito dal pagamento del dovuto quale risultava dalla decisione 
di secondo grado, in quanto diretta ad incidere sugli elementi costitutivi 
della pretesa medesima, introduce una controversia tributaria 
nel senso prima chiarito, al pari di quella ritenuta tale dalla citata sentenza 
n. 6151/83 nella quale si discuteva dell'avvenuta prescrizione del 
credito tributario. 

Deve concludersi, pertanto, nel senso che, come il tribunale ha affermato 
nella decisione con la quale ha declinato la giurisdizione, questa, 
sulla controversia promossa dall'attuale ricorrente nei confronti dell'Ammniistrazione 
delle finanze, appartiene alle commissioni tributarie. 

(omissis) 

II 

(omissis) A sostegno del proposto regolamento la Romano deduce 
che non � configurabile una controversia tributaria in presenza di un 
atto tributario pacificamente annullato. 

Secondo la ricorrente un'obbligazione eliminata dal mondo del diritto 
da una commissione tributaria � uguale ad un'obbligazione eliminata 
dal mondo del diritto dalla giurisdizione ordinaria o amministrativa 
o da qualsiasi giudice speciale, aggiungendo che � oltretutto sarebbe 
incostituzionale che di fronte ad una pretesa tributaria pacificamente 
inesistente il cittadino sia costretto a valersi di un contenzioso speciale 
con .termini particolari, impossibilit� di recuperare spese legali ecc. �. 

L'avviata esecuzione attribuiva alla citazione il carattere di opposizione 
all'esecuzione, con conferma, anche per questo aspetto, della giurisdizione 
dell'a.g.o. 

Il regolamento � infondato. 

Nel sistema del contenzioso tributario appartengono alla giurisdizione 
delle commissioni tributarie le controversie relative ai tributi elencati 
nell'art. 1 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, tra i quali sono compresi 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

sia l'imposta comunale sull'incremento di valore degli immobili, sia l'imposta 
di registro; e tale giurisdizione � esclusiva, comprendendo tutte 
le questioni attinenti all'esistenza e all'entit� dell'obbligazione tributaria, 
senza che abbia rilievo a questi fini la distinzione fra atti emessi dall'amministrazione 
in carenza di potere ed atti costituenti illegittimo esercizio 
del potere. 

La tutela giurisdizionale dei diritti del contribuente si svolge attraverso 
l'impugnazione di specifici atti dell'amministrazione di accertamento, 
di imposizione o di rifiuto di rimborso di somme riscosse, elencati 
nell'art. 16 d.P.R. cit., con esclusione di ogni azione di accertamento 
negativo del debito d'imposta sia innanzi alle commissioni tributarie, 
sia innanzi al giudice ordinario, dovendosi ritenere abrogate le 
preesistenti disposizioni (compreso l'art. 6 1. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E) 
che consentivano tale ultima azione (Cass. 18 marzo 1988 n. 2476; Cass. 
17 giugno 1988 n. 4120 e 4121; Cass. 27 lugio 1988 n. 4768; Cass. 17 ottobre 
1988 n. 5629 e successive conformi). 

N� tale disciplina presenta profili di incostituzionalit� per il fatto 
che il cittadino � costretto a valersi di un contenzioso speciale, con termini 
particolari e con impossibilit� di recuperare le spese legali sostenute, 
in presenza della sentenza della Corte costituzionale n. 287 del 1974 
che ha riconosciuto a queste commissioni il carattere di organi di giurisdizione 
speciale e tenuto presente che la Costituzione consente che a 
queste ultime sia affidata, in via esclusiva, la tutela dei diritti soggettivi 
attinenti alla materia loro devoluta (Cass. 11 ottobre 1988 n. 5486). 

Le precedenti conclusioni non mutano anche a volere configurare la 
controversia promossa innanzi al giudice ordinario come opposizione all'esecuzione, 
dal momento che anche per tale controversia deve affermarsi 
la giurisdizione delle commissioni tributarie in quanto l'art. 54, 
comma 4, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, sull'imposta di registro -il 
cui testo � identico all'art. 56, comma 4, d.P.R. 26 ottobre 1986 n. 131 prevede 
che per la riscossione delle imposte, delle soprattasse e delle 
pene pecunarie si applicano le disposizioni degli artt. da 5 a 29 e 31 r.d. 
14 aprile 1910 n. 639, risultando cos� evidente come il rinvio al t.u. delle 
disposizioni di legge relativo alla riscossione delle entrate patrimoniali 
dello Stato escluda esplicitamente gli art. 3 e 4 r.d. cit., che prevedono 
la possibilit� di proporre opposizione all'ingiunzione avanti all'autorit� 
giudiziaria ordinaria (conf. Cass. 20 ottobre 1983 n. 6151 e successive 
conformi). 

Tale principio si applica anche in tema di INVIM atteso il rinvio 
contenuto nell'art. 31 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, per l'accertamento, 
la liquidazione e la riscossione dell'imposta e delle soprattasse e pene 
pecuniarie alle disposizioni relative all'imposta di registro. 

Va, pertanto, rigettato il proposto regolamento e va dichiarata la 
giurisdizione delle commissioni tributarie. (omissis) 


370 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 23 aprile 1990 n. 3370 -Pres. Cantillo � 
Est. Sgroi -P. M. Amirante (conf.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. Untersander. 

Tributi erariali diretti -Nuovo t.u. delle imposte sui redditi -Applicabilit� 

ai periodi di imposta anteriori -Art. 36 d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42 


Condizioni e limiti -Rimborsi -Esclusione. 

(t.tt. 22 dicembre 1986 n. 917, art. 115; d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, art. 36). 

Tributi locali -Imposta locale sui redditi -Reddito di artigiano -Distinzione 
-Quando � da considerare reddito di impresa. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 51; d.P.R. 29 settombre 1973 n. 599, art. 1; e.e. 
art. 2195). 
I

A norma dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, le disposizioni 
del nuovo t.u. delle imposte sui redditi 22 dicembre 1986, n. 917, non espressamente 
considerate da norme particolari sono applicabili a periodi di 

I

imposta anteriori a condizione che la dichiarazione a suo tempo valida


I ~ 

mente presentata sia conforme alle nuove disposizioni; di conseguenza 
la nuova normativa non � mai applicabile ai rimborsi di imposte pagate 
sulla base di dichiarazione (1). 

Al fine di stabilire se l'artigiano sia da qualificare come imprenditore, i:; 

il cui reddito � soggetto all'ILOR, non soccorre soltanto il criterio quanfil 


Iili 

titativo della componente patrimoniale, ma occorre distinguere se l'at� 
tivit� esercitata rientra in quelle descritte nell'art. 2195 e.e., nel qual caso 
l'esistenza di una organizzazione capitalistica � indifferente, ovvero essa 
consiste nella prestazione di servizi a terzi non rientranti nell'art. 2195, 

I

ed in tal caso si avr� reddito di impresa solo in presenza di organizza


zione in forma di impresa dei mezzi di produzione e/o del lavoro 

I

altrui (2). 

r 

(Omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione denuncia la violazione 
e falsa applicazione dell'art. 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, 
in relazione all'art. 51 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, all'art. 2195 e.e. 
ed agli artt. 101 e 134 Cost.; violazione dell'art. 2967 e.e.; carenza assoluta 
di motivazione su un punto decisivo, in relazione all'art. 360 n. 3 
e n. 5 c.p.c., osservando che anche a seguito di quanto affermato dalla 

(1-2) La prima massima incomincia ad aggredire il complesso problema 

che pone l'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42: indipendentemente dalla 

sua portata obiettiva, l'art. 36 non pu� mai essere invocato quando si discute 

di rimborsi di imposte pagate sulla base di dichiarazione che perci� solo non 

� conforme alla normativa successiva che legittimerebbe il rimborso. 

Sull'argomento della seconda massima (sul quale � intervenuta di recente 

la sent. 7 febbraio 1990 n. 788, in questa Rassegna retro, 324, con annotazioni a cui 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 371 

Corte Cost. con sentenza n. 87 del 1986, dall'art. 1 d.P.R. n. 599 del 1973 
non pu� desumersi che il reddito dell'impresa artigiana sia, come tale, 
da classificarsi quale reddito di lavoro autonomo esente da ILOR, perch�, 
in base alla definizione del reddito di impresa dettata dall'art. 51 

d.P.R. n. 597 del 1973, l'attivit� artigianale d� luogo, in quanto compresa 
nell'art. 2195 n. 1 e.e. a reddito d'impresa, (anche se non organizzata 
in forma d'impresa. 
A tutto concedere, secondo la ricorrente, potrebbe pensarsi che 
per poter classificare un reddito come d'impresa sia necessario valutare 
� se ricorrano o meno i requisiti minimi perch� si possa realmente 
parlare d'impresa� (Corte Cost. n. 87/1986). Ma, anche ammesso 
ci�, la decisione impugnata non specifica quali siano tali requisiti minimi, 
n� motiva sulla loro ricorrenza nella specie, ci� che sarebbe stato 
onere del contribuente dimostrare, trattandosi di domanda di rimborso 
d'imposta pagata senza� contestazione. 

Il ricorso � fondato. 
Preliminarmente si deve affrontare il problema se lo jus superveniens, 
costituito dall'art. 115, comma 2 lettera e) del t.u. 22 dicembre 1986 

n. 917 (a tenore del quale sono esclusi dalla ILOR i redditi delle imprese 
familiari imputati ai familiari collaboratori a norma del comma 4 dello 
art. 5) possa ricevere applicazione, d'ufficio, in relazione alla circostanza 
che nella decisione impugnata si d� atto che il reddito del contribuente 
deriva da � collaborazione in impresa familiare artigiana � e che l'art. 36 
d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42 estende le disposizioni del t.u. ai periodi 
d'imposta anteriori se le relative dichiarazioni, validamente presentate, 
risultano ad esse conformi. 
Al quesito si deve dare risposta negativa, per due ragioni, ciascuna 
delle quali � sufficiente. 

In primo luogo, � passata in giudicato, in difetto d'impugnazione 
incidentale del contribuente, la negazione della rilevanza della derivazione 
del reddito dalla collaborazione in impresa familiare, ai fini della 
sua esenzione dall'ILOR. 

In secondo luogo, la dichiarazione a suo tempo presentata non 
poteva essere conforme al t.u. del 1986 perch� (a parte il fatto che non 

si rinvia) la s,c. ritorna alla posizione meno recente pi� aderente al testo dell'art. 
51 del d.P.R. n. 597/1973: se l'attivit� � riconducibile all'art. 2195 e.e. l'organizzazione 
(pi� o meno capitalistica) � irrilevante s� che si � sempre in 
presenza di un reddito di impresa; solo quando si verte in attivit� al di 
fuori dell'art. 2195, � dall'organizzazione dei mezzi di produzione e/o del lavoro 
altrui che nasce l'impresa. Tuttavia nel pensiero della S~. traspare qualche 
dubbio: quando si definisce il lavoro artigiano come caratteristico della abi




RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

372 

risulta che siano state osservate le disposizioni del comma quarto dell'art. 
5 del t.u., che costituiscono condizione di applicabilit� dell'art. 115 
comma 2 lettera c), l'osservanza di quest'ultima norma avrebbe dovuto 
comportare il mancato pagamento spontaneo dell'ILOR, che invece il 
contribuente ha versato. La norma, transitoria dell'art. 36 cit., invero 
non pu� applicarsi in relazione ad un'azione di ripetizione di indebito, 
ma soltanto in relazione ad una controversia sulla dichiarazione dei 
redditi soggetta ad accertamento. 

Per quanto riguarda la suddetta azione (i cui presupposti devono 
essere provati dal contribuente che agisce in ripetizione, secondo i principi 
generali), la sentenza della Corte Cost. n. 42 del 1980, invocata, ha 
dichiarato l'illegittimit� costituzionale dell'art. 4 n. 1 legge 9 ottobre 1971 

n. 825 e dell'art. 1 comma 2 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, in quanto non 
escludono i redditi di lavoro autonomo, che non siano assimilabili ai 
redditi d'impresa, dall'ILOR. L'inciso � che non siauo assimilabili ai redditi 
d'impresa� vuole riferirsi, indubbiamente, a quella parte della motiva� 
zione della sentenza della Corte Cost. che cos� si esprime: � Allo stato 
attuale dell'ordinamento tributario, che non pu� essere diversamente 
articolato dalla Corte stessa, la distinzione fra i redditi di lavoro e 
i redditi d'impresa dovr� essere operata alla stregua dell'art. 51 del d.P.R. 
n. 597 del 1973, dal quale gi� risulta un ampliamento della nozione d'impresa, 
rispetto ai criteri adottati dal cod. civ.�. E, nella parte precedente 
della stessa motivazione, la Corte ha rilevato che le nozioni adottate dall'art. 
51 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 differiscono in parte dalle 
configurazioni civilistiche, sia nel senso di riguardare soggetti passivi 
che non sono veri e propri imprenditori commerciali, sia nel senso di 
colpire attivit� diverse da quelle considerate nell'art. 2195. 
A tali � diverse attivit� �, assimilate ai redditi d'impresa in quanto 
�prestazioni di servizi a terzi non rientranti nell'art. 2195 del cod. civ>>, 
ma �organizzate in forma d'impresa� (terzo comma dell'art. 51 del 

d.P.R. n. 597 del 1973) vuole riferirsi l'inciso del dispositivo della sentenza 
della Corte Cost. che ha voluto escludere dalla dichiarazione di incostituzionalit� 
la comprensione nell'ILOR di un reddito di lavoro autonomo 
�organizzato in forma d'impresa� e quindi assimilabile ai redditi 
d'impresa (v. Cass. 1468/88). 
lit� manuale e della speciale qualificazione professionale, risorge il dubbio 
se il lavoro artigiano cos� inteso possa essere diretto alla produzione di beni 

o di servizi rientranti nella descrizione dell'art. 2195 e.e., e possa in quanto tale 
essere soggetto all'ILOR, ovvero se il lavoro artigiano (non l'impresa artigiana) 
resti rrecessariamente al di fuori dell'art. 2195. Ma a questo punto riaffiora 
l'elemento quantitativo che si � tentato di escludere 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ogni diversa estensione della dichiarazione di incostituzionalit� si 
deve rigettare, perch� non autorizzata neppure dalla sentenza della 
Corte Cost. 14 aprile 1986 n. 87, la quale (in quanto non ha dichiarato 
l'illegittimit� costituzionale di alcuna norma) offre soltanto elementi di 
interpretazione del diritto da applicare dato che ha dichiarato inammissibile 
la questione di legittimit� costituzionale delle norme che consentono 
l'assoggettabilit� all'ILOR dei redditi degli artigiani, dovendosi 
verificare in concreto, da parte del giudice tributario, se possano riscontrarsi 
gli estremi dell'assoggettabilit� all'ILOR del reddito dell'attivit� 
artigiana di cui si tratta. 

Tale verifica, ad avviso della Corte (correggendo la diversa impostazione 
di Cass. n. 3477 e di Cass. n. 5605/89) non pu� che compiersi alla 
stregua di criteri generali, che sono gli unici che permettono l'osservanza 
della legge da parte dei contribuenti e degli uffici, prima che sorga controversia, 
non potendosi adottare un criterio puramente � quantitativo � 
legato al singolo caso. (v. Cass. n. 952/82). 

E, pertanto, con riguardo ai periodi di imposta anteriori al raggio 
d'applicazione del t.u. del 1986 (che all'art. 51 contiene una definizione 
diversa di reddito d'impresa, facendo riferimento anche ai criteri � quantitativi
�), occorre far capo all'art. 51 del d.P.R. n. 597 e, con riguardo 
all'artigianato, verificare se egli esercita un'attivit� rientrante in quelle 
descritte dall'art. 2195 e.e., ovvero se presta attivit� di servizi a terzi, 
non rientranti nell'ambito dell'art. 2195 e.e. 

Nel primo caso, � indifferente l'organizzazione pi� o meno � capitalistica 
� dell'attivit�, che � considerata sempre d'impresa. 

Non importa che l'art. 2195 si riferisca alla produzione industriale 
di beni, perch� nel richiamo da parte dell'art. 51 � indifferente la presenza 
di un'organizzazione ad impresa e, quindi, non rileva neppure la 
distinzione fra impresa industriale od artigianale. 

Per l'artigianato che presta (le leggi n. 860/56 e n. 443/85 non dicono 
�produce�) servizi, invece, non pu� applicarsi il secondo comma 
dello art. 51 che, rinviando all'art. 2195, ricomprende nella sua previsione 
anche l'industria di produzione di servizi. Invero, la norma dell'art. 51 
terzo comma che riguarda le attivit� di prestazione di servizi a terzi 
che non rientrano nell'art. 2195 (oltre a comprendere le attivit� pacificamente 
non commerciali, come le prestazioni didattiche e sanitarie), 
per il suo carattere di norma avente elementi di specificit� rispetto a 
quella del secondo comma, consente di ricomprendervi anche l'attivit� 
dell'artigiano che presta servizi. Invero, in tale attivit� � presente la 
caratteristica dell'impresa artigiana, non fondata su un'organizzazione 
capitalistica della produzione, cio� su una propriet� capitalistica che 
persegue lo scopo del profitto attraverso l'applicazione ai mezzi di produzione 
della forza di lavoro acquisita. 


374 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

Nell'attivit� artigiana invece, il lavoro dell'artigiano si svolge direttamente 
nel processo produttivo, perch� � caratterizzato dall'abilit� 
manuale e dalla speciale qualificazione professionale. 

In tal senso, i servizi prestati dall'artigiano si distinguono da quelli 
industriali di cui al n. 1 dell'art. 2195 e devono farsi rientrare, ai fini 
fiscali, fra quelli del terzo comma dell'art. 51 d.P.R. n. 597, per cui, in 
tal caso, il reddito � d'impresa solo se l'artigiano possiede un'organizzazione 
dei mezzi di produzione e/o del lavoro altrui. 

Non ha, invece, un diretto rilievo, agli stessi fini, la categoria dei 
mestieri artistici, tradizionali e dell'abbigliamento su misura (d.P.R. 

n. 537/74, in quanto si tratta di attivit� di produzione di beni o di prestazione 
di servizi, che rientrano all'interno della distinzione gi� fatta. 
(Omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 17 maggio 1990 n. 4290 -Pres. Bologna� 
Est. Senofonte -P. M. Tridico (diff.). Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Palatiello) c. Massoni. 

Tributi in genere � Accertamento � Motivazione � Riferimento a verbale 
di ispezione di cui il contribuente ha rifiutato la copia � Legittimit�. 

La motivazione dell'accertamento per relationem ad altro atto conoscibile 
dal contribuente, generalmente ammessa, � a maggior ragione 
legittima quando si fa relazione ad un verbale di ispezione di cui il 
contribuente ha ri]'iutato la consegna della copia (1). 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 30 maggio 1990, n. 5115 � Pres. Brancaccio 
� Est. Finocchiaro -P. M. Amatucci (conf.) Ministero delle 
Finanze (avv. Stato Zotta) c. Daria. 

Tributi in genere � Contenzioso tributario � Natura � Vizi dell'atto di accertamento 
� Rilevanza. 

(1-4) Alcune utili precisazioni sulla motivazione dell'accertamento. La prima 
sentenza in modo ineccepibile ritiene valida la motivazione per relationem con 
un verbale di ispezione redatto in contraddittorio della parte che ha rifiutato 
la consegna del1a copia. :e stata ripetutamente affermata la legittimit� della 
motivazione con riferimento ad un atto non allegato ma consultabile presso 
l'ufficio (13 luglio 1987, n. 6096 in questa Rassegna, 1988, I, 133). 

La seconda sentenza conforme nelle premesse a numerose altre (26 otto� 
bre 1988 n. 5783 e 5782, in questa Rassegna, 1989, I, 304) nello stabilire la suf� 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

375 

Tributi in genere -Accertamento tributario -Imposte indirette -Requisito 
minimo di motivazione. 

Il processo tributario � costruito formalmente come giudizio di im� 
pugnazione dell'atto ma tende all'accertamento del rapporto; tuttavia 
al giudizio sul merito del rapporto non � dato pervenire quando ricorrono 
vizi formali dell'atto, quali il difetto assoluto di motivazione, di fronte ai 
quali il giudice deve arrestarsi alla pronunzia di annullamento (2). 

Nelle imposte indirette il contenuto minimo ed essenziale della motivazione 
dell'accertamento pu� ridursi alla sola indicazione del criterio 
del valore medio corrente (3). 

III 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un. 30 maggio 1990, n. 5116 -Pres. Brancaccio 
-Est. Finocchiaro -P. M. Amatucci (conf.) Ministero delle 
Finan:z;e (avv. Stato Palatiello) c. Trevisan. 

Tributi in genere -Accertamento tributario -Imposte indirette -Requisito 
minimo di motivazione. 

Nelle imposte indirette non pu� essere dichiarata la nullit� dell'accertamento 
per difetto assoluto di motivazione senza verificare se la motivazione, 
che pur non fa alcun cenno ai criteri di valutazione indicati 
dalla legge, sia idonea allo scopo in considerazione della concreta inutilizzabilit� 
dei criteri di legge (4). 

I 

(Omissis) Denunciando violazione degli artt. 52, 55 e 56 del d.P.R. 
633/1972, nonch� insufficiente motivazione, l'Amministrazione ricorrente, 
premesso che gli avvisi contestati contengono tutte le indicazioni richie


ficienza della motivazione in relazione alla indicazione dei criteri seguiti per 
la valutazione, considera sufficiente il richiamo (usuale al punto di potersi ritenere 
implicito) ai �valori medi correnti�. 

La terza sentenza, che nella prima parte (di cui si omette la pubblicazione) 
� identica alla seconda, ha affermato che anche di fronte ad una motivazione 
che non indica alcuno dei criteri di valutazione stabiliti dalla legge non 
pu� dichiararsi la nullit� senza prima verificare se, a causa della inutilizzabilit� 
dei criteri di legge, la motivazione non fosse egualmente idonea allo 
scopo, anche tenuto conto (e ci� � importante) dei successivi sviluppi della 
vicenda processuale e dell'attivit� svolta dalla parte nel giudizio. 

A questo punto la nullit� dell'accertamento che preclude l'esame del me


rito, pur ribadita anche in queste sentenze, si riduce ad una affermazione 

teorica. 



