Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. 


ANNO XLVI -N. 2 APRILE -GIUGNO 1994 


~A��JECGNA 



PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 
ROMA 1994 




ABBONAMENTI ANNO 1994 

ANNO . � � . . . � .. . � � � � . .. .. . .. � � � � � � � . . . � � . � � � � � � � � L. 52.000 
UN NUMERO SEPARATO � � . . . . � � . . . . � � � . � . . . � . . . . . � . � 13.500 


Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: 

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO 

Direzione Marketing e Commerciale 
Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma 
e/e postale n. 387001 

Stampato in Italia -Printed in Italy 
Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 1u1lio 1966 


(7219005) Roma, 1995 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. 



INDICE 

Parte prima: GIURISPRUDENZA 

Sezione prima: 
GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura delfavv. 
Franco Favara) � . pag. 181 

Sezione seconda: 
GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 
(a cura del/'avv. Oscar Fiumara) > 258 

Sezione terza: 
GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 
(a cura degli avvocati Antonio Cingolo e 
Giuseppe Stipo) :t 291 

Sezione quarta: 
GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/'
avv. Raffaele Tamiozzo) .. > 311 

Sezione quinta: 
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato 
Carlo Bafi/e) . . J 325 

Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO 
CONSULTAZIONI 


QUESTIONI ........ . 
pag. 33 


RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 
> 74 

CONSULTAZIONI 
..... . > 

Comitato di redazione: Avv. D. Del Galzo -Avv. G. Mangia -
Avv. M. Salvatorelll -Avv. F. Sclafanl 


La pubblicazione � diretta dall'avvocat~ 

UGO GARGIULO 


ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI 

C. 
BAFILE: � superato il principio della giurisdizione condizionata nel 
processo tributario? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 33 
F. 
BASILICA: False light in the public eye: luci ed ombre del percorso 
giurisprudenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II. 38 
A. 
CINGOW: Dal diritto di accesso al diritto alla curiosit�: breve storia 
di una involuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I. 311 
G. M. DE SOCIO: Tutela giuridica dei programmi per elaboratore e pubblica 
amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 70 
P. DI TARSIA DI BELMONTE: L'arringa in difesa del Ministero dell'Interno, 
parte civile nel processo per l'omicidio del Soprintendente di Polizia 
Salvatore Aversa e della moglie . . . II, 53 
O. 
FIUMARA: Decisione giudiziaria e transazione giudiziaria nella Convenzione 
di Bruxelles del 27 settembre 1968 I. 275 
O. 
FIUMARA: Luogo di adempimento dell'obbligazione in caso di vendita 
internazionale di merci ai fini della competenza giurisdizionale I, 282 
A. 
MUTARELLI: Occupazioni per interventi di interesse statale e termine 
di efficacia per la loro attuazione . . I, 238 

PARTE PRIMA 

INDICE ANALITICO-ALFABETICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


AMBIENTE 

-Tutela -Decreto ministeriale -Funzione 
di indirizzo e coordinamento Competenza 
dei Ministri, 194. 

APPALTO (CONTRATTO DI) 

-Appalto di opere pubbliche � Revisione 
prezzi -Posizione dell'appaltatore 
-Natura di diritto soggettivo 
tutelabile davanti all'AGO -Condizioni 
-Adozione di un provvedimento 
di riconoscimento del diritto alla 
revisione da parte della P .A. -Sussistenza, 
304. 

ATTO AMMINISTRATIVO 

-Documento amministrativo -Diritto 
di accesso -Pendenza di un giudizio 
-Tutela del diritto di accesso 
ex art. 25 legge 241/90 e istanza di 
acquisizione istruttoria -Concorrenza 
tra i due mezzi -Possibilit�, con 

' nota di A. CINGOLO, 311. 

BELLEZZE NATURALI 

-Vincolo paesaggistico -Regione Legge 
regionale limitativa della legge 
statale _-Illegittimit�, 192. 

CIRCOLAZIONE STRADALE 

..,... 
Uso del casco da parte degli utenti 
di motocicli -Diritto di libert� e 
tutela della salute -Legittimit�, 215. 

COMUNIT� EUROPEE 

...,. 
Gonv'enzione di, Bruxelles sulla competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e 

commerciale -Competenza territoriale 
-Luogo di adempimento dell'obbligazione 
-Legge uniforme sulla 
vendita, con nota di O. FIUMARA, 

282. 
- 
Convenzione di Bruxelles sulla competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione 
delle decisioni in materia civile e 
commerciale -Riconoscimento delle 
decisioni -Preesistenza di decisioni 
rese fra le medesime parti. Nozione 
-Transazione giudiziaria, con nota 
di 0. FIUMARA, 275. 

-'-Libera prestazione dei servizi -Libera 
circolazione delle merci -Concessione 
del sistema di automazione 
del gioco del lotto, 258. 

-Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio 
di pilotaggio -Tariffe discriminatorie 
-Concorrenza, 266. 

..,-Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio 
di pilotaggio -Tariffe discriminatorie 
-Libera prestazione dei 
servizi, 266. 

ELEZIONI 

-Cause ineleggibilit� sopravvenute � 
Retroattivit� -Legittimit�, 199. 

ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA 
UTILIT� 

-Decreto di occupazione temporan~ 
e d'urgenza per opere e interventi 
previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 
1974, n. 115 convertito con legge 27 
giugno 1974, n. 247 -Efficacia trimestrale 
(art. 20, comma 1�, legge 
22 ottobre 1971, n. 865), con nota di 

A. 
MUTARELLI, 238. 
-Decreto di occupazione temporanea 
d'urgenza per opere e interventi previsti 
dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

VI 

1974, n. 115, convertito con legge 27 
giugno 1974, n. 247 -Efficacia trimestrale 
(art. 20, legge 22 ottobre 
1971, n. 865) -Legittimit� costituzionale 
dell'art. 20, comma 1�, legge 

n. 865/1971, con nota di A. MUTA� 
RELLI, 237. 
-Espropriazione di bene indiviso � 
Giudizio di opposizione alla stima 
iniziato da uno dei comproprietari 
espropriati -Estensione degli effetti 
dell'opposizione ai comproprietari 
non partecipanti al giudizio -Insussistenza, 
295. 

-Occupazione acquisitiva -Azione a 
tutela del privato per la perdita del 
diritto dominicale -Emanazione tardiva 
del decreto di esproprio -Opposizione 
alla stima -Inammissibilit� 
-Diritto al risarcimento del danno 
per fatto illecito dell'occupante Sussistenza, 
295. 

-Occupazione acquisitiva -Perfezionamento 
-Elementi necessari, 295. 

FAMIGLIA 

-Adozione -Convenzione europea di 
Strasburgo 24 aprile 1967 -Ammissibilit� 
adozione da parte di persona 
singola -Carattere non autoesecutivo 
della norma pattizia, 218. 

FORZE ARMATE 

-Accesso ai ruoli -Informazione sulla 
famiglia -Ordinamento giudiziario Accesso 
ai ruoli della magistratura Informazioni 
sulla famiglia -Illegittimit�, 
188. 

GIURISDIZIONE CIVILE 

-Giurisdizione ordinaria o amrmmstrativa 
-Impiego pubblico -Enti 
pubblici -Dipendenti degli enti mutualistici 
soppressi, trasferiti alle 
USL -Diritto all'eccedenza ex art. 76 

d.P.R. 761 del 1979 -Oggetto � Restituzione 
di contributi versati oltre il 
dovuto � Indebito oggettivo -Configurabilit� 
-Giurisdizione dell'AGO � 
Sussistenza -Pretesa della rivalutazione 
automatica del credito -Estensione 
-Riferimento all'art. 1224 e.e. � 
Irrilevanza, 302. 

PENA 

-Ergastolo -Reato commesso da minorenne 
-Protezione infanzia -Illegittimit� 
costituzionale, 201. 

PROCEDIMENTO PENALE 

-Prove -Perizia effettuata nella forma 
di incidente probatorio durante 
altro procedimento penale a carico 
di altri imputati -Acquisizione -Limiti, 
226. 

PROFESSIONI 

-Psicologi � Albo professionale -Iscri


zione in regime transitorio ai sensi 
dell'art. 32 lett. d) legge n. 56/89 Ambito 
di applicazione -Soggetti 
che abbiano avuto modo di eccellere 
nelle discipline psicologiche � Valutazione 
riservata al giudice di merito 
-Incensurabilit� in cassazione, 

291. 
PROVINCE 

-Legislazione antimafia -Poteri del 
Prefetto � Estensione alla Provincia 
di Bolzano, 223. 

REGIONI (A STATUTO ORDINARIO) 

-Agricoltura e foreste -Regolamento 
ministeriale per l'applicazione del 
regolamento CEE n. 2092 del 1991 Mancanza 
di esplicita attribuzione 
al Ministro del potere regolamentare 
-Illegittimit� del regolamento 
ministeriale, 185. 

-Beni di interesse artistico o storico 
appartenenti a musei locali o di interesse 
locale -Rimozione e restauro 
-Autorizzazione statale, 181. 

-Intesa -Mancanza -Necessit� motivazione 
dell'atto governativo -Coordinamento 
paritario, 195. 



INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA Vll 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI 

-Accertamento -Domicilio fiscale Incompetenza 
dell'ufficio -Nullit�, 

371. 
- 
Dichiarazione -Dichiarazione congiunta 
dei coniugi -Condono domandato 
da uno solo -Sopravvivenza 
della solidariet� per l'obbligazione 
non investita dal condono, 

350. 
-Dichiarazione -Rimborsi -Ritrattazione 
-Limiti, 352. 

-Riscossione -Iscrizione a ruolo 
provvisoria -Interessi -Disciplina 
anteriore all'art. 5 del d.I. 27 aprile 
1990 n. 90 -Esclusione, 370. 

-Sanzioni -Societ� di persone -Dichiarazione 
infedele della societ� Responsabilit� 
del socio, 375. 

TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI 

-Agevolazioni -Credito a medio e 
lungo termine -Definizione, 327. 

-Imposta di registro -Agevolazione 
per le case di abitazione non di lusso 
-Case albergo -Equiparazione 
alle case di abitazione -Esclusione, 

357. 
-Imposta di registro -Concordato 
fallimentare -Imposta proporzionale 
-:g dovuta, 355. 

-Imposta di successione -Base imponibile 
-Valore di azioni non quotate 
-Riferimento alla situazione 
patrimoniale della societ� -Criteri 
civilistici dell'art. 2424 e.e. -Esclusione 
-Apprezzamento del valore venale 
del patrimonio sociale, 340. 

-Imposta sulle successioni e donazioni 
-Base imponibile -Valutazione 
automatica in base ai redditi catastali 
-Difetto di dichiarazione specifica 
dei singoli beni -Conseguenza, 
347. 

-Imposta sul valore aggiunto -Sanzioni 
-Continuazione -Applicabilit� 
-Limiti, 329. 

-Imposte ipotecarie e catastali -Base 
imponibile -Riferimento alla im


posta di registro ma con esclusione 
di crediti e debiti relativi all'azienda, 
331. 

-Riscossione -Azione esecutiva per 
il pagamento -Stato di insolvenza 
del debitore -Revocatoria fallimentare 
-Art. 51 d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 602 -Inapplicabilit�, 332. 

TRIBUTI IN GENERE 

-Accertamento -Notificazione -Consegna 
al portiere -Mancato invio 
di raccomandata -Semplice irregolarit� 
-Nullit� -Esclusione, 346. 

-Contenzioso tributario -Competenza 
degli uffici -Sdoppiamento degli 
uffici del registro delle grandi sedi Rilevanza 
esterna, 359. 

-Contenzioso tributario -Competenza 
e giurisdizione -Imposta di registro 
-Nota del cancelliere che 
liquida le spese prenotate a debito 
-Giurisdizione della commissione, 

343. 
-Contenzioso tributario -Giudizio di 
rinvio dopo la cassazione -Produzione 
in copia autentica della sentenza 
di cassazione -Difetto -Inammissibilit�, 
373. 

-Contenzioso tributario -Ricorso per 
cassazione -Termine -Art. 327 c.p.c. Si 
applica -Omessa comunicazione 
della data dell'udienza innanzi alla 
commissione -Irrilevanza, 325. 

-Dichiarazione -Imposte sui redditi Rimborsi 
-Ritrattazione della dichiarazione 
-Limiti -Materialit� 
dell'errore, 352. 

-Riscossione -Ingiunzione -Motivazione 
-Non � necessaria, 345. 

-Sanzioni -Amministratore di persona 
giuridica -Responsabilit� dell'ente 
amministrativo -Condizioni, 

376. 
-Violazioni delle leggi finanziarie Sanzioni 
-Pena pecuniaria -Prescrizione 
-Art. 17 legge 7 gennaio 
1929 n. 4 -:g sostituita dalla decadenza 
dell'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 600, 363. 


VJll RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

TRIBUTI LOCALI 

-Imposta locale sui redditi -Redditi 
fondiari -Tassazione separata -Deduzioni 
di spese e interessi -Esclusione, 
367. 

-Imposta sull'incremento di valore 
degli immobili -Decorso decennio Fabbricati 
destinati all'esercizio di 
attivit� commerciali -Pertinenze Esenzione 
-Condizioni, 361. 

-Imposta sull'incremento di valore 
degli immobili -Spese di acquisto Dichiarazione 
-Termini -Decadenza, 
366. 

URBANISTICA 

-EDILIZIA -Abusivismo -Repressione 
-Acquisizione al patrimonio comunale 
opere abusive -Concessione 
diritto di abitazione -Pagamento 
indennit� rapportato ad oneri urbanizzazione 
-Illegittimit� costituzionale, 
210. � 

-Edilizia -Abusivismo -Repressione Acquisizione 
al patrimonio comunale 
opere abusive -Concessione diritto 
di abitazione -Presupposti temporali 
irrazionalit� -Illegittimit� co 
stituzionale, 209. 



INDICE CRONOLOGICO 
DELLA GIURISPRUDENZA 


CORTE COSTITUZIONALE 

10 giugno 1993, n. 277 
10 giugno 1993, n. 278 
31 marzo 1994, n. 108 
31 marzo 1994, n. 110 
31 marzo 1994, n. 113 
31 marzo 1994, n. 116 
31 marzo 1994, n. 118 
28 aprile 1994, n. 168 
5 maggio 1994, n. 169 ...... 
16 maggio 1994, n. 180 ...... 
16 maggio 1994, n. 183 
19 maggio 1994, n. 191 
26 maggio 1994, n. 198 
2 giugno 1994, n. 213 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE � 

Sed. plen., 26 aprile 1994, nella causa C-272/91 
Sed. plen., 17 maggio 1994, nella causa C-18/93 
6" sez., 2 giugno 1994, nella causa C-414/92 
Sed. plen., 29 giugno 1994, nella causa C-288/92 

GIURISDIZIONI CIVILI 

CORTE DI CASSAZIONE 

Sez. Un., 3 marzo 1994, n. 2081 
Sez. I, 9 marzo 1994, n. 2303 
Sez. I, 9 marzo 1994, n. 2304 
Sez. I, 11 marzo 1994, n. 2387 
Sez. I, 23 marzo 1994, n. 2771 
Sez. Un., 30 marzo 1994, n. 3131 
Sez. I, 10 aprile 1994, n. 3343 
Sez. Un., 18 aprile 1994, n. 3684 
Sez. I, 18 aprile 1994, n. 3691 
Sez. Il, 19 aprile 1994, n. 3716 
Sez. I, 20 aprile 1994, n. 3767 
Sez. I, 20 aprile 1994, n. 3769 . 


pag. 181 
� 185 
� 188 
� 192 
)) 194 
� 195 
)) 199 
)) 201 
)) 209 
)) 215 
218 
� 223 
226 
)) 237 

pag. 258 
)) 266 
275 
282 

pag. 238 
)) 325 
327 
� 329 
)) 331 
)) 332 
)) 340 
)) 343 
)) 345 
)) 291 
)) 346 
)) 347 


X 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sez. I, 29 aprile 1994, n. 4168 
Sez. I, 2 maggio 1994, n. 4239 
Sez. I, 3 maggio 1994, n. 4253 
Sez. I, 4 maggio 1994, n. 4317 
Sez. I, 9 maggio 1994, n. 4522 
Sez. I, 13 maggio 1994, n. 4683 
Sez. Un., 20 maggio 1994, n. 4965 
Sez. Un., 25 maggio 1994, n. 5121 
Sez. I, 1� giugno 1994, n. 5320 
Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5430 
Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5432 
Sez. I, 7 giugno 1994, n. 5501 

Sez I, 10 giugno 1994, n. 
Sez. I, 16 giugno 1994, n. 
Sez. I, 24 giugno 1994, n. 
Sez. I, 24 giugno 1994, n. 
Sez. I, 24 giugno 1994, n. 
Sez. I, 27 giugno 1994, n. 

5650 
5826 
6104 
6105 
6106 
6157 

GIURISDIZIONI 
AMMINISTRATIVE 

CONSIGLIO DI STATO 
Sez. VI, 16 giugno 1994, n. 1015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 


pag. 350 
)) 352 ~ 

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)) 363 

)) 366 

)) 367 

)) 370 

)) 371 

)) 373 

)) 375 

)) 376 

)) 352 

pag. 311 



PARTE SECONDA 

QUESTIONI ................... pag. 33 
RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: 

QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE: 

� 74

I -Norme dichiarate incostituzionali 

� 78

Il -Questioni dichiarate non fondate . 

,.

CONSULTAZIONI .......................... 85 



PAR TE PRIMA 



GIURISPRUDENZA 


SEZIONE PRIMA 

GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1993 n. 277 -Pres. Casavola -
Red. MirabelLi -Regione J..;iguria (avv. Zanchini) e Presidente del 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). 

Regioni (a statuto ordinario) � Beni di interesse artistico o storico appar


tenenti a musei locali o di interesse locale � Rimozione e restauro � 

Autorizzazione � Competenza statale. 

Il restauro � attivit� distinta dalla conservazione e .manutenzione; 
esso implica un intervento sulla cosa volto a mantenerla o modificarla 
per assicurare il valore ideale che essa esprime. Compete allo Stato 
autorizzare il restauro, ai sensi dell'art. 11 della legge 1� giugno 1939, 

n. 1089, dei beni di interesse artistico o storico ancorch� appartenenti 
a musei di enti locali o di interesse locale (1). 
Il conflitto di attribuzione, proposto dalla Regione Liguria in relazione 
alla ingiunzione che ad essa ha rivolto il Ministero per i beni culturali 
per sospendere il restauro di un piviale di propriet� del Monastero 
dei SS. Giacomo e FiLippo, in deposito presso il Museo di S. Maria 
di Castello in Genova, tende ad affermare che non spetta allo Stato 
rilasciare l'autorizzazione alla rimozione ed al restauro delle cose di 
interesse artistico, prevista dall'art. 11 della legge 1� giugno 1939, n. 1089, 
quando si tratti di beni che appartengono a � musei di enti locali o di 
interesse locale �. 

La Regione ricorrente rivendica la propria competenza in materia, 
e di conseguenza assume che l'atto denunciato � invasivo, perch� viola 
gli artt. 117 e 118 della Costituzione, iin relazione all'art. 7 del decreto 
del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 3, ed all'art. 47 del 
decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. 

La prima di queste disposizioni ha trasferito alle regioni a statuto 
ordinario le :fwraioni amministrative degli organi centrali e periferici 
dello Stato, in materia di musei e biblioteche di enti locali. Il trasferimento 
riguarda, tra l'altro, le funzioni concernenti �la manutenzione 

(1) Sentenza di notevole interesse; le indicazioni in essa contenute dovrebbero 
orientare e limitare eventuali futuri interventi del legislatore ordinario. 

182 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

delle cose raccolte nei musei e nelle biblioteche di enti locali o di interesse 
locale� (art. 7, lettera b, del d.P.R. n. 3 del 1972). 

Successivamente sono state legislativamente definite le funzioni amministrative 
relative alla materia �musei di enti locali�, come concernenti 
tutti i servizi e le attivit� che riguardano l'esistenza, la conservazione, 
il funzionamento, il pubblico godimento e lo sviluppo dei musei, 
delle raccolte di interesse artistico appartenenti aUa Regione o ad altri 
enti sottoposti alla sua vigilanza, o comunque di interesse locale 
(art. 47 del d.P.R. n. 616 del 1977). 

La Regione Liguria ritiene che il trasferimento di competenze debba 
essere riforito non solo alle istituzioni museali, alle raccolte ed ai beni .in 
esse contenuti, ma (in ragione dell'interesse locale che i beni esprimono) 
anche ad ogni funzione di tutela che si riferisca ad essi, compresa l'autorizzazione 
(prevista dall'art. 11 della legge n. 1089 del 1939) per il restauro 
dei beni. Quest'ultima attivit� sarebbe anzi compresa, ad avviso della 
Regione, nella conservazione e manutenzione delle raccolte e dei beni 
appartenenti ai musei di enti locali o di interesse locale, ovvero in essi 
custoditi. Ricadrebbe quindi in un ambito di funzioni specificatamente 
trasferite alle regioni. 

La Corte ha gi� avuto occasione di osservare che la materia � musei 
e biblioteche di enti locali�, attribuita dagli artt. 117 e 118 della Costituzione 
alla competenza normativa ed amministrativa delle regioni, 
nella sequenza delle disposizioni legislative di settore (in particolare il 
titolo II del d.P.R. n. 3 del 1972 ed il titolo III, capo VII, del d.P.R. n. 616 
del 1977) ha assunto una dimensione che si estende oltre l'ambito soggettivo 
dell'appartenenza del museo o deHa biblioteca, per collegare la 
competenza regionale al profilo oggettivo de1la localit� dell'interesse che 
tali istituzioni rivestono (sent. n. 921 del 1988). Alla base dell'ampio trasferimento 
di funzioni, operato dall'art. 47 del d.P.R. 616 del 1977 in 
materia di musei e biblioteche, vi � la distinzione tra interesse nazionale 
ed interesse locale, quale criterio di divisione fra le competenze conservate 
allo Stato e quelle assegnate alle regioni (sent. n. 278 del 1991). Il 
principio di distinzione delle competenze non � quindi costituito dall'appartenenza 
del museo o dei beni in esso raccolti. Risulta cos� superata 
l'eccezione di inammissibilit�, formulata dall'Avvocatura dello Stato, 
che intende far leva sul fatto che il piviale da restaurare non appartiene 
al museo, ma � in deposito presso di esso. 

La Corte ha tuttavia allo stesso tempo osservato che, per quanto 
riguarda la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, il trasferimento 
di competenze avrebbe dovuto essere stabilito da un'apposita legge, che 
l'art. 48 del d.P.R. n. 616 del 1977 prevedeva fosse emanata entro il 
1979. Non � stata quindi modificata la competenza statale in questo ambito, 
giacch� il d.P.R. n. 616 del 1977 ha rinviato la determinazione delle 
competenze da conferire alle regioni in materia di tutela del patri




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

monio artistico o storico, in ordine alle quali vi � l'aspettativa di una 
investitura non ancora attuata. Sicch�, � in attesa della preannunciata 
normativa di trasferimento o di delega, nella quale dovrebbero essere 
definite le diverse competenze e il loro congiunto operare per la tutela 
e l'incremento di valori culturali, la situazione normativa � caratterizzata 
dell'attribuzione allo Stato dei poteri inerenti alla protezione del 
patrimonio storico e artistico della Nazione� (sent. n. 921 del 1988). 

D'altra parte, pur rimanendo nell'ambito dei musei appartenenti ad 
enti locali, di sicura competenza regionale, si � non di rado in presenza di 
beni di tale rilevanza artistica o storica, da attingere ad un interesse 
culturale nazionale. L'appartenenza del museo e le attribuzioni in ordine 
ad esso non rappresentano quindi un decisivo criterio di discrimine in 
ordine alla competenza relativa all'autorizzazione per il restauro delle 
singole cose. 

In conclusione si pu� ritenere che non vi � stata una onnicomprensiva 
attribuzione alle regioni delle funzioni amministrative relative 
ai beni culturali di interesse locale, idonea a fondare la pretesa dell'esclusione 
del potere statale di autorizzazione per cil restauro di cose di interesse 
aTtistico o storico, in ragione di una distinzione di competenza ad 
adottare tale atto basata sull'interesse, nazionale o locale, che il bene 
esprime. Questa distinzione � stata assunta a criterio di discriminazione 
nell'esercizio di competenze statali o regionali, ma esclusivamente per 
funzioni espressamente delegate alle regioni (in forza dell'art. 9 del 

d.P.R. n. 3 del 1972), quali la concessione di licenze o nulla osta per l'esportazione 
dei beni o delle cose di valor,e artistico o storico, che � rimasta 
alla competenza statale se si tratta di cose rilevanti per il patrimonio 
artistico, storico o bibliografico nazionale, mentre � devoluta alla competenza 
regionale se l'interesse che tali cose rivestono � solo locale (sentenza 
n. 278 del 1991). 
Diffiidlmente, quindi, si pu� sostenere che, per le altre funzioni non 

delegate, la competenza attribuita alle regioni sia addirittura pi� ampia 

di quella ad esse espressamente devoluta in forza di apposite deleghe 

La Regione Liguria propone la specifica indicazione delle funzioni 

trasferite quale ulteriore argomento per sostenere l'affermazione della 

propria competenza. In particolare la ricorrente assume che la ma


nutenzione e la conservazione dell'integrit� delle cose raccolte nei musei 

affidati alla propria competenza (art. 7, lettera h, del d.P.R. n. 3 del 1972; 

art. 47 del d.P.R. n. 616 del 1977) designano attivit� e funzioni che com


prendono il restauro delle cose stesse, quindi anche la competenza al 

rilascio della relativa autorizzazione (in base all'art. 11 dell legge nu


mero 1089 del 1939). 

L'assimilazione delle nozioni di manutenzione, conservazione e restauro, 
ovvero la loro reciproca fungibilit�, non pu� essere accolta. H 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

184 

termine � restauro � esprime un proprio peculiare contenuto ed ha una 
consolidata autonomia concettuale e definitoria. 

Gi� la legge 20 giugno 1909, n. 364, distingueva il restauro dall'adozione 
di provvidenze idonee ad impedire il deterioramento delle cose 
di interesse artistico o storico, come pure dalla cura della foro integrit� 
e sicurezza. Il regio decreto 30 ge:pnaio 1913, n. 363 {tuttora in vigore ai 
sensi deH'art. 73 della legge n. 1089 del 1939), considera la � conservazione
� delle cose di interesse storico e artistico separatamente dai �lavori 
e restauri �, Ancora di recente la legge 10 febbraio 1992, n. 145, distingue 
la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio architettonico, 
archeologico, artistico e storico, bibliografico e archivistico, dal recupero, 
salvaguardia e restauro (art. 1). Quest'ultimo implica sempre un intervento 
diretto sulla cosa, volto (nel rispetto deH'Jdentit� culturale della 
stessa) a mantenerla o modificarla, per assicurare o recuperare il valore 
ideale che essa esprime, preservandolo e garantendone la trasmissione 
nel tempo. 

Si tratta di un'attivit� che richiede valutazioni tecnico-scientifiche, 
adeguati metodi esecutivi, talvolta analisi interdisciplinari dei problemi 
che il restauro pone, ed 1elevatissima specializzazione. Tanto pi� che l'intervento 
pu� arrecare pregiudizJo, anche irreversibile, alla cosa, nella 
sua fisica consistenza o nel valore e nell'identit� culturale che esprime 
ed � destinata a tramandare. Queste esigenze sono tanto peculiari, nel 
contesto delle attivit� che riguardano i beni culturali, da aver dato luogo 
alla costituzione di un apposito Istituto centrale per il restauro, con lo 
specifico scopo di � eseguire e controllare il restauro delle opere di antichit� 
e d'a11te e di svolgere ricerche scientifiche dirette a perfezionare 
ed unificare i metodi� (art. 1 della legge 22 luglio 1939, n. 1240). 

Il restauro � dunque un'attivit� che ha caratteristiche proprie, diverse 
rispetto al mero mantenimento delle condizioni, per lo pi� esterne, 
di conservazione della cosa, secondo le esigenze tipiche della manutenzione. 
Il restauro si distingue anche dagli altri interventi diretti ad assicurare 
l'integrit� delle raccolte ed a valorizzarne la funzione culturale, 
senza riguardare direttamente la cosa n� incidere sulla sua fisica consistenza. 
Caratteristiche queste proprie degli interventi di restauro, diretti 
a reintegrare quanto del bene � compromesso, a recuperarne il 
valore culturale originario, ad assicurare, mediante le appropriate modificazioni, 
la possibilit� di tramandarne l'esistenza ed il messaggio 
ideale. 

Non si pu� pertanto ritenere, come vorrebbe la Regione ricorrente, 
che, nell'attuale assetto normativo, la competenza alla manutenzione ed 
aHa conservazione dell'integrit� delle cose raccolte e custodite nei musei 
di interesse focale (che pu� riguardare l'insieme delle cose, in quanto tale 
significativo), tin funzione della loro gestione e del loro godimento, comprenda 
anche la competenza ad autorizzare il restauro, che � diretto 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

ad incidere immediatamente sulla consistenza e sulla preservazione del 
valore culturale di ciascuna cosa di interesse artistico o storico. 

Le considerazioni poste a fondamento della distinzione concettuale 
e normativa tra restauro, manutenzione e conservazione, delimitano 
anche la finalit� e l'ambito del potere di autorizzazione, rimesso alla 
competenza del Ministero per i beni culturali. L'autorizzazione al restauro 
� volta ad esprJmere il positivo apprezzamento dell'opportunit� tecnicoscientifica 
dell'intervento sulla cosa di valore artistico o storico, e ad accertare 
la validit� delle metodiche che si intendano adottare nell'operazione 
da compiere. Ha pertanto una funzione di tutela del valore culturale 
del bene, mediante un'atto di necessaria collaborazione (per gli aspetti 
tecnico scientifici) con la Regione. A quest'ultima � rimessa la funzione 
di conservazione e manutenzione: quindi la piena titolarit� della programmazione 
e della determinazione degli interventi da attuare, come 
pure la gestione di essi, dovendo in ordine a tali interventi l'autorizzazione 
statale costituire un supporto ed una verifica tecnica e culturale, 
ma non una interferenza amministrativa. 

La coesistenza e fa concorrenza di distinte competenze, non sempre 
delineate nei loro definitivi e precisi confini sul piano normativo, rendono 
ancor pi� necessaria e doverosa, nell'attesa della nuova disciplina 
da tempo preannunciata, una leale collaborazione tra Stato e Regione, 
imprescindibile in un settore nel quale la salvaguardia complessiva del 
patrimonio artistico e storico della Nazione � affidata al responsabile 
concorso di tutti gli enti ed i soggetti a diverso titolo coinvolti. 

Le considerazioni che precedono consentono di affermare che il 
ricorso proposto dalla Regione Liguria non � fondato: spetta difatti 
allo Stato autorizzare la rimozione ed il restauro previsti daU'art. 11 
della legge io giugno 1939, n. 1089, anche quando si tratti di cose appartenenti 
a musei di enti locali. o di interesse locale. Pertanto l'ingiunzione 
del Soprintendente per i beni artistici e storici di Genova del 3 novembre 
1992, n. 4708, non invade competenze regionali. 

CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1993 n. 278 -Pres. Casavola -
Red. Pescatore -Regione Toscana (avv. Lorenzoni), Umbria (avv. Predieri), 
Emilia Romagna (avv. Falcon), Lombardia (avv. Onida) e 
Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Braguglia). 

Regioni (a statuto ordinario) -Agricoltura e foreste � Regolamento ministeriale 
per l'applicazione del regolamento CEE n. 2092 del 1991 � 
Mancanza di esplicita attribuzione al Ministro del potere regolamentare 
� Illegittimit� del regolamento ministeriale. 

Il regolamento statale emanato, per l'applicazione di regolamento 
CEE, in a,s-senza di d:isposiziione legislativa aUribuente lq potest� regola



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

186 

mentare � illegittimo, quand'anche la necessit� di una normativa di 
attuazione emerga dal regolamento CEE (1). 

Sulla base di argomentazioni Jn parte coincidenti e in parte diverse, 
le Regioni Toscana, Umbria, Emma-Romagna e Lombardia hanno proposto 
conflitto di attribu2fone contro il Presidente del Consiglio dei 
ministri per l'annullamento del decreto 25 maggio 1992, n. 338, con cui il 
ministro per l'agricoltura e le foreste ha emanato il � Regolamento recante 
norme per l'applicazione delle disposizioni del regolamento CEE 

n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991, in materia di produzione 
agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati
�. 
I giudizi possono essere riuniti per l'identit� dell'oggetto dei ricorsi, 
che attiene allo stesso provvedimento. 

Secondo le ricorrenti regioni, il ministro per l'agricoltura e le foreste 
avrebbe violato gli artt. 117 e 118 della Costituzione e le connesse 
disposizioni di legge ordinaria (in particolare, gli artt. 6, 7 e 66-78 del 

d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), invadendo competenze riservate alle regioni 
stesse. 
Come risulta dallo stesso titolo e dall'art. l, comma secondo, del 
provvedimento, il decreto impugnato contiene una disciplina di carattere 
generale diretta ad assicurare l'uniforme applicazione sul territoI�.o nazionale 
del regolamento emanato dalla CEE in materia di produzione 
agricola con metodo biologico. 

Le disposizioni attengono alla individuazione dell'autorit�, alla quale 
devono essere effettuate le notifiche (art. 2, in relazione all'art. 8, par. 2, 
del regolamento della CEE), alle indicazioni di conformit� dei prodotti 
(art. 3), alle comunicazioni di inizio dell'attivit� produttiva (art. 4), alla 
organizzazione ed al funzionamento del sistema dei controlli (artt. 5-10). 

Si tratta di una disciplina di indubbio rilievo, diretta a indirizzare 
e coordinare l'attuazione interna del regolamento CEE in materia 
di agricoltura biologica, e quindi a salv�aguardare, anche in questo ambito, 
l'omogeneit� del regime giuridico vigente sul territorio nazionale. 

Il provvedimento risulta peraltro emanato in violazione delle norme 
che disciplinano la fonte e le modalit� di esercizio del potere regolamentare 
del governo. 

(1) La Corte non ha pronunciato sulla competenza (statale ex art. 71 comma 
primo del d.P .R. n. 616 del 1977, o invece regionale), avendo ritenuto � assor

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 187 

Non v'� dubbio che negli anni pi� recenti, molto opportunamente, si 
� provveduto ad ampliare la possibilit� di ricorso a normative emanate 
con provvedimenti di natura amministrativa. L'orientamento, che � di 
carattere generale, ha trovato specifiche previsioni anche per quanto 
concerne il recepimento e l'attuazione delle norme comunitarie. 

Al tempo stesso, per�, la prewsione di casi e modalit� di esercizio 
del potere regolamentare ha avuto espressa e condizionante disciplina. 

Secondo il richiamo contenuto nel preambolo, il decreto 25 maggio 
1992, n. 338, � stato emanato a norma dell'art. 17, comma terzo, della 
legge 23 agosto 1988, n. 400, che consente di disporre con regolamento 
nelle materie di competenza del ministro o di autorit� sottordinate al 
ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. 

Il riferimento alla legge di conferimento del potere non � peraltro 
indicato nel preambolo, n� � rinvenibile nella disciplina dei rapporti tra 
normativa comunitaria e normativa nazionale. 

Vart. 4 della legge 9 marzo 1989, n. 86 consente infatti di attuare 
le direttive mediante regolamento; ma � indispensabile -come nella 
stessa norma si precisa -che cos� disponga la legge comunitaria. 

Peraltro tale disposizione non � contenuta n� nella legge 29 dicembre 
1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990), n� nella legge 19 febbraio 
1992, n. 142 (legge comunitaria per il 1991). 

In ogni caso, l'uso del potere regolamentare previsto dall'art. 4 
cit. avrebbe comportato un procedimento diverso da quello seguito 
nel caso di specie (soprattutto, deliberazione collegiale del Governo; 
parere delle Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del 
Senato della Repubblica). 

Assorbente � comunque il rilievo inerente all'avvenuto esercizio della 
potest� regolamentare nella materia, senza quel supporto legislativo che 
la Corte ha gi� indicato come indispensabile sia in termini generali 
(sentenza n. 453 del 1991), sia con specifico riferimento all'esercizio 
della potest� da parte del singolo ministro (sentenza n. 204 del 1991). 
Tale riferimento all'esercizio della potest� da parte del ministro sarebbe 
necessario, anche se si ravvisi nello stesso regolamento comunitario 
(cfr. sent. n. 453 del 1991 cit.) la fonte legittimante l'esercizio 
del potere attuativo. 

I ricorsi presentati dalle regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna 
e Lombardia devono dunque essere accolti e va conseguentemente annullato 
il decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste 25 maggio 
1992, n. 338. 

bente � la questione relativa al � supporto legislativo� della potest� regolamentare. 




188 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 108 -Pres. Casavola -
Rel. Baldassarre -Presidenza del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. 
Stato Imponente). 

Forze Armate -Accesso ai ruoli -Informazione sulla famiglia -Ordinamento 
giudiziario -Accesso ai ruoli della magistratura -Informazioni 
sulla famiglia -Illegittimit�. 
(Cost., artt. 3, 27, 51 e 97; legge 1� febbraio 1987, n. 53, art. 26; r.d. 30 gennaio 1941, 

n. 12, art. 124). 
� illegittimo l'art. 26 legge 1� febbraio 1989 n. 53 -relativo allo stato 
giuridico di vicebrigadieri, graduati e militari dii truppa dell'Arma dei 
Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di. Stato, Corpo agenti di custodia 
e Corpo forestale -nella parte in cui diispone che siano esclusi dall'accesso 
ai ruoli di tali Corpi quanti risultino sulla base delle informazioni 
assunte non appartenenti a famiglia di estimazione morale indiiscussa, 
secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente. 
Correlativamente ex art. 27 legge 87/53 va dichiarato illegittimo l'art. 124 
cd. 3 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 che per l'ammissione ai concorsi della� 
magistratura prevede l'esclusione in base a!Jlo stesso presupposto anche 
se l'apprezzamento in proposito � rimesso al Consiglio Superiore della 
Magistratura. 

Il Tribunale amministrativo regionale deHa Liguria ha sollevato que


stione di legittimit� costituzionale -in riferimento agli artt. 3, 27, primo 

comma; 51, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione 


nei confronti dell'art. 26 della legge 1� febbraio 1989, n. 53, neHa parte 

in cui, richiedendo, ai fini dell'accesso nei ruoli del personale della 

polizia di Stato, � il possesso delle qualit� morali e di condotta stabilite 

per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria�, rinvia al


l'art. 124, terzo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, laddove 

dispone che non sono ammessi al concorso coloro che, per le informa


zioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del 

Ministro competente, appartenenti a famiglia di estimazione morale 

indiscussa. 

La questione � fondata. 

L'impugnato art. 26 della legge n. 53 del 1989 prevede, attraverso il 
rinvio alle norme stabilite per l'ingresso nella magistratura ordinaria, 
particolari limitazioni all'accesso nei moli della polizia di Stato. Il 
giudice a quo non contesta la natura di tali limitazioni, peraltro connesse 
all'adempimento di compiti e di doverii. legati a un ufficio di vitale 
�importanza e di estrema delicatezza al fine di assicurare beni pubblici 
fondamentali per la pacifica e ordinata convivenza dei cittadini, ma solleva 
il dubbio, pi� particolare, che l'appartenenza a famiglia di estima



PARTE I; SEZ. I, GIURISPRUDENZ;\ COSTITUZIONALE 

zione morale indiscussa, ricompresa fra i requisJti per l'immissione nei 
ruoli del personale della polizia di Stato, rappresenti una limitazione irragionevole, 
in grado di comportare conseguenze di tipo discriminatorio. 

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, risalente alle 
sentenze nn. 15 e 33 del 1960, l'art. 51, primo comma, della Costituzione, 
nel demandare al legislatore la fissazione dei requisiti in base ai quali 
tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici, non intende, certo, 
sottrarre tale potere a qualsivog1ia sindacato di legittimit� costituzionale 
sotto il profilo della congruit� e della ragionevolezza delle limitazioni 
previste, come invece suppone l'Avvocatura dello Stato. Un sindacato 
del genere deve essere ammesso non soltanto per motivi di ordine generale 
-legati al fatto che, ogni volta che il legislatore � tenuto a bilanciare 
distinti valori costituzionali, non pu� affatto essere preclusa la via 
del controllo di questa Corte in ordine alla congruit� e alla ragionevolezza 
del bilanciamento compiuto -ma anche per lo specifico motivo 
che 1o stesso art. 51, precisando espressamente che il predetto accesso 
dev'essere garantito a tutti i cittadini �in condizioni di eguaglianza�, 
vincola il legislatore a sottoporre la propria discrezionalit� di scelta 
ai rigorosi parametri posti dall'art. 3 della Costituzione. 

Questa Corte �, dunque, chiamata a esaminare la disposizione denunciata 
sotto il profilo della sua congruit� e ragionevolezza in riferimento 
al principio costituzionale che vieta al legislatore, nell'esercizio del suo 
potere discrezionale v�lto a stabilire per determinate categorie di pubblici 
uffici particolari e specifici requisiti di accesso, di far s� che questi 
ultimi si traducano, in concreto, in arbitrarie discriminazioni o in ingiustificate 
barriere in ordine all'ingresso nel posto di lavoro cui si � liberamente 
indirizzato il singolo cittadino. Sotto questo aspetto, il controllo 
di costituzionalit� di questa Corte deve tener conto del rilievo che 
le garanzie predisposte dall'art. 51 della Costituzione riguardo all'accesso 
dei cittadini nei pubblici uffici sono un'applicazione particolare' della 
generale libert� da irragionevoli limitazioni nell'accesso al lavoro (v. spec. 
sentt. nn. 207 del 1976 e 61 del 1965), che, per costante giurisprudenza costituzionale, 
� riconosciuta come profilo particolare del � diritto al lavoro
� (art. 4 della Costituzione), un diritto pi� volte qualificato da 
-questa Corte, anche con riferimento ai pubblici uffici, come �fondamentale 
diritto di libert� deUa persona umana� (v., ad esempio, sent. 

n. 45 del 1965). 
Considerata nel quadro dei valori costituzionali ora accennato, la 
-condizione per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato, 
concernente l'appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa, 
non pu� ragionevolmente ricondursi nell'ambito dei requisiti attitudinali 
-dei singoli aspiranti, la cui determinazione � demandata dall'art. 51, 
primo comma, della Costituzione al legislatore ordinario. Quella condizione, 
infatti, non riguarda capacit�, attitudini o condotte relative al 


RASSEGNA AVVOCATURA DEl.J..O STATO

190 

soggetto interessato, ma consiste in valutazioni o in comportamenti imputati 
all'ambiente familiare, che, in base a una arbitraria presunzione 
legislativa, vengono automaticamente riferiti al soggetto stesso. In conseguenza 
cli ci�, deve ritenersi che la norma denunciata prevede una condizione 
comportante una limitazione irragionevole all'accesso ai pubblici 
uffici, in violazione del divieto contenuto nel principio cli eguaglianza 
garantito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. 

In realt�, la norma denunciata riflette una situazione storica della 
societ� italiana propria di molti decenni or sono, quando la famiglia 
era, di norma, l'ambito di socializzazione pressoch� esclusivo dei giovani. 
Ora, a seguito dell'attuazione dell'obbligo scolastico e dello sviluppo 
delle possibilit� reali di frequentare gli istituti di istruzione fino al livello 
universitario e a seguito dell'evoluzione dei rapporti sociali generali, che 
permette ai giovani un'accresciuta possibilit� di interazione in ambiti 
extrafamiliari, non si pu� negare l'eventualit� che singoli soggetti maturino 
in s� stessi la credenza in valori diversi o antitetici rispetto a quelli diffusi 
nelle proprie famiglie cli origine e ispirino le proprie condotte a modelli 
di convivenza sociale differenti o contrari rispetto a quelli seguiti dai 
genitori o da altri componenti del proprio nucleo familiare. 

Pertanto, se non � irragionevole che la moralit� e la condotta di un 
soggetto che aspiri a entrare nei ruoli della polizia cli Stato sia accertata 
anche con riferimento all'atteggiamento e al comportamento dell'interessato 
nei suoi ambienti di vita associata, compresa la famiglia, � invece 
arbitrario, nel concreto contesto storico appena delineato, presumere 
che valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza 

o a singoli membri della stessa diversi dall'interessato debbano essere 
automaticamente trasferiti all'interessato medesimo. 
L'impugnato art. 26 della legge n. 53 del 1989, nel rinviare ai requisiti 
attinenti alle finalit� morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai 
concorsi della magistratura ordinaria, richiama altres� le modalit� di 
accertamento delle predette qualit�, modalit� che consistono, in riferimento 
al personale della polizia di Stato, in un provvedimento del ministro 
competente, contenente un apprezzamento insindacabile delle informazioni 
raccolte. Anche per questo aspetto del rinvio effettuato dall'art. 
26, la norma denunziata � chiaramente contrastante con il divieto 
costituzionale di discriminazioni arbitrarie nell'accesso ai pubblici uffici. 

Costituisce, infatti, un'irragionevole limitazione alla posizione costituzionalmente 
garantita a ogni cittadino dall'art. 51, primo comma, della Costituzione 
tanto la previsione che a base del provvedimento diretto a 
negare l'accesso nei ruoli del personale della polizia di Stato siano genericamente 
poste �informazioni raccolte� da apparati amministrativi o da 
uffici di pubblica sicurezza, quanto la previsione che il provvedimento 
stesso consista in un � apprezzamento insindacabile del Ministro �. In 
realt�, il rispetto dei parametri costituzionali invocati esige che l'anzi



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

detto provvedimento di esclusione si basi su valutazioni imparziali aventi 
ad oggetto fatti specifici e obiettivamente verificabili, valutazioni che 
devono essere rese note attraverso la motivazione del provvedimento 
medesimo, di modo che quest'ultimo possa essere sottoposto all'esame 
degli organi giurisdizionali per l'indefettibile difesa dei diritti soggettivi 

o degli interessi legittimi dei singoli interessati (possibilit�, questa, gi� 
ammessa grazie alla � interpreta2lione abrogante � data alla norma denunziata 
dalla giurisprudenza amministrativa). In mancanza di ci� verrebbero 
frustrate quelle esigenze costituzionali, recentemente sottolineate 
da questa Corte (v. sent. n. 440 del 1993), che precludono alla pubblica 
amministrazione apprezzamenti di estrema latitudine o indeterminati, 
proprio al fine di consentire al giudice amministrativo la verifica della 
legittimit� del relativo provvedimento. 
In conseguenza della pronunzia ora adottata, il rinvio al possesso 
delle qualit� morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi 
della magistratura ordinaria, operato dall'impugnato art. 26 ai fini dell'accesso 
ai ruoli del personale della polizia di Stato, resta operante nei 
limiti in cui l'esclusione � prescritta, secondo le modalit� da ultimo ricordate, 
per � coloro che non l'isultano di moralit� e condotta incensurabili 
�. Questa �, infatti, la parte restante della norma cui l'art. 26 fa 
rinvio a seguito della dichiarazione d'incostituzionalit� resa con la presente 
decisione. 

Sebbene i limiti della rilevanza della questione non consentissero al 
giudice a quo di estendere l'impugnazione all'art. 124, terzo comma, del 
regio decreto n. 12 del 1941, che di per s� concerne l'ammissione al 
concorso della magistratura ordinaria, nondimeno la disposizione appena 
citata va dichiarata costituzionalmente illegittima, nelle stesse parti 
caducate in riferimento al rinvio ad essa effettuato dall'art. 26 della 
legge n. 53 del 1989, sulla base del potere, attribuito a questa Corte dall'art. 
27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, concernente la dichiarazione 
d'illegittimit� costituzionale di disposizioni legislative diverse da quelle 
impugnate, la cui invalidit� deriva come conseguenza della decisione 
adottata. 

Infatti, una volta dichiarato incostituzionale il ricordato art. 26 
nella parte, prima precisata, rinviante al possesso dei requisiti richiesti 
per l'ammissione al concorso della magistratura ordinaria, la medesima 
dichiarazione dev'essere resa ex officio in relazione alla disposizione 
oggetto del rinvio, essendo quest'ultima ovviamente identica alla norma 
desumibile per effetto del rinvio medesimo. N� alcun rilievo pu� esser 
dato all'unico elemento differenziale relativo all'applicazione dell'art. 124, 
terzo comma, ai concorsi dei magistrati ordinari, consistente nel fatto 
che, in relazione a questi ultimi, l'apprezzamento delle � informazioni 
raccolte � � riservato al Consiglio Superiore della Magistratura, ai sensi 
dell'art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, 


192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

I

n. 916 (Disposizioni di attuazione e di coordinamento della legge 24 marfj 
zo 1958, n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del ConI


siglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie). Anche se 
non si pu� trascurare che tale organo ha dato luogo a prassi interpretative 
della disposizione esaminata fortemente correttive, al fine di ren


I 

derla meno distante dai valori consacrati nella Costituzione, resta il. 
fatto che, in s� considerato, l'art. 124, terzo comma, del regio decreto 


n. 12 del 1941 contrasta, per le ragioni gi� dette, con i principi costituI


zionali che esigono che il provvedimento ivi previsto sia basato su valu


tazioni imparziali aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente veri


ficabili, rese note attraverso la motivazione del provvedimento stesso. 

Per effetto della dichiarazione d'illegittimit� costituzionale parziale 

resa ex-officio sull'art. 124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941, 

viene altres� modificata la disciplina normativa dell'accesso ai ruoli del 

personale delle alt11e forze di pubblica sicurezza indicate nell'art. 16 della 

legge 1� aprile 1981, n. 121, per le quali l'art. 26 della legge n. 53 del 1989 

contiene un rinvio alle norme sui concorsi della magistratura ordinaria 

identico a quello previsto per la polizia di Stato. Anche per tali categorie, 

in altre parole, la disciplina normativa residua � quella precisata prece


dentemente per la polizia di Stato. 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 110 -Pres. Casavola -
Rel. Mirabelli -Presidenza del Consiglio dei Ministri (n.c.). 


Bellezze naturali � Vincolo paesaggistico -Regione -Legge regionale 
limitativa della legge statale � Illegittimit�. 
(Cast., artt. 25, 117; legge reg. Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, art. 11, lett. a). 


� illegittimo l'art. 11 lettera a) della legge regionale del Piemonte 
3 aprile 1989 n. 20 che muta sostanzialmente, estendendolo, l'ambito territo11iale 
delle zone di particolare interess,e ambientale sottratte al vincolo 
paesaggistico previsto dalla legge 1497/1939 cos� come delimitato dall'art. 
82 d.P.R. 616/1977. 


Le questioni di legittimit� costituzionale sottoposte all'esame della 

Corte concernono la determinazione degli ambiti territoriali non sotto


posti a vincolo paesaggistico, secondo la disciplina dell'art. 11, lettera a), 

della legge della Regione Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, che detta norme 

in materia di beni culturali, ambientali e paesistici. 

La norma denunciata prevede che il vincolo disposto per le categorie 

di beni indicati dall'art. 82, quinto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, 
. aggiunto dall'art. 1 del decreto-legge n. 312 del 1985 (tra i quali le sponde 
dei corsi d'acqua per una fascia di 150 metri ciascuna), non si applica, 
in conformit� a quanto prevede la legge statale, nelle zone territoriali 



PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

interessate da agglomerati urbani storici o che siano gi� parzialmente 
edificate (zone A e B previste dall'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 
1968, n. 1444), nonch� -limitatamente alle parti comprese nei piani 
pluriennali di attuazione -nelle alt:rie zone, come delimitate negli strumenti 
urbanistici, e, nei comUIIJi: sprovvisti di tali strumenti, nel perimetro 
del centro abitato. La stessa disposizione prevede inoltre che il 
vincolo non si applica anche �nelle zone assimilate alle zone "A" e "B" 
del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e cio� nei centri edil�i.cati, nei nuclei minori, 
nelle aree sia residuali che produttive a capacit� insediativa esaurita o 
residua e in queHe di completamento cos� definite nei Piani Regolatori 
approvati ai sensi del titolo 9 della legge regionale 5 dicembre 1977, 

n. 56 e successive modifiche ed integrazioni �. 
Ad avviso del Pretore di Cuneo l'estensione della sottrazione al vincolo 
paesistico, disposta dalla norma regionale denunciata, contrasterebbe 
con gli artt. 117 e 25 della Costituzione, perch� comporta una 
disciplina difforme dai principi fondamentali della legislazione statale, 
che munisce le zone sottoposte a V'incolo di una particolare tutela anche 
penale (artt. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985 e 20, lettera e), della 
legge n. 47 del 1985). 

I due giudizi, avendo ad oggetto la stessa disposizione legislativa 
e prospettando identiche questioni, vanno riuniti per essere decisi con 
unica sentenza. 

Le questioni sono fondate. 

L'art. 11 lettera a), della legge della Regione Piemonte n. 20 del 1989, 
adottata nell'esercizio delle funzioni trasferite dallo Stato con il d.P.R. 
15 gennaio 1972, n. 8 e di quelle delegate dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 
del 1977, muta sostanzialmente, estendendolo, l'ambito territoriale delle 
zone di particolare interesse ambientale sottratte al vincolo paesaggistico 
previsto dalla legge n. 1497 del 1939, delimitato dall'art. 82, sesto comma, 
del d.P.R. n. 616 del 1977. Difatti la disposizione censurata, nella parte 
in cui assimila alle zone territoriali sottratte al vincolo in conformit� 
alle definizione del legislatore statale altre a diverse zone che non presentano 
necessariamente le medesime caratteristiche o che sono poste 
al di fuori dei centri edificati perimetrati, limita la tutela paesistica ed 
ambientale disposta dal legislatore statale con norme dotate di particolare 
forza vincolante nei confronti della legislazione regionale, in quanto 
qualificate come norme fondamentali di riforma economico-sociale (art. 2 
della legge n. 431 del 1985), ed alle quali � da riconoscere tale natura. 
La diversa determinazione operata dal legislatore regionale si pone quindi 
in contrasto con l'art. 117 della Costituzione. 

Deve essere pertanto dichiarata, con riferimento a tale parametro di 
giudizio, rimanendo assorbito ogni altro profilo, l'illegittimit� costituzionale 
dell'art. 11, lettera a), della legge regionale del Piemonte n. 20 
del 1989, nella parte in cui prevede che non si applica il vincolo posto 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

194 

dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 �nelle zone assimilate alle 
zone "A" e "B" del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e cio� nei centri edificati, 
nei nuclei minori, nelle aree sia residenziali che produttive a capacit� 
insediativa esaurita o residua e in queHe di completamento cos� definiti 
nei Piani Regolatori approvati ai sensi del titolo III della legge regionale 
5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni ed integrazioni�. 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 113 -Pres. Casavola � 
Rel. Mirabelli � Regione Lombardia (avv. Ferrari) c. Presidente del 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). 

Ambiente -Tutela � Decreto ministeriale � Funzione di indirizzo e coordinamento 
� Competenza Consiglio dei Ministri. 
(Cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203). 

L'atto con cui vengono dettati criteri generali per la prevenzione 
dall'inquinamento atmosferico neUe grandi zone urbane in quanto espressione 
della funzione governativa di indirizzo e coordinamento, deve essere 
adottato con deliberazione del Consiglio dei Ministri e non con decreto 
ministeriale. 

La Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti 
dello Stato, chiedendo l'annullamento del decreto emesso dal 
Ministro dell'ambiente il 12 novembre 1992, con il quale sono stati dettati 
� Criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle 
grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualit� 
dell'aria�. 

La Regione sostiene che il decreto ministeriale sia invasivo delle competenze 
regionali delineate, in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, 
dall'art. 4 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203. 

La ricorrente anzitutto denuncia l'illegittimit� del decreto nella sua 
totalit�. Esso avrebbe natura di atto di indirizzo e coordinamento, anche 
se manca questa formale qualificazione. Essendo stato emanato senza 
previa deliberazione del Consiglio dei ministri, difetterebbe dei requisiti 
di procedura e di forma necessari per l'adozione di questo tipo di atto. 

La censura coinvolge il decreto nel suo complesso e l'esame di essa 
� pregiudiziale rispetto alla valutazione di ogni altro motivo di ricorso. 

La censura � fondata. 

Il decreto ministeriale in esame � divetto, secondo quanto chiarisce 

espressamente l'art. 1, a determinare criteri generali ed omogenei ed a 

fornire elementi di orientamento alle autorit� competenti per l'adozione 

delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico 

nelle grandi zone urbane, a contenere le concentrazioni di inquinanti, 

ad individuare i livelli di attenzione e di allarme e le tipologie di 

interventi. 

I 


I 



PARTE I, SEZ. l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 195 

In particolare il decreto disciplina aspetti sia organizzativi che 
tecnici. Indica componenti e funzioni dell' � organo tecnico � del quale 
� l'autorit� competente � si deve avvalere per i compiti previsti dal 
decreto stesso (art. 5, commi 1 e 2), precisando le linee di azioni di tale 
ufficio (allegato 2). Definisce i criteri generali per i piani di intervento 
operativo (art. 5, comma terzo), delineando le finalit�, i contenuti ed i 
tempi degli interventi che i piani debbono indicare e prevedere (allegato 3). 

Si � dunque in presenza di un atto che risponde, secondo le premesse 
enunciate dallo stesso, alla � necessit� di definire un quadro di riferimento 
unitario per l'adozione da parte delle autorit� competenti deHe 
misure volte� a prevenire episodi acuti di inquinamento �. In ordine all'adozione 
di tali misure le diverse autorit� destinatarie dell'atto sono 
titolari� di competenze proprie ed hanno autonoma potest� di decisione. 

Il decreto del Ministro dell'ambiente vuole essere, nella sua sostanza, 
espressione della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. 
Tende a soddisfare esigenze unitarie, condiziona e pone limiti 
all'esplicazione delle competenze proprie di soggetti dotati di autonomia. 
Avendo tale caratterizzazione, l'atto deve essere adottato -secondo i 
principi pi� volte enunciati da questa Corte (da ultimo sentenza n. 45 
del 1993), che trovano anche espressione nell'art. 2, terzo comma, lettera 
d), della legge n. 400 del 1988 -con deliberazione del Consiglio dei 
ministri. 

Mancano quindi per il decreto denunciato i requisiti di procedura 
e di forma necessari per l'adozione degli atti di indirizzo e coordinamento. 
Tale vizio, che coinvolge il decreto nel suo complesso ed assorbe 
l'esame analitico dei suoi contenuti normativi e della loro base legislativa, 
manifesta un uso non legittimo delle funioni, che assume connotati 
invasivi di competenze regionali. 

Il ricorso della Regione Lombardia deve essere pertanto accolto e 
di conseguenza va annullato il decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre 
1992. 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 116 -Pres. Casavola -
Rel. Baldassarre -Reg. Emilia (avv. Falcon), Reg. Liguria (avv. 
Onida), Reg. Valle d'Aosta (avv. Romanelli), Reg. Lazio (avv. Chiappetti) 
c. Pres. Cons. Min. (avv. Stato Favara). 

Regioni -Intesa -Mancanza -Necessit� motivazione dell'atto governativo 
-Coordinamento paritario. 
(Cost., artt. 117, 118, 119; statuto spec. reg. Valle d'Aosta, artt. 2, 3, 4, 29). 

�In mancanza di un'intesa tra Stato e Regioni sulla definizione dei 
livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti �i cittadini, 

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RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

196 

iJl Governo pu� provvedere direttamente solo fornendo un'adeguata mo1tivazione 
valva a manifestare le ragioni di interesse nazionale che lo 
abbiano determinato a decid~re unilateralmente. 

Con distinti ricorsi le Regioni ad autonomia comune Lazio, EmiliaRomagna, 
Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana, nonch� la Regione ad 
autonomia differenziata Valle d'Aosta, hanno proposto conflitto di attribuzione 
nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente 
della Repubb1ica 24 dicembre 1992 (Definizione dei livelli uniformi di assistenza 
sanitaria), denunziando la lesione deHe competenze legislative ed 
amministrative loro assegnate dalla Costituzione (artt. 117 e 118) o dallo 
Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta (artt. 2, 3 e 4) e della propria 
autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione; art. 29 dello Statuto 
speciale per la Valle d'Aosta), oltrech� la violazione dei principi stabiliti 
negli artt. 77, 100, 103, 108, 116 e 125 della Costituzione. 

Poich� i ricorsi sollevano profili attinenti a lesioni delle proprie 
competenze aventi contenuto identico o analogo, i relativi giudizi vanno 
riuniti per essere decisi con un'unica sentenza. 

I ricorsi vanno accolti. 

L'art. 6 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti 
in materia di previdenza, di sanit� e di pubblico impiego, nonch� disposizioni 
fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, dispone che, 
entro il 30 novembre 1992, il Governo, d'intesa con la Conferenza permanente 
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di 
Trento e di Bolzano, definisce i livelli uniformi di assistenza sanitaria 
da garantire a tutti i cittadini a decorrere dal 1� gennaio 1993 e che, ove 
la predetta intesa non intervenga, lo stesso Governo provvede direttamente 
entro il 15 dicembre 1992. 

La previsione dell'intesa fra lo Stato e le regioni (e le province autonome) 
in tema di definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria 
� indubbiamente giustificata, poich�, per quanto tale definizione risponda 
all'interesse nazionale di assicurare le condizioni minime per la tutela 
su tutto il territorio statale della salute dei cittadini (art. 32 della Costituzione), 
tuttavia essa interferisce sia con le competenze regionali in 
materia di assistenza sanitaria e ospedaHera (artt. 117 e 118 della Costituzione, 
per le regioni a statuto ordinario; art. 3, lettera l) e 4 dello 
Statuto speciale per la Valle d'Aosta), sia con l'autonomia finanziaria 
delle regioni, pur soggetta al coordinamento con la finanza statale, essendo 
posti i predetti livelli a carico del �fondo sanitario nazionale� 
(art. 119 della Costituzione). 

Nel regolare siffatto strumento di cooperazione fra lo Stato e le 
Regioni, il legislatore nazionale, sulla base dell'esperienza negativa occiorsa 
nell'attuazione dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (in 
relazione alla quale la mancata intesa fra lo Stato e le regioni ha impedito 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 197 

che si addivenisse a qualsiasi determinazione dei livelli uniformi di assistenza 
sanitaria), ha previsto, nel ricordato art. 6 del decreto-legge n. 384 
del 1992, un meccanismo sostitutivo nell'ipotesi di non raggiungimento 
dell'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra Stato 
e regioni (e province autonome). Tale meccanismo consiste nel fatto che, 
superato un certo termine entro il quale l'intesa non � stata raggiunta, il 
Governo pu� direttamente provvedere definendo esso stesso i livelli uniformi 
di assistenza sanitaria. 

Interventi del genere in sostituzione della mancata intesa sono stati 
esaminati in passato da questa Corte, che li ha giudicati non contrari a 
Costituzione a condizione che il Governo, nell'adottare il provvedimento 
sul quale non � intercorsa l'intesa nel termine, fornisca un'adeguata 
motivazione, v�lta a manifestare, in relazione agli argomenti addotti dalla 
parte regionale a sostegno del rifiuto dell'accordo, le ragioni d'interesse 
namonale che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente 
(v., da ultimo, sent. n. 204 del 1993). 

Contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura dello Stato, in tali 
casi l'obbligo di motivazione non deve essere necessariamente previsto 
in una previa norma di legge, come pure talvolta accade (v. art. 1, 
primo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nel testo 
modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517). Infatti, nella 
sentenza appena citata, questa Corte ha gi� precisato che il predetto 
obbligo deve ritenersi � connaturato al principio stesso di "leale cooperazione" 
cui deve ispirarsi il sistema complessivo dei rapporti tra Stato 
e Regioni �. Di modo che, considerato che in base a tale principio il 
confronto rivolto al raggiungimento dell'intesa deve essere caratterizzato 
da un atteggiamento delle parti ispirato alla correttezza e all'apertura 
verso le posizioni altrui (v. sent. n. 379 del 1992), l'ipotetica previsione del 
potere di una delle parti di provvedere in assenza dell'intesa, senza dover 
addurre motivo akuno sulle ragioni del mancato accordo e sulla superiore 
esigenza di provvedere unilateralmente, si risolverebbe in una violazione 
o in una elusione del principio di leale cooperazione, in conseguenza 
dell'irragionevole preferenza accordata alla parte che, dopo una 
certa data, potr� decidere, oltrech� non tenendo conto delle posizioni 
della contropai:ite, al di fuori di qualsiasi possibilit� di controllo sulla 
� lealt� � del comportamento tenuto. 

Del resto, l'obbligo di motivazione da parte del Governo, allorch� 
provvede direttamente dopo che � fallito il confronto per pervenire a 
un'intesa con le regioni, � il requisito minimo in grado di legittimare la 
decisione unilaterale dello stesso Governo in una materia connotata dalla 
stretta connessione delle competenze statali con quelle delle regioni. In 
proposito non � senza significato ricordare che, negli ordinamenti stranieri 
comparabili con quello italiano, in ipotesi come quelle oggetto dei 
presenti giudizi, al rischio di paralisi decisionale, conseguente alla 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

198 

mancata intesa fra lo Stato e gli enti dotati di autonomia costituzionalmente 
garantita, si pone rimedio deferendo la decisione a un collegio 
avbitrale o a un organo statale in posizione pi� elevata ovvero assegnando 
la decisione al medesimo organo statale interessato al raggiungimento dell'intesa, 
che tuttavia � chiamato a decidere secondo un procedimento pi� 
aggravato rispetto a quello ordinario (ad esempio, con un obbligo di sentire 
il parere di un organo terzo). 

Come anche riconoscono concordemente tutte le parti del presente 
giudizio, il decreto impugnato � stato adottato in mancanza del raggiungimento 
dell'intesa previ�sta dall'art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992. 
Sulla base dei principi precedentemente ricordati, il Governo avrebbe 
dovuto provvedere direttamente adducendo, nel contempo, i motivi della 
mancata intesa e le ragioni d'interesse nazionale che l'hanno determinato 
a decidere unilateralmente. Ma, poich� non v'� traccia alcuna di tale motivazione 
nell'atto impugnato, quest'ultimo dev'essere annullato, dal momento 
che lede tanto le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni 
ricorrenti in materia di assistenza sanitaria, quanto l'autonomia finanziaria 
garantita alle medesime. 

N� tale conclusione pu� essere contraddetta dalle argomentazioni addotte 
dall'Avvocatura dello Stato nelle proprie memorie difensive. 

Innanzitutto, non si pu� sostenere che l'intesa comporta un semplice 
onere di informazione da parte dello Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione 
delle regioni, una volta che questa Corte ha pi� volte chiarito che 
l'intesa � � una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta 
che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione 
alla decisione -da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come 
il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto 
cui la decisione � giuridicamente imputata e quello la cui volont� 
deve concorrere alla decisione stessa� (v. sent. n. 337 del 1989, nonch� 
sentt. nn. 21 del 1991, 220 del 1990 e 747 del 1988). 

In secondo luogo, non pu� condividersi l'opinione che la sede nella 
quale, a norma deM'art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992, deve essere 
perseguita l'intesa -cio� la Conferenza permanente per i rapporti fra lo 
Stato, le regioni e le proV'ince di Trento e di Bolzano -debba essere 
configurata come un organo statale o, quantonemo, un organo che esprime 
anche le indicazioni dello Stato. Per quel che qui rileva, la Conferenza 
d~sciplinata dall'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, lungi dall'essere 
un organo appartenente aH'apparato statale o a quello delle regioni (e 
delle province autonome) e deputato a manifestare gli orientamenti dell'uno 
e/o delle altre, � la sede privilegiata del confronto e deHa negoziaziOP.
e politica fra lo Stato e le regioni (e province autonome), prevista dal 
predetto art. 12 al fine di favorire il raccordo e la collaborazione fra l'uno 
e le altre. In quanto tale, la Conferenza � un'istituzione operante nel




PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 199 

l'ambito della comunit� nazionale come strumento per l'attuazione della 
cooperazione fra lo Stato e le regioni (e le province autonome). 

Infine, nessun rilievo pu� accordarsi, ai fini della decisione dei presenti 
giudizi, alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1994 
dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un � Atto di intesa 
fra Stato e Regioni per la definizione del piano sanitario nazionale relativo 
al triennio 1994-1996 � contenente anche la determinazione dei livelli uniformi 
di assistenza sanitaria, per il semplice fatto che tale atto, peraltro 
concernente una fase preliminare rispetto alla definitiva approvazione del 
Piano con decreto presidenziale, si riferisce ad anni successivi al 1993 e, 
pertanto, riguarda un periodo diverso da quello coinvolto nei conflitti 
di attribuzione esaminati in questi giudizi. 

CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 118 -Pres. Pescatore -
Rel. Ferri -Presidenza Consiglio dei Ministri (avv. Stato Zotta). 

Elezioni -Cause ineleggibilit� sopravvenute -Retroattivit� � Legittiinit�. 
(Cost., artt. 3, 25, 51; legge 18 gennaio 1992, n. 16). 

Non � illegittima la norma che, introducendo un'ampia disciplina in 
tema di eleggibilit� e disponendo la decorrenza di diritto di una serie 
di cariche elettive, operi anche in relazione alle consultazioni elettorali 
svoltesi p11ima della sua entrata in vigore e per reati commessi anch'essi 
prima e precedentemente non contemplati. 

La Corte d'appello di Torino ha sollevato questione di legittimit� costituzionale 
deH'a:rt. 1, primo comma, della legge 18 gennaio 1992, n. 16, il 
quale, sostituendo i primi quattro commi dell'art. 15 della legge 19 marzo 
1990, n. 55, ha introdotto un'ampia disciplina in tema di eleggibilit� e, 
in genere, di capacit� di assumere e mantenere cariche di varia natura 
nelle regioni, nelle province, nei comuni ed in altri organismi di autonomia 
locale. 

Il giudice a quo, premesso che la legge in esame deve indubbiamente 
essere interpretata nel senso della sua immediata operativit�, censura, in 
particolare, Ja norma impugnata nella parte in cui dispone che la decadenza 
di diritto da una serie di cariche elettive (indicate nel medesimo 
articolo), conseguente a sentenza di condanna passata in giudicato 
per determinati reati (pure ivi prev>isti), operi anche in relazione alle 
consultazioni elettorali svoltesi prima dell'entrata in vigore della legge 
medesima, ed a reati commessi anch'essi prima di tale data. 

Ad avviso del giudice remittente, la normativa censurata si pone in 
contrasto con l'art. 25, �secondo comma, della Costituzione, in quanto la 



200 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

decadenza costituisce comunque -a prescindere dall'esatta individuazione 
della sua natura -una sanzione, e ,quindi una � punizione � irrogata in 
forza di una legge entrata in vigore dopo la commissione del fatto; con 
l'art. 51, primo comma, della Costituzione, poich� l'accesso a11a carica 
elettiva viene vanificato da una legge introdotta successivamente; infine, 
con l'art. 3 della Costituzione, �sotto H particolare aspetto dell'eguaglianza 
delle condizioni personali �. 

L'eccezione di inammissibilit� sollevata dall'Avvocatura dello Stato 
in ordine al profilo di censma relativo all'art. 3 deHa Costituzione, che 
sarebbe, a suo avviso, incomprensibile, deve essere rigettata: pur nella 
sua estrema stringatezza, infatti, va ritenuto che la censura in esame, 
valutata anche alla luce dell'intera ordinanza di rimessione, sia espressa 
in modo sufficiente a consentire alla Corte di individuare il thema 
decidendum. 

La questione non � fondata. 

Questa Corte ha gi� avuto varie volte occasione di rilevare, innanzitutto, 
che la finalit� che si � inteso perseguire con la legge n. 16 del 1992 
� quella di assicurare la salvaguruidia dell'ordine e della sicurezza pubblica, 
la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon 
andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, allo scopo 
di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente 
interessi dell'intera collettivit�, connessi a valori costituzionali di primario 
rilievo (sentt. nn .407 del 1992, 197, 218 e 288 del 1993). 

Si � inoltre osservato che 1a legge medesima non contempla altro 
che � nuove cause di ineleggibilit� che il legislatore ha ritenuto di configurare 
in relazione al fatto di aver subito condanne (o misure di prevenzione) 
per determinati delitti di particolare gravit�� (cfr. cit. sent. n. 407 
del 1992). In altre parole, per quanto riguarda l'ipotesi in esame, la condanna 
penale irrevocabile � stata presa in considerazione come mero 
presupposto oggettivo cui � ricollegato un giudizio di � indegnit� morale � 
a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, cio�, 
configurata quale �requisito negativo� ai fini della capacit� di assumere 
e di mantenere le cariche medesime. 

Dalle argomentazioni che precedono deriva l'esclusione delle prospettate 
violazioni dei parametri costituzionali richiamati dal remittente. 

Non � certamente violato, in primo luogo, l'art. 25, secondo comma, della 
Costituzione, per il principale motivo che, secondo la costante giurisprudenza 
di questa Corte, l'invocato principio si riferisce alle sole sanzioni 
penali (cfr. sentt. nn. 823 del 1988, 250 del 1992); d'altra parte, come 
lo stesso remittente riconosce, nella specie si � in presenza della ordinaria 
operativit� immediata di una legge, e non di retroattivit� in senso tecnico, 
.con effetti, cio�, ex tunc. 

Parimenti non risultano lesi gli artt. 51, primo comma, e 3 della 

Costituzione, censure che vanno esaminate -cos� come sono prospet



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

tate -congiuntamente. Alla luce della ratio della normativa come sopra 
individuata, non appare, invero, affatto irragionevole che questa operi 
con effetto immediato anche in danno di chi sia stato legittimamente 
eletto prima della sua entrata in vigore: costituisce, infatti, frutto c1i 
una scelta discrezionale del legislatore certamente non irrazionale l'aver 
attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati gravi 
delitti una rilevanza cos� intensa, sul piano del giudizio di indegnit� morale 
del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate 
finalit� di rilievo costituzionale della legge in esame, l'incidenza negativa 
della disciplina medesima anche sul mantenimento delle cariche elettive in 
corso al momento della sua entrata in vigore. 

CORTE COSTITUZIONALE, 28 aprile 1994, n. 168 -Pres. Casavola -Rel. 
Cainiello -Presidenza del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato 
Onufrio). 

Pena -Ergastolo -Reato commesso da minorenne -Protezione infanzia Illegittimit� 
costituzionale. 
(Cast., artt. 10, 27, terzo comma, e 31; cod. pen. artt. 17 e 22). 

� illegittima la previsione dell'ergastolo per gli infmdiciottenni, in 
quanto incompatibile con i principi espressi dall'art. 31 Cast. che sono 
ispirati ad una speciale protezione per l'infanzia e la giovent� e favoriscono 
gli istituti necessari a tale scopo. 

� stata sollevata questione di legittimit� costituzionale degli artt. 17 
e 22 del codice penale, nella parte in cui non escludono l'applicabilit� 
della pena dell'ergastolo nei confronti del minore degli anni diciotto. 

Secondo il giudice rimettente le norme impugnate contrasterebbero: 
a) con l'art. 10 della Costituzione, per non essersi l'ovdinamento giuridico 
italiano �adeguato a numerose norme pattizie del diritto internazionale 
vigente in materia�; b) con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, per 
compromissione della finalit� rieducativa della pena e del trattamento 
pedagogico e di risocializzazione, peculiare per il minore; c) con l'art. 31, 
secondo comma, della Costituzione, per violazione del precetto che impone 
la protezione dell'infanzia e della giovent�. 

Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilit�, 
dedotta dall'Avvocatura generale dello Stato fa quale sostiene che la 
questione sarebbe identica a quella decisa nel senso della inammissibilit� 
dalla sentenza n. 140 del 1993. 

In proposito osserva la Corte che a questa pronuncia essa pervenne 
in presenza di una questione che era stata prospettata in termini diversi, 


202 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

in quanto formavano allora oggetto di censura non solo l'art. 22 del 

codice penale, cio� una delle norme ora denunciate, ma, congiuntamente, 

nel lor-0 complesso, le norme che disciplinano il meccanismo concernente 

il concorso delle circostanze attenuanti con le aggravanti. Per questa ra


gione la ricordata sentenza aveva osservato che la questione poneva in 

tal modo un quesito di carattere legislativo, dato che, investendo essa nel 

suo complesso la disciplina in tema di concorso di circostanze, una pro


nuncia di questa Corte, essendo vincolata alla prospettazione, sarebbe 

risultata inadeguata, occorrendo, onde perseguire le finalit� correttive 

allora proposte, � un intervento normativo selettivo che definisca le ipo


tesi in cui l'esonero dal bilanciamento di circostanze possa avvenire; e ci� 

per evitare il prodursi di effetti, eccedenti la finalit� del quesito� che 

sarebbero potuti derivare dalla pronuncia allora richiesta, � quando non si 

sia in presenza di reati punibili con l'ergastolo, perch� si andrebbe ad 

incidere in generale nella disciplina della comparazione di circostanze 

eterogenee in rapporto al minore �. 

L'ordinanza introduttiva del presente giudizio, come � gi� stato ricor


dato, ha per oggetto esclusivo gli artt. 17 e 22 del codice penale� nella parte 

in cui non prevedono l'esclusione dalla pena perpetua per l'imputato mi


norenne � per cui la specificit� della pronuncia che viene richiesta non 

espone al rischio di effetti eccedenti il fine auspicato. Anche se, come 

si vedr� in prosieguo, la dichiarazione di incostituzionalit�, in base ai po


teri che competono alla Corte ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, 

sar� estesa in via consequenziale ad una delle norme che regolano il 

ricordato meccanismo, essa, proprio in virt� del suo carattere conse


quenziale rispetto a quella principale che riguarda la previsione dell'er


gastolo per i minori, risulter� limitata a questo ambito. 

Nel merito la questione, sollevata in riferimento all'art. 10, primo 

comma, della Costituzione, non pu� essere presa in considerazione per la 

genericit� dell'assunto della non conformit� della normativa denunciata 

� a numerose norme pattizie del diritto internazionale vigente in materia �, 

non essendo individuabili dall'ordinanza di rinvio n� le disposizioni n� 

tantomeno i contenuti normativi ai quali il rimettente intende fare 

richiamo. 

D'altra parte, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte 

(sentt. n. 153 del 1987, n. 96 del 1982, n. 188 del 1980, n. 48 del 1979, 

n. 69 del 1976, n. 104 del 1969, n, 48 del 1967, n. 135 del 1963, n. 32 del 1960) 
che, con riguardo al parametro invocato, delinea l'adeguamento automatico 
alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, in 
riferimento a princ�pi generali ovvero a norme di carattere consuetudina. 
rio, � 
da rilevare che non � neppure possibile rinvenire nella materia un 
principio generale o una consuetudine, perch� dal variegato panorama 
delle legislazioni degli altri Stati pi� affini a quella del nostro Paese non 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

risulta l'esistenza di una di quelle �norme generalmente riconosciute�, 
cui fa riferimento l'art. 10, primo comma, della Costituzione, tenuto 
conto della estrema diversit� delle discipline che regolano il regime delle 
pene pi� gravi nei vari Paesi. 

Esclusa dunque l'idoneit� di w1 cos� generico richiamo alle �norme 
pattizie � ai fini del controllo di costituzionalit� delle norme denunciate, 
tuttatia la Corte ritiene opportuno, al fine di chiariTe il significato degli 
altri parametri costituzionali, analizzare e verificare la conformit� della 
nostra legislazione agli obblighi assunti sul piano internazionale. 

Tra le convenzioni sottoscritte dall'Italia che possono in qualche 
modo avere riflessi sulla materia, pu� essere ricordata quella �per la 
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali � (Roma, 
4 novembre 1950 e relativo Protocollo addizionale di Parigi del 20 marzo 
1952), ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848, la quale, stabilendo 
all'art. 3 che � Nessuno pu� essere sottoposto a torture o a pene inumane 

o degradanti �, non sembra porre problemi diversi da quelli che si presentano 
in riferimento a:ll'art. 27, terzo comma, della Costituzione, per 
cui essi saranno affrontati successivamente, nell'ambito della questione 
sollevata sotto quest'ultimo profilo. 
Per quel che concerne poi le convenzioni che riguardano in particolare 
la condizione dei minori, appare utile la menzione di alcune importanti 
proposizioni in esse contenute che hanno riguardo alla materia in esame. 
Cos� nella �Dichiarazione dei diritti del fanciullo� della Societ� delle 
Nazioni, del 1924, le disposizioni che maggiormente potrebbero riferirsi 
all'oggetto della questione riguardano (punti 1 e 5) l'esigenza che �il fanciullo 
deve essere messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente 
e spiritualmente� e che �deve essere allevato nel sentimento che 
le sue migliori qualit� dovranno essere poste al servizio dei suoi fratelli �. 
Cos� ancora � da dirsi per la � Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo
� (ONU, New York, 10 dicembre 1948), secondo cui (punto 25) 
�la maternit� e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza�; 
per la �Dichiarazione dei diritti del fanciullo� (ONU, New York, 20 novembre 
1959), in cui si prevede (principio secondo) che �il fanciullo deve 
beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilit� e facilitazioni, 
in base alla legge e ad altri provvedimenti, cos� da essere in grado di 
crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, 
spirituale e sociale �. Analoghi concetti sono espressi nelle � Regole minime 
per l'amministrazione della giustizia minorile� (ONU, New York, 
29 novembre 1985; c.d. Regole di Pechino), le quali prevedono (punto 3) 
che � un minore � un ragazzo o una persona che nel rispettivo sistema 
legale pu� essere imputato per tlll1 reato, ma non � penalmente responsabile 
come un adulto>>, che (punto 5) ,~J.1 sistema della giustizia minorile 
deve avere per obiettivo la tutela del giovane ed assicurare che la misura 
adottata nei confronti del giovane sia proporzionale alle circostanze 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

204 

del reato o all'autore dello stesso� ed ancora (punto 17) che, nell'ambito 
del processo, la decisione � deve essere sempre proporzionata non soltanto 
alle circostanze e alla gravit� del reato, ma anche alle condizioni e ai 
bisogni del soggetto che ha delinquito come anche ai bisogni della societ��, 
che �la tutela del minore deve essere il criteriio determinante nella valutazione 
del suo caso � e che � la pena capitale non � applicabile ai reati 
commessi da minori �. Analogalmente infine � da dirsi per la Convenzione 
di New York �sui diritti del fanciullo� del 20 novembre 1989, ratificata 
e resa esecutiva dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che, oltre a 
riaffermare i principi enunoiati in preoedenza, prescrive all'art. 37 che 
� Nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, 
inumani o degradanti. N� la pena capitale n� l'imprigionamento a vita 
senza possibilit� di rilascio devono essere decretati per reati commessi da 
persone di et� inferiore a diciotto anni�; ed inoltre che �la detenzione 

o l'imprigionamento di un fanciuLlo devono essere effettuati in conformit� 
con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa ed avere la 
durata pi� breve possibile �. 
Come si vede si � in presenza di enunciazioni la cui attuamone � 
affidata alla legislazione degli Stati che vi hanno aderito, e che trovano 
nel nostro ordinamento H maggior punto di emersione nell'art. 31 della 
Costitumone, che costituisce un altro dei parametri invocati nell'ordinanza 
di rimessione. I problemi posti da tali enunciazioni saranno perci� affrontati 
in prosieguo, in occasione dell'esame della questione 1sol1evata in riferimento 
a detto parametro. 

Per quel che riguarda il riferimento all'art. 27, terzo comma, della 
Costituzione, l'argomento, riferito alla generalit� dei soggetti, � stato gi� 
affrontato, in modo specifico, nella sentenza n. 264 del 1974, che ha ritenuto 
non fondata la prospettazione del contrasto tra l'ergastolo e il richiamato 
parametro, sul riflesso del carattere polifunzionale della pena. 
Un connotato, questo, ribadito anche di recente (sentt. n. 306 del 1993; 

n. 282 del 1989; n. 107 del 1980; n. 179 del 1973; n. 12 del 1966). 
Avuto riguardo al momento dinamico dell'applicazione della pena, 
il precetto costituzionale appare comunque soddisfatto dal legislatore 
che ha da tempo esteso all'ergastolano non solo l'istituto della liberazione 
condizionale -il cui governo, per effetto della sentenza di questa Corte 

n. 204 del 1974, � affidato alla competenza dell'autorit� giudiziaria che, 
come sottolineato dalla sentenza n. 264 del 1974 citata, consente 
l'effettivo reinserimento del condannato nel consorzio civile, ma anche 
altre misure premiali che anticipano quel reinserimento come effetto del 
. suo sicuro ravvedimento, 
da comprovarsi dal giudice 1sulla base non solo 
della buona condotta tenuta dal condannato stesso durante l'esecuzione 
della pena bens� soprattutto dalla sua partecipazione all'opera riedu-

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 205 

cativa; una disciplina positiva, quella accennata, coerente con la necessit� 
della verifica, in concreto, della saldatura di quella divaricazione tra la 
astratta finalit� rieducativa e la relativa adesione del destinatario, che 
questa Corte ha gi� individuato essere alla base della qualificazione � tendenziale 
� della rieducazione. 

D'altra parte la disciplina positiva specificamente rigua:rxlante i minori 
accentua la portata applicativa degli accennati istituti che si caratterizzano 
come concettualmente antagonisti rispetto alla perpetuit� della 
pena: sia, in negativo, stabilendosi eccezioni a nuove e pi� rigorose previsioni 
limitatrici della fruibilit� dei � benefici � di ordinamento penitenziario 
(decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 
1991, n. 203, il cui art. 4, comma 4, esclude appunto l'applicazione 
delle norme restrittive introdotte dal medesimo provvedimento nei riguardi 
dei condannati minorenni all'epoca del reato); sia, in positivo, scollegandosi 
l'applicazione della liberamone condizionale, per il minore, dai 
limiti minimi di espiazione di pena previsti in via generale dell'art. 176 
del codice penale (art. 21 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, 
che consente di ammettere il minore alla liberazione condizionale in 
qualunque momento dell'esecuzione e qualunque sia la durata della pena 
inflitta). 

Tutti gli anzidetti correttivi finiscono con l'incidere sulla natura 
stessa della pena dell'ergastolo, che non � pi� quella concepita alle sue 
origini del codice penale del 1930. La previsione astratta dell'ergastolo 
deve ormai essere inquadrata in quel tessuto normativo che progressivamente 
ha finito per togliere ogni significato al carattere della perpetuit� 
che all'epoca dell'emanazione del codice la connotava. Ma una volta soddisfatto 
con detm correttivi il precetto costituzionale che assegna alla pena 
la funzione rieducativa, diviene esclusivo compito del legislatore di valutare, 
nelle scelte di politica criminale, se conservare o meno l'ergastolo 
tra le sanzioni punitive astrattamente previste. 

La questione � invece fondata in riferimento all'art. 31 in relazione 
all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. 

Se l'art. 27, terzo comma, non espone di per s� a censura di incostituzionalit� 
la previsione della pena dell'ergastolo ed il relativo carattere 
della perpetuit� ai sensi degli artt. 17 e 22 del codice penale, di esso deve 
darsi una lettura diversa allorch� lo si colleghi con l'art. 31 della Costituzione 
che impone tma incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo 
generale, del trattamento penalistico dei minorenni. 

Dall'art. 31 della CostitUZJ�one, che prevede una speciale protezione 
per l'infanzia e la giovent� e favorisce gli istituti necessari a tale scopo, 
deriva l'incompatibilit� della previsione dell'ergastolo per gli infradiciottenni, 
perch� accomuna, per tale particolare istituto di indubbia gravit�, 


206 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

nel medesimo contesto punitivo tuttJi i soggetti, senza tener conto della 

particolare condizione minorile. Quest'ultima condizione -come gi� sotto


lineato nella sentenza n .140 del 1993, ove si auspicava un intervento del 

legislatore sul punto della comminatoria della pena dell'ergastolo anche 

per il minore -es,ige � di diversificare il pi� possibile il trattamento del 

minore dalla discipli[]:a punitiva generale�. 

Ebbene, questa diversificazione, imposta dall'art. 31 della Costituzione, 

letto anche alla luce degli obblighi enunciati nelle ricordate convenzioni 

internazionali, le quali impegnano gli Stati nel senso della particolare pro


tezione dei minorenni, fa assumere all'art. 27, terzo comma, della CostJi


tuzione, relativamente a questi ultimi, un significato distinto da quello 

che, come si � visto nel punto precedente, � riferibile alla generalit� dei 

soggettJi quanto alla funzione rieducativa della pena. Questa funzione 


data la particolare attenzione che deve essere riservata, in ossequio 

all'art. 31 della Costituzione, ai problemi educativi dei giovani -per i 

soggetti minori di et� � da considerarsi, se non esclusiva, certamente 

preminente, per cui si manifesta un insanabile contrasto fra essa e le 

norme denunciate -e cio� l'art. 17 del codice penale, che elenca fra le 

pene che accedono ai reati quella dell'ergastolo, e l'art. 22 del codice stesso 

che caratte11izza questa pena con la perpetuit� -riferendosi entrambi 

alla generalit� dei soggetti, senza escludere i minori. 

N�, rispetto al parametro in questione, possono risultare strumenti 
idonei -nel senso della compatibilit� tra Costituzione ed ergastolo ai 
minori -quei pur peculiari istituti che si sono sopra ricoroati (punto 4) 
e che ampliano, specie per i minori, le possibilit� di accesso ai vari benefici 
che il corso dell'esecuzione della pena consente; se per un verso, 
infatti, detti istituti si iscrivono pur sempre in un tessuto normativo che 
rimane, in via generale, indifferenziato quanto all'et� dell'autore del 
reato -e che � perci� urgente compito del legislato!'e riformulare, onde 
ricondurlo ad armonia con le esigenze di diversificazione e accentuata 
finalizzazione rieducativa: sent. n. 125 del 1992 di questa Corte -per altro 
verso resta ferma l'tincidenza di tali misure all'interno della vicenda dell'applicazione 
concreta della pena. Quest'ultima caratterizzazione, se � 
sufficiente ad escludere il contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione 
in s� considerato, si rivela inadeguata una volta che si abbia 
riguardo alla prospettiva della spiccata protezione del minore quale espressa 
nell'art. 31, secondo comma, della Costituzione, principio la cui compresenza 
nell'ambito dei precetti costituzional� impone un mutamento 
di segno al principio rieducativo immanente alla pena, attribuendo a 
quest'ultima, proprio perch� applicata nei confronti di un soggetto ancora 
.in formazione e alla ricerca della propria identit�, una connotazione educativa 
pi� che rieducativa, in funzione del suo inserimento maturo nel 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Gli artt. 17 e 22 del codice penale, non escludendo perci� il minore 
dalla previsione, sia pur astratta, dell'ergastolo, sono in contrasto con 
l'art. 31, secondo comma, in relazione all'art. 27, terzo comma, della 
Costituzione e di esSI� deve perci� essere dichiarata l'illegittimit� costituzionale 
nella parte in cui non prevedono tale esclusione. 

L'idea che dalla previsione della pena dell'ergastolo dovessero essere 
esclusi i minori faceva gi� parte del nostro patrimonio legislativo, 
essendo l'esclusione espressamente sancita dal codice Zanardelli del 
1889 che, sul portato di codici pre-unitari, rimasti sostanzialmente in vita 
fino all'avvento di esso, prevedeva (sulla premessa della imputabilit� 
piena a partire dai quattordici anni) all'art. 55, per gli imputati di et� 
fra i quattoI1dici ed i diciotto anni, la sostituzione di quella pena con la 
reclusione da dodici a venti anni, ed all'art. 56, per gli imputati di et� 
fra i diciotto ed i ventuno anni, la sostituzione con la reclusione da 
venticinque a trent'anni. 

Quanto al codice penale del 1930, come � noto, anteriormente alla 
riforma di cui al decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla 
legge 7 giugno 1974, n. 220, l'art. 69, dopo aver previsto, nel caso di concorso 
fra circostanze aggravanti ed attenuanti, la possibilit� di attribuire 
prevalenza alle une 'escludendo cos� le altre e viceversa, o di ritenere 
la loro equivalenza con la conseguenza della contemporanea eliminazione 
delle une o delle altre, escludeva dall'applicaziione di tali disposizioni 
le circostanze inerenti alla persona del colpevole, stabilendo che in tal 
caso gli aumenti e le diminuzioni di pena si operassero a norma dell'art. 
63 dello stesso codice. L'esclusione delle circostanze inerenti alla 
persona del colpevole dal giudi:zrl.o di comparazione rendeva cos� sempre 
applicabile la circostanza di cui all'art. 98 del codice penale, il quale 
prevede che, qualunque sia la pena prevista per il reato, essa per il 
minore degli anni diciotto � diminuita. Oi� comportava necessariamente 
che, pur in presenza di circostanze aggravanti, nei confronti del 
minore la pena dovesse essere comunque diminuita, nella misura 
stabilita dalla disposizione speciale o, in difetto, secondo il disposto 
del n� 2) dell'art. 65 citato, rendendosi in questo modo inapplicabile 
la pena dell'ergastolo, salvo il caso che sar� successivamente esaminato 
in relazione all'art. 73. 

Con la gi� ricordata riforma dell'art. 69 del codice penale, introdotta 
dall'art. 7 del richiamato decreto-legge n. 99 del 1974 convertito dalla 
legge n. 220 del 1974, riforma ispirata peraltro da un intento di maggior 
favore per il reo, il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra le due 
categorie di circostanze � stato esteso anche a quelle inerenti alla 
persona del colpevole, tra le quali la giurisprudenza ha sempre compreso 
la diminuente della minore et�, per consentire, fra l'altro, specie per 

a. reati contro il patrimonio, la possibilit� di far ritenere prevalente 

208 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l'attenuante della minore et� ed escludere, quando essa ricorresse, 
tutte le aggravanti. Da questa modifica -pur dettata da un intento 
di adeguatezza in concreto della pena, rispetto alle �rigidit� (in eccesso) 
che si erano verificate con particolare riguardo alla parallela esclusione 
dal giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti che determinano 
la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato o 
che stabiliscono una pena di specie diversa -� per� derivata una 
conseguenza deteriore. Una conseguenza forse non voluta (perch� gli 
ideatori della riforma non se l'erano probabilmente prefigurata) ravvisabile 
nel caso -verificatosi proprio nel giudizio a quo -del minore, 
imputato �di un reato punibile con l'ergastolo, a causa della presenza 
di circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo e che 
possono essere ritenute prevalenti e quindi tahl, ai sensi dell'art. 69 
del codice penale, come risultante delle modifiche del 1974, da escludere 
l'incidenza della attenuante dell'art. 98 del codice penale, che viceversa 
in precedenza sarebbe stata comunque applicabile, escludendo cos� la 
possibilit� di irrogazione dii detta pena nei confronti del minore. 

~ altres� da rilevare che, come era anche prima della cennata riforma 
del 1974, la previsione dell'ergastolo per il minore sussiste anche 
quale effetto dell'applicazione delI'art. 73 del codice penale che, al secondo 
comma, stabilisce in via generale (e quindi senza escludere il minore) 
che, � quando concorrono pi� delitti per ciascuno dei quali deve 
infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni 
si applica l'ergastolo �. 

Conseguentemente alla declaratoria principale di incostituzionalit�, 
deve dunque essere dichiarata, in forza dell'art. 27 della legge 
11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� costituzionale parziale di dette altre 
norme del codice penale, onde apportarvi i necessari adattamenti idonei 
ad �impedire che la dichiarazione di incostituzionalit�, nei sensi anzi. 
detti, degli artt. 17 e 22 del codice penale risulti inoperante, atteso il 
nesso inscindibile che, come si � visto, intercorre tra le disposizioni in 
argomento ai finii della determinazione della pena applicabile al minorenne. 
Il caTattere consequenziale della dichiarazione di incostituzionalit� 
che investe l'art. 69 del codice penale, va ad incidere cos� sul meccanismo 
della comparazione delle circostanze ai limita1li efretti di quella 
principale cui � esclusivamente finalizzata e non pu� dar luogo, come 
si � gi� rilevato in premessa, a quegli effetti eccedenti le finalit� del 
quesito rilevati nella sentenza n. 140 del 1993. 

L'art. 69 del codice penale, come si � rilevato nell'illustrazione dei 

meccanismi in esso previsti per H caso di concorso di circostanze etero


genee, determina la possibilit� dell'applicazione della pena dell'ergastolo 

anche per il minore, sia qua:lora il giudizio di comparazione risulti nel 

senso della prevalenza delle aggravanti che comportano la pena perpetua 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 209 

(come � il caso del giudizio a quo), sia nell'ulteriore ipotesi di giudizio 
di prevalenza o anche solo di equivalenza fra attenuanti ed aggravanti, 
nel caso di reato punibile con la pena-base dell'ergastolo, con una 
situazione in entrambi i casi ostativa rispetto alla possibilit� di applicazione 
al minore della attenuante prevista dall'art. 98 del codice penale. 
La consequenziale pronuncia di illegittimit� costituzionale ex art. 27 
della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell'art. 69 del codice penale citato consente 
invece di applicare, anche nei casi anzidettJi, la diminuente suddetta. 


La declaratoria consequenzinle non pu� che operare, pertanto, 
espungendo dal sistema la � parte � incostituzionale di detta disciplina, 
attraverso l'esclusione dell'applicazione delle disposi:zlloni sul giudizio 
di bilanciamento con riguardo -e limitatamente -alle due situazioni 
che si sono sopra dette. 

Non sarebbe viceversa soluzione coerente n� con i limiti della pronuncia 
ex art. 27 della legge n. 87 del 1953 n� pi� in generale con 
l'esigenza di proporzione tra fatto-reato e pena una pronuncia che giungesse 
ad affermare la prevalenza della circostanza prevista dall'art. 98 
del codice penale nei casi in cui � in gioco la possibilit� astratta di 
applicazione della pena dell'ergastolo al minore, giacch� una simile statuizione 
apporterebbe uno squilibrio contrario, elidendo il peso e il significato 
di elementi accidentali del reato che devono viceversa trovare 
riflesso nel concreto dosaggio delle pena, in base appunto alla regola ex 
art. 63 del codice penale. 

Per rendere la dichiarazione principale di incostituzionalit� pienamente 
operante � altres� necessario dichiarare l'illegittimit� in via 
consequenziale anche dell'art. 73, secondo comma, del codice penale, data 
la contrariet� a Costituzione del meccanismo sostitutivo ivi previsto, nel 
caso di imputato o condannato minorenne. 

Resta ovviamente affidato al giudice penale, a seguito della dichiarazione 
di incostituzionalit� consequenziale dell'art. 73 citato, di determinare 
la pena sostitutiva da applicarsi in luogo dell'ergastolo, nel 
caso -estraneo al giudizio a quo -in cui si sia in presenza del concorso 
di pi� delitti, commessi dal minore, per ciascuno dei quali deve infliggersi 
la pena della reclusione non inferior.e a ventiquattro anni. 

CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1994 n. 169 -Pres. Casavola -Rel. 
Ruperto -Commissario dello Stato per la Regione siciliana (avv. 
Stato Favara) c. Rewione siciliana (avv. Galgano, Scuderi e Lo Bue). 

Urbanistica � Edilizia � Abusivismo � Repressione � Acquisizione al patri� 
monio comunale opere abusive � Concessione diritto di abitazione � 
Presupposti temporali irrazionali � Illegittimit� costituzionale. 



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RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Urbanistica � Edilizia � Abusivismo � Repressione � Acquisizione al patri


monio comunale opere abusive � Concessione diritto di abitazione 


Pagamento indennit� rapportato ad oneri urbanizzazione � Illegitti


mit� costituzionale. 

(Cost., art. 97 -deliberazione legislativa approvata da Ass. Reg. Sic. il 14 ottobre 1993, 

art. 4). 

E: illegittima la norma che, consentendo ai comuni di concedere il 
diritto di abitazione sugli immobili abusivi acquisiti al loro patrimonio, 
preveda che l'opera abusiva sia stata ultimata in data (largamente) successiva 
a quella della proposta di legge poich� essa costituisce un incentivo 
all'abusivismo. 
E: illegittima la norma che, consentendo ai comuni di concedere il 
diritto di abUazione sugli immobili abusivi acquisiti al loro patrimonio, 
preveda che l'autore dell'abuso debba pagare un'indennit� ragguagliata 
ai soli oneri di urbanizzazione, essendo tale valore irriisorio rispetto al 
contenuto patrimonM.le del diritto acquisito. 
Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana impugna le seguenti 
norme deHa deliberazione legislativa nn. 524, 249, 324, 343, 545, 
recante � Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo ediiHzio e per 
la destinazione delle costruzioni edjlizie abusive esistenti �, approvata dall'Assemblea 
regionale siciliana il 14 ottobre 1993: 

1) artt. 2 e 3, che delineano le procedure per H rilascio delle concessioni 
edilizie e dei certificati di abitabilit�, agibilit� e conformit�, per 
violazione dell'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (in tema dii 
silenzio�assenso) ora convertito, con modificazioni, nella legge 4 dice[Obre 
1993, n. 493, in relazione ai limiti posti dall'art. 14, lettera f), deHo statuto 
speciale della Regione Sicilia, nonch� degli artt. 3, 9 e 97 della 
Costituzione; 

2) artt. 4 e 5, che prevedono la concessione del diritto di abitazione 
sulle opere edilizie abusive acquisite, per interferenza in materia penale 
e di diritto privato, per violazione della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in 
relazione ai limiti posti dall'art. 14, lettera f), dello statuto speciale della 
Regione Sicilia, nonch� degli artt. 3, 5, 9 e 97 della Costituzione; 

3) artt. 6, secondo, terzo e quarto comma, e 8, che disciplinano 
rispettivamente l'autorizzaziione al mutamento di destinazione d'uso per 
gli immobili � edifilcati a verde agricolo � ed il rilascio del certificato di 
abitabilit� per i volumi tecnici, per violazione della legge n. 47 del 1985 
in relazione ai limiti posti dall'art. 14, lettera f), dello statuto speciale 
della Regione Sicilia, nonch� degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione; 

4) art. 7, terzo comma, che fa salvi i contratti di utenza stipulati 
prima dell'entrata in vigore della legge de qua, per violazione degli artt. 
3 e 97 della Costituzione, sempre in relazione ai predetti limiti ex art. 14, 
lettera f), nonch� in riferimento all'art. 45 della legge n. 47 del 1985; 


PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

5) art. 11, che introduce lil settimo comma nell'art. 25 della legge 
della Regione Sicilia 27 dicembre 1978, n. 71, determinando i compensi 
spettanti ai progettisti per la redazione o la revisione dei piani urbanistici, 
per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. 

