Progetto grafico dell'architetto CAROLINA VACCARO. ANNO XLVI -N. 2 APRILE -GIUGNO 1994 ~A��JECGNA PUBBLICAZIONE TRIMESTRALE DI SERVIZIO ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO ROMA 1994 ABBONAMENTI ANNO 1994 ANNO . � � . . . � .. . � � � � . .. .. . .. � � � � � � � . . . � � . � � � � � � � � L. 52.000 UN NUMERO SEPARATO � � . . . . � � . . . . � � � . � . . . � . . . . . � . � 13.500 Per abbonamenti e acquisti rivolgersi a: ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO Direzione Marketing e Commerciale Piazza G. Verdi, 10 -00100 Roma e/e postale n. 387001 Stampato in Italia -Printed in Italy Autorizzazione Tribunale di Roma Decreto n. 11089 del 13 1u1lio 1966 (7219005) Roma, 1995 -Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato P.V. INDICE Parte prima: GIURISPRUDENZA Sezione prima: GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE (a cura delfavv. Franco Favara) � . pag. 181 Sezione seconda: GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE (a cura del/'avv. Oscar Fiumara) > 258 Sezione terza: GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI (a cura degli avvocati Antonio Cingolo e Giuseppe Stipo) :t 291 Sezione quarta: GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA (a cura del/' avv. Raffaele Tamiozzo) .. > 311 Sezione quinta: GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA (a cura dell'avvocato Carlo Bafi/e) . . J 325 Parte seconda: QUESTIONI -RASSEGNA DI DOTTRINA RASSEGNA DI LEGISLAZIONE -INDICE BIBLIOGRAFICO CONSULTAZIONI QUESTIONI ........ . pag. 33 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE > 74 CONSULTAZIONI ..... . > Comitato di redazione: Avv. D. Del Galzo -Avv. G. Mangia - Avv. M. Salvatorelll -Avv. F. Sclafanl La pubblicazione � diretta dall'avvocat~ UGO GARGIULO ARTICOLI, NOTE, OSSERVAZIONI, QUESTIONI C. BAFILE: � superato il principio della giurisdizione condizionata nel processo tributario? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 33 F. BASILICA: False light in the public eye: luci ed ombre del percorso giurisprudenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II. 38 A. CINGOW: Dal diritto di accesso al diritto alla curiosit�: breve storia di una involuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I. 311 G. M. DE SOCIO: Tutela giuridica dei programmi per elaboratore e pubblica amministrazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . II, 70 P. DI TARSIA DI BELMONTE: L'arringa in difesa del Ministero dell'Interno, parte civile nel processo per l'omicidio del Soprintendente di Polizia Salvatore Aversa e della moglie . . . II, 53 O. FIUMARA: Decisione giudiziaria e transazione giudiziaria nella Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 I. 275 O. FIUMARA: Luogo di adempimento dell'obbligazione in caso di vendita internazionale di merci ai fini della competenza giurisdizionale I, 282 A. MUTARELLI: Occupazioni per interventi di interesse statale e termine di efficacia per la loro attuazione . . I, 238 PARTE PRIMA INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA AMBIENTE -Tutela -Decreto ministeriale -Funzione di indirizzo e coordinamento Competenza dei Ministri, 194. APPALTO (CONTRATTO DI) -Appalto di opere pubbliche � Revisione prezzi -Posizione dell'appaltatore -Natura di diritto soggettivo tutelabile davanti all'AGO -Condizioni -Adozione di un provvedimento di riconoscimento del diritto alla revisione da parte della P .A. -Sussistenza, 304. ATTO AMMINISTRATIVO -Documento amministrativo -Diritto di accesso -Pendenza di un giudizio -Tutela del diritto di accesso ex art. 25 legge 241/90 e istanza di acquisizione istruttoria -Concorrenza tra i due mezzi -Possibilit�, con ' nota di A. CINGOLO, 311. BELLEZZE NATURALI -Vincolo paesaggistico -Regione Legge regionale limitativa della legge statale _-Illegittimit�, 192. CIRCOLAZIONE STRADALE ..,... Uso del casco da parte degli utenti di motocicli -Diritto di libert� e tutela della salute -Legittimit�, 215. COMUNIT� EUROPEE ...,. Gonv'enzione di, Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Competenza territoriale -Luogo di adempimento dell'obbligazione -Legge uniforme sulla vendita, con nota di O. FIUMARA, 282. - Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale -Riconoscimento delle decisioni -Preesistenza di decisioni rese fra le medesime parti. Nozione -Transazione giudiziaria, con nota di 0. FIUMARA, 275. -'-Libera prestazione dei servizi -Libera circolazione delle merci -Concessione del sistema di automazione del gioco del lotto, 258. -Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio di pilotaggio -Tariffe discriminatorie -Concorrenza, 266. ..,-Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio di pilotaggio -Tariffe discriminatorie -Libera prestazione dei servizi, 266. ELEZIONI -Cause ineleggibilit� sopravvenute � Retroattivit� -Legittimit�, 199. ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Decreto di occupazione temporan~ e d'urgenza per opere e interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115 convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247 -Efficacia trimestrale (art. 20, comma 1�, legge 22 ottobre 1971, n. 865), con nota di A. MUTARELLI, 238. -Decreto di occupazione temporanea d'urgenza per opere e interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO VI 1974, n. 115, convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247 -Efficacia trimestrale (art. 20, legge 22 ottobre 1971, n. 865) -Legittimit� costituzionale dell'art. 20, comma 1�, legge n. 865/1971, con nota di A. MUTA� RELLI, 237. -Espropriazione di bene indiviso � Giudizio di opposizione alla stima iniziato da uno dei comproprietari espropriati -Estensione degli effetti dell'opposizione ai comproprietari non partecipanti al giudizio -Insussistenza, 295. -Occupazione acquisitiva -Azione a tutela del privato per la perdita del diritto dominicale -Emanazione tardiva del decreto di esproprio -Opposizione alla stima -Inammissibilit� -Diritto al risarcimento del danno per fatto illecito dell'occupante Sussistenza, 295. -Occupazione acquisitiva -Perfezionamento -Elementi necessari, 295. FAMIGLIA -Adozione -Convenzione europea di Strasburgo 24 aprile 1967 -Ammissibilit� adozione da parte di persona singola -Carattere non autoesecutivo della norma pattizia, 218. FORZE ARMATE -Accesso ai ruoli -Informazione sulla famiglia -Ordinamento giudiziario Accesso ai ruoli della magistratura Informazioni sulla famiglia -Illegittimit�, 188. GIURISDIZIONE CIVILE -Giurisdizione ordinaria o amrmmstrativa -Impiego pubblico -Enti pubblici -Dipendenti degli enti mutualistici soppressi, trasferiti alle USL -Diritto all'eccedenza ex art. 76 d.P.R. 761 del 1979 -Oggetto � Restituzione di contributi versati oltre il dovuto � Indebito oggettivo -Configurabilit� -Giurisdizione dell'AGO � Sussistenza -Pretesa della rivalutazione automatica del credito -Estensione -Riferimento all'art. 1224 e.e. � Irrilevanza, 302. PENA -Ergastolo -Reato commesso da minorenne -Protezione infanzia -Illegittimit� costituzionale, 201. PROCEDIMENTO PENALE -Prove -Perizia effettuata nella forma di incidente probatorio durante altro procedimento penale a carico di altri imputati -Acquisizione -Limiti, 226. PROFESSIONI -Psicologi � Albo professionale -Iscri zione in regime transitorio ai sensi dell'art. 32 lett. d) legge n. 56/89 Ambito di applicazione -Soggetti che abbiano avuto modo di eccellere nelle discipline psicologiche � Valutazione riservata al giudice di merito -Incensurabilit� in cassazione, 291. PROVINCE -Legislazione antimafia -Poteri del Prefetto � Estensione alla Provincia di Bolzano, 223. REGIONI (A STATUTO ORDINARIO) -Agricoltura e foreste -Regolamento ministeriale per l'applicazione del regolamento CEE n. 2092 del 1991 Mancanza di esplicita attribuzione al Ministro del potere regolamentare -Illegittimit� del regolamento ministeriale, 185. -Beni di interesse artistico o storico appartenenti a musei locali o di interesse locale -Rimozione e restauro -Autorizzazione statale, 181. -Intesa -Mancanza -Necessit� motivazione dell'atto governativo -Coordinamento paritario, 195. INDICE ANALITICO-ALFABETICO DELLA GIURISPRUDENZA Vll TRIBUTI ERARIALI DIRETTI -Accertamento -Domicilio fiscale Incompetenza dell'ufficio -Nullit�, 371. - Dichiarazione -Dichiarazione congiunta dei coniugi -Condono domandato da uno solo -Sopravvivenza della solidariet� per l'obbligazione non investita dal condono, 350. -Dichiarazione -Rimborsi -Ritrattazione -Limiti, 352. -Riscossione -Iscrizione a ruolo provvisoria -Interessi -Disciplina anteriore all'art. 5 del d.I. 27 aprile 1990 n. 90 -Esclusione, 370. -Sanzioni -Societ� di persone -Dichiarazione infedele della societ� Responsabilit� del socio, 375. TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Agevolazioni -Credito a medio e lungo termine -Definizione, 327. -Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Case albergo -Equiparazione alle case di abitazione -Esclusione, 357. -Imposta di registro -Concordato fallimentare -Imposta proporzionale -:g dovuta, 355. -Imposta di successione -Base imponibile -Valore di azioni non quotate -Riferimento alla situazione patrimoniale della societ� -Criteri civilistici dell'art. 2424 e.e. -Esclusione -Apprezzamento del valore venale del patrimonio sociale, 340. -Imposta sulle successioni e donazioni -Base imponibile -Valutazione automatica in base ai redditi catastali -Difetto di dichiarazione specifica dei singoli beni -Conseguenza, 347. -Imposta sul valore aggiunto -Sanzioni -Continuazione -Applicabilit� -Limiti, 329. -Imposte ipotecarie e catastali -Base imponibile -Riferimento alla im posta di registro ma con esclusione di crediti e debiti relativi all'azienda, 331. -Riscossione -Azione esecutiva per il pagamento -Stato di insolvenza del debitore -Revocatoria fallimentare -Art. 51 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 -Inapplicabilit�, 332. TRIBUTI IN GENERE -Accertamento -Notificazione -Consegna al portiere -Mancato invio di raccomandata -Semplice irregolarit� -Nullit� -Esclusione, 346. -Contenzioso tributario -Competenza degli uffici -Sdoppiamento degli uffici del registro delle grandi sedi Rilevanza esterna, 359. -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione -Imposta di registro -Nota del cancelliere che liquida le spese prenotate a debito -Giurisdizione della commissione, 343. -Contenzioso tributario -Giudizio di rinvio dopo la cassazione -Produzione in copia autentica della sentenza di cassazione -Difetto -Inammissibilit�, 373. -Contenzioso tributario -Ricorso per cassazione -Termine -Art. 327 c.p.c. Si applica -Omessa comunicazione della data dell'udienza innanzi alla commissione -Irrilevanza, 325. -Dichiarazione -Imposte sui redditi Rimborsi -Ritrattazione della dichiarazione -Limiti -Materialit� dell'errore, 352. -Riscossione -Ingiunzione -Motivazione -Non � necessaria, 345. -Sanzioni -Amministratore di persona giuridica -Responsabilit� dell'ente amministrativo -Condizioni, 376. -Violazioni delle leggi finanziarie Sanzioni -Pena pecuniaria -Prescrizione -Art. 17 legge 7 gennaio 1929 n. 4 -:g sostituita dalla decadenza dell'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, 363. VJll RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO TRIBUTI LOCALI -Imposta locale sui redditi -Redditi fondiari -Tassazione separata -Deduzioni di spese e interessi -Esclusione, 367. -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Decorso decennio Fabbricati destinati all'esercizio di attivit� commerciali -Pertinenze Esenzione -Condizioni, 361. -Imposta sull'incremento di valore degli immobili -Spese di acquisto Dichiarazione -Termini -Decadenza, 366. URBANISTICA -EDILIZIA -Abusivismo -Repressione -Acquisizione al patrimonio comunale opere abusive -Concessione diritto di abitazione -Pagamento indennit� rapportato ad oneri urbanizzazione -Illegittimit� costituzionale, 210. � -Edilizia -Abusivismo -Repressione Acquisizione al patrimonio comunale opere abusive -Concessione diritto di abitazione -Presupposti temporali irrazionalit� -Illegittimit� co stituzionale, 209. INDICE CRONOLOGICO DELLA GIURISPRUDENZA CORTE COSTITUZIONALE 10 giugno 1993, n. 277 10 giugno 1993, n. 278 31 marzo 1994, n. 108 31 marzo 1994, n. 110 31 marzo 1994, n. 113 31 marzo 1994, n. 116 31 marzo 1994, n. 118 28 aprile 1994, n. 168 5 maggio 1994, n. 169 ...... 16 maggio 1994, n. 180 ...... 16 maggio 1994, n. 183 19 maggio 1994, n. 191 26 maggio 1994, n. 198 2 giugno 1994, n. 213 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE � Sed. plen., 26 aprile 1994, nella causa C-272/91 Sed. plen., 17 maggio 1994, nella causa C-18/93 6" sez., 2 giugno 1994, nella causa C-414/92 Sed. plen., 29 giugno 1994, nella causa C-288/92 GIURISDIZIONI CIVILI CORTE DI CASSAZIONE Sez. Un., 3 marzo 1994, n. 2081 Sez. I, 9 marzo 1994, n. 2303 Sez. I, 9 marzo 1994, n. 2304 Sez. I, 11 marzo 1994, n. 2387 Sez. I, 23 marzo 1994, n. 2771 Sez. Un., 30 marzo 1994, n. 3131 Sez. I, 10 aprile 1994, n. 3343 Sez. Un., 18 aprile 1994, n. 3684 Sez. I, 18 aprile 1994, n. 3691 Sez. Il, 19 aprile 1994, n. 3716 Sez. I, 20 aprile 1994, n. 3767 Sez. I, 20 aprile 1994, n. 3769 . pag. 181 � 185 � 188 � 192 )) 194 � 195 )) 199 )) 201 )) 209 )) 215 218 � 223 226 )) 237 pag. 258 )) 266 275 282 pag. 238 )) 325 327 � 329 )) 331 )) 332 )) 340 )) 343 )) 345 )) 291 )) 346 )) 347 X RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Sez. I, 29 aprile 1994, n. 4168 Sez. I, 2 maggio 1994, n. 4239 Sez. I, 3 maggio 1994, n. 4253 Sez. I, 4 maggio 1994, n. 4317 Sez. I, 9 maggio 1994, n. 4522 Sez. I, 13 maggio 1994, n. 4683 Sez. Un., 20 maggio 1994, n. 4965 Sez. Un., 25 maggio 1994, n. 5121 Sez. I, 1� giugno 1994, n. 5320 Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5430 Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5432 Sez. I, 7 giugno 1994, n. 5501 Sez I, 10 giugno 1994, n. Sez. I, 16 giugno 1994, n. Sez. I, 24 giugno 1994, n. Sez. I, 24 giugno 1994, n. Sez. I, 24 giugno 1994, n. Sez. I, 27 giugno 1994, n. 5650 5826 6104 6105 6106 6157 GIURISDIZIONI AMMINISTRATIVE CONSIGLIO DI STATO Sez. VI, 16 giugno 1994, n. 1015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 350 )) 352 ~ f:: )) 355 w @ )) 357 t )) 295 m< )) 359 r:� )) 302 � 304 )) 361 )) 363 )) 366 )) 367 )) 370 )) 371 )) 373 )) 375 )) 376 )) 352 pag. 311 PARTE SECONDA QUESTIONI ................... pag. 33 RASSEGNA DI LEGISLAZIONE: QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE: � 74 I -Norme dichiarate incostituzionali � 78 Il -Questioni dichiarate non fondate . ,. CONSULTAZIONI .......................... 85 PAR TE PRIMA GIURISPRUDENZA SEZIONE PRIMA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1993 n. 277 -Pres. Casavola - Red. MirabelLi -Regione J..;iguria (avv. Zanchini) e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Regioni (a statuto ordinario) � Beni di interesse artistico o storico appar tenenti a musei locali o di interesse locale � Rimozione e restauro � Autorizzazione � Competenza statale. Il restauro � attivit� distinta dalla conservazione e .manutenzione; esso implica un intervento sulla cosa volto a mantenerla o modificarla per assicurare il valore ideale che essa esprime. Compete allo Stato autorizzare il restauro, ai sensi dell'art. 11 della legge 1� giugno 1939, n. 1089, dei beni di interesse artistico o storico ancorch� appartenenti a musei di enti locali o di interesse locale (1). Il conflitto di attribuzione, proposto dalla Regione Liguria in relazione alla ingiunzione che ad essa ha rivolto il Ministero per i beni culturali per sospendere il restauro di un piviale di propriet� del Monastero dei SS. Giacomo e FiLippo, in deposito presso il Museo di S. Maria di Castello in Genova, tende ad affermare che non spetta allo Stato rilasciare l'autorizzazione alla rimozione ed al restauro delle cose di interesse artistico, prevista dall'art. 11 della legge 1� giugno 1939, n. 1089, quando si tratti di beni che appartengono a � musei di enti locali o di interesse locale �. La Regione ricorrente rivendica la propria competenza in materia, e di conseguenza assume che l'atto denunciato � invasivo, perch� viola gli artt. 117 e 118 della Costituzione, iin relazione all'art. 7 del decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1972, n. 3, ed all'art. 47 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616. La prima di queste disposizioni ha trasferito alle regioni a statuto ordinario le :fwraioni amministrative degli organi centrali e periferici dello Stato, in materia di musei e biblioteche di enti locali. Il trasferimento riguarda, tra l'altro, le funzioni concernenti �la manutenzione (1) Sentenza di notevole interesse; le indicazioni in essa contenute dovrebbero orientare e limitare eventuali futuri interventi del legislatore ordinario. 182 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO delle cose raccolte nei musei e nelle biblioteche di enti locali o di interesse locale� (art. 7, lettera b, del d.P.R. n. 3 del 1972). Successivamente sono state legislativamente definite le funzioni amministrative relative alla materia �musei di enti locali�, come concernenti tutti i servizi e le attivit� che riguardano l'esistenza, la conservazione, il funzionamento, il pubblico godimento e lo sviluppo dei musei, delle raccolte di interesse artistico appartenenti aUa Regione o ad altri enti sottoposti alla sua vigilanza, o comunque di interesse locale (art. 47 del d.P.R. n. 616 del 1977). La Regione Liguria ritiene che il trasferimento di competenze debba essere riforito non solo alle istituzioni museali, alle raccolte ed ai beni .in esse contenuti, ma (in ragione dell'interesse locale che i beni esprimono) anche ad ogni funzione di tutela che si riferisca ad essi, compresa l'autorizzazione (prevista dall'art. 11 della legge n. 1089 del 1939) per il restauro dei beni. Quest'ultima attivit� sarebbe anzi compresa, ad avviso della Regione, nella conservazione e manutenzione delle raccolte e dei beni appartenenti ai musei di enti locali o di interesse locale, ovvero in essi custoditi. Ricadrebbe quindi in un ambito di funzioni specificatamente trasferite alle regioni. La Corte ha gi� avuto occasione di osservare che la materia � musei e biblioteche di enti locali�, attribuita dagli artt. 117 e 118 della Costituzione alla competenza normativa ed amministrativa delle regioni, nella sequenza delle disposizioni legislative di settore (in particolare il titolo II del d.P.R. n. 3 del 1972 ed il titolo III, capo VII, del d.P.R. n. 616 del 1977) ha assunto una dimensione che si estende oltre l'ambito soggettivo dell'appartenenza del museo o deHa biblioteca, per collegare la competenza regionale al profilo oggettivo de1la localit� dell'interesse che tali istituzioni rivestono (sent. n. 921 del 1988). Alla base dell'ampio trasferimento di funzioni, operato dall'art. 47 del d.P.R. 616 del 1977 in materia di musei e biblioteche, vi � la distinzione tra interesse nazionale ed interesse locale, quale criterio di divisione fra le competenze conservate allo Stato e quelle assegnate alle regioni (sent. n. 278 del 1991). Il principio di distinzione delle competenze non � quindi costituito dall'appartenenza del museo o dei beni in esso raccolti. Risulta cos� superata l'eccezione di inammissibilit�, formulata dall'Avvocatura dello Stato, che intende far leva sul fatto che il piviale da restaurare non appartiene al museo, ma � in deposito presso di esso. La Corte ha tuttavia allo stesso tempo osservato che, per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione dei beni culturali, il trasferimento di competenze avrebbe dovuto essere stabilito da un'apposita legge, che l'art. 48 del d.P.R. n. 616 del 1977 prevedeva fosse emanata entro il 1979. Non � stata quindi modificata la competenza statale in questo ambito, giacch� il d.P.R. n. 616 del 1977 ha rinviato la determinazione delle competenze da conferire alle regioni in materia di tutela del patri PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE monio artistico o storico, in ordine alle quali vi � l'aspettativa di una investitura non ancora attuata. Sicch�, � in attesa della preannunciata normativa di trasferimento o di delega, nella quale dovrebbero essere definite le diverse competenze e il loro congiunto operare per la tutela e l'incremento di valori culturali, la situazione normativa � caratterizzata dell'attribuzione allo Stato dei poteri inerenti alla protezione del patrimonio storico e artistico della Nazione� (sent. n. 921 del 1988). D'altra parte, pur rimanendo nell'ambito dei musei appartenenti ad enti locali, di sicura competenza regionale, si � non di rado in presenza di beni di tale rilevanza artistica o storica, da attingere ad un interesse culturale nazionale. L'appartenenza del museo e le attribuzioni in ordine ad esso non rappresentano quindi un decisivo criterio di discrimine in ordine alla competenza relativa all'autorizzazione per il restauro delle singole cose. In conclusione si pu� ritenere che non vi � stata una onnicomprensiva attribuzione alle regioni delle funzioni amministrative relative ai beni culturali di interesse locale, idonea a fondare la pretesa dell'esclusione del potere statale di autorizzazione per cil restauro di cose di interesse aTtistico o storico, in ragione di una distinzione di competenza ad adottare tale atto basata sull'interesse, nazionale o locale, che il bene esprime. Questa distinzione � stata assunta a criterio di discriminazione nell'esercizio di competenze statali o regionali, ma esclusivamente per funzioni espressamente delegate alle regioni (in forza dell'art. 9 del d.P.R. n. 3 del 1972), quali la concessione di licenze o nulla osta per l'esportazione dei beni o delle cose di valor,e artistico o storico, che � rimasta alla competenza statale se si tratta di cose rilevanti per il patrimonio artistico, storico o bibliografico nazionale, mentre � devoluta alla competenza regionale se l'interesse che tali cose rivestono � solo locale (sentenza n. 278 del 1991). Diffiidlmente, quindi, si pu� sostenere che, per le altre funzioni non delegate, la competenza attribuita alle regioni sia addirittura pi� ampia di quella ad esse espressamente devoluta in forza di apposite deleghe La Regione Liguria propone la specifica indicazione delle funzioni trasferite quale ulteriore argomento per sostenere l'affermazione della propria competenza. In particolare la ricorrente assume che la ma nutenzione e la conservazione dell'integrit� delle cose raccolte nei musei affidati alla propria competenza (art. 7, lettera h, del d.P.R. n. 3 del 1972; art. 47 del d.P.R. n. 616 del 1977) designano attivit� e funzioni che com prendono il restauro delle cose stesse, quindi anche la competenza al rilascio della relativa autorizzazione (in base all'art. 11 dell legge nu mero 1089 del 1939). L'assimilazione delle nozioni di manutenzione, conservazione e restauro, ovvero la loro reciproca fungibilit�, non pu� essere accolta. H RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 184 termine � restauro � esprime un proprio peculiare contenuto ed ha una consolidata autonomia concettuale e definitoria. Gi� la legge 20 giugno 1909, n. 364, distingueva il restauro dall'adozione di provvidenze idonee ad impedire il deterioramento delle cose di interesse artistico o storico, come pure dalla cura della foro integrit� e sicurezza. Il regio decreto 30 ge:pnaio 1913, n. 363 {tuttora in vigore ai sensi deH'art. 73 della legge n. 1089 del 1939), considera la � conservazione � delle cose di interesse storico e artistico separatamente dai �lavori e restauri �, Ancora di recente la legge 10 febbraio 1992, n. 145, distingue la manutenzione ordinaria e straordinaria del patrimonio architettonico, archeologico, artistico e storico, bibliografico e archivistico, dal recupero, salvaguardia e restauro (art. 1). Quest'ultimo implica sempre un intervento diretto sulla cosa, volto (nel rispetto deH'Jdentit� culturale della stessa) a mantenerla o modificarla, per assicurare o recuperare il valore ideale che essa esprime, preservandolo e garantendone la trasmissione nel tempo. Si tratta di un'attivit� che richiede valutazioni tecnico-scientifiche, adeguati metodi esecutivi, talvolta analisi interdisciplinari dei problemi che il restauro pone, ed 1elevatissima specializzazione. Tanto pi� che l'intervento pu� arrecare pregiudizJo, anche irreversibile, alla cosa, nella sua fisica consistenza o nel valore e nell'identit� culturale che esprime ed � destinata a tramandare. Queste esigenze sono tanto peculiari, nel contesto delle attivit� che riguardano i beni culturali, da aver dato luogo alla costituzione di un apposito Istituto centrale per il restauro, con lo specifico scopo di � eseguire e controllare il restauro delle opere di antichit� e d'a11te e di svolgere ricerche scientifiche dirette a perfezionare ed unificare i metodi� (art. 1 della legge 22 luglio 1939, n. 1240). Il restauro � dunque un'attivit� che ha caratteristiche proprie, diverse rispetto al mero mantenimento delle condizioni, per lo pi� esterne, di conservazione della cosa, secondo le esigenze tipiche della manutenzione. Il restauro si distingue anche dagli altri interventi diretti ad assicurare l'integrit� delle raccolte ed a valorizzarne la funzione culturale, senza riguardare direttamente la cosa n� incidere sulla sua fisica consistenza. Caratteristiche queste proprie degli interventi di restauro, diretti a reintegrare quanto del bene � compromesso, a recuperarne il valore culturale originario, ad assicurare, mediante le appropriate modificazioni, la possibilit� di tramandarne l'esistenza ed il messaggio ideale. Non si pu� pertanto ritenere, come vorrebbe la Regione ricorrente, che, nell'attuale assetto normativo, la competenza alla manutenzione ed aHa conservazione dell'integrit� delle cose raccolte e custodite nei musei di interesse focale (che pu� riguardare l'insieme delle cose, in quanto tale significativo), tin funzione della loro gestione e del loro godimento, comprenda anche la competenza ad autorizzare il restauro, che � diretto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE ad incidere immediatamente sulla consistenza e sulla preservazione del valore culturale di ciascuna cosa di interesse artistico o storico. Le considerazioni poste a fondamento della distinzione concettuale e normativa tra restauro, manutenzione e conservazione, delimitano anche la finalit� e l'ambito del potere di autorizzazione, rimesso alla competenza del Ministero per i beni culturali. L'autorizzazione al restauro � volta ad esprJmere il positivo apprezzamento dell'opportunit� tecnicoscientifica dell'intervento sulla cosa di valore artistico o storico, e ad accertare la validit� delle metodiche che si intendano adottare nell'operazione da compiere. Ha pertanto una funzione di tutela del valore culturale del bene, mediante un'atto di necessaria collaborazione (per gli aspetti tecnico scientifici) con la Regione. A quest'ultima � rimessa la funzione di conservazione e manutenzione: quindi la piena titolarit� della programmazione e della determinazione degli interventi da attuare, come pure la gestione di essi, dovendo in ordine a tali interventi l'autorizzazione statale costituire un supporto ed una verifica tecnica e culturale, ma non una interferenza amministrativa. La coesistenza e fa concorrenza di distinte competenze, non sempre delineate nei loro definitivi e precisi confini sul piano normativo, rendono ancor pi� necessaria e doverosa, nell'attesa della nuova disciplina da tempo preannunciata, una leale collaborazione tra Stato e Regione, imprescindibile in un settore nel quale la salvaguardia complessiva del patrimonio artistico e storico della Nazione � affidata al responsabile concorso di tutti gli enti ed i soggetti a diverso titolo coinvolti. Le considerazioni che precedono consentono di affermare che il ricorso proposto dalla Regione Liguria non � fondato: spetta difatti allo Stato autorizzare la rimozione ed il restauro previsti daU'art. 11 della legge io giugno 1939, n. 1089, anche quando si tratti di cose appartenenti a musei di enti locali. o di interesse locale. Pertanto l'ingiunzione del Soprintendente per i beni artistici e storici di Genova del 3 novembre 1992, n. 4708, non invade competenze regionali. CORTE COSTITUZIONALE, 10 giugno 1993 n. 278 -Pres. Casavola - Red. Pescatore -Regione Toscana (avv. Lorenzoni), Umbria (avv. Predieri), Emilia Romagna (avv. Falcon), Lombardia (avv. Onida) e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Braguglia). Regioni (a statuto ordinario) -Agricoltura e foreste � Regolamento ministeriale per l'applicazione del regolamento CEE n. 2092 del 1991 � Mancanza di esplicita attribuzione al Ministro del potere regolamentare � Illegittimit� del regolamento ministeriale. Il regolamento statale emanato, per l'applicazione di regolamento CEE, in a,s-senza di d:isposiziione legislativa aUribuente lq potest� regola RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 186 mentare � illegittimo, quand'anche la necessit� di una normativa di attuazione emerga dal regolamento CEE (1). Sulla base di argomentazioni Jn parte coincidenti e in parte diverse, le Regioni Toscana, Umbria, Emma-Romagna e Lombardia hanno proposto conflitto di attribu2fone contro il Presidente del Consiglio dei ministri per l'annullamento del decreto 25 maggio 1992, n. 338, con cui il ministro per l'agricoltura e le foreste ha emanato il � Regolamento recante norme per l'applicazione delle disposizioni del regolamento CEE n. 2092 del 1991 del Consiglio del 24 giugno 1991, in materia di produzione agricola con metodo biologico dei prodotti vegetali non trasformati �. I giudizi possono essere riuniti per l'identit� dell'oggetto dei ricorsi, che attiene allo stesso provvedimento. Secondo le ricorrenti regioni, il ministro per l'agricoltura e le foreste avrebbe violato gli artt. 117 e 118 della Costituzione e le connesse disposizioni di legge ordinaria (in particolare, gli artt. 6, 7 e 66-78 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616), invadendo competenze riservate alle regioni stesse. Come risulta dallo stesso titolo e dall'art. l, comma secondo, del provvedimento, il decreto impugnato contiene una disciplina di carattere generale diretta ad assicurare l'uniforme applicazione sul territoI�.o nazionale del regolamento emanato dalla CEE in materia di produzione agricola con metodo biologico. Le disposizioni attengono alla individuazione dell'autorit�, alla quale devono essere effettuate le notifiche (art. 2, in relazione all'art. 8, par. 2, del regolamento della CEE), alle indicazioni di conformit� dei prodotti (art. 3), alle comunicazioni di inizio dell'attivit� produttiva (art. 4), alla organizzazione ed al funzionamento del sistema dei controlli (artt. 5-10). Si tratta di una disciplina di indubbio rilievo, diretta a indirizzare e coordinare l'attuazione interna del regolamento CEE in materia di agricoltura biologica, e quindi a salv�aguardare, anche in questo ambito, l'omogeneit� del regime giuridico vigente sul territorio nazionale. Il provvedimento risulta peraltro emanato in violazione delle norme che disciplinano la fonte e le modalit� di esercizio del potere regolamentare del governo. (1) La Corte non ha pronunciato sulla competenza (statale ex art. 71 comma primo del d.P .R. n. 616 del 1977, o invece regionale), avendo ritenuto � assor PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 187 Non v'� dubbio che negli anni pi� recenti, molto opportunamente, si � provveduto ad ampliare la possibilit� di ricorso a normative emanate con provvedimenti di natura amministrativa. L'orientamento, che � di carattere generale, ha trovato specifiche previsioni anche per quanto concerne il recepimento e l'attuazione delle norme comunitarie. Al tempo stesso, per�, la prewsione di casi e modalit� di esercizio del potere regolamentare ha avuto espressa e condizionante disciplina. Secondo il richiamo contenuto nel preambolo, il decreto 25 maggio 1992, n. 338, � stato emanato a norma dell'art. 17, comma terzo, della legge 23 agosto 1988, n. 400, che consente di disporre con regolamento nelle materie di competenza del ministro o di autorit� sottordinate al ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Il riferimento alla legge di conferimento del potere non � peraltro indicato nel preambolo, n� � rinvenibile nella disciplina dei rapporti tra normativa comunitaria e normativa nazionale. Vart. 4 della legge 9 marzo 1989, n. 86 consente infatti di attuare le direttive mediante regolamento; ma � indispensabile -come nella stessa norma si precisa -che cos� disponga la legge comunitaria. Peraltro tale disposizione non � contenuta n� nella legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990), n� nella legge 19 febbraio 1992, n. 142 (legge comunitaria per il 1991). In ogni caso, l'uso del potere regolamentare previsto dall'art. 4 cit. avrebbe comportato un procedimento diverso da quello seguito nel caso di specie (soprattutto, deliberazione collegiale del Governo; parere delle Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica). Assorbente � comunque il rilievo inerente all'avvenuto esercizio della potest� regolamentare nella materia, senza quel supporto legislativo che la Corte ha gi� indicato come indispensabile sia in termini generali (sentenza n. 453 del 1991), sia con specifico riferimento all'esercizio della potest� da parte del singolo ministro (sentenza n. 204 del 1991). Tale riferimento all'esercizio della potest� da parte del ministro sarebbe necessario, anche se si ravvisi nello stesso regolamento comunitario (cfr. sent. n. 453 del 1991 cit.) la fonte legittimante l'esercizio del potere attuativo. I ricorsi presentati dalle regioni Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Lombardia devono dunque essere accolti e va conseguentemente annullato il decreto del ministro per l'agricoltura e le foreste 25 maggio 1992, n. 338. bente � la questione relativa al � supporto legislativo� della potest� regolamentare. 188 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 108 -Pres. Casavola - Rel. Baldassarre -Presidenza del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Imponente). Forze Armate -Accesso ai ruoli -Informazione sulla famiglia -Ordinamento giudiziario -Accesso ai ruoli della magistratura -Informazioni sulla famiglia -Illegittimit�. (Cost., artt. 3, 27, 51 e 97; legge 1� febbraio 1987, n. 53, art. 26; r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 124). � illegittimo l'art. 26 legge 1� febbraio 1989 n. 53 -relativo allo stato giuridico di vicebrigadieri, graduati e militari dii truppa dell'Arma dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di. Stato, Corpo agenti di custodia e Corpo forestale -nella parte in cui diispone che siano esclusi dall'accesso ai ruoli di tali Corpi quanti risultino sulla base delle informazioni assunte non appartenenti a famiglia di estimazione morale indiiscussa, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente. Correlativamente ex art. 27 legge 87/53 va dichiarato illegittimo l'art. 124 cd. 3 r.d. 30 gennaio 1941 n. 12 che per l'ammissione ai concorsi della� magistratura prevede l'esclusione in base a!Jlo stesso presupposto anche se l'apprezzamento in proposito � rimesso al Consiglio Superiore della Magistratura. Il Tribunale amministrativo regionale deHa Liguria ha sollevato que stione di legittimit� costituzionale -in riferimento agli artt. 3, 27, primo comma; 51, primo comma e 97, primo comma, della Costituzione nei confronti dell'art. 26 della legge 1� febbraio 1989, n. 53, neHa parte in cui, richiedendo, ai fini dell'accesso nei ruoli del personale della polizia di Stato, � il possesso delle qualit� morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria�, rinvia al l'art. 124, terzo comma, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, laddove dispone che non sono ammessi al concorso coloro che, per le informa zioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa. La questione � fondata. L'impugnato art. 26 della legge n. 53 del 1989 prevede, attraverso il rinvio alle norme stabilite per l'ingresso nella magistratura ordinaria, particolari limitazioni all'accesso nei moli della polizia di Stato. Il giudice a quo non contesta la natura di tali limitazioni, peraltro connesse all'adempimento di compiti e di doverii. legati a un ufficio di vitale �importanza e di estrema delicatezza al fine di assicurare beni pubblici fondamentali per la pacifica e ordinata convivenza dei cittadini, ma solleva il dubbio, pi� particolare, che l'appartenenza a famiglia di estima PARTE I; SEZ. I, GIURISPRUDENZ;\ COSTITUZIONALE zione morale indiscussa, ricompresa fra i requisJti per l'immissione nei ruoli del personale della polizia di Stato, rappresenti una limitazione irragionevole, in grado di comportare conseguenze di tipo discriminatorio. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, risalente alle sentenze nn. 15 e 33 del 1960, l'art. 51, primo comma, della Costituzione, nel demandare al legislatore la fissazione dei requisiti in base ai quali tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici, non intende, certo, sottrarre tale potere a qualsivog1ia sindacato di legittimit� costituzionale sotto il profilo della congruit� e della ragionevolezza delle limitazioni previste, come invece suppone l'Avvocatura dello Stato. Un sindacato del genere deve essere ammesso non soltanto per motivi di ordine generale -legati al fatto che, ogni volta che il legislatore � tenuto a bilanciare distinti valori costituzionali, non pu� affatto essere preclusa la via del controllo di questa Corte in ordine alla congruit� e alla ragionevolezza del bilanciamento compiuto -ma anche per lo specifico motivo che 1o stesso art. 51, precisando espressamente che il predetto accesso dev'essere garantito a tutti i cittadini �in condizioni di eguaglianza�, vincola il legislatore a sottoporre la propria discrezionalit� di scelta ai rigorosi parametri posti dall'art. 3 della Costituzione. Questa Corte �, dunque, chiamata a esaminare la disposizione denunciata sotto il profilo della sua congruit� e ragionevolezza in riferimento al principio costituzionale che vieta al legislatore, nell'esercizio del suo potere discrezionale v�lto a stabilire per determinate categorie di pubblici uffici particolari e specifici requisiti di accesso, di far s� che questi ultimi si traducano, in concreto, in arbitrarie discriminazioni o in ingiustificate barriere in ordine all'ingresso nel posto di lavoro cui si � liberamente indirizzato il singolo cittadino. Sotto questo aspetto, il controllo di costituzionalit� di questa Corte deve tener conto del rilievo che le garanzie predisposte dall'art. 51 della Costituzione riguardo all'accesso dei cittadini nei pubblici uffici sono un'applicazione particolare' della generale libert� da irragionevoli limitazioni nell'accesso al lavoro (v. spec. sentt. nn. 207 del 1976 e 61 del 1965), che, per costante giurisprudenza costituzionale, � riconosciuta come profilo particolare del � diritto al lavoro � (art. 4 della Costituzione), un diritto pi� volte qualificato da -questa Corte, anche con riferimento ai pubblici uffici, come �fondamentale diritto di libert� deUa persona umana� (v., ad esempio, sent. n. 45 del 1965). Considerata nel quadro dei valori costituzionali ora accennato, la -condizione per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato, concernente l'appartenenza a famiglia di estimazione morale indiscussa, non pu� ragionevolmente ricondursi nell'ambito dei requisiti attitudinali -dei singoli aspiranti, la cui determinazione � demandata dall'art. 51, primo comma, della Costituzione al legislatore ordinario. Quella condizione, infatti, non riguarda capacit�, attitudini o condotte relative al RASSEGNA AVVOCATURA DEl.J..O STATO 190 soggetto interessato, ma consiste in valutazioni o in comportamenti imputati all'ambiente familiare, che, in base a una arbitraria presunzione legislativa, vengono automaticamente riferiti al soggetto stesso. In conseguenza cli ci�, deve ritenersi che la norma denunciata prevede una condizione comportante una limitazione irragionevole all'accesso ai pubblici uffici, in violazione del divieto contenuto nel principio cli eguaglianza garantito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione. In realt�, la norma denunciata riflette una situazione storica della societ� italiana propria di molti decenni or sono, quando la famiglia era, di norma, l'ambito di socializzazione pressoch� esclusivo dei giovani. Ora, a seguito dell'attuazione dell'obbligo scolastico e dello sviluppo delle possibilit� reali di frequentare gli istituti di istruzione fino al livello universitario e a seguito dell'evoluzione dei rapporti sociali generali, che permette ai giovani un'accresciuta possibilit� di interazione in ambiti extrafamiliari, non si pu� negare l'eventualit� che singoli soggetti maturino in s� stessi la credenza in valori diversi o antitetici rispetto a quelli diffusi nelle proprie famiglie cli origine e ispirino le proprie condotte a modelli di convivenza sociale differenti o contrari rispetto a quelli seguiti dai genitori o da altri componenti del proprio nucleo familiare. Pertanto, se non � irragionevole che la moralit� e la condotta di un soggetto che aspiri a entrare nei ruoli della polizia cli Stato sia accertata anche con riferimento all'atteggiamento e al comportamento dell'interessato nei suoi ambienti di vita associata, compresa la famiglia, � invece arbitrario, nel concreto contesto storico appena delineato, presumere che valutazioni o comportamenti riferibili alla famiglia di appartenenza o a singoli membri della stessa diversi dall'interessato debbano essere automaticamente trasferiti all'interessato medesimo. L'impugnato art. 26 della legge n. 53 del 1989, nel rinviare ai requisiti attinenti alle finalit� morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, richiama altres� le modalit� di accertamento delle predette qualit�, modalit� che consistono, in riferimento al personale della polizia di Stato, in un provvedimento del ministro competente, contenente un apprezzamento insindacabile delle informazioni raccolte. Anche per questo aspetto del rinvio effettuato dall'art. 26, la norma denunziata � chiaramente contrastante con il divieto costituzionale di discriminazioni arbitrarie nell'accesso ai pubblici uffici. Costituisce, infatti, un'irragionevole limitazione alla posizione costituzionalmente garantita a ogni cittadino dall'art. 51, primo comma, della Costituzione tanto la previsione che a base del provvedimento diretto a negare l'accesso nei ruoli del personale della polizia di Stato siano genericamente poste �informazioni raccolte� da apparati amministrativi o da uffici di pubblica sicurezza, quanto la previsione che il provvedimento stesso consista in un � apprezzamento insindacabile del Ministro �. In realt�, il rispetto dei parametri costituzionali invocati esige che l'anzi PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE detto provvedimento di esclusione si basi su valutazioni imparziali aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente verificabili, valutazioni che devono essere rese note attraverso la motivazione del provvedimento medesimo, di modo che quest'ultimo possa essere sottoposto all'esame degli organi giurisdizionali per l'indefettibile difesa dei diritti soggettivi o degli interessi legittimi dei singoli interessati (possibilit�, questa, gi� ammessa grazie alla � interpreta2lione abrogante � data alla norma denunziata dalla giurisprudenza amministrativa). In mancanza di ci� verrebbero frustrate quelle esigenze costituzionali, recentemente sottolineate da questa Corte (v. sent. n. 440 del 1993), che precludono alla pubblica amministrazione apprezzamenti di estrema latitudine o indeterminati, proprio al fine di consentire al giudice amministrativo la verifica della legittimit� del relativo provvedimento. In conseguenza della pronunzia ora adottata, il rinvio al possesso delle qualit� morali e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, operato dall'impugnato art. 26 ai fini dell'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato, resta operante nei limiti in cui l'esclusione � prescritta, secondo le modalit� da ultimo ricordate, per � coloro che non l'isultano di moralit� e condotta incensurabili �. Questa �, infatti, la parte restante della norma cui l'art. 26 fa rinvio a seguito della dichiarazione d'incostituzionalit� resa con la presente decisione. Sebbene i limiti della rilevanza della questione non consentissero al giudice a quo di estendere l'impugnazione all'art. 124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941, che di per s� concerne l'ammissione al concorso della magistratura ordinaria, nondimeno la disposizione appena citata va dichiarata costituzionalmente illegittima, nelle stesse parti caducate in riferimento al rinvio ad essa effettuato dall'art. 26 della legge n. 53 del 1989, sulla base del potere, attribuito a questa Corte dall'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, concernente la dichiarazione d'illegittimit� costituzionale di disposizioni legislative diverse da quelle impugnate, la cui invalidit� deriva come conseguenza della decisione adottata. Infatti, una volta dichiarato incostituzionale il ricordato art. 26 nella parte, prima precisata, rinviante al possesso dei requisiti richiesti per l'ammissione al concorso della magistratura ordinaria, la medesima dichiarazione dev'essere resa ex officio in relazione alla disposizione oggetto del rinvio, essendo quest'ultima ovviamente identica alla norma desumibile per effetto del rinvio medesimo. N� alcun rilievo pu� esser dato all'unico elemento differenziale relativo all'applicazione dell'art. 124, terzo comma, ai concorsi dei magistrati ordinari, consistente nel fatto che, in relazione a questi ultimi, l'apprezzamento delle � informazioni raccolte � � riservato al Consiglio Superiore della Magistratura, ai sensi dell'art. 46 del decreto del Presidente della Repubblica 16 settembre 1958, 192 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO I n. 916 (Disposizioni di attuazione e di coordinamento della legge 24 marfj zo 1958, n. 195, concernente la costituzione e il funzionamento del ConI siglio superiore della magistratura e disposizioni transitorie). Anche se non si pu� trascurare che tale organo ha dato luogo a prassi interpretative della disposizione esaminata fortemente correttive, al fine di ren I derla meno distante dai valori consacrati nella Costituzione, resta il. fatto che, in s� considerato, l'art. 124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941 contrasta, per le ragioni gi� dette, con i principi costituI zionali che esigono che il provvedimento ivi previsto sia basato su valu tazioni imparziali aventi ad oggetto fatti specifici e obiettivamente veri ficabili, rese note attraverso la motivazione del provvedimento stesso. Per effetto della dichiarazione d'illegittimit� costituzionale parziale resa ex-officio sull'art. 124, terzo comma, del regio decreto n. 12 del 1941, viene altres� modificata la disciplina normativa dell'accesso ai ruoli del personale delle alt11e forze di pubblica sicurezza indicate nell'art. 16 della legge 1� aprile 1981, n. 121, per le quali l'art. 26 della legge n. 53 del 1989 contiene un rinvio alle norme sui concorsi della magistratura ordinaria identico a quello previsto per la polizia di Stato. Anche per tali categorie, in altre parole, la disciplina normativa residua � quella precisata prece dentemente per la polizia di Stato. CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 110 -Pres. Casavola - Rel. Mirabelli -Presidenza del Consiglio dei Ministri (n.c.). Bellezze naturali � Vincolo paesaggistico -Regione -Legge regionale limitativa della legge statale � Illegittimit�. (Cast., artt. 25, 117; legge reg. Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, art. 11, lett. a). � illegittimo l'art. 11 lettera a) della legge regionale del Piemonte 3 aprile 1989 n. 20 che muta sostanzialmente, estendendolo, l'ambito territo11iale delle zone di particolare interess,e ambientale sottratte al vincolo paesaggistico previsto dalla legge 1497/1939 cos� come delimitato dall'art. 82 d.P.R. 616/1977. Le questioni di legittimit� costituzionale sottoposte all'esame della Corte concernono la determinazione degli ambiti territoriali non sotto posti a vincolo paesaggistico, secondo la disciplina dell'art. 11, lettera a), della legge della Regione Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, che detta norme in materia di beni culturali, ambientali e paesistici. La norma denunciata prevede che il vincolo disposto per le categorie di beni indicati dall'art. 82, quinto comma, del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, . aggiunto dall'art. 1 del decreto-legge n. 312 del 1985 (tra i quali le sponde dei corsi d'acqua per una fascia di 150 metri ciascuna), non si applica, in conformit� a quanto prevede la legge statale, nelle zone territoriali PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE interessate da agglomerati urbani storici o che siano gi� parzialmente edificate (zone A e B previste dall'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444), nonch� -limitatamente alle parti comprese nei piani pluriennali di attuazione -nelle alt:rie zone, come delimitate negli strumenti urbanistici, e, nei comUIIJi: sprovvisti di tali strumenti, nel perimetro del centro abitato. La stessa disposizione prevede inoltre che il vincolo non si applica anche �nelle zone assimilate alle zone "A" e "B" del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e cio� nei centri edil�i.cati, nei nuclei minori, nelle aree sia residuali che produttive a capacit� insediativa esaurita o residua e in queHe di completamento cos� definite nei Piani Regolatori approvati ai sensi del titolo 9 della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modifiche ed integrazioni �. Ad avviso del Pretore di Cuneo l'estensione della sottrazione al vincolo paesistico, disposta dalla norma regionale denunciata, contrasterebbe con gli artt. 117 e 25 della Costituzione, perch� comporta una disciplina difforme dai principi fondamentali della legislazione statale, che munisce le zone sottoposte a V'incolo di una particolare tutela anche penale (artt. 1-sexies del decreto-legge n. 312 del 1985 e 20, lettera e), della legge n. 47 del 1985). I due giudizi, avendo ad oggetto la stessa disposizione legislativa e prospettando identiche questioni, vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza. Le questioni sono fondate. L'art. 11 lettera a), della legge della Regione Piemonte n. 20 del 1989, adottata nell'esercizio delle funzioni trasferite dallo Stato con il d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 8 e di quelle delegate dall'art. 82 del d.P.R. n. 616 del 1977, muta sostanzialmente, estendendolo, l'ambito territoriale delle zone di particolare interesse ambientale sottratte al vincolo paesaggistico previsto dalla legge n. 1497 del 1939, delimitato dall'art. 82, sesto comma, del d.P.R. n. 616 del 1977. Difatti la disposizione censurata, nella parte in cui assimila alle zone territoriali sottratte al vincolo in conformit� alle definizione del legislatore statale altre a diverse zone che non presentano necessariamente le medesime caratteristiche o che sono poste al di fuori dei centri edificati perimetrati, limita la tutela paesistica ed ambientale disposta dal legislatore statale con norme dotate di particolare forza vincolante nei confronti della legislazione regionale, in quanto qualificate come norme fondamentali di riforma economico-sociale (art. 2 della legge n. 431 del 1985), ed alle quali � da riconoscere tale natura. La diversa determinazione operata dal legislatore regionale si pone quindi in contrasto con l'art. 117 della Costituzione. Deve essere pertanto dichiarata, con riferimento a tale parametro di giudizio, rimanendo assorbito ogni altro profilo, l'illegittimit� costituzionale dell'art. 11, lettera a), della legge regionale del Piemonte n. 20 del 1989, nella parte in cui prevede che non si applica il vincolo posto RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 194 dall'art. 1 della legge 8 agosto 1985, n. 431 �nelle zone assimilate alle zone "A" e "B" del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 e cio� nei centri edificati, nei nuclei minori, nelle aree sia residenziali che produttive a capacit� insediativa esaurita o residua e in queHe di completamento cos� definiti nei Piani Regolatori approvati ai sensi del titolo III della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni ed integrazioni�. CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 113 -Pres. Casavola � Rel. Mirabelli � Regione Lombardia (avv. Ferrari) c. Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Ferri). Ambiente -Tutela � Decreto ministeriale � Funzione di indirizzo e coordinamento � Competenza Consiglio dei Ministri. (Cost., artt. 117 e 118; d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203). L'atto con cui vengono dettati criteri generali per la prevenzione dall'inquinamento atmosferico neUe grandi zone urbane in quanto espressione della funzione governativa di indirizzo e coordinamento, deve essere adottato con deliberazione del Consiglio dei Ministri e non con decreto ministeriale. La Regione Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, chiedendo l'annullamento del decreto emesso dal Ministro dell'ambiente il 12 novembre 1992, con il quale sono stati dettati � Criteri generali per la prevenzione dell'inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane e disposizioni per il miglioramento della qualit� dell'aria�. La Regione sostiene che il decreto ministeriale sia invasivo delle competenze regionali delineate, in attuazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione, dall'art. 4 del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203. La ricorrente anzitutto denuncia l'illegittimit� del decreto nella sua totalit�. Esso avrebbe natura di atto di indirizzo e coordinamento, anche se manca questa formale qualificazione. Essendo stato emanato senza previa deliberazione del Consiglio dei ministri, difetterebbe dei requisiti di procedura e di forma necessari per l'adozione di questo tipo di atto. La censura coinvolge il decreto nel suo complesso e l'esame di essa � pregiudiziale rispetto alla valutazione di ogni altro motivo di ricorso. La censura � fondata. Il decreto ministeriale in esame � divetto, secondo quanto chiarisce espressamente l'art. 1, a determinare criteri generali ed omogenei ed a fornire elementi di orientamento alle autorit� competenti per l'adozione delle misure volte a prevenire episodi acuti di inquinamento atmosferico nelle grandi zone urbane, a contenere le concentrazioni di inquinanti, ad individuare i livelli di attenzione e di allarme e le tipologie di interventi. I I PARTE I, SEZ. l, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 195 In particolare il decreto disciplina aspetti sia organizzativi che tecnici. Indica componenti e funzioni dell' � organo tecnico � del quale � l'autorit� competente � si deve avvalere per i compiti previsti dal decreto stesso (art. 5, commi 1 e 2), precisando le linee di azioni di tale ufficio (allegato 2). Definisce i criteri generali per i piani di intervento operativo (art. 5, comma terzo), delineando le finalit�, i contenuti ed i tempi degli interventi che i piani debbono indicare e prevedere (allegato 3). Si � dunque in presenza di un atto che risponde, secondo le premesse enunciate dallo stesso, alla � necessit� di definire un quadro di riferimento unitario per l'adozione da parte delle autorit� competenti deHe misure volte� a prevenire episodi acuti di inquinamento �. In ordine all'adozione di tali misure le diverse autorit� destinatarie dell'atto sono titolari� di competenze proprie ed hanno autonoma potest� di decisione. Il decreto del Ministro dell'ambiente vuole essere, nella sua sostanza, espressione della funzione governativa di indirizzo e coordinamento. Tende a soddisfare esigenze unitarie, condiziona e pone limiti all'esplicazione delle competenze proprie di soggetti dotati di autonomia. Avendo tale caratterizzazione, l'atto deve essere adottato -secondo i principi pi� volte enunciati da questa Corte (da ultimo sentenza n. 45 del 1993), che trovano anche espressione nell'art. 2, terzo comma, lettera d), della legge n. 400 del 1988 -con deliberazione del Consiglio dei ministri. Mancano quindi per il decreto denunciato i requisiti di procedura e di forma necessari per l'adozione degli atti di indirizzo e coordinamento. Tale vizio, che coinvolge il decreto nel suo complesso ed assorbe l'esame analitico dei suoi contenuti normativi e della loro base legislativa, manifesta un uso non legittimo delle funioni, che assume connotati invasivi di competenze regionali. Il ricorso della Regione Lombardia deve essere pertanto accolto e di conseguenza va annullato il decreto del Ministro dell'ambiente 12 novembre 1992. CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 116 -Pres. Casavola - Rel. Baldassarre -Reg. Emilia (avv. Falcon), Reg. Liguria (avv. Onida), Reg. Valle d'Aosta (avv. Romanelli), Reg. Lazio (avv. Chiappetti) c. Pres. Cons. Min. (avv. Stato Favara). Regioni -Intesa -Mancanza -Necessit� motivazione dell'atto governativo -Coordinamento paritario. (Cost., artt. 117, 118, 119; statuto spec. reg. Valle d'Aosta, artt. 2, 3, 4, 29). �In mancanza di un'intesa tra Stato e Regioni sulla definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti �i cittadini, ..�'l'/.0�� ..-:-��� � ..-,.:-�,. � .... ..-.� � ..-.� � ..-.-:-: �� :--..-:-.-� � ..-....:-:.ᥥ���%�.'..�. ..mm...... :-:.-:�.�.�Y.-:�.�..�'.-:�.�.�[!_._.;.-..::�.. :-:.�.� .. .-...-� ..........�..� ........ : ........... � ..-.:-:,.,. �� ���..-. � ......