376 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

ste dal terzo comma dell'art. 56 citato, sostiene, in via principale, che 
esse soddisfano compiutamente, nel particolare caso, l'obbligo della motivazione 
e che avrebbe, quindi, errato la Commissione centrale nel 
ritenere necessarie, a questo fine, indicazioni ulteriori, confondendo, 
cos�, la motivazione delle rettifiche con la motivazione degli accertamenti, 
disciplinati separatamente (e rispettivamente) dal secondo e dal 
terzo comma della norma ridetta. 

La ricorrente aggiunge che la decisione impugnata �, comunque, 
errata per non aver considerato: a) che negli avvisi contestati erano riportati 
gli elementi essenziali del verbale elevato a carico del contribuente; 
b) che questi si era difeso ampiamente nel merito, con i ricorsi 
introduttivi, senza eccepire la nullit� degli avvisi, dedotta solo nella successiva 
memoria; e) che il verbale (peraltro, non necessario) era stato 
prodotto, nel corso del giudizio, fin dal 6 settembre 1978 ed era, quindi, 
a disposizione dell'opponente; d) che la relativa copia era stata inutilmente 
offerta dai verbalizzanti al Massoni e che quando egli, nel dicembre 
del 1979, ne fece richiesta fu �immediatamente accontentato"� 

Il ricorso � fondato. 

Conviene, innanzi tutto, sottolineare che la stessa decisione impugnata 
riconosce, in linea di principio, valida nella materia la motivazione 
�per relationem � (ammessa, del resto, dalla giurisprudenza costante di 
questa corte: si veda, da ultimo, Cass. 4371/1988. Cass. 5787/1988 e, tra 
le altre, Cass. 4740/1986), ma ritiene, nondimeno, nulli, nel caso concreto 
gli avvisi di accertamento per non aver il contribuente conosciuto il contenuto 
del verbale in essi richiamato, malgrado che egli, a ispezione conclusa, 
avesse rifiutato di riceverne la copia offertagli dai verbalizzanti, 
ai sensi dell'art. 52 d.P.R. 633/1972, e solo successivamente avesse (senza 
successo) insistito per ottenerla. 

Ora, cos� argomentando, il giudice � a quo � ha, inaccettabilmente, 
negato qualsiasi rilevanza al rifiuto del Massoni di ricevere la copia del 
verbale, pur avendo codesta circostanza peso decisivo, costituendo essa 
-e soltanto essa -la causa da porre all'origine della pretesa mancata 
conoscenza ed essendo, quindi, questa esclusivamente a lui imputabile. 
Quel che nel settore rileva, infatti, non � tanto la conoscenza effettiva 
della fonte esterna di riferimento indicata negli avvisi di accertamento 
quanto la sua conoscibilit� (v. sentenze citate); con la conseguenza che 
se il contribuente del contenuto di tale fonte rimanga all'oscuro per 
colpa propria, non pu�, poi, fondatamente dolersi del fatto di non esserne 
a conoscenza. 

N�, al riguardo, pu� omettersi di aggiungere, da un lato, che il Massoni 
si �, nelle fasi pregresse adeguatamente difeso nel merito, sulla 
base degli estratti del verbale ispettivo (riprodotto nel suo contenuto 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

essenziale) allegato agli avvisi (dimostrando, cos�, di essere sufficientemente 
informato sulla natura e sulle ragioni degli addebiti mossigli) 
e, dall'altro, che avrebbe, comunque, potuto, se lo avesse ritenuto dav� 
vero necessario per integrare le proprie difese, chiederne copia, ex art. 33 
del d.P.R. 636/1972, alla segreteria della competente commissione tributaria. 
(Omissis) 

II 

(Omissis) 1. Con il primo mezzo la ricorrente denuncia vizi di eccesso 
di potere giurisdizionale e violazione e falsa applicazione dei principi 
generali sulla nullit� degli atti amministrativi. 

Osserva che le Commissioni tributarie sono organi di giurisdizione 
speciale del tutto diversi dagli organi della giustizia amministrativa. 
Il sistema di tutela giurisdizionale ad esse affidato si realizza -infatti 
-non con l'annullamento del rapporto tributario. 

Oggetto della cognizione del giudice speciale � il completo riesame 
di tale rapporto. Trattasi quindi, di un giudizio di merito e non di impugnazione-
annullamento. 

Nello svolgimento di esso non compete all'organo giudiziario un 
potere autoritativo volto alla rimozione del concreto atto di esercizio 
della potest� amministrativa, per cui le commissioni pervengono all'accertamento 
dell'obbligazione tributaria ex lege senza necessit� della formale 
eliminazione dell'atto, spettando, successivamente all'amministrazione 
finanziaria il compito di sostituire i provvedimenti riconosciuti 
illegittimi e riliquidare l'imposta. 

Di conseguenza, l'eventuale mancanza della motivazione nell'avviso 
di un atto di imposizione fiscale viene sanata, in sede contenziosa, attraverso 
l'acquisizione, disposta anche d'ufficio, degli elementi necessari 
per il giudizio di stima, in merito al quale la pronuncia delle commissioni 
assume valore sostitutivo dell'originario provvedimento. 

Le commissioni, in definitiva, sono tenute a compiere l'accertamento 
del rapporto e non possono limitarsi ad una mera pronuncia sostitutiva 
di annullamento dell'atto, venendo meno altrimenti alla loro funzione, 
consistente nel risolvere � la controversia � tributaria con la verifica 
della fondatezza della pretesa avanzata dalla pubblica amministrazione. 


Con il secondo mezzo l'amministrazione ricorrente denuncia violazione 
degli art. 48 e 49 d.P.R. n. 634 del 1972, anche nella modificazione 
introdotta dal d.P.R. 6 dicembre 1977, n. 914, e il vizio di omessa motivazione 
su un punto decisivo della controversia. 

Sotto il primo profilo si sostiene che l'eventuale difetto di motivazione 
dell'avviso di accertamento non ne avrebbe potuto, comunque, 
comportare la nullit�. 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO

378 

Sotto il secondo profilo si afferma che la Commissione Centrale 
avrebbe errato nel considerare l'avviso privo di adeguata motivazione. 

2. Il ricorso, che ripropone la complessa problematica concernente 
la nozione, la rilevanza e gli effetti, in materia di imposta di registro 
ed IN.V.IM del difetto di motivazione degli avvisi di accertamento di 
maggior valore, � fondato, per quanto di ragione, e va accolto sulla 
base della pi� recente giurisprudenza di queste S.U. alle quali il Collegio 
ritiene sufficiente fare richiamo, non essendo stati addotti dalle parti 
argomenti nuovi o diversi da quelli gi� esaminati e decisi (cfr., fra le 
tante, Cass. 26 ottobre 1988 n. 5783, 5785, 5786, 5787, 5788 ed altre). 
3. Con tali pronunce queste S.U. ham10, da una parte, ritenuto 
l'infondatezza della censura relativa alla violazione dei principi in materia 
di riparto della giurisdizione in quanto � il giudizio tributario � 
costruito, formalmente come giudizio di impugnazione dell'atto, ma 
tende all'accertamento sostanziale del rapporto, nel senso che l'atto � il 
"veicolo di accesso" al giudizio di merito, al quale si perviene appunto 
"per il tramite" dell'impugnazione dell'atto. Quindi concerne la legit� 
timit� formale e sostanziale del provvedimento, con la precisazione pe� 
raltro che al giudizio di merito sul rapporto non � dato pervenire quando 
ricorrano determinati vizi in presenza dei quali il giudice deve arrestarsi 
all'invalidazione di esso, con ci� non omettendo affatto di esercitare 
la giurisdizione attribuitagli, ma anzi pienamente e correttamente espli� 
candola "� Sicch�, in particolare, il giudice deve fermarsi alla pronuncia 
di annullamento nel caso di difetto assoluto o cli totale carenza di motivazione, 
anche in difetto di una espressa comminatoria legale di 
nullit�, pronunciando l'invalidazione dell'atto. 
E ci�, � stato esattamente rilevato dalle richiamate pronunce, basta 
per rilevare l'infondatezza del motivo di censura che ripropone la tesi 
della illegittimit�, in principio, di una pronuncia limitata all'annulla� 
mento dell'atto di accertamento carente di motivazione. 

4. Con riguardo poi al contenuto dell'avviso di accertamento, le richiamate 
pronunce hanno affermato il principio secondo cui � in materia 
di imposta di registro ed IN.V.IM., l'avviso di accertamento di 
maggior valore, per rispondere al canone dell'idoneit� allo scopo il 
cui difetto ne determina la nullit� anche indipendentemente da una 
espressa comminatoria di legge, deve essere corredato da una motivazione 
adeguata al duplice risultato: a) di delimitare l'ambito delle ragioni 
adducibili dall'ufficio nell'eventuale fase contenziosa successiva 
e, b) di consentire al contribuente l'esercizio giudiziale del diritto di di� 
fesa di fronte alla maggiore pretesa fiscale. All'uopo � necessario che 
l'ufficio enunci il criterio astratto in base al quale ha determinato il 
maggiore valore con le eventuali specificazioni ed illustrazioni richie! 
~ 
t 

~ 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 379 

ste dalla peculiarit� della fattispecie, ed in relazione ad esse possibili, 
affinch� l'atto risulti idoneo al suo scopo. L'utilizzazione e l'indicazione 
di criteri diversi da quelli menzionati espressamente nella legge � possibile 
quando risulti anche implicitamente la inutilizzabilit� o la insufficienza 
di questi ultimi con riferimento al tempo, al luogo, all'oggetto 
e ad ogni altra peculiarit� del rapporto tributario da accertare. 
In sede contenziosa, l'ufficio ha l'onere di provare la sussistenza dei 
concreti elementi di fatto che, nel quadro del parametro prescelto, giustificano 
il quantum accertato, peraltro rimanendogli inibito di dimostrare 
la fondatezza della sua pretesa allegando criteri diversi da quelli 
enunciati nell'avviso di accertamento, salvo il potere di rinnovare l'atto 
entro il termine di legge, mentre al contribuente � consentito di dimostrare 
l'infondatezza di quella pretesa anche in base a criteri non utilizzati 
dall'ufficio. In mancanza di una motivazione che risponda a tali 
requisiti il giudice tributario deve limitarsi a dichiarare la nullit� dell'accertamento 
senza poter conoscere del merito. La valutazione della 
sussistenza nel caso concreto dei requisiti minimi indicati � rimessa all'apprezzamento 
del giudice di merito, naturalmente sindacabile in sede 
di legittimit� sotto il profilo della congruit� e sufficienza della motivazione. 
Il riferimento, contenuto nell'avviso di accertamento, ad un elemento 
extratestuale, ma estensibile al contribuente, come la relazione 
di stima U.T.E., comporta che delle risultanze di esso, anche se non 
allegato al provvedimento tributario, deve tenersi conto al fine di valutare 
la sufficienza della motivazione dell'accertamento di maggior 
valore�. 

5. A tali principi non si � attenuta la Commissione Tributaria Centrale 
che, pure in presenza di una motivazione dell'avviso di accertamento 
che faceva riferimento ad uno dei criteri indicati dalla legge 
(nella specie: valori medi correnti), si � limitata a dichiarare la nullit� 
dell'avviso stesso senza valutare la sufficienza o meno della motivazione 
addotta e realizzare gli scopi in precedenza evidenziati e senza 
tener presente i successivi sviluppi della vicenda processuale e l'attivit� 
svolta dalle parti nel giudizio di impugnazione. (Omissis) 
III 

(Omissis) 4. Con riguardo poi al contenuto dell'avviso di accertamento, 
le richiamate pronunce hanno affermato il principio secondo cui 
� in materia di imposta di registro ed IN.V.IM., l'avviso di accertamento 
di maggior valore, per rispondere al canone dell'idoneit� allo scopo il 
cui difetto ne determina la nullit� anche indipendentemente da una 
espressa comminatoria di legge, deve essere corredato da una motivazione 
adeguata al duplice risultato: a) di delimitare l'ambito delle ragioni 
adducibili dall'ufficio nell'eventuale fase contenziosa successiva e, b) di 



380 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

consentire al contribuente l'esercizio giudiziale del diritto di difesa di 
fronte alla maggiore pretesa fiscale. All'uopo � necessario che l'ufficio f 

enunci il criterio astratto in base al quale ha determinato il maggiore 
valore con le eventuali specificazioni ed illustrazioni richieste dalla 
peculiarit� della fattispecie, ed in relazione ad esse possibili, affinch� 
l'atto risulti idoneo al suo scopo. L'utilizzazione e l'indicazione di criteri 
diversi da quelli menzionati espressamente nella legge � possibile 
quando risulti anche implicitamente la inutilizzabilit� o la insufficienza 
di questi ultimi con riferimento al tempo, al luogo, all'oggetto e ad 
ogni altra peculiarit� del rapporto tributario da accertare. In sede contenziosa, 
l'ufficio ha l'onere di provare la sussistenza dei concreti elementi 
di fatto che, nel quadro del parametro prescelto, giustificano il 
quantum accertato, peraltro rimanendogli inibito di dimostrare la fondatezza 
della sua pretesa allegando criteri diversi da quelli enunciati 
nell'avviso di accertamento, salvo il potere di rinnovare l'atto entro il 
termine di legge, mentre al contribuente � consentito di dimostrare l'infondatezza 
di quella pretesa anche in base a criteri non utilizzati dall'ufficio. 
In mancanza di una motivazione che risponda a tali requisiti 
il giudice tributario deve limitarsi a dichiarare la nullit� dell'accertamento 
senza poter conoscere del merito. La valutazione della sussistenza 
nel caso concreto dei requisiti m.inim.i indicati � rimessa all'apprezzamento 
del giudice di merito, naturalmente sindacabile in sede di legittimit� 
sotto il profilo della congruit� e sufficienza della motivazione. 
Il riferimento, contenuto nell'avviso di accertamento, ad un elemento 
extratestuale, m.a ostensibile al contribuente, com.e la relazione 
di stima U.T.E., com.porta che delle risultanze di esso, anche se non allegato 
al provvedimento tributario, deve tenersi conto al fine di valutare 
la sufficienza della motivazione dell'accertamento di maggior valore �. 

5. A tali principi non si � attenuto il giudice del merito che, pure 
in presenza di una motivazione che non faceva cenno ad alcuno dei criteri 
indicati dalla legge non ha accertato la loro concreta inutilizzabilit�, 

m.a si � limitato a dichiarare la nullit� dell'avviso stesso senza valutare 
la sufficienza o meno della motivazione addotta a realizzarne gli scopi 
in precedenza evidenziati e senza tener presenti i successivi sviluppi 
della vicenda processuale e l'attivit� svolta dalle parti nel giudizio d'impugnazione. 
(Omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 maggio 1990, n. 4616 -Pres. Caturani 
-Est. Carbone -P. M. Caristo (diff.). Soc. Staflex (avv. Carboni 

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Corner) c. Ministero delle Finanze (Avv. Stato Palatiello). !~ 
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Imposte e tasse in genere � Contenzioso tributario � Requisiti del ricor!: 


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so � Indicazione del legale rappresentante. � necessaria. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 15). ! 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 381 

Imposte e tasse in genere -Contenzioso tributario -Requisiti del ricorso Difetto 
-Inammissibilit� -Sanatoria -Art. 164 c.p.c. -Inapplicabilit� � 
Omessa eccezione della parte resistente -Sanatoria. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 15). 
Fra i requisiti del ricorso prescritti a pena di inammissibilit� dell'art. 
15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 va ricompresa l'indicazione del 
legale rappresentante ogni volta che un rappresentante a qualsiasi titolo 
(rappresentanza legale, volontaria, organica) sottoscrive il ricorso nel 
l'interesse di altro soggetto (1). 

La sanzione di inammissibilit� prevista nel processo tributario per 
taluni vizi dell'atto introduttivo, non pu� essere assimilata a quella di 
nullit� stabilita nell'art. 164 c.p.c., perch� nel processo tributario le ir� 
regolarit� che la legge considera rilevanti danno luogo alla definitivit� 
del provvedimento amministrativo. Tuttavia ove la parte resistente non 
abbia sollevato eccezioni e la commissione abbia deciso nel merito, 
deve ritenersi insussistente la mancanza o l'incertezza assoluta su un 
requisito del ricorso (2). 

(Omissis) � opportuno esaminare congiuntamente i tre motivi del 
proposto ricorso in quanto strettamente connessi. Con il primo motivo 
del proposto ricorso, la S.p.A. Staflex censura l'impugnata sentenza per 
violazione e falsa applicazione dell'art. 15 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in 
relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. per aver ritenuto necessaria l'indicazione 
del legale rappresentante anche quando non risulta indispensabile per 
l'individuazione del ricorrente, come nell'ipotesi in cui il rappresentante 
sia persona giuridicamente distinta dal rappresentato e non come nella 
specie di rappresentanza istituzionale o organica. 

Inoltre la ricorrente societ� censura l'impugnata sentenza per violazione 
e falsa applicazione dell'art. 15 d.P.R. 636/1972 e dell'art. 156, 
comma 2� c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto non sarebbe 

(1-2) La prima massima � c0rrettissima. Indubbiamente nel concetto di 
legale rappresentanza dell'art. 15 del d.P.R. n. 636, si ricomprende ogni specie 
di rappresentanza legale, organica o volontaria; di conseguenza ogni volta 
che una persona sottoscrive il ricorso nell'interesse di altro soggetto deve ri� 
sultare chiaro il titolo della rappresentanza; e nel caso della persona giuridica 
va indicato il nome e la qualit� della persona che sottoscrive, perch� possa 
essere verificato il possesso del potere di rappresentanza. 

Interessante � la seconda massima che nega la possibilit� di un accostamento 
tra la inammissibilit� che colpisce i vizi del ricorso e la nullit� che 
colpisce i vizi della citazione e piuttosto assimila l'inammissibilit� del processo 
tributario a quella del processo civile di impugnazione. Certamente il 
processo tributario, pur non essendo di annullamento dell'atto, � collegato al� 
l'atto capace di diventare irretrattabile si che le possibilit� di sanatoria del 
ricorso si presentano diversamente dalla citazione. Non sono tuttavia da esclu




:382 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

fondata la distinzione tra nullit� ed inammissibilit�, operata dalla corte 
milanese, con riferimento agli atti che introducono un giudizio. 

Partendo dal parallelismo tra regime processualistico della nullit� 
della citazione e regime processual-tributario dell'ammissibilit� del ricorso, 
la ricorrente sostiene l'applicabilit� anche al ricorso introduttivo 
del giudizio tributario della norma dell'art. 156 c.p.c.; applicazione agevolata 
dalle considerazioni che l'esigenza di individuare la parte � meno 
intensa nel processo tributario in quanto trattasi di parte gi� nota alla 
amministrazione finanziaria quale destinataria dell'atto impugnato. 

Con il terzo ed ultimo motivo del proposto ricorso, la societ� Staflex 
censura l'impugnata censura per violazione e falsa applicazione dell'art. 156, 
comma 3� c.p.c. in base al quale la nullit� di un atto non pu� mai essere 
pronunciata quando l'atto ha raggiunto lo scopo cui � destinato per 
avere la Corte negato l'applicabilit� di tale principio asserendo che esso 
vale per la nullit� e non per l'inammissibilit� testualmente sancita dal 
citato art. 15 del t.u. sul contenzioso tributario. 

La censura nel complesso � fondata per quanto di ragione nei limiti 

cio� di quanto si dir�. 

In primo luogo non � esatta la tesi principale della ricorrente basata 
su di un'interpretazione riduttiva del citato art. 15 d.P.R. 636/1972 
nel senso cio� di non ritenere necessaria l'indicazione del legale rappresentante, 
una volta indicata, senza possibilit� di dubbi, la persona giuridica 
da rappresentare, raggiunta dall'avviso di accertamento. Ed� infat. 
ti, ai sensi dell'art. 15 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sia nel testo originario, 
sia nel testo modificato dall'art. 6 d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, il ricorso 
in materia tributaria � inammissibile quando risulti assolutamente incerto 
uno degli elementi di cui alle lett. a), b), e) ed e) del comma 1� dello 
stesso articolo, tra cui l'elemento relativo alle indicazioni necessarie per 
individuare il legale rappresentante; � pertanto, inammissibile il ricorso 
che non contenga alcuna indicazione idonea ad individuare il legale rap


�dere in assoluto effetti di sanatoria specifici (ad es. per la notifica che abbia 
raggiunto lo scopo). Di ci� si preoccUJpa la sentenza che con uno sforzo ai 
limiti della contraddizione ricerca la sanatoria nella mancata eccezione che con� 
sidera come dimostrazione che il vizio ipotizzato (incertezza sull'individuazione 
del legale rappresentante) non sussisteva. 

Non sembra invece corretta la digressione, del resto poco pertinente, sul 
punto che anche l'accertamento non indicava la persona del legale rappresen� 
tante della societ�, irregolarit� che �vrebbe potuto dar luogo, se eccepita, alla ~ 
sanatoria ex art. 21. :t!. solo la parte agente che deve identificare la persona del I 
proprio rappresentante per consentire le opportune verifiche; nessun obbligo ! 
ha invece la controparte di individuare la rappresentanza nel destinatario del� 
l'atto. Gli atti diretti contro la persona giuridica devono individuare solo la 

I 

denominazione e la sede, essendo ci� pi� che. sufficiente a costituire il con


tradittorio. 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

presentante della societ� ricorrente ed anzi non indichi nemmeno in 
base a quale veste giuridica la persona fisica ha sottoscritto l'appello. 
Alla stregua di questa disciplina non pu� considerarsi fondata neppure 
l'ulteriore argomentazione della societ� ricorrente secondo cui l'indicazione 
sarebbe necessaria solo quando il rappresentante � persona giuridicamente 
distinta dal rappresentato, mentre non lo sarebbe, quando, 
come nella specie, ricorre un'ipotesi di rappresentanza organica; ' ed 
invero come appare dal contesto della norma, questa si estende a tutte 
le ipotesi in cui vi sia un legale rappresentante del ricorrente senza 
alcuna distinzione tra rappresentanza volontaria, rappresentanza legale 
nell'ipotesi di incapaci e rappresentanza istituzionale o organica. In altri 
termini di fronte alla chiara ed univoca disposizione normativa che richiede 
� le indicazioni necessarie per individuare il ricorrente e se del 
caso (o "ove del caso" nella precedente formulazione) in un processo 
in cui le parti possono stare in giudizio di persona senza ministero di 
difensore (art. 30), il suo legale rappresentante � bisogna convenire che 
la legge si riferisce a tutte le ipotesi in cui vi sia comunque un rappresentante, 
cio� che non vi sia immedesimazione soggettiva tra la persona 
che firma e la persona fisica o giuridica cui gli effetti si riferiscono. 