La legge regionale della quale fanno parte le disposizioni impugnate 
risulta dallo stralcio dei contenuti di numerose iniziative legislative 
presentate all'Assemblea regionale sici1i:ana tra il marzo del 1992 ed il 
giugno del 1993. Tutte le proposte si fanno carico delle allarmanti connotazioni 
che il fenomeno dell'abusivismo edilizio ha assunto in Sicilia. Dai 
lavori preparatoci che hanno preceduto la normativa de qua si colgono 
ancor meglio alcuni dati, che possono essere come appresso riassunti. 

Si � in presenza di una disapplicazione pressoch� assoluta delle norme 
che prevedono la demolizione delle opere abusive; in particolare, le 
domande di sanatoria presentate sulle base della legge regionale 10 agosto 
1985, n. 37 (concernente l'applicazione in Sicilia della legge 28 febbraio 
1985, n. 47), risultano in grande misura ancora pendenti, con la conseguenza 
di rendere di fatto possibile non solo l'utilizzazione ma anche la 
commerciabilit� degli immobili. Le amministrazrl.oni locali frequentemente 
appaiono gestire in modo clientelare il fenomeno, in alcuni casi favorendo 
movimenti ed aggregazioni dli massa costituiti da occupanti di immobili 
abusivi, le quali, sotto il comune denominatore del diritto alla casa, 
si intrecciano spesso con interessi speculativi e fenomeni malavJtosi. In 
questo quadro il legislatore della Regione sembra muoversi secondo due 
linee fondamentali: Ja responsabilizzazione di sindaci ed ammimstratori 
e la salvaguardia di quelle situazioni in cui l'utilizzo dell'opera abusiva 
risponda ad esigenze abitative primarie. 

Ci� premesso, le censure vanno esaminate nell'ordine in cui sono 
state proposte. (omissis) 

Gli artt. 4 e 5 sono impugnati nella parte in cui prevedono la concessione 
del diritto di abitazione sulle opere edilizie abusive con esclusione 
delle costruzioni realizzate su aree sottoposte a vincolo. 

Lamenta il Commissario la violazione, da parte della Regione, della 
ratio della legge n. 47 del 1985, l'interfevenza, da parte della stessa, nella 
materia penale e nel dliritto privato, e, infine, la lesione dei precetti di 
cui agli artt. 3, 5, 9 e 97 della Costituzione. 

Le questioni sono fondate nei limiti di cui appresso. 

L'art. 4 consente ai comuni di destinare le opere edilizie abusive, 
una volta acquisite al patrimonio comunale, al soddisfacimento della 
necessit� di edilizia residenziale secondo le seguenti procedure: 

1) se l'opera abusiva risulti adibita a dimora abituale e principale 
del responsabile dell'abuso e del suo nucleo familiare, anche dli fatto, 
il sindaco pu� concedere �l responsabile che lo richieda e ai componenti 


RASSEGNA AWOCATURA DEI.LO STATO

212 

del suo nucleo familiare il diritto di abitazione nei limiti e con i contenuti 
di cui agli artt. 1022, 1023, 1024 e 1025 cc.; 

2) tale concessione � ammessa purch� il mantenimento dell'immobile 
non arrechi nilevante pregiudizio alle destinazioni generali di zona 
ed � in ogni caso esclusa per le opere realizzate in zone sottoposte a 
vincolo d'inedificabtliit� assoluta o comunque a divieto assoluto di costruzione, 
mentre, per le zone soggette a vincoli speciali, � richiesto il nullaosta 
dell'autorit� che gestisce il vincolo; 

3) la presentazione delle domande ha effetto sospensivo sui procedimenti 
amministrativi di repressione dell'abusiivismo che siano in 
corso; 

4) viene demandato al Presidente della Regione di fissare condizioni, 
modalit� ed obblighi per l'esercizio del diritto, nonch� i casi di decadenza 
dallo stesso; 

5) sono previste precise condiizioni, in particolare: a) l'ultimazione 
della costruzione entro il 30 settembre 1993; b) il pagamento di un'indennit� 
ragguagliata agli oneri di urbanizzazione da parte del concessionario; 
c) infine che quest'ultimo non sia proprietanio di altro immobile idoneo 
a soddisfare le esigenze abitative e che la costruzione sia stata reaHzzata 
su area ,di cui si aveva dl legittimo possesso. 

Nel valutare questa normativa, non pu� ignorarsi che la situazione 
dell'edilizia abusiva ha assunto in Sicilia i caratteri di ampiezza e gravit� 
gii� accennati sub 2; come pure � evidente che una politica di corretta 
gestione del territorio non pu� realizzarsi senza una contemporanea valutazione 
dei problemi di ordine pubblico che lo strumento della demolizione 
pu� comportare e, pi� in generale, delle tensioni presenti in aree 
dove il fenomeno dell'abusiviismo � pressoch� generalizzato. Parimenti 
� giustificata la preoccupazione del legislatore regionale circa l'appagamento 
del diritto all'abitaziione, espres,sa in una valutazione di particolare 
favore per il cosiddetto � abusivismo per necessiit� �. 

Ci� premesso, ritiene la Corte che la normativa de qua superi nelle 
sue linee essenziali lo scrutinio di costituzionahlt� cui l'ha sottoposta 
il Commissanio dello Stato ricorrente, ove la si interpreti -come si 
deve -in modo conforme alla Costituzione e ai princ�p1 generali del 
diritto statale; fondate palesandosi le censure soltanto per quanto 
riguarda il terzo comma, lettere b) e d), nonch� il sesto comma dell'art. 4. 
Nessuna censura intanto pu� esser mossa direttamente al primo 
comma di tale articolo, giacch� esso si limita ad autorizzare i Comuni 
dell'Isola a stabilire che le procedure successive all'acquisizione al pa. 
trimonio comunale delle opere edilizie abusive esistenti alla data del


l'entrata in vigore della presente legge, siano regolate dalle disposizioni 

dei 'successivi commi, oltre che dalle disposizioni della legge 28 feb


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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

braio 1985, n. 47, e della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, in quanto 
compatibili. In tal modo, difatti, sii descrive una possibilit� ulteriore ed 
alternativa per la gestione del patrimonio edilizio comunale, di per s� 
coerente con la competenza esclusiva della Regione in materia. 

Il secondo comma, costituente l'obiettivo fondamentale dell'impugnazlione, 
dispone espressamente che l'acquisizione dell'opera abusiva 
al patrimonio comunale, deve avvenire �ai sensi dell'art. 7, quinto comma, 
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 � (legge che, ovviamente nei suoi 
princ�p1 fondamentali, � da includere fra le � norme fondamentali di 
riforma economico-sociale�). Ci� significa che, fermo restando l'obbligo 
di demolizione dell'opera, il quale in via primaria consegue all'acquisizione 
dell'opera abusiva, questa pu� essere conservata al patrimonio 
comunale e non demolita, quando con delibera2lione comunale relativa 
alla singola opera (e quindi tenuto espressamente conto di tutte le circostanze 
del caso che giustificano la deroga nonch� in presenza di una 
esplicita individuazione dell'immobile e delle sue caratteris1Jiche) si ritenga 
che sussistano prevalenti interessi pubblici alla conservazione e 
semprech� �l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbarui.stici 

o ambientali �. E giova ricordare che taluni di tali vincoli sono pi� specificamente 
riprodotti in altre dispostizioni della legge impugnata (artt. 4, 
decimo comma; 5, primo e secondo comma). 
Sempre per espressa disposizione del secondo comma, l'opera abusiva 
pu� essere acquisita al patrimonio comunale onde essere concessa 
come abitazione, solo se � adibita a �dimora abituale e principale del 
responsabile dell'abuso e del suo nucleo familiare, anche di fatto �, Inoltre, 
dopo l'acquisizione, il sindaco, su richiesta del responsabile dell'abuso, 
non deve necessariamente, ma � pu� concedere il diritto di abitazione 
sull'immobile al richiedente e ai componenti del suo nucleo familiare ... �, 

Da ci� deriva, alla stregua di un'interpretazione conforme a Costituzione, 
che l'atto dii concessione del diritto �di abitazione � provvedimento 
discrezionale, sia relativamente all'an (il sindaco pu� concedere solo se 
ricorre l'interesse pubblico primario sotteso all'intera legge regionale, 
nel senso che sussista l'esigenza di assicurare l'abitazione a chi ne ha 
bisogno, in considerazione del reddito, delle condizioni di vita, etc.), sia 
relativamente al quid (il diritto di abitazione pu� essere concesso solo se 
l'opera abusiva costituisca gi� l'effetUva dimora del richiedente e del 
suo nucleo familiare, proporzionata a quelle esigenze mintime rispetto 
a una vita dignitosa dell'effettivo nucleo familiare, garantite dalla Costituzione 
e dalla legislazione ordinaria sull'edilizia residenziale pubblica). 

Ne consegue altresl che la concessione del diritto di abitazione non 
pu� avvenire n� a favore degli aventi causa a qualsiasi titolo di chi ha 
commesso l'abuso o di altri possessori successivi, n� a favore di imprese 

o societ� (ancorch� queste abbiano direttamente commesso l'abuso). 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

214 

Ulteriore implicazione cli quanto esposto � che il diritto di abitazione 

non pu� esser concesso relativamente a edifici aventi caratteristiche di 

abitazione cli lusso o di �seconda casa�: in questi casi, infatti, si esor


biterebbe dall'interesse pubblico (costituzionalmente tutelato) che pre


siede al provvedimento del sindaco, diretto a soddisfare un'esigenza 

abitativa primaria, riferibile soltanto ai bisognosi (chi non ha altra casa) 

e nei limiti di tale diritto sociale (necessit� di assicurare un livello di 

vita che non sia inferiore a quello di una �vita dignitosa�). 

Nel complesso, dunque, il secondo comma dell'art. 4 -chiarite 

queste premesse interpretative e ferme le <led.aratorie cli illegittimit� di 

cui infra -contiene un bilanciamento non irrazionale (nell'�mbito del 

potere che ogni comune ha di utilizzare opere abusive non demolite a fini 

cli soddisfazione dei bisogni di edilizia residenziale pubblica) tra l'esi


genza di disciplinare il grave problema dell'abusivismo edilizio e l'esi


genza ~di rilievo anche costituzionale: v. sentenza n. 49 del 1987) di assi


curare un'abitazione ai� bisognosi. E solo un'interpretazione non con


forme alla Costituzione e ai princ�pi generali dell'ordinamento statale 

potrebbe condurre -come giustamente rileva la difesa della Regione 


ai risultati negativi che il Commissario ricorrente indica come giusti


ficativi delle sue censure. 

Le censure, viceversa, sono fondate per quanto concerne alcune delle 

condizioni descritte dal terzo comma dello stesso art. 4, e precisamente 

quelle sub lettera b) e sub lettera d). 

Il terzo comma, Lettera b), infatti, prevede come condizione per la 

concessione del diritto di abitazione che l'opera abusiva sia stata ulti


mata entro il 30 settembre 1993, e non invece entro la data di proposta 

della legge impugnata. 

La fissazione di questo termine �, a giudizio della Corte, inficiata da 

irrazionalit�, in quanto, non precludendo la legittimazione alla proposi


zione della domanda di concessione del diritto di abitazione nei con


fronti cli quanti abbiano realizzato l'abusivo manufatto, proprio confi


dando nell'approvazione di un ormai noto disegno di legge, si risolve in 

un arbitrario incentivo all'abusivismo. Viceversa, rispetto ad ogni inizia


tiva legislativa diretta ad incidere temporaneamente sulla preesistente 

disciplina degli effetti di un illecito, in senso soppressivo di alcuno di 

essi o comunque migliorativo per il trasgressore, si impone la fondamen


tale esigenza cli un adeguato coordinamento con la determinazione della 

data finale del periodo beneficiato, in guisa tale che ne risulti impedita 

una siffatta, abnorme conseguenza. 

Nel caso in esame, la prima proposta risulta essere stata presentata 
. all'Assemblea regionale il 23 marzo 1992 e, di conseguenza, la detta esi


genza poteva essere soddisfatta soltanto fissando la scadenza del periodo 

considerato in un momento non succes�sivo a tale data. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 215 

Il terzo comma, lettera d), poi, � censurabile perch� si limita a 
prevedere il pagamento di una semplice � indennit� ragguagliata agli 
oneri di urbanizzazione �, e dunque non un corrispettivo di valore non 
irrisorio quale � quello spettante al proprietario che costituisce a fa. 
vore di altri, non a titolo gratuito, un diritto reale parziario sul proprio 
bene. Evidente infatti � sul punto la violazione dell'art. 97 della Costituzione; 
tanto pi� ove si consideri che il diritto concesso pu� avere 
anche lunghissima durata e quindi per egual tempo pu� comprimere la 
propriet� del Comune su un immobile, che, oltretutto, a norma del 
comma 9, �entra a far parte del patrimonio indisponibile del Comune� 
stesso, col conseguente vincolo di destinazione. 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1994, n. 180 � Pres. Pescatore � 
Rel. Caianiello � Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. 
Stato Bruno). 

Circolazione stradale � Uso del casco da parte degli utenti di motocicli � 

Diritto di libert� e tutela della salute � Legittimit�. 

(Cast., artt. 3 e 32; legge 11 gennaio 1986, n. 3, artt. 1, 2, 3; legge reg. 30 aprile 1982, 

n. 285, art. 171). 
� legittima l'imposizione dell'uso del casco prot.ett<ivo per gli utenti 
di motocicli poich� l'ingerenza statale nella sfera di libert� del cittadino 
si giustifica non solo per la tutela della salute di terzi ma anche dell'individuo 
il cui pregiudizio dal punto di vista delle conseguenze invalidanti 
.e della mortalit� si ripercuotono in termini di costi sociali su 
tutta la collettivit�. 

� stata sollevata questione di legittimit� costituzionale degli arti� 
coli l, 2 e 3 della legge n. 3 del 1986 -che impongono l'obbligo di 
indossare il casco di protezione per i motociclisti -assumendosi (ord. 

n. 438 del 1993 del Pretore di Salerno) che essi violerebbero: a) l'art. 3 
Cost., per trattamento irragionevolinente pi� severo rispetto ad altri 
comportamenti puniti con sanzioni pi� modeste sia dal codice della 
strada nel testo vigente all'epoca dell'infrazione (d.P.R. n. 393 del 1959 
e successive modifiche), sia dalla legge n. 143 del 1989 in tema di cinture 
di sicurezza; la disparit� di trattamento indicata sarebbe provata 
dal fatto che il legislatore, con il nuovo codice della strada (decreto legislativo 
n. 285 del 1992: artt. 171, comma 2, e 172, comma 8), ha uniformato 
le sanzioni previste per la violazione dell'obbligo di usare il casco 
e per la violazione dell'obbligo di indossare le cinture di sicurezza, attenuando 
il rigore delle prime (implicitamente ritenute troppo gravose) 
e aumentando la misura delle seconde; b) l'art. 32 Cost., perch� il tra4 




216 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sgressore porrebbe in pericolo esclusivamente la propria salute, nei cui 

confronti la collettivit� vanterebbe un �mero interesse�, l� dove altri 

comportamenti trasgressivi alle norme del codice della strada, puniti in 

modo pi� lieve, determinerebbero un pericolo per l'altrui incolumit�, 

tutelata dalla norma costituzionale invocata come .diritto fondamentale 

dell'individuo; c) congiuntamente con l'art. 171, comma 1, del decreto 

legislativo n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), che ne riproduce 

le disposizioni, �l'art. 3, primo comma, in ,relazione agli artt. 13, primo 

comma, e 16, primo comma, della Costitu2lione �, perch� obbligano i 

cittadini maggiorenni a comportamenti diverni a seconda che siano alla 

guida di motocicli (con obbligo del casco) o di ciclomotori (senza obbligo 

del casco), nonostante che si trovino nelle medesime condizioni rappre


sentate dalla 'Circolazione urbana (con limiti di velocit� simili per en


trambi i veicoli: SO Km/h per le moto e 40 Km/h per i ciclomotori) e 

dall'uso, in entrambe le ipotesi, di veicoli a due ruote; d) l'art. 32 della 

Costituzione in quanto, obbligando il cittadino maggiorenne motociclista 

a proteggersi con .il casco, imporrebbero un trattamento sanitario non 

giustificato per l'assenza di pericolo alla salute di terzi. (omissis) 

Va preliminarmente condivisa l'eccezione, sollevata dal.l'Avvocatura 

generale dello Stato, di inammissibilit� della questione riguardante 

l'art. 171, comma 1, lettere a) e b) del nuovo codice della strada (appro


vato con d.P.R. 30 aprite 1992, n. 285), non dovendo di esso fare applica


zione il giudice a quo (reg. ord. n. 438 del 1993), in quanto i fatti oggetto 

del giudizio al suo esame sono anteriori all'entrata in vigore di detta 

norma. 

Nel merito le questioni riguardanti gli artt. l, 2 e 3 della legge 11 gen


naio 1986, n. 3, sollevate con entrambe le ordinanze, non sono fondate. 

(omissis) 

Per quel che concerne il riferimento all'art. 32 della Costituzione 

(parametro che � invece stato espressamente disatteso nell'altra ordi


nanza n. 646 del 1993), che dal. Pretore di Salerno viene invocato sia 

per suffragare la gi� illustrata censura di irragionevolezza, sia per� 

formulare una autonoma censura che, a differenza della prima circa la 

misura della sanzione, investe in radice l'assoggettamento a sanzione 

dell'infrazione all'obbligo del casco, la Corte ritiene la questione non 

fondata, sotto entrambi i profili. 

Non pu� difatti condividersi la tesi, su cui detti profili si fondano, 
per la quale l'ingerenza statale nella sfera del cittadino sarebbe consentita 
solo se sia posto in pericolo il diritto alla salute di terzi individui, 
mentre quando �la collettivit� nei confronti della salute dell'individuo 
.vanta un mero interesse� sarebbe �illegittima ogni imposizione o limi


tazione � di diritti di libert�, come quello � di circolazione ed in genere 
di estrinsecazione della personalit��; 

PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

L'assunto, secondo cui l'art. 32 della Costituzione consentirebbe limitazioni 
al diritto di circolazione solo se venisse in gioco il diritto alla 
salute di soggetti terzi rispetto a colui cui vengono imposte quelle limitazioni, 
con la previsione di 1soozioni in caso di inosservanza, non pu� 
essere condiviso. Specie quando, come nella materia in esame, si � in 
presenza di modalit�, peraltro neppure gravose, prescritte per la guida 
di motoveicoli, appare conforme al dettato costituzionale, che considera 
la salute dell'individuo anche interesse della collettivit�, che il legislatore 
nel suo apprezzamento prescriva certi comportamenti e ne sanzioni 
l'inosservanza allo scopo di ridurre il pi� possibile le pregiudizievoli 
conseguenze, dal punto di vista della mortalit� e della morbosit� invalidante, 
degli incidenti stradali. Non pu� difatti dubitarsi che tali conseguenze 
si ripercuotono in termini di costi sociali sull'intera collettivit�, 
non essendo neppure ipotizzabile che un soggetto, rifiutando di osservare 
le modalit� dettate in tale funzione preventiva, possa contemporaneamente 
vinunciare all'ausilio delle strutture as�sistenziali pubbliche ed ai 
presidi predisposti per i soggetti inabili. Le misure dirette ad attenuare 
le conseguenze che possano devivare dai traumi prodotti da incidenti, 
nei quali siano coinvolti motoveicoli, appaiono perci� dettate da esigenze 
tali da non far reputare irragionevolmente limitatrici della � estrinsecazione 
della personalit� � le prescri:llioni imposte dalle norme in questione~ 
D'altronde si deve osservare che queste non limitano in alcun modo la 
libert� di circolazione, intesa nel senso di spostamento da una parte 
all'altra del territorio, che � la libert� essenzialmente tutelata dall'art. 16 
della Costituzione, anch'esso invocato dal giudice a quo, ma dettano solo 
alcune modalit� da osservarsi da chi voglia utilizzare determinati mezzi 
semoventi. Se dunque la prescrizione � diretta a prevenire i danni alle 
persone, il che costituisce in modo indubitabile interesse della collettivit�, 
essa, anche sotto questo aspetto, deve ritenersi immune dalle censure 
prospettate. 

In proposito 11.1on pu� tralasciarsi di considerare i dati delle rilevazioni 
statistiche condotte nel nostro Paese ed all'estero, indicati anche 
nella documentazione versata in atti dall'Avvocatura generale dello Stato, 
dai quali risulta il notevole abbassamento della mortalit� e delle morbosit� 
invalidanti verificatosi dopo l'adozione dell'obbligo del casco per i 
guidatori di motoveicoli. 

L'effetto positivo, in termini di costi sociali, � perci� indubbio, 
tenuto anche conto che il legislatore, nel suo apprezzamento, si � mantenuto 
nell'alveo delle sanzioni amministrative, di misure cio� qualitativamente 
pi� tenui di quelle penali e che fanno guardare perci� con favore 
alla scelta legislativa operata in relazione alle finalit� di prevenzione 
che si � inteso perseguire. 

Quanto alle considerazioni formulate in una delle ordinanze di rimessione 
(reg. ord. n. 438 del 1993), circa la maggiore convenienza del



218 RASSEGNA AVVOCAT~A DELLO STATO 

l'uso dei motoveicoli dal punto di vista dell'inquinamento atmosferico� 

della � diminuzione della congestione [del traffico] a cagione del minor 

spazio occupato �, esse investono valutazioni di merito che rientrano 

nella discrezionalit� del legislatore, cui spetta di cons1derare comparati


vamente i vantaggi e gli svantaggi, in termini di costi sociali, che 

determinate scelte comportano e che possono formare oggetto di sinda


cato di costituzionalit� solo se irragionevoli. 

Parimenti non pu� ritenersi influente nel presente giudizio di costi


tuzionalit� il mutamento di indirizzo che il giudice a quo ricorda essersi 

verificato in qualche altro paese sul punto dell'obbligo del casco, trat


tandosi comunque di scelte opinabili sul piano dell'opportunit� e che, 

comportando vantaggi e svantaggi, non possono condizionarsi a vicenda 

da Stato a Stato. 

CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1994, n. 183 -Pres. Casavola -
Rel. Mengoni -Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. 
Stato Bruno). 

Famiglia -Adozione -Convenzione europea di Strasburgo 24 aprile 1967 


Ammissibilit� adozione da parte di persona singola -Carattere non 

autoesecutivo della norma pattizia. 

(Cost., artt. 3, 29, 30; legge 22 maggio 1974, n. 357, di ratifica della Convenzione di 
Strasburgo 24 aprile 1967, art. 6). 

Poich� la Convenzione di Strasburgo 24 aprile 1967 non conferisce 
ai giudici nazionali il potere di conoeder.e l'adozione di minori a persone 
singole e non pu� esser�e interpretata nel senso di vincolare il legislatore 
.italiano ad ammettere tale adozione, non sono violati i principi 
costituzionali che tuttavia esprimono solo una preferenza per l'adozione 
da parte di una coppia di coniugi senza escludere ulteriori possibilit�. 

Nel corso di un giudizio di reclamo promosso contro un decreto 

del Tribunale dei minorenni di Roma che ha dichiarato inammissibile 

la domanda di adozione di un minore presentata da una persona singola 

in base all'art. 6 della convenzione europea in materia di ado2Jioni di 

minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con 

legge 22 maggio 1974, n. 357, la Corte d'appehlo di Roma (sezione mino


renni), con ordinanza del 9 luglio 1993, ha sollevato, in riferimento agli 

artt. 3, 29 e 30 Cost., questione di legittimit� costituzionale della citata 

norma internazionale pattizia, � nella parte in cui permette senza limiti 
. l'adozione di un minore di et� da parte di un solo adottante �. 
Ad avviso del giudice remittente: a) l'art. 6, comma 1, della convenzione 
vincola le legislazioni degli Stati aderenti ad ammettere in 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

generale l'adozione di minori anche da parte di persone singole; b) il contenuto 
della norma pattiria � tale che, in virt� dell'ordine di esecuzione, 
essa ha acquistato forza autoapplicativa nell'ordinamento interno nell'ambito 
del sistema di adozione dei minori in stato di abbandono regolato 
dalla legge italiana; e) l'ordine di esecuzione �conferisce natura 
speciale alle norme pattizie e le rende immodificabili da leggi successive �, 
onde l'art. 6, comma l, della convenzione di Strasburgo non pu� ritenersi 
abrogato in parte qua dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, che, salvo casi 
particolari, non consente l'adozione di minori se non a due persone unite 
in matrimonio. 

Ci� premesso, l'ordinanza ritiene la norma in discorso contrastante: 
con la nozione di famiglia, quale societ� naturale fondata sul matrimonio, 
consacrata nell'art. 29 Cost.; con l'art. 30 Cost., che tutela l'interesse 
del minore ad essere allevato ed educato da entrambi i genitori; 
conseguentemente anche col principio di ragionvolezza di cui all'art. 3 
Cost., in quanto contraddice la finalit� dell'adozione dei minori di 
procurare all'adottato l'inserimento in un ambiente familiare idoneo. 

Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si � costituita la parte 
privata concludendo per la manifesta infondatezza della questione. 

L'istante condivide l'opinione che l'art. 6, comma l, della convenzione 
non conceda spazi di discrezionalit� alle legislazioni nazionali e 
perci� sia immediatamente applicabile nell'ordinamento I�.nterno: l'adozione 
di minori deve essere ammessa sia da parte di coppie sposate, sia 
da parte di persone 'Singole, restando esclusa soltanto la legittimazione 
di coppie non unite in matrimonio. Contesta, per�, la pretesa contrariet� 
della norma a principi della nostra Costituzione. Il criterio dell'imitatfo 
naturae, che iD.forma l'istituto dell'adozione legittimante, non 
ha un valore assoluto n� in relazione all'art. 29 Cost., come si argomenta 
dall'art. 25, quarto e quinto comma, della legge n. 184 del 1983, che prevede 
la possibilit� di disporre l'adozione anche se durante l'affidamento 
preadottivo uno dei coniugi muore o diventa incapace oppure interviene 
separazione, n� in relazione all'art. 30, il quale tutela l'interesse del 
minore ad essere allevato ed educato in seno alla propria famiglia, ma, 
ove ci� non sia possibile, non esige incondizionatamente l'affidamento 
a un'altra famiglia come strumento di assolvimento dei compiti dei 
genitori. Non � escluso che, secondo le circostanze del caso, l'interesse 
a uno sviluppo armonioso della personalit� del minore possa essere 
soddisfatto anche affidandolo a una persona singola. Per le medesime 
ragioni cadrebbe anche la censura di violazione del principio di razionalit� 
. 

.In un'ampia memoria depositata nelrnmminenza dell'udienza di 
discussione da parte privata ha svolto ulteriori considerazioni sui punti 
del vincolo degli Stati aderenti ad adottare tutte le soluzioni consentite 


220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dall'art. 6 della convenzione e del carattere autoapplicativo della norma 
pattizia. Si osserva in particolare che l'Italia al momento del deposito 
della ratifica non ha formulato nessuna riserva per quanto concerne 
l'art. 6. 

~ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato 
dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata 
inammissibile. 

Secondo l'interveniente la norma impugnata non � autoapplicativa: 
essa delimita l'ambito delle scelte legislative in ordine alla legittimazione 
attiva all'adozione di minori senza vincolare gli Stati aderenti alla convenzione 
ad ammettere tutte le soluzioni consentite. Perci� l'art. 6 della 
legge n. 184 del 1983, che ha adattato la Convenzione di Strasburgo 
al nostro ordinamento, non ha violato l'art. 6 nell'ammettere soltanto 
la prima del1e due alternative ivi consentite, salve le eccezioni degli 
artt. 25 e 44. 


La Corte d'appello di Roma -sezione minorenni ha sollevato 
questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 della convenzione 
europea in materia di adozioni di minorJ, firmata a Strasburgo il 
24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357, 

~ 

�nella parte in cui permette senza limiti l'adozione �di un minore da un � 
; 

If,

solo adottante �. Pi� esattamente, deve intendersi impugnata in parte qua 
la disposizione della citata legge di ratifica che ha conferito efficacia 
nell'ordinamento interno all'art. 6 della Convenzione (cfr. sentenze r, r 
nn. 20 del 1966, 132 del 1985, 128 del 1987).. ! 

Ad avviso del giudice rime.ttente � la menzionata _disposizione del


I 

l'art. 6 della convenzione di Strasburgo non pu� riitenersi abrogata dalla ' f 
successiva legge 4 maggio 1983, n. 184 �, che limita a casi particolari la 

I

possibilit� di adozione del minore da parte di una singola persona, � n� 
possono essere consentiti dubbi sulla sua applicazione immediata, atte


I 

so che il legislatore italiano ha completamente regolato il complesso 

I

sistema di adozione dei minori in stato di abbandono �. 
Ci� premesso, la norma denunciata, in quanto � esclude ogni limite 
a che l'adozione avvenga anche da parte di un singolo adottante �, � 

I 
ritenuta contrastante con gli artt. 3, 29 e 30 Cost., a stregua dei quali 
l'adozione legittimante; giusta il criterio dell'imitatio naturae, deve essere 

� ispirata all'intento di dare una famiglia al minore che ne � privo, 

I 

garantendogli tranquillit�, benessere e sana educazione�. Questo cri


terio esige che, di regola, �ad adottare sia una coppia di coniugi avente 

I 

una comunanza continuativa di vita e adeguate capacit� educative�. l 

I 

L'Avvocatura dello Stato ha eccepito !'-inammissibilit� della queI 
stione per irrilevanza, � non essendo la disposizione pattizia, alla quale 
� riferita, di immediata applicazione e .non. impegnando comunque il 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

legislatore nazionale a scelte in contrasto con le richiamate norme costituzionali, 
ma offrendo la possibilit� di scegliere, tra quelle consentite, 
la soluzione ad esse pi� rispondente �. 

L'eccezione non pu� essere accolta. Ai fini dell'ammissibilit� della 
questione l'ordinanza di rimessione ha adeguatamente motivato sul 
punto della rilevanza muovendo da premesse ermeneutiche non manifestamente 
implausibili (cfr., da ultimo, sentenze nn. 134 e 173 del 1994; 
103, 238, 323, 345 del 1993; 436 del 1992). 

Nel merito la questione non � fondata. 

� certo che l'art. 6 della convenzione non � stato abrogato, n� in 
tutto n� in parte, dalla legge n. 184 del l983, ma � altrettanto certo che 
la norma pattizia non conferisce immediatamente ai giudici italiani 
competenti il potere di concedere l'adozione di minori a persone singole 
fuori dai limiti entro cui tale potere � attribuito dalla legge nazionale, 
e nemmeno pu� essere interpretata nel senso di vincolare il legislatore 
italiano ad ammettere senza limiti l'adozione del singolo. 

Destinatari immediati della norma contenuta nell'art. 6 sono i legislatori 
nazionali: � la legislazione non pu� permettere l'adozione di 
un minore che da parte di due persone unite in matrimonio, sia simultaneamente 
sia successivamente, o da parte di un solo adottante �. Agli 
Stati firmatari � impartito il divieto di permettere l'adozione di minori 
da parte di coppie non sposate e insieme, attribuita la facolt� di permettere 
l'adozione di minori, oltre che da coppie sposate, anche da 
persone singole, coniugate o no. 

L'interpretazione letterale, che ravvisa nell'art. 6 un solo principio 
vincolante per gli Stati aderenti, cio� l'interdizione dell'adozione da 
parte di coppie non sposate, risponde al cmterio ermeneutico desumibile 
dal rapport explicatif del Consiglio d'Europa (promotore della Convenzione), 
ril quale chiarisce che non si tratta di una convenzione di diritto 
uniforme, bens� di � una convenzione contenente un minimo di principi 
essenziali cui ciascuna parte contraente dar� effetto � (punto 4), 
e trova esplicita conferma nel commento all'art. 6, dove si precisa che il 
paragrafo 1 non rende obbligatoria l'introduzione dell'adozione da parte 
di una persona sola (punto 23). 

In quanto attribuisce al legislatore nazionale una semplice facolt�, 
la norma in esame non �, per definizione, autoapplicativa, ossia direttamente 
applicabile nei rapporti intersoggettivi privati, occorrendo a tale 
effetto l'interposizione di una legge interna che determini i presupposti 
di ammissione e gli effetti dell'adozione da parte di una persona singola. 
La tesi sostenuta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui l'art. 6 


222 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

della convenzione potrebbe trovare in parte qua applicazione immediata 

attraverso gli organi e <le procedure previsti dalla legge n. 184 del 1983, 

� legata alla premessa, sopra confutata, che interpreta �l'art. 6 come 

norma che sul punto in discorso impone agli Stati un obbligo anzich� 

una mera facolt�. 

Di tale facolt� la legge n. 184 del 1983 si � avvalsa entro limiti ristretti, 

ammettendo l'adozione soltanto in speciali circostanze (aTt. 25, quarto 

e quinto comma) o � in casi particolari � (art. 44), e in questi ultimi 

senza gli effetti dell'adozione piena. La norma convenzionale rimane 

in vigore come norma che autorizza il legislatore, se lo riterr� oppor


tuno, ad ampliare l'ambito di ammissibilit� dell'adozione di un minore 

da parte di un solo adottante, qualificando~a in ogni caso con gli ef


fetti dell'adozione legittimante. In questo senso � orientato il progetto 

di riforma redatto nel 1992 dalla Commissione ministeriale per la mo


difica ed integrazione della legge 4 maggio 1983, n. 184, istituita dal 

Ministro di grazia e giustizia. 

I principi costituzionali richiamati nell'ordinanza di rimessione non 

vincolano l'adozione dei minori al criterio dell'imitatio naturae in guisa 

da non consentire l'adozione da parte di un singolo se non nei casi ecce


zionali in cui � oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983. Essi esprimono 

una indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di 

coniugi, essendo prioritaria � l'esigenza, da un lato, di inserire il minore 

in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilit�, e dall'altro di 

assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di en


trambe le figure dei genitori� (sent. n. 198 del 1986). A questa indicazione 

� conforme la convenzione di Strasburgo: l'art. 6, spiega la citata rela


zione esplicativa (punto 23), �prevede, nell'ordine delle preferenze ge


neralmente ammesse, prima l'adozione da parte di una coppia, poi l'ado


zione da parte di una persona singola�, e il successivo art. 8, par. 2, 

dispone che l'autorit� competente degli Stati �annetter� una particolare 

importanza a ci�, che l'adozione procuri al minore un foyer stable et 

harmonieux � (cfr. sentenza n. 11 del 1981). 

Fermo questo criterio di preferenza (ribadito nel preambolo della 
Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata 
dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), gli artt. 3, 29 e 30 Cost. non 
si oppongono a un'innovazione legislativa che riconosca in misura 
pi� ampia la possibilit� che, nel concorso di speciali circostanze, tipizzate 
dalla legge stessa o rimesse volta per volta al prudente apprezza.
mento del giudice, l'adozione da parte di una persona singola sia giudicata 

la soluzione in concreto pi� conveniente all'interesse del minore. 

I ~ 

g 

~ 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 223 

CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1994, n. 191 -Pres. Casavola -
Rel. Baldassarre -Provincia autonoma di Bolzano (avv. Riz e 
Pannunzio) e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato 
Favara). 

Province -Legislazione antimafia � Poteri del Prefetto � Estensione alla 
Provincia di Bolzano. � 
{Statuto spec. Provincia di Bolzano, art. 54; d.!. 226/1992; d.!. 13 maggio 1991, n. 152 

conv. in legge il 12 luglio 1991, n. 203, art. 15). 

Il poter� di richiesta, ai fini di un controllo di legittimit�, delle 
delibere degli enti locaU relative ad acquisti, alienazioni, appalti e 
contratti attribuito al Comissario di Governo, si esercita anche nella 
provincia di Bolzano, essendo ispirato alla tutela di interessi di fondamentale 
importanza nel cont.esto della legisla'l!ione antimafia e non 
configurandosi come sostitutivo rispetto agli ordinari poteri di vigilanza 
della Provincia. 

H oonflitto di attribuzione sottoposto al giudizio di questa Corte � 
stato sollevato dalla Provincia autonoma di Bolzano a seguito della 
nota del Commissario del Governo del 14 aprile 1993 (prot. n. 022255), 
con la quale quest'ultimo, basandosi sull'art. 15 del decreto-legge 13 maggio 
1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalit� 
organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivit� ammini� 
strativa), convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, ha invitato i comuni 
e gli altri enti locali della Provincia di Bolzano a trasmettere al 
proprio ufficio le deliberazion!� di loro competenza relative ad acquisti, 
alienazioni, appalti e contratti. 

Ad avviso della Provincia ricorrente, la nota contestata, interpre


tando erroneamente il menzionato art. 15, suppone che il potere prefet


tizio di richiedere che certe deliberazioni siano sottoposte al controllo 

preventivo di legittimit� si debba estendere anche alla Provincia di 

Bolzano, con conseguente lesione delle attribuzioni assegnate alla Giunta 

provinciale in materia di vigilanza delle amministrazioni comunali e 

degli altri enti locali, ad opera degli artt. 16, 54 n. 5 e 87 dello Statuto 

speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e delle 

norme di attuazione contenute nell'art. 4, primo comma, del decreto le


gislativo 16 marzo 1992, n. 266. 

Il ricorso della Provincia autonoma di Bolzano va respinto. 

Occorre preliminarmente rilevare che non sussistono motivi di 

inammissibilit�. 

Innanzitutto � costante giurisprudenza di questa Corte che l'istituto 

dell'acquiescenza non trova applicazione nei giudizi per conflitto di attri" 

buzione (v., ad esempio, sentt. nn. 58 del 1993; 453 del 1991; 278 del 1991). 


RASSEGNA AWOCA'fUR1\" DELLO STATO

224 

Inoltre, non pu� fondatamente dirsi che con il presente conflitto 
la Provincia di Bolzano sollevi in �realt� una questione di legittimit� 

costituzionale, poich� la ricorrente argomenta la lesione delle proprie 
attribuzioni asserendo che la nota del Commissario del Governo impugnata 
ha mal interpretato l'art. 15 del decreto-legge n. 152 del 1991 
e ha consequenzialmente posto in essere un comportamento illegittimo 
e invasivo. Solo in via 1subordinata, nel caso che l'art. 15 dovesse essere 
interpretato nel modo opposto a quello asserito, la .ricorrente prospetta 
la possibilit� che taie articolo sia contrario a varie norme dello Statuto 
speciale. 

N�, infine, pu� riconoscersi fondamento all'eccezione formulata dall'Avvocatura 
deLlo Stato, secondo la quale la Provincia avrebbe agito 
a tutela di competenze che l'art. 4 dello Statuto speciale assegna alla 
Regione Trentino-Alto Adige (ordinamento dei comuni e degli altri enti 
locali), per il fatto che la ricorrente in realt� lamenta la lesione delle 
competenze proprie della Giunta provinciale riguardanti �la vigilanza 
e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche 
di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti 
locali� (art. 54 dello Statuto speciale). 

Ai fini della risoluzione del conflitto � decisivo rilevare che, come 
questa Corte ha gi� avuto modo di precisare (v. sentt. nn. 218 del 1993 
e 407 del 1992), i poteri della cui spettanza si controverte perseguono 
finalit� di ordine e sicurezza pubblica e, pertanto, mirano a tutelare 
un interesse generale di indubMa spettanza statale. Essi, infatti, si basano 
sull'art. 15 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, il quale prevede 
che il prefetto possa chiedere che siano sottoposti al controllo preventivo 
di legittimit�, secondo le modalit� e i termini stabiliti daH'art. 45, secondo 
comma, della fogge n. 142 del 1990, le deliberazioni delle province, dei 
oomuni e degli altri enti locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti 
e contratti (deliberazioni per le quali � in generale previsto soltanto 
un controllo preventivo eventuale, su richiesta di una predeterminata 
percentuale minoritaria dei consiglieri). 

Come emerge chiaramente dai lavori preparatori, e in particolare 
dalla relazione introduttiva al disegno di legge di conversione del decretolegge 
n .152 del 1991, l'articolo appena citato � stato inserito �nel contesto 
della legislazione antimafia, piuttosto che nel quadro ordinamentale 
delle autonomie locali�, propri.o perch� esso persegue scopi di prevenzione 
della criminalit� organizzata di tipo mafioso e camorristico e 
stabilisce poteri diretti a integrare quelli gi� previsti dall'art. 16 della 
legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della 
delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione 
�di pericolosit� sociale), e, come tali, destinati a rafforzare i controlli preventivi 
nei confronti dell'infiltrazione e dell'influenza della criminalit� 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

organizzata rispetto allo svolgimento delle attivit� dell'amministrazione 
pubblica. 

In altri termini, il ricordato art. 15 mira a stabilire poteri v�lti 
alla tutela di interessi di fondamentale importanza per l'ordinata e civile 
convivenza dei consociati nella comunit� generale, interessi la cui 
protezione, spettante in via esclusiva allo Stato, abilita quest'ultimo a 
porre discipline, anche di dettaglio, che possono legittimamente comportare 
un'interferenza o un'incidenza diretta su attivit� affidate in via 
generale alle competenze legislative e amministrative delle regioni e 
delle province autonome (v., specialmente, sentt. nn. 218 del 1993; 407 e 
36 del 1992; 459 del 1989 e 218 del 1988). Tanto pi� ci� vale quando si 
tratta, come nel caso, di un intervento dello Stato che, non soltanto 
� collegato agli interessi pubblici e ai valol'i costituzionali di primario 
rilievo sopra indicati, ma � anche diretto a tutelare quei beni essenziali 
alla vita dell'intero ordinamento giuridi<:o, di fronte ad attacchi della 
criminalit� organizzata che hanno creato una situazione di grave emergenza 
per l'ordine pubblico (v. �Sentt. nn. 218 del 1993 e 407 del 1992). 

Una volta stabilito che l'art. 15 del decreto-legge n. 152 del 1991 disciplina 
un intervento di esclusiva spettanza dello Stato, occorre precisare 
che, contrariamente a quanto suppone la Provincia ricorrente, l'atto 
che ha dato origine al presente confl.itto di attribuzione va ricondotto 
alla competenza del Commiss�ario del Governo per la Provincia di 
Bolzano. 

Poich� l'art. 15 attribuisce al prefetto il potere di richiedere il controllo 
di legittimit� preventivo ivi previsto e poich� 1l'art. 87, n. 3, dello 
Statuto speciale per itl Trentino-Alto Adige stabilisce che, relativamente 
alle Province di Trento e di Bolzano, spetta al Commissario del Governo 
presso le due province �compiere gli atti gi� demandati al prefetto�, 
non si pu� dubitare che l'atto contestato sia stato adottato dall'organo 
statale costituzionalmente competente. Infatti, come questa Corte ha gi� 
affermato (v. sent. n. 32 del 1991), allorch� fa legge attribuisce compiti 
di pertinenza statale ai prefetti quali organi periferici dello Stato, tali 
compiti devono ritenersi affidati, nell'ambito dello Provincia di Bolzano, 
al Commissario del Governo, in quanto � corrispondente organo � dello 
Stato. 

Va, altres�, precisato che il potere esercitato, a norma del citato 
art. 15, dal Commissario del Governo con l'atto oggetto del conflitto in 
esame non configura un'ipotesi di sostituzione di un organo statale 
rispetto a un organo provinciale nella titolarit� di competenze ordinariamente 
spettanti a quest'ultimo. 

In realt�, il potere di vigilanza e di tutela sulle amministrazioni comunali 
e sugli altri enti locali previsto . dall'art. 54 dello Statuto speciale 
resta affidato -e non pu� essere diversamente -alla Giunta della 
Provincia di Bolzano. L'art. 15, invece, si limita a prevedere in capo al 


226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Commissario del Governo un potere di richiesta straordinario, che si 
affianca ai poteri d'iniziativa stabiliti in via ordinaria dall'art. 45, secondo 
comma, della legge n. 142 del 1990, al fine di sottoporre al controllo preventivo 
di legittimit�, esercitato dagli organi ordinariamente competenti, 
le deliberazioni degli enti focali relative ad alienazioni, acquisti, appalti 
e contratti, sospettate di essere viziate per effetto di pratiche illecite 
poste in essere dalla criminalit� organizzata. 

Cos� definito il contenuto dei poteri previsti dall'art. 15 del decretolegge 
n. 152 del 1991, si rileva netta la differenza tra questi e i poteri 
attribuiti al prefetto dall'art. 14 del medesimo decreto-legge. Questi ultimi, 
infatti, ricomprendendo la possibilit� che il prefetto nomini un 
collegio di ispettori aventi il compito di verificare la correttezza delle 
procedure delle gare d~appalto, sono necessariamente destinati a interferire 
con le funzioni di controllo spettanti agli organi ordinariamente 
competenti. In considerazione del diverso contenuto e della diversa intensit� 
riferibili ai poteri rispettivamente previsti nei ricordati artt. 14 e 15, 
si comprende la ragione per la quale soltanto nell'art. 14 � disposto che 
� nella Regione Trentino-Alto Adige, aMe finalit� del presente articolo 
provvedono le Province autonome di Trnnto e di Bolzano nell'ambito 
della propria organizzazione �. In base a tale ragione non pu� riconoscersi 
alcun fondamento alla interpretazione formulata dalla Provincia 
di Bolzano nelle sue memorie difensive, per la quale la clausola di salvezza 
delle competenze espressamente disposta nel citato art. 14 sarebbe 
estensibile anche ai poteri disciplinati dall'art. 15, sulla base di una 
presunta, ma erroneamente supposta, identit� di ratfo fra le distinte 
ipotesi il"egolate nei predetti articoli. 

CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1994, n. 198 -Pres. Casavola -
Rel. Vassalli -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruni). 

Procedimento penale -Prove -Perizia effettuata nella forma di incidente 
probatorio durante altro procedimento penale a carico di altri imputati 
-Acquisizione -Limiti. 

(Cast., artt. 3 e 24; art. 238 c.p.p. introdotto dall'art. 3 d.!. 8 giugno 1992, n. 306, 
conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356). 

L'ammissione di una perizia assunta con incidente probatorio nel 
corso di altro giudizio senza la presenza del difensore dell'attuale imputato 
� legittima se ed -in quanto i soggetti nei confronti dei quali la 
prova dovr� essere utilizzata non avessero ancora la quaZit� di persone 
_sottoposte alle 'indagini per mancanza di indizi di colpevolezza, poich� 
il diritto di ,difesa ex art. 24 Cast. pu� essere garantito solo ai .soggetti 
nei cui confronti gi� sussistano elementi di colpevolezza; 


PARTE 1, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 227 

Il Tribunale di Pistoia dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della 
Costituzione, della legittimit� dell'art. 238, primo comma, del codice 
di procedura penale, nel testo introdotto dall'art. 3, primo comma, del 
decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla 
legge 7 agosto 1992, n. 356, � nella parte in cui consente l'acquisizione 
agli atti del processo della perizia assunta in altro procedimento nelle 
forme dell'incidente probatorio, anche nei confronti delle parti i cui difensori 
non abbiano partecipato alla sua assunzione �. 

Di fronte ad una richiesta del Pubblico ministero volta all'acquisizione 
agli atti del processo della perizia espletata neHe forme dell'incidente 
probatorio in un diverso procedimento penale nei confronti di altre 
persone e relativo a reati privi di ogni collegamento con quelli per cui 
attualmente si procede, acquisizione alla quale si era opposto il difensore 
dell'imputato deducendo l'inutilizzabilit� deH'atto per l'ostacolo derivante 
dall'art. 403 del codice di procedura penale, il Tribunale, ritenuta 
l'utilizzabilit� della perizia nel procesiso a quo, ha ravvisato nelila disciplina 
risultante dalla norma denunciata violazione del principio di 
eguaglianza, sotto H profilo della disparit� di trattamento, e del diritto di 
difesa. 

Il rimettente muove dal presupposto che l'intervenuta � novellazione � 
della norma oggetto di censura comporti una deroga alle disposizioni 
di garanzia previste in tema di incidente probatorio: sia perch� � non si 
comprendevebbe il motivo della diversa disciplina, sul punto, tra le prove 
assunte nell'incidente probatorio e quelle assunte nel dibattimento� 
ovvero nel giudizio civile, relativamente aHe quali � quella condizione 
sul contraddittorio non � prevista�; sia perch� la mancanza di un esplicito 
richiamo all'art. 403 del codice di procedura penale conduce a ritenere 
la sicura inapplicabilit� di tale disposizione; sia, infine, perch� 
l'utilizzazione della prova assunta con incidente probatorio in deroga 
alle previsioni di garanzia corrispondente alla finalit� perseguita dal legislatore 
che � quella di non disperdere i mezzi di prova, di realizzare 
l'economia dei giudizi e �di evitarie la naturale diminuzione dell'efficacia 
rappresentativa delle prove orali che consegue di solito alla loro ripetizione 
nei vari processi�, una finalit� che resterebbe drasticamente ridimensionata 
ove si affermasse la necessaria concomitante applicazione 
dell'art. 403, riducendosi l'operativit� dell'art. 238, primo comma, del 
codice di procedura penale, ai soli casi di identit� di parti nell'uno e 
nell'altro procedimento. 

Proprio con riguardo a tale lettura della norma denunciata, l'Avvo


catura Generale dello Stato, nel suo atto di intervento per il Presidente 

del Consiglio dei ministri, ha preliminarmente espresso le sue riserve, 

addebitando alla questione proposta di fondarsi su una non corretta 

interpretazione del �novellato� art. 238 del codice di procedura penale, 

da intendersi, invece, nel senso che l'utilizzabilit� � esterna � dei verbali 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

228 

resterebbe in ogni caso condizionata all'osservanza delle disposizioni di 

garanzia relativamente alle persone nei confronti delle quali i verbali 

stessi vengono fatti valere. 

L'eccezione, cos� come proposta, deve essere disattesa. 

L'interpretazione avanzata dal giudice a quo, nel senso dell'utilizza


bilit� della prova assunta con incidente probatorio in altro procedimento 

pur in assenza del difensore dell'imputato appare, infatti, non superabile 

attraverso il semplice richiamo alle disposizioilli di � garanzia � in tema 

di incidente probatorio. SU!lla base di una completa verifica deH'integmle 

contesto normativo fil cui � venuto ad inserirsi l'art. 238 del codice di 

procedura penale, non potrebbe altrimenti scorgersi, relativamente al


l'acquisizione in altri processi dei verbali di assunzione anticipata della 

prova, il ,significato delle � novellazioni � che, in forza dell'art. 3 del 

decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992, hanno 

attinto la norma ora oggetto di censura. 

Il raffronto fra la vigente e l'abrogata disciplina sembra confermare 

che il nuovo testo dell'art. 238 del codice dii procedura penale ha effetti


vamente modificato il tessuto normativo disciplinante H regime di utiliz


zazione in altri processi dei verbali di prova assunta con incidente pro


batorio. Il tutto proprio riscontrando le � novellazioni � che hanno coin


volto, non soltanto, la norma oggetto di censura, ma anche le ulteriori 

disposizioni che in qualche modo a tale norma si collegano. 

Relativamente al primo comma dell'art. 238 la novazione riguarda 
soprattutto la parte che consentiva l'� acquisizione di prove di altro 
procedimento penale� (si parla ora di �verbali di prova�, e la modifica, 
oltre che dettata da esigenze di ammodernamento formati.e, � forse anche 
destinata ad accentuare la valenza della trasposizione del contenuto della 
prova nella scrittura) �se le parti vi consentono� e si tratta di prove 
assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento �ovvero di verbali 
di cui � stata data lettura durante lo stesso�. Il terzo comma del medesimo 
art. 238 (che nel testo precedente rendeva �comunque consentita 
l'acquisizione della documentazione di atti che non sono ripetibili �) 
risulta, poi, riformulato in modo tale da autorizzare anche l'acquisizfone 
di atti divenuti irripetibili per cause sopravvenute, mentre il suo quarto 
comma autorizza, �se le parti vi consentono�, l'utilizzazione nel dibattimento 
dei verbali di �dichiarazioni; in mancanza del consenso delle parti 
l'uso dei verbali rimane circoscritto alle contestazioni a norma deglti 
artt. 500 e 503, ferma restando l'acquisiZJione dei verbali di prove e della 
documentazione previsti nei primi tre comIIll� dello stesso art. 238. Per le 
sole �dichiarazioni, poi, � resta fermo �, alla stregua del quinto comma 
(del tutto assente prima della � noveHazione �), �il diritto delle parti 
. dii ottenere a norma dell'art. 190 � (e salvo quanto previsto dall'art. 190-bis) 
� l'esame delle persope le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma 

dei commi 1, 2 e 4 del . presente articolo �. 

@=11pr1a:r=;:;mffiPll~-~;{w..1;:~:TfJ&..Ji�1&1ilft.lfWWJ@P@WF.WifW''Woorl'''''''{'.~:1r)@'':f==1=={:~


1111.~xlalr@k-tlt-fw:9'6�6L~ 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Il panorama normativo ora vicordato pare, dunque, enucleare, con 
riferimento all'utitlizzazione di verbali di prove assunte con l'incidente 
probatorio -pi� specificamente, con riguardo alla perizia, in ordine alla 
quale l'ordinanza di rimessfone incentra le sue doglianze -un regime 
derogatorio alle regole stabilite dalla legge quanto alla possibilit� di 
ammettere che la prova acquisita anticipatamente in un processo divenga 
utilizzabile in un altro processo. Il fatto che il � vecchlo � testo dell'articolo 
238, primo comma, subordinasse l'acquisizione dell'incidente al di 
fuori del processo nel corso del quale era stato assunto al consenso 
delle parti si fondava, senza alcun dubbio, su una ratio volta ad estendere 
alla prova anticipata il regime delle prove assunte in dibattimento; 
secondo il principio, gi� affermato da questa Corte (sentenze n. 559 
del 1990 e n. 74 del 1991), in base ail quale -�addivenendosi con l'incidente 
probatorio "aH'assunzione anticipata di mezzi di prova destinati ad 
acquisire la forza probatoria propria delle prove espletate in dibattimento" 
-!"'interpretazione letterale" del disposto del quinto comma 
dell'art. 401 (ove si prescrive, in via generrulie, che "le prove sono assunte 
ne1le forme stabilite per il dibattimento") "rende chiaro che le modalit� 
di espletamento" della prova "nell'incidente probatorio sono quelle s�tesse 
che valgono per la fase dibattimentale" �, con estensione del contraddittorio 
anche al profilo oggettivo di assunzione deHa prova. 

La possibilit� di assegnare aH'incidente probatorio anche il ruolo 
di veicolo per la formazione della prova in procedimenti connessi o 
collegati, purch�, ovV1iamente, venisse, pure qui, assicurato nel suo espletamento 
un pieno contraddittorio, si coordinava, quindi, al regime di 
utilizzazione deHa prova in altri processi, comunque subordinata al consenso 
del1e parti; iJ tutto coerentemente a quanto disposto in relazione 
all'acquisizione di prove assunte � nel dibattimento ovvero di verbali 
di cui � �stata data lettura nello stesso �. 

La norma denunciata sembrerebbe, dunque, derogare a varie clisposizioni 
relative all'acquisizione delle prove assunte con incidente probatorio. 
In primo luogo, all'art. 403 che, nel rispetto del principio del contraddittorio, 
iinsito nell'osservanza (art. 401, quinto comma) delle norme 
stabilite per il dibattimento (normale punto di arrivo dell'incidente) prescrive 
che nel dibattimento le prove assunte con l'incidente probatorio 
sono utilizzabili soltanto nei confronti degH imputati i cui difensori 
abbiano partecipato alla loro assunzione: un precetto contrassegnato 
dalla caratteristica fisionomia della fase ove la prova viene assunta e la 
cui riferibilit� soggettiva pu� dilatarsi in cordspondenza dei singoli momenti 
procedimentali che precedono la definitiva presa di contatto del 
Pubblico ministero con il giudice, fino �a coinvolgere persone cui non 
risulta assegnata una specifica qualit� nel procedimento in corso ma che 
rivestono, o potrebbero rivestire, un ruolo processuale definito in altro 
procedimento. In secondo luogo, con l'art. 401, sesto comma, che (salvo 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

230 

per i casi di estensione dell'incidente probatorio) fa divieto di ampliare 

la prova da assumere a fatti riguavdanti persone divevse da quelle i cui 

difensori partecipano all'incidente probatorio e di verbalizzare dichiara


zioni riguardanti tali soggetti. Infine, al regime previsto dall'art. 402 che 

concerne l'estensione dell'incidente probatorio, autorizzata solo dopo aver 

provveduto alle necessarie notifiche alla persona sottoposta alle indagini, 

alla persona offesa e ai difensori (art. 398, terzo comma) cos� da con


sentire la loro partecipazione all'assunzione della prova. 

Non sembra inopportuno rimarcare come H sistema delineato dal 

� nuovo � art. 238 riveli una peculiare predisposizione a disciplinare l'uti


lizzazione in altri processi delle prove che consistono in dichiarazioni. Con 

specifico riferimento, indotto dai limiti del thema deoidendum, ai verbali 

di prova asstllllta con incidente probatorio, 1a regolamentazione dettata 

dalla norma oggetto di censura si coniuga, infatti (se si eccettui iJ. re


gime delle prove assunte con le modalit� previste dall'all't. 190-bis), con il 

principio, pur esso risultante daHa disciplina dettata dal legislatore del 

1992, in base al quale le prove che vengano riversate in un altro processo 

perdono -in un certo senso -la loro valenza originaria, restando 

� fermo il diritto di ottenere ai sensi dell'art. 190 l'esame delle persone 

le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1 (2 e 4) del 

presente articolo �. Rimane cos� assicurato il contraddittorio sulla prova, 

la quale non resta un'entit� immota, acquisita come tale nel processo, 

divenendo, invece, oggetto della diiailettica dibattimentale in forza deHa 

presenza deHa difesa tecnica dei nuovi soggetti interessati. Ci� non sol


tanto per una ragione connaturata alla morfologia della dichiarazione, 

ma anche (e soprattutto) perch�, a norma del combinato disposto degli 

artt. 511 e 511-bis del codice di procedura penale (quest'ultimo aggiunto 

dall'art. 8 comma 1-bis della legge n. 356 del 1992), la �lettura dei verbali 

delle dichiarazioni (che costituisce il veicolo attraverso il quale la dichia


razione resa nell'incidente probatorio �diviene utilizzabile nell'altro pro


cesso) Ǐ disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese� (v. arti


colo 511, secondo comma, appositamente richiamato dall'art. 511-bis). 

Dal fatto che venga evocato l'art. 511, secondo comma, emerge, an


cora, che il nuovo regime dettato daH'art. 238 si presenta come specirue 

rispetto a queHo riguaroante le dichiarazioni acquisi.te nel processo nel 

quale la prova viene formata, cos�, da un lato, da scongiurare un'inerte 

acquisizione di verbali di atti, e, dall'altro lato, da assicurare l'osservanza 

pure per tali atti del principio di oralit� garantito, appunto, dall'art. 511, 

secondo comma, del codice di procedura penale. 

Poich� ile censure del rimettente ri:suiltano incentrate sull'utilizza


zione della perizia, non pare inopportuno sottolineare -anche se un 
. simile rilievo non immuta di molto i termini della questione -come dal 
raffronto tra il regime predisposto relativamente alla lettura degli atti 
in dibattimento e quello concernente le prove assumibili con incidente 