� ,..,._ ~ ...::. ~'p<':"~ RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 196 iJl Governo pu� provvedere direttamente solo fornendo un'adeguata mo1tivazione valva a manifestare le ragioni di interesse nazionale che lo abbiano determinato a decid~re unilateralmente. Con distinti ricorsi le Regioni ad autonomia comune Lazio, EmiliaRomagna, Liguria, Lombardia, Veneto e Toscana, nonch� la Regione ad autonomia differenziata Valle d'Aosta, hanno proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Presidente della Repubb1ica 24 dicembre 1992 (Definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria), denunziando la lesione deHe competenze legislative ed amministrative loro assegnate dalla Costituzione (artt. 117 e 118) o dallo Statuto speciale per la Regione Valle d'Aosta (artt. 2, 3 e 4) e della propria autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione; art. 29 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta), oltrech� la violazione dei principi stabiliti negli artt. 77, 100, 103, 108, 116 e 125 della Costituzione. Poich� i ricorsi sollevano profili attinenti a lesioni delle proprie competenze aventi contenuto identico o analogo, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con un'unica sentenza. I ricorsi vanno accolti. L'art. 6 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanit� e di pubblico impiego, nonch� disposizioni fiscali), convertito dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, dispone che, entro il 30 novembre 1992, il Governo, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, definisce i livelli uniformi di assistenza sanitaria da garantire a tutti i cittadini a decorrere dal 1� gennaio 1993 e che, ove la predetta intesa non intervenga, lo stesso Governo provvede direttamente entro il 15 dicembre 1992. La previsione dell'intesa fra lo Stato e le regioni (e le province autonome) in tema di definizione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria � indubbiamente giustificata, poich�, per quanto tale definizione risponda all'interesse nazionale di assicurare le condizioni minime per la tutela su tutto il territorio statale della salute dei cittadini (art. 32 della Costituzione), tuttavia essa interferisce sia con le competenze regionali in materia di assistenza sanitaria e ospedaHera (artt. 117 e 118 della Costituzione, per le regioni a statuto ordinario; art. 3, lettera l) e 4 dello Statuto speciale per la Valle d'Aosta), sia con l'autonomia finanziaria delle regioni, pur soggetta al coordinamento con la finanza statale, essendo posti i predetti livelli a carico del �fondo sanitario nazionale� (art. 119 della Costituzione). Nel regolare siffatto strumento di cooperazione fra lo Stato e le Regioni, il legislatore nazionale, sulla base dell'esperienza negativa occiorsa nell'attuazione dell'art. 4 della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (in relazione alla quale la mancata intesa fra lo Stato e le regioni ha impedito PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 197 che si addivenisse a qualsiasi determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria), ha previsto, nel ricordato art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992, un meccanismo sostitutivo nell'ipotesi di non raggiungimento dell'intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti fra Stato e regioni (e province autonome). Tale meccanismo consiste nel fatto che, superato un certo termine entro il quale l'intesa non � stata raggiunta, il Governo pu� direttamente provvedere definendo esso stesso i livelli uniformi di assistenza sanitaria. Interventi del genere in sostituzione della mancata intesa sono stati esaminati in passato da questa Corte, che li ha giudicati non contrari a Costituzione a condizione che il Governo, nell'adottare il provvedimento sul quale non � intercorsa l'intesa nel termine, fornisca un'adeguata motivazione, v�lta a manifestare, in relazione agli argomenti addotti dalla parte regionale a sostegno del rifiuto dell'accordo, le ragioni d'interesse namonale che abbiano determinato lo stesso Governo a decidere unilateralmente (v., da ultimo, sent. n. 204 del 1993). Contrariamente a quanto suppone l'Avvocatura dello Stato, in tali casi l'obbligo di motivazione non deve essere necessariamente previsto in una previa norma di legge, come pure talvolta accade (v. art. 1, primo comma, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nel testo modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517). Infatti, nella sentenza appena citata, questa Corte ha gi� precisato che il predetto obbligo deve ritenersi � connaturato al principio stesso di "leale cooperazione" cui deve ispirarsi il sistema complessivo dei rapporti tra Stato e Regioni �. Di modo che, considerato che in base a tale principio il confronto rivolto al raggiungimento dell'intesa deve essere caratterizzato da un atteggiamento delle parti ispirato alla correttezza e all'apertura verso le posizioni altrui (v. sent. n. 379 del 1992), l'ipotetica previsione del potere di una delle parti di provvedere in assenza dell'intesa, senza dover addurre motivo akuno sulle ragioni del mancato accordo e sulla superiore esigenza di provvedere unilateralmente, si risolverebbe in una violazione o in una elusione del principio di leale cooperazione, in conseguenza dell'irragionevole preferenza accordata alla parte che, dopo una certa data, potr� decidere, oltrech� non tenendo conto delle posizioni della contropai:ite, al di fuori di qualsiasi possibilit� di controllo sulla � lealt� � del comportamento tenuto. Del resto, l'obbligo di motivazione da parte del Governo, allorch� provvede direttamente dopo che � fallito il confronto per pervenire a un'intesa con le regioni, � il requisito minimo in grado di legittimare la decisione unilaterale dello stesso Governo in una materia connotata dalla stretta connessione delle competenze statali con quelle delle regioni. In proposito non � senza significato ricordare che, negli ordinamenti stranieri comparabili con quello italiano, in ipotesi come quelle oggetto dei presenti giudizi, al rischio di paralisi decisionale, conseguente alla RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 198 mancata intesa fra lo Stato e gli enti dotati di autonomia costituzionalmente garantita, si pone rimedio deferendo la decisione a un collegio avbitrale o a un organo statale in posizione pi� elevata ovvero assegnando la decisione al medesimo organo statale interessato al raggiungimento dell'intesa, che tuttavia � chiamato a decidere secondo un procedimento pi� aggravato rispetto a quello ordinario (ad esempio, con un obbligo di sentire il parere di un organo terzo). Come anche riconoscono concordemente tutte le parti del presente giudizio, il decreto impugnato � stato adottato in mancanza del raggiungimento dell'intesa previ�sta dall'art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992. Sulla base dei principi precedentemente ricordati, il Governo avrebbe dovuto provvedere direttamente adducendo, nel contempo, i motivi della mancata intesa e le ragioni d'interesse nazionale che l'hanno determinato a decidere unilateralmente. Ma, poich� non v'� traccia alcuna di tale motivazione nell'atto impugnato, quest'ultimo dev'essere annullato, dal momento che lede tanto le competenze costituzionalmente riconosciute alle regioni ricorrenti in materia di assistenza sanitaria, quanto l'autonomia finanziaria garantita alle medesime. N� tale conclusione pu� essere contraddetta dalle argomentazioni addotte dall'Avvocatura dello Stato nelle proprie memorie difensive. Innanzitutto, non si pu� sostenere che l'intesa comporta un semplice onere di informazione da parte dello Stato, finalizzato a ricercare la cooperazione delle regioni, una volta che questa Corte ha pi� volte chiarito che l'intesa � � una tipica forma di coordinamento paritario, in quanto comporta che i soggetti partecipanti siano posti sullo stesso piano in relazione alla decisione -da adottare, nel senso che quest'ultima deve risultare come il prodotto di un accordo e, quindi, di una negoziazione diretta fra il soggetto cui la decisione � giuridicamente imputata e quello la cui volont� deve concorrere alla decisione stessa� (v. sent. n. 337 del 1989, nonch� sentt. nn. 21 del 1991, 220 del 1990 e 747 del 1988). In secondo luogo, non pu� condividersi l'opinione che la sede nella quale, a norma deM'art. 6 del decreto-legge n. 384 del 1992, deve essere perseguita l'intesa -cio� la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le proV'ince di Trento e di Bolzano -debba essere configurata come un organo statale o, quantonemo, un organo che esprime anche le indicazioni dello Stato. Per quel che qui rileva, la Conferenza d~sciplinata dall'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, lungi dall'essere un organo appartenente aH'apparato statale o a quello delle regioni (e delle province autonome) e deputato a manifestare gli orientamenti dell'uno e/o delle altre, � la sede privilegiata del confronto e deHa negoziaziOP. e politica fra lo Stato e le regioni (e province autonome), prevista dal predetto art. 12 al fine di favorire il raccordo e la collaborazione fra l'uno e le altre. In quanto tale, la Conferenza � un'istituzione operante nel PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 199 l'ambito della comunit� nazionale come strumento per l'attuazione della cooperazione fra lo Stato e le regioni (e le province autonome). Infine, nessun rilievo pu� accordarsi, ai fini della decisione dei presenti giudizi, alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 12 gennaio 1994 dell'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di un � Atto di intesa fra Stato e Regioni per la definizione del piano sanitario nazionale relativo al triennio 1994-1996 � contenente anche la determinazione dei livelli uniformi di assistenza sanitaria, per il semplice fatto che tale atto, peraltro concernente una fase preliminare rispetto alla definitiva approvazione del Piano con decreto presidenziale, si riferisce ad anni successivi al 1993 e, pertanto, riguarda un periodo diverso da quello coinvolto nei conflitti di attribuzione esaminati in questi giudizi. CORTE COSTITUZIONALE, 31 marzo 1994, n. 118 -Pres. Pescatore - Rel. Ferri -Presidenza Consiglio dei Ministri (avv. Stato Zotta). Elezioni -Cause ineleggibilit� sopravvenute -Retroattivit� � Legittiinit�. (Cost., artt. 3, 25, 51; legge 18 gennaio 1992, n. 16). Non � illegittima la norma che, introducendo un'ampia disciplina in tema di eleggibilit� e disponendo la decorrenza di diritto di una serie di cariche elettive, operi anche in relazione alle consultazioni elettorali svoltesi p11ima della sua entrata in vigore e per reati commessi anch'essi prima e precedentemente non contemplati. La Corte d'appello di Torino ha sollevato questione di legittimit� costituzionale deH'a:rt. 1, primo comma, della legge 18 gennaio 1992, n. 16, il quale, sostituendo i primi quattro commi dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, ha introdotto un'ampia disciplina in tema di eleggibilit� e, in genere, di capacit� di assumere e mantenere cariche di varia natura nelle regioni, nelle province, nei comuni ed in altri organismi di autonomia locale. Il giudice a quo, premesso che la legge in esame deve indubbiamente essere interpretata nel senso della sua immediata operativit�, censura, in particolare, Ja norma impugnata nella parte in cui dispone che la decadenza di diritto da una serie di cariche elettive (indicate nel medesimo articolo), conseguente a sentenza di condanna passata in giudicato per determinati reati (pure ivi prev>isti), operi anche in relazione alle consultazioni elettorali svoltesi prima dell'entrata in vigore della legge medesima, ed a reati commessi anch'essi prima di tale data. Ad avviso del giudice remittente, la normativa censurata si pone in contrasto con l'art. 25, �secondo comma, della Costituzione, in quanto la 200 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO decadenza costituisce comunque -a prescindere dall'esatta individuazione della sua natura -una sanzione, e ,quindi una � punizione � irrogata in forza di una legge entrata in vigore dopo la commissione del fatto; con l'art. 51, primo comma, della Costituzione, poich� l'accesso a11a carica elettiva viene vanificato da una legge introdotta successivamente; infine, con l'art. 3 della Costituzione, �sotto H particolare aspetto dell'eguaglianza delle condizioni personali �. L'eccezione di inammissibilit� sollevata dall'Avvocatura dello Stato in ordine al profilo di censma relativo all'art. 3 deHa Costituzione, che sarebbe, a suo avviso, incomprensibile, deve essere rigettata: pur nella sua estrema stringatezza, infatti, va ritenuto che la censura in esame, valutata anche alla luce dell'intera ordinanza di rimessione, sia espressa in modo sufficiente a consentire alla Corte di individuare il thema decidendum. La questione non � fondata. Questa Corte ha gi� avuto varie volte occasione di rilevare, innanzitutto, che la finalit� che si � inteso perseguire con la legge n. 16 del 1992 � quella di assicurare la salvaguruidia dell'ordine e della sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi, il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche, allo scopo di fronteggiare una situazione di grave emergenza nazionale coinvolgente interessi dell'intera collettivit�, connessi a valori costituzionali di primario rilievo (sentt. nn .407 del 1992, 197, 218 e 288 del 1993). Si � inoltre osservato che 1a legge medesima non contempla altro che � nuove cause di ineleggibilit� che il legislatore ha ritenuto di configurare in relazione al fatto di aver subito condanne (o misure di prevenzione) per determinati delitti di particolare gravit�� (cfr. cit. sent. n. 407 del 1992). In altre parole, per quanto riguarda l'ipotesi in esame, la condanna penale irrevocabile � stata presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui � ricollegato un giudizio di � indegnit� morale � a ricoprire determinate cariche elettive: la condanna stessa viene, cio�, configurata quale �requisito negativo� ai fini della capacit� di assumere e di mantenere le cariche medesime. Dalle argomentazioni che precedono deriva l'esclusione delle prospettate violazioni dei parametri costituzionali richiamati dal remittente. Non � certamente violato, in primo luogo, l'art. 25, secondo comma, della Costituzione, per il principale motivo che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l'invocato principio si riferisce alle sole sanzioni penali (cfr. sentt. nn. 823 del 1988, 250 del 1992); d'altra parte, come lo stesso remittente riconosce, nella specie si � in presenza della ordinaria operativit� immediata di una legge, e non di retroattivit� in senso tecnico, .con effetti, cio�, ex tunc. Parimenti non risultano lesi gli artt. 51, primo comma, e 3 della Costituzione, censure che vanno esaminate -cos� come sono prospet PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE tate -congiuntamente. Alla luce della ratio della normativa come sopra individuata, non appare, invero, affatto irragionevole che questa operi con effetto immediato anche in danno di chi sia stato legittimamente eletto prima della sua entrata in vigore: costituisce, infatti, frutto c1i una scelta discrezionale del legislatore certamente non irrazionale l'aver attribuito all'elemento della condanna irrevocabile per determinati gravi delitti una rilevanza cos� intensa, sul piano del giudizio di indegnit� morale del soggetto, da esigere, al fine del miglior perseguimento delle richiamate finalit� di rilievo costituzionale della legge in esame, l'incidenza negativa della disciplina medesima anche sul mantenimento delle cariche elettive in corso al momento della sua entrata in vigore. CORTE COSTITUZIONALE, 28 aprile 1994, n. 168 -Pres. Casavola -Rel. Cainiello -Presidenza del Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Onufrio). Pena -Ergastolo -Reato commesso da minorenne -Protezione infanzia Illegittimit� costituzionale. (Cast., artt. 10, 27, terzo comma, e 31; cod. pen. artt. 17 e 22). � illegittima la previsione dell'ergastolo per gli infmdiciottenni, in quanto incompatibile con i principi espressi dall'art. 31 Cast. che sono ispirati ad una speciale protezione per l'infanzia e la giovent� e favoriscono gli istituti necessari a tale scopo. � stata sollevata questione di legittimit� costituzionale degli artt. 17 e 22 del codice penale, nella parte in cui non escludono l'applicabilit� della pena dell'ergastolo nei confronti del minore degli anni diciotto. Secondo il giudice rimettente le norme impugnate contrasterebbero: a) con l'art. 10 della Costituzione, per non essersi l'ovdinamento giuridico italiano �adeguato a numerose norme pattizie del diritto internazionale vigente in materia�; b) con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, per compromissione della finalit� rieducativa della pena e del trattamento pedagogico e di risocializzazione, peculiare per il minore; c) con l'art. 31, secondo comma, della Costituzione, per violazione del precetto che impone la protezione dell'infanzia e della giovent�. Preliminarmente deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilit�, dedotta dall'Avvocatura generale dello Stato fa quale sostiene che la questione sarebbe identica a quella decisa nel senso della inammissibilit� dalla sentenza n. 140 del 1993. In proposito osserva la Corte che a questa pronuncia essa pervenne in presenza di una questione che era stata prospettata in termini diversi, 202 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO in quanto formavano allora oggetto di censura non solo l'art. 22 del codice penale, cio� una delle norme ora denunciate, ma, congiuntamente, nel lor-0 complesso, le norme che disciplinano il meccanismo concernente il concorso delle circostanze attenuanti con le aggravanti. Per questa ra gione la ricordata sentenza aveva osservato che la questione poneva in tal modo un quesito di carattere legislativo, dato che, investendo essa nel suo complesso la disciplina in tema di concorso di circostanze, una pro nuncia di questa Corte, essendo vincolata alla prospettazione, sarebbe risultata inadeguata, occorrendo, onde perseguire le finalit� correttive allora proposte, � un intervento normativo selettivo che definisca le ipo tesi in cui l'esonero dal bilanciamento di circostanze possa avvenire; e ci� per evitare il prodursi di effetti, eccedenti la finalit� del quesito� che sarebbero potuti derivare dalla pronuncia allora richiesta, � quando non si sia in presenza di reati punibili con l'ergastolo, perch� si andrebbe ad incidere in generale nella disciplina della comparazione di circostanze eterogenee in rapporto al minore �. L'ordinanza introduttiva del presente giudizio, come � gi� stato ricor dato, ha per oggetto esclusivo gli artt. 17 e 22 del codice penale� nella parte in cui non prevedono l'esclusione dalla pena perpetua per l'imputato mi norenne � per cui la specificit� della pronuncia che viene richiesta non espone al rischio di effetti eccedenti il fine auspicato. Anche se, come si vedr� in prosieguo, la dichiarazione di incostituzionalit�, in base ai po teri che competono alla Corte ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sar� estesa in via consequenziale ad una delle norme che regolano il ricordato meccanismo, essa, proprio in virt� del suo carattere conse quenziale rispetto a quella principale che riguarda la previsione dell'er gastolo per i minori, risulter� limitata a questo ambito. Nel merito la questione, sollevata in riferimento all'art. 10, primo comma, della Costituzione, non pu� essere presa in considerazione per la genericit� dell'assunto della non conformit� della normativa denunciata � a numerose norme pattizie del diritto internazionale vigente in materia �, non essendo individuabili dall'ordinanza di rinvio n� le disposizioni n� tantomeno i contenuti normativi ai quali il rimettente intende fare richiamo. D'altra parte, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (sentt. n. 153 del 1987, n. 96 del 1982, n. 188 del 1980, n. 48 del 1979, n. 69 del 1976, n. 104 del 1969, n, 48 del 1967, n. 135 del 1963, n. 32 del 1960) che, con riguardo al parametro invocato, delinea l'adeguamento automatico alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, in riferimento a princ�pi generali ovvero a norme di carattere consuetudina. rio, � da rilevare che non � neppure possibile rinvenire nella materia un principio generale o una consuetudine, perch� dal variegato panorama delle legislazioni degli altri Stati pi� affini a quella del nostro Paese non PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE risulta l'esistenza di una di quelle �norme generalmente riconosciute�, cui fa riferimento l'art. 10, primo comma, della Costituzione, tenuto conto della estrema diversit� delle discipline che regolano il regime delle pene pi� gravi nei vari Paesi. Esclusa dunque l'idoneit� di w1 cos� generico richiamo alle �norme pattizie � ai fini del controllo di costituzionalit� delle norme denunciate, tuttatia la Corte ritiene opportuno, al fine di chiariTe il significato degli altri parametri costituzionali, analizzare e verificare la conformit� della nostra legislazione agli obblighi assunti sul piano internazionale. Tra le convenzioni sottoscritte dall'Italia che possono in qualche modo avere riflessi sulla materia, pu� essere ricordata quella �per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libert� fondamentali � (Roma, 4 novembre 1950 e relativo Protocollo addizionale di Parigi del 20 marzo 1952), ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848, la quale, stabilendo all'art. 3 che � Nessuno pu� essere sottoposto a torture o a pene inumane o degradanti �, non sembra porre problemi diversi da quelli che si presentano in riferimento a:ll'art. 27, terzo comma, della Costituzione, per cui essi saranno affrontati successivamente, nell'ambito della questione sollevata sotto quest'ultimo profilo. Per quel che concerne poi le convenzioni che riguardano in particolare la condizione dei minori, appare utile la menzione di alcune importanti proposizioni in esse contenute che hanno riguardo alla materia in esame. Cos� nella �Dichiarazione dei diritti del fanciullo� della Societ� delle Nazioni, del 1924, le disposizioni che maggiormente potrebbero riferirsi all'oggetto della questione riguardano (punti 1 e 5) l'esigenza che �il fanciullo deve essere messo in grado di svilupparsi normalmente, materialmente e spiritualmente� e che �deve essere allevato nel sentimento che le sue migliori qualit� dovranno essere poste al servizio dei suoi fratelli �. Cos� ancora � da dirsi per la � Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo � (ONU, New York, 10 dicembre 1948), secondo cui (punto 25) �la maternit� e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza�; per la �Dichiarazione dei diritti del fanciullo� (ONU, New York, 20 novembre 1959), in cui si prevede (principio secondo) che �il fanciullo deve beneficiare di una speciale protezione e godere di possibilit� e facilitazioni, in base alla legge e ad altri provvedimenti, cos� da essere in grado di crescere in modo sano e normale sul piano fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale �. Analoghi concetti sono espressi nelle � Regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile� (ONU, New York, 29 novembre 1985; c.d. Regole di Pechino), le quali prevedono (punto 3) che � un minore � un ragazzo o una persona che nel rispettivo sistema legale pu� essere imputato per tlll1 reato, ma non � penalmente responsabile come un adulto>>, che (punto 5) ,~J.1 sistema della giustizia minorile deve avere per obiettivo la tutela del giovane ed assicurare che la misura adottata nei confronti del giovane sia proporzionale alle circostanze RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 204 del reato o all'autore dello stesso� ed ancora (punto 17) che, nell'ambito del processo, la decisione � deve essere sempre proporzionata non soltanto alle circostanze e alla gravit� del reato, ma anche alle condizioni e ai bisogni del soggetto che ha delinquito come anche ai bisogni della societ��, che �la tutela del minore deve essere il criteriio determinante nella valutazione del suo caso � e che � la pena capitale non � applicabile ai reati commessi da minori �. Analogalmente infine � da dirsi per la Convenzione di New York �sui diritti del fanciullo� del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, che, oltre a riaffermare i principi enunoiati in preoedenza, prescrive all'art. 37 che � Nessun fanciullo sia sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. N� la pena capitale n� l'imprigionamento a vita senza possibilit� di rilascio devono essere decretati per reati commessi da persone di et� inferiore a diciotto anni�; ed inoltre che �la detenzione o l'imprigionamento di un fanciuLlo devono essere effettuati in conformit� con la legge, costituire un provvedimento di ultima risorsa ed avere la durata pi� breve possibile �. Come si vede si � in presenza di enunciazioni la cui attuamone � affidata alla legislazione degli Stati che vi hanno aderito, e che trovano nel nostro ordinamento H maggior punto di emersione nell'art. 31 della Costitumone, che costituisce un altro dei parametri invocati nell'ordinanza di rimessione. I problemi posti da tali enunciazioni saranno perci� affrontati in prosieguo, in occasione dell'esame della questione 1sol1evata in riferimento a detto parametro. Per quel che riguarda il riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione, l'argomento, riferito alla generalit� dei soggetti, � stato gi� affrontato, in modo specifico, nella sentenza n. 264 del 1974, che ha ritenuto non fondata la prospettazione del contrasto tra l'ergastolo e il richiamato parametro, sul riflesso del carattere polifunzionale della pena. Un connotato, questo, ribadito anche di recente (sentt. n. 306 del 1993; n. 282 del 1989; n. 107 del 1980; n. 179 del 1973; n. 12 del 1966). Avuto riguardo al momento dinamico dell'applicazione della pena, il precetto costituzionale appare comunque soddisfatto dal legislatore che ha da tempo esteso all'ergastolano non solo l'istituto della liberazione condizionale -il cui governo, per effetto della sentenza di questa Corte n. 204 del 1974, � affidato alla competenza dell'autorit� giudiziaria che, come sottolineato dalla sentenza n. 264 del 1974 citata, consente l'effettivo reinserimento del condannato nel consorzio civile, ma anche altre misure premiali che anticipano quel reinserimento come effetto del . suo sicuro ravvedimento, da comprovarsi dal giudice 1sulla base non solo della buona condotta tenuta dal condannato stesso durante l'esecuzione della pena bens� soprattutto dalla sua partecipazione all'opera riedu- I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 205 cativa; una disciplina positiva, quella accennata, coerente con la necessit� della verifica, in concreto, della saldatura di quella divaricazione tra la astratta finalit� rieducativa e la relativa adesione del destinatario, che questa Corte ha gi� individuato essere alla base della qualificazione � tendenziale � della rieducazione. D'altra parte la disciplina positiva specificamente rigua:rxlante i minori accentua la portata applicativa degli accennati istituti che si caratterizzano come concettualmente antagonisti rispetto alla perpetuit� della pena: sia, in negativo, stabilendosi eccezioni a nuove e pi� rigorose previsioni limitatrici della fruibilit� dei � benefici � di ordinamento penitenziario (decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, il cui art. 4, comma 4, esclude appunto l'applicazione delle norme restrittive introdotte dal medesimo provvedimento nei riguardi dei condannati minorenni all'epoca del reato); sia, in positivo, scollegandosi l'applicazione della liberamone condizionale, per il minore, dai limiti minimi di espiazione di pena previsti in via generale dell'art. 176 del codice penale (art. 21 del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, che consente di ammettere il minore alla liberazione condizionale in qualunque momento dell'esecuzione e qualunque sia la durata della pena inflitta). Tutti gli anzidetti correttivi finiscono con l'incidere sulla natura stessa della pena dell'ergastolo, che non � pi� quella concepita alle sue origini del codice penale del 1930. La previsione astratta dell'ergastolo deve ormai essere inquadrata in quel tessuto normativo che progressivamente ha finito per togliere ogni significato al carattere della perpetuit� che all'epoca dell'emanazione del codice la connotava. Ma una volta soddisfatto con detm correttivi il precetto costituzionale che assegna alla pena la funzione rieducativa, diviene esclusivo compito del legislatore di valutare, nelle scelte di politica criminale, se conservare o meno l'ergastolo tra le sanzioni punitive astrattamente previste. La questione � invece fondata in riferimento all'art. 31 in relazione all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Se l'art. 27, terzo comma, non espone di per s� a censura di incostituzionalit� la previsione della pena dell'ergastolo ed il relativo carattere della perpetuit� ai sensi degli artt. 17 e 22 del codice penale, di esso deve darsi una lettura diversa allorch� lo si colleghi con l'art. 31 della Costituzione che impone tma incisiva diversificazione, rispetto al sistema punitivo generale, del trattamento penalistico dei minorenni. Dall'art. 31 della CostitUZJ�one, che prevede una speciale protezione per l'infanzia e la giovent� e favorisce gli istituti necessari a tale scopo, deriva l'incompatibilit� della previsione dell'ergastolo per gli infradiciottenni, perch� accomuna, per tale particolare istituto di indubbia gravit�, 206 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO nel medesimo contesto punitivo tuttJi i soggetti, senza tener conto della particolare condizione minorile. Quest'ultima condizione -come gi� sotto lineato nella sentenza n .140 del 1993, ove si auspicava un intervento del legislatore sul punto della comminatoria della pena dell'ergastolo anche per il minore -es,ige � di diversificare il pi� possibile il trattamento del minore dalla discipli[]:a punitiva generale�. Ebbene, questa diversificazione, imposta dall'art. 31 della Costituzione, letto anche alla luce degli obblighi enunciati nelle ricordate convenzioni internazionali, le quali impegnano gli Stati nel senso della particolare pro tezione dei minorenni, fa assumere all'art. 27, terzo comma, della CostJi tuzione, relativamente a questi ultimi, un significato distinto da quello che, come si � visto nel punto precedente, � riferibile alla generalit� dei soggettJi quanto alla funzione rieducativa della pena. Questa funzione data la particolare attenzione che deve essere riservata, in ossequio all'art. 31 della Costituzione, ai problemi educativi dei giovani -per i soggetti minori di et� � da considerarsi, se non esclusiva, certamente preminente, per cui si manifesta un insanabile contrasto fra essa e le norme denunciate -e cio� l'art. 17 del codice penale, che elenca fra le pene che accedono ai reati quella dell'ergastolo, e l'art. 22 del codice stesso che caratte11izza questa pena con la perpetuit� -riferendosi entrambi alla generalit� dei soggetti, senza escludere i minori. N�, rispetto al parametro in questione, possono risultare strumenti idonei -nel senso della compatibilit� tra Costituzione ed ergastolo ai minori -quei pur peculiari istituti che si sono sopra ricoroati (punto 4) e che ampliano, specie per i minori, le possibilit� di accesso ai vari benefici che il corso dell'esecuzione della pena consente; se per un verso, infatti, detti istituti si iscrivono pur sempre in un tessuto normativo che rimane, in via generale, indifferenziato quanto all'et� dell'autore del reato -e che � perci� urgente compito del legislato!'e riformulare, onde ricondurlo ad armonia con le esigenze di diversificazione e accentuata finalizzazione rieducativa: sent. n. 125 del 1992 di questa Corte -per altro verso resta ferma l'tincidenza di tali misure all'interno della vicenda dell'applicazione concreta della pena. Quest'ultima caratterizzazione, se � sufficiente ad escludere il contrasto con l'art. 27, terzo comma, della Costituzione in s� considerato, si rivela inadeguata una volta che si abbia riguardo alla prospettiva della spiccata protezione del minore quale espressa nell'art. 31, secondo comma, della Costituzione, principio la cui compresenza nell'ambito dei precetti costituzional� impone un mutamento di segno al principio rieducativo immanente alla pena, attribuendo a quest'ultima, proprio perch� applicata nei confronti di un soggetto ancora .in formazione e alla ricerca della propria identit�, una connotazione educativa pi� che rieducativa, in funzione del suo inserimento maturo nel PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Gli artt. 17 e 22 del codice penale, non escludendo perci� il minore dalla previsione, sia pur astratta, dell'ergastolo, sono in contrasto con l'art. 31, secondo comma, in relazione all'art. 27, terzo comma, della Costituzione e di esSI� deve perci� essere dichiarata l'illegittimit� costituzionale nella parte in cui non prevedono tale esclusione. L'idea che dalla previsione della pena dell'ergastolo dovessero essere esclusi i minori faceva gi� parte del nostro patrimonio legislativo, essendo l'esclusione espressamente sancita dal codice Zanardelli del 1889 che, sul portato di codici pre-unitari, rimasti sostanzialmente in vita fino all'avvento di esso, prevedeva (sulla premessa della imputabilit� piena a partire dai quattordici anni) all'art. 55, per gli imputati di et� fra i quattoI1dici ed i diciotto anni, la sostituzione di quella pena con la reclusione da dodici a venti anni, ed all'art. 56, per gli imputati di et� fra i diciotto ed i ventuno anni, la sostituzione con la reclusione da venticinque a trent'anni. Quanto al codice penale del 1930, come � noto, anteriormente alla riforma di cui al decreto-legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito dalla legge 7 giugno 1974, n. 220, l'art. 69, dopo aver previsto, nel caso di concorso fra circostanze aggravanti ed attenuanti, la possibilit� di attribuire prevalenza alle une 'escludendo cos� le altre e viceversa, o di ritenere la loro equivalenza con la conseguenza della contemporanea eliminazione delle une o delle altre, escludeva dall'applicaziione di tali disposizioni le circostanze inerenti alla persona del colpevole, stabilendo che in tal caso gli aumenti e le diminuzioni di pena si operassero a norma dell'art. 63 dello stesso codice. L'esclusione delle circostanze inerenti alla persona del colpevole dal giudi:zrl.o di comparazione rendeva cos� sempre applicabile la circostanza di cui all'art. 98 del codice penale, il quale prevede che, qualunque sia la pena prevista per il reato, essa per il minore degli anni diciotto � diminuita. Oi� comportava necessariamente che, pur in presenza di circostanze aggravanti, nei confronti del minore la pena dovesse essere comunque diminuita, nella misura stabilita dalla disposizione speciale o, in difetto, secondo il disposto del n� 2) dell'art. 65 citato, rendendosi in questo modo inapplicabile la pena dell'ergastolo, salvo il caso che sar� successivamente esaminato in relazione all'art. 73. Con la gi� ricordata riforma dell'art. 69 del codice penale, introdotta dall'art. 7 del richiamato decreto-legge n. 99 del 1974 convertito dalla legge n. 220 del 1974, riforma ispirata peraltro da un intento di maggior favore per il reo, il giudizio di prevalenza o di equivalenza fra le due categorie di circostanze � stato esteso anche a quelle inerenti alla persona del colpevole, tra le quali la giurisprudenza ha sempre compreso la diminuente della minore et�, per consentire, fra l'altro, specie per a. reati contro il patrimonio, la possibilit� di far ritenere prevalente 208 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO l'attenuante della minore et� ed escludere, quando essa ricorresse, tutte le aggravanti. Da questa modifica -pur dettata da un intento di adeguatezza in concreto della pena, rispetto alle �rigidit� (in eccesso) che si erano verificate con particolare riguardo alla parallela esclusione dal giudizio di bilanciamento delle circostanze aggravanti che determinano la pena in modo indipendente da quella ordinaria del reato o che stabiliscono una pena di specie diversa -� per� derivata una conseguenza deteriore. Una conseguenza forse non voluta (perch� gli ideatori della riforma non se l'erano probabilmente prefigurata) ravvisabile nel caso -verificatosi proprio nel giudizio a quo -del minore, imputato �di un reato punibile con l'ergastolo, a causa della presenza di circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo e che possono essere ritenute prevalenti e quindi tahl, ai sensi dell'art. 69 del codice penale, come risultante delle modifiche del 1974, da escludere l'incidenza della attenuante dell'art. 98 del codice penale, che viceversa in precedenza sarebbe stata comunque applicabile, escludendo cos� la possibilit� di irrogazione dii detta pena nei confronti del minore. ~ altres� da rilevare che, come era anche prima della cennata riforma del 1974, la previsione dell'ergastolo per il minore sussiste anche quale effetto dell'applicazione delI'art. 73 del codice penale che, al secondo comma, stabilisce in via generale (e quindi senza escludere il minore) che, � quando concorrono pi� delitti per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni si applica l'ergastolo �. Conseguentemente alla declaratoria principale di incostituzionalit�, deve dunque essere dichiarata, in forza dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimit� costituzionale parziale di dette altre norme del codice penale, onde apportarvi i necessari adattamenti idonei ad �impedire che la dichiarazione di incostituzionalit�, nei sensi anzi. detti, degli artt. 17 e 22 del codice penale risulti inoperante, atteso il nesso inscindibile che, come si � visto, intercorre tra le disposizioni in argomento ai finii della determinazione della pena applicabile al minorenne. Il caTattere consequenziale della dichiarazione di incostituzionalit� che investe l'art. 69 del codice penale, va ad incidere cos� sul meccanismo della comparazione delle circostanze ai limita1li efretti di quella principale cui � esclusivamente finalizzata e non pu� dar luogo, come si � gi� rilevato in premessa, a quegli effetti eccedenti le finalit� del quesito rilevati nella sentenza n. 140 del 1993. L'art. 69 del codice penale, come si � rilevato nell'illustrazione dei meccanismi in esso previsti per H caso di concorso di circostanze etero genee, determina la possibilit� dell'applicazione della pena dell'ergastolo anche per il minore, sia qua:lora il giudizio di comparazione risulti nel senso della prevalenza delle aggravanti che comportano la pena perpetua PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 209 (come � il caso del giudizio a quo), sia nell'ulteriore ipotesi di giudizio di prevalenza o anche solo di equivalenza fra attenuanti ed aggravanti, nel caso di reato punibile con la pena-base dell'ergastolo, con una situazione in entrambi i casi ostativa rispetto alla possibilit� di applicazione al minore della attenuante prevista dall'art. 98 del codice penale. La consequenziale pronuncia di illegittimit� costituzionale ex art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dell'art. 69 del codice penale citato consente invece di applicare, anche nei casi anzidettJi, la diminuente suddetta. La declaratoria consequenzinle non pu� che operare, pertanto, espungendo dal sistema la � parte � incostituzionale di detta disciplina, attraverso l'esclusione dell'applicazione delle disposi:zlloni sul giudizio di bilanciamento con riguardo -e limitatamente -alle due situazioni che si sono sopra dette. Non sarebbe viceversa soluzione coerente n� con i limiti della pronuncia ex art. 27 della legge n. 87 del 1953 n� pi� in generale con l'esigenza di proporzione tra fatto-reato e pena una pronuncia che giungesse ad affermare la prevalenza della circostanza prevista dall'art. 98 del codice penale nei casi in cui � in gioco la possibilit� astratta di applicazione della pena dell'ergastolo al minore, giacch� una simile statuizione apporterebbe uno squilibrio contrario, elidendo il peso e il significato di elementi accidentali del reato che devono viceversa trovare riflesso nel concreto dosaggio delle pena, in base appunto alla regola ex art. 63 del codice penale. Per rendere la dichiarazione principale di incostituzionalit� pienamente operante � altres� necessario dichiarare l'illegittimit� in via consequenziale anche dell'art. 73, secondo comma, del codice penale, data la contrariet� a Costituzione del meccanismo sostitutivo ivi previsto, nel caso di imputato o condannato minorenne. Resta ovviamente affidato al giudice penale, a seguito della dichiarazione di incostituzionalit� consequenziale dell'art. 73 citato, di determinare la pena sostitutiva da applicarsi in luogo dell'ergastolo, nel caso -estraneo al giudizio a quo -in cui si sia in presenza del concorso di pi� delitti, commessi dal minore, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferior.e a ventiquattro anni. CORTE COSTITUZIONALE, 5 maggio 1994 n. 169 -Pres. Casavola -Rel. Ruperto -Commissario dello Stato per la Regione siciliana (avv. Stato Favara) c. Rewione siciliana (avv. Galgano, Scuderi e Lo Bue). Urbanistica � Edilizia � Abusivismo � Repressione � Acquisizione al patri� monio comunale opere abusive � Concessione diritto di abitazione � Presupposti temporali irrazionali � Illegittimit� costituzionale. 210 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Urbanistica � Edilizia � Abusivismo � Repressione � Acquisizione al patri monio comunale opere abusive � Concessione diritto di abitazione Pagamento indennit� rapportato ad oneri urbanizzazione � Illegitti mit� costituzionale. (Cost., art. 97 -deliberazione legislativa approvata da Ass. Reg. Sic. il 14 ottobre 1993, art. 4). E: illegittima la norma che, consentendo ai comuni di concedere il diritto di abitazione sugli immobili abusivi acquisiti al loro patrimonio, preveda che l'opera abusiva sia stata ultimata in data (largamente) successiva a quella della proposta di legge poich� essa costituisce un incentivo all'abusivismo. E: illegittima la norma che, consentendo ai comuni di concedere il diritto di abUazione sugli immobili abusivi acquisiti al loro patrimonio, preveda che l'autore dell'abuso debba pagare un'indennit� ragguagliata ai soli oneri di urbanizzazione, essendo tale valore irriisorio rispetto al contenuto patrimonM.le del diritto acquisito. Il Commissario dello Stato per la Regione Siciliana impugna le seguenti norme deHa deliberazione legislativa nn. 524, 249, 324, 343, 545, recante � Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo ediiHzio e per la destinazione delle costruzioni edjlizie abusive esistenti �, approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993: 1) artt. 2 e 3, che delineano le procedure per H rilascio delle concessioni edilizie e dei certificati di abitabilit�, agibilit� e conformit�, per violazione dell'art. 4 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398 (in tema dii silenzio�assenso) ora convertito, con modificazioni, nella legge 4 dice[Obre 1993, n. 493, in relazione ai limiti posti dall'art. 14, lettera f), deHo statuto speciale della Regione Sicilia, nonch� degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione; 2) artt. 4 e 5, che prevedono la concessione del diritto di abitazione sulle opere edilizie abusive acquisite, per interferenza in materia penale e di diritto privato, per violazione della legge 28 febbraio 1985, n. 47, in relazione ai limiti posti dall'art. 14, lettera f), dello statuto speciale della Regione Sicilia, nonch� degli artt. 3, 5, 9 e 97 della Costituzione; 3) artt. 6, secondo, terzo e quarto comma, e 8, che disciplinano rispettivamente l'autorizzaziione al mutamento di destinazione d'uso per gli immobili � edifilcati a verde agricolo � ed il rilascio del certificato di abitabilit� per i volumi tecnici, per violazione della legge n. 47 del 1985 in relazione ai limiti posti dall'art. 14, lettera f), dello statuto speciale della Regione Sicilia, nonch� degli artt. 3, 9 e 97 della Costituzione; 4) art. 7, terzo comma, che fa salvi i contratti di utenza stipulati prima dell'entrata in vigore della legge de qua, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, sempre in relazione ai predetti limiti ex art. 14, lettera f), nonch� in riferimento all'art. 45 della legge n. 47 del 1985; PARTE I, SEZ, I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 5) art. 11, che introduce lil settimo comma nell'art. 25 della legge della Regione Sicilia 27 dicembre 1978, n. 71, determinando i compensi spettanti ai progettisti per la redazione o la revisione dei piani urbanistici, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. La legge regionale della quale fanno parte le disposizioni impugnate risulta dallo stralcio dei contenuti di numerose iniziative legislative presentate all'Assemblea regionale sici1i:ana tra il marzo del 1992 ed il giugno del 1993. Tutte le proposte si fanno carico delle allarmanti connotazioni che il fenomeno dell'abusivismo edilizio ha assunto in Sicilia. Dai lavori preparatoci che hanno preceduto la normativa de qua si colgono ancor meglio alcuni dati, che possono essere come appresso riassunti. Si � in presenza di una disapplicazione pressoch� assoluta delle norme che prevedono la demolizione delle opere abusive; in particolare, le domande di sanatoria presentate sulle base della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 (concernente l'applicazione in Sicilia della legge 28 febbraio 1985, n. 47), risultano in grande misura ancora pendenti, con la conseguenza di rendere di fatto possibile non solo l'utilizzazione ma anche la commerciabilit� degli immobili. Le amministrazrl.oni locali frequentemente appaiono gestire in modo clientelare il fenomeno, in alcuni casi favorendo movimenti ed aggregazioni dli massa costituiti da occupanti di immobili abusivi, le quali, sotto il comune denominatore del diritto alla casa, si intrecciano spesso con interessi speculativi e fenomeni malavJtosi. In questo quadro il legislatore della Regione sembra muoversi secondo due linee fondamentali: Ja responsabilizzazione di sindaci ed ammimstratori e la salvaguardia di quelle situazioni in cui l'utilizzo dell'opera abusiva risponda ad esigenze abitative primarie. Ci� premesso, le censure vanno esaminate nell'ordine in cui sono state proposte. (omissis) Gli artt. 4 e 5 sono impugnati nella parte in cui prevedono la concessione del diritto di abitazione sulle opere edilizie abusive con esclusione delle costruzioni realizzate su aree sottoposte a vincolo. Lamenta il Commissario la violazione, da parte della Regione, della ratio della legge n. 47 del 1985, l'interfevenza, da parte della stessa, nella materia penale e nel dliritto privato, e, infine, la lesione dei precetti di cui agli artt. 3, 5, 9 e 97 della Costituzione. Le questioni sono fondate nei limiti di cui appresso. L'art. 4 consente ai comuni di destinare le opere edilizie abusive, una volta acquisite al patrimonio comunale, al soddisfacimento della necessit� di edilizia residenziale secondo le seguenti procedure: 1) se l'opera abusiva risulti adibita a dimora abituale e principale del responsabile dell'abuso e del suo nucleo familiare, anche dli fatto, il sindaco pu� concedere �l responsabile che lo richieda e ai componenti RASSEGNA AWOCATURA DEI.LO STATO 212 del suo nucleo familiare il diritto di abitazione nei limiti e con i contenuti di cui agli artt. 1022, 1023, 1024 e 1025 cc.; 2) tale concessione � ammessa purch� il mantenimento dell'immobile non arrechi nilevante pregiudizio alle destinazioni generali di zona ed � in ogni caso esclusa per le opere realizzate in zone sottoposte a vincolo d'inedificabtliit� assoluta o comunque a divieto assoluto di costruzione, mentre, per le zone soggette a vincoli speciali, � richiesto il nullaosta dell'autorit� che gestisce il vincolo; 3) la presentazione delle domande ha effetto sospensivo sui procedimenti amministrativi di repressione dell'abusiivismo che siano in corso; 4) viene demandato al Presidente della Regione di fissare condizioni, modalit� ed obblighi per l'esercizio del diritto, nonch� i casi di decadenza dallo stesso; 5) sono previste precise condiizioni, in particolare: a) l'ultimazione della costruzione entro il 30 settembre 1993; b) il pagamento di un'indennit� ragguagliata agli oneri di urbanizzazione da parte del concessionario; c) infine che quest'ultimo non sia proprietanio di altro immobile idoneo a soddisfare le esigenze abitative e che la costruzione sia stata reaHzzata su area ,di cui si aveva dl legittimo possesso. Nel valutare questa normativa, non pu� ignorarsi che la situazione dell'edilizia abusiva ha assunto in Sicilia i caratteri di ampiezza e gravit� gii� accennati sub 2; come pure � evidente che una politica di corretta gestione del territorio non pu� realizzarsi senza una contemporanea valutazione dei problemi di ordine pubblico che lo strumento della demolizione pu� comportare e, pi� in generale, delle tensioni presenti in aree dove il fenomeno dell'abusiviismo � pressoch� generalizzato. Parimenti � giustificata la preoccupazione del legislatore regionale circa l'appagamento del diritto all'abitaziione, espres,sa in una valutazione di particolare favore per il cosiddetto � abusivismo per necessiit� �. Ci� premesso, ritiene la Corte che la normativa de qua superi nelle sue linee essenziali lo scrutinio di costituzionahlt� cui l'ha sottoposta il Commissanio dello Stato ricorrente, ove la si interpreti -come si deve -in modo conforme alla Costituzione e ai princ�p1 generali del diritto statale; fondate palesandosi le censure soltanto per quanto riguarda il terzo comma, lettere b) e d), nonch� il sesto comma dell'art. 4. Nessuna censura intanto pu� esser mossa direttamente al primo comma di tale articolo, giacch� esso si limita ad autorizzare i Comuni dell'Isola a stabilire che le procedure successive all'acquisizione al pa. trimonio comunale delle opere edilizie abusive esistenti alla data del l'entrata in vigore della presente legge, siano regolate dalle disposizioni dei 'successivi commi, oltre che dalle disposizioni della legge 28 feb .. ~ r: ~ � f I ~ p ,,,,,,,,, ''''P'HPH'P''''m'''''"''"'' ,,,,,,, ,,,,,,. ,,,,,, ,_,,,,, 'W'"'' ,,,,,. ,,,,,.,,.,.,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,,J �1.,_,A��==/==��===miAflJB::wm�1�w111.1~m==11m.m�y� .,.,...n.....,............�.�.�..�.,~.Jr��I ,,.,.rrr.rJ.lJ.@.,RIL....film~.,JlliL...�.........w........,........tL......�,�.�.�.� rrtL..... .,4117&.#lb .%i.Mftl1L.r: PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE braio 1985, n. 47, e della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, in quanto compatibili. In tal modo, difatti, sii descrive una possibilit� ulteriore ed alternativa per la gestione del patrimonio edilizio comunale, di per s� coerente con la competenza esclusiva della Regione in materia. Il secondo comma, costituente l'obiettivo fondamentale dell'impugnazlione, dispone espressamente che l'acquisizione dell'opera abusiva al patrimonio comunale, deve avvenire �ai sensi dell'art. 7, quinto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 � (legge che, ovviamente nei suoi princ�p1 fondamentali, � da includere fra le � norme fondamentali di riforma economico-sociale�). Ci� significa che, fermo restando l'obbligo di demolizione dell'opera, il quale in via primaria consegue all'acquisizione dell'opera abusiva, questa pu� essere conservata al patrimonio comunale e non demolita, quando con delibera2lione comunale relativa alla singola opera (e quindi tenuto espressamente conto di tutte le circostanze del caso che giustificano la deroga nonch� in presenza di una esplicita individuazione dell'immobile e delle sue caratteris1Jiche) si ritenga che sussistano prevalenti interessi pubblici alla conservazione e semprech� �l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbarui.stici o ambientali �. E giova ricordare che taluni di tali vincoli sono pi� specificamente riprodotti in altre dispostizioni della legge impugnata (artt. 4, decimo comma; 5, primo e secondo comma). Sempre per espressa disposizione del secondo comma, l'opera abusiva pu� essere acquisita al patrimonio comunale onde essere concessa come abitazione, solo se � adibita a �dimora abituale e principale del responsabile dell'abuso e del suo nucleo familiare, anche di fatto �, Inoltre, dopo l'acquisizione, il sindaco, su richiesta del responsabile dell'abuso, non deve necessariamente, ma � pu� concedere il diritto di abitazione sull'immobile al richiedente e ai componenti del suo nucleo familiare ... �, Da ci� deriva, alla stregua di un'interpretazione conforme a Costituzione, che l'atto dii concessione del diritto �di abitazione � provvedimento discrezionale, sia relativamente all'an (il sindaco pu� concedere solo se ricorre l'interesse pubblico primario sotteso all'intera legge regionale, nel senso che sussista l'esigenza di assicurare l'abitazione a chi ne ha bisogno, in considerazione del reddito, delle condizioni di vita, etc.), sia relativamente al quid (il diritto di abitazione pu� essere concesso solo se l'opera abusiva costituisca gi� l'effetUva dimora del richiedente e del suo nucleo familiare, proporzionata a quelle esigenze mintime rispetto a una vita dignitosa dell'effettivo nucleo familiare, garantite dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria sull'edilizia residenziale pubblica). Ne consegue altresl che la concessione del diritto di abitazione non pu� avvenire n� a favore degli aventi causa a qualsiasi titolo di chi ha commesso l'abuso o di altri possessori successivi, n� a favore di imprese o societ� (ancorch� queste abbiano direttamente commesso l'abuso). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 214 Ulteriore implicazione cli quanto esposto � che il diritto di abitazione non pu� esser concesso relativamente a edifici aventi caratteristiche di abitazione cli lusso o di �seconda casa�: in questi casi, infatti, si esor biterebbe dall'interesse pubblico (costituzionalmente tutelato) che pre siede al provvedimento del sindaco, diretto a soddisfare un'esigenza abitativa primaria, riferibile soltanto ai bisognosi (chi non ha altra casa) e nei limiti di tale diritto sociale (necessit� di assicurare un livello di vita che non sia inferiore a quello di una �vita dignitosa�). Nel complesso, dunque, il secondo comma dell'art. 4 -chiarite queste premesse interpretative e ferme le <led.aratorie cli illegittimit� di cui infra -contiene un bilanciamento non irrazionale (nell'�mbito del potere che ogni comune ha di utilizzare opere abusive non demolite a fini cli soddisfazione dei bisogni di edilizia residenziale pubblica) tra l'esi genza di disciplinare il grave problema dell'abusivismo edilizio e l'esi genza ~di rilievo anche costituzionale: v. sentenza n. 49 del 1987) di assi curare un'abitazione ai� bisognosi. E solo un'interpretazione non con forme alla Costituzione e ai princ�pi generali dell'ordinamento statale potrebbe condurre -come giustamente rileva la difesa della Regione ai risultati negativi che il Commissario ricorrente indica come giusti ficativi delle sue censure. Le censure, viceversa, sono fondate per quanto concerne alcune delle condizioni descritte dal terzo comma dello stesso art. 4, e precisamente quelle sub lettera b) e sub lettera d). Il terzo comma, Lettera b), infatti, prevede come condizione per la concessione del diritto di abitazione che l'opera abusiva sia stata ulti mata entro il 30 settembre 1993, e non invece entro la data di proposta della legge impugnata. La fissazione di questo termine �, a giudizio della Corte, inficiata da irrazionalit�, in quanto, non precludendo la legittimazione alla proposi zione della domanda di concessione del diritto di abitazione nei con fronti cli quanti abbiano realizzato l'abusivo manufatto, proprio confi dando nell'approvazione di un ormai noto disegno di legge, si risolve in un arbitrario incentivo all'abusivismo. Viceversa, rispetto ad ogni inizia tiva legislativa diretta ad incidere temporaneamente sulla preesistente disciplina degli effetti di un illecito, in senso soppressivo di alcuno di essi o comunque migliorativo per il trasgressore, si impone la fondamen tale esigenza cli un adeguato coordinamento con la determinazione della data finale del periodo beneficiato, in guisa tale che ne risulti impedita una siffatta, abnorme conseguenza. Nel caso in esame, la prima proposta risulta essere stata presentata . all'Assemblea regionale il 23 marzo 1992 e, di conseguenza, la detta esi genza poteva essere soddisfatta soltanto fissando la scadenza del periodo considerato in un momento non succes�sivo a tale data. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 215 Il terzo comma, lettera d), poi, � censurabile perch� si limita a prevedere il pagamento di una semplice � indennit� ragguagliata agli oneri di urbanizzazione �, e dunque non un corrispettivo di valore non irrisorio quale � quello spettante al proprietario che costituisce a fa. vore di altri, non a titolo gratuito, un diritto reale parziario sul proprio bene. Evidente infatti � sul punto la violazione dell'art. 97 della Costituzione; tanto pi� ove si consideri che il diritto concesso pu� avere anche lunghissima durata e quindi per egual tempo pu� comprimere la propriet� del Comune su un immobile, che, oltretutto, a norma del comma 9, �entra a far parte del patrimonio indisponibile del Comune� stesso, col conseguente vincolo di destinazione. CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1994, n. 180 � Pres. Pescatore � Rel. Caianiello � Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Bruno). Circolazione stradale � Uso del casco da parte degli utenti di motocicli � Diritto di libert� e tutela della salute � Legittimit�. (Cast., artt. 3 e 32; legge 11 gennaio 1986, n. 3, artt. 1, 2, 3; legge reg. 30 aprile 1982, n. 285, art. 171). � legittima l'imposizione dell'uso del casco prot.ett<ivo per gli utenti di motocicli poich� l'ingerenza statale nella sfera di libert� del cittadino si giustifica non solo per la tutela della salute di terzi ma anche dell'individuo il cui pregiudizio dal punto di vista delle conseguenze invalidanti .e della mortalit� si ripercuotono in termini di costi sociali su tutta la collettivit�. � stata sollevata questione di legittimit� costituzionale degli arti� coli l, 2 e 3 della legge n. 3 del 1986 -che impongono l'obbligo di indossare il casco di protezione per i motociclisti -assumendosi (ord. n. 438 del 1993 del Pretore di Salerno) che essi violerebbero: a) l'art. 3 Cost., per trattamento irragionevolinente pi� severo rispetto ad altri comportamenti puniti con sanzioni pi� modeste sia dal codice della strada nel testo vigente all'epoca dell'infrazione (d.P.R. n. 393 del 1959 e successive modifiche), sia dalla legge n. 143 del 1989 in tema di cinture di sicurezza; la disparit� di trattamento indicata sarebbe provata dal fatto che il legislatore, con il nuovo codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992: artt. 171, comma 2, e 172, comma 8), ha uniformato le sanzioni previste per la violazione dell'obbligo di usare il casco e per la violazione dell'obbligo di indossare le cinture di sicurezza, attenuando il rigore delle prime (implicitamente ritenute troppo gravose) e aumentando la misura delle seconde; b) l'art. 32 Cost., perch� il tra4 216 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO sgressore porrebbe in pericolo esclusivamente la propria salute, nei cui confronti la collettivit� vanterebbe un �mero interesse�, l� dove altri comportamenti trasgressivi alle norme del codice della strada, puniti in modo pi� lieve, determinerebbero un pericolo per l'altrui incolumit�, tutelata dalla norma costituzionale invocata come .diritto fondamentale dell'individuo; c) congiuntamente con l'art. 171, comma 1, del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Nuovo codice della strada), che ne riproduce le disposizioni, �l'art. 3, primo comma, in ,relazione agli artt. 13, primo comma, e 16, primo comma, della Costitu2lione �, perch� obbligano i cittadini maggiorenni a comportamenti diverni a seconda che siano alla guida di motocicli (con obbligo del casco) o di ciclomotori (senza obbligo del casco), nonostante che si trovino nelle medesime condizioni rappre sentate dalla 'Circolazione urbana (con limiti di velocit� simili per en trambi i veicoli: SO Km/h per le moto e 40 Km/h per i ciclomotori) e dall'uso, in entrambe le ipotesi, di veicoli a due ruote; d) l'art. 32 della Costituzione in quanto, obbligando il cittadino maggiorenne motociclista a proteggersi con .il casco, imporrebbero un trattamento sanitario non giustificato per l'assenza di pericolo alla salute di terzi. (omissis) Va preliminarmente condivisa l'eccezione, sollevata dal.l'Avvocatura generale dello Stato, di inammissibilit� della questione riguardante l'art. 171, comma 1, lettere a) e b) del nuovo codice della strada (appro vato con d.P.R. 30 aprite 1992, n. 285), non dovendo di esso fare applica zione il giudice a quo (reg. ord. n. 438 del 1993), in quanto i fatti oggetto del giudizio al suo esame sono anteriori all'entrata in vigore di detta norma. Nel merito le questioni riguardanti gli artt. l, 2 e 3 della legge 11 gen naio 1986, n. 3, sollevate con entrambe le ordinanze, non sono fondate. (omissis) Per quel che concerne il riferimento all'art. 32 della Costituzione (parametro che � invece stato espressamente disatteso nell'altra ordi nanza n. 646 del 1993), che dal. Pretore di Salerno viene invocato sia per suffragare la gi� illustrata censura di irragionevolezza, sia per� formulare una autonoma censura che, a differenza della prima circa la misura della sanzione, investe in radice l'assoggettamento a sanzione dell'infrazione all'obbligo del casco, la Corte ritiene la questione non fondata, sotto entrambi i profili. Non pu� difatti condividersi la tesi, su cui detti profili si fondano, per la quale l'ingerenza statale nella sfera del cittadino sarebbe consentita solo se sia posto in pericolo il diritto alla salute di terzi individui, mentre quando �la collettivit� nei confronti della salute dell'individuo .vanta un mero interesse� sarebbe �illegittima ogni imposizione o limi tazione � di diritti di libert�, come quello � di circolazione ed in genere di estrinsecazione della personalit��; PARTB I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE L'assunto, secondo cui l'art. 32 della Costituzione consentirebbe limitazioni al diritto di circolazione solo se venisse in gioco il diritto alla salute di soggetti terzi rispetto a colui cui vengono imposte quelle limitazioni, con la previsione di 1soozioni in caso di inosservanza, non pu� essere condiviso. Specie quando, come nella materia in esame, si � in presenza di modalit�, peraltro neppure gravose, prescritte per la guida di motoveicoli, appare conforme al dettato costituzionale, che considera la salute dell'individuo anche interesse della collettivit�, che il legislatore nel suo apprezzamento prescriva certi comportamenti e ne sanzioni l'inosservanza allo scopo di ridurre il pi� possibile le pregiudizievoli conseguenze, dal punto di vista della mortalit� e della morbosit� invalidante, degli incidenti stradali. Non pu� difatti dubitarsi che tali conseguenze si ripercuotono in termini di costi sociali sull'intera collettivit�, non essendo neppure ipotizzabile che un soggetto, rifiutando di osservare le modalit� dettate in tale funzione preventiva, possa contemporaneamente vinunciare all'ausilio delle strutture as�sistenziali pubbliche ed ai presidi predisposti per i soggetti inabili. Le misure dirette ad attenuare le conseguenze che possano devivare dai traumi prodotti da incidenti, nei quali siano coinvolti motoveicoli, appaiono perci� dettate da esigenze tali da non far reputare irragionevolmente limitatrici della � estrinsecazione della personalit� � le prescri:llioni imposte dalle norme in questione~ D'altronde si deve osservare che queste non limitano in alcun modo la libert� di circolazione, intesa nel senso di spostamento da una parte all'altra del territorio, che � la libert� essenzialmente tutelata dall'art. 16 della Costituzione, anch'esso invocato dal giudice a quo, ma dettano solo alcune modalit� da osservarsi da chi voglia utilizzare determinati mezzi semoventi. Se dunque la prescrizione � diretta a prevenire i danni alle persone, il che costituisce in modo indubitabile interesse della collettivit�, essa, anche sotto questo aspetto, deve ritenersi immune dalle censure prospettate. In proposito 11.1on pu� tralasciarsi di considerare i dati delle rilevazioni statistiche condotte nel nostro Paese ed all'estero, indicati anche nella documentazione versata in atti dall'Avvocatura generale dello Stato, dai quali risulta il notevole abbassamento della mortalit� e delle morbosit� invalidanti verificatosi dopo l'adozione dell'obbligo del casco per i guidatori di motoveicoli. L'effetto positivo, in termini di costi sociali, � perci� indubbio, tenuto anche conto che il legislatore, nel suo apprezzamento, si � mantenuto nell'alveo delle sanzioni amministrative, di misure cio� qualitativamente pi� tenui di quelle penali e che fanno guardare perci� con favore alla scelta legislativa operata in relazione alle finalit� di prevenzione che si � inteso perseguire. Quanto alle considerazioni formulate in una delle ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 438 del 1993), circa la maggiore convenienza del 218 RASSEGNA AVVOCAT~A DELLO STATO l'uso dei motoveicoli dal punto di vista dell'inquinamento atmosferico� della � diminuzione della congestione [del traffico] a cagione del minor spazio occupato �, esse investono valutazioni di merito che rientrano nella discrezionalit� del legislatore, cui spetta di cons1derare comparati vamente i vantaggi e gli svantaggi, in termini di costi sociali, che determinate scelte comportano e che possono formare oggetto di sinda cato di costituzionalit� solo se irragionevoli. Parimenti non pu� ritenersi influente nel presente giudizio di costi tuzionalit� il mutamento di indirizzo che il giudice a quo ricorda essersi verificato in qualche altro paese sul punto dell'obbligo del casco, trat tandosi comunque di scelte opinabili sul piano dell'opportunit� e che, comportando vantaggi e svantaggi, non possono condizionarsi a vicenda da Stato a Stato. CORTE COSTITUZIONALE, 16 maggio 1994, n. 183 -Pres. Casavola - Rel. Mengoni -Presidente Consiglio dei Ministri (vice avv. gen. Stato Bruno). Famiglia -Adozione -Convenzione europea di Strasburgo 24 aprile 1967 Ammissibilit� adozione da parte di persona singola -Carattere non autoesecutivo della norma pattizia. (Cost., artt. 3, 29, 30; legge 22 maggio 1974, n. 357, di ratifica della Convenzione di Strasburgo 24 aprile 1967, art. 6). Poich� la Convenzione di Strasburgo 24 aprile 1967 non conferisce ai giudici nazionali il potere di conoeder.e l'adozione di minori a persone singole e non pu� esser�e interpretata nel senso di vincolare il legislatore .italiano ad ammettere tale adozione, non sono violati i principi costituzionali che tuttavia esprimono solo una preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi senza escludere ulteriori possibilit�. Nel corso di un giudizio di reclamo promosso contro un decreto del Tribunale dei minorenni di Roma che ha dichiarato inammissibile la domanda di adozione di un minore presentata da una persona singola in base all'art. 6 della convenzione europea in materia di ado2Jioni di minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357, la Corte d'appehlo di Roma (sezione mino renni), con ordinanza del 9 luglio 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29 e 30 Cost., questione di legittimit� costituzionale della citata norma internazionale pattizia, � nella parte in cui permette senza limiti . l'adozione di un minore di et� da parte di un solo adottante �. Ad avviso del giudice remittente: a) l'art. 6, comma 1, della convenzione vincola le legislazioni degli Stati aderenti ad ammettere in PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE generale l'adozione di minori anche da parte di persone singole; b) il contenuto della norma pattiria � tale che, in virt� dell'ordine di esecuzione, essa ha acquistato forza autoapplicativa nell'ordinamento interno nell'ambito del sistema di adozione dei minori in stato di abbandono regolato dalla legge italiana; e) l'ordine di esecuzione �conferisce natura speciale alle norme pattizie e le rende immodificabili da leggi successive �, onde l'art. 6, comma l, della convenzione di Strasburgo non pu� ritenersi abrogato in parte qua dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, che, salvo casi particolari, non consente l'adozione di minori se non a due persone unite in matrimonio. Ci� premesso, l'ordinanza ritiene la norma in discorso contrastante: con la nozione di famiglia, quale societ� naturale fondata sul matrimonio, consacrata nell'art. 29 Cost.; con l'art. 30 Cost., che tutela l'interesse del minore ad essere allevato ed educato da entrambi i genitori; conseguentemente anche col principio di ragionvolezza di cui all'art. 3 Cost., in quanto contraddice la finalit� dell'adozione dei minori di procurare all'adottato l'inserimento in un ambiente familiare idoneo. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si � costituita la parte privata concludendo per la manifesta infondatezza della questione. L'istante condivide l'opinione che l'art. 6, comma l, della convenzione non conceda spazi di discrezionalit� alle legislazioni nazionali e perci� sia immediatamente applicabile nell'ordinamento I�.nterno: l'adozione di minori deve essere ammessa sia da parte di coppie sposate, sia da parte di persone 'Singole, restando esclusa soltanto la legittimazione di coppie non unite in matrimonio. Contesta, per�, la pretesa contrariet� della norma a principi della nostra Costituzione. Il criterio dell'imitatfo naturae, che iD.forma l'istituto dell'adozione legittimante, non ha un valore assoluto n� in relazione all'art. 29 Cost., come si argomenta dall'art. 25, quarto e quinto comma, della legge n. 184 del 1983, che prevede la possibilit� di disporre l'adozione anche se durante l'affidamento preadottivo uno dei coniugi muore o diventa incapace oppure interviene separazione, n� in relazione all'art. 30, il quale tutela l'interesse del minore ad essere allevato ed educato in seno alla propria famiglia, ma, ove ci� non sia possibile, non esige incondizionatamente l'affidamento a un'altra famiglia come strumento di assolvimento dei compiti dei genitori. Non � escluso che, secondo le circostanze del caso, l'interesse a uno sviluppo armonioso della personalit� del minore possa essere soddisfatto anche affidandolo a una persona singola. Per le medesime ragioni cadrebbe anche la censura di violazione del principio di razionalit� . .In un'ampia memoria depositata nelrnmminenza dell'udienza di discussione da parte privata ha svolto ulteriori considerazioni sui punti del vincolo degli Stati aderenti ad adottare tutte le soluzioni consentite 220 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dall'art. 6 della convenzione e del carattere autoapplicativo della norma pattizia. Si osserva in particolare che l'Italia al momento del deposito della ratifica non ha formulato nessuna riserva per quanto concerne l'art. 6. ~ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile. Secondo l'interveniente la norma impugnata non � autoapplicativa: essa delimita l'ambito delle scelte legislative in ordine alla legittimazione attiva all'adozione di minori senza vincolare gli Stati aderenti alla convenzione ad ammettere tutte le soluzioni consentite. Perci� l'art. 6 della legge n. 184 del 1983, che ha adattato la Convenzione di Strasburgo al nostro ordinamento, non ha violato l'art. 6 nell'ammettere soltanto la prima del1e due alternative ivi consentite, salve le eccezioni degli artt. 25 e 44. La Corte d'appello di Roma -sezione minorenni ha sollevato questione di legittimit� costituzionale dell'art. 6 della convenzione europea in materia di adozioni di minorJ, firmata a Strasburgo il 24 aprile 1967 e ratificata dall'Italia con legge 22 maggio 1974, n. 357, ~ �nella parte in cui permette senza limiti l'adozione �di un minore da un � ; If, solo adottante �. Pi� esattamente, deve intendersi impugnata in parte qua la disposizione della citata legge di ratifica che ha conferito efficacia nell'ordinamento interno all'art. 6 della Convenzione (cfr. sentenze r, r nn. 20 del 1966, 132 del 1985, 128 del 1987).. ! Ad avviso del giudice rime.ttente � la menzionata _disposizione del I l'art. 6 della convenzione di Strasburgo non pu� riitenersi abrogata dalla ' f successiva legge 4 maggio 1983, n. 184 �, che limita a casi particolari la I possibilit� di adozione del minore da parte di una singola persona, � n� possono essere consentiti dubbi sulla sua applicazione immediata, atte I so che il legislatore italiano ha completamente regolato il complesso I sistema di adozione dei minori in stato di abbandono �. Ci� premesso, la norma denunciata, in quanto � esclude ogni limite a che l'adozione avvenga anche da parte di un singolo adottante �, � I ritenuta contrastante con gli artt. 3, 29 e 30 Cost., a stregua dei quali l'adozione legittimante; giusta il criterio dell'imitatio naturae, deve essere � ispirata all'intento di dare una famiglia al minore che ne � privo, I garantendogli tranquillit�, benessere e sana educazione�. Questo cri terio esige che, di regola, �ad adottare sia una coppia di coniugi avente I una comunanza continuativa di vita e adeguate capacit� educative�. l I L'Avvocatura dello Stato ha eccepito !'-inammissibilit� della queI stione per irrilevanza, � non essendo la disposizione pattizia, alla quale � riferita, di immediata applicazione e .non. impegnando comunque il PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE legislatore nazionale a scelte in contrasto con le richiamate norme costituzionali, ma offrendo la possibilit� di scegliere, tra quelle consentite, la soluzione ad esse pi� rispondente �. L'eccezione non pu� essere accolta. Ai fini dell'ammissibilit� della questione l'ordinanza di rimessione ha adeguatamente motivato sul punto della rilevanza muovendo da premesse ermeneutiche non manifestamente implausibili (cfr., da ultimo, sentenze nn. 134 e 173 del 1994; 103, 238, 323, 345 del 1993; 436 del 1992). Nel merito la questione non � fondata. � certo che l'art. 6 della convenzione non � stato abrogato, n� in tutto n� in parte, dalla legge n. 184 del l983, ma � altrettanto certo che la norma pattizia non conferisce immediatamente ai giudici italiani competenti il potere di concedere l'adozione di minori a persone singole fuori dai limiti entro cui tale potere � attribuito dalla legge nazionale, e nemmeno pu� essere interpretata nel senso di vincolare il legislatore italiano ad ammettere senza limiti l'adozione del singolo. Destinatari immediati della norma contenuta nell'art. 6 sono i legislatori nazionali: � la legislazione non pu� permettere l'adozione di un minore che da parte di due persone unite in matrimonio, sia simultaneamente sia successivamente, o da parte di un solo adottante �. Agli Stati firmatari � impartito il divieto di permettere l'adozione di minori da parte di coppie non sposate e insieme, attribuita la facolt� di permettere l'adozione di minori, oltre che da coppie sposate, anche da persone singole, coniugate o no. L'interpretazione letterale, che ravvisa nell'art. 6 un solo principio vincolante per gli Stati aderenti, cio� l'interdizione dell'adozione da parte di coppie non sposate, risponde al cmterio ermeneutico desumibile dal rapport explicatif del Consiglio d'Europa (promotore della Convenzione), ril quale chiarisce che non si tratta di una convenzione di diritto uniforme, bens� di � una convenzione contenente un minimo di principi essenziali cui ciascuna parte contraente dar� effetto � (punto 4), e trova esplicita conferma nel commento all'art. 6, dove si precisa che il paragrafo 1 non rende obbligatoria l'introduzione dell'adozione da parte di una persona sola (punto 23). In quanto attribuisce al legislatore nazionale una semplice facolt�, la norma in esame non �, per definizione, autoapplicativa, ossia direttamente applicabile nei rapporti intersoggettivi privati, occorrendo a tale effetto l'interposizione di una legge interna che determini i presupposti di ammissione e gli effetti dell'adozione da parte di una persona singola. La tesi sostenuta nell'ordinanza di rimessione, secondo cui l'art. 6 222 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO della convenzione potrebbe trovare in parte qua applicazione immediata attraverso gli organi e <le procedure previsti dalla legge n. 184 del 1983, � legata alla premessa, sopra confutata, che interpreta �l'art. 6 come norma che sul punto in discorso impone agli Stati un obbligo anzich� una mera facolt�. Di tale facolt� la legge n. 184 del 1983 si � avvalsa entro limiti ristretti, ammettendo l'adozione soltanto in speciali circostanze (aTt. 25, quarto e quinto comma) o � in casi particolari � (art. 44), e in questi ultimi senza gli effetti dell'adozione piena. La norma convenzionale rimane in vigore come norma che autorizza il legislatore, se lo riterr� oppor tuno, ad ampliare l'ambito di ammissibilit� dell'adozione di un minore da parte di un solo adottante, qualificando~a in ogni caso con gli ef fetti dell'adozione legittimante. In questo senso � orientato il progetto di riforma redatto nel 1992 dalla Commissione ministeriale per la mo difica ed integrazione della legge 4 maggio 1983, n. 184, istituita dal Ministro di grazia e giustizia. I principi costituzionali richiamati nell'ordinanza di rimessione non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell'imitatio naturae in guisa da non consentire l'adozione da parte di un singolo se non nei casi ecce zionali in cui � oggi prevista dalla legge n. 184 del 1983. Essi esprimono una indicazione di preferenza per l'adozione da parte di una coppia di coniugi, essendo prioritaria � l'esigenza, da un lato, di inserire il minore in una famiglia che dia sufficienti garanzie di stabilit�, e dall'altro di assicurargli la presenza, sotto il profilo affettivo ed educativo, di en trambe le figure dei genitori� (sent. n. 198 del 1986). A questa indicazione � conforme la convenzione di Strasburgo: l'art. 6, spiega la citata rela zione esplicativa (punto 23), �prevede, nell'ordine delle preferenze ge neralmente ammesse, prima l'adozione da parte di una coppia, poi l'ado zione da parte di una persona singola�, e il successivo art. 8, par. 2, dispone che l'autorit� competente degli Stati �annetter� una particolare importanza a ci�, che l'adozione procuri al minore un foyer stable et harmonieux � (cfr. sentenza n. 11 del 1981). Fermo questo criterio di preferenza (ribadito nel preambolo della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176), gli artt. 3, 29 e 30 Cost. non si oppongono a un'innovazione legislativa che riconosca in misura pi� ampia la possibilit� che, nel concorso di speciali circostanze, tipizzate dalla legge stessa o rimesse volta per volta al prudente apprezza. mento del giudice, l'adozione da parte di una persona singola sia giudicata la soluzione in concreto pi� conveniente all'interesse del minore. I ~ g ~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 223 CORTE COSTITUZIONALE, 19 maggio 1994, n. 191 -Pres. Casavola - Rel. Baldassarre -Provincia autonoma di Bolzano (avv. Riz e Pannunzio) e Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Favara). Province -Legislazione antimafia � Poteri del Prefetto � Estensione alla Provincia di Bolzano. � {Statuto spec. Provincia di Bolzano, art. 54; d.!. 226/1992; d.!. 13 maggio 1991, n. 152 conv. in legge il 12 luglio 1991, n. 203, art. 15). Il poter� di richiesta, ai fini di un controllo di legittimit�, delle delibere degli enti locaU relative ad acquisti, alienazioni, appalti e contratti attribuito al Comissario di Governo, si esercita anche nella provincia di Bolzano, essendo ispirato alla tutela di interessi di fondamentale importanza nel cont.esto della legisla'l!ione antimafia e non configurandosi come sostitutivo rispetto agli ordinari poteri di vigilanza della Provincia. H oonflitto di attribuzione sottoposto al giudizio di questa Corte � stato sollevato dalla Provincia autonoma di Bolzano a seguito della nota del Commissario del Governo del 14 aprile 1993 (prot. n. 022255), con la quale quest'ultimo, basandosi sull'art. 15 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalit� organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivit� ammini� strativa), convertito dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, ha invitato i comuni e gli altri enti locali della Provincia di Bolzano a trasmettere al proprio ufficio le deliberazion!� di loro competenza relative ad acquisti, alienazioni, appalti e contratti. Ad avviso della Provincia ricorrente, la nota contestata, interpre tando erroneamente il menzionato art. 15, suppone che il potere prefet tizio di richiedere che certe deliberazioni siano sottoposte al controllo preventivo di legittimit� si debba estendere anche alla Provincia di Bolzano, con conseguente lesione delle attribuzioni assegnate alla Giunta provinciale in materia di vigilanza delle amministrazioni comunali e degli altri enti locali, ad opera degli artt. 16, 54 n. 5 e 87 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670) e delle norme di attuazione contenute nell'art. 4, primo comma, del decreto le gislativo 16 marzo 1992, n. 266. Il ricorso della Provincia autonoma di Bolzano va respinto. Occorre preliminarmente rilevare che non sussistono motivi di inammissibilit�. Innanzitutto � costante giurisprudenza di questa Corte che l'istituto dell'acquiescenza non trova applicazione nei giudizi per conflitto di attri" buzione (v., ad esempio, sentt. nn. 58 del 1993; 453 del 1991; 278 del 1991). RASSEGNA AWOCA'fUR1\" DELLO STATO 224 Inoltre, non pu� fondatamente dirsi che con il presente conflitto la Provincia di Bolzano sollevi in �realt� una questione di legittimit� costituzionale, poich� la ricorrente argomenta la lesione delle proprie attribuzioni asserendo che la nota del Commissario del Governo impugnata ha mal interpretato l'art. 15 del decreto-legge n. 152 del 1991 e ha consequenzialmente posto in essere un comportamento illegittimo e invasivo. Solo in via 1subordinata, nel caso che l'art. 15 dovesse essere interpretato nel modo opposto a quello asserito, la .ricorrente prospetta la possibilit� che taie articolo sia contrario a varie norme dello Statuto speciale. N�, infine, pu� riconoscersi fondamento all'eccezione formulata dall'Avvocatura deLlo Stato, secondo la quale la Provincia avrebbe agito a tutela di competenze che l'art. 4 dello Statuto speciale assegna alla Regione Trentino-Alto Adige (ordinamento dei comuni e degli altri enti locali), per il fatto che la ricorrente in realt� lamenta la lesione delle competenze proprie della Giunta provinciale riguardanti �la vigilanza e la tutela sulle amministrazioni comunali, sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, sui consorzi e sugli altri enti o istituti locali� (art. 54 dello Statuto speciale). Ai fini della risoluzione del conflitto � decisivo rilevare che, come questa Corte ha gi� avuto modo di precisare (v. sentt. nn. 218 del 1993 e 407 del 1992), i poteri della cui spettanza si controverte perseguono finalit� di ordine e sicurezza pubblica e, pertanto, mirano a tutelare un interesse generale di indubMa spettanza statale. Essi, infatti, si basano sull'art. 15 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, il quale prevede che il prefetto possa chiedere che siano sottoposti al controllo preventivo di legittimit�, secondo le modalit� e i termini stabiliti daH'art. 45, secondo comma, della fogge n. 142 del 1990, le deliberazioni delle province, dei oomuni e degli altri enti locali relative ad acquisti, alienazioni, appalti e contratti (deliberazioni per le quali � in generale previsto soltanto un controllo preventivo eventuale, su richiesta di una predeterminata percentuale minoritaria dei consiglieri). Come emerge chiaramente dai lavori preparatori, e in particolare dalla relazione introduttiva al disegno di legge di conversione del decretolegge n .152 del 1991, l'articolo appena citato � stato inserito �nel contesto della legislazione antimafia, piuttosto che nel quadro ordinamentale delle autonomie locali�, propri.o perch� esso persegue scopi di prevenzione della criminalit� organizzata di tipo mafioso e camorristico e stabilisce poteri diretti a integrare quelli gi� previsti dall'art. 16 della legge 19 marzo 1990, n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione �di pericolosit� sociale), e, come tali, destinati a rafforzare i controlli preventivi nei confronti dell'infiltrazione e dell'influenza della criminalit� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE organizzata rispetto allo svolgimento delle attivit� dell'amministrazione pubblica. In altri termini, il ricordato art. 15 mira a stabilire poteri v�lti alla tutela di interessi di fondamentale importanza per l'ordinata e civile convivenza dei consociati nella comunit� generale, interessi la cui protezione, spettante in via esclusiva allo Stato, abilita quest'ultimo a porre discipline, anche di dettaglio, che possono legittimamente comportare un'interferenza o un'incidenza diretta su attivit� affidate in via generale alle competenze legislative e amministrative delle regioni e delle province autonome (v., specialmente, sentt. nn. 218 del 1993; 407 e 36 del 1992; 459 del 1989 e 218 del 1988). Tanto pi� ci� vale quando si tratta, come nel caso, di un intervento dello Stato che, non soltanto � collegato agli interessi pubblici e ai valol'i costituzionali di primario rilievo sopra indicati, ma � anche diretto a tutelare quei beni essenziali alla vita dell'intero ordinamento giuridi<:o, di fronte ad attacchi della criminalit� organizzata che hanno creato una situazione di grave emergenza per l'ordine pubblico (v. �Sentt. nn. 218 del 1993 e 407 del 1992). Una volta stabilito che l'art. 15 del decreto-legge n. 152 del 1991 disciplina un intervento di esclusiva spettanza dello Stato, occorre precisare che, contrariamente a quanto suppone la Provincia ricorrente, l'atto che ha dato origine al presente confl.itto di attribuzione va ricondotto alla competenza del Commiss�ario del Governo per la Provincia di Bolzano. Poich� l'art. 15 attribuisce al prefetto il potere di richiedere il controllo di legittimit� preventivo ivi previsto e poich� 1l'art. 87, n. 3, dello Statuto speciale per itl Trentino-Alto Adige stabilisce che, relativamente alle Province di Trento e di Bolzano, spetta al Commissario del Governo presso le due province �compiere gli atti gi� demandati al prefetto�, non si pu� dubitare che l'atto contestato sia stato adottato dall'organo statale costituzionalmente competente. Infatti, come questa Corte ha gi� affermato (v. sent. n. 32 del 1991), allorch� fa legge attribuisce compiti di pertinenza statale ai prefetti quali organi periferici dello Stato, tali compiti devono ritenersi affidati, nell'ambito dello Provincia di Bolzano, al Commissario del Governo, in quanto � corrispondente organo � dello Stato. Va, altres�, precisato che il potere esercitato, a norma del citato art. 15, dal Commissario del Governo con l'atto oggetto del conflitto in esame non configura un'ipotesi di sostituzione di un organo statale rispetto a un organo provinciale nella titolarit� di competenze ordinariamente spettanti a quest'ultimo. In realt�, il potere di vigilanza e di tutela sulle amministrazioni comunali e sugli altri enti locali previsto . dall'art. 54 dello Statuto speciale resta affidato -e non pu� essere diversamente -alla Giunta della Provincia di Bolzano. L'art. 15, invece, si limita a prevedere in capo al 226 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Commissario del Governo un potere di richiesta straordinario, che si affianca ai poteri d'iniziativa stabiliti in via ordinaria dall'art. 45, secondo comma, della legge n. 142 del 1990, al fine di sottoporre al controllo preventivo di legittimit�, esercitato dagli organi ordinariamente competenti, le deliberazioni degli enti focali relative ad alienazioni, acquisti, appalti e contratti, sospettate di essere viziate per effetto di pratiche illecite poste in essere dalla criminalit� organizzata. Cos� definito il contenuto dei poteri previsti dall'art. 15 del decretolegge n. 152 del 1991, si rileva netta la differenza tra questi e i poteri attribuiti al prefetto dall'art. 14 del medesimo decreto-legge. Questi ultimi, infatti, ricomprendendo la possibilit� che il prefetto nomini un collegio di ispettori aventi il compito di verificare la correttezza delle procedure delle gare d~appalto, sono necessariamente destinati a interferire con le funzioni di controllo spettanti agli organi ordinariamente competenti. In considerazione del diverso contenuto e della diversa intensit� riferibili ai poteri rispettivamente previsti nei ricordati artt. 14 e 15, si comprende la ragione per la quale soltanto nell'art. 14 � disposto che � nella Regione Trentino-Alto Adige, aMe finalit� del presente articolo provvedono le Province autonome di Trnnto e di Bolzano nell'ambito della propria organizzazione �. In base a tale ragione non pu� riconoscersi alcun fondamento alla interpretazione formulata dalla Provincia di Bolzano nelle sue memorie difensive, per la quale la clausola di salvezza delle competenze espressamente disposta nel citato art. 14 sarebbe estensibile anche ai poteri disciplinati dall'art. 15, sulla base di una presunta, ma erroneamente supposta, identit� di ratfo fra le distinte ipotesi il"egolate nei predetti articoli. CORTE COSTITUZIONALE, 26 maggio 1994, n. 198 -Pres. Casavola - Rel. Vassalli -Presidente Consiglio dei Ministri (avv. Stato Bruni). Procedimento penale -Prove -Perizia effettuata nella forma di incidente probatorio durante altro procedimento penale a carico di altri imputati -Acquisizione -Limiti. (Cast., artt. 3 e 24; art. 238 c.p.p. introdotto dall'art. 3 d.!. 8 giugno 1992, n. 306, conv. in legge 7 agosto 1992, n. 356). L'ammissione di una perizia assunta con incidente probatorio nel corso di altro giudizio senza la presenza del difensore dell'attuale imputato � legittima se ed -in quanto i soggetti nei confronti dei quali la prova dovr� essere utilizzata non avessero ancora la quaZit� di persone _sottoposte alle 'indagini per mancanza di indizi di colpevolezza, poich� il diritto di ,difesa ex art. 24 Cast. pu� essere garantito solo ai .soggetti nei cui confronti gi� sussistano elementi di colpevolezza; PARTE 1, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 227 Il Tribunale di Pistoia dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimit� dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale, nel testo introdotto dall'art. 3, primo comma, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, � nella parte in cui consente l'acquisizione agli atti del processo della perizia assunta in altro procedimento nelle forme dell'incidente probatorio, anche nei confronti delle parti i cui difensori non abbiano partecipato alla sua assunzione �. Di fronte ad una richiesta del Pubblico ministero volta all'acquisizione agli atti del processo della perizia espletata neHe forme dell'incidente probatorio in un diverso procedimento penale nei confronti di altre persone e relativo a reati privi di ogni collegamento con quelli per cui attualmente si procede, acquisizione alla quale si era opposto il difensore dell'imputato deducendo l'inutilizzabilit� deH'atto per l'ostacolo derivante dall'art. 403 del codice di procedura penale, il Tribunale, ritenuta l'utilizzabilit� della perizia nel procesiso a quo, ha ravvisato nelila disciplina risultante dalla norma denunciata violazione del principio di eguaglianza, sotto H profilo della disparit� di trattamento, e del diritto di difesa. Il rimettente muove dal presupposto che l'intervenuta � novellazione � della norma oggetto di censura comporti una deroga alle disposizioni di garanzia previste in tema di incidente probatorio: sia perch� � non si comprendevebbe il motivo della diversa disciplina, sul punto, tra le prove assunte nell'incidente probatorio e quelle assunte nel dibattimento� ovvero nel giudizio civile, relativamente aHe quali � quella condizione sul contraddittorio non � prevista�; sia perch� la mancanza di un esplicito richiamo all'art. 403 del codice di procedura penale conduce a ritenere la sicura inapplicabilit� di tale disposizione; sia, infine, perch� l'utilizzazione della prova assunta con incidente probatorio in deroga alle previsioni di garanzia corrispondente alla finalit� perseguita dal legislatore che � quella di non disperdere i mezzi di prova, di realizzare l'economia dei giudizi e �di evitarie la naturale diminuzione dell'efficacia rappresentativa delle prove orali che consegue di solito alla loro ripetizione nei vari processi�, una finalit� che resterebbe drasticamente ridimensionata ove si affermasse la necessaria concomitante applicazione dell'art. 403, riducendosi l'operativit� dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale, ai soli casi di identit� di parti nell'uno e nell'altro procedimento. Proprio con riguardo a tale lettura della norma denunciata, l'Avvo catura Generale dello Stato, nel suo atto di intervento per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha preliminarmente espresso le sue riserve, addebitando alla questione proposta di fondarsi su una non corretta interpretazione del �novellato� art. 238 del codice di procedura penale, da intendersi, invece, nel senso che l'utilizzabilit� � esterna � dei verbali RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 228 resterebbe in ogni caso condizionata all'osservanza delle disposizioni di garanzia relativamente alle persone nei confronti delle quali i verbali stessi vengono fatti valere. L'eccezione, cos� come proposta, deve essere disattesa. L'interpretazione avanzata dal giudice a quo, nel senso dell'utilizza bilit� della prova assunta con incidente probatorio in altro procedimento pur in assenza del difensore dell'imputato appare, infatti, non superabile attraverso il semplice richiamo alle disposizioilli di � garanzia � in tema di incidente probatorio. SU!lla base di una completa verifica deH'integmle contesto normativo fil cui � venuto ad inserirsi l'art. 238 del codice di procedura penale, non potrebbe altrimenti scorgersi, relativamente al l'acquisizione in altri processi dei verbali di assunzione anticipata della prova, il ,significato delle � novellazioni � che, in forza dell'art. 3 del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992, hanno attinto la norma ora oggetto di censura. Il raffronto fra la vigente e l'abrogata disciplina sembra confermare che il nuovo testo dell'art. 238 del codice dii procedura penale ha effetti vamente modificato il tessuto normativo disciplinante H regime di utiliz zazione in altri processi dei verbali di prova assunta con incidente pro batorio. Il tutto proprio riscontrando le � novellazioni � che hanno coin volto, non soltanto, la norma oggetto di censura, ma anche le ulteriori disposizioni che in qualche modo a tale norma si collegano. Relativamente al primo comma dell'art. 238 la novazione riguarda soprattutto la parte che consentiva l'� acquisizione di prove di altro procedimento penale� (si parla ora di �verbali di prova�, e la modifica, oltre che dettata da esigenze di ammodernamento formati.e, � forse anche destinata ad accentuare la valenza della trasposizione del contenuto della prova nella scrittura) �se le parti vi consentono� e si tratta di prove assunte nell'incidente probatorio o nel dibattimento �ovvero di verbali di cui � stata data lettura durante lo stesso�. Il terzo comma del medesimo art. 238 (che nel testo precedente rendeva �comunque consentita l'acquisizione della documentazione di atti che non sono ripetibili �) risulta, poi, riformulato in modo tale da autorizzare anche l'acquisizfone di atti divenuti irripetibili per cause sopravvenute, mentre il suo quarto comma autorizza, �se le parti vi consentono�, l'utilizzazione nel dibattimento dei verbali di �dichiarazioni; in mancanza del consenso delle parti l'uso dei verbali rimane circoscritto alle contestazioni a norma deglti artt. 500 e 503, ferma restando l'acquisiZJione dei verbali di prove e della documentazione previsti nei primi tre comIIll� dello stesso art. 238. Per le sole �dichiarazioni, poi, � resta fermo �, alla stregua del quinto comma (del tutto assente prima della � noveHazione �), �il diritto delle parti . dii ottenere a norma dell'art. 190 � (e salvo quanto previsto dall'art. 190-bis) � l'esame delle persope le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1, 2 e 4 del . presente articolo �. @=11pr1a:r=;:;mffiPll~-~;{w..1;:~:TfJ&..Ji�1&1ilft.lfWWJ@P@WF.WifW''Woorl'''''''{'.~:1r)@'':f==1=={:~ 1111.~xlalr@k-tlt-fw:9'6�6L~ PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Il panorama normativo ora vicordato pare, dunque, enucleare, con riferimento all'utitlizzazione di verbali di prove assunte con l'incidente probatorio -pi� specificamente, con riguardo alla perizia, in ordine alla quale l'ordinanza di rimessfone incentra le sue doglianze -un regime derogatorio alle regole stabilite dalla legge quanto alla possibilit� di ammettere che la prova acquisita anticipatamente in un processo divenga utilizzabile in un altro processo. Il fatto che il � vecchlo � testo dell'articolo 238, primo comma, subordinasse l'acquisizione dell'incidente al di fuori del processo nel corso del quale era stato assunto al consenso delle parti si fondava, senza alcun dubbio, su una ratio volta ad estendere alla prova anticipata il regime delle prove assunte in dibattimento; secondo il principio, gi� affermato da questa Corte (sentenze n. 559 del 1990 e n. 74 del 1991), in base ail quale -�addivenendosi con l'incidente probatorio "aH'assunzione anticipata di mezzi di prova destinati ad acquisire la forza probatoria propria delle prove espletate in dibattimento" -!"'interpretazione letterale" del disposto del quinto comma dell'art. 401 (ove si prescrive, in via generrulie, che "le prove sono assunte ne1le forme stabilite per il dibattimento") "rende chiaro che le modalit� di espletamento" della prova "nell'incidente probatorio sono quelle s�tesse che valgono per la fase dibattimentale" �, con estensione del contraddittorio anche al profilo oggettivo di assunzione deHa prova. La possibilit� di assegnare aH'incidente probatorio anche il ruolo di veicolo per la formazione della prova in procedimenti connessi o collegati, purch�, ovV1iamente, venisse, pure qui, assicurato nel suo espletamento un pieno contraddittorio, si coordinava, quindi, al regime di utilizzazione deHa prova in altri processi, comunque subordinata al consenso del1e parti; iJ tutto coerentemente a quanto disposto in relazione all'acquisizione di prove assunte � nel dibattimento ovvero di verbali di cui � �stata data lettura nello stesso �. La norma denunciata sembrerebbe, dunque, derogare a varie clisposizioni relative all'acquisizione delle prove assunte con incidente probatorio. In primo luogo, all'art. 403 che, nel rispetto del principio del contraddittorio, iinsito nell'osservanza (art. 401, quinto comma) delle norme stabilite per il dibattimento (normale punto di arrivo dell'incidente) prescrive che nel dibattimento le prove assunte con l'incidente probatorio sono utilizzabili soltanto nei confronti degH imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione: un precetto contrassegnato dalla caratteristica fisionomia della fase ove la prova viene assunta e la cui riferibilit� soggettiva pu� dilatarsi in cordspondenza dei singoli momenti procedimentali che precedono la definitiva presa di contatto del Pubblico ministero con il giudice, fino �a coinvolgere persone cui non risulta assegnata una specifica qualit� nel procedimento in corso ma che rivestono, o potrebbero rivestire, un ruolo processuale definito in altro procedimento. In secondo luogo, con l'art. 401, sesto comma, che (salvo RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 230 per i casi di estensione dell'incidente probatorio) fa divieto di ampliare la prova da assumere a fatti riguavdanti persone divevse da quelle i cui difensori partecipano all'incidente probatorio e di verbalizzare dichiara zioni riguardanti tali soggetti. Infine, al regime previsto dall'art. 402 che concerne l'estensione dell'incidente probatorio, autorizzata solo dopo aver provveduto alle necessarie notifiche alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa e ai difensori (art. 398, terzo comma) cos� da con sentire la loro partecipazione all'assunzione della prova. Non sembra inopportuno rimarcare come H sistema delineato dal � nuovo � art. 238 riveli una peculiare predisposizione a disciplinare l'uti lizzazione in altri processi delle prove che consistono in dichiarazioni. Con specifico riferimento, indotto dai limiti del thema deoidendum, ai verbali di prova asstllllta con incidente probatorio, 1a regolamentazione dettata dalla norma oggetto di censura si coniuga, infatti (se si eccettui iJ. re gime delle prove assunte con le modalit� previste dall'all't. 190-bis), con il principio, pur esso risultante daHa disciplina dettata dal legislatore del 1992, in base al quale le prove che vengano riversate in un altro processo perdono -in un certo senso -la loro valenza originaria, restando � fermo il diritto di ottenere ai sensi dell'art. 190 l'esame delle persone le cui dichiarazioni sono state acquisite a norma dei commi 1 (2 e 4) del presente articolo �. Rimane cos� assicurato il contraddittorio sulla prova, la quale non resta un'entit� immota, acquisita come tale nel processo, divenendo, invece, oggetto della diiailettica dibattimentale in forza deHa presenza deHa difesa tecnica dei nuovi soggetti interessati. Ci� non sol tanto per una ragione connaturata alla morfologia della dichiarazione, ma anche (e soprattutto) perch�, a norma del combinato disposto degli artt. 511 e 511-bis del codice di procedura penale (quest'ultimo aggiunto dall'art. 8 comma 1-bis della legge n. 356 del 1992), la �lettura dei verbali delle dichiarazioni (che costituisce il veicolo attraverso il quale la dichia razione resa nell'incidente probatorio �diviene utilizzabile nell'altro pro cesso) Ǐ disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese� (v. arti colo 511, secondo comma, appositamente richiamato dall'art. 511-bis). Dal fatto che venga evocato l'art. 511, secondo comma, emerge, an cora, che il nuovo regime dettato daH'art. 238 si presenta come specirue rispetto a queHo riguaroante le dichiarazioni acquisi.te nel processo nel quale la prova viene formata, cos�, da un lato, da scongiurare un'inerte acquisizione di verbali di atti, e, dall'altro lato, da assicurare l'osservanza pure per tali atti del principio di oralit� garantito, appunto, dall'art. 511, secondo comma, del codice di procedura penale. Poich� ile censure del rimettente ri:suiltano incentrate sull'utilizza zione della perizia, non pare inopportuno sottolineare -anche se un . simile rilievo non immuta di molto i termini della questione -come dal raffronto tra il regime predisposto relativamente alla lettura degli atti in dibattimento e quello concernente le prove assumibili con incidente ��111�111�a.��11���~�1� PARTE I,. SBZ. .I;. �GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE probatori<> parre debba ricavarSi una qualche distinzione tra gli atti che consist()noJn.dichiarazj.oni e gli atti<di natura diversa, tra i quali deve appu,g,tQ annover!U"sl la p~i,a,. S91Jrl:).ttutto nei casi .~ come queUo � di ~'."'.""in c.lTacquisitjcm.e anticipata della prQva. sili).Jegittim.ata <�llle ra~paj i1ldi�ate l'.leWultlino �olllma .de~'art�..~?2 4elcod~e �di. PrQCedw:a pe:iiale� ll fa.t<> .�he. l'~� SU. terzo comma, stal�llsca chela lettt.:.a <,leUa ~~~~=:t~~::~~~~ si11 stat.a .dispost~ a noJ:lllj;l deJ1'axt. 392, ulthno. comma, del codice di ~Bl~11itrf{;~~C~:li<>~u~1&:Ei�n:~.~~~~int�ih2<>1~ui~!tk~~:: penale, rlm.arie, puf. riel�. feghn� .di �r�ldt� ... assicurato; . oltre ch� dalle . disposizioni mtenfa cli iiickte:rite probatorio, cfall'axt. 511, terzo comma, il mezzo�� di prfrv� cori6refamerite riversato nell'istruzione.�� dibattimerit�le. ���. /� �� �D'altra� parte, a�. differifuza della dichiarazfone,��la�� perWa resta�� desi~ gi:iata�;;.J. soprattUtfo quando'"J;>rovenga �da inddertteprobatorio ...i.;�� dall"atti� vazione d� Uh sub-procediti�'�nto che, per la necessit� di svolgete irtdagini o aequisizfom di' dati� o valut�2'iom ohe :richiedono specifiche cmnpetenze tecniche/scierttifiche � attisticlle (art.'.2201 primo comma), postula l'esplicazione. massima del �contraddittorio�� e. l'esigenza di assicurare, proprio in quellafaise, tut:tele garanzie connesse aR'eiiercizio .. deN.a difesa tecnica (si pensi alla J;JQssibili:t� di nomina, .ad cypera cl.elle P!:lrti, cij propri consullilll: ti tecnici,.al.J:egime: 4e1la J:'icus~ii:me,, ecc.)�. Ed in effetti, che il legi:s}ator~ del 1992 -certo . atten,to pi�. al regime cl.elle dic):l!iarazi0ni . che� D,()n . a quello �9.e~i altri . mezzi. di provj;l r(f~ativamente ai quaij. � ammessa l'a�quisizfone anticipata -abbia finito :per contempla:i;:e per l'utilizzazion.e in altro proeesso de1la perizia assunta e.o.n incjclente .probatorio utta disciplina in I?arte peculiare risulta propri. 'o dai cijspos:to del gi� richiamato art. SU-bis. �... � ... �. � � ...� �� Con tale nol'llla si � estesa alle dichiarazfonlacquisite ex art. :i38 del cOdice di procedura penale la illsdplfua delle dichfarazioni acquisite nello stesso . procedhnen,to, �espressamente �v�cli[idosi,. attraverso n rlrtvio all'art. sn, secondo comma, ~a ptesc:vizione in base alla quale fa lettura cli \rerbalf di dichfa.razion� (quil1di, �anche di��� quelle provenienti:�. da � un irtcidente probatCirio)� dist)osta sofo dopo l'esame della persbna che le ha rese, a meno che ' l'esame notf� abbia: luogo. Una regola: che, <mvete; ri~ sulterebbe del tutto inadeguata in telamone alla perizia' derivante da mcidente probatorio assunto ex art; 392, ultimo comma~ Non �a caso, qilindi, l'art; 51l-1Jis1 ne1la sua ultima patte, rton reca, con riferimento lilla perizia, al�un ri�hiamo all'art. 511, terzo comma, in base al quale la lettura della relazione peritale � disposta solo dapo l'esame del perito. Dunque, la perizia assunta con incidente probatorio penetra in un altro processo con il solo veicolo della lettura a norma della prima parte RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dell'art. 511-bis. Il che sembra confermare come, con riferimento a ta!le mezzo di prova, il legislatore non abbia predisposto neppure queMe stesse I! garanzie di oralit� che assistono le �dichiarazioni. Tuttavia ad una tale omissione resterebbe possibile -ma solo in parte -porre riparo attraI verso l'esercizio, anche officioso (v. art. 224 del codice di procedura I penale), del potere del gi'U!dice di disporre una nuova perizia, ferma restando l'utilizzazione del precedente mezzo di prova nonostante che al suo espletamento ila parte non abbia potuto partecipare. Cos� precisati gli elementi di sicura novit� che hanno coinvolto, in conseguenza del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito daLla legge n. 356 del 1992, non soltanto l'art. 238 del codice di procedura penale, ma il sistema tutto dell'utilizzazione delle prove assunte in altri procedimenti -una precisazione che vale a disattendere, dunque, sotto ogni ulteriore aspetto, l'eccezione dell'Avvocatura Genevale dello Stato -resta ora da stabilire se la lettura complessiva della norma denunciata proposta dal giudice a quo sia da ritenere corretta anche alla luce dei presupposti richiesti dalla legge perch� la prova assunta attraverso la procedura di cui all'art. 392 e seguenti del codice di procedura penale possa dirsi (prima ancora che uti11zzabile) validamente formata nonostante la mancata partecipazione del �difensore del soggetto interessato. H rimettente, muovendo dal rilievo -nel quale resta enucleato lo stesso giudizio negativo circa la legittimit� costituzionale della norma denunciata -che, a s�guito della novellazione dell'art. 238 del codice di procedura penale, la prova (ne11a specie [a perizia) assunta con incidente probatorio sia comunque utilizzabile nell'altro processo, �anche nei confronti delle parti i cui difensori non abbiano partecipato alla sua assunzione �, incentra la sua verifica interpretativa esclusivamente sulla utilizzazione � esterna � della prova. Ma, cos� operando, sembra trascurare l'esigenza che una esatta lettura dell'art. 238 �novellato� postula che vengano, prima ancora, individuati i presupposti implicitamente irichiesti dalla legge perch� l'utilizzazione possa comunque aver luogo. Di talch�, cos� come proposta, la questione appar.e la risultante di un'interpretazione della norma censurata non attenta ad una condizione indispensabile per procedere alla stessa verifica di costituzionalit�: quella, cio�, riguardante il momento in cui sorge il dover.e dell'ufficio di avvisare il difensore dell'assunzione dell'incidente probatorfo e del corrispondente diritto del difensore stesso di essere avvisato dell'assunzione anticipata della prova. Una condizione che, implicando un indissolubi!le collegamento (oltre che una, almeno apparente, deroga) con tutte le norme di garanzia predisposte dal legislatore in materia di incidente probatorio, �deve essere oggetto di una verifica dimostrativa, non potendo presupporsi come un vero e proprio enunciato dogmatico. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 233 Il regime derogatorio finisce, infatti, per coinvolgere non sol..nto l'art. 403, direttamente chiamato in causa dal rimettente, ma pure gli artt. 393, primo comma, �lettera b) (quale risultante a s�guito della sentenza n. 436 del 1990), 398, secondo comma, lettera b), 401, primo e sesto comma, e 402 del codice di procedura penale, disposizioni tutte che disciplinano il contraddittorio nella fase immec:Uatamente successiva alla richiesta di assunzione della prova. Ogni ulteriore accertamento interpretativo -pur necessario considerato il petitum avuto di mira dal rimettente -deve allora essere preceduto da una diversa operazione ermeneutica avente ad oggetto, prima che i riverberi della prova assunta con incidente probatorio in altri processi, i presupposti dai quali desumere se -nel sistema previsto dall'art. 392 e seguenti del codice di procedura penale -la prova formata antioipatamente possa di:r:si validamente assunta e, quindi, legittimamente utilizzabile nello stesso processo nonostante che il difensore della persona interessata non abbia partecipato alla sua formazione; non foss'altro perch� condizione implicitamente ric~vabile dalla norma oggetto di censura � che la procedura delineata dalle disposizioni ora rico11date sia stata osservata, cos� da consentire (almeno) una qualche utilizzazione in quel processo dell'incidente espletato. Questa Corte, chiamata a pronunciarsi sulla conformit� agli artt. 3 e 112 della Costituzione dell'art. 403 del codice di procedura penale, sottoposto al vaglio di legittimit� nella parte in cui non prevede l'utilizzabilit�, nei confronti d� imputati i cui difensori non hanno partecipato all'incidente probatorio, della perizia disposta a norma dell'art. 392, primo comma, lettera f), dello stesso codice, ove il giudice per le indagini preliminari abbia denegato, per sopravvenuta modifica deHo stato dei luoghi, la richiesta di estensione dell'incidente probatorio a tali soggetti, ha, con la sentenza interpretativa di rigetto n. 181 del 1994, dichiarato non fondata la questione, indicando all'interprete i criteri da adottare ai fini di una corretta applicazione sia dell'art. 403 sia di tutte le altre norme legate alla prima e tra di loro da un rapporto di vicendevole interdipendenza -dettate a garanzia dei soggetti nei confronti dei quali la prova cos� assunta � utilizzabile. Nella suddetta sentenza la Corte ha precisato come � la regola dell'inutilizzabilit� soggettiva � rappresenti una conseguenza della � violazione del principio del contraddittorio, in funzione del quale, come si esprime la relazione al progetto preliminare (p. 99), l'istituto dell'incidente probatorio � stato costruito �. Almeno nell'ambito di uno stesso procedimento, dunque, l'art. 403 del codice di procedura penale in tanto � in grado di impedire l'utilizzazione della prova nei confronti di imputati i cu.i difensori non abbiano partecipato all'incidente probatorio in quanto il principio del contraddittorio di cui la norma costituisce diretta applicazione venga effettivamente vulnerato. H che si verifica solo nel caso RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 234 in cui i soggetti nei confronti dei quali fa prova � destinata ad essere utilizzata abbiano gi� assunto la qualit� di indagati e non anche quando l'utilizzazione riguaroi soggetti �che solo successivamente all'assunzione della prova � ovvero proprio suHa base di essa � sono stati raggiunti da indizi di colpevolezza, atteso che nei loro confronti nessun contraddit torio poteva essere assicurato �. IJ tutto seguendo le linee interpretative gi� tracciate da questa Corte, attenta a rimarcare come � nel processo penale prima che esista una notizia di reato e che essa si soggettivizzi nei confronti di una determinata persona, non rpu� esistere un problema di diritto di difesa �, in quanto � all'indagato ancora "ignoto" non � assi curato alcun tipo di difesa tecnica�: un principio di cui la Corte ha fatto reiteratamente applicazione relativamente all'assetto normativo non pi� vigente, e che �non pu� che essere ribadito nel nuovo sistema processuale� (cos�, ancora, la sentenza n. 181 del 1994). Gli approdi cui � pervenuta la detta decisione aprono prospettive di indubbia valenza interpretativa con riferimento anche alla questione ora sottoposta all'esame della Corte. Alla tematica affrontata dalla sentenza n. 181 del 1994 si sovrappone, peraltro, nella fattispecie ora all'esame, un dato di rilevante significato, costituito dal provenire la prova assunta con incidente probatorio senza la presenza del difensore da un altro proces1so, relativo ad un diverso reato e a diverse persone (e, per di pi�, celebratosi davanti ad una diversa autorit� giudiziaria). Il passaggio all'applicazione del deoisum proveniente dalla sentenza n. 181 del 1994 non pu� essere, dunque, cos� lineare, come pure un'identica ratio decidendi sembrerebbe imporre. � di ostacolo, infatti, ad un'immediata soluzione nei medesimi termini la circostanza che la questione risulti incentrata 1sull'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale, e solo di riflesso sull'art. 403 dello stesso codice. Viene cos� in considerazione, oltre che il diverso quesito concernente l'utilizzazione dei �verbali di prova di altri processi�, anche la problematica relativa alla parcellizzazione dei procedimenti. Il tutto in un regime nel quale, mentre, per un verso, la connessione (i cui casi sono stati consistentemente ridimensionati rispetto all'abrogato codice di rito, con esclusione, fra !'