Anche l'altro profilo della complessa censura sul parallelismo tra 
processo civile e processo tributario non � fondato. 

Come ha gi� rilevato il giudice del merito, l'invocato parallelismo 
tra l'art. 164 c.p.c. previsto ,per l'ordinario processo di cognizione e 
l'art. 15 del predetto d.P.R. 636/1972 non � giustificato perch� le due 
norme presuppongono esigenze diverse e non peculiari a diversi tipi di 
processi, ancorch� tra di esse si rinvenga una certa qual identit� terminologica. 


Ed infatti, il processo civile ha carattere dispositivo, mentre quello 
tributario � dominato dall'impulso dello stesso giudice che ha anche I.a 
disponibilit� delle prove, verte su una materia specifica, quella tributaria; 
inoltre, il processo civile presuppone una lite tra privati di qualsiasi 
genere mentre la controversia tributaria ha per oggetto una pretesa 
del fisco, per lo pi� manifestatasi, attraverso un atto di accertamento 
e la conseguente opposizione del contribuente. Ed � proprio la diversa 
ratio e la diversa struttura processuale che legittima la differente disciplina 
e la previsione della inammissibilit� che comporta la definitivit� 
dell'accertamento, nel processo tributario ed, invece, la nullit� sanabile 
con la costituzione del convenuto nel processo civile di primo grado. 

Inoltre; l'invocato parallelismo non trova alcun confronto nel richiamato 
art. 39 del citato d.P.R.; ed infatti, la societ� ricorrente invoca 
l'applicazione della nullit� sanabile prevista dall'art. 164 c.p.c., ma la 
norma indicata rientra tra quelle del. libro secondo del codice di rito 
civile non richiamate dall'art. 39 il quale si limita a dichiarare applicabili, 
purch� non incompatibili con le norme del medesimo decreto, le 


RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

disposizioni generali del processo civile ed i principi fondamentali contenuti 
nel libro primo, l'unico effettivamente richiamato espressamente. 

La stessa struttura del processo civile ordinario conosce, oltre che 
ipotesi di nullit�, anche ipotesi di inammissibilit�; in relazione a queste 
ultime, il legislatore ha fissato una serie di regole, di prescrizioni formali 
e temporali per garantire che determinati atti vengano compiuti 
nel modo, nei tempi e nelle forme pi� adeguate per raggiungere il risultato 
cui il processo � preordinato. 

Rientrano nell'onere della parte il compimento di atti d'impulso o 
comunque inerenti al processo, determinati adempimenti, e l'osservanza 
nello svolgimento di questa attivit� dei termini stabiliti dalla legge. 
La violazione di questi oneri importa conseguenze sfavorevoli per la 
parte inadempiente, effetti decadenziali che si possono tradurre nel� 
l'inammissibilit� e, a volte, nell'improcedibilit� della domanda o di una 
determinata fase del processo (specie in sede di gravame). Queste con� 
seguenze preclusive -si pensi all'inosservanza e dei termini previsti 
per le impugnazioni o delle forme relative e della modalit� specificatamente 
richieste -non si possono considerare contrarie alle garanzie 
costituzionali del diritto di difesa (art. 24 e 113 cost.) perch� fanno 
parte della necessaria disciplina dell'attivit� diretta al conseguimento di 
un determinato risultato e, nella struttura dialettica del processo, il 
mancato risultato conseguenze all'inosservanza della norma, corrisponde 
all'acquisizione di un risultato utile per la parte avversaria. Quando 
la disposizione dell'art. 364 c.p.c. prevede che il ricorso per cassazione 
debba contenere alcuni elementi �a pena d'inammissibilit��, utilizza un 
sistema diverso dall'art. 164 c.p.c. relativo al processo di primo grado 
dove la previsione � soltanto a pena di nullit� e per riaffermare che 
quando l'ordinamento con un'apposita disposizione, pi� congrua allo 
specifico processo, quello tributario in particolare, abbia utilizzato la 
categoria dell'inammissibilit� ha voluto compiere una scelta consapevole 
-che non pu� essere posta nel nulla dall'interpretare -diretta 
anche a raggiungere il risultato finale dell'intangibilit� dell'accertamento, 
cio� una soluzione comunque definitiva e certa della lite. Tanto premesso, 
deve per� rilevarsi che, nel caso di specie, l'inammissibilit� non � stata 
dedotta o eccepita dall'amministrazione finanziaria nel giudizio di primo 
grado e neppure in sede di gravame, avendo l'ufficio impugnato 
la decisione di primo grado solo in relazione al quantum dell'imposta dovuta, 
senza che sorgesse alcun dubbio o incertezza sulla societ� contribuente 
o sulla sua rappresentanza legale. L'inammissibilit� � stata 
infatti rilevata, d'ufficio, dalla commissione di secondo grado, quando ormai 
il primo giudizio si era svolto tra l'amministrazione finanziaria e la 

!

;

societ� contribuente senza che n� le parti n� il giudice di primo grado j 

avevano sollevato eccezioni di sorta o fosse incerta o mancata la rappresentanza 
legale della societ� contribuente. 


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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ritiene pertanto il collegio che il comportamento processuale dell'Amministrazione 
finanziaria, sia in sede di primo grado, che con la 
proposizione del gravame fondata esclusivamente sul quantum dell'imposta 
richiesta, costituisce la riprova dell'inesistenza dell'incertezza assoluta 
dell'elemento del ricorso relativo al legale rappresentante, che 
costituisce uno dei presupposti della prevista inammissibilit�. Del resto, 
il ricorso di primo grado � perfettamente conforme all'avviso di accertamento 
impugnato; il quale risulta intestato alla Staflex (Italy) tout court, 
senza alcuna indicazione circa il legale rappresentante. Orbene ai sensi 
dell'art. 21 del d.P.R. 636/1972 nel testo precedente alla riforma dovuta 
all'art. 13 d.P.R. 3 novembre 1981 n. 739, all'epoca vigente, se la commissione 
di primo grado avesse rilevato un vizio comportante l'illegittimit� 
dell'atto, diverso dalla mancanza di motivazione, avrebbe dovuto, ove 
non si fosse �verificata sanatoria�, sospendere il processo ordinando la 
rinnovazione dell'atto impugnato. Ma cos� non � stato e quindi l'avviso 
di accertamento anche se cos� scheletricamente costruito aveva ben raggiunto 
il suo scopo, tant'� che � stato tempestivamente impugnato con 
la stessa intestazione e con le stesse indicazioni ritenute sufficienti per 
l'avviso che non hanno dato luogo ad incertezze o esitazioni per tutto il 
corso del giudizio di primo grado e per lo stesso gravame proposto 
dall'amministrazione finanziaria. N� va sottaciuto che ove vi fossero 
stati dubbi o incertezze sull'organo o sulla persona fisica che ha 
sottoscritto il ricorso, l'Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto rilevarle 
subito eccependo la inammissibilit�, eccezione che � mancata 
sia in primo che in secondo grado. 

Deve pertanto ritenersi che sia per l'Amministrazione finanziaria, 
come per la commissione di primo grado non era �assolutamente incerto
�, come richiede il co. 2 dell'art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, 
il legale rappresentante della societ� contribuente. (Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 maggio 1990 n. 4624 -Pres. Falcone 
Est. Sensale -P. M. Lanni (conf.) Ministero delle Finanze (avv. Sta" 
to Criscuoli) c. Caufin. 

Tributi in genere � Accertamento tributario � Motivazione � Provvedi


mento sulla spettanza di esenzioni � Richiamo alla norma � ~ suf


ficiente. 

Bench� nel giudizio tributario possa essere pronunziata decisione di 
solo annullamento quando per difetto assoluto di motivazione dell'atto 


386 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

non sia possibile accedere all'esame del merito, deve tuttavia ritenersi 
sufficientemente motivato il provvedimento di diniego della spettanza 
di esenzioni tributarie con la sola indicazione della norma applicata (1). 

(Omissis) Il 22 maggio 1976 l'Ufficio delle imposte dirette di Albenga 
rigettava la domanda di esenzione venticinquennale presentata dalla ditta 
Mollar Mario per l'immobile sito in Loano a via Aurelia, che riteneva 
costruito in violazione delle norme edilizie di cui all'art. 15 della 
legge 6 agosto 1967 n. 765. 

Contro tale provvedimento, che veniva notificato a Dionisio e Nello 
Caufin, costoro proponevano ricorso alla Commissione tributaria di primo 
grado di Savona, che annullava il provvedimento per mancanza assoluta 
di motivazione insuscettibile di essere sanata dalla successiva produzione 
delle fotocopie dei verbali dei rilievi edilizi. 

La Commissione di secondo grado confermava tale decisione e la 
Commissione tributaria centrale rigettava il ricorso dell'ufficio, osservando 
che il provvedimento di rigetto della domanda di esenzione costituiva 
atto impositivo privo della motivazione che questo tipo di atto 
esige. 

Contro tale decisione l'Amministrazione delle finanze ha proposto 
ricorso per cassazione in base a due motivi. 
Dionisio e Nello Caufin non hanno svolto attivit� difensiva in 
questa sede. 

Motivi della decisione. 

Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente denunzia la violalazione 
e falsa applicazione dell'art. 41 ter della legge 17 agosto 1942 

(1) Questione identica a quella decisa con sent. 26 ottobre 1988 n. 5782 in 
questa, Rassegna, 1989, I, 304; annotando detta sentenza fu evidenziata la poca 
coerenza della eventualit� di una pronunzia di solo annullamento riferita ad un 
atto pronunziato sull'istanza del contribuente. Nel caso ora deciso la Commissione 
di primo grado aveva annullato perch� non motivato un provvedimento 
che dichiarava non spettanti le esenzioni domandate (nella specie esenzione 
ILOR sulla casa di abitazione); � stato necessario un giudizio di appello, uno 
di terzo grado ed uno di cassaziim� per arrivare alla conclusione che la com~ 
missione deve giudicare nel merito sulla spettanza della esenzione e non limitarsi 
ad una inutile decisione preliminare di annullamento. Tutto questo 
travaglio (su iniziativa dell'ufficio ma gravoso anche per il contribuente) � stato 
determinato dal dubbio che la decisione di annullamento poteva compromettere 
la sostanza del rapporto, il che certamente non sarebbe stato peroh� l'annulla� 
mento dell'atto (in questo� caso non recante una pretesa) non significava di 
certo spettanza dell'esenzione. Dunque fatica processuale inutile se pure giusti� 
ficata dalla incertezza della giurisprudenza che lascia un margine, sia pure 
limitatissimo, al giudizio di solo annuUamento. . 
Per. �un approfondimento del problema dell'accertamento non motivato cfr. 
la nota a Cass: 29 marzo 1990, n. 2576, in questo fascicolo, pag. 352. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

n. 1150, in relazione all'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765, e sostiene 
che il provvedimento di diniego della esenzione venticinquennale (nel 
quale l'Amministrazione finanziaria si limita a recepire i risultati dell'attivit� 
accertatrice di un organo amministrativo diverso, da questo 
gi� portati a conoscenza dell'interessato con la indicazione della irregolarit�) 
� sufficientemente motivato con il semplice richiamo della 
irregolarit� accertata dal Comune. La Commissione tributaria centrale, 
quindi, non avrebbe dovuto ritenere privo di motivazione il provvedimento 
di diniego (e confermare la decisione di annullamento pronunciata 
dalle commissioni di grado inferiore), ma avrebbe dovuto rite:. 
nere quel provvedimento sufficientemente motivato e decidere nel merito 
circa la spettanza, o meno, della esenzione. 
La censura � fondata. 

Conviene premettere che la esenzione venticinquennale, di cui si 
controverte, fu negata dall'Ufficio delle imposte dirette di Albenga in 
quanto trattavasi d'immobile costruito in violazione delle norme edilizie 
di cui all'art. 15 della legge 6 agosto 1967 n. 765; e che, come si d� 
atto nella decisione impugnata, il provvedimento di diniego traeva origine 
dalla comunicazione che il Comune di Loano aveva fatto all'Intendente 
di finanza di Savona, nella quale le violazioni della citata norma 
venivano indicate nella trasformazione di mq. 150 di vani, destinati a 
sottotetto, in appartamenti, con la precisazione che � il rapporto di contrasto 
ex lege del 2 % era stato accertato al sottotetto � in cui si era commessa 
la violazione e che questa andava riferita solo all'ultimo piano e non 
all'intero fabbricato. Non si contesta, inoltre, che l'accertamento della 
violazione, da parte del Comune, fosse stato notificato agl'interessati. 

In relazione alla motivazione del provvedimento di diniego dell'esen~
ione ven_ticinquennale dell'imposta sul reddito dei fabbricati (oggi ILOR) 
derivante da infrazioni urbanistiche ai sensi dell'art. 15 della legge 

n. 765/67, Je Sezioni unite, (sent. 26 ottobre 1988 n. 5782) uniformando 
una giurisprudenza sul punto non sempre perfettamente coincidente (v. 
s~nt. 2650/84 e 4371/88; 116/85 e 5646/87; 7735 e 7737/86, ancora segtdte 
dalla sent. 1728/89), hanno affermato il principio, secondo cui l'indica~ 
zione del citato art. 15, anche senza ulteriori specificazioni, vale ad 
assolvere l'obbligo della motivazione, trattandosi di sanzione che consegue 
automaticamente all'accertamento dell'infrazione, gi� effettuato dai 
competenti organi e portato a conoscenza del contribuente (ci� che, 
come si � visto, � puntualmente avvenuto nel caso in esame). ' . 
Le Sezioni Unite hanno anche precisato, con la medesima decisione, 
che il ricorso del contribuente davanti alle commissioni tributarie in~ 
troduce un giudizio st~tturato come impugnazione delfatto impositiv�, 
ma idoneo ad implicare, per il tramite del sindacato sulla legittimit� 
sia formale che sostanziale del provvedimento, un accertamento ed una 
statuizione nel merito della pretesa dell'Amministrazione, preclusa solo 


388 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

quando l'atto risulta affetto da vizi formali che ne determinano la 
inva1� lit�, come il difetto assoluto di motivazione. 

_.:tle accertamento ben pu� essere compiuto anche dalla Commissione 

t. I], taria centrale, trattandosi di questione concernente la fondatezza 
del!.... pretesa tributaria, la quale, pur implicando l'esame di elementi 
di fatto, non � di semplice estimazione (sent. 27 aprile 1984 n. 2650). 
Fondatamente, quindi, l'Amministrazione ricorrente censura la decisione 
impugnata per avere ritenuto la invalidit� per difetto assoluto di 
motivazione, del provvedimento di diniego della esenzione (che, secondo 
i richiamati principi enunciati dalle Sezioni unite, avrebbe dovuto, invece, 
ritenere valido, sotto tale profilo) e per non avere esaminato il 
merito della controversa. (Omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. I, 22 maggio 1990 n. 4625 -Pres. Falcone . 
Est. Sensale -P. M. Lanni (conf.). Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Braguglia) c. Scognamiglio. 

Tributi erariali indiretti -Sanzioni � Provvedimento � Opposizione � Decisione 
del pretore � Impugnazione � Ricorso per cassazione. 

(I. 24 novembre 1981 n. 689, art. 23). 
Tributi erariali indiretti � Sanzioni � Opposizione al provvedimento sanzionatorio 
� Competenza del pretore � Esclusione � Legge 24 novem� 
bre 1981, n. 689 � Inapplicabilit�. 

(I. 24 novembre 1981 n. 689). 
La sentenza del pretore pronunciata secondo le norme delle leggi 
sulla depenalizzazione � impugnabile soltanto con ricorso per cassazione, 
anche quando si deduca la inapplicabilit� di tale normativa (1). 

Sono controversie tributarie sottratte alla giurisdizione del pretore 
cex art. 23 della legge 24 novembre 1981 n. 689, tutte quelle che hanno per 
oggetto sanzioni, sia soprattasse che pene pecuniarie, stabilite per la 
violazione di norme tributarie (1). 

(Omissis) Con il primo motivo l'Amministrazione ricorrente denunzia 
la violazione degli artt. 8 del r.d. 30 ottobre 1933 n. 1611 e 9, 2� comma, 
c.p.c.; l'icompetenza del pretore e la falsa applicazione degli art. 22 e 
23 della legge 24 novembre 1981 n. 689; e sostiene che, essendo quella 
decisa dal pretore una controversia riguardante una sanzione pecuniaria 
irrogata per violazioni tributarie ed avendo per ci� natura tributaria, 

(1) Decisione di evidente esattezza; v. Cass. 12 febbraio 1988 n. 1496, Foro it., 
1988, I, 2980. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

essa appartiene alla competenza del tribunale civile del luogo dove risiede 
l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto trovasi l'ufficio 
che ha liquidato la tassa o sovrattassa controversa. 

La censura � fondata. 

Occorre premettere che la sentenza emessa dal pretore in sede di procedimento 
di opposizione avverso un provvedimento irrogativo di sanzione 
pecuniaria, secondo la previsione della legge di depenalizzazione, � 
impugnabile con ricorso per cassazione (e non con l'appello) anche quando 
si deduca la inapplicabilit� di detta normativa, dato che il rimedio 
esperibile contro la pronunzia giurisdizionale va individuato in base al 
procedimento in concreto adottato (sent. S.U. 12 febbraio 1988 n. 1496). 

Nel merito � sufficiente richiamare la costante giurisprudenza di 
questa Corte, ribadita dalla citata decisione delle Sezioni unite, che 
sottrae le controversie tributarie al rito e alla competenza pretorile 
disciplinata dalla legge n. 706/75, ed ora dalla legge 24 novembre 1981 

n. 689, per attribuirla a quella del tribunale ai sensi dell'art. 9 c.p.c. (in 
arg. v. sent. 15 giugno 1981 n. 3864, 1� febbraio 1983 n. 864, 27 giugno 1983 
n. 4408, 28 ottobre 1983 n. 6380 e 25 novembre 1986 n. 6937). 
Quanto alla nozione di controversia tributaria, ai fini che qui interessano, 
� da ritenersi tale anche quella avente ad oggetto pene pecuniarie 
per omesso pagamento di tributi, non essendo di ostacolo a tale affermazione 
la distinzione, contenuta nella legge fondamentale 7 gennaio 1929 

n. 4, fra soprattassa e pena pecuniaria, non solo perch� tale distinzione 
non si pone sotto il profilo della natura dell'obbligazione, ma anche 
perch� entrambe hanno in comune, in ogni caso, la loro giustificazione 
giuridica nell'essere conseguenti alla violazione di una norma di carattere 
tributario, ossia all'omesso adempimento di una obbligazione tributaria 
in conseguenza di un comportamento colpevole del contribuente 
(v. sent. 3864/81 e 1496/88). 
Pertanto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, la sentenza 
impugnata dev'essere cassata, dichiarandosi la competenza del Tribunale 
di Napoli, ai sensi del 2� comma dell'art. 382 c.p.c. trattandosi di controversia 
non devoluta alla competenza delle commissioni tributarie dall'art. 
1 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636. (Omissis) 


PARTE SECONDA 



QUESTIONI 


PARTE SECONDA 

IL PROCESSO AMMINISTRATIVO 
NELLA SUA EVOLUZIONE STORICA (*) 


1 -Introduzione. 

In un sistema, come quello della nostra giustizia amministrativa, 
formatosi per stratificazioni successive, ogni trasformazione impone un 
ripensamento della prospettiva storica degli istituti, a partire dal loro 
� nascimento � (1). 

Non sorprende quindi che tale esigenza si avverta nell'attuale momento, 
in cui � in atto un profondo mutamento del processo amministrativo 
(cui la legge istitutiva dei TAR ha dato l'avvio) (2), a somiglianza 
di quanto gi� in passato � avvenuto in occasione delle leggi di unificazione 
(3) e delle riforme crispine (4). 

Non si tratta soltanto di ricercare nella tradizione le costanti ontologiche 
degli istituti (5), e neppure di porre in dubbio la novit� della 
legislazione (6), quanto piuttosto di promuovere la migliore comprensione 
del presente, se � vero che l'incomprensione di quest'ultimo � nasce fatalmente 
dall'ignoranza del passato� (7). 

(*) Il presente articolo � tratto da una relazione presentata al Convegno 
� La legge in corso di approvazione sul processo amministrativo � organizzato 
dal Centro Italiano di <Studi Amministrativi e tenutosi in Roma, presso la 
sede dell'Avvocatura Generale dello Stato il 3 maggio 1990. 

(1) E. CANNADA BARTOLI, La tutela giudiziaria del cittadino verso la P. A., 
Milano, .1964, p. 4. 
(2) M. BERTETTI, Il contenzioso amministrativo in Italia o l'Amministrazione 
e la giustizia secondo la L. 20 marza 1865, Torino, 1865, p. 158 ss.. 
(3) G. ASTUTI, L'unificazione amministrativa del Regno d'Italia, in Atti del 
XL Congresso di Storia del Risorgimento italiano, Roma, 1963, p. 156. 
(4) G. VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei diritti del cittadino verso 
l'autorit� amministrativa, .in Trattato di diritto amministrativo italiano diretto 
da V. E. Orlando, Milano, 1901, vol. Ili, p. 362 ss.; M. S. GIANNINI, Tribunali 
Amministrativi Regionali, in Temi Romana, 1972, I, U ss.; A. M. SANDULLI, I 
T.A.R., Napoli, 1972; M. NIGRO, La legge istitutiva dei T AR (prime considerazioni 
in particolare riguardo alle norme sulla procedura), in Consiglio di 
Stato, 1972, Il, ,p. 138. 
(5) A. PIRAS, Gli istituti di giustizia amministrativa in Italia (appunti per 
una storia del problema), Milano, 1967, p. ll. 
(6) L. PORRINI, Cenno storico del contenzioso amministrativo e suo svolgimento 
nella legislazione italiana, in Codice della Giustizia Amministrativa, 
Firenze, 1892, p. 56. 
(7) M. BLOCH, Apologia della storia, Torino, 1969, p. 54. 

)8 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELW STATO 

Ora, pur con il rischio di costringere in generalizzanti sintesi verbali 
i problemi di vicende giuridiche lontane, si pu� incentrare l'attenzione 
su due nuclei centrali intorno ai quali � venuto formandosi il sistema di 
giustizia amministrativa: l'uno strutturale, inerente all'organizzazione 

della giurisdizione, e l'altro funzionale, attinente ai modi di tutela. 

Intorno a tali nuclei si pu� rilevare, con ragionevole approssimazione, 
che gli istituti si sono sviluppati secondo due tendenze opposte, delineate 
da significativi corsi e ricorsi storici: rispettivamente di crisi e 
di avanzamento. 