��111�111�a.��11���~�1� 



PARTE I,. SBZ. .I;. �GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

probatori<> parre debba ricavarSi una qualche distinzione tra gli atti che 
consist()noJn.dichiarazj.oni e gli atti<di natura diversa, tra i quali deve 
appu,g,tQ annover!U"sl la p~i,a,. S91Jrl:).ttutto nei casi .~ come queUo � di 
~'."'.""in c.lTacquisitjcm.e anticipata della prQva. sili).Jegittim.ata <�llle 
ra~paj i1ldi�ate l'.leWultlino �olllma .de~'art�..~?2 4elcod~e �di. PrQCedw:a 
pe:iiale� ll fa.t<> .�he. l'~� SU. terzo comma, stal�llsca chela lettt.:.a <,leUa 

~~~~=:t~~::~~~~ 


si11 stat.a .dispost~ a noJ:lllj;l deJ1'axt. 392, ulthno. comma, del codice di 

~Bl~11itrf{;~~C~:li<>~u~1&:Ei�n:~.~~~~int�ih2<>1~ui~!tk~~:: 

penale, rlm.arie, puf. riel�. feghn� .di �r�ldt� ... assicurato; . oltre ch� dalle . disposizioni 
mtenfa cli iiickte:rite probatorio, cfall'axt. 511, terzo comma, 
il mezzo�� di prfrv� cori6refamerite riversato nell'istruzione.�� dibattimerit�le. 
���. /� �� �D'altra� parte, a�. differifuza della dichiarazfone,��la�� perWa resta�� desi~ 
gi:iata�;;.J. soprattUtfo quando'"J;>rovenga �da inddertteprobatorio ...i.;�� dall"atti� 
vazione d� Uh sub-procediti�'�nto che, per la necessit� di svolgete irtdagini 

o aequisizfom di' dati� o valut�2'iom ohe :richiedono specifiche cmnpetenze 
tecniche/scierttifiche � attisticlle (art.'.2201 primo comma), postula l'esplicazione. 
massima del �contraddittorio�� e. l'esigenza di assicurare, proprio 
in quellafaise, tut:tele garanzie connesse aR'eiiercizio .. deN.a difesa tecnica 
(si pensi alla J;JQssibili:t� di nomina, .ad cypera cl.elle P!:lrti, cij propri consullilll:
ti tecnici,.al.J:egime: 4e1la J:'icus~ii:me,, ecc.)�. 
Ed in effetti, che il legi:s}ator~ del 1992 -certo . atten,to pi�. al regime 
cl.elle dic):l!iarazi0ni . che� D,()n . a quello �9.e~i altri . mezzi. di provj;l r(f~ativamente 
ai quaij. � ammessa l'a�quisizfone anticipata -abbia finito :per 
contempla:i;:e per l'utilizzazion.e in altro proeesso de1la perizia assunta 

e.o.n incjclente .probatorio utta disciplina in I?arte peculiare risulta propri. 'o 
dai cijspos:to del gi� richiamato art. SU-bis. �... � ... �. � � ...� �� 
Con tale nol'llla si � estesa alle dichiarazfonlacquisite ex art. :i38 
del cOdice di procedura penale la illsdplfua delle dichfarazioni acquisite 
nello stesso . procedhnen,to, �espressamente �v�cli[idosi,. attraverso n rlrtvio 
all'art. sn, secondo comma, ~a ptesc:vizione in base alla quale fa lettura 
cli \rerbalf di dichfa.razion� (quil1di, �anche di��� quelle provenienti:�. da � un 
irtcidente probatCirio)� dist)osta sofo dopo l'esame della persbna che le ha 
rese, a meno che ' l'esame notf� abbia: luogo. Una regola: che, <mvete; ri~ 
sulterebbe del tutto inadeguata in telamone alla perizia' derivante da 
mcidente probatorio assunto ex art; 392, ultimo comma~ Non �a caso, 
qilindi, l'art; 51l-1Jis1 ne1la sua ultima patte, rton reca, con riferimento lilla 
perizia, al�un ri�hiamo all'art. 511, terzo comma, in base al quale la 
lettura della relazione peritale � disposta solo dapo l'esame del perito. 

Dunque, la perizia assunta con incidente probatorio penetra in un 
altro processo con il solo veicolo della lettura a norma della prima parte 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dell'art. 511-bis. Il che sembra confermare come, con riferimento a ta!le 

mezzo di prova, il legislatore non abbia predisposto neppure queMe stesse 

I! 

garanzie di oralit� che assistono le �dichiarazioni. Tuttavia ad una tale 
omissione resterebbe possibile -ma solo in parte -porre riparo attraI 
verso l'esercizio, anche officioso (v. art. 224 del codice di procedura 

I

penale), del potere del gi'U!dice di disporre una nuova perizia, ferma restando 
l'utilizzazione del precedente mezzo di prova nonostante che al 
suo espletamento ila parte non abbia potuto partecipare. 

Cos� precisati gli elementi di sicura novit� che hanno coinvolto, in 
conseguenza del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito daLla legge 

n. 356 del 1992, non soltanto l'art. 238 del codice di procedura penale, 
ma il sistema tutto dell'utilizzazione delle prove assunte in altri procedimenti 
-una precisazione che vale a disattendere, dunque, sotto ogni 
ulteriore aspetto, l'eccezione dell'Avvocatura Genevale dello Stato -resta 
ora da stabilire se la lettura complessiva della norma denunciata proposta 
dal giudice a quo sia da ritenere corretta anche alla luce dei 
presupposti richiesti dalla legge perch� la prova assunta attraverso la 
procedura di cui all'art. 392 e seguenti del codice di procedura penale 
possa dirsi (prima ancora che uti11zzabile) validamente formata nonostante 
la mancata partecipazione del �difensore del soggetto interessato. 
H rimettente, muovendo dal rilievo -nel quale resta enucleato lo 
stesso giudizio negativo circa la legittimit� costituzionale della norma 
denunciata -che, a s�guito della novellazione dell'art. 238 del codice di 
procedura penale, la prova (ne11a specie [a perizia) assunta con incidente 
probatorio sia comunque utilizzabile nell'altro processo, �anche nei 
confronti delle parti i cui difensori non abbiano partecipato alla sua assunzione
�, incentra la sua verifica interpretativa esclusivamente sulla 
utilizzazione � esterna � della prova. Ma, cos� operando, sembra trascurare 
l'esigenza che una esatta lettura dell'art. 238 �novellato� postula che 
vengano, prima ancora, individuati i presupposti implicitamente irichiesti 
dalla legge perch� l'utilizzazione possa comunque aver luogo. Di talch�, 
cos� come proposta, la questione appar.e la risultante di un'interpretazione 
della norma censurata non attenta ad una condizione indispensabile 
per procedere alla stessa verifica di costituzionalit�: quella, cio�, 
riguardante il momento in cui sorge il dover.e dell'ufficio di avvisare il 
difensore dell'assunzione dell'incidente probatorfo e del corrispondente 
diritto del difensore stesso di essere avvisato dell'assunzione anticipata 
della prova. Una condizione che, implicando un indissolubi!le collegamento 
(oltre che una, almeno apparente, deroga) con tutte le norme di 
garanzia predisposte dal legislatore in materia di incidente probatorio, 

�deve essere oggetto di una verifica dimostrativa, non potendo presupporsi 
come un vero e proprio enunciato dogmatico. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 

Il regime derogatorio finisce, infatti, per coinvolgere non sol..nto 
l'art. 403, direttamente chiamato in causa dal rimettente, ma pure gli 
artt. 393, primo comma, �lettera b) (quale risultante a s�guito della sentenza 
n. 436 del 1990), 398, secondo comma, lettera b), 401, primo e sesto 
comma, e 402 del codice di procedura penale, disposizioni tutte che disciplinano 
il contraddittorio nella fase immec:Uatamente successiva alla richiesta 
di assunzione della prova. 

Ogni ulteriore accertamento interpretativo -pur necessario considerato 
il petitum avuto di mira dal rimettente -deve allora essere preceduto 
da una diversa operazione ermeneutica avente ad oggetto, prima 
che i riverberi della prova assunta con incidente probatorio in altri 
processi, i presupposti dai quali desumere se -nel sistema previsto dall'art. 
392 e seguenti del codice di procedura penale -la prova formata 
antioipatamente possa di:r:si validamente assunta e, quindi, legittimamente 
utilizzabile nello stesso processo nonostante che il difensore della persona 
interessata non abbia partecipato alla sua formazione; non foss'altro 
perch� condizione implicitamente ric~vabile dalla norma oggetto di 
censura � che la procedura delineata dalle disposizioni ora rico11date sia 
stata osservata, cos� da consentire (almeno) una qualche utilizzazione in 
quel processo dell'incidente espletato. 

Questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla conformit� agli artt. 3 
e 112 della Costituzione dell'art. 403 del codice di procedura penale, sottoposto 
al vaglio di legittimit� nella parte in cui non prevede l'utilizzabilit�, 
nei confronti d� imputati i cui difensori non hanno partecipato all'incidente 
probatorio, della perizia disposta a norma dell'art. 392, primo 
comma, lettera f), dello stesso codice, ove il giudice per le indagini preliminari 
abbia denegato, per sopravvenuta modifica deHo stato dei luoghi, 
la richiesta di estensione dell'incidente probatorio a tali soggetti, ha, 
con la sentenza interpretativa di rigetto n. 181 del 1994, dichiarato non 
fondata la questione, indicando all'interprete i criteri da adottare ai fini 
di una corretta applicazione sia dell'art. 403 sia di tutte le altre norme 
legate alla prima e tra di loro da un rapporto di vicendevole interdipendenza 
-dettate a garanzia dei soggetti nei confronti dei quali la 
prova cos� assunta � utilizzabile. 

Nella suddetta sentenza la Corte ha precisato come � la regola dell'inutilizzabilit� 
soggettiva � rappresenti una conseguenza della � violazione 
del principio del contraddittorio, in funzione del quale, come si 
esprime la relazione al progetto preliminare (p. 99), l'istituto dell'incidente 
probatorio � stato costruito �. Almeno nell'ambito di uno stesso 
procedimento, dunque, l'art. 403 del codice di procedura penale in tanto 
� in grado di impedire l'utilizzazione della prova nei confronti di imputati 
i cu.i difensori non abbiano partecipato all'incidente probatorio in quanto 
il principio del contraddittorio di cui la norma costituisce diretta applicazione 
venga effettivamente vulnerato. H che si verifica solo nel caso 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

234 

in cui i soggetti nei confronti dei quali fa prova � destinata ad essere 

utilizzata abbiano gi� assunto la qualit� di indagati e non anche quando 

l'utilizzazione riguaroi soggetti �che solo successivamente all'assunzione 

della prova � ovvero proprio suHa base di essa � sono stati raggiunti 

da indizi di colpevolezza, atteso che nei loro confronti nessun contraddit


torio poteva essere assicurato �. IJ tutto seguendo le linee interpretative 

gi� tracciate da questa Corte, attenta a rimarcare come � nel processo 

penale prima che esista una notizia di reato e che essa si soggettivizzi 

nei confronti di una determinata persona, non rpu� esistere un problema 

di diritto di difesa �, in quanto � all'indagato ancora "ignoto" non � assi


curato alcun tipo di difesa tecnica�: un principio di cui la Corte ha 

fatto reiteratamente applicazione relativamente all'assetto normativo 

non pi� vigente, e che �non pu� che essere ribadito nel nuovo sistema 

processuale� (cos�, ancora, la sentenza n. 181 del 1994). 

Gli approdi cui � pervenuta la detta decisione aprono prospettive 

di indubbia valenza interpretativa con riferimento anche alla questione 

ora sottoposta all'esame della Corte. 

Alla tematica affrontata dalla sentenza n. 181 del 1994 si sovrappone, 

peraltro, nella fattispecie ora all'esame, un dato di rilevante significato, 

costituito dal provenire la prova assunta con incidente probatorio senza 

la presenza del difensore da un altro proces1so, relativo ad un diverso 

reato e a diverse persone (e, per di pi�, celebratosi davanti ad una diversa 

autorit� giudiziaria). 

Il passaggio all'applicazione del deoisum proveniente dalla sentenza 

n. 181 del 1994 non pu� essere, dunque, cos� lineare, come pure un'identica 
ratio decidendi sembrerebbe imporre. 
� di ostacolo, infatti, ad un'immediata soluzione nei medesimi termini 
la circostanza che la questione risulti incentrata 1sull'art. 238, primo 
comma, del codice di procedura penale, e solo di riflesso sull'art. 403 dello 
stesso codice. Viene cos� in considerazione, oltre che il diverso quesito 
concernente l'utilizzazione dei �verbali di prova di altri processi�, anche 
la problematica relativa alla parcellizzazione dei procedimenti. Il tutto in 
un regime nel quale, mentre, per un verso, la connessione (i cui casi sono 
stati consistentemente ridimensionati rispetto all'abrogato codice di rito, 
con esclusione, fra !'-altro, proprio dell'ipotesi di connessione c.d. probatoria 
prevista dall'art. 45, numero 4, del codice di procedura penale del 
1930) ha assunto il ruolo di criterio autonomo di attribuzione della competenza, 
per un altro verso, la riunione (fra le cui ipotesi � compresa 
proprio la situazione corrispondente alla soppressa � connessione probatoria
�) opera soltanto una volta che sia stata esercitata l'azione penale 
(articoli 18 del codice di procedura penale e 2 delle norme di attuazione, 
approvate, con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271). 

. 
A tali considerazioni non pu�, per�, farsi a meno di aggiungere che 
l'incidente probatorio, quale istituto tipico della fase delle indagini preli




PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

minari, resta contrassegnato dalla possibilit� di utilizzazione congiunta 
della prova in processi diversi. A circoscrivere i rischi -inevitabilmente 
derivanti dai limiti imposti per il proces,so cumulativo -di dispersione 
delle prove anticipatamente assunte, il legislatore, consapevole che fa 
prova. nel corso delle indagini � suscettibile di dilatazioni quanto alla 
sua dimensione soggettiva, ha appunto previsto la possibilit� di estensione 
dell'incidente, un. istituto riferibN.e anche ad ipotesi in cui la prova debba 
essere utilizzata non nello stesso ma in altro procedimento. 

Tutto ci�, ovviamente -almeno nell'originaria tessitura del codice 
del 1988 -alla condizione che all'esigenza �di compiuta formazione 
della prova � facesse da indispensabile OOIJ.trappunto � la salvaguardia, 
al tempo stesso, dei diritti delle persone interessate� (v. relazione al 
progetto preliminare, p. 220). Ove oi� non si fosse verificato, sul piano 
dei riverberi della prova in altri procedimenti, fart. 238 del codice di 
procedura penale, nel testo antecedente alla �novella� del 1992, subordinava 
l'acquisizione della prova assunta nell'incidente probatorio al 
consenso delle parti; in tal modo sicuramente comprendendo, non 
soltanto l'ipotesi in cui i difensori non avessero partecipato all'asswwione 
dell'incidente probatorio perch� non . avvertiti dell'atto da compiere, 
ma pure il caso -oggetto della sentenza n. 181 del 1994 -che non 
risultasse ancora individuata la persona nei confronti della quale la prova 
avrebbe potuto o dovuto essere utilizzata: un'evenienza, certo, pi� frequente 
quando vengano in considerazione processi caratterizzati anche 
da ,diversit� di imputati, di reati o di autorit� giudiziarie procedenti. 

L'art. 238 rappresentava, pertanto, la risultante di una profonda 
revisione rispetto alfa disciplina dell'utilizzazione delle prove acquisite in 
altri processi delineata dal codice di procedura penale del 1930, introdotta 
allo scopo di non squilibrare un sistema congegnato in modo da realizzare 
lo scopo di garantire l'oralit� e l'immediatezza del dibattimento e che 
sarebbe risultato eluso da un'automatica acquisizione di verbali di prove 
assunte in altri procedimenti. 

Il novum derivante dall'art. 3 del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito 
dalla legge n. 356 del 1992 sta, quindi, nell'esigenza di valorizzare 
la prova scritta, consentendo l'acquisizione di prove assunte in altri 
procedimenti a prescindere dal consenso delle parti; una innovazione 
senza dubbio significativa in quanto parzialmente derogatoria proprio di 
quel principio di oralit� (e di conseguente immediatezza) proclamato 
dall'art. 2, numero 2, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81. 

Ricondotte le '' novellazioni � che hanno attinto l'art. 238, primo 
comma, del codice di procedura penale a ricomprendere anche la soppressione 
del consenso delle parti quale condizione per l'acquisizione 
della prova assunta con incidente probatorio in altro processo, la norma 
denunciata deve, allora, attestarsi su di un'interpretazione che -non 
diversamente da quanto ritenuto dalla pi� volte <ricordata sentenza 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

236 

n. 181 del 1994 -la ancori all'osservanza � della salvaguardia del contraddittorio, 
espressione del pi� generale diritto di difesa �. Con fa conseguenza 
che l'art. 238, primo comma, in tanto potr� ricevere applicazione, 
pure di fronte ad una prova assunta con incidente probatorio senza la 
presenza del difensore, in quanto i soggetti nei confronti dei quali la 
prova dovr� essere utilizzata non avessero o non potessero ancora assumere 
la qualit� di persone sottoposte alle indagini, per non essere � stati 
raggiunti da indizi di colpevolezza, atteso che, per definizione, nessun 
contrad�litorio poteva essere nei loro confronti assicurato�. 
L'ambito ,di operativit� dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura 
penale, nel punto denunciato dal giudice a quo viene cos� a saldarsi 
con i limiti (solo apparenti) di applicabilit� dell'art. 403 del codice 
di procedura penale, consentendo, di conseguenza, una lettura della norma 
denunciata in un'ottica interpretativa coerente alla costante giurisprudenza 
'di questa Corte attenta a rimarcare come � un problema di diritto 
di difesa� pu� porsi soltanto in presenza della soggettivizzazione di 
una notitia criminis nei confronti cli. una persona gi� individuata. 

Interpretata in questi termini la norma denunciata non lede alcuno 
dei parametri invocati: non l'art. 3 della Costituzione, non potendo certo 
affermarsi l'irragionevolezza di una diversit� di trattamento fra colui che 
abbia assunto la qualit� di persona sottoposta alle indagini e colui che, 
invece, non sia stato ancora come tale identificato; non l'art. 24 della 
Costituzione stessa, potendo il diritto di difesa riferirsi soltanto ad un 
soggetto nei cui confronti sussistono elementi di colpevolezza e non anche 
nei confronti di chi non sia stato raggiunto da indizi di responsabilit�. 

Tutto ci� non pu� esimere questa Corte dalla necessit� di rimarcare 
come la qualit� di persona sottoposta alle indagini non deve discendere 
dalle valutazioni soggettive dell'ovgano inquirente, 'dipendendo essa da 
dati oggettivi spesso agevolmente riscontrabili sulla base degli atti, a preseindere 
dalla separazione dei procedimenti: una vicenda che � discende, 
nella gran parte dei casi, da scelte o valutazioni contingenti di natura 
strettamente processuale � (v. sentenza n. 254 del 1992), ma la cui appartenenza, 
,di norma, alla fase successiva all'eserciziio dell'azione penale, vale 
a rendere esigui i rischi (ai quali � sempre comunque possibile porre 
riparo) prospettati dal rimettente. D'altro canto, qualsiasi comportamento 
omissivo addebitabile al pubblico ministero quanto al momento della 
individuazione della qualit� di indagato potr� dar luogo a conseguenze di 
ordine processuale, ivi inclusa, appunto, la possibilit� di sindacare la 
concreta utilizzabilit� della prova assunta senza la presenza del difensore; 
il tutto in una '1inea diretta anche a valorizzare l'interesse dell'imputato 
a disporre della prova che si riveli per lui favorevole pure se assunta in 
violazione del combinato disposto degli artt. 238, primo comma, e 403 del 
codice di procedura penale. 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

Dalla casualit� che deve, di norma, contrassegnare l'impossibilit� di 
partecipazione del difensore all'assunzione della prova per non essere il 
suo assistito ancora individuato come persona sottoposta alle indagini 
deriva che le cons�eguenze che ne discendono non devono esorbitare dall'ambito 
della utilizzazione della prova stessa in un altro processo. Essa 
non pu�, certo, precludere, � in un sistema processuale imperniato su 
un ampio riconoscimento del diritto alla prova e nel quale l'acquisizione 
del materiale probatorio � rimessa in primo luogo all':iniziativa delle 
parti� (l'art. 190 del codice di procedura penale; sentenza n. 241 del 1992) 
il diritto della parte di richiedere e di conseguire la rinnovazione della 
prova, una rinnovazione -divel'samente da quanto affermato dal giudice 
a quo -riferibile, proprio per le considerazioni che hanno condotto 
a delinearne una qualche divergenza di trattamento rispetto alle dichiarazioni, 
anche alla perizia. A ci� va aggiunto il potere del giudice di disporre, 
laddove fa prova sia (come nel caso di specie) assumibile d'ufficio, 
la rinnovazione nel dibattimento, pur in assenza di richiesta di parte, 
fino a prospettare l'utilizzazione anche a tali scopi, del precetto dell'art. 
507 del codice di procedura penale. Senza contare la possibilit� di 
valutare, nell'esercizio del libero convincimento, la valenza di una prova 
assunta con incidente probatorio anche in funzione della mancata partecipazione 
del difensore dell'imputato alla sua formazione. 

I 

CORTE COSTITUZIONALE, 2 giugno 1994, n. 213 -Pres. ed Est. Pescatore -
Sacard s.r.l. c. Ingg. Carriero e Baldi s.p.a., interv. Presidente del 
Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). 

Espropriazione per pubblico interesse -Decreto di occupazione temporanea 
d'urgenza per opere e interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 
2 maggio 1974, n. 115, convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247 � 
Efficacia trimestrale (art. 20, legge 22 ottobre 1971, n. 865) � Legittimit� 
costituzionale dell'art. 20, comma 1�, legge n. 865/1971. 

E infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 20, 
comma primo legge 22 ottobre 1971, n. 86, in quanto tale norma, secondo cui 
il decreto di occupazione temporanea e d'urgenza perde efficacia se non 
attuato entro tre mesi, detta una disciplina unitaria per le occupazioniJ 
d'urgenza, dovendosi ritenere applicabile, in conformit� alla pronuncia 
della Corte di Cassazione, SS.UU., n. 2081/1994, anche a quelle occupazioni 
preordinate alla realizzazione aelle opere e degli interventi previsti dall'art. 
4 del d.l. 1974, n. 115, convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247, e 
cio� effettuati dallo Stato o da altri enti pubbUci al di fuori delle materie 
regolate dalla stessa legge n. 865/1971. 


238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
II 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili; 3 marzo 1994, 
n. 2081 -Pres. Bile, Est. Sensale -P. M. Morozzo della Rocca (concl. 
diff.) -Enel (avv. Guerra, Patern�, Castallo) c. Beton Icop s.p.a. 
238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 
II 
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili; 3 marzo 1994, 
n. 2081 -Pres. Bile, Est. Sensale -P. M. Morozzo della Rocca (concl. 
diff.) -Enel (avv. Guerra, Patern�, Castallo) c. Beton Icop s.p.a. 
(avv. Branca, Marotta, Petrecca). 

Espropriazione per pubblico interesse � Decreto di occupazione temporanea 
e d'urgenza per opere e interventi previsti dall'art. 4 del dJ. 
2 maggio 1974, n. 115 convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247 Efficacia 
trimestrale (art. 20, primo comma, legge 22 ottobre 1971, n. 865). 

La previsione dell'art. 20, comma 1� della legge 22 ottobre 1971, n. 865, 
nella parte in cui stabilisce il V:enir meno dell'efficaoia del decreto di occupazione 
d'urgenza delle areie da espropriar.e ove l'occupazione non 
segua nel termine di tre mesi dalla emanazione, � indissolubilmente legata 
alla disposizione di cui al sucoessivo comma 2� e trova quindi applicazione, 
ai sensi dell'ultimo comma del menzionato art. 20, anche per le 
occupazioni preordinate alla realizzazione deille opere e degli interveinti 
previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito con legge 
27 giugno 1974, e cio� effettuati dallo Stl(]Jto o da altri enti pubblici al 
di fuori delle materie regolate dalla stessa legge n. 865/1971. 

I 

Nel merito, la questione non � fondata. 

Il presupposto interpretativo dal quale muove la ordinanza di rimes


sione per sospettare la illegittimit� costituzionale della norma de qua, e 

cio� che essa non sia applicabile alle occupazioni d'urgenza finalizzate 

alla realizzazione dri opere statali, non trova riscontro in una adeguata 

analisi sistematica dell'art: 20 della legge n. 865 del 1971. 

Questo, contenuto nel titolo II della legge, concernente le norme sul


l'espropriazione per pubblica utilit�, al primo comma, stabilisce che l'occu


� Occupazioni per interventi di interesse statale e termine di efficacia per 
la loro attuazione �. 

Le decisioni in rassegna appaiono destinate a modificare l'assetto proce


dimentale sin qui osservato per le occupazioni di urgenza preordinate alla 

realizzazione di opere pubbliche per conto dello Stato. 

Le Sezioni Unite, dopo ampio excursus e mutando l'orientamento mani



festato con la precedente sentenza del 22 novembre 1991, n. 12587 (in Foro lt. 
�1991, I 2452), con la sentenza 2081/94 hanno ritenuto che il termine di efficacia 
per l'attuazione delle occupazioni � applicabile anche a quelle per la realizzazione 
di interventi statali bench� l'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, 


PARTE I, SilZ. I, .GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 239 

pazione d'urgenza delle aree da espropriare � pronunciata con decreto del 
prefetto, che pe11de efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di 
tre mesi dalla sua emanazione. 

Il� secondo comma prevede, poi, che l'occupazione possa essere protratta 
fino a cinque anni dalla data di immissione in possesso. 

Il giudice a quo osserva che l'art. 4, primo comma, del d.1. 2 maggio 
1974, n. 115, recante �norme per accelerare i programmi di edilizia 
residenziale�, inserito dalla legge di conversione 27 giugno 1974, n. 247, 
estende l'applicabilit� delle disposizioni contenute nel titolo II della legge 

n. 865 del 1971, relative alla determinazione dell'indennit� di esproprio 
per opere di interesse regionale, a tutte le espropriazioni comunque 
preordinate alla realizzazione di opere o ,di interventi da paTte dello Stato, 
deHe regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto 
pubblico anche non territoriali. 
Il tenore letterale di tale norma appare al pretore chiaramente volto 
ad estendere agli interventi statali le sole disposizioni della fogge n. 865 
del 1971 relative alla determinazione dell'indennit� di esproprio, con 
implicita esclusione di un pi� ampio intento di unificazione dei distinti 
procedimenti espTOpriativi, quello finalizzato alla reail.izzazione di opere 
regionali, di cui alla citata legge n. 865 del 1971, e quello, di carattere 
generale, previsto dalla legge n. 2359 del 1865 ed applicabile, dopo l'attuazione 
dell'ordinamento regionale, alle ,sole opere di competenza statale. 

abbia espressamente esteso alle occupazioni della specie solo la previsione del 
2� comma dell'art. 20 della legge 22 novembre 1971, n. 865 (termine di durata) 
e non anche quella del 1� comma secondo cui il decreto di occupazione perde 
efficacia qualora la materiale occupazione delle aree non avviene nel termine 
di tre mesi dalla sua emanazione. 

La Corte Costituzionale con la pressocch� coeva sentenza n. 213/94 ha poi 
prestato apertamente avallo alla statuizione delle Sezioni Unite alla cui motivazione 
si � ampiamente riportata dichiarando di doverne � condividere la 
interpretazione sistematica� delle norme. Su tali premesse la Consulta ha 
dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata dal 
Pretore di Lucera in relazione all'art. 3 in ordine alla disparit� di trattamento 
riservata dal legislatore alle ipotesi di occupazioni di urgenza per opere di 
interesse statale rispetto a quelle disciplinate dalla legge 865/71. La Corte 
Costituzionale richiamandosi alla ricostruzione interpretativa operata dalle 
Sezioni Unite ha infatti escluso l'esistenza � di quella diversit� di disciplina 
tra le due ipotesi di occupazione di urgenza che ha dato luogo ai prospettati 
dubbi di legittimit� costituzionale �. 

Alle cennate conclusioni le sentenze sono pervenute nel comune presupposto 
che, attesa la stretta connessione tra termine di efficacia del decreto di 
occupazione e durata della stessa, i primi due commi dell'art. 20 legge 865/71 
dovrebbero leggersi unitariamente costituendo un unico precetto giuridicamente 
significante. Rispetto a tale soluzione ermeneutica nessuna rilevanza potrebbe 
assumere il mancato esplicito richiamo del 1� comma dell'art. 20 cit. da parte 
dell'art. 14 legge 10/77 in quanto la previsione dovrebbe ritenersi necessariamente 
ricompresa nel richiamo operato al solo 2� comma. 



240 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

N� il successivo art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che ha aggiunto 
un sesto comma ahl'art. 20 della legge n. 865 del 1971, avrebbe modificato 
la situazione, limitandosi ad estendere il solo secondo comma del 
predetto art. 20, e non anche il primo, alla generalit� delle espropriazioni, 
ivi comprese quelle concernenti interventi statali. 

La tesi esposta, in ordine alla portata applicativa defila norma impugnata, 
trova fondamento, come ricordato nella ordinanza di rimessione, 
in una pronuncia resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede 
di regolamento di giurisdizione (sent. n. 12587 del 1991). Con essa si ec1udeva 
che l'art. 9 della legge n. 865 del 1971, il quale contiene la minuziosa 
elencazione degli interventi cui la legge si applica, sia nella formulazione 
originaria, sia in quella risultante dalla sua interpretazione autentica, 
di cui all'art. 1 ter del d.l. 28 dicembre 1971, n. 1119, aggiunto dalla legge di 
conversione 25 febbraio 1972, n. 13, generalizzi la disciplina dettata dalla 
citata legge con estensione anche ai procedimenti espropriativi di competenza 
ultraregionale, non potendosi intendere in questo senso .il riferimento, 
contenuto nello stesso art. 9, alla realizzazione di �singole opere 
pubbliche�, che sono comunque solo quelle rientranti negli scopi della 
normativa in esame. 

Nel negare, conseguentemente, portata generale anche al termine trimestrale 
di efficacia del decreto prefettizio di occupazione di urgenza di 
cui all'impugnato art. 20, primo comma, della legge n. 865 del 1971, la 

Trattasi di statuizioni di enorme rilievo se si considera che le occupazioni 
della specie erano state sin qui ritenute sottratte alla predetta disciplina decadenziale 
dalla giurisprudenza amministrativa (TA.R. Lazio, Sez. I, 15 aprile 
1981, n. 351 in T.A.R. 1981, I, 1477; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 11 febbraio 1986, 

n. 14 in Cons. Stat. 1986, I, 216) e da quella ordinaria di merito (Trib. Napoli 
12 luglio 1988, n. 6852; Trib. Reg. Acque Pubbliche presso la Corte di Appello 
di Napoli 4 marzo 1987, n. 95 -entrambe inedite) nonch� dalle stesse Sezioni 
Unite con la ricordata pronuncia n. 12587/91. 
Sotto il profilo pi� strettamente pratico dal predetto orientamento consegue 
che l'occupazione di immobili preordinata all'esecuzione di opere pubbliche 
statali attuata oltre l'indicato termine trimestrale costituisce una mera 
attivit� materiale contro cui il privato, oltre che sul piano risarcitorio, potrebbe 
reagire in reintegrazione del possesso perduto, non essendo il comportamento 
della P. A. idoneo ad affievolire la posizione di diritto soggettivo in conformit� 
della pacifica giurisprudenza in subiecta materia. (Cass. 14 marzo 1991, n. 2715 
in Foro lt., 1991, I, 2072 con nota di R. Caso). 

Non � senza rilievo, osservare che, nonostante la problematica sia sorta 
virtualmente per effetto dell'estensione operata dalla legge 10/1977, il primo 
intervento delle S. U. si � registrato solo nel 1990 (Cass. S. U. 13 novembre 1990, 

n. 10950). 
Con ogni probalit�, infatti, il ritardo con cui il tema � giunto all'esame 
del giudice di legittimit� � stato determinato non solo dall'illustrato orientamento 
negativo ampiamente consolidato in sede di merito (isolatamente in 

�senso 
contrario Trib. Sup. Acque Pubbliche 9 novembre 1989, n. 90 in Cons. 
Stat. 1989, Il, 1583) ma soprattutto dalla circostanza che il dato letterale del 
richiamo operato nei confronti del solo 2� comma dell'art. 20 legge 865/71 

I 

I

I

I 

I 

I 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 241 

Cassazione poneva, appunto, l'accento sulla specialit� della normativa di 
cui alla legge stessa, che ha ad oggetto primario programmi e coordinamento 
dell'edilizia residenziale pubblica ed � intesa ad attuare particolari 
interventi urbanistici, e sulla conseguente diversit� di situazioni rispetto 
a quelle delle ordinarie espropriazioni. 

Con la predetta sentenza, si avvertiva, altres�, che, anche nei casi in 
cui non opera il termine di efficacia del decreto d'occupazione in esame, 
sarebbe comunque escluso il pericolo di occupazioni senza limite di 
tempo, trovando applicazione l'art. 13 della legge n. 2359 del 1865, che 
prevede che .nell'atto che dichiara un'opera di pubblica utilit� debbono 
essere stabiliti i termini d'inizio delle espropriazioni e dei lavori, e che 
con l'inutile decorso �di tali termini la dichiarazione diviene inefficace, e 
cos�, per il venir meno del suo presupposto, diviene illegittima l'occupazione 
d'urgenza. 

A conclusioni diverse, in ordine al problema dell'applicabilit� dell'art. 
20, primo comma, della legge n. 865 del 1971 relativamente ad opere 
pubbliche di ambito istatale, � pervenuta la Cassazione con una recente 
pronuncia (SS.UU., 3 marzo 1994, n. 2081), attraverso in iter argomentativo 
che questa Corte ritiene di condividere. Con una premessa, del resto posta 
in luce nella stessa sentenza: a seguito dell'art. 4, primo comma, gi� 
citato, del d.l. n. 115 del 1974, introdotto dalla relativa legge di conversione 

n. 247 del 1974, che aveva espressamente stabilito J'applicabilit� delle 
disposizioni della legge n. 865 del 1971 �relative alla deteuninazione del-
non pareva lasciare all'interprete margini per una diversa ricostruzione 
ermeneutica. 

Non � un caso dunque che la ricordata pronuncia delle S. U. n. 10950/90 
si sia avuta in tema di occupazioni ex d.l. 19 marzo 1981, n. 75 (convertito, con 
modificazioni in legge 14 maggio 1981, n. 219) preordinate agli interventi espropriativi 
per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori del mezzogiorno colpiti 
dagli eventi sismici dell'80 la cui attuazione, bench� trattavasi di opere pubbliche 
statali, era rimessa al Sindaco di Napoli, per le aree urbane, ed al 
Presidente della Giunta Regionale, per le c.d. aree esterne, quali Commissari 
Straordinari di Governo (artt. 80 e 81 legge 219/81). Proprio dall'incertezza dell'esatta 
ricostruzione normativa delle disposizioni applicabili al predetto intervento 
pubblico di cui non � apparsa subito agevole la natura � statale,. (cui 
sarebbe stata applicabile quale normativa di riferimento la legge 2359/1865) 

o �regionale� (con rinvio, quindi, alla legge 865/71) � derivato un massiccio 
ricorso da parte dei privati alla tutela giudiziaria possessoria quale reazione 
alla gran mole di occupazioni operate oltre il predetto termine trimestrale. 
Veniva cosi invocata l'applicabilit� del 1� comma dell'art. 20 legge 865/71 alle 
occupazioni ex legge 219/81. 
Ed infatti proprio in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (promosso 
dall'Amministrazione a seguito di azione di reintegra nel possesso) le 

S. u. statuirono per la prima volta l'applicabilit� del termine di efficacia del 
decreto di occupazione alle occupazioni operate ex legge 219/81. 
Pur senza entrare nel merito del predetto orientamento gi� altrove specificamente 
e criticamente analizzato (Mutarelli, Applicabilit� del termine di effi




242 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

l'indennit� a tutte le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione 
di opere o interventi da parte dello Stato, delle Tegioni, delle province, 
dei comuni e di altri enti pubblici, si era determinato un regime 
in base al quale, per le opere d'ambito ultraregionale, ferme le regole procedimentali 
delle espropriazioni previste dalla legge del 1865, si rendevano 
applicabili i criteri indennitari della legge del 1971. La successiva dichiarazione 
d'illegittimit� costituzionale, con riguardo ai suoli edificatori, dei 
criteri di determinazione delle indennit� stabiliti dalla legge del 1971 
(sentt. nn. 5 del 1980 e 223 del 1983), ha fatto, poi riemergere -fino a 
quando la materia non � �stata specificamente Tegolata -quelli fissati 
dalla legge n. 2359 del 1865, con la conseguenza che alle espropriazioni di 
interesse statale si sono applicati schema procedimentale e regole indennitarie 
derivanti dalla predetta legge del 1865, a quelle di interesse regionale 
le norme procedimentali della legge del 1971 e i criteri indennitari attinti 

a quella del 1865. 

In tale quadro, la recente pronuncia delle sezioni unite della Cassazione 
sottolinea l'interconnessione tra i primi due commi dell'art. 20 della 
legge n. 865, che stabiliscono, nell'ordine, che il decreto che dispone 
l'occupazione d'urgenza delle aree da espropriare perde efficacia ove 
l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione, 
e che essa pu� essere prorogata fino a cinque anni da1l'immissione nel 
possesso. 

cacia per l'attuazione delle occupazioni di urgenza agli interventi per opere 
pubbliche statali in Rass. Avv. St., 1991, 252) deve nondimeno osservarsi come lo 
stesso -diversamente da quanto parrebbe desumersi dalla sentenza delle 
Sezioni Unite -non pu� costituire precedente confermativo della applicabilit� 
del predetto termine alle opere pubbliche statali. Ed, infatti, mentre per la 
pronuncia delle S. U. n. 10959/1990 l'applicabilit� del 10 comma dell'art. 20 cit. 
parrebbe derivare dalla natura � regionale� riconosciuta sic et simpliciter all'intervento 
ricostruttivo in relazione al suo ambito territoriale con conseguente 
applicabilit� dell'intera legge 865/71 (in tal senso parrebbe doversi interpretare 
la decisione alla luce della motivazione della successiva sentenza 12587/91 cit.). 
con la successiva sentenza in termini (S. U. 19 febbraio 1992, n. 2048) l'applica


bilit� dell'intero complesso della legge 865/71 agli interventi di cui alla legge 
219/81 (e, quindi, anche dell'art. 20) viene fatto scaturire dal riferimento alle 
opere � per calamit� naturali � contenuto nell'art. 9 legge 865/71 la cui funzione 
� per l'appunto quella di delimitare i procedimenti oblativi assoggettati alla 
disciplina di cui alla legge 865171. (PATERN�, Ancora sull'ambito di applicazione delle 
nuove norme in materia di espropri introdotte dalla legge sulla casa, in Riv. Giur. 
Ed. 1973, I, 524 ss.). 

Da tutto quanto precede consegue che le predette decisioni non sono idonee 
�a confortare il recente mutamento di indirizzo espresso dalle S. U. perch� 
per quanto attiene le opere pubbliche statali la problematica concernente 
l'applicabilit� del termine trimestrale ha il suo indiscutibile presupposto nel-

I, 


PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 243 

La rat.fo delle due proposizioni, m cui, come avverte la Cassazione, 
� si articolano gli inscindibili momenti di un precetto necessariamente 
unitario sul piano logico-giuridico, � quella di impedire che la protrazione 
del periodo ed il suo inizio dalla immissione in possesso possano tradursi 
in una indefinita compressione, senza ragionevoli limiti temporali alla 
efficacia di esso, del diritto di propriet� e delle facolt� di godimento che 
vi ineriscono ... �. 

Il provvedimento di occupazione consente l'apprensione di beni altrui, 
costituendo una limitazione grave alla propriet�; legittimando l'occupante 
ad usare della cosa per la realizzazione dell'opera, gli conferisce 
un diritto di �arattere reale con effetto immediato. Il termine della durata 
di esso, come segna la cessazione della compressione del diritto di 
propriet�, cos� realizza una finalit� unitaria che, nella recente interpretazione 
sistematica della Cassazione, razionalmente accomuna il regime 
delle opere di competenza statale e locale. 

Dalla considerazione unitaria dell'anzidetta finalit� dei primi due 
commi dell'art. 20 in esame, discende che il gi� citato art. 14 della legge 
n.. 10 del 1977, che aggiunge un sesto comma allo stesso art. 20, stabilendo 
che il disposto del secondo comma di esso � deve intendersi applicabile 
anche alle occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere e degli 
interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito, 

l'inapplicabilit� della legge 865/71 laddove per gli interventi di cui alla legge 
219/81 le S. U. hanno ritenuto applicabile l'intero complesso normativo della 
legge 865/71 rispetto a cui, quindi, il problema dell'applicabilit� del 1� comma 
dell'art. 20 neanche si pu� porre. 

Passando all'esame specifico delle decisioni deve osservarsi che le stesse 
hanno ritenuto applicabile il termine trimestrale alle occupazioni per opere 
pubbliche statali essenzialmente in quanto la funzione del termine per la materiale 
occupazione e la decorrenza del periodo di occupazione legittima sa� 
rebbero tanto indissolubilmente legati che non avrebbe senso l'applicazione (e, 

quindi, anche il richiamo da parte di un'altra norma) di una soltanto delle 

due regole. Cio� a dire che allorch� l'art. 14 legge 10/1977, nel comma aggiunto 

all'art. 20 legge 865/71, stabilisce che il disposto del 2� comma � deve intendersi� 

applicabile alle opere pubbliche c.d. statali, avrebbe in realt� inteso richiamare 

l'intera disciplina delle occupazioni e, quindi, anche il 1� comma dell'art. 20 

legge 865/71 (non espressamente richiamato). 

Destano perplessit� l'iter argomentativo ed ermeneutico proposto nonch� 

le conclusioni raggiunte. 

Inducono, infatti, a sostenere l'inapplicabilit� del predetto termine alle 

occupazioni statali non solo e non tanto l'elemento interpretativo di ordine 

testuale dell'assenza di un tale richiamo nell'art. 14 legge 10/1977 (gi� da taluno 

ritenuto assorbente VIGNALE, L'assetto attuale delle espropriazioni per pubblica 

utilit�, cit. 1991, 116) quanto piuttosto considerazioni di carattere logico-siste


matico e storico-evolutivo <in tal senso parrebbe implicitamente anche SORACE, 

Espropriazioni per pubblica utilit�, voce Dig. Pubb. Torino 1991, VI, 190). 

Proprio partendo, infatti, dal solo dato letterale della legge che non 

include il primo comma tra le previsioni di cui � espressamente estesa la appli� 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

244 

con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974, n. 247 �, intende, in effetti, 

estendere anche fa regola di cui all'art. 20, primo comma, alla realizzazione 

di opere di competenza statale. 

Alla luce delle esposte considerazioni, deve escludersi quella diversit� 

di disciplina tra le due ipotesi di occupazione d'urgenza, che ha dato luogo 

ai prospettati dubbi di legittimit� costituzionale. 

II 

L'Ente deduce che -a seguito della nuova disciplina introdotta 
con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, concernente la sola realizzazione di 
opere e interventi di competenza regionarle, e dell'estensione, con l'art. 4 
della legge 27 giugno 1974, n. 247 (di conversione, con modifiche, del 

d.l. 2 maggio 1974, n. 115), dei criteri di determinazione dell'indennit� di 
espropriazione, previsti nella legge del 1971, a tutte le espropriazioni, comunque 
preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte 
deHo Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici 
o �di diritto pubblico, anche non territoriali -la regolamentazione 
delle espropriazioni per pubblica utilit� � unica, quanto alla determinazione 
dell'indennit�, mentre rimane distinta per il procedimento, la durata 
e l'efficacia delle occupazioni d'urgenza. 
Sostiene, quindi, che, con il comma aggiunto all'art. 20 della legge 

n. 865/71 dall'art. 14 della legge n. 10/77, si � inteso estendere alle occupacabilit� 
alle occupazioni per opere c.d. statali si � addirittura ritenuto inappli


cabile il termine trimestrale di efficacia in una fattispecie in cui l'Autorit� 

Amministrativa aveva fatto in un provvedimento espresso e generico riferi


mento al citato art. 20. Ci� sulla base della assoluta inapplicabilit� della pre


visione agli interventi statali e, quindi, della inidoneit� dello stesso richiamo 

(Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 11 febbraio 1986, n. 14, cit.). 

Sotto il profilo logico-sistematico non si � inoltre mancato di osservare che 

la legge 865/71, proponendo un autonomo schema di procedimento ablatorio 

per le sole opere di interesse regionale e sub-regionale, non aveva per questo 

inteso abrogare o modificare l'altro schema di carattere generale di cui alla 

legge 25 giugno 1865 n. 2359 che, pur dopo l'attuazione dell'ordinamento regionale, 

continua ad essere ritenuto il solo applicabile agli interventi di interesse statale 

(Ad. Plen. Cons. Stat. 19 gennaio 1979, n. 1 ed ivi riferimenti giurisprudenziali 

in Foro lt., 1979, III, 257; Cons. S. U. 21 luglio 1981, n. 4650 in Foro It., 1982, I, 

126, Cons. S. U. 15 marzo 1982, n. 1673 in Giust. Civ. 1982, I, 1516, in dottrina 

VIRGA, Diritto Amministrativo, I Principi Giuffr�, 1994, 423). 

N� un tale effetto abrogativo potrebbe ricollegarsi all'art. 4 della legge 

27 giugno 1974, n. 247, il cui tenore letterale appare chiaramente teso ad esten


dere agli interventi statali le sole disposizioni della legge 865/71 relative alla 

determinazione dell'indennit� di esproprio (Trib. Sup. Acque 7 aprle 1981, 

n. 11 con nota di LA PORTA, Legge sulla casa ed espropriazioni statali lin 
�Rass. Avv. Stato 1981, I, 861). 
L'evidente obiettivo di circoscrivere l'intento di armonizzazione delle differenti 
discipline alla solo materia indennitaria laddove � per l'appunto pi� 


PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 245 

zioni preordinate alla realizzazione delle opere di competenza statale 
la possibilit� di protrarre, fino a cinque anni dalla data dell'immissione 
in possesso, il periodo di occupazione legittima,� gi� stabilito in tale misura 
dal 2� comma del citato art. 20 per le occupazioni preordinate alla realizzazione 
delle opere di competenza regionale, senza, tuttavia, che ci� 
implichi anche l'estensione della disposizione di cui al 1� comma (secondo 
la quale il decreto di occupazione perde efficacia ove l'occupazione non 
segua entro tre mesi dalla sua emanazione): ci� perch� l'art. 14 della legge 
del l'J77 richiama il 2� e non il 1� comma dell'art. 20. 

Ci� premesso, l'Ente ricorrente censura la sentenza impugnata per 
avere ritenuto, contro il dettato dell'art. 12 delle disposizioni preliminari 
al codice civile, non decisiva l'interpretazione letterale della norma considerata 
e per avere fatto ricorso al criterio interpretativo logico, consentito 
sussidiariamente solo in presenza di norme di dubbio significato, compiendo, 
peraltro, la relativa indagine in modo iHogico e contraddittorio. 

In memoria, l'ENEL, nel Tilevare che scopo della disposizione aggiunta 
con l'art. 14 della legge n. 10/77 fu non di accrescere le difficolt� 
operative dello Stato, ma, al contrario, di rendere pi� agevole la realizzazione 
delle opere pubbliche statali mediante l'allungamento del termine 
di efficacia delle stesse, individua la 'Conferma di ci� nel nuovo intervento 
legislativo operato con la fogge n. 1 del 1978, il oui art. 1 ha precisato che, 
comunque, le opere pubbliche vanno iniziate, a pena di decadenza della 

avvertita l'esigenza di salvaguardia della parit� di trattamento degli espropriati, 
comporta la implicita esclusione di ogni pi� ampio intento di unificazione dei 
distinti procedimenti ablatori. 

Quanto fin qui rappresentato trova conferma nella successiva evoluzione 
legislativa che, muovendo proprio dalla applicabilit� della legge 865/71 alle 
sole occupazioni per opere di competenza regionale, ha ritenuto con l'art. 14 
legge 28 gennaio 1977, n. 10 di dover estendere il solo secondo comma dell'art. 
20 legge 865/71 alla generalit� delle occupazioni perci� solo escludendo un 
intervento pi� ampiamente abrogativo delle disposizioni che disciplinano l'istituto 
dell'occupazione d'urgenza alla luce della legge 2359/1865. 

Tale conclusione trova il suo momento di ulteriore verifica nell'argomento, 
di ordine storico evolutivo, desumibile dallo stesso art. 14 della legge 10/1977, il 
cui 2� comma, nell'aggiungere un sesto comma all'art. 12 legge 865/71, richiama 
espressamente la legge 3 aprile 1926, n. 686 quanto a competenze, tempi e 
modalit� tecniche di pagamento dell'indennit� di esproprio. 

Appare chiaro che tale rinvio (il quale coinvolge gli artt. 30 e 48 legge 
2359/1865 e l'art. 8 secondo, terzo e quarto comma della legge 21 maggio 1955, 

n. 463) non avrebbe senso se la norma richiamante non avesse ritenuto la 
permanente validit� dell'intera fase procedimentale cui le norme richiamate 
si riferiscono (Cons. Stat. IV, 14 luglio 1982, n. 582 in Cons. Stat. 1981, Il, 674). 
Tale considerazione conferma che nel richiamo operato dalla disposizione dell'art. 
4 legge 247/1974 ai criteri relativi alla determinazione dell'indennit� di 
esproprio non per questo potevano perci� solo ritenersi richiamate anche le 
modalit� procedimentali successivamente fatte oggetto della specifica estensione 
di cui all'art. 14, 2� comma della legge 10/77. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

246 

dichiarazione di pubblica utilit� e d'indifferibilit� e urgenza, entro tre 

anni dall'approvazione del progetto. 

Il ricorso � infondato. 

Deve premettersi che -come esattamente rilevato nella sentenza 
impugnata -la questione .prospettata non si risolve nella mera ricerca 
del significato testuale delle s~ngole disposizioni in esame (che non offre, 
di per s�, rilevanti difficolt�) o nello scioglimento del dilemma se debba 
privilegiarsene l'inter:pretazione letterale piuttosto che quella logica. Non 
appare pertinente, quindi, la dedotta violazione dell'art. 12, 1� comma, 
delle disposizioni sulla legge in generale. 

Trattasi, invero, di un problema di coordinamento -dal cui esame 
il giudice non. pu� esimersi di fronte aH'impiego, in materia, di un'imperfetta 
tecnica legislativa -delle norme contenute nella legge n. 865 del 1971 
con . quelle succedutesi, le quali, pur ne11'apparente chiarezza testuale, 
hanno dato luogo a manifeste disarmonie sistematiche e a dubbi nella 
delimitazione del loro campo di applicazione. Il per questo che da pi� 
parti si � avvertita l'esigenza di un'opera di razionalizzazione, se si vuole 
individuare il senso logico-giuridico della volont� legislativa, anche alla 
stregua del principio costituzionale di ragionevolezza. 

La prima indagine da compiere investe l'ambito di applicazione della 
legge n. 865/71 (specialmente a seguito dei successivi interventi legislativi 
che hanno in vario modo inciso sul preesistente tessuto normativo), data 

Dalla costituzionalmente legittima coesistenza di modelli espropriativi diversi 
non pu� non conseguire che l'individuazione di armonizzazione e unificazione 
delle discipline procedimentali debba ritenersi riservata esclusivamente 
al legislatore e non rimessa all'interprete tenuto altres� conto che la legge 865/71 
deve ritenersi gi� legge speciale rispetto alla legge 2359/1856 (VIRGA, Dir. Amm., 
I Principi, Giuffr�, 1994, 452 ed ivi riferimenti e, per la giurisprudenza Cons. 
Stat. Sez. IV, 7 febbraio 1985, n. 37 in Cons. Stat. 1985, I, 122). 

Per affermare che il richiamo del solo secondo comma dell'art. 20 legge 
865/71 ad opera dell'art. 14 legge 10/77 comporti la necessaria applicabilit� anche 
della previsione di cui al primo comma dovrebbe ritenersi che con la disposizione 
richiamante il legislatore avrebbe inteso realizzare un effetto sostanzialmente 
abrogativo della disciplina delle occupazioni di urgenza di cui alla legge 
2359/1865 con integrale sostituzione della stessa con quella ex lege 865/71. 
Ma una tale volont� non appare emergere dal lato letterale dell'art. 14 
legge 10/1977 alla luce del quale deve ritenersi che l'intervento legislativo 
mirava in realt� a garantire per le opere pubbliche statali solo un pi� lungo 
termine di durata delle occupazioni e non viceversa a stabilire per le stesse 
in via innovativa l'applicabilit� del termine di efficacia previsto per i soli 
interventi di interesse regionale e sub-regionale. 

Non pu� pertanto condividersi l'orientamento, per effetto del quale si perverrebbe 
ad applicare la previsione di cui al 1� comma dell'art. 20 legge 865/71 
pur non essendo la decadenza ivi prevista espressamente riferita alle occupazioni 
per l'esecuzione di opere pubbliche per conto dello Stato. 

A ci� aggiungasi che la perdita di efficacia del decreto per la non tempestiva 
occupazione produce effetti diversi dalla occupazione protratta oltre il 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 247 

l'affermazione, nella sentenza impugnata, ohe al momento della emanazione 
della legge n. 865/71 era possibile ritenere che il 2� comma deWart. 20, 
unitamente al 1� comma, fosse applicabile a tutte le espropriazioni, sia 
statali che regionali. 

Nel testo originario dell'art. 9 de1la legge n. 865/71, le norme sulle 
espropriazioni contenute nel titolo II sono dichiarate applicabili � all'espropriazione 
degli immobili, disposta per la realizzazione degl'interventi 
previsti nel precedente titolo (programmi e coordinamento dell'edilizia 
residenziale pubblica), per l'acquisizione delle aree comprese nei piani di 
cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, per la 
realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compresi 
i parchi pubblici e di singole opere pubbliche, per il risanamento, anche 
conservativo, degli agglomerati urbani, per la ricostruzione di edifici o 
quartieri distrutti o danneggiati da eventi bellici o da calamit� naturali, 
per l'acquisizione delle aree comprese nelle zone di espansione, a termini 
dell'art. 18 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nonch� per l'acquisizione 
degl'immobili necessari per la costituzione di parchi nazionali �. 

Sulla portata della locuzione � di singole opere pubbliche �, inclusa 
fra le ipotesi elencate nella citata norma, si crearono contrastanti opinioni 
fra coloro che ritenevano la disciplina della legge n. 865/71 applicabile 
alle sole opere pubbliche regionali connesse all'assetto urbanistico e coloro 
che erano, invece, dell'avviso che vi fosse assoggettata ogni opera 

termine. di cui al comma 2� dell'art. 20 legge 865/71 sicch� non pu� ritenersene 
l'identit� di natura. Nel primo caso, infatti, � il decreto a divenire inefficace 
laddove nella seconda ipotesi, ferma la efficacia del decreto, � la sola occupa. 
zione a divenire illegittima e comunque dalla data successiva al termine di 
scadenza della stessa (Cass. 23 dicembre 1983, n. 7585) rispetto cui � peraltro 
irrilevante la stessa tardiva emissione del decreto di esproprio (Cass. 3 maggio 
1991, n. 4848 in Giur. It., 1992, I, 1, 264). 

N� pu� giovare il richiamo operato in pi� punti dalle S. U. alla sentenza 

della Cass. 11 giugno 1980 n. 3716 (in Giust. civ. 1980, I, 2129) che ad una pi� 

attenta lettura avrebbe dovuto condurre a conclusioni diverse da quelle 

formulate. 

Ed infatti la predetta decisione, nell'affrontare per la prima volta ex 

professo la tematica concernente la decorrenza del termine biennale di durata 

stabilito dall'art. 73 della legge 2359 del 1865 statuisce che la norma deve essere 

interpretata nel senso che il termine ivi previsto concerne congiuntamente il 

provvedimento e la materiale occupazione � dimodoch� il primo perde effi


cacia e la seconda non pu� (legittimamente) continuare dopo la scadenza di 

tale termine�. 

Le finalit� proprie del procedimento di occupazione e i motivi di ur


genza che ne costituiscono presupposto spiegano perch� la norma non. discri


mini, ai fini della decorrenza del termine., fra i due momenti ritenuti virtual


mente coincidenti (emanazione del decreto e materiale occupazione). 

Rispetto a tale struttura unitaria la previsione dell'art. 20 della legge 865/71 

presenta una diversa struttura procedimentale contrassegnata da due distinti 

termini: per la durata della occupazione e per l'efficacia del decreto. 

6 



248-RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

pubblica, indipendentemente da delimitazioni territoriali e da collegamenti 
con la sistemazione urbanistica degli abitati. 

La formulazione dell'art. 9 pass� attraverso l'interpretazione autentica 
data' con l'art. 1 ter aggiunto al dJ. 28 dicembre 1971, n. 1119 dalla legge 
di conversione 25 febbraio 1972, n. 13 e un'errata corrige, in modo da doversi 
leggere come segue: � le disposizioni contenute nella presente legge 
si applicano alle espropriazioni degl'immobili disposte: per la realizzazione 
degl'interventi previsti nel titolo I...; per l'acquisizione delle aree...; 
per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria 
compresi i parchi pubblici; per la realizzazione di singole opere pubbliche; 
per il risanamento...; per la ricostruzione...; per l'acquisizione delle aree...; 
per l'acquisizione degl'immobili ... �, Ci� non valse a comporre i contrasti, 
contrassegnati, fra l'altro, da non convergenti pareri Tesi dal Consiglio 
di Stato e dall'Avvocatura dello Stato, nonch� da circolari del Ministero 
dei LL.PP. 

Che la locuzione � per la realizzazione di singole opere pubbliche � 
non implichi una generalizzazione della disciplina contenuta nella legge 
del 1971, al di l� della materia in essa regolata, emerge gi�� dalle pronuncie 
di questa Corte n. 4690 del 21 luglio 1981 e n. 1673 del 15 marzo 1982, 
nella quali si afferma, sostanzialmente, la settorialit� della legge n. 865/71, 
in quanto detta norme per l'esecuzione dei programmi ed il coordinamento 

Dall'esame della struttura procedimentale prevista per la occupazione 
dalla legge fondamentale sulle espropriazioni e dalla c.d. � legge sulla casa � 
la richiamata sentenza della Cass. n. 3716/80 fa scaturire che una scissione 
tra il termine di efficacia e quello di durata dell'occupazione materiale 
� deve essere esplicitamente prevista�. 

Del resto la giurisprudenza amministrativa appare orientata nel senso di 
ritenere che la decadenza dell'esercizio di un potere di cui sia titolare la PA. 
deve essere espressamente sancita dal legislatore (Cons. Stat., 6 aprile 1987, 204 
in Cons. Stat. 1987, I, 497; Cons Stat. 26 settembre 1986 n. 161 in Cons. Stat. 
1986, I, 1411). 

Orbene il richiamo al solo secondo comma dell'art. 20 della legge 865/71 
costituisce tutt'altro che una esplicita previsione che il legislatore abbia voluto 
realizzare una analoga scissione per le occupazioni disciplinate dall'art. 73 della 
legge 2359/1865. 

Allorch� l'art. 14 della legge 10/77 nel comma aggiunto al suddetto art. 20, stabilisce, 
con previsione dichiaratamente innovativa, che � il disposto del secondo 
comma deve intendersi applicabile anche alle occupazioni preordinate alla 
realizzazione delle opere e degli interventi previsti dell'art. 4 del decreto legge 
217/74 n. 115 convertito, con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974 � non ha 
sol per questo inteso realizzare un effetto abrogativo della disciplina di cui alla 
legge 2359/1865 ma unicamente realizzare anche per le procedure dalla stessa previste 
l'estensione temporale della durata delle occupazioni. 

E del resto anche a volere ritenere l'indissolubile interdipendenza tra 
termine per l'immissione in possesso e termine per l'efficacia del decreto attuata 
� nel richiamato art. 20 dovrebbe pur sempre convenirsi che la stessa non pu� 
costituire vincolo per il legislatore libero di richiamare distintamente ciascuna 
delle due previsioni innestando la stessa in tessuto procedimentale diverso rispetto 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 249 

dell'edilizia residenziale pubblica; e si sottolinea che la nuova formulazione 
dell'art. 9, dichiaratamente interpretativa, risponde all'esigenza di 
una migliore espressione letterale, fermi il carattere tassativo dei casi ai 
quali si applica la nuova procedura espropriativa e, quindi, la inestensibilit� 
a qualsiasi caso di espropriazione per pubblica utilit�. 

Ci� � stato ribadito, pi� recentemente, con la sentenza 22 novembre 
1991, n. 12587, nella quale si � osservato che: a) se si volesse assegnare 
portata generale alla suddetta espressione, perderebbe ogni ragion d'essere 
la minuziosa elencazione delle espropriazioni alle quali sono applicabili 
le disposizioni della legge; b) peraltro, la specificazione relativa alle 
� singole opere � non rimane priva di significato precettivo, in quanto 
l'elenco di espropriazioni fornito dalla norma riguaroa programmi e 
interventi di carattere generale, sempre in funzione delle finalit� proprie 
della legge, ovvero -in tale ambito -specifiche realizzazioni collegate 
a particolari eventi, donde la necessit� di chiarire che anche singole opere 
pubbliche non considerate nella elencazione, ma rientranti negli scopi 
della normativa, a questa rimangono soggette anche per tutto quanto 
attiene all'espropriazione; e) d'altro canto, la legge n. 865/71 ha ad oggetto 
primario � programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica �, 
di cui ai titoli I e IV, e, in evidente collegamento con tale oggetto, detta 
le diverse disposizioni, oltre che sull'espropriazione (titolo II), in materia 
urbanistica (titolo lii) e di agevolazioni nell'edilizia (titolo V). 

cui la predetta norma risulti compatibile o comunque idonea a realizzare il 

risultato legislativamente assegnatole. 

Sotto tale ultimo profilo non giova all'impianto argomentativo della deci


sione della Suprema Corte il richiamo operato all'isolato precedente giurispruden


ziale (Cass. 17 maggio 1989 n. 2337) secondo cui �per aversi una disposizione 

giuridicamente significante spesso si richiede il concorso di pi� proposizioni, 

anche se topograficamente distinte�. 

Dalla motivazione della sentenza emerge che nella specifica fattispecie, in 

presenza di una evidente carenza di tecnica legislativa, il contenuto precettivo della 

disposizione non era giuridicamente desumibile se non attraverso l'interpreta


zione congiunta di pi� proposizioni del medesimo complesso normativo. 

Il richiamo al riferito criterio interpretativo non appare utile nel caso di 

specie atteso il rinvio inequivocabilmente circoscritto dall'art. 14 della legge 

28 gennaio 1977, n. 10 al solo 1� comma dell'art. 20 legge 865/1971, con con


seguente applicabilit� del solo canone di interpretazione letterale in conformit� 

dell'art. 12 disp. prel. cod. civ. (Cass. 5 luglio 1982, 4000). 

In ogni ipotesi l'indagine ermeneutica andava effettuata non rispetto al 

complesso normativo richiamato bens� in relazione a quello richiamante. Se � 

infatti di solare evidenza che i primi due commi dell'art. 20 cit. devono rite


nersi indissolubilmente correlati nell'ambito del procedimento disciplinato dalla 

legge 865/1971 non � per questo men vero che il richiamo da parte di altro 

contesto normativo (tale infatti deve ritenersi la disciplina procedimentale pre


vista per le espropriazioni ed occupazioni preordinate alla realizzazione di opere 

pubbliche statali) ad uno solo degli stessi impone all'interprete di dover applicare 

la previsione nel rigoroso rispetto del dato letterale e comunque impone che 



250 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Sotto un diverso profilo, i dubbi circa l'istituzione di un regime 
espropriativo unifonne si sono posti a seguito della legge di conversione 
(27 giugno 1974, n. 247), che, nel comma premesso all'art. 4 del d.1. 2 maggio 
1974, n. 115, ha espressamente stabilito che le disposizioni della legge 

n. 865/71, relative alla determinazione dell'indennit�, si applicano a tutte 
le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione di opere o 
interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni 
o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali. 
La norma fu variamente intesa: nel senso della creazione di una disciplina 
uniforme limitata ai soli criteri di determinazione dell'indennit� 
d'espropriazione (nessuna portata estensiva attribuendosi al successivo 
comma dell'art. 4 risultante dalla legge di conversione), ovvero estesa alle 
competenze ed al procedimento; ed in questa seconda direzione si pose 
anche una circolare del Ministero dei lavori pubblici, dalla quale, peraltro, 
si discostarono in successivi pareri (pur se con rilievi in parte difformi) 
il Consiglio di Stato e l'Avvocatura dello Stato. 

Con le gi� �richiamate sentenze n. 4690/81 e n. 1673/82, queste Sezioni 
Unite, da un lato, hanno ritenuto che il comma premesso dalla legge di 
conversione all'art. 4 del decreto n. 115/74 ha efficacia generale ed innovativa 
e prescinde dal riferimento all'art. 9 della legge del 1971 (ed alla 
materia in essa specificamente regolata), fissando un criterio generale 

l'indagine del contenuto dispositivo vada effettuata rispetto al tessuto norma


tivo richiamante (e non, quindi, rispetto a quello oggetto del richiamo). 

Diversamente opinando il richiamo di uno specifico comma da parte del 

legislatore per applicarne il contenuto in altro contesto normativo dovrebbe 

sol per questo ritenersi contenere inesorabile richiamo di tutte le altre pro


posizioni che nello stesso complesso normativo costituiscono un unico pre


cetto dispositivo indipendentemente dall'esame dell'assetto normativo in cui 

la previsione richiamata � destinata ad operare inibendo quindi al legislatore 

di riconoscere ad una proposizione normativa funzione operativa diversa da 

quella originaria. Per tutto quanto precede non pu� ritenersi applicabile il ri


ferito canone giurisprudenziale di �unica disposizione giuridicamente significan� 

te � alla peculiare fattispecie in esame. 

Sicch� il mancato richiamo del 1� comma dell'art. 20, ribaltando l'ipotesi 

concettuale offerta dalle sentenze, costituisce momento di verifica e di confer


ma cbe il legislatore, rispetto alle occupazioni per l'attuazione di opere pubbli


che statali, ha inteso per l'appunto evitare l'effetto decadenziale per il mancato 

rispetto del termine trimestrale. 

Sotto convergente profilo appare logico ritenere che il legislatore per le 
opere di competenza statale (e nonostante il decentramento operato) presuma 
una libert� e capacit� esecutiva meno agile consentendo quindi l'esecuzione dell'occupazione 
anche oltre tre mesi dall'emissione del decreto ma limitando rigorosamente 
alla durata di legge l'affievolimento conseguente all'emissione del 
provvedimento. Per le opere di competenza regionale e sub-regionale � viceversa 
� previsto il breve termine di cui all'art. 20 essendo le stesse realizzate da organi 
locali che, in quanto tali, dovrebbero essere pi� agevolmente in grado di raggiungere 
gli scopi propri dell'occupazione accertando in loco la necessit� e 

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PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 251 

applicabile a tutte le espropriazioni disposte a favore dello Stato e degli 
altri enti pubblici; dall'altro hanno affermato che, data la limitazione del 
richiamo alle sole disposizioni del titolo II della legge del 1971 �relative alla 
determinazione dell'indennit� � e non anche alle altre regolanti le competenze 
e il procedimento di espropriazione in materia di edilizia residenziale 
pubblica, la norma � da intendere nel senso che -ferme le regole procedimentali 
proprie di ciascun tipo di procedimento -l'indennit� si determina 
secondo i criteri posti dalla legge n. 865/71. 

Ci� � affermato anche nella citata sentenza n. 12587/91, che trae una 
indiretta conferma della funzione dell'art. 9 -di precisa individuazione 
e limitazione dei procedimenti ablatori assoggettati alla disciplina della 
legge n. 865/71 -dalla norma del 1974, con la quale si � avvertita 
l'esigenza di estendere a tutte le espropriazioni, comunque preordinate 
alla realizzazione di opere e d'interventi pubblici, le sole disposizioni del 
titolo II. 

Fermo restando che :l'indennit� va giudizialmente determinata secondo 
i criteri di legge propri del procedimento adottato in concreto secondo 

l'urgenza dell'opera cui l'occupazione � preordinata attraverso una immediata 
esecuzione dell'immissione in possesso. 

Conclusivamente pu� pertanto sostenersi che il termine trimestrale di 
efficacia del decreto di occupazione non sia applicabile alle occupazioni preordinate 
alla realizzazione di opere di interesse statale la cui durata, in virt� della 
testuale estensione operata dall'art. 14 della legge 10/1977, pu� essere protratta 
fino a 5 anni con decorrenza dal decreto. 

L'estensione del termine di durata delle occupazioni deve infatti ritenersi 
effettuata con il limite della compatibilit� con la struttura procedimentale 
prevista per le occupazioni dal legislatore del 1865. 

N� pu� essere di ostacolo a tale ricostruzione la circostanza che il secondo 
comma del ripetuto art. 20 collega la decorrenza della legittima occupazione alla 
data di immissione in possesso. 

Ed infatti tale diversa decorrenza dell'occupazione legittima rispetto a quella 
stabilita nell'art. 73 della legge 2359/1865 � coerente con la scissione operata dal 
1� comma dell'art 20 tra termine di efficacia del decreto e durata dell'occupazione 
ma � incompatibile con l'istituto dell'occupazione cos� come configurato dal 
legislatore del 1865 in cui non sussiste la predetta scissione. Non a caso il predetto 
art. 73 usa il solo termine occupazione riferito, come ritenuto dalla illustrata 
sentenza della Suprema Corte n. 3716/80, cit. sia al decreto sia alla occupazione 
laddove l'art. 20 disciplina al 1� comma il termine di efficacia del decreto ed 
al 2� quello della durata dell'occupazione. 

Per le occupazioni non disciplinate dal 1� comma della legge 865/71 il termine 
di durata decorrer� quindi dal decreto e non dalla presa di possesso. Tale ipotesi 
ricostruttiva appare maggiormente fedele al complesso delle disposizioni disciplinanti 
la materia delle occupazioni di urgenza e rispettosa dei diversificati 
moduli procedimentali ed ha altres� il pregio di evitare che la cessazione della 
compressione del diritto dominicale sia indefinitamente sospesa nel tempo. 

� Viceversa ci� avverrebbe se la durata della occupazione si facesse decorrere 
dalla data di immissione in possesso non essendo per le occupazioni statali per 
quanto gi� illustrato -sanzionabile con la perdita di efficacia del decreto. 



252 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

scelte non sindacabili dal giudice, e non secondo quelli del procedimento 
che la P. A. avrebbe potuto o dovuto adottare (v. sent. nn. 4690/81 e 1673/82), 
la norma del 1974 ha determinato un regime in base al quale, per le 
opere d'interesse regionale in materia di edilizia residenziale pubblica, 
la disciplina del 1971 risultava totalmente applicabile con riguardo sia al 
procedimento ed alle competenze sia ai criteri indennitari; mentre, per 
quelle di ambito ultraregionale anche estranee alla materia contemplata 
dalla legge del 1971, ferme le regole procedimentali del modello proprio 
di questo tipo d'espropriazioni, si rendevano applicabili i crit�ri indennita� 
ri della legge del 1971, innestati sul tronco di un diverso schema procedimental�. 


La dichiarazione d'illegittimit� costituzionale -limitatamente alla 
determinazione dell'indennit� con riguardo ai suoli edificatori -dei criteri 
stabiliti dalla legge del 1971 e la riemersione, affermata dalla costante 
giurisprudenza di questa Corte, dei criteri fissati dalla legge n. 2359 del 
1865, in luogo di quelli caducati dalla pronunzia d'incostituzionalit�, ha 
poi determinato una sorta d'inversione, nel senso che, per le espropriazioni 
del secondo tipo, si � avuta una disciplina attinta alla legge del 
1865 per quanto concerne sia le regole procedimentali sia quelle indennitarie, 
mentre per le espropriazioni del primo tipo, alle norme procedimentali 
proprie del modello espropriativo disciplinato dalla legge del 1971 
fanno riscontro i criteri indennitari della legge del 1865. 

In�ogni ipotesi deve rilevarsi che il pericolo avvertito dalla Consulta di occupazioni 
senza limite di durata dovrebbe ritenersi comunque escluso dall'art. 13 
della legge 2359/1865 secondo cui nell'atto dichiarativo di pubblica utilit� devono 
essere stabiliti i termini di inizio delle espropriazioni e dei lavori a pena testuale 
di inefficacia con conseguente illegittimit� derivata dell'occupazione di urgenza 
per venir meno del suo presupposto. (Cons. Stat., Sez. IV, 28 novembre 1978, 

n. 1097 in Riv. Giur. Ed. 1979, I, 99). 
Anche a prescindere da quanto precede deve comunque rammentarsi l'orien� 
tamento giurisprudenziale secondo cui anche per determinare il termine di du� 
rata delle occupazioni disciplinate dalla legge 865/71 dovrebbe aversi pur sempre 
riguardo all'emissione del provvedimento nonostante che il tenore letterale della 
disposizione (art. 20, 2� comma cit.) faccia esplicito riferimento alla immissione 
nel possesso quale dies a quo dell'occupazione. (Cass. 28 dicembre 1990 n. 12197; 
Cass. 7 dicembre 1990 n. 11733; Cass. 11 giugno 1980 n. 3716 in Foro Amm. 1981, 
I, 2272). 

i> pertanto quanto mai auspicabile che quanto prima venga nuovamente 
riesaminata la problematica concernente l'ambito di applicabilit� del termine 
trimestrale di efficacia del decreto di occupazione rispetto a cui peraltro non � 
ammissibile alcuna proroga (Tar. Toscana, sez. I, 15 febbraio 1991, n. 35, in 
Foro Amm. 1991, II, 2349). Quanto precede tenuto altres� conto che la Corte 
Costituzionale, che pur aveva manifestato adesione al nuovo orientamento delle 
S.U., non ha lasciato intendere che una interpretazione delle disposizioni orientata 
ad una diversificazione dei moduli procedimentali esistenti in tema di occupa� 
zioni d'urgenza dovrebbe ritenersi sol per questo costituzionalmente illegittima. 

ADOLFO MUTARELLI 


PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

In questo tessuto normativo va considerata la disciplina dell'occupazione 
d'urgenza per le espropriazioni non disciplinate dalla legge n. 865/71, 
in quanto preordinate alla realizzazione di opere ed interventi dello Stato 

o di altri enti pubblici e non concernenti la materia regolata da quella 
legge; e, in particolare, il problema relativo alla portata dell'art. 20, 
1� e 2� comma, e dell'art. 14 della legge 28 gennaio 1977 n. 10. 
In base all'art. 20, il decreto che dispone l'occupazione d'urgenza delle 
aree da espropriare pe:rrle efficacia ove l'occupazione non segua nel termine 
di tre mesi dalla sua emanazione (1� comma); e. l'occupazione pu� essere 
prorogata fino a cinque anni dalla data d'immissione in possesso (2� comma). 
L'interconnessione tra i due commi � evidente e rappresenta il contenuto 
sostanziale della novit� della legge del 1971 rispetto a quella del 
1865: da un lato, si consente la protrazione del periodo di occupazione 
legittima fino a cinque anni e lo si fa iniziare dalla data della effettiva 
immissione in possesso; dall'altro, l'ampliamento del periodo e (soprattutto) 
la sua decorrenza da tale momento trovano giustificazione nella 
circostanza che. questa avvenga entro tre mesi dal decreto, pena la perdita 
di efficacia del provvedimento. Chiara, del pari, . � la ratio delle due proposizioni 
in cui si articolano gli inscindibili momenti di un precetto necessariamente 
unitario sul piano logico-giuridico: che � quella d'impedire 
che la protrazione del periodo ed il suo inizio dalla immissione in possesso 
possano tradursi in una indefinita compressione (gi� determinata 
dalla emanazione del decreto di occupazione), senza ragionevoli limiti 
temporali all'efficacia di esso, del diritto di propriet� e delle facolt� di 
godimento che vi ineriscono e che tale compressione rimanga senz'indennizzo 
fino al momento della effettiva immissione in possesso ad libitum 
del soggetto autorizzato ad occupare. 

N� � sufficiente ad impedire questi effetti la delimitazione temporale 
della dichiarazione di pubblica utilit�, all'interno della quale, con autonome 
e proprie finalit�, sono destinati ad operare i termini e le modalit� 
dell'occupazione d'urgenza; cos� come privo di rilevanza nella questione in 
esame � il 3� comma dell'art. 1 della legge 3 gennaio 1978 n. l, per il quale 
gli effetti della dichiarazione di pubblica utilit� e di urgenza e indifferibilit� 
(cui il 1� comma equipara l'approvazione dei progetti di opere pubbliche 
da parte dei competenti organi statali, regionali, delle Province 
autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali) cessano se le 
opere non hanno avuto inizio nel triennio successivo all'approvazione del 
progetto. La norma, finalizzata all'accelerazione delle procedure per l'esecuzione 
di opere pubbliche e d'impianti e costruzioni industriali e chiaramente 
riferita anche alle opere di competenza regionale, non pone nel 
nulla il diverso termine trimestrale dalla emanazione del decreto in cui 
l'occupazione deve materialmente seguire (e per di pi� con riguardo anche 
alle opere di competenza regionale per le quali l'ente ricorrente non contesta 
l'applicabilit� del termine stesso). 


RASSEGNA AVVOCATORA DELLO STATO

254 

La coesistenza e compatibilit� dei due termini � stata felicemente 
colta dalla sentenza della I sezione n. 8801 del 21 luglio 1992, la quale ha 

!affermato che, � in tema di occupazione temporanea e d'urgenza del fondo 
espropriando, ed al fine dell'applicazione dell'art. 20, primo comma, della 
legge 22 ottobre 1971 n. 865 ..., occorre fare riferimento al momento della 

~ 

immissione dell'.occupante nel possesso del bene, non a quello dell'inizio de� 
lavori (rilevante ai diversi fini dell'art. l, terzo comma, della legge 3 gennaio 
1978 n. 1 �.. ) �; e si spiega con la considerazione che, mentre la legge 
del 1978 � finalizzata alla realizzazione del pubblico interesse alla speditezza 
delle procedure, l'art. 20 tutela anche l'interesse del proprietario del 
fondo occupato a veder delimitata e determinata nel tempo la compressione 
del suo diritto ed a vederne pienamente indennizzato il sacrificio. 

Alla unitaria considerazione del precetto normativo, quale si � individuato, 
non � di ostacolo che esso sia espresso in commi separati. 

Come si � altre volte osservato (v., in motivazione, la sentenza 17 maggio 
1989 n. 2337 della I sezione), le disposizioni di cui una norma risulta 
composta non s'identificano necessariamente con i singoli articoli o con 
le partizioni interne di articoli (commi, paragrafi) in cui si presentano topograficamente 
raccolte e suddivise le proposizioni linguistiche in cui 
esse si articolano. Infatti, per aversi una disposizione giuridicamente 
� significante �, spesso si richiede il concorso di pi� proposizioni, anche se 
topograficamente distinte, com'�, d'altra parte, possibile che entro una 
sola proposizione siano formulate pi� disposizioni, dotate ciascuna di un 
proprio e distinto significato giuridico. Ci� che in ogni caso occorre � che 
la singola disposizione, per essere tale, abbia un proprio autonomo e distinto 
significato (sia, cio�, giuridicamente �significante�) e ohe non si 
ponga (com'� invece per i due primi commi dell'art. 20) quale componente 
essenziale dell'intera norma, in modo che questa sia suscettibile di vivere 
con un proprio contenuto, anche prescindendo dalle singole disposizioni e 
senza che il normale margine d'incertezza della norma ne risulti ulteriormente 
accresciuto. 

L'interdipendenza, al fine dell'individuazione della voluntas legis, fra 
la decorrenza del periodo di occupazione legittima e la perdita di efficacia 
del decreto, ove l'apprensione del bene non segua entro tre mesi dalla 
data del provvedimento, costituisce la base del ragionamento, che qui si 
condivide e di. seguito si riassume, svolto dalla sentenza 11 giugno 1980 

n. 3716 della I sezione. 
Con riguardo al dubbio, suscitato dalla formula dell'art. 73 della legge 
n. 2359 del 1865, circa l'alternativa d'identificare il dies a quo del termine 
biennale di occupazione legittima con la data di emanazione del decreto 
che pronuncia l'occupazione ovvero con quella in cui viene materialmente 
attuata, si � osservato, a sostegno dell'accoglimento della prima soluzione 
�(cui non osta l'analisi letterale della norma, che non offre validi elementi in 
senso contrario), che il decreto di o�cupazione attribuisce immediatamente 

PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 255 

al soggetto, a ci� autorizzato, di disporre dell'immobile allo scopo di eseguire 
l'opera pubblica per la quale il provvedimento � stato emanato ed 
incide in misura corrispondente sui poteri dominicali del titolare del bene, 
privandolo (temporaneamente) di tutte le facolt� di godimento o di alcune 
di esse. Il duplice effetto della costituzione del diritto dell'occupante 
e della corrispondente compressione del diritto del proprietario si verifica, 
cio�, nel momento stesso in cui il decreto � emanato, a prescindere dall'immissione 
in possesso del bene; e la mate:r.iale apprensione di esso 
si colloca, quindi, nell'ambito di un rapporto giuridico in atto e in una 
situazione in cui si � gi� prodotto l'effetto giuridico ablatorio. 

Ci� posto, se il termine biennale di cui all'art. 73 della legge del 1865 
fosse riferito alla materiale occupazione e non al provvedimento, che per 
ci�, in ipotesi, potrebbe ricevere concreta attuazione in ogni tempo, la 
rilevata compressione del diritto dominicale potrebbe durare sine die; e 
questa conseguenza, a parte le implicazioni sul piano costituzionale con 
riguardo al principio della necessaria temporaneit� (e piena indennizzabilit�) 
dei vincoli ablatori, � in diretto contrasto con la ratio della disposizione, 
posta anche nell'interesse del privato e chiaramente volta ad assicurare 
in ogni caso il carattere temporaneo dell'effetto ablatorio che caratterizza 
lo stesso istituto dell'occupazione. 

Questa esegesi s'impone anche in considerazione della finalit� della 
occupazione temporanea, che � rapportata al presupposto dell'urgenza e 
per ci� trova legittimo fondamento solo nelle situazioni in cui tale presupposto 
ricorre (oggettivamente esistente o dichiarato dalla P.A.), con fa 
conseguenza che deve sussistere una normale (quasi) contemporaneit� fra 
il decreto e la materiale occupazione. Ci� spiega perch� l'art. 73 non distingua, 
ai fini della decorrenza del termine, fra i due momenti suddetti, 
ritenuti sostanzialmente coincidenti; e spiega, altres�, perch� nel procedimento 
di occupazione non si richieda la fissazione dei termini d'inizio e 
di compimento dei lavori, essendo sufficiente l'unico limite temporale 
stabilito dalla norma medesima. 

In armonia con tali principi -conclude la citata sentenza -� l'art. 20 
della legge n. 865/71, che, nel regolare l'occupazione d'urgenza delle aree 
da espropriare per le finalit� della stessa legge, prevede due distinti termini 
di durata per il decreto e per la materiale occupazione, stabilendo che il 
primo perde efficacia se entro tre mesi dalla sua emanazione non segua 
l'apprensione del bene e che la seconda non pu� essere protratta oltre i 
cinque anni dall'immissione in possesso. 

Da tali rilievi -che qui si condividono -si ricava che la necessaria 
temporaneit� dell'occupazione e la piena indennizzabil�t� del vincolo subito 
dal privato possono essere assicurate o ancorando il dies a quo alla data 
del decreto, come nel sistema tracciato nella legge del 1865, o fissando un 
tempo relativamente breve entro il quale la materiale occupazione deve 
seguire al decreto, se da essa si faccia decorrere il periodo di occupazione 

"~~�ᥥ1�11�~��



256 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

legittima; e che, in questa seconda ipotesi, la fissazione del termine per la 
materiale occupazione e la decorrenza del periodo di occupazione legittima 
sono tanto indissolubilmente legati che non avrebbe senso l'applicazione 

(ed il richiamo da parte di un'altra norma) di una soltanto .delle due 
regole, inidonea, da sola, a realizzare la ratio legis. 
Considerati unitariamente i primi due commi dell'art. 20 della legge 
n. 865/71 in quanto componenti essenziali di un unico precetto giuridicamente 
�significante�, ne deriva che l'art. 14 della legge n. 10/77, quando 
nel comma aggiunto al suddetto art. 20 stabilisce che � il disposto del 
secondo comma... deve intendersi applicabile anche alle occupazioni preordinate 
alla realizzazione delle opere e degli interventi previsti dall'art. 4 
del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, convertito, con modificazioni, nella 
legge 27 giugno 1974, n. 247 �, ha inteso sostituire al precedente regime, di 
cui alla legge n. 2359/1865, l'intera disciplina delle occupazioni di urgenza 
contenuta nella legge n. 865/71, con tutte le modalit� che la rendono applicabile 
e la giustificano nella logica del sistema e nella insopprimibile esigenza 
della temporaneit� e determinatezza della compressione del diritto 
del privato e della piena indennizzabilit� del sacrificio che gli � imposto. 
N�n deve trarre in inganno, quindi, la mancata indicazione, nel comma 
aggiunto all'art. 20, del 1� comma, perch� questa, alla stregua di quanto 
osservato, � necessariamente implicata dal richiamo del 2� comma, allo 
stesso modo in cui non assume alcun rilievo il mancato richiamo del 
3� comma concernente i modi di determinazione della relativa indennit�, 
appunto perch� correlato alla determinazione della indennit� di espropriazione 
oggetto dell'estensione operata dall'art. 4 della legge del 1974. 
Scopo del richiamo contenuto nell'art. 14 -come si evince dall'uso 
di una formula (� deve intendersi applicabile�) idonea a far operare retroattivamente 
la norma -fu quello d'incidere direttamente sul tessuto 
normativo della legge del 1971, rendendo unitaria la disciplina dell'occupazione 
d'urgenza, cos� come, con la legge del 1974, si erano uniformati 
i criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione, nell'intento 
di armonizzare il pi� possibile i diversi modelli espropriativi in concreto 
utilizzati, al fine di una sostanziale giustizia distributiva. E, se, in tema 
di occupazione d'urgenza, l'aspetto qualificante della legge del 1971 rispetto 
alla disciplina del 1865 � rappresentato proprio dalla rilevanza attribuita 
al momento dell'immissione in possesso, sia come inizio del pi� lungo 
periodo di occupazione legittima, sia quale elemento riflettentesi sulla effi. 
cacia stessa del provvedimento autorizzativo, non pu� ritenersi che, nella 
voluta uniformazione della disciplina precedente a quella introdotta con 
la legge n. 865/71, sia rimasto in disparte proprio l'elemento innovativo 
di maggiore significato. 
Ci� � apparso tanto evidente che in una controversia in cui era 
. parte l'ENEL, decisa con la sentenza della I sezione 6 luglio 1988, n. 4438, 
in cui si discuteva se ad impedire l'inefficacia del decreto fosse sufficiente 
j 
! 



PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 

porre in essere, nei tre mesi, un mero inizio di esecuzione del provvedimento, 
la tesi, oggi sostenuta e che sarebbe stata risolutiva della lite in 
senso favorevole all'Ente, non fu neppure prospettata; e che anche le 
Sezioni Unite, con numerose decisioni (n. 10942 ed altre del 13 novembre 
1990; n. 2048 del 9 febbraio 1992), prima e dopo la citata sentenza numero 
12587/91 (sulla quale si ritorner� tra poco), hanno affermato, in 
materia di competenza statale, l'applicabilit� dell'art. 20 nella parte in cui 
prevede �he il decreto autorizzativo dell'occupazione d'urgenza perde 
efficacia se l'occupazione non segua nei tre mesi. 

La questione non � stata considerata nei termini sopra indicati dalla 
sentenza n. 12587/91. 

Nella controversia in essa esaminata, l'applicabmt� alle occupazioni 
pi:;eordinate alla realizzazione di opere di competenza statale del termine di 
efficacia del: decreto era stata invocata sul presupposto che la formulazione 
lessicale dell'art. 9 della legge n. 865/71, nella parte in cui fa riferimento 
alla realizzazione di � singole opere pubbliche �, fosse da intendere 
nel senso che, gi� in virt� di questa norma, si era determinata una generalizzazione 
della disciplina dettata dalla citata legge, con estensione alle 
opere e interventi di competenza ultraregionale. 

In questa prospettiva � stata esaminata la questione e la tesi sostenuta 
dalla parte privata � stata disattesa con argomentazioni volte a dimostrare 
che, come del resto era stato gi� ritenuto con le sentenze n. 4690/81 
e 1673/82 e si ribadisce in questa sede, l'art. 9, sia nella formulazione originaria 
sia in quella risultante dalla successiva interpretazione autentica, 
non consentiva di affermare che, sin dalla sua emanazione, la legge n. 865/71 
disciplinasse espropriazioni diverse da quelle dirette alla realizzazione degli 
scopi da essa avuti di mira e nella materia in essa contemplata. E la menzione 
dell'art. 14 della legge del 1977, come estensivo a tutte le espropriazioni 
ad opera dello Stato e degli altri enti pubblici �del (solo) 2� comma 
dell'art. 20 �, costituisce, nella economia della motivazione, un mero riferimento 
testuale, che non esime La Corte dalla ulteriore verifica se tale 
riferimento, collocato nel sistema, possa costituire elemento significativo 
e risolutivo della questione. Le conclusioni, cui la citata sentenza perviene, 
sono, infatti, nel solo senso che � deve essere esclusa l'applicabilit� alle 
occupazioni di urgenza finalizzate alla realizzazione di opere stradali per 
conto dell'Anas della citata norma dell'art. 20, 1� comma, non sussistendo 
nel disposto del precedente art. 9 il preteso generaZizzato richiamo con 
riguardo a tutti i procedimenti espropriativi �. 

Pertanto, precisata nei termini che precedono la motivazione della 
sentenza impugnata, il ricorso dev'essere rigettato. 


SEZIONE SECONDA 

GIURISPRUDENZA COMUNITARIA 
E INTERNAZIONALE 


CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Plenum, 26 aprile 
1994, nella causa C-272/91 -Pres. Due -Avv. Gen. Gulmann -Commissione 
delle Comunit� europee (ag. Aresu e Pellicer) c. Repubblica 
italiana (avv. Stato Braguglia). 

Comunit� europee -Libera prestazione dei servizi . Libera circolazione 
delle merci � Concessione del sistema di automazione del gioco del 
lotto. 

(Trattato CEE, artt. 30, 52 e 59; direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77162/CEE,
mod. con direttiva del Consiglio 22 marzo 1988, n. 88/295/CEE, artt. 9 e 17-25). 

La Repubblica italiana, avendo omesso di comunicare, ai fini delta 
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� europee, dapprima, 
all'inizio del 1990, un bando di gara rindicativo attestan~e il totale degli 
appalti, per settore di prodotti, il cui valore di stima era pari o superiore 
a 750.000 ECU, che it ministero delle Finanze italiano intendeva aggiudJicare 
nel corso dello stesso anno, nonch� sucoessivament�e, nel novembre 
1990, un bando relativo ad un appalto-concorso per 'la .concessione 
del sistema di automazione del gioco ael lotto, .ed avendo riservato la 
partecipazione al predetto appalto-concorso soltanto ad enti, societ�, 
consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, consMernto singolarmente 
o complessivamente, fosse a prevalente partecipazrione pubblica, 
� venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 52 
e 59 del Trattato CEE e degli artt. 9 e 17-25 della direttiva del Consiglio 
21 dicembr.e 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione 
degli appaltii pubblici di forni tura, come modifioata dalla direttiva 
del Consiglio 22 marzo 1988, 88/295/CEE. 

(omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria 
della Corte il 18 ottobre 1991, la Commissione delle Comunit� europee ha 
proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far. 
dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di comunicare, ai 
fini della pubblicazione nella Gazzetta Uffioiale delle Comunit� europee, 
dapprima, all'inizio del 1990, un bando di gara indicativo riguardante il 
totale degli appalti, per settore di prodotti, il cui valore di stima era 
pari o superiore a 750.000 ECU, che il ministero delle Finanze italiano 
intendeva aggiudicare nel corso dello stesso anno, nonch� successivamente, 
nel mese di novembre 1990, un bando di gara relativo ad un appal



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

to-concorso per la concessione del sistema di automazione del gioco del 
lotto, ed avendo riservato la partecipazione al predetto appalto-concorso 
ai soli enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, 
considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazione 
pubblica, � venuta meno agli obblighi che le incombono ai 
sensi degli artt. 30, 52 e 59 del Trattato CEE, nonch� degli artt. 9 e 17-25 
della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina 
le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (G. U. 1977, 

L. 13, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 22 mar-
88/295/CEE (G. U. L. 127, pag. 1). 
2. -Gli antefatti della lite sono riassunti ai punti 6-16 dell'ordinanza 
del presidente della Corte 31 gennaio 1992 (C-272/91 R, Racc. pag. I-457), 
emessa a seguito di una domanda di provvedimenti urgenti presentata 
dalla Commissione nell'ambito del presente ricorso, e con la quale � stato 
ingiunto alla Repubblica italiana di adottare i provvedimenti necessari 
per sospendere gli effetti giuridici del decreto del ministro delle Finanze 
14 giugno 1991 che aggiudica la concessione del sistema di automazione 
del gioco del lotto al consorzio Lottomatica nonch� l'esecuzione del contratto 
stipulato a tal fine. 
Sulla violazione degli artt. 52 e 59 del Trattato. 

3. -La Commissione fa valere che, riservando la partecipazione alla 
gara d'appalto per la concessione del sistema di automazione del gioco 
del lotto in Italia unicamente ad � enti, societ� o consorzi, nonch� a 
raggruppamenti il cui capitale sociale, sia singolarmente che complessivamente, 
sia a prevalenza pubblica�, la Republica italiana � venuta meno 
agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 52 e 59 del Trattato. 
4. -Si tratterebbe, infatti, di un caso di applicazione concreta di 
quella riserva, censurata dalla Corte nella sentenza 5 dicembre 1989, 
Commissione/Italia (causa C-3/88, Racc. pag. 4035), per effetto della quale 
solo le societ� a prevalente o totale partecipazione statale o pubblica, 
diretta o indiretta, avevano la possibilit� di concludere con lo Stato italiano 
convenzioni concernenti la realizzazione di sistemi informativi per 
conto della pubblica amministrazione. 
5. -Il governo italiano contesta l'asserito inadempimento. Esso sostiene 
che le gare d'appalto considerate nella sentenza citata riguardavano 
la fornitura di sistemi informativi che il fornitore era altres� 
chiamato a gestire, effettuando una prestazione di servizi in favore della 
pubblica amministrazione, mentre la gara d'appalto di cui trattasi nel 
presente ricorso ha ad oggetto -come emerge in particolare dal programma 
tecnico allegato al capitolato d'oneri relativo al bando di ap

260 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

palto-concorso controverso -una concessione con la quale la suddetta 
amministrazione ha trasferito ad un terzo l'esercizio di attivit� di competenza 
dei pubblici poteri, vale a dire parte dei poteri organizzativi, 
ispettivi e di certificazione relativi al gioco del lotto, il cui esercizio, �in 
forza della normativa vigente in Italia, spetta esclusivamente allo Stato. 
Ebbene, conformemente all'art. 55 del Trattato, le disposizioni degli 
artt. 52 e 59 non si applicano alle attivit� che pertecipino, negli Stati 
membri, all'esercizio dei pubblici poteri. 

6. -g opportuno rilevare che, come � stato dimostrato dall'avvocato 
generale nei paragrafi 18-23 delle sue conclusioni, l'introduzione del sistema 
d'automazione controverso, che comprende, secondo il bando di 
appalto-concorso di cui � causa, i locali, la fornitura, l'impianto, la manutenzione, 
il funzionamento, la trasmissione dei dati e quanto altro 
occorre per il completo esercizio del gioco del lotto, non implica alcun 
trasferimento di poteri al concessionario per quel che riguarda le diverse 
operazioni inerenti al gioco del lotto. 
7. -Infatti, in primo luogo, i ricevitori del lotto continuano ad 
essere responsabili della raccolta delle giocate, mentre il terminale del 
concessionario si limita alla registrazione, al controllo automatico e alla 
trasmissione dei dati risultanti dalle operazioni compiute dal responsabile 
del punto di registrazione. Secondo quanto previsto dal programma 
tecnico, quest'ultimo � in grado, in caso di errore, di correggere i dati 
registrati e persino di annullare uno scontrino rilasciato dal terminale. 
8. -In secondo luogo, le estrazioni vengono effettuate dalle � commissioni 
di estrazione �, che sono organi statali al pari delle � commissioni 
di zona�, alle quali permane la responsabiilt� di controllare e 
convalidare i biglietti vincenti. 
9. -In terzo luogo, come ha riconosciuto lo stesso governo italiano, 
� pur sempre la pubblica amministrazione che, in ultima istanza, riconosce 
e paga le vincite. 
10. -In quarto luogo, il fatto che, come risulta dal punto primo del 
programma tecnico, l'appalto comprenda anche � quanto altro occorra 
per il completo esercizio del gioco � non consente di giungere alla 
conclusione che il concessionario eserciti pubblici poteri, bens�, semplicemente, 
che esso deve operare mantenendosi nei limiti della concessione. 
11. -In quinto luogo, non pu� essere accolta la tesi sostenuta dal 
governo italiano, secondo il quale i pagamenti volontari effettuati da 
. coloro che 
partecipano al gioco del lotto costituirebbero una forma di 
esazione tributaria che implicherebbe, da parte del concessionario, l'esercizio 
di pubblici poteri. 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 261 

12. -Stando cos� le cose, le prestazioni spettanti al concessionario 
del sistema di automazione del gioco del lotto, ovvero, segnatamente, la 
progettazione del sistema informativo e del software necessario, nonch� 
la conduzione del sistema stesso non si differenziano dalle prestazioni di 
natura tecnica previste da convenzioni concernenti la realizzazione di 
sistemi informativi per conto della pubblica amministrazione, sulla quale 
verteva la menzionata sentenza Commissione/Italia. 
13. -Le attivit� di cui trattasi non rientrano, pertanto, nell'ambito 
dell'eccezione contemplata dall'art. 55 del Trattato e si deve quindi concludere 
che la riserva controversa � in contrasto con gli artt. 52 e 59 
del Trattato e che la censura di violazione delle disposizioni suddette 
deve essere accolta. 
SuEla violaZJione dell'art. 30 del Trattato. 

14. -Occorre rilevare che la Commissione, a sostegno della censura 
relativa alla violazione dell'art. 30, si � limitata ad asserire, nel corso 
della fase precontenziosa, che la riserva controversa, vale a dire la limitazione 
della possibilit� di partecipare alla gara d'appalto di cui trattasi 
ai soli enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, 
considerato singolarmente o complessivamente, sia a prevalenza pubblica, 
esclude di fatto le societ� degli altri Stati membri che si troverebbero 
nell'impossibilit� di proporre i propri sistemi informativi nonch� il 
proprio � software � per la gestione del servizio al quale si riferisce la 
gara d'appalto. Ne consegue, secondo la Commissione, che la suddetta 
riserva, cos� come la misura oggetto della sentenza 20 marzo 1990, causa 
C-21/88, Du Pont de Nemours italiana (Racc. pag. 1-889), in base alla 
quale una data percentuale degli appalti pubblici di forniture era 
riservata alle sole imprese aventi sede in determinate regioni del territorio 
nazionale, ha per effetto che i prodotti originari di altri Stati 
membri siano discriminati rispetto a quelli fabbricati nello Stato membro 
in questione e che risulti ostacolato il normale svolgimento degli scambi 
intracomunitari. 
15. -Va rilevato che la Commissione non espone, in questa fase, i 
motivi che la inducono a ritenere che l'esclusione delle imprese straniere 
dalla partecipazione alla controversa gara impedisca l'utilizzazione, da 
parte dell'aggiudicatario, di prodotti originari di altri Stati membri per la 
messa in funzione del sistema informativo di cui � causa. 
.16. -Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte (v., in particolare, 
sentenza 14 febbraio 1984, causa 325/82, Commissione/Germania, 
Racc. pag. 777), la lettera di intimazione e il parere motivato devono 



262 

RASSEGNA AVVOCATURA Dm.LO STATO 

essere adeguatamente motivati per consentire allo Stato interessato di 
presentare le sue osservazioni. Per le ragioni sopra esposte, ci� non si � 
verificato nella fattispecie. 

17. -Ne consegue che la censura relativa alla violazione dell'art. 30 
deve essere dichiarata d'ufficio irricevibile. 
Sulla violazione della dir1ettiva 77/62 come modiNcata dalla direttiva 
88/295. 

18. -La Commissione contesta, in primo luogo, alla Repubblica 
italiana di aver violato la disposizioni dell'art. 9 della direttiva 77/62, 
come modificata dalla direttiva 88/295 (in prosieguo: la �direttiva�), 
per aver omesso di comunicare, ai fini della pubblicazione nella Gazzetta 
Ufficiale delle Comunit� europee, dapprima, all'inizio del 1990, un bando 
di gara indicativo riguardante il totale degli appalti, per settore di 
prodotti, il cui valore di stima era pari o superiore a 750.000 ECU, che 
il ministero delle Finanze italiano intendeva aggiudicare nel corso dello 
stesso anno, nonch� successivamente, nel mese di novembre 1990, un 
bando di gara relativo ad un appalto-concorso per la concessione del 
sistema di automazione del gioco del lotto. Essa considera, in secondo 
luogo, che avendo riservato la partecipazione al predetto appalto-concorso 
soltanto ad enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale 
sociale, considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente 
partecipazione pubblica, la Repubblica italiana ha altres� trasgredito 
gli artt. 17-25 della medesima direttiva. 
19. -L'art. 9, nn. l, 2 e 4, della direttiva, cos� recita: 
� 1. A decorrere dal 1� gennaio 1989, le amministrazioni aggiudicatrici 
elencate nell'allegato I della direttiva 80/767 /CEE comunicano, non 
appena possibile dopo l'inizio del loro esercizio finanziario, con un bando 
di gara indicativo, il totale degli appalti, per settore di prodotti, il cui 
valore di stima, tenuto conto delle disposizioni dall'art. 5, � pari o superiore 
a 750.000 ECU e che esse intendono aggiudicare nel corso dei dodici mesi 
successivi. 
Il Consiglio, deliberando su proposta della Commissione e previa 
consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, 
decide, anteriormente al 1� marzo 1990, se estendere tale obbligo alle 
altre amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 1. 

2. Le amministrazioni aggiudicatrici che intendono aggiudicare un 
appalto pubblico di forniture mediante procedura aperta, ristretta o, alle 
condizioni di cui all'art. 6, paragrafo 3, negoziata ai sensi dell'art. 1, manifestano 
tale intenzione con un bando di gara. 
(...) 



PARTE I, SEZ. II, GIIJIUS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 263 

4. I bandi e avvisi di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 sono inviati H pi� 
rapidamente possibile per i .canali pi� appropriati all'Ufficio delle pubblicazioni 
ufficiali delle Comunit� europee. Nel caso della procedura accelerata 
di cui all'art. 12, i bandi di gara sono inviati per telescritto, telegramma 
o telecopia. 
a) Il bando di gara di cui al paragrafo 1 � inviato non appena 
possibile dopo l'inizio di ogni esercizio finanziario. 

b) L'avviso di cui al paragrafo 3 � inviato al pi� tardi quarantotto 
giorni dopo la stipulazione del contratto in questione �. 

20. -Gli artt. 17-25 della direttiva elencano, invece, i criteri di selezione 
qualitativa. e di aggiudicazione dell'appalto. 
21. -Secondo il governo italiano, le citate disposizioni non si 
applicano alla fattispecie in esame. 
22. -A tale riguardo, esso sostiene anzitutto che l'appalto-concorso 
controverso non ricade nel campo di applicazione della direttiva in quanto 
il predetto appalto non avrebbe ad oggetto la fornitura di beni alle 
autorit� aggiudicatrici, bens� la concessione ad un terzo, da parte della 
pubblica amministrazione, di un'attivit� inerente all'esercizio di pubblici 
poteri in materia di imposizione tributaria, caratterizzata dall'assenza di 
un trasferimento di beni e di un corrispettivo di tali beni. 
23. -Questo argomento deve essere respinto. 
24. -Come risulta dai punti 7-11 della presente sentenza, l'introduzione 
del sistema di automazione controverso non implica alcun trasferimento 
di poteri al concessionario per quel che riguarda le diverse operazioni 
inerenti al gioco del lotto. � peraltro pacifico che l'appalto di cui 
trattasi ha ad oggetto la fornitura di un sistema di automazione integrato 
che comprende, in particolare, la fornitura di determinati beni alla pubblica 
amministrazione. 
25. -Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, � irrilevante, 
in questo contesto, che la proprJet� del sistema suddetto passi alla 
pubblica amministrazione solo a scadenza del contratto stipulato con 
l'aggiudicatario e che il �prezzo� di tale fornitura sia costituito da un 
compenso annuo calcolato in rapporto al giro d'affari. Come giustamente 
rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, 
l'estensione, operata dall'art. 2 della direttiva 88/295, del campo di applicazione 
della direttiva ai � contratti aventi per oggetto l'acquisto, il leasing, 
la locazione, l'acquisto a riscatto con o senza opzione per l'acquisto � 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

264 

testimonia della volont� del legislatore comunitario di far ricadere nel 
campo di applicazione della direttiva la fornitura di prodotti che non 
necessariamente diventano di propriet� della pubblica amministrazione 
ed il cui corrispettivo viene filssato in termini astratti. 

26. -Il governo italiano sostiene ancora che l'amministrazione concedente, 
vale a dire l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato 
(in prosieguo: 1'� AAMS �), non � compresa nell'elenco delle amministrazioni 
aggiudicatrici di cui all'allegato I della direttiva del Consiglio 22 luglio 
1980, 80/767/CEE, che adatta e completa, per quanto riguarda alcune 
amministrazioni aggiudicatrici, la direttiva 77/62/CEE (G. U. L 215, 
pag. 1). Di conseguenza, l'art. 9 della direttiva 77/62 modificata, che stabilisce 
alcune prescrizioni in materia di pubblicit� a carico delle amministrazioni 
aggiudicatrici di cui al suddetto allegato, non sarebbe applicabile nel 
caso di specie. Questa tesi sarebbe corroborata dal testo della nota n. 2 nella 
parte concernente l'Italia dell'elenco succitato, laddove, con riferimento 
al ministero delle Finanze, viene formulata la seguente esclusione: � non 
compresi gli appalti conclusi dal monopolio dei sali e tabacchi �. Secondo 
il governo italiano, infatti, tale esclusione si riferisce non soltanto agli 