-altro, proprio dell'ipotesi di connessione c.d. probatoria prevista dall'art. 45, numero 4, del codice di procedura penale del 1930) ha assunto il ruolo di criterio autonomo di attribuzione della competenza, per un altro verso, la riunione (fra le cui ipotesi � compresa proprio la situazione corrispondente alla soppressa � connessione probatoria �) opera soltanto una volta che sia stata esercitata l'azione penale (articoli 18 del codice di procedura penale e 2 delle norme di attuazione, approvate, con il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271). . A tali considerazioni non pu�, per�, farsi a meno di aggiungere che l'incidente probatorio, quale istituto tipico della fase delle indagini preli PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE minari, resta contrassegnato dalla possibilit� di utilizzazione congiunta della prova in processi diversi. A circoscrivere i rischi -inevitabilmente derivanti dai limiti imposti per il proces,so cumulativo -di dispersione delle prove anticipatamente assunte, il legislatore, consapevole che fa prova. nel corso delle indagini � suscettibile di dilatazioni quanto alla sua dimensione soggettiva, ha appunto previsto la possibilit� di estensione dell'incidente, un. istituto riferibN.e anche ad ipotesi in cui la prova debba essere utilizzata non nello stesso ma in altro procedimento. Tutto ci�, ovviamente -almeno nell'originaria tessitura del codice del 1988 -alla condizione che all'esigenza �di compiuta formazione della prova � facesse da indispensabile OOIJ.trappunto � la salvaguardia, al tempo stesso, dei diritti delle persone interessate� (v. relazione al progetto preliminare, p. 220). Ove oi� non si fosse verificato, sul piano dei riverberi della prova in altri procedimenti, fart. 238 del codice di procedura penale, nel testo antecedente alla �novella� del 1992, subordinava l'acquisizione della prova assunta nell'incidente probatorio al consenso delle parti; in tal modo sicuramente comprendendo, non soltanto l'ipotesi in cui i difensori non avessero partecipato all'asswwione dell'incidente probatorio perch� non . avvertiti dell'atto da compiere, ma pure il caso -oggetto della sentenza n. 181 del 1994 -che non risultasse ancora individuata la persona nei confronti della quale la prova avrebbe potuto o dovuto essere utilizzata: un'evenienza, certo, pi� frequente quando vengano in considerazione processi caratterizzati anche da ,diversit� di imputati, di reati o di autorit� giudiziarie procedenti. L'art. 238 rappresentava, pertanto, la risultante di una profonda revisione rispetto alfa disciplina dell'utilizzazione delle prove acquisite in altri processi delineata dal codice di procedura penale del 1930, introdotta allo scopo di non squilibrare un sistema congegnato in modo da realizzare lo scopo di garantire l'oralit� e l'immediatezza del dibattimento e che sarebbe risultato eluso da un'automatica acquisizione di verbali di prove assunte in altri procedimenti. Il novum derivante dall'art. 3 del decreto-legge n. 306 del 1992, convertito dalla legge n. 356 del 1992 sta, quindi, nell'esigenza di valorizzare la prova scritta, consentendo l'acquisizione di prove assunte in altri procedimenti a prescindere dal consenso delle parti; una innovazione senza dubbio significativa in quanto parzialmente derogatoria proprio di quel principio di oralit� (e di conseguente immediatezza) proclamato dall'art. 2, numero 2, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81. Ricondotte le '' novellazioni � che hanno attinto l'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale a ricomprendere anche la soppressione del consenso delle parti quale condizione per l'acquisizione della prova assunta con incidente probatorio in altro processo, la norma denunciata deve, allora, attestarsi su di un'interpretazione che -non diversamente da quanto ritenuto dalla pi� volte <ricordata sentenza RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 236 n. 181 del 1994 -la ancori all'osservanza � della salvaguardia del contraddittorio, espressione del pi� generale diritto di difesa �. Con fa conseguenza che l'art. 238, primo comma, in tanto potr� ricevere applicazione, pure di fronte ad una prova assunta con incidente probatorio senza la presenza del difensore, in quanto i soggetti nei confronti dei quali la prova dovr� essere utilizzata non avessero o non potessero ancora assumere la qualit� di persone sottoposte alle indagini, per non essere � stati raggiunti da indizi di colpevolezza, atteso che, per definizione, nessun contrad�litorio poteva essere nei loro confronti assicurato�. L'ambito ,di operativit� dell'art. 238, primo comma, del codice di procedura penale, nel punto denunciato dal giudice a quo viene cos� a saldarsi con i limiti (solo apparenti) di applicabilit� dell'art. 403 del codice di procedura penale, consentendo, di conseguenza, una lettura della norma denunciata in un'ottica interpretativa coerente alla costante giurisprudenza 'di questa Corte attenta a rimarcare come � un problema di diritto di difesa� pu� porsi soltanto in presenza della soggettivizzazione di una notitia criminis nei confronti cli. una persona gi� individuata. Interpretata in questi termini la norma denunciata non lede alcuno dei parametri invocati: non l'art. 3 della Costituzione, non potendo certo affermarsi l'irragionevolezza di una diversit� di trattamento fra colui che abbia assunto la qualit� di persona sottoposta alle indagini e colui che, invece, non sia stato ancora come tale identificato; non l'art. 24 della Costituzione stessa, potendo il diritto di difesa riferirsi soltanto ad un soggetto nei cui confronti sussistono elementi di colpevolezza e non anche nei confronti di chi non sia stato raggiunto da indizi di responsabilit�. Tutto ci� non pu� esimere questa Corte dalla necessit� di rimarcare come la qualit� di persona sottoposta alle indagini non deve discendere dalle valutazioni soggettive dell'ovgano inquirente, 'dipendendo essa da dati oggettivi spesso agevolmente riscontrabili sulla base degli atti, a preseindere dalla separazione dei procedimenti: una vicenda che � discende, nella gran parte dei casi, da scelte o valutazioni contingenti di natura strettamente processuale � (v. sentenza n. 254 del 1992), ma la cui appartenenza, ,di norma, alla fase successiva all'eserciziio dell'azione penale, vale a rendere esigui i rischi (ai quali � sempre comunque possibile porre riparo) prospettati dal rimettente. D'altro canto, qualsiasi comportamento omissivo addebitabile al pubblico ministero quanto al momento della individuazione della qualit� di indagato potr� dar luogo a conseguenze di ordine processuale, ivi inclusa, appunto, la possibilit� di sindacare la concreta utilizzabilit� della prova assunta senza la presenza del difensore; il tutto in una '1inea diretta anche a valorizzare l'interesse dell'imputato a disporre della prova che si riveli per lui favorevole pure se assunta in violazione del combinato disposto degli artt. 238, primo comma, e 403 del codice di procedura penale. PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Dalla casualit� che deve, di norma, contrassegnare l'impossibilit� di partecipazione del difensore all'assunzione della prova per non essere il suo assistito ancora individuato come persona sottoposta alle indagini deriva che le cons�eguenze che ne discendono non devono esorbitare dall'ambito della utilizzazione della prova stessa in un altro processo. Essa non pu�, certo, precludere, � in un sistema processuale imperniato su un ampio riconoscimento del diritto alla prova e nel quale l'acquisizione del materiale probatorio � rimessa in primo luogo all':iniziativa delle parti� (l'art. 190 del codice di procedura penale; sentenza n. 241 del 1992) il diritto della parte di richiedere e di conseguire la rinnovazione della prova, una rinnovazione -divel'samente da quanto affermato dal giudice a quo -riferibile, proprio per le considerazioni che hanno condotto a delinearne una qualche divergenza di trattamento rispetto alle dichiarazioni, anche alla perizia. A ci� va aggiunto il potere del giudice di disporre, laddove fa prova sia (come nel caso di specie) assumibile d'ufficio, la rinnovazione nel dibattimento, pur in assenza di richiesta di parte, fino a prospettare l'utilizzazione anche a tali scopi, del precetto dell'art. 507 del codice di procedura penale. Senza contare la possibilit� di valutare, nell'esercizio del libero convincimento, la valenza di una prova assunta con incidente probatorio anche in funzione della mancata partecipazione del difensore dell'imputato alla sua formazione. I CORTE COSTITUZIONALE, 2 giugno 1994, n. 213 -Pres. ed Est. Pescatore - Sacard s.r.l. c. Ingg. Carriero e Baldi s.p.a., interv. Presidente del Consiglio dei Ministri (avv. Stato Laporta). Espropriazione per pubblico interesse -Decreto di occupazione temporanea d'urgenza per opere e interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247 � Efficacia trimestrale (art. 20, legge 22 ottobre 1971, n. 865) � Legittimit� costituzionale dell'art. 20, comma 1�, legge n. 865/1971. E infondata la questione di legittimit� costituzionale dell'art. 20, comma primo legge 22 ottobre 1971, n. 86, in quanto tale norma, secondo cui il decreto di occupazione temporanea e d'urgenza perde efficacia se non attuato entro tre mesi, detta una disciplina unitaria per le occupazioniJ d'urgenza, dovendosi ritenere applicabile, in conformit� alla pronuncia della Corte di Cassazione, SS.UU., n. 2081/1994, anche a quelle occupazioni preordinate alla realizzazione aelle opere e degli interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 1974, n. 115, convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247, e cio� effettuati dallo Stato o da altri enti pubbUci al di fuori delle materie regolate dalla stessa legge n. 865/1971. 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili; 3 marzo 1994, n. 2081 -Pres. Bile, Est. Sensale -P. M. Morozzo della Rocca (concl. diff.) -Enel (avv. Guerra, Patern�, Castallo) c. Beton Icop s.p.a. 238 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO II CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, Sezioni Unite Civili; 3 marzo 1994, n. 2081 -Pres. Bile, Est. Sensale -P. M. Morozzo della Rocca (concl. diff.) -Enel (avv. Guerra, Patern�, Castallo) c. Beton Icop s.p.a. (avv. Branca, Marotta, Petrecca). Espropriazione per pubblico interesse � Decreto di occupazione temporanea e d'urgenza per opere e interventi previsti dall'art. 4 del dJ. 2 maggio 1974, n. 115 convertito con legge 27 giugno 1974, n. 247 Efficacia trimestrale (art. 20, primo comma, legge 22 ottobre 1971, n. 865). La previsione dell'art. 20, comma 1� della legge 22 ottobre 1971, n. 865, nella parte in cui stabilisce il V:enir meno dell'efficaoia del decreto di occupazione d'urgenza delle areie da espropriar.e ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla emanazione, � indissolubilmente legata alla disposizione di cui al sucoessivo comma 2� e trova quindi applicazione, ai sensi dell'ultimo comma del menzionato art. 20, anche per le occupazioni preordinate alla realizzazione deille opere e degli interveinti previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito con legge 27 giugno 1974, e cio� effettuati dallo Stl(]Jto o da altri enti pubblici al di fuori delle materie regolate dalla stessa legge n. 865/1971. I Nel merito, la questione non � fondata. Il presupposto interpretativo dal quale muove la ordinanza di rimes sione per sospettare la illegittimit� costituzionale della norma de qua, e cio� che essa non sia applicabile alle occupazioni d'urgenza finalizzate alla realizzazione dri opere statali, non trova riscontro in una adeguata analisi sistematica dell'art: 20 della legge n. 865 del 1971. Questo, contenuto nel titolo II della legge, concernente le norme sul l'espropriazione per pubblica utilit�, al primo comma, stabilisce che l'occu � Occupazioni per interventi di interesse statale e termine di efficacia per la loro attuazione �. Le decisioni in rassegna appaiono destinate a modificare l'assetto proce dimentale sin qui osservato per le occupazioni di urgenza preordinate alla realizzazione di opere pubbliche per conto dello Stato. Le Sezioni Unite, dopo ampio excursus e mutando l'orientamento mani festato con la precedente sentenza del 22 novembre 1991, n. 12587 (in Foro lt. �1991, I 2452), con la sentenza 2081/94 hanno ritenuto che il termine di efficacia per l'attuazione delle occupazioni � applicabile anche a quelle per la realizzazione di interventi statali bench� l'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, PARTE I, SilZ. I, .GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 239 pazione d'urgenza delle aree da espropriare � pronunciata con decreto del prefetto, che pe11de efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione. Il� secondo comma prevede, poi, che l'occupazione possa essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione in possesso. Il giudice a quo osserva che l'art. 4, primo comma, del d.1. 2 maggio 1974, n. 115, recante �norme per accelerare i programmi di edilizia residenziale�, inserito dalla legge di conversione 27 giugno 1974, n. 247, estende l'applicabilit� delle disposizioni contenute nel titolo II della legge n. 865 del 1971, relative alla determinazione dell'indennit� di esproprio per opere di interesse regionale, a tutte le espropriazioni comunque preordinate alla realizzazione di opere o ,di interventi da paTte dello Stato, deHe regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico anche non territoriali. Il tenore letterale di tale norma appare al pretore chiaramente volto ad estendere agli interventi statali le sole disposizioni della fogge n. 865 del 1971 relative alla determinazione dell'indennit� di esproprio, con implicita esclusione di un pi� ampio intento di unificazione dei distinti procedimenti espTOpriativi, quello finalizzato alla reail.izzazione di opere regionali, di cui alla citata legge n. 865 del 1971, e quello, di carattere generale, previsto dalla legge n. 2359 del 1865 ed applicabile, dopo l'attuazione dell'ordinamento regionale, alle ,sole opere di competenza statale. abbia espressamente esteso alle occupazioni della specie solo la previsione del 2� comma dell'art. 20 della legge 22 novembre 1971, n. 865 (termine di durata) e non anche quella del 1� comma secondo cui il decreto di occupazione perde efficacia qualora la materiale occupazione delle aree non avviene nel termine di tre mesi dalla sua emanazione. La Corte Costituzionale con la pressocch� coeva sentenza n. 213/94 ha poi prestato apertamente avallo alla statuizione delle Sezioni Unite alla cui motivazione si � ampiamente riportata dichiarando di doverne � condividere la interpretazione sistematica� delle norme. Su tali premesse la Consulta ha dichiarato non fondata la questione di legittimit� costituzionale sollevata dal Pretore di Lucera in relazione all'art. 3 in ordine alla disparit� di trattamento riservata dal legislatore alle ipotesi di occupazioni di urgenza per opere di interesse statale rispetto a quelle disciplinate dalla legge 865/71. La Corte Costituzionale richiamandosi alla ricostruzione interpretativa operata dalle Sezioni Unite ha infatti escluso l'esistenza � di quella diversit� di disciplina tra le due ipotesi di occupazione di urgenza che ha dato luogo ai prospettati dubbi di legittimit� costituzionale �. Alle cennate conclusioni le sentenze sono pervenute nel comune presupposto che, attesa la stretta connessione tra termine di efficacia del decreto di occupazione e durata della stessa, i primi due commi dell'art. 20 legge 865/71 dovrebbero leggersi unitariamente costituendo un unico precetto giuridicamente significante. Rispetto a tale soluzione ermeneutica nessuna rilevanza potrebbe assumere il mancato esplicito richiamo del 1� comma dell'art. 20 cit. da parte dell'art. 14 legge 10/77 in quanto la previsione dovrebbe ritenersi necessariamente ricompresa nel richiamo operato al solo 2� comma. 240 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO N� il successivo art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, che ha aggiunto un sesto comma ahl'art. 20 della legge n. 865 del 1971, avrebbe modificato la situazione, limitandosi ad estendere il solo secondo comma del predetto art. 20, e non anche il primo, alla generalit� delle espropriazioni, ivi comprese quelle concernenti interventi statali. La tesi esposta, in ordine alla portata applicativa defila norma impugnata, trova fondamento, come ricordato nella ordinanza di rimessione, in una pronuncia resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione in sede di regolamento di giurisdizione (sent. n. 12587 del 1991). Con essa si ec1udeva che l'art. 9 della legge n. 865 del 1971, il quale contiene la minuziosa elencazione degli interventi cui la legge si applica, sia nella formulazione originaria, sia in quella risultante dalla sua interpretazione autentica, di cui all'art. 1 ter del d.l. 28 dicembre 1971, n. 1119, aggiunto dalla legge di conversione 25 febbraio 1972, n. 13, generalizzi la disciplina dettata dalla citata legge con estensione anche ai procedimenti espropriativi di competenza ultraregionale, non potendosi intendere in questo senso .il riferimento, contenuto nello stesso art. 9, alla realizzazione di �singole opere pubbliche�, che sono comunque solo quelle rientranti negli scopi della normativa in esame. Nel negare, conseguentemente, portata generale anche al termine trimestrale di efficacia del decreto prefettizio di occupazione di urgenza di cui all'impugnato art. 20, primo comma, della legge n. 865 del 1971, la Trattasi di statuizioni di enorme rilievo se si considera che le occupazioni della specie erano state sin qui ritenute sottratte alla predetta disciplina decadenziale dalla giurisprudenza amministrativa (TA.R. Lazio, Sez. I, 15 aprile 1981, n. 351 in T.A.R. 1981, I, 1477; Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 11 febbraio 1986, n. 14 in Cons. Stat. 1986, I, 216) e da quella ordinaria di merito (Trib. Napoli 12 luglio 1988, n. 6852; Trib. Reg. Acque Pubbliche presso la Corte di Appello di Napoli 4 marzo 1987, n. 95 -entrambe inedite) nonch� dalle stesse Sezioni Unite con la ricordata pronuncia n. 12587/91. Sotto il profilo pi� strettamente pratico dal predetto orientamento consegue che l'occupazione di immobili preordinata all'esecuzione di opere pubbliche statali attuata oltre l'indicato termine trimestrale costituisce una mera attivit� materiale contro cui il privato, oltre che sul piano risarcitorio, potrebbe reagire in reintegrazione del possesso perduto, non essendo il comportamento della P. A. idoneo ad affievolire la posizione di diritto soggettivo in conformit� della pacifica giurisprudenza in subiecta materia. (Cass. 14 marzo 1991, n. 2715 in Foro lt., 1991, I, 2072 con nota di R. Caso). Non � senza rilievo, osservare che, nonostante la problematica sia sorta virtualmente per effetto dell'estensione operata dalla legge 10/1977, il primo intervento delle S. U. si � registrato solo nel 1990 (Cass. S. U. 13 novembre 1990, n. 10950). Con ogni probalit�, infatti, il ritardo con cui il tema � giunto all'esame del giudice di legittimit� � stato determinato non solo dall'illustrato orientamento negativo ampiamente consolidato in sede di merito (isolatamente in �senso contrario Trib. Sup. Acque Pubbliche 9 novembre 1989, n. 90 in Cons. Stat. 1989, Il, 1583) ma soprattutto dalla circostanza che il dato letterale del richiamo operato nei confronti del solo 2� comma dell'art. 20 legge 865/71 I I I I I I PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 241 Cassazione poneva, appunto, l'accento sulla specialit� della normativa di cui alla legge stessa, che ha ad oggetto primario programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica ed � intesa ad attuare particolari interventi urbanistici, e sulla conseguente diversit� di situazioni rispetto a quelle delle ordinarie espropriazioni. Con la predetta sentenza, si avvertiva, altres�, che, anche nei casi in cui non opera il termine di efficacia del decreto d'occupazione in esame, sarebbe comunque escluso il pericolo di occupazioni senza limite di tempo, trovando applicazione l'art. 13 della legge n. 2359 del 1865, che prevede che .nell'atto che dichiara un'opera di pubblica utilit� debbono essere stabiliti i termini d'inizio delle espropriazioni e dei lavori, e che con l'inutile decorso �di tali termini la dichiarazione diviene inefficace, e cos�, per il venir meno del suo presupposto, diviene illegittima l'occupazione d'urgenza. A conclusioni diverse, in ordine al problema dell'applicabilit� dell'art. 20, primo comma, della legge n. 865 del 1971 relativamente ad opere pubbliche di ambito istatale, � pervenuta la Cassazione con una recente pronuncia (SS.UU., 3 marzo 1994, n. 2081), attraverso in iter argomentativo che questa Corte ritiene di condividere. Con una premessa, del resto posta in luce nella stessa sentenza: a seguito dell'art. 4, primo comma, gi� citato, del d.l. n. 115 del 1974, introdotto dalla relativa legge di conversione n. 247 del 1974, che aveva espressamente stabilito J'applicabilit� delle disposizioni della legge n. 865 del 1971 �relative alla deteuninazione del- non pareva lasciare all'interprete margini per una diversa ricostruzione ermeneutica. Non � un caso dunque che la ricordata pronuncia delle S. U. n. 10950/90 si sia avuta in tema di occupazioni ex d.l. 19 marzo 1981, n. 75 (convertito, con modificazioni in legge 14 maggio 1981, n. 219) preordinate agli interventi espropriativi per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori del mezzogiorno colpiti dagli eventi sismici dell'80 la cui attuazione, bench� trattavasi di opere pubbliche statali, era rimessa al Sindaco di Napoli, per le aree urbane, ed al Presidente della Giunta Regionale, per le c.d. aree esterne, quali Commissari Straordinari di Governo (artt. 80 e 81 legge 219/81). Proprio dall'incertezza dell'esatta ricostruzione normativa delle disposizioni applicabili al predetto intervento pubblico di cui non � apparsa subito agevole la natura � statale,. (cui sarebbe stata applicabile quale normativa di riferimento la legge 2359/1865) o �regionale� (con rinvio, quindi, alla legge 865/71) � derivato un massiccio ricorso da parte dei privati alla tutela giudiziaria possessoria quale reazione alla gran mole di occupazioni operate oltre il predetto termine trimestrale. Veniva cosi invocata l'applicabilit� del 1� comma dell'art. 20 legge 865/71 alle occupazioni ex legge 219/81. Ed infatti proprio in sede di regolamento preventivo di giurisdizione (promosso dall'Amministrazione a seguito di azione di reintegra nel possesso) le S. u. statuirono per la prima volta l'applicabilit� del termine di efficacia del decreto di occupazione alle occupazioni operate ex legge 219/81. Pur senza entrare nel merito del predetto orientamento gi� altrove specificamente e criticamente analizzato (Mutarelli, Applicabilit� del termine di effi 242 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO l'indennit� a tutte le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte dello Stato, delle Tegioni, delle province, dei comuni e di altri enti pubblici, si era determinato un regime in base al quale, per le opere d'ambito ultraregionale, ferme le regole procedimentali delle espropriazioni previste dalla legge del 1865, si rendevano applicabili i criteri indennitari della legge del 1971. La successiva dichiarazione d'illegittimit� costituzionale, con riguardo ai suoli edificatori, dei criteri di determinazione delle indennit� stabiliti dalla legge del 1971 (sentt. nn. 5 del 1980 e 223 del 1983), ha fatto, poi riemergere -fino a quando la materia non � �stata specificamente Tegolata -quelli fissati dalla legge n. 2359 del 1865, con la conseguenza che alle espropriazioni di interesse statale si sono applicati schema procedimentale e regole indennitarie derivanti dalla predetta legge del 1865, a quelle di interesse regionale le norme procedimentali della legge del 1971 e i criteri indennitari attinti a quella del 1865. In tale quadro, la recente pronuncia delle sezioni unite della Cassazione sottolinea l'interconnessione tra i primi due commi dell'art. 20 della legge n. 865, che stabiliscono, nell'ordine, che il decreto che dispone l'occupazione d'urgenza delle aree da espropriare perde efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione, e che essa pu� essere prorogata fino a cinque anni da1l'immissione nel possesso. cacia per l'attuazione delle occupazioni di urgenza agli interventi per opere pubbliche statali in Rass. Avv. St., 1991, 252) deve nondimeno osservarsi come lo stesso -diversamente da quanto parrebbe desumersi dalla sentenza delle Sezioni Unite -non pu� costituire precedente confermativo della applicabilit� del predetto termine alle opere pubbliche statali. Ed, infatti, mentre per la pronuncia delle S. U. n. 10959/1990 l'applicabilit� del 10 comma dell'art. 20 cit. parrebbe derivare dalla natura � regionale� riconosciuta sic et simpliciter all'intervento ricostruttivo in relazione al suo ambito territoriale con conseguente applicabilit� dell'intera legge 865/71 (in tal senso parrebbe doversi interpretare la decisione alla luce della motivazione della successiva sentenza 12587/91 cit.). con la successiva sentenza in termini (S. U. 19 febbraio 1992, n. 2048) l'applica bilit� dell'intero complesso della legge 865/71 agli interventi di cui alla legge 219/81 (e, quindi, anche dell'art. 20) viene fatto scaturire dal riferimento alle opere � per calamit� naturali � contenuto nell'art. 9 legge 865/71 la cui funzione � per l'appunto quella di delimitare i procedimenti oblativi assoggettati alla disciplina di cui alla legge 865171. (PATERN�, Ancora sull'ambito di applicazione delle nuove norme in materia di espropri introdotte dalla legge sulla casa, in Riv. Giur. Ed. 1973, I, 524 ss.). Da tutto quanto precede consegue che le predette decisioni non sono idonee �a confortare il recente mutamento di indirizzo espresso dalle S. U. perch� per quanto attiene le opere pubbliche statali la problematica concernente l'applicabilit� del termine trimestrale ha il suo indiscutibile presupposto nel- I, PARTE I, SBZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 243 La rat.fo delle due proposizioni, m cui, come avverte la Cassazione, � si articolano gli inscindibili momenti di un precetto necessariamente unitario sul piano logico-giuridico, � quella di impedire che la protrazione del periodo ed il suo inizio dalla immissione in possesso possano tradursi in una indefinita compressione, senza ragionevoli limiti temporali alla efficacia di esso, del diritto di propriet� e delle facolt� di godimento che vi ineriscono ... �. Il provvedimento di occupazione consente l'apprensione di beni altrui, costituendo una limitazione grave alla propriet�; legittimando l'occupante ad usare della cosa per la realizzazione dell'opera, gli conferisce un diritto di �arattere reale con effetto immediato. Il termine della durata di esso, come segna la cessazione della compressione del diritto di propriet�, cos� realizza una finalit� unitaria che, nella recente interpretazione sistematica della Cassazione, razionalmente accomuna il regime delle opere di competenza statale e locale. Dalla considerazione unitaria dell'anzidetta finalit� dei primi due commi dell'art. 20 in esame, discende che il gi� citato art. 14 della legge n.. 10 del 1977, che aggiunge un sesto comma allo stesso art. 20, stabilendo che il disposto del secondo comma di esso � deve intendersi applicabile anche alle occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere e degli interventi previsti dall'art. 4 del d.l. 2 maggio 1974, n. 115, convertito, l'inapplicabilit� della legge 865/71 laddove per gli interventi di cui alla legge 219/81 le S. U. hanno ritenuto applicabile l'intero complesso normativo della legge 865/71 rispetto a cui, quindi, il problema dell'applicabilit� del 1� comma dell'art. 20 neanche si pu� porre. Passando all'esame specifico delle decisioni deve osservarsi che le stesse hanno ritenuto applicabile il termine trimestrale alle occupazioni per opere pubbliche statali essenzialmente in quanto la funzione del termine per la materiale occupazione e la decorrenza del periodo di occupazione legittima sa� rebbero tanto indissolubilmente legati che non avrebbe senso l'applicazione (e, quindi, anche il richiamo da parte di un'altra norma) di una soltanto delle due regole. Cio� a dire che allorch� l'art. 14 legge 10/1977, nel comma aggiunto all'art. 20 legge 865/71, stabilisce che il disposto del 2� comma � deve intendersi� applicabile alle opere pubbliche c.d. statali, avrebbe in realt� inteso richiamare l'intera disciplina delle occupazioni e, quindi, anche il 1� comma dell'art. 20 legge 865/71 (non espressamente richiamato). Destano perplessit� l'iter argomentativo ed ermeneutico proposto nonch� le conclusioni raggiunte. Inducono, infatti, a sostenere l'inapplicabilit� del predetto termine alle occupazioni statali non solo e non tanto l'elemento interpretativo di ordine testuale dell'assenza di un tale richiamo nell'art. 14 legge 10/1977 (gi� da taluno ritenuto assorbente VIGNALE, L'assetto attuale delle espropriazioni per pubblica utilit�, cit. 1991, 116) quanto piuttosto considerazioni di carattere logico-siste matico e storico-evolutivo <in tal senso parrebbe implicitamente anche SORACE, Espropriazioni per pubblica utilit�, voce Dig. Pubb. Torino 1991, VI, 190). Proprio partendo, infatti, dal solo dato letterale della legge che non include il primo comma tra le previsioni di cui � espressamente estesa la appli� RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 244 con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974, n. 247 �, intende, in effetti, estendere anche fa regola di cui all'art. 20, primo comma, alla realizzazione di opere di competenza statale. Alla luce delle esposte considerazioni, deve escludersi quella diversit� di disciplina tra le due ipotesi di occupazione d'urgenza, che ha dato luogo ai prospettati dubbi di legittimit� costituzionale. II L'Ente deduce che -a seguito della nuova disciplina introdotta con la legge 22 ottobre 1971, n. 865, concernente la sola realizzazione di opere e interventi di competenza regionarle, e dell'estensione, con l'art. 4 della legge 27 giugno 1974, n. 247 (di conversione, con modifiche, del d.l. 2 maggio 1974, n. 115), dei criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione, previsti nella legge del 1971, a tutte le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte deHo Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o �di diritto pubblico, anche non territoriali -la regolamentazione delle espropriazioni per pubblica utilit� � unica, quanto alla determinazione dell'indennit�, mentre rimane distinta per il procedimento, la durata e l'efficacia delle occupazioni d'urgenza. Sostiene, quindi, che, con il comma aggiunto all'art. 20 della legge n. 865/71 dall'art. 14 della legge n. 10/77, si � inteso estendere alle occupacabilit� alle occupazioni per opere c.d. statali si � addirittura ritenuto inappli cabile il termine trimestrale di efficacia in una fattispecie in cui l'Autorit� Amministrativa aveva fatto in un provvedimento espresso e generico riferi mento al citato art. 20. Ci� sulla base della assoluta inapplicabilit� della pre visione agli interventi statali e, quindi, della inidoneit� dello stesso richiamo (Cons. Giust. Amm. Reg. Sic. 11 febbraio 1986, n. 14, cit.). Sotto il profilo logico-sistematico non si � inoltre mancato di osservare che la legge 865/71, proponendo un autonomo schema di procedimento ablatorio per le sole opere di interesse regionale e sub-regionale, non aveva per questo inteso abrogare o modificare l'altro schema di carattere generale di cui alla legge 25 giugno 1865 n. 2359 che, pur dopo l'attuazione dell'ordinamento regionale, continua ad essere ritenuto il solo applicabile agli interventi di interesse statale (Ad. Plen. Cons. Stat. 19 gennaio 1979, n. 1 ed ivi riferimenti giurisprudenziali in Foro lt., 1979, III, 257; Cons. S. U. 21 luglio 1981, n. 4650 in Foro It., 1982, I, 126, Cons. S. U. 15 marzo 1982, n. 1673 in Giust. Civ. 1982, I, 1516, in dottrina VIRGA, Diritto Amministrativo, I Principi Giuffr�, 1994, 423). N� un tale effetto abrogativo potrebbe ricollegarsi all'art. 4 della legge 27 giugno 1974, n. 247, il cui tenore letterale appare chiaramente teso ad esten dere agli interventi statali le sole disposizioni della legge 865/71 relative alla determinazione dell'indennit� di esproprio (Trib. Sup. Acque 7 aprle 1981, n. 11 con nota di LA PORTA, Legge sulla casa ed espropriazioni statali lin �Rass. Avv. Stato 1981, I, 861). L'evidente obiettivo di circoscrivere l'intento di armonizzazione delle differenti discipline alla solo materia indennitaria laddove � per l'appunto pi� PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 245 zioni preordinate alla realizzazione delle opere di competenza statale la possibilit� di protrarre, fino a cinque anni dalla data dell'immissione in possesso, il periodo di occupazione legittima,� gi� stabilito in tale misura dal 2� comma del citato art. 20 per le occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere di competenza regionale, senza, tuttavia, che ci� implichi anche l'estensione della disposizione di cui al 1� comma (secondo la quale il decreto di occupazione perde efficacia ove l'occupazione non segua entro tre mesi dalla sua emanazione): ci� perch� l'art. 14 della legge del l'J77 richiama il 2� e non il 1� comma dell'art. 20. Ci� premesso, l'Ente ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto, contro il dettato dell'art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile, non decisiva l'interpretazione letterale della norma considerata e per avere fatto ricorso al criterio interpretativo logico, consentito sussidiariamente solo in presenza di norme di dubbio significato, compiendo, peraltro, la relativa indagine in modo iHogico e contraddittorio. In memoria, l'ENEL, nel Tilevare che scopo della disposizione aggiunta con l'art. 14 della legge n. 10/77 fu non di accrescere le difficolt� operative dello Stato, ma, al contrario, di rendere pi� agevole la realizzazione delle opere pubbliche statali mediante l'allungamento del termine di efficacia delle stesse, individua la 'Conferma di ci� nel nuovo intervento legislativo operato con la fogge n. 1 del 1978, il oui art. 1 ha precisato che, comunque, le opere pubbliche vanno iniziate, a pena di decadenza della avvertita l'esigenza di salvaguardia della parit� di trattamento degli espropriati, comporta la implicita esclusione di ogni pi� ampio intento di unificazione dei distinti procedimenti ablatori. Quanto fin qui rappresentato trova conferma nella successiva evoluzione legislativa che, muovendo proprio dalla applicabilit� della legge 865/71 alle sole occupazioni per opere di competenza regionale, ha ritenuto con l'art. 14 legge 28 gennaio 1977, n. 10 di dover estendere il solo secondo comma dell'art. 20 legge 865/71 alla generalit� delle occupazioni perci� solo escludendo un intervento pi� ampiamente abrogativo delle disposizioni che disciplinano l'istituto dell'occupazione d'urgenza alla luce della legge 2359/1865. Tale conclusione trova il suo momento di ulteriore verifica nell'argomento, di ordine storico evolutivo, desumibile dallo stesso art. 14 della legge 10/1977, il cui 2� comma, nell'aggiungere un sesto comma all'art. 12 legge 865/71, richiama espressamente la legge 3 aprile 1926, n. 686 quanto a competenze, tempi e modalit� tecniche di pagamento dell'indennit� di esproprio. Appare chiaro che tale rinvio (il quale coinvolge gli artt. 30 e 48 legge 2359/1865 e l'art. 8 secondo, terzo e quarto comma della legge 21 maggio 1955, n. 463) non avrebbe senso se la norma richiamante non avesse ritenuto la permanente validit� dell'intera fase procedimentale cui le norme richiamate si riferiscono (Cons. Stat. IV, 14 luglio 1982, n. 582 in Cons. Stat. 1981, Il, 674). Tale considerazione conferma che nel richiamo operato dalla disposizione dell'art. 4 legge 247/1974 ai criteri relativi alla determinazione dell'indennit� di esproprio non per questo potevano perci� solo ritenersi richiamate anche le modalit� procedimentali successivamente fatte oggetto della specifica estensione di cui all'art. 14, 2� comma della legge 10/77. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 246 dichiarazione di pubblica utilit� e d'indifferibilit� e urgenza, entro tre anni dall'approvazione del progetto. Il ricorso � infondato. Deve premettersi che -come esattamente rilevato nella sentenza impugnata -la questione .prospettata non si risolve nella mera ricerca del significato testuale delle s~ngole disposizioni in esame (che non offre, di per s�, rilevanti difficolt�) o nello scioglimento del dilemma se debba privilegiarsene l'inter:pretazione letterale piuttosto che quella logica. Non appare pertinente, quindi, la dedotta violazione dell'art. 12, 1� comma, delle disposizioni sulla legge in generale. Trattasi, invero, di un problema di coordinamento -dal cui esame il giudice non. pu� esimersi di fronte aH'impiego, in materia, di un'imperfetta tecnica legislativa -delle norme contenute nella legge n. 865 del 1971 con . quelle succedutesi, le quali, pur ne11'apparente chiarezza testuale, hanno dato luogo a manifeste disarmonie sistematiche e a dubbi nella delimitazione del loro campo di applicazione. Il per questo che da pi� parti si � avvertita l'esigenza di un'opera di razionalizzazione, se si vuole individuare il senso logico-giuridico della volont� legislativa, anche alla stregua del principio costituzionale di ragionevolezza. La prima indagine da compiere investe l'ambito di applicazione della legge n. 865/71 (specialmente a seguito dei successivi interventi legislativi che hanno in vario modo inciso sul preesistente tessuto normativo), data Dalla costituzionalmente legittima coesistenza di modelli espropriativi diversi non pu� non conseguire che l'individuazione di armonizzazione e unificazione delle discipline procedimentali debba ritenersi riservata esclusivamente al legislatore e non rimessa all'interprete tenuto altres� conto che la legge 865/71 deve ritenersi gi� legge speciale rispetto alla legge 2359/1856 (VIRGA, Dir. Amm., I Principi, Giuffr�, 1994, 452 ed ivi riferimenti e, per la giurisprudenza Cons. Stat. Sez. IV, 7 febbraio 1985, n. 37 in Cons. Stat. 1985, I, 122). Per affermare che il richiamo del solo secondo comma dell'art. 20 legge 865/71 ad opera dell'art. 14 legge 10/77 comporti la necessaria applicabilit� anche della previsione di cui al primo comma dovrebbe ritenersi che con la disposizione richiamante il legislatore avrebbe inteso realizzare un effetto sostanzialmente abrogativo della disciplina delle occupazioni di urgenza di cui alla legge 2359/1865 con integrale sostituzione della stessa con quella ex lege 865/71. Ma una tale volont� non appare emergere dal lato letterale dell'art. 14 legge 10/1977 alla luce del quale deve ritenersi che l'intervento legislativo mirava in realt� a garantire per le opere pubbliche statali solo un pi� lungo termine di durata delle occupazioni e non viceversa a stabilire per le stesse in via innovativa l'applicabilit� del termine di efficacia previsto per i soli interventi di interesse regionale e sub-regionale. Non pu� pertanto condividersi l'orientamento, per effetto del quale si perverrebbe ad applicare la previsione di cui al 1� comma dell'art. 20 legge 865/71 pur non essendo la decadenza ivi prevista espressamente riferita alle occupazioni per l'esecuzione di opere pubbliche per conto dello Stato. A ci� aggiungasi che la perdita di efficacia del decreto per la non tempestiva occupazione produce effetti diversi dalla occupazione protratta oltre il PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 247 l'affermazione, nella sentenza impugnata, ohe al momento della emanazione della legge n. 865/71 era possibile ritenere che il 2� comma deWart. 20, unitamente al 1� comma, fosse applicabile a tutte le espropriazioni, sia statali che regionali. Nel testo originario dell'art. 9 de1la legge n. 865/71, le norme sulle espropriazioni contenute nel titolo II sono dichiarate applicabili � all'espropriazione degli immobili, disposta per la realizzazione degl'interventi previsti nel precedente titolo (programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica), per l'acquisizione delle aree comprese nei piani di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167, e successive modificazioni, per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compresi i parchi pubblici e di singole opere pubbliche, per il risanamento, anche conservativo, degli agglomerati urbani, per la ricostruzione di edifici o quartieri distrutti o danneggiati da eventi bellici o da calamit� naturali, per l'acquisizione delle aree comprese nelle zone di espansione, a termini dell'art. 18 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, nonch� per l'acquisizione degl'immobili necessari per la costituzione di parchi nazionali �. Sulla portata della locuzione � di singole opere pubbliche �, inclusa fra le ipotesi elencate nella citata norma, si crearono contrastanti opinioni fra coloro che ritenevano la disciplina della legge n. 865/71 applicabile alle sole opere pubbliche regionali connesse all'assetto urbanistico e coloro che erano, invece, dell'avviso che vi fosse assoggettata ogni opera termine. di cui al comma 2� dell'art. 20 legge 865/71 sicch� non pu� ritenersene l'identit� di natura. Nel primo caso, infatti, � il decreto a divenire inefficace laddove nella seconda ipotesi, ferma la efficacia del decreto, � la sola occupa. zione a divenire illegittima e comunque dalla data successiva al termine di scadenza della stessa (Cass. 23 dicembre 1983, n. 7585) rispetto cui � peraltro irrilevante la stessa tardiva emissione del decreto di esproprio (Cass. 3 maggio 1991, n. 4848 in Giur. It., 1992, I, 1, 264). N� pu� giovare il richiamo operato in pi� punti dalle S. U. alla sentenza della Cass. 11 giugno 1980 n. 3716 (in Giust. civ. 1980, I, 2129) che ad una pi� attenta lettura avrebbe dovuto condurre a conclusioni diverse da quelle formulate. Ed infatti la predetta decisione, nell'affrontare per la prima volta ex professo la tematica concernente la decorrenza del termine biennale di durata stabilito dall'art. 73 della legge 2359 del 1865 statuisce che la norma deve essere interpretata nel senso che il termine ivi previsto concerne congiuntamente il provvedimento e la materiale occupazione � dimodoch� il primo perde effi cacia e la seconda non pu� (legittimamente) continuare dopo la scadenza di tale termine�. Le finalit� proprie del procedimento di occupazione e i motivi di ur genza che ne costituiscono presupposto spiegano perch� la norma non. discri mini, ai fini della decorrenza del termine., fra i due momenti ritenuti virtual mente coincidenti (emanazione del decreto e materiale occupazione). Rispetto a tale struttura unitaria la previsione dell'art. 20 della legge 865/71 presenta una diversa struttura procedimentale contrassegnata da due distinti termini: per la durata della occupazione e per l'efficacia del decreto. 6 248-RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO pubblica, indipendentemente da delimitazioni territoriali e da collegamenti con la sistemazione urbanistica degli abitati. La formulazione dell'art. 9 pass� attraverso l'interpretazione autentica data' con l'art. 1 ter aggiunto al dJ. 28 dicembre 1971, n. 1119 dalla legge di conversione 25 febbraio 1972, n. 13 e un'errata corrige, in modo da doversi leggere come segue: � le disposizioni contenute nella presente legge si applicano alle espropriazioni degl'immobili disposte: per la realizzazione degl'interventi previsti nel titolo I...; per l'acquisizione delle aree...; per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria compresi i parchi pubblici; per la realizzazione di singole opere pubbliche; per il risanamento...; per la ricostruzione...; per l'acquisizione delle aree...; per l'acquisizione degl'immobili ... �, Ci� non valse a comporre i contrasti, contrassegnati, fra l'altro, da non convergenti pareri Tesi dal Consiglio di Stato e dall'Avvocatura dello Stato, nonch� da circolari del Ministero dei LL.PP. Che la locuzione � per la realizzazione di singole opere pubbliche � non implichi una generalizzazione della disciplina contenuta nella legge del 1971, al di l� della materia in essa regolata, emerge gi�� dalle pronuncie di questa Corte n. 4690 del 21 luglio 1981 e n. 1673 del 15 marzo 1982, nella quali si afferma, sostanzialmente, la settorialit� della legge n. 865/71, in quanto detta norme per l'esecuzione dei programmi ed il coordinamento Dall'esame della struttura procedimentale prevista per la occupazione dalla legge fondamentale sulle espropriazioni e dalla c.d. � legge sulla casa � la richiamata sentenza della Cass. n. 3716/80 fa scaturire che una scissione tra il termine di efficacia e quello di durata dell'occupazione materiale � deve essere esplicitamente prevista�. Del resto la giurisprudenza amministrativa appare orientata nel senso di ritenere che la decadenza dell'esercizio di un potere di cui sia titolare la PA. deve essere espressamente sancita dal legislatore (Cons. Stat., 6 aprile 1987, 204 in Cons. Stat. 1987, I, 497; Cons Stat. 26 settembre 1986 n. 161 in Cons. Stat. 1986, I, 1411). Orbene il richiamo al solo secondo comma dell'art. 20 della legge 865/71 costituisce tutt'altro che una esplicita previsione che il legislatore abbia voluto realizzare una analoga scissione per le occupazioni disciplinate dall'art. 73 della legge 2359/1865. Allorch� l'art. 14 della legge 10/77 nel comma aggiunto al suddetto art. 20, stabilisce, con previsione dichiaratamente innovativa, che � il disposto del secondo comma deve intendersi applicabile anche alle occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere e degli interventi previsti dell'art. 4 del decreto legge 217/74 n. 115 convertito, con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974 � non ha sol per questo inteso realizzare un effetto abrogativo della disciplina di cui alla legge 2359/1865 ma unicamente realizzare anche per le procedure dalla stessa previste l'estensione temporale della durata delle occupazioni. E del resto anche a volere ritenere l'indissolubile interdipendenza tra termine per l'immissione in possesso e termine per l'efficacia del decreto attuata � nel richiamato art. 20 dovrebbe pur sempre convenirsi che la stessa non pu� costituire vincolo per il legislatore libero di richiamare distintamente ciascuna delle due previsioni innestando la stessa in tessuto procedimentale diverso rispetto PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 249 dell'edilizia residenziale pubblica; e si sottolinea che la nuova formulazione dell'art. 9, dichiaratamente interpretativa, risponde all'esigenza di una migliore espressione letterale, fermi il carattere tassativo dei casi ai quali si applica la nuova procedura espropriativa e, quindi, la inestensibilit� a qualsiasi caso di espropriazione per pubblica utilit�. Ci� � stato ribadito, pi� recentemente, con la sentenza 22 novembre 1991, n. 12587, nella quale si � osservato che: a) se si volesse assegnare portata generale alla suddetta espressione, perderebbe ogni ragion d'essere la minuziosa elencazione delle espropriazioni alle quali sono applicabili le disposizioni della legge; b) peraltro, la specificazione relativa alle � singole opere � non rimane priva di significato precettivo, in quanto l'elenco di espropriazioni fornito dalla norma riguaroa programmi e interventi di carattere generale, sempre in funzione delle finalit� proprie della legge, ovvero -in tale ambito -specifiche realizzazioni collegate a particolari eventi, donde la necessit� di chiarire che anche singole opere pubbliche non considerate nella elencazione, ma rientranti negli scopi della normativa, a questa rimangono soggette anche per tutto quanto attiene all'espropriazione; e) d'altro canto, la legge n. 865/71 ha ad oggetto primario � programmi e coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica �, di cui ai titoli I e IV, e, in evidente collegamento con tale oggetto, detta le diverse disposizioni, oltre che sull'espropriazione (titolo II), in materia urbanistica (titolo lii) e di agevolazioni nell'edilizia (titolo V). cui la predetta norma risulti compatibile o comunque idonea a realizzare il risultato legislativamente assegnatole. Sotto tale ultimo profilo non giova all'impianto argomentativo della deci sione della Suprema Corte il richiamo operato all'isolato precedente giurispruden ziale (Cass. 17 maggio 1989 n. 2337) secondo cui �per aversi una disposizione giuridicamente significante spesso si richiede il concorso di pi� proposizioni, anche se topograficamente distinte�. Dalla motivazione della sentenza emerge che nella specifica fattispecie, in presenza di una evidente carenza di tecnica legislativa, il contenuto precettivo della disposizione non era giuridicamente desumibile se non attraverso l'interpreta zione congiunta di pi� proposizioni del medesimo complesso normativo. Il richiamo al riferito criterio interpretativo non appare utile nel caso di specie atteso il rinvio inequivocabilmente circoscritto dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 al solo 1� comma dell'art. 20 legge 865/1971, con con seguente applicabilit� del solo canone di interpretazione letterale in conformit� dell'art. 12 disp. prel. cod. civ. (Cass. 5 luglio 1982, 4000). In ogni ipotesi l'indagine ermeneutica andava effettuata non rispetto al complesso normativo richiamato bens� in relazione a quello richiamante. Se � infatti di solare evidenza che i primi due commi dell'art. 20 cit. devono rite nersi indissolubilmente correlati nell'ambito del procedimento disciplinato dalla legge 865/1971 non � per questo men vero che il richiamo da parte di altro contesto normativo (tale infatti deve ritenersi la disciplina procedimentale pre vista per le espropriazioni ed occupazioni preordinate alla realizzazione di opere pubbliche statali) ad uno solo degli stessi impone all'interprete di dover applicare la previsione nel rigoroso rispetto del dato letterale e comunque impone che 250 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Sotto un diverso profilo, i dubbi circa l'istituzione di un regime espropriativo unifonne si sono posti a seguito della legge di conversione (27 giugno 1974, n. 247), che, nel comma premesso all'art. 4 del d.1. 2 maggio 1974, n. 115, ha espressamente stabilito che le disposizioni della legge n. 865/71, relative alla determinazione dell'indennit�, si applicano a tutte le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione di opere o interventi da parte dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni o di altri enti pubblici o di diritto pubblico, anche non territoriali. La norma fu variamente intesa: nel senso della creazione di una disciplina uniforme limitata ai soli criteri di determinazione dell'indennit� d'espropriazione (nessuna portata estensiva attribuendosi al successivo comma dell'art. 4 risultante dalla legge di conversione), ovvero estesa alle competenze ed al procedimento; ed in questa seconda direzione si pose anche una circolare del Ministero dei lavori pubblici, dalla quale, peraltro, si discostarono in successivi pareri (pur se con rilievi in parte difformi) il Consiglio di Stato e l'Avvocatura dello Stato. Con le gi� �richiamate sentenze n. 4690/81 e n. 1673/82, queste Sezioni Unite, da un lato, hanno ritenuto che il comma premesso dalla legge di conversione all'art. 4 del decreto n. 115/74 ha efficacia generale ed innovativa e prescinde dal riferimento all'art. 9 della legge del 1971 (ed alla materia in essa specificamente regolata), fissando un criterio generale l'indagine del contenuto dispositivo vada effettuata rispetto al tessuto norma tivo richiamante (e non, quindi, rispetto a quello oggetto del richiamo). Diversamente opinando il richiamo di uno specifico comma da parte del legislatore per applicarne il contenuto in altro contesto normativo dovrebbe sol per questo ritenersi contenere inesorabile richiamo di tutte le altre pro posizioni che nello stesso complesso normativo costituiscono un unico pre cetto dispositivo indipendentemente dall'esame dell'assetto normativo in cui la previsione richiamata � destinata ad operare inibendo quindi al legislatore di riconoscere ad una proposizione normativa funzione operativa diversa da quella originaria. Per tutto quanto precede non pu� ritenersi applicabile il ri ferito canone giurisprudenziale di �unica disposizione giuridicamente significan� te � alla peculiare fattispecie in esame. Sicch� il mancato richiamo del 1� comma dell'art. 20, ribaltando l'ipotesi concettuale offerta dalle sentenze, costituisce momento di verifica e di confer ma cbe il legislatore, rispetto alle occupazioni per l'attuazione di opere pubbli che statali, ha inteso per l'appunto evitare l'effetto decadenziale per il mancato rispetto del termine trimestrale. Sotto convergente profilo appare logico ritenere che il legislatore per le opere di competenza statale (e nonostante il decentramento operato) presuma una libert� e capacit� esecutiva meno agile consentendo quindi l'esecuzione dell'occupazione anche oltre tre mesi dall'emissione del decreto ma limitando rigorosamente alla durata di legge l'affievolimento conseguente all'emissione del provvedimento. Per le opere di competenza regionale e sub-regionale � viceversa � previsto il breve termine di cui all'art. 20 essendo le stesse realizzate da organi locali che, in quanto tali, dovrebbero essere pi� agevolmente in grado di raggiungere gli scopi propri dell'occupazione accertando in loco la necessit� e I m I ~: ?.' I j PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 251 applicabile a tutte le espropriazioni disposte a favore dello Stato e degli altri enti pubblici; dall'altro hanno affermato che, data la limitazione del richiamo alle sole disposizioni del titolo II della legge del 1971 �relative alla determinazione dell'indennit� � e non anche alle altre regolanti le competenze e il procedimento di espropriazione in materia di edilizia residenziale pubblica, la norma � da intendere nel senso che -ferme le regole procedimentali proprie di ciascun tipo di procedimento -l'indennit� si determina secondo i criteri posti dalla legge n. 865/71. Ci� � affermato anche nella citata sentenza n. 12587/91, che trae una indiretta conferma della funzione dell'art. 9 -di precisa individuazione e limitazione dei procedimenti ablatori assoggettati alla disciplina della legge n. 865/71 -dalla norma del 1974, con la quale si � avvertita l'esigenza di estendere a tutte le espropriazioni, comunque preordinate alla realizzazione di opere e d'interventi pubblici, le sole disposizioni del titolo II. Fermo restando che :l'indennit� va giudizialmente determinata secondo i criteri di legge propri del procedimento adottato in concreto secondo l'urgenza dell'opera cui l'occupazione � preordinata attraverso una immediata esecuzione dell'immissione in possesso. Conclusivamente pu� pertanto sostenersi che il termine trimestrale di efficacia del decreto di occupazione non sia applicabile alle occupazioni preordinate alla realizzazione di opere di interesse statale la cui durata, in virt� della testuale estensione operata dall'art. 14 della legge 10/1977, pu� essere protratta fino a 5 anni con decorrenza dal decreto. L'estensione del termine di durata delle occupazioni deve infatti ritenersi effettuata con il limite della compatibilit� con la struttura procedimentale prevista per le occupazioni dal legislatore del 1865. N� pu� essere di ostacolo a tale ricostruzione la circostanza che il secondo comma del ripetuto art. 20 collega la decorrenza della legittima occupazione alla data di immissione in possesso. Ed infatti tale diversa decorrenza dell'occupazione legittima rispetto a quella stabilita nell'art. 73 della legge 2359/1865 � coerente con la scissione operata dal 1� comma dell'art 20 tra termine di efficacia del decreto e durata dell'occupazione ma � incompatibile con l'istituto dell'occupazione cos� come configurato dal legislatore del 1865 in cui non sussiste la predetta scissione. Non a caso il predetto art. 73 usa il solo termine occupazione riferito, come ritenuto dalla illustrata sentenza della Suprema Corte n. 3716/80, cit. sia al decreto sia alla occupazione laddove l'art. 20 disciplina al 1� comma il termine di efficacia del decreto ed al 2� quello della durata dell'occupazione. Per le occupazioni non disciplinate dal 1� comma della legge 865/71 il termine di durata decorrer� quindi dal decreto e non dalla presa di possesso. Tale ipotesi ricostruttiva appare maggiormente fedele al complesso delle disposizioni disciplinanti la materia delle occupazioni di urgenza e rispettosa dei diversificati moduli procedimentali ed ha altres� il pregio di evitare che la cessazione della compressione del diritto dominicale sia indefinitamente sospesa nel tempo. � Viceversa ci� avverrebbe se la durata della occupazione si facesse decorrere dalla data di immissione in possesso non essendo per le occupazioni statali per quanto gi� illustrato -sanzionabile con la perdita di efficacia del decreto. 