La crisi del modello organizzativo � uno dei �ritorni� costanti del 
sistema, tradottosi nei ben noti mutamenti degli organi attributari della 
funzione giurisdizionale nei confronti della P.A., a partire dall'evento abolitivo 
provocato dalla legge del 1865 fino ad arrivare all'attuale assetto 
strutturale del sistema. Anzi si pu� dire che, a partire dal 1865, il modello 
organizzativo si sia sviluppato secondo una linea a spirale: il diritto 
vivente formatosi dopo la riforma abolitiva fu il tradimento della 
riforma; l'istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato fu la razionalizzazione 
di quel tradimento; la trasformazione della IV Sezione da organo 
amministrativo in giurisdizionale fu il tradimento di quella razionalizzazione. 


A voler poi indagare le cause di tali accadimenti deve indicarsi, come 
ulteriore � ricorso � storico, la costante interferenza esercitata dall'attivit� 
politica su quella amministrativa. 

� noto che una delle ragioni -forse la pi� insistita a livello parlamentare 
-della riforma Crispi fu quella di tutelare la correttezza e 
l'imparzialit� dell'azione amministrativa, proteggendola dalle intromissioni 
del potere politico che venivano allora valutate come effetti distor~
i del parlamentarismo, nei cui confronti la responsabilit� parlamentare 
non appariva sufficiente difesa. 

Pi� vicino ai nostri giorni possiamo verificare un non dissimile fe. 

nomeno di interferenza causato dal decentramento dello Stato pluralista, 
voluto dal Costituente del 1947 e attuato negli anni '70. 

Il nuovo quadro organizzativo non ha comportato solo uno spostamento 
di moduli operativi dal centro alla periferia, ma anche un passaggio 
di poteri decisionali dalla sede tecnico-amministrativa alla sede per 

litica, con sostituzione della classe politica locale alla vecchia classe 
burocratica che, se pur non vantava i meriti della consorella transalpina, 
era purtuttavia fedele a principi di correttezza e professionalit� (8). 
L'inevitabile scadimento dell'attivit� amministrativa, combinato con la 
diffusione sul territorio dei giudici amministrativi per effetto dell'istitu


(8) G. PESCATORE, Introduzione agli �Studi per il centocinquantenario del 
C.d.S. >>, Roma, 1981, XVI. 
j 


59

PARTE Il, QUESTIONI 

zione dei TAR, ha determinato, a partire dagli anni '70, la nota esplosione 
della domanda di giustizia amministrativa e, con essa, l'ennesima crisi 
organizzativa del sistema. 

Se ci� � avvenuto sotto il profilo strutturale, diversa � stata l'evoluzione 
degli istituti sotto il profilo funzionale, attinente ai modi della tutela. 
� probabilmente vero che nel pensiero risorgimentale la coscienza 
della centralit� della giustizia amministrativa nello Stato di diritto fu 
parzialmente eclissata alla luce dei grandi temi politico-costituzionali (9), 
e tuttavia non � dubbio che gi� la cultura illuminista e postrivoluzionaria 
avesse richjamato l'attenzione sulla sottoponibilit� a controllo delle 
azioni dell'autorit� da parte di un organo giudicante esterno ed autonomo. 

Prima ancora del De Broglie, nel suo articolo pubblicato anonimamente 
sulla Revue fran�aise del 1828 (10), l'esigenza di un sistema di giustizia 
amministrativa fu infatti adombrata gi� dal. Montesquieu che, 
oltre che teorico eponimo della divisione dei poteri, fu anche meno conosciuto 
sostenitore del controllo del potere giudiziario a salvaguardia 
dei cittadini (11). Dal '700 ad oggi i modi di tutela nei confronti della 

P.A. hanno subito una evoluzione costante. La stessa contrapposizione 
dialettica tra giurisdizione su atti e� giurisdizione su rapporti, e la crescente 
predilezione per questa seconda forma, sono significative attestazioni 
dell'orientamento del sistema verso una giustizia sostanziale, nella 
quale i giudici abbiano � cognizione libera e completa dei fatti dai quali 
scaturisce l'azione amministrativa � e, pertanto, l'atteggiamento di � giudici 
di rapporti o di giudici pieni� (12). 
Il ripensamento critico dei noti eventi storici, dunque, pu� essere 
intrapreso distinguendo -in dicotomia dialettica -l'aspetto organizzatorio 
del sistema, in crisi ricorrente, e quello funzionale, in avanzamento 
permanente. 

Da tale indagine emerger� che il travaglio genetico -fatto di affermazioni 
e di � tradimenti � -concerne a ben vedere gli aspetti 
organizzativi della giurisdizione; ma, nell'equazione che forma il sistema 
di giustizia amministrativa, compare altres� l'aspetto funzionale 
(ossia l'erogazione di tutela), quale costante cui tende il diritto vivente. 


(9) G. ASTUTI, L'unificazione amministrativa del Regno d'Italia, Napoli, 
1966, pp. 10-11; v., in Giurisprudenza, Appello Napoli, 21 maggio ,1866, in Giur. it., 
XVIII, 2, 241. 
(10) A. SALANDRA, La giustizia amministrativa nei governi liberi con speciale 
riguardo al vigente diritto .italiano, Torino, 1904, p. 110. 
(Il) MONTESQUIEU, De l'�sprit des loix, a cura di J. Brethe de la Gressaye, 
vol. I, Paris, 1950, vol. II, Paris, 1955. 

(12) F. BENVENUTI, Giustizia Amministrativa, in Enc. dir., vol. XIX, pp. 611-612. 

60 

RASSEGNA Dm.L'AVVOCATURA DELLO STATO 

Tirando le fila del discorso sin qui svolto, ed anticipando quanto 
si dir� in prosieguo, sembra potersi affermare che nell'evoluzione storica 
del processo amministrativo italiano possano individuarsi tre costanti: 
la interferenza politica nella attivit� amministrativa con conseguente 
degradazione di quest'ultima, la dichiarata ispirazione a modelli 

stranieri (da quello inglese mediato attraverso l'esperienza belga, che 
ispir� la legge abolitrice; a quello francese che ispir� l'evoluzione del 
nostro sistema dalla fine del secolo scorso fino agli anni '70 di questo; 
a quello tedesco, con la sua tendenziale assimilazione del processo amministrativo 
a quello civile che sembra ispirare la crisi di trasformazione 
in atto e la legge delega attualmente all'esame del Senato); la sua 
singolare tendenza, infine, ad imboccare, all'indomani di ogni riforma, 
vie diverse da quelle volute dal legislatore. 

� 2 -La legge 20 marzo 1865, n. 2248 All. E (il modello inglese mediato 
attraverso la esperienza belga). 
~al punto di vista organizzatorio, com'� noto, il legislatore italiano, 
sotto la spinta delle rivoluzioni liberali di mezzo secolo, soppresse il con


Itenzioso amministrativo di modello francese, devolvendo al giudice ordinario 
-almeno nelle intenzioni quali risultano dai lavori preparatori la 
cognizione di tutte le materie di �amministrazione contenziosa� pri


i

ma attribuite ai Tribunali del Contenzioso e riservando all'Amministra


~ 

zione solo quelle di amministrazione pura (13). , 
Non � dubbio, dunque, che la legge abbia abolito i Tribunali ordinari , 

. 

.

del contenzioso, ma non la funzione di tutela ad essi affidata. 
Infatti che la funzione garantista fosse il fine ispiratore della for


lImula organizzatoria abolitiva risulta chiarissimo -prima ancora che 
dalle applicazioni della prima giurisprudenza -dal dibattito parlamentare 
preparatorio della riforma, tutto intessuto di una sottilissima analisi 
di diversi sistemi giuridici nazionali che anticipava di quasi mezw secolo . 
la nascita del diritto comparato quale autonoma disciplina, testimonian


I

do una cultura destinata sorprendentemente a svanire subito dopo nelle 

aule di giustizia (14). 

A ben vedere il dibattito dottrinale e parlamentare che accompagn� 
la promulgazione della legge 1865 riguard� proprio l'adeguatezza della 
formula abolitiva rispetto alla funzione di tutela, ossia � la possibilit� 

I

ed il modo di imbrigliare il potere discrezionale dell'Amministrazione� (15). 

.

.

II

(13) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittadino nella cognizione 
dell'autorit� giudiziaria ordinaria, in Att,i del VII Convegno di studi giuridici 
�Contributi per la storia dell'interesse legittimo� (L. 31 marzo 1889, n. 5992), 
I 
~;
organizzato dalla Sezione Toscana del CISA, Firenze, 2-3 dicembre 1988, in �: 
corso di pubblicazione. ~~ 

(14) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittadino, op. cit. 
(15) M. NIGRO, La riforma del processo amministrativo, M11ano, 1980, 64. 
.. ~ 

! 


�1.��;~~~=:~:::~�1�1�~aaz�,����"~ 

61

PARTE II, QUESTIONI 

Il richiamo al principio di unit� della giurisdizione -con il conseguente 
corollario che un contenzioso amministrativo fosse � espressione per s� 
contraddittoria� (16) o quanto meno � associazione di due parole che 
sono ben meravigliate di trovarsi insieme� (17). -non � altro che una 
valutazione di adeguatezza del modello organizzatorio, trasposta sul piano 
concettuale. 

Senonch�, com'� noto, la fiducia che gli autori della riforma riponevano 
in tale adeguatezza, fondata sul presupposto della forza espansiva 
della giurisdizione unica, and� presto delusa per il mancato avveramento 
di quel presupposto. 

I casi, ritenuti eccezionali, di giurisdizione riservata all'Amministrazione 
e le ipotesi di giurisdizione speciale, fatte salve dall'art. 12 L. 2248 
All. E, dovevano rapidamente moltiplicarsi in parte per l'autorestrizione 
imposta dalla magistratura alla propria competenza, favorita dall'ambiguit� 
della formula � diritti civili e politici '" in parte per le numerose 
leggi che dopo l'unificazione attribuivano esclusivamente all'Amministrazione 
la decisione di controversie � in cui potevano trovarsi coinvolti 
gravissimi interessi privati� (18). 

L'esito fu quella inaccettabile perdita di tutela rispetto al previgente 
sistema del contenzioso, che port� alla seconda grande crisi organizzatoria 
ispiratrice della riforma del 1889 (19). 

A questo punto si tratta di indagare le cause di tale recessione e 
della conseguente crisi, verificando -in particolare -se esse furono 
di natura strutturale, ossia attinenti a vizio del modello organizzatorio 
abolitivo, ovvero di natura lato sensu politica, ossia connessa all'interpretazione 
e applicazione di quel modello nel diritto vivente. 

Ad un primo approccio del problema risulta che il fallimento del giudice 
unico � legato a:l principio dell'intangibilit� dell'atto amministrativo, 
principio del resto vigente anche al tempo dei Tribunali del contenzioso 
amministrativo (20). 

Infatti, l'istituto della giurisdizione unica, nel passare dal nat�o si. 
sterna di common law ad un sistema a regime amministrativo, si imbatt� 

(16) V. E. ORLANDO, Contenzioso amministrativo, in Dig. It., VII, Torino, 
1885-1898, p. 87'1. 
(17) P. S. MANCINI, Discorsi Parlamentari, IV, p. 370, passo riportato anche 
da NICOLARDI, Prolegomeni della giustizia amministrativa, Rocca S. Casciano, 
1898, p. 18. 
(18) S. SPAVENTA, La giustizia nell'amministrazione, in Codice della giustizia 
amministrativa (per cura dell'Avvocato Ranieri Parrini), Firenze, 1900, 
pp. 25-26. 
(19) Cass. Roma, 13 marzo 1876, in Foro it. 1876, I, 842, in I. F. CARAMAZZA: 
�Il diritto civile e politico del cittadino nella cognizione dell'A.G.O. >>, op. cit. 
(20) F. CAMMEO, Commentario delle leggi nella giustizia amministrativa, I, 
Milano, p. 20 ss. 
16 



.62 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

nel problema dell'imperativit� del provvedimento amministrativo. Nel 
sistcrna originario, infatti, l'atto del pubblico potere non aveva forza 
priv~legiata: un pubblico funzionario inglese era soltanto qualcuno pag<:.
to per fare, in adempimento di un dovere, quello che qualunque cittadino 
avrebbe potuto fare, volendo, nell'esercizio di un diritto (21). La 
giurisdizione unica, quindi, non poneva quel problema di interferenza 
con l'esecutivo avvertito in Belgio ed in Italia, ove fu infatti vietato al 
giudice ogni intervento caducatorio sull'atto amministrativo. 

Da tali premesse -e da una interpretazione � letterale � del principio 
della separazione dei poteri (22) -discesero in Italia i tre corollari che 
restrinsero la competenza giudiziaria nei confronti della P. A. secondo 
le note direttive: esclusione della qualit� di diritti civili o politici per le 
situazioni soggettive derivanti da leggi amministrative, esclusione del potere 
di disapplicazione quando l'illegittimit� fosse dedotta in via diretta e 
principale, esclusione della potestas judicandi a fronte di una attivit� 
jure imperii dell'Amministrazione (23). 

Attenendosi a tale ricostruzione potrebbe dunque ritenersi che il 
fallimento della legge abolitiva fu provocato dalla inidoneit� del modello 
organizzativo da essa configurato, il giudice unico, rispetto all'ordina� 
:mento a diritto amministrativo nel quale doveva inserirsi. 

E potrebbe addirittura ritenersi che di tale inidoneit� avessero con-
sapevolezza gli stessi autori della riforma, dei quali verrebbe cos� a sve


larsi l'intento gattopardesco di ridurre -e non di ampliare -le garanzie 

giurisdizionali nei confronti della P. A. prevedendo (e premeditando) la 

successiva recessione del sistema (24). 

Senonch� tale ricostruzione, oltre a peccare di semplicismo qeterministico, 
appare ignorare una parte rilevante dell'esperieuza storica. Invero, 
che il modello del giudice unico potesse funzionare � assunto confortato 
dalla certezza dei fatti. Innanzitutto va ricordata l'esperienza del 
Belgio -Paesf! per molti aspetti paragonabile al nostro. -ove per quasi 
-~-secolo fu considt:!r~ta soddisfacente la tutela offerta dal giudice ord�� 
nario in base ad una formula costituzionale che la nostra legge del 1865 

tradusse quasi letteralmente (25). 

-(21) P. HEWITT, The abuse of -power, Oxford, 1982, 56, 

(22) M. S. GIANNINI-A. PIRAs, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione 
ordinaria nei confronti della P. A., in Enc. dir., vol. XIX, p. 239. 
(23) G: VACCHELLI, La difesa giurisdizionale dei diritti dei cittadini verso 
l'autorit� amministrativa, in Primo Trattato completo di diritto amministrativo 
italiano, 1901, vol. III, p. 407; M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 
1983, 89; F. BENVENUTI, Giustizia Amministrativa, in Enc. dir., XIX, 599. 
(24) S. SAMBATARO, L'abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia 
amministrativa, Milano, 1977. 
(25) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico del cittadino, op. cit. 

63

PARTE Il, QUESTIONI 

Anche in Italia, del resto, non mancarono esempi -sia pure sporadici 
-di giurisprudenza da taluno definita � coraggiosa � (26), ma che 
in realt� fu semplicemente osservante del contenuto garantista dell'apparato 
normativo. 

Nel 1876, ad esempio, come risulta da una nota redazionale del 
Foro italiano, vi era un orientamento prevalente che affermava la risarcibilit� 
del danno recato ad una situazione regolata da leggi amministrative; 
la risarcibilit� del danno causato da atti autoritativi (o jure imperii); 
la potest� del giudice di disapplicare gli atti autoritativi non solo in via 
di eccezione ma anche in via di impugnativa principale (27). 

Cos� pure nella giurisprudenza di merito si pu� ricordare la decisione 
della Corte d'Appello di Napoli del 1� aprile 1868 che -in presenza di 
un divieto prefettizio di tenere una rappresentazione teatrale -punta 
il proprio sindacato sul carattere lesivo del comportamento globale 
dell'autorit� (28); ovvero la decisione della Corte d'Appello di Brescia del 
20 aprile 1869, nella quale si afferma, in materia di stabilimenti insalubri, 
che �la concessione dell'autorit� amministrativa lascia intatte le ra" 
gioni dei Tribunali ordinari� e che l'autorit� giudiziaria pu� �ordinare 
quei provvedimenti che siano necessari per impedire che gli stabilimenti 
nocivi rechino danno ai privati�, ad esempio �il trasferimento o la cessazione 
dell'industria medesima� (29). 

Dai precedenti rilievi emerge; dunque, che se la formula organizzatoria 
del giudice unico si rivel� nei fatti inadeguata, ci� non fu per sua 
deficienza strutturale ma piuttosto per la riduttiva applicazione che ritenne 
di farne la magistratura del tempo, espressione di una classe� politica 
schiettamente conservatrice. Il difficile punto di equilibrio realizzato 
dalla riforma tra le due opposte esigenze, quella autoritativa e quella garantista, 
in sede di applicazione fu squilibrato in favore della prima esigenza, 
che si volle prevalesse stilla seconda (3�). La riduzione delle situazioni 
protette �ane sole propriet� e �libert� �pers�nal�, �-ad-esefuplO;S�' fu 
parte fu necessitata dalla realt� socio politica del tempo che incentrava la 
tutela della persona sull'homo oeconomicus (31), in altra parte fu intenzionale 
interpretazione di una formula (�diritti civili e politici�) ~ram,
rpaticalmente abbastanza ampia da poter comprendere -come avvenne 
in Belgio -anche altre situazioni soggettive create dalle leggi ammini


(26) S. SAMBATARO, L'abolizione, op. cit., p. 273, nota 171. 
(27) Cass. Roma, B marzo 1876, in Foro it., 1876, I, 842; I. F. CARAMAZZA, 
op cit. 
(28} Citata da S. SAMBATARO, L'abolizione del contenzioso, op. cit., p. 273, 
nota 171. 

(29) Ibidem, p. 274. 
(30) M. S. GIANNINI-A. PIRAS, Giurisdizione amministrativa, op. cit., p. 234. 
(31) M.S. GIANNINI-A. PIRAS, op. cit., p. 234. 

64 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

strative (34). L'indirizzo restrittivo che impose la disapplicazione solo in 
via di eccezione, contrasta con il generalissimo enunciato legislativo e la 
chiarissima voluntas emersa dai lavori preparatori, oltre che dalla interpretazione 
accolta dalla giurisprudenza belga sull'omonimo istituto (33). 
Anche pi� significativo fu poi il riparto di competenza fondato sulla distinzione 
tra attivit� jure imperii e jure gestionis (34), giusta il quale 
la magistratura inclin� � molto spesso, anzi troppo spesso, a vedere lo 
jus imperii ovunque si manifestasse l'attivit� dell'Amministrazione, per 
declinare la competenza � (35). 

In definitiva il prevalere del momento autoritativo si rivela causa e 
non effetto della riduzione imposta alla competenza del giudice ordinario. 
Sotto il profilo ideologico le ragioni di tale fenomeno sono facilmente 
individuabili nella mantelliniana ipostatizzazione dell' � elemento politico � 
dell'autorit� (36), ovvero della �ragione politica� teorizzata dal Romagnosi 
come sempre prevalente su quella privata (37). Che poi l'ideologia autoritaria 
abbia fatto leva sulla � timidezza � del giudice ordinario, ovvero sul1'
�astensionismo� dettato dal �timore di portare intralcio alla P. A.� (38), 
ovvero sul � gradimento � per la tutela amministrativa gi� emerso dal 
sistema precedente e che provoc� le tesi rieditive sul contenzioso ed il 
suo �ritorno� (39), tutto sommato non ha molta importanza. 

Pi� importante, invece, quale sintomo di un disegno politico, � il 
ruolo affidato istituzionalmente al Consiglio di Stato ed alla neonata 
Avvocatura erariale. Il primo -istituito significativamente giudice dei 
conflitti di attribuzione tra giurisdizione e amministrazione -mont� 
una severissima guardia ai privilegi del potere che rappresentava, operando 
secondo lo schema paralogico del � tu hai torto e perci� ti nego il 
giudice� e negando giurisdizione al giudice ordinario ogniqualvolta l'Amministrazione 
avesse agito jure imperii. 

La stortura logica cos� istituzionalizzata non poteva durare a lungo 
e difatti 12 anni dopo, nel 1877, le funzioni di giudice dei conflitti venivano 
devolute alla Cassazione romana (40). 

(32) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico, op. cit. 
(33) B. BIVORT, Commentaire � la Constitution de la Belgique, cit. in 
Cammeo, op. cit., I, 43'5. 
(34) G. VACCHELLI, op. cit., p. 43!7; M. NIGRO, op. cit., p. 89. 
(35) L. MORTARA, Commentario del cadice e delle leggi di procedura civile, 
VI, Milano, 1923, Prefazione. 
(36) G. MANTELLINI, Lo Stato e il codice civile, vol. 1, Firenze, 1880, p. 14. 
(37) D. RoMAGNOSI, Principi fondamentali del diritto amministrativo onde 
tesserne le istituzioni (con nuovi documenti illustrativi somministrati dall'autore), 
Firenze, 1844, p. 155 ss. 
(38) L. VITTA, Giustizia amministrativa, Milano, 1903, p. 11. 
(3'9) S. SAMBATARO, op. cit., p, 261. 
(40) rL. 31 marzo 1977, n. 376. 

PARTE II, QUESTIONI 6f 

In sintomatica coincidenza temporale veniva peraltro istituita l'Avvocatura 
erariale, al duplice dichiarato fine di sopperire alle insufficienze 
mostrate dal sistema delle agenzie del contenzioso nel nuovo sistema di 
giustizia, da un lato, e di controllo del rispetto delle prerogative dell'esecutivo 
da parte del giudiziario, dall'altro. 

In effetti l'istituto dell'Avvocatura -la cui originaria denominazione 
di �erariale� forse gi� denunziava le limitate dimensioni che lo Stato 
intendeva attribuire al proprio contenzioso -nacque con il dichiarato 
intento di concorrere, con l'adozione di criteri di difesa unitari, alla 
elaborazione giurisprudenziale della distinzione fra diritti ed interessi e 
a definire i limiti oggettivi del potere del giudice ordinario in ordine all'atto 
amministrativo (41). A fronte della formula generale del legislatore 
del 1865, �di semplicit� ingannatrice� (42), parve infatti necessaria la istituzione 
di un organo unitario di difesa in giudizio (43) per supplire alla 
soppressione di un foro amministrativo speciale (44), soprattutto in previsione 
del passaggio alla Cassazione della competenza sui conflitti. Ci� a 
differenza di quanto accadeva in Francia, dove -scriveva il Mantellini, 
ultimo Avvocato regio di Toscana e primo Avvocato Generale erariale 
� ...si fidano del Pubblico Ministero e del Prefetto: e poterono dispensarsi 
da un istituto di consiglieri, di avvocati demaniali o erariali, in grazia 
di quel loro foro amministrativo che ne avoca le maggiori cause e dove 
l'amministrazione trova nei giudici quanta assistenza a lei bisogna� (45). 