appalti conclusi dal monopolio dei sali e tabacchi, che era gestito dall'AAMS 
all'epoca dell'adozione della suddetta direttiva, ma anche a tutte 
le altre attivit� ora gestite da tale Amministrazione. 
27. -Questa tesi � priva di fondamento. 
28. -Come ha giustamente rilevato la Commissione, emerge dal� 
l'art. 4, quarto comma, della legge 2 agosto 1982, n. 528 (GURI n. 222 
del 13 agosto 1982), come modificato dall'art. 2 della legge 19 aprile 1990, 
n. 85 (GURI n. 97 del 27 aprile 1990), che il ministero delle Finanze � la 
sola ed unica amministrazione aggiudicatrice dell'appalto di cui trattasi. 
L'AAMS, che gestisce il gioco del lotto, costituisce in ogni caso una semplice 
articolazione amministrativa del ministero delle Finanze, sprovvista 
di personalit� giuridica autonoma, cosicch� persino gli atti formalmente 
imputabili all'AAMS ricadono, nella sostanza, nella sfera decisionale del 
suddetto ministero. 
29. -Quanto alla nota 2 che figura nell'allegato I alla direttiva 80/767, 
risulta dalla sua stessa formulazione che essa va riferita alle sole gare 
d'appalto indette dal monopolio dei sali e tabacchi. 
30. -Sostiene infine il governo italiano che, in ogni caso, trattandosi 
nella fattispecie del conferimento al concessionario dei diritto speciale ed 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

esclusivo di esercitare un'attivit� di servizio pubblico, di esercitare cio�, 
almeno in parte, il gioco del lotto, la sola norma da applicare � quella 
enunciata dall'art. 2, n. 3, della direttiva. Ai sensi di tale disposizione, �se 
lo Stato, un ente pubblico territoriale o una delle persone giuridiche di 
diritto pubblico oppure uno degli enti equivalenti, enumerati nell'allegato 
I, accorda ad un ente diverso dalle amministrazioni aggiudicatrici, 
indipendentemente dal suo stato giuridico, diritti speciali o esclusivi di 
esercitare un'attivit� di servizio pubblico, l'atto di concessione stabilisce 
che detto ente deve rispettare, per gli 'appalti pubblici di forniture conclusi 
con terzi nell'ambito di tale attivit�, il principio della non discriminazione 
in base alla nazionalit��. 

31. -Anche questo argomento va respinto. 
32. -Infatti, cmne emerge dai punti 7-11 della presente sentenza, 
l'organizzazione del gioco del lotto non viene trasferita al concessionario, 
i cui compiti rimangono limitati allo svolgimento di attivit� di carattere 
tecnico legate all'installazione e alla conduzione del sistema di automazione. 
Tali attivit� consistono, da un lato, nella prestazione di servizi alla 
pubblica amministrazione e, dall'altro, nella fornitura alla stessa di determinati 
beni. 
33. -Ne consegue, quindi, che le disposizioni della direttiva richiamate 
dalla Commissione sono applicabili� nella fattispecie e che le censure 
relative alla violazione delle medesime devono essere esaminate. 
34. -Per quel che riguarda la violazione delle disposizioni dell'art. 9 
della direttiva, la Repubblica italiana non contesta la mancata .comunicazione 
dei bandi di gara controversi. 
35. -Con riferimento alla violazione degli artt. 17-25 della direttiva, 
va rilevato che tali disposizioni elencano in modo esauriente ed inderogabile 
i criteri di selezione qualitativa e di aggiudicazione dell'appalto e che 
esse non prevedono la possibilit� di riservare la partecipazione alla gara 
soltanto ad enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, 
considerato singolarmente o complessivamente, sia a prevalente 
partecipazione pubblica. 
36. -Risulta da quanto precede che vanno altres� accolte le censure 
relative alla violazione della direttiva 77/62, come modificata dalla direttiva 
88/295. (omissis) 

266 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 17 mag


gio 1994, nella causa C-18/93 -Pres. Due -Avv. Gen. Van Gerven Domanda 
di pronuncia predigiudiziale proposta dal Tribunale di 
Genova nella causa Corsica Ferries Italia s.r.l. c. Corpo dei piloti del 
porto di Genova -lnt~rv.: Governi francese (ag. Pouzoulet e Renie) e 
italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle Comunit� europee 
(ag. Traversa e Di Bucci). 

Comunit� europee -Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio di pilo� 
taggio -Tariffe discriminatorie -Libera prestazione dei servizi. 
(Trattato CEE, artt. 5, 7, 59, 61, 74, 75, 84; reg. del Consiglio 22 dicembre 1986, 

n. 4055, art. 1). 
Comunit� europee -Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio di pilo� 
taggio -Tariffe discriminatorie -Concorrenza. 
(Trattato CEE, artt. 86 e 90). 

L'art. l, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 22 dicembre 1986, 

n. 4055, che applica il prinoip~o della libera prestazione dei servizi ai 
trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, 
osta all'applicazione in uno Stato membro, per servizi di pilotaggio 
identici, di tariffe diverse a seconda che l'impresa che effettua trasporti 
marittimi tra due Stati membri gestisca una nave ammessa o meno al 
cabotaggio marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera di 
detto Stato. 
L'art. 90, n. 1, e l'art. 86 del Trattato vietano ad un'autorit� nazionale 
che approvi le tariffe stabilite da un'impresa investita del diritto esclusivo 
di offrire servizi di pilotaggio obbligatori su una parte sostanziale 
del mercato comune di indurla ad applicare tariiff e diverse alle 
imprese di trasporto mariittimo, a seconda che queste ultime effettuino 
trasporti fra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale, 
nella misura in cui ci� � pregiudizievole per il commercio tra gli Stati 
membri. 

(omissis) 1. -Con ordinanza 14 dicembre 1992, pervenuta in cancelleria 
il 19 gennaio 1993, il Tribunale di Genova ha sottoposto a questa 
Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, cinque questioni pregiudiziali 
vertenti sull'interpretazione degli artt. 5, 7, 30, 59, 85, 86 e 90 di 
detto Trattato. 

2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una lite fra la 
Corsica Ferries Italia S.r.l. (in prosieguo: 1a �Corsica Ferries �) e il 
Corpo dei piloti del porto di Genova (Corporazione dei piloti del porto 
di Genova, in prosieguo: la �Corporazione�) in merito al rimborso alla 
�Corsica 
Ferries di una parte delle tariffe che essa aveva versato per i 
servizi di pilotaggio nel porto di Genova. 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARI11: E INTERNAZIONALE 267 

3. -Il servizio di pilotaggio nei porti marittimi italiani, disciplinato 
dal codice della navigazione e dal suo regolamento di esecuzione, viene 
fornito, sotto la vigilanza e l'autorit� del comandante del porto, da 
corporazioni di piloti istituite con decreto del Presidente della Repubblica 
e dotate di personalit� giuridica. 
4. -Bench� in via di principio facoltativo, il servizio di pilotaggio � 
stato reso obbligatorio, con decreto del Presidente della Repubblica, in 
quasi tutti i porti italiani, fra cui quello di Genova. Sono previste sanzioni 
penali per il comandante della nave il quale non osservi l'obbligo di avvalersi 
del servizio di pilotaggio. 
5. -La tariffe di pilotaggio (stabilite. dalla Corporazione) sono approvate 
dal ministro della Marina mercantile, sentite le associazioni 
sindacali interessate, e sono rese esecutive in ogni porto con decreto 
dell'autorit� marittima competente. 
6. -In esecuzione dei decreti del direttore marittimo del 1989, del 
1990 e del 1991, nel porto di Genova venivano applicate varie riduzioni 
sulla tariffa di base, vale a dire una riduzione del 30 % per le navi a~messe 
al cabotaggio marittimo, cio� ai trasporti tra due porti italiani, una 
riduzione del 50 % per le navi di linea ammesse al cabotaggio marittimo 
e addette al traffico tra porti italiani con itinerario prestabilito e 
frequenza regolare, che effettuavano almeno uno scalo settimanale nel porto 
di Genova, nonch� altre riduzioni per navi superiori a 2.000 tonnellate 
di stazza lorda, ammesse al cabotaggio marittimo e che si avvalevano del 
servizio di pilotaggio per un determinato numero di volte al mese. 
7. -All'epoca dei fatti della causa principale solo le navi battenti 
bandiera .italiana potevano ottenere una licenza di cabotaggio marittimo. 
8. -La Corsica Ferries, societ� di diritto italiano, fornisce, in quanto 
impresa di trasporto marittimo, un servizio di linea regolare tra il porto 
di Genova e vari porti della Corsica, mediante due navi traghetto immatricolate 
in Panama e battenti bandiera di questo Stato. 
9. -Ritenendosi vittima di una discriminazione in contrasto con le 
norme del Trattato relative alla concorrenza e la libera prestazione dei 
servizi, la Corsica Ferries adiva il Tribunale di Genova, nell'ambito di 
un procedimento di ingiunzione ai sensi degli artt. 633 e seguenti del 
codice di procedura civile italiano, al fine di ottenere il rimborso della 
differenza fra la tariffa di base che essa aveva versato e la tariffa ridotta 
in vigore per le navi ammesse al cabotaggio marittimo. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

268 

10. -Nell'ambito di detta controversia, il Tribunale di Genova ha 
sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 
� 1) Se gli artt. 5 e 7 del Trattato CEE siano compatibili con le disposizioni 
di un ordinamento nazionale che, per le navi in servizio regolare 
di linea tra porti di due Stati membri, prevedono, quale corrispettivo 
del servizio di pilotaggio obbligatorio per la siourezza della navigazione, 
tariffe ridotte applicabili alle sole navi abilitate al "cabotaggio" 
tra porti nazionali nell'ipotesi in cui il cabotaggio tra porti nazionali 
sia, allo stato attuale del diritto comunitario, riservato alle sole navi 
battenti bandiera italiana. 

2) Se l'art. 30 del Trattato CEE sia compatibile con disposizioni o 
prassi dell'o11dinamento nazionale che impongono il ricorso obbligatorio 
all'impresa di pilotaggio, anche ove le stesse operazioni possano, in tutta 
sicurezza per la navigazione, essere eseguite in tutto o in parte a minor 
costo con uomini, mezzi e tecnologie di cui � dotata la nave. 

3) Se, nel caso di navi in servizio regolare di linea tra due Stati 
membri, l'art. 59 del Trattato CEE sia compatibile con disposizioni dell'ordinamento 
nazionale che consentono di praticare alle sole navi battenti 
bandiera nazionale riduzioni sulle tariffe obbligatorie applicate per il 
servizio di pilotaggio nei porti nazionali. 

4) Se l'approvazione da parte della pubblica autorit� di una tariffa 
obbligatoria, frutto di accordo e/o ,di concertazione fra le assodazioni di 
imprese del settore, costituisca "avallo" di un'intesa vietata dall'art. 85, 

n. 1, del Trattato CEE e, in caso di risposta positiva, se tale avallo possa 
essere compatibile con le disposizioni dell'art. 90, n. 1, in relazione agli 
artt. 5 e 85 del Trattato CEE. 
5) Se l'art. 90, n. l, in relazione all'art. 86 del Trattato CEE, sia 
compatibile con le disposizioni nazionali che consentono ad un'impresa 
dominante, cui sono attribuiti diritti escfusivi su parte sostanziale del 
mercato comune, di: 

a) praticare alle navi in servlZlo di linea regolare tra due Stati 
membri condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, nell'ipotesi in 
cui il sistema tariffario vigente preveda, a parit� di servizio, riduzioni di 
tariffe di fatto applicabili alle sole navi battenti bandiera nazionale; 

b) applicare, in dipendenza di quanto precede, alle navi battenti 
bandiera estera tariffe che prevedono corrispettivi di ammontare "tre 
volte" superiore rispetto ai corrispettivi previsti per le navi nazionali; 

e) non ridurre i costi di un servizio obbligatorio, come quello in 

. esame, 
nel caso in cui -sempre nel massimo rispetto, e sotto ogni 
profilo, delle esigenze di sicurezza della navigazione -la nave sia in 
grado di operare, almeno in parte, autonomamente �. 


PARTE I, SEZ, II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

Sulla competenza della Corte a risolv.ere le questioni. 

11. -La convenuta nella causa principale, il governo francese, il 
governo italiano nonch� la Commissione negano, per motivi diversi, la 
competenza della Corte a risolvere tutte le questioni sollevate dal giudice 
a quo. A questo proposito, essi sottolineano anzitutto che il giudice a quo 
non ha considerato il fatto che le navi sono immatricolate in Panama, 
il che sarebbe dovuto alla mancanza di contraddittorio nel procedimento 
di ingiunzione, e inoltre che le questioni formulate o aloune di esse non 
sono pertinenti rispetto alla domanda di cui il giudice a quo � investito. 
12. -Per quanto riguarda la natura del procedimento dinanzi al 
giudice nazionale, la Corte ha gi� affermato che il presidente di un tribunale 
italiano che si pronunci nell'ambito di un procedimento di ingiunzione 
previsto dal codice di procedura civile italiano esercita una funzione 
giurisdizionale ai sensi dell'art. 177 del Trattato e che questo articolo non 
fa dipendere la competenza della Corte dal carattere contraddittorio del 
procedimento nel corso del quale il giudice nazionale formula le questioni 
pregiudiziali, anche se il contraddittorio pu� risultare 1IJ.ecessario nell'interesse 
di una buona amministrazione della giustizia (v. sentenza 14 dicembre 
1971, causa 43/71, Politi, Racc. pag. 1039; sentenza 21 febbraio 1974, 
causa 162/73, Birra Dreher, Racc. pag. 201; sentenza 28 giugno 1978, 
causa 70/77, Simmenthal, Racc. pag. 1453; sentenza 9 novembre 1983, 
causa 199/82, San Giorgio, Racc. pag. 3595; sentenza 15 dicembre 1993; 
cause riunite C-277/91, C-318/91 e C-319/91, Ligur Carni, Racc. pag. I-0000; 
sentenza 3 marzo 1994, causa C-332/92, C-333/92 e C-335/92, Eurico, 
Racc. pag. I-0000). 
13. -Per quanto attiene all'incompletezza nella presentazione dei 
fatti, � sufficiente rilevare che le osservazioni scritte e orali presentate 
alla Corte contengono informazioni sufficienti sull'immatricolazione delle 
navi che consentono alla Corte di fornire al giudice nazionale una soluzione 
utile sulla base di tali elementi. 
14. -Infine, per quanto concerne la pertinenza delle questioni, la 
Corte ha considerato che essa non � competente a fornire una soluzione 
al giudioe a quo qualora le questioni sottopostele non abbiano alcun 
collegamento con i fatti o con l'oggetto della causa principale e non siano 
quindi obiettivamente necessarie per la soluzione di detta causa (v. sentenza 
16 giugno 1981, causa 126/80, Salonia, Racc. pag. 1563; sentenza 11 luglio 
1991, causa C-368/89, Crispoltoni, Racc. pag. I-3695; sentenza 28 novembre 
1991, causa C-186/90, Durighello, Racc. pag. I-5773; sentenza 16 luglio 
1992, causa C-343/90, Louren�o Dias, Racc. pag. I-4673; sentenza 
16 luglio 1992, causa C-67/91, Asociaci6n Espafiola de Banca Privada e a., 
Racc. pag. I-4785; sentenza Eurico, gi� citata; ordinanza 26 gennaio 1990, 
causa C-286/88, Falciola, Racc. pag. I-191). 

270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

15. -A questo proposito, si deve constatare che, come ha rilevato 
la Commissione, la domanda di cui � investito il giudice a quo verte 
unicamente sull'aliquota assertivamente discriminatoria della tariffa 
versata dalla ricorrente nella causa principale e non sulla natura obbligatoria 
del servizio di pilotaggio, sull'invariabilit� della tariffa indipendentemente 
dall'attrezzatura tecnica della nave o sulle modalit� di fissazione 
della tariffa stessa. 
16. -Di conseguenza, si devono risolvere soltanto la prima e la 
terza questione, relative all'osservanza del principio di non discriminazione 
nell'applicazione delle tariffe, nonch� le prime due parti della 
quinta questione, riguardanti il divieto di pratiche abusive da parte di 
imprese pubbliche. 
Sulla libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo. 

17. -Con la prima e la terza questione il giudice a quo mira in 
sostanza a stabilire se il diritto comunitario osti all'applicazione, in uno 
Stato membro, per servizi di pilotaggio identici, di tariffe diverse a 
seconda che l'impresa che effettua trasporti marittimi tra due Stati 
membri gestisca una nave ammessa o meno al cabotaggio marittimo, il 
quale � riservato alle navi battenti bandiera di detto Stato. 
18. -A questo proposito, occorre subito rilevare che l'art. 5 del 
Trattato, cui si fa riferimento nella prima questione, il quale impone 
agli Stati membri l'obbligo di assicurare l'esecuzione dei loro obblighi 
derivanti dal Trattato stesso, ha una formulazione cos� generica che non 
pu� essere applicato in maniera autonoma quando la situazione considerata 
�, come nel caso di specie, disciplinata da una disposizione specifica 
del Trattato (v. sentenza 11 marzo 1992, cause riunite da C-78/90 a 
C"83/90, Soci�t�s Compagnie commerciale de l'Ouest e a., Racc. pag. I-1847, 
punto 19). 
19. -Occorre rilevare inoltre che, conformemente alla costante 
giurisprudenza della Corte, l'art. 7 del Trattato CEE (art. 6 del Trattato 
CE), il quale sancisce il principio generale del divieto di discriminazione 
fondata sulla nazionalit�, tende ad applicarsi autonomamente solo 
nelle situazioni disciplinate dal diritto comunitari.o per le quali il Trattato 
non stabilisce norme specifiche di non discriminazione (v. sentenza 10 dicembre 
1991, causa C-179/90, Merci convenzionali porto di Genova, 
Racc. pag. I-5889, punto 11). 
20. -Orbene, il principio di non discriminazione � stato attuato e 
reso concreto, nel settore della libera prestazione dei servizi, dall'art. 59 
del Trattato. 
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PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

21. -Per quanto concerne la determinazione dei servizi ai quali si 
deve applicare l'art. 59 del Trattato, va constatato che un regime di tariffe 
differenziate per i servizi di pilotaggio pregiudica un'impresa di 
trasporto, quale la Corsica Ferries, per un duplice motivo. I servizi di 
pilotaggio costituiscono prestazioni fornite dietro retribuzione dalla Corporazione 
ai vettori marittimi e le differenze tariffarie riguardano questi 
ultimi nella loro qualit� di destinatari di tali servizi. Siffatte differenze 
tariffarie pregiudicano tuttavia il vettore soprattutto nella sua qualit� 
di prestatore di servizi di trasporto marittimo, in quanto esse si ripercuotono 
sul costo di questi servizi e sono quindi tali da sfavorirlo rispetto 
ad un operatore economico che fruisca del regime tariffario preferenziale. 
22. -Per valutare il regime tariffario di cui trattasi dinanzi al giudice 
nazionale con riguardo alla libera prestazione dei servizi di trasporto 
marittimo, occorre esaminare, in primo luogo, in quale misura il principio 
di non discriminazione sancito dall'art. 59 del Trattato si applichi nel settore 
dei trasporti marittimi e, .in secondo luogo, se siffatto regime discrimini 
in base alla nazionalit�. 
23. -A questo proposito, va rilevato, anzitutto, che l'art. 61, n. l, 
del Trattato dispone che la libera circolazione dei servizi, in materia di 
trasporti, � regolata dalle disposizioni del titolo del Trattato relativo ai 
trasporti (v., in particolare, sentenza 22 maggio 1985, causa 13/83, Parlamento/
Consiglio, Racc. pag. 1513, punto 62; sentenza 13 dicembre 1989, 
causa C-49/89, Corsica Ferries France, Racc. pag. 4441, punto 10). 
24. -Ne consegue, come la Corte ha considerato nelle sentenze Corsica 
Ferries France, gi� citata (punto 11), e 30 aprile 1986, cause riunite 
da 209/84 a 213/84, Asjes (Racc. pag. 1425, punto 37), che, nel settore 
dei trasporti, l'obiettivo fissato dall'art. 59 del Trattato e consistente nella 
soppressione, durante il periodo transitorio, delle restriziond alla libera 
prestazione dei servizi avrebbe dovuto essere raggiunto nell'ambito della 
politica comune definita agli artt. 74 e 75 del Trattato. 
25. -Per quanto concerne, in particolare, i trasporti marittimi, 
l'art. 84, n. 2, del Trattato dispone che il Consiglio potr� decidere se, 
in quale misura e con quale procedura potranno essere adottate opportune 
disposizioni per questo tipo di trasporto. 
26. -Il Consiglio ha quindi adottato, sulla base di dette ,d[sposizioni, 
il regolamento (CEE) 22 dicembre 1986, n. 4055, che applica il principio 
della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri 
e tra Stati membri e paesi terzi (G. U. L 378, pag. 1), il quale � 
entrato in vigore il 1� gennaio 1987. 

272 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

27. -Ai termini dell'art. 1, n. 1, di detto regolamento, 
� La libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo fra Stati 
membri e tra Stati membri e paesi terzi � applicabile ai cittadini degli 
Stati membri. stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destic 
natario dei servizi�, 

28. -Per quanto riguarda la sfera di applicazione ratione mat.eriae 
del regolamento n. 4055/86, dal testo stesso dell'art. 1 risulta che esso 
si applica a trasporti marittimi tra Stati membri del tipo dd cui trattasi 
nella causa principale. 
29. -Per quanto attiene alla sfera di applicazione tatione personae 
del regolamento n. 4055/86, va rilevato che l'art. 1 riguarda i oittadinii 
degli Stati membri stabiliti i.in uno Stato membro diverso da quello del 
destinatario dei servizi e non fa riferimento all'immatricolazione o alla 
bandiera delle navi gestite dall'impresa di trasporto. 
30. -Si deve anche sottolineare che la libera prestazione dei serv1z1 
di trasporto marittimo tra Stati membri, in particolare il principio di 
non discriminazione in base alla nazionalit�, pu� essere invocata da 
un'impresa nei confronti dello Stato in cui � stabilita qualora i servizi 
siano forniti a destinatari stabiliti in un altro Stato membro. Orbene, in 
un caso �come quello di cui trattasi nella causa principale, l'impresa stabilita 
in uno Stato membro e che gestisce un regolare servizio dii linea 
con un altro Stato membro al quale si riferisce il regolamento n. 4055/86 
offre detti servizi, per la loro stessa natura, in pa11ticolare a persone 
stabilite nel secondo Stato. 
31. -Di conseguenza, la situazione di cui si discute nella causa principale 
esula dall'ambito meramente interno e l'argomento addotto a 
questo proposito dal governo italiano dev'essere respinto. 
32. -Per esaminare, in secondo luogo, se il regime tariffario di cui 
trattasi dinaruJi al giudioe nazionale sia conforme al regolamento n. 4055/86, 
va ricordato come dai punti 6 e 7 della presente sentenza risulti che questo 
regime dispone un trattamento preferenziale per le navi ammesse al cabotaggio 
marittimo, vale a dire per quelle battenti bandiera nazionale. 
33. -Un regime del genere effettua una discriminazione indiretta 
tra gli operatori economici, a causa della loro nazionalit�, poich� le navi 
battenti bandiera di uno Stato sono gestite, !in linea di massima, da operatori 
economici nazionali, mentre i vettori originari di altri Stati membri 
non gestiscono, in genere, navi immatricolate nel primo Stato. 
34. -La validit� di tale considerazione non viene meno per il fatto 
che nella categoria degli operatori economici sfavoriti possono figurare 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 273 

anche vettor~ nazionali che gestiscono navi non immatricolate nel loro 
Stato, n� per il fatto che il gruppo degli operatori favoriti pu� comprendere 
vettori originari di altri Stati membri che gestiscono navi immatricolate 
nel primo Stato membro, mentre il gruppo favorito � costituito, 
essenzialmente, da cittadini nazionali. 

35. -Da quanto precede risulta che l'art. 1, n. 1, del regolamento 
n. 4055/86 vieta ad uno Stato membro di applicare, per servizi di pilotaggi 
identici, tariffe diverse a seconda che un'impresa, anche se originaria 
di detto Stato, la quale fornisce servizi di trasporto mal'ittimo tra questo 
Stato ed un altro Stato membro, gestisca una nave che � ammessa o meno 
al cabotaggio marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera 
di detto Stato. 
36. -A torto la Corporazione e il governo italiano tentano di giustificare 
la tariffazione �diversa con motivi relativi alla sicurezza della navigazione 
o alla politica nazionale dei trasporti o alla tutela dell'ambiente. 
Infatti, anche ammettendo che questi obiettivi possano giustificare l'intervento 
della pubblica amministrazione nel settore dei trasporti, una 
tariiffazione discriminatoria, come quella di cui trattasi dinanzi al giudice 
nazionale, non risulta necessaria per raggiungere gli obiettivi considerati. 
37. -Si deve pertanto risolvere la prima e la terza questione nel 
senso che l'art. 1, n. 1, del regolamento n. 4055/86, che attua il principio 
della libera prestazione dei servizi, in particolare il principio di non discriminazione 
nel settore dei trasporti marittimi tra Stati membri, osta 
all'applicazione in uno Stato membro, per servizi di pilotaggio <identici, 
di tariffe diverse a seconda che l'impresa che effettua trasporti marittimi 
tra due Stati membri gestisca una nave ammessa o meno al cabotaggio 
marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera di detto Stato. 
Sulle norme in materia di concorrenza. 

38. -Con la quinta questione, prima e seconda parte, il giudice nazionale 
mira, in sostanza, a stabilire se gli artt. 90, n. l, e 86 del Trattato 
vietino ad un'autorit� nazionale di consentire ad un'impresa investita del 
diritto esclusivo di offrire servizi di pilotaggio obbligatorio in una parte 
sostanziale del mercato comune di applicare tariiffe �diverse alle imprese 
di trasporto marittimo, a seconda che queste ultime effettuino trasporti 
tra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale. 
39. -A questo proposito, occorre ricordare che la Corporazione, convenuta 
nella causa prinoipale, � stata investita dalla pubblica ammini

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

274 


strazione del diritto esclusivo di effettuare i servizi di pilotaggio obbligatorio 
nel porto di Genova. 

40. -Un'impresa che fruisce di un monopolio legale su una parte 
sostanziale del mercato comune pu� essere considerata un'i:impresa che 
occupa una posizione dominante ai sensi dell'art. 86 del Trattato (v. sentenza 
23 aprile 1991, causa C-41/90, Hofner e Elser, Racc. pag. I-1979, 
punto 28; sentenza 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT, Racc. pag. I-2925, 
punto 31; sentenza Merci convenzionali porto di Genova, gi� citata, 
punto 14). 
41. -Il mercato di cui trattasi � quello dei servizi di pilotaggio nel 
porto di Genova. Tenuto conto in particolare del volume del traffico !in 
tale porto e della sua rilevanza rispetto al complesso delle attivit� di 
importazione e di esportazione marittime nello Stato membro interessato, 
si deve ravvisare in questo mercato una parte sostanziale del 
mercato comune (v. sentenza Merci convezwionali porto di Genova, gi� 
citata, punto 15). 

42. -Si deve precisare inoltre che il mero fatto di creare una posiziione 
dominante mediante l'attribuzione di diritti esclusivi, ai sensi dell'art. 
90, n. 1, non � di per s� incompatibile con l'art. 86 del Trattato. 
43. -Uno Stato membro trasgredisce tuttavia i divieti stabiliti d� 
dette due disposizioni qualora, approvando le tariffe stabilite dall'impresa, 
la -induca a sfruttare la sua posizione dominante in modo abusivo applicando, 
fra l'altro, agli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni 
equivalenti, ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. e), del Trattato. 
44. -Le pratiche discriminatorie considerate nell'ordinanza di rinvio, 
poich� riguardano imprese che effettuano trasporti tra due Stati 
membri, possono essere pregiudizievoli al commercio tra gli Stati membri. 
45. -Si deve pertanto risolvere la quinta questione, prima e seconda 
parte, nel senso che l'art. 90, n. l, e l'art. 86 del Trattato vietano ad 
un'autorit� nazionale che approvi le tariffe stabilite da un'impresa investita 
del diritto esclusivo di offrire servizi dii pilotaggio obbldgatorio su 
una parte sostanziale del mercato comune di indurla ad applicare tariffe 
diverse alle imprese di trasporto marittimo, a seconda che queste ultime 
. effettuino 
trasporti fra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale, 
nella misura in cui ci� � pregiudizdevole per il commercio tra 
gli Stati membri. (omissis) 


PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 275 

CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 6a sez., 2 giu


gno 1994, nella causa C-414/92 -Pres. Mancini -Avv. Gen. Gulmann � 

Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgedchtshof 

(Germania) nella causa Solo K.leinmotoren GmbH c. Boch� � Interv.: 

Governi tedesco (ag. Bohmer) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Com


missione delle Comunit� europee (ag. van Nuffel). 

Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdi


zionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commer


ciale � Riconoscimento delle decisioni � Preesistenza di decisione resa 

fra le medesime parti. Nozione -Transazione giudiziaria. 

(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., art. 27). 

L'art. 27, punto 3, della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, 
concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civile e commerciale, dev'essere interpretato nel senso che una 
transazione suscettibile di esecuzione conclusa dinanzi a un giudice dello 
Stato richiesto con la funzfone di definire una lite pendente non costituisce 
una � decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto �, 
menzionata da detta disposizione, che possa impedire, a norma della 
convenzione, il riconoscimento e l'esecuzione di una deoisione giudiziaria 
resa in un altro Stato contraente (1). 

(omissis) 1. -Con ordinanza 5 novembre 1992, pervenuta in cancelleria 
il 15 dicembre successivo, il Bundesgerichtshof ha sottoposto a 
questa Corte, a norma del protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione 
da parte della Corte di giustizia della convenzione 27 settembre 
1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle 
decisioni in materia civile e commerciale (G. U. 1972, L 299, pag. 32), come 
modificata dalla convenzione 9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Re


(1) Statuizione conforme alla soluzione proposta in causa dal Governo 
italiano per le considerazioni qui di seguito riportate. 
Decisione giudiziaria e transazione giudiziaria nella Convenzione di Bruxelles 

del 27 settembre 1968. 

Ha dato occasione al rinvio pregiudiziale una fattispecie nella quale si faceva 
valere una transazione anteriormente stipulata dalle parti in sede giudiziale 
in Germania (davanti all'Oberlandesgericht) rispetto ad una sentenza pronunciata 
in Italia (dal Tribunale di Bologna) fra le stesse parti e di cui era stato chiesto 
il riconoscimento in Germania ai sensi della convenzione: osservava una delle 
parti che la transazione assorbiva e definiva la materia oggetto del giudizio poi 
concluso con sentenza, mentre l'altra parte era di contrario avviso. 

Il Bundesgerichtshof chiede dunque se una transazione raggiunta in sede 
giudiziale in uno Stato membro possa essere considerata una � decisione � ai 
sensi dell'art. 27 n. 3 della convenzione, la cui presenza osti quindi al riconosci


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276 RASSEGNA AVVOCATURA DEIJ..O STATO 

gno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e 
Irlanda del Nord (G. U. L 304, pag. 1; in prosieguo: la �convenzione�), 
due questioni pregiudiziali veritenti sull'interpretazi�One dell'art. 27, punto 
3; della convenzione. 

2. -Tali questioni sono staite sollevate nell'ambito di una controversia 
tra la ditta Solo Kleinmotoren GmbH (in prosieguo: la �Solo 
Kleinmotoren �), con sede nella Repubblica Federale di Germania, e il 
signor Boch, proprietario di un'azienda di vendita al dettaglio di macchine 
agricole con sede in Italia, avente ad oggetto l'apposizione nella Repubblica 
Federale di Germania della formula esecutiva dn calce ad una sentenza 
definitiva pronunciata da un tribunale civile in Italia. 
3. -Dagli atti risulta che fino al 1966 il signor Boch aveva venduto 
in Italia, sotto il nome commerciale � Solo �, macchine agricole fornitegli 
dalla Solo Kleinmotoren. Successivamente, la Solo Italiana S.p.A. 
(.in prosieguo: la �Solo Italiana�) vendeva in detto Stato le macchine 
fabbricate dalla Solo K.leinmotoren, la quale, conseguentemente, cessava 
di rifornire l'azienda del signor Boch. Questi esperiva qwndi due procedimenti 
giudiziari. 
4. -Per quanto riguarda il primo procedimento, egli citava la Solo 
Kleinmotoren dinanzi al T:riibunale civile di Milano per inadempimento 
del contratto di fornitura. Nel 1975 la Corte d'Appello di Milano condannava 
la convenuta al pagamento di una somma di oltre 48.000.000 di 
mento nello stesso Stato di una sentenza emessa in altro Stato membro eventualmente 
confliggente con la transazione stessa. 

Sembra che la risposta debba essere negativa. 

In effetti � indubbia la natura contrattuale della transazione, anche se 
essa sia stipulata dalle parti davanti al giudice chiamato a decidere sulla 
controversia insorta tra esse. Del resto il par. 794, n. 1, del codice di procedura 
civile tedesco (Z.P.0.), non dispone affatto nel senso della riducibilit� del contratto 
di transazione ad atto giudiziale, limitandosi a ricollegate alla stipulazione 
davanti al giudice l'attribuzione all'atto del valore di titolo esecutivo. 

Non appare quindi possibile applicare l'art. 27, n. 3, della convenzione, che 
preclude il riconoscimento di una decisione se nello Stato, nel quale � stato 
chiesto il riconoscimento, � stata gi� emessa tra le stesse parti altra decisione. 

La � decisione�, alla quale ripetutamente si riferisce la convenzione, � da 
identificare negli atti giudiziali, giusta quanto specificato nell'art. 25. L'unico 
ampliamento della categoria � decisione � � disposto testualmente nell'ultima 
parte del medesimo art. 25, secondo cui rientra nella categoria della decisione 
� ..� la determinazione da parte del cancelliere delle spese giudiziali �. 

La limitazione del riferimento dell'art. 27 alle sole pronunzie giudiziali (in 
senso stretto) � coerente con il fine della convenzione, consistente nella determinazione 
della competenza degli organi giurisdizionali degli Stati contraenti 
�nell'ordinamento internazionale� (cfr. terzo capoverso del preambolo della 
convenzione). In rapporto a tale finalit� � stato fissato il principio generale 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 277 

Lit., maggiorata degli interessi. Ad istanza del signor Boch, questa sentenza 
riceveva la formula esecutiva nella Repubblka Federale di Germania, 
ai sensi della convenzione. In seguito ad un ricorso della Solo 
Kleinmotoren contro la decisione di exequatur, le parti stipulavano una 
transazione, il 24 febbraio 1978, dinanzi all'Oberlandesgericht di Stoccarda 
(Repubblica Federale di Germania), cos� redatta: 

� 1) (La Solo Kleinmotoren) paga, in data luned� 27 febbraio 1978, 
la somma -di 160.000 DM (al signor Boch), mediarnte rimessa di un assegno 
bancario all'avv. X. 

2) (La Solo Kleinmotoren) ritira a proprie spese le merci descritte 
nella "bolla di carico" presso l'impresa di trasporto Y, entro il 31 marzo 
1978. Il ritiro sar� notificato (al signor Boch) con una settimana di 
anticipo. (Il ,signor Boch) garantisce che le spese di deposito sono coperte 
fino al 31 marzo 1978 e che la merce non � gravata di altri pesi; (la Solo 
Kleinmotoren) rinuncia alla garanzia per le merci recuperate. 

3) Di conseguenza, si pone fine a tutte le pretese reciproche delle 
parti sorte <in seguito al loro rapporto di affari; si pone anche fine alle 
pretese reciproche tra (il signor Boch) e la societ� Inter Solo di Zug; 
(Il signor Boch) si impegna a non avanzare nei confronti della societ� 
Solo Italiana, con sede in Bologna, le richieste che costituivano oggetto 
della presente controversia. 

4) (La Solo Kleinmotoren) si accolla le spese giudiziarie, le proprie 
spese stragiudiziali e quelle del mandatario ad litem (del signor Boch) 

della convenibilit� in giudizio nello Stato di domicilio, a prescindere dalla nazionalit� 
del convenuto (art. 2 convenzione); questo principio coesiste con l'altro 
della convenibilit� davanti alla giurisdizione di altro Stato (art. 3 convenzione). 
Tali possibilit� implicano il rischio di pluralit� di decisioni o di contemporanea 
pendenza di controversie; la stessa convenzione fissa i criteri per il supera� 
mento di tali situazioni (artt. 21, 27). 

La convenzione suindicata disciplina l'ipotesi della transazione, stipulata 
dalle parti davanti ad un organo giurisdizionale, nell'art. 51. Ma tale norma � 
compresa in un titolo autonomo rispetto a quello relativo al riconoscimento 
delle decisioni giurisdizionali. La stessa norma riguarda il riconoscimento del 
valore esecutivo della transazione stipulata davanti al giudice. La specifica 
disciplina predisposta per la transazione, stipulata davanti al giudice, � preor� 
dinata al limitato fine, gi� preannunciato nel secondo capoverso del preambolo 
della convenzione, di attribuire efficacia di titolo esecutivo nello Stato desti� 
natario della richiesta di riconoscimento. La norma posta dall'art. 51 non riguarda 
invece il riconoscimento di decisioni, alle quali si riferiscono gli arti� 
coli 25 e seguenti della stessa convenzione. 

Non essendo possibile, secondo le disposizioni della convenzione, identifi� 
care la transazione come � decisione �, alla questione sollevata dal Bundesgerichtshof 
deve darsi, ad avviso del Governo italiano, risposta negativa. 

OSCAR FIUMARA 



278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

nel presente procedimento; (il signor Boch) si accolla le sue restanti 
spese�. 

5. -Per quanto riguarda il secondo procedimento, il signor Boch 
esperiva dinanzi al Tribunale civile di Bologna un'azione per usurpazione 
della ditta � Solo � e per concorrenza sleale contro la Solo Kleinmotoren 
e la Solo Italiana. Nel 1979 la Corte d'Appello di Bologna giudicava le 
convenute corresponsabili della usurpazione della ditta �Solo� e di atti 
di concorrenza sleale ai danni del signor Boch e le condannava in solido 
a pagare a quest'ultimo un risarcimento da determinarsi in separato 
giudizio. �Nella motivazione della sentenza detto giudice esaminava l'eccezione 
della Solo Italiana secondo la quale la predetta transazione giudiziaria 
aveva posto fine alle pretese del signor Boch. A questo proposito, 
il giudice osservava che la transazione non poteva essere fatta valere nel 
procedimento dinanzi a lui pendente, in quanto essa non era stata resa 
esecutiva in Italia, e che dal testo della transazione stessa risultava che 
la materia che costituiva oggetto della controversia di cui si erano occupati 
i giudici di Bologna era stata esclusa dall'accordo concluso tra le 
parti. Questa sentenza della Corte d'Appello di Bologna passava in 
giudicato. 
6. -Nel 1981 il signor Boch esperiva dinanzi al Tribunale civile di 
Bologna un'azione diretta a determinare il quantum del risarcimento 
che la Solo Kleinmotoren e la Solo Italiana dovevano pagare in forza 
della sentenza della Corte d'Appello di Bologna. Il 18 febbraio 1986 detto 
Tribunale condannava le due societ� convenute a pagare al signor Boch 
un risarcimento d� 180.000.000 di Lit. La Corte d'Appello di Bologna respingeva 
l'appello interposto dalla Solo Kleinmotoren contro questa sentenza. 
Questi due organi giurisdizionali respingevano l'argomento della Solo 
Kleinmotoren secondo cui la transazione di Stoccarda aveva posto fine 
ad ogni rapporto tra le parti, ritenendo che tale questione fosse stata 
definitivamente privata di ogni contenuto a seguito della sentenza della 
Corte d'Appello di Bologna del 1979. 
7. -Il signor Boch presentava quindi al Landgericht di Stoccarda 
una istanza volta a dare esecuzione nella Repubblica Federale di Germania 
alla sentenza del Tribunale ciwle di Bologna 18 febbraio 1986. Il Landgericht 
accoglieva l'istanza. Essendo stato respinto dall'Oberladesgericht I 
di Stoccarda il ricorso presentato dalla Solo Kleinmotoren avverso la i 
pronuncia del Landgericht, questa societ� adiva il Bundesgerichtshof con 
un Rechtsbeschwerde (ricorso per motivi di diritto), chiedendo l'annulI 


lamento dell'ordinanza dell'Oberlandesgericht e il rigetto della domanda i 
di apposizione della formula esecutiva sulla sentenza italiana. 

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PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 279 

8. -La Solo Kleinmotoren sosteneva dinanzi al Bundesgerichtshof che 
l'art. 27, punto 3, della convenzione impediva l'esecuzione nella Repubblica 
Federale di Germania della sentenza italiana in quanto questa sarebbe 
stata incompatibile con la transazione conclusa tra le parti ii:l 24 febbraio 
1978 dinanzi all'Oberlandesgericht di Stoccarda. A sostegno di tale 
tesi, la Solo Kleinmotoren assumeva che la transazione aveva posto fine 
a tutti i diritti sorti daii precedenti rapporti commerciali intercorsi tra 
le parti, comprese le pretese del signor Boch, che il Tribunale civile di 
Bologna aveva riconosciuto con la sua 'Sentenza 18 febbraio 1986. 
9. -Manifestando dubbi sul punto se una transazione giudiZJiaria 
possa essere equiparata a ,una � decisione resa tra le medesime parti nello 
Stato richiesto'" a sensi dell'art. 27, punto 3, della convenzione, e quindi 
impedire, a norma della convenzione, il riconoscimento e l'esecuzione di 
una decisione giudiziaria resa in un altro Stato contraente, che fosse incompatibile 
con essa, il Bundesgerichtshof ha sospeso il procedimento fintantoch� 
la Corte non si soia pronunciata sulle seguenti questioni pregiudiziali: 
� 1) Se si possa considerare decisione ai sensi dell'art. 27, punto 3, 
della Convenzione di Bruxelles, in contrasto con la decisione di oui si chiede 
il riconoscimento, anche la transatlone suscettibile di esecuzione conclusa 
dalle stesse parti dinanzi ad un giudice dello Stato richiesto per definire 
una lite pendente. 

2) Nel caso di risposta affermativa: se ci� valga per tutte le regolamentazioni 
defilnite in tale transazione o solo per quelle cui, ai sensi 
dell'art. 51 della Convenzione di Bruxelles, si potrebbe dare autonomamente 
esecuzione e eventualmente solo se sussistono i presupposti per 
l'esecuzione�. 

Sulla prima questione. 

10. -Per risolvere tale questione occorre subito ricordare che, in 
deroga al principio sancito dall'art. 26, rpcimo comma, della convenzione, 
secondo il quale le decisioni rese in uno Stato contraente sono riconosciute 
ipso iure negli altri Stati contraenti, gli artt. 27 e 28 della convenzione 
contengono un elenco tassativo dei motivi di rifiuto del riconoscimento 
di dette decisioni. 
11. -Cos�, ai termini dell'art. 27 della convenzione, 
� Le decisioni non sono riconosciute: 

(...) 

3) se la decisione � in contrasto con una decisione resa tra le mede


sime parti nello Stato richiesto; 

( ... ) � 



280 

RASSEGNA AVVOCATURA DEU.O STATO 

12. -Ai termini dell'a.rt. 31, primo comma, della convenzione, 
� Le decisioni rese in uno Stato con~raente e ivi esecutive sono eseguite 
in un altro Stato contraente dopo essere S'tate munite, su istanza 
della parte interessata, della formula esecutiva�. 

13. -L'art. 34, secondo comma, della convenzione dispone: 
" L'istanza pu� essere rigettarta solo per uno dei motivi contemplati 
dagli artt. 27 e 28 �. 

14. -Per stabilire se una transazione giudiziaria quale quella di cui 
� causa del procedimento principale costituisca una � decisione � ai 
sensi dell'art. 27, punto 3, occorre rilevare che l'art. 25 della convenrione, 
appartenente al suo titolo III, intitolato �Del riconoscimento e dell'esecuzione
�, dispone: 
� Ai sensi della presente convenzione, per decisione si intende, a 
prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione resa da un organo 
,giurisdizionale di uno Stato contraente, quale ad esempio dec!reto, 
sentenza, ovdinanza, o mandato di esecuzione, nonch� la determina2lione 
da parte del cancelliere delle spese giudiziali �. 

15. -Dalla lettera stessa dell'art. 25 emevge che la nozione di � decisione 
� ivi definita si riferisce, ai :l�ini dell'applicazione delle varie norme 
della convenzione ove il termine ricorre, unicamente alle decisioni giudiziarie 
effettivamente pronunciate da un giudice di uno Stato contraente. 
16. -Come si osserva nella relazione degli esperti sulla convenzione 
(G. U. 1979, C-59, pag. 42, parte finale), l'art. 25 definisce espressamente 
� decisione � la fissazione da parte del cancelliere delle spese giudiziali 
perch�, a norma del codice di procedura civile tedesco che contempla tale 
possibilit�, il cancelliere agisce in qualit� di organo del tribunale che si � 
pronunciato sul merito della causa e, in caso di contestazione, la decisione 
sulle spese compete a un vero e proprio organo giurisdizionale. 
17. -Da quanto precede discende che, per poter essere qualificato 
�decisione � ai sensi della convenzione, l'atto deve provenire da un organo 
giurisdizionale che appartiene ad uno Stato contraente e che statuisce con 
poteri propri su questioni controverse tra le parti. 
18. -Orbene, questo p!resupposto non sussiste nel caso di una transazione, 
anche se questa � avvenuta diinanzi a un giudice di uno Stato contraente 
e pone fine ad una lite. Le transazioni giudiziarie rivestono infatti 
carattere essenzialmente contrattuale, nel senso che il loro contenuto di�
pende innanzi tutto dalla volont� delle parti, come si osserva nella precitata 
relazione degli esperti (pag. 56). 



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

19. -Occorre aggiungere che un'interpretazione diversa non pu� essere 
giustificata dalla necessit� di applicare l'art. 27, punto 3, della convenzione. 
20. -Infatti, come si � gi� sottolineato sopra al punto 15 della presente 
sentenza, la definizione della nozione di �decisione�, figurante nell'art. 25, 
vale per tutte le disposizioni della convenzione in cui si fa uso di tale 
termine. Inoltre, l'art. 27 costituisce un ostacolo per la realizzazione di uno 
degLi obiettivi fondamentali della convenzione, che mira a facilitare, per 
quanto possibile, la libera circolazione delle sentenze prevedendo un procedimento 
di exequatur semplice e rapido. Tale disposizione derogatoria 
dev'essere pertanto interpretata restrittivamente, il che non consente di 
equiparare una transazione giudiziaria a una decisione resa da un organo 
giudiziario. 
21. -Del resto, la precitata relazione degli esperti (pag. 45) precisa, a 
proposito del motivo del diniego di riconoscimento indicato dall'art. 27, n. 3, 
della convell2lione, che �l'ordine sociale di uno Stato sarebbe turbato se 
la parte potesse giovarsi di due sentenze contraddittorie�. Tale turbamento 
� infatti di una gravit� tale da giustificare, �a norma della convenzione, il 
rifiuto di riconoscere ed eseguire una decisione resa dn un altro Stato 
contraente che si asserisce incompatibile con una decisione resa tra le stesse 
parti nello Stato richiesto solo se quest'ultimo atto � una decisione di 
un organo giurisdizionale che a sua volta si pronuncia su una questione 
controversa. 
22. -Peraltro, occorre rilevare che il caso delle transazioni giudiziarie 
� disciplinato espressamente dall'art. 51 della convenzione, che fa parte 
del suo titolo IV, intitolato � Atti autentici e transazioni giudiziarie �, e 
che contiene norme specifiche per la loro esecuzione. 
23. -Infatti, ai sensi di detto all'ticolo, 
� Le transazioni concluse davanti al giudice nel corso di un processo ed 
aventi efficacia esecutiva nello Stato di origine hanno efficacia esecutiva 
nello Stato richiesto alle �stesse condizioni previste per gli atti autentici "� 

24. -Orbene, derogando al regime applicabile all'esecuzione delle decisioni 
giudiziarie, l'art. 50, primo comma, della convenzione dispone che 
l'esecuzione di un atto autentico in uno Stato contraente diverso da quello 
ove � stato ricevuto ed � esecutivo pu� essere rifiutata solo se � in contrasto 
con l'ordine pubblico dello Stato richiesto. 
25. -Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, occorre risolvere 
la prima questione sollevata dal Bundesgerichtshof dichiarando che l'art. 27, 
punto 3, della convenzione dev'essere interpretato nel senso che una transazione 
suscettibile di esecuzione conclusa d~nanzi a un giudice dello Stato 

282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

richiesto �on la funzione cii definire una lite pendente non costituisce una 
"decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto�, menzionata 
da detta disposizione, che possa impedire, a norma della convenzione, il 
riconoscimento e l'esecuzione di una decisione giudiziaria resa in un altro 
Stato contraente. 

Sulla seconda questione. 

26. -Tenuto conto della soluzione fornita per la prima questione, non 
� necessario pronunciarsi sulla seconda. (omissis) 
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 29 giugno 
1994, nella causa C-288/92 -Pres. Due -Avv. Gen. Lenz -Domanda 
di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) 
nella causa Custon Made Commerciai Ltd. c. Stawa Metallbau GmbH � 
Interv.: Governi tedesco (ag. Bohmer) e italiano (avv. Stato Fiumara:) 
e Commissione delle Comunit� europee (ag. van Nuffel). 

Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale 
e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commer-. 
ciale � Competenza territoriale � Luogo di adempimento dell'obbligazione 
� Legge uniforme sulla vendita. 
(Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., art. 5). 

L'art. 5, punto 1, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la 
competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle deoisioni in materia civile 
e commerciale, nella versione modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 
relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno 
Unilfo di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, va interpretato nel senso che, 
in caso di azione del f omitore contro il suo cliente per il pagamento del 
corrispettivo dovuto in base ad un contratto di opera, il luogo di adempimento 
dell'obbligazione avente ad oggetto taZe pagamento va determinato 
conformemente al diritto sostanziale disciplinante l'obbliga<iione controversa 
secondo le norme di conflitto del giudice adito, anche quando tali 
norme facciano rinvio all'applicazione al contmtto di disposizioni quali 
quelle della legge uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili 
materiali, allegata alla Convenzione dell'Aia 1� luglio 1964 (1). 

Ii 

(1) Soluzione sostanzialmente conforme a quella proposta dal Governo 
italiano. 
I 

Luogo di adempimento dell'obbligazione in caso di vendita internazionale di 

I

merci ai fini della competenza giurisdizionale. 

I 

1 
nelle osservazioni presentate alla Corte -occorre prendere le mosse dalle I 
l 

1. � Con riferimento al quesito posto dal Bundesgerichtshof -si era detto 
II 

�I 

I

� ..���,.-
! 
I 
l 

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E 'INtERNAZIONALE 283 

(omissis) 1. -Con ordinanza 26 marzo 1992, pervenuta alla Corte il 
30 giugno successivo, il Bundesgerichtshof (Germania) ha posto, a norma 
clel Protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione, da parte della Corte 
di; giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza 
giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale 
(G. U. 1972, L 299, pag. 32; in prosieguo: la �convenzione�), nella 
versione modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all'adesione 
del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna 
e Irlanda del Nord (G. U. L. 304, pag. 1, e -versione modificata -pagina 
77), alcune questioni pregiudiziali sull'interpretazione degli artt. 5, 
punto l, e 17, primo comma, della convenzione. 

2. -Dette questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la 
societ� Stawa Metallbau GmbH (in prosieguo: la � Stawa �), con sede in 
Bielefeld (Germania), e la societ� Custom Made Commerciai Ltd (in prosieguo: 
la � Custom Made�), con sede in Londra, in merito al pagamento 
solo parziale effettuato da quest'ultima in esecuzione di un contratto relativo 
alla fornitura di finestre e porte, che la Stawa doveva fabbricare. 
3. -Dall'ordinanza di rinvio si ricava che il 6 maggio 1988, a Londra, 
a seguito di trattative svoltesi in lingua inglese, la Stawa si era impegnata 
verbalmente a consegnare le merci alla Custom Made. Dette merci erano 
destinate ad un complesso edilizio in Londra. r.I contratto, il primo concluso 
tra le parti, disponeva che il pagamento fosse effettuato in sterline 
inglesi. 
sentenze della Corte di giustizia 6 ottobre 1976, nella causa 12/76, Tessili c. 
Dunlop (in Racc., 1473), e 15 gennaio 1987, nella causa 266/85, Shenavai c. 
Kreischer (in Racc., 251), laddove � stato precisato che il � luogo dell'esecuzione � 
della obbligazione di cui all'art. 5, n. 1, della convenzione di Bruxelles va 
definito in conformit� alla legge che disciplina l'obbligazione controversa secondo 
il diritto internazionale privato del giudice adito. Secondo la Corte, 
dunque, la ricerca dell'ordinamento in base al quale individuare il luogo di 
esecuzione dell'obbligazione ncll'alternativit� fra la lex fori e la lex causae, va 
fatta in base a quest'ultima. Non essendo possibile rinvenire fra gli Stati 
contraenti una uniformit� sufficiente a permettere una determinazione convenzionale 
del concetto di �luogo dell'esecuzione�, l'interpretazione deve necessariamente 
spettare al giudice adito, ma non secondo le norme comuni del 
proprio diritto interno (lex fori), quanto secondo le proprie norme di diritto 
internazionale privato (lex causae). Il giudice nazionale adito, cio�, �per far ci� 
deve prima interpretare, in conformit� al proprio diritto internazionale privato, 
la legge da applicare al rapporto giuridico in esame e successivamente definire, 
sulla base di tale legge, il luogo d'adempimento della obbligazione contrattuale 
controversa� (punto 13 della prima sentenza). 

In base a questi precedenti della Corte la risposta da dare al quesito relativo 
all'art. 5, n. 1, sarebbe pacifica, se non vi fosse quella corrente dottrinaria cui si 
fa cenno nell'ordinanza di rinvio secondo la quale l'applicazione della lex causae 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

284 

4. -La Stawa confermava la conclusione del contratto con lettera 
9 maggio 1988, redatta in inglese, alla quale venivano allegate per la prima 
volta le sue condizioni contrattuali generali, redatte in tedesco. L'art. 8 di 
tali condizioni generali affermava che per qualsiasi controversia tra le parti, 
luogo di adempimento e foro competente sarebbe stato Bielefeld. La Custom 
Made non si opponeva a tali condizioni generali. 
5. -Poich� la Custom Made effettuava un pagamento solo parziale, 
la Stawa promuoveva un'azione per il pagamento della parte residua del 
prezzo dinanzi al Landgericht di Bielefeld. Quest'ultimo, [n data 13 dicembre 
1989, pronunciava una sentenza contumaciale con la quale la Custom 
Made veniva condannata a pagare alla Stawa la somma di 144.742,08 sterline 
inglesi (UKL), oltre gli interessi. 
6. -La Custom Made proponeva opposizione contro questa sentenza, 
contestando in particolare la competenza internazionale dei giudici tedeschi. 
Con sentenza interlocutoria in data 9 maggio 1990, il Landgericht 
di Bielefeld dichiarava ricevibile il ricorso della Stawa. 
7. -Contro tale sentenza la Custom Made interponeva appello dinanzi 
all'Oberlandesgericht di Hamm, facendo nuovamente richiamo all'incompetenza 
internazionale dei giudici tedeschi. 
quale criterio di interpretazione della norma stessa si porrebbe in stridente 
ed inaccettabile contrasto con la norma di base dell'art. 2 della Convenzione: 
articolo questo che stabilisce in linea generale che il debitore deve essere convenuto 
davanti ai giudici dello Stato del suo domicilio. 

L'obiezione di questa corrente dottrinaria non sembra tale da superare le 

conclusioni cui � pervenuta la Corte. 

Non v'� dubbio sulla portata della regola generale dell'art. 2, che indi


vidua il foro in relazione al domicilio del debitore. Ma non � dubbio, neanche, 

che l'art. 5, n. 1, preveda una competenza alternativa, quella del luogo in cui 

l'obbligazione � stata o deve essere eseguita, che ben potrebbe essere quello 

del domicilio del creditore anzich� del debitore. E sarebbe certo ottimale che 

la norma dell'art. 5, n. 1, consentisse di individuare in modo autonomo tale 

luogo, senza dover ricorrere alle legislazioni nazionali con le loro possibili 

diversit�. 

Ma proprio la individuazione di una nozione autonoma si � rivelata impossi


bile, non solo agli occhi dei compilatori della Convenzione (come risulta dalle 

relazioni Jenard alla convenzione originaria e SchWsser alla prima convenzione 

di adesione), ma anche al giudizio della Corte. Sicch� si � dovuti ricorrere 

all'applicazione della lex causae, cio� la legge che disciplina l'obbligazione con


troversa secondo il diritto internazionale privato del giudice adito. 

L'inconveniente denunciato dalla dottrina contraria sopra richiamata, se


condo cui verrebbe in tal modo troppo spesso privilegiato il creditore, contro 

la regola generale dell'art. 2 che vorrebbe tutelare maggiormente il debitore, 

non � tale -ammesso che sia un dato negativo -da indurre ad una inter



PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 285 

8. -Con 'sentenza 8 marzo 1991, l'Oberlandesgericht respingeva l'appello, 
basando la competenza internazionale dei giudioi tedeschi sull'art. 5, 
punto l, della convenzione, in combinato disposto con l'art. 59, primo comma, 
prima parte, della legge uniforme sulla vendita internazionale di cose 
mobili materiali, allegata alla Convenzione dellAja 1� luglio 1964 (834, 
Ree. des trait�s des Nations unies, 1972, pag. 107 e seguenti), il quale prevede 
che l'acquirente paghi il prezzo al domicilio o, in mancanza, alla residenza 
del venditore. 
9. -La Custom Made promuoveva un ricorso in cassaz;ione dinanzi 
al Bundesgerichtshof, impugnando la sentenza dell'Oberlandesgericht. 
10. -Ritenendo che la controversia sollevasse questioni d'interpretazione 
della conv,enzione, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il 
giudizio in attesa che la Corte si pronunoi sulle seguenti questioni pregiudiziali: 
� 1) a) Se il luogo di adempimento ai sensi dell'art. 5, punto 1, della 
convenzione vada determinato in base al diritto sostanziale, che � rilevante 
per l'obb1igazione di cui � causa in base alle norme di conflitto del 
giudice cui � sottoposta la controversia, anche quando si tratta di un 
ricorso di un fornitore contro un acquirente per il pagamento del corrispettivo 
derivante da un contratto di opera, questo contratto, in base 

pretazione della norma diversa da quella che da essa letteralmente e logicamente 
scaturisce: � compito del legislatore dettare le regole, spettando all'interprete 
solo valutarle per applicarle correttamente. Del resto la stessa Convenzione 
si preoccupa di tutelare alcune categorie pi� deboli, ponendo nei 
confronti di esse limiti alle deroghe di competenza. 

2. -Nel caso all'esame del giudice del rinvio pregiudiziale la soluzione � 
poi pi� semplice e coerente, trattandosi di esecuzione di un contratto di vendita 
internazionale di beni mobili. In presenza di una convenzione internazionale 
come quella de l'Aja del 1� luglio 1964, attinente alla legge uniforme sulla vendita 
internazionale di beni mobili (cui � subentrata, con analoghe disposizioni per 
quanto riguarda il quesito, la convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di 
compravendita internazionale di merci adottata a Vienna 1'11 aprile 1980) -la 
quale all'art. 59 precisa che luogo del pagamento della merce � quello del domicilio 
del venditore, salvo che non ricorra il caso del pagamento dietro consegna 
delle merci o dei documenti (conf. l'art. 57 della convenzione di Vienna) -la 
disposizione convenzionale va applicata dal giudice nazionale adito (sempre 
che, ovviamente, la convenzione sia entrata in vigore nei paesi interessati) in 
luogo della norma interna di diritto internazionale privato, cui essa si � sovrapposta. 
Se, invero, esiste un sistema uniforme di norme sostanziali, davanti al 
giudice nazionale viene in considerazione direttamente il diritto che queste norme 
hanno fissato: esse, proprio perch� recepite nel diritto interno, hanno preso il 
posto della norma di diritto internazionale privato di carattere generale. E 
certamente tutto ci� � perfettamente compatibile con la convenzione di Bruxelles, 
che non rinnega affatto le regole fissate in convenzioni internazionali (come si 
evince dal suo art. 57, pur se dettato ad altri effetti) ma, con l'art. 5, n. 1, cos� 



286 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

alle .norme di conflitto del giudice cui � sottoposta la controversia, � assoggettato 
alla legge uniforme sulla vendita e quindi il luogo di adempimento 
dell'obbligazione del pagamento del corrispettivo � la sede del fornitore 
attore. 

b) Nel caso in cui la Corte di giustizia risolva negativamente la 
questione n. 1 a): 
Come debba essere determinato il luogo di adempimento ai sensi 
dell'art. 5, punto l, della convenzione in un caso del genere. 

2) Nel caso in cui, in base alla soluzione delle questioni n. 1 a) e b), 
la competenza internazionale dei giudici tedeschi non possa es�sere basata 
sull'art. 5, punto l, della convenzione: 

a) Se una clausola attributiva di competenza ai sensi dell'art. 17, 
primo comma, seconda frase, terzo caso, della convenzione, nella formulazione 
del 1978, possa efficacemente considerarsi sussistente per il fatto che 
un fornitore, a seguito di un contratto concluso verbalmente, conferma 
per iscritto al suo acquirente la conclusione del contratto e allega per la 
prima volta a questa lettera di conferma condizioni generali di contratto, 
che contengono una clausola attributiva di competenza, l'acquirente non 
contesta la clausola attributiva di competenza, neltla sede delJ'acquirente 
non sussiste alcun uso commerciale secondo cui il silenzio su una lettera 
sia da considerare come un accordo sulla clausola attributiva di compe


come interpretato dalla Corte, si rimette alle norme interne correttamente applicabili, 
le quali appunto� sono, in via generale, quelle di diritto internazionale 
privato, salvo che, per casi particolari (come per la vendita internazionale di 
merci), non siano di origine pattizia a livello internazionale. 

Una tale soluzione del problema � stata gi� offerta dalla Corte di cassazione 
italiana (cfr. Cass. Sez. Un. 24 ottobre 1988, n. 5739, pubbl. in Foro italiano, 1989, 
I, 2878; e prima, nello stesso senso, Cass. Sez. Un. 15 ottobre 1987, n. 7625, e 20 
marzo 1986, n. 1971), la quale, facendo leva sulle precedenti statuizioni della Corte 
di Giustizia, ha ritenuto che � con riguardo alla controversia contrattuale proposta 
da una ditta italiana contro una ditta straniera avente sede in paese 
aderente alla CEE, �al fine del riscontro della competenza giurisdizionale del giudice 
italiano, il criterio di collegamento posto dall'art. 5, n. 1, della convenzione 
di Bruxelles, secondo cui la giurisdizione sussiste quando l'obbligazione inerente 
al diritto vantato dall'attore debba essere eseguita in Italia, alla stregua della 
legge che regola il rapporto secondo il diritto internazionale privato dello Stato 
desunto dalla norma dettata dall'art. 25 preleggi, resta superato per il caso in 
cui si tratti del prezzo di compravendita di cose mobili e la ditta straniera abbia 
sede in un paese della CEE altres� aderente alla convenzione de l'Aja, dovendo 
in tal caso farsi applicazione del disposto dell'art. 59 di tale convenzione che 
fissa esso stesso il locus destinatae solutionis nel domicilio, o residenza abituale, 

del venditore con la conseguenza che, in queste ipotesi, la constatazione del 
domicilio in Italia dell'attore basta a determinare la giurisdizione del giudice 
italiano nei confronti della pretesa di adempimento fatta valere nei confronti 
del compratore straniero. 

OSCAR FIUMARA 



PARTE I, SEZ, Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

tenza, all'acquirente non � neanche consentito un tale uso commerciale 
e si tratta del primo contratto d'affari tra le parti. 
b) Nel caso in cui la Corte risolva affermativamente la questione 
n. 2 a): 

Se ci� valga anche quando le condizioni genera1i �di contratto contenenti 
una clausola attributiva di competenza sono formulate in una lingua 
diversa da quella delle trattative e del contratto, non conosciuta dall'acquirertte, 
e quando nella lettera di conferma, formulata neMa lingua delle trattative 
e del contratto, si fa riferimento globalmente alle condi2lioni generali 
di contratto. allegate e non specificamente alla clausola attributiva di 
competenza. 

3) Nel caso in cui la Corte di giustizia risolva affermativamente le 
questioni nn. 2 a) e b): 

Se l'art. l7 della convemrl.one, nel caso di una clausola attributiva 
dicompetenza contenuta in condi:zJioni generali di contratto, la quale soddisfa 
in base a tale disposizione i requisiti di un efficace accordo attributivo 
di competenza, V1ieti di esaminare ulteriormente in base al diritto 
sostanziale naziona1e, che si applica in base alle norme di conflitto del 
giudice adito della controversia, se la clausola attributiva di competenza 
sia stata efficacemente inserita nel contratto�. 

Sulla prima questione, lett. a). 

11. -Con tale questione, chiarita alla luce della motivazione dell'ordinanza 
di rinvio, il giudice nazionale vuol sapere se l'art. 5, punto l, della 
convenzione vada interpretato nel senso che, in caso di azione del fornitore 
contro il suo cliente per il pagamento del corrispettivo dovuto in base ad 
un contratto di opera, il luogo di adempimento dell'obbligazione avente ad 
oggetto tale pagamento vada determinato conformemente al diritto sostanziale 
che disciplina l'obbligazione controversa in base alle norme di conflitto 
del giudice adito, anche quando dette norme facciano rinvio all'applicazione 
al contratto di disposizioni quali quelle della legge uniforme sulla 
vendita internazionale di cose mobili materiali, allegata alla Convenzione 
dell'Aja 1� luglio 1964. 
12. -L'art. 2 della convenzione enuncia la norma generale secondo la 
quale la competenza del giudice � fondata sul luogo del domicilio del 
convenuto, ma l'art. 5 attribuisce la competenza anche ad altri giudici, 
la cui scelta � lasciata all'attore. Questa libert� di scelta � stata introdotta 
in considerazione del fatto che, in certi casi ben determinati, esiste un collegamento 
particolarmente stretto, ai fini dell'economia processuale, fra una 
controversia ed il giudice di un determinato luogo (v. sentenza 6 ottobre 
1976, causa 12/76, Tessili, Racc. pag. 1473, punto 13). L'art. 5 non pone 

288 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tuttavia come criterio per la scelta del foro competente il collegamento 
stesso. L'attore non ha la facoLt� di citare in giudizio H convenuto dinanzi 
a qualunque giudice che abbia un collegamento qualsiasi con la controversia, 
dato che l'art. 5 contiene un elenco tassativo dei criteri di collegamento 
fra una controversia e un determinato giudice. 

13. -L'art. 5, punto l, prevede in particolare che in materia contraittuale 
il convenuto pu� essere citato davanti a[ giudice del luogo � in cui 
l'obbligazione dedotta in giudizfo � stata o deve essere eseguita�. Tale 
luogo costituisce normalmente il luogo di collegamento pi� immediato fra 
la lite e �il giudice competente ed ha indotto a scegliere detto foro in 
materia contrattuale (v. sentenza 15 gennaio 1987, causa 266/85, Shenavai, 
Racc. pag. 239, punto 18). 
14. -Bench� il co1legamento sia la ragione che ha indotto aH'adozione 
dell'art. 5, punto l, della convenzione, il cniterio tenuto presente da detta 
disposizione non � il collegamento con il foro adito, bens� il solo luogo 
di adempimento dell'obbligazione che costi>tuisce H fondamento dell'azione 
giurisdizionale. 
15. -Il luogo dli adempimento dell'obbligaz!i.one � stato scelto come 
cniterio di competenza poich�, per la sua precisione e la sua chiarezza, si 
integra bene nello scopo generale della convenzione, che � quello di disporre 
norme che assicurino certezza in mel'ito alla suddivisione delle competenze 
tra i vari giudici nazionali che possono essere aditi in occasione di 
una controversia in materia contrattuale. 
16. -� stato invero sostenuto che il critevio del luogo di adempimento 
dell'obbligazione, che costituisce concretamente il fondamento dell'azione 
dell'attore e che � stato tenurto espressamente in considerazione 
dall'art. 5, punto l, della convenzione, pu� portare in taluni casi al riconoscimento 
della competenza in capo ad un tribunale che non ha nessun 
collegamento con la controversia e che, �in un caso del genere, occorre 
discostarsi dal criterio tassativamente 'disposto, in quanto il dsultato ottenuto 
sarebbe contrario allo scopo de1l'art. 5, punto l, de1la convenzione. 
17. -Quest'ultimo argomento non pu� tuttavia essere accolto. 
18. -L'utilizzazione di criteri div�ersi da quello del luogo di adempimento, 
quando quest'ultimo attribuisce la competenza ad un foro privo 
di connessione con la oausa, potrebbe infatti compromettere la prevedibilit� 
del foro competente e sarebbe pertanto incompatibile con Jo scopo 
della convenzione. 
19. -Considerare rHevante, come unico criterio di competenza, l'esistenza 
di un collegamento tra i fatti oggetto della controversia e un deter

PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 

minato giudice porterebbe al :riisultato di costringere il giudice adito, per 
verificare l'esistenza di detto collegamento, a prendere in considerazione 
altri elementi, in particolare i mezzi dedotti dal convenuto, e finirebbe 
cosi per svuotare di contenuto l'art. 5, punto 1. 

20. -Una simile indagine sarebbe inoltre contraria agli scopi e allo 
spi:riito della convenzione, la quale esige un'interpretazione dell'art. 5 della 
stessa che consenta al ~udice nazionale di pronunciarsi sulla propria competenza 
senza dover procedere all'esame del merito della causa (v. sentenza 
22 marzo 1983, causa 34/82, Peter�s, Racc. pag. 987, punto 17). 
21. -Da quanto esposto discende che ai sensi dell'art. 5, punto l, il 
convenuto, in materia contrattuale, pu� essere citato dinanzi al giudice 
del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o deve essere 
eseguita, anche nel caso dn cui il foro cosi individuato non sia quello che 
presenta il collegamento pi� immediato con la controversia. 
22. -Occorre pertanto determinare l'� obbligazione� di cui all'art. 5, 
punto l, della convenzione, e il � luogo di adempimento � di quest'ultima. 
23. -La Corte ha precisato che l'obbligazione non pu� essere una qualsivoglia 
obbligazione derivante dal contratto, bens� queHa corrispondente 
al diritto su cui s'impernia l'azione dell'attore (v. sentenza 6 ottobre 1976, 
causa 14/76, De Bloos, Racc. pag. 1497, punti 10 e 13). 
24. -Dopo aver ammesso un'eccezione per i contratti di lavoro, i 
quali presentano determinate peculiarit� (v., in particolare, sentenza 26 
maggio 1982, causa 133/81, Ivenel, Racc. pag. 1891), nella sentenza Shenavai, 
gi� citata, punto 20, Ia Corte ha ribadito che l'obbligazione di cui all'art. 5, 
punto l, della convenzione � l'obbligazione contrattuale che costituisce 
concretamente il fondamento dell'azione giurisdiZJionale. 
25. -Detta interpretazione ha trovato conferma in occasione della 
conclusione della Convemiione 26 maggio 1989 relativa all'adesione del 
Regno di Spagna e deHa Repubblica portoghese alla convenzione concernente 
la competenro giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in 
materia civile e commerciale (G. U. L 285, pag. 1). In tale occasione, la 
norma enunciata dall'art. 5, punto 1, della convenzione � rimasta infatti 
immutata nel suo tenore letterale ed � stata integrata da un'unica eccezione 
riguardante i contratti di lavoro, eccezione gi� accolta in via interpretativa 
dalla citata giurisprudenza della Corte. 
26. -Per quanto concerne il � luogo di adempimento �, la Corte ha 
dichiarato che spetta al giudice investito della causa accertare, in forza
1

della convenzione, se il luogo in cui l'obbligazione � stata o deve essere 
eseguita rientri nei limiti della sua competenza territoriale e che per far ci� 


290 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

egli deve prima determinare, in conformit� a1le proprie norme di conflitto, 
la legge da applicare al rapporto giuridico in esame e successivamente 
definire, sulla base di talle legge, il luogo di adempimento dell'ob� 
bligazione contrattuale controversa (v. sentenza Tessili, gi� citata, 
punto 13, richiamata nella sentenza Shenavai, gi� citata, punto 7). 

27. -Talle intel'pretazione vale anche nel caso in cui le norme di 
conflitto del foro adito facciano rinvio all'applicazione, al rappovto contrattuale, 
di una �legge uniforme � quale quella di oui trattasi nella fattispecie 
oggetto della causa principale. 
28. -Detta interpretazione non � posta in discussione da una norma 
quale quella di cui aLl'art. 59, n. 1, della legge uniforme, in applicazione 
della quale il luogo di adempimento dell'obbJigazione dell'acquiI'ente, 
avente ad oggetto il pagamento del prezzo al venditore, � quello del domidlio 
o, in mancanm, della residenza di quest'u1timo, con l'unica riserva 
che le parti contraenti non abbiano concOl'dato un diverso luogo di adempimento 
della detta obbligazione, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge. 
29. -Da tutto quanto esposto discende che l'art. 5, punto l, deHa 
conven:cione va interpretato nel senso che, in caso di azione del fornitore 
contro il suo cliente per i!l pagamento del corrispettivo dovuto in base 
ad un contratto di opera, il luogo di adempimento dell'obbligazione avente 
ad oggetto tale pagamento va determinato conformemente al diritto 
sostanziale disciplinante l'obbligazione controvevsa secondo Je norme di 
conflitto del giudice adito, anche quando tali norme facoiano rinvio all'applicazione 
al contratto .di disposizioni quaLi quelle della legge uniforme 
sulla vendita internazionale di cose mobili materiali, allegata alla Convenzione 
dell'Aja 1� foglio 1%4. 
30. -In considerazione della soluzione data alla prima questione, 
lett. a), non occorre risolvere le altre questioni sollevate dal giudice di 
rinvio. (omissis) 

SEZIONE TERZA 

GIURISPRUDENZA CIVILE 
GIURISDIZIONE E APPALTI 


CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, 19 aprile 1994 n. 3716 -Pres. Bronzini Est. 
Triola -P. M. De Nunzio (conf.) -Sanesi (avv. Ezechieli) c. Commissario 
straordinario per la formazione dell'albo professionale degli 
psicologi della regione Emilia Romagna (avv. Stato Sclafani). 

Professioni -Psicologi -Albo professionale -Iscrizione in regime transitorio 
ai sensi dell'art. 32 lett. d) legge n. 56/89 -Ambito di applicazione 
-Soggetti che abbiano avuto modo di eccellere nelle discipline 
psicologiche -Valutazione riservata al giudice di merito -Incensurabilit� 
in cassazione. 
(legge 18 febbraio 1989, n. 56, art. 32, lett. d). 

Ai fini dell'iscrizione nell'albo professionale degli psicologi in regime 
transitorio l'art. 32, lett. d) della legge 18 febbraio 1989, n. 56, ha il caratt~
re di norma c. d. di chiusura in quanto contempla i soggetti che, pur 
non avendo i requisiti specifici (laurea e pratica nel campo della psicologia) 
previsti dalle precedenti disposizioni abbiano comunque avuto modo 
di eccellere nel campo delle discipline psicologiche; ne consegue che costituisce 
apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in cassazione, ove 
sufficientemente e logicamente motivata, l'esclusione, ad opera del giudice 
di merito, del possesso di tale qualifica di eccellenza sulla base della mera 
frequentazione di corsi presso scuole psicologiche private, ancorch� di 
alto livello, e della collaborazione prestata presso istituti privati di ricerca 
nel campo della psicologia (1). 

(1) � la prima pronuncia in cui la Corte di Cassazione affronta il problema 
della interpretazione dell'art. 32 lett. d) legge 56/89 che � senz'altro la norma 
pi� invocata per ottenere l'iscrizione all'albo degli psicologi. in regime transi� 
torio senza: dover sostenere l'esame di abilitazione. 
Seppur in modo laconico, quasi fosse un obiter dictum, la Corte accoglie la 
tesi dell'Amministrazione secondo la quale l'art. 32, lett. d) costituisce una 
� norma di chiusura � il cui ambito di applicazione � limitato a coloro che, 
malgrado non abbiano i requisiti specifici prescritti dalle lett. a), b) e e) dell'art. 
32 (laurea e pratica nel campo della psicologia) abbiano avuto eccellenti 
riconoscimenti e quindi si siano particolarmente distinti nelle discipline psicologiche. 


�Come � noto, l'art. 32 I. cit., nel fissare i requisiti tassativamente prescritti 
per l'iscrizione all'albo degli psicologi, nella fase di prima applicazione della 
legge,-attribuisce un valore abilitante al possesso di tali requisiti, consentendo 



292 RASSEGNA AVVOCATURA DEI.LO STATO 

Con atto depositato il 14 dicembre 1989 Renzo Sanesi proponeva opposizione 
al Tribunale di Bologna contro il provvedimento del Commissario 
per la formazione dell'albo professionale degli psicologi con il quale 
era stata rigettata la domanda di iscrizione a tale albo presentata ai sensi 
dell'art. 32, lett. d), della legge 18 febbraio 1989 n. 56 (che, nella prima applicazione 
della legge) consentiva l'iscrizione all'albo �a coloro che abbiano 
operato per almeno tre anni nelle discipline psicologiche ottenendo riconoscimenti 
nel campo specifico a livello nazionale o internazionale). 


Il Commissario resisteva alla opposizione, che veniva rigettata dal 
Tribunale adito con sentenza del 30 maggio 1991. 
Il Sanesi proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello 
di Bologna con sentenza del 17 ottobre 1991. 


I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l'appellante 
sosteneva che il conseguimento della qualifica di ricercatore nelle 
discipline psicologiche e psicoterapeutiche al termine di corsi teoricopratici 
presso l'Istituto di Psicoterapia Analitica e Psicologia del Profondo-
I.P.A.P.P. di Bologna e l'iscrizione all'albo privato dell'Europa Unita 
costituivano i � riconoscimenti nel campo specifico a livello nazionale 


o internazionale� previsti dall'art. 32, lett. d), della legge n. 18 febbraio 
1989, in quanto in tale nozione dovevano ricomprendersi anche �titoli 
di grado inferiore � ai premi Nobel o alle lauree honoris causa conseguiti 
I �

mediante il compimento di processi formativi di carattere scientifico nel 
settore delle materie psicologiche, cos� come chiarito dalla circolare mini


a quanti ne siano titolari di ottenere l'iscrizione all'albo professionale senza 
dover sostenere l'esame di abilitazione previsto in via ordinaria. 


~ 

Il rigore con cui la Corte interpreta la disposizione de qua � dunque senza 
altro rispettoso della ratio (�abilitante�) della stessa nonch� dello spirito di tutta 


I 

la legge 56/89. 
Dalla lettura dei lavori preparatori si evince, infatti, che ;la finalit� perseguita 
dal legislatore sia stata quella di conferire alla delicata attivit� profes


I 

sionale in questione dignit� e riconoscimento, attraverso una rigorosa selezione 
degli aspiranti psicologi, anche al fine di precludere l'esercizio della professione 
a quanti, privi della necessaria competenza, si fossero di fatto 1 giovati della 
situazione di incertezza che regnava in materia. Ne � conferma la circostanza 


I 

che in sede d\ Commissione referente, mentre si � svolto un ampio dibattito 
attorno alle l�ttere a), b) e e) dell'art. 32, con la proposizione di pi� redazioni 
della disposizione e con successive modifiche della stessa, sul disposto della 
lettera d) non � mai sorto alcun contrasto. Ci� in quanto, se 1era importante 
individuare con certezza le singole categorie dei soggetti meritevoli di immediata 
iscrizione, nessun particolare problema poteva essere posto da una 
semplice norma di chiusura che consente eccezionalmente la iscrizione a quanti, 
pur non rientrando negli schemi previsti dalle precedenti disposizioni, siano 
in possesso di requisiti di eccezionalit� tale da giustificare la deroga ai restrit


. tivi principi consacrati nella norma. 
Appare dunque profondamente contrastante con lo spirito e la lettera della 
norma in esame l'interpretazione della stessa quale norma di favore volta a 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVI~, GIURISDIZIONE E APPALTI 293 

steriale in data 10 agosto 1989, correttiva della precedente in data 4 maggio 
1989. 

La Corte di appello riteneva che per individuare il significato e l'ambito 
di applicazione dell'art. 32, lett. d), della legge 18 febbraio 1989 n. 56 occorre 
considerare in primo luogo la durata dell'esperienza richiesta: tre 
anni di attivit� nelle discipline psicologiche. Si tratta di una durata 
inferiore a quella (sette anni) prevista per i laureati ai sensi della precedente 
lettera e) e questo spiga la previsione della ulteriore condizione del 
conseguimento di riconoscimenti nel campo specifico a livello nazionale o 
internazionale, tali da far ritenere raggiunta, da parte del soggetto aspirante 
all'iscrizione all'albo, una professionalit� specifica. 

L'intento del legislatore appare quello di pretendere attraverso una 
� alta � qualit� del riconoscimento la prova del grado di preparazione 
dell'aspirante che per non essere, ad esempio, un laureato o per non avere 
superato un pubblico concorso, non ha avuto modo di dimostrare il proprio 
grado di cultura e preparazione attraverso parametri di giudizio ai 
quali si attribuisce tradizionalmente certezza. 

Anche se riconoscimenti validi ai sensi della norma in questione non 
possono intendersi solo i premi Nobel, le lauree honoris causa ed altri 
titoli simili, ma anche pi� semplicemente quei titoli di � grado � inferiore 
che possono conseguirsi mediante il compimento di � processi formativi � 
di carattere scientifico nel settore delle materie psicologiche, � pur sempre 
necessario che tali �processi formativi� abbiano un valore quanto meno 
non inferiore ai corsi di studio universitari atti al conseguimento del 
diploma di laurea in psicologia. 

sanare, in sede di prima applicazione, una serie di situazioni di fatto che erano 
state consentite dall'assenza di un albo e di una precisa regolamentazione della 
attivit� di psicologo. Un'interpretazione, quest'ultima, che, oltre ad essere smentita 
dai lavori preparatori, lo � nondimeno dai pi� elementari canoni ermeneutici. 


E' evidente, infatti, che se all'art. 32 lett. d) si riconoscesse un ambito di 
applicazione pi� ampio di quello che le � stato attribuito dalla Corte, le precedenti 
disposizioni di cui alle lettere a), b) e e) dell'art. 32 sarebbero del tutto superflue 
perch� resterebbero assorbite dalla generica ed onnicomprensiva disposizione 
di chiusura. 

Va rilevato, tuttavia, che la Corte avrebbe potuto spendere qualche parola 
in pi� per chiarire i criteri che i giudici di merito dovranno seguire per valutare 
quella qualifica di eccellenza che deve contraddistinguere i titoli professionali 
di coloro che vengono iscritti ai sensi della lett. d). 

Nel senso dell'insindacabilit� in sede di legittimit� della valutazione dei 
titoli di eccellenza in questione si , veda Cass. I, 21 gennaio 1994 n. 564; sulla 
giurisdizione del giudice ordinario si veda, tra le tante, la prima pronuncia 
Cass., Sez. Un., 20 marzo 1991 n. 2994, in questa Rassegna 1992, I, 63, con nota 
di Salva torelli. (F.S.). 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

294 

Nel caso di specie, par non essendo in discussione la seriet� del~ 
l'I.P.A.A.P. di Bologna e della Sophia University di Roma (SUR) -associazioni 
private riconosciute in campo nazionale ed internazionale -non 
poteva ritenersi sussistente il requisito del conseguimento, da parte dell'appellante, 
di � riconoscimenti nel campo specifico � nel senso voluto 
dal legislatore. 

Dalla documentazione esibita risultava che l'appellante era socio ordinario 
dell'I.P.A.A.P. presso il quale aveva seguito un corso triennale con 
carattere teorico-pratico di ricerca in campo socio-psicologico, che era 
socio corrispondente della S.U.R. ed aveva ottenuto l'iscrizione all'albo 
privato degli psicoterapeuti dell'Europa Unita (previsto dallo statuto della 
S.U.R.) in qualit� di �ricercatore nelle discipline psicologiche e psicoterapeutiche 
... psicoterapeuta in formazione � al termine del periodo di tre 
anni di esperienze psicologiche e psicoterapeutiche individuali e di gruppo. 

Dalla stessa natura del titolo conseguito dal Sanesi ( � ricercatore .... 
psicoterapeuta in formazione�) si desumeva che la sua esperienza e la 
preparazione professionale non erano ancora complete, per cui era da 
escludere che tale titolo potesse avere un valore quanto meno non inferiore 
ai corsi di studio universitari atti al conseguimento del diploma di 
laurea in psicologia, secondo la formulazione contenuta nella circolare ministeriale 
del 10 agosto 1989 invocata dall'appellante, e costituire pertanto 
un riconoscimento nel campo specifico a livello nazionale o internazionale 
ai fini dell'iscrizione all'albo. 

Ricorre per cassazione il Sanesi, con un unico motivo, illustrato da 
memoria. 

Resistono con controricorso il Ministero di Grazia e Giustizia ed il 

Commissario straordinario per la formazione dell'albo degli psicologi per 

la Regione Emilia Romagna, che hanno anche presentato ricorso inciden


tale condizionato, con un unico motivo. 

Motivi della decisione. 

Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi. 

Con l'unico motivo del ricorso principale il Sanesi denuncia violazione 

e falsa applicazione dell'art. 32, lett. d), della legge 18 febbraio 1989 n. 56 

e si duole del fatto che la sentenza impugnata abbia ritenuto insufficienti, 

ai fini della iscrizione all'albo, i titoli di cui era in possesso. 

Il motivo � infondato. 

� sufficiente osservare che l'art. 32, lett. d), cit., ha il carattere di 

norma c. d. di chiusura, che contempla soggetti i quali, pur non avendq 

i requisiti specifici (laurea e pratica nel campo della psicologia) previsti 

dalle precedenti disposizioni, abbiano comunque avuto modo di eccellere 

nel campo delle discipline psicologiche. 

Una volta chiarito tale punto, costituisce apprezzamento di fatto, 

come tale incensurabile in questa sede, in quanto sufficientemente e 

logicamente motivato, l'esclusione, ad opera della sentenza impugnata del 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 295 

possesso da parte del ricorrente di tale qualifica di eccellenza sulla base 
della mera frequentazione di corsi presso scuole psicologiche private, sia 
pure di alto livello, e della collaborazione prestata presso istituti privati 
.di ricerca nel campo della psicologia. 

Il ricorso principale va, pertanto, rigettato. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 maggio 1994 n. 4522 � Pres. Rossi� Rel. 
Ruggiero � P. M. Romagnoli. Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato 
Salvatorelli) c. Patti Caterina (aw. Zafferani). 

Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione acquisitiva � Perfezionamento 
� Elementi necessari. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione acquisitiva � Azione a 
tutela del privato per la perdita del diritto dominicale � Emanazione 
tardiva del �decreto di esproprio � Opposbione alla stima � Inammissibilit� 
� Diritto �al risarcimento del danno per fatto illecito dell'occupante 
� �Sussistenza. 

Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione di bene indiviso � 
.Giudizio. di opposbione ana� stima. inbiato da uno dei comproprietari 
espropriati � � Estensione degli effetti dell'opposbione ai com� 
proprietari non . partecipanti al giudizio � Insussistenza. 

Nell'ipotesi di illegittima occupazione di un immobile da parte di 
una pubblica Amministrazione la radicale trasformazione del fondo che 
denoti la sua irreversibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica 
determina, da un lato, l'immediata estinzione del diritto di propriet� 
del privato e, dall'altro, la contestuale acquisizione a titolo originario 
della propriet� in capo all'ente espropriante (1). 

(1) La Cassazione applica il principio. ormai consolidato in base al quale la 
perdita della propriet� per via di occupazione non seguita dal tempestivo decreto 
di espropriazione, si determina con la radicale trasformazione del fondo irreversibilmente 
destinato alla realizzazione dell'opera pubblica. Il principio, 
affermato per la prima volta nella sua assolutezza dall'ormai storico arr�t: 
.Cass. SS.UU. 26 febbraio 1983 ;o.. 1464;. � stato poi pi� volte ribadito dalla S.C. 
Si veda, tra le altre, Cass. 3 maggio 1991 n. 4868 e Cass. 16 settembre 1992 n. 10597 
nonch�, tra le pi� recenti, Cass. 13 gennaio 1994 n. 301. In tale ultima decisione, 
fa particolare, la S.C., consapevole dei problemi che, soprattutto in tema di 
decorrenza del termine di prescrizione sono sorti in relazione alla nozione di 
� radicale trasformazione del terreno �, individua il momento perfezionativo della 
fattispecie acquisitiva nel caso in cui � il bene immobile � subisca alterazioni 
fisiche e funzionali non emendabili, con definitiva perdita da parte del privato 
di tutte le facolt� inerenti al diritto di propriet��. L'occupazione appropriativa 
dunque -continua la Cassazione -' si verifica in seguito alla costruzione dell'opera 
pubblica � anche se questa abbisogni di complementi e rifiniture per 
9 



296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

L'acquisizione dell'immobile in capo alla Pubblica Amministrazione che 
lo ha illegittimamente occupato e definitivamente trasformato determina 
un fatto illecito istantaneo per la cui tutela spetta al privato l'azione per il 
risarcimento del danno derivante dalla perdita della propriet� con la 
conseguenza che una azione di opposizione alla stima proposta a seguito 
del decreto di espropriazione tardivamente emesso non pu� che essere 
rigettata difettandone i presupposti sostanziali (2). 

La domanda risarcitoria proposta da uno dei comproprietari danneggiati 
non estende i suoi effetti agli altri comproprietari rimasti estranei 
al giudizio di risarcimento e per ognuno di essi deve verificarsi se ed in 
quali limiti si � verificata la prescrizione (3). 


I 

la :sua destinazione a fini pubblici �. Sul punto si vedano anche Cass. 25 mar


I 

zo 1991 n. 3197; Cass. 9 giugno 1993 n. 6433; Cass. 3 febbraio 1993 n. 1302; Cass. 
20 dicembre 1993 n. 12868. 
Sulla pi� corretta configurazione del comportamento dell'Amministrazione 

I che occupi illegittimamente un fondo privato e vi costruisca un'opera pubblica 
modificando radicalmente la struttura del bene, come illecito aquiliano ex art. 
2043 e.e. a carattere istantaneo, si veda inoltre Cass. SS.UU. 25 novembre 1992 

I

n. 12546, che sembra avere ormai definitivamente segnato il tramonto della contrapposta 
tesi -pur autorevolmente sostenuta dalla pressoch� contemporanea Cass., !
)

sez. I, 8 ottobre 1992 n. 10979 -sul diritto del proprietario al controvalore del 

I 
' 

bene illegittimamente occupato con conseguente applicazione della prescrizione 
decennale anzich� quinquennale. Per un'ampia casistica dei precedenti in adesione 
alle contrapposte tesi v. Cass. 3 maggio 1991 n. 4848 in Foro it. 1992, I, 
2791. 

(2) L'individuazione del momento perfezionativo del passaggio di propriet� 
in capo all'Amministrazione occupante e, dunque, della consumazione dell'illecito 
da parte dell'Amministrazione rileva -oltre che ai fini del dies a quo del 
I

termine di prescrizione del diritto al risarcimento spettante al privato -anche 
in quanto lo stesso momento segna l'irrilevanza del sopravvenuto decreto di l 


I

esproprio. Il provvedimento espropriativo, infatti, viene considerato ormai 
inutiliter datum sia in ordine al trasferimento della propriet� del bene -gi� I verificatosi col compimento � sostanziale�, come sopra specificato, dell'opera 
pubblica -sia in ordine alla determinazione del tipo di tutela da accordare I

I

al privato, ormai definitivamente individuata nell'azione di risarcimento del 

danno ex art. 2043 e.e. Nel medesimo senso, di ritenere inammissibile l'op


posizione alla stima ogniqualvolta intervenga in un momento successivo alla I 

perdita del bene da parte del proprietario nella duplice considerazione dell'ir� 

rilevanza del decreto di esproprio, destinato ad incidere su un trasferimento gi� i 

consumatosi e della impossibilit� di configurare, dopo quel momento, un 

credito indennitario, si veda: Cass. 19 gennaio 1991 n. 514. 

Ancora, si fonda sul principio per cui l'acquisizione, del diritto dominicale 

in capo alla P.A. a causa della realizzazione dell'opera pubblica non determina 

la conversione dell'azione risarcitoria gi� proposta in opposizione alla stima 

bensl provoca � il cristallizzarsi � dell'illecito che giustifica l'azione di danno: 

Cass. 19 gennaio 1991 n. 502, in questa Rassegna, 1991, I, 270 e ss. 

(3) La Cassazione ribadisce l'orientamento gi� sancito in Cass. SS. UU. 15 giugno 
1993 n. 6635 che, nell'affermare la mancata estensione degli effetti dell'opposizione 
proposta da un solo comproprietario avverso la stima amministrativa 

PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 297 

a) Con il primo mot�vo del ricorso principale, l'Amministrazione deduce 
che erroneamente e con motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria 
la Corte d'Appello, pur avendo accertato che i terreni occupati 
erano stati irreversibilmente destinati alla realizzazione dell'opera pubblica 
gi� nell'agosto 1978 con conseguente acquisizione della propriet� in 
capo alla P.A., avrebbe ritenuto ammissibile ed accolto la domanda di 
opposizione alla stima dell'indennit� di espropriazione proposta dai proprietari 
a seguito dei decreti di espropriazione tardivamente emessi nel 
1980 e nel 1982, non considerando che i predetti non potevano pi� far 
valere un diritto all'indennit�, ma eventualmente un diritto al risarcimento 
del danno. 

La censura � fondata. 

Come � principio ormai fermo nella giurisprudenza di questa Suprema 
Corte successiva alla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 1464 
del 1983, in ipotesi di illegittima occupazione da parte della pubblica amministrazione 
di un terreno di propriet� privata, la radicale trasformazione 
del fondo che denoti la sua irreversibile destinazione alla realizzazione 
dell'opera pubblica comporta da un lato l'immediata estinzione del 
diritto di propriet� del privato e la contestuale acquisizione, a titolo 
originario, della propriet� in capo all'ente cui appartiene l'opera pubblica, 
e dall'altro realizza un fatto illecito istantaneo che si consuma e 
si esaurisce nel momento stesso dell'indicata radicale trasformazione del 
fondo, se intervenuta durante l'occupazione illegittima, ovvero, se gi� 
verificatasi nel periodo di occupazione legittima, al momento di scadenza di 
quest'ultima senza che nel frattempo sia intervenuto il provvedimento di 
esproprio. Con la conseguenza che da tale momento, consumandosi l'illecito 
in tutti i suoi elementi costitutivi e prodottosi il danno della irreversibile 
perdita della propriet�, il privato pu� far valere il suo diritto al 
risarcimento, ed un sopravvenuto provvedimento di espropriazione rimane 
del tutto irrilevante ed inidoneo a produrre i suoi effetti sia in ordine 
al trasferimento della propriet� che alla definizione dei diritti del privato, 
per la semplice ragione che di esso -in concreto -� venuto a mancare 
completamente l'oggetto, l'immobile ormai essendo gi� definitivamente 
ed irreversibilmente, anche se illecitamente, entrato a far parte del demanio 
o del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico. 

Da tutto ci� deriva inevitabilmente che nella detta ipotesi non � 
configurabile un diritto del privato all'indennit� di espropriazione, la sua 
tutela restando affidata all'azione di risarcimento del danno per la perdita 
del diritto di propriet� in dipendenza del fatto illecito dell'occupante, 
con la conseguenza che un'azione di opposizione alla stima proposta a 

anche ai comproprietari non opponenti o, comunque, rimasti estranei al giudizio, 
nega espressamente l'esistenza tra gli stessi di un litisconsorzio necessario. 




298 '

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

seguito del decreto di espropriazione tardivamente emesso non pu� che -~ 

I 
I 
.�� 

essere rigettata difettandone i presupposti sostanziali (cfr. in particolare 
Cass. 514/91, 1302/90, 5806/89). 

Con il secondo motivo del ricorso principale, l'Amministrazione investe 
il punto della decisione con il quale la Corte di appello ha ricono. 
sciuto il diritto delle parti private al risarcimento del danno per l'illegit:
� 
tima protrazione della detenzione del terreno dalla scadenza dell'occupazione 
legittima fino alla data dei decreti di espropriazione, e, sempre 
sul presupposto affermato dalla stessa Corte di merito della trasformazione 
dell'immobile avvenuta nell'agosto 1978, deduce in proposito: a) 
che per una porzione del terreno si era proceduto all'occupazione nel 
giugno 1978, per cui, essendo la trasformazione avvenuta durante il biennio 
di occupazione legittima, non era a parlarsi di protrazione dell'occupazione 
dopo la scadenza detto biennio, a tale data essendosi prodotto 
l'effetto estintivo-acquisitivo della propriet�; b) che per l'altra porzione, 
gi� occupata nel 1975, la detenzione illegittima dopo il biennio doveva 
ritenersi cessata una volta intervenuta la trasformazione e l'acquisizione 
in propriet�, e che per il periodo in cui si era protratta l'azione risarcitoria 
doveva ritenersi prescritta, almeno nei confronti delle parti intervenute 
nel 1984. 

Anche tale censura � fondata. 

Deriva da quanto si � gi� detto discutendo del primo motivo del 
ricorso che, una volta che il bene illegittimamente occupato sia acquisito 
in propriet� della pubblica amministrazione per effetto della sua radicale 
trasformazione ed incorporazione nell'opera pubblica, dalla data in cui 
tale evento si verifica, e cio� dal giorno della scadenza del periodo di 
occupazione legittima se la trasformazione � avvenuta in corso di esso, 
ovvero, se successiva, dalla data della trasformazione medesima, non � 
pi� evidentemente configurabile un'occupazione temporanea dell'immobile 
da parte dell'ente pubblico, che ne � ormai divenuto pieno proprietario, 
n� di conseguenza sussiste pi� materia per un diritto del privato 
al risarcimento del danno per occupazione (temporanea) illegittima, avendo 
egli diritto, dall'indicato momento, al risarcimento corrispondente al 
valore pieno dell'immobile perduto (cfr. Cass. 3355/92, 7645/91, 9639/90, 
5127/87). 

Per quanto riguarda poi la detenzione abusiva precedente all'acquisizione 
della propriet�, � da rilevare che il danno si verifica momento per 
momento ed in ogni momento sorge il diritto al risarcimento per il 
danno gi� verificatosi e decorre il relativo termine di prescrizione, con 
la conseguenza che il diritto deve ritenersi prescritto per il periodo anteriore 
al quinquennio della domanda o dalla messa in mora; ed inoltre, 
che nel caso di pi� comproprietari dell'immobile occupato, ognuno di 
essi, per la sua quota di propriet�, � titolare di un proprio ed autonomo 
diritto al risarcimento verso l'occupante, senza che tra gli stessi possa 



PARTE l, SBZ, lll, GIURISPRUDENZA ClVIUl, GlURlSDIZIONB B APPALTI 299 

ravvisarsi un rapporto .. di solidariet� attiva; la quale nnn si prestllne n� 
pu�.essere��costituita dall'identit� del���fatto� generatore<del� rispettivo. �di� 
rittei~ con la�.�.onseguenza .che�.la ��domanda risarcitoria proposta da uno 
dei >c()mproprietad danneggiati non estende i suoi effetti a:gli altri, e 
per ognuno singolarm�nt:e deve verificarsi se ed in..quali limiti si � 
verifi�atatla p:fe$'Ctizi<:>ttech > ������ �� � 

. . . . . . . 

: Con il ~i'ZbimQtiv<l.ddi tjcorso� �principale; .. l'Amministrazione deduce 
cliei eri'oneilnente da �Cort~ i:VAppelfo<avrebbe �� ritenuto che ��l'azione �di 
opj:'l()sizione>alla stima tem:t:Pestivamente ptoposta�.��neltern�ne�di decadenza 
posto dall'art, 51 deUaJegge 25 giugno 1865 n'. 2359 da uno dei com� 
pr<lprietarl (n~1la SP$;i~> C�;\terina Patti)� valga a far salva. l'indicato� tennine 

� debacten2:ia1e. aitch<f a fa'1'6ie degli �altri contitolari del. diritto (nella� specie 
intervenutid�po la scadenzadel termine), senza �considerate che��l'op, 
posizione' sareb:be proposta llll,~e:nte nei limiti dell'interesse della parte, 
e p()~ p9t~bl;>~ eh.e rl~pdarela quota. di� indennit� �Spettante. 
��ᥥ�����.��ᥥ�ta. censu:rt:l\�.nonpiib.� ��rltenetsi .. asl�orbita.�� per ��effetto.� dell:'accoglimiw.to 
de� prececilenti ctue motivi� del� rlc�rso; ed in pau:ticolare deLprimo motivo 
rigU:atdant� la :rileilt.Ulia del .. decr<::,t<l dl espropriazione .. in p:re~enza. di. una 
gi� avvenuta acqui$izione .della }ltopriet�.del bene illecitamente�� ed irreversibilmente 
occupato; l'accoglimento. dei predetti motivi, invero,. impone 
l'esame anche del ricorso incidentale condizionato dei proprietari, i quali 
con. ~S<l�.pongono. in discussione .. (e . fondatamente, come . si vedr�) .. }'a.ccertamento 
nella specie della � sussist!llnza dei p:r;esupposti .�di fatt() dell'occupazi6ne 
acqUisitiVa in� favore dell'Amministrazione, e. sostengono 
quindi foperativit�� dei decreti.� di espropriazione emessi, e. la. �ricorrente 
principale � consezyi:i; �� perci� �.interesse alla censura riguardante.�.� l'ambito 
di���.efficacia�.delropposizione��alla stima �.�... 

. . � La �detta censura . non ��pu� .essere accolta. 

� .Come � stato precisato. dalla prevalente<gbuisp:rudenza di questa Suprema 
Corte, alla quale il Collegio ritiene di dovere aderire; l'espropria� 
zione. per pubblica utillt� ha ad oggetto non direttamente il diritto o i 
vari. diritti concorrenti sm bene;. ma il bene come tale unitariamente 
consid:erato1��e l'indennit� di conseguenza �0 unica,. nel aenso . che essa � 
riferita al bene . nella sua unit� e non ai singoli diritti che possono�� gravare 
sul bene .stesso, i quali si� trasfenscono e possono .farsi valere sm~ 
l'indennit�; di� cui perci� �� :Ptescritto il deposito; Sulla �base di tale principiQ, 
iLproceditnento di dete:n:ninaZione delrinde:nnit�; non solo nel sistema 
della legge fondamentale 2359/1865 .(nella specie applicato) ma 
anche in quella della legge 22 ottobre1971 n. 865, tende, sia nella.fase amministrativa 
che in quella di controllo giudiziario sulla; stima, alla determinazione 
del giusto indennizzo dovuto per l'espropriazione del bene 
in s� e non alla liquidazione dei diritti spettanti ai singoli comproprietari 
o gli altri aventi diritto, tanto che il giudizio di opposizione alla 
stima si conclude non con la condanna dell'espropriante al pagamento 

' 


300 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

dell'indennit� in favore �degli effettivi proprietari del bene, ma con la 
determinazione della giusta indennit� per il bene nel suo complesso e 
l'ordine di deposito della stessa, da attribuirsi poi, secondo le modalit� 
previste dagli artt. 52 e segg. della legge 2359/1865 e dopo che su di essa 
siano fatti eventualmente valere diritti spettanti a terzi, a coloro che 
risulteranno essere titolari del diritto di propriet� sul bene espropriato. 

In altri termini l'unitariet� dell'oggetto dell'espropriazione comporta 
unitariet� dell'indennit� e della relativa stima, ed unitariet� quindi anche 
della pronuncia del giudice in sede di opposizione, con la conseguenza 
che, in caso di espropriazione di un bene indiviso, da una parte non � 
configurabile la possibilit� per uno dei comproprietari di azionare il 
suo diritto pro quota, dall'altra, se l'opposizione, sia proposta nel termine 
di legge solo di taluno dei detti comproprietari, essa estende i suoi 
effetti, necessariamente unitari, anche agli altri comproprietari, ancorch� 
per essi sia decorso il termine o siano rimasti estranei al giudizio, 
il giudice dovendo sempre determinare l'indennit� in rapporto al bene 
considerato nel suo complesso ed unit�, e non alle singole quote spettanti 
ai compartecipi (cfr. Cass. 2421/92, 2180/92, 4053/90, 2053/78, 3262/74, 
ed ex professo Cass. Sez. Un. 6635/93 pronunciata nelle more della pubblicazione 
della presente decisione). 

Come si � gi� detto, l'accoglimento dei primi due motivi del ricorso 
principale comporta l'esame del ricorso incidentale condizionato proposto 
dai privati proprietari Patti. Con l'unico motivo di esso, i ricorrenti 
deducono che del tutto immotivatamente la Corte d'Appello avrebbe ritenuto 
essersi verificata la radicale trasformazione del fondo occupato con 
conseguente estinzione del diritto dominicale dei privati proprietari ed 
acquisizione a titolo originario della propriet� all'ente occupante, senza 
considerare le circostanze e gli elementi, puntualmente prospettati dalla 
parte, da cui sarebbe risultato che, alla data dei decreti di esproprio, 
quella trasformazione non vi era stata. 

Sul punto, in verit�, la Corte di merito non si � particolarmente soffermata, 
avendo essa in sostanza ritenuto, come si � detto, che i decreti 
di espropriazione fossero comunque efficaci, indipendentemente dalla gi� 
intervenuta occupazione acquisitiva, almeno a legittimare il diritto dei 
privati a conseguire l'indennit� di espropriazione; ha tuttavia positivamente 
affermato (pag. 10) che � nell'agosto 1978 il bene, per effetto della 
sua commutazione fisica e destinazione irreversibile all'opera pubblica, 
venne acquisito dall'ente pubblico costruttore .... �, e tale affermazione, 
per quanto sopra si � detto accordandosi i primi due motivi del ricorso 
principale, � certamente pregiudizievole per i diritti fatti valere in giudizio 
dai privati proprietari, che hanno quindi un concreto interesse 
ad impugnarla. 

La censura deve accogliersi nei sensi e nei limiti che vanno a precisarsi, 

PARTB I, SEZ. III, GltrRISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 

Va�. premesso che; . secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza 
di questa Suprema Corte a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite 

n. 1464/8"3 edulteriormenteprecisati in sentenzesuccessive, tra gli elementi 
costitutivi della fattispecie cbe d�luogo alla cosiddetta occtipazione acquisitiva 
ri:ve!!lte un ruolo essenziale> la �radicale trasformazione � del fondo 
abusir~mente oc�.patct< vale a ��dire�� il mutamento . strutturale della conformaziqne 
.fisica del suolo, con la definitiva perdita.�dei suoi caratteri, 
deL suo aspetto e della sua originaria fisionomia materiale, rimanendo 
esso�stabilmente ed. inscindihilmente.>incorporato ed �assorbito, quale 
parte indistinta e�. non autonoma, in un bene nuovo� e . diverso costituito 
dall'�pera p�bolfoa, caratterizzato, nella sua unitariet� strutturale e 
furiti6l1al�, d� tn1 regime giuridico �unico�� e�non frazionabile, in cui viene 
attratfa ogni sua �componente; tutte assumendo �quella� stessa qualificazione 