� 3 -Delle leggi del 1889-1890 fino alla Legge 6 dicembre 1971 n. 1034 
ed oltre (il modello francese e la sua evoluzione). 

Le cause politiche e sociali sopra esposte determinarono, com'� noto, 
la seconda grande crisi organizzatoria del sistema, dopo quella che colp� 
i Tribunali del contenzioso. Il discorso di Bergamo di Silvio Spaventa testimoniando 
lo stato di acuta insoddisfazione per la scarsissima e spesso 
inesistente tutela offerta all'amministrato contro gli arbitri dell'Amministrazione 
-individua proprio la distonia tra la formula organizzatoria 
di tipo abolitivo (mal interpretata nel diritto vivente) ed il fine garantista 
pur sempre sotteso al sistema. 

Per ovviare a tale insoddisfazione il legislatore si trov� a dover risolvere 
ancora un problema organizzativo che si prospettava in forma di 
dilemma: o ampliare -eventualmente in via di interpretazione auten


(41) F. BATISTONI FERRARA, La difesa dello Stato in giudizio e la soluzione 
italiana, in �L'Avvocatura dello Stato�, Studio storico giuridico per la celebrazione 
del centenario, Roma, 1976, 278 ss. 
(42) L. ARMANI, Il Consiglio di Stato, in Trattato di V. E. Orlando, I, 949. 
(43) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., 254 ss. 
(44) Relazione al Regolament 016 gennaio 1876, n. 2914, serie II, pubblicata 
in allegato alla Relazione dell'Avvocato Generale erariale per il 1876, p. 74. 
(45) Relazione, ult. cit. 

66 RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

tica -il numero delle situazioni soggettive tutelate dinnanzi al giudice 
ordinario, disconoscendo i risultati giurisprudenziali raggiunti, come suggerivano 
alcuni (46), ovvero accettare per buono quel �diritto vivente� 
ed istituire un altro organo per tutelare situazioni diverse dai diritti. 
Una volta scelta tale seconda soluzione, fu giocoforza accettare il postulato 
che ci� che andava tutelato, per garantire la legalit� nell'azione 
amministrativa, erano meri �interessi� (aventi cio� ad oggetto beni 
della vita non conseguibili senza l'intermediazione dell'esercizio di un 
potere discrezionale), e che di essi non avrebbe potuto conoscere che un 
organo incardinato nell'esecutivo (e che per la loro tutela strumento necessario 
e sufficiente -visto che si trattava semplicemente di � integrare
� la legge del 1865 -fosse l'annullamento dell'atto da quella non previsto). 
Cos� infatti si disse espressamente nella relazione alla legge isti


II 
tutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato: �il nuovo istituto non � un 
tribunale giudiziario speciale o eccezionale, ma rimane nella sfera del 
potere esecutivo, da cui prende la materia e le persone che lo devono 
mettere in atto. � lo stesso potere esecutivo ordinato in modo da tutelare 
maggiormente gli interessi dei cittadini. Perci�, a differenza dell'antico 
contenzioso amministrativo, esclude ogni confusione di poteri costituzionali... 
� soltanto un corpo deliberante che il potere esecutivo forma con 
elementi scelti nel suo seno, come a sindacare dei suoi atti, e per manf.
�

l 

tenere la sua azione nei limiti della legalit� e della giustizia� (47). 
Lo stesso concetto fu pure illustrato nel discorso inaugurale che Spa


I 

venta aveva preparato e che non fu per� mai pronunciato. 

Il fatto che nella concezione del legislatore il nuovo istituto fosse un 
organo dell'amministrazione consent� peraltro di attribuirgli un potere 
che giammai, all'epoca, sarebbe stato affidato ad un organo giurisdizionale, 
cio� quello di sospendere, annullare e revocare l'atto amministrativo 
(48), il che contribu� a far s� che la nuova Sezione, sapientemente 
guidata da quello stesso Silvio Spaventa che l'aveva cos� fortemente voluta, 
conquistasse ben presto il favore del pubblico, dimostrando che la 
tutela offerta � non cedeva, per indipendenza di giudizio, a quella che 
si poteva ottenere, per i diritti, dall'Amministrazione giudiziaria ordinaria
� (49). 

Anche quella formula organizzativa, peraltro, era destinata a mutare 

per la � forza delle cose � e per il prevalere di quella funzione (eroga


zione di giustizia) sempre insita nel sistema. 

(46) Cfr. Atti Parlamentari Senato 20 marzo 1888, 1170. 
(47) V. SCIALOJA, Come il Consiglio di Stato divenne organo giurisdizionale, 
in Riv. dir. pub., 1931, 417. 
(48) Scrisse infatti V. SCIALOJA op. cit., p. 412, che �attribuire quest'ultima 
facolt� al Consiglio di Stato, infatti, non significa nel concetto della L. 1889, 
sottrarla all'Amministrazione�. 
(49) F. BATISTONI FERRARA, op. cit., p. 284. 

PARm n, QUESTIONI 

67 

La natura giurisdizionale della nuova magistratura fu pressocch� immediatamente 
riconosciuta dalla giurisprudenza: gi� nel 1893, infatti, la 
Cassazione di Roma a Sezioni Unite, con sentenza 21 marzo 1983 

n. 177 (50), statuiva che �la IV Sez. del Consiglio di Stato � stata investita 
dalle leggi 31 marzo 1889 e 1� maggio 1890 di una vera e propria giurisdizione, 
la quale ha pure il carattere speciale di fronte a quelle generiche 
assegnate all'autorit� giudiziaria, donde l'ammissibilit� del ricorso per 
incompetenza o eccesso di potere anche contro le decisioni della IV 
Sezione � (51). 
Cominciava cos� la singolarissima -e per tanti versi ambigua costruzione 
del giudizio dinanzi al Consiglio di Stato italiano nato nell'amministrazione 
ed evoluto nella giurisdizione per giudicare di un interesse 
legittimo considerato come situazione sostanziale fino alle soglie del giudizio, 
al cui accesso legittimava, per .perdere poi in esso tale connotato 
in quanto la natura cassatoria della pronuncia non riconosceva o disconosceva 
alcun bene della vita, limitandosi ad annullare -o non annullare 
-un atto amministrativo. 

Fu detto a suo tempo che, con l'istituzione della IV Sezione del Consiglio 
di Stato, una parte della classe dirigente fu chiamata a controllare 
se stessa (52): questo in linea con quella tradizione transalpina che riconosceva: 
nel Conseil d'Etat -nato come massima espressione logica di 
un'� amministrazione senza giudice � ed evolutosi in giudice dell'amministrazione 
(53) -il duplice ruolo di garante dei diritti del cittadino contro 
gli abusi dell'amministrazione e di protettore delle prerogative del potere 
pubblico (26), considerato non solo �parte� da giudicare, ma anche apparato 
da. dirigere e da consigliare (54). 

Alla conseguente ambiguit� del relativo giudizio si aggiunge poi quella 

ulteriore derivante logicamente da un sindacato di tipo cassatorio non 

omogeneamente collegato con un previo giudizio � di merito �. 

In tale �mbiguit� di fondo il Consiglio di Stato italiano s�ppe per� 
creare, in tre quarti di secolo, una elegantissima costruzione giuridica in 
cui non si sa mai se ammirare di pi� la fantasia nell'escogitare nuove 
soluzioni, il rigore gi�ridico nell'argomentarle o il pragmatismo nel raggiungere 
sostanziali risultati di giustizia attraverso un armam�ntario normativo 
rozzo e limitatissimo. 

(50) In Foro It., 1893, I, 294 ss. 
(51) La massima � tratta dalla Relazione dell'Avvocato Generale per 
l'anno 1898, 32. 
(52) L. PICCARDI, Intervento al X Convegno di Studi di scienza dell'amministrazione, 
1964, Atti, 97. 
(53) G. VEDEL, Il controllo giurisdizionale della� pubblica amministrazione 
in Francia, in � Il controllo giurisdizionale della P. A., Studi di diritto comparato 
di A. Piras, Torino, 1971, 84-85. 
(54) M. HAURIOU, Principes de droit public, Parigi, 1910, 491. 

68 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

Una ricognizione dell'evoluzione pretoria dei principali istituti di giustizia 
amministrativa eccederebbe e non di poco i limiti di questa relazione: 
converr� accennare appena ad alcuni di essi e ad alcune delle 
tappe principali di relativa evoluzione per ricordare quasi esemplarmente 
il modus operandi di una gloriosa tradizione di diritto giurisprudenziale 
che � stata autorevolmente definita una �et� d'oro caratterizzata da 
un sorprendente impulso di travolgente creativit�� (55). 

Tanto per non parlare poi del frutto pi� originale di tale elaborazione: 
l'interesse legittimo. 

Nato come espediente esegetico (56) per superare le aporie del sistema 
di giustizia creato dalle leggi del 1865 e del 1889 (o piuttosto dalla 
loro interpretazione), fu teorizzato come situazione giuridica soggettiva sostanziale 
unitaria sulla scorta del seguente sillogisma: se alla IV Sezione 
doveva riconoscersi natura giurisdizionale e se l'interesse davanti ad 
essa fatto valere poteva essere protetto denunciando uno qualunque dei 
tre vizi di incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere, occorreva 
allora riconoscere che la riforma del 1889 aveva attribuito natura 
giuridica a situazioni diverse al tempo stesso dal diritto civile e poli� 
tico e dall'interesse semplice, materiale, economico (57). 

L'argomento appare discutibile in s� e comunque condizionato dal 
postulato della situazione giuridica soggettiva come � prodotto immuta� 
bile della ragione� (58). 

Se il diritto fosse una scienza esatta, tale operazione logica potrebbe 
essere paragonata a quella attuata dagli astronomi quando, dallo studio 
delle orbite dei pianeti esterni del sistema solare, deducono l'esistenza 
di un invisibile decimo pianeta e ne misurano massa e orbita. 

Ed � proprio la scoperta di tale � decimo pianeta � a riempire la 
storia degli anni successivi, dal 1889 al 1924. 

In quegli anni, infatti, gli interventi legislativi ripetutamente sollecitati 
per correggere e dare coerenza al sistema disorganico istituito dalle 
leggi del 1865 e 1889, �si risolvono nella storia delle occasioni mancate, 
dei tentativi falliti� (59). 

Caduti il progetto di legge Orlando del 1901, i due disegni di legge 
del 1904, il progetto di legge del 1910 accompagnato dai laboriosi studi 

(55) D. FELICI, Analisi di una maieutica giudiziale (Il trentennio iniziale 
della IV Sez. del Consiglio di Stato), in Studi per il Centenario della IV Sezione, 
Roma, 1989, p. 277. 
(56) F. GUICCIARDI, Concetti tradizionali e principi ricostruttivi della giustizia 
amministrativa, in Studi di Giustizia Amministrativa, Torino, 1967, 8. 
(57) o. RANELLETTI, cit. in B. SORDI, op. cit., p. 271-272; I. F. CARAMAZZA, Il 
diritto civile e politico, cit. 
(58) L. MENGONI, Diritto e politica nella dottrina giuridica, Iustitia, 1974, 
337 ss. 
(59) M. S. GIANNINI-A. PIRAS, op. cit., p. 247. 

69

PARTE II, QUESTIONI 

di Codacci Pisanelli e D'Amelio, l'unico intervento di rilievo -se si esclude 
la legge 7 marzo 1907 istituiva della V Sezione del Consiglio di Stato la 
quale � creava pi� problemi di quanti ne risolvesse� (60) -fu il Testo 
Unico sul Consiglio di Stato (r.d. 26 giugno 1924 n. 1058), che -per l'eccessiva 
prudenza legislativa dovuta al clima confuso dell'epoca -fin� per non 
rispondere ad alcuna delle principali esigenze manifestate nei dibattiti 
parlamentari degli anni precedenti (61). 

Il sistema evolvette fino alla Carta repubb1icana del 1948 che, in 
modo quasi notarile, lo costituzionalizz� con tutte le sue originalit� e 
le sue contraddizioni: basti pensare a quella che vede contrapporre da 
un lato la qualificazione dell'interesse legittimo come posizione soggettiva 
sostanziale (art. 24), dall'altro la qualificazione del giudizio amministrativo 
come giudizio sull'atto e quindi come giudizio cassatorio, inidoneo 
a garantire il riconoscimento di un bene della vita (art. 113). Unico, modesto, 
elemento innovativo, l'introduzione del principio del doppio grado, 
con la previsione (art. 125) dell'istituzione a livello regionale di organi 
di giustizia amministrativa di primo grado. Previsione cui doveva dare 
attuazione la legge istitutiva dei Tribunali Amministrativi Regionali (6 dicembre 
1971 n. 1034) che, come � noto, non contiene alcuna rivoluzionaria 
innovazione normativa ed appare anzi, in larga misura, rispettosa delle 
formule tradizionali. 

In conclusione sembra potersi osservare che normativa costituzionale 
e normativa ordinaria sui T.A.R. segnano il consolidamento di un 
sistema di giustizia amministrativa ispirato alla tradizione transalpina 
che, nello stesso torno di anni (1953), istituiva i Tribunali Amministrativi 
Regionali in luogo dei vecchi consigli di Prefettura. 

L'evoluzione della giurisprudenza -come si vedr� anche nel paragrafo 
seguente -mostra invece, una profonda e progressiva divaricazione 
della nostra giustizia amministrativa rispetto al modello francese, 
cio� al modello di un giudice che con l'Amministrazione ha un rapporto 
privilegiato in quanto non solo la giudica ma la consiglia o addirittura 
la dirige. 

Ci� � dovuto, ci pare, a due fattori, l'uno normativo l'altro sociologico. 
Il primo, attiene al fatto che il principio del doppio grado in Francia non 
� stato generalizzato: i settori pi� importanti del contenzioso amministrativo 
-segnatamente quelli relativi alla impugnativa degli atti amministrativi 
pi� rilevanti ed ai rapporti di impiego dei pi� alti funzionari sono 
rimasti affidati alla competenza del Consiglio di Stato come giudice 
di unico ed ultimo grado, con tutte le sue tradizionali caratteristiche 
di imbricazione nell'Amministrazione. 

(60) M. S. GIANNINI-A. PIRAS, op. cit., p. 247. 
(61) M. S. GIANNINI-A. PIRAS, op. cit., p. 249. 

70 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 


Il secondo -in qualche modo al primo connesso -� la creazione 
di una nuova classe di giudici amministrativi italiani, di estrazione diversa 
da quella tradizionale del Consiglio di Stato e sganciati da ogni funzione 
di consulenza. Ci� ha fatto s� che nei confronti dell'Amministrazione 
la giurisdizione amministrativa abbia manifestato, per la prima volta nella 
sua storia, un netto distacco, cui si aggiunge una nota di diffidenza e 
sospetto, ogni qualvolta la questione sottoposta al giudizio abbia una 
particolare rilevanza politica o comunque incida su fatti politicamente 
rilevanti (62). 

La diffusione �sul territorio� dei giudici amministrativi e la degradazione 
dell'attivit� amministrativa, di cui si diceva prima, hanno reso, 
poi, di massa una domanda di giustizia che era prima solo elitaria. 

A ci� si aggiunga che, sia pur sommessamente, la legge istitutiva dei 
TAR aveva avviato una tendenza, significativa sotto il profilo organizzatorio, 
destinata ad accentuarsi negli anni successivi: l'ampliamento delle 
materie attribuite al giudice amm.vo in sede di giurisdizione esclusiva. 

Com'� noto, infatti, la legge 1071 attribu� alla cognizione dei TAR 
la materia delle concessioni, cos� intaccando per la prima volta (e per 
�clausola generale�) un criterio di ripartizione non pi� basato sulla 
contrapposizione (o, nella specie, sulla possibile confusione) fra diritto e 
interesse legittimo ma su una distinzione di �blocchi di materie� (63). 
Sulla stessa via sembra d'altronde essersi posta la Corte di Cassazione (64), 
in una linea di tendenza che sembra destinata a privare del suo principale 
significato quella distinzione di situazioni soggettive che tradizionalmente 
segna il discrimine fra le due giurisdizioni (65). 

Il tendenziale aumento dei casi di giurisdizione esclusiva � confermato 
anche da numerosissime leggi. Vedansi quelle -solo esemplificativamente 
indicate -28 gem1aio 1977 n. 10, 20 marzo 1980 n. 75, 24 marzo 
1981 n. 145 (66), 7 agosto 1990 n. 241. 

Ove si ponga mente al fatto che normalmente la giurisdizione per ma� 
terie � una �giurisdizione piena� (67), sembra potersi concludere che 
in via tendenziale gran parte delle situazioni soggettive sostanziali finora 
qualificate come interessi legittimi � avviata a trovare nel processo am


(62) F. PIGA, Centocinquant'anni del Consiglio di Stato, in Atti del Convegno 
celebrativo del 150� anniversario della istituzione del Consiglio di Stato, 
Milano, 1983, 391. 

(63) F. BENVENUTI, Atti parlamentari cit., seduta del 24 ottobre 1984. 
(64) M. NIGRO, Atti parlamentari cit., seduta del 16 ottobre 1984. 
(65) A. NoccELLI, Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, 
in Studi per il centocinquantenario cit., III, 1671-1672; S. GIACCHETTI, 
L'interesse legittimo alle soglie del 2000, in Foro Amm., 1990, 1908 �ss.� 
(66) M. NIGRO, Giustizia Amministrativa, Bologna, 1983, 103. 
(67) F. MERUSI, Atti parlamentari cit., seduta del 23 ottobre 1984. 

PARTE II, QUESTIONI 

71 

ministrativo quella soluzione pienamente satisfattiva che il tradizionale giudizio 
rigorosamente cassatorio non assicurava se non in alcuni casi di degradazione 
o di affievolimento. 

� 4 -Il processo amministrativo nella evoluzione della giurisprudenza 
(Verso un modello tedesco?). 

La storia finora descritta, fatta di affermazioni e di � tradimenti �, 
riguarda il modello organizzatorio del sistema di giustizia amm.va, cui 
peraltro fa riscontro un nucleo funzionale che -per converso -� venuto 
sviluppandosi secondo una linea costantemente evolutiva. � appena il 
caso di ricordare che alle sue origini il processo amministrativo � -come 
significativamente rileva Piccardi -un � processo di parti in cui una 
parte � un p� meno parte dell'altra�, alludendo per un verso al rispetto 
del principio della legalit� da parte della P.A. anche in veste di convenuta 
in giudizio, per altro verso ai suoi numerosi privilegi sostanziali e processuali 
accresciuti dal limitatissimo strumentario cognitorio e decisorio di 
cui disponeva il giudice per dare tutela all'interesse legittimo (68). 

Partendo da tale stato di fatto, l'evoluzione del processo in senso 
spiccatamente garantista attesta un moto di avanzamento tendenzialmente 
uniforme, tanto pi� significativo se raffrontato alle oscillazioni registrate 
nella scelta della formula organizzatoria. 

Vale la pena di ripercorrere sinteticamente le fasi di questo �avanzamento
�, opera laboriosa della giurisprudenza cui spett� colmare lo sfasamento 
-analogo a quello avvertito anche nell'ordinamento francese (69) tra 
il regolamento di procedura del 1907 e le successive riforme (70). 

Non � dubbio che all'origine, malgrado qualche riferimento formale 
ai principi del � diritto giudiziario comune�~ (71) sul presupposto di una 
certa affinit� del processo amministrativo con il ricorso in Cassazione e 
con l'azione di annullamento di un negozio privato, la giurisprudenza 
fosse certa della differenza strutturale del processo civile rispetto a quello 
amministrativo. 

Invero se in quest'ultimo si riconosceva al cittadino la posizione di ricorrente, 
ossia di attore, tale posizione era �il risultato di una posizione 
d� disparit� sostanziale, dipendente dall'attribuzione alla pubblica autorit� 
della potest� di determinare unilateralmente le vicende di situazioni giuridiche 
altrui, in quanto necessaria per il conseguimento di interessi pub


(68) I. F. CARAMAZZA, Il diritto civile e politico, op. cit.. 
(69) J. M. AUBY e R. GRADO, Trait� de contentieux administratif, vol. III, 
1%7, p. 147. 
(70) E. CANNADA BARTOLI, Processo amministrativo (considerazioni introduttive), 
in Nov. dig., p. 1077 ss.. 
(71) V. E. ORLANDO, La giustizia amministrativa (Trattato di diritto amministrativo, 
vol. Ili, p. 945). 

72 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

blici � (72). Alla diversa qualit� delle parti corrisponde la diversit� degli 
interessi in gioco, fusi in una eterogenea combinazione che parte della 
dottrina definisce � paradossale � (73): da una parte vi � l'interesse soggettivo 
-che genuinamente � tale -del ricorrente; dall'altra vi � l'interesse 
pubblico, avente natura fondamentalmente oggettiva in quanto concerne 
la stabilit� di un comando che -bench� subiettivato nell'Amministrazione 
-� pur sempre dell'ordinamento generale (74). 

Ora, poich� la struttura del processo � funzione della qualit� delle 

parti e degli interessi, si spiega perch� il processo amministrativo si sia 

storicamente differenziato da quello civile che � tendenzialmente proces


so a parti equivalenti (75). 

Si spiega, ad esempio, la costituzione del rapporto processuale amministrativo 
mediante vacatio judicis e non mediante vacatio in jus, non 
potendosi ammettere che lo Stato fosse chiamato come �reo� nel pro� 
cesso (76); si spiega, in fase istruttoria, il metodo inquisitorio o almeno 
acquisitorio (77), cui peraltro neppure � estranea l'origine non giurisdizionale 
del Consiglio di Stato e la conseguente configurazione dell'istruttoria 
quale procedimento di controllo amministrativo (78); in fase decisoria, 
infine, si spiega la limitatezza dei poteri attribuiti al giudice, addirittura 
configurato da taluno come �organo ausiliario della P.A. � (79). 

Senonch�, di tale modello processuale � interessante indagare gli aspetti 
funzionali. 