di �pubblico � che� accede all'opera nella sua unit�. Da ci� appuntq 
l'effetfo, per fill\possibilit� di configurare un . regime di doppia 
apparie11enza e� di �. d()ppfa' C!ualificazione���giuridifa. dello. stesso bene, 
dell'estimi�ne del 'diritto di prcfpriet� del privato e �della contestuale 
*CJ.U.i$izfone, a. titolC> �orisinar��/cl'ella propriet� stessa �in capo all'ente 
ciii apJ?mt~n� u.. nuovo . b�ri.e .che�� incorpora quello .originario. 
. . ,t.lqn � q.jJ:idL$ufficiente, per <,letenn.inarsi la realizzazione della fattispecie 
dell'occupaziOne acquisitiva, che il terreno occupato abbia comunque 
subito una manipolazione o anche che venga di fatto impiegato 
per il soddisfacimento di fini di interesse generale, ma occorre che 
emerga l'opera pubblica quale benestrutturalmente e fisicamente nuovo, 
s� da �evidenziare l'incompatibilit� con essa den>i1utoncima sopravvivenza 
del suolo ingl~bato (cfr. Cass: 3197/91, 4995/89, 4701/89, 4584/86). 
Nella specie, � da rilevare che ilt~ibt.�iaJe. aveva accolto la domanda 
di opposizion,e alla stima proposta dai privati e disatteso l'eccezione 
dell'A11n11ini~trazione di avere . gi~ acq.i$ito la propriet� del suolo in 
dipende~a� t;J.i .~~cupazion(ll ~Ppfoptj~tiy~,; .$'11 �� rilieyo che difettava la 
prova, da fornirsi dalla. ste!!lsa Ammini$trazion,e, che prima dei decreti 
di esproprio sifosse verificata la ��radicale��trasformazione del terreno 
nel senso indieato, l� documentazione esibita riferendosi ad opere diverse 
da quelle che aveva.rio �riteressato i terreni�� in questione; 

A seguito c!ell'appello dell'Amministrazione, gli appellati nelle loro 
difese� avevano puntualmente riproposto e ribadito la loro tesi accolta 
dai pril)li. giudici, conte$tando che, in base alla documentazione prodotta 
c;'lalla stessa appellante, potesse ritenersi avvenuta la radicale 
trasformazione delle loro particelle di terreno, da essa risultando solo 
cbe le dette aree eran,o state oggetto esclusivamente di sistemazione 
superficiaria con materiale di riporto, senza la realizzazione di opere 
strutturali. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

La Corte d'Appello si � limitata, come si � detto, ad affermare che 
era intervenuta la commutazione fisica e destinazione del fondo all'opera 
pubblica; ma tale affermazione si presenta meramente apodittica ed � 


fil 
certamente censurabile sotto il profilo della carenza di motivazione, non m 
dando alcun conto degli elementi sui quali si fonda ed obliterando com-: 
pletamente le circostanze decisive prospettate dagli appellati e gi� peraltro 
tenute presenti dal tribunale. 
Entrambi i ricorsi, in conclusione, devono essere accolti nei sensi 
e nei limiti che sono stati precisati, e la sentenza impugnata deve essere 
cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, la 
quale anzitutto dovr� procedere ad un pi� penetrante ed adeguato accertamento, 
sulla scorta degli elementi e delle prove gi� acquisiti in giudizio, 
circa la � radicale trasformazione � delle aree Patti nel senso precisato 
in sede di accoglimento del ricorso incidentale, ed all'esito di tale indagine, 
ove da essa effettivamente e motivatamente risulti che la trasformazione 
� avvenuta, ed in epoca anteriore ai decreti di esproprio, 
decidere la controversia in ordine alla spettanza dell'indennit� di espropriazione, 
uniformandosi ai principi enunciati in sede di accoglimento 
del primo motivo del ricorso principale, mentre, per quanto riguarda 
la domanda di risarcimento per occupazione temporanea illegittima si 
atterr� ai principi enunciati in sede di accoglimento del secondo motivo 
del discorso principale. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 maggio 1994 n. 4965. Pres. Montanari 
Visco -Rel. Amirante. Calvello Margherita (avv. Allegra) c. Ministero 
del Tesoro (avv. Stato Criscuoli). 

Giurisdizione civile � Giurisdizione ordinaria o amministrativa � Impiego 
pubblico � Enti pubblici � Dipendenti degli enti mutualistici soppressi, 
trasferiti alle U.S.L. � Diritto all'eccedenza ex art. 76 d.P.R. 761 del 
1979 � Oggetto � Restituzione di contributi versati oltre il dovuto � 
Indebito oggettivo � Configurabilit� � Giurisdizione dell'AGO � Sussistenza 
� Pretesa della rivalutazione automatica del credito � Estensione 
� Riferimento all'art. 1224 e.e. � Irrilevanza. 

Il diritto dei dipendenti dei soppressi enti mutualistici, trasferiti 
alle U.S.L., all'eventuale eccedenza prevista dall'art. 76 del d.P.R. 20 dicembre 
1979, n. 761 (costituita dalla differenza fra l'importo versato dall'Ufficio 
liquidazioni del Ministero del Tesoro all'INADEL a titolo di indennit� 
di anzianit� maturata alla data di iscrizione a detto ente e la 
somma necessaria alla ricongiunzione dei servizi riconosciuti utili per 
il trattamento di fine rapporto presso l'ente di provenienza) non ha per 
oggetto l'indennit� di anzianit� che matura al momento della definitiva 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 303 

cessazione del rapporto di pubblico impiego proseguito senza soluzione 
di continuit� con la U.S.L. di destinazione, ma la restituzione dei contributi 
che risultano versati oltre il dovuto, talch� concerne un indebito oggettivo, 
la cui cognizione � devoluta al giudice ordinario, anche per la 
parte concernente la pretesa della rivalutazione automatica dei relativi 
crediti, sia pur essa dedotta in relazione all'art. 1224 cod. civ. (1). 

Margherita Calvello, dipendente di ente mutualistico disciolto, transitata 
alle dipendenze di U.S.L., con ricorso al Pretore di Bari, chiedeva la 
condanna dell'INADEL e del Ministero del Tesoro, in solido oppure secondo 
la responsabilit� di ciascuno, al pagamento in suo favore della 
rivalutazione e degli interessi sulla differenza, di cui all'art. 76 d.P.R. 
20 dicembre 1979 n. 761, tra l'importo teorico dell'indennit� di fine rapporto, 
maturata presso l'ente di provenienza, e quello da versare all'INADEL 
per la ricongiunzione dei rapporti previdenziali, essendo stata 
tale eccedenza corrisposta con ritardo. 

Il Pretore accoglieva la domanda nei confronti del Ministero e la 
rigettava nei riguardi dell'Istituto. 

Il Ministero proponeva appello, sostenendo la carenza di giurisdizione 
del giudice ordinario, il proprio difetto di legittimazione passiva 
e l'infondatezza nel merito della pretesa. 

Il Tribunale di Bari, dopo aver rilevato che la pronuncia di rigetto 
della domanda nei confronti deli'INAbEL era passata in giudicato per 
difetto d'impugnazione sul punto, dichiarava la propria carenza di giurisdizione 
a pronunciare sulla domanda proposta contro il Ministero del 
Tesoro. 

Contro tale sentenza, l'assicurata ha proposto ricorso con unico motivo. 
Il ricorso � stato notificato per il Ministero all'avvocatura distrettuale 
dello Stato di Bari, ed all'INADEL. 

Si � costituita con controricorso l'avvocatura generale dello Stato, 
rimettendosi al prudente apprezzamento della Corte. Non si � costituito 
l'Istituto suindicato. 

Motivi della decisione. 

Con l'unico motivo del ricorso, si denuncia violazione dell'art. 1 

c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 1 c.p.c. e si sostiene che la domanda 
non trae origine dal rapporto di pubblico impiego, bens� da un indebito 
(1) Giurisprudenza consolidata. La sentenza conferma i principi gi� affermati 
dalle Sezioni Unite in tema di restituzione dei contributi versati oltre il 
dovuto dai dipendenti dei soppressi enti mutualistici trasferiti alle U.S.L. La Cassazione 
motiva il decisum riaffermando il principio di diritto gi� enunciato 
in recenti pronunce con riferimento ad analoghi casi. Si erano infatti pronunciate 
nel senso della sussistenza di u�la fattispecie di indebito oggettivo: SS. UU., 
18 ottobre 1993 il. 10299; SS. UU., 25 n�vembre 1993 n. 11644. 

304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

oggettivo, intervenuto nell'ambito del rapporto previdenziale, con la conseguenza 
che la controversia rientra nella giurisdizione ordinaria. 

Si rileva preliminarmente che la costituzione dell'avvocatura generale 
ha sanato il vizio della notifica del ricorso, effettuata all'avvocatura 
distrettuale. 

Si osserva; inoltre che nessuna censura � stata mossa contro il rilievo 
concernente la formazione del giudicato sulla pronuncia di rigetto 
della domanda contro l'INADEL, rilievo contenuto nella sentenza del 
Tribunale. 

Il ricorso � fondato. 

Esso propone una questione, che � stata gi� risolta da questa Corte 
in controversie analoghe alla presente, con l'affermazione dei seguenti 
principi: �Il diritto dei dipendenti dei soppressi enti mutualistici, trasferiti 
alle U.S.L., all'eventuale eccedenza prevista dall'art. 76 del d.P.R. 20 dicembre.
1979 n. 761 (costituita dalla differenza fra l'importo versato dell'Ufficio 
liquidazioni del Ministero del Tesoro all'INADEL a titolo d'indennit� 
di anzianit� maturata alla data di iscrizione a detto ente ed il trattamento 
di fine rapporto presso l'ente di provenienza) non ha per oggetto 
l'indennit� di anzianit�, che matura al momento della definitiva cessazione 
del rapporto di pubblico impiego proseguito senza soluzione di continuit� 
con la U.S.L. di destinazione, ma la restituzione dei contributi che risultano 
versati oltre il dovuto, talch� concerne un indebito oggettivo, la cui 
cognizione � devoluta al giudice ordinario, anche per la parte concernente 
la pretesa della rivalutazione automatica dei relativi crediti, sia 
pur essa dedotta in relazione all'art. 1224 cod. civ.� (v., tra le pi� recenti, 

S.U. 18 ottobre 1993 n. 10299; S.U. 25 novembre 1993 n. 11644). 
A tale orientamento consolidato il Collegio ritiene di uniformarsi, non 
ravvisandosi ragioni, prima non valutate, che possano indurre a discostarsene. 


La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata e la causa deve 
essere rimessa allo stesso Tribunale di Bari, al quale si ritiene opportuno 
rimettere anche i provvedimenti sulle spese del presente giudizio. 

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 maggio 1994 n. 5121 � Pres. Bile � 

Rel. Sgroi � P. M. Morozzo. Pietro Mele (avv. Rossi e Piaggio) c. Mini


stero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Fiumara). 

Appalto (contratto di) � Appalto di opere pubbliche � Revisione prezzi � !

i

Posizione dell'appaltatore � Natura di diritto soggettivo tutelabile I 
davanti all'AGO � Condizioni � Adozione di un provvedimento di ricoi 
f 
noscimento del diritto alla revisione da parte della P. A. � Sussistenza. 

Una volta intervenuto il riconoscimento da parte della P.A. del diritto 
la 

I

alla revisione prezzi in favore dell'appaltatore 

di opera pubblica, 

! 

I 

I 

I 

II 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 305 

controversia che insorga sulla concreta determinazione dell'importo revisionale 
rientra nella giurisdizione dell'AGO in quanto attinente al quantum 
di un credito gi� riconosciuto all'appaltatore e pertanto non incidente su 
poteri e valutazioni discrezionali dell'Amministrazione medesima (1). 

b) Col secondo motivo, il Mele denuncia la violazione del giudicato 
sulla giurisdizione, la contraddizione insanabile fra la reiezione del 
terzo motivo d'appello dell'Agenzia e dell'appello in parte qua della Provincia 
di Benevento e le ragioni esposte per respingere l'appello della 
Melpi, nonch� omesso esame di punto decisivo, ai sensi dell'art. 360 

n. 5 c.p.c,, osservando che, dopo le corrette motivazioni inerenti alla conferma 
della sentenza di 1� grado, sulla questione di giurisdizione (sia per 
il giudicato formatosi a seguito delle sentenze di questa Corte sul regolamento 
di competenza, sia perch� le domande della Melpi esponevano 
richieste di riconoscimento a compensi revisionali rientranti nei poteri 
giurisdizionali del G.O, sia perch� era irrilevante il mancato esperimento 
del procedimento amministrativo di cui al d.l. CP.S n. 1501/47) la Corte 
d'Appello aveva respinto l'appello della Melpi, ritenendo che la determinazione 
delle quote d'incidenza ai fini della revisione dei prezzi rientrasse 
nel potere discrezionale della P.A., sicch� di fronte al rifiuto o all'inerzia 
di essa, l'appaltatore dovrebbe rivolgersi al giudice amministrativo. 
La ditta ricorrente osserva che, una volta stabilita in contratto l'applicazione 
della revisione; i metodi, dati e criteri per la determinazione del 

(1) La sentenza si fonda sui principi ormai consolidati in tema di revisione 
prezzi negli appalti di opere pubbliche elaborati dalla giurisprudenza della 
Suprema Corte e del Consiglio di Stato. 
Dalle note sentenze 1363 e 1366 del 1983 la Cassazione ha adottato quale 
criterio risolutivo della giurisdizione il principio secondo il, quale la revisione 
del prezzo del pubblico appalto trova attuazione in due distinte fasi. 

Nella prima, caratterizzata dall'esercizio di un potere discrezionale dell'Amministrazione 
appaltante di riconoscere o meno la revisione del prezzo di appalto, 
l'appaltatore � titolare di un mero interesse legittimo al riconoscimento 
dell'importo revisionale con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo 
(sulla particolare configurazione di tale potere discrezionale come �potere 
necessitato� di procedere a revisione v. CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, 
Giuffr�, 1988, 837 e ss.). 

Esaurita tale fase in senso favorevole all'appaltatore, la posizione di questi 
diviene di diritto soggettivo perfett� con la conseguenza che la domanda volta 
alla concreta determinazione delle somme ad esso spettanti a titolo di revisione 
prezzi spetta alla cognizione del giudice ordinario. 

Il crietrio di riparto sopra illustrato, seppure pacifico nelle sue premesse 
teoriche, ha dato luogo nella prassi giudiziaria a notevoli problemi applicativi. 

Sulla possibilit� di configurare un riconoscimento tacito della revisione si 
veda, ad esempio, Cass. SS.UU. 17 ,dicembre 1991 n. 13606 in cui si afferma 
che la decisione della P.A. -di concedere la revisione pu� avvenire in via implicita 
per effetto del pagamento di acconti di revisione, purch� riferibili all'intero 
compenso revisionale (e non anche a pagamenti per revisioni parziali, limitate 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

306 

compenso revisionale appartengono al contratto, nel quale� sono stabilite 
le quote d'incidenza (riferite ai dati tecnici dei .progetti originari), il che 
postula che il diritto alla revisione sia pattiziamente riconosciuto con esclusione 
di ogni potere diScrezionale dell'Amministrazione; le quote di inci� 
denza emergono dai dati progettuali e costituiscono elementi del contratto 
ed .ogni controversia sul punto della quantificazione del diritto 
soggettivo dell'itnpresa appartiene alla cognizione dell'A;G.0;, perch� ogni 
attivit� tecnico � contabile di�. determinazione del quantum appartiene al; 
l'area contrattuale dei diritti soggettivi delle parti. 

Inoltre, l� sentenza impugnata ha omesso ogni motivazione su un 
punto dee�sivo �emergente�. dagli atti, e cio� l'inserzione �delle quote d'incidenz� 
nei contratti originari,� Si. tratta� di circostanza determinante, perch� 
indicativa del corretto procedimento contrattuale per la redazione dei 
computi revisionali in corso d'opera in base alle quote d'incidenza origi� 
narie, laddove non vi siano perizie tecniche di variante, ed in base alle 
diverse quote da determinarsi sui dati progettuali delle perizie di variante, 
qualora esse intervengano. 

I motivo � fondato, per quanto di ragione, e cio� in ordine all'ultimo 
rilievo. 

Per poterlo esaminare, occorre procedere all'interpretazione .� della 
sentenza impugnata, la quale, ad una prima lettura, sembra aver negato 
la giurisdizione del G.0. in ordine alle �richieste di compensi revisionali 
nelle misure indicate nei due de�reti ingiuntivi del 1982. Tuttavia, ,nel 

cio� a .determinate categorie di opere ovvero ad un determinato periodo di 
tempo, posto che l'Amministrazione; nella fase dell'an, ha facolt� di ammettere 
solo in parte la revisione). 

;Da .Ultimo, ha confermato la�� posSibilit� � di tale� implicito riconoscimento 
attraverso un comportamento concludente dell'Amministrazione, anche la pi� 
recente Cass, SS, UU. 6 maggfo 1994 n. 4388. A tal fine, precisa peraltro la S.C., 
non � sufficiente n� la previsione contrattuale delle cos� dette � quote di inci� 
denza � dei vari fattori di costo n� un riconoscimento che non provenga dal� 
l'organo deliberativo competente ad esprimere la volont� dell'ente. 

Ulteriori problemi applicativi si sono. posti inoltre con riferimento alla c. d. 
seconda fase, in ordine alla individuazione in concreto dei parametri da applicare 
nel calcolo dell'importo revisionale spettante all'appaltatore. Tra� i problemi 
pi� dibattuti in giurisprudenza ad esempio, quello relativo alla deter� 
minazione delle tabelle di� riferimento. SUil'argomento si veda tra le decisioni 
pi� recenti: Cass., sez. l; 25� s.ettembre 1993 n. 9720, in Foro it. 1994, fase. 1�, 
302 e ss. che, nell'affermare la necessit� del riferimento, per il calcolo del compenso 
revisionale, alla tabella che riproduce i prezzi cor~ti al momento della presenta� 
zione dell'offerta, ancorch� compilata e pubblicata successivamente, aderisce 
al revirement giurisprudenziale operato dalla. S.C. con la sentenza 7 novembre 
1990 n. 10723. Tale .decisione, pubblicata in questa Rassegna, 1991, I, 257, con 
nota adesiva di Cingolo, segn�� il :definitivo abbandono del. precedente indirizzo 

�sostenuto 'dal Consiglio di Stato1 Ad. Plen.1 7 � settel.llbl:e 1984 n. 18 (che, al con� 

trarlo,. faceva riferimento alla: .tabella �nota � cio� materialmente. disponibile al 

momento . della formulazione d�ll'offerta). 



PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 307 

dispositivo � contenuta la pronuncia di rigetto degli appelli incidentali, 
con cui veniva sollevata la suddetta questione di giurisdizione; ed, inoltre, 
nella prima parte della motivazione -con riguardo a tutte le quattro 
opposizioni a decreti ingiuntivi (pag. 13-14) -si � affermata esplicitamente 
la giurisdizione del G.O. 

Si deve ritenere, pertanto, che il problema del riconoscimento del 
quantum della revisione (in base a quote d'incidenza diverse da quelle 
indicate nei contratti originari e corrispondenti all'effettiva natura e 
qualit� delle opere eseguite, secondo le numerose perizie di variante), � 
stato risolto c;on una motivazione che ad abundantiam richiama il difetto 
di giurisdizione del G.O., ma che in realt� � poggiata tutta sulla � mancanza 
di consenso � nella determinazione delle quote d'incidenza (adeguate 
a notevoli varianti dei lavori originariamente appaltati) e nell'insufficienza 
delle determinazioni unilaterali dell'appaltatore. 

D'altra parte, � evidente che un problema di giurisdizione non poteva 
neppure sollevarsi, nella specie, perch� dopo le sentenze n. 1363 e n. 1366 
del 1983, queste Sezioni Unite hanno affermato che il principio secondo 
cui la revisione del prezzo deriva dall'esercizio di un potere discrezionale 
della P.A., a fronte del quale l'appaltatore � titolare di interessi legittimi, 
riguarda la fase nella quale l'Amministrazione � chiamata a deliberare 
sul riconoscimento della revisione; ma, dopo che la scelta sia stata 
effettuata in senso positivo, la posizione dell'appaltatore acquista consistenza 
di diritto soggettivo, perch� la concreta determinazione del quantum 
coinvolge solo l'applicazione di criteri e parametri liquidatori. Nella specie, 
i compensi richiesti con i decreti ingiuntivi del 1982 riguardono le stesse 
categorie di opere e gli stessi tempi, in ordine ai quali la revisione era 
stata riconosciuta dalla P.A., e la differenza riguardava soltanto le diverse 
quote d'incidenza utilizzate nei due calcoli. Una controversia di questo 
tipo attiene alla misura della revisione, che non riguarda soltanto gli 
errori materiali o di calcolo (Cons. Stato n. 203 del 31 marzo 1989, sez. 
IV, fra le altre), ma anche i casi in cui si discuta sull'individuazione della 
tabella revisionale applicabile ed, in genere, sui criteri di calcolo (Cass., 
sez. un., 27 dicembre 1990 n. 12175; 17 dicembre 1991 n. 13606; n. 8417 
del 18 agosto 1990). 

Pertanto, � irrilevante la prima parte del motivo (affidata del resto 
a considerazioni inesatte, quali il giudicato sulla giurisdizione, che non 
pu� formarsi a seguito di sentenze della Corte Suprema sulla competenza 

(S.U. n. 4504/89), ovvero il carattere contrattuale della revisione, che 
non esisteva, esistendo invece il riconoscimento del diritto alla revisione 
su tutti i lavori e su tutti i tempi di essi, da parte della P.A.). Si deve 
accogliere, invece, l'ultima parte di esso, sull'omissione di motivazione. 
� vero, infatti, che �non � sufficiente la determinazione unilaterale 
dell'appaltatore, ma non � vero che ad essa non possa sostituirsi quella 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

308 

del giudice ordinario, la quale dovr� statuire sul quantum in base alla 
legge applicabile, nonch� alla identificazione dei contratti che sono in 
effetti intercorsi fra le parti. Nei contratti di appalto di opere pubbliche, 
infatti, � determinante il consenso delle parti sul tipo effettivo di opera 
eseguita (Cass. 25 settembre 1984 n. 4820), per cui il giudice ordinario 
dovr� prima stabilire se si sia formato il consenso della P.A. e dell'appaltatore 
sui detti contratti, e poi, in base alla legge applicabile ratione 
temporis, stabilire le quote d'incidenza sul costo complessivo dell'opera 
tanto della manodopera, quanto dei materiali, dei trasporti e dei noli 
secondo la categoria delle opere e la natura dei lavori, contemplati nei 
contratti effettivamente intercorsi fra le parti. 

La suddetta indagine di merito (su. un punto decisivo) � stata del 
tutto omessa dal giudice, per cui la sentenza va cassata, .su tale punto. 
Ovviamente, una volta risolto il problema preliminare suddetto, dovr� 
procedersi eventualmente al calcolo dei compensi spettanti in base alle 
quote d'incidenza adeguate ai lavori contrattuali eseguiti, e cio� in base ai 
parametri rispondenti alle analisi dei prezzi delle categorie di lavori 
suddetti. 

e) La decisione del secondo motivo di ricorso rende inammissibile 
il terzo motivo, che attiene soltanto ad una questione di giurisdizione 
(che � assorbita dalle considerazioni gi� fatte). 

II
II
0 ) Ricorso incidentale n. 12012 dell'AGENSUD. 

a) Col primo motivo essa deduce la violazione e falsa applicazione 
dell'art. 8 legge 10 agosto 1950 n. 646, deducendo la carenza di legittimazione 
passiva, con ampie deduzioni che � inutile riferire. Invero, non pu� 
che riconfermarsi quanto gi� statuito (in relazione ad altri lavori fra le 
medesime parti) da queste Sezioni Unite, con sentenza n. 3573 del 25 marzo 
1993. Poich� l'Impresa Melpi non aveva alcun rapporto contrattuale 
(l'unico che qui interessa: vedi supra) con la Cassa del Mezzogiorno, essendo 
stato il contratto stipulato con la Provincia di Benevento, a questa 
ultima soltanto va rivolta la domanda giudiziale per il pagamento del 
quantum del compenso revisionale eventualmente spettante. 

Si pu� solo aggiungere che i compiti della Cassa, in sede di riconoscimento 
dell'an del compenso attengono alla fase amministrativa della 
revisione, che (come si � visto) � ormai superata; e che non ha rilievo 
la considerazione esposta nella memoria della Melpi, secondo cui l'Agensud 
detiene i mezzi di pagamento e dispone di essi unilateralmente. Invero, 
se ed in quanto il giudice riconosca dovuto un certo compenso revisionale, 
in base al contratto, l'Amministrazione Provinciale committente risponder� 
non soltanto con i mezzi e secondo le modalit� previste in contratto 
(finanziamenti della Cassa), ma con tutti i suoi beni (art. 2740 e.e.). 


PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 309 

b) L'accoglimento. del. primo motivo�suddetto comporta l'assorbimento 
del secondo motivo, attinente hl merito del quantum contenuto nei due 
decreti del 1979, dei quali la Cassa non deve (per l'assorbente motivo 
indicato supra) rispondere direttamente (salvi i suoi obblighi di finanziare 
la Provincia, in base alla concessione; ma nella specie non vi � 
stata alcuna domanda della Provincia contro la Cassa). 

III0 
) Ricorso n. 11556 della Provincia. 

Con l'unico motivo la suddetta Amministrazione denuncia l'omessa, 
insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo (art. 360 
n, 5 c.p.c.), osservando che nella specie l'opera rientrava tra le attribuzioni 
della Casmez e che la partecipazione della Provincia era avvenuta 
solo: in base e nei limiti del rapporto concessorio; e sul punto specifico 
del ~ontendere (determinazione dei compensi revisionali) il giudice d'appello 
ha dedotto che l'Amministrazione Provinciale non avesse alcun 
potere, essendo il suo ruolo confinato a mere funzioni esecutive, per 
cui -logicamente -avrebbe dovuto dedurne il difetto di legittimazione 
passiva, mentre essa ha omesso di prestare attenzione al motivo d'impugnazione 
riguardo alla carenza di legittimazione. 

Il motivo � infondato. 

Costituisce sufficiente motivazione della sentenza impugnata il richiamo 
alla sottoscrizione dei contratti e degli atti aggiuntivi, che ovviamente 
rendevano la Provincia responsabile del pagamento del prezzo, ivi 
compresi i compensi revisionali. La circostanza che la Provincia non avesse 
alcun potere sul riconoscimento di essi, non rileva, perch� la controversia 
(vedi supra) non attiene all'an, ma al quantum dei compensi revisionali, 
secondo l'indagine che dovr� essere effettuata, appunto sulla base 
dei contratti intercorsi e modificati fra le suddette parti. Invero, superata 
la fase del procedimento amministrativo, il diritto soggettivo dell'appaltatore 
potr� essere limitato soltanto dai patti contrattuali che dovranno 
essere esaminati dal giudice di rinvio e, dove essi non dispongano, dalla 
disciplina legale applicabile, ratione temporis, sempre nell'ambito contrattuale 
(legge 21 giugno 1964 n. 463 e successive modificazioni). 

IV
IV
0 
) Ricorso incidentale n. 13856 della AGENSUD. 

Si tratta di ricorso inammissibile, perch� col precedente ricorso 
l'Agensud aveva esaurito i propri poteri d'impugnazione (e del resto l'unico 
motivo � identico al primo motivo -gi� accolto -del precedente ricorso). 


Il giudice di rinvio provveder� sulle spese del giudizio di cassazione. 

Esso si designa in altra sezione della Corte d'appello di Napoli. 

P.Q.M. 
La Corte di cassazione a sez. w1ite riunisce i quattro ricorsi; rigetta 
il primo motivo del ricorso principale del Mele; ne accoglie -per quanto 



310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di ragione -il secondo e ne dichiara inammissibile il terzo; rigetta il 
ricorso incidentale della Provincia; accoglie il primo motivo e dichiara 
assorbito il secondo motivo del ricorso n. 12012/92 dell'Agenzia per il 
Mezzogiorno; dichiara inammissibile il ricorso n. 13856/92 della stessa 
Agenzia. 

Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia 
ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, anche per le spese del 
giudizio di cassazione. 

I

I

I 



SEZIONE QUARTA 

GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 16 giugno 1994, n. 1015 -Pres. Salvatore 


Est. Millemaggi Cogliani -Sanremo S.p.A. (avv. Rebuffat) c. ISVAP 

(avv. dello Stato Cingolo). 

Atto amministrativo -Documento amministrativo -Diritto di accesso � 
Pendenza di un giudizio -Tutela del diritto di accesso ex art. 25 
legge 241/90 e istanza di acquisizione istruttoria -Concorrenza tra 
i due mezzi -Possibilit�. 

L'a<iione prevista dall'art. 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241 � specificamente 
rivolta a tutelare il dir�to di accesso in quanto posizione soggettiva 
singolare ed autonoma rispetto alle diverse situazioni soggettive 
che pur tuttavia conferiscono rilievo all'interesse dell'amministrato 
di conoscere i documenti amministrativi e di estrarne copia: questo non 
significa che vi sia un rapporto di reciproca esclusione fra il mezzo di 
tutela in questione e le diverse possibilit� offerte dall'ordinamento all'.
amministrato (che s.i ritenga leso dal provvedimento amministrativo 
e che tale provvedimento abbia gi� impugnato davanti al giudice di legitMmit�) 
di conseguire la conoscenza degli atti attraverso l'orcliinaria acquisizione 
istruttoria, e cio� che, una volta mstaurato il processo contro il 
provvedimento, la possibilit� di esperire ivi i mezz,i istruttori escluda 
automaticamente ,il diritto di azione di cui si tratta (1). 

(1) Dal diritto di accesso al diritto alla curiosit�: breve storia di una 
involuzione. I 
Con la decisione in rassegna il Consiglio di Stato ha dichiarato ammissibile 
(prima ancora che fondata) una istanza di accesso ai sensi dell'art. 22 e segg. 
legge 241/90 finalizzata esclusivamente allo scopo di pi� adeguata difesa in 
taluni giudizi gi� instaurati e pendenti dinanzi ad un T.A.R. 

La pronuncia di prime cure aveva invece dichiarato inammissibile il ricorso 
ex art. 25 legge 241/90 sull'oculato rilievo della inutile duplicazione del mezzo 
richiesto rispetto alla normale attivazione del potere istruttorio del giudice 
amministrativo gi� adito a tutela della situazione soggettiva sostanziale: tutto 
ci� sul presupposto della espressa circoscrizione della istanza di accesso alla 
limitata finalit� di disporre di pi� adeguati mezzi probatori nel giudizio gi� 
incardinato (con� implicita esclusione, pertanto, di diverse prospettazioni d'interesse 
alla apprensione dei richiesti documenti). 

I giudici d'appello, al contrario, hanno ora solennemente affermato l'assoluta 
autonomia del diritto di accesso rispetto alla situazione soggettiva cui il 
medesimo inerisce, gi� attivata dinanzi al giudice amministrativo, cosicch� 

10 



RASSEGNA AVVOCATURA DEllO STATO

312 

Ll. Il problema che si pone dn primo luogo al giudice di appello � 
se, in materia di accesso ai documenti, nel'l'ipotesi in cui sia gi� pendente 
il giudizio amministrativo per fa tutela de1le posizioni sostanziali lese dal 
provvedimento, la pretesa dell'interessato di conoscere gli atti relativi 
al procedimento medesimo, anche interni ed infraprocedimentali o 
comunque allo stesso connessi, e di estrarne copia, dichiaratamente allo 
scopo di svolgere pi� idoneamente, all'interno di quel processo, le proprie 
ragioni difensive, possa avvalersi, nell caso di rifiuto o di inerzia dell'Amministrazione, 
della specifica tutela giuri,sdizionale prevista dall'art. 25 
della legge 7 agosto �990, n. 241, o se invece non trovi naturale e necessario 
sbocco all'interno del processo ordinario di impugnazione dove dovranno 
essere valutate ed ammesse (o respinte) le richieste istruttorie, 
anche con riguardo alla loro rilevanza e pertinenza, ad opera dello stesso 
giudice cui appartiene la cognizione della fattispecie litigiosa. 

Nel1a ipotesi in concreto portata alla cognizione del giudice di appelilo, 
concernente il caso di un soggetto, presidente e socio di una societ� di 
assicurazione, alla quale � stata revocata l'autorizzazione allo svolgimento 
dell'attivit� assicurativa per essere poi messa in liquidazione coatta (con 
provvedimenti dal medesimo soggetto -nehla duplice qualit� di presidente 
e sooio -entrambi impugnati davanti aJl. giudice amministrativo 
con due separati giudizi), il Tribunale amministratiivo regionale del Lazio 
ha ritenuto che, una volta motivata la richiesta dri accesso, come nella 

resta rimessa al �libero apprezzamento � dell'interessato la scelta di avvalersi 
della tutela giurisdizionale apprestata dall'art. 25 legge 241/90 o di conseguire 
la conoscenza dei documenti sul diverso giudizio, mediante esibizione processuale. 
A sostegno di tali conclusioni viene osservato che la legge non prevede 

alcuna degradazione del diritto d'accesso (che quindi non cessa mai di essere 

autonomamente tutelato) e che, inoltre, non si deve confondere tra il diritto di 

azione (che ha natura sostanziale) e il potere di richiedere mezzi istruttori (che 

invece na carattere meramente procedi.mentale). 

Si tratta di osservazioni puntuali e certamente degne di pregio, quanto 

peraltro confliggenti con la disciplina del giudizio amministrativo in genere 

e quella posta dalla legge 241/90 in particolare. 

Del resto, esse non fanno che confermare un preoccupante indirizzo del 

Consiglio di Stato gi� manifestato in varie, precedenti occasioni. Ad esempio, la 

sentenza n. 21/94 della IV Sezione aveva gi� affermato la pienezza di autono


mia del diritto d'accesso e la ininfluenza sul medesimo della c.d. situazione le


gittimante, fino alla inaccettabile conseguenza di consentirne l'esperimento 

anche in casi in cui l'eventuale tutela giudiziale successiva sia inequivocamente 

inammissibile (si trattava di accesso agli elaborati concorsuali di candidati 

diversi dall'istante, al fine di contestare successivamente in sede giudiziale le 

valutazioni tecniche della Commissione esaminatrice: contra, in termini, T .A.R. 

Lazio -Sez. I -n. 1078/94). 

In altra occasione la stessa IV Sezione (sent. n. 1036/93) nel tentativo di 

individuare la soglia di qualificazione dell'� interesse� legittimante la richiesta 

d'accesso, ha costruito ex novo la categoria dell'interesse � serio e non mera




PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 313 

specie, esclusivamente con riferiimento alla necessit� di avvalersi della 
conoscenza degli atti che avevano condotto ai suddetti provvedimenti 
di revoca e di messa in >liquidazione, ai solli fini dell'esercizio del diritto 
di difesa nei giudizi di impugnazione pendenti davanti al medesimo Tribunale, 
il comportamento dell'amministrazione, riitenuto dall'interessato lesivo 
del diritto di accesso riconosciuto daiNa legge n. 241, non potesse trovare 
a111tonoma tutela, mediante l'eseroizio de1l'azione prevista daN'art. 25 
della cit. iegge n. 241 del 1990, ma dovesse essere vagl!iato dallo S�tesso 
giudice investito delle impugnazioni, neM'ambito di quei processi, secondo 
le regole che presiedono 1l'acquis!izione dei mezzi istruttori, ed ha pertanto 
dichiarato inamm~ssibile il separato ricol'So proposto ai sensi del gi� citato 
art. 25. 

Secondo l'appellante, una siffatta declaratoria di inammissibilit� sarebbe 
viziata per i profili evidenziati in narrativa. Egli, pertanto, nel 
denunciare gld errori in cui sarebbe inco11so il primo giudice, ripropone iin 
questa �sede tutte le censure dedotte in primo grado contro fa pretesa 
violazione del diTitto di accesso, chiedendo l'accoglimento dell'originario 
ricorso. 

L'Amministrazione, costituitas�i in giudizio, ribaidisce fa tesi secondo 
cui il procedimento speciale previsto dall'art. 25 legge n. 241 del 1990 
sarebbe inammissibile nel caso in cui risulti gi� adito, a tutela della situazione 
sostanziale retrostante, un giudice fornito di poteri istruttori. 

mente emulativo � (categoria certamente apprezzabile nella sostanza ma priva 
della indefettibile delineazione dei contorni e per di pi� non corrispondente, 
come ognuno pu� riscontrare, ad alcuna tra quelle tradizionalmente enucleate 
dalla dottrina amministrativistica e dalla stessa giurisprudenza). 

Si tratta, all'evidenza, di un tentativo sterile, poich� � ovvio che l'apprezzamento 
della ser'iet� o meno di un interesse (o addirittura di un mero intento?) 
ordinariamente differisce a seconda del soggetto chiamato alla verifica: sicch�, 
in buona sostanza, accettare consimile impostazione equivale a rimettere di 
volta in volta all'esame di un doppio grado giudiziale la verifica sulla � seriet�� 
dell'interesse: con il risultato di un quadro generale di incertezza per le Amministrazioni 
chiamate ad operare senza un criterio oggettivo ed attendibile di 
riferimento e comunque con l'altra conseguenza -questa certamente � poco 
seria � -di incrementare a dismisura il contenzioso, conseguendo lo scopo 
esattamente opposto a quello voluto dal legislatore, che si era proposto di spostare 
l'asse della tutela del cittadino dal momento del processo giudiziale a 
quello, anteriore, del procedimento amministrativo. 

E pensare che la prima pronuncia del Consiglio di Stato su questo complesso 
problema, (Sez. VI, n. 193/92) ancorch� piuttosto rigorosa, aveva almeno 
avuto l'inestimabile pregio di mantenere un quadro di chiarezza, laddove aveva 
ritenuto, quale requisito per l'ammissibilit� della domanda di accesso, la necessaria 
titolarit�, in capo all'istante, di una situazione giuridica soggettiva 
qualificabile almeno come interesse legittimo. 

Va ricordato che tale principio aveva trovato anche conferma in talune 
ulteriori pronunce della stessa Sezione (cfr. ad es. -Sez. VI n. 783/93). 



314 

RASSEGNA AVVOCATURA. DELW STATO 

1.2. Osserva il Collegio che il diritto di accesso, sia nel caso di soggetti 
partecipanti al procedimento, di cui � fatta sa:lva la possibilit� di prende.re 
visione degli atti del medesimo (art. 10 lett. a), 1siia che attenga aJ.J.a con�scenza 
di documenti amministrativi da parte di � chiunque vi abbia interesse
� (art. 22), si configura, nel sistema della legge n. 241 del 1990, 
finalizzato, in entrambe le iipotesi normative, ad � asskurare la trasparenza 
dell'attivit� amministrativa � ed a � favorirne lo svolgimento imparziale 
per la tutela di situazioni giuridiche rilevanti�, sicch�, secondo l'orientamento 
gi� espresso dalla Sezione in diverse fattispecie (per tutte, sent. n. 630 
del 9 settembre 1992) e dalla quale non vd � ragione di discostarsi, ad 
entrambe le ipotesi � applicabile lo speciale procedimento di tutela giurisdizionale 
regolato dall'art. 25 quinto comma della legge n. 241 citata, in forza 
del quale � contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto 
di accesso ... � dato ricorso, nel termdne di trenta giorni, al Tribunale 
amministrativo regionale, il quale dedde entro trenta giorni dalla scadenza 
del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne 
abbiano fatto richiesta �. 
In questo senso del resto si � espressa anche la sentenza. impugnata 
la quale non ha neppure escluso, in linea di principio, la possibilit�, in 
pendenza di un contenzioso fra le parti, di ricorrere allo speciale strumento 
di tutela previsto dall'art. �2s, in esame, il quale, come � stato affermato, 
({agisce in un ambito del tutto diverso e speciale, sganciato dalla 

Il cuore del problema � infatti, proprio nel chiarire se il diritto di accesso 

abbia ragione d'essere di per s� stesso ovvero debba postulare indefettibilmente 

il collegamento ad una situazione giuridicamente rilevante del soggetto richie


dente: in tale ultima ipotesi dovendosi poi accertare quale possa essere la 

situazione soggettiva �minimale� idonea allo scopo. 

Il primo quesito -ad onta di quanto talune delle pronunce sopra ri


cordat� (e lh particolare quella in rassegna) giungono ad affermare -� risolto 

dalla stessa legge nel senso della impossibilit� di configurare l'accesso come 

diritto in tutto e per tutto caratterizzato da autonomia concettuale e sostanziale. 

Deve infatti� indefettibilmente sussistere un �interesse per la tutela di 

situazioni giuridicamente rilevanti� (cfr. art. 22 legge 241/90). 

Tale interesse deve essere inoltre � personale e concreto� (art. 2, comma 10, 

d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352) e la ,sua connessione all'oggetto della richiesta 
deve essere comprovata (art. 3, comma 2�, d.P.R. 352/92), mentre �la richiesta 
di accesso ai documenti deve essere motivata� (art. 25, comma 2�, legge 241/90). 
La legge pertanto direttamente afferma che la � richiesta di accesso � deve 
essere motivata perch� questo � il modo pi� semplice per appurare se alla 
base della richiesta vi siano interessi tutelati dall'ordinamento cui si riferisce 
l'art. 22, legge 241/90, oppure una semplice curiosit�. Del resto, che alla base di tale 
restrizione del diritto di accesso rispetto al testo originario della � Commissione 

. Nigro � vi siano 
state rilevanti preoccupazioni di ordine pratico risulta anche 
dalla. discussione del disegno �di legge svoltasi presso la Commissione Affari 
Costituzionali della' Camera dei Deputati. 


PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 31.5 

generale disciplina che regola la materia della esibizione dei documenti 
nel processo amministrativo �, 

1.3. Chiarito tale aspetto della questione, mentl.'e bisogna dare atto 
della esattezza della cons1derazione di fondo che sta alfa base dell'orientamento 
espl.'esso dal primo giudice, e cio� che l'aspetto processuale della 
tutela deve essere tenuto d1stinto dai profili sostanziali del diritto di accesso, 
viene subito in evidenza -fra i vizi denunciati -la contraddittoriet� 
del procedimento logico che ha condotto il Tribunale ad affermare, 
da un lato, la diversit� dell'ambito di operativit� della tutela ex art. 25 
legge n. 241 e l'acquisizione documentale nel processo e, dall'altro, a negare, 
in concreto, la sussistenza stessa del diritto di azione nel caso di cui 
trattasi. 
La peculiarit� del rimedio giurisdizionale offerto dal pi� volte richiamato 
art. 25 legge n. 241 contro la 'lesione del diritto di accesso sta in 
ci�, che, con l'azione ivi prevista, trasparenza ed imparzialit� sono assicurate 
all'amministrato -attraverso la tutela giurisdizionale specificamente 
ipotizzata -indipendentemente dalla lesione in concreto, da 
parte della Pubblica amministrazione, di una determinata posizione di 
diritto o interesse legittimo facente capo alla sua sfera giuridica, assurgendo 
l'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi, nelle 
due diverse ipotesi normative anzidette, a bene della vita autonomo, 

Infatti, di fronte ad un emendamento del Gruppo Verde tendente ad eliminare 
dall'art. 22, legge 241/90, l'inciso vincolante l'accesso all'esigenza di �tutela di 
situazioni giuridicamente rilevanti >>, i rappresentanti di quasi tutte le altre forze 
politiche, nonch� il rappresentante del Governo, espressero preoccupazione per 
le difficolt� organizzative che l'estensione soggettiva del diritto di accesso avrebbe 
potuto comportare per le pubbliche amministrazioni. 

In particolare, il Presidente della Commissione osserv� che dal riconoscimento 
di forme di accesso generalizzato sarebbe derivato un aggravamento degli 
oneri di organizzazione per l'amministrazione, con conseguente aumento dei 
costi; sulla stessa linea, il Ministro per gli affari regionali ed i problemi istituzionali 
espresse la propria contrariet�, a nome del Governo, alla pr0posta di 
estensione del diritto di accesso, perch� ci� avrebbe comportato grandi difficolt� 
organizzative per i pubblici apparati, il rappresentante del Gruppo Democratico.
cristiano, a sua volta, sottoline� che il complesso degli emendamenti 
proposti dal Gruppo Verde costituiva un obiettivo troppo avanzato rispetto 
alle strutture esistenti, tanto da correre il rischio di un � effetto di obsolescenza 
per eccesso di progresso �; il rappresentante del Gruppo Comunista 
sostenne che le proposte in questione non costituivano allo stato attuale d�ll'amministrazione 
italiana un obiettivo praticabile, mancando una completa 
informatizzazione delle pubbliche amministrazioni, mentre il rappresentante 
del Gruppo della Sinistra Indipendente, pur condividendo in linea di principio 
l� proposte in discussione, espresse anch'egli la preoccupazione che disposizioni 
troppo avanzate, oltre a creare rilevanti difficolt� organizzative, potessero 
proprio per tale motivo restare inapplicate. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

meritevole di tutela separatamente dalile posizioni sulle quali abbia poi 
aid incidere l'attivit� amministrativa, eventuailmente in modo lesivo. 
Si tratta dunque di una tutela giurisdizionale tipica di quel particolare 
interesse che il legislatore del 1990 ha 'inteso salvaguardare in via '

I'.generale, in contrapposizione ad un sistema fino ad a:llora generalmente ' 
fondato 
sulla regola della segretezza. 

� dunque esatto che i[ procedimento speciale ha ragione di essere 
solo ne[ caso in cui la lesione lamentata attenga specificamente a quel 
determinato bene che la legge ha inteso direttamente e autonomamente 
tutelare. 

Chiarito, per�, che 'l'azione prevista dall'art. 25 della legge 7 agosto 
1990, n. 241 � azione specificamente rivolta a tutelare il diritto di 
oocesso in quanto posizione soggettiva singolare ed autonoma rispetto 
al!le diverse si,tuazioni soggettive che pur tuttavia conferiscono rilievo 
all'interesse de11'amministrato di conoscere i documenti amministrativi 
e di estrarne copia, questo non significa che sia di esclusione il rapporto 
esistente fra il mezzo di tutela in questione e le diverse possibilit� offerte 
dall'ordinamento all'amministrato (che si ritenga leso dal provvedimento 
amministrativo e che ta[e provvedimento abbia gi� impugnato davanti 
al giudice 'di legittimit�) di conseguire la conoscenza deg1i atti attraverso 
l'ordinaria acquisizione istruttoria, e cio� che, una vo1ta instaurato il 
processo contro il provvedimento, la possibilit� di esperire ivi i mezzi 

Cos� come lo configura la legge, dunque, l'accesso nasce non come un 
diritto incondizionato ed illimitato, bens� come il diritto ad una informazione 
qualificata, non riconoscibile alla generalit� dei cittadini, sibbene solo in relazione 
ad una specifica legittimazione da comprovarsi (ove necessario), individuata 
appunto nella titolarit� di un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente 
rilevanti, in ragione della quale l'istituto stesso possa essere azionato. 

Quanto poi a cosa debba intendersi per � situazione giuridicamente rilevante 
'" l'unica risposta con connotati di certezza pu� essere desunta dalla 
teoria generale sulle situazioni giuridiche soggettive: e poich� la legge riconnette 
l'accesso alla � tutela >>, � evidente che debba trattarsi di una situazione giuridica 
soggettiva che, sia pure allo stato minimale, sia dotata di una qualificazione 
idonea a renderla suscettiva di una tutela parimenti prevista dall'ordinamento 
giuridico. 

E cos�, non vi � dubbio che, se sono certamente � giuridicamente rilevanti � 
i diritti soggettivi e gli interessi legittimi (per i quali � prevista tutela) ed anche 
gli interessi amministrativamente protetti (per i quali pure � prevista di regola 
tutela in sede gerarchica), al contrario non sono giuridicamente rilevanti gli 
�interessi semplici�, cio� non qualificati (cos�, in proposito, anche la Commissione 
per l'accesso costituita ai sensi dell'art. 27 legge 241/90). 

In altre parole l'uso legislativo del termine � tutela � in connessione a � situazione 
giuridicamente rilevante � impone di ritenere delimitato l'ambito soggettivo 
dell'accesso al solo campo delle situazioni giuridiche suscettibili di 
protezione da parte dell'ordinamento: al di fuori di tale ambito, o si finisce con 
l'ammettere in ogni caso l'accesso (ma ci� � contrario alla legge) ovvero ci si 



PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 317 

istruttori escluda automaticamente il diritto di azione di cui si tratta. 

Non pu� essere condivisa infatti la soluzione data al problema da>I 
primo giudice, nel senso che, ove '1'amministrato, nel corso di un processo 
avente ad oggetto un determinato provvedimento amministrativo, 
chieda di accedere agli atti del procedimento, motivando la richiesta con 
le necessit� difensive inerenti a tale processo, ancorch� sussistano, in 
linea ,di principio, ti diritto di accesso (come posizione sostanziale riconosciuta 
dalla legge) ed il correlativo obbligo dell'Amministrazione di 
consentire siffatto accesso (nei limiti stabiliti dalla fogge e dai regolamenti 
ivi previsti), '1a tutela aippres,tata contro il diniego o l'inerzia non 
potrebbe pi� essere quella ipotizzata daH'art. 25 della legge n. 241, 
dovendo necessariamente l'interessato rivolgere le proprie istanze a:I giudice 
stesso che � chiamato a conoscere deMa posizione soggettiva che in 
via principale si intende fare valere, per la considerazione che non 
avrebbe ragione di essere la specifica actio ad exhibendum, ove l'ordine 
del giudice pos,sa conseguire i[ medesimo effetto nel giudizio di legittimit� 
in corso. 

Ferma restando, infatti, la premessa maggiore, secondo cui la legge 
del 1990 assume l'interesse all'accesso come primario ed autonomo rispetto 
alle posizioni su cui abbia ad incidere con i propri provvedimenti 
l'Autorit� amministrativa, ci� da cui non pu� prescindere l'interprete � 

ritrova ad enucleare altri elementi di delimitazione tra interessi rilevanti o non 
rilevanti (creando per� categorie arbitrarie o assolutamente incerte). 

A ci� aggiungasi, infine, che certamente l'Amministrazione ha l'obbligo (non 
la facolt�) di vagliare la sussistenza degli anzidetti � requisiti minimi �, onde 
adottare quelle che la stessa legge 241/90 (art. 25, comma 1) definisce � determinazioni
� (con evidente riferimento allo spazio valutativo che le contraddistingue). 

Tutti elementi che in definitiva confortano inequivocamente la tesi della 
impossibilit� di autosufficienza dell'accesso e della correlativa necessit� del suo 
collegamento ad una situazione giuridica sostanziale. 

Ma tale situazione giuridica non pu� essere individuata -come il giudice 
amministrativo mostra ormai di preferire -nel riferimento all'interesse meramente 
partecipativo o a quello puramente conoscitivo (entrambi privi di legame 
con una posizione qualificata) bens� va raccordata e valutata in connessione ad 
una precisa situazione giuridica di cui sia titolare l'istante: diversamente non 
si spiegherebbe l'attenzione della legge (e del regolamento governativo) al 
previo controllo sulla motivazione dell'istanza e sulla concretezza dell'interesse. 

In ragione di ci� non pu� convenirsi con affermazioni, pure provenienti 
da autorevole (quanto talora assai frettolosa) giurisprudenza (cfr. Cons. Stato 
Sez. VI n. 1284/94 e Sez. IV n. 638/94), secondo la quale ai fini dell'accesso � 
sufficiente un mero collegamento della situazione con il soggetto istante (a 
prescindere dunque dalla qualificazione giuridica dell'interesse posto a base 
dell'istanza di accesso); ovvero secondo la quale ai fini dell'accesso � sufficiente 
un ��interesse serio, non emulativo, n� riducibile a mera curiosit�� (ma chi 
valuta, e sulla base di quali parametri oggettivi, il grado di � seriet� � di un 
interesse?). 



318 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

il rilievo (da cui rpure muove hl primo giudice, traendone tuttavia erronee 

conclusioni) che operano su piani totalmente diversi le varie possibilit� 

offerte dallJ.'ordinamento per conseguire -per ordine del giudice 


la conoscenza dei documenti negata dall'Amministrazione, da un lato 

avvalendosi dell'azione prevista dall'art. 25 ilegge n. 241 del 1990, e, dail


l'altro, proponendo istanza, in un diverso processo, di acquisizione degli 

atti che interessano. 

L'obiettivo ideale che il legislatore del 1990 ha inteso perseguire, con 

il prevedere una specifica azione a tutela del diritto di accesso, � quello 

di conferire effettivit� alle norme che prevedono la posizione so


stanziale anzidetta: l'azione nasce dunque anch'essa come un diritto 

soggettivo dell'interessato, ha come unico presupposto la lesione del 

diritto di accesso in quanto tale e non � altro che un aspetto ulteriore 

della medesima posizione soggettiva aHa quale l'ordinamento ha con


ferito diretta tutela nei casi, alle condizioni e con i limiti staMliti dalla 

stessa legge, e, integrativamente, dalle norme regolamentari ivi previste. 

In altri termini, verificandosi condizioni e presupposti stabiliti da[la 

legge, l'amministrato ha diritto di accedere ai documenti e incombe 

all'Amministrazione l'obbligo di consentire l'accesso; ove poi l'Ammini


strazione non adempia, hl medesimo amministrato � titolare del potere 

di dare impulso all'esercizio della funzione giurisdizionale tipicamente 

rivolta a ripristinare l'ordine giuridico violato attraverso il diniego o 

La legge 241/90 non ha, in altre parole, introdotto la �trasparenza� quale 

principio operativo fine a s� stesso (poich� ognuno vede che ci� equivarrebbe 

a decretare la paralisi irreversibile della P .A.), ma l'ha invece saggiamente anco


rata a:lle sole ipotesi di sussistenza di interessi qualificati e concreti, realmente 

attivabili e suscettibili di tutela, rispetto ai quali l'accesso si pone in posizio


ne servente. 

Orbene, se tutto ci� � vero -ed � la disciplina normativa a convalidare le 

superiori affermazioni -non pu� non dissentirsi fermamente di fronte ad un 

orientamento volto a svincolare l'accesso dalla situazione legittimante: l'inter


prete ha, del resto, il dovere di non travalicare mai i limiti del dettato legisla


tivo, anche quando ci� possa condurlo verso posizioni apparentemente impo


polari o comunque pi� restrittive rispetto a quelle auspicate da una lettura 

quanto meno superficiale del testo normativo. 

In questa situazione involutiva Cassandra �non mancherebbe di preconizzare 

il tracollo della pubblica amministrazione, ormai esposta, in nome di una traspa


renza in realt� degenerata a mera legittimazione della curiosit�, alle pretese 

investigative di chicchessia. Purtroppo, per�, si potrebbe ipotizzare anche di peg


gio, ove solo si ponesse attenzione al verosimile rischio dell'effetto moltiplicativo 

sul contenzioso amministrativo indotto dalla costruzione giurisprudenziale sin 

qui criticata: non resta che sperare, a questo punto, in un intervento risolutivo 
-dell'Aduna:nZa Plenaria, nel solco di quella saggezza giuridica che ne ha da 
sempre contraddistinto la preziosa attivit�. 
ANTONIO CINGOLO 


PARTE I, SEZ. IV, GIUR!SPRUDENZ,A AMMINISTRATIVA 

l'inerzia, al fine ultimo di ottenere la pronuncia giurisdizionale definitiva 
su quello specifico bene giuridico. 

Diversa � fa situazione allorch� si ottenga l'acquisizione del documento 
in un differente processo. In tale ipotesi, infatti, l'acquisizione 
documentale costituisce nient'altro che un mero potere processmtle, che 
viene ad assommarsi al complesso dei poteri esercitati o esercitabm 
dalle parti nel processo e inerisce esclusivamente al procedimento giurisdizionale 
in quanto tale, senza porsi in alcun modo come strumento di 
tutela dello specifico interesse che Ia 'legge del 1990 ha viceve11sa inteso 
direttamente. �tutelare, sia pure condizionatamente alla mediazione di 
apposite norme regolamentari. 

Orbene, ritenere che dai momento in oui il soggetto leso dal provvedimento 
amministrativo insorga contro l'operato dell'Amministrazione, 
chiedendo una pronuncia costitutiva al giudice di legittimit�, non gli 
si.a pi� consentito di esperire l'azione ex art. 25 legge n. 241 a tutela del 
diritto di accesso ai documenti che l'amministrato stesso si propone di 
conoscere per esercitare pi� adeguatamente i!l diritto di difesa in relazione 
al provvedimento impugnato, sul presupposto che sia nelle sue 
facolt� soltanto di esercitare il potere di richiederne l'acquisizione al 
giudice del provvedimento, equivale a sostenere che, con l'esercizio dell'azione 
di legittimit�, il diritto sostanziale di accesso si degrada e cessa 
quindi di essere autonomamente tutelato. 

Ma una tale interpretazione � priva di supporto logico-giuridico. 

Sul piano logico, nessuna confusione concettuale pu� essere operata 
fra il diritto di azione, e l'insieme dei poteri e delle facolt� di cui le 
parti �Sono titolari all'interno del processo: il diritto di azione � infatti 
esso stesso una posizione sostanziale, sia pure strettamente connessa 
con il bene della vita che si intende fare valere attraverso il suo esercizio; 
il potere di richiedere mezzi istruttori attiene viceversa al processo 
in s� ed � di natura meramente procedimentale. Le conseguenze che 
devono trarsi da tale riflessione sono quindi nel senso che l'esercizio 
del diritto di azione non pu� ritenersi equivalente alla proposizione dell'istanza 
istruttoria. 

Finalisticamente, poi, mentre il diritto di accesso � volto a consentire 
all'amministrato personalmente la conoscenza diretta dell'atto ed 
a tanto � indirizzata la tutela giurisdizionale prevista art. 25 legge 

n. 241; di contro; le regole processuali escludano la partecipazione personale 
dell'interessato al procedimento, sicch�, salvo casi eccezionali, la 
parte opera a mezzo del suo �difensore, ed anche la conoscenza dell'atto 
� indiretta e richiede l'intermediazione del difensore suddetto, cui pure 
� rimessa, in definitiva, l'iniziativa della richiesta (ancorch� nell'interesse 
deH'assistito) e la stessa individuazione dell'atto da acquisire al processo; 
senza contare che acquisizione e conoscenza restano poi condizionati 

320 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 

dalla valutazione di rilevanza del giudice, cui compete di pronunciarsi 
sulla richiesta istruttoria. 


I

Per i profili letteratli, infine va considerato che ove il legislatore 
avesse inteso limitare in modo cos� restrittivo la tutela accordata, ci� .

I 

avrebbe dovuto dire esplicitamente, ed altrettanta esplicita previsione fil :� 

avrebbe dovuto esserci per i!l caso in cui il legislatore avesse ritenuto 

che, in pendenza di giudizio amministvativo su un determinato provve


dimento, l'azione prevista dall'art. 25 legge n. 241 dovesse essere pro


posta davanti al medesimo giudice di quel processo. 

Dall'insieme delle considerazioni che precedono deve dunque trarsi 

il convincimento che la pendenza del giudizio sul provvedimento non 

operi preclusivamente n� sulla sussistenza del diritto di accesso, quale 

discipiinato dra!Ma legge n. 24,1 del 1990, n� sull'ammissibilit� dell'azione 

prevista dall'art. 25 della stessa legge, restando al libero apprezzamento 

dell'interessato la scelta di avvalersi della tutela giurisdizionale pro


priamente apprestata dal cit. art. 25 o di conseguire la conoscenza nel 

diverso giudizio, mediante esibizione istruttoria, fermo restando che 

i!1 processo di legittimit� seguir� le regole che gili sono proprie, indipen


dentemente dalle iniziative extraprocessuali dell'interessato, il quale 

potr� avvalersi della documentazione conosciuta fuori dal processo nei 

soli limiti in cui ci� gli sia consentito dalle regole suddette. 

1.4. Le censure mosse dall'appeMante contro l'impugnata sentenza 
devono, pertanto, in buona misura trovare accoglimento. Se infatti � 
fuor di luogo il richiamo art. 156 cod. proc. civ., dal momento che si 
verte in un campo affatto diverso da quello della inva1lidit� degli atti 
processuali, cui la disposizione si riferisce, deve essere invece condivisa 
la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 25 della legge 
n. 241 del 1990, non espressamente enunciata nell'intitolazione dei motivi 
di impugnazione ma chiaramente desumibile dal contesto degli argomenti 
su cui principalmente si imperniano le ragioni difensive, volte, 
in massima parte a dimostrare la possibilit� di promuovere l'azione 
ex art. 25 pur in pendenza del giudizio di legittimit� sul provvedimento. 
La puntuale individuazione del vizio da parte dell'appellante, gi� resa 
chiara dagli argomenti che sorreggono, in parte, il primo motivo di 
impugnazione e quasi neHa totalit� il terzo, trova conferma nel quarto 
motivo, anche per ci� che riguarda la sua intitolazione, nella parte in 
cui � posta la subordinata questione di illegittimit� costituzionale degli 
artt. 22 e 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241, per violazione degli artt. 3 
e 24 Cost. � se interpretati nel senso che il diritto di accesso ai docu.
menti amministrativi non sussiste nell'ipotesi in cui sia finalizzato dal-
l'istante "allo scopo di potersi pi� adeguatamente difendere" in giudizi 
in corso �. 


PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

La. sentenza cli.� rprimo grado non si sottrae dunque ad assorbenti 
motivi di appello che devono trovare accoglimento, ed in considerazione 
dell'effetto devolutivo, deve passarsi ali'esame delle censure originariamente 
dedotte in primo grado, tutte in questa sede riproposte. 

2.tpassando all'esame di tali censure, va irim1nzitutto esaminato 
(p~~c~�Jogicamente connesso con gli argomenti fin qua svolti) e accolto 
il quarto motivo <lei d�:orso originario, riprodotto nella seconda parte 
deli'atto di appe�(). Con esso si censura l'atto presi�denziaiJ.e del 6 agosto 
1993, nella parte in cui motiva il diniego di accesso con la considerazione 
<;:be, in pendenza del ricorso, diririanzi al T.A.R., avverso il decreto 
dfliquida.Zione c�atta amministrativa della S.p.A. SANREMO, l'in. 
ter�Ssa:to avrebbe potuto rivolgere istanza di esibizione e deposito degli 
atti oggetto della domanda di accesso direttamente al giudice amministrativo. 
RiriViando, '.(ler l'intitolazione del mezzo, .a quanto esposto in narrativa, 
valgono, per l'accoglimento delle censure, tutte le considerazioni 
svolte sub 1), con la precisazione ulteriore che, ove, come nella specie, 
la norma � posta in vista dell'interesse del1'amministrat0, configurando 
una tutela diretta ed� immediata dello stesso ed una correlativa posizione 
di obbligo dell'Am,ministrazione, la soggezione di quest'ultima 
sussiste indipendentemente dalle misure che l'ordinamento offre all'interessato 
per tutelarsi contro l'inadempienza, ossia, nella specie, 
per conseguire nella sede giurisdizionale la conoscenza dell'atto (vuoi 
attraverso la spf;!cifica azione ex art. 25 legge n. 241, vuoi mediante 
l'istanza di esibizione in giudizio). La legge del 1990 non attribuisce 
infatti discrezionalit� all'Amministrazione se non nei limiti in cui � 
eser�.itabile il potere regdlamentare (in relazione alle esigenze di salvaguardia 
degli interessi di cui all'art. 24, secondo comma, legge 241 in esame) 
e con riferimento ai criteri di individuazione degli atti che possono essere 
sottratti all'accesso di cui all'art. 8 d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, gi� emanato 
e vigente a:l tempo in cui � intervenuto H diniego di cui trattasi. E. 
dunque illegittimo ex se il comportamento dell'amministrazione che 
si. sottrae all'adempimento dell'obbligo sulla mera considerazione 
che �a tale adempimento� l'interessato pu� pervenire poi coattivamente 
attraverso l'ordine del giudice, essendovi t1n vizio di fondo nel 
configurare la tutela giurisdizionale alla stregua di strumento ordinario 
per conseguire la soddisfazione dell'interesse, l� dove, al contrario, essa 
attiene gi� ad una fase patologica, in cui occorre ripristinare l'ordine giuridico 
violato dal comportamento illegittimo dell'Amministrazione. 

� 2.2. Meritevoli di accoglimento sono anche gli altri motivi (rispettivamente, 
primo, secondo e terzo dell'originario ricorso) i quali possono 
anche essere esaminati congiuntamente. 


322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..! 

L'interessato si duole .in sostanza che, in esito aH'istanza del 6 luglio 
1993, limitatamente ai documenti per i qua:li il Presidente dell'Istituto 
aveva consentito l'accesso, non � stato poi permesso, in concreto, di 
prendere visione dell'originale degli atti, ma � stata soltanto consegnata 
copia di alcune parti di taluni dei documenti richiesti, negandosi l'accesso 
per quanto riguarda altri documenti, sulla considerazione de11'1mpossibilit� 
di valutare l'interesse del Presidente della Soc. SANREMO a prendere 
conoscenza e documentazione circa la parte del verbale della riunione 
del Consiglio di amministrazione dell'I.S.V.A.P. del 22 giugno 1989 concernente 
. l'ordine del giorno nella sua integralit�, che l'ordine del giorno 
in questione integrerebbe un atto di autonomia organizzativa e che, infine, 

I.a conoscenza nella sua integralit� avrebbe comportato lesi�ne della riservatezza 
di terzi estranei cui l'ordine del giorno� farebbe riferimento. 
Le censure mosse al riguardo dall'interessato meritano accoglimento. 
L'art. 13 del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, con cui � stato emanato il 


regolamento previsto daM'art. 24 secondo comma della legge 7 agosto 1990, 

n. 241, prevede che nelle more dell'adozione dei regolamenti ministeriali 
concernenti le categorie di documenti da sottrarre all'accesso, il diniego 
(di accesso) pu� essere opposto, con decreto motivato, in relazione alle 
esigenze di salvaguardia degli interessi di cui aH'art. 24 secondo comma 
della legge 241 del 1990 e con riferimento ai criteri di individuazione 
degli atti che possono essere sottratti all'accesso di cui all'art. 8 del 
regolamento. La disposizione, come � stato osservato (VI Sez., n. 966 del 
7 dicembre 1993), ha reso operante il diritto di accesso, indipendentemente 
dalla adozione dei regolamenti del'le singole amministrazioni, e ci� vale, 
anche per quanto riguarda l'Istituto di cui trattasi. 
Muovendo da tale considerazione, appare carente di giustificazione, 
sul piano normativo e 'logico, la limitazi9ne apposta �lall'A�n:ministrazione 
all'esercizio del diritto di accesso da parte c:lell'interessato, concretaptesi 
nel mettere a disposizione del medesimo soltanto le copie di alcuni dei 
documenti di cui egli aveva chiesto di prendere visione, piuttosto che 
gli originali. 


Come esattamente osservato dal ricorrente, in _base all'art. 25 della legge, 
il dirittQ di accesso si es.ercita me.diante �esame ed estrazione di copia 
dei documenti amministrativi�;. neHo stesso senso, l'art. 5 del d.P.R. n. 352 
del 1992 prevede che 1'.esame dei documenti sia effettuato personalmente 


I!

dal richiedente o da persona da lui incaricata, con fac_olt� di prendere 

~ 

appunti e_ trascrivere in _tutt� o. in parte i documenti presi in visione; t 

!

Il coacervo . di. tali disposizioni lascia dunque intendere che. appartiene 

!

al contenuto stesso del. diritto di accesso la possibilit� di esaminare g� 

I 

.atti nella loro originalit�, -secondo quanto � insito-nella esigenza di 

pubblicit� e trasparenza dell'azione amministrativa, cui in� definitiva iJ.a I i 

legge n. 241 si ispira. 

i 

I 

l 

I 

I

I

I 


PARTE I, SEZ. IV, 'GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 

La preventiva estrazione di copie da parte dell'Amministrazione 
costituisce, in assenza di..una regolamentazione che la legittimi, arbitraria 
limitazione del diritto di accesso e delle facolt� che aMo stesso si riconnettono, 
per esplicita volont� normativa, primaria e secondaria. 

� Sotto. diverso profilo, fa dedotta impossibilit� di valutare l'interesse 
del Presidente della soc. SANREMO a prendere conoscenza del verbale 
della riunione del Consiglio di amministrazione dell'I.S.V.A.P. del 22 giugno 
1980 concernente l'ordine del giorno nella sua integralit�, costituisce 
motivazione inidonea a giustificare. il rifiuto opposto. Si evince dagli atti 
di causa che nella seduta anzidetta sono state adottate determinazioni 
inerenti al fulizionamento ed alla vita stessa della societ� di cui il 
richiedente era presidente e socio. La ragione enunciata dal richiedente quella 
cio� di poter pi� idoneamente esercitare le proprie difese nei 
pendenti giudizi di impugnazione -rendevano comprensibilissima e 
giustificata la richiesta, senza che fosse dato all'Amministrazione alcun 
potere di sindacarne la rilevanza ai fini della concreta soddisfazione 
dell'interesse dedotto in causa. 

Dal momento infatti che il procedimento ha interessato proprio il 
richiedente, quale legale rappresentante defila societ� cui si riferivano le 
determinazioni adottate, la tutela del diritto di accesso sussiste non in 
rela:cione al singolo atto isolatamente assunto, bens� all'intero procedimento 
e ad ogni atto di questo, secondo quanto � dato desumere dall'art. 
10 della legge 241. 

D'altra parte, la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi 
la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere gli interessi 
giuridici del richiedente costituisce obiettivo primario della legge n. 241, 
che ne esige la garan2'lia anche nel caso in cui ,si profili l'esigenza di salvaguardare 
�la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese�. In linea 
con tale esigenza si esprimono gli artt. 2 e 4 del d.P.R. del 1992. Sicch� 
non pu� essere revocato in dubbio il diritto di accesso del rappresentante 
legale di una societ� commerciale rispetto agli atti del procedimento, 
anche interni ed infraprocedimentali, che abbiano dato poi luogo a 
provvedimenti lesivi degli interessi della societ� rappresentata, e ci� 
indipendentemente dalla circostanza che i medesimi atti involgano le 
ragioni di terzi, in forza del disposto del gi� citato art. 24 lett. d) e dalla 
rilevanza del singolo atto, in concreto, ai fini della legittimit� del provvedimento, 
posta in discussione davanti al giudice amministrativo. 

Quanto alle ragioni di autonomia che l'Istituto ha inteso salvaguardare, 
col negare la visione integrale deH'ordine del giorno, deve rilevarsi 
che nel sistema dei limiti al diritto di accesso specificamente individuati 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

324 

dalla legge, la tutela dell'autonomia organizzativa non figura neppure 
quale possibile oggetto di regolamentazione, con la conseguenza che prescindendo 
dailla esattezza o meno del rilievo -deve ritenersi illegittimo 
il diniego opposto sulia considerazione che l'atto che si chiede 
di conoscere, ancorch� pertinente al procedimento su cui si incentra 
l'interesse del richiedente, � atto di autonomia organizzativa sottratta al 
Slindacato giurisdizionale. 

Nesswia delle regioni ostative addotte dall'Istituto � pertanto valida 
alla stregua di quanto disposto dalla legge e dal relativo regolamento 
governativo, sicch� il ricorso deve trovare accoglimento, con conseguente 
obbligo dell'Amministrazione di esibh�e i documenti richiesti. 



SEZIONE QUINTA 

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 marzo 1994 n. 2303 -Pres. Rossi 


Est. Finocchiaro -P. M. Bonajuto (conf.) -Colantonio (avv. Colan� 

tonio) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Figliolia). 

Tributi in genere -Contenzioso tributarlo � Ricorso per cassazione 

Termine � Art. 327 c.p.c. � Si applica � Omessa comunicazione della 

data dell'udienza innanzi alla commissione � Irrilevanza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, artt. 25, 27 e 38; c.p.c. art. 327). 
� inammissibile a norma dell'art. 327 c.p.c. il ricorso per Cassa� 
zione contro decisione deUa Commissione centrale che sia stato proposto 
oltre un anno dalla pubblicazione, anche nella ipotesi che alla 
parte non sia stata comunicata la data della udienza di discussione, 
purch� il ricorso sia stato regolarmente introdotto secondo quanto 
dispone l'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (1). 

(omissis) Il ricorso � inammissibile per essere stato proposto solo 
il 21 luglio 1992 dopo il decorso del termine di un anno, ancorch� maggiorato 
del periodo di sospensione feriale, dal deposito della decisione, 
avvenuto il 9 novembre 1989. 

La parte ricorrente deduce che alla stessa non era stata comunicata 
n� la data di fissazione dell'udienza per la decisione, n� notificato 
l'avvenuto deposito della decisione e che ha appreso l'esistenza 
di quest'ultima solo con la notifica dell'avviso di liquidazione a cura 
dell'Ufficio del Registro di Caserta per il pagamento della somma di 

L. 41.690.000 per INVIM. 
Questa Corte � assolutamente costante nel ritenere che il ricorso 
per cassazione contro le decisioni della commissione tributaria centrale, 
esperibile in applicazione diretta dell'art. 111 cost., � soggetto, 
in difetto di espressa previsione o regolamentazione sulla disciplina 
del contenzioso tributario, all'integrale applicazione delle norme del 
codice di rito, ivi compreso l'art. 327 c.p.c.; pertanto, la proponibilit� 
del ricorso resta preclusa quando, ancorch� non siano scaduti i sessanta 
giorni dalla notificazione della decisione della Commissione tri� 

(1) Importante precisazione sulla irrilevanza, agli effetti del comma due del� 
l'art. 327 c.p.c., della omessa (o irregolare) comunicazione della data dell'udienza: 
quel che conta � solo la regolare notifica del ricorso introduttivo; le irregolarit� 
successive sono precluse se non si convertono in motivi di impugnazione. 

326 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

butaria centrale, ed indipendentemente dagli adempimenti della notificazione 
o comunicazione del dispositivo, sia trascorso un anno dalla 
data della sua pubblicazione cio� del deposito in segreteria secondo 
le modalit� stabilite dall'art. 38 d.P.R. n. 636 del 1972 (inclusa la sua 
sospensione nel periodo feriale) (Cass. 5 marzo 1987 n. 2309; Cass. 
9 .luglio 1989 n. 3251; Cass. 14 novembre 1989 n. 4846 e successive conformi). 


L'inosservanza della predetta disposizione � sufficiente per la declaratoria 
di inammissibilit� del ricorso, atteso il passaggio in giudicato 
della decisione impugnata alla data in cui il ricorso � stato proposto, 
senza che possa invocarsi in contrario la mancata comunicazione 
della data di fissazione dell'udienza per la decisione, una volta 
accertato, come risulta da quanto in precedenza esposto, che alla parte 
ricorrente � stato notificato il ricorso proposto dall'Ufficio alla Commissione 
centrale. 

L'art; 327, comma 2, c.p.c. -applicabile, con i necessari adattamenti, 
anche in materia tributaria -esclude l'applicabilit� del comma 
1 della stessa norma � quando la parte contumace dimostra di non 
avere conoscenza del processo per nullit� della citazione o della notificazione 
di essa e per nullit� della notificazione degli atti di cui 
all'art. 292 �. 

La disposizione da ultimo citata � stata interpretata nel senso che 
il convenuto contumace decade dal diritto d'impugnazione per l'inutile 
decorso del termine annuale qualora si accerti (anche d'ufficio, in 
considerazione della natura pubblicistica della decadenza) che, nonostante 
la nullit� della citazione o della sua notificazione, egli abbia 
avuto conoscenza del processo, ed il termine sia decorso con inizio non 
gi� dalla data di pubblicazione della sentenza, bens� dal giorno della 
detta conoscenza, se successiva alla sentenza stessa (Cass. sez. un., 15 
maggio 1990 n. 4196). 

Nel caso in esame nessuna nullit� della citazione � della sua notificazione 
� ravvisabile, essendo stato esattamente osservato il disposto 
dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, circa le modalit� di proposizione 
del ricorso alla Commissione tributaria centrale (presentazione 
del ricorso da parte dell'Ufficio alla segreteria della commissione 
di II grado, notifica di copia del ricorso all'altra parte, da parte della 
segreteria della comm1ss1one, trasmissione degli atti alla comm1ss1one 
centrale) e ci� � sufficiente per escludere l'applicabilit� dell'art. 327, 
comma 2, c.p.c. 

N� � fondata la tesi sostenuta dalla parte ricorrente nelle note di 
udienza e secondo cui � il fatto che sia stato . notificato il ricorso alla 
Centrale non vuol dire che alla parte non doveva essere comunicata 
la data di udienza di discussione perch� la parte istante poteva anche 
non iscrivere il ricorso �. 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 327 

Va, in proposito, innanzi tutto rilevato che il procedimento innanzi 
alle commissioni tributarie non necessita dell'impulso della parte . con 
l'iscrizione a ruolo, in quanto, una volta effettuato il deposito � del ricorso 
presso la segreteria della commissione, che ha emesso la decisione 
impugnata, tutte le ulteriori attivit� sono soggette ad impulso 
d'ufficio, ivi compresa la fissazione dell'udienza di discussione. 

~ indubbiamente esatto che la mancata conoscenza della data del� 
l'udienza di discussione viola l'art. 27 del d.P.R. n. 636 del 1972 per non 
avere la parte potuto � difendersi ed esercitare il suo diritto �; ma la 
violazione della norma non comporta l'inapplicabilit� dell'art. 327, comma 
1, c.p.c., una volta dimostrata la non operativit� del comma 2 dello 
stesso articolo. 

La decisione emessa in violazione del diritto di difesa della parte � 
una pronuncia affetta da nullit�, ma pur sempre esistente e, per il principio 
di carattere generale contenuto nell'art. 161 c.p.c., circa la conversione 
dei vizi della sentenza in motivi d'impugnazione, tali vizi devono 
essere fatti valere nel rispetto delle regole procedimentali che regolano il 
giudizio di gravame -fra le quali � fondamentale quello dell'osservanza 
dei termini per la proposizione dell'impugnazione -con la conseguenza 
che la mancata osservanza di tali termini� da una parte, determina il passaggio 
in giudicato della pronuncia e, dall'altra, rende inammissibile il 
ricorso tardivamente proposto, senza alcuna possibilit� di rilevare e sanzionare 
la pregressa nullit�. 

Concludendo, si deve quindi ritenere che � inammissibile; a norma dell'art. 
327, comma 1, c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la decisione della 
Commissione tributaria centrale che sia stato proposto dopo il decorso 
di un anno; maggiorato del periodo di sospensione feriale, dalla pubblicazione 
della decisione stessa, avvenuta mediante deposito presso la segreteria 
della stessa commissione, anche nell'ipotesi in cui alla parte non sia 
stata comunicata la data dell'udienza di discussione, purch� alla stessa sia 
stato notificato, a cura della segreteria della commissione di II grado, ai 
sensi dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, il ricorso proposto dalla 
controparte alla Commissione centrale. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 marzo 1994 n. 2304 -Pres. Sensale Est. 
Graziadei -P. M. Amirante (conf.) -Banca Popolare di Rieti 
(avv. Tinelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pavone). 

Tributi erariali indiretti -Agevolazioni -Credito a medio e lungo termine 
-Definizione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, art. 15). 
Ai fini della determinazione della durata del contratto di mutuo come 
stabilita nell'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, deve aversi riguardo 

11 


328 RASSEGNA AVVOCATURA DEU.O STATO 

al periodo nel quale i contraenti non possono e non devono restituire o 
pretendere la restituzione, mentre sono irrilevanti le ulteriori vicende che 
concernono l'esecuzione effettiva dell'obbligo di restituzione. 


(omissis) Nel rinnovare la tesi della spettanza del beneficio di cui all'art. 
15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, la ricorrente critica la Commis~
one centrale per non aver considerato che un mutuo con durata non infe,
riore.. a diciotto mesi, anche alla luce della previgente normativa e della 
disciplina delle operazioni bancarie a medio e lungo termine, si traduce 
.necessariamente in. un mutuo con durata superiore a diciotto mesi, dato 
,che, ai, sensi degli artt. 1187 e 2963 cod. civ., l'adempimento del mutuatario 
� comunque posteriore allo spirare di quel lasso temporale; per aver trascurato 
che�tale superamento era in ogni caso determinato dalla clausola 
contrattuale che concedeva per l'adempimento stesso quindici giorni a partire 
dalla ricezione di richiesta di pagamento con lettera raccomandata; 
per aver erroneamente definito l'imposta ipotecaria come � imposta d'atto � 
e quindi arbitrariamente escluso la decisivit� della circostanza dell'effettivo 
protrarsi del finanziamento oltre la scadenza del diciottesimo mese. 


Le. riportate deduzioni, da esaminarsi congiuntamente, sono infondate, 
alla stregua delle considerazioni che seguono. 


Nel mutuo oneroso, la durata del rapporto � rappresentata dall'arco di 
tempo intercorrente dal giorno del perfezionamento del contratto, con la 
consegna al mutuatario di una determinata quantit� di denaro, al giorno 
pattuit<>, nell'interesse di entrambe le parti (art. 1816 cod. civ.), per la restituzione 
del � tantumdem�, unitamente agli interessi, vale a dire il giorno 


II

rin cui insorge, in capo al mutuatario stesso, il cUritto-dovere di versare 
l'uno e gli altri, e, correlativamente, in capo al mutuante, il dovere-diritto 
di riceverli. ~ 


La durata del finanziamento, quindi, � data dal periodo nel quale i 

I 

contraenti non possono e non devono restituire o reclamare la restituzione 
della somma mutuata e degli accessori convenuti, mentre le vi


I 

cende ulteriori, inerenti al giorno dell'esecuzione dell'obbligo di restituzione, 
gi� costituitosi a seguito della scadenza del relativo termine, non 
toccano detta durata, e riguardano la successiva fase del soddisfacimento 
delle posizioni creditorie discendenti dalla cessazione del prestito. 


L'art. 15 ultimo comma del d.P.R. n. 601 del 1973, ove stabilisce, per 
l'applicabilit� dell'esenzione �de qua�, che sono finanziamenti a medio 
e lungo termine solo quelli che superino i diciotto mesi, fa testuale riferimento 
alla loro �durata�. 


. Pertant�, 'sulla scoria dei rl1ievi svolti in ordine all'identificazione 
della durata del contratto di mutuo, ed altres� tenendosi conto dei criteri 
di � stretta )) interpretazione cui soggiace la norma introduttiva di 


� eccezioni a regole generali (art. 14 disp. prel. cod. civ.), si deve ritenere 
che detta esenzione non sia invocabile rispetto al finanziamento per il 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 329 

quale il termine di restituzione sia pattuito allo spirare di diciotto mesi, 
rimanendo irrilevante che l'adempimento del debito restitutorio, per la 
disciplina legale del tempo del pagamento di somme di denaro, ovvero 
per previsione convenzionale, ricada in epoca successiva. (omissis)' 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 marzo 1994 n. 2387 -Pres. Scanzano 
-Est. Ruggiero -P. M. Tridico (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Laurenti) c. Dal Sie. 

Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Sanzioni -Continuazione 
-Applicabilit� -Limiti. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, artt. 48 e 75; I. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 8). 
Per la pluralit� di diverse infrazioni commesse con la stessa operazione 
in materia di IVA, l'art. 48 del d.P.R. n. 633/1972 prevede l'applicazione 
obbligatoria della pena prevista per la violazione pi� grave aumenta�
a da un terzo alla met�; questa previsione � compatibile con quella 
d,�lil'art. 8 della legge n. 4/1929 che concerne pi� violazioni della stessa 
disposizione di legge commesse anche in tempi diversi in esecuzione della 
medesima risoluzione e per le quali la sanzione pu� essere applicata 
discrezionalmente una sola volta, semprech~ si tratti di violazioni commesse 
nello stesso periodo di imposta (1). 

(omissis) Con l'�nico motivo del ricorso incidentale, il contribuente 
deduce che erroneamente la commissione centrale avrebbe escluso <il 
poter fare applicazione, nel caso di pluralit� di infrazioni alla disciplina 
sull'IVA, della disposizione dell'art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 che 
consente l'unificazione delle infrazioni ai fini della sanzione, sellZa considerare 
�:he l'art. 75 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 richiama proprio la 
citata legge n. 4 del 1929 per quanto non diversamente disposto nello 
stesso decreto. 

La censura � fondata nei sensi e nei limiti che vanno a precisarsi. 

Va premesso che l'art. 75 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, istitutivo 
dell'imposta sul valore aggiunto, richiama espressamente, tta le altre, le 
disposizioni della legge 7 gennaio 1929 n. 4 in materia di accertamento 
delle. violazioni e di sanzioni, per quanto non � diversamente disposto 
nello stesso d.P.R. 633/1972. 

Orbene, per il caso di pluralit� di infrazioni, l'art; 48, .secon~o com:.: 

ma, del citato d.P.R. 633/1972 prevede l'ipotesi che in relazione ad una 

'� � (1) Precisazione opportuna dei limiti della compatibilit� delle due previsioni. 
Per la limitazione della continuazione dell'art. 8 alle violazioni commesse 
nello stesso periodo di imposta v. Cass. 25 giugno 1991, n. 7136. � 



RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO 

330 

stessa operazione siano state commesse pi� violazioni punite con la pena 

pecuniaria, stabilendo che in tal caso si applica soltanto la pena pecu


niaria stabilita per la pi� grave di esse, aumentata da un terzo alla 

met�. 

A sua volta l'art. 8, secondo comma, della legge 4/1929 dispone in linea 

generale che nel caso di pi� violazioni commesse anche in tempi diversi 

in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione pu� essere appli


cata una sola volta, tenuto conto delle circostanze dei fatti e della per


sonalit� dell'autore delle violazioni, stabilendo poi al terzo comma i cri


teri e le modalit� per la determinazione della misura della sanzione in 

concreto. 

Le due norme disciplinano fattispecie distinte, avendo riguardo l'una 

al caso di pi� violazioni di (diverse) norme di legge commesse con la 

stessa operazione, vale a dire con un'unica azione, l'altra al caso del 

cosiddetto concorso omogeneo, vale a dire di pi� violazioni della stessa 

disposizione di legge, commesse con pi� operazioni, in esecuzione di� una 

risoluzione unitaria dell'autore. Inoltre, mentre l'applicazione della norma 

del d.P.R. 633/1972 � obbligat�ria e vincolata in presenza dei presup


posti ivi indicati, l'applicazione della norma della legge 4/1929 � discre


zionale e presuppone una valutazione della personalit� e dei precedenti 

del trasgressore. 

Avendo quindi un diverso ambito ed un diverso modo di applica


zione, non vi � contrasto, incompatibilit� o sovrapposizione tra le due 

disposizioni, per cui la previsione della norma speciale sull'IVA non pre


clude, ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. 633/1972, l'applicazione della norma 

generale della legge del 1929. 

Deve pertanto essere confermato il principio, gi� pi� volte affermato 

da questa Suprema Corte, che l'art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 sulla 

repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, il quale, in relazione 

alle circostanze del caso concreto, consente l'unificazione quoad poenam 

di pi� infrazioni commesse anche in tempi diversi in esecuzione di una 

medesima risoluzione, trova applicazione anche in materia di infrazioni 

alla disciplina dell'IVA previste dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, pur� 

ch� si tratti di pi� violazioni della stessa disposizione di legge compiute 

nell'ambito di un medesimo periodo d'imposta, tale applicazione non 

essendo incompatibile con la riunificazione obbligatoria stabilita dal� 

l'art. !48 del detto d.P.R. per il diverso caso di pi� violazioni di diverse 

disposizioni della legge commesse con la stessa operazione (cfr. Cass. 

7045/91, 6761/90, 9328/87) . 

. ; Per quanto riguarda in particolare l'applicazione limitata alle infra


zioni ricadenti nell'ambito di uno stesso periodo d'imposta, tanto deve 
. ritenersi, com~ � stato ampiamente precisato da Cass. 7045/91 citata, 
considerando. che il regime dell'IVA � strutturato su base annuale, in 
modo che ciascun periodo d'imposta ha una propria autonomia rispetto 




PARTE I, SEZ. V, GIUR1SPRUDENUJ. TRIBUTARIA 331 

agli altri,� la quale circoscrive al detto periodo sia la rilevanza dei fatti 
generatori della ricche:tza imponibile e del correlativo obbligo �tributario, 
sia l'efficacia dei poteri di accertamento �e di sanzione degli Uffici; non 
senza ancora rilevare che, a norma dell'art. 49 del d.P.R. 633/1972, pregresse 
violazioni verificatesi in periodi d'imposta anteriori vengono in 
dlievo ~ fj.ne di. rendere pi� severo il trattamento sari.zionatorio della 
violazione pi� recente, iJ. che se non si presenta� assolutamente incompatibile 
con le regole della cosiddetta continuazione, denota comunque da 
parte del legislatore un orientamento ,di rigore, che rischierebbe . di rimanere 
frustrato ove si ammettesse l'unificazione delle infrazioni astraendo 
dal singolo periodo d'imposta. 

Per tali ragioni non ritiene il collegio di poter condividere il diverso 
orientamento espresso dall'isolata pronuncia di questa Corte n. 307/91, 
che ha ritenuto applicabile la disciplina dell'art. 8 della legge 4/1929 anche 
a violazioni attinenti a diversi periodi d'imposta. Con il principio sopra 
esposto non pu� poi ritenersi contrastante l'altra pronuncia di questa Cor� 
te n. 629/91, la quale ha ritenuto inapplicabile la �continuazione� per il 
caso di pluralit� di infrazioni contemplate dall'art. 46 d.P.R. 633/1972, 
atteso che per tali infrazioni � prevista una sanzione proporzionale 
all'imposta evasa. 

Con gli indicati limiti e precisazioni la proposta censura � da ritenersi 
fondata, e la statuizione impugnata, che ha ritenuto in linea di 
principio inapplicabile l'art. 8 della legge 4/1929 alle infrazioni in materia 
di IVA, deve essere cassata con rinvio alla stes:;a commissione tributaria 
centrale, la quale, alla stregua del principio . suesposto, dovr� 
accertare se nella specie ricorrono i presupposti e le condizioni di fatto 
per l'applicazione dell'art. 8, secondo comma, della legge 7 gennaio 1929, 

n. 4 e l'esercizio del relativo potere, rimettendo, se del caso, a sua volta 
alla commissione di secondo grado, a norma dell'art. 29 del d.P.R. 26 ottobre 
1972 n. 636, per la determinazione concreta della misura della 
sanzione secondo i criteri dettati dal citato art. 8, terzo comma, della 
legge 4/1929. (omissis) 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 23 marzo 1994 n. 2771. -Pres. Pannella � 
Est. Cicala -P. M. Delli Priscoli (conf.) -Ministero delle Finanze 
\avv. Stato Cocco) c. Fallilnento Rotexana. 

Tributi erariali indiretti � Imposte ipotecarie e catastali � Base imponibile 
� Riferimento alla imposta di registro ma con esclusione di 
crediti e �debiti relativi all'azienda. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 h. 635, artt. 3 e 21; d.lgi. 31 ottobre 1990 ii. 347, art. 2). 
�Bench� la base imponibile del:le imposte ipotecarie e catastali deve 
c�mmisurarsi a quella determinata per l'imposta di registro, dato �he 



RA:SSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dette imposte sono connesse ad operazioni che riguardano beni immobili, 
nella base imponibile va ricompreso il valore degli immobili che costituiscono 
l'azienda, m� non i crediti e i debiti relativi alla azienda stessa 
(1). 


(omissis) Il ricorso della Amministrazione merita accoglimento. 

Sia l'imposta proporzionale di registro sia le imposte ipotecaria e catastale 
sono imposte commisurate al valore dei beni contemplati nell'atto 
da cui trae �origine la imposizione. E per ovvie ragioni di coerenza del 
sistema gli artt. 3 e 21 del d.P.R. 635/1972 (ora art. 2 del D. leg. 31 ot� 
tobre 1990, n. 347) prescrivono che le imposte ipotecarie e catastali 
sono � commisurate all'imponibile determinato ai fini della imposta di 
registro �. Questo comporta che ad un bene, ad esempio un edificio, 
non possano essere attribuiti valori differenti ai fini delle varie imposte, 
ma non fa venir meno la diversit� di oggetto propria di ogni singola 
imposta. 

In particolare, la imposta di registro investe il complesso dei beni 

oggetto di trasferimento e quindi ben pu� coinvolgere una azienda. 
Mentre alle altre due imposte sono soggette trascrizioni, iscrizioni ed 
annotazioni nei pubblici registri immobiliari, cio� operazioni che riguardano 
solo i beni immobili. Non esiste dunque alcuna ragione perch� 
nel calcolo della base imponibile ai fini delle imposte ipotecarie e catastali 
si tenga conto, oltre che del valore degli immobili (e dei debiti ad essi 
strettamente inerenti), anche di altri debiti o crediti relativi ad una 
azienda che coinvolga gli i;mmobili stessi. 

In caso contrario potrebbe accadere che annotazioni relative a beni 
di identico valore siano colpite con imposte ipotecaria e catastale diversissime 
come conseguenza di fatti che nulla hanno a che vedere con 
il valore dei beni stessi. (omissis) 

�(1) Decisione di evidente esattezza. 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 30 marzo 1994 n. 3131 -Pres. Brancaccio 
-Est. Sgroi -P. M. Di Renzo (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Palatiello) c. Fallimento SITEL (avv. Irti). 

Tributi erariali .indiretti � �Riscossione � Azione esecutiva per il pagamento.� 
Stato di. ,insol\'enza del debitore � Revocatoria fallimentare � 
Art. 51 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 � Inapplicabilit�. 

(r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. !il). 
�Il pagamento �di un credito di imposta indiretta (nella specie IVA) 
ottenuto. a seguito di esecuzione iniziata con ingiunzione, � soggetto 



PARIB I, �SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 333 

.alla revocatoria dell'art. 61 della legge fall.; la norma dell'art. 51 ael 

d.P.R. 29 settembre 1913 n. 602 non � estensibile al pagamento di �imposte 
non riscuotibili mediante ruolo (1). 
Col primo motivo, l'Amministrazione denuncia la violazione dell'art. 
67, 2� e 3� comma legge fallimentare, in relazione agli artt. 60 e ss. 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 ed al principio di legalit� dell'obbligazione 
tributaria .(art. 360 n. 3 c.p.c.), osservando che l'art. 67 cit., in tema di 
revoca dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, � basato sul presupposto 
che il creditore deve astenersi dal pretendere il pagamento, quando 
sa dello stato d'insolvenza del debitore, per cui necessariamente � postulata 
la facolt� del creditore di pretendere o di non pretendere l'assolvimento 
dell'obbligazione. La rilevanza della conoscenza postula la possibilit� 
di un comportamento coerente di � non pretendere �, quando tale 
conoscenza sia stata acquisita. Ma tale possibilit� non � data al fisco, 
perch� l'art. 62 d.P.R. n. 633 del 1972 impone di procedere alla riscossione 
del tributo, senza attese o rinvii. L'impossibilit� di dilazionare il recupero 
dimostra' l'inesistenza del potere di scelta fra il recupero e l'attesa, 
postulato dal citato art. 67 legge fallimentare. 
Detto principio � codificato dall'art. 51 d.P.R. n. 602 del 1973, in materia 
di imposte dirette, norma non eccezionale, ma che rappresenta la traduzione 
espressa del principio in esame, cos� come, per le imposte riscosse 
con l'ingiunzione, l'art. 31 del T.u. n. 639 del 1910 esclude ogni potere di 
sospensione della procedura di recupero. 

Col secondo motivo, l'Amministrazione deduce �motivazione insuf� 
fidente �SU punto decisivo �, con riferim�nto all'art. 360 n. 5 c.p.c., cos� 
espressamente argomentando: 

(1) Si deve prendere atto della pronuncia delle Sez. unite, che peraltro 
interviene dopo che con la generalizzazione della riscossione mediante ruolo 
(d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43) l'art. 51 del d.P.R. n. 602/1973 � diventato appli� 
cabile per tutti i tributi. 

La sentenza non convince. 

Le ragioni che possono escludere o non escludere l'assoggettamento alla 
revocatoria dei pagamenti delle imposte dovrebbero essere ricercate nei carat� 
teri sostanziali del credito. Al contrario la sentenza basa la sua motivazione su 
ragioni;, contingenti e mutevoli, del procedimento di riscossione. 

Dato atto che il problema della revocatoria non si pone di fronte al debitore 
che paga spontaneamente o su semplice richiesta, la giustificazione della revocabilit� 
� ricercata nel fatto che l'Amministrazione pu� scegliere tra� esecuzione 
individuale e richiesta di fallimento. 

Quel che giustifica la norma dell'art. 51 del d.P .R. n. 602 � evidentemente 
qualcosa di pi� profondo e meno casuale, che � legato alla natura del credito, 
non ai mezzi della riscossione. Se di ci� non si tiene conto sembra ingiustifi� 
cabile' il radicale mutamento della disciplina della revocatoria come conseguenza 
<lena �creazione del servizio della riscossione ispirato ad una omogenea utiliz� 
zazione� del ruolo. 



RASSEGNA AVVOCATURA DEU..O STATO 

. �Esattamente� la Corte� di Appello afferma che l'onere della prova 
della conoscenza dello stat� di insolvenza spettava al curatore; ma �erra 
quando afferma che la prova sarebbe �stata raggiunta in quanto: a) l'Ufficio 
era stato costretto a ricorrere all'ingiunzione; b) il credito era rilevante; 
c) nel domandare impossibili dilazioni e sospensioni, la societ� 
aveva evidenziato la difficolt� in cui versava. 

Questi non sono indizi gravi, precisi e concordanti della conoscenza 
dello stato di insolvenza, per l'ottima ragione che � insolvenza � non vuol 
dire � illiquidit� �, ma capacit� di far fronte alla situazione debitoria, con 
i mezzi normali; non basta, cio�, dire che non si � pagata l'IVA per 
inferirne l'insolvenza; bisogna dire che l'impresa � in stato di dissesto; la 
Corte di Appello anzi, ignora, fra gli elementi indiziari, un dato che a 
ben vedere sarebbe sintomo della non insolvenza: il .notevole credito 
che la Sitel vantava nei confronti della S.I.P., societ� notoriamente .solvibile, 
credito pacificamente dichiarato da quest'ultima (e quindi assegnato 
dal Pretore). 

N� � logico affermare che l'Ufficio avrebbe dovuto sapere dello stato 
d'insolvenza perch� negli ultimi anni la Sitel andava motivando le impossibili 
domande di sospensione minacciando la chiusura dei propri sta" 
bilimenti: questa minaccia altro non era se non un'allegazione di parte, 

I a fronte della quale l'Ufficio IV A non aveva alcun onere di accertarsi 
dell'eventuale stato di insolvenza; insomma, il fatto che la Societ�, per 
ottenere dilazioni, invocasse le proprie difficolt�, non equivaleva assoluta


I mente alla conoscenza dello stato di insolvenza �. 

Il ricorso � infondato. 

1) Nelle memorie e nella discussione orale l'Amministrazione si � 
attardata a discutere il problema se a fondamento della revocatoria falI 
limentare dei pagamenti, ex art. 67 legge fallimentare, vi sia (oltre la 

I

tutela della par condicio creditorwn), la sanzione del comportamento del 

creditore. che ric('(ve il pagamento in modo illegittimo. Poich� il comporta


I 

mento della P .A., nel pretendere e ricevere il pagamento delle imposte, 

I ~ 

� dovuto (obbligatorio per legge), esso -in quanto per sua natura non 

illegittimo -sfuggirebbe ai rigori della disciplina della revoca fallimen 

tare. 

Il problema � . stato impostato in modo fuorviante. :t:. esatta ed in~ 
discutibile la premessa che l'Amministrazione non solo non pu� rifiutare 
il pag�mento delle imposte, ma addiritt�ra deve riscuoterle il pi� sollecitamente 
possibile, senza sconti o dilazioni (se non nei casi ammessi 
dalla legge), ma tale premessa non porta alle conseguenze esposte dalla 
ricorrente. 

Dal punto di vista oggettivo (tutela della par condicio creditorum) il 
principio .deve commisurarsi con la tutela degli altri creditori, secondo 
il disegno del legislatore che � espresso dall'art. 67, quando al s'econdo 
comma dispone che sono revocati i pagamenti di debiti liquidi ed esi



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 335 

gibi., � senza distinzione di sorta; ed all'ultimo comma dispone che la 
suddetta norma non si applica all'istituto di emissione ed agli altri istituti 
.di credito ivi indicati e. fa salve le disposizioni delle leggi speciali. 
Il sistema � articolato sulla base del principio generale della revocabilit�, 
salva l'eccezione espressa dalle legge speciali (art. 40 -come sostituito 
dall'art�. 4 legge 24 dicembre 1974 n. 713 -della legge 25 luglio 1952 

n. 949,. per i prestiti accordati alle aziende artigiane; art. 20 legge 30 luglio 
1959 n. 623, per le piccole industrie e l'artigianato; art. 51 terzo com� 
ma d.P..R. 29 settembre 1973 n. 602, di cui si dir�; art. 4 comma 4 d.I. 
30 dicembre 1987 n. 536, conv. in legge 29 febbraio 1988 n. 48, in materia 
di contributi sociali obbligatori ed accessori; art. 1 comma 9 d.I. 2 dicembre 
1985 n. 688, conv. in legge 31 gennaio 1986 n. 11, in materia di pagamento 
dei contributi mediante cessione di crediti verso lo Stato; art. 39 comma 
4 del T.u. 1� settembre 1993 n. 385, in materia di credito fondiario). 
Solo il legislatore pu� effettuare una scelta derogatoria al principio 
fondamentale della revocabilit�; scelta derogatoria che, pertanto, non 
pu� esprimersi in � principi generali �, ma fa inquadrare dette norme nell'ambito 
delle disposizioni e�cezionali (art. 14 delle preleggi), ciascuna retta 
da una propria particolare ratio, pur essendone possibile un'interpretazione 
estensiva (non analogica). 

Dal punto di vista soggettivo, la doverosit� della richiesta del pagamento 
e della sua ricezione, sia da parte del singolo funzionario (altrimenti 
soggetto alle responsabilit� amministrative e contabili richiamate 
dall'Avvocatura dello Stato nella discussione orale) sia da parte 
della P .A., come ufficio soggetto all'art. 97 Cost., non espone i predetti, 
quando conoscono lo stato di insolvenza del debitore all'atto del pagamento, 
alla scelta se accettare (o pretendere) il pagamento ovvero dilazionare 
il debito o �ddirittura rinunciarvi, in quanto l'altra alternativa 
si �esprime nella richiesta di esecuzione collettiva e cio� nel fallimento 
del debitore, la cui insolvenza sia nota a quei soggetti. 

Il problema, invero, � assai meno difficile di come sia stato prospettato. 
Esso non si pone, quando il creditore non conosce lo stato 
d;insolvenza e normalmente non pu� porsi di fronte al debitore d'imposta 
che paghi regolarmente con le varie forme di � autotassazione � o dietro 
semplice richiesta dell'Ufficio: invero, l'Ufficio, al di l� del pagamento 
puntuale del debito d'imposta non conosce e non pu� conoscere altro, 
salvo che non vi siano elementi ben precisi (per esempio, i risultati 
di una verifica fiscale della contabilit� dell'impresa). Il problema si 
pone di fronte ai pagamenti ottenuti coattivamente; ma anche in questo 
caso, la semplice notifica dell'ingiunzione, seguita dal pagamento, in 
difetto di altri elementi conosciuti dall'Ufficio non solleva il problema 
della scelta, che si ha, in definitiva, soltanto quando si tratta di scegliere 
(come nella fattispecie di cui � causa) fra esecuzione individuale ed esecuzione 
collettiva. 


336 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Di fronte al fallimento, la posizione dell'Amministrazione Finanziari� 
� tendenzialmente parificata a quella degli altri creditori (si pu� 
argomentare anche dalla sentenza della Corte Cost. 9 marzo 1992 n. 89, 
dichiarativa dell'illegittimit� costituzionale dell'art. 97 d.P.R. n. 602/73, 
sul fallimento �fiscale,�). Il disposto dell'art. 6 della legge fallimentare, 
secondo cui il fallimento pu� essere chiesto anche ai creditori, non pu� 
non applicarsi all'Amministrazione creditrice di somme, cos� come (� 
pacifico) si applicava all'esattore, nonostante che l'art. 51 del d.P.R. n. 602 
citato permettesse l'esecuzione esattoriale in presenza del fallimento (v. 
ora, art. 129 d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43, sul servizio di riscossione tributi). 


Per concludere, l'Amministrazione che -come � avvenuto nel 
caso -inizi e porti a termine l'esecuzione individuale (pignoramento 
presso terzi) in presenza della conoscenza dello stato di insolvenza del 
debitore esecutato, non � affatto obbligata a tale procedura, poich� potrebbe 
scegliere, al suo posto, la richiesta di fallimento della societ� 
insolvente, senza per questo n� rinunciare �l credito, n� dilazionarne 
il pagamento. Invero, anche nell'esecuzione individuale il momento effettivo 
della riscossione non dipende dall'Amministrazione, ma dalle esigenze 
della procedura e dalla sua fruttuosit� (si pensi �ll'mtervento, in 
essa, di altri creditori muniti di una causa di prelazione poziore). 

Dimostrata l'assoluta: irrilevanza, ai fini della soluzione del problema 
di causa; dell'obbligatoriet� della riscossione dei crediti tributari, ne 
deriva la conseguenza che tale obbligatoriet� non � sottesa alla disposiz:
ione del comma 3� dell'art. 51 del d.P.R. n. 602/73 (quale vigeva all'epoca 
dei fatti di causa) di guisa che la norma espressa non si pu� estendere 
alle imposte diverse da quelle che si riscuotevano, all'epoca, mediante 
l'esecuzione esattoriale, per la pretesa identit� di ratio fra tale esecuzione 
e quella fiscale in genere (non affidata all'esattore), sotto il profilo soggettivo 
attinente alla conoscenza dello stato di insolvenza. 

2} In verit�, l'art. 51 si inserisce in un sistema nel quale � previsto 
un �complesso coordinamento con la procedura fallimentare, che non 
assicura� affatto all'esattore (che non � esonerato dall'intervento nella 
procedura fallimentare: vedi art. 18 d.P.R. n. 603 del 1973; art. 4 stesso 
d.P.R.; art. 78 d.P.R. n. 43 del 1988) il soddisfacimento, dato che il curatore 
si pu� insinuare nella procedura esattoriale, per far valere la soddisfazione, 
in sede di distribuzione del ricavato, dei crediti di rango 
poziore insinuati nel fallimento -contemporaneo -dell'imprenditore 
soggetto ad esecuzione speciale (Cass., Sez. Un., 12 maggio 1978 n. 2325, 
fra .le altre conformi). Si � detto pi� volte che si tratta di un privilegio 
di natura processuale e non sostanziale, e che pertanto non deroga agli 
.artt. 2740 e 2741 e.e. -. 

�Il legislatore delegato del 1973, ai primi due commi dell'art. 51 del 

d.P.R. n. 602 (sostanzialmente identici ai due commi dell'art. 206 del T.u. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 337 

previgente 29 gennaio 1958 n. 645, a loro volta risalenti all'art. 97 del 

T.u. 17 ottobre 1922 n. 1401) ha aggiunto un terzo comma: �I pagamenti 
di imposte scadute non sono soggetti alla revocatoria prevista 
dall'art. 67 .R.D. 16 marzo 1942 n. 267�. 
Si � gi� detto -e giova ribadire, dato che l'argomentazione con� 
trarla costituisce il fulcro della tesi della ricorrente -che non pu� 
ritenersi che la � ratio � di tale norma possa collegarsi alla soluzione 
del conflitto fra � doverosit� � della riscossione delle imposte scadute 
e conoscenza dello stato di insolvenza, che costituisce il requisito soggettivo 
necessario per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare. In� 
vero, nessun conflitto poteva ipotizzarsi nel senso preteso dall'Ammi� 
nistrazio:ve, posto che esso si risolveva agevolmente su un altro piano: 
quello �della scelta della esecuzione collettiva fallimentare (o della insinuazione 
nella procedura predetta), piuttosto che di quella individuale 
(che, nel campo delle imposte indirette, fra cui l'IVA, non era ammessa, 
fino all'entrata in vigore del nuovo sistema di cui infra, durante 
il fallime:qto del debitore d'imposta). 

L'Amministrazione consapevole dello stato di dissesto irreversibile 
del debitore d'imposta, prima della dichiarazione del suo fallimento, 
se non poteva avvalersi della norma derogatoria del primo comma 
dell'art. 51 d.P.R. n. 602. (in quanto poteva solo procedere all'esecuzione 
mediante ingiunzione, ai sensi dell'art. 62 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, richiamante 
il R.D. 14 aprile 1910 n. 639), era in grado di rifiutare il pagamento 
spontaneo del debitore dissestato e, a maggior ragione, quello ottenuto 
mediante la suddetta procedura esecutiva, e di optare per l'esecuzione 
collettiva fallimentare. 

Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha alcun 
peso in contrario l'argomento tratto dal divieto di sospensione dell'esecuzione 
individuale fiscale; esso si basa sull'espresso mancato richiamo, 
nell'art. �62 d.P.R. n. 633/72, dell'art. 3 del R.D. n. 639 del 1910, che 
conferisc� �all'A.G.O. il potere di sospendere l'esecuzione coattiva per la 
riscossione della entrate patrimoniali non tributarie. Da tale limitazione 
dei poteri dell'A.G.O. non si inferisce affatto che analogo potere non 
abbia la stessa Amministrazione procedente la quale, preso atto dello 
stato d'insolvenza (ancora non dichiarato con sentenza di fallimento) 
del suo debitore, potr� invece ben sospendere la procedura coattiva individu�le 
e richieden�e il fallimento, per non violare consapevolmente la 
par condicio dei creditori. Con tale atteggiamento l'Amministrazione 
non rinuncia al suo credito n� lo dilaziona al di fuori dei casi consentiti 
dalla legge, posto che � la stessa legge che le impone di ricorrere al 
diverso� mezzo di tutela dell'esecuzione fallimentare. Pertanto, nel caso 
che l'Amministrazione riscuota il suo credito nei confronti del debitore 
gi� insolvente, la cui insolvenza le sia nota, se ci� avviene nell'arco temporale 
annuale di cui all'art. 67 legge fall., ex post non potr� invocare 



338 RASSEGNA� AVVOCATURA DELLO STATO 

come letteralmente sostiene' la sua difesa� -�il comportamento dov�to 

I 

(non legittimo), che sfugge ai rigori dell'art. 67 citato. La necessit� di 
un comportamento diverso, esclude che esso� sia dovuto e non illegitt�::��. 
Scartato, quindi, il profilo soggettivo; allo scopo di ritenersi � possi


I

~ 

bile che la 'ratio sottesa al terzo comma dell'art. 51 d.P.R. n. 602/73 possa 
estendersi.. fino a comprendere. qualsiasi tipo di (( imposta �, utilizzando 
il dato letterale alla stregua di tale ipotetica ratio (interpretazione esten'
siva consentita anche per le leggi eccezionali), si deve esaminare il profilo 
oggettivo, e cio� la deroga al principio della par condicio creditorum, 
che la. legge vuole sacrificare per privilegiare un principio diverso. 

Quest'ultimo non pu� essere costituito dal collegamento col principio 
del � non riscosso come riscosso � che grava sull'esattore, per due ragioni: 
a) perch� detto principio non vige in ogni caso (v. per es., il 
caso dei ruoli a carico dei falliti, ex art. 4 d.P.R. n. 603 del 1967); b) 
perch� il principio pu� esistere anche per la riscossione da parte dell'esattore 
di crediti non tributari (art. 3 primo comma d.P.R. 15 maggio 
1963 n. 858, mantenuto in vigore dall'art. 36 del d.P.R. n. 603/73), ma a 
tali crediti non tributari non pu� applicarsi il terzo comma dell'art. 51 
del d.P.R. n. 602/73, che espressamente si riferisce alle sole imposte. 

Dunque, la ratio evidente di quest'ultima norma � soltanto quella di 
assicurare la riscossione sicura e stabile delle imposte. Si pone pertanto 
il problema se tale ratio obiettiva possa riguardare qualsiasi tipo di 
imposta, e quindi anche l'IVA, ma ad esso deve darsi risposta negativa, 
per ragioni di carattere testuale. 

Prima dell'introduzione di detta norma, sebbene una parte della 
giurisprudenza di merito e della dottrina ritenesse che, sotto il vigore 
dell'art. 206 T.u. 29 gennaio 1958 n. 645, alla revoca dei pagamenti ex 
art. 67 legge fall. si sottraessero quelli fatti all'esattore (essendo egli 
esentato dall'osservare la legge sul fallimento), era da ritenere pi� 
esatta la tesi secondo cui anche detti pagamenti erano revocabili (Cass., 
Sez. 1a, 23 luglio 1968 n. 2648). 

Pertanto, il terzo comma dell'art. 51 � una norma innovat~va, (derogatoria 
al principio generale dell'art. 67 legge fall.), la quale, essendo 
contenuta in un decreto delegato, deve essere giustificata dalla sua 
conformit� alla legge di delega, in osservanza dell'art. 76 della Costituzione. 
Fra due possibili interpretazioni, deve privilegiarsi quella conforme 
alla Costituzione. 

Secondo la tesi del resistente, l'eccesso rispetto alla delega vi � stato, 
perch� la legge 9 ottobre 1971 n. 825 consentiva di disciplinare i 
rapporti fra lo Stato ed il contribuente e non quelli fra lo Stato e 
gli altri creditori del contribuente, derogando alla regola generale della 
par condicio. L'argomento prova . troppo, perch� metterebbe ingiustamente 
in �forse l� legittimit� della norma delegata sul privilegio a fa



PARTE I, SEZ. �V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

vore dei crediti per IVA (art. 62 d.P.R. n. 633/72 e successive modifiche, 
ex art. 1 d.P.R. n. 24 del 1979), nonna nuova che attiene alla qualit� 
del credito e nel contempo istituisce una preferenza a favore dello 
Stato, rispetto agli altri creditori. Tuttavia, non � necessario approfondire 
l'argomento, perch� ai fini che interessano questa causa non tanto 
� necessario stabilire se la delega potesse riguardare una deroga all'art. 
67 legge fall. nella materia delle imposte dirette riscuotibili mediante 
ruoli, quanto se la delega potesse riguardare anche imposte diverse, 
non riscuotibili mediante ruoli. La risposta � negativa. 

L'art. lO della legge di delega del 1971 n. 825, concernente le disposizioni 
in materia di riscossione, contiene un primo 'comma che � troppo 
generico, peJ' ritenere che possa riferirsi a questo punto, ed un n. 6 
che recita (indicando il relativo criterio direttivo): �una migliore disciplina 
del sistema di riscossione dei tributi mediante ruoli, con particolare 
riguardo, ecc. ecc. �. 

Pertanto, soltanto alla riscossione dei tributi mediante ruoli si 
intendevano apportare � miglioramenti � per adeguare la disciplina vigente 
alle riforme previste dalla legge (comma 1�). Ammesso che la 
suddetta sia la base legislativa che ha permesso l'emanazione del terzo 
comma dell'art. 51, terzo comma, pi� volte citato, certamente essa non 
permetteva l'estensione della norma stessa alle imposte che, alla stregua 
della medesima legge e dei decreti delegati, non si riscuotevano 
mediante ruoli (come l'IVA), ma mediante ingiunzione e successivo procedimento 
ex R.D. del 1910 n. 639. 

Concludendo, � addirittura improponibile, per tale caratteristica 
formale della norma delegata de qua, il problema della sua estensione 
all'IVA, stante la mancanza di qualsiasi delega in proposito, e quindi 
l'autolimitazione del legislatore delegante. 

3) Si deve aggiungere un ulteriore argomento. Con la legge 4 ottobre 
1986 n. 657 � stata attribuita delega al Governo per l'istituzione e la 
disciplina del servizio di riscossione dei tributi, ivi compresa l'IVA 
(art. 1 lett. a), col criterio direttivo di cui all'art. 2 comma 2 (�revisione 
delle vigenti disposizioni al fine ... di assicurare uniformit� di procedure 
esecutive�). In attuazione della delega � stato emanato il d.P.R. 28 gennaio 
1988 n. 43, riguardante anche l'IVA (art. 2 lett. e). I Concessionari 
della riscossione sono soggetti al d.P.R. n. 602 del 1973 (artt. 32, 63, 67 
e 129), per cui � evidente che anche in materia di IVA -da quando 
� entrato in funzione il nuovo sistema -si applicher� la deroga rispetto 
alla revocatoria dei pagamenti ex art. 67 legge fallimentare. Il carattere 
innovativo e non retroattivo della normativa � evidente. (omissis) 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

340 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 10 aprile 1994 n. 3343 -Pres. Corda 


Est. Baldassarre -P. M. Delli Priscoli (conf.) -Ministero delle Fi


nanze (avv, Stato Palatiello) c. Buscaglione. 

Tributi erariali indiretti -Imposta di successione . -Base imponibile Valore 
di azioni non quotate -Riferimento alla situazione patrimQ-: 
niale della societ� -Criteri civilistici dell'art. 2424 e.e. -Esclusione Apprezzamento 
del valore venale del patrimonio sociale. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 22; e.e. art. 2424). 
Ai fini dell'imposta sulle successioni, il valore delle azioni non ammesse 
alla quotazione di borsa e delle quote di societ� non azionarie, 
comprese nell'attivo ereditario, deve essere determinato, ai sensi dell'.
art. 22 del .d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, avendo riguardo alla situazione 
patrimoniale <;I.ella societ�, ossia assumendo quali elementi di valutazione 
i dati contabili desumibili dal bilancio di esercizio e dal conto dei 
profitti e delle perdite, salvi, tuttavia, il potere dell'Amministrazione 
finanziaria di 'contestare la veridicit� delle risultanze contabili e il correlato 
onere.� della prova in capo ad essa,-prescinde per� dai criteri civilistici-
contabili prescritti per l'iscrizione alle singole voci all'attivo o 
.al passivo del bilancio medesimo, posto che la base imponibile � data 
'aall'effettivo valore della parte di patrimonio sociale che dette azioni o 
quote rapptesentano (1). 

L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione degli art. 21 e 22 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, con riguardo alla nozione di capitale sociale 
e all'art. 2424 cod. civ., nonch� motivazione contraddittoria ed insufficierite, 
ed assume: 
1) I citati artt. 21 e 22 richiedono un elemento di certezza, che � dato 
dalle risultanze delle scritture contabili obbligatorie e regolarmente tenute 
o da atti aventi data certa e, rispettivamente dalla situazione patrimoniale; 
ma non che la base imponibile sia costituita dai risultati di 
tali scritture, essendo data invece dal valore venale dell'azienda o della 
quota societaria. In conseguenza non tutto ci� che, secondo la legge 
civile e la scienza aziendalistica, deve essere appostato al passivo costituisce 
passivit� da portare in diminuzione del valore lordo venale. In 
particolare, il capita�e sociale, che per l'art. 2424 cod. civ. va iscritto 
al passivo, non costituisce un debito della societ�, ma un valore � fermo � 
nella dinamica, aziendale, corrispondente al complesso dei conferimenti; 

(1) Decisione da condividere pienamente. I criteri civilistici aziendali sulla 
� funzione 
delle scritture contabili non possono trasferirsi tal quali alla base 
imponibile dell'imposta di successione n� come indirizzo di stima, n� come 
fonte di prova. � 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

tanto che ne � pr�vista l'iscrizione nel bilancio, ma non nel conto dei profitti 
e�delle perdite. 

2) La Corte d'appello non ha, parimenti, considerato che le voci del 
bilancio per fondi ammortamento a) beni strumentali, b) spese d'impianto, 
c) ILOR 1980 comparivano contemporaneamente nello stato patrimoniale 
tra i debiti e nel conto dei profitti e delle perdite come �costi�, 
e che, per tanto, legittimamente l'ufficio le aveva escluse dal novero 
delle passivit�, non potendo essere valutate due volte. 

Il ricorso � fondato. 

La sentenza impugnata, che sui punti in esame offre una succinta 
motivazione in fatto, presuppone, in diritto, che il secondo comma dell'art. 
22 del d.P.R. n. 637/72, nel disporre che �per le azioni non ammesse 
alla quotazione in borsa e per le quote di societ� non azionarie il 
valore venale � determinato avendo riguardo alla situazione patrimoniale 
della societ� �, operi un rinvio integrale alle norme in tema 

di societ� di capitali, � nel senso che la situazione patrimoniale ai fini 
dell'imposta di successione va determinata seguendo gli stessi criteri 
fissati per la redazione del bilancio �. 

Gi� la formulazione lessicale della norma dell'art. 22 contraddice l'interpretazione 
che ne ha dato la Corte territoriale, atteso che il legislatore, 
se avesse inteso operare un rinvio formale al bilancio delle societ�~ 
avrebbe usato tale specifico termine e non quello sostanziale di � situazione 
patrimoniale�. 

Siffatta interpretazione si pone poi in contrasto con l'intero sistema 
impositivo sulle successioni, sistema che, al fine di determinare la base 
imponibile, considera il valore (la non essenziale qualificazione � venale �, 
di cui all'art. 7 e alle altre norme del d.P.R. n. 637/73, � omessa nel T.u. 
approvato con d:P.R. 31 ottobre 1990 n. 346), dei beni e diritti oggetto del 
tfasferiI�:J.ento per causa di morte. 

Non deroga, di certo, al criterio generale l'art. 22, che, in tema di 
partecipazione societaria -quando non sia utilizzabile il dato certo 
del valore correlato al mercato borsistico (primo comma) -fa riferimento, 
nel secondo comma, alla situazione patrimoniale della societ� 
e dispone che da essa debba ricavarsi il valore delle azioni o quote, 
utilizzando un dato, altrettanto obiettivo ed attendibile, che non � diverso 
da quello (scritture contabili regolarmente tenute ed obbligatorie) adottato 
dall'art. 21 per determinare il valore dell'azienda . 
. �, Posto . che�� la base imponibile deve essere costituita, per quanto attiene 
all'attivo ereditario (da non confondere, ovviamente, con l'attivo 
sociale) dal valore delle azioni non quotate in borsa o delle quote, non 
possono trasferirsi alla valutazione a fini impositivi i criteri contabili 
ispirati alla diversa esigenza di rappresentare, organicamente, ai soci 
e ai terzi la situazione patrimoniale e la gestione della societ�. 


RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

342 

Del resto la stessa disciplina civilistica prescinde da tali criteri 
quando venga in discussione il valore di singole partecipazioni societarie, 
prevedendo, nelle ipotesi di liquidazione della quota del socio uscente, 
il diritto di questi al �valore� della quota (art. 2289 cod. civ.) e, nella 
specifica materia delle societ� di capitali, il rimborso delle azioni non 
quotate (art. 2437) o quote (art. 2494) in proporzione del patrimonio sodale 
risultante dal bilancio deWultimo esercizio. 

Con formula analoga a quella di questi due ultimi articoli la norma 
dell'art. 22 del d.P.R. n. 637/72 � stata trasfusa nell'art. 16, primo comma, 
lettera b), del Testo unico. 

Dovendo applicarsi, come nella specie, la normativa del 1972 ed 
accertarsi il valore, in concreto, delle azioni non quotate o della quota 
sociale, la base imponibile deve coincidere con la sostanziale situazione 
patrimoniale della societ�, desumendo i dati di valutazione dal bilancio 
e dal conto dei profitti e delle perdite (originario art. 2423 cod. civ.), 
cos� come, per l'azienda, dalle regolari scritture contabili. Ci� che non 
impedisce che l'Amministrazione finanziaria, ove ritenga tali fonti documentali 
non veritiere o comunque non indicative dell'effettivo valore della 
partecipazione, possa addivenire a diversa e motivata valutazione. 

Rimane comunque escluso che debba assumersi quale necessario ed 
imprescindibile parametro la catalogazione tra le poste attive o passive, 
secondo la disciplina civilistica-contabile, delle diverse voci di bilancio. 

Basti rilevare, con riguardo all'esempio pi� significativo, che se, ai fini 

fiscali, si dovesse far ricorso a detta disciplina, il valore della partecipazio


ne societaria risulterebbe automaticamente diminuito in ragione del mag


gior importo del capitale sociale, che -sebbene figuri nel bilancio quale 

entit� contabile del passivo -rappresenta il complesso dei conferimenti 

dei soci ed �, di norma, espressione della consistenza della societ�. 

Ne deriva l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza 

impugnata con rinvio ad altro giudice di pari grado perch� proceda a 

nuovo esame dei punti controversi, tenendo presenti i seguenti principi 

di diritto: 

� Ai fini dell'imposta sulle successioni, il valore delle azioni non ammesse 
alla quotazione di borsa e delle quote di societ� non azionarie, 
comprese nell'attivo ereditario, deve essere determinato, ai sensi dell'articolo 
22 del d.P .R. 26 ottobre 1972 n. 637, avendo riguardo alla situazione patrimoniale 
della societ�, ossia assumendo quali elementi di valutazione 
i dati contabili desumibili dal bilancio di esercizio e dal conto del profitto 
e delle perdite, salvi, tuttavia, il potere dell'Amministrazione finanziaria 
di contestare la veridicit� delle risultanze contabili e il correlato 
onere della prova in capo ad essa; prescinde per� dai criteri civilisticicontabili 
prescritti per l'iscrizione delle singole voci all'attivo o al passivo 
del bilancio medesimo, posto che la base imponibile � data dall'effettivo 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 343 

valore della parte di patrimonio sociale che dette azioni o quote rappresentano. 


La determinazione in concreto di tale valore � riservata alla cognizione 
del giudice del merito, che � tenuto a fornire congrua motivazione del 
proprio apprezzamento �. 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 18 aprile 1994 n. 3684 -Pres. Montanari 
Visco -Est. Carbone -P. M. Morozzo della Rocca (diff.). -Mancini c. 
Ministero delle Finanze (avv. Stato Arena E.). 

Tributi in genere -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione Imposta 
cli registro -Nota del cancelliere che liquida le spese prenotate 
a debito -Giurisdizione della commissione. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 1; c.p.c. disp. att. art. 43; r.d. 16 marzo 1942 
n. 267, art. 91). 
Appartiene alla giurisdizione delle commissioni l'impugnazione della 
nota del cancelliere che, a norma dell'art. 43 disp. att. c.p.c. e dell'art. 91 
della legge fallimentare, liquida l'imposta di registro prenotata a debito; 
la nota del cancelliere non � una ingiunzione opponibile innanzi allo stesso 
giudice ma un atto di accertamento tributario da impugnare innanzi alla 
commissione (1). 

(omissis) Con l'unico motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata 
per aver affermato la giurisdizione delle commissioni tributarie, 
deducendo l'errata interpretazione ed applicazione degli artt. 1 e 16 del 

d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, nonch� delle disposizioni del codice di rito 
(artt. 43 disp. attuaz. e 615 c.p.c.) e della legge fallimentare (art. 91 1. fall.), 
nonch� difetto di motivazione e travisamento delle risultanze processuali 
sotto un triplice profilo. 
Erroneamente la Corte d'appello avrebbe identificato l'oggetto della 
controversia nell'imposta di registro e non nelle spese di giustizia, in 
quanto l'art. 43 disp. attuaz. c.p.c. � preordinato anche al recupero di 
somme estranee all'area delle imposte e l'atto di precetto promanante 
da un ufficio giudiziario e non finanziario non rientra nell'elencazione 
tassativa degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie. L'atto 
che ha dato origine alla presente controversia non va qualificato come 

(1) Riconfermando la sentenza 28 novembre 1991 n. 12770, in questa Rassegna, 
1991, I, 619, la S.C. precisa esattamente che la questione sulla debenza dell'imposta 
di registro � una controversia di imposta e che la nota del cancelliere �, 
in senso ampio, un accertamento tributario rientrante nella definizione di provvediinento 
impugnabile dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/72. Sull'argomento v. BAFILE, 
Anticipazione delle spese per il procedimento fallimentare, imposta di registro 
e relative controversie, in questa Rassegna, 1979, I, 727. 

12 



344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

opposizione all'ingiunzione, trattandosi piuttosto di opposizione al precetto 
avente ad oggetto la nota compilata dal cancelliere -relativa alle spese, 
tasse, diritti ed onorari prenotati a debito -dichiarata esecutiva dal capo 
dell'ufficio nell'ambito di funzioni amministrative e non giurisdizionali. 
Ne consegue che la controversia non ha natura tributaria ma costituisce 
opposizione a precetto, come tale rientrante nella giurisdizione del giudice 
ordinario. 

La questione cos� come posta non � fondata. 

Con la sentenza n. 1943 del 19 dicembre 1969, passata in giudicato, il 
Tribunale di Catania nell'omologare la proposta di concordato tenne a 
richiedere l'immediato pagamento di tutte le spese di giustizia, amministrazione 
e compenso del curatore, nonch� quelle relative alla registrazione 
della stessa sentenza di omologazione, lasciando fuori dal concordato soltanto 
la �tassa di societ� (di fatto)�. � rimasta quindi esclusa dal pacchetto 
di proposte oggetto dell'omologazione l'imposta di registro ed 
accessori relativa ad una registrazione d'ufficio effettuata in data 28 gennaio 
1966, mentre come risulta dal giudicato � stato previsto come condizione 
della proposta di concordato il pagamento delle spese di giustizia 
di amministrazione e del compenso del curatore in conformit� alla prescrizione 
dell'art. 124 co. 1 1. fall. 

Alla stregua di questi elementi, essendo rimasta esclusa, tra le spese 
a debito solo la � tassa di registro� questa Corte non ha motivo per 
discostarsi dalla sua giurisprudenza secondo cui le controversie tributarie 
appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie. La predetta 
giurisdizione dev'essere affermata, in tema di imposta di registro 
ai sensi dell'art. 1 co. 2 lett. f) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, anche 
quando trattandosi di registrazione con prenotazione a debito, secondo 
le previsioni degli artt. 91 e 133 1. fall., la controversia insorga in sede 
di contestazione della nota compilata dal cancelliere e resa esecutiva con 
provvedimento del capo dell'ufficio giudiziario in base all'art. 43 disp. 
attuaz. c.p.c. Anche in tale ipotesi, ricorrendo una controversia tributaria 
resta di conseguenza esclusa la giurisdizione del giudice ordinario 
e la denunciabilit� del provvedimento secondo le regole dettate dal codice 
di rito in tema di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass, sez. un. 28 novembre 
1991 n. 12770). 

In conclusione, la giurisdizione delle commissioni tributarie, in tema 
di imposta di registro efferente gli atti delle procedure fallimentari -o gli 
atti giudiziari compiuti nell'interesse delle persone o degli enti ammessi 
al gratuito patrocinio -non pu� essere derogata in favore dell'autorit� 
giudiziaria ordinaria, come sostiene il ricorrente, solo perch� l'imposta sia 
stata prenotata a debito e successivamente riscossa dal cancelliere. Ne consegue 
che il mezzo giuridico previsto dall'ordinamento per la riscossione 

delle somme iscritte a campione civile, compresa l'imposta di registro, non 
costituisce un decreto ingitintivo, come quello disciplinato dal codice 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 345 

di rito, opponibile davanti allo stesso giudice che l'ha emesso, ma costituisce 
un atto di accertamento tributario relativo all'imposta di registro 
da impugnare innanzi alla commissione tributaria territorialmente competente. 


Il Collegio non ignora un diverso precedente a sezione semplice (Cass. 
10 aprile 1979 n. 2049), relativo peraltro alla sola imposta di titolo e cio� 
all'imposta di registro afferente a patti enunciati nella sentenza dichiarativa 
di fallimento o in quella di omologazione del concordato, ma da un 
lato si tratta di un precedente formatosi sulla normativa antecedente 
alla riforma tributaria del 1973, dall'altro l'attuale indirizzo giurisprudenziale 
� consolidato nell'affermare la competenza giurisdizionale delle 
commissioni tributarie ogniqualvolta, come nella specie occorre risolvere 
una � questione tributaria � in cui il fisco tende ad ottenere il riconoscimento 
del proprio diritto al tributo (imposta di registro) ed il privato 
a paralizzare la pretesa tributaria di quest'ultimo (Cass. sez. un. 18 maggio 
1990 n. 4302; 23 dicembre 1990 n. 10553; 23 dicembre 1991 n. 13862). 

Il ricorso va pertanto respinto. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, s.ez. I, 18 aprile 1994 n. 3691 -Pres. Salafia -Est. 
Sgroi -P. M. Delli Priscoli (conf.) -Soc. Castello Rametz (avv. Cavasola) 
c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). 

Tributi in genere -Riscossione -Ingiunzione -Motivazione -Non � 
necessaria. 

L'ingiunzione � sufficientemente motivata con l'indicazione del titolo 
e dell'oggetto della richiesta fatta valere; l'esattezza e la chiarezza dei 
calcoli attengono al merito apprezzabile dal giudice (1). 

(omissis) Con il primo motivo, la societ� ricorrente denuncia, ai sensi 
dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dei regolamenti 
Cons. 974/71 e Comm. 649/73, nonch�, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., l'insufficiente 
motivazione in ordine ad un punto decisivo, in relaz~one alla 
eccezione di nullit� dell'ingiunzione, dell'identificabilit� da parte del destinatario 
dell'ammontare dell'importo compensativo applicato, osservando 
che, fino a quando in appello l'amministrazione non ha prodotto le liquidazioni, 
nessuno ha potuto ricostruire il conteggio, per cui l'opponente non 
era stato in grado di farlo, quindi di affermare se era o meno esatto. 
Non pu� essere valida un'ingiunzione che non indica la misura dell'importo 
applicato. Non esiste un solo importo compensativo, ma diversi importi 
a seconda della classificazione doganale del vino da pasto, per cui non 

(1) Viene corretta la estemperanea affermazione di Cass. 28 febbraio 1993 
n. 2475, in questa Rassegna, 1993, I, 245. 
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346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

era possibile risalire al conteggio. Inoltre, gli importi compensativi non 
sono fissati in base ad un unico parametro fisso o percentuale, ma in 
base ai prezzi medi fissati, per un periodo di una settimana, per i prodotti 
per i quali sono previste misure d'intervento (e quindi non in 
base ai prezzi effettivi); ad essi viene aggiunto un coefficiente calcolato 
in funzione del rapporto effettivamente constatato fra le due monete. 
L'impossibilit� dell'opponente di ricostruire il calcolo effettuato deve 
avere come conseguenza la dichiarazione di nullit� dell'ingiunzione. 

Il motivo � infondato. 

Di fronte all'ampia motivazione della sentenza di primo grado, che 
aveva respinto l'eccezione di nullit� formale dell'ingiunzione, la ditta appellante 
in via incidentale si era limitata a dedurre � che non era dato 
comprendere come fosse stato formato il calcolo degli importi compensativi
�. Contro tale eccezione � sufficiente la risposta data dal giudice 
d'appello -trattandosi di interpretazione di un atto amministrativo devoluta 
al giudice del merito -secondo cui l'ingiunzione metteva in grado 
l'esportatore, con la dovuta diligenza, di ricostruire il conteggio, in 
quanto egli era in grado di conoscere ci� che aveva esportato ed i parametri 
risultavano da norme di pubblico dominio. 

D'altra parte, � da aggiungere che non deve confondersi il problema 
della motivazione dell'ingiunzione (per la quale � sufficiente l'indicazione 
del titolo e dell'oggetto della richiesta fatta valere in via amministrativa) 
con quello dell'esattezza e della stessa chiarezza e comprensibilit� dei 
calcoli in essa esposti, che attengono al merito della pretesa, la quale 
pu� essere contestata dal privato, gravando in tal caso sulla P.A. l'onere 
della dimostrazione dell'esattezza dei calcoli stessi. E dallo stesso ricorso 
risulta che tale onere � stato assolto dalla finanza con la successiva 
produzione della �liquidazione�, contro la quale nessun rilievo � mosso 
dalla ditta esportatrice, per cui la sua censura appare priva di interesse 
e di oggetto. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 aprile 1994 n. 3767 -Pres. Beneforti Est. 
Borr� -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Crivelli. 

Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Consegna al portiere Mancato 
invio di raccomandata -Semplice irregolarit� � Nullit� � 
Esclusione. 

(c.p.c. art. 139). 
Nel caso di notifica mediante consegna al portiere ex art. 139 c.p.c., 
l'omissione della spedizione di raccomandata costituisce semplice irregolarit� 
che non d� luogo a nullit� della notificazione (1). 

(1) Giurisprudenza pacifica. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 

(omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione ricorrente deduce 
violazione dell'art. 139 c.p.c., sostenendo che il mancato invio della raccomandata, 
nel caso di notifica al portiere, non produce nullit�, bens� 
semplice irregolarit� della notificazione. Questa, infatti, si perfeziona 
con la consegna dell'atto al portiere, essendo la spedizione della raccomandata 
un evento successivo rispetto alla fattispecie costitutiva della legale 
ricezione e conoscenza dell'atto medesimo. 

Il ricorso � fondato. 

Che la spedizione della raccomandata non integri un elemento costitutivo 
della fattispecie notificatoria � reso palese dal tenore letterale 
del quarto comma dell'art. 139 c.p.c., ove si dice che l'ufficiale giudiziario, 
con tale mezzo, d� notizia dell'avvenuta notificazione. L'omissione 
di tale formalit� non rende dunque nulla la notificazione, ma costituisce 
una mera irregolarit�. In tal senso si � fermamente orientata la giurisprudenza 
di questa Corte (cfr. sentenza n. 755 del 1980 e numerose 
successive conformi). (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 aprile 1994 n. 3769 -Pres. Salafia Est. 
Baldassarre -P. M. Lo Cascio (conf.) -Ministero delle Finanze 
(avv. Stato Lancia) c. Ferrari. 

Tributi erariali indiretti -Imposta sulle successioni e donazioni � Base 

imponibile -Valutazione automatica in base ai redditi catastali 


Difetto di dichiarazione specifica dei singoli beni -Conseguenze. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 26, introdotto con l. 17 dicembre 1986 n. 880). 
Perch� sia praticabile, nella imposta di successione come in quella 
di registro, la determinazione della base imponibile con il criterio automatico 
del reddito catastale, ove non siano dichiarati analiticamente i 
valori distinti di ogni singolo bene, � necessario che l'unico valore dichiarato 
sia pari o superiore alla somma dei singoli valori determinata attraverso 
i redditi catastali; la valutazione automatica non sar� possibile 
quando alcuno degli immobili da valutare non sia fornito di valori catastali 
o sia insuscettibile di tale valutazione. 

Relativamente ai fabbricati rurali � esclusa la valutazione automatica 
quando il fabbricato non sia legato da vincolo pertinenziale al terreno 

o perch� ceduto isolatamente o perch� il vincolo � venuto meno (1). 
(omissis) 1. -Il Ministero ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione 
degli artt. 43, 52 e 79 d.P.R. n. 131/86, 8 legge n. 880/86, 26, 37 

(1) La sentenza offre una serie di precisazioni, tutte da condividere. 

348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

e 55 d.P.R. n. 637/72, 13 e 16 R.D. n. 1572/1931, 115 cod. proc. civ., 817 e 
2697 cod. civ. e del loro combinato disposto, nonch� vizio di motivazione. 

Rilevata preliminarmente l'erroneit� del riferimento alla legge di 
registro (d.P.R. 131/86), trattandosi di donazione, osserva che per la tassazione 
di essa opera, tuttavia, una disposizione identica a quella dell'art. 
52, comma quarto, cit.; 

assume quindi che tale disposizione (art. 26 del d.P.R. n. 637/72, nel 
testo introdotto dalla legge 17 dicembre 1986 n. 880) non pu� trovare applicazione, 
quando, come nella specie le parti non abbiano indicato il 
valore di ciascun bene, a cui riferire le aliquote per la valutazione automatica, 
ma un valore complessivo; 

che, in subordine, potrebbe ritenersi applicabile l'art. 26, quinto comma, 
cit. in caso di indicazione di un unico valore, solo se tutti i beni 
siano suscettibili di valutazione secondo il criterio automatico di cui alla 
citata norma; 

che, con particolare riguardo al trasferimento di fabbricati rurali, 
che sono iscritti al catasto senza attribuzione di rendita, non potrebbe 
operare comunque l'esenzione dal tributo, se non sussista vincolo pertinenziale 
tra essi e i terreni; vincolo che, nel caso in esame, non solo 
non risulta, ma � anche escluso, alla stregua della relazione di stima ritenuta 
attendibile dal giudice di primo grado, per il fabbricato principale, 
tenuto in uso proprio dalla donante, a differenza degli altri beni, dati 
in affitto. 

2) -Rileva, in via pregiudiziale, il collegio che solo in pendenza del 

giudizio innanzi alla C.T.C., con memoria aggiuntiva depositata il 27 apri


le 1988, le contribuenti hanno chiesto l'applicazione del criterio automa


tico di determinazione del valore dei beni caduti in successione, invocan


do, impropriamente, gli artt. 52, quarto comma, e 79 del d.P.R. 26 apri


le 1986, n. 131, T.u. dell'imposta di registro. 

Si tratta di errore (che si ritrova anche nella motivazione della de


cisione impugnata) non rilevante ai fini della decisione, atteso che dispo


sizioni analoghe a quelle citate sono dettate, in tema di imposta sulle 

successioni e donazioni, dall'art. 26, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 

n. 637, nel testo introdotto dall'art. 8 d.P.R. 17 dicembre 1988, n. 880 e, 
rispettivamente, dall'art. 12 D.L. 14 marzo 1988, n. 70, conv. in legge 
13 maggio 1988, n. 154. 
La disciplina transitoria prevista da quest'ultimo articolo assegna, 
infatti, efficacia retroattiva alla norma del nuovo art. 26 cit., consentendone 
l'applicazione alle imposizioni su precedenti successioni o donazioni, 
sempre che, come nella specie, fosse ancora pendente la relativa controversia. 




PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Ne derivano l'ammissibilit�, da un lato, dell'istanza di cui alla citata 
memoria e il connesso dovere della C.T.C. di decidere su di essa e, 
d'altra parte, la proponibilit�, in questa sede di legittimit�, delle questioni 
di cui al riassunto mezzo d'impugnazione. 

3) -Dispone il citato art. 26, quinto comma, testo novellato, che 
�non sono sottoposti a rettifica il valore degli immobili, iscritti al catasto 
con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per 
i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto, e 
per i fabbricati, a ottanta volte il reddito risultante in catasto, aggiornati 
con i coeffici�nti stabiliti per le imposte sul reddito, n� i valori della 
nuda propriet� e dei diritti reali di godimento sugli immobili dichiarati 
in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma dell'art. 
20 �. 

La trascritta norma deve trovare applicazione nella presente controversia, 
relativa a donazione in virt�, oltre che del richiamo da parte 
dell'art. 55 d.P.R. n. 637/72 dell'intero art. 26, dell'espresso riferimento 
dell'art. 12 cit. �alle donazioni poste in essere anteriormente al 1� luglio 
1986, per le quali non sia gi� intervenuto il definitivo accertamento del 
valore imponibile �. 

Analoga disciplina � ora vigente, per essere stata tradotta nel quinto 
comma dell'art. 34 del T.u. approvato con d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 346, 
per quanto attiene alle successioni, la norma dell'art. 26, quinto comma 
(modificata solo nelle aliquote). 

In tema di donazioni -posto che l'art. 56 del T.u. rinvia ai commi 
3 e 4 (non anche 5) dell'art. 36 -opera invece, per effetto del rinvio 
di cui all'art. 60, la norma dell'art. 52, quarto comma, d.P.R. 26 aprile 
1986, n. 131, sulla rettifica del valore degli immobili ai fini dell'imposta 
di registro. 

La scelta sistematica del legislatore, che, nel coordinare le disposizioni 
dei testi unici suddetti relativamente agli atti tra vivi, ha disposto il 
rinvio a disposizione riguardante la rettifica, trova fondamento nella 
natura dell'istituto della determinazione automatica della base imponibile, 
in materia di imposte tanto di registro che di successioni e di donazioni, 
in quanto la disciplina in esame non configura modalit� cogenti di 
valutazione degli immobili, ma impone un limite al potere di rettifica. 

Ne deriva che, perch� l'Amministrazione soggiaccia a siffatta limitazione, 
il contribuente deve offrire gli elementi necessari per operare la 
valutazione a coefficiente catastale. 

Se gli immobili siano pi� di uno ovvero siano costituiti da pi� parti, 
alle .quali corrispondano distinte valutazioni catastali, contrariamente a 
quanto sostenuto in via principale dalla ricorrente Amministrazione, si deve 
ritenere utile, ai fini dell'operativit� del limite di cui sopra, la dichia



350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

razione di un valore complessivo che sia pari o superiore alla somma 
dei singoli valori determinati con il criterio automatico. 

Tale possibilit� viene meno quando uno o pi� (o alcune porzioni 
di) immobili, da assoggettare ad imposizione, non siano forniti di valori 
catastali oppure questi (come nel caso in cui parte di un fondo abbia 
assunto attitudine edificatoria) non siano applicabili; atteso che non � 
consentito all'ufficio di sostituirsi al contribuente e di attribuire, in 
sua vece, valori presuntivi ai beni o parti di beni non valutabili a coefficiente, 
tanto da ricondurre i valori degli altri in limiti che consentano la 
determinazione automatica. 

4) -Il problema non si pone con riguardo ai fabbricati rurali, 
legati da vincolo pertinenziale ai fondi rustici su cui insistono, quando 
essi siano donati (ovvero caduti in successione o trasferiti con atti soggetti 
ad imposta di registro) in uno ai rispettivi fondi, in quanto l'estimo 
catastale dei terreni tiene conto degli esistenti fabbricati in ragione della 
loro destinazione agricola. 

Qualora la donazione (ed altrettanto dicasi per la successione e per 
gli atti soggetti all'imposta di registro) riguardi unicamente il fabbricato 
rurale, viene meno il presupposto del divieto di rettifica, ossia l'esistenza 
di un reddito dominicale da prendere a base del calcolo per determinare 
l'imponibile. 

Alla stregua dei rilievi di cui al precedente paragrafo, difetta, del 
pari, detto presupposto, se la donazione abbia ad oggetto il fondo rustico 
ed il fabbricato rurale, ma quest'ultimo non sia legato da vincolo pertinenziale 
con il terreno. 

L'accertamento, in concreto, della esistenza o meno di un siffatto 
vincolo rientra nella competenza esclusiva del giudice del merito, che tenuto 
conto delle regole sull'onere della prova, anche per quanto attiene 
all'eccezione dell'Amministrazione circa la mancata destinazione del 
fabbricato alla coltivazione del fondo -deve fornire adeguata motivazione 
del giudizio espresso. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 29 aprile 1994 n. 4168 -Pres. Cantillo Est. 
Graziadei -P. M. Nicita (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
De Stefano) c. Mori. 

Tributi erariali diretti -Dichiarazione � Dichiarazione congiunta dei 
coniugi � Condono domandato da uno solo � Sopravvivenza della 
solidariet� per l'obbligazione non investita dal condono. 
(legge 13 aprile 1977 n. 114, art. 17; d.!. 10 luglio 1982 n. 429, art. 15). 

Bench� ai sensi della normativa di condono la dichiarazione integra
�tiva di uno soltanto dei coniugi che abbiano presentato dichiarazione 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351 

congiunta non ha effetto nei confronti dell'altro, il debito di imposta dell'altro 
coniuge, non investito dal condono, rimane assistito dalla solidariet� 
di entrambi (1). 

(omissis) Il ricorso � fondato. 

Nella disciplina del condono tributario di cui al d.l. n. 429 del 1982, convertito 
in legge n. 516 del 1982, l'art. 15 terzo comma in linea con la natura 
del condono stesso di scelta individuale correlata a valutazioni di opportunit� 
attinenti alla singola posizione, stabilisce che ciascun coniuge, 
ove intenda .goderne, deve separatamente presentare dichiarazione integrativa, 
anche quando la dichiarazione annuale sia stata congiunta, ed 
aggiunge che la dichiarazione integrativa resa da uno soltanto dei coniugi 
non ha effetto nei confronti dell'altro. 

Tale ultima disposizione, a fronte della regola posta dall'art. 17 quinto 
comma della legge 13 aprile 1977 n. 114 sulla corresponsabilit� in 
solido dei coniugi condichiaranti per le imposte rispettivamente dovute 
(da iscriversi a ruolo a nome del marito), esprime deroga alla regola medesima 
con esclusivo riferimento all'obbligazione che nasce in capo al 
richiedente a seguito della domanda di definizione agevolata. 

L'estensione di detta deroga alla diversa obbligazione del coniuge 
non richiedente il condono, la quale continua a trovare titolo nell'originaria 
dichiarazione, non � autorizzata dalla lettera del citato art. 15 
e nemmeno � evincibile dal suo coordinamento logico con il disposto dell'art. 
17 della legge del 1977. 

La solidariet� dei coniugi, in caso di dichiarazione congiunta � il 
coerente risvolto dell'opportunit� loro concessa di ottenere una liquidazione 
unitaria della somma da versare per IRPEF, godendo, fra l'altro 
della compensabilit� �incrociata� dei rispettivi debiti e crediti. Il mantenimento 
di tale solidariet�, con riguardo all'obbligazione del coniuge che 
non si avvalga del condono, si armonizza con la conservazione, per l'obbligazione 
stessa di quei vantaggi. 

La diversa soluzione adottata dalla Commissione centrale, del resto, 

porterebbe all'inaccettabile risultato di assegnare ad una vicenda soprav


venuta, produttiva di conseguenze solo sul debito di uno dei due autori 

della dichiarazione congiunta, l'effetto di privare l'Amministrazione fi


nanziaria della particolare tutela apprestata dal vincolo di solidariet� 

anche per il debito rimasto entraneo alla vicenda stessa; la richiesta 

di condono, inoltre, ove presentata dal singolo coniuge, produrrebbe un 

atipico � profitto � aggiuntivo, consistente nell'esonero dell'istante dagli 

impegni in precedenza assunti con la dichiarazione congiunta. 

(1) Decisione esatta che ricerca acutamente la ratio della solidariet� fra 
coniugi. 

352 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 


In conclusione, il ricorso va accolto e la pronuncia impugnata deve 
essere annullata, per un riesame in sede di rinvio che si attenga al principio 
secondo il quale, quando i coniugi facciano dichiarazione unica 
dei redditi a norma dell'art. 17 della legge n. 114 del 1977, e poi uno solo 
di essi presenti dichiarazione integrativa al fine della definizione agevolata 
della sua personale posizione �ex� art. 15 del d.l. n. 429 del 1982 
(convertito in legge n. 516 del 1982), il debito d'imposta dell'altro coniuge 
rimane assistito della corresponsabilit� solidale di entrambi, ai sensi 
ed agli effetti dell'ultimo comma del menzionato art. 17. (omissis) 

I 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 2 maggio 1994 n. 4239 -Pres. Cantillo Est. 
Graziadei -P. 11'1. Nicita (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato Favara) c. Mele. 

Tributi in genere -Dichiarazione -Imposte sui redditi -Rimborsi Ritrattazione 
della dichiarazione -Limiti Materialit� dell'errore. 

Il rimborso della imposta versata sulla base della dichiarazione � 
ammissibile quando sia evincibile un errore che nella sua materialit� 
inficia la dichiarazione; va invece negato il rimborso ove l'allegato errore, 
desumibile da fatti ulteriori o diversi da quelli dichiarati, abbia natura 
sostanziale in quanto la dichiarazione ha la funzione di completa ed esaustiva 
esposizione da parte del contribuente di tutte le circostanze fattuali 
conferenti ai fini impositivi, s� che � preclusa al dichiarante ogni facolt� 
di successiva modificazione o integrazione. (1) 

II 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 27 giugno 1994 n. 6157 -Pres. Rossi, Est. 
Graziadei -P. M. Di Salvo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Favara) c. Soc. ITT (avv. Tinelli). 

Tributi erariali diretti � Dichiarazione -Rimborsi -Ritrattazione -Limiti. 

(d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 1 e 2; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38). 
La ripetizione di quanto versato in rispondenza dell'imponibile dichiarato, 
mentre non � ancorabile ad elementi fattuali ulteriori e di


(1-2) Le brevi motivazioni riassumono un lungo lavoro di riflessione e di 
approfondimento ed esprimono un orientamento ormai solidissimo. In sede di 
domanda di rimborso di versamenti diretti, la dichiarazione, che non pu� essere 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 

versi da quelli a suo tempo indicati (salvo l'errore materiale, cio� la 
svista evincibile dal contesto della dichiarazione e dai dati con essa of� 
ferti), pu� essere reclamata quando, fermi restando i fatti prima enunciati, 
risulti indebito il pagamento in carenza di norma che lo imponga (2). 

I 

(omissis) La ricorrente, sotto il profilo della violazione degli artt. l, 
8, 9, 12, 31 e 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nonch� dell'art. 36 
del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, critica la pronuncia impugnata per non 
aver considerato che la contribuente, scaduto il termine ultimo per la 
denuncia annuale, non era pi� ammessa ad integrarla con ulteriori elementi 
n� a far valere con istanza di rimborso la detraibilit� di spese a 
suo tempo non indicate e documentate. 

Il ricorso, tempestivo in quanto proposto entro il termine di un anno 
dalla pubblicazione della pronuncia impugnata (computando la sospensione 
del termine stesso per i quarantasei giorni del periodo feriale), � 
fondato. 

Con riguardo a versamento diretto, quale pacificamente quello in 
discussione, l'art. 38 primo comma del d.P .R. 29 settembre 1973 n. 602 
autorizza l'istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di diciotto 
mesi, nei casi di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o 
parziale dell'obbligo del versamento stesso. 

Tale ultima previsione, alla luce della impostazione della norma in 

senso elencativo, ed altres� tenendosi conto che anche l'indebito causato 

da errore � astrattamente qualificabile come versamento non assistito 

da corrispondente obbligo, deve ritenersi circoscritta all'ipotesi di paga


mento non dovuto per ragioni diverse dall'errore (ad esempio, insussi


stenza del potere impositivo), di modo che non tocca l'esplicita condi


zione alla quale � subordinata l'influenza dell'errore medesimo, vale 

a dire la sua �materialit��. 

Ne consegue che il diritto al rimborso, a fronte di svista commessa 

dal contribuente nel compilare la denuncia annuale, postula l'evinci


bilit� del relativo errore da tale denuncia e dai dati con essa offerti, men


tre deve essere negato ove l'errore stesso sia desumibile soltanto da 

fatti ulteriori e comunque diversi da quelli allegati, e, quindi, abbia natura 

ritrattata (salvo che per errori materiali chiaramente riconoscibili), preclude 
la deduzione di elementi di fatto ulteriori o diversi; ne consegue che sulla base 
degli stessi fatti dichiarati, il diritto al rimborso pu� discendere solo da una 
correzione della applicazione della legge tributaria. Le sentenze attestate su 
questa posizione, che hanno spazzato via il falso concetto della dichiarazione di 
scienza, sono ormai numerose (Cass. 13 agosto 1992 n. 9554 in questa Rassegna, 
1992, I, 519 e precedenti ivi richiamati). 



354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

sostanziale non materiale, traducendosi in un giudizio viziato in ordine 

alle componenti del reddito imponibile (v. Cass. n. 9554 del 13 agosto 1992). 

La riportata interpretazione della disposizione che disciplina il rimborso 
si armonizza con le norme, richiamate dalla ricorrente, in tema di 
modalit� e termini per la compilazione e presentazione della dichiarazione 
dei redditi. L'analiticit� del primo adempimento e la perentoriet� delle 
scadenze fissate per il secondo attestano che il legislatore tributario ha 
voluto attribuire alla denuncia annuale la funzione di completa ed esaustiva 
esposizione da parte del contribuente di tutte le circostanze fattuali 
conferenti ai fini impositivi, cos� precludendo al dichiarante ogni facolt� 
di successiva modificazione od integrazione, ed al contempo circoscrivendo 
le possibili contese, circa la conformit� al vero dei dati denunciati, 
ad eventuali iniziative �in rettifica� da parte dell'ufficio. 

La tesi della emendabilit� �a posteriori� dell'errore non materiale, 
oltre che contrastata dal citato art. 38, non � conciliabile con dette 
caratteristiche della dichiarazione dei redditi, la quale perderebbe valore 
vincolante e resterebbe relegata ad atto meramente iniziale di un dibattito 
sull'effettiva consistenza dell'imponibile aperto per diciotto mesi dopo 
il versamento diretto in via di � autotassazione�. 

Tale versamento peraltro, sarebbe privato della sua funzione solutoria 
ed estintiva dell'obbligazione tributaria (in carenza di rettifiche dell'Amministrazione) 
e si trasformerebbe in un anomalo pagamento � in conto �, 
rivedibile dal contribuente in quei diciotto mesi successivi. 

In conclusione il ricorso deve essere accolto e la decisione della 
Commissione centrale va annullata, per un riesame in fase di rinvio che 
si attenga al principio secondo cui il rimborso di quanto direttamente 
versato sulla scorta della dichiarazione dei redditi non pu� essere reclamato 
dal contribuente opponendo fatti non enunciati in detta dichiarazione, 
qual.e il pagamento di interessi passivi erroneamente ritenuti non 
detraibili, atteso che tale omissione non � riconducibile nell'ambito dell'errore 
materiale. (omissis) 

II 

(omissis) Con il primo motivo del ricorso, deducendosi la violazione 
degli artt. 1 e segg. del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e 3 del d.P.R. 
29 settembre 1973 n. 602, si assume che la Commissione centrale avrebbe 
dovuto negare alla Societ� la facolt� di rettificare la dichiarazione annuale, 
in ragione della scadenza del termine perentorio stabilito per la sua pre� 
sentazione, ed inoltre disconoscere rilevanza alla �riserva� avanzata al 
.tempo della dichiarazione stessa, in quanto non autorizzata da alcuna 
disposizione di legge e peraltro irritualmente apposta in documento diverso 
dal prescritto modulo. � 

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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 

Il motivo � infondato. 

Con riguardo ai versamenti diretti effettuati dal contribuente, l'art. 38 
primo comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 prevede la possibilit� 
di chiedere il rimborso, entro diciotto mesi, nei casi di errore materiale, 
duplicazione, inesistenza totale o parziale dell'obbligo di pagamento. 

Coordinando dette disposizioni con le regole richiamate dalla ricorrente 
in tema d'immodificabilit� della denuncia annuale dopo la tassativa 
scadenza fissata per la sua presentazione, si deve ritenere che la ripetizione 
di quanto versato in rispondenza dell'imponibile dichiarato, mentre 
non � ancorabile ad elementi fattuali ulteriori e diversi da quelli a suo 
tempo indicati (salvo l'errore materiale, cio� la svista evincibile dal contesto 
della dichiarazione e dai dati con essa offerti), pu� essere sempre 
reclamata quando, fermi restando i fatti prima enunciati, risulti indebito 
il pagamento, in assenza di norma che lo imponga (v. Cass. n. 9554 del 
13 agosto 1992, n. 4878 dell'8 agosto 1988). 

Quest'ultima situazione si � verificata nella vicenda in esame, essendo 
pacifico che la Societ�, con l'istanza di rimborso, non ha preteso di variare 
od integrare gli elementi in precedenza forniti, ma ha allegato un pregresso 
errore �di diritto�, circa la qualificazione come reddito imponibile 
di una determinata posta, senza alcun mutamento in ordine alla 
natura ed alla consistenza della stessa, e, quindi, ha dedotto un'ipotesi 
di �inesistenza parziale� dell'obbligo di eseguire il versamento in concreto 
effettuato, gi� desumibile dalla propria dichiarazione. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 3 maggio 1994 n. 4253. Pres. Rossi� Est. 
Catalano . P. M. Viale (conf.) . Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Cingolo) c. Soc. SESA. 

Tributi erariali indiretti . Imposta di registro � Concordato fallimentare � 
Imposta proporzionale . i!. dovuta. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, tariffa, art. 8 lett. e). 
La sentenza di omologazione del concordato preventivo o fallimentare, 
quale atto autoritativo che assorbe in s� gli accordi che ne sono il presupposto, 
� soggetta alla tassazione proporzionale della lettera c) dell'art. 8 
della tariffa allegata al d.P.R. n. 634/1972, non essendo un semplice atto 
di controllo esterno di un atto negoziale (1). 

(1) Giurisprudenza ormai ben ferma (Cass. 4 febbraio 1986 n. 681 in questa 
Rassegna, 1986, I, 192; 10 luglio 1984 n. 4044, ivi, 1984, I, 1002; 11 agosto 1982 n. 4520, 
ivi, 1983, I, 175). Resta incerta la questione della imponibilit� autonoma delle al 
tre pattuizioni che possono accompagnare il concordato vero e proprio (in 
senso negativo 4 novembre 1992 n. 11967, ivi, 1993, I, 109). 

RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO

356 

(omissis) L'amministrazione ricorrente deduce la violazione della 
norma innanzi indicata, nonch� delle norme di cui agli artt. 21 e 35 del 
citato decreto presidenziale e deduce che, contrariamente a quanto � 
sostenuto dal giudice tributario, la sentenza di omologazione del concordato 
fallimentare � assoggettata a tassazione proporzionale ed � inquadrabile 
tra gli atti (giudiziali) genericamente indicati nell'art. 8 lett. e) 
dell'allegato A del decreto presidenziale di cui si � detto. 

Il ricorso � fondato. 

Come � noto, l'art. 8 dell'allegato in questione, dopo la menzione degli 
atti che definiscono i giudizi, fra i quali i decreti ingiuntivi, quelli di 
aggiudicazione etc., ricomprende, nell'ambito delle altre categorie di atti 
sottoposti a tassazione a termine fisso, gli atti aventi ad oggetto i trasferimenti 
o costituzioni di diritti reali su terreni agricoli e relative pertinenze, 
gli atti aventi per oggetto autoveicoli, gli atti aventi ad oggetto 
beni e diritti diversi da quelli sopra indicati, o portanti condanna al 
pagamento di somme, valori ed altre prestazioni o alla consegna di beni 
di qualsiasi natura (lett. e), e gli atti di omologazione (lett. f). 

La giurisprudenza, dopo una prima affermazione secondo la quale 
nella sentenza di omologazione gli accordi tra il fallito ed i creditori 
restano assorbiti e trasfusi, costituendone un presupposto, sicch� non 
appare pertinente il richiamo alla lett. f) della tariffa (Cass. 19 marzo 1984, 

n. 4044), ha, successivamente, ritenuto (sentenza n. 681/1986), che agli 
effetti dell'imposta di registro nel sistema introdotto con il d.P.R. 634/ 
1972, la sentenza di omologazione del concordato fallimentare, quale atto 
autoritativo, conclusivo di una complessa procedura che trasforma in 
obbligo giuridicamente vincolante per tutti i creditori la proposta originaria 
(cos� attuando la manifestazione della capacit� contributiva presupposta 
dall'imposizione) � soggetta a tassazione proporzionale ed � inquadrabile 
tra gli atti (giudiziali) genericamente indicati �sub � lett. e) dell'art. 
8. 
Questa corte reputa di condividere siffatta impostazione non potendosi 
disconoscere che la sentenza di omologazione del concordato preventivo, 
che viene in rilievo nella specie, a differenza degli altri provvedimenti 
giurisdizionali di omologazione che si limitano ad approvare mediante 
un semplice controllo esterno un atto negoziale autonomo, costituisce 
la conclusione di un procedimento giurisdizionale evidenziando il suo 
contenuto sostanziale di atto costitutivo di un insieme di situazioni giuridiche, 
e da ci� consegue l'applicazione dell'imposta proporzionale trattandosi 
di un atto che si riconduce alla tipologia indicata nella citata 
lett. e). (omissis) 


PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 4 maggio 1994 n. 4317 -Pres. Sensale 


Est. Catalano -P. M. Amirante (conf.) -CEA (avv. Berliri) c. Ministero 

delle Finanze (avv. Stato Cingolo). 

Tributi erariali indiretti � Imposta di registro -Agevolazione per le case 

di abitazione non di lusso -Case albergo -Equiparazione alle case 

di abitazione � Esclusione. 

(legge 2 luglio 1949 n. 408, artt..J3 e 14; legge 6 ottobre 1962 n. 1493, art. 1). 

Agli effetti della agevolazione degli artt. 13 e 14 della legge 2 luglio 
1949 n. 408, le case-albergo non sono equiparabili alle case di abitazione, 
ma rientrano piuttosto nella nozione di negozio quali strutture destinate 
all'esercizio di una attivit� di impresa (1). 

(omissis) Per un corretto esame della censura, giova premettere che 
nel quadro della legislazione agevolativa di cui si tratta, vengono in 
rilievo, per quanto interessa nella specie, due gruppi di disposizioni 
normative. 

Il primo concerne: a) le case di abitazione, anche se comprendono uffici, 
ed edifici non aventi caratteristiche di abitazione di lusso, le quali 
godono dell'esenzione per venticinque anni dall'imposta sui fabbricati e 
relative sovraimposte se costruite entro i limiti temporali specificamente 
stabiliti (art. 13); b) gli acquisti di aree edificabili ed i contratti di appalto 
aventi ad oggetto la costruzione delle case di cui innanzi, per i 
quali � stato previsto il duplice beneficio dell'imposta fissa di registro 
e della riduzione ad un quarto dell'imposta ipotecaria (art. 14); c) i 
trasferimenti delle case di cui sub a), fruenti della riduzione alla met� 
dell'imposta di registro e di un quarto di quella ipotecaria, esclusione 
fatta per la vendita di negozi non effettuata con lo stesso atto con il 
quale viene trasferito il fabbricato e per la � vendita isolata � di negozi 
costituenti unit� economiche a s� stanti. 

Con il secondo gruppo, i benefici sono stati estesi ai locali destinati 
ad uffici e negozi nell'ipotesi in cui a questi ultimi sia stata destinata 
una superficie non eccedente il quarto di quella totale dei piani sopraterra, 
ma la concessione � stata subordinata alla ricorrenza congiunta di 
queste condizioni: a) che almeno il cinquanta per cento pi� uno della 
superficie totale dei piani sopraterra sia destinata ad abitazione; b) che 
non pi� del venticinque per cento della superficie totale dei piani sopraterra 
sia destinata a negozi (artt. 1 legge 6 ottobre 1962, n. 1493, come 
interpretato dalla legge 2 dicembre 1967, n. 1112). 

Nella specie � pacifico che su di un'area di mq 8789 si � costruita 
una � casa-Albergo �, occupando una superficie di mq 3360, mentre 

(1) Decisione di cui va apprezzata la nitida ricostruzione della finalit� della 
norma. 

358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

un'altra porzione dell'area, per mq 517, � stata occupata dalla costru


zione di un negozio. 

La Commissione tributaria centrale ha escluso l'operativit� delle 

agevolazioni fiscali atteso che sull'area sopraterra utilizzata per l'at


tivit� edificatoria � stato eretto un edificio a scopo alberghiero, con il 

superamento dei limiti dimensionali segnati dalle disposizioni innanzi 

citate, e questa destinazione non � assimilabile, n� ad abitazione, dato 

che attiene alla esplicazione di attivit� imprenditoriale, n� � riconducibile 

alla nozione di ufficio. 

Questa impostazione merita di essere condivisa tenuto conto che, come 

si desum� dal tenore delle disposizioni agevolative di cui si tratta, ai fini 

della concessione dei benefici, occorre avere riguardo ai requisiti di cui 

l'edificio sia obiettivamente in possesso, sia per quanto concerne il carat


tere generale della costruzione, sia in relazione alle eventuali caratteri


stiche di lusso. Orbene, posto che nel contesto normativo in esame per 

I 

�casa di abitazione� non pu� intendersi il luogo destinato ad ospitare 
i nuclei familiari, con carattere di tendenziale continuit�, nel quale si 
accentra la vita privata, mentre le locuzioni � negozio � ed � ufficio � riguardano, 
rispettivamente, il luogo deputato allo svolgimento dell'attivit� 
imprenditoriale consistente nell'offerta di beni e servizi al pubblico dei 


I

consumatori, ovvero quello destinato alla esplicazione di attivit� profest 
sionale, accessibile agli utenti in determinate ore, appare evidente che 


I 

il manufatto in questione non pu� essere ricondotto n� alla prima, n� 
alla terza delle indicate nozioni. 13 noto che nell'attuale contesto sociale 
il concetto di � casa di abitazione� viene inteso in un'accezione pi� ampia ,.


I 

di quella tradizionale in connessione con il crescente sviluppo di insedia


menti abitativi in zone pi� o meno distanti dai centri urbani, carat


terizzati dalla presenza di �seconde case� utilizzate in determinati pe


riodi o in alternanza con quelle di citt�. 13 questo il caso delle residenze 

inserite in villaggi turistici costituite, ad esempio, da villette a destina


zione unifamiliare con detenninati servizi gestiti in comune le quali sono 

riconducibili alla nozione in esame purch� intrinsecamente e funzional


mente idonei ad ospitare nuclei familiari per consentire il normale svolgi


mento della vita in comune, intesa come stabile dimora dei membri della 

famiglia. (Cass. 18 marzo 1975, n. 1036). 

Questa connotazione � esclusa in ordine alla � casa-Albergo � la cui 

funzione � quella di prestare ospitalit� dietro corrispettivo alla massa 

indiscriminata dei fruitori del servizio. 

Si, �, quindi, in presenza di una struttura funzionale all'esercizio 
di un'attivit� di impresa, la quale, lungi dal potersi considerare come 
� pressoch� identica � alla casa di abitazione, come, invece, assume la 
. ricorrente, si riconduce alla diversa categoria del � negozio � per il quale 
l'esenzione fiscale � legata alla sussistenza di specifici limiti dimensionali 

nella specie assenti. (omissis) 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 359 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 13 maggio 1994 n. 4683 � Pres. Cantillo � 

Est. Morelli � P. M. Amirante (conf.) � Ministero delle Finanze (avv. 

Stato Polizzi) c. Soc. La Secura Assipopolare (avv. Rossi). 

Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Competenza degll uffici � 

Sdoppiamento degli uffici del registro delle grandi sedi � Rilevanza 

esterna. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 644, artt. 4 e 6). 
Lo sdoppiamento degli uffici del registro disposto con decreto del 
Ministro a norma dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 644 ha a tutti 
gli effetti rilevanza esterna (1). 

(omissis) 1. -Con i tre motivi dell'impugnazione sostiene nell'ordine 
la parte ricorrente che abbiano errato i giudici a quibus: 

a) nell'escludere che le varie ripartizioni dei servizi relativi all'Ufficio 
del registro di Roma, operate con il citato D.M. 11 marzo 1978, abbiano 
inciso� facendo venir meno, all'esterno l'unit� soggettiva dell'ufficio 
stesso, laddove lo sdoppiamento dell'ufficio si riconduceva invece ad una 
espressa previsione dell'art. 4 del d.P.R. 1972 n. 644; 

b) nel non considerare che il preteso accollo dell'onere di proporre 
oppos~ione allo stato passivo nel breve termine di 15 giorni ad un ufficio 
incompetente, si sarebbe posto comunque in contrasto con i canoni 
costituzionali del diritto di difesa e di buona amministrazione (artt. 24 e 97 
Cost.); 

c) nel trascurare, infine, di dare rilievo alle circostanze di fatto 
relative a1 comportamento tenuto in concreto dalla Liquidazione. 

2. -Con articolate difese replica, in particolare sul primo punto, la 
resistente che sia viceversa aderente al dettato normativo l'interpretazione 
della Corte di merito che nega rilievo esterno ai � servizi � quali, 
con provvedimento ministeriale, ritagliati all'interno dell'unico ufficio, 
avente competenza nella circoscrizione territoriale di Roma. 
3. -La questione che, in linea logicamente preliminare, si chiede 
quindi a questa Corte di risolvere � se in forza dell'art. 4 del d.P.R. 1972 
n. 644~ dalle parti convergentemente richiamato, sia o non consentito al 
Ministro delle finanze di disporre con propri decreti, in luogo di un 
unico ufficio del registro dotato delle tipiche competenze, pi� uffici aventi 
ciascuno competenza esterna per i servizi loro affidati (servizi che altrimenti 
sarebbero di competenza dell'unico ufficio). 
Esattamente osserva al riguardo la difesa della � Secura � che la 
risposta a tale quesito non pu� rinvenirsi che nell'interpretazione delle 

(1) Per analoga separazione degli uffici distrettuali delle imposte dirette v. 
Cass. 3 gennaio 1991 n. 9, in questa Rass�gna, 1991, I, 93. 
13 



360 RASSEGNA AVVOCATURA D�LLO'sTATO 

norme che attrib�iscono . al ministro il potete sopra individuat� .. Poich�, I infatti, secondo il principio costituzionale fissato dail'art. 97 d�lla Costitu@ 


fil

zione, spetta al legislatore, e ad esso soltanto, determinare la �ompetenza 

dei vari uffici e cio� la sfera di attribuzioni che ciascun ufficio � abilitato 

a. svolgere e comunque ad esso �. imputato agendo come organo d,ell'ente 
investito del relativo potere. 
Si tratta allora appunto di stabilire se, in forza della norma primaria 
su richiamata, il successivo decreto ministeriale (11 marzo 1978), che 

Iautorizz�la _realizzazione ai' pi� uffici d.~i registro con attribt�zione di 
determinati servizi dell'unica funzione spettante sulla circoscrizione territoriale, 
abbia rilevanza nei confronti dei terzi o se, invece, tale� frazionamento 
abbia efficacia meramente interna (nel senso che rifletta le 
attribuzioni demandate ai funzionari e di cui essi sono responsabili ma 

II

non i terzi che con l'organo vengono in contatto). 

Il dato letterale della norma in questione (dispone testuahnente il 
citatoart. 4 d.P.R. 644/72 che �allo sdoppiamento dell'ufficio del registro 
nonch� ad ogni altra variazione dei relativi servizi che si render� neces


I saria sar� provveduto con decreto del Ministro delle Finanze�) non � 
di per s�. risolutivo, 'potendo ritenersi neutro ed aperto ad entrambe le 
soluzioni. 

l

~ 

~ viceversa . decisivo al riguardo il canone di interpretazione siste


1= 

. matica. 

I ~ 

3 bis. -Un analogo � sdoppiamento � di servizi -relativamente agli 
uffici distrettuali delle imposte dirette di talune citt� -si trova infatti 
disposto in via immediata dallo stesso d.P.R. 644, nel successivo art. 6 
che, per dette citt� (Roma, Milano, ecc.), prevede anche la costituzione 

I

'di�~ due separate sedi di direzione� per ciascun ufficio. 

E proprio con riferimento a tale disposizione questa Corte -con reI 
r: 
cente sentenza del 3 gennaio 1991 n. 9 -ha gi� avuto modo di affermare i 
(con diffuse argomentazioni dalle quali non si ha motivo di discostarsi) 

I 

che ne risulta, per l'effetto, la creazione in concreto di �due uffici�, 

I!

�con proprie autonome competenze, di rilievo quindi esterno, per i 

quali, la preposizione di un dirigente � competa anche sotto il profilo 

I i 

soggettivo la rispettiva autonomia �, 

Per cui -stante la sostanziale univocit� del modello organizzatorio di 
subarticolazione dei servizi rispettivamente previsto nel citato art. 6 e 
nel precedente art. 4 -deve convenirsi che, anche nella previsione del detto 

I 

art. 4 (che ora ne occupa), il legislatore abbia inteso perseguire lo stesso 

! 

obiettivo �di duplicazione dell'ufficio, ancorch� con l'intermediazione, in 
questo caso, del provvedimento ministeriale. 
Dal che la conferma del rilievo esterno attribuibile alle competenze 
come definite nel menzionato D.M. Finanze del 1978, con sostanziale 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 361 

osservanza � anche della riserva (relativa) di legge sub art. 97 Cost. �per 
l'interposizione del pi� volte menzionato art. 4 del d.P.R. 644/72. 

Ed � appena il caso di aggiungere che l'accolta interpretazione del 
contesto norm�tivo esaminato � contestata dai principi della legge 24J/1990 
sul procedimento amministrativo (essendo altrimenti difficilmente coniugabile 
la � trasparenza � del procedimento, la � responsabilit� del funzionario 
�, preposto al servizio, con il rilievo in tesi meramente interno del 
servizio stesso); e si inquadra inoltre nel pi� generale e consolidato indirizzo 
giurisprudenziale, a tenore del quale la ripartizione dei compiti 
e servizi fra i vari rami ed organi dell'Amministrazione, ancorch� rion 
rilevi quando sia questa ad instaurare il rapporto processuale, comporta 
un onere, viceversa, per i terzi cli precisa individuazione del ramo dell'amministrazione 
da chiamare in giudizio (cfr. da ultimo, Cass. 7642/ 
i991). �(omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 1� giugno 1994 n. 5320 -Pres. Corda -Est. 
Lupo -P. M. Di Salvo (diff.) -Soc. Eridania c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato De Bellis). 

Tributi locali -IQ:lposta sull'incremento di valore degli immobili -Decorso 
decennio -Fabbricati destinati all'esercizio di attivit� commerciali � 
Pertinenze -�Esenzione � Condizioni. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, artt. 3 e 25, lett. d). 
L'esenzione dall'INVIM decennale prevista per i fabbricati destinati 
all'esercizio di attivit� commerciali si estende alle pertinenze soltanto se 
anche per queste sussiste la condizione che non siano suscettibili di diversa 
destinazione senza radicali trasformazioni, non essendo sufficiente il solo 
vincolo pertinenziale (1). 

(omissis) 1. -Con il primo motivo del ricorso si deduce la violazione 
dell'art. 25, secondo comma, lettera d) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 
e dell'art. 817 cod. civ., nonch� insufficiente e contraddittoria motivazione, 
in riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. La societ� ricorrente ritiene 
erronea l'esclusione del vincolo pertinenziale fondata sul fatto che le 
abitazioni non si trovano nel recinto dello stabilimento industriale, dovendo 
tale vincolo desumersi dal collegamento strumentale tra le prime 
ed il secondo, accertato dalla Commissione di 1� e 2� grado con ampia 
istruttoria documentale non considerata nella decisione impugnata. N� 
assume a tal fine rilievo l'alienabilit� delle abitazioni affermata nella 
stessa decisione, poich� tutte le pertinenze sono suscettibili di separata 

(1) Decisione di evidente esattezza. Non constano precedenti. 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

362 

alienazione. La ricorrente osserva infine che il requisito -previsto 
dal citato art. 25 -della non suscettibilit� di una � diversa destinazione 
senza radicale trasformazione � � previsto per la esenzione dell'immobile 
principale, e non anche di quello pertinenziale, per il quale � sufficiente 
che. esso sia posto al servizio del primo. 

Il� motivo di ricorso � infondato. 

L'art. 25, secondo comma, lettera d), del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, 
nel testo modificato dell'art. 3 della legge 22 dicembre 1975 n. 694, 
dispone che sono esenti dall'INVIM prevista per decorso del decennio 
(di cui al precedente art. 3) � gli incrementi di valore dei fabbricati destinati 
all'�sercizio di attivit� commerciali e non suscettibili di diversa 
destinazione senza radicale trasformazione e degli immobili destinati all'esercizio 
di cave e torbiere e relative pertinenze, semprech� l'attivit� 
commerciale sia in essi esercitata direttamente dal proprietario o dall'enfiteuta
�. 

La societ� ricorrente invoca l'applicazione della trascritta disposizione 
nella parte in cui .si riferisce alle � pertinenze � del proprio zuccherificio. 
Non � dubbio che quest'ultimo fabbricato sia destinato � all'esercizio 
di attivit� commerciali�, e quindi ricada nell'ambito di applicazione 
dell'art. 25, secondo comma, lettera d), essendo infondata la tesi contraria 
sostenuta dall'Amministrazione delle finanze nella discussione orale 
(ma non anche nel controricorso) sulla base della considerazione che lo 
zuccherificio � destinato ad una attivit� industriale di produzione di 
beni. 

L'espressione � esercizio di attivit� commerciali � usata dalla norma 
sopra trascritta va intesa secondo fa regola generale posta dall'art. 2195, 
secondo comma, cod. civ., nel senso comprensivo di tutte le attivit� 
indicate nello stesso articolo, e quindi anche delle attivit� industriali. 
L'INVIM decennale, invero, colpisce gli immobili appartenenti � alle societ� 
di ogni tipo ed oggetto� (art. 3 citato) e la esenzione in esame 
concerne -come si esprime la relazione al disegno di legge governativo 
che � poi sfociato nella norma in discorso (legge 22 dicembre 1975 n. 694) 
�quei fabbricati che hanno carattere direttamente strumentale per l'esercizio 
delle attivit� commerciali della societ� � (Atti camera della VI legislatura, 
stampato n. 3703). 

Va poi precisato che le �relative pertinenze� indicate dall'art. 25 
sdno non soltanto quelle degli immobili destinati all'esercizio di cave 
e torbiere, ma altres� quelle dei fabbricati strumentali alle attivit� 
commerciali. Non vi � infatti ragione per limitare la previsione della 
esenzione delle pertinenze ad una sola delle due ipotesi previste dall'art. 
25. 

Quando la pertinenza consiste in un immobile posto a servizio del 
fabbricato strumentale, l'esenzione dall'INVIM � subordinata allo stesso 
requisito previsto dall'art.. 25 per il fabbricato principale, e cio� alla 



PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA� TRIBUTARIA 

sua non suscettibilit� cli diversa destinazione senza radicale trasformazione. 
La contraria tesi sostenuta dalla societ� ricorrente si pone 
contro la ratio della esenzione, che � quella cli escludere dall'INVIM decennale 
i soli immobili strutturalmente necessari all'attivit� imprenditoriale, 
nei quali l'incremento cli valore avutosi per effetto del decorso 
del tempo pu� essere realizzato previa una radicale trasformazione degli 
immobili stessi. Non vi �, cio�, ragione per distinguere il regime del 
fabbricato strumentale da quello dell'immobile destinato a suo servizio, 
nel senso che per ambedue l'assoggettamento all'INVIM o l'esen.zione 
dalla stessa � subordinata ai medesimi requisiti posti dalla trascritta 
disposizione dell'art. 25. 

Altrimenti opinandosi, sarebbe agevole per il proprietario cli un 
immobile godere dell'esenzione attraverso una destinazione pertinenziale 
rispetto ad un fabbricato strumentale, destinazione che potrebbe fa. 
cilmente cessare senza una radicale trasformazione dell'immobile. 

Non basta, quindi, per l'applicabilit� dell'esenzione invocata dalla societ� 
ricorrente, l'esistenza di un vincolo pertinenziale ai sensi dell'art. 817 
cod. civ., ma occorre l'ulteriore requisito posto dal citato art. 25, (non 
suscettibilit� cli diversa destinazione dell'immobile pertinenziale senza radicale 
trasformazione). L'accertamento sull'esistenza di tale requisito � 
rimesso al giudice del merito. 

La Commissione tributaria centrale ha, ai fini cli detto accertamento, 
attribuito rilievo al fatto che gli immobili destinati ad alloggio del 
personale non si trovano all'interno del recinto dello stabilimento e pertanto 
non presentano carattere di incommerciabilit�, potendo in ipotesi 
essere ceduti a terzi al valore cli mercato. Il criterio seguito dalla Commissione 
centrale nell'accertare il requisito di fatto_ sopra indicato � 
corretto sotto l'aspetto logico-giuridico. E, d'altro canto, le censure 
che ad esso muove la societ� ricorrente partono dalla premessa (che, 
come si � detto, non pu� essere condivisa) dell'applicabilit� dell'esenzione 
dall'INVIM sulla base dei soli requisiti del vincolo pertinenziale 
posti dal codice civile. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 4 giugno 1994 n. 5430 � Pres. Salafia Est. 
Proto -P. M. Lo Cascio (conf.) -Buonaguicli (avv. Mastrobuono) 

c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Fiorilli). 
Tributi in genere -Violazioni delle leggi finanziarie � Sanzioni � Pena 
pecuniaria � Prescrizione � Art. 17 legge 7 gennaio 1929 n. 4 � ~ sostituita 
dalla decadenza dell'art. 55 del d.P .R. 29 settembre 1973 n. 600. 
(legge 7 gennaio 1929 n. 4, art. 17; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 55). 

L'art. 17 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, che prevedeva la prescrizion� 
quinquennale per la riscossione della pena pecuniaria, � sostituito, per 


364 � RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

le imposte dirette, dall'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 in forza 
del qu�le le sanzioni devono essete irrogate dall'ufficio delle imposte entro 
un termine di decadenza (1). 

(omissis) 1. Con il primo motivo del ricorso si denuncia violazione 
od errata applicazione degli artt. 25 e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 
e degli artt. 333 e 334 c.p.c. I ricorrenti censurano la decisione impugnata 
per aver dichiarato inammissibile -in quanto estranea all'oggetto del 
giudizio introdotto dall'Amministrazione con il ricorso principale l'impugnazione 
incidentale tardiva da essi proposta. 

1.2 La censura � fondata. Secondo il pi� recente e ormai consolidato 
orientamento di questa Corte, l'art. 334 c.p.c. (che consente alla parte, 
contro la quale sia stata proposta impugnazione, di esperire impugnazione 
incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine 
ordinario o della propria acquiescenza) � applicabile a qualsiasi capo 
della sentenza impugnata ancorch� autonomo rispetto a quello investito 
!

dalla impugnazione principale. Si � rilevato, infatti, per un verso, che la 
distinzione (sulla quale poggiava il precedente indirizzo, che limitava l'ambito 
di ammissibilit� della impugnazione incidentale) non aveva una 

!

base testuale, posto che nel sistema processuale sono considerate inciden% 
tali tutte le impugnazioni successive alla prima (principale) rivolte con~ 
tro la stessa decisione, intesa come unit� formale contenente una plura~ 


I 
m

lit� .�di capi sulle domande delle parti; e che, per altro verso, essa conf: 


f: 
trasta con una delle finalit� dell'art. 334, che � volto a consentire alla 

parte parzialmente soccombente di accettare la decisione se questa � 

accettata anche dalla controparte (v. per tutte Cass. 24 novembre 1988 

n. 6311). Con specifico riferimento al procedimento davanti alle Commisii 
sioni tributarie, si � poi osservato che, nel sistema di alternativit� preI 
I ~visto dall'art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (secondo cui nessuna 
delle parti pu� adire la corte .d'appello quando sia stato proposto ricorso 
alla commissione tributaria centrale), i ricorsi alla commissione successivi 
al primo, anche se relativi a statuizioni autonome rispetto a quelle 
gi� impugnate, non potrebbero essere dichiarati inammissibili sotto il ' 
profilo della mancata impugnazione di tali statuizioni, posto che contro 

I 

di esse sarebbe astrattamente ancora proponibile l'appello davanti al 
giudice ordinario (cfr. �ass. 29 gennaio 1990 n. 553). 
g dunque, evidente, alla stregua delle considerazioni che precedono, 

I 

che la Commissione tributari� centrale avrebbe dovuto esaminare le 

I 

!

i

(1) In senso conforme Cass. 2 febbraio 1993 n. 1269, in questa Rassegna, 
I

1993, I, 141. Oggi il procedimento sanzionatorio della legge n. 4 del 1929 � rimasto i 
in vigore soltanto per poche imposte minori ed ha subito profonde modificaI 
i
zioni per effetto dell'art. 16 della legge 29 dicembre 1990 n. 408. 


I

I 

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I 

I 



PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

doglianze tardivamente proposte dai contribuenti, anche se autonome 
rispetto alle deduzioni della Amministrazione ricorrente, che attenevano 
alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie. 

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 17 della legge 
7 genn'aio 1929 n..4.. I ricorrenti deducono che la decisione impugnata 
erroneamente ha ritenuto inapplicabile l'art. 17 della legge n. 4 del 1929, 
non consiC�.er�ndo che l'art. 55 del d.P.R. n. 600/1973 si limiterebbe a 
dispor.re l'.nicit� dell'atto di accertamento e di irrogazione delle sanzioni, 
senza prevedere alcuna deroga n� al momento di decorrenza n� al termine 
per la prescrizione delle sanzioni medesime. 
2.1 La censura � infondata. 
Sulla'. questione questa Corte si � gi� pronunciata (Cass. 2 febbraio 
1993 n, 1269), 'stabilendo che le sanzioni pecuniarie previste per le violazioni 
che d�nno luogo ad accertamenti di rettifica o d'ufficio; per il 
disposto degli artt~ 43 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, devono 
essere. i:r:rogate, a pena di decadenza, entro lo stesso termin~ previsto 
per l'~ccer:tamento; � e che � esclusa l'applicabilit� della prescrizione 
quinquennale di cui all'art. 17 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, in quanto 
la nuova regolamentazione della materia dell'accertamento delle imposte 
dirette e delle relative sanzioni contenute nel citato decreto ne ha comportato 
l'abrogazione per incompatibilit�. 

2.2 Questo principio, che il Collegio condivide e che deve essere, 
quindi, ribadito anche con riferimento alla fattispecie in esame, riposa 
essenzialmente sulle seguenti argomentazioni. 
Il divieto di abrogazione e modifiche, sancito nel capoverso dell'art. 1 
della legge del '29 (secondo il quale � le disposizioni della presente 
legge ... non possono essere abrogate o modificate da leggi posteriori 
concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore 
con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate 
�), riguardava le sole leggi posteriori �concernenti i singoli 
tributi � e, pertanto, non era volto ad impedire interventi normativi, 
nella modifica delle leggi in materia, aventi car�ttere di organicit�. 

Con la legge del 9 ottobre 1971, n. 825 (contenente delega al Governo 
per la riforma tributaria) si stabil�, appunto, di provvedere 'alla � unificazione, 
ove possibile, dei termini di prescrizione e di decadenza relativi 
all'accertamento e alla riscossione dei vari tributi� (art. 10, punto 9). 
Questa direttiva fu poi attuata col d.P.R. n. 600 (concernente disposizioni 
comuni in materia di accertamento delle imposte dirette e relative sanzioni), 
che ha previsto lo stesso termine di accertamento e di irrogazione 
delle. s~ioni (y., in particolare, artt. 43 e 55), e stabilito, infine, all'art; 70, 
l'applicabilit� in via residuale della legge del '29, �in materia di accer



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tamento delle violazioni e di sanzi�ni � in � quanto non ... diversamente 
disposto dal presente decreto �. 

L'art. 55 dispone che � per le violazioni che danno luogo ad accertamenti 
in rettifica o d'ufficio l'irrogazione della sanzione � comunicata al 
contribuente con lo stesso avviso di accertamento� (primo comma). Inoltre, 
prevede che � per le violazioni che non danno luogo ad accertamenti 
l'ufficio delle imposte pu� provvedere in qualsiasi momento, con separati 
avvisi da notificare entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a 
quello in cui � avvenuta la violazione� (secondo comma, prima� parte). 

Poich� l'accertamento deve essere notificato, a pena di decadenza, 
entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui � stata 
presentata la dichiarazione (art. 43), � evidente che la pena pecuniaria 
(indipendentemente dall'accertamento) deve essere irrogata mediante 
avviso da notificare entro quella data. E non � concepibile che, prima ed 
indipendentemente da quel termine, si maturi la prescrizione di un diritto, 
il cui esercizio non sarebbe legalmente possibile. 

2,3 Agli enunciati criteri si � sostanzialmente adeguata la decisione 
impugnata, correttamente ritenendo inapplicabile, per effetto della nuova 
regolamentazione contenuta nel richiamato d.P.R. n. 600, l'art. 17 della 
legge del 1929; ed ha statuito, conseguentemente, che gli atti di accertamento, 
essendo stati notificati nei quinquenni decorrenti dal primo di 
ciascuno degli anni successivi a quelli nei quali erano state presentate 
le dichiarazioni, erano tempestivi e che non erano, quindi, prescritte le 
sanzioni pecuniarie irrogate. 

3. In conclusione, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, 
mentre va rigettato il secondo motivo. In relazione alla censura 'accolta 
consegue l'annullamento della decisione resa sul punto. La causa va, pertanto, 
rimessa alla Commissione tributaria centrale perch� esamini e 
decida nel merito il ricorso incidentale della societ� Buonaguidi e dei 
soci. 
CORTE DI� CASSAZIONE, sez. I, 4 giugno 1994 n. 5432 -Pres. Salafia -Est. 
Cicala. P. M. Tondi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cingolo) 

c. Soc. Glaxo. 
Tributi locali � Imposta sull'incremento di valore degli immobili � Spese 
di acquisto -Dichiarazione -Termine -Decadenza. 

(d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, artt. 11 e 18). 
In base all'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, istitutivo della. 
INVIM, le spese di acquisto che incrementano il valore iniziale devono 
essere denunciate al pi� tardi (a pena di decadenza) al momento della 


PARTE l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 

registrazione dell'atto o nel termine stabilito per la deduzione di passivit� 
dell'imposta di successione,� successivamente pu� essere solo presentata 
la documentazione delle spese che siano state tempestivamente dichianate. 
Non vale come dichiarazione della spesa di acquisto una immotivata 
elevazione del prezza di acquisto (1). 

(omissis) Il ricorso con cui la Amministrazione lamenta violazione dell'art. 
18 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, merita accoglimento. 

In base al terzo comma dell'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 
le �spese di cui all'art. 11 (tra cui rientrano le spese di acquisto) se gi� 
non esposte nella dichiarazione prevista dal primo comma del medesimo 
art. 18 debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'Ufficio al momento 
della registrazione dell'atto ovvero nel termine stabilito ai fini 
della deduzione delle passivit� agli effetti dell'imposta successoria, se 
le spese sono afferenti a beni caduti in successione. Di fronte alla esplicita 
dizione della legge che parla di � decadenza � la giurisprudenza ha bens� 
ammesso che il diritto di computare nel valore iniziale del bene immobile 
alienato le spese incrementative non � escluso dalla mancata allegazione 
alla dichiarazione dei documenti dimostrativi, potendo tale documentazione 
essere fornita successivamente al giudice tributario, tna ha dovuto 
riconoscere che la decadenza prevista dall'art. 18 d.P.R. n. 643 del 1972 
scatta ove le spese non siano state neppure indicate nella denuncia (Cass. 
29 novembre 1990, n. 11519). 

N� la indicazione pu� ritenersi implicita nella enunciazione di un 
valore del bene superiore a quello dichiarato nell'atto di acquisto. Dal 
momento che la legge distingue nettamente fra la denuncia del valore 
iniziale e la indicazione delle spese di acquisto sostenute. E la distinzione 
fra valore e spese appare essenziale anche per consentire la verifica 
della amministrazione� tributaria. (omissis) 

(1) Decisione ineccepibile. 
CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 7 giugno 1994 n. 5501 -Pres. Salafia �Est. 
Vignale -P. M. Lupi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Pavone) 
c. Soc. Boehringer (avv. Russo). 

Tributi locali -Imposta locale sui redditi -Redditi fondiari -Tassazione 
separata -Deduzioni di spese e interessi -Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 artt. 34, 51, 52; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, art. 4). 
Per effetto del doppio richiamo dell'art. 4 del d.P.R. n. 599/1973 ai 
redditi determinati ai fini IRPEF o IRPEG e dell'art. 52 del d.P.R. n. 597I 



368 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 


1973 alle norme del titolo secondo, i redditi degli immobili non strumentali 
delle imprese, tassabili separatamente ai fini dell'ILOR, sono. determinati 
in base all'art. 34 secondo gli estimi catastali, s� che da tale reddito 
non possono essere dedotti costi o interessi passivi (1). 

Con il primo motivo cli ricorso, l'Amministrazione delle finanze assume 
che, a norma dell'art. 4, V comma del d.P.R. n. 599 del 1973, ai fini 
dell'ILOR relativa al reddito fondiario degli immobili non strumentali 
all'esercizio dell'impresa, gli interessi passivi e la relativa IVA non sono 
deducibili. 

Con il secondo motivo, premesso che sulla non strumentalit� dei fabbricati 
all'esercizio dell'impresa si form� il giudicato, sostiene che in merito 
a tale questione la Commissione Centrale non avrebbe pi� potuto portare 
il suo esame e comunque ribadisce la tesi della non strumentalit� dei 
beni, a norma degli artt. 40 d.P.R. n. 597 del 1973 e 6 d.P.R. n. 599 del 
1973. 

Il ricorso � fondato. Va, innanzitutto, confermato, in relazione al se. 
condo motivo di ricorso, che la Commissione Tributaria di II grado 
qualific� espr�ssamente gli immobili cli propriet� della societ� contribu� 
ente, come beni non strumentali all'esercizio dell'impresa e che, non avendo 
tale sta.tuizione formato oggetto di impugnazione, la suddetta qualificazione 
non avrebbe potuto comunque essere modificata dalla Commissione 
Tributaria Centrale, la quale, peraltro, nella decisione impugnata, non 
sembra avere inteso riformare quella della Commissione di II grado 
neppure sotto questo aspetto. 

Prima cli esaminare la questione prospettata nell'altro mezzo d'impugnazione, 
appare opportuno delimitare esattamente l'oggetto dell'indagine 
. rimessa a questa Corte. A tale scopo, sul presupposto non pi� 
contestabile, della natura cli � beni non strumentali � all'esercizio dell'inpresa, 
riferibile agli immobili de quibus, il problema � soltanto di accertare 
come deve essere determinata l'ILOR in relazione al reddito fondiario 
prodotto da tali beni. 

Deve rilevarsi, a tal riguardo, che il III comma dell'art. 4 d.P.R. 29 settembre 
1973 n. 599, rinvia, per la determinazione dell'imposta locale sui 
redditi prodotti (come nella specie) da societ� cli capitali, al reddito 
complessivo determinato per l'IRPEG, specificando, poi, al V comma, che 
per i redditi fondiari l'imposta va applicata separatamente. 

(1) Massima cli evidente esattezza. Il reddito catastale di cui all'art. 34 del 
d.P.R. 597/1973 � stabilito tenendo conto, sempre in termini di media, delle spese 
e delle perdite. Non � quindi concepibile una deduzione ulteriore. Per la stessa 
ragione nessuna deduzione � ammessa ai fini IRPEG, come si desume dall'art. 
21 del d.P .R. n. 598/1973 che limita la deducibilit� ai costi inerenti alle 
attivit� commerciali (Cass. 15 luglio 1991 n. 7844, in questa Rassegna, 1991 I, 555). 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 

Parte;ndo da questo dato normativo, bisogna inoltre tener presente 
che, a norma dell'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, ai fini IRPEG, 
per reddito complessivo deve intendersi il reddito d'impresa calcolato a 
norma degli artt. 51 e segg. del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 in materia 
di IRPEF. 

Ebbene, per l'art. 52 del d.P.R. n. 597 del 1973, i redditi degli immobili 
che non costituiscono beni strumentali all'esercizio dell'impresa 
concorrono a formare il reddito della stessa nell'ammontare determinato 
a norma delle disposizioni di cui al precedente tit. Il, ossia, riferendosi 
di regola alla rendita catastale (art. 34). 

Quindi, stante il duplice richiamo alla disciplina relativa ai redditi 
fondiari contenuto nel V comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 599 del 1973 e nell'art. 
52 del d.P.R. n. 597 del 1973, l'ILOR relativa ai redditi prodotti da 
immobili non strumentali all'esercizio di una societ� di capitali va calcolata, 
con i criteri di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 597 del 1973, owero sulla 
base soltanto della rendita catastale indipendentemente dal risultato 
(positivo o negativo) dell'esercizio. Pertanto, deve escludersi, che a tal 
fine, possano essere computati in detrazione gli interessi passivi per 
mutui contratti al fine di acquistare gli immobili stessi. Non rileva, 
infatti, che, in base al I comma di tale norma, il reddito fondiario ritraibile 
da ciascuna unit� immobiliare urbana debba essere calcolato al 
netto delle spese di riparazione e manutenzione e � di ogni altra eventuale 
spesa o perdita �. Si tratta, invece, di un'espressione identica a 
quella usata dal legislatore per indicare i criteri di determinazione della 
rendita catastale delle unit� immobiliari urbane (cfr. art. 7 d.P.R. 29 settembre 
l973 n. 604); un'espressione alla quale, in quest'ultima disposizione, 
� aggiunta l'ulteriore proposizione: � Nessuna detrazione avr� 
luogo per decime, canoni, livelli, interessi passivi, nonch� per oneri tributari 
�. La qual cosa conferma come in quella locuzione possano intendersi 
ricomprese soltanto le spese e le perdite collegate al godimento del bene 
ed idonee ad incidere sulla sua produttivit� effettiva, ma non gli interessi 
passivi, che non costituiscono n� una � spesa � n� una � perdita� e 
rappresentano, invece, il costo del danaro versato dal contribuente per 
l'acquisto dell'immobile. 

In definitiva (e a prescindere da ogni valutazione circa la computabilit�, 
sotto altra voce, degli interessi passivi collegati all'acquisto degli 
immobili ed i limiti dell'eventuale detrazione), rilevato che -ai sensi del 
suddetto art. 4, V comma, del d.P.R. n. 599 del 1973 -l'ILOR per i redditi 
fondiari va applicata separatamente rispetto al calcolo generale dell'imposta 
dovuta dalla societ�, deve concludersi che, per il computo dell'irnposta 
stessa su tali redditi, non bisogna tener conto degli interessi 
passivi relativi a mutui contratti per l'acquisto dei medesimi immobili. 

(omissis) 


370 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 10 giugno 1994 n. 5650 -Pres. Rossi -Est. 
Baldassarre� P. M. Dettori (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato 
Polizzi) c. Granello. 

Tributi erariali diretti � Riscossione -Iscrizione a ruolo provvisoria � Interessi 
� Disciplina anteriore all'art. 5 del d.I. 27 aprile 1990 n. 90 . 
Esclusione. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, artt. 15 e 20; D.L. 27 aprile 1990 n. 90). 
Anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 5, comma 9, del D.L. 27 
aprile 1990 n. 90, l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio regolata dal['
art. 15 del d.P.R. n. 602/1973 non poteva comprendere gli interessi 
maturati (1). 

(omissis) Il Ministero ricorrente, denunciando violazione degli artt. 
14, 15 e 20 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, assume che -posto che 
l'iscrizione a ruolo del tributo a titolo definitivo non � evenienza diversa, 
sotto il profilo della riscossione, dall'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio 
e tenuto conto della natura risarcitoria degli interessi di cui all'art. 20 
-tali interessi sono dovuti anche quando sia violato il diritto dell'Amministrazione 
a riscuotere � subito � l'intera imposta iscritta a ruolo a 
titolo provvisorio ai sensi dell'art. 15. 

Il ricorso non � fondato. 

Va premesso che la fattispecie � disciplinata dall'art. 15 del d.P.R. 
29 settembre 1973, n. 602 nel testo vigente prima dell'entrata in vigore 
delle modifiche di cui all'art. 5, comma 9, D.L. 27 aprile 1990, n. 90, 
convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165. 

E, proprio con riferimento alla normativa originaria questa Corte 
-con il supporto di attenta indagine ermeneutica, che non ha tralasciato 
il dato significativo desumibile dall'intervento riformatore del 
legislatore del 1990 -ha espresso di recente (sent. 21 agosto 1993 n. 8855) 
un principio di diritto, al quale il collegio ritiene di dover fare piena 
adesione. 

Va ribadito, per tanto, che in materia di riscossione delle imposte 
sul reddito, sulle somme riscosse attraverso provvisoria iscrizione nei 
ruoli, disposta in base ad accertamenti d'imponibile non definitivi, ai 
sensi della disposizione di carattere eccezionale di cui all'art. 15 del 

d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (anteriormente alle modifiche introdotte 
dall'art. 5, comma nono, del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella 
(1) In senso conforme Cass. 21 agosto 1993 n. 8855, in questa Rassegna 1993, 
I, 459. Va tuttavia precisato che la disposizione innovativa dell'art. 5 trova applicazione 
per tutti i ruoli formati dopo l'entrata in vigore anche se riferiti 
ad imposte di periodi anteriori (Corte Cost. 3 febbraio 1994 n. 18). 
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 371 

legge 26 giugno 1990, n. 165), non sono dovuti gli interessi previsti dal 
successivo art. 20, che con disposizione di carattere generale prevede 
il pagamento di interessi remuneratori soltanto in caso di ritardato pagamento 
delle � imposte dovute �, cio� di tutte quelle accertate definitivamente. 


Poich� la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di tale 
principio, il ricorso deve essere respinto. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez, I, 16 giugno 1994 n. 5826 -Pres. Corda Est. 
Borr� -P. M. Lo Cascio (diff.) -Ghira (avv. Tinelli) c. Ministero 
delle Finanze (avv. Stato Fiorilli). 

Tributi �erariali diretti � Accertamento � Domicilio fiscale � Incompetenza 
dell'ufficio � Nullit�. 
_(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 9, 10, 38). 

� nullo l'accertamento compiuto da ufficio incompetente, in quanto 
diverso da quello corrispondente al domicilio fiscale del contribuente; 
n� l� elezione di domicilio in luogo diverso pu� valere come istanza 
seguita da tacito consenso a stabilire il domicilio fiscale in luogo di� 
verso (1). 

(omissis) 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e 
falsa applicazione degli artt. 9, 10, 29, 33, 38, primo comma, lett. d), 
d.P;R. 29 gennaio 1958 n. 645, nonch� insufficiente e contraddittoria 
motivazione su punto decisivo della controversia. Egli sostiene la asso


(1) La nullit� dell'accertamento proveniente da ufficio incompetente � 
costantemente affermata (Cass. 9 dicembre 1983 n. 7301, in questa Rassegna 
1984, I, 334). !!. anche corretta l'affermazione che la mera elezione di domicilio 
non pu� valere come motivata istanza e il comportamento dell'ufficio come 
tacito consenso a stabilire il domicilio fiscale in luogo diverso dal comune di 
domicilio fiscale (art. 59 d.P.R. n. 600/1973, conforme alla normativa del T.u. 
del 1958). Tuttavia non pare 1corretto annullare il valore della dichiarazione: 
le indicazioni contenute nella dichiarazione, anche se inesatte e non corrispon� 
denti ,alla realt� sono vincolanti per il dichiarante ed esonerano l'ufficio dal 
dovere di verificare e dimostrare la veridicit� del dichiarato (art. 38, terzo 
comma, d.P .R. n. 600) e ci� in particolare per quelle affermazioni di carattere 
irtfortnat�vo. Si va addirittura diffondendo l'uso di abilitare il dichiarante alla 
autocertificazione (ad es. art. 30, comma 3, d. lgs. 31 ottobre 1990 n. 346). Pertanto 
se l'ufficio trova nella dichiarazione l'indicazione di un d�micilio (che 
non sempre si rivela come domicilio eletto diverso dal domicilio fiscale) e 
presume che in quel luogo si trovi il domicilio fiscale, non pu� andare incontro 
a drastiche censure di nullit� anche in applicazione del principio dell'art. 
157, terzo comma, c.p.c. 

372 RASSEGNA AVVOCATURA DEllO STATO .. 

Iuta ed insanabile nullit� degli avvisi di accertamento in quanto posti 
in essere dall'Ufficio delle imposte �di Roma territorialmente � incompetente. 
La competenza territoriale spettava, infatti, secondo il ricorrente, 
all'Uffido delle imposte di Trieste, citt� ove egli aveva la residenza anagrafica 
e quindi, per legge, il domicilio fiscale. N� poteva riconoscersi 
alla "indicazione del domicilio in Roma, fatta nella dichiarazione dei 
redditi, una implicita manifestazione di volont� diretta ad ottenere lo 
stabilimento del domicilio fiscale nella capitale, cos� come non era ravvisabile, 
negli accertamenti compiuti dall'ufficio romano, l'implicita accettazione 
dell'intento del contribuente, a siffatta ricostruzione .ostando le 
nor.me s�pra richiamate. 

Il motivo � fondato. 

Secondo l'art. 9 del T.u. 645/1958, applicabile nella specie, �i cattadini 
italiani hanno i.I domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritti
�. La dichiarazione dei redditi � presentata all'Ufficio distrettuale delle 
imposte dirette nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale 
del soggetto (art. 29). La competenza dell'ufficio tributario, cos� individuata, 
ha carattere funzionale ed inderogabile, sicch� l'accertamento, 
compiuto da ufficio incompetente, � viziato da nullit� assoluta, rilevabile 
anche di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento (Cass. 
4277/1980, 2646/1984, 2998/1987, 8017/1992); n� la attivit� compiuta dall'ufficio 
incompetente vale ad impedire la decadenza dal potere di accertamento 
(Cass. 6492 e 3596 del 1980). 

Ci� premesso, ritiene questa Corte che la Commissione tributaria 

centrale non abbia fatto corretta applicazione dell'art. 10 del citato 

testo unico, opinando che il Ghira, non avente residenza anagrafica in 

Roma, avesse tuttavia manifestato con comportamento concludente (ele


zione di domicilio contenuta nella dichiarazione dei redditi) la volont� 

che il suo domicilio fiscale fosse stabilito in tale citt�, e che l'Amministra


zione finanziaria avesse a sua volta espresso in modo concludente (at


traverso la compiuta rettifica dei redditi) la volont� di aderire all'istan


za del contribuente, stabilendo il di lui domicilio fiscale nella localit� 

desiderata. 

In realt� il citato art. 10 prevede, da un lato, una � motivata istan


za � del contribuente a che il domicilio fiscale sia stabilito in luogo di


verso dalla residenza anagrafica; dall'altro, un provvedimento dell'Inten


dente di finanza o del Ministro delle finanze, che accolga tale istanza 

e stabilisca il domicilio fiscale in un diverso comune. La lettera e la 

logica della norma costituiscono, a parere del Collegio, insuperabile osta


colo all'ipotesi interpretativa della Commissione tributaria centrale: 

il carattere motivato dell'istanza sembra escludere la possibilit� che essa 

sia � tacita �, e, soprattutto, non sembra potersi prescindere; dal lato 



PARTE I, SEZ. V, GlURISPRUDENZA TRIBUTA.'{IA 373 

della pubblica amministrazione,� da un provvedimento formale, trattandosi 
'di disposizione �in deroga�, costitutiva di una nuova e diversa 
situazione giitridica� che incide anche, di riflesso, sulla competenza dell'ufficio 
e quindi stilla validit� dell'accertamento. Va poi aggiunto che 
la competenza al compimento dell'atto attributivo del diverso domicilio 
spetta all'Intendente di finanza o al Ministro (evidentemente a seconda 
che il mutamento di comune rimanga o non entro l'ambito provinciale), 
mentre il comportamento, concludente, che nella specie dovrebbe tener 
luogo del �provvedimento formale, � fatto consistere nella rettifica dei 
redditi e perci� proviene non dalle predette aatorit�, ma dall'Ufficio 
distretttiale delle imposte. 

La decisione impugnata non pu� dunque essere condivisa laddove 
ritiene che la situazione sopra descritta sia giuridicamente ricostruibile 
come determinazione di un d01nicilio fiscale diverso dalla residenza 
anagrafica e che per questa via possa essere esclusa la incompetenza dell'Ufficio 
che ha proceduto all'accertamento, con le conseguenze che a 
tale incompetenza si collegano secondo la giurisprudenza sopra richiamata. 


La esclusione della correttezza giuridica di tale assunto della Commissione 
tributaria centrale rileva anche sotto un ulteriore profilo. Poich� 
a norma dell'art. 38, lett. d), del testo unico, la �facolt� del contribuente 
di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio � � esercitabile 
con riferimento al � comune del proprio domicilio fiscale �, ne 
deriva che la notificazione degli avvisi di accertamento eseguita in 
Roma presso il prof. Permutti non era idonea a far decorrere il termine 
per l'impugnazione, non potendo la citt� di Roma considerarsi, alla luce 
delle considerazioni sopra svolte, domicilio fiscale del Ghira. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 giugno 1994 n. 6104 -Pres. Rossi Est.. 
Graziadei -P. M. Di Salvo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. 
Stato De Stefano) c. Soc. Maglificio Fiora. 

Tributi in genere -Contenzioso tributarlo -Giudizio di rinvio dopo la 

cassazione � Produzione in copia autentica della sentenza di cassa


zione � Difetto � Inammissibilit�. 

(c.p.c. art. 394; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 36). 
Il giudizio di rinvio dopo la pronuncia di cassazione � regolato non 
dal d.P.R. n. 63611972 ma dal codice procedura civile, s� che trova ap




374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

plicazione l'art. 394 il quale dispone che in ogni caso deve essere prodotta 
copia autentica della sentenza di Cassazione; in mancanza l'atto 
di riassunzione � improcedibile, n� pu� ritenersi che il giudice abbia il 
dovere di rivolgere alle parti un invito a provvedere perch�, a norma 
:dell'art. 36 del d.P.R. n. 636/J972, innanzi alla Commissione centrale i 
documenti vanno esibiti unitamente al ricorso (1). 

(omissis) Il ricorso � infondato. 

Il giudizio di rinvio davanti alla Commissione centrale, al pari del 
giudizio di cassazione su ricorso contro le pronunce della Commissione 
medesima (v., da ultimo, Cass. S.U. n. 669 del 20 gennaio 1992), non � 
regolamentato dalla disciplina del contenzioso tributario di cui al d.P.R. 
26 ottobre 1972 n. 636 (e successive modificazioni), di modo che � soggetto 
all'art. 394 cod. proc. civ., e, quindi, anche al primo comma di esso, 
il quale stabilisce che � in ogni caso deve essere prodotta copia autentica 
della sentenza di cassazione �. 

La mancanza di tale copia, in quanto non allegata dalla parte istante, 

n� altrimenti acquisita (come pacificamente nella concreta vicenda), non 

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pu� non tradursi nella improcedibilit� dell'atto di riassunzione. 
Questo effetto non abbisogna di una norma che esplicitamente lo 

I

contempli, atteso che non si correla ad ipotesi di nullit� o decadenza, n� 
esprime mera sanzione per l'inattivit� dei contendenti, ma integra neces


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sario riflesso del difetto del presupposto indispensabile per la insorfil 
genza del potere-dovere del giudice di rinvio di sostituire la pronuncia ~ 


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annullata, nei limiti ed in conformit� dei principi enunciati dalla sen~ 
tenza di cassazione, vale a dire la conoscibilit� della sentenza stessa. 


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Resta da vedere se detta improcedibilit� sia da dichiararsi sulla 

scorta del solo riscontro della mancata produzione di quella sentenza, 

ovvero esiga preventivamente un tentativo di ovviare all'omissione, con 

relativo invito della parte interessata ed assegnazione di un termine. 

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La seconda delle riportate alternative, ancorch� in ipotesi praticabile 
nelle cause non tributarie (come ritenuto da Cass. n. 1180 del 


I

14 maggio 1963), non pu� trovare ingresso nel giudizio di rinvio davanti 

alla Commissione centrale, perch� in questo, in base al richiamo dell'arti


colo 394, primo comma, cod. proc. civ., alle norme stabilite per il procedi


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mento davanti al giudice �ad quem �,trova applicazione l'art. 36 del citato 

d.P.R. n. 636 del 1972, che esige la contenstualit� delle allegazioni documentali 
rispetto all'atto d'impulso processuale davanti alla Comrnis-
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(1) Decisione esatta. i