Parte della dottrina, tentando una razionalizzazione dei dati emergenti 
da esperienze storiche e giuridiche comparate, ritiene che nei processi a 
struttura non paritaria la sentenza abbia la funzione preminente di assicurare 
la certezza dei rapporti giuridici, laddove nei processi a struttura 
paritaria la sentenza deve assicurare -oltre alla certezza -la verit� o, 
il che � lo stesso, la giustizia (res judicata pro veritate habetur) (80). 

Ora, che il processo amministrativo abbia storicamente perseguito attraverso 
il sindacato di legittimit� -la certezza, sembra innegabile, considerata 
sia la sua natura di giudizio sull'atto, del quale � interesse dell'or


(72) E. CANNADA BARTOLI, op. cit., p. 1079. 
(73) IDEM, op. cit., p.. 10811. 
(74) IDEM, op. cit., pp. 10811-1082. 
(75) F. BENVENUTI, Processo ammnistrativo (struttura), in Enc. dir., XXXVI, 
p. 458; G. CARNELUTTI, Sistema del diritto processuale civile, I, Padova, 1936, 264. 
(76) F. BENVENUTI, op. cit., p. 461; E. CANNADA BARTOLI, op. cit., p. 1080. 
(77) F. BENVENUTI, op. cit., p. 461; E. PICOZZA, Processo amministrativo 
(normativa), in Enc. dir., XXXVI, p. 492. 
(78) E. CANNADA BARTOLI, op.. cit., p. 1085. 
(79) C. BozzI, La giustizia nell'Amministrazione nella sua evoluzione storica 
(La Giustizia nell'Amministrazione -Atti del 3� Convegno di studi di scienza 
dell'Amministrazione, Milano, 1959, p. 30). 
(80) F. BENVENUTI, op. cit., p. 457. 

PARTE II, QUESTIONI 

dinamento definire sollecitamente la sorte, sia la tradizionale presunzione 
di legittimit� dell'operato amministrativo che giustifica astrattamente 
un � affidamento di giustizia � superiore a quello realizzabile in un processo 
paritario (81). 

Senonch� la richiesta sempre crescente montante dalla societ� era 
che il giudice amministrativo si trasformasse da giudice dell'atto in giudice 
del rapporto per la conseguibilit� nel processo di quel �bene della vita� 
che dovrebbe pur essere conseguibile, se � vero che l'interesse legittimo 
� una situazione sostanziale e se � vero che la giurisdizione, nel linguaggio 
legislativo e in quello comune, si risolve semanticamente nella giustizia (82). 
Detta tendenza veniva accentuata dalla crisi dell'interesse pubblico, causata 
per un verso dall'imporsi del pluralismo (83) e per altro verso dal 
prevalere dello Stato erogatore di servizi sullo Stato-Autorit� (84). 

Ora, bench� stretto nelle angustie di una giurisdizione generale di legittimit� 
che rimane pur sempre una giurisdizione di annullamento, il giudice 
amministrativo italiano � riuscito a rendere sempre pi� effettuale 
la propria risposta di giustizia, spostando l'oggetto del proprio giudizio 
dall'atto all'attivit� o alla pretesa e cos� avvicinando il processo amministrativo 
sull'atto al � processo sul rapporto �, 

In realt�, fin dall'origine del processo amministrativo si registra una 
lenta e costante tendenza evolutiva dalla �certezza � alla � giustizia � del 
rapporto. Ed anzi proprio a tale evoluzione funzionale probabilmente si deve 
se, dopo la riforma del 1889-1890 non coordinata con la legge del 1865, 
la conseguente distonia del sistema non abbia provocato un nuovo � tradimento
� del modello organizzatorio. 

La storia -cui si far� breve cenno -di alcuni pi� significativi 
istituti di elaborazione giurisprudenziale, segna le tappe di tale evoluzione. 


A) Eccesso di potere. 

Introdotto dalla legge del 1889 quale VIZIO deducibile dinnanzi alla 
nuova Sezione del Consiglio di Stato, non � dubbio -risultando dalla relazione 
al progetto di legge e dalla discussione al Senato -che il legislatore 
intese attribuire alla nozione il significato restrittivo e conservativo 
di �straripamento di potere�. E tale fu l'indirizzo effettivamente seguito 
dalla Cassazione (significativa in tal senso una decisione del 1892) (85). 
Senonch� a quello stesso anno risale -ad opera del Consiglio di Stato l'inizio 
del moto evolutivo che, muovendo in sintonia con la coeva giuri


(81) IDEM, op. cit., p. 459. 
(82) S. SATTA, Giurisdizione (nozioni generali), in Enc. dir., vol. XIX, p. 219. 
(83) M.S. GIANNINI, Diritto Amministrativo, vol. I, Milano, 1970, p. 106 ss. 
(84) G. AzzARITI, Dalla Discrezionalit� al Potere, Padova, 1989, p. 361. 
(85) Cass. Roma, 14 giugno 1892 in Giur. It., 1892, I, 1, 868. 

74 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

sprudenza francese e sulla scorta di precedenti pareri resi m sede consultiva, 
svilupp� il vizio come �sviamento di potere�. Nella cennata 
decisione del 1892 -che era di rigetto del ricorso, secondo la tecnica di 
affermare i principi innovativi in maniera incruenta -si statuiscono i 
parametri di logicit�, razionalit� e conformit� allo spirito delle leggi cui 
l'atto deve essere conformato. 

Nel decennio successivo l'indirizzo si sviluppa elaborando l'eccesso 
di potere come vizio endoprocessuale (o intrinseco), sintomatizzato dalla 
contraddittoriet� dei motivi o dalla incongruenza dei motivi con le risultanze. 


Fino alla prima guerra mondiale, peraltro, a fronte di tale interpretazione 
liberale -fondata probabilmente pi� sulla applicazione � distorta � 
di matrice dottrinale (86) e giurisprudenziale, che non sulla littera legis (87) 
-il Consiglio di Stato continua ad autolimitare il proprio sindacato alle 
� risultanze degli attti �, con ci� assumendo un atteggiamento pi� rigoroso 
del Conseil d'Etat francese (88). 

L'ulteriore passo avanti fu compiuto tra le due guerre, quando il sindacato 
di legittimit� si accentr� sulla motivazione che, intesa come procedimento 
logico, si prestava ad essere sindacata non solo per mancanza o 
insufficienza della stessa (quale sintomo di vizio occulto dell'atto), ma 
anche per contraddittoriet� con elementi extraprocedimentali (estrinseci), 
acquisibili in virt� del principio del libero convincimento del giudice 
(significativa � una decisione del 30 dicembre 1938). 

Infine, a partire dal 1950, il sindacato si sposta dai motivi che sono 
alla base dell'atto, al comportamento complessivo della P.A. ossia all'� uso 
reale� del potere, cos� configurando l'eccesso di potere -come teorizzato 
in dottrina -quale � vizio della funzione � e � dell'attivit� nel suo farsi 
atto� (89), con conseguente spostamento del giudizio dalla �certezza� 
che riguarda l'atto, alla �giustizia�, che attiene al rapporto. 

B) Silenzio. 

In materia di �silenzio� l'evoluzione giurisprudenziale verso la giustizia 
del rapporto si accompagna -ed anzi significativamente consegue ad 
una parallela evoluzione avvenuta nel diritto sostanziale. 

' � '! I 

(86) G. CoDACCI PISANELLI, L'eccesso di potere nel contenzioso amministrativo, 
in Scritti di diritto pubblico, Citt� di Castello, 1900, p. 251 ss. 
(87) A. DE VALLEs, La validit� degli atti amministrativi, 1917; R. A.LESSI, 
Intorno ai conflitti di causa giuridica, illegittimit�, eccesso di potere, 1934. 
(88) G. DE CESARE, Problematica dell'eccesso di potere amministrativo, 1973, 
p. 47. 
(89) F. BENVENUTI, Eccesso di potere amministrativo per vizio della funzione, 
in Rass. di dir. p�bblico, 1950, p. 31ss.; G. DE CESARE, op. cit., p. 131. 

PARTE II, QUESTIONI 7J 

La legge del 1889, com'� noto, non reca alcuna previsione specifica in 
ordine all'impugnativa del silenzio, che anzi -nella pi� remota decisione 
della IV Sezione risalente al 1893 -fu espressamente esclusa perch� 
� se il Governo, per ragioni di convenienza di cui � il solo giudice, si 
astiene dal provvedere sopra una denuncia o, non essendo tenuto all'osservanza 
di alcun termine, dichiara, come nella specie, di sospendere 
ogni provvedimento, non pu� questa Sezione annullare siffatta risoluzione 
e tanto meno ordinare al Governo di provvedere, il che facendo essa 
verrebbe ad invadere la sfera dell'Amministrazione attiva, responsabile 
davanti ai poteri politici� (90). 

Ora, se tale conclusione risponde alla logica di un'amministrazione quella 
del secolo scorso -� con struttura accentrata e gerarchizzata � 
operante �con caratteri di segretezza, unilateralit�, autorit�� (91), il successivo 
riconoscimento del silenzio -nelle tre forme cronologicamente 
successive di silenzio rigetto, rifiuto e assenso -consegue proprio alla 
costante recessione dello Stato-Autorit� astretto dai vincoli sempre crescenti 
imposti alla discrezionalit� amministrativa. 

Non a caso la prima tutela riconosciuta avverso il silenzio, risalente 
al 1902 (92), concerneva un'ipotesi di silenzio su ricorso gerarchico 
avverso provvedimento disciplinare, dunque su una materia tendenzialmente 
vincolata; e pure non a caso l'intervento legislativo volto a 
fissare i presupposti della fattispecie fu assunto con riferimento all'omessa 
pronuncia su ricorso gerarchico (art. 5 T.U. 3 marzo 1934 n. 383), 
e solo per opera giurisprudenziale tale fattispecie fu estesa alle ipotesi 
di silenzio rifiuto (93). 

All'inizio degli anni '70 si verifica, com'� noto, l'enucleazione del silenzio 
rifiuto in una categoria autonoma; e tale fenomeno -indagato 
nelle sue cause -svela un momento di trapasso del sistema, involgente, 
prima ancora che il piano della tutela giurisdizionale, quello del diritto 
sostanziale. Se, infatti, causa prossima del fenomeno fu la semplificazione 
del procedimento in materia di ricorsi amministrativi (con esonero 
dell'istante dalla diffida a provvedere) e �l'impossibilit� -o forse 
inopportunit� -di applicare tali norme anche al silenzio rifiuto, la 
causa remota dell'individuazione della figura come categoria autonoma 
affonda nel sociale. � negli anni '70, infatti, che -con il progredire 
dello Stato sociale, erogatore di servizi e sempre pi� � service publique � 

(90) C. d. S., Sez. IV, 18 luglio 1893 n. 244, in Giust. Amm.va, 1893, I, 317. 
(91) M. NIGRO, Giurisprudenza Amministrativa e trasformazioni dell'Ammi� 
nistrazione: riflessioni sulle conseguenze sostanziali di assetti processuali, in 
Studi per il Centenario della IV Sezione del Consiglio di Stato, 1989, Il, p. 563. 
(92) C.d. S., Sez. IV, 22 agosto 1902, in Giur. it., 1902, p. 343. 
(93) C.d.S., Sez. VI, 13 novembre 1957, n. 859, in C.d. S. 1957, I, 1491; 
A. P., 3 maggio 1%0, n. 8, in C. d. S., 1%0, I, 822. 

76 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

come teorizzato dal Duguit agli inizi del secolo (94) -crescono gli obblighi 
di provvedere e, parallelamente, le ipotesi normative in relazione 
alle quali pu� configurarsi un inadempimento della P.A. nei confronti del 
privato fruitore del servizio. Il sindacato sul silenzio rifiuto, peraltro nato 
in funzione delle nuove esigenze sociali per attribuire quel � bene 
della vita � promesso dalle norme -si approssima a configurarsi come 
sindacato sul rapporto, diretto a garantire la � giustizia � pi� che la 
�certezza�. Ed � significativo notare che nella fase evolutiva degli anni 
'80 � il silenzio con valore legale tipico di assenso, che realizza in 
s� -senza mezzi giurisdizionali -il soddisfacimento della pretesa 
del privato. 

C) Ottemperanza. 

Nel silenzio della legge -che prevede il giudizio di ottemperanza 
per le sole sentenze del Giudice ordinario -l'estensione alle sentenze 
del giudice amministrativo (a partire -sembra -da una pronuncia 
del 1928), � avvenuto non per estensione diretta o analogica ma per un 
fatto di �bruta normazione giurisprudenziale� (95). 

Infatti con l'ottemperanza il magistrato amministrativo si � fatto 
carico dell'esigenza che � giustizia vuol dire riparazione e non vittoria 
cartacea� (96), esigenza tanto pi� sentita quando all'effetto cassatorio 
della sentenza si aggiunga quello c.d. conformativo, destinato ad offrire 
�a rovescio� le regole cui l'Amministrazione dovr� attenersi nella sua 
azione futura (97). 

Si spiega, dunque, come mai dall'iniziale ammissione del ricorso nei 
soli casi di inerzia dell'Amministrazione (98), la giurisprudenza sia passata 
-a partire dalla prima met� degli anni '60 -ad equiparare alla 
mancata esecuzione l'esecuzione parziale, incompleta o apparente: � il 
caso degli atti meramente preliminari (C.d.S. A. P. 29 gennaio 1980 n. 2), 
degli atti di adempimento parziale (C.d.S., Sez. IV, 26 ottobre 1973 n. 898) 

o di adempimento fittizio rinviato sine die ovvero subordinato ad una 
riserva mai sciolta (C,d.S., Sez. V, 10 aprile 1970, n. 387). 
Si spiega altres� come dall'iniziale ritenuta impossibilit� di adottare 
in sede di ottemperanza statuizioni imperative nei confronti della P.A., 

(94) Sulla concezione del DUGUIT v.: NIGRO: � ancora attuale una giustizia 
amministrativa?, in Foro it., 1983, V, 249. 
(95) M. NIGRO, Il giudizio amministrativo e il processo �di ottemperanza, 
in Atti del VII Convegno di Studi di Scienza dell'Amministrazione, �Il giudizio 
di ottemperanza�, Varenna, 17�19 settembre 1981, Milano, 1983, p. 65. 
(96) C. CALABR�, Il giudizio di ottemperanza, in Studi per il Centenario della 
IV Sezione del C. d. S., op. cit., p. 2057. 
(97) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1979, p. 281 ss. 
(98) ,C. d. S., 5 gennaio 1948, n. 452 ed oltre. 

PARTE II, QUESTIONI 

77 

a partire dagli anni '70 si sia statuito espressamente che il giudice di 
ottemperanza �si sostituisce� all'Amministrazione inadempiente ponendo 
in essere l'attivit� a questa incombente per realizzare � concretamente
� gli effetti scaturenti dalla sentenza (98). Proprio tale pronuncia 
riconosce alla sentenza di ottemperanza la funzione di � inserirsi nel 
sistema organizzativo e funzionale dell'Amministrazione�, con ci� consapevolmente 
ritornando al principio che �giudicare l'Amministrazione 
� amministrare� (100). 

D) Processo cautelare. 

La sede privilegiata di attuazione della giustizia sostanziale �, senza 
dubbio, quella cautelare. 

Il giudice amministrativo diventa, infatti, fisiologicamente giudice 
del rapporto e quindi di un bene della vita da riconoscere o da negare, 
in quanto a differenza di quanto accade in altri tipi di giudizio, cautela 
e merito hanno, nel processo amministrativo, caratteristiche disomogenee. 


Nella fase di merito, infatti, tradizionalmente, la valutazione dell'interesse 
sostanziale tutelato ha sempre condizionato solo l'ammissibilit� 
del giudizio; nella fase cautelare, invece, dovendo il giudice conoscere 
della �gravit� e irreparabilit� del pregiudizio�, la valutazione 
dell'interesse sostanziale condiziona anche il merito della decisione: decisione 
che regola, dunque, sia pure interinalmente il rapporto (101). 

L'evoluzione della giurisprudenza amministrativa in tema di sospensiva 
(e in sede di giurisdizione generale di legittimit�) nell'ultimo 
decennio � troppo nota perch� vi si debba indugiare: � stata, infatti, 
affermata e sistematizzata la sospendibilit� di una serie di atti amministrativi 
(quali dinieghi di ammissione, atti intermedi di procedimenti, 
atti negativi di controllo, ecc.) esclusi dalla sospendibilit� secondo le 
teorie classiche perch� atti negativi. Oltretutto, il giudice amministra� 
tivo ha utilizzato con estrema duttilit� lo strumento cautelare piegandolo, 
per esempio, a fini istruttori o mirandolo meglio al fine attraverso 
l'introduzione di elementi accessori come il termine o la con� 
dizione. Si � cos� giunti a soddisfare, in sede di sospensiva, non solo 
�interessi oppositivi�, ma anche �interessi pretensivi � (quanto meno 
quelli �a soddisfazione preregolata �) (102), restando quindi esclusi, come 
posizioni sostanziali conoscibili, soltanto quegli interessi pretensivi per 

(99) C.d. S., A. P., 14 lugiio 197,g, n. 23. 
000) C. CALABR�, op. cit., p. 2024 SS. 
(101) E. FoLLIERI, Giudizio cautelare amministrativo e interessi tutelati, 
Milano, 1981, 46 ss. 
(102) E. FOLLIERI, op. loc. cit. 
17 



78 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

la cui soddisfazione 11Amministrazione conservi margini di discrezionalit� 
in ordine all'an, al quomodo ed al quando. 

Il Consiglio di Stato d'altronde, ormai investito di una funzione 
moderatrice di un contenzioso di massa, ha in un certo senso avallato 
le tendenze espansive dei T.A.R. in materia di giudizio cautelare. 

Creando pretoriamente l'appello sulle sospensive esso si � posto, infatti, 
in grado di filtrare l'operato del giudice di primo grado essenzialmente 
attraverso una valutazione dei profili giuridici della controversia. 

In definitiva, se � vero che il processo amministrativo italiano molto 
spesso si risolve in sede di sospensiva, e cio� in una sede di cognizione 
sul rapporto, ci� non � un paradosso ma piuttosto un sintomo della 
tendenza garantista che si � fin qui delineata. 

Tirando le fila del discorso svolto in questo e nel precedente paragrafo 
sembra potersi concludere che la nostra giustizia amministrativa, 
attraverso il sinergico operare delle innovazioni normative, delle 
mutazioni sociologiche e delle evoluzioni giurisprudenziali cui si � 
fatto cenno, vada. indirizzandosi, nella crisi di trasformazione in atto, 
verso 'una piena tutela delle situazioni sostanziali, con riparto di competenza 
giurisdizionale fra il giudice ordinario e un giudice amministrativo 
da esso diverso solo per specializzazione e fornito di poteri istruttori, 
cautelari e decisori atti a garantire il conseguimento del bene della 
vita ed operante, quanto meno tendenzialmente, in sede di giurisdizione 
esclusiva (103). 

Il sistema italiano, in presenza di una normativa costituzionale e 
successiva dichiaratamente volta a rafforzare il modello francese, sembra 
dunque avviato nell'attuale linea di tendenza legislativa e giurisprudenziale 
verso una soluzione di tipo tedesco, con una giustizia amministrativa 
omologa a quella civile e da questa distinta unicamente per 
diversit� di materia giudicabile e non per disomogeneit� di poteri, o di 
situazioni tutelate, o di reclutamento dei magistrati o di particolari 
connessioni con l'amministrazione. 

� S -Il disegno di legge delega sul processo e la legge n. 241 del 1990. 

Tale linea di tendenza risulta confermata dal disegno di legge delega 

n. 788 del 1989 approvato dalla Prima Commissione Permanente della 
Camera dei Deputati. 
In via di larga approssimazione e di primo approccio si pu� osservare 
che il disegno mira ad assicurare piena effettivit� di tutela giurisdizionale 
nei confronti della p.a., attraverso un allargamento delle 
azioni ammissibili (segnatamente prevedendo un'azione simile all'azio


(103) Cfr. G. BERTI, Momenti della trasformazione della giustizia amministrativa, 
.in Riv. trim. dir. pubbl., 1972, 1861. 

PARTE II, QUllSTIONl 

79 

ne di adempimento tipica dell'ordinamento tedesco) il perfezionamento 
dell'istrumentario cautelare e probatorio, il potenziamento dell'azione 
di ottemperanza, l'ampliamento delle ipotesi risarcitorie e la loro devoluzione 
al giudice amministrativo in una allargata sede di giurisdizione 
esclusiva, comprensiva della domanda di prestazioni pubbliche. Si tTatta 
in una parola, della processual-civilizzazione del processo amministrativo. 

� quanto basta per soddisfare il pi� esigente dei garantisti. 
Credo per� che dal punto di vista realistico occorra chiedersi se 
l'aggravio di impegno che deriver� dal nuovo processo sar� sopportabile 
dalle attuali strutture della giustizia amministrativa e se i nobili 

principi ispiratori della riforma non siano destinati a restare una illusione 
illuministica, frustrata nella realt� dalla lentezza esasperata dei 
processi. Chiedersi, in altre parole, se ancora una volta al legislatore 

italiano della riforma non dovr� capitare di scoprire, come Candido, 
che quello in cui viviamo non � il migliore dei mondi possibili. 

Perch� se in qualunque campo ritardata giustizia equivale a denegata 
giustizia, ci� � soprattutto vero nel processo amministrativo che 
spesso non consente la soddisfazione per equivalente. 

Viene perci� spontanea la domanda se molte delle soluzioni previste 
dalla legge sul processo non potrebbero pi� economicamente realizzarsi 
attraverso una adeguata disciplina del procedimento e la domanda 
sembra tanto pi� pertinente quando si consideri che coevo al disegno 
di legge sul processo era un disegno di legge sul procedimento, divenuto 
nel frattempo legge dello Stato (L. 7 agosto 1990, n. 241). 

� noto infatti il principio di alternativit� fra procedimento amministrativo 
e processo giurisdizionale: l'uno serve a compensare la incompletezza 
dell'altro, perch� quanto migliore � la tutela giurisdizionale, 
tanto meno � necessaria una disciplina del procedimento, che deve essere 
invece formalizzato e processualizzato quando la tutela offerta dal 
giudice � poca e meramente formale. 

Orbene, la legge 241/90 appena citata, appare estremamente avanzata, 
ispirata, com'� al nuovo ruolo che il procedimento amministrativo 
gioca nella realt� odierna. 