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PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 

sione centrale, e relega a facolt� discrezionale della Commissione stessa, 
non quindi ad obbligo condizionante la decisione, l'eventuale sollecitazione 
delle parti ad emendare precorse omissioni. (omissis) 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 giugno 1994 n. 6105 -Pres. Rossi -Est. 
Graziadei -P. M. Di Salvo (conf.) -Liverani c. Ministero delle Finanze 
(avv. Stato De Stefano). 

Tributi erariali diretti � Sanzioni � Societ� di persone � Dichiarazione 
infedele della societ� � Responsabilit� del socio. 

(d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 5; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 40 e 46). 
Il socio di societ� di persone che non abbia dichiarato a fini IRPEF 
il reddito societario nella misura risultante dalla rettifica operata nei 
confronti della societ�, � soggetto alla pena pecuniaria per infedelt� della 
propria dichiarazione (1). 

(omissis) Con il terzo motivo del ricorso si ripropone l'affermazione 
della inapplicabilit� al socio della sanzione per dichiarazione infedele, in 
presenza di rettifica ascrivibile esclusivamente all'erronea denuncia della 
societ�, e, quindi, al fatto altrui. 

Il motivo � infondato. 

In adesione a quanto ritenuto dalle Sezioni unite di questa Corte 
con la sentenza n. 125 dell'8 gennaio 1993, si rileva che il socio di societ� 
di persone, il quale non abbia dichiarato ai fini dell'IRPEF, per la parte 
di sua pertinenza, il reddito societario, nella misura risultante dalla rettifica 
operata dall'Amministrazione finanziaria nei confronti della societ� 
stessa ai fini dell'ILOR, � soggetto alla pena pecuniaria per l'infedelt� 
della propria denuncia, ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. n. 600 del 1973; 
il principio deriva dal fatto che la societ� di persone non � soggetto 
passivo dell'IRPEF, mentre i suoi utili, per tale imposta, configurano 
in via diretta reddito imponibile del socio, sulla scorta di presuntiva 
percezione dei medesimi in proporzione della quota di partecipazione, e 
che, inoltre, l'irrogabilit� di quella pena esige soltanto la volontariet� 
del comportamento sanzionato, indipendentemente dalla dolosit� o colposit� 
della non rispondenza del reddito dichiarato rispetto a quello 
effettivamente percepito o da presumersi percepito. (omissis) 

� (1) Viene confermata l'ineccepibile statuizione di Cass. 8 gennaio 1993 n. 125, 
in questa Rassegna, 1993, I, 117. Sull'argomento v. BAFILE, Alcune osservazioni 
sulla pluralit� soggettiva e sulla societ� di persone, in Riv. dir. trib., 1993, II, 340. 

14 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO

376 

CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 giugno 1994 n. 6106 -Pres. Corda -Est. 

Proto -P. M. Di Salvo (diff.) -Soc. Abbondio (avv. Pontecorvo) c. 

Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano). 

Tributi in genere -Sanzioni -Amministratore di persona giuridica � 
Responsabilit� dell'ente amministrato � Condizioni. 

(I. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 12). 
In relazione ad un comportamento illecito dell'amministratore di 
una persona giuridica non pu� affermarsi in assoluto la responsabilit� 
solidale dell'ente a norma dell'art. 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4; 
tuttavia se non pu� escludersi che in ipotesi particolari possa invocarsi 
la interruzione del rapporto di rappresentanza, � da considerare che i 
rischi di un determinato comportamento dannoso ricadono normalmente 
sul patrimonio che beneficia dell'attivit� realizzata (1). 

(omissis) Con l'unico motivo del ricorso si denuncia violazione e 
falsa applicazione dell'art. 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, anche in 
relazione all'art. 58 (comma quarto) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, e 
vizi di motivazione. La ricorrente, mentre riconosce la responsabilit� 
solidale della societ� per il pagamento delle pene pecuniarie irrogate 
dall'Amministrazione, deduce che erroneamente e con motivazione illogica 
e contraddittoria la decisione impugnata ha esteso tale responsabilit� 
al pagamento dei tributi indebitamente rimborsati, in quanto essa dovrebbe 
gravare esclusivamente e personalmente sull'Agostoni, autore della 
violazione (gi� condannato per una serie di reati commessi con alcuni 
funzionari dell'ufficio iva di Milano), per avere egli agito del tutto al di 
fuori delle proprie attribuzioni di amministratore. 

2. Il motivo � fondato. 
Il problema che la censura prospetta � se e in quali limiti, tenendo 
conto delle evenienze del caso concreto, sia riferibile alla societ� persona 
giuridica il comportamento dell'amministratore. La Commissione tributaria 
centrale l'ha risolto in senso positivo, osservando che -mentre 
per il diritto civile la consumazione di un reato da parte dell'amministratore 
che abbia dolosamente agito per i suoi fini personali spezza il nesso 
dell'immedesimazione organica con l'ente ed il fatto illecito �, dunque, a lui 
imputabile direttamente -nei rapporti tributari la responsabilit� solidale 
dell'ente per il fatto compiuto dal suo sottoposto, si configura indipendentemente 
dall'atteggiamento doloso o colposo di questi e dai fini dallo 

(1) Decisione importante che, rifacendosi ai principi di diritto comune 
supera la mai dimostrata affermazione (Cass. 27 marzo 1984 n. 2018, in questa 
Rassegna, 1984, I, 539) che delle sanzioni risponde soltanto l'ente con personalit� 
giuridica. 

PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 377 

stesso perseguiti. Basandosi sul disposto dell'art. 12 della legge 7 gennaio 
1929 n. 4, la decisione impugnata ha, dunque, stabilito che la societ� 
� Abbondio � era tenuta a rispondere di tutte le violazioni inerenti a 
rapporti di diritto tributario comunque commesse dal suo amministratore; 
ed ha respinto, �per quanto di ragione�, il ricorso. 

Queste statuizioni e le argomentazioni che le sorreggono non possono 
essere condivise, per le considerazioni che seguono. 

La Commissione, per un verso, ha basato la soluzione della questione 
sull'art. 12 della legge del 1929 (contenente norme generali per la repressione 
delle violazioni delle leggi finanziarie), che prevede l'obbligo �in 
solido� dell'ente con l'autore della violazione per il pagamento �della 
pena pecuniaria o della sopratassa � -che, per altro, non pi� in discussione 
tra le parti -ma non contempla una responsabilit� solidale (o 
non) per le violazioni del regime che regola l'imposta sul valore aggiunto. 
Per altro verso, non ha chiarito (n�, tanto meno, qualificato) i fatti che 
sarebbero stati commessi dall'Agostoni e imputati, per la qualifica da lui 
rivestita, alla societ�; qualificazione indispensabile per la soluzione della 
questione in relazione alla fattispecie concreta. Infatti, mentre non c'� 
ragione di escludere che anche nei rapporti tributari (come in altri settori 
dell'ordinamento), in ipotesi particolari, possa essere invocata la 
verificatasi interruzione del rapporto di rappresentanza, per sottrarsi 
alle conseguenze dell'operato del proprio organo rappresentante; � da 
considerare, tuttavia, che i rischi connessi ad un determinato comportamento 
dannoso ricadono, normalmente, sul patrimonio che beneficia dell'attivit� 
realizzata, e non sarebbe, quindi, sufficiente far valere nei confronti 
dell'ente impositore l'abuso di potere commesso dall'amministratore, 
per eludere obblighi direttamente riferibili alla societ�. (omissis) 



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PARTE SECONDA 



QUESTIONI 


� SUPERATO IL PRINCIPIO DELLA GIURISDIZIONE CONDIZIONATA NEL 
PROCESSO TRIBUTARIO? 

1. Con la sentenza n. 406/1993, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo 
l'art. 33, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642 (disciplina della 
imposta�sul bollo) nella parte in cui non prevede, in materia di rimborso dell'imposta, 
la esperibilit� della azione giudiziaria anche in mancanza di preventivo 
ricorso amministrativo. Con la successiva sentenza n. 360/1994 � stata 
dichiarata l'illegittimit� degli artt. 38 e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 640 
(disciplina della imposta sugli spettacoli) in quanto non prevedono l'esperimento 
della azione giudiziaria anche in mancanza di un ricorso amministrativo 
ed impongono una decadenza in conseguenza della omissione del ricorso amministrativo. 
Un orientamento decisamente avverso ai ricorsi amministrativi pregiudiziali 
alla azione giurisdizionale� era stato recentemente manifestato con la sentenza 
40/1993 nella diversa materia del contratto di trasporto sulle Ferrovie 
dello Stato. Nel solco di questa tendenza si colloca la motivazione delle due 
sentenze che, richiamando precedenti di varia natura, hanno deciso la questione 
senza affatto considerare il principio specifico della giurisdizione condizionata 
nel processo tributario. 

Da sempre la giurisdizione in materia di tributi, sia del giudice ordinario 
che del giudice speciale, � concordemente ritenuta condizionata alla preesistenza 
di un provvedimento amministrativo che accerta il rapporto di imposta (o un suo 
separabile elemento); il processo segue il provvedimento amministrativo, al 
quale � cronologicamente collegato con un termine di decadenza, che delimita 
l'oggetto della controversia (1). � infatti riservata alla Amministrazione finanziaria 
la prima pronuncia sulla esistenza e sulla misura della obbligazione; e 
il giudice, al quale compete la verifica della fondatezza della pretesa dell'ufficio, 
non pu� eseguire l'accertamento; per questa ragione sono improponibili 
innanzi al giudice le azioni preventive di mero accertamento (da ultimo Cass. 
27 maggio 1994 n. 5237). La regola vale anche per le domande di rimborso di 
imposte pagate senza la presenza di un atto dell'ufficio; prima di proporre la 
domanda giurisdizionale � necessario provocare un provvedimento con la domanda 
di rimborso; ove l'ufficio non provveda si assume il silenzio protratto 
per un tempo determinato come fatto che, con una finzione, realizza la condizione 
della giurisdizione (2). 

Sul piano normativo � sempre stato esplicitamente riaffermato detto principio 
sia nella legislazione remota (Reg. 22 maggio 1910 n. 316 e DL. 7 agosto 1936 

n. 1639), sia nella legislazione della riforma: per le imposte soggette alla giurisdizione 
delle commissioni sia l'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, 
sia gli artt. 19 e 21 del D.Lgt. 31 dicembre 1992 n. 546 stabiliscono in modo 
chiarissimo che il ricorso alla commissione deve seguire un atto dell'ufficio 
o il silenzio; per le imposte soggette alla giurisdizione ordinaria ancor pi� 
rigorosa � la necessit� di un pregiudiziale ricorso amministrativo gerarchico 
(1) V. per tutti: Russo, Manuale di diritto tributario, Milano 1994, 481; FANTOZZI,
Diritto tributario, Torino 1991, 541. 

(2) BAFILE, Sui procedimenti (amministrativi e giurisdizionali) di rimborso delle 
imposte, in Rass. trib., 1990, I, 1 ss. 

14 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 


(all'intendente di finanza) non solo nel caso del rimborso, che deve sollecitare 
l'emanazione di un atto non ancora esistente, ma anche in ogni altro caso in 
cui l'atto esiste gi�; cos� � stabilito oltre che nell'art. 33 del d.P.R. 642/1972 
e nell'art. 38 del d.P.R. 640/1972, negli altri coevi decreti della riforma (n. 638 
sui tributi comunali; n. 639 sull'imposta sulla pubblicit�; n. 641 sulle concessioni 
governative) e in altre leggi successive (art. 3 legge 24 gennaio 1978 

n. 27 sulle tasse automobilistiche; art. 16 legge 29 dicembre 1990 n. 408 che ha 
concentrato sull'ufficio del registro le competenze per l'accertamento delle 
violazioni e l'irrogazione delle sanzioni nelle imposte, diverse da quelle doganali, 
non soggette alla giurisdizione delle commissioni (3). 
A questo solido e stagionato costrutto � stato dato un serio colpo. 

2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 406 giunge inaspettata per 
varie 
ragioni, oltre che per aver ignorato la problematica specifica tributaria. 
Nel valutare se la tutela giurisdizionale regolata dall'art. 33 del d.P.R. 

n. 642 fosse � eccessivamente difficoltosa �, la sentenza non considera affatto 
il silenzio che, aprendo la via all'azione giudiziaria, concilia i vantaggi del 
ricorso amministrativo con l'esigenza di una tempestiva tutela giurisdizionale; 
l'art. 33, ritenuto illegittimo, stabilisce che l'azione giudiziaria pu� essere promossa 
qualora dalla data della presentazione del ricorso siano decorsi 180 
giorni, anche prima della notificazione della decisione amministrativa. 
:t! poi singolare che la dichiarazione di illegitttimit� sia stata circoscritta 
alle controversie � in materia di rimborsi � ed anzi individuando proprio in 
tali controversie la ragione della illegittimit�. Al contrario se pu� apparire 
sovrabbondante la necessit� del preliminare ricorso amministrativo quando 
esiste un atto di accertamento, l'istanza amministrativa appare ineliminabile 
nel rimborso di imposta pagata in mancanza di accertamento per evitare che 
la controversia arrivi vergine innanzi al giudice che dovr� eseguire per primo 
l'accertamento. 

Resta infine una profonda differenza di disciplina rispetto al contenzioso 
speciale della commissione che la stessa Corte Costituzionale ha lucidamente 
tratteggiato (sentenze 215/1976; 63/1982; 313/1985), in parallelo con la Corte di 
Cassazione, come processo contro un atto (o il silenzio) nel quale sono esclu� 0 
se le azioni di mero accertamento (sentenza n. 94/1991 e ordinanze n. 305/1985; 
545/1987; 871/1988; 322/1992). Sicuramente in questo settore la regola della giurisdizione 
condizionata, tanto saldamente ribadita dalla giurisprudenza della 
Corte di Cassazione (da ultimo 5 novembre 1993 11. 10990) resta ferma. Al con~ 
trarlo la breccia provocata dalla sentenza n. 406 pu� allargarsi verso le norme 
similari delle altre imposte soggette alla giurisdizione ordinaria. Ed infatti la 
Corte con la sent. n. 56/1995 ha dichiarato illegittimo l'art. 12 del d.P.R. n. 641/1972 
sull'imposta sulle concessioni gov�rnative. 

La -sentenza n, 360, oltre a ripetere le considerazioni della precedente, rileva 
che la norma censurata non solo subordina la tutela giurisdizionale (sia1 
di impugnazione dell'accertamento. che di domanda di rimborso) al previo 
esperimento di ricorso amministrativo, ma statuisce la decadenza dalla azione 
giudiziaria ove non si sia agito in via amministrativa nei termini prescritti, 
s� che la .tutela giurisdizionale sarebbe non solo condizionata ma addirittura 
esclusa, il che � ingiustificato e c;ontrario alle regole che dominano il contenzioso 
tributario delle commissioni..Non .tutte le proposizioni della sentenza 
possono essere condivise: �il rimborso richiede naturatmente un provvedimento 

o il silenzio, come � nel sistema del contenzioso delle commissioni; la decadenza 
(triennale) dell'art. 40 � stabilita per il diritto al rimborso in qualunque sede, 
(3) BAFILE, Introduzione al diritto tributario, Padova 1978, 233 e 245. 

PARTE II, QUESTIONI 

come � previsto in tutte le leggi di imposta, vi sia o meno necessit� di preventivo 
ricorso amministrativo; lo stesso � a dirsi per il termine breve per il ricorso 
contro l'accertamento che � stabilito per ogni specie di impugnazione. La decadenza 
opera di per s� e non � la conseguenza della previsione del ricorso amministrativo. 


3. � interessante, comunque, precisare l'effetto prodotto dalle due sentenze 
e riordinare la normativa che sopravvive alla dichiarazione di illegittimit�. 
� stato osservato (4) che a seguito della dichiarata illegittimit� dell'art. 
33 del d.P.R. n. 642, l'esercizio della azione di rimborso in materia di 
imposta di bollo � ora subordinato soltanto � alla tempestiva presentazione 
della relativa istanza di restituzione nei termini e nei modi previsti dall'art. 37 
del d.P.R. n. 642/1972 �. In verit� a questa affermazione offre un aggancio la 
sentenza n. 406 quando dice � inoltre, vertendosi in materia di rimborsi su 
accertamenti documentali, una volta che questi sono stati compiuti con esito 
negativo, non si profilano esigenze che possano giustificare il differimento della 
esperibilit� della azione giudiziaria �. Sembrerebbe dunque che si presuppone 
l'esistenza di un provvedimento amministrativo provocato da una istanza 
che sarebbe pur sempre necessariamente pregiudiziale alla domanda giudiziaria. 
Una tale ricostruzione, che in definitiva si concilierebbe con il principio della 
giurisdizione condizionata e svuoterebbe di contenuto la sentenza della Corte, 
non pare per� sostenibile. II ricorso amministrativo all'intendente di finanza 
che introduce la controversia disciplinata dal primo comma dell'art. 33 �, 
per l'appunto, la domanda di rimborso che � il mezzo con il .quale naturalmente 
nasce la controversia quando non esiste un provvedimento dell'ufficio. Come 
pi� chiaramente si esprimeva il Reg. 22 maggio 1910 n. 316, che � il modello 
di riferimento delle norme sul contenzioso dei d.P.R. del. 1972, il ricorso all'intendente 
pu� configurarsi come opposizione ad una pretesa gi� manifestata o 
come domanda di rimborso; nell'uno e nell'altro caso emerge la medesima 
materia del contendere (5). Ed infatti nel sistema normativo dei d.P.R. del 
1972 (come del resto, per le imposte dirette, nell'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973)1 
non si trova traccia di una istanza di rimborso distinta e anteriore al ricorso 
gerarchico all'intendente; � previsto solo il ricorso all'intendente per chiedere 
il rimborso. 

Si dovrebbe quindi ritenere che la pronuncia di incostituzionalit� contenuta 
nella sentenza n. 406 sia da intendere nel senso che il rimborso possa esserei 
domandato direttamente con citazione innanzi al tribunale eliminando ogni 
preliminare amministrativo. 

L'affermazione, che risulta pi� chiara dalla sentenza 360, pur di grande 
rilievo sui principi, � �di modesta rilevanza pratica: in base alle norme censurate 
il ricorso all'intendente di finanza era necessariamente preliminare alla 
azione ordinaria che tuttavia poteva essere proposta dopo il decorso di 180 
giorni dalla presentazione del ricorso; oggi sembrerebbe proponibile la azione 
diretta. l'innovazione non � di grande momento. 

4. La normativa che residua alla dichiarazione di illegittimit� deve essere 
ricomposta. 
II ricorso amministrativo concepito come filtro alle controversie giudiziarie 
e , come mezzo di tutela �non costoso; specie per imposte prevalentemente di 
modico valore, � una istituzione civile meritevole di apprezzamento; ed infatti 

(4) Russo, 011. cit., 483. 
(5) La stessa parificazione si ritrova nell'art. 141 della legge del registro del 1923 che 
per decenni � stato norma cardine del contenzioso. 

16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

quel che la Corte ha ritenuto illegittimo � non il ricorso in s� ma la sua 
pregiudizialit� alla domanda giudiziaria. Sopravvive quindi il ricorso amministrativo 
come facolt� che pu� essere tuttavia in qualsiasi momento ripudiata 
dopo il decorso di 180 giorni; e se sono previsti termini di decadenza il 
ricorso amministrativo ne impedisce il compimento lasciando salva la successiva 
proposizione della domanda giudiziaria. 

Un problema si presenta sulla sopravvivenza della decadenza rispetto alla 
domanda giurisdizionale. La sentenza n. 406 non affronta il problema e sembrerebbe 
far salvo l'art. 37 del d.P.R. n. 642 che stabilisce la decadenza per 
l'azione di rimborso (e parallelamente la decadenza della Amministrazione per 
procedere all'accertamento delle violazioni). La sentenza 360 dichiara invece 
illegittimo l'art. 40 del d.P.R. n. 640 che prevede analoga decadenza, ma riferisce 
l'illegittimit� al fatto che la pregiudizialit� del ricorso amministrativo soggetto 
a decadenza escluderebbe la tutela giurisdizionale; sarebbe cio� illegittima 
la decadenza conseguente alla mancata proposizione (nel termine) del ricorso 
amministrativo. Non � invece esplicitamente interessato dalla dichiarazione di 
illegittimit� l'altro termine breve di 60 giorni previsto nell'art. 38 per il ricorso 
contro l'accertamento. 

Ora non sembra ammissibile che il termine (pi� lungo) per la domanda 
di rimborso sia da ritenere caducato mentre resta fermo lo stesso termine 
posto a carico della Amministrazione; ancor meno � pensabile che il ricorso con� 
tro l'accertamento (sempre soggetto ad un termine breve di decadenza) sia 
proponibile nei limiti della prescrizione ordinaria. 

Si deve pertanto ritenere che la decadenza, sia quella breve per l'impugna� 
zione dell'accertamento (quando � prevista) sia quella pi� lunga per la domanda 
di rimborso (che � sempre prevista) restino operanti rispetto alla azione ordinaria 
che sia direttamente proposta. 

5. Quanto gi� affermato per l'imposta di bollo, l'imposta sugli spettacoli e 
l'imposta sulle concessioni governative verr� presumibilmente esteso alle altre 
imposte soggette alla giurisdizione ordinaria, sia quelle disciplinate in modo 
analogo dai coevi d.P.R. n. 639 (sulla pubblicit�) e n. 638 (sui tributi comunali), 
sia altre quali le tasse automobilistiche (art. 13 legge 24 gennaio 1978 n. 27) 
e le rimanenti imposte non soggette alla giurisdizione delle commissioni 
considerate nell'art. 16 della legge 29 dicembre 1990 n. 408. Anche per queste 
imposte, se le norme sul procedimento passeranno sotto la censura della Corte, 
dovr� restare ferma l'esperibilit� del ricorso amministrativo facoltativo e 
l'operativit� della decadenza. 
6. Si pone per� il problema se le norme di cui si � ragionato siano ancora 
in �vigore. Si sostiene infatti (6) che l'art. 16 della legge n. 408/1990 avrebbe 
abrogato tutte le norme relative ai procedimenti contenute nelle leggi, di cui 
si � trattato, concernenti le imposte non soggette alla giurisdizione delle 
commissioni; � stato tuttavia osservato (7) che il nuovo procedimento dell'art. 
16 non � utilizzabile per i rimborsi per i quali dovrebbero continuare ad 
applicarsi le norme originarie. 
Questo costrutto alquanto contorto non pare corretto. 

L'art. 16 della legge n. 408 trasferisce agli uffici del registro � l'accertamento 
delle violazioni e l'irrogazione delle soprattasse '" cio� quei poteri che l'art. 
55 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 attribuisce all'intendente di finanza; trattasi 

(6) Russo, op. cit., 480; FANTOZZI, op. cit., 542; PREGNI, In tema di riscossione coattiva 
delle tasse automobilistiche e competenza giurisdizionale nel ricorso contro il ruolo, in 

Riv. dir. trib. 1994, II, 443. 

(7) Russo, op. loc. cit. 

PARTE II, QUESTIONI 

quindi di quell'accertamento repressivo successivo che � riferito ad una pluralit� 
di violazioni commesse in un determinato periodo; questo tipo di accertamento 
sanzionatorio, particolarmente utilizzato per i tributi senza accertamento, 
era gi� previsto in tutte le leggi di imposta esaminate le quali richiamano la 
legge n. 4 del 1929. Ma ci� non esclude che sia per i ricorsi contro l'accerta~ 
mento ordinario, sia per le domande di rimborso, cio� per i singoli rapporti 
di imposta che hanno seguito l'andamento normale, debbano trovare applicazione 
le norme sui ricorsi amministrativi che restano in vigore (la sentenza 

n. 406 non ha dichiarato illegittima una norma abrogata) a disciplinare ipotesi 
diverse da quelle cui si riferisce l'art. 16. Per questo, come si � visto, quando 
esiste. un accertamento il ricorso va proposto nel termine breve di decadenza 
prima e indipendentemente dalla iscrizione a ruolo. 
Una abrogazione espressa degli artt. 19 e 20 del d.P.R. n. 638/1972 e del 
l'art. 24 del d.P.R. 639/1972 � contenuta nell'art. 71 del D.Lgt. n. 546/1992 sul 
nuovo contenzioso in conseguenza della attrazione di queste imposte nella 
giurisdizione delle nuove commissioni; ma la norma di abrogazione avr� 
effetto soltanto dall'insediamento delle nuove commissioni (art. 80). Altra 
abrogazione espressa si trova nell'art. 37 del D.Lgt. 15 novembre 1993 n. 507 
per l'imposta sulla pubblicit�, ma anche questa norma bench� in vigore dal 
1� gennaio 1994 � concepita sul presupposto dell'entrata in funzione del nuovo 
contenzioso come si evince dagli artt. 75 e 76. Non risultano invece abrogate 
le norme procedimentali dei d.P.R. nn. 640, 641 e 642/1972 e della legge n. 27/1978. 

Si pu� quindi conclusivamente affermare che tutte le norme sui procedimenti 
delle varie imposte minori non soggette alla giurisdizione delle commissioni 
restano in vigore con la sola innovazione che il ricorso amministrativo 
previsto come necessario � ora facoltativo. , 

7. Le regole dei procedimenti di queste particolari imposte, secondo una linea 
giurisprudenziale, sono tuttavia meno resistenti di quelle delle grandi 
imposte: competenze, termini e forme dei procedimenti tributari vengono disinvoltamente 
accantonate con il qualificare le domande di rimborso una azione 
di indebito oggettivo proponibile innanzi al giudice ordinario competente 
per valore nei limiti della prescrizione ordinaria; a fondamento di questa conclusione 
si invoca l'inesistenza di potest� impositiva in capo alla Amministrazione 
(Cass. 15 ottobre 1992 n. 11266). Singolarmente per� nelle imposte maggiori, 
che sono quelle soggette alla giurisdizione delle commissioni, la giurisprudenza 
ha sempre affermato (da ultimo Cass. 23 maggio 1993 n. 5861) che l'indebito 
oggettivo � configurabile soltanto quando il potere impositivo non sia 
previsto in astratto nei confronti della generalit� dei cittadini, s� che non � 
a parlare di indebito oggettivo quando l'Amministrazione assuma, fondatamente 
o meno, come realizzate le previsioni normative e quindi pretenda una prestazione 
a titolo di imposta. L'indebito � quindi un concetto teorico pressoch� irrealizzabile. 
Non si giustifica pertanto la facilit� con la quale nelle imposte minori si 
fa diventare un indebito la semplice contestazione della fondatezza di una 
pretesa. 

CARLO BAFILB 


18 

RASSEGNA AVVOCATURA DEU.O STATO 


FALSE LIGHT IN THE PUBLIC EYE: luci ed ombre del percorso giuri� 
sprudenziale. 

SOMMARIO: 1. La pretesa ticipit� dei diritti della personalit� in relazione 
alla � privacy� e all'identit� personale; 2. Il percorso della giurisprudenza; 3. La 
Cassazione e il caso VERONESI; 4. segue: il fondamento normativo; 5. I problemi 
applicativi; 6. segue: il caso COLEll.A; 7. segue: identit� personale e rettifica; 8. I 
casi pi� recenti: la pornostar, il caso PCI-PDS e il caso Bossi -DAll.A CHIESA. 

1. -La considerazione dell'identit� personale, nel quadro dei diritti della 
personalit�, costituisce un dato ormai pacificamente accolto, in dottrina ed 
in giurisprudenza, essendosi da tempo abbandonato quell'orientamento dottrinale 
che ne proponeva una spiegazione in termini essenzialmente pubblicistici, collegata 
ai dati anagrafici del soggetto (1). 
La prima compiuta elaborazione della problematica relativa all'identit� 
personale, nella sua corretta accezione civilistica, si deve al DE CUPIS (2), il 
quale parla di �un diritto della personal�t�, avente ad oggetto un bene che costi� 
tuisce una qualit�, un modo di essere della persona... l'essere per gli altri, uguale 
a s� medesimo �. 

Non si � mai discussa, dunque, la sussistenza dell'interesse della persona 
alla conservazione della propria identit�. II problema che si � invece sempre 
posto � se tale interesse sia anche giuridicamente rilevante e perci� normativamente 
protetto. E ci� a prescindere� naturalmente dal se poi tale interesse 
possa o meno qualificarsi come diritto soggettivo, cosa che potrebbe anche 
essere indifferente ai fini di un'eventuale azione risarcitoria, atteso l'ampio 
significato, che sempre pi� si va attribuendo alla nozione di � ingiustizia del 
danno�, cui la nom1a dell'art. 2043 fa riferimento(3). 

La dottrina che si occup� per prima del problema riconobbe la tutela� 
bilit�, nel nostro ordinamento, del diritto all'identit� personale, individuandone 
il fondamento giuridico-positivo nella normativa sul diritto di rettifica (art. 8, 
primo comma legge 8 febbraio 1948, n. 147) (4) ed in quella a difesa dei 
segni distintivi della persona (nome, pseudonimo: artt. 6-9 cod. civ.), che il 
giudice potrebbe estendere analogicamente, trattandosi di � specificazioni� del 
diritto all'identit� personale, � avente portata generale �. 

In tale impostazione vi era gi� la consapevolezza che la tutela dei segni di� 
stintivi della persona consente di individuare solo una parte della � verit� � della 

(1) Cos�: FALCO, voce Identit� personale, in Nuovo Dig. lt., VI, Torino, 1938. p. 649. 
"{2) Cfr. � DB CuP1s, I airitti della personalit�, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu� 
Messineo, II, Milano, 1961, p. 3 e ss. Si tratta di un'elaborazione riconducibile ad una 
serie di saggi precedenti, tra cui si segnalano: Identit� personale, nome; numero telefo� 
nico, in Foro lt., 1951, I, p. 99; La verit� nel diritto, id., 1952, IV, l?� 223 e ss.; Tutela 
assoluta nell'individualit� personale, id., 1955, I. 560 e ss.; Tutela giuridica contro le alte� 
razioni della verit�� per,son01e, id., 1956, I, p. 1384 e ss. 

L'espressione identit� .Personale nella sua corretta accezione civilistica si rinviene gi�

in ENRmTTI,. Compendio d1 diritto privato italiano. Torino, 1946, p. 121 e ss. Vedi pure

TBDBSCHI, Il diritto alla riservatezza e alla verit� storica, in Riv. dir. comm., 1957,

II, p. 200 e ss. 

(3) Cfr. REscIGNO, Conclusioni, cit., p. 191; SCALISI, Lesione dell'identit� personale e 
danno non patrimoniale, in AA.VV., La les�one dell'identit� personale .. ., cit., 121 e ss.; NATOLI, 
Riflessioni introduttive, cit., p. 563; BIGLIAZZI GBRI, Impressioni sull'identit� personale, in 
Dir. inf. e inform., 1985, p. 568 e ss. Per una diffusa e completa analisi sull'ingiustizia del danno 
si rinvia a ALPA e DBSSONI!, Atipicit� dell'illecito, I, Milano, 1977; ALPA, Il problema dell'atipicit� 
dell'illecito, Napoli, 1979; e, ancora, ALPA e BBSSONI!, I fatti illeciti, in Tratt. Rescigno,
14, Torino, 1982, 74 e ss.; VISBNTINI, I fatti illeciti; I. Ingiustizia del danno. Imputabilit�, 
Padova, 1987; BIANCA, Diritto civile, 5. La responsabilit�, Milano, 1994, 582 " <0 

(4) La soluzione del problema con riferimento all'applicazione analogica <lell'art. 8 
della L. sulla Stampa � stata sostenuta dal CARNELUTTI. Dfritto alla vita vrivata. 
Contributo alla teoria della libert� di opinione, in Scritti giuridici in memoria di Piero 
Calamandrei, I, Padova, 1958, p. 137 e p. 151. 

PARTE II, QUESTIONI 

persona (5), quella, cio�, estrinseca e formale, legata alla sua distinzione materiale 
nell'ambito di un contesto sociale, onde l'esigenza di riconoscere al soggetto 
la tutela dell'interesse ad affermarsi non solo come persona, ma anche come 
una certa persona. 

Sono gli anni in cui la letteratura giuridica nord-americana, nella persona 
di W. L. PROSSER, propone una teorizzazione del diritto all'identit� personale 
assai vicina a quella sopra delineata, parlando di false light in the public eye (6). 
Si configura, cio�, il tort of false light come una delle quattro ipotesi di attentato 
alla privacy, che pu� essere violata oltre che dalla generica invasione nella 
vita privata altrui (intrusion), o dalla pubblicazione di fatti privati altrui (public 
discolosure of private facts), o dall'uso, non consentito, del nome o dell'immagine 
altrui (appropriation), anche dalla diffusione di notizie personali non veritiere, che 
danno un'immagine falsata della persona (false light in the public eye) (7). 

Alla privacy per� i teorici della c.d. � analisi economica del diritto � hanno 
attribuito un contenuto non personale, ma patrimoniale, col dichiarato intento 
di farne discendere la sua libera commerciabilit� (8), mentre da noi la natura 
personale dell'interesse protetto e la sua conseguente indisponibilit� non sono 
mai state poste in discussione. 

A parte ci�, va sottolineato comunque come la privacy sia stata intesa non 
soltanto come diritto di essere lasciato solo (the right to be let alone, secondo 
la famosa formula adottata dal giudice COOLEY, ripresa nel celebre scritto di 
WARREN e BRANDEIS) (9), ma come diritto della personalit�, tout court, secondo le 
ultime tendenze della dottrina e della giurisprudenza statunitensi (10), che sembrano 
poter essere accolte anche nel nostro sistema grazie alla norma costituzionale 
contenuta nell'art. 2 (11). 

La giurisprudenza italiana, sul finire degli anni '50, era invece attestata su 

posizioni ancora troppo rigide, mostrando di condividere l'interpretazione restrit


tiva della norma costituzionale, per la quale essa conteneva una clausola cos� 

generale da diventare una �scatola vuota� (empty box), una norma che sol


tanto in via marginale poteva offrire tutela a posizioni soggettive, ma che in 

realt� si prestava a manipolazioni tali da escluderne l'applicazione diretta ai 

rapporti tra i privati (12). 

Nel 1960, infatti, la Corte di Cassazione, pur proclamando solennemente l'esi


genza del rispetto della � verit� personale�, contro le alterazioni e le deforma


zioni della medesima ad opera di terzi, non ne faceva discendere, neppure 

implicitamente, la configurazione di un originale ed autonomo diritto all'identit� 

(5) Cosi: G. B. FERRI, Privacy e identit� personale (nota a Pret. Roma, ord. 30.4.1981 
e 11.5.1981), in Riv. dir. comm., 1981, II, p. 379 e ss. 
(6) WILLIAM L. PROSSBR, � Privacy �, in 48 California Law Review, 1960, .P� 383 e ss. 
(7) V. sul punto GAMBERO, Falsa luce agli occhi del pubblico (False light in the publiceye), in Riv..dir. civ., 1981, I, p. 84 e ss.; G. B. FBRRI, Privacy e identit� personale, cit., 
p. 382 e ss.; RUFFINI GANOOLFI, Il diritto all'identit� personale di fronte alla Corte Suprema 
aegli Stati Uniti (il Tort di false light), in Riv. dir. ind., 1981, I, p. 237 e ss.; ZENo-ZENCO� 
VICH, Onore e reputazione .. ., cit., p. 353 e ss. 
L'espressione statunitense � ormai utilizzata anche dalla manualistica pi� autorevole: 

v. TIWIUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1989, p. 96. 
(8) Questa opinione della dottrina nord-americana � riferita da PARDOLESI, Privacy e 
identit� personate nell'analisi economica del diritto, in AA.VV., Il diritto all'identit� personale, 
l>adova, 1981, p. 175� 
.(9) WARREN e BRANliEIS, The right to privacy, in Harward Law Review, 1980, p. 193 e ss. 

(10) Cfr. EPSTEIN, A teste f�r privacy. Evolution and the emergence of a naturnlistic 
athic,. in The Journal of Legai Studies, 1980, p. 679. 
(11) Condivide tale ricostruzione del concetto di � privacy �, G. B. FERRI, op. cit., p. 385. 
(12) In tal senso, la dottrina: MAZZIOTTI, Diritto all'immar;ine e Costituzione, in 
Giur. Cast., 1970, p. 1536; GROSSI, Introduzione ad uno studio sm diritti inviolabili nella 
Costituzione italiana, Padova 1972, p. 159. 

40 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

personale (13). Nella stessa pronuncia, del resto, la Suprema Corte si dichiarava 
ancora ferma nel misconoscimento di un generale diritto alla riservatezza, che 
non sembrava trovare alcun supporto normativo, non solo nel dettato costitu� 
zionale, ma neppure nella legislazione ordinaria. 

La decisione era evidentemente fondata sulla concezione c.d. atomistica dei 
diritti della personalit�, che afferma l'esistenza di tanti diritti, quanti sono gli 
aspetti della personalit� umana, presi espressamente in considerazione dal 
legislatore, e tutelati (c.d. numerus clausus dei diritti della personalit�), col 
conseguente misconoscimento della tutela di quegli interessi della persona non 
corrispondenti ad alcuna delle tipizzazioni normative. 

Tra i teorici della tipicit� vi era poi chi considerava solo le ipotesi previste 
dalla Costituzione (art. 4, 13-19, 21 e ss., 32 e 35) (14), e chi invece considerava 
rilevante anche le ipotesi previste dal codice civile (diritto al nome e allo 
pseudonimo e diritto all'immagine: artt. 6-10) ammettendosi tuttavia il ricorso al 
procedimento analogico per garantire la tutelabilit� di �nuovi � diritti, non 
tipizzati (15). 

Entrambe le versioni della c.d. tesi atomistica negano comunque l'unitariet� 
del valore giuridico �persona �, riconoscendo la tutela dei soli diritti soggettivi 
della persona espressamente riconosciuti. Ed entrambe � svalutano � perci� 
la norma dell'art. 2 Cost. a norma di carattere meramente programmatico, irrilevante 
come tale nei rapporti intersoggettivi, senza la mediazione di esplicite 
previsioni del legislatore ordinario (16). La norma in parola conterrebbe una for. 
mula meramente riepilogativa e riassuntiva, in cui il riferimento ai diritti inviolabili 
dell'uomo espliciterebbe un � rinvio � a quelli successivamente e singolarmente 
riconosciuti nel testo costituzionale o anche nel codice civile. 

L'interpretazione restrittiva dell'art. 2 Cost. fu, tuttavia, ben presto � rinnegata
� dalla stessa giurisprudenza. Infatti, nel 1963, sulla scorta di un'autorevole 
dottrina (17), la Corte di Cassazione, con un'improvvisa inversione di tendenza, 
accolse esplicitamente la concezione c.d. monistica, e cio� la tesi di un 
unico generale diritto della personalit�, specificantesi in molteplici aspetti (18), 
considerando la disposizione de qua come norma di � apertura � ad altre libert� e 
ad altri valori della persona, non espressamente tutelati nel testo costituzionale 
(19). 

La Suprema Corte, nel caso sottoposto al suo esame, riconobbe sostanzialmente, 
anche se in modo indiretto, l'esistenza del diritto alla riservatezza, individuandone 
il referente normativo nei principi costituzionali di tutela della personalit� 
umana (di cui agli artt. 2 e 3, 2� comma). 

113) Cass. 7 dicembre 1960, n. 3199, in Foro it., 1961, I, p. 43, con osservazioni del 
DE CUPIS. 

(14) Cfr. PUGLIESE, Il preteso diritto alla riservatezza e le indiscrezioni cinematografiche, 
in Foro lt., 1954, I, p. 118, dove l'argomento � utilizzato per negare l'esistenza del diritto 
alla riservatezza; PUGLIATTI, La trascrizione, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu-Messineo, 
Milano, 1957, p. 12 e ss. 

La tesi ha avuto in tempi pi� recenti l'adesione di RBscIGNO, Diritti civili e diritto 

privato, in Attualit� e attuazione della Costituzione, Bari, 1979, p. 232 e ss.: l'autorevole 
studioso ritiene che l'espressione � diritti inviolabili significa pur sempre diritti positiva� 
mente fermati nel sistema nel catalogo che il legislatore costituente ha disegnato �. Nello 
stesso senso, v. pure CERRI, La Costituzione ed il diritto privato, in Trattato Rescigno,
21, 1987, p. 62. 

(15) Cfr. DE CUPIS, I diritti della personalit�, op. cit., 3 e ss. 
(16) Cfr. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legislazione costituzionale, op. cit., p. 360. 
(17) CARNBLUTTI, Il diritto alla vita privata, in Riv. trim. dir. pubbl., 1955, 6 e ss.; 
GIAMPICCOLO, La tutela giuridica della persona umana e il cd. diritto alla riservatezza, in 
Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 458. 

g noto l'iriflusso che su tale dottrina esercit� una decisione del � Bundsgerichtshof � 
del 1954, che configur� l'esistenza di un � diritto generale della personalit� �, con riferi� 
mento agli artt. 1 e 2 della Costituzione tedesca. Per un precedente, nella dottrina tedesca, 

v. GmRI<E, Deutsches Privatrecht; I, LeiJ?zig, 1985, p. 765. 
(18) Cass. 20 aprile 1963, n. 990, m Foro It., 1963, I, 1298. Nella stessa direzione, 
Cass. 27 maggio 1975, n. 2129, in Foro It., 1976, I, p. 2895. 
(19) BARBERA, in Comm. alla Cost., sub. art. 2, Bologna-Roma, 1975, p. 80 o ss. 

PARTE II, QUESTIONI 41 

La sentenza fu tuttavia subito criticata dalla dottrina, ancora in prevalenza 
schierata a favore della teoria pluralistica dei diritti della personalit�. Tale 
dottrina, infatti, nei suoi primi commenti, in coerenza con i presupposti dogmatici 
da cui muoveva, contest� l'esistenza di un generale diritto della personalit� e 
sostenne l'esigenza del ricorso al procedimento analogico, ritenuto idoneo sulla 
scorta delle norme specifiche in materia al fine di riconoscere la ammissibilit� 
del diritto alla riservatezza nel nostro ordinamento (20). 

Il livello piuttosto raffinato del dibattito dottrinale che ne scatur� (21) non 
trov� tuttavia grande risonanza nella giurisprudenza. Solo infatti negli anni 
70, la Suprema Corte chiamata in diverse occasioni a pronunciarsi in materia, 
ha riconosciuto in modo esplicito e definitivo l'ammissibilit� della tutela di 
un autonomo diritto alla riservatezza. 

Molto pi� recente � invece il riconoscimento giurisprudenziale del c.d. 
diritto all'identit� personale, che esprime l'esigenza del soggetto di apparire 
all'esterno come portatore dei principi morali, sociali e politici nei quali si 
riconosce (22). 

Nel riconoscimento del diritto all'identit� personale, in raffronto al precedente 
riconoscimento del diritto alla riservatezza, la dottrina pi� autorevole 
ha correttamente ravvisato � un progresso ulteriore, addirittura un salto, nel 
senso che dalla protezione dell'isolamento, dal riserbo, dalla difesa dalle altrui 
curiosit� si passa alla tutela della persona in una dimensione attiva, nella 
esplicazione di capacit�, attitudini, scelte di vita� (23). 

2. -Il riconoscimento giurisprudenziale dell'esistenza di un diritto all'identit� 
personale ha seguito un cammino pi� lento e complesso approdando, 
soltanto nel 1985, all'imprimatur della Corte di Cassazione (24), a poco pi� di un 
decennio dalla prima pronuncia, in subiecta materia, della magistratura pretorile 
romana (25). 

Il � leading case � viene, infatti, comunemente individuato nell'ordinanza della 
Pretura di Roma, del 6 maggio 1974 (26), in cui viene solennemente riconosciuto 
� il diritto di ciascuno a non vedersi disconosciuta la paternit� delle proprie 
azioni,_(...), e soprattutto, a non sentirsi attribuire la paternit� di azioni non 

(20) Cfr. DE CUPIS, in Foro lt., 1963, I, p. 1298; PUGLIESE, Il diritto alla riservatezza 
nel quadro dei diritti della personalit�, in Riv. dir. civ., 1963, I, p. 605. 
Per il RllscIGNO era da respingere � il suggerimento di legare la base positiva del diritto 

alla riservatezza ( ... ) all'art. 2 Cost., poich� il centro di gravit� della norma sta nella 
garanzia delle particolari comunit� intermedie, in quanto servano allo svolgimento della 
persona�: Il diritto all'intimit� della vita privata, in �Atti del III Simposio di dir. proc. 

pen �, Milano, 1970, p. 126. 

(21) PUGLIESE, Aspetti civilistici della tutela dei diritti della personalit� nel nostro 
ordinamento, in �Alcuni l?roblemi sui diritti della personalit��, Milano, 1964, p. 3 e ss.; 
RllsCIGNO, Il diritto all'intimit� della vita privata, cit., p. 58 e ss.; GIORGIANNI, La tutela 
della riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, I, p. 78 e ss. 

22) Cfr. Nrno, Vicende giurisprudenziali del diritto all'identit� personale, in Riv. crit. 
dir. priv., 1983, p. 665 e ss. Per un panorama completo del percorso dottrinale e giurisprudenziale, 
v. ZENO ZENCOVICH, Identit� personale, in Digesto civ., Torino, 1993, IX, 294 e ss. 

(23) RllSCIGNO, Conclusioni, in ALPA-BESSONE-BONESCHI (a cura di), �Il diritto all'identit� 
personale �, Padova, 1981, p. 188. 
(24) Cass. 22 giu$UO 1985, n. 3769, in Giust. civ., 1985, I, 3049 con nota di MACIOCE 
(L'identit� personale tn Cassazione: un punto di arrivo e un punto di partenza) e di 
DOGLIOTTI (Il diritto all'identit� personale approda in Cassazione): in Nuova giur. civ. comm., 
1985, I, p. 647, con nota di ZENO ZENCOVICH. Per una chiara e_ puntuale ricostruzione dell'intera 
Eroblematica, cfr. VARRONE, Manuale di diritto d'autore, Napoli, 1989, 235 e ss. 

(25) Per un panorama della giurisprudenza di merito in argomento, cfr. NIRO, op. cit.; 
GIACOBBE, L'identit�_personale tra dottrina e giurisprudenza. Diritto sostanziale e strumenti 
di tutela, in AA.VV., La lesione dell'identit� personale ... , cit., 19 e ss.; MACIOCE, Tutela 

civile della persona e identit� personale, Padova, 1984, p. 173 e ss. 

(26) In Giur. It., 1975, I, 2, p. 514 e ss., con nota di D'ANGELO (�Lesione dell'identit� 
personale e tutela riparatoria�); v. pure in Giur. merito, 1975, I, 246 e ss. con nota di 
FAJELLA (Diritto all'identit� personale e misure privatistiche di tutela). 



42 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

proprie, e non vedersi, cio�, travisare la propria personalit� individuale �. La 
pronuncia, giova ricordarlo, era stata sollecitata a seguito -della riproduzione, 
su di un manifesto per la propaganda antidivorzista, di un uomo ed una 
donna, che apparivano come agricoltori (mentre non lo erano), come coniugi 
(mentre non lo erano), e, quel che pi� conta, come favorevoli all'abrogazione 
della legge sul divorzio, mentre essi si dichiaravano convinti fautori dell'i� 
stituto. 

Il principio espresso nel provvedimento appena citato venne poi sviluppato, 
a tutela dell'immagine sociale, non di una persona fisica, ma di un raggruppamento 
politico, nell'ordinanza della Pretura di Roma, del 7 maggio 1974 (27). 
Pur non parlando esplicitamente di diritto all'ilientit� personale, il giudice 
ritenne, in quell'occasione, di poter accordare la tutela cautelare, a difesa dell'identit� 
politica di un partito (il P.C.I.) al quale erano stati attribuiti -mediante 
l'utilizzazione di espressioni subdolamente estrapolate dai discorsi 
di un suo leader (Palmiro Togliatti) -orientamenti in contrasto con la linea 
politica da esso costantemente seguita (rivolta, in quella circostanza, ad ottenere 
il mantenimento della legge sul divorzio). Ci� in base all'assunto. che 
� deve ritenersi scorretta e pregiudizievole la riproduzione, volutamente incompleta, 
di frasi, quando la incompletezza ne stravolge il significato �. 

Un altro significativo riconoscimento della tutelabilit�, nel nostro ordinamento, 
della delineata situazione soggettiva si rinviene nell'ordinanza della 
Pretura di Torino, del 30 maggio 1979 (28), che accolse il ricorso del leader radicale 
Marco Pannella, il quale lamentava la lesione della sua identit� politica conseguente 
alla distribuzione di un volantino elettorale recante l'affem1azione 
(poi rivelatasi falsa) che il noto uomo politico sarebbe stato, in passato, candidato 
nelle liste di una formazione politica di orientamento assai diverso da 
quello da lui attualmente propugnato. 

Un'affermazione esplicita che il soggetto �ha diritto a che venga rispet


tata �la sua identit� personale, anche sotto il profilo della identit� politica � � 

contenuta nell'ordinanza della Pretura di Roma, del 30 maggio 1980 (29), che ac


colse la richiesta di provvedimenti urgenti avanzata da un medico. Costui si 

riteneva leso dalla utilizzazione di un'intervista, da lui rilasciata, sulla grave 

deficienza delle strutture ospedaliere, per la propaganda elettorale di un 

partito (MSI) di orientamento opposto a quello del quale il ricorrente era mili


tante. 

Una maggiore elaborazione della situazione giuridica in esame si riscontra 

nelle due ordinanze della Pretura di Roma, in data 2 giugno 1980 (30). Un parla


mentare radicale lamentava la lesione del diritto all'identit� politica, propria 

e del partito rappresentato, in conseguenza della pubblicazione, su due quoti� 

diani nazionali, di articoli che prospettavano la collusione con altra forza 

politica al fine di ostacolare la concessione dell'autorizzazione a procedere in 

giudizio contro alcuni parlamentari ed affermavano (contrariamente al vero) 

il successo della presunta manovra dilatoria. La tutela cautelare venne ricono


sciuta, in una sola delle citate ordinanze, in quanto � sembra al giudicante 

che possa essere ormai considerato acquisito dalla giurisprudenza, e sufficiente


mente elaborato dalla dottrina, l'orientamento secondo il quale il vigente 

{27) In Foro It., 1974, I, p. 3227. 

{28) In Foro It., 1980, I, p. 2079, con nota di PIZZORUSSO; in Giust.. civ., 1980, I, p. 965, 

con nota di D�GUOTTI {Tutela dell'onore, identit� personale e questioni di compatibilit�).

(29) In. Foro [(., 1980, I, p. 2048, con nota di PAROOLESI; in Giur. merito, 1981, p. 1264, 
con nota di FIGONE (Tutela dell'identit� personale e nuove pr.ospettive in tema di diritto 
all'immagine).
(30) In Foro It. 1980, I, p. 2046, con nota di PARDOLEsr; in Giur. merito, 1981, p. 1264, 
con nota di FIGONE (cit. nota prec.); in Giust. civ., 1981, I, 218, con nota di FIORI, Art. 700 
c.p.c.: utilit� e incertezze. 
! 

I 

I 



PARTE II, QUESTJONI 41 

ordinamento giuridico riconosce -nell'ambito della pi� generale e complessa 
categoria dei diritti della personalit� -il diritto all'identit� personale, inteso 
come proiezione della immagine -lato sensu individuata -della persona, 
in riferimento alla sua collocazione nel contesto delle relazioni sociali �. 

Questa pronuncia si presenta di particolare interesse perch� correttamente 
individua il fondamento normativo del diritto nel � combinato disposto degli 
artt. 2 e 3 Cost. � (31). 

A fronte di tali pronunce, anche la dottrina pi� recente ha cominciato 
ad affrontare in modo pi� approfondito, la questione, l'interesse per la 
quale � attestato da due convegni in subiecta materia, succedutisi a pochi 
mesi di distanza l'uno dall'altro, nel 1980 (32). 

Il dibattito ha condotto ad un quasi generale riconoscimento della tutelabilit� 
della situazione soggettiva de qua, sottolineandosene la natura di diritto 
quasi di esclusiva creazione giurisprudenziale (BESSONE, VISINTINI, ZArn), 
che tutela l'esigenza del soggetto di apparire all'esterno come portatore dei 
principi morali, sociali e politici nei quali si riconosce (ALPA) (33). 

Una parte della dottrina, in verit�, disconosce alla giurisprudenza pretorile 
� d'urgenza � questa funzione determinante nella elaborazione di categorie 
giuridiche di diritto sostanziale (34).. E ci� sembra difficile da contestare se 
si considera che la procedura cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c. si 
fonda su un accertamento sommario, nei cui confini il potere di qualificazione 
della fattispecie risulta necessariamente limitato. 

Qualche commentatore ha impropriamente evocato il principio � judge 
made law � del diritto anglosassone. Ma in realt� �l'elaborazione giurisprudenziale 
che pur di volta in volta individua nuovi aspetti della persona rilevanti 
.sotto il profilo della tutela giuridica non fa che svolgere, nel rispetto 
del principio di legalit�, una funzione di attuazione e di specificazione del 
dettato normativo a rilevanza costituzionale � (35). 

Senonch� l'indirizzo pretorile trova conferma in alcune pronunce del Tribunale 
di Roma (36) ed ha il significativo avallo della Corte di Cassazione (37). 
Il caso all'esame della Suprema Corte � ben noto. Sulla stampa periodica 
era apparso un inserto pubblicitario di una marca di sigarette, che ri


(31) Sull'applicazione diretta delle norme costituzionali, v. PERLINGIERI, Norme costituzionali 
e rapporti di diritto civile, in Rass. dir. civ., 1980, p. 95 e ss. La dottrina assolutamente 
prevaiente fonda l'identit� personaie sull'art. 2 Cost.: v. ZATTI, Il diritto all'identit� 
personale e l'applicazione diretta dell'art. 2 della Costituzione, in � Il diritto ail'identit� 
pi:rsonale �, cit., J>. 54 e ss.; B~ssoNE, Problemi e questioni de~ diritto all'identit� personale, 
lVl, p. 23 e ss.; SCALISI, op. cit., p. 125 e ss.; NATOLI, op. cit., 563 e ss.; BIGLIAZZI GERI, 
op. cit.1 p. 572 e ss. MASTROPAOLO, Identit� personale e manifestazione del pensiero. Strumenti 
ai tutela, in Dir. inf. e inform., 1985, p. 583 e ss. 

(32) Si tratta del Seminario � I cittadini e il diritto all'identit� personaie �, svoltosi a 
Genova, il 21 e 22.3.1980, i cui atti sono J>Ubblicati in ALPA-BEssoNE-BONESCHI, Il diritto 
all'identit� personale, Padova, 1981; e del Convegno � L'informazione ed i diritti della 
personaiit� quaie tutela �, svoltosi a Roma, il 3-4-5 ottobre 1981. 
(33) Cfr. DoGLIOTTI, Un nuovo diritto: all'identit� personale, cit., p. 145 e ss. L'Autore 
ritiene � sostanzialmente esatta la definizione del dintto in questione come diritto giurisprudenziale
�: in Violazione o abuso del diritto all'identit� personale?, nota a Pret. Roina, 
11.5.1981, in Giust. civ., 1982, 826. 

Rivendica, invece, giustamente la paternit� della costruzione il DE CUPis, Bilancio di 

un'esperienza: il diritto all'identit� personale, in AA.VV., �La lesione dell'identit� perso


nale ... �, cit., p. 189 e ss. Riconosce tale paternit� creativa il MACIOCE, L'identit� personalein Cassazione ... , cit., p. 3056, e, indirettamente, Cass. n. 3769/1985, nella parte in cw afferina 
la genesi dottrinale del diritto in parola. 

(34) In tal senso: VERDE, Considerazioni sul procedimento d'urgenw: come ~ e come si 
vorrebbe che fosse, in � I processi speciali: studi offerti a V. Andrioli dai suoi allievi�, 

Napoli, 1979, p. 409 e ss. Per una posizione pi� moderata, v. LA CHINA, Quale futuro per

i provvedimenti d'urgenza? �, ivi, p. 151 e ss. 

� (35) Cosi, esattamente: PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalit� costituzionale, op.

cit., p. 362. 

(36) Trib. Roma 10 marzo 1982, in Foro It., 1982, I, 1405; Trib. Roma 27 marzo 1984, 
in Foro It., 1984, I, p. 1687, con nota di PARDOLESI. 
(37) Cass. 22 giugno 1985, n. 3679, cit. 
15 


44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

chiamava il parere di un illustre medico, il prof. Veronesi, direttore dell'istituto 
nazionale per la lotta ai tumori, circa la minore pericolosit� di tale tipo di sigarette. 
Il fatto aveva determinato una subdola distorsione dell'immagine dell'illustre 
medico, notoriamente antitabagista. 

Dalla lettura della motivazione di tale importante decisione traspare una 
serie di problemi che la Suprema Corte si � dato carico di risolvere, nel 
tentativo di fornire una ricostruzione esauriente di questo � nuovo � diritto 
della personalit�. 

Si allude principalmente al problema della definizione della situazione giu� 
ridica tutelata e al rapporto con gli altri diritti fondamentali; al problema 
del suo fondamento normativo, collegato alla diversa interpretazione proposta 
dall'art. 2 Cost.; ed infine, e soprattutto, al problema del rapporto 
fra tale tutela e la libert� di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 
Cost. 

3. -La definizione del diritto all'identit� personale (38) contenuta nella 
sentenza della Suprema Corte ha senz'altro il pregio della compiutezza, anche 
perch� riprende e sviluppa le conclusioni cui erano gi� pervenute la giurisprudenza 
di merito e la dottrina pi� accreditata. 
Si spiega che �ciascun soggetto ha interesse ... di essere rappresentato, 
nella vita di relazione, con la sua vera identit�, cos� come questa nella realt� 
sociale, generale o particolare, � conosciuta o poteva essere conosciuta con 
l'applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva; 
ha cio� interesse a . non vedersi all'esterno alterato, travisato, offuscato, contestato 
il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, 
professionale ecc. quale si era estrinsecato ed appariva in base a circostanze 
concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell'ambiente sociale 
�. 

Emerge con chiarezza, e ci� era stato gi� evidenziato dalla giurisprudenza 
di merito (39), che il soggetto preso in considerazione non � l'uomo come individuo, 
ma come artefice di rapporti sociali, poich� � in tale dimensione che 
la sua immagine viene recepita dalla collettivit�. 

Si evidenzia cos� il primo carattere dell'identit� personale, ovverossia la 
sua � esteriorit��, poich� ci� che caratterizza il soggetto � l'essere partecipe 
di rapporti sociali. Ne discende che la lesione di tale interesse potr� avvenire 
solo attraverso un mezzo di comunicazione che alteri, nei consociati, la loro 
percezione della persona (ed infatti, nei casi venuti all'esame dei giudici, 
l'illecito � commesso ora con un volantino, ora mediante una trasmissione 
televisiva .o un inserto pubblicitario) (40). 

Risulta cos� confermato l'insegnamento del GIAMPICCOLO, il quale nel 1958 
spiegava che � la tutela giuridica non � e non pu� essere riferita all'individuq 
per s� preso, ma all'homo sociabilis � (41). 

(38) La giurisprudenza parla di un vero e proprio diritto so15gettivo. In senso con� 
trarlo, in dottrina, MACIOCE, op. ult. cit., p. 4. Ritengono invece mdifferente ai fini dell'azione 
risarcitoria che tale interesse si qualifichi o meno come diritto soggettivo, gli 
I

Autori indicati alla nota 14. 

(39) Cfr. Pret. Roma, ord. 2 giugno 1980, cit.; Trib. Roma 27 marzo 1984, in Giur. It., 
1985, I, 2, 16, con nota di DoGLIOTTI: Trib. Roma, 15 settembre 1984, in Foro lt., 1984, I, 
I 

p. 2592; Trib. Roma, 7 novembre 1984, in Dir. inf. e inform., 1985, p. 215, con nota di 
RICCIUTO. 
(40) Cfr. ZENO ZENCOVICH, nota a Cass. 22 giugno 1985, n. 3769, in Nuova giur. civ. comm., 
I

1985, I, p. 654 e ss.; IANNOLO-VERGA, Il diritto all'identit� personale, in Nuova giur. civ. 

I 

.comm., 1987, II, p. 435 e ss. 

(41) GIAMPICCOLO, op. cit., p. 471. Con precisione lo SCALISI, op.
che � occorre privilegiare ( ... ) una dimensione dell'identit� che 
pubblica, ma sociale �, che cio� � per determinare l'identit� della 
non dal 'basso', e neppure dall"alto', ma -se cos� si pu� dire cit., 
p. 121, ha spiegato 
non sia n� privata, n� 

I

persona bisogna partire 
dal 'centro' ossia dalla 


I 

I! 

I

I 

I 

I 

I 

I 


PARTE II, QUESTIONI 4J 

Altro aspetto dell'identit� personale evidenziato dalla Cassazione, sempre 
sulle orme della precedente giurisprudenza di merito, � la sua � soggettivit�
�, nel senso che oggetto della tutela non � quel che il soggetto crede di 
.essere, ma quel che il soggetto risulta essere, cosi come la sua immagine si 
� esteriorizzata e oggettivata, e cio� � cos� come questa nella realt� sociale, 
generale o particolare � conosciuta o poteva essere conosciuta con l'applicazione 
dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva� (42). 

La Cassazione ha confermato inoltre l'orientamento secondo cui la titolarit� 
del diritto spetta anche alle persone giuridiche, in quanto anche queste 
ultime sono portatrici di una immagine sociale (43). 

4. -Quanto al fondamento normativo del diritto all'identit� personale, 
la Cassazione ha escluso che esso possa rinvenirsi nelle norme degli artt. 1 
e 10 e.e. (poste rispettivamente a tutela del nome e dell'immagine) o in 
quella dell'art. 8 co. I della legge sulla stampa (8 febbraio 1947, n. 147), sul 
diritto di rettifica. 
La Suprema Corte ha fatto espresso riferimento alla norma costituzionale 
dell'art. 2, che non avrebbe � una funzione meramente riassuntiva dei 
diritti espressamente tutelati nel testo costituzionale o anche di quelli inerenti 
alla persona umana previsti nel codice civile �. Per la Cassazione, l'art. 2 
" costituisce una clausola aperta e generale di tutela del libero ed integrale 
svolgimento della persona umana ed � idonea in conseguenza ad abbracciare 
nel suo ambito nuovi interessi emergenti della persona umana �. 

Tuttavia, la Suprema Corte non trae da questa lettura � aperta � della 
norma quella che appare a molti una conclusione obbligata: l'esistenza di 
un unico diritto della personalit�. 

L'adesione alla teoria pluralistica dei diritti della personalit� costituisce 
allora la principale contraddizione cui � incorsa la Cassazione, data l'incoerenza 
della conclusione rispetto alle premesse da cui muove (44). 

Ma ancora pi� contraddittoria � quella parte della motivazione in cui si 
afferma che � pur riconducendosi all'art. 2, il diritto soggettivo all'identit� 
personale non si inserisce tra i diritti costituzionalmente garantiti, essendo 
tali soltanto quelli specificamente previsti dalle successive norme della Costituzione. 
La sua regolamentazione va dedotta, per analogia, da una disciplina 
prevista per il diritto al nome (art. 1 e.e.), essendo tale figura la pi� 
affine al diritto all'identit� persona�. 

La sentenza in parola � dunque senz'altro censurabile, perch� finisce con 
l'assegnare all'art. 2 Cost. la inutile funzione di attribuire rilevanza costituzionale 
ai soli diritti della persona tipizzati dalla stessa Costituzione, che di tale 
garanzia gi� godono per il fatto stesso di essere da essa espressamente previsti. 


societ�, dalla comunit�, cio�, nell'ambito della quale l'individuo opera e svolge la propriapersonalit� �. 

(42) Cass. 22 giugno 1985, n. 3769, cit. 
(43) Critica questo orientamento, con grande chiarezza, VARRONB, Manuale di diritto 
d'autore, op. cit, p. 237, in ~uanto la norma costituzionale dell'art. 2 �per il fatto che 
tutela i diritti inviolabili dell uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali, non 
sembra avere tra i suoi diretti destinatari anche le persone giuridiche �. 
La magistratura pretorile ha invece riconosciuto che anche gli enti giuridici non 
personificati potessero essere titolati di un diritto all'identit� personale: cfr. Pret. Roma, 
ord. 2.6.1980 e 11.5.1981, cit., e Pret. Verona, 21,12.1982, in Foro lt., 1983, I, 462 e ss. con 

nota di RoPPo. In tal senso, in dottrina: GIACOBBE, In tema di elaborazione giurispruden


ziale del diritto all'identit� personale dei gruppi organizzati, in Giust. civ., 1980, Il, p. 266 

e ss.; e, pi� recentemente, SATURNO, Il diritto all'identit� personale: evoluzione dottrinale e 

modelli giurisP.rudenziali, in Rass. dir. civ., 1987, p. 718 e ss. 

(44) Lo nlevano: DoGLIOTTI, Il diritto all'identit� personale approda in Cassazione, nota 
a Cass. 22 giugno 1988, n. 3769, in Giust. civ., 1985 I, p. 3064 e ss.; ZENO ZENCOVICH, op. cit., 
p. 655 e ss. 

46 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Il richiamo poi all'estensione analogica dell'art., 7 e.e. rende privo di significato 
il riferimento all'art. 2 Cost., anche perch� non si spiega come si 
possa fondare l'identit� personale su tale norma costituzionale e poi disconoscere 
alla situazione soggettiva rilevanza costituzionale, quasi come se l'art. 
2 non fosse compreso nel testo costituzionale (45). 

Si appalesa dunque fuorviante il riferimento all'estensione analogica dell'art. 
7, poich� era gi� sufficiente il richiamo all'art. 2 Cost., per affermare 
che la lesione dell'identit� personale consente al soggetto di ottenere tutela 
giurisdizionale, attraverso l'ordine di cessazione del fatto lesivo, il risarcimento 
del danno anche in forma specifica, l'ordine di pubblicazione della sentenza 
(46). 

L'atteggiamento della Cassazione � forse spiegabile, anche se non giustificabile. 


:S probabile che essa sia stata condizionata dall'orientamento seguito dalla 
Corte Costituzionale, che aveva in precedenza quasi sempre negato la possibilit� 
di ricondurre nuove categorie di diritti della persona direttamente 
alla normativa costituzionale. 

Il tema era stato infatti affrontato in modo specifico dalla Corte Costituzionale, 
con sent. 1 agosto 1979, n. 98, che aveva sostanzialmente negato l'esistenza 
di un diritto all'identit� personale, ritenendo che � l'invocato art. 2 
Cost., nel riconoscere i diritti inviolabili dell'uomo, che costituiscono patrimonio 
irretrattabile della sua personalit�, deve essere ricollegato alle norme 
costituzionali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali� (47). 

Ecco forse spiegata la ragione per cui la Cassazione non ha tratto, dalla 
lettura �aperta � della norma costituzionale dell'art. 2, tutte le logiche conseguenze, 
cadendo nella accennata contraddizione. 

:� tale incoerenza risulta oggi amplificata alla luce del pi� recente indirizzo 
della Corte Costituzionale sul valore dell'art. 2 Cost. 

Con due pi� recenti decisioni (sentenze n. 561 del 1987 e n. 404 del 1988), 
riguardanti rispettivamente il diritto alla libert� sessuale ed il diritto all'abitazione, 
la Consulta ha infatti ribadito il suo precedente orientamento, riconoscendo 
che l'art. 2 conterrebbe una norma � a fattispecie aperta'" idonea 
a recepire le nuove esigenze di tutela della persona emergenti nella societ� 
e, perci� a conferire agli interessi sottesi la dignit� di �nuovi� diritti costituzionali 
(48). 

Ne consegue allora che se si fonda l'identit� personale sulla norma dell'art. 
2 Cost. non si pu� poi disconoscere la sua natura di diritto costituzionale 
� inviolabile �. 

Ed accogliendo la tesi, comunemente seguita dalla dottrina costituzio


nalistica (49) e dalla Corte Costituzionale (50), secondo cui i diritti definiti �in


(45) Sul punto, cfr. ancora DOGLIOTTI, op. ult. cit., p. 3065. Nega fondamento costituzionale 
all'identit� personale, Fo1s, Questioni sul fondamento costituzionale del diritto 

all'identit� personale, in Al2A, BESsoNB BoNBscm CAIAZZA, L'informazione e i diritti della 

persona. Napoli, 1983, p. 155. 

(46) Cfr. MACIOCE, L'identit� personale approda in Cassazione: un punto di arrivo e un 
punto di partenza, nota a Cass. ~2.6.1~85 n. 3769, in Giust. civ., 1985, I, p. 3056. 
(47) C. Cost. 1.8.1979, n. 98, m Gzur. Cost., 1979, p. 719, con nota di BARTOLE, Transessualismo 
e diritti inviolabili dell'uomo. 
(48) C. Cost. 18.12.1987, n. 561, in Giur. Cost. 1987, I, p. 3535, con nota di VIruCCI; 
-C. Cost. 7.4.1988, n. 404i in Giur. It., 1988, I, 1, p. 1627, con nota di TRABuccm. 
(49) Cfr. MoRTATI, stituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1964, _p. 153 e ss.; BARILE 
e DB SIBRvo, Revisione della Costituzione, in e Noviss. dig. it. �, XV, Torino, 1968, p. 773 
e ss. (spec. 781 e ss.). 

(50) C. Cost. n. 1146/1988. 

�PARTE II, QUESTIONI 47 

violabili� dall'art. 2 sarebbero sottratti al procedimento di revisione costituzionale, 
si dovrebbe giungere all'ulteriore conclusione della identit� personale 
come diritto costituzionale � irrivedibile � ai sensi dell'art. 2 Cost. (51). 

5 -La Cassazione non ha dunque risolto adeguatamente i problemi che 
la tutela dell'identit� personale poneva e la dottrina pi� attenta non ha 
certo mancato di sottolinearlo. 

Gi� prima che la Cassazione prendesse posizione sul problema, un autorevole 
studioso aveva infatti contestato lo stesso concetto di identit� personale 
(52). 

Egli faceva notare che non potendo coincidere con l'immagine che di s� 
d� l'individuo, essa dovrebbe necessariamente consistere nell'immagine che 
dell'individuo ha la societ�. � Ma non vi saranno mai due soggetti che vedono 
la persona allo stesso modo, sicch� l'unit� della persona nella immagine che 
gli altri si formario non avr� mai i medesimi caratteri e si dissolve nel 
nulla�. 

E se. anche fosse stato possibile delineare un'immagine sociale con un 
certo grado di oggettivit�, ci sarebbe poi sempre l'ostacolo delle molteplicit� 
dei contesti sociali della famiglia, dell'ambiente di lavoro del raggruppamento 
politico, e cosi via, � a far arrestare nella molteplicit� ogni itinerario sociale 
di unificazione �. 

Se ne desumeva che � la identit� personale pu� essere soltanto formale 
(nome, immagine, fisionomia, tratti sequalitici) e non anche sostanziale �. 

Anche perch� altrimenti avrebbe dovuto essere tutelata pure l'immagine 
sociale del delinquente sanguinario cui si attribuisca, contrariamente al 
vero, un atto di bont�, o quella dell'eversivo cui si attribuisca il fatto non 
vero di essersi pentito. 

Di recente, si � poi contestata la autonomia della situazione giuridica protetta, 
sostenendosi che l'identit� personale altro non rappresenterebbe che 
� il nome civilistico del diritto all'onore ed alla reputazione, termini che sono 
rimasti appannaggio del lessico penalistico � (53). 

La moltiplicazione dei casi di falsa luce � stata conseguentemente spiegata 
come �una reazione alla cappa opprimente imposta per molti anni 
alla tutela della reputazione�, dovuta alla crescente importanza della libert� 
di stampa nella nostra societ�, che faceva apparire eccessivo il rimedio penalistico 
(54). 

Cosicch� mentre � un tempo la reazione normale di coloro che si sentivano 
offesi nella propria reputazione consisteva nel far sapere che minacciavano 
querela 'a carico dei diffamatori�, oggi � questa tattica si usa ancora, ma accanto 
ad essa ne � sorta un'altra che vede il diffamato sottolineare la propria 
indignazione per la notizia che lo ha offeso con la dichiarazione, che intende 
chiedere i danni �, la cui misura non ha nulla a che fare con il pregiudizio sofferto, 
esprimendo piuttosto la dimensione dell'indignazione suscitata. Per far 
capire al pubblico che si � fortemente risentiti per l'affermazione lesiva si 
chiede una cifra �astronomica�, avendo premura di specificare (�con tocco 

� (51) Per una puntuale critica della tesi dominante, v. PACE, La gai'anzia dei diritti 
fondamentali .nell'ordinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici

comuni, in Riv. trim. dir. proc. civ., settembre 1989, Jl� 688 e ss., nota 4 . 

. (52) FALZEA, Identit� personale: motivi di perplessit�, cit., p. 88 e ss. 

(53) Cosi, GAMBARO, Ancora in tema di falsa luce agli occhi del pubblico, in Quadrimestre, 
1988, p. 312. Ma vedi sul punto ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione ... , cit., 
p. 362 e ss. 
(54) GAMBARO, op. ult. cit., p. 308. 

48 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

patetico�) che essa sar� per intero devoluta a scopi di beneficenza, a conferma 
del fatto che all'attore non interessa il risarcimento monetario in s�, 
ma � una pena per l'aggressore � (55). 

6. -Che tale preoccupazione sia fondata sembra dimostrato dalla sentenza 
pronunciata dal Tribunale di Roma nella ormai famosa causa Colella 
e/Ministero della Pubblica Istruzione. 
Pasquale Colella, professore associato di diritto canonico, chiedeva al 
Tribunale di Roma che venisse riconosciuta la lesione della sua identit� personale, 
come conseguenza dell'esclusione dal novero dei vincitori del concorso 
a professore universitario ordinario, poich� -a suo dire -la Commissione 
giudicatrice pi� che accertare il suo valore scientifico lo aveva discriminato 
per la sua non giovane et�. 

L'esito negativo aveva prodotto un danno alla sua immagine pubblica, le 
cui conseguenze avrebbero potuto riflettersi anche sullo svolgimento di eventuali 
futuri concorsi cui avrebbe potuto partecipare. A sostegno delle proprie 
tesi, il prof. Colella adduceva elementi che avrebbero dovuto provare lo scarso 
valore culturale e scientifico dei vincitori, sottoponendo ciascuno di essi a 
durissime censure. L'Amministrazione convenuta, regolarmente costituitasi, resisteva 
eccependo il difetto di giurisdizione dell'adito Tribunale e, comunque, 
l'infondatezza nel merito della domanda risarcitoria. 

Con sentenza del 20 marzo 1987 (56), il Tribunale di Roma sorprendentemente 
ha riconosciuto nell' � an � la fondatezza della domanda � per l'attivit� 
illecita posta in essere in danno dell'attore � e condannava la convenuta Amministrazione 
al risarcimento dei danni arrecati, da liquidarsi in separata sede. 

La dottrina, nei suoi primi commenti, ha criticato aspramente la pronuncia, 
facendo correttamente notare come il riconoscimento della negligenza dei commissari 
di concorso non abbia avuto altro scopo che soddisfare il sentimento di 
� vendetta � del candidato escluso dal novero dei vincitori, dal momento che 
in concreto il Tribunale non ha proceduto ad alcuna quantificazione del danno 
da �false light � (57).. 

L'attore cio� ha ricevuto soddisfazione con la sostituzione dell'informa


zione che circola subito dopo la pubblicazione dei risultati del concorso (�il 

prof. Colella � meno meritevole dei vincitori�), con quella secondo cui � stata 

la Commissione esaminatrice che non lo ha valutato adeguatamente, facendo 

male il suo lavoro. 

� evidente allora che la teoria della � falsa luce � rischia di tradursi in 
uno strumento di controllo del circuito informativo affidato alla magistratura 
(58). 

7. -Il diritto all'identit� personale finisce dunque per sottrarre spazi alla 
libert� di manifestazione del pensiero solennemente riconosciuta dall'art. 21 
Cost. 
� un problema che gli interpreti si sono sempre posto, tanto che taluni 
di essi (soprattutto i costituzionalisti) sono giunti a ritenere che � la rilevanza 

(55) GA..'1BARO, 02. ult. cit., f.� 314 e ss. 
(56) In Giur. It., 1987, , 2, p. 337. -La sentenza � stata riformata dalla <!Corte 
d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 3 aprile 1989, che ha riconosciuto il difetto 
di giurisdizione del giudice ordinario, in ordine alla richiesta risarcitoria del prof. Colella. 
Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza del 1� aprile 1993, hanno diclllarato inammissibile 
il ricorso proposto dal Colella. 
� (57) G. B. Fmuu, in VISINTINI (a cura di), La giurisprudenza per massime ed il valore 

del precedente, Padova, 1988, p. 262; GAMBARO, op. ult. cit., 316 e ss. � In., Diritti della 

personalit�, in Riv. dir. civ., 1989, p. 422 e ss.; MONATBRI, Responsabilitlt extracontrattualefattispecie, 
in ivi, p. 457 e ss. 

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PARTE II, QUESTIONI 

costituzionale di questo supposto diritto possa essere individuata solo in 
negativo, e cio� tra i limiti che la Costituzione pone alla libert� di manifestazione 
del pensiero�, che si traducono nel �divieto di affermare il falso o 
di pregiudicare l'altrui onore � (59). 

Si tratta indubbiamente di un problema di centrale importanza per il 
tema della nostra indagine. 

Nell'esperienza statunitense per scongiurare il pericolo di una restrizione 
eccessiva del diritto di cronaca sin dagli anni '60 la Corte Suprema Federale, 
nella decisione del caso New York Times v. Sullivan ha decretato il declino 
della teoria della falsa luce, sul presupposto che il riconoscimento della responsabilit� 
civile, connesso al contenuto di una pubblicazione, fosse un deterrente 
inaccettabile della libert� di stampa (60). 

Se allora non si vuole ripetere quest'esperienza anche da noi (61), sar� opportuno 
studiare soluzioni che valgano ad evitare il rischio di decisioni avventate, 
quale quella pronunciata dal Tribunale di Roma, nella causa Colella 

c. Ministero P .I. 
Alla magistratura pretorile romana va il merito di essersi sforzata di individuare 
una serie di parametri concreti, per accertare quando un comportamento 
della stampa debba ritenersi lesivo (62). 

Si scopre allora che essa si � fondata quasi esclusivamente su di un accertamento 
;rigoroso del rispetto o meno della verit� storica del fatto riferito, 
emettendo pronunce di accoglimento solo a seguito dell'accertamento dell'effettiva 
alterazione della verit� (63). 

In tale prospettiva, dunque, � potr� ritenersi violato il diritto all'identit� 
personale, tutelato dall'art. 2 Cost., solo se risultino superati i limiti che 
pur sempre sussistono per il diritto di informazione ed in particolare quando 
le informazioni si risolvono in oggettiva alterazione della verit�� (64). 

E una notizia pu� essere non veritiera non solo quando sia difforme dalla 
realt�, ma anche quando per omissioni o lacune, esponga i fatti in maniera 
incompleta o frammentaria, travisandone il contenuto. 

La nota sentenza della Cassazione del 18 ottobre 1984, n. 5259 (passata alla 
cronaca come la �sentenza del decalogo del giornalista�) ha cercato di fare il 

(58) Lo rileva, esattamente, GAMBARO, Ancora in tema di falsa luce, cit., p. 318 e ss. 
Per una diversa lettura, v. BESSONE, nella relazione di sintesi del Convegno di Roma 
del 3-4-5 ott. 1980 su � L'informazione e i diritti della persona. Quale tutela? '" i cui atti 
sono pubblicati in AA.VV., L'informazione e i diritti della persona, Napoli 1983: l'A. intende 
il diritto all'identit� personale come richiesta di contropotere da parte dei soggetti sforniti 
del potere di governo dell'informazione, cogliendo cio� un aspetto positivo da una circo


stanza che noi invece interpretiamo in termini di rischio. 

(59) PACE, Il c.d. diritto all'identitii personale e gli artt. 2 e 21 della Costituzione, in 
�Il diritto all'identit� personale�, cit., p. 38 e ss. Nello stesso senso: FALZEA, Identitii 

personale ... , cit., p. 90. 

(60) Cfr. GAMBARO, Falsa luce ... , cit., p. 99 e ss.; Io., Ancora in tema ... , cit., p. 319 e ss. 
La Corte Europea dei diritti dell'uomo sembra essersi yosta di recente sulla stessa scia 
della Corte Suprema Federale: cfr. la decisione 8 luglio 1986-ric.: l..INGENS, in Foro It., 
1987, IV, 50, con nota di ZENO ZENCOVICH, Tutela della reputazione e manifestazione del 
pensiero nella convenzione europea dei diritti dell'uomo. Una sentenza che farii discutere. 
(61) Non � mancato, per la verit�, chi nel tentare una e previsione sull'evoluzione 
della giurisprudenza successiva � ha gi� escluso �che si assister� ad un consolidamento 
sulla tutela autonoma di un diritto all'identit� personale �: cos�, VISINTINI, I fatti illeciti. 

I. Ingiustizia del danno? Imputabilitii, nella collana � I grandi orientamenti della giurisprudenza 
civile e commerciale�, diretta da GALGANO, Padova, 1987, p. 213. 

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J
62) Lo rileva, esattamente, DE MARTIN!, L'identitii personale nell'esperienza operativa, 

in .VV., � La lesione dell'identit� personale ... �, cit., p. 96 e ss. 

(63) Pret. Torino 30.5.1979, cit.; Pret. Roma 30.5.1980, cit.; Pret. Roma 11 llll121!io '81 
(tre ordinanze), in Foro It., 1981, p. 1737 e ss. Ma anche le pronunce di rigetto si "fondano 
sullo stesso dato: cfr. Pret. Roma, 2.6.1980 in Foro lt., 1980, I, 2047; Pret. Roma, 30.4.1981, 
6.5.1981 e 11.5.1981 in Foro It., I, p. 1739 e ss. Per una critica di tale orientamento, 
V. tuttavia SCALISI, op. cit.. p. 130 e ss. 
(64) Pret. Roma, 11.5.1981, in Giust. civ., 1982, p. 821, con nota di Docuorrr, Violazione 
o abuso del diritto all'identitii personale? 

JO RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

punto su questo problema, con una serie di � obiter dieta� (e cio� di affermazioni 
incidentali), che certamente esulavano dalla fattispecie decisa (65). 

Dopo aver� infatti ribadito quali fossero le tre condizioni necessarie per 
il legittimo esercizio del diritto di cronaca (e cio� l'utilit� sociale dell'informazione, 
la verit� dei fatti e la forma �civile� dell'esposizione), la Suprema 
Corte ha precisato che �la verit� non � pi� tale se � mezza verit� (o comunque 
verit� incompleta) (...). La verit� incompleta (...) deve essere pertanto 
in tutto equiparata alla notizia falsa�. 

Appare allora chiaro come nella fattispecie decisa dalla Cassazione (caso 
Veronesi) venisse in rilievo una �mezza verit��, poich� la frase dell'intervista, 
relativa alle sigarette leggere, avulsa dal suo contesto, era stata utilizzata 
per propagandare una marca di sigarette, come se il Veronesi avesse voluto 
sostenere quella campagna pubblicitaria, laddove invece il senso complessivo 
del suo discorso esprimeva una inequivoca condanna del fumo. 

Il fatto, chiaramente lesivo dell'immagine sociale del Veronesi, non poteva 
perci� dirsi � giustificato �, quale esercizio del diritto di cronaca, poich� 
la Costituzione repubblicana non tutela il pluralismo informativo � tout court �, 
ma il �pluralismo informativo veritiero �. 

Assume allora rilevanza, tra gli strumenti di tutela dell'identit� personale, 
la rettifica � di atti, pensieri o affermazioni ritenuti contrari a verit��, sancita 
dall'art. 8 della L. sulla stampa (8 febbraio 1948, n. 47, nella versione 
modificata dall'art. 42, L. 5 agosto 1981, n. 416). 

g difficile perci� condividere la tesi della Cassazione, nella parte in cui 
riconosce l'impossibilit� di rinvenire nell'art. 8 cit. il fondamento normativo 
dell'identit� personale. 

Tale posizione si basa infatti sull'affermazione che la rettifica riguardi la 
sola 'contestazione di fatti non veri e non le omissioni, la cui erroneit� era 
stata gi� in precedenza evidenziata dalla stessa Cassazione, nella �sentenza 
del decalogo�, per la quale la � mezza verit�� o comunque la verit� incompleta 
� deve essere in tutto equiparata alla notizia falsa �, 

A dire il vero, la tesi sostenuta dalla Cassazione, nel caso Veronesi, � se


guita da molti autori'. Essi esludono che la rettifica possa essere utilizzata 

come strumento di tutela dell'identit� personale, poich� vi osterebbe la sua 

natura marcatamente pubblicistica, essendo cio� essa � ispirata pi� dall'inte


resse pubblico alla verit� della notizia che non dalla preoccupazione che la 

notizia leda qualche interesse privato �. Nella stessa direzione, altri specifica 

che � il diritto dei mezzi di comunicazione di massa � persegue il valore del 

pluralismo, pi� che la verit� o l'obiettivit� dell'informazione. 

Contro tale impostazione � stato per� agevole replicare che il nostro or� 

dinamento non tende ad assicurare il pluralismo informativo � tout court �, ma 

� il pluralismo informativo veritiero �, e che anzi l'interesse pubblico cui mira 

l'istituto della rettifica consiste nel � restaurare l'ordine del sistema informa


tivo alterato dalla circolazione della notizia non vera"� che in s� non pu� 

considerarsi una manifestazione del pluralismo informativo, poich� (( non pro


duce alcuna nuova informazione�. 

8. -Le successive decisioni della magistratura pretorile, che vale la 
pena di ricordare, segnano il progressivo ampliamento dell'ambito applicativo 
. . (65) Cass. 18.10.1984, n. 2559, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, p. 84 e ss., con nota ,
di ALPA e replica di' RoPPO; in Quadrimestre, 1984, 609 e ss., con nota di G. B. FERRI; i 

Tutela della persona e diritto di cronaca; in Giust. civ., 1984, I, p. 2941 
GIACOBBE, � Prime impressioni... tecniche su una contrastata sentenza � 


La Cassazione l'uniforme interpretazione della legge. 

e ss., con note di : 
e di FINOCCIIlARO, 

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PARTE II, QUESTIONJ' 51. 

dell'identit� personale, con utilizzazioni che ora riguardano personaggi pubblici 
ora si riferiscono a formazioni politiche in trasformazione. 

Nel primo caso che passiamo in rassegna viene in rilievo il problema 
del sopravvenuto mutamento dell'immagine: una nota attrice (Carmen Russo) 
che aveva iniziato la sua attivit� interpretando films di contenuto erotico (dai 
titoli inequivoci �Le fichissime � e �Buona come il pane�) col passare degli 
anni cambia genere di prestazioni artistiche e, perci�, sostiene che la pubblicazione 
di alcune fotografie su una rivista pornografica, in cui si reprendono immagini 
impudiche tratte da quei films interpretati all'inizio della carriera, 
sarebbe lesiva della nuova immagine �familiare� ormai assunta, attraverso 
alcune fortunate trasmissioni televisive. 

Correttamente, la Pretura di Roma, con ordinanza in data 10 febbraio 1988, 
accoglie il ricorso, riconoscendo la lesione dell'identit� personale di Carmen 
Russo, poich� l'utilizzazione di immagini riciclate da vecchi films, senza alcuna 
indicazione dell'origine dei fotogrammi che vengono invece presentati come 
se si trattasse di una produzione nuova, � tale da ingenerare �la falsa opinione 
che la Russo sia tornata al suo vecchio stile e modo di esibirsi� (66). 

La stessa Pretura di Roma, con ordinanza in data 21 gennaio 1989, accoglie 
il ricorso proposto dalla nota attrice Eleonora Brigliadori, riconoscendo 
lesa la sua identit� personale per la pubblicazione sulla rivista Playmen di 
fotografie di scena (tratte dal film � La cintura�) che ingenerava nei lettori 
� l'idea di una Brigliadori che ha ormai abbandonato il personaggio sul quale ha 
costruito la sua affermazione artistica per dedicarsi al pi� facile filone della 
pornografia o dell'erotismo >>. E che soprattutto le aveva prodotto un immediato 
pregiudizio poich� la RAI aveva subito risolto il contratto gi� con 
essa stipulato per la presentazione dello � Zecchino d'Oro � (67). 

L'ordinanza in parola si segnala per due importanti aspetti che mette 
bene in evidenza: in primo luogo, sottolinea correttamente �la differenza tra 
foto "posate", avt�se dal contenuto narrativo di un'opera cinematografica, 
e immagini di una sequenza di films �; ed, in secondo luogo, affronta il problema 
dell'efficacia del consenso sulle precise modalit� di ripresa e sulla destinazione 
delle fotografie. E, soprattutto, l'ordinanza imponendo la rettifica, 
con la pubblicazione di un comunicato sulla copertina delle riviste, in cui 
si precisa che la Brigliadori non ha posato nuda per Playmen e che le foto 
erano tratte da un film, utilizza lo strumento pi� idoneo, come evidenziato 
nel paragrafo precedente, a porre riparo alla � falsa luce �, conseguente alla 
subdola utilizzazione dell'immagine fotografica. 

Pi� di recente la Pretura di Roma ha accolto il ricorso di Marina Ripa 
di Meana, danneggiata dalla messa in onda dello sceneggiato televisivo � Piazza 
di Spagna � per la inequivoca identificazione con il personaggio della con� 
tessa Armida. Con ordinanza del 7 febbraio 1992, il Pretore ha accertato la 
lesione dell'identit� personale della ricorrente che, pur essendo � donna disinibita 
e spregiudicata�, non pu� certo essere associata alla � mazzettara "� 
dello sceneggiato, dedita solo a mediazioni tra politici e mondo della alta finanza, 
in cambio di � tangenti �. 

Anche in questo caso, il rimedio della rettifica, attraverso l'inserzione di 
un 1 comunicato (tra i titoli di testa e di coda dello sceneggiato) che esclude 
espressamente la riferibilit� delle vicende del personaggio televisivo alla Ripa 

(66) In Dir. informazione e informatica, 1988, 860 ss. Ma v. anche l'ampia esposizione 
di ALPA, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1994, 252 e ss. 
(67) In Dir. informazione e informatica, 1989, 513 ss., annotata. 

J2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

di Meana, appare lo strumento pi� idoneo ad assicurare il contemperamento. 
delle opposte esigenze (68). 

Passando alla tutela invocata dalle formazioni politiche, merita di essere 
segnalata l'importante ordinanza del Tribunale di Roma, che in data 26 aprile 
1991, ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. del Partito Democratico della Sinistra, 
inibendo all'associazione non riconosciuta autodenominatasi Partito Comunista 
Italiano l'uso di tale denominazione, della sigla � P. C. I.� e del simbolo 
costituito da stella, falce e martello. 

I fatti di causa sono stati ampiamente pubblicizzati dalla stampa. Il 
Partito Comunista Italiano, nel corso del congresso di Rimini del 1991, si 
trasformava in Partito Democratico della Sinistra e adottava per simbolo 
l'albero della sinistra, alle cui radici veniva raffigurato il simbolo del P .C.I. 
Una minoranza dissenziente provocava una scissione, costituendo un'associazione 
non riconosciuta denominata P.C.I. e conveniva in giudizio il P.D.S., 
perch� fosse accertata la legittimit� dell'uso esclusivo di nome, sigla e simbolo 
prescelti come segni della sua identit� politica. 

Il Tribunale di Roma rende un'importante pronuncia accogliendo il ricorso 
ex art. 700 c.p.c. del convenuto P.D.S., affermando che l'uso di segni 
distintivi gi� appartenenti ad altro partito politico, ancora pienamente operante 
come tale, sia pure con denominazione e simbolo parzialmente diversi, 
costituisce lesione dell'identit� personale del secondo, che non ha certo rinnegato 
� il suo passato, cui anzi idealmente intende ricollegarsi attraverso 
la collocazione del vecchio (e notissimo) simbolo alle radici dell'albero della 
sinistra �. (69) 

Un ultimo caso (attualissimo) per concludere. 

Il 18 giugno 1993, alla vigilia della chiusura della campagna elettorale 
per la prima elezione diretta del Sindaco di Milano erano giunti al ballottaggio 
per l'ambita poltrona il leghista Formentini e l'esponente della Rete Nando 
Dalla Chiesa. Nel corso di un affollatissimo comizio tenuto in piazza Duomo, 
il leader della Lega Umberto Bossi us� parole di fuoco contro il figlio del 
generale caduto vittima di un agguato mafioso. 

� Della cosa nostra� fu definito l'esponente retino, storpiando il vero nome 
di Dalla Chiesa: � attraverso di lui -ebbe a dire Bossi -i tentacoli della 
Piovra si vogliono impadronire di Milano �. E ancora, con grande veemenza: 
� usa il nome del padre per farsi pubblicit��. 

Nel processo penale per diffamazione che ne � seguito, ricostruite le fasi ed i 
passaggi pi� ingiuriosi del discorso dell'on. Bossi, il Pretore di Milano con 
sentenza del 3 novembre 1994 ha condannato Bossi al risarcimento dei danni 
subiti dal Dalla Chiesa per lesione della sua immagine sociale e perci� del diritto 
all'identit� personale, con l'obbligo di pubblicazione della sentenza su 
due noti quotidiani (70). 

FEDERICO BASU.ICA 

(68) In Dir. informazione e informatica, 1992, 884 e ss., con nota di CLEMENTE, � Ogniriferimento � puramente casuale �. Tutela del diritto all'onore e all'identit� personale e 
diritto di creazione artistica. 

(69) In Dir. informazione e informatica, 1991, 868 e ss., con nota di CLEMENTE, La 
tutela inibitoria del nome e del simbolo del � vecchio P.C.I. �. I due casi pi� attuali sono 
comunque quelli relativi alla scissione tra i popolari di Buttiglione e quelli di Bianco e alla 
scissione dall'Allenza Nazionale di Fini dell'M.S.I. di Rauti. 
(70) La Voce, 2 novembre 1994. 
-



PARTE II, QUESTIONI 

L'ARRINGA IN DIFESA DEL MINISTERO DELL'INTERNO, PARTE CIVILE 
NEL PROCESSO PER L'OMICIDIO DEL SOPRINTENDENTE DI POLIZIA 
SALVATORE AVERSA E DELLA MOGLIE (*). 

Prefazione: 

� La presentazione di questa magistrale arringa, pronunziata a conclusione 
di un delicatissimo dibattimento, potrebbe persino apparire imbarazzante, 
se non fosse suggerita dall'intendimento quanto mai vivo e sentito, di testimoniare 
la riconoscenza e l'apprezzamento per lo straordinario contributo ancora 
una volta offerto dall'Avvocatura Generale dello Stato alla causa della 
Giustizia, contributo che, nel caso di specie, si � dispiegato nel quadro di un 
procedimento che vedeva l'intera Polizia di Stato parte lesa, quale Organismo 
vivo e vitale proditoriamente attaccato e colpito. 

Mi riferisco, naturalmente, al processo celebrato a carico dei responsabili 
del barbaro omicidio del Sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore 
Aversa e della sua consorte Lucia Precenzano, vittime della violenza criminale 
che, il 4 gennaio 1992, a Lametia Terme, ne ha stroncato le coraggiose 
esistenze in segno di vile reazione alla sagace, incisiva, puntuale attivit� investigativa 
dispiegata senza sosta dal rimpianto Collega. 

Le indagini immediatamente avviate dopo il grave evento -e condotte 
dagli stessi appartenenti agli Organismi centrali e periferici della Polizia di 
Stato con tenace determinazione -di per s� oltre modo impegnative per la 
peculiare natura ed efferatezza del delitto, hanno incontrato un cammino irto 
di particolari, inedite difficolt�, superate grazie al generoso slancio di tutti 
gli operatori ed all'elevatissima professionalit� della Magistratura inquirente, 
costante riferimento in ogni fase dell'investigazione. 

L'esemplare sentenza emessa il 13 gennaio 1994, con la condanna degli autori 
dell'efferato crimine, Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, rispettivamente 
alla pena dell'ergastolo ed a 25 anni di reclusione, ha cos� concluso una tristissima, 
drammatica vicenda, con la riaffermazione di valori statuali e di principi 
giuridici che onorano la Magistratura giudicante, per l'alta sensibilit� 
dimostrata, ed il Procuratore Capo della Repubblica, per la rigorosa autore11olezza 
assicurata alle ragioni dell'accusa. 

Ma un ruolo fondamentale, che s'impone alla nostra ammirata stima e 
considerazione, va riconosciuto all'Avvocato Generale dello Stato, Dr. Giorgio 
Azzariti, ed all'esimio Avvocato Paolo di Tarsia di Belmonte. 

� con animo grato e riconoscente che rileggo l'arringa pronunziata dal 
difensore dello Stato il 7 gennaio 1994, dinanzi alla Corte di Assise di Catanzaro, 
certo di interpretare l'intensit� di sentimento e di emozione di quanti 
-tra i presenti al giudizio, colleghi del Sovrintendente Aversa ed onesti calabresi 
-ascoltavano le giuste richieste di punizione per i due colpevoli, per 
vedere riaffermata la legalit� in una terra, travagliata e meravigliosa insieme, 
che attende ordine e serenit� dalla Magistratura e dalle Forze dell'Ordine. 

L'accorato intervento dell'Avvocato Paolo di Tarsia di Belmonte ha pienamente 
confermato le elevate aspettative riposte nell'abile professionista. 
La sua capacit�, non disgiunta dall'alto senso di responsabilit� civica palesato 

(*) Nell'im_Possibilit� di pubblicarla per esteso, riportiamo brani dell'arringa, tenuta 

nell'arco di sei ore, innanzi alla Corte d'Assise di Catanzaro, dall'avv. Paolo di Tarsia di 

Belmonte nell'interesse del Ministero dell'Interno, parte civile nel noto processo, con la 

lusinghiera prefazione del Capo della Polizia, Prefetto Vincenzo Parisi, che ha riconosciuto 
il ruolo fondamentale svolto dall'Avvocatura dello Stato. 


J4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

durante l'intero dibattimento, ha favorito, in modo invero assai significativo, 
la riparazione, per la parte consentita alla Giustizia umana, della grave offesa 
recata dal mondo criminale a due innocenti vittime e, attraverso il lom sacrificio, 
alla collettivit� intera. 

Nel ricordare, in queste brevi righe di presentazione, l'impegno e lo 
slancio profusi dall'Avvocato nel difficile cimento, non posso sottacere alcune 
riflessioni, suscitate dalla lettura di un testo nel quale la lucidit� espositiva 
e la maestria dialettica non prendono mai il sopravvento sulla straordinaria 
tensione morale, che, anzi, la raffinata oratoria esalta nella sua pregnanza. 

La difesa dello Stato non si � limitata a perseguire un utile immediato 
sul piano processuale. Al contrario, seguendo una invisibile ma saldissima linea, 
ha saputo calare il tragico racconto nella realt� storica lametina, cogliendone 
il caleidoscopio di situazioni sino a tratteggiare gli aspetti esiziali di una 
certa subcultura, linfa vitale del fenomeno mafioso, contrapposta alla radicata 
onest� di gran parte del tessuto civile. Ne � cos� emersa, trattegiata con 
toni forti ed eloquenti, la volont� dei criminali di colpire lo Stato, ma, 
soprattutto, � risultata vincente la capacit� reattiva proprio di quello Stato 
che si sperava invano di poter piegare, capacit� sorretta da ideali altissimi 
che queste splendide pagine consegnano al lettore e soprattutto al lettore calabrese, 
quale alta testimonianza di strenua volont� nella difesa degli inviolabili 
diritti dell'uomo. 

Una nota di rilievo meritano, ancora, quei passaggi dell'arringa nei quali 
l'Avvocato dello Stato ha saputo replicare agli enfatici, pericolosi atteggiamenti 
di altri attori del processo, che, non disinteressatamente, guardavano con 
sufficienza alle deposizioni testimoniali ed alle relazioni di polizia. 

Una esatta, minuziosa e concludente rassegna delle posizioni dei testi e 
dei verbalizzanti, in uno col calibrato riferimento alle regole proprie della 
psicologia giudiziaria, ha caratterizzato, invece, l'iter espositivo seguito dall'Avvocato 
Paolo di Tarsia di Belmonte. 

La vera pietra angolare di tutto l'impianto difensivo � stata per� posta 
con la corretta illustrazione della difficile posizione della protagonista di 
questa inchiesta giudiziaria, la �collaboratrice di giustizia� Rosetta Cerminara, 
alla quale si deve il merito di aver reso possibile una storica sconfitta 
della tradizionale omert� diffusa in certe aree del nostro Paese. Splendido 
il suo esempio di coraggio civile, non sfuggito all'attenta sensibilit� del Capo 
dello Stato, che ha inteso conferirle la medaglia d'oro al valore. 

Il therna probandurn � stato affrontato con un'analisi attenta e severa delle 
dichiarazioni della giovane lametina, la cui attendibilit� � stata dimostrata 
enucleando e valutando, in profondit�, i comportamenti della ragazza nelle fasi 
investigativa, istruttoria e dibattimentale e cogliendone i reali tratti psicologici. 
Per quanto concerne le motivazioni che avevano indotto la Cerminara a 
collaborare con gli inquirenti, � dato da osservare che esse sono state evi� 
denziate con indubbio rigore logico e con rara capacit� di apprezzarle nella 
giusta luce, contrastando efficacemente bassi tentativi di strumentalizzazione, 
cos� da suggellare indiscutibilmente la veridicit� di quanto dichiarato in ordine 
alla ricostruzione della crudele esecuzione del duplice omicidio. 

Mi sia consentito concludere affermando che questa pubblicazione ha altres� 
l'ulteriore, non meno importante merito di trascendere l'ambito del 
contesto giudiziario, proponendosi quale veicolo di diffusione per la pi� 
diffusa conoscenza dei positivi risultati che lo Stato, nell'aula della Corte di 
Assise di Catanzaro, ha saputo conseguire, merc� la dedizione e la professionalit� 
dei suoi servitori. 

Grazie a questa pubblicazione, il lettore. potr� cogliere non solo i particolari 
di una memoria difensiva di altissimo profilo, ma soprattutto il significa




PARTE II, QUESTIONI 

to profondo di un saggio che, attraverso un fatto di cronaca, ha riguardato 
una realt� straordinariamente articolata sul piano sociale. L'illustrazione delle 
molteplici connotazioni di un fenomeno complesso, come quello dei collaboratori 
di Giustizia; la documentazione della corale risposta offerta da tutte 
le Istituzioni; l'attestazione della saldezza morale della compagine della Polizia 
di Stato, impegnata ogni giorno, con le altre Forze dell'Ordine, nella difesa 
dei diritti dei cittadini; la testimonianza di incondizionata fiducia nella 
limpida azione della Magistratura; questi, solo alcuni degli spunti di riflessione 
e delle ragioni di speranza che l'Avvocatura dello Stato ha saputo proporre 
in una delle pagine pi� belle della sua prestigiosa storia al servizio del Paese �. 

Il Capo della Polizia 
Vincenzo Parisi 

Arringa: 

Signor Presidente, Signore e Signori della Corte d'Assise di Catanzaro! 

lo sono qu�, in questa terra dove sono le mie origini antiche e dove torno 
sempre volentieri, in virt� di due richieste dell'Amministrazione dell'Interno 
che "si � costituita parte civile in questo processo e di cui vi ho test� formulato 
,le conclusioni. Nella prima il Ministro scrive che l'Amministrazione annette 
particolare importanza alla costituzione di parte civile nel procedimento 
penale relativo all'uccisione del Sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore 
Aversa, in servizio presso il Commissariato di Polizia di Lametia Terme, 
colpito in un agguato, unitamente alla consorte, la sera del 4 gennaio 1992, nel 
predetto comune. Nella seconda il Capo della Polizia scrive all'Avvocato Generale 
dello Stato rappresentandogli che � nel prossimo mese di giugno siamo 
all'inizio del precedente processo -presso la Corte d'Assise di Catanzaro 
si celebrer� il processo per l'omicidio del Sovrintendente Capo della Polizia 
di Stato Salvatore Aversa e della consorte trucidati a Lametia Terme il 
4 gennaio u.s. in un agguato. Il testimone chiave � una ragazza che si � resa 
disponibile e per la quale � stato necessario adottare, in base alle leggi sui 
collaboratori di giustizia, complesse ed onerose misure di protezione, estese 
alla famiglia, che si � vista costretta a sospendere l'attivit� commerciale precedentemente 
svolta nella cittadina �. 

� Pu� quindi, Eccellenza, immaginare -continua la lettera -la rilevanza 
del caso, che ha visto stroncata la vita non solo di un validissimo dipendente 
impegnato nella lotta alla 'ndrangheta, ma anche della moglie, vittima im10cente 
di un cieca violenza mafiosa! Le sarei quindi particolarmente grato se 
volesse riservare alla questione prospettata la massima cortese attenzione, 
data la rilevanza del caso, su cui la malavita locale cercher� in ogni modo, 
attraverso i mandanti, purtroppo non ancora incriminati, di sviluppare una 
intensa azione difensiva con strategie particolarmente subdole, del tipo di 
quelle che vengono frequentemente attuate in consimili occasioni �. 

Sembra quasi profetica la previsione! Ma andiamo avanti. Perch� questa 
particolare attenzione a questo processo? Perch� questa richiesta sollecitata 
a cos� alti livelli? Perch� questo delitto di omicidio, efferato pi� di tanti altri, 
non � nemmeno analogo a quelli che purtroppo tanto spesso insanguinano 
questa terra! :B un reato che si presenta con connotazioni particolari: intanto 
colpisce al cuore dello Stato, sia pur nella limitata sfera di competenza territoriale, 
un fedele ed efficientissimo investigatore, Salvatore Aversa, valida 
figura di vecchio maresciallo, pilastro del Commissariato di Lametia Terme, 
memoria storica, come hanno scritto i giornali e come ha riconosciuto 
l'allora suo diretto superiore Arturo De Felice in quest'aula. 


J6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Vedete, Signori della Corte d'Assise, i commissari vanno e vengono, la 
loro preparazione, la loro abilit�, la loro efficienza e la loro professionalit� 
devono necessariamente appoggiarsi a chi � stabile da tempo sul posto, a chi 
conosce perci� la geografia criminale come chi viene e passa non pu� pretendere 
di conoscere. 

Il Maresciallo Aversa sapeva pi� di quanto i Commissari non potessero 

sapere; aveva in sostanza, l'efficienza e l'affidabilit� dei vecchi sergenti dei 
reparti militari o meglio, se mi consentite l'omaggio che sento di dovere al 
valore dell'Uomo, aveva la capacit�, la professionalit� la competenza e le 
conoscenza dell'Ufficiale di Stato Maggiore, al quale il Comandante di Brigata 
si affida. 

Aversa era un uomo insostituibile e non vi sembri strana l'analogia che 
faccio con i reparti militari: � storia purtroppo di tutti i giorni! In questa 
terra t; nelle regioni finitime c'� guerra, non � pi� solo normale criminalit�; 
� guerra per impedire che porzioni del territorio nazionale vengano sottratte 
alla sovranit� dello Stato e lasciate alle leggi sanguinose delle bande. 

St� parlando di realt� di tutti i giorni, st� parlando di realt� che sono 
dentro questo processo, che hanno la valenza tragica e ineluttabile della notoriet� 
dei fatti. Le bande che imperversano nel lametino e di cui avete 
appunto certezza da questi fatti che apprendete e che il Pubblico Ministero 
vi ha esattamente indicato! La capacit� ramificante del potere delle bande! 
Ricordate l'episodio relativo ai collegamenti bolzanini di Rizzardi, le confidenze 
di Joele a Erlacher? La pericolos�t� delle bande criminali organizzate 

in mafia, in 'ndrangheta, camorra o in quant'altre forme associate possibili: 
si fondano sull'omert� i poteri di costoro, bubbone difficilissimo da estirpare; 
l'omert� � la conditio sine qua non del potere della banda, la conditio 
sine qua non della sua contrapposizione alla sovranit� statale. L'omert�, 
legge del silenzio all'interno della banda o dell'organizzazione mafiosa, legge 
del silenzio intesa nel senso di divieto di parlare, � il presupposto non solo 
dell'impermeabilit� della banda alle intrusioni esterne, ma addirittura presupposto 
della sua sopravvivenza. Lasciare agli offesi la vendetta, senza intrusioni 
dall'esterno, � il cemento unificatore della banda. Ma qul, forse, questo 
discorso c'entra poco o niente, se non forse per ricordare che certo gli assassini 
non avevano ragione di temere delazioni dall'interno! 

C'entra invece l'accezione pi� corrente del termine omert�, cio� il tacere 

per timore di rappresaglia, tacere che � il frutto di un costume diffuso, nato 
dalla prepotenza delle cosche, nutrito dalla intimidazione e dalla vigliaccheria, 
strumento potente della efficienza della 'ndrangheta sul quale, evidentemente, 
contavano coloro che hanno progettato ed eseguito questo episodio criminale! 

Qu� per� i loro piani vengono sconvolti da un fatto decisamente imprevisto 
ed imprevedibile, mai accaduto! 

L'arrogante certezza di costoro di farla franca, � stata sconfitta dall'inconsueto 
coraggio di questa giovane donna, Rosetta Cerminara, che ha osato 
sfidare le leggi del luogo! Coraggio, certo, il coraggio di denunciare i delitti, 
qu� a Lametia Terme, a Nicastro, il coraggio di uscire dall'indifferenza, dall'omert�, 
anche quella indiretta ed implicita, la forza di affrontare chi viola 
le regole di civilt�! Sembrava talmente inverosimile che ci� potesse mai accadere 
in un paese come questo, che, vedete, lodi e biasimi, applausi ed esecrazioni 
a Rosetta Cerminara hanno sostanzialmente e psicologicamente una 
comune matrice: lo stupore, l'incredulit�! Non si ritiene possibile che lo strapotere 
della delinquenza possa avere subito intralci! Ed � in questa dimensione 
psicologica di partenza, che stranamente unisce due strade diversissime, 
che vanno valutate le posizioni contra e pro, a favore o contro Rosetta Cerminara. 
Da un lato la si accusa di mitomania, di esaltazione, di fantasia malata 



PARm II, QUESTIONI 57 

o peggio le si attribuiscono desideri di vendetta, matrice di accuse calunniose, 
la si accusa di essere accecata dall'odio o dominata soltanto da cinici interessi 
economici, profittatrice indegna di leggi che uno Stato, costretto ad una durissima 
lotta contro la criminalit� invadente, ha dovuto emanare; dall'altro vi 
� un coro di lodi, di consensi, di fiori -li abbiamo visti in aula! -e di incoraggiamenti, 
che ce la fanno apparire quasi come una eroina, ce la indicano come 
un esempio da imitare, modello di comportamenti da ripetere, cuneo di penetrazione 
nell'indifferenza sulla quale vegeta il crimine. 
Certo, la credibilit� di Rosetta � stata accentuata dalla sua costante, ferma 
ripetizione della scena tremenda che ha visto, dalla tenacia con la quale l'ha 
tante volte confermata, dallo stesso sdegno che ha manifestato in quest'aula 
per le non felici vicende processuali che si sono succedute, e, consentitemi di dire, 
dalla sua giovanile, ma genuina richiesta di essere creduta, perch� diceva quel 
che sapeva di aver visto! 

Essa merita rispetto, ripugna alla nostra coscienza il vituperio in cui si 
tenta di sommergerla per disperata difesa! 

Ma detto questo, signori della Corte d'Assise, vi assicuro che voglio evitare 
eccessi retorici in quest'aula! la retorica ottunde la capacit� di penetrazione 
logica, di critica valutativa! 

Rosetta � una giovane donna i cui moti spontanei della coscienza non 
erano ancora sommersi da quelle convenienze, calcoli e paura che spesso rendono 
:vigliacchi gli adulti! questa � la chiave di valutazione del comportamento 
di Rosetta Cerminara, questo, in coscienza, � quello che mi sento di dirvi, dopo 
avere ascoltato per 12 estenuanti ore l'ultima deposizione di Rosetta e dopo avere 
valutato, al di l� di quelle che si possono chiamare tattiche, strategie, dialettiche, 
esasperazioni del dialogo, i comportanwnti della stessa. 

Certo, � stato detto e ripetuto in quest'aula, Rosetta � una figlia di Lametia, 
� nata in un clima in cui il farsi i fatti propri � accessorio dell'omert� e ne 
abbiamo avuto contezza dall'interrogatorio dei suoi parenti, ne far� dopo alcuni 
accenni, ma intanto mi preme di farvi notare che i suoi genitori ed i 
suoi fratelli certo hanno faticato, essi, lametini da generazioni, immersi in 
questo modo di pensare, di agire, di comportarsi, ad individuare nei moventi 
di Rosetta quello pi� semplice, ed in fondo pi� puro: l'impossibilit� di sopportare, 
da sola, il peso di un episodio cos� orrendo contro l'uomo che lei sola 
conosceva. 

Perch� non volere riconoscere a Rosetta la possibilit� di una spinta nobile 

o il desiderio umano, agevole da comprendere, di scaricarsi? nemmeno i suoi 
genitori lo avevano compreso, nemmeno i suoi fratelli e si attaccavano ad un 
qualcosa... che a loro sembrava pi� concreto, pi� plausibile, pi� abietto e perci� 
pi� consono alla durezza dell'ambiente in cui dovevano vivere: la vendetta! 
Come assumono i difensori, quasi a esorcizzare la verit�, quella vendetta che essi 
pongono a prova della falsit� della testimone, come se non fosse possibile 
distinguere fra i moventi che inducono un teste a parlare e la veridicit� del suo 
racconto! 
Vedremo in seguito che la pretesa vendetta comunque non ha alcuna base 
n� storica, n� psicologica, che non pu� essere messa fra i moventi che hanno 
indotto Rosetta Cerminara a parlare: questa ragazza non � quella malvagia 
creatura che i difensori, malati di manicheismo, si sforzano di rappresentare. 

La verit� emersa in questo processo non d� basi a tale movente, nem


meno quando esso � esplicitamente ipotizzato, perch� sempre e solo di ipotesi 

.si � trattato nelle telefonate intercettate da altri e respinte da .Rosetta. 

Va data una corretta valutazione delle personalit� del padre e del fratello, 
una genuina interpretazione dei loro momenti pi� profondi. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Vi ricordate in quest'aula la deposizione di Michele Cerminara? Certo, ha 
dato tutt'altro che l'impressione di essere una persona di profonda cultura o 
di sapiente eloquio, ma � un padre! 

Vi ricordate con quale prudenza ha risposto alle richieste della famigL.1 
Molinaro in quella famosa visita della madre di Renato Molinaro accompagnata 
dal figlio Gianfranco? Ricordate che ci disse che aveva fatto finta di non aver 
inteso i minacciosi avvertimenti e giustificava il suo dissenso al perdurare del 
rapporto affettivo fra Renato Molinaro e sua figlia con la scusa del viaggio in 
America? Riuscite ad avvertire, immedesimandovi nella posizione del momento, 
che in tutto ci�, nonostante l'autoritarismo di Michele Cerminara, traspare la 
sollecitudine di un padre, insieme alla paura di chi � costretto a vivere tra 
delinquenti? Ancora: ricordate la sua rassegnazione: � Tutta Italia si fa i fatti 
suoi e tu a chi vai a parlare, perch� non ti fai i tuoi affari�? 1l. in questa 
chiave che va psicologicamente letta la vendetta, non come movente di Rosetta, 
ma come valvola di sfogo di suo padre e di suo fratello. 

Mi interessa ora, per�, tornare sul delitto: �, come ho detto prima, un delitto 
di mafia come tanti altri o � un qualcosa di diverso? 1l. sicuramente qualche 
cosa di diverso, di pi� aggressivo, di pi� preoccupante, sia perch� hanno colpito 
il pi� efficiente, il pi� pericoloso per loro dei poliziotti dello Stato, in servizio 
a Lametia, sia perch�, come ci ha ben detto in quest'aula il dottor Pansa, hanno 
colpito, colpendo Aversa, la direzione antimafia in uno dei suoi gangli vitali, 
sia pure limitatamente al territorio, sia perch� questo delitto ha le connotazioni 
del momento di massima arroganza dell'aggressione criminale che ha investito 
il territorio lametino nell'ultimo decennio e si innesta in un avvertito pericolo 
delle cosche mafiose di essere scoperte; e perch�? Perch� in questo ultimo 
decennio c'era stata una guerra all'interno delle cosche mafiose, che aveva portato 
fatalmente ad una serie di pesanti omicidi per questioni di guardianie e 
questi omicidi e le successive indagini di polizia e di antimafia hanno scoperto 
posizioni che le bande avrebbero avuto interesse a mantenere segrete. 

Quindi questo delitto, dicono giustamente gli investigatori della polizia di 
Stato, dell'antimafia, costituisce, sia per la scelta degli strumenti, sia per la 
simbologia dell'arma usata, l'arma in dotazione alle forze dell'ordine, usata soltanto 
per uccidere e lasciata sulla Fiat Uno dal commando assassino -costituisce, 
dicevo, la risposta della criminalit� alla polizia, la risposta delle cosche 
mafiose lametine all'incessante impegno professionale del Sovrintendente Aversa. 

C'� questa connotazione, nel reato commesso, nella scelta dei tempi, nei 
luoghi di realizzazione, che mette in luce la terza e pi� preoccupante caratteristica: 
nella determinazione di chi ha voluto, nella determinazione di chi 
ha eseguito il duplice omicidio, c'� un aspetto tremendo di esemplarit� e di monito 
indirizzati all'esterno. 

Aversa dava fastidio, rischiava di fare scoprire collegamenti e traffici crimi


nali con quella sua diuturna e paziente opera di investigatore, con le ragnatele 

che tesseva, con la messe di notizie che riusciva a raccogliere, con il controllo 

sistematico, quotidiano dei pregiudicati, ed era indubbiamente un uomo di 

coraggio, non sottovalutava il pericolo: ricordate i suoi atteggiamenti difensivi, 

quando si recava in locali pubblici o ristoranti? Ricordate le preoccupazioni 

non palesate, ma evidenti nel suo comportamento e sul suo volto come ci 

sono state riferite dagli orfani? D"altro canto, lo Stato, con le sue leggi ed i 

suoi uomini, aveva assestato e stava assestando colpi pericolosi, bisognava 

quindi dare prova di potenza per intimorire e allora ecco il progetto criminale 

immaginato ed attuato: pieno centro di Lametia, periodo festivo, una strada di 

intenso traffico, negozi aperti, assassini a viso scoperto, cio� quanto di meno 

tatticamente opportuno si poteva pensare!, di solito si uccide o si cerca di 

uccidere o si cerca di realizzare un fatto illecito, con quello che vien detto il 

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PARTI! II, QUESTIONI f9 

favore delle tenebre, approfittando cio� delle situazioni di tempo, di luogo, di 
assenza di testimoni, pi� favorevoli per realizzare il fatto e per uscirne impuniti. 

Qui no! tutto ci� � stato valicato! Due giorni prima dell'Epifania, un'ora di 
traffico, negozi aperti, strada centrale di Lametia, assassini a viso scoperto, 
uomini del posto! 

Ci� ha un significato proprio di intimidazione in chi ha immaginato, voluto 
ed eseguito questo delitto e desiderava che accadesse, perch� gli assassini a 
viso scoperto e gli uomini del posto sono la dimostrazione dell'arroganza di una 
cosca che si sente potente e che sa che nessuno la denuncer�, perch� i testimoni 
si squaglieranno, perch� nessuno oser� parlare e pi� c'� arroganza, pi� 
c'� paura e silenzio! � un'andata e ritorno ineluttabile; gli uomini del posto, 
oltre che a questa evidente esigenza, corrispondono anche al principio che 
regola le cosche: � Chi � interessato provveda, noi diamo il consenso �. 

Efferatezza estrema: una serie di colpi, i colpi di grazia, l'uccisione della 
moglie. Che significato ha? �Siamo in grado di superare i limiti che finora 
ci eravamo imposti, un certo modus vivendi, una terra di nessuno fra noi e il 
potere statale. Se voi alzate il tiro, noi siamo in grado ancor pi� di voi di 
alzare il tiro e con pi� il pregio della sorpresa e dell'illegalit� �. 

Perch� vi ho descritto questo quadro? Perch� nel Inio primo avvicinarmi 
a questo processo, le prime domande che Ini sono posto sono quelle che si 
� 'posto o si pone l'uomo della strada, quelle che ognuno di noi si � posto, 
quelle che forse a Lametia tanti si sono posti e cio� due domande, matrici di 
tutto, iniziali: �Ma se proprio dovevano ammazzare, proprio a Lametia dovevano 
scegliere i killer? �. � giusto! in un fatto di criminalit� ordinaria che 
ubbidisca a tatticisini soltanto, cio� il risultato immediato e l'efficienza dell'operazione 
di quel momento, la risposta a questa domanda � certamente un dubbio a 
favore delle difese! ma questo non era un reato tattico, questo era un reato. 
sia pur nella liinitatezza del territorio, era un reato strategico; non si riprometteva 
soltanto un risultato a breve gittata, si riprometteva un risultato a lunga 
gittata sul piano pi� vasto, appunto l'intimidazione, la dimostrazione di un 
potere: � Per quanto tu Stato possa essere efficiente, per quanto tu Stato possa 
emanare leggi eccezionali, per quanto tu Stato ti affatichi a costituire direzioni 
centrali e distrettuali antimafia, non ce la fai contro di noi, perch� noi possiamo 
colpire dovunque, chiunque ed in qualsiasi momento e lo colpiamo con le nostre 
forze, perch� tu sei vincolato al principio del rispetto della legalit� e noi no! � 
Questo � il messaggio, questo i visi scoperti, questo gli uomini del posto stavano 
a significare e rappresentare e ne abbiamo purtroppo, su scala pi� vasta, su 
territorio nazionale, altri gravissiini esempi: la bomba di San Giorgio al Velabro 
a Roma, aveva una valenza esclusivamente strategica, nessun interesse diretto 
di mafia, se non questo messaggio a contenuto politico. 

Nel nostro caso c'erano i due messaggi: tattica e strategia. 

L'altra domanda �: �ma riconosciuti da Rosetta Cerminara hanno ammazzato 
lo stesso? � Questo poi lo vedremo dopo, ma tanto vale anticipare, voi sapete 
-io intendo evitare ripetizioni nei liiniti del possibile -voi sapete che 
Rosetta Cerminara dice di avere visto Rizzardi e Molinaro, che conosceva benissimo, 
all'interno di quei due cancelletti del palazzo Bilotta e allora, criminali 
decisi s� ad uccidere, ma con il rischio di essere riconosciuti da una testimone, 
con il rischio constatato tangibihnente � Ci ha visto Rosetta, siamo qu�! che 
facciamo?� Due risposte vi d�: non era rinviabile l'oinicidio! 

Voi pensate davvero che un oinicidio di questo genere avvenga casualmente, 
perch� due di punto in bianco decidono di uccidere colui che era il pi� teinibile 
loro avversario? Voi credete davvero che se il quadro di questo duplice oinici1 
dio � quello che vi ho appena designato e le carte processuali non ci consen1 
tono altre interpretazioni, voi credete davvero che un omicidio cosl sintoma



60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

tico, cosi intimidatorio, potesse essere realizzato soltanto da due e non avesse 
una mente a monte, non avesse le sue cellule cli rinforzo, le sue squadre cli 
appoggio? Rinviare questo delitto soltanto perch� c'� un passaggio fugace dell'ex 
fidanzata di Renato Molinaro non era possibile! Un rischio calcolato! Lo 
si � affrontato e sono andati avanti! Poi c'� un'altro aspetto, un'altra risposta: ma 
Rosetta <Cerminara, poteva essere affidabile e in che misura, per la criminalit�\ 
che in quel momento stava agendo? 

Voi avete il dovere, dai fatti che sono stati provati ed accertati, dalle 
cose che sono state dette di fronte a voi, di collegare fatto con fatto per risalire 
ad una verit� umana e sostanziale. 

Rosetta Cerminara era la donna cli Renato Molinaro, Rosetta Cerminara 
sapeva che Renato, il suo Renato, commerciava, faceva traffico di droga, ha 
raccontato� degli episodi il cui dettaglio � tale da dare la certezza della credibilit�. 


Rosetta Cerminara era stata presentata da Molinaro a Rizzardi -poi 
vedremo che fondamento hanno quelle prese di distanza degli imputati � Noi 
neanche. ci conoscevamo, io non l'ho presentata mai� -era stata presentata 
a Rizzardi e c'era stata una fideiussione, chiamiamola cos�, del Molinaro a Rizzardi 
�Di lei ti puoi fidare�. Per Renato Molinaro Rosetta era la donna della ~ 
mala, colei che gli aveva garantito -ricordate? -che non lo avrebbe mai denunciato 
alla Polizia per il traffico degli stupefacenti! 

I

Allora questi due elementi certamente consentono cli dire che, nonostante 
l'incontro, l'omicidio non era rinviabile e perci� a quelle due domande: dovevano 
ammazzare proprio a Lametia? Dovevano ammazzare proprio a Lametia 

I con killer del posto e, pur riconosciuti da Rosetta, ammazzano lo stesso? Si 
risponde s�! In piena coscienza, dopo una valutazione storica del momento ~ 

" 

e psicologica dei soggetti! ... 

* * * 

I

... lo sarei propenso a ritenere che la verit� di Monica Aiello � quando riferisce 
cli aver visto una macchina scura. Ma badi, signor Presidente, io non voglio 

I

trincerarmi dietro una pur possibile constatazione cli inutilizzabilit� della ri


sposta di Monica Aiello ad una domanda che non avrebbe dovuto essere ammes


sa, n� vorrei accentuare la fama, che gi� mi son fatto in questo processo, di 

I 

essere sostenitore del rispetto della norma del codice cli procedura penale che 

pu� talvolta non far comodo n� alla difesa, n� alla parte civile, n� alla pubblh 

ca accusa e tanto meno scatenar battaglia sull'esatto ricordo dell'Aiello! Per� 

I 

non posso prescindere dal richiamare quello che ho sempre detto: dobbiamo 

respingere i subdoli tentativi cli far dire ai testi quello che ci fa comodo o 

I!

attentare alla loro credibilit� chiedendo loro a ripetizione la stessa cosa, nella 

speranza cli poter dare ad un � forse � che poi diventa un � circa � o a � pi� 

volte� poi mutato in un � paio cli volte� una valenza di mendacio! 

Badate che se c'� nel codice cli procedura penale una norma che profondamen


te garantisce la sostanza, essa � proprio quella sulla inutilizzabilit�, quella 

I 

dell'art. 191. Non vi dico altre cose perch� il tema sono stato costretto a trat


I

tarlo pi� volte nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Solo questo accenno: 

l'introduzione della inutilizzabilit� delle prove assunte in violazione dei divieti 

l 

stabiliti dalla legge � stata un'innovazione totale che affonda lo strumento 
chirurgico nella radice sostanziale del problema e che il legislatore processualI 


I 

�penalistico ha introdotto proprio a seguito del malgoverno -mi spiace doverI 


' 

lo dire -che i giudici penali d'Italia spesso hanno fatto dell'istituto della 

nullit�. 

I 

I 

I 



P�RTE Il, QUESTIONI 

I giudici togati sanno che la nullit� � definita, quanto ai suoi effetti, con 
quel bellissimo e sintetico detto latino del quod nullum est, nullum producit 
effectum cio� quello che � nullo � nullo e non produce alcun effetto, � il 
nero totale, � l'assorbimento totale dei raggi di luce, non c'� luce che possa 
venire dal nero, dal nulla! Eppure spesso l'atto nullo risorgeva come un mostro 
dalle molte vite! Ricordo che una volta a Varese difesi un ingegnere delle 
Ferrovie dello Stato imputato di disastro ferroviario, condannato per questo 
reato sulla base di una perizia che era stata dichiarata nulla. Voi direte: 
� Non � possibile! � Gi�! E infatti non sarebbe stato possibile! Eppure ci� 
avvenne! Perch� quei bravi giudici condannarono l'imputato sulla base di 
una perizia che era s� stata dichiarata nulla in dibattimento e la cui nullit� 
era stata ribadita nella narrativa in fatto della decisione, ma gli argomenti 
della sentenza: erano gli argomenti della perizia! E questo fu di una gravit� 
abissale! Perch� era palese la non onest� di intenti -pu� succedere pro e 
contro gli imputati, pro e contro l'accusa -ma non deve succedere perch� 
cos� si farebbe mal governo della giustizia! Ed ecco allora, il nuovo che il 
legislatore introduce: l'inutilizzabilit� delle prove come garanzia profondamente 
etica: doversi escludere anche di fatto, dalla conoscenza e dalla coscienza 
del giudice ogni prova acquisita illegittimamente. 

Badate, la ricerca della verit� deve essere ricerca della verit�, non deve 
essere ricerca di una verit� fittizia, come accadrebbe in questo processo se 
trascurassimo come con pervicace insistenza la difesa pretende il dettato dell'art. 
191 del codice di procedura: il loro gioco � scoperto, la comune esperienz11 
ci insegna che se facciamo ad un testimone, per 10 volte la stessa domanda, 
quello risponder�, sull'essenziale di quello che sa o di quello che ha visto, 
sempre la stessa cosa, ma se lo tormentiamo con particolari e circostanze, 
non possiamo onestamente basarci sul � forse � che egli dice, quando poco 
prima ha detto � circa� o sulla variazione di minuti nell'indicazione sull'ora 
o11di una data per sostenere il mendacio! :S anche questo che il codice vuole 
garantire: le prove assunte in violazione delle norme della legge processuale, 
non hanno valore, non possono essere utilizzate, non possono essere richiamate, 
non possono entrare come argomenti da portare alla Vostra attenzione; 
ed ~o mi auguro che nessuno osi, per rispetto a Voi, per rispetto alla pro-; 
fessione di difensore, nessuno osi richiamare gli atti dell'incidente probatorio 
n� quelli del processo annullato! Vedete, signori, questa esigenza di correttezza 
� tanto sentita, che alcune proposte di legge prefigurano il dovere del Magistrato 
di escludere dal fascicolo processuale gli atti nulli o inutilizzabili come 
ulteriore ostacolo all'aggiramento della norma. 1 

Per ora, tuttavia, il rispetto della legge che impone di non tenere conto 
dei fatti dei quali conto non si pu� tenere, signori della Corte d'Assise di 
Catanzaro, � affidata alla nostra correttezza professionale, alla Vostra rettitudine 
morale e alle vostre coscienze! 

* * * 

Rosetta Cerminara ha in questo processo, una importanza che nessuno 
smentisce, con le sue verit� e le sue contraddizioni; sarei troppo ingenuo se 
omettessi di considerarlo e forse non farei quel completo servizio che mi sono 
assunto, di rappresentare a questa Corte i punti di vista dell'accusa privata, 
ma .Rosetta Cerminara, anche se � il fulcro non � tutto in questo processo! 

Io vorrei percorrere questa linea logica che mi viene suggerita dalle vicende 
processuali, dagli atteggiamenti della difesa, le cui posizioni devo contrastare, 
senn� non Vi arrecherei quell'apporto costruttivo che deve essere 
base della vostra decisione. Allora mi chiedo e a Voi voglio chiedere di rispon



62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

dere a questa domanda: qual'� il metro di valutazione delle contraddizioni di 
Rosetta Cerminara, questa donna che � stata tormentata in questa vicenda 
processuale al limite della distruzione psicologica, questa ragazza che � riuscita 
a resistere con saldezza di nervi e lucidit� mentale totale a dodici ore 
consecutive e pi� di interrogatorio con soli tre quarti d'ora di sospensione, 
questa giovane calabrese che verso la fine d'udienza aveva ancora il coraggio 
e la dignit�, (mi sono sentito piccolo, ci dobbiamo sentire piccoli di fronte 
al giganteggiare della sua forza d'animo) questa donna che ha avuto il coraggio 
di dire verso la fine dell'udienza: �Avvocato Veneto, non si preoccupi, 
non sono stanca! >>, questa donna che tuttavia viene accusata di essere mitomane 
o malata e che � caduta in una serie di contraddizioni, perch� non 
c'� dubbio: dal 22 gennaio del 1992, al 17 novembre del 1993, ha dato delle 
circostanze che ruotano intorno all'episodio cruciale, che non ha mai smentito, 
una serie di versioni contraddittorie, delle quali sicuramente si pasturer� 
la difesa? 

Allora, queste contraddizioni di Rosetta, sono davvero il frutto di una 
regia accusatoria, come dice la difesa, cui lei si presta abilmente? o si spiegano 
altrimenti con il dichiarato desiderio di depistare? o con la paw�a di 
esporsi o di esporre la famiglia? o pi� banalmente con errori, inesattezze e 
vuoti di memoria? o -vi� concedo anche -con un'umana comprensibile prudenza 
nell'esposizione dei fatti, fino a quando non avesse raggiunto tutela? 
che per� non intacca la verit� del suo dire! 

� facile prendersela con le leggi di uno Stato, costretto all'emergenza! 
le deggi di emergenza sono tante nella storia, la stessa taglia sui criminali � 
una -legge di emergenza, che fa a pugni con l'esigenza di una morale pura, 
di un imperativo categorico, perch� la taglia sul delinquente sfrutta i pi� 
bassi istinti dell'uomo, quegli istinti che uno Stato ordinato, ~ma a questo 
punto parliamo di Repubblica di Platone, non dovrebbe favorire. Per� tant'�, 
ci sono esempi anche peggiori di legislazione: pensate alla sanatoria edilizia: 
� difficile immaginare qualcosa di pi� immorale di uno Stato che dichiara la 
propria incapacit� di evitare fatti illeciti, li riconosce come tali e li legittima 
poi a pagamento. Ma cos� �: a situazioni estreme, rimedi estremi! 

Le leggi sui pentiti e sui collaboratori di giustizia sono leggi che lo Stato � 
stato costretto ad emanare da una criminalit� invadente che sta per occupare 
spazi della sua sovranit�. Sono stati scritti fiumi di inchiostro sulla 
effettiva efficacia di queste leggi e non solo perch� �fatta la legge, trovato 
l'inganno �. Ci viene il dubbio che la sovrabbondanza di pentiti possa avere 
riferimenti a pentitismi di maniera, a rami secchi che si offrono da parte della 
criminalit� per avere spazi vitali successivi, ma questo non interessa il nostro 
processo, se non per il dubbio che le leggi sul pentitismo e sulla protezione 
dei collaboratori possano stimolare i pi� bassi desideri, di rifarsi una vita, 
di sanare una propria situazione economica. Non sono tanto cieco da nascondermi 
le difficolt� e la possibilit� di questo discorso, ma � un modo per 
arrivare alla verit�, corrisponde in termini moderni alle taglie sui delinquenti 
dell'800, alle taglie sui briganti che in funzione antistato imperversavano 
nelle nostre terre dopo la cosidetta �conquista piemontese�, tanto per rifarci 
a discorsi storici. 

Quelle leggi hanno raggiunto i loro risultati, raggiungeranno anche queste 

i loro risultati, li stanno raggiungendo. 

Certo, Voi Giudici, che siete chiamati a valutare l'attendibilit� di posizioni 

probatorie cos� suscettibili di essere influenzate da una qualche cosa che con 
. il processo e con l'accertamento <;!ella verit� potrebbe non avere niente a 
che fare, avete un saliente e delicato compito di assicurarvi dell'attendibilit�, 
ma t11on andate al di l� di questo! Posso concedere tutto su questo aspetto 




1PA�UE li, QUESTIONI 6J 

alla difesa: sono leggi che sarebbe bene non ci fossero, ma perch� ci sono? 
Perch� c'� una criminalit� potente, organizzata e diffusa, perch� dobbiamo 
reagire, non � possibile che la convivenza sociale sia alterata dalla formazione 
di bande, bande come gruppi che si pongono in antitesi. Con queste leggi dobbiamo 
puntare ad una convivenza sociale e armoniosa, il fatto singolare di 
gruppi contro gruppi, di gruppi che si danno leggi autonome e criminali e 
aggressive e considerano nemica la societ� e lo Stato deve finire! queste leggi 
Voi dovete applicare in funzione di queste esigenze! 

Perci�, tornando a Rosetta, vediamo se le difformit� siano giustificabili 
e su quali basi logiche, psicologiche, giuridiche e storiche o se sia valida la 
chiave di lettura che ci propone la difesa. Voglio dire cio�:� ci sono davvero 
nelle contraddizioni di Rosetta, quegli adattamenti successivi resi necessari 
dagli sviluppi processuali s� da screditarne totalmente la versione? 

Vedete, Signori della Corte d'Assise, se Rosetta fosse stata una costru� 
zione della Polizia, ben poca professionalit� dovremmo riconoscere a quei poliziotti 
che numerosi sono venuti a testimoniare in questo processo, molti dei 
quali sono il fior fiore degli investigatori italiani. Lo riconosce la stessa difesa 
quando sono venuti a testimoniare i Pansa, i Gratteri, i De Felice e, irritata 
per le brecce che non aveva potuto aprire in quello che essa definisce il falso 
castello accusatorio, tributa loro l'omaggio di pi� abili investigatori d'Italia: 

Allora c'� da domandarsi se possa essere appena verosimile che, volendo 
costruire un teste falso o stimolare atroci propositi di vendetta, quella stessa 
polizia, che si era resa ben conto che questo omicidio -lo scrive nei rapporti, 
lo ha ricordato il pubblico Ministero, lo dice qui in pubblica udienza -era la 
punta massima della parabola criminale a Lametia Terme, la stessa polizia, 
cos� elogiata, cos� efficiente, cos� motivata perch� era stato ucciso uno dei 
suoi uomini migliori, � possibile mai che potesse cadere in errori cos� banali 
come per esempio quello di non rifare il percorso di Rosetta Cerminara, non 
all'esperimento giudiziario primo, non all'esperimento giudiziario secondo, ma 
immediatamente dopo le sue prime dichiarazioni, quella stessa polizia alla 
quale Montilla dice di avere sentito le sirene e visto le macchine di polizia e 
carabinieri alle 18 e 45, non dice a Rosetta Cerminara, 10 giorni dopo febbrili 
indagini a tappeto, in cui certo il rapporto di Montilla non pu� essere passato 
inosservato, non l'avverte: � Bada, non dire che sei uscita da casa alle 18 e 20, 
perch� senn� come facevi ad essere alle 18 e 45 in via dei Campioni?. Allora, 
davvero Rosetta, quando qui in aula, dopo aver detto per ben due volte consecutive 
di essere uscita di casa alle 18 e 20 o alle 18 e 15 e una volta, dopo 
averlo circostanziato, con un � ricordo esattamente perch� l'ho detto a mamma
�, viene qui e soltanto in quest'aula, il 17 novembre del '93 (badate che 
in coerenza estrema, a rischio di sentirmi ridere alle spalle, non cito altro 
che le dichiarazioni sentite in quest'aula, in piena validit� di deposizione!) 
precisa che erano invece le 18, 18 e 5, sarebbe lo strumento mendace di poliziotti 
abili, decisi a far condannare degli innocenti? Ed � questo � l'assesta� 
mento difensivo perch� si sono accorti che l'omicidio � avvenuto prima�? 
avremmo una polizia inetta e pasticciona che non meriterebbe nemmeno nel 
male elogi di capacit�! 

Mi sono domandato anche i vari perch� dei " Non ricordo � di Rosetta. 
Cerminara e mi sono chiesto: quanti stati d'animo, quanti atteggiamenti 
sono individuabili in questa giovane donna, di fronte agli inquirenti? Cio�, quante 
possibili chiavi di lettura abbiamo dei suoi � Non ricordo �, delle sue contraddizioni, 
delle sue imprecisioni, deile sue risposte? Intanto cominciamo col 
tenere presente che i suoi � Non ricordo � sono non ricordo di udienza e 
quindi hanno una valenza dialettica, psicologica, strumentale, che deve essere 
valutata in funzione della� sua credibilit� o no. Cfo� voglio dire: I � non ri� 


64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

cordo � di Rosetta Cerminara sono tutti � Non ricordo � di una teste che � 
messa in difficolt� e che quindi non vuole compromettere una posizione gi� 
dichiarata o sono � Non ricordo � di autodifesa o reazione ad un'aggressivit� 
verbale la cui cm;rettezza lascia molto a desiderare? Ne abbiamo avuti di 
questi casi, in dibattimento! Allora, ci sono i � Non ricordo � sicuramente 
sinceri, credo che nemmeno Veneto con tutta la sua abilit�, nemmeno Zofrea 
con la sua astuzia saranno in grado di dire che certi �Non ricordo� non 
siano sinceri e che non emergano con spontaneit� dal suo interrogatorio in 
udienza. Per esempio, quando Rosetta Cerminara a pagina 242 del verbale del 
17 novembre,, risponde, a domanda del Presidente: �Non ricordo Presidente 
come ero vestita quel giorno, non ricordo veramente�, � certamente un � Non 
ricordo �, spontaneo per il contesto e per il modo della dichiarazione. E voi 
siete giudici di tutto, non soltanto delle dichiarazioni, ma delle espressioni, 
degli atteggiamenti, dei silenzi, dei pianti e degli scatti d'ira: tutto dovete e 
potete valutare ai fini dell'attendibilit�! Non umiliamo il dibattimento! � qui che 
nasce e si forma la prova, � l'udienza dibattimentale la regina dell'accertamento; 
evitiamo che degradi di nuovo a funzione notarile di accertamenti 
svolti altrove!. 

Le impressioni che ricevete dalle dichiarazioni dei testi sono importanti 
tanto pi� se la ricostruzione dell'iter logico del teste � soddisfacente � Non ricordo 
veramente quando vidi per la prima volta Paolo Aversa, se prima o dopo che De 
Felice venne a casa mia�, pag. 303 del suo interrogatorio. Quale valenza strumentale 
pu� essere data ad un � Non ricordo � di questo genere, per potere ritenere che 
potrebbe essere il tentativo di copertura di un mendacio? Nessuno! C'� abbondanza 
di documentazione sulla ricostruzione dei fatvi, le telefonate con Paolo, gli incontri 
con De Felice. Ci sono i �Non ricordo � in cui Rosetta Cerminara denuncia 
e questo � anche lodevole, questo va valutato ai fini di attendibilit�, non di 
inattendibilit�, denuncia una sua impossibilit� di essere pi� precisa. Ci sono 
i casi in cui Rosetta Cerminara � in parte travolta dal desiderio, che avverte, 
di collaborare, ed � spinta dalla opportunit� di fornire dati estrinseci di credibilit� 
all'episodio che ha realmente visto, senza che questo ne intacchi la 
veridicit�. A pagina 323, per esempio, sempre nel verbale del suo interrogatorio 
del 17 novembre, dice, a proposito dell'ora in cui decise di non andare pi� da 
Fanny, � Non me lo ricordo, � meglio dire cos� perch� � la verit��; ma perch� 
mai non dovrebbe essere la verit�, quella dichiarata con questa frase assolutamente 
spontanea da Rosetta Cerminara, la quale rivela un disagio psicologico 
interno? �lo devo dirli, gli orari, perch� devo dare credibilit� a quello 
che ho visto, in fondo sono stata in giro, ho dei termini di riferimento, l'ora 
in cui sono uscita, l'ora in cui sono arrivata da Gino Lo Prete, devo dirli gli orari 
� e d'altra parte � tormentata: � Ma io questi orari come faccio in coscienza a 
dirli con la precisione con la quale me li si chiede?�. In un primo tempo Rosetta 
Cerminara racconta un fatto e lo colloca approssimativamente nei tempi, ma quando 
questi tempi diventano esasperata richiesta di precisione al minuto, quando 
questi vengono prospettati con domande che per essere ripetute per l'ennesima 
volta, accavallate l'un l'altra, tendono ad indurla in inganno, lei dice: 

�Non me lo ricordo, � meglio dire cos� perch� � la verit��. E dove, quando lo 

I dice questo Rosetta Cerminara? Lo dice in un contesto dell'istruttoria dibatI 
� 
timentale ;in cui l'avvocato Veneto la copriva di assillanti pretese di sapere 
l'orario al cronometro. � Ma prima o dopo? Che ora era? avete detto che avete ! 
visto l'orologio di fronte ad Aversa�! :t!. una risposta in linea con questa 
situazione! Sciogliete, signore e signori della Corte d'Assise, i vostri dubbi con 
il.� massimo scrupolo; mi rendo conto che si tratta di applicare due ergastoli, 

perch� due ergastoli ha richiesto il Pubblico Ministero 
simo .,della pena che il nostro codice, frutto di una 

e l'ergastolo � il massoluzione 
di altissima 

I 

l ~ 

I 

I 

I 


PARTE II, QUESTIONI 6) 

civilt�, ha adottato. L'uomo non � padrone della vita e nessun giudice quindi 
la pu� togliere. La pena capitale � perci� da tempo sostituita con l'ergastolo, 
pena tremenda tuttavia, pur con gli strumenti che tendono ad attenuarla in 
corso d'esecuzione. Pena per� proporzionata all'atto tremendo di chi uccide! 
� giusto perci� che Voi esaminiate i fatti e le colpe nei minimi dettagli: nulla 
vi deve sfuggire, ma nulla nemmeno delle argomentazioni che vi prospetta l'accusa, 
dovete frettolosamente liquidare come pretenderebbe la difesa! Allora, 
dovete approfondire l'indagine, andare al di l� delle prime apparenze: c'� in 
Rosetta Cerminara il momento di intensa carica emotiva, vera, sacrosanta, 
difficile pensare che reciti, non solo perch� aveva 19 o 20 anni al momento e 
ne ha 22 adesso, perch� si pu� recitare anche a quell'et�, ma � difficile convincersi 
che Rosetta Cerminara reciti quando dice: � Me lo ricordo benissimo 
quello che ho vi.sto! �. O, a pag. 363, in un momento di contestazioni pesanti, 
quando urla: �Lei lo sa chi ha ammazzato Aversa!� rivolgendosi al difensore 
e badate, tengo a precisare, per evitare di essere frainteso, non � questa una 
critica al comportamento difensivo, � soltanto la valutazione dei fatti. 

Il compito del difensore, da qualsiasi parte stia, � cos� umile che non pu� 
avere m� l'arroganza, ne la pretesa della verit� finale: quella la dovete trovare 
voi, noi vi offriamo le nostre ragioni, noi e loro. Ma quando Rosetta 
Cerminara urla, rivolta a Veneto: �Lei lo sa chi ha ammazzato Aversa�, come 
facciamo a pensare che sia una recitazione? O quando dice, tormentata prima 
dal suo dilemma interno, tormentata da tutte le vicende, le lotte che ha sostenuto, 
sia quelle di carattere psicologico, sia quelle di carattere affettivo, sia 
quelle di carattere, chiamiamole economiche in senso buono, perch� non rifiuto, 
come vi ho detto, nemmeno questa possibili�t�; quando Rosetta Cerminara dice: 
�C'� del vero e ce ne � tanto del vero nelle mie precedenti dichiarazioni! �. 
Che ~cosa dice? Lei lo sa quali sono i suoi tormenti dopo avere visto quellit 
situazione, lei lo sa di che forza d'animo ha dovuto dare prova quando ha 
detto dal parrucchiere: �Accidenti, non vado pi� a sciare! �. Ma davvero voi 
pensate che quella frase di Rosetta Cerminara possa essere interpretata come 
dimostrazione di fatuit� o come prova che non aveva visto niente? Davvero 
pensate che sia accettabile quello che vi prospetta la difesa, secondo la quale 
Rosetta avrebbe dovuto dire l� a Lametia, di fronte a tutti �Si si, lo s� li ho 
visti io�? 

Cosa voleva Rosetta Cerminara? Che quella frase banale, sparata subito 
dopo la notizia di un fatto che l'aveva terrorizzata, che aveva visto e che si 
teneva per s�, coprisse ogni minimo turbamento nel suo volto: non era ancora 
iniziato il travaglio della sua coscienza, non avvertiva ancora il peso 
del segreto che l'avrebbe poi portata a denunciare il fatto. 

Prevaleva, d'istinto, la cultura dell'omert�; e allora si stringeva nella sua 
difesa, nell'indifferenza, scappa dalla sua coscienza, cos� come in preda alla 
paura, era scappata dal luogo che l'aveva vista testimone del delitto. Era 
il terrore di essere coinvolta che l'ha fatta parlare in quel modo, lo stesso 
terrore che l'aveva indotta ad andare da Gino Lo Prete �a passo veloce �, 
come ha sempre detto! avrei corso anch'io, Presidente, perch� correre serviva 
a scaricare un peso troppo pesante da sopportare! 

Altro che le risatine di scherno della difesa o le minacce di denuncia all'ausiliaria 
di polizia che ha rifatto il percorso di Rosetta! 

� qui che si capisce lo stato d'animo di questa teste: c'era un conflitto, 
un dramma interno, non determinato soltanto da questo desiderio iniziale di 
tutelarsi; quel dramma che l'aveva indotta a buttarsi a piangere sul letto della 
madre, in un ritorno di infanzia, di desiderio protettivo, del seno materno. 
Ricordate quando Santino le domanda � cos'hai? � e lei gli risponde in malo 
modo: �Lasciami stare, sono stancai �, Nessuno pu� negare che Rosetta Cermi



66 

RASSEGNA AVVOCATURA DEl.J..O STATO 

nara abbia un carattere forte, ma questo non significa che Rosetta Cerminara 

sia una teste falsai 

Quando si butta sul letto e piange, perch� piange Rosetta Cerminara? 

Forse in quel momento non piange per il terrore dell'omicidio visto, Rosetta 

in quel momento piange per un altro motivo: aveva sperato che Molinaro non 

facesse pi� il traffico di droga. Rosetta Cerminara sapeva che Molinaro era 

implicato in queste vicende, sapeva dell'ambiente che Renato Molinaro frequen


tava1 ma lei o per affetto o per desiderio di tornare con lui o per ricordo 

di un �amore che era stato felice sperava e pensava che Molinaro fosse migliore 

degli altri! Piange perch� vede definitivamente infranto un suo sogno affet


tivo, in quel momento. C'� poco da :ridere su ci�! Non si possono con una risa


tina distruggere le lacerazioni psicologiche di Rosetta Cerminara! ci sono 

troppi riscontri sul piano dell'umana psicologia di una ragazza di quell'et� 

in una situazione di questo genere perch� ci� possa essere ritenuto falso!! 

Quando dice qui in udienza, di fronte a voi: � C'� del vero e ce ne � tanto 

del vero nelle mie precedenti dichiarazioni �! fa una sintesi totale dei suoi 

stati d'animo nei quali c'� la delusione di un affetto radicalmente infranto 

da questo omicidio. Era un episodio al quale nemmeno Rosetta Cerminara, 

che pur frequentava senza troppi problemi trafficanti di droga -lo ha dichia


rato lei -arrivava, perch� era al di sopra delle sue possibilit� di accetta


zione! 

C'� in questa dichiarazione di Rosetta Cerminara, qui, di fronte a voi, 

al dibattimento, anche il ricordo tempestoso di tutte le vicende che ne 

hanno fatto la protagonista indiscussa del processo. Nelle sue dichiarazioni, 

quanti momenti significativi! c'� il momento in cui queste dichiarazioni 

erano controllate dai richiami prudenziali dei genitori, il momento in cui 

aveva il terrore che i genitori potessero essere perseguitati, il momento in cui, 

forse per legittima difesa, dichiarava qualche cosa a favore degli imputati, 

perch� allora, negli ambienti di loro provenienza si potesse percepire, (voi 

certo non crederete che i mandanti non abbiano seguito questo processo nei 

minimi dettagli!) si potesse percepire che Rosetta in fondo non era pericolo


sa, che giocava una parte di teste d'accusa per buttare cortine fumogene. 

Perch� dite, voi della difesa, che sarebbe irrazionale l'episodio degli anelli 

al dito, perch� irrazionale l'episodio dell'accento reggino? Ha invece una sua 

razionalit� totale in questo senso: in fondo, bene o male, un p� la figura 

della ragazza della mala, per superficialit�, per amore, l'aveva rivestita, lei 

stessa ce lo dichiara: � Stai tranquillo, io non dico niente non denuncio nes


suno!� Vi ricordate? a proposito del suo Renato? Ci sono le prudenze cui i 

genitori la stimolavano e c'� infine il calcolo anche, ve lo concedo, che pu� 

averla � indotta a non parlare completamente fino a quando non fossero stati 

protetti lei e i suoi. Sono stati pagati i debiti? Non lo so! sono protetti 

efficacemente? lo sono stati fin da allora? non lo so! Santino dice di no, 

per esempio, ed � preoccupante quello che Santino dice. Ha scarso pregio 

l'argomentazione finale di Veneto, quando dopo le mie domande a Santino 

Cerminara quando � emersa la sua preoccupazione, per aver visto nel paese o 

citt� dove vive, pi� di una volta giovani di Lametia l� sotto, � preoccupante 

questa circostanza e certo non viene esclusa dal pur abile tentativo del


l'avvocato Veneto, che �alla fine fa a Santino Cerminara questa domanda: �Sa 

signor Cerminara, lei � troppo intelligente per non capire che da qui a qual-i 

che settimana noi verremo a sapere dove lei sta �. 

Vedete di che efficiente servizio informazioni pu� disporre la difesa; e 
� e se ne vanta! 
E poi chiede: � Dall'accento sembra che lei viva in una citt� dell'alt'ltalia, 
ora lei � troppo intelligente per non oapire che se vive in un paese questa 


PARTE II, QUESTIONI 

visita dei lametini ha un significato, se vive in una citt� ha tutt'altro significato 
�. Ora, per quanta stima abbia per la dialettica del mio avversario, devo 
dire che la sua logica qu� � claudicante. Mi dite perch� mai, se io vivo in 
un paesetto della costa tirrenica e sono protetto dalla polizia per un qualsivoglia 
motivo, dovrei pensare che una visita dei miei conterranei sul posto, non 
possa avere altro che un significato di intimidazione, mentre se viceversa vivo 
a Torino, a Venezia, a Lecce, a Milano o a Roma, vedo dei lametini, sotto 
casa mia o per le strade che frequento, dovrei pensare: � Niente paura, � 
un incontro meramente occasionale�? 

E vediamo altri � Non ricordo� di Rosetta Cerminara; Ci sono quelli che 
riflettono soltanto e qu� veniamo proprio al momento dialettico, la preoccupazione 
della teste di non essere tratta in inganno, di bloccare un'insidia, senza 
che �ci� influisca sulla genuinit� della risposta. Parliamo chiaro anche qu� e 
vediamo le cose nell'esatta loro luce: Rosetta Cerminara � una ragazza di 
20 anni, � nata e vissuta in Calabria, ma c'� differenza fra lei e le calabresi 
vestite di nero, che si sono avvicendate su quella sedia a raccontarci cose fa. 
cilmente smentibili: ricordate la deposizione della madre di Molinaro? Ve ne 
parler� tra poco, ma esse nonostante tutto meritano rispetto, custodi come 
vogliono essere, nel bene e nel male, delle loro famiglie, al di l� delle quali 
nulla � importante, nulla � degno di considerazione. Fuori della cerchia 
degli affetti famigliari, la vita altrui, la giustizia, la convivenza sociale sono 
astrazioni, difficili da capire! 

Rosetta � diversa, i suoi interessi vanno oltre la famiglia, la sua socialit� 
� elevata e sa difendersi: � una giovane moderna, ed io non ho nessuna difficolt� 
ad accettare che le abbiano ancor meglio insegnato a difendersi di 
fronte ai molteplici possibili inganni di un controesame! D'altronde non dice 
l'art., 38 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che 
i dif�nsori anche a mezzo di sostituti o di consulenti tecnici, possono conferire 
con le persone che possono dare informazioni? 

Che cosa pensate che possa dire un avvocato o chi per lui a tale persona? 
� Guarda, raccontami le cose come stanno e vedi di riferirle con chiarezza al 
momento del giudizio, perch� se questa � la verit� che conosci, non ti devi 
far trarre in inganno �! � probabile che questo sia stato detto dai difensori ai 
loro testi, certo, � doveroso, ed � probabile che altrettanto abbiano fatto 
gli uomini del servizio centrale operativo della Polizia di Stato: sarebbe stato 
altrettanto doveroso! :B certo invece che commetteremmo un illecito gravissimo, 
noi e loro della difesa, se dicessimo ai testi di dire il falso! Perch� vi 
dico questo? Perch� Rosetta Cerminara, che � una calabrese dinamica, vivace 
ed estroversa, ventenne, che reagisce al pungolo severo dei genitori che non 
ce la fanno a dare ai figli un'educazione all'antica, � una ragazza anche 
avvisata contro possibili inganni, forse in modo ingenuo. � avvertita �Bada 
che ti ingannano, bada che ti fanno dire il contrario di quella che � la 
verit�!� e allora, alla domanda dell'avvocato Veneto, che tutte queste cose 
le sa benissimo come le so io, � troppo intelligente per non conoscerle e 
per non condividerle (ma lui sonda e il controesame glielo consente, il 
teste fino all'esasperazione! E, purtroppo, i margini fra il comportamento lecito 
e quello illecito di chi, attraverso un rotolio di domande confonde e fa 
dire al teste una cosa diversa da quello che �, sono spesso labili). Alla domanda 
dell'avvocato Veneto a Rosetta Cerminara: �Lei � sicura che quella 
era una pistola come quella della polizia? � che � molto grossa, pi� di 20 centimetri 
di lunghezza e ben visibile a distanza, lei risponde: � Si �; � Ma lei 
lo .esclude che era una pistola a tamburo?�, dice Veneto e Rosetta, forse 
temendo chiss� quale inganno, risponde agguerrita ma ingenua: �Avvocato 
Veneto, io non escludo niente!� :S evidente che si tratta di un'autodifesa, � 


68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

evidente che hanno qu� operato gli avvertimenti al teste di non farsi trarre 
in inganno, ed � ulteriore prova della veridicit� di quello che lei dice! 
�Me lo ricordo benissimo quello che ho visto! e lei avvocato Veneto lo 

il 

sa chi ha ammazzato Aversa! � restano pilastri psicologicamente veritieri anche 
se non ci fosse altro! 

I

Ci sono poi, nelle dichiarazioni e nei non ricordo di Rosetta Cerminara, 
le preclusioni, le determinazioni della teste di non riferire fatti della sua vita fil 
privata, non interessanti il processo: ce ne sono a piene mani in relazione 
ai rapporti con Renato Molinaro. 

Renato Molinaro dice, mettendolo sfrontatamente in piazza, di essere arrivato 
subito al dunque il primo giorno che sono usciti insieme; Rosetta 
Cerminara lo nega. E allora? � teste falsa per questo? Sono circostanze 
fuori dal processo, rispettiamo la personalit� della teste come impone il codice 
di procedura penale e non tacciamo di reticenza una testimone, che 
nega, se � vero che nega, situa:llioni che con il processo non hanno niente a 
che fare. 

Noi possiamo trarre dalle risposte alle domande, anche se non rigorosamente 
pertinenti al thema decidendum, elementi per valutare l'attendibilit�. 
Ma signor Presidente, signori e soprattutto signore della Corte d'Assise! asteniamoci 
dall'imprimere su questo sacrosanto pudore di una giovane donna 
di Calabria il marchio della sua inattendibilit� ... 

I 

... Un'ultima dimostrazione della verosimiglianza della versione di Rosetta 
Cerminara se non volete, ancora, della sua verit�! C'� Teresa Vigliaturo. Quan


I

do entr� e disse che c'era stato un omicidio, senza sapere chi fossero le vit


I ~ 
time. Le fu chiesto: �Lo chiese anche alla Cerminara se sapeva qualche cosa 
dell'omicidio? Ricorda se a questo dialogo partecip� anche la Cerminara? Lo 
pu� escludere o no?�; �No, dice Teresa Vigliaturo, questo lo escludo altrimenti 
me lo sarei ricordato�. Questa � una deposizione circostanziata, valida 
perch� aggancia al ricordo del �No, Rosetta Cerminara non mi ha chiesto 
niente >>, un fatto mnemonicamente valido: la conosco, se me l'avesse doman


I 

dato fra le sconosciute che c'erano, mi sarebbe rimasto in mente. 
E Rosetta Cerminara, infatti al primo annuncio non disse niente: � Cal


I

missima, tranquilla eroi � ma su quella tranquillit� di Rosetta Cerminara 

~ 

dal parrucchiere, non costruiamo una non conoscenza di Rosetta Cerminara di ~ 

I &

un fatto cos� tragico e quindi la falsit� della testimone, ma valutiamola per 
quel che fu. Erano scattati i freni inibitori e le difese di Rosetta! Intendiamo


ci. bene, Rosetta � pur sempre donna di Lametia, pu� essere moderna, diversa: 
da quelle donne quasi ieratiche, taciturne e vestite di nero, ma pur sempre 
donna di Lametia, ragazza di Lametia Terme. Quale pu� essere la prima reazione 
di un lametino che assiste ad un delitto? Ma se io ho sentito amici 
miei, non vi dico ovviamente chi e quanti e a che livello, dire: �Io? Se 
avessi visto non mi ci sarei immischiato per niente! A parte la seccatura 
di andare a testimoniare decine di volte, ma poi chi mi avrebbe garantito 
l'incolumit�? �. Questo � il clima nel quale viviamo, questo � l'ambiente, cos� 
siamo noi! 
Voi pensate che Rosetta Cerminara, a caldo, quando le ferite, n� quelle fisiche, 
n� quelle psicologiche si � ancora in grado di avvertire, pensate davve; 
ro che Rosetta Cerminara, quando � andata via a passo veloce, per allontanarsi 
il pi� possibile ed il pi� presto dalla scena del delitto, per mettere il 
maggiore spazio possibile tra lei e chi �aveva visto, forse anche preoccupata 
del fatto che qualcuno l'avrebbe potuta raggiungere, pensate che Rosetta o 
chiunque di noi o di voi, a 20 �anni o a 60, avesse deciso in quel primo, 
spontaneo impulso di autodifesa, di non dire niente, di far finta di niente, 


PARTE II, QUESTIONI 69 

di non avere visto nulla -pensate davvero che sarebbe andata dal parrucchiere 
con la faccia sconvolta, con la faccia alterata? Io mi sarei messo 
una maschera di cera, Rosetta si sarebbe magari �voluta cospargere di cipria 
il volto per evitare rossori o pallori visibili dall'esterno! questa � la verit� di 
quei momenti! � Tranquilla ero �; � Come vi � parsa Rosetta quando le avete 
parlato?; �Tranquilla, serena�, ha un attimo di tensione emotiva e ve l'ho 
detto prima, in quella sua dichiarazione: � accidenti, non posso andare a 
sciare domani! �, ma chi di noi, che non avesse effettivamente visto, come la 
difesa pretende che Rosetta non abbia visto, al sentir la notizia dell'uccisione 
di Aversa che ella conosceva e della moglie, avrebbe reagito con una dichiarazione 
cos� brutale? Non sarebbe stata pi� consueta, pi� umana una espressione 
di cordoglio? anche se .fossero stati due sconosciuti? perch� Rosetta non lo 
ha detto e non ha fatto gli stessi commenti che vennero naturali a quanti 
davvero non avevano visto niente? Ma perch� se li avesse fatti non avrebbe 
resistito all'emozione e si sarebbe tradita, bastava un niente perch� la facessero 
fuori il giorno dopo, bastava un niente! 

E Rosetta Cerminara a 20 anni, a Lametia, queste cose non era in grado di 
saperle? Non era in grado di temerle? Questa � la teste che la difesa assume 
essere falsa! .... 

Signori della Corte d'Assise di Catanzaro! 
Noi ci troviamo dinanzi ad un feroce delitto di 'ndrangheta, che � stato 
realizzato per moventi chiari, emersi dal processo e noti nella zona. 

Questo delitto atroce deve essere punito, deve essere la risposta dello Stato, 
risposta difficile, risposta purtroppo che colpisce soltanto parte degli esecutori 
materiali. 

Non c'� l'autista, non ci sono gli appoggi, non ci sono coloro che hanno 
garantito materialmente ed esecutivamente sul posto la possibilit� di realizzazione, 
non ci sono i mandanti. 

Ma voi dovete punire lo stesso, � imprescindibile questo vostro dovere e 
lo. farete con coscienza serena e tranquilla, pur nella gravit� delle pene che 
il Pubblico Ministero vi ha richiesto, perch� non vi � possibilit� di altre strade! 



TUTELA GIURIDICA DEI PROGRAMMI PER ELABORATORE 
E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE 


Il presente articolo tratter� aspetti relativi alla applicabilit� del d.lg. 
518/92 (attuativo della direttiva 91/250 CEE sulla tutela giuridica dei programmi 
per elaboratore elettronico) anche alle ipotesi di duplicazione di programmi 
effettuate dalla Pubblica Amministrazione. 

L'attuale testo della legge sul diritto d'autore, integrata dal dJg. 518/92, 
con pene particolarmente severe punisce una serie di abusi nell'uso del software, 
tra cui la duplicazione a fine di lucro e la detenzione a scopo commerciale 
(art. 171 bis). 

Si tratta pertanto di verificare se siano configurabili detti fini con riferimento 
alla Pubblica Amministrazione. 

Per quanto concerne il fine di lucro va rilevato che i primi commentatori 
della legge non hanno manifestato orientamenti univoci nella interpretazione 
del concetto. 

Taluni infatti rilevano che la nozione di scopo di lucro (come configurata 
dalla giurisprudenza penale in relazione ad altri reati) va riferita ad un vantaggio 
di tipo patrimoniale, ossia suscettibile di valutazione economica, che 
pu� consistere anche in un risparmio di spesa e che dunque pu� attagliarsi 
anche alle duplicazioni non realizzate nel contesto di una operazione economica, 
come nel caso della P .A. 

Altri, invece, ritengono che lo scopo di lucro vada ricavato, in negativo, 
dalla nozione di �uso personale �, alla quale viene contrapposta; pertanto poich� 
la duplicazione per uso personale (ammessa ai sensi dell'art. 68 legge 1941/633) 
importa senz'altro un risparmio di spesa per il duplicatore che intende usare 
il programma per s�, si deduce che il fine di lucro (vietato dall'art. 171 bis 
della legge) consista in un quid pluris (arricchimento) rispetto al mero risparmio 
di spesa e, comunque, presupponga un trasferimento a terzi (ossia 
un uso non personale). 

D'altro canto, secondo tale orientamento interpretativo, lo scopo di lucro 
pu� essere ricavato, in negativo, anche dalla nozione di scopo di liberalit�, 
cui sarebbe estraneo il vantaggio patrimoniale. 

Seguendo tale orientamento, dunque, dovrebbe escludersi il reato di cui 
all'art. 171 bis nel caso di duplicazione effettuata dalla Pubblica Amministrazione: 
in primo luogo perch� i programmi duplicati rimarrebbero nella disponibilit� 
della stessa Amministrazione e quindi non vi sarebbe un trasferilmento., 
a terzi; in secondo luogo perch� l'uso di terzi, seppure come tali 
si intendessero gli operatori dell'Amministrazione, sarebbe comunque gratuito. 

Tanto precisato in ordine al fine di lucro, resta da aggiungere qualche 
precisazione sul concetto di scopo commerciale previsto come fine che rende 
illecita la detenzione di copie di programmi non autorizzate. 

Si osserva in proposito che si contrappongono, tra i commentatori della legge, 
un criterio di interpretazione soggettivo, che riconosce la presenza del requisito 
solo in capo alle imprese commerciali individuate dalla dottrina commerciai-
civilistica ai sensi dell'art. 2195 cc, ed un criterio di interpretazione 
oggettivo, che collega il requisito non alla natura dell'agente bens� al fine 
della sua attivit� (scopo di far �commercio�). 

La duplicazione attuata dalla Pubblica Amministrazione, peraltro, sfugge 
ad entrambe le interpretazioni, mancando nella specie sia la presenza di una 
impresa commerciale e sia lo scopo di fare commercio dei programmi duplicati. 

Pi� complesso appare il problema della applicabilit� del reato previsto dall'art. 
171 legge 1933/633 alla P.A. 

PARTE II, QUESTIONI 

Tale fattispecie di reato, che parte della giurisprudenza ha applicato alla 
tutela del software anche prima dell'entrata in vigore del dlg. 518/1992, costituisce 
ipotesi di reato � residuale � integrabile ove non sussistano i presupposti 
per il reato speciale di cui all'art. 171 bis legge 1941/633. 

Occorre sottolineare che si tratta di un reato a dolo c.d. generico, diretto 
a ,'punire una serie di condotte (tra cui la riproduzione dell'opera altrui) per� 
meate dalla mera consapevolezza e volont� di dare corso alle stesse, prescindendo 
da qualsiasi fine di lucro o scopo commerciale. 

Consegue, dunque, che l'ambito applicativo della norma -notevolmente 
pi� vasto rispetto a quello dell'art. 171 bis -coincide con l'abusivit� della con 
dotta, abusivit� riscontrabile qualora l'attivit� esercitata dall'utilizzatore dell'opera 
esorbiti i limiti di uso imposti per legge ovvero per contratto dall'impresa 
titolare del diritto d'autore. 

Per quanto concerne i limiti di uso del software posti dalla legge si ricorda 
che l'art. 64 bis legge 1941/633 lett. a) riserva all'impresa la riproduzione del programma 
� anche temporanea�, � con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma � e 
che tale prerogativa � intesa nel senso che essa includa non solo la riprodu~ 
zione in copie del programma (su floppy o su altro supporto), bens� anche 
il semplice caricamento del programma nella memoria del calcolatore (c.d. 
loading, che viene inteso come riproduzione temporanea), nonch� il caricamento 
temporaneo del programma, residente su un server, nella memoria 
di pi� computer connessi in rete (c.d. accesso multiplo ad un programma da 
parte di pi� utenti di un solo sistema centrale). 

Pu� essere peraltro discussa la possibilit� di escludere il reato applicando, 
in sostanziale funzione discriminante di reato, l'art. 68 legge 1941/633 che riconosce 
come � libera la riproduzione ... per uso personale...fatta...con mezzi di 
riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell'opera nel pubblico�. 

La relativa applicazione alla Pubblica Amministrazione � dunque condizionata 
alla possibilit� di configurare come �personale � l'uso che dei programmi 
riprodotti faccia l'Amministrazione e alla possibilit� di escludere l'idoneit� 
allo spaccio o diffusione. 

In relazione a tale secondo punto si osserva che non sussiste idoneit� allo 
spaccio nel caso di riproduzione c.d. temporanea (eseguita mediante caricamento 
del programma di volta in volta sui vari computer ovvero mediante 
utilizzazione di un programma residente su server da pi� computer connessi 
in rete). 

Quanto all'uso personale � evidente la difficolt� di configurare tale requisito 
con riferimento ad un soggetto che .non sia una persona fisica. Infatti, deve 
escludersi che l'uso personale possa essere inteso nel senso che gli operatori 
che usino i programmi duplicati per fini istituzionali agiscano -in forza del 
rapporto di immedesimazione organica -per la P.A., cosicch� possa dirsi che 
siano integrati i presupposti per l'uso personale, ossia proprio della persona 
giuridica. 

Tale interpretazione, infatti, oltre ad essere contestata in dottrina, sarebbe 
difficilmente accettabile sul piano logico e giuridico in quanto finirebbe per 
estendere in modo abnorme l'ambito dell'uso personale ad ogni persona giuridica, 
pubblica e privata. 

Deve rilevarsi, peraltro, che secondo diverso indirizzo interpretativo l'uso 
personale va inteso non nel senso di uso proprio della persona fisica, bens� 
in senso relativo ed elastico, riferibile anche ad un ambito ristretto di persone 
(in via esemplificativa si cita espressamente l'ipotesi di un docente che utilizzi 
delle riproduzioni, nella specie fotocopie, nella cerchia ristretta dei suoi allievi). 

Non si escludono pertanto margini di applicabilit� dell'art. 68 legge 1941/633 
ove l'uso del software riprodotto sia circoscritto entro un ambito soggettiva



,, ,, 
72 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

mente ristretto e comunque tale, per numero di utilizzatori, da non costituire 
un comportamento violativo della concorrenza in pregiudizio dei diritti di 
utilizzazione economica dell'autore. 

Infine non pu� essere precluso all'utilizzatore del software un uso dei 
programmi che possa considerarsi normale alla stregua della natura e della 
destinazione, oggettiva e soggettiva, dei programmi stessi. 

Ad esempio ove si tratti di programmi didattici -ossia di programmi 
creati dall'autore come sussidio all'insegnamento e il cui uso presuppone una 
necessaria interrelazione tra docenti e discenti -pu� ritenersi che per l'ope� 
rativit� del programma sia necessaria la contemporanea utilizzazione dello 
stesso, 1da parte degli alunni e del loro docente, e quindi che la riproduzione.I 
del programma sia ammissibile nei limiti necessari per l'utilizzabilit� del 
software in conformit� della sua destinazione didatti.ca. 

Si osserva, infatti, che lo stesso dlg. 518/92 ha introdotto nella legge sul 
diritto d'autore l'art. 64 ter che consente -anche senza l'autorizzazione del 
titolare del diritto d'autore -la riproduzione del software ove sia � necessaria 
per l'uso del programma...conformemente alla sua destinazione da parte 
del legittimo acquirente�. 

Altro problema connesso all'entrata in vigore del d.lg. 518/92 attiene al diritto 
intertemporale. 

L'art. 11 dlg. 518/92 (art. 199 bis legge 1941/633) dispone l'app1icabilit� della 
legge anche � ai programmi creati prima della sua entrata in vigore �, ma non 
si pronuncia sui �fatti � commessi prima della entrata in vigore. 

Affrontando dunque il problema in via interpretativa si osserva che il d.lg. 
518/92 1per un verso ha sancito per la prima volta l'illiceit� penale dell'abuso 
sul software (che apparirebbe pertanto come una nuova incriminazione, cui 
dovrebbe applicarsi il principio della irretroattivit� della legge penale) e, per 
altro verso, ha incluso detto illecito in una fattispecie di reato gi� esistente 
e gi� 'in precedenza applicata da parte della giurisprudenza. 

Tale ultima considerazione fa ritenere prevedibile che la tesi destinata ad 
imporsi \Sia quella che esclude la nuova incriminazione, nel qual caso dovrebbe 
assumersi la rilevanza penale dei fatti commessi anche prima della entrata 
in vigore del d.lg. 518/92. 

Ci� posto sembra che possa pervenirsi ad un temperamento della sanzione 
penale invocando, per i fatti commessi anteriormente al d.lg. 518/92, l'errore 
come �,causa soggettiva di esclusione della colpevolezza sotto il profilo dell'errore 
sulla stessa qualificazione del software come opera dell'ingegno. 

Con riferimento alla P.A. si pone, infine, il problema dell'applicabilit� nelle 
norme di tutela contrattuale. 

Ai sensi dell'art. 8 d.lg. 518/92 le speciali azioni civilistiche previste dagli 
artt. 156-170 legge 1942/633 sono estese anche a �chi mette in circolazione in qualsiasi 
modo o detiene per scopi commerciali copie non autorizzate di programma
�. 

Sembra pertanto che, nel caso di duplicazione di programmi effettuata dalla 
Pubblica Amministrazione, possa essere esclusa sia la circolazione e sia lo scopo 
commerciale, con conseguente inapplicabilit� delle speciali azioni previste nella 
legge sul diritto d'autore. 

Ci� detto, peraltro, non pu� escludersi che la ditta titolare del diritto possa 
invocare l'ordinaria tutela contrattuale per inadempimento, ove la duplicazione 
del software costituisca attivit� riservata alla stessa ditta e pertanto 
preclusa all'utilizzatore del programma. 

GIANNA MARIA DE SOCIO 

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RASSEGNA DI L:EGISLAZIONE 


QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE 

I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI 

codice di procedura civile, art. 669-terdeci�s, nella parte in cui non ammette 
il reclamo ivi previsto, anche avverso l'ordinanza con cui sia stata rigettata 
la domanda di provvedimento cautelare. 

Sentenza 23 giugno 1994, n. 253, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

codice penale, artt. 17 e 22, nella parte in cui non escludono l'applicazione 
della pena dell'ergastolo al minore imputabile. 

Sentenza 28 aprile 1994, n. 168, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

codice penale, art. 69, quarto comma, nella parte in cui prevede che nei 
confronti del minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma 
dello stesso art. 69 in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui 
all'art. 98 del codice penale e una o pi� circostanze aggravanti che comportano 
la pena dell'ergastolo, nonch� nella parte in cui prevede che nei confronti 
del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma 
del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui 
all'art. 98 del codice penale e una o pi� circostanze aggravanti che accedono ad 
un reato per il quale � prevista la pena base dell'ergastolo. 

Sentenza 28 aprile 1994, n. 168, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

codice penale, art. 73, secondo comma, nella parte in cui, in caso di 
concorso di pi� delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno dei quali 
deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, 
prevede la pena dell'ergastolo. 

Sentenza 28 aprile 1994, n. 168, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

codice di procedura penale, art. 281, comma 2-bis. 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 109, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

codice di procedura penale, art. 301, secondo comma, nella parte in cui 
non prevede che, ai fini dell'adozione del provvedimento di rinnovazione della 
misura cautelare personale, debba essere previamente sentito il difensore della 
persona da assoggettare alla misura. 

Sentenza 8 giugno 1994, n. 219, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 124, terzo comma, nella parte in cui, nel 
disciplinare i requisiti di ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, 
prevede l'esclusione di coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, 

74 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

secondo l'apprezzamento insindacabile del Consiglio Superiore della Magistratura, 
appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa. 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 108, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

r.dl. 31 maggio 1946, n. 511, art. 34, secondo comma, nella parte in cui 
non consente alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura 
di disporre d'ufficio la nomina di un magistrato difensore. 

Sentenza 8 giugno 1994, n. 220, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 3, nella parte in cui prevede che i sequestri 
e i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato si eseguono presso 
l'Ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello Stato del Ministero 
del tesoro, anzich� presso l'organo dell'amministrazione che � titolare del 
potere di disporre la spesa. 
Sentenza 10 giugno 1994, n. 231, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

legge 3 agosto 1961, n. 833, art. 45, prbno comma, primo periodo, nella 
parte in cui non prevede il diretto deferimento a Commissione di disciplina 
qualora in base alle risultanze di accertamenti disciplinari il Comandante di 
Corpo o di zona o delle scuole ritenga che al militare sia da infliggere la 
sanzione della cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma, indicata 
alla lettera b) dell'art. 43 della stessa legge. 

Sentenza 26 maggio 1994, n. 197, G. U. 1� giugno 1994, n. 23. 

legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 2, primo comma, nella parte in cui non 
considera familiari agli effetti della stessa legge gli affini entro il secondo 
grado. 

Sentenza 5 maggio 1994, n. 170, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. 

legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59, primo comma, e d.P.R. 23 dicembre 1978, 

n. 915, art. 51, prbno comma, limitatamente alle parole �purch� il matrimonio 
sia durato non meno di un anno ovvero sia nata prole ancorch� postuma �, 
Sentenza 28 aprile 1994, n. 162, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 21 [cos� come modificato dall'art. 20 della legge 
30 aprile 1969, n. 153], nella parte in cui non prevede che nel caso di lavoro 
a tempo parziale svolto da pensionati l'ammontare della detrazione da effettuare 
per settimana di lavoro sia determinato dividendo l'bnporto della trattenuta 
settimanale relativo all'orario normale per il numero delle ore corrispondenti 
a tale orario, e moltiplicando il risultato per il numero delle ore effettivamente 
lavorate nella settimana. 
Sentenza 8 giugno 1994, n .221, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 6, primo comma, lett. a), in riferimento 
all'art. 4, lett. c), nella parte in cui non prevede garanzie di contraddittorio ai 
fini della declaratoria della decadenza dall'incarico di componente la commissione 
tributaria, per sopravvenuto difetto della � buona condotta "� 
Sentenza 31 marzo 1994, n. 107, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 7f 

d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 51, primo comma, e legge 18 marzo 1968, 
n. 313, art. 59, primo comma, limitatamente alle parole �purch� il matrimonio 
sia durato non meno di un anno ovvero sia nata prole ancorch� postuma�. 
Sentenza 28 aprile 1994, n. 162, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non 
prevede che la causa di ineleggibilit� a consigliere comunale del dipendente 
comunale cessi anche con il collocamento in aspettativa ai sensi del secondo 
comma dello stesso art. 2. 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 111, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non 
prevede che la causa di ineleggibilit� a consigliere provinciale del dipendente 
provinciale cessi anche con il collocamento in aspettativa ai sensi del secondo 
comma dello stesso art. 2. 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 111, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, secondo comma, nella parte in cui 
esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della 
legge 10 maggio 1976, n. 319. 

Sentenza 23 giugno 1994, n. 254, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 25, secondo comma [convertito in legge 
26 aprile 1983, n. 131], nella parte in cui demanda alla commissione arbitrale 
prevista dall'art. 1 del regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n. 36, convertito 
nella legge 9 aprile 1931, n. 460, la revisione delle misure dell'aggio, del minimo 
garantito e del canone fisso convenute nei contratti per l'accertamento e la 
riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicit�, dei diritti sulle pubbliche 
affissioni e delle tasse di occupazione di spazi ed aree pubbliche. 
Sentenza 2 giugno 1994, n. 206, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

d.I. 1� luglio 1986, n. 318, art. 14, terzo comma [convertito nella legge 
9 agosto 1986, n. 488], nella parte in cui, attraverso il rinvio all'art. 25, secondo 
comma, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito nella legge 26 aprile 
1983, n. 131, demanda alla commissione arbitrale prevista dall'art. 1 del regio 
decreto-legge 25 gennaio 1931, n. 36, convertito nella legge 9 aprile 1931, n. 460, 
la revisione delle misure dell'aggio, del minimo garantito e del canone fisso 
convenute nei contratti per l'accertamento e la riscossione dell'imposta comunale 
sulla pubblicit�, dei diritti sulle pubbliche affissioni e delle tasse di occupazione 
di spazi ed aree pubbliche. 
Sentenza 2 giugno 1994, n. 206, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 18, quinto comma [convertito in legge 
29 ottobre 1987, n. 400], nella parte in cui demanda alla commissione arbitrale 
prevista dall'art. 1 del regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n. 36, convertito 
nella legge 9 aprile 1931, n. 460, la revisione delle misure di cui allo stesso 
art. 18. 
Sentenza 10 giugno 1994, n. 232, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

17 



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 1� febbraio 1989, n. 53, art. 26, nella parte in cui, rinviando per l'accesso 
ai ruoli del personale della polizia di Stato al possesso delle qualit� morali 

76 

e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, 
prevede che siano esclusi coloro che, per le informazioni raccolte, non 
risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente, appartenenti 
a famiglia di estimazione morale indiscussa. 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 108, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

legge reg. Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, art. 11, lett. a), limitatamente all'inciso: 
� nelle zone assimilate alle zone � A� e � B � del d.m. 2 aprile 1968, 

n. 1444 e cio� nei centri edificati, nei nuclei minori, nelle aree sia residenziali 
che produttive a capacit� insediativa esaurita o residua e in quelle di completamento 
cos� definiti nei Piani Regolatori approvati ai sensi del titolo III 
della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni e integrazioni 
�. 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 110, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

legge 5 giugno 1990, n. 135, art. S, terzo e quinto comma, nella parte in cui 
non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositivit� all'infezione da 
HIV come condizione per l'espletamento di attivit� che comportano rischi 
per la salute dei terzi. 

Sentenza 2 giugno 1994, n. 218, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

d.lgs. 27 febbraio 1991, n. 79, art. 12, primo comma, lett. c), nella parte in 
cui richiede, per la partecipazione al concorso e per la nomina a maestro vice 
direttore della banda musicale della Guardia di finanza, il requisito del sesso 
maschile, previsto in generale per la nomina ad ufficiale in servizio permanente. 

Sentenza 19 maggio 1994, n. 188, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

d.l. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, secondo comma [convertito in legge 
14 novembre 1992, n. 438]. 
Sentenza 13 aprile 1994, n. 134, G. U. 20 aprile 1994, n. 17. 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, art. 2, primo comma, nella parte in cui 
dispone che, con atto di indirizzo e coordinamento, il Ministro della sanit� 
determina i requisiti minimi strutturali e tecnologici e stabilisce i criteri 
organizzativi uniformi ai quali gli istituti devono conformarsi. 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, art. 3, terzo comma, nella parte in cui 
richiede per la nomina del direttore generale dell'istituto zooprofilattico l'intesa 
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le pro


vince autonome. 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, art. 3, quarto comma, nella parte in cui 
dispone che, dei tre membri del collegio dei revisori degli istituti zooprofilattici, 
uno � designato dal Ministro della sanit� e uno dal Ministro del tesoro. 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

delibera legislativa reg. Trentino-Alto Adige, riapprovata il 24 settembre 1993, 
recante � Modifiche ed integrazioni al T.u. delle leggi regionali per l'elezione 
del Consiglio regionale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 
29 gennaio 1987, n. 2/L al fine di consentire la rappresentanza delle popo� 
lazioni ladine della provincia di Trento nel Consiglio regionale e provinciale �. 

Sentenza 10 giugno 1994, n. 233, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993, 
art. 4, comma 3, lett. b), nella parte in cui indica una data successiva al 23 marzo 
1992, e lettera d) nella parte in cui non prevede il pagamento di un corrispettivo 
adeguato al valore del diritto di abitazione, nonch� comma 6. 

Sentenza 5 maggio 1994, n, 169, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. 

legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, comma 22, nella parte in cui -nel 
caso di concorso di due o pi� pensioni integrate o integrabili al trattamento 
minimo, delle quali una sola conserva il diritto alla integrazione ai sensi dell'art. 
6, comma 3, del d.1. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 
1983, n. 638, non risultando superati al 30 settembre 1983 i limiti di 
reddito fissati nei commi precedenti -prevede la riconduzione all'importo a 
calcolo dell'altra o delle altre pensioni non pi� integrabili, anzich� il mantenimento 
di esse nell'importo spettante alla data indicata, fino ad assorbimento negli 
aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica. 

Sentenza 10 giugno 1994, n. 240, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE 

combinato disposto art. 2118 codice civile, art. 6, quarto comma, d.I. 22 dicembre 
1981, n. 791 [convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54] e 10 della 
legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 3 e 38 della Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1994, n. 225, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

codice di procedura civile, art. 429, terzo comma. 

Sentenza 2 giugno 1994, n. 207, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

codice di procedura civile, art. 513, primo e secondo comma (artt. 13 e 14 
della Costituzione). 

Sentenza 19 maggio 1994, n. 189, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 


78 

RASSEGNA AVVOCATURA DEU..O STATO 

codice di procedura penale, art. 207, secondo comma. 

Sentenza 2 giugno 1994, n. 208, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

codice di procedura penale, art. 238, prbno comma [nel testo sostituito 
dall'art. 3, primo comma, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 
1992, n. 356] (artt. 3 e 24 della Costituzione). 

Sentenza 26 maggio 1994, n. 198, G. U. 1� giugno 1994, n. 23. 

codice di procedura penale, art. 286-bis (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 2 giugno 1994, n. 210, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

codice di procedura penale, art. 308, secondo comma, secondo periodo 
(artt. 3, 25 e 76 della Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1994, n. 147, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 

codice di procedura penale, art. 403 (artt. 3 e 112 della Costituzione). 

Sentenza 16 maggio 1994, n. 181, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

codice di procedura penale, artt. 443 e 595, nella parte in cui non consentono 
al pubblico ministero, in esito al giudizio abbreviato, di proporre impugnazione 
incidentale nel caso in cui l'imputato proponga appello avverso la 
sentenza di condanna (artt. 3 e 112 della Costituzione). 

Sentenza 24 marzo 1994, n. 98, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

codice di procedura penale, artt. 500, comma 2-bis, e 512 (artt. 2, 3, 24, 25, 
76, 101, 111 e 112 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1994, n. 179, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

codice di procedura penale, art. 500, quarto comma (artt. 3, 24, 25 e 101 
della Costituzione). 
Sentenza 16 giugno 1994, n. 241, G. U. 22 giugno 1994, n. 26. 

codice di procedura penale, art. 689, nella parte in cui non include il 
decreto penale di condanna fra le pronunce non menzionabili ex lege nel 
certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta dell'interessato (art. 3 
della Costituzione). 

Sentenza 8 giugno 1994, n. 223, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

legge 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 51 e 69 (artt. 3 e 24 della Costituzione). 
Sentenza 13 aprile 1994, n. 135, G. U. 20 aprile 1994, n. 17. 

d.m. 8 luglio 1924, art. 37, terzo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 24 marzo 1994, n. 99, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE i9 

r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 144, lett. d), n. 6 (artt. 5, 128, 23 e 53 della 
Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1994, n. 182, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 206, secondo comma (artt. 3 e 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 5 maggio 1994, n. 173, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. 

legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 3, n. 1 (artt. 3 e 43 della Costituzione). 
Sentenza 23 giugno 1994, n. 257. G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

legge 12 febbraio 1955, n. 77, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1994, n. 151, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 141, primo comma (art. 24 della Costituzione). 
Sentenza 23 giugno 1994, n. 255, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 142-bis, primo comma (art. 24 della 
Costituzione). 
Sentenza 23 giugno 1994, n. 255, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

legge 9 luglio 1967, 11. 589, art. 4, primo comma, n. 1 (artt. 5, 128, 23 e 53 
della Costituzione). 

Sentenza 16 maggio 1994, n. 182, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, primo comma, secondo periodo (art. 3 
della Costituzione). 

Sentenza 2 giugno 1994, n. 213, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. 

legge 22 maggio 1974, n. 357, art. 2, nella parte in cui d� esecuzione all'art. 6 
della Convenzione europea in materia di adozione di minori. 

Sentenza 16 maggio 1994, n. 183, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 7 (artt. 3, 29, secondo comma, 30, 31, 
secondo comma, e 37 della Costituzione). 

Sentenza 21 aprile 1994, n. 150, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 

legge 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 19 maggio 1994, n. 193, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 


legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 10 giugno 1994, n. 237, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 



RASSEGNA AVVOCATURA DELl..O STATO

80 


legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 11, primo e secondo 
comma (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). 

Sentenza 10 giugno 1994, n. 234, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

d.I. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1, comma 5-bis [convertito in legge 
1� marzo 1985, n. 42] (artt. 24 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 28 aprile 1994, n. 163, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 20, primo comma, lett. c) e 22, ultimo 
comma (art. 3 della Costituzione). 

Sentenza 21 aprile 1994, n. 148, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 

r.d. 2 aprile 1985, n. 3095, artt. 4, 7 e 8 (artt. 5, 128, 23 e 53 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1994, n. 182, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 
legge 11 gennaio 1986, n. 3, artt. 1, 2 e 3 (art. 3 della Costituzione). 
Sentenza 16 maggio 1994, n. 180, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

legge 11 gennaio 1986, n. 3, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 13, primo comma, 16, 
primo comma, e 32 della Costituzione). 

Sentenza 16 maggio 1994, n. 180, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

d.1. 16 settembre 1987, n. 379, art. 1, comma 8 [convertito in legge 14 novembre 
1987, n. 468], nella parte in cui esclude i colonnelli provenienti da 
carriere e ruoli diversi, che abbiano maturato ventinove anni di servizio 
militare comunque prestato, dalla parziale omogeneizzazione stipendiale fra 
gli ufficiali delle Forze armate e gli appartenenti alle Forze di polizia (artt. 3 
e 97 della Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1994, n. 146, G. U. 27 aprile 1994, n.. 18. 

d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, secondo comma [convertito in legge 
28 febbraio 1988, n. 47] (artt. 24 e 42 della Costituzione). 
Sentenza 28 aprile 1994, n. 163, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

legge 21 novembre 1988, n. 508 (art. 3, primo comma, della Costituzione). 
Sentenza 19 maggio 1994, n. 193, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

legge reg. Lombardia 6 febbraio 1990, n. 7, art. 20 (art. 117 della Costituzione). 
Sentenza 7 aprile 1994, n. 125, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, comma 4-septies (artt. 3, primo comma, 
e 97, primo comma). 
Sentenza 16 maggio 1994, n. 184, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 



PARTE Il;. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

cU. 27 aprile. 1990, n; 90, art� 12, quinto comma [convertito in legge 26 giu� 
gno 1990i n. 165] (artt. 23 e 53 della Costituzione). 

Sente)lZa 10 giugno 1994, n; 236, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

legge 30 luglio 1990, n. 217, art. 1, comma 8 (artt. 3 e 24, commi 1 e 2, 
della (;ostitu;1;ione).. 
Seriteni�.16 giugno 1994, n. 243, G. U. 22 giugno 1994, n. 26. 

legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22 (artt. 24 e 42 della Cosdtuzione). 

Sentenza 28 aprile 1994, n. 163, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

legge 8 novembre 1991, n. 360, art. 3� (artt. 3, 24 e � 42 della Costituzione). 

Sentenza 28 aprile 1994, n. 166, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

legge� reg. Frluii~Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52; artt. 72, lett. b) 
e f), e 78 (artt. 3 e 25, secondo comma, della� Costituzione). 

Sentenza 24 marzo 1994, n. 100, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. 

legge reg. Frluli-Veriezia Giulia 19 novembre 1991, n; 52, artt: 78, primo 
comma e 68, terzo comma, lett. f) (artt. 3, 25, secondo comma, e 116 della Co� 
stituzione, art. 4 dello statuto spec. reg. Friuli). 

SenteJlZa 16 maggio 1994, n. 178, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 

legge 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, primo comma (artt. 3, 25, secondo 
comma, e 51, primo comma, della C9stituzione). 

Sentenza 31 marzo 1994, n. 118, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

combinato disposto artt. 18, primo comma, lett. b), 30, primo comma, 
lett. h) e 31, primo cQ:tnma, lett. g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (art. 25, 
secondo comma, della Costituzione). 

SenteJlZa 31 marzo 1994, n. 117, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

d.L 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, terzo comma [convertito nella. legge 8. ago� 
sto 1992, n. 359] (artt. 3 e 36 della Costituzione). 
Sentenza 28 aprile 1994, .n. 164, G. U. 4 waggio 1994, n. 19. 

d.l. 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, quarto comma [convertito nella legge 8 agosto 
1992, n. 359] (art. 36 della Costituzione). 
SenteJlZa 28 aprile 1994, n. 164, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. 

legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 4, quinto comma (artt. 3 e 36 della 
Costituzione). 

Sentenza 21 aprile 1994, n. 153, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 


82 

RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 13, commi 2 e 3, cos� come sostituito 
dall'art. 6-bis del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9 [c011vertito in legge 18 marzo 1993, 

n. 67] (artt. 3, 35, 36, 38, 101 e 104 della Costituzione). 
Sentenza 31 marzo 1994, n. 115 G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, primo, secondo e quarto comma, 
(artt. 3, 24, 55 e seg., 70 e seg., 92 e seg., 97 e seg., 101, 102, 103, 104, 108 e seg. 
e 113 della Costituzione). 

Sentenza 24 giugno 1994, n. 263, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

d.I. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 21 [convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68] 
(artt. 2, 3, 24, 28, 41 e 113 della Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1994, n. 155, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 

d.1. 18 getll'laio 1993, n. 8, art. 21 [convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68] 
(artt. 2, 3, 23, 24, 53 e 113 della Costituzione). 
Sentenza 16 giugno 1994, n. 242, G. U. 22 giugno 1994, n. 26. 

d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 21, terzo comma [convertito in legge 19 mar� 
zo 1993, n. 68] (artt. 24 e 25 della Costituzione). 
Sentenza 21 aprile 1994, n. 149, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 

d.I. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2 [convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75] 
(artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione). 
Sentenza 24 giugno 1994, n. 263, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

legge 24 marzo 1993, n. 75, art. 2, primo comma (artt. 3, 24, 55, 70 e seg., 
92 e seg., 97 e seg., 101, 102, 103, 104, 108 e seg. e 113 della Costituzione). 

Sentenza 24 giugno 1994, n. 263, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. 

d.1. 22 maggio 1993, n. 155, artt. 7, primo comma e 8-bis [convertito in 
legge 19 luglio 1993, n. 243]. 
Sentenza 8 giugno 1994, n. 222, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, art. 1, terzo comma, lett. b); 1, terzo comma, 
lett. d); 5 e 6 (artt. 76, 117, 118, e VIII disposizione transitoria e finale, commi 
secondo e terzo, della Costituzione). 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 128, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 
2, secondo e quinto comma; 3, primo, secondo, quinto e sesto comma (artt. 117, 
118 e 76 della Costituzione). 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 



PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, prbno, terzo, quarto e quinto comma; 
2, secondo e quinto comma; 3, prbno, secondo, quinto e sesto comma; 4; 5 e 10 
(artt. 8, n. 21; 9, n. 10 e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige e art. 76 
della Costituzione). 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, prbno, quarto e quinto comma; 2, se� 
condo comma; 3, secondo e sesto comma; 5, primo comma; 6, prbno comma, 
lett. a); 10; prbno comma (artt. 117, 118, 119, e 76 della Costituzione). 

Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. 

d.lgs. 1� settembre 1993, n. 385, artt. 15, commi prbno, terzo e quarto, e 
159, terzo comma (artt. 11 statuto spec. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 8 giugno 1994, n. 224, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

�d.lgs. 1� settembre 1993, n. 385, artt. 47, secondo e terzo con'lla, 152, primo 
comma, e 159 (artt. 3, 4 e 6 statuto spec. reg. Sardegna e art. 76 della 
Costituzione). 
Sentenza 8 giugno 1994, n. 224, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

d.lgs. 1� settembre 1993, 11. 385, art. 159 (artt. 5, n. 3, 16, primo comma e 
107, primo comma, statuto spec. Trentino-Alto Adige). 

Sentenza 8 giugno 1994, n. 224, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 

legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993, artt. 2, 
3, S, 6, secondo, terzo e quarto comma, 11, nonch� restanti commi dell'art. 4 
(artt. 3, 9 e 97 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1994, n. 169, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. 

legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993, 
artt. 7, terzo comma, e 8 (artt. 3, 9 e 97 della Costituzione). 

Sentenza 5 maggio 1994, n. 169, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. 

legge reg. Puglia riappr. il 21 dicembre 1993, articolo unico, primo, se� 
condo e quarto comma (art. 117, ultimo comma, della Costituzione). 

Sentenza 19 maggio 1994, n. 192, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 


CONSULTAZIONI 


AMBIENTE -Ente parco -Direttore di parco nominato con contratto di diritto 
privato -Se sia lavoratore dipendente -Contratto di nomina Applicabilit� 
dei divieti di cui all'art. 3 commi 23 e 24 legge n. 537/93. 

Se il direttore di parco, nominato ai sensi dell'art. 9 comma 11 legge 6 dicembre 
1991 n. 394, con contratto di diritto privato, sia lavoratore dipendente 
oppure autonomo e se i divieti (di assunzione di personale a tempo determinato 
e di stabilire prestazioni di lavoro autonomo per prestazioni superiori 
a tre mesi) posti dall'art. 3 commi 23 e 24 legge 24 dicembre 1993 n. 537, riguardino 
anche i contratti di nomina di direttori di parco (es. 902/94). 

ANTICHIT� E BELLE ARTI -Cose di interesse artistico e storico -C.d. privatizzazione 
di banche di interesse nazionale e di enti pubblici -Beni di interesse 
storico artistico di propriet� di questi -Regime giuridico -Effetti. 

Quali effetti determini sul regime dei beni di interesse storico artistico 
di propriet� di una banca di interesse nazionale (nel caso di specie COMIT 
S.p.A.) o di un ente pubblico la c.d. privatizzazione della banca o la trasformazione 
dell'ente pubblico in societ� per azioni (et. 11082/93). 

Immobili di interesse storico e artistico -Lavoro di riparazione -Effettuazione 
a spese di chi non sia il proprietario -Contributo ex art. 3 comma 2 legge 

n. 1552/61 -Erogabilit� all'effettuatore della spesa. 
Se il contributo delle spese di ripristino o conservazione di immobili di 
interesse storico-artistico, che lo Stato pu� erogare ai sensi dell'art. 3 comma 2 
legge 21 dicembre 1961 n. 1552, possa essere corrisposto a soggetto che pur 
non essendo il proprietario degli immobili ha provveduto ad eseguire i ridetti 
lavori di ripristino o conservazione (es. 3510/94). 

ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA -Croce Rossa Italiana -Affidamento dell'espletamento 
dei compiti di istituto a cooperativa -Possibilit�. 

Se nei confronti della Croce Rossa Italiana sia operante la deroga, al 
divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, posto 
dall'art. 1 legge 23 ottobre 1960 n. 1369, introdotta per gli enti senza finalit� 
di lucro che svolgano attivit� socio-assistenziale, dall'art. 6-bis d.l. 18 gennaio 1993 

n. 9 (che sostituisce l'art. 13 legge 23 dicembre 1992 n. 498) (es. 4051/93). 
CIRCOLAZIONE STRADALE -Veicoli adibiti a servizi di polizia o di soccorso -Infrazioni 
alle prescrizioni del codice della strada da parte dei conducenti nell'esple� 
tamento di servizi di istituto e facendo uso dei dispositivi di allarme -Irrogabilit� 
di sanzioni pecuniarie all'amministrazione proprietaria. 

Se possano essere irrogate all'amministrazione proprietaria di veicoli adibiti 
a servizi di polizia o antincendio (o di ambulanze) sanzioni pecuniarie 
amministrative a cagione di comportamenti, non conformi alle prescrizioni in 
materia di circolazione stradale, tenuti da conducenti dei veicoli stessi, nell'esple



PARTE II, CONSULTAZIONI 

tamento di servizi di istituto e facendo uso congiunto. sia del dispositivo sonoro 
di allarme, sia di quello di segnalazione visiva (luce lampeggiante blu) 
(es. 9418/93). 

Vigile del Fuoco in possesso di patente civile di guida -Conduzione di auto


mezzi adibiti a servizi di istituto in attesa di rilascio della patente c.d. 

militare -Possibilit�. 

Se, in attesa del rilascio della patente c.d. militare il Vigile del Fuoco, munito 
di patente civile ordinaria, possa essere adibito alla guida di autoveicoli 
di propriet� del Ministero dell'Interno in servizio di istituto (es. 8106/93). 

Violazioni alle norme del codice della strada dalle quali derivino danni alle 
persone -Procedimento penale contro l'autore -Sentenza irrevocabile di 
condanna -Mancata applicazione da parte del giudice penale della sanzione 
della sospensione della patente -Sospensione provvisoria disposta in precedenza 
dall'autorit� amministrativa -Perdita di efficacia. 

Se la sospensione della patente, disposta dall'autorit� amministrativa, in 
pendenza di procedimento penale (per omicidio colposo e lesioni colpose) nei 
confronti dell'autore di infrazione al codice della strada dalla quale siano 
derivati danni alle persone, perda efficacia nel momento in cui diviene irrevocabile 
la sentenza che abbia condannato l'imputato omettendo di irrogare 
la sanzione della sospensione della patente (es. 785/94). 

COMUNE -Comune con popolazione superiore a 10.000 abitanti -Sindaco -Indennit� 
di carica -Raddoppio ex art. 3 legge n. 816/85 -Presupposti -Dimissioni 
da ministro e/o segretario di Stato. 

Se spetti il raddoppio dell'indennit� di carica -ex art. 3 comma 2 legge 
27 dicembre 1985 n. 816 -a chi si sia dimesso da ministro della Repubblica e/o 
segretano di Stato nell'assumere la carica di sindaco (in un comune con 
popolatlone superiore a diecimila abitanti) (es. 1566/93). 

CREDITO � Ente creditizio pubblico legge n. 218/90 e d.lg. n. 356/90 -Conferimento 
dell'azienda bancaria in Societ� per Azioni -Conseguenze. 

Se a seguito delle � trasformazioni � in Societ� per Azioni di istituti di 
credito pubblici, gli enti conferenti l'azienda bancaria alla nuova societ� abbiano 
conservato la natura di enti pubblici o se siano trasformati in enti privati 
(ci� in relazione in particolare, ai problemi relativi alla necessit� di iscrizione 
nel registro delle persone giuridiche, al regime applicabile alle accettazioni di 
eredit� e di donazioni e agli acquisti di immobili, alla disciplina del rapporto 
di lavoro del personale) (es. 881/94). 

ENTI PUBBLICI -Enti pubblici economici -Norme disciplinanti l'accesso a documenti 
amministrativi (legge n. 241/90) -Applicabilit�. 

Se sia applicabile ad un ente pubblico economico (nella specie Ente Poste) 
la disciplina relativa all'accesso ai documenti amministrativi dettata dalla 
legge n. 241/90 (es. 3751/94). 


86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

Patrimonio � C.d. privatizzazioni di banche di interesse nazionale e di enti 
pubblici � Beni di interesse storico artistico di propriet� di questi -Regime 
giuridico -Effetti. 

Quali effetti determini sul regime dei beni di interesse storico artistico di 
propriet� di una banca di interesse nazionale (nel caso di specie COMIT S.p.A.) 

o di un ente pubblico la c.d. privatizzazione della banca o la trasformazione 
dell'ente pubblico in Societ� per Azioni (et. 11082/93). 
ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Indennit� cli esproprio . Determinazione Costruzione 
demolita quando era in itinere il procedimento di condono 
edilizio � Rilevanza. 

Se nella determinazione dell'indennit� di esproprio si debba tener conto 
di una costruzione che sia stata demolita dopo la presentazione della domanda 
di sanatoria edilizia e prima che questa sia stata accolta (es. 1978/94). 

Opere statali � Pronuncia clel decreto di esproprio in base al solo deposito dell'indennit� 
provvisoria non accettata -Legittimit�. 

Se nelle espropriazioni per pubblica utilit� dello Stato sia possibile emettere 
il decreto di esproprio quando si sia provveduto al deposito dell'indennit� provvisoria 
non accettata e prima che sia stata liquidata l'indennit� definitiva 
come determinata dai competenti organi tecnici (es. 851/94). 

IMPIEGO PUBBLICO � Diritti e doveri del dipendente -Imposizione cla parte dell'amministrazione 
del divieto di fumare nei luoghi di lavoro -Possibilit�. 

Se l'amministrazione possa imporre il divieto di fumare nei luoghi di lavoro 
(es. 3104/94). 

ISTRUZIONE E SCUOLE -Incarichi di insegnamento presso ISEF -Rapporto fra 
incaricato e ISEF -Natura -Lavoro subordinato o prestazione di opera. 

Se colui al quale sia conferito incarico di insegnamento presso un ISEF 
sia legato al predetto istituto da rapporto di lavoro subordinato (es. 8241/93). 

Personale della scuola -Impiego in attivit� non istituzionali -Limite posto 
dall'art. 5 d. lgs. 35/93 (1.000 unit�) ai comandi e collocamenti fuori ruolo Rilevanza. 


Se nel contingente di mille unit�, entro il quale l'art. 5 d.lgs. 12 fobbraio 1993 

n. 35 contiene l'impiego del personale della scuola in funzioni diverse da quelle 
di istituto, debbano essere ricompresi: a) i comandi, b) le collocazioni fuori 
ruolo (es. 866/94). 

PARTE II, CONSULTAZIONI 

Professori universitari con impegno a tempo pieno -Assunzione di cariche 
di rappresentanza e/o amministrazione in consorzi costituiti fra universit� 
-Possibilit�. 

Se i professori universitari, con impegno a tempo pieno, possano assumere 
cariche di rappresentanza e/o amministrazione in consorzi costituiti tra univer 
sit� (v. anche es 2583/94) (es. 2582/94). 

MINIERE, CAVE E TORBIERE -Attivit� di ricerca ed estrazione mineraria -Svolgimento 
in zona sottoposta a vincolo ex legge n. 1497/39 -Autorizzazione Competenza. 


Se l'autorizzazione paesistica ex art. 7 legge n. 1497/1939, in relazione ad 
attivit� di ricerca ed estrazione mineraria in zona vincolata, competa allo 
Stato o alla regione ed enti locali (es. 3377/93). 

OBBLIGAZIONI (IN GENERE) -Imposte -Crediti dell'erario -Pagamento ad opera di 
soggetto estraneo al rapporto di imposta -Surrogazione ex art. 1201 cc. Ammissibilit�. 


Se l'amministrazione delle finanze, ricevendo il pagamento del credito di 
imposta (nel caso di specie Iva) da un terzo estraneo al rapporto tributario, 
possa surrogarlo nei propri diritti verso il debitore (es. 1507/94). 

OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) -Appalto di opere pubbliche -Formazione del contratto 
-Scelta del contraente -Gara ufficiosa -Offerte presentate da distinte 
societ� che abbiano come legale rappresentante la medesima persona Ammissibilit�. 


Se sia ammissibile la partecipazione, ad una gara ufficiosa di appalto di 
opera pubblica, di distinte imprese che peraltro siano rappresentate dalla stessa 
persona fisica (es. 3785/93). 

Collaudo -Determinazione del compenso dei collaudatori -Fattispecie. 

Questioni sulla determinazione dell'ammontare dei compensi dei collaudatori 
delle opere pubbliche: a) se in caso di lavori di ristrutturazione possano 
applicarsi le maggiorazioni previste, per i collaudi di lavori di manutenzione, 
dalla tariffe proressionali degli ingegneri ed architetti; b) se la base sulla quale 
calcolare il compenso dei collaudatori debba essere comprensiva del ribasso 
d'asta e dell'alea revisionale o al netto di tali voci (e corrispondente quindi 
al netto pagato all'impresa) (es. 3215/93). 

PENSIONI -Personale dirigente dello Stato -Pensioni -Somme spettanti a 
seguito della sentenza 1/91 della Corte Costituzionale -Interessi e rivalutazione 
monetaria sulle spese -Se siano dovuti. 

Se siano dovuti rivalutazione ed interessi sulle somme riliquidate ai dirigenti 
dello Stato a titolo di pensione a seguito della sentenza 1/1991 della Corte 


88 RASSEGNA AVVOCATURA.DELLO STATO 

Costituzionale (che ha riconosciuto il diritto alla riliquidazione delle pensioni 
al personale dirigente collocato a riposo anteriormente al 1� gennaio 1979) 
(es. 621/94). 

POSTE E RADIOTELECOMUNICAZIONI � Servizi di telecomunicazione . Impianti e 
concessioni � Emittente pubblica � Concessioni e locazioni di beni immobili 
dello Stato � Riduzione di canone ex art. 1 legge n. 390/86 e 9 d.l. 16/93 � 
Usufruibilit� da parte della RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A. 

Se per la concessione dell'auditorium del Foro Italico, destinato ad attivit� 
concertistica, la RAI possa usufruire delle riduzioni di canone previste (per 
istituzioni, enti, associazioni culturali) dall'art. 1 legge 11 luglio 1986 n. 390 e 
9 d.I. 23 gennaio 1993 n. 16 (et. 10372/88). 

Soppressione A.S.S.T. � Dipendenti titolari di concessione di alloggio di servizio 
� Revoca o decadenza dalla concessione � Se si verifichi. 

Se il personale dell'ex azienda di Stato per i servizi telefonici, transitato 
alle dipendenze dell'Iritel o di amministrazioni dello Stato, conservi il diritto 

! ~ 

di usufruire dell'alloggio di servizio concesso dalla soppressa azienda (es. 579/94). 

PREVIDENZA � Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni � Erogazione 
di rendita vitalizia a proprio dipendente per infortunio sul lavoro � Surroga 
nei confronti del danneggiante -Ammissibilit�. 

I

Se l'amministrazione postale che (quale ente che gestisce l'assicurazione 
contro gli infortuni sul lavoro del proprio personale) abbia corrisposto al dipen


I 

I 
{::

dente una rendita vitalizia per invalidit� permanente, abbia diritto a rivalersi ~: 
in via di surroga nei confronti di colui che abbia cagionato l'infortunio del di
� 
pendente, per quanto da questi dovuto come risarcimento del danno biologico 
(es. 6116/92). 


PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Albo dei fornitori di beni e servizi occorrenti per 

I!

il funzionamento dell'amministrazione della P. S. � Iscrizione di imprese italiane 
aventi sedi operative all'estero -Ammissibilit�. 


Se ai fini della partecipazione a gare di forniture nazionali in favore della 
polizia, sia ammessa l'iscrizione all'albo dei fornitori dell'Amministrazione della 
Pubblica Sicurezza, di imprese che pur costituite ed operanti in Italia, abbiano 
costituito sedi operative anche all'estero (es. 9415/93). 

RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE -Soppressione dell'EFIM . Debiti per imposte delle 
societ� del gruppo -Sospensione del pagamento � Sussistenza. 

Se i crediti di imposta (nel caso di specie Iva) vantati nei confronti delle 
societ� del gruppo Efim (nel caso di specie Veneziana Conterie S.p.A.) siano, 
per effetto del d.I. 19 dicembre 1992 n. 487 conv. in legge 17 febbraio 1993 n. 33, ' 
sottoposti a sospensione del pagamento e, nella negativa, in che limiti e termini 

l 

e con quali procedimenti siano esigibili (es. 1033/94). 

E 

I I 

II 


PARTE II, CONSULTAZIONI 

SANZIONI AMMINISTRATIVE -Confisca ex legge n. 689/81 -Definitivit� del provvedimento 
-Fattispecie (provvedimento annullato dal Pretore con sentenza 
poi cassata e omessa riassunzione del giudizio) -Confisca di autoveicolo Vendita 
di questo da parte del proprietario prima che il provvedimento 
ablatorio sia trascritto -Conseguenze. 

Quando divenga definitivo il provvedimento di confisca (ex art. 20 legge 

n. 689/81) di un bene annullato dal Pretore, con sentenza poi cassata, ove 
nessuna delle parti abbia riassunto il giudizio nel termine di legge; se l'Amministrazione 
possa opporre la confisca a colui che abbia acquistato un autoveicolo 
(che si trovava nella disponibilit� del proprietario) quando il relativo 
provvedimento era gi� stato emesso ma non trascritto al PRA e -nell'ipotesi 
negativa -se possa, una volta divenuto definitivo H provvedimento, chiedere il 
risarcimento del danno al proprietario che abbia venduto l'autoveicolo, dopo che 
gli era stato notificato il provvedimento di confisca (et. 2060/84). 
STAMPA -Disciplina delle imprese editrici -Societ� editrici di giornali quotidiani 
-Obbligo di comunicazione scritta al garante dell'editoria ex art. 2 
comma 1 legge n. 416/81 -Trasferimento di azioni (partecipazioni o quote 
di propriet�) -Nozioni. 

Se l'obbligo -previsto dall'art. 2 comma 1 legge n. 416/81 -di dare 
comunicazione scritta all'ufficio del garante dell'editoria del trasferimento 
di azioni, partecipazioni o quote di propriet� di societ� editrici di giornali 
quotidiani (che interessino pi� del 10 o/o del capitale sociale o della propriet�, 
limite ridotto al 2 o/o per le societ� quotate in borsa) operi: 

a) nel caso di emissione di nuove azioni a seguito di aumento del capitale 
sociale; b) di acquisto delle azioni da parte di banche o societ� di intermediazione 
mobiliare (es. 9247/93). 

STAMPA -Stampa periodica -Impresa editrice di giornali -Societ� di capitali � 
Intestazione di azioni aventi diritto al voto o di quote a persona fisica 
Nozione. 

Se ai fini di quanto disposto dall'art. 1 comma 4 legge n. 416/81 (secondo 
il quale le azioni aventi diritto al voto o le quote di una societ� di capitali esercente 
impresa editrice di giornali quotidiani � possono essere intestate a societ� 
per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilit� limitata, solo se la 
maggioranza delle azioni aventi diritto di voto o delle quote di tale societ�, 
sono intestate a persone fisiche�) la titolarit� da parte di una persona fisica di 
diritto di pegno con diritto di voto su azioni ordinarie (intestate a societ�) possa 
considerarsi equivalente alla intestazione a persona fisica (es. 6690/93). 

TRASCRIZIONE -Conservatoria dei registri immobiliari -Visuristi di atti tenuti 
presso le Conservatorie dei RR.II. -Elaborazione dei dati raccolti -Creazione 
di archivi paralleli a quelli ufficiali -Legittimit�. 

Se colui che professionalmente esercita attivit� di visura degli atti tenuti 
dalle Conservatorie dei Registri Immobiliari possa legittimamente, eventual



RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 

mente munendosi di autorizzazioni o concessioni, procedere alla gestione ed 
elaborazione dei dati rilevati (in particolare creando propri archivi �paralleli� 
a quelli ufficiali) (es. 9106/93). 

TRIBUTI ERARIALI DIRETTI � Imposte dirette -Indennit� di esproprio di terreni 

.

edificabili -Plusvalenze (art. 81 comma 1 lett. b-tuir) realizzate da soggetti non ' 
esercenti imprese commerciali -Somme percepite dal 1� gennaio 1992 in 
relazione a titoli espropriativi anteriori a detta data -Imponibilit�. 


Se la tassazione, introdotta dall'art. 11 comma 5 legge n. 413/91, delle plusvalenze 
realizzate, da parte di soggetto non esercente imprese commerciali, 
in occasiop.e della percezione di indennit� di espropriazione di terreni edificabili, 
colpisca anche le somme percepite dopo l'entrata in vigore della ridetta legge 

n. 413/91 ma in relazione a titoli espropriativi venuti in essere precedentemente 
(es. 7854/93). 
IRPEF -Interessi ex art. 429 c.p.c. su retribuzioni corrisposte in ritardo -imponibilit� 
(art. 1 d.l. 30 dicembre 1993 n. 557). 

Se per effetto delle modificazioni apportate al T.u. delle imposte sui redditi 
dal d.l. 30 dicembre 1993 n. 557, siano tassabili gli interessi maturati ex art. 429 

c.p.c. sulle retribuzioni corrisposte in ritardo (es. 2591/94). 
TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Tributi doganali -Contrabbando -Depenalizzazione 
ex art. 2 legge n. 562/93 -Sussistenza -Effetti dell'eventuale depenalizzazione 
sulla possibilit� di sequestrare e confiscare le merci oggetto di contrabbando. 

Se per effetto dell'art. 2 legge n. 562/93 il contrabbando sia stato depenalizzato 
(quantomeno nelle ipotesi non aggravate), e, nell'affermativa, se siano 
ancora possibili il sequestro e la confisca delle merci oggetto di contrabbando 
(es. 857/94). 

TURISMO � Ente Nazionale Italiano per il Turismo -Assunzione di personale 
all'estero ex art. 20 legge n. 292/90 -Residenza triennale all'estero -Nozione Assunzione 
di dipendenti di ruolo dell'Enit, previe loro dimissioni. 

Se il requisito della residenza all'estero, previsto dall'art. 20 legge n. 292/90 
(quale condizione perch� un soggetto possa essere assunto dall'Enit, in uno 
stato estero, con contratto privatistico di diritto locale, per soddisfare esigenze 
degli uffici ivi esistenti) concerna tanto i cittadini italiani che gli stranieri, e 
sussista solamente quando, al momento della presentazione della domanda di 
assunzione, vi sia residenza, ininterrotta, per almeno tre anni, nello stato in 
cui si procede all'assunzione; e se possano essere assunti, presso uffici esteri 
dell'Enit, con contratto ex art. 20 legge n. 292/90, previe dimissioni, dipendenti di 
ruolo del ridetto ente che siano residenti all'estero per almeno (o pi�) di tre anni 
(es. 290/94). 

-