Esso non � pi�, infatti, come all'origine, concepito in funzione ser� 
vente dell'atto che ne costituisce il prodotto (104) n� (o non pi� soltanto) 
come forma di esercizio dell'autorit� -o sua �epifania� -per 
garantire il corretto svolgersi della funzione (105), ma costituisce ormai 
sostanza di organizzazione dell'azione pubblica, non pi� sorretta dal 

(104) A. M. SANDULLI, Il procedimento amministrativo, Milano, 1940. 
(105) F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in 
Riv. Trim. dir. pubbl., 1950, 1. 

80 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

principio di autorit� ma regolata da quelli di pluralismo, consenso, partecipazione 
(106). 

Alla crisi di un princ1p10 di legalit� (107) correlato all'esercizio di 
una pubblica funzione corrisponde infatti l'affermarsi di un principio 
consensuale che presiede all'erogazione di pubblici servizi nella nuova 
societ� ispirata a principi consociativi e partecipativi (108). Di qui gli 
spazi concessi all'autonomia, al decentramento funzionale, alla partecipazione, 
in quella che se non � una generalizzata � fuga nel privato � 
� per� sicuramente una �fuga dall'autorit�� (109). 

Nel passaggio dallo stato di diritto allo stato sociale e da questo a 
quello postmoderno, l'azione amministrativa si estende fino a penetrare 
le pi� intime connessioni del tessuto sociale, abbandonando il modulo 
provvedimentale per adottare quello normoproduttivo (110) (non di rado 
preceduto dalla contrattazione del contenuto della norma con le parti 
sociali), quello per indirizzi e quello per accordi (111). Orbene, se nell'utilizzazione 
del primo modulo la partecipazione risponde ad una scelta 
politica, nell'utilizzazione degli altri essa risponde, invece, ad una esigenza 
logica e funzionale, rappresentando il procedimento il luogo in 
cui si identificano gli interessi coinvolti, da apprezzare d'intesa con i 
loro portatori. 

La Tecentissima legge sul procedimento risponde pienamente a tutte 
le rapprtsentate esigenze della nuova societ�, in quanto si discosta dalla 
linea tradizionale ancora di recente adottata in altri Paesi, abbando� 
nando ogni contemplazione dell'atto amministrativo e dei suoi requisiti 
ed esaltando il momento partecipativo. 

Detta legge, informata ai principi di semplificazione, democraticit�, 
partecipazione, ispirandosi ai sistemi pi� avanzati in materia, fornisce 
cospicue garanzie agli amministrati, per i quali, attesa la completezza 
della tutela procedimentale, apparirebbe sufficiente presidio un processo 
amministrativo di tipo cassatorio che su di esso si innestasse come 
� revisio prioris instantiae � (si pensi, ad esempio, all'Austria ed agli 
U.S.A.). 

Di qui l'esigenza di coordinare con la legge sul procedimento il pro� 

getto di legge sul processo al fine di evitare un eccesso di garantismo. 

G106) M. NIGRO, Procedimento amministrativo e tutela cit., 21 ss.; G. SANTA� 
NIELLO, Il procedimento amministrativo: linee di sviluppo, in Dir. Proc. amm., 
1985, 496. 

(107) N. BOBBIO, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Milano, 1972, 
119 ss. 
(108) A. NoccELLI, op. oit., 1647; G. BERTI, Diritto e tSato: riflessioni sul cambiamento, 
Padova, 1986, 350 ss. 
(109) R. FEDERICI, op. cit., 111; A. NOCCELLI, op. cit., 1631 ss.; spec. 1654. 
(110) A. NOCCELLI, op. cit., 1644. 
(111) A. NIGRO, op. ult. cit., 38. 

PARTE II, QUEST�ONI 

Eccesso di garantismo che si risolverebbe in tutto danno dei principi 
ispiratori della legge sul procedimento (sollecitudine, semplicit�, 
economia, partecipazione) che conferiscono ad esso connotati tipicamente 
giustiziali, secondo moduli cari agli ordinamenti di common law 
ed ormai in quelle sedi abbondantemente collaudati. Sono previsti infatti 
ampie facolt� di intervento, piena garanzia del contraddittorio, un obbligo 
di dare notizia agli interessati dell'avvio del procedimento che 
configura quasi una informazione di garanzia. 

� prevista la creazione di un responsabile del procedimento in veste 
di giudice istruttore, l'obbligo di concludere il procedimento con l'adozione 
di un provvedimento espresso, la possibilit� di adottare misure 
cautelari, ed un obbligo generalizzato di motivazione. 

� previsto, infine, un diritto di accesso assai ampio ai documenti 
all'amministrazione. 

Tale essendo la disciplina prevista sembra essenziale un coordinamento 
della tutela giurisdizionale con quella procedimentale che ne costituisce 
il presupposto, anche sotto il profilo della istruzione probatoria, 
al fine di evitare incongruenze e duplicazioni di tutela. 

Conclusivamente sembra, comunque, potersi osservare che attraverso 
il processo evolutivo legislativo e giurisprudenziale in fieri il sistema 
italiano di giustizia amministrativa appare avviato verso soluzioni pienamente 
garantistiche. Forse non � azzardato augurarsi che l'ideale 
tanto a lungo perseguito di una piena giustizia nell'amministrazione 
(senza limitazioni per la prima e senza prevaricazioni per la seconda), 
diventi, prima del compiersi del millennio, equilibrata realt�. 

IGNAZIO FRANCESCO CARAM:AZZA 
GIANNA MARIA DE SOCIO 


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 



I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

Codice civile, art. 274, primo camma, nella parte in cui, se si tratta di 
minore infrasedicenne, non prevede che l'azione promossa dal genitore esercente 
la potest� sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente 
all'interesse del figlio. 

Sentenza 20 luglio 1990, n. 341, G.U. 25 luglio 1990, n. 30. 

Codice civile, art. 565, riformato dall'art. 183 della legge 19 maggio 1975, 

n. 151, nella parte in cui, in mancanza di altri successibili all'infuori dello Stato, 
non prevede la successione legittima tra fratelli e sorelle naturali, dei quali 
sia legalmente accertato il rispettivo status di filiazione nei confronti del 
comune genitore. 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 184, G.U. 18 aprile 1990, n. 16. 

Codice penale, art. 157, nella parte in cui non prevede che la prescrizione del 
reato possa essere rinunziata dall'imputato. 

Sentenza 31 maggio 1990, n. 275, G.U. 6 giugno 1990, n. 23. 

Codice di procedura penale del 1930, art. 589, terzo comma, nella parte 
in cui, nel caso previsto dall'art. 147, primo comma n. 1 del codice penale, 
attribuisce al Ministro di Grazia e Giustizia e non al Tribunale di sorveglianza, 
il potere di differire l'esecuzione della pena. 

Sentenza 31 maggio 1990, n. 274, G.U. 6 giugno 1990, n. 23. 

Codice di procedura penale del 1988, art. 444, secondo comma, nella parte 
in cui non prevede che, ai fini e nei limiti di cui all'art. 27, terzo comma, della 
Costituzione, il giudice possa valutare la congruit� della pena indicata dalle 
parti, rigettando la richiesta in ipotesi di sfavorevole valutazione 

Sentenza 2 luglio 1990, n. 313, G.U. 4 luglio 1990, n. 27. 

Codice di procedura penale del 1988, art. 452, secondo comma, nella parte 
in cui non prevede che il pubblico ministero, quando non consente alla richiesta 
di trasformazione del giudizio direttissimo in giudizio abbreviato, debba enunciare 
le ragioni del suo dissenso e nella parte in cui non prevede che il giudice, 
quando, a giudizio direttissimo concluso, ritiene ingiustificato il dissenso del 
pubblico ministero, possa applicare all'imputato la riduzione di pena contemplata 
dall'art. 442, secondo comma, dello stesso codice. 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 183, G.U. 18 aprile 1990, n. 16. 

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83

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Codice di procedura penale del 1988, art. 684, nella parte in cui attribuisce al 
Ministro di Grazia e Giustizia e non al Tribunale di sorveglianza di provvedere 
al differimento della pena ai sensi dell'art. 147, primo comma, n. 1, del codice 
penale. 

Sentenza 31 maggio 1990, n. 274, G.U. 6 giugno 1990, n. 23. 

Codice penale militare di pace, art. 402, nella parte in cui attribuisce 
al Ministro da cui dipende il militare condannato e non al Tribunale militare 
di sorveglianza il potere di differire l'esecuzione della pena ai sensi del primo 
comma dell'art. 147, n. 1, del codice penale. 

Sentenza 31 maggio 1990, n. 274, G.U. 6 giugno 1990, n. 23. 

r.d. 30 ottobre 1930, n. 1731, artt. 1, 2, 3, 15, 16 [recte 17], 18, 19, 24, 25, 
26, 27, 28, 29, 30, 56, 57, 58. 
Sentenza 25 maggio 1990, n. 259, G.U. 30 maggio 1990, n. 22. 

d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067, art. 38. 
Sentenza 4 aprile 1990, n. 158, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

legge 7 febbraio 1958, n. 88, art. 13, secondo comma, nella parte in cui 
prevede l'istituzione delle cattedre di educazione fisica distintamente in maschili, 
e femminili, e la conseguente loro copertura separatamente con docenti 
di sesso maschile e docenti di sesso femminile. 

Sentenza 8 maggio 1990, n. 225, G.U. 16 maggio 1990, n. 20. 

legge 4 febbraio 1966, n. 51, nella prte forte in cui non prevede, a carico 
dello Stato, un'equa indennit� per il caso di danno derivante, al di fuori dell'ipotesi 
di cui all'art. 2043 e.e., da contagio o da altra apprezzabile malattia causalmente 
riconducibile alla vaccinazione obbligatoria antipoliomielitica, riportato 
dal bambino vaccinato o da altro soggetto a causa dell'assistenza personale 
diretta prestata al primo. 

Sentenza 22 giugno 1990, n. 307, G.U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 19, secondo comma, nella parte in cui 
non consente l'integrazione al minimo della pensione di riversibilit� a carico 
della Gestione speciale commercianti nell'ipotesi di cumulo con pensione diretta 
a carico della Cassa per le pensioni ai dipendenti degli enti locali. 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 182, G.U. 18 aprile 1990, n. 16. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 21, nella parte in cui non consente 
entro i limiti stabiliti dall'art. 2, n. 1; del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, la sequestrabilit� 
e pignorabilit� per crediti alimentari dovuti per legge, dell'indennit� 
di buonuscita erogata dall'Enpas. 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 340, G.U. 25 luglio 1990, n. 30. 



84 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 47-ter, primo comma, n. 1, cos� come aggiunto 
dall'art. 13 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui non prevede 
che la detenzione domiciliare, concedibile alla madre di prole di et� inferiore 
a tre anni con lei convivente, possa essere concessa, nelle stesse condizioni, 
anche al padre detenuto, qualora la madre sia deceduta o altrimenti assolutamente 
impossibilitata a dare assistenza alla prole. 

Sentenza 13 aprile 1990, n. 215, G.U. 1�8 aprile 1990, n. 16. 

legge reg. Sicilia 30 marzo 1981, n. 37, art. 53, quinto comma. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 160, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, art. 6, primo comma [convertito in legge 
26 febbraio 1982, n. 54], nella parte in cui non prevede la sua applicazione agli 
autoferrotranvieri. 
Sentenza 8 maggio 1990, n. 226, G.U. 16 maggio 1990, n. 20. 

legge 20 ottobre 1982, n. 773, artt. 4, secondo comma, e 5, terzo comma, 
nella parte in cui, per il calcolo delle pensioni di inabilit� e di invalidit�, rinviano 
all'art. 2, quinto comma. 

Sentenza 15 maggio 1990, n. 243, G.U. 23 maggio 1990, n. 21. 

legge 7 dicembre 1984, n. 818, combinato disposto artt. 1, primo comma, e 
5, primo comma. 

Sentenza 14 giugno 1990, n. 282, G.U. 20 giugno 1990, n. 25. 

legge reg. Piemonte 2 maggio 1986, n. 18, art. 15, terzo comma. 

Sentenza 22 giugno 1990, n. 309, G.U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge 25 febbraio 1987, n. 67, art. 3, terzo comma. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 155, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

legge reg. Toscana riapprovata il 18 luglio 1989. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 154, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

d.l. 30 settembre 1989, n. 332, art. 4-bis, primo comma [conv. in legge 
27 novembre 1989, n. 384], nella parte in cui non dispone che spetta alla Regione 
siciliana il provento, derivante dall'aumento delle tasse automobilistiche previsto 
nello stesso articolo, per un ammontare pari alla quota del gettito ri� 
scosso nell'ambito del territorio siciliano. 
Sentenza 25 maggio 1990, n. 260, G.U. 30 maggio 1990, n. 22. 

legge reg. Piemonte riapprovata il 5 ottobre 1989. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 157, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 8J 

d.l. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 8, secondo, terzo e quarto comma [convertito 
in legge 7 dicembre 1989, n. 389]. 
Sentenza 8 luglio 1990, n. 314, G.U. 11 luglio 1990, n. 28. 

legge reg. Abruzzo approvata il 29 luglio 1989 e riapprovata il 17 ottobre 
1989. 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 181, G.U. 18 aprile 1990, n. 16. 

legge reg. Umbria riapprovata il 6 novembre 1989. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 156, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

legge reg. Puglia approvata 1'8 novembre 1989, articolo unico, primo com


ma, recante � Norme di interpretazione autentica dell'art. 37 della legge regio� 

nale 9 maggio 1984, n. 26 �. 

Sentenza 15 maggio 1990, n. 240, G.U. 23 maggio 1990, n. 21. 

legge reg. Abruzzo riapprovata il 14 novembre 1989. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 159, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

legge reg. Liguria riapprovata il 15 novembre 1989. 

Sentenza 22 giugno 1990, n. 308, G.U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge reg. Sardegna riapprovata il 6 dicembre 1989, artt. 1, 2, 3, 4 e 6. 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 161, G.U. 11 aprile 1990, n. 15. 

d.l. 28 dicembre 1989, �n. 415, art. 17, terzo comma [conv. in legge 28 febbraio 
1990, n. 38], nella parte in cui prevede che il residuo importo del fondo 
comune ivi indicato sar� � ripartito ed erogato con i criteri che all'uopo 
verranno fissati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri�. 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 382, G.U. 8 agosto 1990, n. 32. 

legge reg. Lazio approvata il 16 luglio 1987 e riapprovata il 31 gennaio 1990. 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 339, G.U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge reg. Basilicata riapprovata il 13 febbraio 1990. 

Sentenza 19 giugno 1990, n. 295, G.U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge reg. Umbria riapprovata il 26 febbraio 1990. 

Sentenza 15 giugno 1990, n. 294, G.U. 20 giugno 1990, n. 25. 

legge reg. Puglia riapprovata il 5 marzo 1990, art. 1, primo comma. 
Sentenza 20. luglio 1990, n. 342, G.U. 25 luglio 1990, n. 30. 


86 

RASSEGNA DEU.'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Molise riapprovata il 6 marzo 1990. 

Sentenza 25 luglio 1990, n. 368, G.U. 1� agosto 1990, n. 31. 

legge reg. Piemonte riapprovata il 21 marzo 1990. 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 380, G.U. 8 agosto 1990, n. 32. 

II � QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

Codice civile, art. 273, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 341, G.U. 25 luglio 1990, n. 30. 

Codice di procedura penale, art. 28 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 24 luglio 1990, n. 366, G.U. 1� agosto 1990, n. 31. 

Codice di procedura penale del 1930, art. 152, secondo comma (artt. 3, 24 
e 27 della Costituzione). 

Sentenza 31 maggio 1990, n. 275, G.U. 6 giugno 1990, n. 23. 

Codice di procedura penale del 1930, art. 192, terzo comma [come sostituito 
dall'art. 2 della legge 23 gennaio 1989, u. 22] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 5 luglio 1990, n. 315, G.U. 11 luglio 1990, n. 28. 

Codice di procedura penale del 1988, art. 415, secondo comma (artt. 3 e 112 
della Costituzione). 

Sentenza 31 luglio 1990, n. 409, G.U. 8 agosto 1990, n. 32. 

Codice di procedura penale del 1988, artt. 442, secondo comma, e 561, terzo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 14 giugno 1990, n. 284, G.U. 20 giugno 1990, n. 25. 

Codice di procedura penale del 1988, art. 453 (artt. 3, 24, 76 e 112 della Costituzione). 


Sentenza 20 luglio 1990, n. 349, G.U. 1� agosto 1990, n. 31. 

Codice di procedura penale del 1988, art. 560, secondo comma (art. 112 della 
Costituzione). 

Sentenza 14 giugno 1990, n. 284 G.U. 20 giugno 1990, n. 25. 

. ! 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

Codice penale militare di pace, artt. 228, secondo comma, e 198 (artt. 2, 
3, 27 e 52 della Costituzione). 

Sentenza 31 maggio 1990, n. 278, G.U. 6 giugno 1990, n. 23. 

r.d. 31 agosto 1933, n. 1592, art. 217 (artt. 3, 33, 5 e 128 della Costituzione). 
Sentenza 14 giugno 1990, n. 283, G. U. 20 giugno 1990, n. 25. 
r.d. 27 ottobre 1935, n. 2153, art. 17 (artt. 3, 33, 5 e 128 della Costituzione). 
Sentenza 14 giugno 1990, n. 283, G. V. 20 giugno 1990, n. 25. 
r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 72 (artt. 76, 107 e 112 della Costituzione). 
Sentenza 13 luglio 1990, n. 333, G. V. 25 luglio 1990, n. 30. 
legge 22 aprile 1941, n. 633, art. 180 (artt. 3, 23 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 15 maggio 1990, n. 241, G. U. 23 maggio 1990, n. 21. 

d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, art. 97, secondo, terzo e quarto comma (artt. 3 
e 97 della Costituzione). 
Sentenza 25 maggio 1990, n. 264, G. U. 30 maggio 1990, n. 22. 

legge 27 novembre 1960, n. 1397, art. 36, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 


Sentenza 4 aprile 1990, n. 165, G. U. 18 aprile 1990, n. 16. 

legge 11 febbraio 1971, n. 50, art. 39, primo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 192, G.U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 12 giugno 1973, n. 349, art. 12 (rectuis: dell'art. 3 della legge 12 febbraio 
1955, n. 77, come modificato dall'art. 12 della legge 12 giugno 1973, n. 349) 
(artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 5 luglio 1990, n. 317, G. U. 11 luglio 1990, n. 28. 

d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 15, primo comma, e 56 (art. 76 della 
Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 193, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 14-ter, terzo comma [introdotto dall'art. 2 
della legge 10 ottobre 1986, n. 663] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 188, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 


88 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 53-bis [introdotto dall'art. 17 della legge 
10 ottobre 1986, n. 663] (artt. 3 e 13 della Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. _188, G. U. 24 aprile 1990, n .. 17, 

legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 54, primo comma (artt. 3 e 27 della Costi� 
tuzione). 
Sentenza 31 maggio 1990, n. 276, G. U. 6 giugno 1990, n. 23. 

legge 10 maggio 1976, n. 319, art. 15, settimo comma (artt. 24 e 3 della Costituzione). 


Sentenza 13 luglio 1990, n. 330, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 23 dicembre 1976, n. 857, art. 11, terzo e quarto comma [convertito in 
legge 26 febbraio 1977, n. 39] (artt. 23 e 41 della Costituzione). 
Sentenza 5 luglio 1990, n. 316, G. U. 11 luglio 1990, n. 28. 

legge 27 luglio 1978, n. 392, art. 39, primo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 8 maggio 1990, n. 228, G. U. 16 maggio 1990, n. 20. 

d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, art. 29, secondo comma (art. 36 della Co� 
stituzione). 
Sentenza 19 giugno 1990, n. 296, G. U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3 (artt. 3 e 27 della Costituzione). 

Sentenza 8 maggio 1990, n. 238, G. U. 16 maggio 1990, n. 20. 

legge 1� aprile 1981, n. 121, art. 43, sedicesimo e diciassettesimo comma 
(art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 191, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

d.l. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 10, quinto comma [convertito in legge 
25 marzo 1983, n. 79] (artt. 31, 36 e 37 della Costituzione). 
Sentenza 13 luglio 1990, n. 329, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge 2 maggio 1983, n. 175, art. 2 (artt. 3 e 38 della Costituzione). 
Sentenza 15 maggio 1990, n. 244, G. U. 23 maggio 1990, n. 21. 


d.l. 12 settembre 1983, n. 463, art. 13, terzo comma [convertito in legge 
11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3, 32, 36, 38 e 102 della Costituzione). 
Sentenza 19 giugno 1990, n. 297, G. U. 27 giugno 1990,. n. 26. 



89

PARTE Il, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.L 12 settembre 1983, n. 463, art. 23, terzo comma [convertito in legge 
11 novembre 1983, n. 638] (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 4 aprile 1990, n. 163, G.U. 18 aprile 1990, n. 16. 

legge 27 dicembre 1983, n. 730, art. 21, undicesimo comma (artt. 31, 36 e 37 
della Costituzione). 

Sentenza 13 luglio 1990, n. 329, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge 20 marzo 1984, n. 34, art. 2, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 191, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 15 apnle 1985; n. 140,. art. 6 (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 185, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 23 luglio 1985, n. 372, art. 5, quinto comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 19 aprile 1990, n. 216, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 16 dicembre 1985, n. 752, art. 3 e legge reg. Umbria 3 novembre 1987, 

n. 47, artt. 2 e 6 (art. 42 e 117 della Costituzione). 
Sentenza 13 luglio 1990, n. 328, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge prov. di Trento 28 luglio 1986, n. 20, art. 2, primo e secondo comma 
(art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 13 luglio 1990, n. 331, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge reg. Umbria 3 novembre 1987, n. 47, artt. 2 e 6 e legge 16 dicembre 
1985, n. 752, art. 3 (artt. 42 e 117 della Costituzione). 

Sentenza 13 luglio 1990, n. 328, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge prov. Trento 9 novembre 1987, n. 26, art. 9, terzo comma (art. 42, terzo 
comma della Costituzione). 

Sentenza 20 luglio 1990, n. 344, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge 21 marzo 1988, n. 93, art. 1, secondo comma (artt. 3 e 97 della Costi� 
tuzione. 

Sentenza 14 giugno 1990, n. 286, G. U. 20 giugno 1990, n. 25. 

d.l. 3 maggio 1988, n. 140, artt. 11 e 17, primo comma [convertito in legge 
4 luglio 1988, n. 246] (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 190, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 



90 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.l. 6 agosto 1988, n. 323, art. 8-bis [convertito in legge 6 ottobre 1988, n. 426] 
(art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 190, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 27 ottobre 1988, n. 458, art. 3, primo comma (art. 42, secondo e terzo 
comma, della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 384, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.lgs. 23 novembre 1988, n. 509, artt. 6 e 8 (artt. 3 e 76 della Costituzione). 
Sentenza 14 giugno 1990, n. 286, G. U. 20 giugno 1990, n. 25. 

legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 1, settimo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 12 aprile 1990, n. 194, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

legge 29 dicembre 1988, n. 554, art. 1, settimo comma (artt. 3 e 97 della Costituzione). 
Sentenza 19 giugno 1990, n. 298, G. U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge 9 marzo 1989, n. 88, art. 52, secondo comma (artt. 3 e 38, secondo 
comma). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 383, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

legge 5 giugno 1989, n. 219, art. 3, secondo comma (legge costit. 16 gennaio 
1989, n. 1, art. 9, quarto comma). 
Sentenza 25 maggio 1990, n. 265, G. U. 30 maggio 1990 n. 22. 


d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 162, secondo comma (artt. 76, 107 e 112 della 
Costituzione). 
Sentenza 13 luglio 1990, n. 333, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 


d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271, art. 247 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 31 maggio 1990, n. 277, G. U. 6 giugno 1990, n. 23. 


d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 3, terzo comma (artt. 4, nn. 7 e 8; 5, n. 1, 
e 16 dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre, 1989, n. 322, art. 3, quarto comma (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 
Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 


PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 3, quinto comma (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art�.5, primo comma (artt. 4, 5 e 16 dello 
statuto spec. reg. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 5, secondo comma (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

dJgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 9, secondo comma (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 13, terzo e quarto comma (artt. 117 e 118 
della Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 15, primo comma, lett. d) (artt. 117 e 118 
della Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 17, secondo comma (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 21, lett. a) e b) (artt. 117 e 118 della 
Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, ,art. 21, lett. c) (artt. 8, 9 e 16 dello statuto 
spec. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, combinato disposto artt. 21, lett. c), 3, quinto 
comma, e 17, sesto comma (artt. 4, nn. 1, 7 e 8; 5, n. l, e 16 dello statuto spec. 
reg. Trentino Alto-Adige). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, combinato disposto art. 21, lett. c), 17, sesto 
comma, e 15, primo comma (artt. 117 e 118 della Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14, 


92 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

d.lgs. 6 settembre 1989,, n. 322, art. 26, primo comma (artt. 8, 9 e 16; e 4, nn. 1 
7 e 8; 5, n. 1, e 16 dello statuto spec. reg. Trentino Alto-Adige). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

d.lgs. 6 settembre 1989, n. 322, art. 26, terzo comma (artt. 119 e 81, quarto 
comma, della Costituzione). 

Sentenza 26 marzo 1990, n. 139, G. U. 4 aprile 1990, n. 14. 

legge reg. Molise riapprovata il 2 ottobre 1989, art. 1, commi primo e terzo 
(art. 123 e 130 della Costituzione e 49 statuto reg. Molise). 

Sentenza 4 aprile 1990, n. 164, G. U. 18 aprile 1990, n. 16. 

legge reg. Liguria riapprovata il 4 ottobre 1989, art. 4 (artt. 3, 51, 97 e 117 
della Costituzione). 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 187, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

d.I. 9 ottobre 1989, n. 338, art. 8, primo comma [convertito in legge 7 dicembre 
1989, n. 389] (artt. 117, 118 e 119 della Costituzione). 
Sentenza 8 luglio 1990, n. 314, G. U. 11 luglio 1990, n. 28. 

legge 10 ottobre 1989, n. 349, artt. 1, primo comma, 3, primo comma, lett. b), 
nn. 1 e 6, lett. f) e lett. h), e 7 (artt. 52 e 107 dello statuto speciale per il Trentino-
Alto Adige). 

Sentenza 4 maggio 1990, n. 224, G. U. 9 maggio 1990, n. 19. 

legge 10 ottobre 1989, n. 349, art. 3, primo comma, lett. b), n. 1 (artt. 89 e 100 
dello statuto reg. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 4 maggio 1990, n. 224, G. U. 9 maggio 1990, n. 19. 

legge 10 ottobre 1989, n. 349, art. 3, primo comma, lett. b), n. 6 (art. 89, quinto 
comma dello statuto speciale Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 4 maggio 1990, n. 224, G. U. 9 maggio 1990, n. 19. 

legge 10 ottobre 1989, n. 349, art. 3, primo comma, lettera f) (artt. 89 e 100 
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 4 maggio 1990, n. 224, G. U. 9 maggio 1990, n. 19. 

legge 10 ottobre 1989, n. 349, art. 3, primo comma, lett. h) (artt. 89 e 100 
dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 4 maggio 1990, n. 224, G. U. 9 maggio 1990, n. 19. 

legge reg. Calabria riapprovata il 18 ottobre 1989 (artt. 3 e 117 della Costituzione). 


Sentenza 12 aprile 1990, n. 186, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 


"PARTE II; RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.I; 6 novembre 1989, n. 357 [conv. in legge 27 dicembre 1989, n. 417] (art. 52, 
quarto comma, dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 6 novembre 1989, n. 357, art. 1 [conv. in legge 27 dicembre 1989, n. 417] 
(artt. 8, nn. 4, 26 e 27, 9, n. 2, 16, primo comma, 19, 87, 89, 100, 102 e 107 delio 
statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 6 novembre 1989, n. 357, art. 1, 2, 3, 8, 9, 10, 11, 12, 15, 23, 25 e 28 [conv. 
in legge 27 dicembre 1989, n. 417] (artt. 8, nn. 4; 26 e 27, 9, n. 2, 16, primo comma, 
19, 87, 89, 100, 102 e 107 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 6 novembre 1989, n. 357, art. 2, venticinquesimo comma [conv. in legge 
27 dicembre 1989, n. 417] (artt. 8, nn. 4 e 27, 9, n. 2, e 16, primo comma, dello 
statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 6 novembre 1989, n. 357, art. 4 [conv. in legge 27 dicembre 1989, n. 417] 
(artt. 8, nn. 4, 26 e 27, 9, n. 2, 16, primo comma, 19, 87, 89, 100, 102 e 107 dello 
statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 6 novembre 1989, n. 357, artt. 4, 8, 13 e 15 [conv. in legge 27 dicembre 
1989, n. 417] (artt. 8, nn. 4, 26 e 27, 9, n. 2, 16, primo comma, 19, 87, 89, 100, 102 
e 107 dello statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

d.l. 6 novembre 1989, n. 357, artt. 5 e 20 [conv. in legge 27 dicembre 1989, n. 417] 
(artt. 8, nn. 4, 26 e 27, 9, n. 2, 16, primo comma, 19, 87, 89, 100, 102 e 107 dello 
statuto spec. Trentino-Alto Adige). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 343, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge reg. Emilia�Romagna, �approvata 1'8 giugno 1989 e riapprovata il 9 novembre. 
1989 (art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 25 maggio 1990, n. 261, G. U. 30 maggio 1990, n. 22. 

legge reg. Puglia approvata 1'8 novembre 1989, articolo unico, secondo comma 
(art. 117 della Costituzione). 

Sentenza 15 maggio 1990; n. -240, G. U. 23 maggio 1990, n. 21. 

legge reg. Sardegna riapprovata il 6 dicembre 1989 (art. 3 e 5 dello Statuto 
reg. Sardegna). 

Sentenza 8 maggio 1990, n. 227, G. U. 16 maggio 1990, n. 20. 


94 

RASSEGNA DELL'AWOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Sardegna riapprovata il 6 dicembre 1989, art. 5 (art. 97 della 

Costituzione). 
Sentenza 4 aprile 1990, n. 161, G. U. 11 aprile 1990, n. 15. 

legge reg. Toscana riapprovata il 7 dicembre 1989, art. 2 (artt. 51, 97 e 117 
della Costituzione). 

Sentenza 12 aprile 1990, n. 187, G. U. 24 aprile 1990, n. 17. 

d.I. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 2, comma primo bis [convertito in legge 
28 febbraio. 1990, n. 38] (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 382, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 17 (escluso terzo comma) [convertito in 
legge 28 febbraio 1990, n. 38] (art. 119 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 382, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.I. 28 dicembre 1989, n. 415, artt. 18, 19 e 20 [conv. in legge 28 febbraio 1990, 
n. 38] (art. 53 della Costituzione e art. 38 statuto reg. siciliana). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 18, primo comma, primo periodo, e art. 20 
[conv. in legge 28 febbraio 1990, n. 38] (artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 18, primo comma, secondo e terzo periodo 
[conv. in legge 28 febbraio 1990, n. 38] (art. 8, n. 18, statuto Trentino; art. 3 
lett. g) statuto reg. Sardegna, art. 17 statuto reg. Sicilia; art. 2, lett. h) statuto 
reg. Valle d'Aosta; art. 4, n. 11, statuto reg. Friuli). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, artt. 18, 19 e 20 [conv. in legge 28 febbraio 1990, 
n. 38] (artt. 40, 52 statuto spec. reg. Trentino; art. 44 statuto spec. reg. Valle 
d'Aosta; art. 47 statuto spec. reg. Sardegna e art. 44 statuto reg. Friuli). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.I. 28 dicembre 1989, n. 415, artt. 18, 19 e 20 [conv. in legge 28 febbraio 1990, 
n. 38] (artt. 8, 9, 10 e 16 statuto reg. Trentino; artt. 3, 4, 5 e 6 e titolo III (artt. 7, 
14) statuto reg. Sardegna; art. 17 statuto reg. Sicilia; artt. 2, 3 e 4 e titolo III 
statuto reg. Valle d'Aosta; artt. 4, 5, 6, 7, 8 e titolo VI statuto reg. Friuli; artt. 81 
e 119 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 1:\ 

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PARTB Il, RASSEGNA DI LBGISLAZIONE 
9J 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 19 [conv. in legge 28 febbraio 1990, n. 38] 
(artt. 3, 32, 97 e 116 della Costituzione). 
Sentenza 3il luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 
28 dicembre 1989, n. 415, art. 19 [conv. in legge 28 febbraio 1990, n. 38] 
(artt. 3, 32 e 116 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

dJ. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 19 [conv. in legge 28 febbraio 1990, n. 38] 
(art. 5 1. 30 novembre 1989, n. 386). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 20, lett. a) [conv. in legge 28 febbraio 1990, 
n. 
38] (artt. 3, 32, 81, 97, 116 e 119 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 381, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 
d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 25, quinto comma, terzo periodo [convertito 
in legge 28 febbraio 1990, n. 38] (artt. 117 e 118 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 382, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

d.l. 28 dicembre 1989, n. 415, art. 25, quinto comma, quarto periodo [conver� 
tito in legge 28 febbraio 1990, n. 38] (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 31 luglio 1990, n. 382, G. U. 8 agosto 1990, n. 32. 

legge 4 gennaio 1990, n. 1, artt. 3, primo comma, 6, secondo, terzo e quarto 
comma, 8, quinto e sesto comma (artt. 3, 97, 117 e 118 della Costituzione). 
Sentenza 15 maggio 1990, n. 245, G. U. 23 maggio 1990, n. 21. 

legge reg. Abruzzo riapprovata il 6 febbraio 1990, art. 3 (art. 119 della Costituzione). 
Sentenza 22 giugno 1990, n. 310, G. U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge reg. Lazio riapprovata il 14 febbraio 1990, art. 5 (art. 121 della Costi� 
tuzione). 
Senenza 22 giugno 1990, n. 311, G. U. 27 giugno 1990, n. 26. 

legge reg. Toscana riapprovata il 27 febbraio 1990 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 13 luglio 1990, n. 332, G. U. 25 luglio 1990, n. 30. 

legge reg. Puglia approvata il 29 luglio 1987 e riapprovata il 5 marzo 1990 
(artt. 97 e 117 della Costituzione). 
Sentenza 20 luglio 1990, n. 347, G. U. 1� agosto 1990, n. 31. 


96 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

legge reg. Piemonte approvata il 13 marzo 1990, artt. 1, 4, 6, 7, 8, 9 e 10 (artt. 
117 e 121 della Costituzione). 

Sentenza 20 luglio 1990, n. 347, G. U. 1� agosto 1990, n. 31. 

legge reg. Emilia-Romagna riapprovata il 19 marzo 1990, art. 3, primo e 
quarto comma (art. 97, primo comma, della Costituzione). 

Sentenza 25 luglio 1990, n. 369, G. U. 1� agosto 1990, n. 31. 

legge reg. Sicilia approvata il 5 aprile 1990 (artt. 5, 115 e 116 della Costituzione 
e 14, 15 e 28. dello Statuto spec. reg. siciliana). 

Sentenza 24 luglio 1990, n. 365, G. U. 1� agosto 1990, n. 31. 



CONSULTAZIONI 


ACQUE -Concessione per scopi idroelettrici -Rinnovo -Diniego -Se e 
quando sia possibile. 

Se l'Amministrazione dei Lavori Pubblici, sulla domanda presentata 
dall'ENEL (subentrato a precedente concessionario) per ottenere il rinnovo 
di concessioIJ1e di acque per scopi idroelettrici, sia vincolata al rilascio 
del titolo concessorio, ovvero possa apporre limiti od anche opporre 
un diniego derivante da una diversa valutazione del pubblico interesse 
(es. 8392/85). 

ASSICURAZIONE -Autorizzazione all'esercizio per pi� rami -Mancato ini


zio dell'attivit� per uno di essi -Decadenza -Se possa essere com


minata. 

Se, nel caso di autorizzazione all'esercizio di attivit� assicurativa in 
pi� rami, possa essere dichiarata la decadenza dalla autorizzazione all'ese11cizio 
di un ramo nei confronti dell'impresa che, entro il termine 
annuale normativamente previsto, abbia iniziato ad esercitare l'attivit� 
solo in alcuno tra essi (es. 10340/89). 

BENI -Beni culturali e ambientali -Citt� di Venezia -Beni individuati in 
base alla legislazione speciale -Agevolazioni tributarie -Quando 
spettano. 

Se e quando spettino agevolazioni tributarie per beni che, senza essere 
�vincolati� ai sensi della 1. n. 1089/39, siano individuati, in base alla 
legislazione speciale per Venezia, in base al loro interesse monumentale, 
storico, artistico (es. 1254/88). 

CIRCOLAZIONE STRADALE -Segnaletica di esistenza di � controsagome � Onere 
di installazione -Su chi gravi. 

Se gravi sull'esercente della fierrovia ovvero sul proprietario della 
strada l'onere di installare la segnaletica stradale relativa alle c.d. � controsagome 
� in prossimit� dei sovrapassi ferroviari e dei passaggi a 
livello (es. 4503/88). 

COMUNIT� EUROPEE -Prelievi agricoli -Rimborso maggiori importi -Interessi 
legali -Decorrenza. 

Da quale data decorrano gli interessi legali da corrispondere agli 
operatori privati in occasione del rimborso dei maggiori prelievi, non pi� 
dovuti ai sensi della legge n. 308/88 (es. 4~20/88)_. 



98 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

DEMANIO -Beni aventi utilizzazione agricola o silvipastorale -Determinazione 
del canone -Se sia applicabile la disciplina dei contratti 
agrari. 

Se la disciplina per la determinazione legale del canone di affitto dei 
fondi rustici contenuta nella legislazione speciale si applichi anche ai 
beni demaniali o patrimoniali indisponibili per i quali persista la destinazione 
ad utilizzazione agricola o silvi-pastorale (es. 2311/84). 

DOGANA -Merci destinate ai Comandi NATO in Italia -Esecuzione dai 
diritti -Mancato arrivo a destinazione -Obbligazione doganale -Se 
ed in capo a quale soggetto sorga. 

Se, nel caso di mancato arrivo alla dogana di destinazione di prodotti 
importati in Italia in esenzione dai diritti doganali in quanto destinati 
ai Comandi militari NATO, l'esenzione sia ancora applicabile, ovvero se 
sorga -ed, in caso affermativo, in capo a quale soggetto -l'obbligo 
al pagamento del tributo (es. 10441/89). 

ESECUZIONE FORZATA -Pignoramento presso terzi -Dipendenti PP.TT. cessati 
dal servizio -Atto notificato all'Amministrazione PP.TT. e non 
all'Istituto Postelegrafonici -Esistenza o meno dell'obbligo di vincolare 
le somme e contenuto della dichiarazione di terzo. 

Se e quando sussista a carico dell'Amministrazione PP.TT. e/o dell'Istituto 
Postelegrafonici l'obbligo di vincolare le somme e di rendere 
dichiarazione di terzo positiva in caso di pignoramento presso terzi 
notificato alla prima relativamente a dipendenti cessati dal servizio 
(Pt. 715/89). 

IMPIEGO PUBBLICO -Stipendi, assegni e indennit� -Dipendenti ISVAP Integrazione 
aggiunta di famiglia -Sua spettanza dopo l'entrata in 
vigore della legge n. 153/88. 

Se l'� integrazione aggiunta di famiglia � erogata dall'ISVAP ai propri 
dipendenti sia compatibile con la legge n. 153/88, che ha tassativamente 
precluso la possibilit� che ai dipendenti pubblici siano erogati trattamenti 
similari rispetto all'� assegno per il nucleo familiare � da essa 
istituito (es. 8950/89). 

LOCAZIONE -Immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo -Canone . 
Aggiornamento -Se e quando spetta. 

Se, in quali casi e con quali modalit� il locatore di immobile adibito 
ad uso diverso da quello abitativo possa richiedere al conduttore l'aggiornamento 
del canone (es. 6834/89). 

OBBLIGAZIONI (IN GENERALE) -Spese di giudizio . Interessi legali -Se siano 
dovuti dalla P.A. debitrice. 

Se ed in quali casi la pubblica Amministrazione debba corrispondere 
gli interessi legali sulle somme liquidate in un provvedimento giudiziale 
a titolo di spese legali (es. 9770/89). 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) � Danni alle opere -Compenso � Spettanza � 
Dipendenza da forza maggiore � Se rilevi a tal fine il furto. 

Se l'ipotesi di furto subito dall'appaltatore di opere pubbliche dia 

o meno luogo al diritto al � compenso per danni alle opere � previsto 
dall'art. 348 legge n. 2248/1865 (es. 9238/89). 
OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) . Revisione prezzi � Interessi legali . Decorrenza. 


Da quale data decorrano gli interessi legali dovuti all'impresa appaltatiroe 
di opera pubblica sulle somme riconosciute come dovute a titolo 
di revisione prezzi in seguito ad accoglimento di ricorso ex art. 4 d.l. 

n. 1501/47 (es. 10966/89). 
PATRIMONIO DELLO STATO E DEGLI ENTI PUBBLICI � Beni immobili gi� occupati 
da linee ferroviarie � Successiva dismissione delle stesse -Successione 
dell'Ente FF.SS. -Regime dei beni. 

Quale sia il regime dei beni immobili di propriet� dell'Azienda Autonoma 
FF.SS. non pi� destinati ad usi ferroviari al momento della nascita 
dell'Ente FF.SS. (es. 11061/89). 

POSTE E TELECOMUNICAZIONI -Apertura di conto corrente postale -Diniego � 
Se sia ammissibile. 

Se l'Amministrazione PP.TT. possa opporre un diniego all'istanza 
di apert�ra di conto corrente postale da parte di un privato che non 
offra garanzie di correttezza e solvibilit� (es. 1136/90). 

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE . Contratti . Contratto di fornitura stipulato 
dall'Amministrazione PP.TT. -Accertata negligenza nell'esecuzione � 
Possibilit� o meno della temporanea sospensione della� partecipazione 
alle gare. 

Se sia possibile da parte dell'Amministrazione PP.TT. disporre la 
sospensione temporanea dalla partecipazione alle gare, in luogo della 
esclusione definitiva prevista dall'art. 3 legge contabilit� dello Stato, nei 
confronti della Ditta per la quale sfa stata accertata la negligente esecuzione 
di forniture (es. 4061/86). 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Rimborso . Diritto . Prescrizione . Se ed in 
quali ipotesi operi. 

Se ed in quali ipotesi si verifichi la prescrizione del diritto del contribuente 
al rimborso delle somme pagate in eccesso in ragione di errori 
materiali nelle dichiarazioni dei redditi; se, in particolare, il decorso del 
termine prescrizionale possa essere interrotto da atti compiuti dagli 
Uffici Finanziari (es. 4357/89). 


100 

RASSEGNA DELL'AVVOCATURA DELLO STATO 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di bollo -Esenzione -Legge n. 689/81 Giudizio 
di opposizione a sequestro, ad ordinanza-ingiunzione e ad 
ordinanza di confisca -Atti defensionali -Spettanza. 

Se spetti l'esen.Zione �dall'imposta di bollo per gli atti defensionali 
redatti nei giudizi di opposizione a sequestro, ad ordinanza-ingiunzione e 
ad ordinanza di confisca ex lege 689/81 (es. 3211/89). 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Imposta di successione -Assegno alimentare Se 
sia assimilabile ad un legato ovvero ad una passivit� ereditaria. 

Se, nel caso di provvedimento giudiziale che faccia gravare sulla 
eredit� un assegno mensile rivalutabile a favore del coniuge divorziato, 
detto onere debba.essere equiparato, ai fini tributari, ad un legato, ovvero 
ad una passivit� ereditaria (es. 2643/89). 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IVA -Credito per rimborso accelerato -Garanzia 
fideiussoria -Cessione del credito -Se la garanzia debba 
estendersi alle somme rimborsate al cessionario. 

Se la garanzia prestata con polizza f�ideiussoria per consentire l'accelerato 
rimborso al contribuente di eccedenze di IVA si estenda alla restituzione 
delle somme pagate in seguito a oessione del credito a terzi 
(es. 4432/90). 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IVA -Elusione -Operatori nel settore agricolo 
-Regime normale -Recupero dell'imposta -Trasmigra_zione al 
regime forfettario -Quando � esercitabile. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -IVA -Contratti agari -Soccida -Distinzione 
da altri contratti commutativi atipici. 

Se e quando gli operatori del settore agricolo, i quali abbiano inizialmente 
optato per il regime IVA normale, possano legittimamente 
optare per il regime forfettario, con conseguente duplice recupero dell'IVA 
a monte. 

Come si distinguano, ai fini tributari, il contratto tipico di soccida 
ed altri contratti commutativi atipici (es. 2618/88).