252 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO scelte non sindacabili dal giudice, e non secondo quelli del procedimento che la P. A. avrebbe potuto o dovuto adottare (v. sent. nn. 4690/81 e 1673/82), la norma del 1974 ha determinato un regime in base al quale, per le opere d'interesse regionale in materia di edilizia residenziale pubblica, la disciplina del 1971 risultava totalmente applicabile con riguardo sia al procedimento ed alle competenze sia ai criteri indennitari; mentre, per quelle di ambito ultraregionale anche estranee alla materia contemplata dalla legge del 1971, ferme le regole procedimentali del modello proprio di questo tipo d'espropriazioni, si rendevano applicabili i crit�ri indennita� ri della legge del 1971, innestati sul tronco di un diverso schema procedimental�. La dichiarazione d'illegittimit� costituzionale -limitatamente alla determinazione dell'indennit� con riguardo ai suoli edificatori -dei criteri stabiliti dalla legge del 1971 e la riemersione, affermata dalla costante giurisprudenza di questa Corte, dei criteri fissati dalla legge n. 2359 del 1865, in luogo di quelli caducati dalla pronunzia d'incostituzionalit�, ha poi determinato una sorta d'inversione, nel senso che, per le espropriazioni del secondo tipo, si � avuta una disciplina attinta alla legge del 1865 per quanto concerne sia le regole procedimentali sia quelle indennitarie, mentre per le espropriazioni del primo tipo, alle norme procedimentali proprie del modello espropriativo disciplinato dalla legge del 1971 fanno riscontro i criteri indennitari della legge del 1865. In�ogni ipotesi deve rilevarsi che il pericolo avvertito dalla Consulta di occupazioni senza limite di durata dovrebbe ritenersi comunque escluso dall'art. 13 della legge 2359/1865 secondo cui nell'atto dichiarativo di pubblica utilit� devono essere stabiliti i termini di inizio delle espropriazioni e dei lavori a pena testuale di inefficacia con conseguente illegittimit� derivata dell'occupazione di urgenza per venir meno del suo presupposto. (Cons. Stat., Sez. IV, 28 novembre 1978, n. 1097 in Riv. Giur. Ed. 1979, I, 99). Anche a prescindere da quanto precede deve comunque rammentarsi l'orien� tamento giurisprudenziale secondo cui anche per determinare il termine di du� rata delle occupazioni disciplinate dalla legge 865/71 dovrebbe aversi pur sempre riguardo all'emissione del provvedimento nonostante che il tenore letterale della disposizione (art. 20, 2� comma cit.) faccia esplicito riferimento alla immissione nel possesso quale dies a quo dell'occupazione. (Cass. 28 dicembre 1990 n. 12197; Cass. 7 dicembre 1990 n. 11733; Cass. 11 giugno 1980 n. 3716 in Foro Amm. 1981, I, 2272). i> pertanto quanto mai auspicabile che quanto prima venga nuovamente riesaminata la problematica concernente l'ambito di applicabilit� del termine trimestrale di efficacia del decreto di occupazione rispetto a cui peraltro non � ammissibile alcuna proroga (Tar. Toscana, sez. I, 15 febbraio 1991, n. 35, in Foro Amm. 1991, II, 2349). Quanto precede tenuto altres� conto che la Corte Costituzionale, che pur aveva manifestato adesione al nuovo orientamento delle S.U., non ha lasciato intendere che una interpretazione delle disposizioni orientata ad una diversificazione dei moduli procedimentali esistenti in tema di occupa� zioni d'urgenza dovrebbe ritenersi sol per questo costituzionalmente illegittima. ADOLFO MUTARELLI PARm I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE In questo tessuto normativo va considerata la disciplina dell'occupazione d'urgenza per le espropriazioni non disciplinate dalla legge n. 865/71, in quanto preordinate alla realizzazione di opere ed interventi dello Stato o di altri enti pubblici e non concernenti la materia regolata da quella legge; e, in particolare, il problema relativo alla portata dell'art. 20, 1� e 2� comma, e dell'art. 14 della legge 28 gennaio 1977 n. 10. In base all'art. 20, il decreto che dispone l'occupazione d'urgenza delle aree da espropriare pe:rrle efficacia ove l'occupazione non segua nel termine di tre mesi dalla sua emanazione (1� comma); e. l'occupazione pu� essere prorogata fino a cinque anni dalla data d'immissione in possesso (2� comma). L'interconnessione tra i due commi � evidente e rappresenta il contenuto sostanziale della novit� della legge del 1971 rispetto a quella del 1865: da un lato, si consente la protrazione del periodo di occupazione legittima fino a cinque anni e lo si fa iniziare dalla data della effettiva immissione in possesso; dall'altro, l'ampliamento del periodo e (soprattutto) la sua decorrenza da tale momento trovano giustificazione nella circostanza che. questa avvenga entro tre mesi dal decreto, pena la perdita di efficacia del provvedimento. Chiara, del pari, . � la ratio delle due proposizioni in cui si articolano gli inscindibili momenti di un precetto necessariamente unitario sul piano logico-giuridico: che � quella d'impedire che la protrazione del periodo ed il suo inizio dalla immissione in possesso possano tradursi in una indefinita compressione (gi� determinata dalla emanazione del decreto di occupazione), senza ragionevoli limiti temporali all'efficacia di esso, del diritto di propriet� e delle facolt� di godimento che vi ineriscono e che tale compressione rimanga senz'indennizzo fino al momento della effettiva immissione in possesso ad libitum del soggetto autorizzato ad occupare. N� � sufficiente ad impedire questi effetti la delimitazione temporale della dichiarazione di pubblica utilit�, all'interno della quale, con autonome e proprie finalit�, sono destinati ad operare i termini e le modalit� dell'occupazione d'urgenza; cos� come privo di rilevanza nella questione in esame � il 3� comma dell'art. 1 della legge 3 gennaio 1978 n. l, per il quale gli effetti della dichiarazione di pubblica utilit� e di urgenza e indifferibilit� (cui il 1� comma equipara l'approvazione dei progetti di opere pubbliche da parte dei competenti organi statali, regionali, delle Province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali) cessano se le opere non hanno avuto inizio nel triennio successivo all'approvazione del progetto. La norma, finalizzata all'accelerazione delle procedure per l'esecuzione di opere pubbliche e d'impianti e costruzioni industriali e chiaramente riferita anche alle opere di competenza regionale, non pone nel nulla il diverso termine trimestrale dalla emanazione del decreto in cui l'occupazione deve materialmente seguire (e per di pi� con riguardo anche alle opere di competenza regionale per le quali l'ente ricorrente non contesta l'applicabilit� del termine stesso). RASSEGNA AVVOCATORA DELLO STATO 254 La coesistenza e compatibilit� dei due termini � stata felicemente colta dalla sentenza della I sezione n. 8801 del 21 luglio 1992, la quale ha !affermato che, � in tema di occupazione temporanea e d'urgenza del fondo espropriando, ed al fine dell'applicazione dell'art. 20, primo comma, della legge 22 ottobre 1971 n. 865 ..., occorre fare riferimento al momento della ~ immissione dell'.occupante nel possesso del bene, non a quello dell'inizio de� lavori (rilevante ai diversi fini dell'art. l, terzo comma, della legge 3 gennaio 1978 n. 1 �.. ) �; e si spiega con la considerazione che, mentre la legge del 1978 � finalizzata alla realizzazione del pubblico interesse alla speditezza delle procedure, l'art. 20 tutela anche l'interesse del proprietario del fondo occupato a veder delimitata e determinata nel tempo la compressione del suo diritto ed a vederne pienamente indennizzato il sacrificio. Alla unitaria considerazione del precetto normativo, quale si � individuato, non � di ostacolo che esso sia espresso in commi separati. Come si � altre volte osservato (v., in motivazione, la sentenza 17 maggio 1989 n. 2337 della I sezione), le disposizioni di cui una norma risulta composta non s'identificano necessariamente con i singoli articoli o con le partizioni interne di articoli (commi, paragrafi) in cui si presentano topograficamente raccolte e suddivise le proposizioni linguistiche in cui esse si articolano. Infatti, per aversi una disposizione giuridicamente � significante �, spesso si richiede il concorso di pi� proposizioni, anche se topograficamente distinte, com'�, d'altra parte, possibile che entro una sola proposizione siano formulate pi� disposizioni, dotate ciascuna di un proprio e distinto significato giuridico. Ci� che in ogni caso occorre � che la singola disposizione, per essere tale, abbia un proprio autonomo e distinto significato (sia, cio�, giuridicamente �significante�) e ohe non si ponga (com'� invece per i due primi commi dell'art. 20) quale componente essenziale dell'intera norma, in modo che questa sia suscettibile di vivere con un proprio contenuto, anche prescindendo dalle singole disposizioni e senza che il normale margine d'incertezza della norma ne risulti ulteriormente accresciuto. L'interdipendenza, al fine dell'individuazione della voluntas legis, fra la decorrenza del periodo di occupazione legittima e la perdita di efficacia del decreto, ove l'apprensione del bene non segua entro tre mesi dalla data del provvedimento, costituisce la base del ragionamento, che qui si condivide e di. seguito si riassume, svolto dalla sentenza 11 giugno 1980 n. 3716 della I sezione. Con riguardo al dubbio, suscitato dalla formula dell'art. 73 della legge n. 2359 del 1865, circa l'alternativa d'identificare il dies a quo del termine biennale di occupazione legittima con la data di emanazione del decreto che pronuncia l'occupazione ovvero con quella in cui viene materialmente attuata, si � osservato, a sostegno dell'accoglimento della prima soluzione �(cui non osta l'analisi letterale della norma, che non offre validi elementi in senso contrario), che il decreto di o�cupazione attribuisce immediatamente PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE 255 al soggetto, a ci� autorizzato, di disporre dell'immobile allo scopo di eseguire l'opera pubblica per la quale il provvedimento � stato emanato ed incide in misura corrispondente sui poteri dominicali del titolare del bene, privandolo (temporaneamente) di tutte le facolt� di godimento o di alcune di esse. Il duplice effetto della costituzione del diritto dell'occupante e della corrispondente compressione del diritto del proprietario si verifica, cio�, nel momento stesso in cui il decreto � emanato, a prescindere dall'immissione in possesso del bene; e la mate:r.iale apprensione di esso si colloca, quindi, nell'ambito di un rapporto giuridico in atto e in una situazione in cui si � gi� prodotto l'effetto giuridico ablatorio. Ci� posto, se il termine biennale di cui all'art. 73 della legge del 1865 fosse riferito alla materiale occupazione e non al provvedimento, che per ci�, in ipotesi, potrebbe ricevere concreta attuazione in ogni tempo, la rilevata compressione del diritto dominicale potrebbe durare sine die; e questa conseguenza, a parte le implicazioni sul piano costituzionale con riguardo al principio della necessaria temporaneit� (e piena indennizzabilit�) dei vincoli ablatori, � in diretto contrasto con la ratio della disposizione, posta anche nell'interesse del privato e chiaramente volta ad assicurare in ogni caso il carattere temporaneo dell'effetto ablatorio che caratterizza lo stesso istituto dell'occupazione. Questa esegesi s'impone anche in considerazione della finalit� della occupazione temporanea, che � rapportata al presupposto dell'urgenza e per ci� trova legittimo fondamento solo nelle situazioni in cui tale presupposto ricorre (oggettivamente esistente o dichiarato dalla P.A.), con fa conseguenza che deve sussistere una normale (quasi) contemporaneit� fra il decreto e la materiale occupazione. Ci� spiega perch� l'art. 73 non distingua, ai fini della decorrenza del termine, fra i due momenti suddetti, ritenuti sostanzialmente coincidenti; e spiega, altres�, perch� nel procedimento di occupazione non si richieda la fissazione dei termini d'inizio e di compimento dei lavori, essendo sufficiente l'unico limite temporale stabilito dalla norma medesima. In armonia con tali principi -conclude la citata sentenza -� l'art. 20 della legge n. 865/71, che, nel regolare l'occupazione d'urgenza delle aree da espropriare per le finalit� della stessa legge, prevede due distinti termini di durata per il decreto e per la materiale occupazione, stabilendo che il primo perde efficacia se entro tre mesi dalla sua emanazione non segua l'apprensione del bene e che la seconda non pu� essere protratta oltre i cinque anni dall'immissione in possesso. Da tali rilievi -che qui si condividono -si ricava che la necessaria temporaneit� dell'occupazione e la piena indennizzabil�t� del vincolo subito dal privato possono essere assicurate o ancorando il dies a quo alla data del decreto, come nel sistema tracciato nella legge del 1865, o fissando un tempo relativamente breve entro il quale la materiale occupazione deve seguire al decreto, se da essa si faccia decorrere il periodo di occupazione "~~�ᥥ1�11�~�� 256 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO legittima; e che, in questa seconda ipotesi, la fissazione del termine per la materiale occupazione e la decorrenza del periodo di occupazione legittima sono tanto indissolubilmente legati che non avrebbe senso l'applicazione (ed il richiamo da parte di un'altra norma) di una soltanto .delle due regole, inidonea, da sola, a realizzare la ratio legis. Considerati unitariamente i primi due commi dell'art. 20 della legge n. 865/71 in quanto componenti essenziali di un unico precetto giuridicamente �significante�, ne deriva che l'art. 14 della legge n. 10/77, quando nel comma aggiunto al suddetto art. 20 stabilisce che � il disposto del secondo comma... deve intendersi applicabile anche alle occupazioni preordinate alla realizzazione delle opere e degli interventi previsti dall'art. 4 del decreto-legge 2 maggio 1974, n. 115, convertito, con modificazioni, nella legge 27 giugno 1974, n. 247 �, ha inteso sostituire al precedente regime, di cui alla legge n. 2359/1865, l'intera disciplina delle occupazioni di urgenza contenuta nella legge n. 865/71, con tutte le modalit� che la rendono applicabile e la giustificano nella logica del sistema e nella insopprimibile esigenza della temporaneit� e determinatezza della compressione del diritto del privato e della piena indennizzabilit� del sacrificio che gli � imposto. N�n deve trarre in inganno, quindi, la mancata indicazione, nel comma aggiunto all'art. 20, del 1� comma, perch� questa, alla stregua di quanto osservato, � necessariamente implicata dal richiamo del 2� comma, allo stesso modo in cui non assume alcun rilievo il mancato richiamo del 3� comma concernente i modi di determinazione della relativa indennit�, appunto perch� correlato alla determinazione della indennit� di espropriazione oggetto dell'estensione operata dall'art. 4 della legge del 1974. Scopo del richiamo contenuto nell'art. 14 -come si evince dall'uso di una formula (� deve intendersi applicabile�) idonea a far operare retroattivamente la norma -fu quello d'incidere direttamente sul tessuto normativo della legge del 1971, rendendo unitaria la disciplina dell'occupazione d'urgenza, cos� come, con la legge del 1974, si erano uniformati i criteri di determinazione dell'indennit� di espropriazione, nell'intento di armonizzare il pi� possibile i diversi modelli espropriativi in concreto utilizzati, al fine di una sostanziale giustizia distributiva. E, se, in tema di occupazione d'urgenza, l'aspetto qualificante della legge del 1971 rispetto alla disciplina del 1865 � rappresentato proprio dalla rilevanza attribuita al momento dell'immissione in possesso, sia come inizio del pi� lungo periodo di occupazione legittima, sia quale elemento riflettentesi sulla effi. cacia stessa del provvedimento autorizzativo, non pu� ritenersi che, nella voluta uniformazione della disciplina precedente a quella introdotta con la legge n. 865/71, sia rimasto in disparte proprio l'elemento innovativo di maggiore significato. Ci� � apparso tanto evidente che in una controversia in cui era . parte l'ENEL, decisa con la sentenza della I sezione 6 luglio 1988, n. 4438, in cui si discuteva se ad impedire l'inefficacia del decreto fosse sufficiente j ! PARTE I, SEZ. I, GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE porre in essere, nei tre mesi, un mero inizio di esecuzione del provvedimento, la tesi, oggi sostenuta e che sarebbe stata risolutiva della lite in senso favorevole all'Ente, non fu neppure prospettata; e che anche le Sezioni Unite, con numerose decisioni (n. 10942 ed altre del 13 novembre 1990; n. 2048 del 9 febbraio 1992), prima e dopo la citata sentenza numero 12587/91 (sulla quale si ritorner� tra poco), hanno affermato, in materia di competenza statale, l'applicabilit� dell'art. 20 nella parte in cui prevede �he il decreto autorizzativo dell'occupazione d'urgenza perde efficacia se l'occupazione non segua nei tre mesi. La questione non � stata considerata nei termini sopra indicati dalla sentenza n. 12587/91. Nella controversia in essa esaminata, l'applicabmt� alle occupazioni pi:;eordinate alla realizzazione di opere di competenza statale del termine di efficacia del: decreto era stata invocata sul presupposto che la formulazione lessicale dell'art. 9 della legge n. 865/71, nella parte in cui fa riferimento alla realizzazione di � singole opere pubbliche �, fosse da intendere nel senso che, gi� in virt� di questa norma, si era determinata una generalizzazione della disciplina dettata dalla citata legge, con estensione alle opere e interventi di competenza ultraregionale. In questa prospettiva � stata esaminata la questione e la tesi sostenuta dalla parte privata � stata disattesa con argomentazioni volte a dimostrare che, come del resto era stato gi� ritenuto con le sentenze n. 4690/81 e 1673/82 e si ribadisce in questa sede, l'art. 9, sia nella formulazione originaria sia in quella risultante dalla successiva interpretazione autentica, non consentiva di affermare che, sin dalla sua emanazione, la legge n. 865/71 disciplinasse espropriazioni diverse da quelle dirette alla realizzazione degli scopi da essa avuti di mira e nella materia in essa contemplata. E la menzione dell'art. 14 della legge del 1977, come estensivo a tutte le espropriazioni ad opera dello Stato e degli altri enti pubblici �del (solo) 2� comma dell'art. 20 �, costituisce, nella economia della motivazione, un mero riferimento testuale, che non esime La Corte dalla ulteriore verifica se tale riferimento, collocato nel sistema, possa costituire elemento significativo e risolutivo della questione. Le conclusioni, cui la citata sentenza perviene, sono, infatti, nel solo senso che � deve essere esclusa l'applicabilit� alle occupazioni di urgenza finalizzate alla realizzazione di opere stradali per conto dell'Anas della citata norma dell'art. 20, 1� comma, non sussistendo nel disposto del precedente art. 9 il preteso generaZizzato richiamo con riguardo a tutti i procedimenti espropriativi �. Pertanto, precisata nei termini che precedono la motivazione della sentenza impugnata, il ricorso dev'essere rigettato. SEZIONE SECONDA GIURISPRUDENZA COMUNITARIA E INTERNAZIONALE CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA' EUROPEE, Plenum, 26 aprile 1994, nella causa C-272/91 -Pres. Due -Avv. Gen. Gulmann -Commissione delle Comunit� europee (ag. Aresu e Pellicer) c. Repubblica italiana (avv. Stato Braguglia). Comunit� europee -Libera prestazione dei servizi . Libera circolazione delle merci � Concessione del sistema di automazione del gioco del lotto. (Trattato CEE, artt. 30, 52 e 59; direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, n. 77162/CEE, mod. con direttiva del Consiglio 22 marzo 1988, n. 88/295/CEE, artt. 9 e 17-25). La Repubblica italiana, avendo omesso di comunicare, ai fini delta pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� europee, dapprima, all'inizio del 1990, un bando di gara rindicativo attestan~e il totale degli appalti, per settore di prodotti, il cui valore di stima era pari o superiore a 750.000 ECU, che it ministero delle Finanze italiano intendeva aggiudJicare nel corso dello stesso anno, nonch� sucoessivament�e, nel novembre 1990, un bando relativo ad un appalto-concorso per 'la .concessione del sistema di automazione del gioco ael lotto, .ed avendo riservato la partecipazione al predetto appalto-concorso soltanto ad enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, consMernto singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazrione pubblica, � venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 52 e 59 del Trattato CEE e degli artt. 9 e 17-25 della direttiva del Consiglio 21 dicembr.e 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appaltii pubblici di forni tura, come modifioata dalla direttiva del Consiglio 22 marzo 1988, 88/295/CEE. (omissis) 1. -Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 18 ottobre 1991, la Commissione delle Comunit� europee ha proposto, a norma dell'art. 169 del Trattato CEE, un ricorso diretto a far. dichiarare che la Repubblica italiana, avendo omesso di comunicare, ai fini della pubblicazione nella Gazzetta Uffioiale delle Comunit� europee, dapprima, all'inizio del 1990, un bando di gara indicativo riguardante il totale degli appalti, per settore di prodotti, il cui valore di stima era pari o superiore a 750.000 ECU, che il ministero delle Finanze italiano intendeva aggiudicare nel corso dello stesso anno, nonch� successivamente, nel mese di novembre 1990, un bando di gara relativo ad un appal PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE to-concorso per la concessione del sistema di automazione del gioco del lotto, ed avendo riservato la partecipazione al predetto appalto-concorso ai soli enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazione pubblica, � venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 30, 52 e 59 del Trattato CEE, nonch� degli artt. 9 e 17-25 della direttiva del Consiglio 21 dicembre 1976, 77/62/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (G. U. 1977, L. 13, pag. 1), come modificata dalla direttiva del Consiglio 22 mar- 88/295/CEE (G. U. L. 127, pag. 1). 2. -Gli antefatti della lite sono riassunti ai punti 6-16 dell'ordinanza del presidente della Corte 31 gennaio 1992 (C-272/91 R, Racc. pag. I-457), emessa a seguito di una domanda di provvedimenti urgenti presentata dalla Commissione nell'ambito del presente ricorso, e con la quale � stato ingiunto alla Repubblica italiana di adottare i provvedimenti necessari per sospendere gli effetti giuridici del decreto del ministro delle Finanze 14 giugno 1991 che aggiudica la concessione del sistema di automazione del gioco del lotto al consorzio Lottomatica nonch� l'esecuzione del contratto stipulato a tal fine. Sulla violazione degli artt. 52 e 59 del Trattato. 3. -La Commissione fa valere che, riservando la partecipazione alla gara d'appalto per la concessione del sistema di automazione del gioco del lotto in Italia unicamente ad � enti, societ� o consorzi, nonch� a raggruppamenti il cui capitale sociale, sia singolarmente che complessivamente, sia a prevalenza pubblica�, la Republica italiana � venuta meno agli obblighi che le incombono ai sensi degli artt. 52 e 59 del Trattato. 4. -Si tratterebbe, infatti, di un caso di applicazione concreta di quella riserva, censurata dalla Corte nella sentenza 5 dicembre 1989, Commissione/Italia (causa C-3/88, Racc. pag. 4035), per effetto della quale solo le societ� a prevalente o totale partecipazione statale o pubblica, diretta o indiretta, avevano la possibilit� di concludere con lo Stato italiano convenzioni concernenti la realizzazione di sistemi informativi per conto della pubblica amministrazione. 5. -Il governo italiano contesta l'asserito inadempimento. Esso sostiene che le gare d'appalto considerate nella sentenza citata riguardavano la fornitura di sistemi informativi che il fornitore era altres� chiamato a gestire, effettuando una prestazione di servizi in favore della pubblica amministrazione, mentre la gara d'appalto di cui trattasi nel presente ricorso ha ad oggetto -come emerge in particolare dal programma tecnico allegato al capitolato d'oneri relativo al bando di ap 260 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO palto-concorso controverso -una concessione con la quale la suddetta amministrazione ha trasferito ad un terzo l'esercizio di attivit� di competenza dei pubblici poteri, vale a dire parte dei poteri organizzativi, ispettivi e di certificazione relativi al gioco del lotto, il cui esercizio, �in forza della normativa vigente in Italia, spetta esclusivamente allo Stato. Ebbene, conformemente all'art. 55 del Trattato, le disposizioni degli artt. 52 e 59 non si applicano alle attivit� che pertecipino, negli Stati membri, all'esercizio dei pubblici poteri. 6. -g opportuno rilevare che, come � stato dimostrato dall'avvocato generale nei paragrafi 18-23 delle sue conclusioni, l'introduzione del sistema d'automazione controverso, che comprende, secondo il bando di appalto-concorso di cui � causa, i locali, la fornitura, l'impianto, la manutenzione, il funzionamento, la trasmissione dei dati e quanto altro occorre per il completo esercizio del gioco del lotto, non implica alcun trasferimento di poteri al concessionario per quel che riguarda le diverse operazioni inerenti al gioco del lotto. 7. -Infatti, in primo luogo, i ricevitori del lotto continuano ad essere responsabili della raccolta delle giocate, mentre il terminale del concessionario si limita alla registrazione, al controllo automatico e alla trasmissione dei dati risultanti dalle operazioni compiute dal responsabile del punto di registrazione. Secondo quanto previsto dal programma tecnico, quest'ultimo � in grado, in caso di errore, di correggere i dati registrati e persino di annullare uno scontrino rilasciato dal terminale. 8. -In secondo luogo, le estrazioni vengono effettuate dalle � commissioni di estrazione �, che sono organi statali al pari delle � commissioni di zona�, alle quali permane la responsabiilt� di controllare e convalidare i biglietti vincenti. 9. -In terzo luogo, come ha riconosciuto lo stesso governo italiano, � pur sempre la pubblica amministrazione che, in ultima istanza, riconosce e paga le vincite. 10. -In quarto luogo, il fatto che, come risulta dal punto primo del programma tecnico, l'appalto comprenda anche � quanto altro occorra per il completo esercizio del gioco � non consente di giungere alla conclusione che il concessionario eserciti pubblici poteri, bens�, semplicemente, che esso deve operare mantenendosi nei limiti della concessione. 11. -In quinto luogo, non pu� essere accolta la tesi sostenuta dal governo italiano, secondo il quale i pagamenti volontari effettuati da . coloro che partecipano al gioco del lotto costituirebbero una forma di esazione tributaria che implicherebbe, da parte del concessionario, l'esercizio di pubblici poteri. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 261 12. -Stando cos� le cose, le prestazioni spettanti al concessionario del sistema di automazione del gioco del lotto, ovvero, segnatamente, la progettazione del sistema informativo e del software necessario, nonch� la conduzione del sistema stesso non si differenziano dalle prestazioni di natura tecnica previste da convenzioni concernenti la realizzazione di sistemi informativi per conto della pubblica amministrazione, sulla quale verteva la menzionata sentenza Commissione/Italia. 13. -Le attivit� di cui trattasi non rientrano, pertanto, nell'ambito dell'eccezione contemplata dall'art. 55 del Trattato e si deve quindi concludere che la riserva controversa � in contrasto con gli artt. 52 e 59 del Trattato e che la censura di violazione delle disposizioni suddette deve essere accolta. SuEla violaZJione dell'art. 30 del Trattato. 14. -Occorre rilevare che la Commissione, a sostegno della censura relativa alla violazione dell'art. 30, si � limitata ad asserire, nel corso della fase precontenziosa, che la riserva controversa, vale a dire la limitazione della possibilit� di partecipare alla gara d'appalto di cui trattasi ai soli enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, considerato singolarmente o complessivamente, sia a prevalenza pubblica, esclude di fatto le societ� degli altri Stati membri che si troverebbero nell'impossibilit� di proporre i propri sistemi informativi nonch� il proprio � software � per la gestione del servizio al quale si riferisce la gara d'appalto. Ne consegue, secondo la Commissione, che la suddetta riserva, cos� come la misura oggetto della sentenza 20 marzo 1990, causa C-21/88, Du Pont de Nemours italiana (Racc. pag. 1-889), in base alla quale una data percentuale degli appalti pubblici di forniture era riservata alle sole imprese aventi sede in determinate regioni del territorio nazionale, ha per effetto che i prodotti originari di altri Stati membri siano discriminati rispetto a quelli fabbricati nello Stato membro in questione e che risulti ostacolato il normale svolgimento degli scambi intracomunitari. 15. -Va rilevato che la Commissione non espone, in questa fase, i motivi che la inducono a ritenere che l'esclusione delle imprese straniere dalla partecipazione alla controversa gara impedisca l'utilizzazione, da parte dell'aggiudicatario, di prodotti originari di altri Stati membri per la messa in funzione del sistema informativo di cui � causa. .16. -Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte (v., in particolare, sentenza 14 febbraio 1984, causa 325/82, Commissione/Germania, Racc. pag. 777), la lettera di intimazione e il parere motivato devono 262 RASSEGNA AVVOCATURA Dm.LO STATO essere adeguatamente motivati per consentire allo Stato interessato di presentare le sue osservazioni. Per le ragioni sopra esposte, ci� non si � verificato nella fattispecie. 17. -Ne consegue che la censura relativa alla violazione dell'art. 30 deve essere dichiarata d'ufficio irricevibile. Sulla violazione della dir1ettiva 77/62 come modiNcata dalla direttiva 88/295. 18. -La Commissione contesta, in primo luogo, alla Repubblica italiana di aver violato la disposizioni dell'art. 9 della direttiva 77/62, come modificata dalla direttiva 88/295 (in prosieguo: la �direttiva�), per aver omesso di comunicare, ai fini della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunit� europee, dapprima, all'inizio del 1990, un bando di gara indicativo riguardante il totale degli appalti, per settore di prodotti, il cui valore di stima era pari o superiore a 750.000 ECU, che il ministero delle Finanze italiano intendeva aggiudicare nel corso dello stesso anno, nonch� successivamente, nel mese di novembre 1990, un bando di gara relativo ad un appalto-concorso per la concessione del sistema di automazione del gioco del lotto. Essa considera, in secondo luogo, che avendo riservato la partecipazione al predetto appalto-concorso soltanto ad enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, considerato singolarmente o complessivamente, fosse a prevalente partecipazione pubblica, la Repubblica italiana ha altres� trasgredito gli artt. 17-25 della medesima direttiva. 19. -L'art. 9, nn. l, 2 e 4, della direttiva, cos� recita: � 1. A decorrere dal 1� gennaio 1989, le amministrazioni aggiudicatrici elencate nell'allegato I della direttiva 80/767 /CEE comunicano, non appena possibile dopo l'inizio del loro esercizio finanziario, con un bando di gara indicativo, il totale degli appalti, per settore di prodotti, il cui valore di stima, tenuto conto delle disposizioni dall'art. 5, � pari o superiore a 750.000 ECU e che esse intendono aggiudicare nel corso dei dodici mesi successivi. Il Consiglio, deliberando su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, decide, anteriormente al 1� marzo 1990, se estendere tale obbligo alle altre amministrazioni aggiudicatrici di cui all'art. 1. 2. Le amministrazioni aggiudicatrici che intendono aggiudicare un appalto pubblico di forniture mediante procedura aperta, ristretta o, alle condizioni di cui all'art. 6, paragrafo 3, negoziata ai sensi dell'art. 1, manifestano tale intenzione con un bando di gara. (...) PARTE I, SEZ. II, GIIJIUS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 263 4. I bandi e avvisi di cui ai paragrafi 1, 2 e 3 sono inviati H pi� rapidamente possibile per i .canali pi� appropriati all'Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunit� europee. Nel caso della procedura accelerata di cui all'art. 12, i bandi di gara sono inviati per telescritto, telegramma o telecopia. a) Il bando di gara di cui al paragrafo 1 � inviato non appena possibile dopo l'inizio di ogni esercizio finanziario. b) L'avviso di cui al paragrafo 3 � inviato al pi� tardi quarantotto giorni dopo la stipulazione del contratto in questione �. 20. -Gli artt. 17-25 della direttiva elencano, invece, i criteri di selezione qualitativa. e di aggiudicazione dell'appalto. 21. -Secondo il governo italiano, le citate disposizioni non si applicano alla fattispecie in esame. 22. -A tale riguardo, esso sostiene anzitutto che l'appalto-concorso controverso non ricade nel campo di applicazione della direttiva in quanto il predetto appalto non avrebbe ad oggetto la fornitura di beni alle autorit� aggiudicatrici, bens� la concessione ad un terzo, da parte della pubblica amministrazione, di un'attivit� inerente all'esercizio di pubblici poteri in materia di imposizione tributaria, caratterizzata dall'assenza di un trasferimento di beni e di un corrispettivo di tali beni. 23. -Questo argomento deve essere respinto. 24. -Come risulta dai punti 7-11 della presente sentenza, l'introduzione del sistema di automazione controverso non implica alcun trasferimento di poteri al concessionario per quel che riguarda le diverse operazioni inerenti al gioco del lotto. � peraltro pacifico che l'appalto di cui trattasi ha ad oggetto la fornitura di un sistema di automazione integrato che comprende, in particolare, la fornitura di determinati beni alla pubblica amministrazione. 25. -Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, � irrilevante, in questo contesto, che la proprJet� del sistema suddetto passi alla pubblica amministrazione solo a scadenza del contratto stipulato con l'aggiudicatario e che il �prezzo� di tale fornitura sia costituito da un compenso annuo calcolato in rapporto al giro d'affari. Come giustamente rilevato dall'avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, l'estensione, operata dall'art. 2 della direttiva 88/295, del campo di applicazione della direttiva ai � contratti aventi per oggetto l'acquisto, il leasing, la locazione, l'acquisto a riscatto con o senza opzione per l'acquisto � RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 264 testimonia della volont� del legislatore comunitario di far ricadere nel campo di applicazione della direttiva la fornitura di prodotti che non necessariamente diventano di propriet� della pubblica amministrazione ed il cui corrispettivo viene filssato in termini astratti. 26. -Il governo italiano sostiene ancora che l'amministrazione concedente, vale a dire l'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (in prosieguo: 1'� AAMS �), non � compresa nell'elenco delle amministrazioni aggiudicatrici di cui all'allegato I della direttiva del Consiglio 22 luglio 1980, 80/767/CEE, che adatta e completa, per quanto riguarda alcune amministrazioni aggiudicatrici, la direttiva 77/62/CEE (G. U. L 215, pag. 1). Di conseguenza, l'art. 9 della direttiva 77/62 modificata, che stabilisce alcune prescrizioni in materia di pubblicit� a carico delle amministrazioni aggiudicatrici di cui al suddetto allegato, non sarebbe applicabile nel caso di specie. Questa tesi sarebbe corroborata dal testo della nota n. 2 nella parte concernente l'Italia dell'elenco succitato, laddove, con riferimento al ministero delle Finanze, viene formulata la seguente esclusione: � non compresi gli appalti conclusi dal monopolio dei sali e tabacchi �. Secondo il governo italiano, infatti, tale esclusione si riferisce non soltanto agli appalti conclusi dal monopolio dei sali e tabacchi, che era gestito dall'AAMS all'epoca dell'adozione della suddetta direttiva, ma anche a tutte le altre attivit� ora gestite da tale Amministrazione. 27. -Questa tesi � priva di fondamento. 28. -Come ha giustamente rilevato la Commissione, emerge dal� l'art. 4, quarto comma, della legge 2 agosto 1982, n. 528 (GURI n. 222 del 13 agosto 1982), come modificato dall'art. 2 della legge 19 aprile 1990, n. 85 (GURI n. 97 del 27 aprile 1990), che il ministero delle Finanze � la sola ed unica amministrazione aggiudicatrice dell'appalto di cui trattasi. L'AAMS, che gestisce il gioco del lotto, costituisce in ogni caso una semplice articolazione amministrativa del ministero delle Finanze, sprovvista di personalit� giuridica autonoma, cosicch� persino gli atti formalmente imputabili all'AAMS ricadono, nella sostanza, nella sfera decisionale del suddetto ministero. 29. -Quanto alla nota 2 che figura nell'allegato I alla direttiva 80/767, risulta dalla sua stessa formulazione che essa va riferita alle sole gare d'appalto indette dal monopolio dei sali e tabacchi. 30. -Sostiene infine il governo italiano che, in ogni caso, trattandosi nella fattispecie del conferimento al concessionario dei diritto speciale ed ' I ' I I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE esclusivo di esercitare un'attivit� di servizio pubblico, di esercitare cio�, almeno in parte, il gioco del lotto, la sola norma da applicare � quella enunciata dall'art. 2, n. 3, della direttiva. Ai sensi di tale disposizione, �se lo Stato, un ente pubblico territoriale o una delle persone giuridiche di diritto pubblico oppure uno degli enti equivalenti, enumerati nell'allegato I, accorda ad un ente diverso dalle amministrazioni aggiudicatrici, indipendentemente dal suo stato giuridico, diritti speciali o esclusivi di esercitare un'attivit� di servizio pubblico, l'atto di concessione stabilisce che detto ente deve rispettare, per gli 'appalti pubblici di forniture conclusi con terzi nell'ambito di tale attivit�, il principio della non discriminazione in base alla nazionalit��. 31. -Anche questo argomento va respinto. 32. -Infatti, cmne emerge dai punti 7-11 della presente sentenza, l'organizzazione del gioco del lotto non viene trasferita al concessionario, i cui compiti rimangono limitati allo svolgimento di attivit� di carattere tecnico legate all'installazione e alla conduzione del sistema di automazione. Tali attivit� consistono, da un lato, nella prestazione di servizi alla pubblica amministrazione e, dall'altro, nella fornitura alla stessa di determinati beni. 33. -Ne consegue, quindi, che le disposizioni della direttiva richiamate dalla Commissione sono applicabili� nella fattispecie e che le censure relative alla violazione delle medesime devono essere esaminate. 34. -Per quel che riguarda la violazione delle disposizioni dell'art. 9 della direttiva, la Repubblica italiana non contesta la mancata .comunicazione dei bandi di gara controversi. 35. -Con riferimento alla violazione degli artt. 17-25 della direttiva, va rilevato che tali disposizioni elencano in modo esauriente ed inderogabile i criteri di selezione qualitativa e di aggiudicazione dell'appalto e che esse non prevedono la possibilit� di riservare la partecipazione alla gara soltanto ad enti, societ�, consorzi o raggruppamenti il cui capitale sociale, considerato singolarmente o complessivamente, sia a prevalente partecipazione pubblica. 36. -Risulta da quanto precede che vanno altres� accolte le censure relative alla violazione della direttiva 77/62, come modificata dalla direttiva 88/295. (omissis) 266 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 17 mag gio 1994, nella causa C-18/93 -Pres. Due -Avv. Gen. Van Gerven Domanda di pronuncia predigiudiziale proposta dal Tribunale di Genova nella causa Corsica Ferries Italia s.r.l. c. Corpo dei piloti del porto di Genova -lnt~rv.: Governi francese (ag. Pouzoulet e Renie) e italiano (avv. Stato Braguglia) e Commissione delle Comunit� europee (ag. Traversa e Di Bucci). Comunit� europee -Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio di pilo� taggio -Tariffe discriminatorie -Libera prestazione dei servizi. (Trattato CEE, artt. 5, 7, 59, 61, 74, 75, 84; reg. del Consiglio 22 dicembre 1986, n. 4055, art. 1). Comunit� europee -Trasporti marittimi -Servizio obbligatorio di pilo� taggio -Tariffe discriminatorie -Concorrenza. (Trattato CEE, artt. 86 e 90). L'art. l, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 22 dicembre 1986, n. 4055, che applica il prinoip~o della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi, osta all'applicazione in uno Stato membro, per servizi di pilotaggio identici, di tariffe diverse a seconda che l'impresa che effettua trasporti marittimi tra due Stati membri gestisca una nave ammessa o meno al cabotaggio marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera di detto Stato. L'art. 90, n. 1, e l'art. 86 del Trattato vietano ad un'autorit� nazionale che approvi le tariffe stabilite da un'impresa investita del diritto esclusivo di offrire servizi di pilotaggio obbligatori su una parte sostanziale del mercato comune di indurla ad applicare tariiff e diverse alle imprese di trasporto mariittimo, a seconda che queste ultime effettuino trasporti fra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale, nella misura in cui ci� � pregiudizievole per il commercio tra gli Stati membri. (omissis) 1. -Con ordinanza 14 dicembre 1992, pervenuta in cancelleria il 19 gennaio 1993, il Tribunale di Genova ha sottoposto a questa Corte, ai sensi dell'art. 177 del Trattato CEE, cinque questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione degli artt. 5, 7, 30, 59, 85, 86 e 90 di detto Trattato. 2. -Tali questioni sono state sollevate nell'ambito di una lite fra la Corsica Ferries Italia S.r.l. (in prosieguo: 1a �Corsica Ferries �) e il Corpo dei piloti del porto di Genova (Corporazione dei piloti del porto di Genova, in prosieguo: la �Corporazione�) in merito al rimborso alla �Corsica Ferries di una parte delle tariffe che essa aveva versato per i servizi di pilotaggio nel porto di Genova. PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARI11: E INTERNAZIONALE 267 3. -Il servizio di pilotaggio nei porti marittimi italiani, disciplinato dal codice della navigazione e dal suo regolamento di esecuzione, viene fornito, sotto la vigilanza e l'autorit� del comandante del porto, da corporazioni di piloti istituite con decreto del Presidente della Repubblica e dotate di personalit� giuridica. 4. -Bench� in via di principio facoltativo, il servizio di pilotaggio � stato reso obbligatorio, con decreto del Presidente della Repubblica, in quasi tutti i porti italiani, fra cui quello di Genova. Sono previste sanzioni penali per il comandante della nave il quale non osservi l'obbligo di avvalersi del servizio di pilotaggio. 5. -La tariffe di pilotaggio (stabilite. dalla Corporazione) sono approvate dal ministro della Marina mercantile, sentite le associazioni sindacali interessate, e sono rese esecutive in ogni porto con decreto dell'autorit� marittima competente. 6. -In esecuzione dei decreti del direttore marittimo del 1989, del 1990 e del 1991, nel porto di Genova venivano applicate varie riduzioni sulla tariffa di base, vale a dire una riduzione del 30 % per le navi a~messe al cabotaggio marittimo, cio� ai trasporti tra due porti italiani, una riduzione del 50 % per le navi di linea ammesse al cabotaggio marittimo e addette al traffico tra porti italiani con itinerario prestabilito e frequenza regolare, che effettuavano almeno uno scalo settimanale nel porto di Genova, nonch� altre riduzioni per navi superiori a 2.000 tonnellate di stazza lorda, ammesse al cabotaggio marittimo e che si avvalevano del servizio di pilotaggio per un determinato numero di volte al mese. 7. -All'epoca dei fatti della causa principale solo le navi battenti bandiera .italiana potevano ottenere una licenza di cabotaggio marittimo. 8. -La Corsica Ferries, societ� di diritto italiano, fornisce, in quanto impresa di trasporto marittimo, un servizio di linea regolare tra il porto di Genova e vari porti della Corsica, mediante due navi traghetto immatricolate in Panama e battenti bandiera di questo Stato. 9. -Ritenendosi vittima di una discriminazione in contrasto con le norme del Trattato relative alla concorrenza e la libera prestazione dei servizi, la Corsica Ferries adiva il Tribunale di Genova, nell'ambito di un procedimento di ingiunzione ai sensi degli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile italiano, al fine di ottenere il rimborso della differenza fra la tariffa di base che essa aveva versato e la tariffa ridotta in vigore per le navi ammesse al cabotaggio marittimo. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 268 10. -Nell'ambito di detta controversia, il Tribunale di Genova ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: � 1) Se gli artt. 5 e 7 del Trattato CEE siano compatibili con le disposizioni di un ordinamento nazionale che, per le navi in servizio regolare di linea tra porti di due Stati membri, prevedono, quale corrispettivo del servizio di pilotaggio obbligatorio per la siourezza della navigazione, tariffe ridotte applicabili alle sole navi abilitate al "cabotaggio" tra porti nazionali nell'ipotesi in cui il cabotaggio tra porti nazionali sia, allo stato attuale del diritto comunitario, riservato alle sole navi battenti bandiera italiana. 2) Se l'art. 30 del Trattato CEE sia compatibile con disposizioni o prassi dell'o11dinamento nazionale che impongono il ricorso obbligatorio all'impresa di pilotaggio, anche ove le stesse operazioni possano, in tutta sicurezza per la navigazione, essere eseguite in tutto o in parte a minor costo con uomini, mezzi e tecnologie di cui � dotata la nave. 3) Se, nel caso di navi in servizio regolare di linea tra due Stati membri, l'art. 59 del Trattato CEE sia compatibile con disposizioni dell'ordinamento nazionale che consentono di praticare alle sole navi battenti bandiera nazionale riduzioni sulle tariffe obbligatorie applicate per il servizio di pilotaggio nei porti nazionali. 4) Se l'approvazione da parte della pubblica autorit� di una tariffa obbligatoria, frutto di accordo e/o ,di concertazione fra le assodazioni di imprese del settore, costituisca "avallo" di un'intesa vietata dall'art. 85, n. 1, del Trattato CEE e, in caso di risposta positiva, se tale avallo possa essere compatibile con le disposizioni dell'art. 90, n. 1, in relazione agli artt. 5 e 85 del Trattato CEE. 5) Se l'art. 90, n. l, in relazione all'art. 86 del Trattato CEE, sia compatibile con le disposizioni nazionali che consentono ad un'impresa dominante, cui sono attribuiti diritti escfusivi su parte sostanziale del mercato comune, di: a) praticare alle navi in servlZlo di linea regolare tra due Stati membri condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, nell'ipotesi in cui il sistema tariffario vigente preveda, a parit� di servizio, riduzioni di tariffe di fatto applicabili alle sole navi battenti bandiera nazionale; b) applicare, in dipendenza di quanto precede, alle navi battenti bandiera estera tariffe che prevedono corrispettivi di ammontare "tre volte" superiore rispetto ai corrispettivi previsti per le navi nazionali; e) non ridurre i costi di un servizio obbligatorio, come quello in . esame, nel caso in cui -sempre nel massimo rispetto, e sotto ogni profilo, delle esigenze di sicurezza della navigazione -la nave sia in grado di operare, almeno in parte, autonomamente �. PARTE I, SEZ, II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE Sulla competenza della Corte a risolv.ere le questioni. 11. -La convenuta nella causa principale, il governo francese, il governo italiano nonch� la Commissione negano, per motivi diversi, la competenza della Corte a risolvere tutte le questioni sollevate dal giudice a quo. A questo proposito, essi sottolineano anzitutto che il giudice a quo non ha considerato il fatto che le navi sono immatricolate in Panama, il che sarebbe dovuto alla mancanza di contraddittorio nel procedimento di ingiunzione, e inoltre che le questioni formulate o aloune di esse non sono pertinenti rispetto alla domanda di cui il giudice a quo � investito. 12. -Per quanto riguarda la natura del procedimento dinanzi al giudice nazionale, la Corte ha gi� affermato che il presidente di un tribunale italiano che si pronunci nell'ambito di un procedimento di ingiunzione previsto dal codice di procedura civile italiano esercita una funzione giurisdizionale ai sensi dell'art. 177 del Trattato e che questo articolo non fa dipendere la competenza della Corte dal carattere contraddittorio del procedimento nel corso del quale il giudice nazionale formula le questioni pregiudiziali, anche se il contraddittorio pu� risultare 1IJ.ecessario nell'interesse di una buona amministrazione della giustizia (v. sentenza 14 dicembre 1971, causa 43/71, Politi, Racc. pag. 1039; sentenza 21 febbraio 1974, causa 162/73, Birra Dreher, Racc. pag. 201; sentenza 28 giugno 1978, causa 70/77, Simmenthal, Racc. pag. 1453; sentenza 9 novembre 1983, causa 199/82, San Giorgio, Racc. pag. 3595; sentenza 15 dicembre 1993; cause riunite C-277/91, C-318/91 e C-319/91, Ligur Carni, Racc. pag. I-0000; sentenza 3 marzo 1994, causa C-332/92, C-333/92 e C-335/92, Eurico, Racc. pag. I-0000). 13. -Per quanto attiene all'incompletezza nella presentazione dei fatti, � sufficiente rilevare che le osservazioni scritte e orali presentate alla Corte contengono informazioni sufficienti sull'immatricolazione delle navi che consentono alla Corte di fornire al giudice nazionale una soluzione utile sulla base di tali elementi. 14. -Infine, per quanto concerne la pertinenza delle questioni, la Corte ha considerato che essa non � competente a fornire una soluzione al giudioe a quo qualora le questioni sottopostele non abbiano alcun collegamento con i fatti o con l'oggetto della causa principale e non siano quindi obiettivamente necessarie per la soluzione di detta causa (v. sentenza 16 giugno 1981, causa 126/80, Salonia, Racc. pag. 1563; sentenza 11 luglio 1991, causa C-368/89, Crispoltoni, Racc. pag. I-3695; sentenza 28 novembre 1991, causa C-186/90, Durighello, Racc. pag. I-5773; sentenza 16 luglio 1992, causa C-343/90, Louren�o Dias, Racc. pag. I-4673; sentenza 16 luglio 1992, causa C-67/91, Asociaci6n Espafiola de Banca Privada e a., Racc. pag. I-4785; sentenza Eurico, gi� citata; ordinanza 26 gennaio 1990, causa C-286/88, Falciola, Racc. pag. I-191). 270 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 15. -A questo proposito, si deve constatare che, come ha rilevato la Commissione, la domanda di cui � investito il giudice a quo verte unicamente sull'aliquota assertivamente discriminatoria della tariffa versata dalla ricorrente nella causa principale e non sulla natura obbligatoria del servizio di pilotaggio, sull'invariabilit� della tariffa indipendentemente dall'attrezzatura tecnica della nave o sulle modalit� di fissazione della tariffa stessa. 16. -Di conseguenza, si devono risolvere soltanto la prima e la terza questione, relative all'osservanza del principio di non discriminazione nell'applicazione delle tariffe, nonch� le prime due parti della quinta questione, riguardanti il divieto di pratiche abusive da parte di imprese pubbliche. Sulla libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo. 17. -Con la prima e la terza questione il giudice a quo mira in sostanza a stabilire se il diritto comunitario osti all'applicazione, in uno Stato membro, per servizi di pilotaggio identici, di tariffe diverse a seconda che l'impresa che effettua trasporti marittimi tra due Stati membri gestisca una nave ammessa o meno al cabotaggio marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera di detto Stato. 18. -A questo proposito, occorre subito rilevare che l'art. 5 del Trattato, cui si fa riferimento nella prima questione, il quale impone agli Stati membri l'obbligo di assicurare l'esecuzione dei loro obblighi derivanti dal Trattato stesso, ha una formulazione cos� generica che non pu� essere applicato in maniera autonoma quando la situazione considerata �, come nel caso di specie, disciplinata da una disposizione specifica del Trattato (v. sentenza 11 marzo 1992, cause riunite da C-78/90 a C"83/90, Soci�t�s Compagnie commerciale de l'Ouest e a., Racc. pag. I-1847, punto 19). 19. -Occorre rilevare inoltre che, conformemente alla costante giurisprudenza della Corte, l'art. 7 del Trattato CEE (art. 6 del Trattato CE), il quale sancisce il principio generale del divieto di discriminazione fondata sulla nazionalit�, tende ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto comunitari.o per le quali il Trattato non stabilisce norme specifiche di non discriminazione (v. sentenza 10 dicembre 1991, causa C-179/90, Merci convenzionali porto di Genova, Racc. pag. I-5889, punto 11). 20. -Orbene, il principio di non discriminazione � stato attuato e reso concreto, nel settore della libera prestazione dei servizi, dall'art. 59 del Trattato. I I I I I I I PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 21. -Per quanto concerne la determinazione dei servizi ai quali si deve applicare l'art. 59 del Trattato, va constatato che un regime di tariffe differenziate per i servizi di pilotaggio pregiudica un'impresa di trasporto, quale la Corsica Ferries, per un duplice motivo. I servizi di pilotaggio costituiscono prestazioni fornite dietro retribuzione dalla Corporazione ai vettori marittimi e le differenze tariffarie riguardano questi ultimi nella loro qualit� di destinatari di tali servizi. Siffatte differenze tariffarie pregiudicano tuttavia il vettore soprattutto nella sua qualit� di prestatore di servizi di trasporto marittimo, in quanto esse si ripercuotono sul costo di questi servizi e sono quindi tali da sfavorirlo rispetto ad un operatore economico che fruisca del regime tariffario preferenziale. 22. -Per valutare il regime tariffario di cui trattasi dinanzi al giudice nazionale con riguardo alla libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo, occorre esaminare, in primo luogo, in quale misura il principio di non discriminazione sancito dall'art. 59 del Trattato si applichi nel settore dei trasporti marittimi e, .in secondo luogo, se siffatto regime discrimini in base alla nazionalit�. 23. -A questo proposito, va rilevato, anzitutto, che l'art. 61, n. l, del Trattato dispone che la libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, � regolata dalle disposizioni del titolo del Trattato relativo ai trasporti (v., in particolare, sentenza 22 maggio 1985, causa 13/83, Parlamento/ Consiglio, Racc. pag. 1513, punto 62; sentenza 13 dicembre 1989, causa C-49/89, Corsica Ferries France, Racc. pag. 4441, punto 10). 24. -Ne consegue, come la Corte ha considerato nelle sentenze Corsica Ferries France, gi� citata (punto 11), e 30 aprile 1986, cause riunite da 209/84 a 213/84, Asjes (Racc. pag. 1425, punto 37), che, nel settore dei trasporti, l'obiettivo fissato dall'art. 59 del Trattato e consistente nella soppressione, durante il periodo transitorio, delle restriziond alla libera prestazione dei servizi avrebbe dovuto essere raggiunto nell'ambito della politica comune definita agli artt. 74 e 75 del Trattato. 25. -Per quanto concerne, in particolare, i trasporti marittimi, l'art. 84, n. 2, del Trattato dispone che il Consiglio potr� decidere se, in quale misura e con quale procedura potranno essere adottate opportune disposizioni per questo tipo di trasporto. 26. -Il Consiglio ha quindi adottato, sulla base di dette ,d[sposizioni, il regolamento (CEE) 22 dicembre 1986, n. 4055, che applica il principio della libera prestazione dei servizi ai trasporti marittimi tra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi (G. U. L 378, pag. 1), il quale � entrato in vigore il 1� gennaio 1987. 272 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 27. -Ai termini dell'art. 1, n. 1, di detto regolamento, � La libera prestazione dei servizi di trasporto marittimo fra Stati membri e tra Stati membri e paesi terzi � applicabile ai cittadini degli Stati membri. stabiliti in uno Stato membro diverso da quello del destic natario dei servizi�, 28. -Per quanto riguarda la sfera di applicazione ratione mat.eriae del regolamento n. 4055/86, dal testo stesso dell'art. 1 risulta che esso si applica a trasporti marittimi tra Stati membri del tipo dd cui trattasi nella causa principale. 29. -Per quanto attiene alla sfera di applicazione tatione personae del regolamento n. 4055/86, va rilevato che l'art. 1 riguarda i oittadinii degli Stati membri stabiliti i.in uno Stato membro diverso da quello del destinatario dei servizi e non fa riferimento all'immatricolazione o alla bandiera delle navi gestite dall'impresa di trasporto. 30. -Si deve anche sottolineare che la libera prestazione dei serv1z1 di trasporto marittimo tra Stati membri, in particolare il principio di non discriminazione in base alla nazionalit�, pu� essere invocata da un'impresa nei confronti dello Stato in cui � stabilita qualora i servizi siano forniti a destinatari stabiliti in un altro Stato membro. Orbene, in un caso �come quello di cui trattasi nella causa principale, l'impresa stabilita in uno Stato membro e che gestisce un regolare servizio dii linea con un altro Stato membro al quale si riferisce il regolamento n. 4055/86 offre detti servizi, per la loro stessa natura, in pa11ticolare a persone stabilite nel secondo Stato. 31. -Di conseguenza, la situazione di cui si discute nella causa principale esula dall'ambito meramente interno e l'argomento addotto a questo proposito dal governo italiano dev'essere respinto. 32. -Per esaminare, in secondo luogo, se il regime tariffario di cui trattasi dinaruJi al giudioe nazionale sia conforme al regolamento n. 4055/86, va ricordato come dai punti 6 e 7 della presente sentenza risulti che questo regime dispone un trattamento preferenziale per le navi ammesse al cabotaggio marittimo, vale a dire per quelle battenti bandiera nazionale. 33. -Un regime del genere effettua una discriminazione indiretta tra gli operatori economici, a causa della loro nazionalit�, poich� le navi battenti bandiera di uno Stato sono gestite, !in linea di massima, da operatori economici nazionali, mentre i vettori originari di altri Stati membri non gestiscono, in genere, navi immatricolate nel primo Stato. 34. -La validit� di tale considerazione non viene meno per il fatto che nella categoria degli operatori economici sfavoriti possono figurare PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 273 anche vettor~ nazionali che gestiscono navi non immatricolate nel loro Stato, n� per il fatto che il gruppo degli operatori favoriti pu� comprendere vettori originari di altri Stati membri che gestiscono navi immatricolate nel primo Stato membro, mentre il gruppo favorito � costituito, essenzialmente, da cittadini nazionali. 35. -Da quanto precede risulta che l'art. 1, n. 1, del regolamento n. 4055/86 vieta ad uno Stato membro di applicare, per servizi di pilotaggi identici, tariffe diverse a seconda che un'impresa, anche se originaria di detto Stato, la quale fornisce servizi di trasporto mal'ittimo tra questo Stato ed un altro Stato membro, gestisca una nave che � ammessa o meno al cabotaggio marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera di detto Stato. 36. -A torto la Corporazione e il governo italiano tentano di giustificare la tariffazione �diversa con motivi relativi alla sicurezza della navigazione o alla politica nazionale dei trasporti o alla tutela dell'ambiente. Infatti, anche ammettendo che questi obiettivi possano giustificare l'intervento della pubblica amministrazione nel settore dei trasporti, una tariiffazione discriminatoria, come quella di cui trattasi dinanzi al giudice nazionale, non risulta necessaria per raggiungere gli obiettivi considerati. 37. -Si deve pertanto risolvere la prima e la terza questione nel senso che l'art. 1, n. 1, del regolamento n. 4055/86, che attua il principio della libera prestazione dei servizi, in particolare il principio di non discriminazione nel settore dei trasporti marittimi tra Stati membri, osta all'applicazione in uno Stato membro, per servizi di pilotaggio <identici, di tariffe diverse a seconda che l'impresa che effettua trasporti marittimi tra due Stati membri gestisca una nave ammessa o meno al cabotaggio marittimo, il quale � riservato alle navi battenti bandiera di detto Stato. Sulle norme in materia di concorrenza. 38. -Con la quinta questione, prima e seconda parte, il giudice nazionale mira, in sostanza, a stabilire se gli artt. 90, n. l, e 86 del Trattato vietino ad un'autorit� nazionale di consentire ad un'impresa investita del diritto esclusivo di offrire servizi di pilotaggio obbligatorio in una parte sostanziale del mercato comune di applicare tariiffe �diverse alle imprese di trasporto marittimo, a seconda che queste ultime effettuino trasporti tra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale. 39. -A questo proposito, occorre ricordare che la Corporazione, convenuta nella causa prinoipale, � stata investita dalla pubblica ammini RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 274 strazione del diritto esclusivo di effettuare i servizi di pilotaggio obbligatorio nel porto di Genova. 40. -Un'impresa che fruisce di un monopolio legale su una parte sostanziale del mercato comune pu� essere considerata un'i:impresa che occupa una posizione dominante ai sensi dell'art. 86 del Trattato (v. sentenza 23 aprile 1991, causa C-41/90, Hofner e Elser, Racc. pag. I-1979, punto 28; sentenza 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT, Racc. pag. I-2925, punto 31; sentenza Merci convenzionali porto di Genova, gi� citata, punto 14). 41. -Il mercato di cui trattasi � quello dei servizi di pilotaggio nel porto di Genova. Tenuto conto in particolare del volume del traffico !in tale porto e della sua rilevanza rispetto al complesso delle attivit� di importazione e di esportazione marittime nello Stato membro interessato, si deve ravvisare in questo mercato una parte sostanziale del mercato comune (v. sentenza Merci convezwionali porto di Genova, gi� citata, punto 15). 42. -Si deve precisare inoltre che il mero fatto di creare una posiziione dominante mediante l'attribuzione di diritti esclusivi, ai sensi dell'art. 90, n. 1, non � di per s� incompatibile con l'art. 86 del Trattato. 43. -Uno Stato membro trasgredisce tuttavia i divieti stabiliti d� dette due disposizioni qualora, approvando le tariffe stabilite dall'impresa, la -induca a sfruttare la sua posizione dominante in modo abusivo applicando, fra l'altro, agli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, ai sensi dell'art. 86, secondo comma, lett. e), del Trattato. 44. -Le pratiche discriminatorie considerate nell'ordinanza di rinvio, poich� riguardano imprese che effettuano trasporti tra due Stati membri, possono essere pregiudizievoli al commercio tra gli Stati membri. 45. -Si deve pertanto risolvere la quinta questione, prima e seconda parte, nel senso che l'art. 90, n. l, e l'art. 86 del Trattato vietano ad un'autorit� nazionale che approvi le tariffe stabilite da un'impresa investita del diritto esclusivo di offrire servizi dii pilotaggio obbldgatorio su una parte sostanziale del mercato comune di indurla ad applicare tariffe diverse alle imprese di trasporto marittimo, a seconda che queste ultime . effettuino trasporti fra Stati membri o tra porti situati nel territorio nazionale, nella misura in cui ci� � pregiudizdevole per il commercio tra gli Stati membri. (omissis) PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 275 CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNITA EUROPEE, 6a sez., 2 giu gno 1994, nella causa C-414/92 -Pres. Mancini -Avv. Gen. Gulmann � Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgedchtshof (Germania) nella causa Solo K.leinmotoren GmbH c. Boch� � Interv.: Governi tedesco (ag. Bohmer) e italiano (avv. Stato Fiumara) e Com missione delle Comunit� europee (ag. van Nuffel). Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdi zionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commer ciale � Riconoscimento delle decisioni � Preesistenza di decisione resa fra le medesime parti. Nozione -Transazione giudiziaria. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., art. 27). L'art. 27, punto 3, della convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dev'essere interpretato nel senso che una transazione suscettibile di esecuzione conclusa dinanzi a un giudice dello Stato richiesto con la funzfone di definire una lite pendente non costituisce una � decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto �, menzionata da detta disposizione, che possa impedire, a norma della convenzione, il riconoscimento e l'esecuzione di una deoisione giudiziaria resa in un altro Stato contraente (1). (omissis) 1. -Con ordinanza 5 novembre 1992, pervenuta in cancelleria il 15 dicembre successivo, il Bundesgerichtshof ha sottoposto a questa Corte, a norma del protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione da parte della Corte di giustizia della convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (G. U. 1972, L 299, pag. 32), come modificata dalla convenzione 9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Re (1) Statuizione conforme alla soluzione proposta in causa dal Governo italiano per le considerazioni qui di seguito riportate. Decisione giudiziaria e transazione giudiziaria nella Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968. Ha dato occasione al rinvio pregiudiziale una fattispecie nella quale si faceva valere una transazione anteriormente stipulata dalle parti in sede giudiziale in Germania (davanti all'Oberlandesgericht) rispetto ad una sentenza pronunciata in Italia (dal Tribunale di Bologna) fra le stesse parti e di cui era stato chiesto il riconoscimento in Germania ai sensi della convenzione: osservava una delle parti che la transazione assorbiva e definiva la materia oggetto del giudizio poi concluso con sentenza, mentre l'altra parte era di contrario avviso. Il Bundesgerichtshof chiede dunque se una transazione raggiunta in sede giudiziale in uno Stato membro possa essere considerata una � decisione � ai sensi dell'art. 27 n. 3 della convenzione, la cui presenza osti quindi al riconosci ,,~ .........,,��� , �� 276 RASSEGNA AVVOCATURA DEIJ..O STATO gno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (G. U. L 304, pag. 1; in prosieguo: la �convenzione�), due questioni pregiudiziali veritenti sull'interpretazi�One dell'art. 27, punto 3; della convenzione. 2. -Tali questioni sono staite sollevate nell'ambito di una controversia tra la ditta Solo Kleinmotoren GmbH (in prosieguo: la �Solo Kleinmotoren �), con sede nella Repubblica Federale di Germania, e il signor Boch, proprietario di un'azienda di vendita al dettaglio di macchine agricole con sede in Italia, avente ad oggetto l'apposizione nella Repubblica Federale di Germania della formula esecutiva dn calce ad una sentenza definitiva pronunciata da un tribunale civile in Italia. 3. -Dagli atti risulta che fino al 1966 il signor Boch aveva venduto in Italia, sotto il nome commerciale � Solo �, macchine agricole fornitegli dalla Solo Kleinmotoren. Successivamente, la Solo Italiana S.p.A. (.in prosieguo: la �Solo Italiana�) vendeva in detto Stato le macchine fabbricate dalla Solo K.leinmotoren, la quale, conseguentemente, cessava di rifornire l'azienda del signor Boch. Questi esperiva qwndi due procedimenti giudiziari. 4. -Per quanto riguarda il primo procedimento, egli citava la Solo Kleinmotoren dinanzi al T:riibunale civile di Milano per inadempimento del contratto di fornitura. Nel 1975 la Corte d'Appello di Milano condannava la convenuta al pagamento di una somma di oltre 48.000.000 di mento nello stesso Stato di una sentenza emessa in altro Stato membro eventualmente confliggente con la transazione stessa. Sembra che la risposta debba essere negativa. In effetti � indubbia la natura contrattuale della transazione, anche se essa sia stipulata dalle parti davanti al giudice chiamato a decidere sulla controversia insorta tra esse. Del resto il par. 794, n. 1, del codice di procedura civile tedesco (Z.P.0.), non dispone affatto nel senso della riducibilit� del contratto di transazione ad atto giudiziale, limitandosi a ricollegate alla stipulazione davanti al giudice l'attribuzione all'atto del valore di titolo esecutivo. Non appare quindi possibile applicare l'art. 27, n. 3, della convenzione, che preclude il riconoscimento di una decisione se nello Stato, nel quale � stato chiesto il riconoscimento, � stata gi� emessa tra le stesse parti altra decisione. La � decisione�, alla quale ripetutamente si riferisce la convenzione, � da identificare negli atti giudiziali, giusta quanto specificato nell'art. 25. L'unico ampliamento della categoria � decisione � � disposto testualmente nell'ultima parte del medesimo art. 25, secondo cui rientra nella categoria della decisione � ..� la determinazione da parte del cancelliere delle spese giudiziali �. La limitazione del riferimento dell'art. 27 alle sole pronunzie giudiziali (in senso stretto) � coerente con il fine della convenzione, consistente nella determinazione della competenza degli organi giurisdizionali degli Stati contraenti �nell'ordinamento internazionale� (cfr. terzo capoverso del preambolo della convenzione). In rapporto a tale finalit� � stato fissato il principio generale PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 277 Lit., maggiorata degli interessi. Ad istanza del signor Boch, questa sentenza riceveva la formula esecutiva nella Repubblka Federale di Germania, ai sensi della convenzione. In seguito ad un ricorso della Solo Kleinmotoren contro la decisione di exequatur, le parti stipulavano una transazione, il 24 febbraio 1978, dinanzi all'Oberlandesgericht di Stoccarda (Repubblica Federale di Germania), cos� redatta: � 1) (La Solo Kleinmotoren) paga, in data luned� 27 febbraio 1978, la somma -di 160.000 DM (al signor Boch), mediarnte rimessa di un assegno bancario all'avv. X. 2) (La Solo Kleinmotoren) ritira a proprie spese le merci descritte nella "bolla di carico" presso l'impresa di trasporto Y, entro il 31 marzo 1978. Il ritiro sar� notificato (al signor Boch) con una settimana di anticipo. (Il ,signor Boch) garantisce che le spese di deposito sono coperte fino al 31 marzo 1978 e che la merce non � gravata di altri pesi; (la Solo Kleinmotoren) rinuncia alla garanzia per le merci recuperate. 3) Di conseguenza, si pone fine a tutte le pretese reciproche delle parti sorte <in seguito al loro rapporto di affari; si pone anche fine alle pretese reciproche tra (il signor Boch) e la societ� Inter Solo di Zug; (Il signor Boch) si impegna a non avanzare nei confronti della societ� Solo Italiana, con sede in Bologna, le richieste che costituivano oggetto della presente controversia. 4) (La Solo Kleinmotoren) si accolla le spese giudiziarie, le proprie spese stragiudiziali e quelle del mandatario ad litem (del signor Boch) della convenibilit� in giudizio nello Stato di domicilio, a prescindere dalla nazionalit� del convenuto (art. 2 convenzione); questo principio coesiste con l'altro della convenibilit� davanti alla giurisdizione di altro Stato (art. 3 convenzione). Tali possibilit� implicano il rischio di pluralit� di decisioni o di contemporanea pendenza di controversie; la stessa convenzione fissa i criteri per il supera� mento di tali situazioni (artt. 21, 27). La convenzione suindicata disciplina l'ipotesi della transazione, stipulata dalle parti davanti ad un organo giurisdizionale, nell'art. 51. Ma tale norma � compresa in un titolo autonomo rispetto a quello relativo al riconoscimento delle decisioni giurisdizionali. La stessa norma riguarda il riconoscimento del valore esecutivo della transazione stipulata davanti al giudice. La specifica disciplina predisposta per la transazione, stipulata davanti al giudice, � preor� dinata al limitato fine, gi� preannunciato nel secondo capoverso del preambolo della convenzione, di attribuire efficacia di titolo esecutivo nello Stato desti� natario della richiesta di riconoscimento. La norma posta dall'art. 51 non riguarda invece il riconoscimento di decisioni, alle quali si riferiscono gli arti� coli 25 e seguenti della stessa convenzione. Non essendo possibile, secondo le disposizioni della convenzione, identifi� care la transazione come � decisione �, alla questione sollevata dal Bundesgerichtshof deve darsi, ad avviso del Governo italiano, risposta negativa. OSCAR FIUMARA 278 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO nel presente procedimento; (il signor Boch) si accolla le sue restanti spese�. 5. -Per quanto riguarda il secondo procedimento, il signor Boch esperiva dinanzi al Tribunale civile di Bologna un'azione per usurpazione della ditta � Solo � e per concorrenza sleale contro la Solo Kleinmotoren e la Solo Italiana. Nel 1979 la Corte d'Appello di Bologna giudicava le convenute corresponsabili della usurpazione della ditta �Solo� e di atti di concorrenza sleale ai danni del signor Boch e le condannava in solido a pagare a quest'ultimo un risarcimento da determinarsi in separato giudizio. �Nella motivazione della sentenza detto giudice esaminava l'eccezione della Solo Italiana secondo la quale la predetta transazione giudiziaria aveva posto fine alle pretese del signor Boch. A questo proposito, il giudice osservava che la transazione non poteva essere fatta valere nel procedimento dinanzi a lui pendente, in quanto essa non era stata resa esecutiva in Italia, e che dal testo della transazione stessa risultava che la materia che costituiva oggetto della controversia di cui si erano occupati i giudici di Bologna era stata esclusa dall'accordo concluso tra le parti. Questa sentenza della Corte d'Appello di Bologna passava in giudicato. 6. -Nel 1981 il signor Boch esperiva dinanzi al Tribunale civile di Bologna un'azione diretta a determinare il quantum del risarcimento che la Solo Kleinmotoren e la Solo Italiana dovevano pagare in forza della sentenza della Corte d'Appello di Bologna. Il 18 febbraio 1986 detto Tribunale condannava le due societ� convenute a pagare al signor Boch un risarcimento d� 180.000.000 di Lit. La Corte d'Appello di Bologna respingeva l'appello interposto dalla Solo Kleinmotoren contro questa sentenza. Questi due organi giurisdizionali respingevano l'argomento della Solo Kleinmotoren secondo cui la transazione di Stoccarda aveva posto fine ad ogni rapporto tra le parti, ritenendo che tale questione fosse stata definitivamente privata di ogni contenuto a seguito della sentenza della Corte d'Appello di Bologna del 1979. 7. -Il signor Boch presentava quindi al Landgericht di Stoccarda una istanza volta a dare esecuzione nella Repubblica Federale di Germania alla sentenza del Tribunale ciwle di Bologna 18 febbraio 1986. Il Landgericht accoglieva l'istanza. Essendo stato respinto dall'Oberladesgericht I di Stoccarda il ricorso presentato dalla Solo Kleinmotoren avverso la i pronuncia del Landgericht, questa societ� adiva il Bundesgerichtshof con un Rechtsbeschwerde (ricorso per motivi di diritto), chiedendo l'annulI lamento dell'ordinanza dell'Oberlandesgericht e il rigetto della domanda i di apposizione della formula esecutiva sulla sentenza italiana. I 1 I I I I I I I I I PARTE I, SEZ. Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 279 8. -La Solo Kleinmotoren sosteneva dinanzi al Bundesgerichtshof che l'art. 27, punto 3, della convenzione impediva l'esecuzione nella Repubblica Federale di Germania della sentenza italiana in quanto questa sarebbe stata incompatibile con la transazione conclusa tra le parti ii:l 24 febbraio 1978 dinanzi all'Oberlandesgericht di Stoccarda. A sostegno di tale tesi, la Solo Kleinmotoren assumeva che la transazione aveva posto fine a tutti i diritti sorti daii precedenti rapporti commerciali intercorsi tra le parti, comprese le pretese del signor Boch, che il Tribunale civile di Bologna aveva riconosciuto con la sua 'Sentenza 18 febbraio 1986. 9. -Manifestando dubbi sul punto se una transazione giudiZJiaria possa essere equiparata a ,una � decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto'" a sensi dell'art. 27, punto 3, della convenzione, e quindi impedire, a norma della convenzione, il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione giudiziaria resa in un altro Stato contraente, che fosse incompatibile con essa, il Bundesgerichtshof ha sospeso il procedimento fintantoch� la Corte non si soia pronunciata sulle seguenti questioni pregiudiziali: � 1) Se si possa considerare decisione ai sensi dell'art. 27, punto 3, della Convenzione di Bruxelles, in contrasto con la decisione di oui si chiede il riconoscimento, anche la transatlone suscettibile di esecuzione conclusa dalle stesse parti dinanzi ad un giudice dello Stato richiesto per definire una lite pendente. 2) Nel caso di risposta affermativa: se ci� valga per tutte le regolamentazioni defilnite in tale transazione o solo per quelle cui, ai sensi dell'art. 51 della Convenzione di Bruxelles, si potrebbe dare autonomamente esecuzione e eventualmente solo se sussistono i presupposti per l'esecuzione�. Sulla prima questione. 10. -Per risolvere tale questione occorre subito ricordare che, in deroga al principio sancito dall'art. 26, rpcimo comma, della convenzione, secondo il quale le decisioni rese in uno Stato contraente sono riconosciute ipso iure negli altri Stati contraenti, gli artt. 27 e 28 della convenzione contengono un elenco tassativo dei motivi di rifiuto del riconoscimento di dette decisioni. 11. -Cos�, ai termini dell'art. 27 della convenzione, � Le decisioni non sono riconosciute: (...) 3) se la decisione � in contrasto con una decisione resa tra le mede sime parti nello Stato richiesto; ( ... ) � 280 RASSEGNA AVVOCATURA DEU.O STATO 12. -Ai termini dell'a.rt. 31, primo comma, della convenzione, � Le decisioni rese in uno Stato con~raente e ivi esecutive sono eseguite in un altro Stato contraente dopo essere S'tate munite, su istanza della parte interessata, della formula esecutiva�. 13. -L'art. 34, secondo comma, della convenzione dispone: " L'istanza pu� essere rigettarta solo per uno dei motivi contemplati dagli artt. 27 e 28 �. 14. -Per stabilire se una transazione giudiziaria quale quella di cui � causa del procedimento principale costituisca una � decisione � ai sensi dell'art. 27, punto 3, occorre rilevare che l'art. 25 della convenrione, appartenente al suo titolo III, intitolato �Del riconoscimento e dell'esecuzione �, dispone: � Ai sensi della presente convenzione, per decisione si intende, a prescindere dalla denominazione usata, qualsiasi decisione resa da un organo ,giurisdizionale di uno Stato contraente, quale ad esempio dec!reto, sentenza, ovdinanza, o mandato di esecuzione, nonch� la determina2lione da parte del cancelliere delle spese giudiziali �. 15. -Dalla lettera stessa dell'art. 25 emevge che la nozione di � decisione � ivi definita si riferisce, ai :l�ini dell'applicazione delle varie norme della convenzione ove il termine ricorre, unicamente alle decisioni giudiziarie effettivamente pronunciate da un giudice di uno Stato contraente. 16. -Come si osserva nella relazione degli esperti sulla convenzione (G. U. 1979, C-59, pag. 42, parte finale), l'art. 25 definisce espressamente � decisione � la fissazione da parte del cancelliere delle spese giudiziali perch�, a norma del codice di procedura civile tedesco che contempla tale possibilit�, il cancelliere agisce in qualit� di organo del tribunale che si � pronunciato sul merito della causa e, in caso di contestazione, la decisione sulle spese compete a un vero e proprio organo giurisdizionale. 17. -Da quanto precede discende che, per poter essere qualificato �decisione � ai sensi della convenzione, l'atto deve provenire da un organo giurisdizionale che appartiene ad uno Stato contraente e che statuisce con poteri propri su questioni controverse tra le parti. 18. -Orbene, questo p!resupposto non sussiste nel caso di una transazione, anche se questa � avvenuta diinanzi a un giudice di uno Stato contraente e pone fine ad una lite. Le transazioni giudiziarie rivestono infatti carattere essenzialmente contrattuale, nel senso che il loro contenuto di� pende innanzi tutto dalla volont� delle parti, come si osserva nella precitata relazione degli esperti (pag. 56). PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 19. -Occorre aggiungere che un'interpretazione diversa non pu� essere giustificata dalla necessit� di applicare l'art. 27, punto 3, della convenzione. 20. -Infatti, come si � gi� sottolineato sopra al punto 15 della presente sentenza, la definizione della nozione di �decisione�, figurante nell'art. 25, vale per tutte le disposizioni della convenzione in cui si fa uso di tale termine. Inoltre, l'art. 27 costituisce un ostacolo per la realizzazione di uno degLi obiettivi fondamentali della convenzione, che mira a facilitare, per quanto possibile, la libera circolazione delle sentenze prevedendo un procedimento di exequatur semplice e rapido. Tale disposizione derogatoria dev'essere pertanto interpretata restrittivamente, il che non consente di equiparare una transazione giudiziaria a una decisione resa da un organo giudiziario. 21. -Del resto, la precitata relazione degli esperti (pag. 45) precisa, a proposito del motivo del diniego di riconoscimento indicato dall'art. 27, n. 3, della convell2lione, che �l'ordine sociale di uno Stato sarebbe turbato se la parte potesse giovarsi di due sentenze contraddittorie�. Tale turbamento � infatti di una gravit� tale da giustificare, �a norma della convenzione, il rifiuto di riconoscere ed eseguire una decisione resa dn un altro Stato contraente che si asserisce incompatibile con una decisione resa tra le stesse parti nello Stato richiesto solo se quest'ultimo atto � una decisione di un organo giurisdizionale che a sua volta si pronuncia su una questione controversa. 22. -Peraltro, occorre rilevare che il caso delle transazioni giudiziarie � disciplinato espressamente dall'art. 51 della convenzione, che fa parte del suo titolo IV, intitolato � Atti autentici e transazioni giudiziarie �, e che contiene norme specifiche per la loro esecuzione. 23. -Infatti, ai sensi di detto all'ticolo, � Le transazioni concluse davanti al giudice nel corso di un processo ed aventi efficacia esecutiva nello Stato di origine hanno efficacia esecutiva nello Stato richiesto alle �stesse condizioni previste per gli atti autentici "� 24. -Orbene, derogando al regime applicabile all'esecuzione delle decisioni giudiziarie, l'art. 50, primo comma, della convenzione dispone che l'esecuzione di un atto autentico in uno Stato contraente diverso da quello ove � stato ricevuto ed � esecutivo pu� essere rifiutata solo se � in contrasto con l'ordine pubblico dello Stato richiesto. 25. -Alla luce di tutte le precedenti considerazioni, occorre risolvere la prima questione sollevata dal Bundesgerichtshof dichiarando che l'art. 27, punto 3, della convenzione dev'essere interpretato nel senso che una transazione suscettibile di esecuzione conclusa d~nanzi a un giudice dello Stato 282 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO richiesto �on la funzione cii definire una lite pendente non costituisce una "decisione resa tra le medesime parti nello Stato richiesto�, menzionata da detta disposizione, che possa impedire, a norma della convenzione, il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione giudiziaria resa in un altro Stato contraente. Sulla seconda questione. 26. -Tenuto conto della soluzione fornita per la prima questione, non � necessario pronunciarsi sulla seconda. (omissis) CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT� EUROPEE, Plenum, 29 giugno 1994, nella causa C-288/92 -Pres. Due -Avv. Gen. Lenz -Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesgerichtshof (Germania) nella causa Custon Made Commerciai Ltd. c. Stawa Metallbau GmbH � Interv.: Governi tedesco (ag. Bohmer) e italiano (avv. Stato Fiumara:) e Commissione delle Comunit� europee (ag. van Nuffel). Comunit� europee � Convenzione di Bruxelles sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commer-. ciale � Competenza territoriale � Luogo di adempimento dell'obbligazione � Legge uniforme sulla vendita. (Convenzione di Bruxelles 27 settembre 1968 e succ. mod., art. 5). L'art. 5, punto 1, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle deoisioni in materia civile e commerciale, nella versione modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unilfo di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, va interpretato nel senso che, in caso di azione del f omitore contro il suo cliente per il pagamento del corrispettivo dovuto in base ad un contratto di opera, il luogo di adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto taZe pagamento va determinato conformemente al diritto sostanziale disciplinante l'obbliga<iione controversa secondo le norme di conflitto del giudice adito, anche quando tali norme facciano rinvio all'applicazione al contmtto di disposizioni quali quelle della legge uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili materiali, allegata alla Convenzione dell'Aia 1� luglio 1964 (1). Ii (1) Soluzione sostanzialmente conforme a quella proposta dal Governo italiano. I Luogo di adempimento dell'obbligazione in caso di vendita internazionale di I merci ai fini della competenza giurisdizionale. I 1 nelle osservazioni presentate alla Corte -occorre prendere le mosse dalle I l 1. � Con riferimento al quesito posto dal Bundesgerichtshof -si era detto II �I I � ..���,.- ! I l PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E 'INtERNAZIONALE 283 (omissis) 1. -Con ordinanza 26 marzo 1992, pervenuta alla Corte il 30 giugno successivo, il Bundesgerichtshof (Germania) ha posto, a norma clel Protocollo 3 giugno 1971 relativo all'interpretazione, da parte della Corte di; giustizia, della Convenzione 27 settembre 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (G. U. 1972, L 299, pag. 32; in prosieguo: la �convenzione�), nella versione modificata dalla Convenzione 9 ottobre 1978 relativa all'adesione del Regno di Danimarca, dell'Irlanda e del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord (G. U. L. 304, pag. 1, e -versione modificata -pagina 77), alcune questioni pregiudiziali sull'interpretazione degli artt. 5, punto l, e 17, primo comma, della convenzione. 2. -Dette questioni sono sorte nell'ambito di una controversia tra la societ� Stawa Metallbau GmbH (in prosieguo: la � Stawa �), con sede in Bielefeld (Germania), e la societ� Custom Made Commerciai Ltd (in prosieguo: la � Custom Made�), con sede in Londra, in merito al pagamento solo parziale effettuato da quest'ultima in esecuzione di un contratto relativo alla fornitura di finestre e porte, che la Stawa doveva fabbricare. 3. -Dall'ordinanza di rinvio si ricava che il 6 maggio 1988, a Londra, a seguito di trattative svoltesi in lingua inglese, la Stawa si era impegnata verbalmente a consegnare le merci alla Custom Made. Dette merci erano destinate ad un complesso edilizio in Londra. r.I contratto, il primo concluso tra le parti, disponeva che il pagamento fosse effettuato in sterline inglesi. sentenze della Corte di giustizia 6 ottobre 1976, nella causa 12/76, Tessili c. Dunlop (in Racc., 1473), e 15 gennaio 1987, nella causa 266/85, Shenavai c. Kreischer (in Racc., 251), laddove � stato precisato che il � luogo dell'esecuzione � della obbligazione di cui all'art. 5, n. 1, della convenzione di Bruxelles va definito in conformit� alla legge che disciplina l'obbligazione controversa secondo il diritto internazionale privato del giudice adito. Secondo la Corte, dunque, la ricerca dell'ordinamento in base al quale individuare il luogo di esecuzione dell'obbligazione ncll'alternativit� fra la lex fori e la lex causae, va fatta in base a quest'ultima. Non essendo possibile rinvenire fra gli Stati contraenti una uniformit� sufficiente a permettere una determinazione convenzionale del concetto di �luogo dell'esecuzione�, l'interpretazione deve necessariamente spettare al giudice adito, ma non secondo le norme comuni del proprio diritto interno (lex fori), quanto secondo le proprie norme di diritto internazionale privato (lex causae). Il giudice nazionale adito, cio�, �per far ci� deve prima interpretare, in conformit� al proprio diritto internazionale privato, la legge da applicare al rapporto giuridico in esame e successivamente definire, sulla base di tale legge, il luogo d'adempimento della obbligazione contrattuale controversa� (punto 13 della prima sentenza). In base a questi precedenti della Corte la risposta da dare al quesito relativo all'art. 5, n. 1, sarebbe pacifica, se non vi fosse quella corrente dottrinaria cui si fa cenno nell'ordinanza di rinvio secondo la quale l'applicazione della lex causae RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 284 4. -La Stawa confermava la conclusione del contratto con lettera 9 maggio 1988, redatta in inglese, alla quale venivano allegate per la prima volta le sue condizioni contrattuali generali, redatte in tedesco. L'art. 8 di tali condizioni generali affermava che per qualsiasi controversia tra le parti, luogo di adempimento e foro competente sarebbe stato Bielefeld. La Custom Made non si opponeva a tali condizioni generali. 5. -Poich� la Custom Made effettuava un pagamento solo parziale, la Stawa promuoveva un'azione per il pagamento della parte residua del prezzo dinanzi al Landgericht di Bielefeld. Quest'ultimo, [n data 13 dicembre 1989, pronunciava una sentenza contumaciale con la quale la Custom Made veniva condannata a pagare alla Stawa la somma di 144.742,08 sterline inglesi (UKL), oltre gli interessi. 6. -La Custom Made proponeva opposizione contro questa sentenza, contestando in particolare la competenza internazionale dei giudici tedeschi. Con sentenza interlocutoria in data 9 maggio 1990, il Landgericht di Bielefeld dichiarava ricevibile il ricorso della Stawa. 7. -Contro tale sentenza la Custom Made interponeva appello dinanzi all'Oberlandesgericht di Hamm, facendo nuovamente richiamo all'incompetenza internazionale dei giudici tedeschi. quale criterio di interpretazione della norma stessa si porrebbe in stridente ed inaccettabile contrasto con la norma di base dell'art. 2 della Convenzione: articolo questo che stabilisce in linea generale che il debitore deve essere convenuto davanti ai giudici dello Stato del suo domicilio. L'obiezione di questa corrente dottrinaria non sembra tale da superare le conclusioni cui � pervenuta la Corte. Non v'� dubbio sulla portata della regola generale dell'art. 2, che indi vidua il foro in relazione al domicilio del debitore. Ma non � dubbio, neanche, che l'art. 5, n. 1, preveda una competenza alternativa, quella del luogo in cui l'obbligazione � stata o deve essere eseguita, che ben potrebbe essere quello del domicilio del creditore anzich� del debitore. E sarebbe certo ottimale che la norma dell'art. 5, n. 1, consentisse di individuare in modo autonomo tale luogo, senza dover ricorrere alle legislazioni nazionali con le loro possibili diversit�. Ma proprio la individuazione di una nozione autonoma si � rivelata impossi bile, non solo agli occhi dei compilatori della Convenzione (come risulta dalle relazioni Jenard alla convenzione originaria e SchWsser alla prima convenzione di adesione), ma anche al giudizio della Corte. Sicch� si � dovuti ricorrere all'applicazione della lex causae, cio� la legge che disciplina l'obbligazione con troversa secondo il diritto internazionale privato del giudice adito. L'inconveniente denunciato dalla dottrina contraria sopra richiamata, se condo cui verrebbe in tal modo troppo spesso privilegiato il creditore, contro la regola generale dell'art. 2 che vorrebbe tutelare maggiormente il debitore, non � tale -ammesso che sia un dato negativo -da indurre ad una inter PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE 285 8. -Con 'sentenza 8 marzo 1991, l'Oberlandesgericht respingeva l'appello, basando la competenza internazionale dei giudioi tedeschi sull'art. 5, punto l, della convenzione, in combinato disposto con l'art. 59, primo comma, prima parte, della legge uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili materiali, allegata alla Convenzione dellAja 1� luglio 1964 (834, Ree. des trait�s des Nations unies, 1972, pag. 107 e seguenti), il quale prevede che l'acquirente paghi il prezzo al domicilio o, in mancanza, alla residenza del venditore. 9. -La Custom Made promuoveva un ricorso in cassaz;ione dinanzi al Bundesgerichtshof, impugnando la sentenza dell'Oberlandesgericht. 10. -Ritenendo che la controversia sollevasse questioni d'interpretazione della conv,enzione, il Bundesgerichtshof ha deciso di sospendere il giudizio in attesa che la Corte si pronunoi sulle seguenti questioni pregiudiziali: � 1) a) Se il luogo di adempimento ai sensi dell'art. 5, punto 1, della convenzione vada determinato in base al diritto sostanziale, che � rilevante per l'obb1igazione di cui � causa in base alle norme di conflitto del giudice cui � sottoposta la controversia, anche quando si tratta di un ricorso di un fornitore contro un acquirente per il pagamento del corrispettivo derivante da un contratto di opera, questo contratto, in base pretazione della norma diversa da quella che da essa letteralmente e logicamente scaturisce: � compito del legislatore dettare le regole, spettando all'interprete solo valutarle per applicarle correttamente. Del resto la stessa Convenzione si preoccupa di tutelare alcune categorie pi� deboli, ponendo nei confronti di esse limiti alle deroghe di competenza. 2. -Nel caso all'esame del giudice del rinvio pregiudiziale la soluzione � poi pi� semplice e coerente, trattandosi di esecuzione di un contratto di vendita internazionale di beni mobili. In presenza di una convenzione internazionale come quella de l'Aja del 1� luglio 1964, attinente alla legge uniforme sulla vendita internazionale di beni mobili (cui � subentrata, con analoghe disposizioni per quanto riguarda il quesito, la convenzione delle Nazioni Unite sui contratti di compravendita internazionale di merci adottata a Vienna 1'11 aprile 1980) -la quale all'art. 59 precisa che luogo del pagamento della merce � quello del domicilio del venditore, salvo che non ricorra il caso del pagamento dietro consegna delle merci o dei documenti (conf. l'art. 57 della convenzione di Vienna) -la disposizione convenzionale va applicata dal giudice nazionale adito (sempre che, ovviamente, la convenzione sia entrata in vigore nei paesi interessati) in luogo della norma interna di diritto internazionale privato, cui essa si � sovrapposta. Se, invero, esiste un sistema uniforme di norme sostanziali, davanti al giudice nazionale viene in considerazione direttamente il diritto che queste norme hanno fissato: esse, proprio perch� recepite nel diritto interno, hanno preso il posto della norma di diritto internazionale privato di carattere generale. E certamente tutto ci� � perfettamente compatibile con la convenzione di Bruxelles, che non rinnega affatto le regole fissate in convenzioni internazionali (come si evince dal suo art. 57, pur se dettato ad altri effetti) ma, con l'art. 5, n. 1, cos� 286 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO alle .norme di conflitto del giudice cui � sottoposta la controversia, � assoggettato alla legge uniforme sulla vendita e quindi il luogo di adempimento dell'obbligazione del pagamento del corrispettivo � la sede del fornitore attore. b) Nel caso in cui la Corte di giustizia risolva negativamente la questione n. 1 a): Come debba essere determinato il luogo di adempimento ai sensi dell'art. 5, punto l, della convenzione in un caso del genere. 2) Nel caso in cui, in base alla soluzione delle questioni n. 1 a) e b), la competenza internazionale dei giudici tedeschi non possa es�sere basata sull'art. 5, punto l, della convenzione: a) Se una clausola attributiva di competenza ai sensi dell'art. 17, primo comma, seconda frase, terzo caso, della convenzione, nella formulazione del 1978, possa efficacemente considerarsi sussistente per il fatto che un fornitore, a seguito di un contratto concluso verbalmente, conferma per iscritto al suo acquirente la conclusione del contratto e allega per la prima volta a questa lettera di conferma condizioni generali di contratto, che contengono una clausola attributiva di competenza, l'acquirente non contesta la clausola attributiva di competenza, neltla sede delJ'acquirente non sussiste alcun uso commerciale secondo cui il silenzio su una lettera sia da considerare come un accordo sulla clausola attributiva di compe come interpretato dalla Corte, si rimette alle norme interne correttamente applicabili, le quali appunto� sono, in via generale, quelle di diritto internazionale privato, salvo che, per casi particolari (come per la vendita internazionale di merci), non siano di origine pattizia a livello internazionale. Una tale soluzione del problema � stata gi� offerta dalla Corte di cassazione italiana (cfr. Cass. Sez. Un. 24 ottobre 1988, n. 5739, pubbl. in Foro italiano, 1989, I, 2878; e prima, nello stesso senso, Cass. Sez. Un. 15 ottobre 1987, n. 7625, e 20 marzo 1986, n. 1971), la quale, facendo leva sulle precedenti statuizioni della Corte di Giustizia, ha ritenuto che � con riguardo alla controversia contrattuale proposta da una ditta italiana contro una ditta straniera avente sede in paese aderente alla CEE, �al fine del riscontro della competenza giurisdizionale del giudice italiano, il criterio di collegamento posto dall'art. 5, n. 1, della convenzione di Bruxelles, secondo cui la giurisdizione sussiste quando l'obbligazione inerente al diritto vantato dall'attore debba essere eseguita in Italia, alla stregua della legge che regola il rapporto secondo il diritto internazionale privato dello Stato desunto dalla norma dettata dall'art. 25 preleggi, resta superato per il caso in cui si tratti del prezzo di compravendita di cose mobili e la ditta straniera abbia sede in un paese della CEE altres� aderente alla convenzione de l'Aja, dovendo in tal caso farsi applicazione del disposto dell'art. 59 di tale convenzione che fissa esso stesso il locus destinatae solutionis nel domicilio, o residenza abituale, del venditore con la conseguenza che, in queste ipotesi, la constatazione del domicilio in Italia dell'attore basta a determinare la giurisdizione del giudice italiano nei confronti della pretesa di adempimento fatta valere nei confronti del compratore straniero. OSCAR FIUMARA PARTE I, SEZ, Il, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE tenza, all'acquirente non � neanche consentito un tale uso commerciale e si tratta del primo contratto d'affari tra le parti. b) Nel caso in cui la Corte risolva affermativamente la questione n. 2 a): Se ci� valga anche quando le condizioni genera1i �di contratto contenenti una clausola attributiva di competenza sono formulate in una lingua diversa da quella delle trattative e del contratto, non conosciuta dall'acquirertte, e quando nella lettera di conferma, formulata neMa lingua delle trattative e del contratto, si fa riferimento globalmente alle condi2lioni generali di contratto. allegate e non specificamente alla clausola attributiva di competenza. 3) Nel caso in cui la Corte di giustizia risolva affermativamente le questioni nn. 2 a) e b): Se l'art. l7 della convemrl.one, nel caso di una clausola attributiva dicompetenza contenuta in condi:zJioni generali di contratto, la quale soddisfa in base a tale disposizione i requisiti di un efficace accordo attributivo di competenza, V1ieti di esaminare ulteriormente in base al diritto sostanziale naziona1e, che si applica in base alle norme di conflitto del giudice adito della controversia, se la clausola attributiva di competenza sia stata efficacemente inserita nel contratto�. Sulla prima questione, lett. a). 11. -Con tale questione, chiarita alla luce della motivazione dell'ordinanza di rinvio, il giudice nazionale vuol sapere se l'art. 5, punto l, della convenzione vada interpretato nel senso che, in caso di azione del fornitore contro il suo cliente per il pagamento del corrispettivo dovuto in base ad un contratto di opera, il luogo di adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto tale pagamento vada determinato conformemente al diritto sostanziale che disciplina l'obbligazione controversa in base alle norme di conflitto del giudice adito, anche quando dette norme facciano rinvio all'applicazione al contratto di disposizioni quali quelle della legge uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili materiali, allegata alla Convenzione dell'Aja 1� luglio 1964. 12. -L'art. 2 della convenzione enuncia la norma generale secondo la quale la competenza del giudice � fondata sul luogo del domicilio del convenuto, ma l'art. 5 attribuisce la competenza anche ad altri giudici, la cui scelta � lasciata all'attore. Questa libert� di scelta � stata introdotta in considerazione del fatto che, in certi casi ben determinati, esiste un collegamento particolarmente stretto, ai fini dell'economia processuale, fra una controversia ed il giudice di un determinato luogo (v. sentenza 6 ottobre 1976, causa 12/76, Tessili, Racc. pag. 1473, punto 13). L'art. 5 non pone 288 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tuttavia come criterio per la scelta del foro competente il collegamento stesso. L'attore non ha la facoLt� di citare in giudizio H convenuto dinanzi a qualunque giudice che abbia un collegamento qualsiasi con la controversia, dato che l'art. 5 contiene un elenco tassativo dei criteri di collegamento fra una controversia e un determinato giudice. 13. -L'art. 5, punto l, prevede in particolare che in materia contraittuale il convenuto pu� essere citato davanti a[ giudice del luogo � in cui l'obbligazione dedotta in giudizfo � stata o deve essere eseguita�. Tale luogo costituisce normalmente il luogo di collegamento pi� immediato fra la lite e �il giudice competente ed ha indotto a scegliere detto foro in materia contrattuale (v. sentenza 15 gennaio 1987, causa 266/85, Shenavai, Racc. pag. 239, punto 18). 14. -Bench� il co1legamento sia la ragione che ha indotto aH'adozione dell'art. 5, punto l, della convenzione, il cniterio tenuto presente da detta disposizione non � il collegamento con il foro adito, bens� il solo luogo di adempimento dell'obbligazione che costi>tuisce H fondamento dell'azione giurisdizionale. 15. -Il luogo dli adempimento dell'obbligaz!i.one � stato scelto come cniterio di competenza poich�, per la sua precisione e la sua chiarezza, si integra bene nello scopo generale della convenzione, che � quello di disporre norme che assicurino certezza in mel'ito alla suddivisione delle competenze tra i vari giudici nazionali che possono essere aditi in occasione di una controversia in materia contrattuale. 16. -� stato invero sostenuto che il critevio del luogo di adempimento dell'obbligazione, che costituisce concretamente il fondamento dell'azione dell'attore e che � stato tenurto espressamente in considerazione dall'art. 5, punto l, della convenzione, pu� portare in taluni casi al riconoscimento della competenza in capo ad un tribunale che non ha nessun collegamento con la controversia e che, �in un caso del genere, occorre discostarsi dal criterio tassativamente 'disposto, in quanto il dsultato ottenuto sarebbe contrario allo scopo de1l'art. 5, punto l, de1la convenzione. 17. -Quest'ultimo argomento non pu� tuttavia essere accolto. 18. -L'utilizzazione di criteri div�ersi da quello del luogo di adempimento, quando quest'ultimo attribuisce la competenza ad un foro privo di connessione con la oausa, potrebbe infatti compromettere la prevedibilit� del foro competente e sarebbe pertanto incompatibile con Jo scopo della convenzione. 19. -Considerare rHevante, come unico criterio di competenza, l'esistenza di un collegamento tra i fatti oggetto della controversia e un deter PARTE I, SEZ. II, GIURIS. COMUNITARIA E INTERNAZIONALE minato giudice porterebbe al :riisultato di costringere il giudice adito, per verificare l'esistenza di detto collegamento, a prendere in considerazione altri elementi, in particolare i mezzi dedotti dal convenuto, e finirebbe cosi per svuotare di contenuto l'art. 5, punto 1. 20. -Una simile indagine sarebbe inoltre contraria agli scopi e allo spi:riito della convenzione, la quale esige un'interpretazione dell'art. 5 della stessa che consenta al ~udice nazionale di pronunciarsi sulla propria competenza senza dover procedere all'esame del merito della causa (v. sentenza 22 marzo 1983, causa 34/82, Peter�s, Racc. pag. 987, punto 17). 21. -Da quanto esposto discende che ai sensi dell'art. 5, punto l, il convenuto, in materia contrattuale, pu� essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio � stata o deve essere eseguita, anche nel caso dn cui il foro cosi individuato non sia quello che presenta il collegamento pi� immediato con la controversia. 22. -Occorre pertanto determinare l'� obbligazione� di cui all'art. 5, punto l, della convenzione, e il � luogo di adempimento � di quest'ultima. 23. -La Corte ha precisato che l'obbligazione non pu� essere una qualsivoglia obbligazione derivante dal contratto, bens� queHa corrispondente al diritto su cui s'impernia l'azione dell'attore (v. sentenza 6 ottobre 1976, causa 14/76, De Bloos, Racc. pag. 1497, punti 10 e 13). 24. -Dopo aver ammesso un'eccezione per i contratti di lavoro, i quali presentano determinate peculiarit� (v., in particolare, sentenza 26 maggio 1982, causa 133/81, Ivenel, Racc. pag. 1891), nella sentenza Shenavai, gi� citata, punto 20, Ia Corte ha ribadito che l'obbligazione di cui all'art. 5, punto l, della convenzione � l'obbligazione contrattuale che costituisce concretamente il fondamento dell'azione giurisdiZJionale. 25. -Detta interpretazione ha trovato conferma in occasione della conclusione della Convemiione 26 maggio 1989 relativa all'adesione del Regno di Spagna e deHa Repubblica portoghese alla convenzione concernente la competenro giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (G. U. L 285, pag. 1). In tale occasione, la norma enunciata dall'art. 5, punto 1, della convenzione � rimasta infatti immutata nel suo tenore letterale ed � stata integrata da un'unica eccezione riguardante i contratti di lavoro, eccezione gi� accolta in via interpretativa dalla citata giurisprudenza della Corte. 26. -Per quanto concerne il � luogo di adempimento �, la Corte ha dichiarato che spetta al giudice investito della causa accertare, in forza 1 della convenzione, se il luogo in cui l'obbligazione � stata o deve essere eseguita rientri nei limiti della sua competenza territoriale e che per far ci� 290 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO egli deve prima determinare, in conformit� a1le proprie norme di conflitto, la legge da applicare al rapporto giuridico in esame e successivamente definire, sulla base di talle legge, il luogo di adempimento dell'ob� bligazione contrattuale controversa (v. sentenza Tessili, gi� citata, punto 13, richiamata nella sentenza Shenavai, gi� citata, punto 7). 27. -Talle intel'pretazione vale anche nel caso in cui le norme di conflitto del foro adito facciano rinvio all'applicazione, al rappovto contrattuale, di una �legge uniforme � quale quella di oui trattasi nella fattispecie oggetto della causa principale. 28. -Detta interpretazione non � posta in discussione da una norma quale quella di cui aLl'art. 59, n. 1, della legge uniforme, in applicazione della quale il luogo di adempimento dell'obbJigazione dell'acquiI'ente, avente ad oggetto il pagamento del prezzo al venditore, � quello del domidlio o, in mancanm, della residenza di quest'u1timo, con l'unica riserva che le parti contraenti non abbiano concOl'dato un diverso luogo di adempimento della detta obbligazione, ai sensi dell'art. 3 della stessa legge. 29. -Da tutto quanto esposto discende che l'art. 5, punto l, deHa conven:cione va interpretato nel senso che, in caso di azione del fornitore contro il suo cliente per i!l pagamento del corrispettivo dovuto in base ad un contratto di opera, il luogo di adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto tale pagamento va determinato conformemente al diritto sostanziale disciplinante l'obbligazione controvevsa secondo Je norme di conflitto del giudice adito, anche quando tali norme facoiano rinvio all'applicazione al contratto .di disposizioni quaLi quelle della legge uniforme sulla vendita internazionale di cose mobili materiali, allegata alla Convenzione dell'Aja 1� foglio 1%4. 30. -In considerazione della soluzione data alla prima questione, lett. a), non occorre risolvere le altre questioni sollevate dal giudice di rinvio. (omissis) SEZIONE TERZA GIURISPRUDENZA CIVILE GIURISDIZIONE E APPALTI CORTE DI CASSAZIONE, sez. II, 19 aprile 1994 n. 3716 -Pres. Bronzini Est. Triola -P. M. De Nunzio (conf.) -Sanesi (avv. Ezechieli) c. Commissario straordinario per la formazione dell'albo professionale degli psicologi della regione Emilia Romagna (avv. Stato Sclafani). Professioni -Psicologi -Albo professionale -Iscrizione in regime transitorio ai sensi dell'art. 32 lett. d) legge n. 56/89 -Ambito di applicazione -Soggetti che abbiano avuto modo di eccellere nelle discipline psicologiche -Valutazione riservata al giudice di merito -Incensurabilit� in cassazione. (legge 18 febbraio 1989, n. 56, art. 32, lett. d). Ai fini dell'iscrizione nell'albo professionale degli psicologi in regime transitorio l'art. 32, lett. d) della legge 18 febbraio 1989, n. 56, ha il caratt~ re di norma c. d. di chiusura in quanto contempla i soggetti che, pur non avendo i requisiti specifici (laurea e pratica nel campo della psicologia) previsti dalle precedenti disposizioni abbiano comunque avuto modo di eccellere nel campo delle discipline psicologiche; ne consegue che costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in cassazione, ove sufficientemente e logicamente motivata, l'esclusione, ad opera del giudice di merito, del possesso di tale qualifica di eccellenza sulla base della mera frequentazione di corsi presso scuole psicologiche private, ancorch� di alto livello, e della collaborazione prestata presso istituti privati di ricerca nel campo della psicologia (1). (1) � la prima pronuncia in cui la Corte di Cassazione affronta il problema della interpretazione dell'art. 32 lett. d) legge 56/89 che � senz'altro la norma pi� invocata per ottenere l'iscrizione all'albo degli psicologi. in regime transi� torio senza: dover sostenere l'esame di abilitazione. Seppur in modo laconico, quasi fosse un obiter dictum, la Corte accoglie la tesi dell'Amministrazione secondo la quale l'art. 32, lett. d) costituisce una � norma di chiusura � il cui ambito di applicazione � limitato a coloro che, malgrado non abbiano i requisiti specifici prescritti dalle lett. a), b) e e) dell'art. 32 (laurea e pratica nel campo della psicologia) abbiano avuto eccellenti riconoscimenti e quindi si siano particolarmente distinti nelle discipline psicologiche. �Come � noto, l'art. 32 I. cit., nel fissare i requisiti tassativamente prescritti per l'iscrizione all'albo degli psicologi, nella fase di prima applicazione della legge,-attribuisce un valore abilitante al possesso di tali requisiti, consentendo 292 RASSEGNA AVVOCATURA DEI.LO STATO Con atto depositato il 14 dicembre 1989 Renzo Sanesi proponeva opposizione al Tribunale di Bologna contro il provvedimento del Commissario per la formazione dell'albo professionale degli psicologi con il quale era stata rigettata la domanda di iscrizione a tale albo presentata ai sensi dell'art. 32, lett. d), della legge 18 febbraio 1989 n. 56 (che, nella prima applicazione della legge) consentiva l'iscrizione all'albo �a coloro che abbiano operato per almeno tre anni nelle discipline psicologiche ottenendo riconoscimenti nel campo specifico a livello nazionale o internazionale). Il Commissario resisteva alla opposizione, che veniva rigettata dal Tribunale adito con sentenza del 30 maggio 1991. Il Sanesi proponeva appello, che veniva rigettato dalla Corte di appello di Bologna con sentenza del 17 ottobre 1991. I giudici di secondo grado ritenevano che infondatamente l'appellante sosteneva che il conseguimento della qualifica di ricercatore nelle discipline psicologiche e psicoterapeutiche al termine di corsi teoricopratici presso l'Istituto di Psicoterapia Analitica e Psicologia del Profondo- I.P.A.P.P. di Bologna e l'iscrizione all'albo privato dell'Europa Unita costituivano i � riconoscimenti nel campo specifico a livello nazionale o internazionale� previsti dall'art. 32, lett. d), della legge n. 18 febbraio 1989, in quanto in tale nozione dovevano ricomprendersi anche �titoli di grado inferiore � ai premi Nobel o alle lauree honoris causa conseguiti I � mediante il compimento di processi formativi di carattere scientifico nel settore delle materie psicologiche, cos� come chiarito dalla circolare mini a quanti ne siano titolari di ottenere l'iscrizione all'albo professionale senza dover sostenere l'esame di abilitazione previsto in via ordinaria. ~ Il rigore con cui la Corte interpreta la disposizione de qua � dunque senza altro rispettoso della ratio (�abilitante�) della stessa nonch� dello spirito di tutta I la legge 56/89. Dalla lettura dei lavori preparatori si evince, infatti, che ;la finalit� perseguita dal legislatore sia stata quella di conferire alla delicata attivit� profes I sionale in questione dignit� e riconoscimento, attraverso una rigorosa selezione degli aspiranti psicologi, anche al fine di precludere l'esercizio della professione a quanti, privi della necessaria competenza, si fossero di fatto 1 giovati della situazione di incertezza che regnava in materia. Ne � conferma la circostanza I che in sede d\ Commissione referente, mentre si � svolto un ampio dibattito attorno alle l�ttere a), b) e e) dell'art. 32, con la proposizione di pi� redazioni della disposizione e con successive modifiche della stessa, sul disposto della lettera d) non � mai sorto alcun contrasto. Ci� in quanto, se 1era importante individuare con certezza le singole categorie dei soggetti meritevoli di immediata iscrizione, nessun particolare problema poteva essere posto da una semplice norma di chiusura che consente eccezionalmente la iscrizione a quanti, pur non rientrando negli schemi previsti dalle precedenti disposizioni, siano in possesso di requisiti di eccezionalit� tale da giustificare la deroga ai restrit . tivi principi consacrati nella norma. Appare dunque profondamente contrastante con lo spirito e la lettera della norma in esame l'interpretazione della stessa quale norma di favore volta a PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVI~, GIURISDIZIONE E APPALTI 293 steriale in data 10 agosto 1989, correttiva della precedente in data 4 maggio 1989. La Corte di appello riteneva che per individuare il significato e l'ambito di applicazione dell'art. 32, lett. d), della legge 18 febbraio 1989 n. 56 occorre considerare in primo luogo la durata dell'esperienza richiesta: tre anni di attivit� nelle discipline psicologiche. Si tratta di una durata inferiore a quella (sette anni) prevista per i laureati ai sensi della precedente lettera e) e questo spiga la previsione della ulteriore condizione del conseguimento di riconoscimenti nel campo specifico a livello nazionale o internazionale, tali da far ritenere raggiunta, da parte del soggetto aspirante all'iscrizione all'albo, una professionalit� specifica. L'intento del legislatore appare quello di pretendere attraverso una � alta � qualit� del riconoscimento la prova del grado di preparazione dell'aspirante che per non essere, ad esempio, un laureato o per non avere superato un pubblico concorso, non ha avuto modo di dimostrare il proprio grado di cultura e preparazione attraverso parametri di giudizio ai quali si attribuisce tradizionalmente certezza. Anche se riconoscimenti validi ai sensi della norma in questione non possono intendersi solo i premi Nobel, le lauree honoris causa ed altri titoli simili, ma anche pi� semplicemente quei titoli di � grado � inferiore che possono conseguirsi mediante il compimento di � processi formativi � di carattere scientifico nel settore delle materie psicologiche, � pur sempre necessario che tali �processi formativi� abbiano un valore quanto meno non inferiore ai corsi di studio universitari atti al conseguimento del diploma di laurea in psicologia. sanare, in sede di prima applicazione, una serie di situazioni di fatto che erano state consentite dall'assenza di un albo e di una precisa regolamentazione della attivit� di psicologo. Un'interpretazione, quest'ultima, che, oltre ad essere smentita dai lavori preparatori, lo � nondimeno dai pi� elementari canoni ermeneutici. E' evidente, infatti, che se all'art. 32 lett. d) si riconoscesse un ambito di applicazione pi� ampio di quello che le � stato attribuito dalla Corte, le precedenti disposizioni di cui alle lettere a), b) e e) dell'art. 32 sarebbero del tutto superflue perch� resterebbero assorbite dalla generica ed onnicomprensiva disposizione di chiusura. Va rilevato, tuttavia, che la Corte avrebbe potuto spendere qualche parola in pi� per chiarire i criteri che i giudici di merito dovranno seguire per valutare quella qualifica di eccellenza che deve contraddistinguere i titoli professionali di coloro che vengono iscritti ai sensi della lett. d). Nel senso dell'insindacabilit� in sede di legittimit� della valutazione dei titoli di eccellenza in questione si , veda Cass. I, 21 gennaio 1994 n. 564; sulla giurisdizione del giudice ordinario si veda, tra le tante, la prima pronuncia Cass., Sez. Un., 20 marzo 1991 n. 2994, in questa Rassegna 1992, I, 63, con nota di Salva torelli. (F.S.). RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 294 Nel caso di specie, par non essendo in discussione la seriet� del~ l'I.P.A.A.P. di Bologna e della Sophia University di Roma (SUR) -associazioni private riconosciute in campo nazionale ed internazionale -non poteva ritenersi sussistente il requisito del conseguimento, da parte dell'appellante, di � riconoscimenti nel campo specifico � nel senso voluto dal legislatore. Dalla documentazione esibita risultava che l'appellante era socio ordinario dell'I.P.A.A.P. presso il quale aveva seguito un corso triennale con carattere teorico-pratico di ricerca in campo socio-psicologico, che era socio corrispondente della S.U.R. ed aveva ottenuto l'iscrizione all'albo privato degli psicoterapeuti dell'Europa Unita (previsto dallo statuto della S.U.R.) in qualit� di �ricercatore nelle discipline psicologiche e psicoterapeutiche ... psicoterapeuta in formazione � al termine del periodo di tre anni di esperienze psicologiche e psicoterapeutiche individuali e di gruppo. Dalla stessa natura del titolo conseguito dal Sanesi ( � ricercatore .... psicoterapeuta in formazione�) si desumeva che la sua esperienza e la preparazione professionale non erano ancora complete, per cui era da escludere che tale titolo potesse avere un valore quanto meno non inferiore ai corsi di studio universitari atti al conseguimento del diploma di laurea in psicologia, secondo la formulazione contenuta nella circolare ministeriale del 10 agosto 1989 invocata dall'appellante, e costituire pertanto un riconoscimento nel campo specifico a livello nazionale o internazionale ai fini dell'iscrizione all'albo. Ricorre per cassazione il Sanesi, con un unico motivo, illustrato da memoria. Resistono con controricorso il Ministero di Grazia e Giustizia ed il Commissario straordinario per la formazione dell'albo degli psicologi per la Regione Emilia Romagna, che hanno anche presentato ricorso inciden tale condizionato, con un unico motivo. Motivi della decisione. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi. Con l'unico motivo del ricorso principale il Sanesi denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 32, lett. d), della legge 18 febbraio 1989 n. 56 e si duole del fatto che la sentenza impugnata abbia ritenuto insufficienti, ai fini della iscrizione all'albo, i titoli di cui era in possesso. Il motivo � infondato. � sufficiente osservare che l'art. 32, lett. d), cit., ha il carattere di norma c. d. di chiusura, che contempla soggetti i quali, pur non avendq i requisiti specifici (laurea e pratica nel campo della psicologia) previsti dalle precedenti disposizioni, abbiano comunque avuto modo di eccellere nel campo delle discipline psicologiche. Una volta chiarito tale punto, costituisce apprezzamento di fatto, come tale incensurabile in questa sede, in quanto sufficientemente e logicamente motivato, l'esclusione, ad opera della sentenza impugnata del PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 295 possesso da parte del ricorrente di tale qualifica di eccellenza sulla base della mera frequentazione di corsi presso scuole psicologiche private, sia pure di alto livello, e della collaborazione prestata presso istituti privati .di ricerca nel campo della psicologia. Il ricorso principale va, pertanto, rigettato. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 maggio 1994 n. 4522 � Pres. Rossi� Rel. Ruggiero � P. M. Romagnoli. Ministero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Salvatorelli) c. Patti Caterina (aw. Zafferani). Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione acquisitiva � Perfezionamento � Elementi necessari. Espropriazione per pubblica utilit� � Occupazione acquisitiva � Azione a tutela del privato per la perdita del diritto dominicale � Emanazione tardiva del �decreto di esproprio � Opposbione alla stima � Inammissibilit� � Diritto �al risarcimento del danno per fatto illecito dell'occupante � �Sussistenza. Espropriazione per pubblica utilit� � Espropriazione di bene indiviso � .Giudizio. di opposbione ana� stima. inbiato da uno dei comproprietari espropriati � � Estensione degli effetti dell'opposbione ai com� proprietari non . partecipanti al giudizio � Insussistenza. Nell'ipotesi di illegittima occupazione di un immobile da parte di una pubblica Amministrazione la radicale trasformazione del fondo che denoti la sua irreversibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica determina, da un lato, l'immediata estinzione del diritto di propriet� del privato e, dall'altro, la contestuale acquisizione a titolo originario della propriet� in capo all'ente espropriante (1). (1) La Cassazione applica il principio. ormai consolidato in base al quale la perdita della propriet� per via di occupazione non seguita dal tempestivo decreto di espropriazione, si determina con la radicale trasformazione del fondo irreversibilmente destinato alla realizzazione dell'opera pubblica. Il principio, affermato per la prima volta nella sua assolutezza dall'ormai storico arr�t: .Cass. SS.UU. 26 febbraio 1983 ;o.. 1464;. � stato poi pi� volte ribadito dalla S.C. Si veda, tra le altre, Cass. 3 maggio 1991 n. 4868 e Cass. 16 settembre 1992 n. 10597 nonch�, tra le pi� recenti, Cass. 13 gennaio 1994 n. 301. In tale ultima decisione, fa particolare, la S.C., consapevole dei problemi che, soprattutto in tema di decorrenza del termine di prescrizione sono sorti in relazione alla nozione di � radicale trasformazione del terreno �, individua il momento perfezionativo della fattispecie acquisitiva nel caso in cui � il bene immobile � subisca alterazioni fisiche e funzionali non emendabili, con definitiva perdita da parte del privato di tutte le facolt� inerenti al diritto di propriet��. L'occupazione appropriativa dunque -continua la Cassazione -' si verifica in seguito alla costruzione dell'opera pubblica � anche se questa abbisogni di complementi e rifiniture per 9 296 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO L'acquisizione dell'immobile in capo alla Pubblica Amministrazione che lo ha illegittimamente occupato e definitivamente trasformato determina un fatto illecito istantaneo per la cui tutela spetta al privato l'azione per il risarcimento del danno derivante dalla perdita della propriet� con la conseguenza che una azione di opposizione alla stima proposta a seguito del decreto di espropriazione tardivamente emesso non pu� che essere rigettata difettandone i presupposti sostanziali (2). La domanda risarcitoria proposta da uno dei comproprietari danneggiati non estende i suoi effetti agli altri comproprietari rimasti estranei al giudizio di risarcimento e per ognuno di essi deve verificarsi se ed in quali limiti si � verificata la prescrizione (3). I la :sua destinazione a fini pubblici �. Sul punto si vedano anche Cass. 25 mar I zo 1991 n. 3197; Cass. 9 giugno 1993 n. 6433; Cass. 3 febbraio 1993 n. 1302; Cass. 20 dicembre 1993 n. 12868. Sulla pi� corretta configurazione del comportamento dell'Amministrazione I che occupi illegittimamente un fondo privato e vi costruisca un'opera pubblica modificando radicalmente la struttura del bene, come illecito aquiliano ex art. 2043 e.e. a carattere istantaneo, si veda inoltre Cass. SS.UU. 25 novembre 1992 I n. 12546, che sembra avere ormai definitivamente segnato il tramonto della contrapposta tesi -pur autorevolmente sostenuta dalla pressoch� contemporanea Cass., ! ) sez. I, 8 ottobre 1992 n. 10979 -sul diritto del proprietario al controvalore del I ' bene illegittimamente occupato con conseguente applicazione della prescrizione decennale anzich� quinquennale. Per un'ampia casistica dei precedenti in adesione alle contrapposte tesi v. Cass. 3 maggio 1991 n. 4848 in Foro it. 1992, I, 2791. (2) L'individuazione del momento perfezionativo del passaggio di propriet� in capo all'Amministrazione occupante e, dunque, della consumazione dell'illecito da parte dell'Amministrazione rileva -oltre che ai fini del dies a quo del I termine di prescrizione del diritto al risarcimento spettante al privato -anche in quanto lo stesso momento segna l'irrilevanza del sopravvenuto decreto di l I esproprio. Il provvedimento espropriativo, infatti, viene considerato ormai inutiliter datum sia in ordine al trasferimento della propriet� del bene -gi� I verificatosi col compimento � sostanziale�, come sopra specificato, dell'opera pubblica -sia in ordine alla determinazione del tipo di tutela da accordare I I al privato, ormai definitivamente individuata nell'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 e.e. Nel medesimo senso, di ritenere inammissibile l'op posizione alla stima ogniqualvolta intervenga in un momento successivo alla I perdita del bene da parte del proprietario nella duplice considerazione dell'ir� rilevanza del decreto di esproprio, destinato ad incidere su un trasferimento gi� i consumatosi e della impossibilit� di configurare, dopo quel momento, un credito indennitario, si veda: Cass. 19 gennaio 1991 n. 514. Ancora, si fonda sul principio per cui l'acquisizione, del diritto dominicale in capo alla P.A. a causa della realizzazione dell'opera pubblica non determina la conversione dell'azione risarcitoria gi� proposta in opposizione alla stima bensl provoca � il cristallizzarsi � dell'illecito che giustifica l'azione di danno: Cass. 19 gennaio 1991 n. 502, in questa Rassegna, 1991, I, 270 e ss. (3) La Cassazione ribadisce l'orientamento gi� sancito in Cass. SS. UU. 15 giugno 1993 n. 6635 che, nell'affermare la mancata estensione degli effetti dell'opposizione proposta da un solo comproprietario avverso la stima amministrativa PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 297 a) Con il primo mot�vo del ricorso principale, l'Amministrazione deduce che erroneamente e con motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria la Corte d'Appello, pur avendo accertato che i terreni occupati erano stati irreversibilmente destinati alla realizzazione dell'opera pubblica gi� nell'agosto 1978 con conseguente acquisizione della propriet� in capo alla P.A., avrebbe ritenuto ammissibile ed accolto la domanda di opposizione alla stima dell'indennit� di espropriazione proposta dai proprietari a seguito dei decreti di espropriazione tardivamente emessi nel 1980 e nel 1982, non considerando che i predetti non potevano pi� far valere un diritto all'indennit�, ma eventualmente un diritto al risarcimento del danno. La censura � fondata. Come � principio ormai fermo nella giurisprudenza di questa Suprema Corte successiva alla fondamentale sentenza delle Sezioni Unite n. 1464 del 1983, in ipotesi di illegittima occupazione da parte della pubblica amministrazione di un terreno di propriet� privata, la radicale trasformazione del fondo che denoti la sua irreversibile destinazione alla realizzazione dell'opera pubblica comporta da un lato l'immediata estinzione del diritto di propriet� del privato e la contestuale acquisizione, a titolo originario, della propriet� in capo all'ente cui appartiene l'opera pubblica, e dall'altro realizza un fatto illecito istantaneo che si consuma e si esaurisce nel momento stesso dell'indicata radicale trasformazione del fondo, se intervenuta durante l'occupazione illegittima, ovvero, se gi� verificatasi nel periodo di occupazione legittima, al momento di scadenza di quest'ultima senza che nel frattempo sia intervenuto il provvedimento di esproprio. Con la conseguenza che da tale momento, consumandosi l'illecito in tutti i suoi elementi costitutivi e prodottosi il danno della irreversibile perdita della propriet�, il privato pu� far valere il suo diritto al risarcimento, ed un sopravvenuto provvedimento di espropriazione rimane del tutto irrilevante ed inidoneo a produrre i suoi effetti sia in ordine al trasferimento della propriet� che alla definizione dei diritti del privato, per la semplice ragione che di esso -in concreto -� venuto a mancare completamente l'oggetto, l'immobile ormai essendo gi� definitivamente ed irreversibilmente, anche se illecitamente, entrato a far parte del demanio o del patrimonio indisponibile dell'ente pubblico. Da tutto ci� deriva inevitabilmente che nella detta ipotesi non � configurabile un diritto del privato all'indennit� di espropriazione, la sua tutela restando affidata all'azione di risarcimento del danno per la perdita del diritto di propriet� in dipendenza del fatto illecito dell'occupante, con la conseguenza che un'azione di opposizione alla stima proposta a anche ai comproprietari non opponenti o, comunque, rimasti estranei al giudizio, nega espressamente l'esistenza tra gli stessi di un litisconsorzio necessario. 298 ' RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO seguito del decreto di espropriazione tardivamente emesso non pu� che -~ I I .�� essere rigettata difettandone i presupposti sostanziali (cfr. in particolare Cass. 514/91, 1302/90, 5806/89). Con il secondo motivo del ricorso principale, l'Amministrazione investe il punto della decisione con il quale la Corte di appello ha ricono. sciuto il diritto delle parti private al risarcimento del danno per l'illegit: � tima protrazione della detenzione del terreno dalla scadenza dell'occupazione legittima fino alla data dei decreti di espropriazione, e, sempre sul presupposto affermato dalla stessa Corte di merito della trasformazione dell'immobile avvenuta nell'agosto 1978, deduce in proposito: a) che per una porzione del terreno si era proceduto all'occupazione nel giugno 1978, per cui, essendo la trasformazione avvenuta durante il biennio di occupazione legittima, non era a parlarsi di protrazione dell'occupazione dopo la scadenza detto biennio, a tale data essendosi prodotto l'effetto estintivo-acquisitivo della propriet�; b) che per l'altra porzione, gi� occupata nel 1975, la detenzione illegittima dopo il biennio doveva ritenersi cessata una volta intervenuta la trasformazione e l'acquisizione in propriet�, e che per il periodo in cui si era protratta l'azione risarcitoria doveva ritenersi prescritta, almeno nei confronti delle parti intervenute nel 1984. Anche tale censura � fondata. Deriva da quanto si � gi� detto discutendo del primo motivo del ricorso che, una volta che il bene illegittimamente occupato sia acquisito in propriet� della pubblica amministrazione per effetto della sua radicale trasformazione ed incorporazione nell'opera pubblica, dalla data in cui tale evento si verifica, e cio� dal giorno della scadenza del periodo di occupazione legittima se la trasformazione � avvenuta in corso di esso, ovvero, se successiva, dalla data della trasformazione medesima, non � pi� evidentemente configurabile un'occupazione temporanea dell'immobile da parte dell'ente pubblico, che ne � ormai divenuto pieno proprietario, n� di conseguenza sussiste pi� materia per un diritto del privato al risarcimento del danno per occupazione (temporanea) illegittima, avendo egli diritto, dall'indicato momento, al risarcimento corrispondente al valore pieno dell'immobile perduto (cfr. Cass. 3355/92, 7645/91, 9639/90, 5127/87). Per quanto riguarda poi la detenzione abusiva precedente all'acquisizione della propriet�, � da rilevare che il danno si verifica momento per momento ed in ogni momento sorge il diritto al risarcimento per il danno gi� verificatosi e decorre il relativo termine di prescrizione, con la conseguenza che il diritto deve ritenersi prescritto per il periodo anteriore al quinquennio della domanda o dalla messa in mora; ed inoltre, che nel caso di pi� comproprietari dell'immobile occupato, ognuno di essi, per la sua quota di propriet�, � titolare di un proprio ed autonomo diritto al risarcimento verso l'occupante, senza che tra gli stessi possa PARTE l, SBZ, lll, GIURISPRUDENZA ClVIUl, GlURlSDIZIONB B APPALTI 299 ravvisarsi un rapporto .. di solidariet� attiva; la quale nnn si prestllne n� pu�.essere��costituita dall'identit� del���fatto� generatore<del� rispettivo. �di� rittei~ con la�.�.onseguenza .che�.la ��domanda risarcitoria proposta da uno dei >c()mproprietad danneggiati non estende i suoi effetti a:gli altri, e per ognuno singolarm�nt:e deve verificarsi se ed in..quali limiti si � verifi�atatla p:fe$'Ctizi<:>ttech > ������ �� � . . . . . . . : Con il ~i'ZbimQtiv<l.ddi tjcorso� �principale; .. l'Amministrazione deduce cliei eri'oneilnente da �Cort~ i:VAppelfo<avrebbe �� ritenuto che ��l'azione �di opj:'l()sizione>alla stima tem:t:Pestivamente ptoposta�.��neltern�ne�di decadenza posto dall'art, 51 deUaJegge 25 giugno 1865 n'. 2359 da uno dei com� pr<lprietarl (n~1la SP$;i~> C�;\terina Patti)� valga a far salva. l'indicato� tennine � debacten2:ia1e. aitch<f a fa'1'6ie degli �altri contitolari del. diritto (nella� specie intervenutid�po la scadenzadel termine), senza �considerate che��l'op, posizione' sareb:be proposta llll,~e:nte nei limiti dell'interesse della parte, e p()~ p9t~bl;>~ eh.e rl~pdarela quota. di� indennit� �Spettante. ��ᥥ�����.��ᥥ�ta. censu:rt:l\�.nonpiib.� ��rltenetsi .. asl�orbita.�� per ��effetto.� dell:'accoglimiw.to de� prececilenti ctue motivi� del� rlc�rso; ed in pau:ticolare deLprimo motivo rigU:atdant� la :rileilt.Ulia del .. decr<::,t<l dl espropriazione .. in p:re~enza. di. una gi� avvenuta acqui$izione .della }ltopriet�.del bene illecitamente�� ed irreversibilmente occupato; l'accoglimento. dei predetti motivi, invero,. impone l'esame anche del ricorso incidentale condizionato dei proprietari, i quali con. ~S<l�.pongono. in discussione .. (e . fondatamente, come . si vedr�) .. }'a.ccertamento nella specie della � sussist!llnza dei p:r;esupposti .�di fatt() dell'occupazi6ne acqUisitiVa in� favore dell'Amministrazione, e. sostengono quindi foperativit�� dei decreti.� di espropriazione emessi, e. la. �ricorrente principale � consezyi:i; �� perci� �.interesse alla censura riguardante.�.� l'ambito di���.efficacia�.delropposizione��alla stima �.�... . . � La �detta censura . non ��pu� .essere accolta. � .Come � stato precisato. dalla prevalente<gbuisp:rudenza di questa Suprema Corte, alla quale il Collegio ritiene di dovere aderire; l'espropria� zione. per pubblica utillt� ha ad oggetto non direttamente il diritto o i vari. diritti concorrenti sm bene;. ma il bene come tale unitariamente consid:erato1��e l'indennit� di conseguenza �0 unica,. nel aenso . che essa � riferita al bene . nella sua unit� e non ai singoli diritti che possono�� gravare sul bene .stesso, i quali si� trasfenscono e possono .farsi valere sm~ l'indennit�; di� cui perci� �� :Ptescritto il deposito; Sulla �base di tale principiQ, iLproceditnento di dete:n:ninaZione delrinde:nnit�; non solo nel sistema della legge fondamentale 2359/1865 .(nella specie applicato) ma anche in quella della legge 22 ottobre1971 n. 865, tende, sia nella.fase amministrativa che in quella di controllo giudiziario sulla; stima, alla determinazione del giusto indennizzo dovuto per l'espropriazione del bene in s� e non alla liquidazione dei diritti spettanti ai singoli comproprietari o gli altri aventi diritto, tanto che il giudizio di opposizione alla stima si conclude non con la condanna dell'espropriante al pagamento ' 300 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO dell'indennit� in favore �degli effettivi proprietari del bene, ma con la determinazione della giusta indennit� per il bene nel suo complesso e l'ordine di deposito della stessa, da attribuirsi poi, secondo le modalit� previste dagli artt. 52 e segg. della legge 2359/1865 e dopo che su di essa siano fatti eventualmente valere diritti spettanti a terzi, a coloro che risulteranno essere titolari del diritto di propriet� sul bene espropriato. In altri termini l'unitariet� dell'oggetto dell'espropriazione comporta unitariet� dell'indennit� e della relativa stima, ed unitariet� quindi anche della pronuncia del giudice in sede di opposizione, con la conseguenza che, in caso di espropriazione di un bene indiviso, da una parte non � configurabile la possibilit� per uno dei comproprietari di azionare il suo diritto pro quota, dall'altra, se l'opposizione, sia proposta nel termine di legge solo di taluno dei detti comproprietari, essa estende i suoi effetti, necessariamente unitari, anche agli altri comproprietari, ancorch� per essi sia decorso il termine o siano rimasti estranei al giudizio, il giudice dovendo sempre determinare l'indennit� in rapporto al bene considerato nel suo complesso ed unit�, e non alle singole quote spettanti ai compartecipi (cfr. Cass. 2421/92, 2180/92, 4053/90, 2053/78, 3262/74, ed ex professo Cass. Sez. Un. 6635/93 pronunciata nelle more della pubblicazione della presente decisione). Come si � gi� detto, l'accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale comporta l'esame del ricorso incidentale condizionato proposto dai privati proprietari Patti. Con l'unico motivo di esso, i ricorrenti deducono che del tutto immotivatamente la Corte d'Appello avrebbe ritenuto essersi verificata la radicale trasformazione del fondo occupato con conseguente estinzione del diritto dominicale dei privati proprietari ed acquisizione a titolo originario della propriet� all'ente occupante, senza considerare le circostanze e gli elementi, puntualmente prospettati dalla parte, da cui sarebbe risultato che, alla data dei decreti di esproprio, quella trasformazione non vi era stata. Sul punto, in verit�, la Corte di merito non si � particolarmente soffermata, avendo essa in sostanza ritenuto, come si � detto, che i decreti di espropriazione fossero comunque efficaci, indipendentemente dalla gi� intervenuta occupazione acquisitiva, almeno a legittimare il diritto dei privati a conseguire l'indennit� di espropriazione; ha tuttavia positivamente affermato (pag. 10) che � nell'agosto 1978 il bene, per effetto della sua commutazione fisica e destinazione irreversibile all'opera pubblica, venne acquisito dall'ente pubblico costruttore .... �, e tale affermazione, per quanto sopra si � detto accordandosi i primi due motivi del ricorso principale, � certamente pregiudizievole per i diritti fatti valere in giudizio dai privati proprietari, che hanno quindi un concreto interesse ad impugnarla. La censura deve accogliersi nei sensi e nei limiti che vanno a precisarsi, PARTB I, SEZ. III, GltrRISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI Va�. premesso che; . secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 1464/8"3 edulteriormenteprecisati in sentenzesuccessive, tra gli elementi costitutivi della fattispecie cbe d�luogo alla cosiddetta occtipazione acquisitiva ri:ve!!lte un ruolo essenziale> la �radicale trasformazione � del fondo abusir~mente oc�.patct< vale a ��dire�� il mutamento . strutturale della conformaziqne .fisica del suolo, con la definitiva perdita.�dei suoi caratteri, deL suo aspetto e della sua originaria fisionomia materiale, rimanendo esso�stabilmente ed. inscindihilmente.>incorporato ed �assorbito, quale parte indistinta e�. non autonoma, in un bene nuovo� e . diverso costituito dall'�pera p�bolfoa, caratterizzato, nella sua unitariet� strutturale e furiti6l1al�, d� tn1 regime giuridico �unico�� e�non frazionabile, in cui viene attratfa ogni sua �componente; tutte assumendo �quella� stessa qualificazione di �pubblico � che� accede all'opera nella sua unit�. Da ci� appuntq l'effetfo, per fill\possibilit� di configurare un . regime di doppia apparie11enza e� di �. d()ppfa' C!ualificazione���giuridifa. dello. stesso bene, dell'estimi�ne del 'diritto di prcfpriet� del privato e �della contestuale *CJ.U.i$izfone, a. titolC> �orisinar��/cl'ella propriet� stessa �in capo all'ente ciii apJ?mt~n� u.. nuovo . b�ri.e .che�� incorpora quello .originario. . . ,t.lqn � q.jJ:idL$ufficiente, per <,letenn.inarsi la realizzazione della fattispecie dell'occupaziOne acquisitiva, che il terreno occupato abbia comunque subito una manipolazione o anche che venga di fatto impiegato per il soddisfacimento di fini di interesse generale, ma occorre che emerga l'opera pubblica quale benestrutturalmente e fisicamente nuovo, s� da �evidenziare l'incompatibilit� con essa den>i1utoncima sopravvivenza del suolo ingl~bato (cfr. Cass: 3197/91, 4995/89, 4701/89, 4584/86). Nella specie, � da rilevare che ilt~ibt.�iaJe. aveva accolto la domanda di opposizion,e alla stima proposta dai privati e disatteso l'eccezione dell'A11n11ini~trazione di avere . gi~ acq.i$ito la propriet� del suolo in dipende~a� t;J.i .~~cupazion(ll ~Ppfoptj~tiy~,; .$'11 �� rilieyo che difettava la prova, da fornirsi dalla. ste!!lsa Ammini$trazion,e, che prima dei decreti di esproprio sifosse verificata la ��radicale��trasformazione del terreno nel senso indieato, l� documentazione esibita riferendosi ad opere diverse da quelle che aveva.rio �riteressato i terreni�� in questione; A seguito c!ell'appello dell'Amministrazione, gli appellati nelle loro difese� avevano puntualmente riproposto e ribadito la loro tesi accolta dai pril)li. giudici, conte$tando che, in base alla documentazione prodotta c;'lalla stessa appellante, potesse ritenersi avvenuta la radicale trasformazione delle loro particelle di terreno, da essa risultando solo cbe le dette aree eran,o state oggetto esclusivamente di sistemazione superficiaria con materiale di riporto, senza la realizzazione di opere strutturali. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO La Corte d'Appello si � limitata, come si � detto, ad affermare che era intervenuta la commutazione fisica e destinazione del fondo all'opera pubblica; ma tale affermazione si presenta meramente apodittica ed � fil certamente censurabile sotto il profilo della carenza di motivazione, non m dando alcun conto degli elementi sui quali si fonda ed obliterando com-: pletamente le circostanze decisive prospettate dagli appellati e gi� peraltro tenute presenti dal tribunale. Entrambi i ricorsi, in conclusione, devono essere accolti nei sensi e nei limiti che sono stati precisati, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo, la quale anzitutto dovr� procedere ad un pi� penetrante ed adeguato accertamento, sulla scorta degli elementi e delle prove gi� acquisiti in giudizio, circa la � radicale trasformazione � delle aree Patti nel senso precisato in sede di accoglimento del ricorso incidentale, ed all'esito di tale indagine, ove da essa effettivamente e motivatamente risulti che la trasformazione � avvenuta, ed in epoca anteriore ai decreti di esproprio, decidere la controversia in ordine alla spettanza dell'indennit� di espropriazione, uniformandosi ai principi enunciati in sede di accoglimento del primo motivo del ricorso principale, mentre, per quanto riguarda la domanda di risarcimento per occupazione temporanea illegittima si atterr� ai principi enunciati in sede di accoglimento del secondo motivo del discorso principale. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 20 maggio 1994 n. 4965. Pres. Montanari Visco -Rel. Amirante. Calvello Margherita (avv. Allegra) c. Ministero del Tesoro (avv. Stato Criscuoli). Giurisdizione civile � Giurisdizione ordinaria o amministrativa � Impiego pubblico � Enti pubblici � Dipendenti degli enti mutualistici soppressi, trasferiti alle U.S.L. � Diritto all'eccedenza ex art. 76 d.P.R. 761 del 1979 � Oggetto � Restituzione di contributi versati oltre il dovuto � Indebito oggettivo � Configurabilit� � Giurisdizione dell'AGO � Sussistenza � Pretesa della rivalutazione automatica del credito � Estensione � Riferimento all'art. 1224 e.e. � Irrilevanza. Il diritto dei dipendenti dei soppressi enti mutualistici, trasferiti alle U.S.L., all'eventuale eccedenza prevista dall'art. 76 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (costituita dalla differenza fra l'importo versato dall'Ufficio liquidazioni del Ministero del Tesoro all'INADEL a titolo di indennit� di anzianit� maturata alla data di iscrizione a detto ente e la somma necessaria alla ricongiunzione dei servizi riconosciuti utili per il trattamento di fine rapporto presso l'ente di provenienza) non ha per oggetto l'indennit� di anzianit� che matura al momento della definitiva PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 303 cessazione del rapporto di pubblico impiego proseguito senza soluzione di continuit� con la U.S.L. di destinazione, ma la restituzione dei contributi che risultano versati oltre il dovuto, talch� concerne un indebito oggettivo, la cui cognizione � devoluta al giudice ordinario, anche per la parte concernente la pretesa della rivalutazione automatica dei relativi crediti, sia pur essa dedotta in relazione all'art. 1224 cod. civ. (1). Margherita Calvello, dipendente di ente mutualistico disciolto, transitata alle dipendenze di U.S.L., con ricorso al Pretore di Bari, chiedeva la condanna dell'INADEL e del Ministero del Tesoro, in solido oppure secondo la responsabilit� di ciascuno, al pagamento in suo favore della rivalutazione e degli interessi sulla differenza, di cui all'art. 76 d.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, tra l'importo teorico dell'indennit� di fine rapporto, maturata presso l'ente di provenienza, e quello da versare all'INADEL per la ricongiunzione dei rapporti previdenziali, essendo stata tale eccedenza corrisposta con ritardo. Il Pretore accoglieva la domanda nei confronti del Ministero e la rigettava nei riguardi dell'Istituto. Il Ministero proponeva appello, sostenendo la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, il proprio difetto di legittimazione passiva e l'infondatezza nel merito della pretesa. Il Tribunale di Bari, dopo aver rilevato che la pronuncia di rigetto della domanda nei confronti deli'INAbEL era passata in giudicato per difetto d'impugnazione sul punto, dichiarava la propria carenza di giurisdizione a pronunciare sulla domanda proposta contro il Ministero del Tesoro. Contro tale sentenza, l'assicurata ha proposto ricorso con unico motivo. Il ricorso � stato notificato per il Ministero all'avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, ed all'INADEL. Si � costituita con controricorso l'avvocatura generale dello Stato, rimettendosi al prudente apprezzamento della Corte. Non si � costituito l'Istituto suindicato. Motivi della decisione. Con l'unico motivo del ricorso, si denuncia violazione dell'art. 1 c.p.c. in relazione all'art. 360 n. 1 c.p.c. e si sostiene che la domanda non trae origine dal rapporto di pubblico impiego, bens� da un indebito (1) Giurisprudenza consolidata. La sentenza conferma i principi gi� affermati dalle Sezioni Unite in tema di restituzione dei contributi versati oltre il dovuto dai dipendenti dei soppressi enti mutualistici trasferiti alle U.S.L. La Cassazione motiva il decisum riaffermando il principio di diritto gi� enunciato in recenti pronunce con riferimento ad analoghi casi. Si erano infatti pronunciate nel senso della sussistenza di u�la fattispecie di indebito oggettivo: SS. UU., 18 ottobre 1993 il. 10299; SS. UU., 25 n�vembre 1993 n. 11644. 304 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO oggettivo, intervenuto nell'ambito del rapporto previdenziale, con la conseguenza che la controversia rientra nella giurisdizione ordinaria. Si rileva preliminarmente che la costituzione dell'avvocatura generale ha sanato il vizio della notifica del ricorso, effettuata all'avvocatura distrettuale. Si osserva; inoltre che nessuna censura � stata mossa contro il rilievo concernente la formazione del giudicato sulla pronuncia di rigetto della domanda contro l'INADEL, rilievo contenuto nella sentenza del Tribunale. Il ricorso � fondato. Esso propone una questione, che � stata gi� risolta da questa Corte in controversie analoghe alla presente, con l'affermazione dei seguenti principi: �Il diritto dei dipendenti dei soppressi enti mutualistici, trasferiti alle U.S.L., all'eventuale eccedenza prevista dall'art. 76 del d.P.R. 20 dicembre. 1979 n. 761 (costituita dalla differenza fra l'importo versato dell'Ufficio liquidazioni del Ministero del Tesoro all'INADEL a titolo d'indennit� di anzianit� maturata alla data di iscrizione a detto ente ed il trattamento di fine rapporto presso l'ente di provenienza) non ha per oggetto l'indennit� di anzianit�, che matura al momento della definitiva cessazione del rapporto di pubblico impiego proseguito senza soluzione di continuit� con la U.S.L. di destinazione, ma la restituzione dei contributi che risultano versati oltre il dovuto, talch� concerne un indebito oggettivo, la cui cognizione � devoluta al giudice ordinario, anche per la parte concernente la pretesa della rivalutazione automatica dei relativi crediti, sia pur essa dedotta in relazione all'art. 1224 cod. civ.� (v., tra le pi� recenti, S.U. 18 ottobre 1993 n. 10299; S.U. 25 novembre 1993 n. 11644). A tale orientamento consolidato il Collegio ritiene di uniformarsi, non ravvisandosi ragioni, prima non valutate, che possano indurre a discostarsene. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata e la causa deve essere rimessa allo stesso Tribunale di Bari, al quale si ritiene opportuno rimettere anche i provvedimenti sulle spese del presente giudizio. CORTE DI CASSAZIONE, Sez. Un., 25 maggio 1994 n. 5121 � Pres. Bile � Rel. Sgroi � P. M. Morozzo. Pietro Mele (avv. Rossi e Piaggio) c. Mini stero dei Lavori Pubblici (avv. Stato Fiumara). Appalto (contratto di) � Appalto di opere pubbliche � Revisione prezzi � ! i Posizione dell'appaltatore � Natura di diritto soggettivo tutelabile I davanti all'AGO � Condizioni � Adozione di un provvedimento di ricoi f noscimento del diritto alla revisione da parte della P. A. � Sussistenza. Una volta intervenuto il riconoscimento da parte della P.A. del diritto la I alla revisione prezzi in favore dell'appaltatore di opera pubblica, ! I I I II PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 305 controversia che insorga sulla concreta determinazione dell'importo revisionale rientra nella giurisdizione dell'AGO in quanto attinente al quantum di un credito gi� riconosciuto all'appaltatore e pertanto non incidente su poteri e valutazioni discrezionali dell'Amministrazione medesima (1). b) Col secondo motivo, il Mele denuncia la violazione del giudicato sulla giurisdizione, la contraddizione insanabile fra la reiezione del terzo motivo d'appello dell'Agenzia e dell'appello in parte qua della Provincia di Benevento e le ragioni esposte per respingere l'appello della Melpi, nonch� omesso esame di punto decisivo, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c,, osservando che, dopo le corrette motivazioni inerenti alla conferma della sentenza di 1� grado, sulla questione di giurisdizione (sia per il giudicato formatosi a seguito delle sentenze di questa Corte sul regolamento di competenza, sia perch� le domande della Melpi esponevano richieste di riconoscimento a compensi revisionali rientranti nei poteri giurisdizionali del G.O, sia perch� era irrilevante il mancato esperimento del procedimento amministrativo di cui al d.l. CP.S n. 1501/47) la Corte d'Appello aveva respinto l'appello della Melpi, ritenendo che la determinazione delle quote d'incidenza ai fini della revisione dei prezzi rientrasse nel potere discrezionale della P.A., sicch� di fronte al rifiuto o all'inerzia di essa, l'appaltatore dovrebbe rivolgersi al giudice amministrativo. La ditta ricorrente osserva che, una volta stabilita in contratto l'applicazione della revisione; i metodi, dati e criteri per la determinazione del (1) La sentenza si fonda sui principi ormai consolidati in tema di revisione prezzi negli appalti di opere pubbliche elaborati dalla giurisprudenza della Suprema Corte e del Consiglio di Stato. Dalle note sentenze 1363 e 1366 del 1983 la Cassazione ha adottato quale criterio risolutivo della giurisdizione il principio secondo il, quale la revisione del prezzo del pubblico appalto trova attuazione in due distinte fasi. Nella prima, caratterizzata dall'esercizio di un potere discrezionale dell'Amministrazione appaltante di riconoscere o meno la revisione del prezzo di appalto, l'appaltatore � titolare di un mero interesse legittimo al riconoscimento dell'importo revisionale con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo (sulla particolare configurazione di tale potere discrezionale come �potere necessitato� di procedere a revisione v. CIANFLONE, L'appalto di opere pubbliche, Giuffr�, 1988, 837 e ss.). Esaurita tale fase in senso favorevole all'appaltatore, la posizione di questi diviene di diritto soggettivo perfett� con la conseguenza che la domanda volta alla concreta determinazione delle somme ad esso spettanti a titolo di revisione prezzi spetta alla cognizione del giudice ordinario. Il crietrio di riparto sopra illustrato, seppure pacifico nelle sue premesse teoriche, ha dato luogo nella prassi giudiziaria a notevoli problemi applicativi. Sulla possibilit� di configurare un riconoscimento tacito della revisione si veda, ad esempio, Cass. SS.UU. 17 ,dicembre 1991 n. 13606 in cui si afferma che la decisione della P.A. -di concedere la revisione pu� avvenire in via implicita per effetto del pagamento di acconti di revisione, purch� riferibili all'intero compenso revisionale (e non anche a pagamenti per revisioni parziali, limitate RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 306 compenso revisionale appartengono al contratto, nel quale� sono stabilite le quote d'incidenza (riferite ai dati tecnici dei .progetti originari), il che postula che il diritto alla revisione sia pattiziamente riconosciuto con esclusione di ogni potere diScrezionale dell'Amministrazione; le quote di inci� denza emergono dai dati progettuali e costituiscono elementi del contratto ed .ogni controversia sul punto della quantificazione del diritto soggettivo dell'itnpresa appartiene alla cognizione dell'A;G.0;, perch� ogni attivit� tecnico � contabile di�. determinazione del quantum appartiene al; l'area contrattuale dei diritti soggettivi delle parti. Inoltre, l� sentenza impugnata ha omesso ogni motivazione su un punto dee�sivo �emergente�. dagli atti, e cio� l'inserzione �delle quote d'incidenz� nei contratti originari,� Si. tratta� di circostanza determinante, perch� indicativa del corretto procedimento contrattuale per la redazione dei computi revisionali in corso d'opera in base alle quote d'incidenza origi� narie, laddove non vi siano perizie tecniche di variante, ed in base alle diverse quote da determinarsi sui dati progettuali delle perizie di variante, qualora esse intervengano. I motivo � fondato, per quanto di ragione, e cio� in ordine all'ultimo rilievo. Per poterlo esaminare, occorre procedere all'interpretazione .� della sentenza impugnata, la quale, ad una prima lettura, sembra aver negato la giurisdizione del G.0. in ordine alle �richieste di compensi revisionali nelle misure indicate nei due de�reti ingiuntivi del 1982. Tuttavia, ,nel cio� a .determinate categorie di opere ovvero ad un determinato periodo di tempo, posto che l'Amministrazione; nella fase dell'an, ha facolt� di ammettere solo in parte la revisione). ;Da .Ultimo, ha confermato la�� posSibilit� � di tale� implicito riconoscimento attraverso un comportamento concludente dell'Amministrazione, anche la pi� recente Cass, SS, UU. 6 maggfo 1994 n. 4388. A tal fine, precisa peraltro la S.C., non � sufficiente n� la previsione contrattuale delle cos� dette � quote di inci� denza � dei vari fattori di costo n� un riconoscimento che non provenga dal� l'organo deliberativo competente ad esprimere la volont� dell'ente. Ulteriori problemi applicativi si sono. posti inoltre con riferimento alla c. d. seconda fase, in ordine alla individuazione in concreto dei parametri da applicare nel calcolo dell'importo revisionale spettante all'appaltatore. Tra� i problemi pi� dibattuti in giurisprudenza ad esempio, quello relativo alla deter� minazione delle tabelle di� riferimento. SUil'argomento si veda tra le decisioni pi� recenti: Cass., sez. l; 25� s.ettembre 1993 n. 9720, in Foro it. 1994, fase. 1�, 302 e ss. che, nell'affermare la necessit� del riferimento, per il calcolo del compenso revisionale, alla tabella che riproduce i prezzi cor~ti al momento della presenta� zione dell'offerta, ancorch� compilata e pubblicata successivamente, aderisce al revirement giurisprudenziale operato dalla. S.C. con la sentenza 7 novembre 1990 n. 10723. Tale .decisione, pubblicata in questa Rassegna, 1991, I, 257, con nota adesiva di Cingolo, segn�� il :definitivo abbandono del. precedente indirizzo �sostenuto 'dal Consiglio di Stato1 Ad. Plen.1 7 � settel.llbl:e 1984 n. 18 (che, al con� trarlo,. faceva riferimento alla: .tabella �nota � cio� materialmente. disponibile al momento . della formulazione d�ll'offerta). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 307 dispositivo � contenuta la pronuncia di rigetto degli appelli incidentali, con cui veniva sollevata la suddetta questione di giurisdizione; ed, inoltre, nella prima parte della motivazione -con riguardo a tutte le quattro opposizioni a decreti ingiuntivi (pag. 13-14) -si � affermata esplicitamente la giurisdizione del G.O. Si deve ritenere, pertanto, che il problema del riconoscimento del quantum della revisione (in base a quote d'incidenza diverse da quelle indicate nei contratti originari e corrispondenti all'effettiva natura e qualit� delle opere eseguite, secondo le numerose perizie di variante), � stato risolto c;on una motivazione che ad abundantiam richiama il difetto di giurisdizione del G.O., ma che in realt� � poggiata tutta sulla � mancanza di consenso � nella determinazione delle quote d'incidenza (adeguate a notevoli varianti dei lavori originariamente appaltati) e nell'insufficienza delle determinazioni unilaterali dell'appaltatore. D'altra parte, � evidente che un problema di giurisdizione non poteva neppure sollevarsi, nella specie, perch� dopo le sentenze n. 1363 e n. 1366 del 1983, queste Sezioni Unite hanno affermato che il principio secondo cui la revisione del prezzo deriva dall'esercizio di un potere discrezionale della P.A., a fronte del quale l'appaltatore � titolare di interessi legittimi, riguarda la fase nella quale l'Amministrazione � chiamata a deliberare sul riconoscimento della revisione; ma, dopo che la scelta sia stata effettuata in senso positivo, la posizione dell'appaltatore acquista consistenza di diritto soggettivo, perch� la concreta determinazione del quantum coinvolge solo l'applicazione di criteri e parametri liquidatori. Nella specie, i compensi richiesti con i decreti ingiuntivi del 1982 riguardono le stesse categorie di opere e gli stessi tempi, in ordine ai quali la revisione era stata riconosciuta dalla P.A., e la differenza riguardava soltanto le diverse quote d'incidenza utilizzate nei due calcoli. Una controversia di questo tipo attiene alla misura della revisione, che non riguarda soltanto gli errori materiali o di calcolo (Cons. Stato n. 203 del 31 marzo 1989, sez. IV, fra le altre), ma anche i casi in cui si discuta sull'individuazione della tabella revisionale applicabile ed, in genere, sui criteri di calcolo (Cass., sez. un., 27 dicembre 1990 n. 12175; 17 dicembre 1991 n. 13606; n. 8417 del 18 agosto 1990). Pertanto, � irrilevante la prima parte del motivo (affidata del resto a considerazioni inesatte, quali il giudicato sulla giurisdizione, che non pu� formarsi a seguito di sentenze della Corte Suprema sulla competenza (S.U. n. 4504/89), ovvero il carattere contrattuale della revisione, che non esisteva, esistendo invece il riconoscimento del diritto alla revisione su tutti i lavori e su tutti i tempi di essi, da parte della P.A.). Si deve accogliere, invece, l'ultima parte di esso, sull'omissione di motivazione. � vero, infatti, che �non � sufficiente la determinazione unilaterale dell'appaltatore, ma non � vero che ad essa non possa sostituirsi quella RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 308 del giudice ordinario, la quale dovr� statuire sul quantum in base alla legge applicabile, nonch� alla identificazione dei contratti che sono in effetti intercorsi fra le parti. Nei contratti di appalto di opere pubbliche, infatti, � determinante il consenso delle parti sul tipo effettivo di opera eseguita (Cass. 25 settembre 1984 n. 4820), per cui il giudice ordinario dovr� prima stabilire se si sia formato il consenso della P.A. e dell'appaltatore sui detti contratti, e poi, in base alla legge applicabile ratione temporis, stabilire le quote d'incidenza sul costo complessivo dell'opera tanto della manodopera, quanto dei materiali, dei trasporti e dei noli secondo la categoria delle opere e la natura dei lavori, contemplati nei contratti effettivamente intercorsi fra le parti. La suddetta indagine di merito (su. un punto decisivo) � stata del tutto omessa dal giudice, per cui la sentenza va cassata, .su tale punto. Ovviamente, una volta risolto il problema preliminare suddetto, dovr� procedersi eventualmente al calcolo dei compensi spettanti in base alle quote d'incidenza adeguate ai lavori contrattuali eseguiti, e cio� in base ai parametri rispondenti alle analisi dei prezzi delle categorie di lavori suddetti. e) La decisione del secondo motivo di ricorso rende inammissibile il terzo motivo, che attiene soltanto ad una questione di giurisdizione (che � assorbita dalle considerazioni gi� fatte). II II 0 ) Ricorso incidentale n. 12012 dell'AGENSUD. a) Col primo motivo essa deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 legge 10 agosto 1950 n. 646, deducendo la carenza di legittimazione passiva, con ampie deduzioni che � inutile riferire. Invero, non pu� che riconfermarsi quanto gi� statuito (in relazione ad altri lavori fra le medesime parti) da queste Sezioni Unite, con sentenza n. 3573 del 25 marzo 1993. Poich� l'Impresa Melpi non aveva alcun rapporto contrattuale (l'unico che qui interessa: vedi supra) con la Cassa del Mezzogiorno, essendo stato il contratto stipulato con la Provincia di Benevento, a questa ultima soltanto va rivolta la domanda giudiziale per il pagamento del quantum del compenso revisionale eventualmente spettante. Si pu� solo aggiungere che i compiti della Cassa, in sede di riconoscimento dell'an del compenso attengono alla fase amministrativa della revisione, che (come si � visto) � ormai superata; e che non ha rilievo la considerazione esposta nella memoria della Melpi, secondo cui l'Agensud detiene i mezzi di pagamento e dispone di essi unilateralmente. Invero, se ed in quanto il giudice riconosca dovuto un certo compenso revisionale, in base al contratto, l'Amministrazione Provinciale committente risponder� non soltanto con i mezzi e secondo le modalit� previste in contratto (finanziamenti della Cassa), ma con tutti i suoi beni (art. 2740 e.e.). PARTE I, SEZ. III, GIURISPRUDENZA CIVILE, GIURISDIZIONE E APPALTI 309 b) L'accoglimento. del. primo motivo�suddetto comporta l'assorbimento del secondo motivo, attinente hl merito del quantum contenuto nei due decreti del 1979, dei quali la Cassa non deve (per l'assorbente motivo indicato supra) rispondere direttamente (salvi i suoi obblighi di finanziare la Provincia, in base alla concessione; ma nella specie non vi � stata alcuna domanda della Provincia contro la Cassa). III0 ) Ricorso n. 11556 della Provincia. Con l'unico motivo la suddetta Amministrazione denuncia l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo (art. 360 n, 5 c.p.c.), osservando che nella specie l'opera rientrava tra le attribuzioni della Casmez e che la partecipazione della Provincia era avvenuta solo: in base e nei limiti del rapporto concessorio; e sul punto specifico del ~ontendere (determinazione dei compensi revisionali) il giudice d'appello ha dedotto che l'Amministrazione Provinciale non avesse alcun potere, essendo il suo ruolo confinato a mere funzioni esecutive, per cui -logicamente -avrebbe dovuto dedurne il difetto di legittimazione passiva, mentre essa ha omesso di prestare attenzione al motivo d'impugnazione riguardo alla carenza di legittimazione. Il motivo � infondato. Costituisce sufficiente motivazione della sentenza impugnata il richiamo alla sottoscrizione dei contratti e degli atti aggiuntivi, che ovviamente rendevano la Provincia responsabile del pagamento del prezzo, ivi compresi i compensi revisionali. La circostanza che la Provincia non avesse alcun potere sul riconoscimento di essi, non rileva, perch� la controversia (vedi supra) non attiene all'an, ma al quantum dei compensi revisionali, secondo l'indagine che dovr� essere effettuata, appunto sulla base dei contratti intercorsi e modificati fra le suddette parti. Invero, superata la fase del procedimento amministrativo, il diritto soggettivo dell'appaltatore potr� essere limitato soltanto dai patti contrattuali che dovranno essere esaminati dal giudice di rinvio e, dove essi non dispongano, dalla disciplina legale applicabile, ratione temporis, sempre nell'ambito contrattuale (legge 21 giugno 1964 n. 463 e successive modificazioni). IV IV 0 ) Ricorso incidentale n. 13856 della AGENSUD. Si tratta di ricorso inammissibile, perch� col precedente ricorso l'Agensud aveva esaurito i propri poteri d'impugnazione (e del resto l'unico motivo � identico al primo motivo -gi� accolto -del precedente ricorso). Il giudice di rinvio provveder� sulle spese del giudizio di cassazione. Esso si designa in altra sezione della Corte d'appello di Napoli. P.Q.M. La Corte di cassazione a sez. w1ite riunisce i quattro ricorsi; rigetta il primo motivo del ricorso principale del Mele; ne accoglie -per quanto 310 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO di ragione -il secondo e ne dichiara inammissibile il terzo; rigetta il ricorso incidentale della Provincia; accoglie il primo motivo e dichiara assorbito il secondo motivo del ricorso n. 12012/92 dell'Agenzia per il Mezzogiorno; dichiara inammissibile il ricorso n. 13856/92 della stessa Agenzia. Cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia ad altra sezione della Corte d'appello di Napoli, anche per le spese del giudizio di cassazione. I I I SEZIONE QUARTA GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA CONSIGLIO DI STATO, sez. VI, 16 giugno 1994, n. 1015 -Pres. Salvatore Est. Millemaggi Cogliani -Sanremo S.p.A. (avv. Rebuffat) c. ISVAP (avv. dello Stato Cingolo). Atto amministrativo -Documento amministrativo -Diritto di accesso � Pendenza di un giudizio -Tutela del diritto di accesso ex art. 25 legge 241/90 e istanza di acquisizione istruttoria -Concorrenza tra i due mezzi -Possibilit�. L'a<iione prevista dall'art. 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241 � specificamente rivolta a tutelare il dir�to di accesso in quanto posizione soggettiva singolare ed autonoma rispetto alle diverse situazioni soggettive che pur tuttavia conferiscono rilievo all'interesse dell'amministrato di conoscere i documenti amministrativi e di estrarne copia: questo non significa che vi sia un rapporto di reciproca esclusione fra il mezzo di tutela in questione e le diverse possibilit� offerte dall'ordinamento all'. amministrato (che s.i ritenga leso dal provvedimento amministrativo e che tale provvedimento abbia gi� impugnato davanti al giudice di legitMmit�) di conseguire la conoscenza degli atti attraverso l'orcliinaria acquisizione istruttoria, e cio� che, una volta mstaurato il processo contro il provvedimento, la possibilit� di esperire ivi i mezz,i istruttori escluda automaticamente ,il diritto di azione di cui si tratta (1). (1) Dal diritto di accesso al diritto alla curiosit�: breve storia di una involuzione. I Con la decisione in rassegna il Consiglio di Stato ha dichiarato ammissibile (prima ancora che fondata) una istanza di accesso ai sensi dell'art. 22 e segg. legge 241/90 finalizzata esclusivamente allo scopo di pi� adeguata difesa in taluni giudizi gi� instaurati e pendenti dinanzi ad un T.A.R. La pronuncia di prime cure aveva invece dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 25 legge 241/90 sull'oculato rilievo della inutile duplicazione del mezzo richiesto rispetto alla normale attivazione del potere istruttorio del giudice amministrativo gi� adito a tutela della situazione soggettiva sostanziale: tutto ci� sul presupposto della espressa circoscrizione della istanza di accesso alla limitata finalit� di disporre di pi� adeguati mezzi probatori nel giudizio gi� incardinato (con� implicita esclusione, pertanto, di diverse prospettazioni d'interesse alla apprensione dei richiesti documenti). I giudici d'appello, al contrario, hanno ora solennemente affermato l'assoluta autonomia del diritto di accesso rispetto alla situazione soggettiva cui il medesimo inerisce, gi� attivata dinanzi al giudice amministrativo, cosicch� 10 RASSEGNA AVVOCATURA DEllO STATO 312 Ll. Il problema che si pone dn primo luogo al giudice di appello � se, in materia di accesso ai documenti, nel'l'ipotesi in cui sia gi� pendente il giudizio amministrativo per fa tutela de1le posizioni sostanziali lese dal provvedimento, la pretesa dell'interessato di conoscere gli atti relativi al procedimento medesimo, anche interni ed infraprocedimentali o comunque allo stesso connessi, e di estrarne copia, dichiaratamente allo scopo di svolgere pi� idoneamente, all'interno di quel processo, le proprie ragioni difensive, possa avvalersi, nell caso di rifiuto o di inerzia dell'Amministrazione, della specifica tutela giuri,sdizionale prevista dall'art. 25 della legge 7 agosto �990, n. 241, o se invece non trovi naturale e necessario sbocco all'interno del processo ordinario di impugnazione dove dovranno essere valutate ed ammesse (o respinte) le richieste istruttorie, anche con riguardo alla loro rilevanza e pertinenza, ad opera dello stesso giudice cui appartiene la cognizione della fattispecie litigiosa. Nel1a ipotesi in concreto portata alla cognizione del giudice di appelilo, concernente il caso di un soggetto, presidente e socio di una societ� di assicurazione, alla quale � stata revocata l'autorizzazione allo svolgimento dell'attivit� assicurativa per essere poi messa in liquidazione coatta (con provvedimenti dal medesimo soggetto -nehla duplice qualit� di presidente e sooio -entrambi impugnati davanti aJl. giudice amministrativo con due separati giudizi), il Tribunale amministratiivo regionale del Lazio ha ritenuto che, una volta motivata la richiesta dri accesso, come nella resta rimessa al �libero apprezzamento � dell'interessato la scelta di avvalersi della tutela giurisdizionale apprestata dall'art. 25 legge 241/90 o di conseguire la conoscenza dei documenti sul diverso giudizio, mediante esibizione processuale. A sostegno di tali conclusioni viene osservato che la legge non prevede alcuna degradazione del diritto d'accesso (che quindi non cessa mai di essere autonomamente tutelato) e che, inoltre, non si deve confondere tra il diritto di azione (che ha natura sostanziale) e il potere di richiedere mezzi istruttori (che invece na carattere meramente procedi.mentale). Si tratta di osservazioni puntuali e certamente degne di pregio, quanto peraltro confliggenti con la disciplina del giudizio amministrativo in genere e quella posta dalla legge 241/90 in particolare. Del resto, esse non fanno che confermare un preoccupante indirizzo del Consiglio di Stato gi� manifestato in varie, precedenti occasioni. Ad esempio, la sentenza n. 21/94 della IV Sezione aveva gi� affermato la pienezza di autono mia del diritto d'accesso e la ininfluenza sul medesimo della c.d. situazione le gittimante, fino alla inaccettabile conseguenza di consentirne l'esperimento anche in casi in cui l'eventuale tutela giudiziale successiva sia inequivocamente inammissibile (si trattava di accesso agli elaborati concorsuali di candidati diversi dall'istante, al fine di contestare successivamente in sede giudiziale le valutazioni tecniche della Commissione esaminatrice: contra, in termini, T .A.R. Lazio -Sez. I -n. 1078/94). In altra occasione la stessa IV Sezione (sent. n. 1036/93) nel tentativo di individuare la soglia di qualificazione dell'� interesse� legittimante la richiesta d'accesso, ha costruito ex novo la categoria dell'interesse � serio e non mera PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 313 specie, esclusivamente con riferiimento alla necessit� di avvalersi della conoscenza degli atti che avevano condotto ai suddetti provvedimenti di revoca e di messa in >liquidazione, ai solli fini dell'esercizio del diritto di difesa nei giudizi di impugnazione pendenti davanti al medesimo Tribunale, il comportamento dell'amministrazione, riitenuto dall'interessato lesivo del diritto di accesso riconosciuto daiNa legge n. 241, non potesse trovare a111tonoma tutela, mediante l'eseroizio de1l'azione prevista daN'art. 25 della cit. iegge n. 241 del 1990, ma dovesse essere vagl!iato dallo S�tesso giudice investito delle impugnazioni, neM'ambito di quei processi, secondo le regole che presiedono 1l'acquis!izione dei mezzi istruttori, ed ha pertanto dichiarato inamm~ssibile il separato ricol'So proposto ai sensi del gi� citato art. 25. Secondo l'appellante, una siffatta declaratoria di inammissibilit� sarebbe viziata per i profili evidenziati in narrativa. Egli, pertanto, nel denunciare gld errori in cui sarebbe inco11so il primo giudice, ripropone iin questa �sede tutte le censure dedotte in primo grado contro fa pretesa violazione del diTitto di accesso, chiedendo l'accoglimento dell'originario ricorso. L'Amministrazione, costituitas�i in giudizio, ribaidisce fa tesi secondo cui il procedimento speciale previsto dall'art. 25 legge n. 241 del 1990 sarebbe inammissibile nel caso in cui risulti gi� adito, a tutela della situazione sostanziale retrostante, un giudice fornito di poteri istruttori. mente emulativo � (categoria certamente apprezzabile nella sostanza ma priva della indefettibile delineazione dei contorni e per di pi� non corrispondente, come ognuno pu� riscontrare, ad alcuna tra quelle tradizionalmente enucleate dalla dottrina amministrativistica e dalla stessa giurisprudenza). Si tratta, all'evidenza, di un tentativo sterile, poich� � ovvio che l'apprezzamento della ser'iet� o meno di un interesse (o addirittura di un mero intento?) ordinariamente differisce a seconda del soggetto chiamato alla verifica: sicch�, in buona sostanza, accettare consimile impostazione equivale a rimettere di volta in volta all'esame di un doppio grado giudiziale la verifica sulla � seriet�� dell'interesse: con il risultato di un quadro generale di incertezza per le Amministrazioni chiamate ad operare senza un criterio oggettivo ed attendibile di riferimento e comunque con l'altra conseguenza -questa certamente � poco seria � -di incrementare a dismisura il contenzioso, conseguendo lo scopo esattamente opposto a quello voluto dal legislatore, che si era proposto di spostare l'asse della tutela del cittadino dal momento del processo giudiziale a quello, anteriore, del procedimento amministrativo. E pensare che la prima pronuncia del Consiglio di Stato su questo complesso problema, (Sez. VI, n. 193/92) ancorch� piuttosto rigorosa, aveva almeno avuto l'inestimabile pregio di mantenere un quadro di chiarezza, laddove aveva ritenuto, quale requisito per l'ammissibilit� della domanda di accesso, la necessaria titolarit�, in capo all'istante, di una situazione giuridica soggettiva qualificabile almeno come interesse legittimo. Va ricordato che tale principio aveva trovato anche conferma in talune ulteriori pronunce della stessa Sezione (cfr. ad es. -Sez. VI n. 783/93). 314 RASSEGNA AVVOCATURA. DELW STATO 1.2. Osserva il Collegio che il diritto di accesso, sia nel caso di soggetti partecipanti al procedimento, di cui � fatta sa:lva la possibilit� di prende.re visione degli atti del medesimo (art. 10 lett. a), 1siia che attenga aJ.J.a con�scenza di documenti amministrativi da parte di � chiunque vi abbia interesse � (art. 22), si configura, nel sistema della legge n. 241 del 1990, finalizzato, in entrambe le iipotesi normative, ad � asskurare la trasparenza dell'attivit� amministrativa � ed a � favorirne lo svolgimento imparziale per la tutela di situazioni giuridiche rilevanti�, sicch�, secondo l'orientamento gi� espresso dalla Sezione in diverse fattispecie (per tutte, sent. n. 630 del 9 settembre 1992) e dalla quale non vd � ragione di discostarsi, ad entrambe le ipotesi � applicabile lo speciale procedimento di tutela giurisdizionale regolato dall'art. 25 quinto comma della legge n. 241 citata, in forza del quale � contro le determinazioni amministrative concernenti il diritto di accesso ... � dato ricorso, nel termdne di trenta giorni, al Tribunale amministrativo regionale, il quale dedde entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta �. In questo senso del resto si � espressa anche la sentenza. impugnata la quale non ha neppure escluso, in linea di principio, la possibilit�, in pendenza di un contenzioso fra le parti, di ricorrere allo speciale strumento di tutela previsto dall'art. �2s, in esame, il quale, come � stato affermato, ({agisce in un ambito del tutto diverso e speciale, sganciato dalla Il cuore del problema � infatti, proprio nel chiarire se il diritto di accesso abbia ragione d'essere di per s� stesso ovvero debba postulare indefettibilmente il collegamento ad una situazione giuridicamente rilevante del soggetto richie dente: in tale ultima ipotesi dovendosi poi accertare quale possa essere la situazione soggettiva �minimale� idonea allo scopo. Il primo quesito -ad onta di quanto talune delle pronunce sopra ri cordat� (e lh particolare quella in rassegna) giungono ad affermare -� risolto dalla stessa legge nel senso della impossibilit� di configurare l'accesso come diritto in tutto e per tutto caratterizzato da autonomia concettuale e sostanziale. Deve infatti� indefettibilmente sussistere un �interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti� (cfr. art. 22 legge 241/90). Tale interesse deve essere inoltre � personale e concreto� (art. 2, comma 10, d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352) e la ,sua connessione all'oggetto della richiesta deve essere comprovata (art. 3, comma 2�, d.P.R. 352/92), mentre �la richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata� (art. 25, comma 2�, legge 241/90). La legge pertanto direttamente afferma che la � richiesta di accesso � deve essere motivata perch� questo � il modo pi� semplice per appurare se alla base della richiesta vi siano interessi tutelati dall'ordinamento cui si riferisce l'art. 22, legge 241/90, oppure una semplice curiosit�. Del resto, che alla base di tale restrizione del diritto di accesso rispetto al testo originario della � Commissione . Nigro � vi siano state rilevanti preoccupazioni di ordine pratico risulta anche dalla. discussione del disegno �di legge svoltasi presso la Commissione Affari Costituzionali della' Camera dei Deputati. PARTE I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 31.5 generale disciplina che regola la materia della esibizione dei documenti nel processo amministrativo �, 1.3. Chiarito tale aspetto della questione, mentl.'e bisogna dare atto della esattezza della cons1derazione di fondo che sta alfa base dell'orientamento espl.'esso dal primo giudice, e cio� che l'aspetto processuale della tutela deve essere tenuto d1stinto dai profili sostanziali del diritto di accesso, viene subito in evidenza -fra i vizi denunciati -la contraddittoriet� del procedimento logico che ha condotto il Tribunale ad affermare, da un lato, la diversit� dell'ambito di operativit� della tutela ex art. 25 legge n. 241 e l'acquisizione documentale nel processo e, dall'altro, a negare, in concreto, la sussistenza stessa del diritto di azione nel caso di cui trattasi. La peculiarit� del rimedio giurisdizionale offerto dal pi� volte richiamato art. 25 legge n. 241 contro la 'lesione del diritto di accesso sta in ci�, che, con l'azione ivi prevista, trasparenza ed imparzialit� sono assicurate all'amministrato -attraverso la tutela giurisdizionale specificamente ipotizzata -indipendentemente dalla lesione in concreto, da parte della Pubblica amministrazione, di una determinata posizione di diritto o interesse legittimo facente capo alla sua sfera giuridica, assurgendo l'interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi, nelle due diverse ipotesi normative anzidette, a bene della vita autonomo, Infatti, di fronte ad un emendamento del Gruppo Verde tendente ad eliminare dall'art. 22, legge 241/90, l'inciso vincolante l'accesso all'esigenza di �tutela di situazioni giuridicamente rilevanti >>, i rappresentanti di quasi tutte le altre forze politiche, nonch� il rappresentante del Governo, espressero preoccupazione per le difficolt� organizzative che l'estensione soggettiva del diritto di accesso avrebbe potuto comportare per le pubbliche amministrazioni. In particolare, il Presidente della Commissione osserv� che dal riconoscimento di forme di accesso generalizzato sarebbe derivato un aggravamento degli oneri di organizzazione per l'amministrazione, con conseguente aumento dei costi; sulla stessa linea, il Ministro per gli affari regionali ed i problemi istituzionali espresse la propria contrariet�, a nome del Governo, alla pr0posta di estensione del diritto di accesso, perch� ci� avrebbe comportato grandi difficolt� organizzative per i pubblici apparati, il rappresentante del Gruppo Democratico. cristiano, a sua volta, sottoline� che il complesso degli emendamenti proposti dal Gruppo Verde costituiva un obiettivo troppo avanzato rispetto alle strutture esistenti, tanto da correre il rischio di un � effetto di obsolescenza per eccesso di progresso �; il rappresentante del Gruppo Comunista sostenne che le proposte in questione non costituivano allo stato attuale d�ll'amministrazione italiana un obiettivo praticabile, mancando una completa informatizzazione delle pubbliche amministrazioni, mentre il rappresentante del Gruppo della Sinistra Indipendente, pur condividendo in linea di principio l� proposte in discussione, espresse anch'egli la preoccupazione che disposizioni troppo avanzate, oltre a creare rilevanti difficolt� organizzative, potessero proprio per tale motivo restare inapplicate. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO meritevole di tutela separatamente dalile posizioni sulle quali abbia poi aid incidere l'attivit� amministrativa, eventuailmente in modo lesivo. Si tratta dunque di una tutela giurisdizionale tipica di quel particolare interesse che il legislatore del 1990 ha 'inteso salvaguardare in via ' I'.generale, in contrapposizione ad un sistema fino ad a:llora generalmente ' fondato sulla regola della segretezza. � dunque esatto che i[ procedimento speciale ha ragione di essere solo ne[ caso in cui la lesione lamentata attenga specificamente a quel determinato bene che la legge ha inteso direttamente e autonomamente tutelare. Chiarito, per�, che 'l'azione prevista dall'art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241 � azione specificamente rivolta a tutelare il diritto di oocesso in quanto posizione soggettiva singolare ed autonoma rispetto al!le diverse si,tuazioni soggettive che pur tuttavia conferiscono rilievo all'interesse de11'amministrato di conoscere i documenti amministrativi e di estrarne copia, questo non significa che sia di esclusione il rapporto esistente fra il mezzo di tutela in questione e le diverse possibilit� offerte dall'ordinamento all'amministrato (che si ritenga leso dal provvedimento amministrativo e che ta[e provvedimento abbia gi� impugnato davanti al giudice 'di legittimit�) di conseguire la conoscenza deg1i atti attraverso l'ordinaria acquisizione istruttoria, e cio� che, una vo1ta instaurato il processo contro il provvedimento, la possibilit� di esperire ivi i mezzi Cos� come lo configura la legge, dunque, l'accesso nasce non come un diritto incondizionato ed illimitato, bens� come il diritto ad una informazione qualificata, non riconoscibile alla generalit� dei cittadini, sibbene solo in relazione ad una specifica legittimazione da comprovarsi (ove necessario), individuata appunto nella titolarit� di un interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, in ragione della quale l'istituto stesso possa essere azionato. Quanto poi a cosa debba intendersi per � situazione giuridicamente rilevante '" l'unica risposta con connotati di certezza pu� essere desunta dalla teoria generale sulle situazioni giuridiche soggettive: e poich� la legge riconnette l'accesso alla � tutela >>, � evidente che debba trattarsi di una situazione giuridica soggettiva che, sia pure allo stato minimale, sia dotata di una qualificazione idonea a renderla suscettiva di una tutela parimenti prevista dall'ordinamento giuridico. E cos�, non vi � dubbio che, se sono certamente � giuridicamente rilevanti � i diritti soggettivi e gli interessi legittimi (per i quali � prevista tutela) ed anche gli interessi amministrativamente protetti (per i quali pure � prevista di regola tutela in sede gerarchica), al contrario non sono giuridicamente rilevanti gli �interessi semplici�, cio� non qualificati (cos�, in proposito, anche la Commissione per l'accesso costituita ai sensi dell'art. 27 legge 241/90). In altre parole l'uso legislativo del termine � tutela � in connessione a � situazione giuridicamente rilevante � impone di ritenere delimitato l'ambito soggettivo dell'accesso al solo campo delle situazioni giuridiche suscettibili di protezione da parte dell'ordinamento: al di fuori di tale ambito, o si finisce con l'ammettere in ogni caso l'accesso (ma ci� � contrario alla legge) ovvero ci si PARm I, SEZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA 317 istruttori escluda automaticamente il diritto di azione di cui si tratta. Non pu� essere condivisa infatti la soluzione data al problema da>I primo giudice, nel senso che, ove '1'amministrato, nel corso di un processo avente ad oggetto un determinato provvedimento amministrativo, chieda di accedere agli atti del procedimento, motivando la richiesta con le necessit� difensive inerenti a tale processo, ancorch� sussistano, in linea ,di principio, ti diritto di accesso (come posizione sostanziale riconosciuta dalla legge) ed il correlativo obbligo dell'Amministrazione di consentire siffatto accesso (nei limiti stabiliti dalla fogge e dai regolamenti ivi previsti), '1a tutela aippres,tata contro il diniego o l'inerzia non potrebbe pi� essere quella ipotizzata daH'art. 25 della legge n. 241, dovendo necessariamente l'interessato rivolgere le proprie istanze a:I giudice stesso che � chiamato a conoscere deMa posizione soggettiva che in via principale si intende fare valere, per la considerazione che non avrebbe ragione di essere la specifica actio ad exhibendum, ove l'ordine del giudice pos,sa conseguire i[ medesimo effetto nel giudizio di legittimit� in corso. Ferma restando, infatti, la premessa maggiore, secondo cui la legge del 1990 assume l'interesse all'accesso come primario ed autonomo rispetto alle posizioni su cui abbia ad incidere con i propri provvedimenti l'Autorit� amministrativa, ci� da cui non pu� prescindere l'interprete � ritrova ad enucleare altri elementi di delimitazione tra interessi rilevanti o non rilevanti (creando per� categorie arbitrarie o assolutamente incerte). A ci� aggiungasi, infine, che certamente l'Amministrazione ha l'obbligo (non la facolt�) di vagliare la sussistenza degli anzidetti � requisiti minimi �, onde adottare quelle che la stessa legge 241/90 (art. 25, comma 1) definisce � determinazioni � (con evidente riferimento allo spazio valutativo che le contraddistingue). Tutti elementi che in definitiva confortano inequivocamente la tesi della impossibilit� di autosufficienza dell'accesso e della correlativa necessit� del suo collegamento ad una situazione giuridica sostanziale. Ma tale situazione giuridica non pu� essere individuata -come il giudice amministrativo mostra ormai di preferire -nel riferimento all'interesse meramente partecipativo o a quello puramente conoscitivo (entrambi privi di legame con una posizione qualificata) bens� va raccordata e valutata in connessione ad una precisa situazione giuridica di cui sia titolare l'istante: diversamente non si spiegherebbe l'attenzione della legge (e del regolamento governativo) al previo controllo sulla motivazione dell'istanza e sulla concretezza dell'interesse. In ragione di ci� non pu� convenirsi con affermazioni, pure provenienti da autorevole (quanto talora assai frettolosa) giurisprudenza (cfr. Cons. Stato Sez. VI n. 1284/94 e Sez. IV n. 638/94), secondo la quale ai fini dell'accesso � sufficiente un mero collegamento della situazione con il soggetto istante (a prescindere dunque dalla qualificazione giuridica dell'interesse posto a base dell'istanza di accesso); ovvero secondo la quale ai fini dell'accesso � sufficiente un ��interesse serio, non emulativo, n� riducibile a mera curiosit�� (ma chi valuta, e sulla base di quali parametri oggettivi, il grado di � seriet� � di un interesse?). 318 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO il rilievo (da cui rpure muove hl primo giudice, traendone tuttavia erronee conclusioni) che operano su piani totalmente diversi le varie possibilit� offerte dallJ.'ordinamento per conseguire -per ordine del giudice la conoscenza dei documenti negata dall'Amministrazione, da un lato avvalendosi dell'azione prevista dall'art. 25 ilegge n. 241 del 1990, e, dail l'altro, proponendo istanza, in un diverso processo, di acquisizione degli atti che interessano. L'obiettivo ideale che il legislatore del 1990 ha inteso perseguire, con il prevedere una specifica azione a tutela del diritto di accesso, � quello di conferire effettivit� alle norme che prevedono la posizione so stanziale anzidetta: l'azione nasce dunque anch'essa come un diritto soggettivo dell'interessato, ha come unico presupposto la lesione del diritto di accesso in quanto tale e non � altro che un aspetto ulteriore della medesima posizione soggettiva aHa quale l'ordinamento ha con ferito diretta tutela nei casi, alle condizioni e con i limiti staMliti dalla stessa legge, e, integrativamente, dalle norme regolamentari ivi previste. In altri termini, verificandosi condizioni e presupposti stabiliti da[la legge, l'amministrato ha diritto di accedere ai documenti e incombe all'Amministrazione l'obbligo di consentire l'accesso; ove poi l'Ammini strazione non adempia, hl medesimo amministrato � titolare del potere di dare impulso all'esercizio della funzione giurisdizionale tipicamente rivolta a ripristinare l'ordine giuridico violato attraverso il diniego o La legge 241/90 non ha, in altre parole, introdotto la �trasparenza� quale principio operativo fine a s� stesso (poich� ognuno vede che ci� equivarrebbe a decretare la paralisi irreversibile della P .A.), ma l'ha invece saggiamente anco rata a:lle sole ipotesi di sussistenza di interessi qualificati e concreti, realmente attivabili e suscettibili di tutela, rispetto ai quali l'accesso si pone in posizio ne servente. Orbene, se tutto ci� � vero -ed � la disciplina normativa a convalidare le superiori affermazioni -non pu� non dissentirsi fermamente di fronte ad un orientamento volto a svincolare l'accesso dalla situazione legittimante: l'inter prete ha, del resto, il dovere di non travalicare mai i limiti del dettato legisla tivo, anche quando ci� possa condurlo verso posizioni apparentemente impo polari o comunque pi� restrittive rispetto a quelle auspicate da una lettura quanto meno superficiale del testo normativo. In questa situazione involutiva Cassandra �non mancherebbe di preconizzare il tracollo della pubblica amministrazione, ormai esposta, in nome di una traspa renza in realt� degenerata a mera legittimazione della curiosit�, alle pretese investigative di chicchessia. Purtroppo, per�, si potrebbe ipotizzare anche di peg gio, ove solo si ponesse attenzione al verosimile rischio dell'effetto moltiplicativo sul contenzioso amministrativo indotto dalla costruzione giurisprudenziale sin qui criticata: non resta che sperare, a questo punto, in un intervento risolutivo -dell'Aduna:nZa Plenaria, nel solco di quella saggezza giuridica che ne ha da sempre contraddistinto la preziosa attivit�. ANTONIO CINGOLO PARTE I, SEZ. IV, GIUR!SPRUDENZ,A AMMINISTRATIVA l'inerzia, al fine ultimo di ottenere la pronuncia giurisdizionale definitiva su quello specifico bene giuridico. Diversa � fa situazione allorch� si ottenga l'acquisizione del documento in un differente processo. In tale ipotesi, infatti, l'acquisizione documentale costituisce nient'altro che un mero potere processmtle, che viene ad assommarsi al complesso dei poteri esercitati o esercitabm dalle parti nel processo e inerisce esclusivamente al procedimento giurisdizionale in quanto tale, senza porsi in alcun modo come strumento di tutela dello specifico interesse che Ia 'legge del 1990 ha viceve11sa inteso direttamente. �tutelare, sia pure condizionatamente alla mediazione di apposite norme regolamentari. Orbene, ritenere che dai momento in oui il soggetto leso dal provvedimento amministrativo insorga contro l'operato dell'Amministrazione, chiedendo una pronuncia costitutiva al giudice di legittimit�, non gli si.a pi� consentito di esperire l'azione ex art. 25 legge n. 241 a tutela del diritto di accesso ai documenti che l'amministrato stesso si propone di conoscere per esercitare pi� adeguatamente i!l diritto di difesa in relazione al provvedimento impugnato, sul presupposto che sia nelle sue facolt� soltanto di esercitare il potere di richiederne l'acquisizione al giudice del provvedimento, equivale a sostenere che, con l'esercizio dell'azione di legittimit�, il diritto sostanziale di accesso si degrada e cessa quindi di essere autonomamente tutelato. Ma una tale interpretazione � priva di supporto logico-giuridico. Sul piano logico, nessuna confusione concettuale pu� essere operata fra il diritto di azione, e l'insieme dei poteri e delle facolt� di cui le parti �Sono titolari all'interno del processo: il diritto di azione � infatti esso stesso una posizione sostanziale, sia pure strettamente connessa con il bene della vita che si intende fare valere attraverso il suo esercizio; il potere di richiedere mezzi istruttori attiene viceversa al processo in s� ed � di natura meramente procedimentale. Le conseguenze che devono trarsi da tale riflessione sono quindi nel senso che l'esercizio del diritto di azione non pu� ritenersi equivalente alla proposizione dell'istanza istruttoria. Finalisticamente, poi, mentre il diritto di accesso � volto a consentire all'amministrato personalmente la conoscenza diretta dell'atto ed a tanto � indirizzata la tutela giurisdizionale prevista art. 25 legge n. 241; di contro; le regole processuali escludano la partecipazione personale dell'interessato al procedimento, sicch�, salvo casi eccezionali, la parte opera a mezzo del suo �difensore, ed anche la conoscenza dell'atto � indiretta e richiede l'intermediazione del difensore suddetto, cui pure � rimessa, in definitiva, l'iniziativa della richiesta (ancorch� nell'interesse deH'assistito) e la stessa individuazione dell'atto da acquisire al processo; senza contare che acquisizione e conoscenza restano poi condizionati 320 RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO dalla valutazione di rilevanza del giudice, cui compete di pronunciarsi sulla richiesta istruttoria. I Per i profili letteratli, infine va considerato che ove il legislatore avesse inteso limitare in modo cos� restrittivo la tutela accordata, ci� . I avrebbe dovuto dire esplicitamente, ed altrettanta esplicita previsione fil :� avrebbe dovuto esserci per i!l caso in cui il legislatore avesse ritenuto che, in pendenza di giudizio amministvativo su un determinato provve dimento, l'azione prevista dall'art. 25 legge n. 241 dovesse essere pro posta davanti al medesimo giudice di quel processo. Dall'insieme delle considerazioni che precedono deve dunque trarsi il convincimento che la pendenza del giudizio sul provvedimento non operi preclusivamente n� sulla sussistenza del diritto di accesso, quale discipiinato dra!Ma legge n. 24,1 del 1990, n� sull'ammissibilit� dell'azione prevista dall'art. 25 della stessa legge, restando al libero apprezzamento dell'interessato la scelta di avvalersi della tutela giurisdizionale pro priamente apprestata dal cit. art. 25 o di conseguire la conoscenza nel diverso giudizio, mediante esibizione istruttoria, fermo restando che i!1 processo di legittimit� seguir� le regole che gili sono proprie, indipen dentemente dalle iniziative extraprocessuali dell'interessato, il quale potr� avvalersi della documentazione conosciuta fuori dal processo nei soli limiti in cui ci� gli sia consentito dalle regole suddette. 1.4. Le censure mosse dall'appeMante contro l'impugnata sentenza devono, pertanto, in buona misura trovare accoglimento. Se infatti � fuor di luogo il richiamo art. 156 cod. proc. civ., dal momento che si verte in un campo affatto diverso da quello della inva1lidit� degli atti processuali, cui la disposizione si riferisce, deve essere invece condivisa la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 25 della legge n. 241 del 1990, non espressamente enunciata nell'intitolazione dei motivi di impugnazione ma chiaramente desumibile dal contesto degli argomenti su cui principalmente si imperniano le ragioni difensive, volte, in massima parte a dimostrare la possibilit� di promuovere l'azione ex art. 25 pur in pendenza del giudizio di legittimit� sul provvedimento. La puntuale individuazione del vizio da parte dell'appellante, gi� resa chiara dagli argomenti che sorreggono, in parte, il primo motivo di impugnazione e quasi neHa totalit� il terzo, trova conferma nel quarto motivo, anche per ci� che riguarda la sua intitolazione, nella parte in cui � posta la subordinata questione di illegittimit� costituzionale degli artt. 22 e 25 della legge 7 agosto 1990 n. 241, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. � se interpretati nel senso che il diritto di accesso ai docu. menti amministrativi non sussiste nell'ipotesi in cui sia finalizzato dal- l'istante "allo scopo di potersi pi� adeguatamente difendere" in giudizi in corso �. PARTB I, SBZ. IV, GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA La. sentenza cli.� rprimo grado non si sottrae dunque ad assorbenti motivi di appello che devono trovare accoglimento, ed in considerazione dell'effetto devolutivo, deve passarsi ali'esame delle censure originariamente dedotte in primo grado, tutte in questa sede riproposte. 2.tpassando all'esame di tali censure, va irim1nzitutto esaminato (p~~c~�Jogicamente connesso con gli argomenti fin qua svolti) e accolto il quarto motivo <lei d�:orso originario, riprodotto nella seconda parte deli'atto di appe�(). Con esso si censura l'atto presi�denziaiJ.e del 6 agosto 1993, nella parte in cui motiva il diniego di accesso con la considerazione <;:be, in pendenza del ricorso, diririanzi al T.A.R., avverso il decreto dfliquida.Zione c�atta amministrativa della S.p.A. SANREMO, l'in. ter�Ssa:to avrebbe potuto rivolgere istanza di esibizione e deposito degli atti oggetto della domanda di accesso direttamente al giudice amministrativo. RiriViando, '.(ler l'intitolazione del mezzo, .a quanto esposto in narrativa, valgono, per l'accoglimento delle censure, tutte le considerazioni svolte sub 1), con la precisazione ulteriore che, ove, come nella specie, la norma � posta in vista dell'interesse del1'amministrat0, configurando una tutela diretta ed� immediata dello stesso ed una correlativa posizione di obbligo dell'Am,ministrazione, la soggezione di quest'ultima sussiste indipendentemente dalle misure che l'ordinamento offre all'interessato per tutelarsi contro l'inadempienza, ossia, nella specie, per conseguire nella sede giurisdizionale la conoscenza dell'atto (vuoi attraverso la spf;!cifica azione ex art. 25 legge n. 241, vuoi mediante l'istanza di esibizione in giudizio). La legge del 1990 non attribuisce infatti discrezionalit� all'Amministrazione se non nei limiti in cui � eser�.itabile il potere regdlamentare (in relazione alle esigenze di salvaguardia degli interessi di cui all'art. 24, secondo comma, legge 241 in esame) e con riferimento ai criteri di individuazione degli atti che possono essere sottratti all'accesso di cui all'art. 8 d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, gi� emanato e vigente a:l tempo in cui � intervenuto H diniego di cui trattasi. E. dunque illegittimo ex se il comportamento dell'amministrazione che si. sottrae all'adempimento dell'obbligo sulla mera considerazione che �a tale adempimento� l'interessato pu� pervenire poi coattivamente attraverso l'ordine del giudice, essendovi t1n vizio di fondo nel configurare la tutela giurisdizionale alla stregua di strumento ordinario per conseguire la soddisfazione dell'interesse, l� dove, al contrario, essa attiene gi� ad una fase patologica, in cui occorre ripristinare l'ordine giuridico violato dal comportamento illegittimo dell'Amministrazione. � 2.2. Meritevoli di accoglimento sono anche gli altri motivi (rispettivamente, primo, secondo e terzo dell'originario ricorso) i quali possono anche essere esaminati congiuntamente. 322 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO ..! L'interessato si duole .in sostanza che, in esito aH'istanza del 6 luglio 1993, limitatamente ai documenti per i qua:li il Presidente dell'Istituto aveva consentito l'accesso, non � stato poi permesso, in concreto, di prendere visione dell'originale degli atti, ma � stata soltanto consegnata copia di alcune parti di taluni dei documenti richiesti, negandosi l'accesso per quanto riguarda altri documenti, sulla considerazione de11'1mpossibilit� di valutare l'interesse del Presidente della Soc. SANREMO a prendere conoscenza e documentazione circa la parte del verbale della riunione del Consiglio di amministrazione dell'I.S.V.A.P. del 22 giugno 1989 concernente . l'ordine del giorno nella sua integralit�, che l'ordine del giorno in questione integrerebbe un atto di autonomia organizzativa e che, infine, I.a conoscenza nella sua integralit� avrebbe comportato lesi�ne della riservatezza di terzi estranei cui l'ordine del giorno� farebbe riferimento. Le censure mosse al riguardo dall'interessato meritano accoglimento. L'art. 13 del d.P.R. 27 giugno 1992, n. 352, con cui � stato emanato il regolamento previsto daM'art. 24 secondo comma della legge 7 agosto 1990, n. 241, prevede che nelle more dell'adozione dei regolamenti ministeriali concernenti le categorie di documenti da sottrarre all'accesso, il diniego (di accesso) pu� essere opposto, con decreto motivato, in relazione alle esigenze di salvaguardia degli interessi di cui aH'art. 24 secondo comma della legge 241 del 1990 e con riferimento ai criteri di individuazione degli atti che possono essere sottratti all'accesso di cui all'art. 8 del regolamento. La disposizione, come � stato osservato (VI Sez., n. 966 del 7 dicembre 1993), ha reso operante il diritto di accesso, indipendentemente dalla adozione dei regolamenti del'le singole amministrazioni, e ci� vale, anche per quanto riguarda l'Istituto di cui trattasi. Muovendo da tale considerazione, appare carente di giustificazione, sul piano normativo e 'logico, la limitazi9ne apposta �lall'A�n:ministrazione all'esercizio del diritto di accesso da parte c:lell'interessato, concretaptesi nel mettere a disposizione del medesimo soltanto le copie di alcuni dei documenti di cui egli aveva chiesto di prendere visione, piuttosto che gli originali. Come esattamente osservato dal ricorrente, in _base all'art. 25 della legge, il dirittQ di accesso si es.ercita me.diante �esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi�;. neHo stesso senso, l'art. 5 del d.P.R. n. 352 del 1992 prevede che 1'.esame dei documenti sia effettuato personalmente I! dal richiedente o da persona da lui incaricata, con fac_olt� di prendere ~ appunti e_ trascrivere in _tutt� o. in parte i documenti presi in visione; t ! Il coacervo . di. tali disposizioni lascia dunque intendere che. appartiene ! al contenuto stesso del. diritto di accesso la possibilit� di esaminare g� I .atti nella loro originalit�, -secondo quanto � insito-nella esigenza di pubblicit� e trasparenza dell'azione amministrativa, cui in� definitiva iJ.a I i legge n. 241 si ispira. i I l I I I I PARTE I, SEZ. IV, 'GIURISPRUDENZA AMMINISTRATIVA La preventiva estrazione di copie da parte dell'Amministrazione costituisce, in assenza di..una regolamentazione che la legittimi, arbitraria limitazione del diritto di accesso e delle facolt� che aMo stesso si riconnettono, per esplicita volont� normativa, primaria e secondaria. � Sotto. diverso profilo, fa dedotta impossibilit� di valutare l'interesse del Presidente della soc. SANREMO a prendere conoscenza del verbale della riunione del Consiglio di amministrazione dell'I.S.V.A.P. del 22 giugno 1980 concernente l'ordine del giorno nella sua integralit�, costituisce motivazione inidonea a giustificare. il rifiuto opposto. Si evince dagli atti di causa che nella seduta anzidetta sono state adottate determinazioni inerenti al fulizionamento ed alla vita stessa della societ� di cui il richiedente era presidente e socio. La ragione enunciata dal richiedente quella cio� di poter pi� idoneamente esercitare le proprie difese nei pendenti giudizi di impugnazione -rendevano comprensibilissima e giustificata la richiesta, senza che fosse dato all'Amministrazione alcun potere di sindacarne la rilevanza ai fini della concreta soddisfazione dell'interesse dedotto in causa. Dal momento infatti che il procedimento ha interessato proprio il richiedente, quale legale rappresentante defila societ� cui si riferivano le determinazioni adottate, la tutela del diritto di accesso sussiste non in rela:cione al singolo atto isolatamente assunto, bens� all'intero procedimento e ad ogni atto di questo, secondo quanto � dato desumere dall'art. 10 della legge 241. D'altra parte, la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere gli interessi giuridici del richiedente costituisce obiettivo primario della legge n. 241, che ne esige la garan2'lia anche nel caso in cui ,si profili l'esigenza di salvaguardare �la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese�. In linea con tale esigenza si esprimono gli artt. 2 e 4 del d.P.R. del 1992. Sicch� non pu� essere revocato in dubbio il diritto di accesso del rappresentante legale di una societ� commerciale rispetto agli atti del procedimento, anche interni ed infraprocedimentali, che abbiano dato poi luogo a provvedimenti lesivi degli interessi della societ� rappresentata, e ci� indipendentemente dalla circostanza che i medesimi atti involgano le ragioni di terzi, in forza del disposto del gi� citato art. 24 lett. d) e dalla rilevanza del singolo atto, in concreto, ai fini della legittimit� del provvedimento, posta in discussione davanti al giudice amministrativo. Quanto alle ragioni di autonomia che l'Istituto ha inteso salvaguardare, col negare la visione integrale deH'ordine del giorno, deve rilevarsi che nel sistema dei limiti al diritto di accesso specificamente individuati RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 324 dalla legge, la tutela dell'autonomia organizzativa non figura neppure quale possibile oggetto di regolamentazione, con la conseguenza che prescindendo dailla esattezza o meno del rilievo -deve ritenersi illegittimo il diniego opposto sulia considerazione che l'atto che si chiede di conoscere, ancorch� pertinente al procedimento su cui si incentra l'interesse del richiedente, � atto di autonomia organizzativa sottratta al Slindacato giurisdizionale. Nesswia delle regioni ostative addotte dall'Istituto � pertanto valida alla stregua di quanto disposto dalla legge e dal relativo regolamento governativo, sicch� il ricorso deve trovare accoglimento, con conseguente obbligo dell'Amministrazione di esibh�e i documenti richiesti. SEZIONE QUINTA GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 marzo 1994 n. 2303 -Pres. Rossi Est. Finocchiaro -P. M. Bonajuto (conf.) -Colantonio (avv. Colan� tonio) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Figliolia). Tributi in genere -Contenzioso tributarlo � Ricorso per cassazione Termine � Art. 327 c.p.c. � Si applica � Omessa comunicazione della data dell'udienza innanzi alla commissione � Irrilevanza. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, artt. 25, 27 e 38; c.p.c. art. 327). � inammissibile a norma dell'art. 327 c.p.c. il ricorso per Cassa� zione contro decisione deUa Commissione centrale che sia stato proposto oltre un anno dalla pubblicazione, anche nella ipotesi che alla parte non sia stata comunicata la data della udienza di discussione, purch� il ricorso sia stato regolarmente introdotto secondo quanto dispone l'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (1). (omissis) Il ricorso � inammissibile per essere stato proposto solo il 21 luglio 1992 dopo il decorso del termine di un anno, ancorch� maggiorato del periodo di sospensione feriale, dal deposito della decisione, avvenuto il 9 novembre 1989. La parte ricorrente deduce che alla stessa non era stata comunicata n� la data di fissazione dell'udienza per la decisione, n� notificato l'avvenuto deposito della decisione e che ha appreso l'esistenza di quest'ultima solo con la notifica dell'avviso di liquidazione a cura dell'Ufficio del Registro di Caserta per il pagamento della somma di L. 41.690.000 per INVIM. Questa Corte � assolutamente costante nel ritenere che il ricorso per cassazione contro le decisioni della commissione tributaria centrale, esperibile in applicazione diretta dell'art. 111 cost., � soggetto, in difetto di espressa previsione o regolamentazione sulla disciplina del contenzioso tributario, all'integrale applicazione delle norme del codice di rito, ivi compreso l'art. 327 c.p.c.; pertanto, la proponibilit� del ricorso resta preclusa quando, ancorch� non siano scaduti i sessanta giorni dalla notificazione della decisione della Commissione tri� (1) Importante precisazione sulla irrilevanza, agli effetti del comma due del� l'art. 327 c.p.c., della omessa (o irregolare) comunicazione della data dell'udienza: quel che conta � solo la regolare notifica del ricorso introduttivo; le irregolarit� successive sono precluse se non si convertono in motivi di impugnazione. 326 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO butaria centrale, ed indipendentemente dagli adempimenti della notificazione o comunicazione del dispositivo, sia trascorso un anno dalla data della sua pubblicazione cio� del deposito in segreteria secondo le modalit� stabilite dall'art. 38 d.P.R. n. 636 del 1972 (inclusa la sua sospensione nel periodo feriale) (Cass. 5 marzo 1987 n. 2309; Cass. 9 .luglio 1989 n. 3251; Cass. 14 novembre 1989 n. 4846 e successive conformi). L'inosservanza della predetta disposizione � sufficiente per la declaratoria di inammissibilit� del ricorso, atteso il passaggio in giudicato della decisione impugnata alla data in cui il ricorso � stato proposto, senza che possa invocarsi in contrario la mancata comunicazione della data di fissazione dell'udienza per la decisione, una volta accertato, come risulta da quanto in precedenza esposto, che alla parte ricorrente � stato notificato il ricorso proposto dall'Ufficio alla Commissione centrale. L'art; 327, comma 2, c.p.c. -applicabile, con i necessari adattamenti, anche in materia tributaria -esclude l'applicabilit� del comma 1 della stessa norma � quando la parte contumace dimostra di non avere conoscenza del processo per nullit� della citazione o della notificazione di essa e per nullit� della notificazione degli atti di cui all'art. 292 �. La disposizione da ultimo citata � stata interpretata nel senso che il convenuto contumace decade dal diritto d'impugnazione per l'inutile decorso del termine annuale qualora si accerti (anche d'ufficio, in considerazione della natura pubblicistica della decadenza) che, nonostante la nullit� della citazione o della sua notificazione, egli abbia avuto conoscenza del processo, ed il termine sia decorso con inizio non gi� dalla data di pubblicazione della sentenza, bens� dal giorno della detta conoscenza, se successiva alla sentenza stessa (Cass. sez. un., 15 maggio 1990 n. 4196). Nel caso in esame nessuna nullit� della citazione � della sua notificazione � ravvisabile, essendo stato esattamente osservato il disposto dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, circa le modalit� di proposizione del ricorso alla Commissione tributaria centrale (presentazione del ricorso da parte dell'Ufficio alla segreteria della commissione di II grado, notifica di copia del ricorso all'altra parte, da parte della segreteria della comm1ss1one, trasmissione degli atti alla comm1ss1one centrale) e ci� � sufficiente per escludere l'applicabilit� dell'art. 327, comma 2, c.p.c. N� � fondata la tesi sostenuta dalla parte ricorrente nelle note di udienza e secondo cui � il fatto che sia stato . notificato il ricorso alla Centrale non vuol dire che alla parte non doveva essere comunicata la data di udienza di discussione perch� la parte istante poteva anche non iscrivere il ricorso �. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 327 Va, in proposito, innanzi tutto rilevato che il procedimento innanzi alle commissioni tributarie non necessita dell'impulso della parte . con l'iscrizione a ruolo, in quanto, una volta effettuato il deposito � del ricorso presso la segreteria della commissione, che ha emesso la decisione impugnata, tutte le ulteriori attivit� sono soggette ad impulso d'ufficio, ivi compresa la fissazione dell'udienza di discussione. ~ indubbiamente esatto che la mancata conoscenza della data del� l'udienza di discussione viola l'art. 27 del d.P.R. n. 636 del 1972 per non avere la parte potuto � difendersi ed esercitare il suo diritto �; ma la violazione della norma non comporta l'inapplicabilit� dell'art. 327, comma 1, c.p.c., una volta dimostrata la non operativit� del comma 2 dello stesso articolo. La decisione emessa in violazione del diritto di difesa della parte � una pronuncia affetta da nullit�, ma pur sempre esistente e, per il principio di carattere generale contenuto nell'art. 161 c.p.c., circa la conversione dei vizi della sentenza in motivi d'impugnazione, tali vizi devono essere fatti valere nel rispetto delle regole procedimentali che regolano il giudizio di gravame -fra le quali � fondamentale quello dell'osservanza dei termini per la proposizione dell'impugnazione -con la conseguenza che la mancata osservanza di tali termini� da una parte, determina il passaggio in giudicato della pronuncia e, dall'altra, rende inammissibile il ricorso tardivamente proposto, senza alcuna possibilit� di rilevare e sanzionare la pregressa nullit�. Concludendo, si deve quindi ritenere che � inammissibile; a norma dell'art. 327, comma 1, c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la decisione della Commissione tributaria centrale che sia stato proposto dopo il decorso di un anno; maggiorato del periodo di sospensione feriale, dalla pubblicazione della decisione stessa, avvenuta mediante deposito presso la segreteria della stessa commissione, anche nell'ipotesi in cui alla parte non sia stata comunicata la data dell'udienza di discussione, purch� alla stessa sia stato notificato, a cura della segreteria della commissione di II grado, ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, il ricorso proposto dalla controparte alla Commissione centrale. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 9 marzo 1994 n. 2304 -Pres. Sensale Est. Graziadei -P. M. Amirante (conf.) -Banca Popolare di Rieti (avv. Tinelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Pavone). Tributi erariali indiretti -Agevolazioni -Credito a medio e lungo termine -Definizione. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, art. 15). Ai fini della determinazione della durata del contratto di mutuo come stabilita nell'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, deve aversi riguardo 11 328 RASSEGNA AVVOCATURA DEU.O STATO al periodo nel quale i contraenti non possono e non devono restituire o pretendere la restituzione, mentre sono irrilevanti le ulteriori vicende che concernono l'esecuzione effettiva dell'obbligo di restituzione. (omissis) Nel rinnovare la tesi della spettanza del beneficio di cui all'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 601, la ricorrente critica la Commis~ one centrale per non aver considerato che un mutuo con durata non infe, riore.. a diciotto mesi, anche alla luce della previgente normativa e della disciplina delle operazioni bancarie a medio e lungo termine, si traduce .necessariamente in. un mutuo con durata superiore a diciotto mesi, dato ,che, ai, sensi degli artt. 1187 e 2963 cod. civ., l'adempimento del mutuatario � comunque posteriore allo spirare di quel lasso temporale; per aver trascurato che�tale superamento era in ogni caso determinato dalla clausola contrattuale che concedeva per l'adempimento stesso quindici giorni a partire dalla ricezione di richiesta di pagamento con lettera raccomandata; per aver erroneamente definito l'imposta ipotecaria come � imposta d'atto � e quindi arbitrariamente escluso la decisivit� della circostanza dell'effettivo protrarsi del finanziamento oltre la scadenza del diciottesimo mese. Le. riportate deduzioni, da esaminarsi congiuntamente, sono infondate, alla stregua delle considerazioni che seguono. Nel mutuo oneroso, la durata del rapporto � rappresentata dall'arco di tempo intercorrente dal giorno del perfezionamento del contratto, con la consegna al mutuatario di una determinata quantit� di denaro, al giorno pattuit<>, nell'interesse di entrambe le parti (art. 1816 cod. civ.), per la restituzione del � tantumdem�, unitamente agli interessi, vale a dire il giorno II rin cui insorge, in capo al mutuatario stesso, il cUritto-dovere di versare l'uno e gli altri, e, correlativamente, in capo al mutuante, il dovere-diritto di riceverli. ~ La durata del finanziamento, quindi, � data dal periodo nel quale i I contraenti non possono e non devono restituire o reclamare la restituzione della somma mutuata e degli accessori convenuti, mentre le vi I cende ulteriori, inerenti al giorno dell'esecuzione dell'obbligo di restituzione, gi� costituitosi a seguito della scadenza del relativo termine, non toccano detta durata, e riguardano la successiva fase del soddisfacimento delle posizioni creditorie discendenti dalla cessazione del prestito. L'art. 15 ultimo comma del d.P.R. n. 601 del 1973, ove stabilisce, per l'applicabilit� dell'esenzione �de qua�, che sono finanziamenti a medio e lungo termine solo quelli che superino i diciotto mesi, fa testuale riferimento alla loro �durata�. . Pertant�, 'sulla scoria dei rl1ievi svolti in ordine all'identificazione della durata del contratto di mutuo, ed altres� tenendosi conto dei criteri di � stretta )) interpretazione cui soggiace la norma introduttiva di � eccezioni a regole generali (art. 14 disp. prel. cod. civ.), si deve ritenere che detta esenzione non sia invocabile rispetto al finanziamento per il PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 329 quale il termine di restituzione sia pattuito allo spirare di diciotto mesi, rimanendo irrilevante che l'adempimento del debito restitutorio, per la disciplina legale del tempo del pagamento di somme di denaro, ovvero per previsione convenzionale, ricada in epoca successiva. (omissis)' CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 11 marzo 1994 n. 2387 -Pres. Scanzano -Est. Ruggiero -P. M. Tridico (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Laurenti) c. Dal Sie. Tributi erariali indiretti -Imposta sul valore aggiunto -Sanzioni -Continuazione -Applicabilit� -Limiti. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, artt. 48 e 75; I. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 8). Per la pluralit� di diverse infrazioni commesse con la stessa operazione in materia di IVA, l'art. 48 del d.P.R. n. 633/1972 prevede l'applicazione obbligatoria della pena prevista per la violazione pi� grave aumenta� a da un terzo alla met�; questa previsione � compatibile con quella d,�lil'art. 8 della legge n. 4/1929 che concerne pi� violazioni della stessa disposizione di legge commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione e per le quali la sanzione pu� essere applicata discrezionalmente una sola volta, semprech~ si tratti di violazioni commesse nello stesso periodo di imposta (1). (omissis) Con l'�nico motivo del ricorso incidentale, il contribuente deduce che erroneamente la commissione centrale avrebbe escluso <il poter fare applicazione, nel caso di pluralit� di infrazioni alla disciplina sull'IVA, della disposizione dell'art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 che consente l'unificazione delle infrazioni ai fini della sanzione, sellZa considerare �:he l'art. 75 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 richiama proprio la citata legge n. 4 del 1929 per quanto non diversamente disposto nello stesso decreto. La censura � fondata nei sensi e nei limiti che vanno a precisarsi. Va premesso che l'art. 75 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto, richiama espressamente, tta le altre, le disposizioni della legge 7 gennaio 1929 n. 4 in materia di accertamento delle. violazioni e di sanzioni, per quanto non � diversamente disposto nello stesso d.P.R. 633/1972. Orbene, per il caso di pluralit� di infrazioni, l'art; 48, .secon~o com:.: ma, del citato d.P.R. 633/1972 prevede l'ipotesi che in relazione ad una '� � (1) Precisazione opportuna dei limiti della compatibilit� delle due previsioni. Per la limitazione della continuazione dell'art. 8 alle violazioni commesse nello stesso periodo di imposta v. Cass. 25 giugno 1991, n. 7136. � RASSEGNA AVVOCATIJRA DELLO STATO 330 stessa operazione siano state commesse pi� violazioni punite con la pena pecuniaria, stabilendo che in tal caso si applica soltanto la pena pecu niaria stabilita per la pi� grave di esse, aumentata da un terzo alla met�. A sua volta l'art. 8, secondo comma, della legge 4/1929 dispone in linea generale che nel caso di pi� violazioni commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione pu� essere appli cata una sola volta, tenuto conto delle circostanze dei fatti e della per sonalit� dell'autore delle violazioni, stabilendo poi al terzo comma i cri teri e le modalit� per la determinazione della misura della sanzione in concreto. Le due norme disciplinano fattispecie distinte, avendo riguardo l'una al caso di pi� violazioni di (diverse) norme di legge commesse con la stessa operazione, vale a dire con un'unica azione, l'altra al caso del cosiddetto concorso omogeneo, vale a dire di pi� violazioni della stessa disposizione di legge, commesse con pi� operazioni, in esecuzione di� una risoluzione unitaria dell'autore. Inoltre, mentre l'applicazione della norma del d.P.R. 633/1972 � obbligat�ria e vincolata in presenza dei presup posti ivi indicati, l'applicazione della norma della legge 4/1929 � discre zionale e presuppone una valutazione della personalit� e dei precedenti del trasgressore. Avendo quindi un diverso ambito ed un diverso modo di applica zione, non vi � contrasto, incompatibilit� o sovrapposizione tra le due disposizioni, per cui la previsione della norma speciale sull'IVA non pre clude, ai sensi dell'art. 75 del d.P.R. 633/1972, l'applicazione della norma generale della legge del 1929. Deve pertanto essere confermato il principio, gi� pi� volte affermato da questa Suprema Corte, che l'art. 8 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 sulla repressione delle violazioni delle leggi finanziarie, il quale, in relazione alle circostanze del caso concreto, consente l'unificazione quoad poenam di pi� infrazioni commesse anche in tempi diversi in esecuzione di una medesima risoluzione, trova applicazione anche in materia di infrazioni alla disciplina dell'IVA previste dal d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, pur� ch� si tratti di pi� violazioni della stessa disposizione di legge compiute nell'ambito di un medesimo periodo d'imposta, tale applicazione non essendo incompatibile con la riunificazione obbligatoria stabilita dal� l'art. !48 del detto d.P.R. per il diverso caso di pi� violazioni di diverse disposizioni della legge commesse con la stessa operazione (cfr. Cass. 7045/91, 6761/90, 9328/87) . . ; Per quanto riguarda in particolare l'applicazione limitata alle infra zioni ricadenti nell'ambito di uno stesso periodo d'imposta, tanto deve . ritenersi, com~ � stato ampiamente precisato da Cass. 7045/91 citata, considerando. che il regime dell'IVA � strutturato su base annuale, in modo che ciascun periodo d'imposta ha una propria autonomia rispetto PARTE I, SEZ. V, GIUR1SPRUDENUJ. TRIBUTARIA 331 agli altri,� la quale circoscrive al detto periodo sia la rilevanza dei fatti generatori della ricche:tza imponibile e del correlativo obbligo �tributario, sia l'efficacia dei poteri di accertamento �e di sanzione degli Uffici; non senza ancora rilevare che, a norma dell'art. 49 del d.P.R. 633/1972, pregresse violazioni verificatesi in periodi d'imposta anteriori vengono in dlievo ~ fj.ne di. rendere pi� severo il trattamento sari.zionatorio della violazione pi� recente, iJ. che se non si presenta� assolutamente incompatibile con le regole della cosiddetta continuazione, denota comunque da parte del legislatore un orientamento ,di rigore, che rischierebbe . di rimanere frustrato ove si ammettesse l'unificazione delle infrazioni astraendo dal singolo periodo d'imposta. Per tali ragioni non ritiene il collegio di poter condividere il diverso orientamento espresso dall'isolata pronuncia di questa Corte n. 307/91, che ha ritenuto applicabile la disciplina dell'art. 8 della legge 4/1929 anche a violazioni attinenti a diversi periodi d'imposta. Con il principio sopra esposto non pu� poi ritenersi contrastante l'altra pronuncia di questa Cor� te n. 629/91, la quale ha ritenuto inapplicabile la �continuazione� per il caso di pluralit� di infrazioni contemplate dall'art. 46 d.P.R. 633/1972, atteso che per tali infrazioni � prevista una sanzione proporzionale all'imposta evasa. Con gli indicati limiti e precisazioni la proposta censura � da ritenersi fondata, e la statuizione impugnata, che ha ritenuto in linea di principio inapplicabile l'art. 8 della legge 4/1929 alle infrazioni in materia di IVA, deve essere cassata con rinvio alla stes:;a commissione tributaria centrale, la quale, alla stregua del principio . suesposto, dovr� accertare se nella specie ricorrono i presupposti e le condizioni di fatto per l'applicazione dell'art. 8, secondo comma, della legge 7 gennaio 1929, n. 4 e l'esercizio del relativo potere, rimettendo, se del caso, a sua volta alla commissione di secondo grado, a norma dell'art. 29 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, per la determinazione concreta della misura della sanzione secondo i criteri dettati dal citato art. 8, terzo comma, della legge 4/1929. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 23 marzo 1994 n. 2771. -Pres. Pannella � Est. Cicala -P. M. Delli Priscoli (conf.) -Ministero delle Finanze \avv. Stato Cocco) c. Fallilnento Rotexana. Tributi erariali indiretti � Imposte ipotecarie e catastali � Base imponibile � Riferimento alla imposta di registro ma con esclusione di crediti e �debiti relativi all'azienda. (d.P.R. 26 ottobre 1972 h. 635, artt. 3 e 21; d.lgi. 31 ottobre 1990 ii. 347, art. 2). �Bench� la base imponibile del:le imposte ipotecarie e catastali deve c�mmisurarsi a quella determinata per l'imposta di registro, dato �he RA:SSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dette imposte sono connesse ad operazioni che riguardano beni immobili, nella base imponibile va ricompreso il valore degli immobili che costituiscono l'azienda, m� non i crediti e i debiti relativi alla azienda stessa (1). (omissis) Il ricorso della Amministrazione merita accoglimento. Sia l'imposta proporzionale di registro sia le imposte ipotecaria e catastale sono imposte commisurate al valore dei beni contemplati nell'atto da cui trae �origine la imposizione. E per ovvie ragioni di coerenza del sistema gli artt. 3 e 21 del d.P.R. 635/1972 (ora art. 2 del D. leg. 31 ot� tobre 1990, n. 347) prescrivono che le imposte ipotecarie e catastali sono � commisurate all'imponibile determinato ai fini della imposta di registro �. Questo comporta che ad un bene, ad esempio un edificio, non possano essere attribuiti valori differenti ai fini delle varie imposte, ma non fa venir meno la diversit� di oggetto propria di ogni singola imposta. In particolare, la imposta di registro investe il complesso dei beni oggetto di trasferimento e quindi ben pu� coinvolgere una azienda. Mentre alle altre due imposte sono soggette trascrizioni, iscrizioni ed annotazioni nei pubblici registri immobiliari, cio� operazioni che riguardano solo i beni immobili. Non esiste dunque alcuna ragione perch� nel calcolo della base imponibile ai fini delle imposte ipotecarie e catastali si tenga conto, oltre che del valore degli immobili (e dei debiti ad essi strettamente inerenti), anche di altri debiti o crediti relativi ad una azienda che coinvolga gli i;mmobili stessi. In caso contrario potrebbe accadere che annotazioni relative a beni di identico valore siano colpite con imposte ipotecaria e catastale diversissime come conseguenza di fatti che nulla hanno a che vedere con il valore dei beni stessi. (omissis) �(1) Decisione di evidente esattezza. CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 30 marzo 1994 n. 3131 -Pres. Brancaccio -Est. Sgroi -P. M. Di Renzo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Fallimento SITEL (avv. Irti). Tributi erariali .indiretti � �Riscossione � Azione esecutiva per il pagamento.� Stato di. ,insol\'enza del debitore � Revocatoria fallimentare � Art. 51 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 � Inapplicabilit�. (r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 67; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. !il). �Il pagamento �di un credito di imposta indiretta (nella specie IVA) ottenuto. a seguito di esecuzione iniziata con ingiunzione, � soggetto PARIB I, �SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 333 .alla revocatoria dell'art. 61 della legge fall.; la norma dell'art. 51 ael d.P.R. 29 settembre 1913 n. 602 non � estensibile al pagamento di �imposte non riscuotibili mediante ruolo (1). Col primo motivo, l'Amministrazione denuncia la violazione dell'art. 67, 2� e 3� comma legge fallimentare, in relazione agli artt. 60 e ss. d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633 ed al principio di legalit� dell'obbligazione tributaria .(art. 360 n. 3 c.p.c.), osservando che l'art. 67 cit., in tema di revoca dei pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, � basato sul presupposto che il creditore deve astenersi dal pretendere il pagamento, quando sa dello stato d'insolvenza del debitore, per cui necessariamente � postulata la facolt� del creditore di pretendere o di non pretendere l'assolvimento dell'obbligazione. La rilevanza della conoscenza postula la possibilit� di un comportamento coerente di � non pretendere �, quando tale conoscenza sia stata acquisita. Ma tale possibilit� non � data al fisco, perch� l'art. 62 d.P.R. n. 633 del 1972 impone di procedere alla riscossione del tributo, senza attese o rinvii. L'impossibilit� di dilazionare il recupero dimostra' l'inesistenza del potere di scelta fra il recupero e l'attesa, postulato dal citato art. 67 legge fallimentare. Detto principio � codificato dall'art. 51 d.P.R. n. 602 del 1973, in materia di imposte dirette, norma non eccezionale, ma che rappresenta la traduzione espressa del principio in esame, cos� come, per le imposte riscosse con l'ingiunzione, l'art. 31 del T.u. n. 639 del 1910 esclude ogni potere di sospensione della procedura di recupero. Col secondo motivo, l'Amministrazione deduce �motivazione insuf� fidente �SU punto decisivo �, con riferim�nto all'art. 360 n. 5 c.p.c., cos� espressamente argomentando: (1) Si deve prendere atto della pronuncia delle Sez. unite, che peraltro interviene dopo che con la generalizzazione della riscossione mediante ruolo (d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43) l'art. 51 del d.P.R. n. 602/1973 � diventato appli� cabile per tutti i tributi. La sentenza non convince. Le ragioni che possono escludere o non escludere l'assoggettamento alla revocatoria dei pagamenti delle imposte dovrebbero essere ricercate nei carat� teri sostanziali del credito. Al contrario la sentenza basa la sua motivazione su ragioni;, contingenti e mutevoli, del procedimento di riscossione. Dato atto che il problema della revocatoria non si pone di fronte al debitore che paga spontaneamente o su semplice richiesta, la giustificazione della revocabilit� � ricercata nel fatto che l'Amministrazione pu� scegliere tra� esecuzione individuale e richiesta di fallimento. Quel che giustifica la norma dell'art. 51 del d.P .R. n. 602 � evidentemente qualcosa di pi� profondo e meno casuale, che � legato alla natura del credito, non ai mezzi della riscossione. Se di ci� non si tiene conto sembra ingiustifi� cabile' il radicale mutamento della disciplina della revocatoria come conseguenza <lena �creazione del servizio della riscossione ispirato ad una omogenea utiliz� zazione� del ruolo. RASSEGNA AVVOCATURA DEU..O STATO . �Esattamente� la Corte� di Appello afferma che l'onere della prova della conoscenza dello stat� di insolvenza spettava al curatore; ma �erra quando afferma che la prova sarebbe �stata raggiunta in quanto: a) l'Ufficio era stato costretto a ricorrere all'ingiunzione; b) il credito era rilevante; c) nel domandare impossibili dilazioni e sospensioni, la societ� aveva evidenziato la difficolt� in cui versava. Questi non sono indizi gravi, precisi e concordanti della conoscenza dello stato di insolvenza, per l'ottima ragione che � insolvenza � non vuol dire � illiquidit� �, ma capacit� di far fronte alla situazione debitoria, con i mezzi normali; non basta, cio�, dire che non si � pagata l'IVA per inferirne l'insolvenza; bisogna dire che l'impresa � in stato di dissesto; la Corte di Appello anzi, ignora, fra gli elementi indiziari, un dato che a ben vedere sarebbe sintomo della non insolvenza: il .notevole credito che la Sitel vantava nei confronti della S.I.P., societ� notoriamente .solvibile, credito pacificamente dichiarato da quest'ultima (e quindi assegnato dal Pretore). N� � logico affermare che l'Ufficio avrebbe dovuto sapere dello stato d'insolvenza perch� negli ultimi anni la Sitel andava motivando le impossibili domande di sospensione minacciando la chiusura dei propri sta" bilimenti: questa minaccia altro non era se non un'allegazione di parte, I a fronte della quale l'Ufficio IV A non aveva alcun onere di accertarsi dell'eventuale stato di insolvenza; insomma, il fatto che la Societ�, per ottenere dilazioni, invocasse le proprie difficolt�, non equivaleva assoluta I mente alla conoscenza dello stato di insolvenza �. Il ricorso � infondato. 1) Nelle memorie e nella discussione orale l'Amministrazione si � attardata a discutere il problema se a fondamento della revocatoria falI limentare dei pagamenti, ex art. 67 legge fallimentare, vi sia (oltre la I tutela della par condicio creditorwn), la sanzione del comportamento del creditore. che ric('(ve il pagamento in modo illegittimo. Poich� il comporta I mento della P .A., nel pretendere e ricevere il pagamento delle imposte, I ~ � dovuto (obbligatorio per legge), esso -in quanto per sua natura non illegittimo -sfuggirebbe ai rigori della disciplina della revoca fallimen tare. Il problema � . stato impostato in modo fuorviante. :t:. esatta ed in~ discutibile la premessa che l'Amministrazione non solo non pu� rifiutare il pag�mento delle imposte, ma addiritt�ra deve riscuoterle il pi� sollecitamente possibile, senza sconti o dilazioni (se non nei casi ammessi dalla legge), ma tale premessa non porta alle conseguenze esposte dalla ricorrente. Dal punto di vista oggettivo (tutela della par condicio creditorum) il principio .deve commisurarsi con la tutela degli altri creditori, secondo il disegno del legislatore che � espresso dall'art. 67, quando al s'econdo comma dispone che sono revocati i pagamenti di debiti liquidi ed esi PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 335 gibi., � senza distinzione di sorta; ed all'ultimo comma dispone che la suddetta norma non si applica all'istituto di emissione ed agli altri istituti .di credito ivi indicati e. fa salve le disposizioni delle leggi speciali. Il sistema � articolato sulla base del principio generale della revocabilit�, salva l'eccezione espressa dalle legge speciali (art. 40 -come sostituito dall'art�. 4 legge 24 dicembre 1974 n. 713 -della legge 25 luglio 1952 n. 949,. per i prestiti accordati alle aziende artigiane; art. 20 legge 30 luglio 1959 n. 623, per le piccole industrie e l'artigianato; art. 51 terzo com� ma d.P..R. 29 settembre 1973 n. 602, di cui si dir�; art. 4 comma 4 d.I. 30 dicembre 1987 n. 536, conv. in legge 29 febbraio 1988 n. 48, in materia di contributi sociali obbligatori ed accessori; art. 1 comma 9 d.I. 2 dicembre 1985 n. 688, conv. in legge 31 gennaio 1986 n. 11, in materia di pagamento dei contributi mediante cessione di crediti verso lo Stato; art. 39 comma 4 del T.u. 1� settembre 1993 n. 385, in materia di credito fondiario). Solo il legislatore pu� effettuare una scelta derogatoria al principio fondamentale della revocabilit�; scelta derogatoria che, pertanto, non pu� esprimersi in � principi generali �, ma fa inquadrare dette norme nell'ambito delle disposizioni e�cezionali (art. 14 delle preleggi), ciascuna retta da una propria particolare ratio, pur essendone possibile un'interpretazione estensiva (non analogica). Dal punto di vista soggettivo, la doverosit� della richiesta del pagamento e della sua ricezione, sia da parte del singolo funzionario (altrimenti soggetto alle responsabilit� amministrative e contabili richiamate dall'Avvocatura dello Stato nella discussione orale) sia da parte della P .A., come ufficio soggetto all'art. 97 Cost., non espone i predetti, quando conoscono lo stato di insolvenza del debitore all'atto del pagamento, alla scelta se accettare (o pretendere) il pagamento ovvero dilazionare il debito o �ddirittura rinunciarvi, in quanto l'altra alternativa si �esprime nella richiesta di esecuzione collettiva e cio� nel fallimento del debitore, la cui insolvenza sia nota a quei soggetti. Il problema, invero, � assai meno difficile di come sia stato prospettato. Esso non si pone, quando il creditore non conosce lo stato d;insolvenza e normalmente non pu� porsi di fronte al debitore d'imposta che paghi regolarmente con le varie forme di � autotassazione � o dietro semplice richiesta dell'Ufficio: invero, l'Ufficio, al di l� del pagamento puntuale del debito d'imposta non conosce e non pu� conoscere altro, salvo che non vi siano elementi ben precisi (per esempio, i risultati di una verifica fiscale della contabilit� dell'impresa). Il problema si pone di fronte ai pagamenti ottenuti coattivamente; ma anche in questo caso, la semplice notifica dell'ingiunzione, seguita dal pagamento, in difetto di altri elementi conosciuti dall'Ufficio non solleva il problema della scelta, che si ha, in definitiva, soltanto quando si tratta di scegliere (come nella fattispecie di cui � causa) fra esecuzione individuale ed esecuzione collettiva. 336 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Di fronte al fallimento, la posizione dell'Amministrazione Finanziari� � tendenzialmente parificata a quella degli altri creditori (si pu� argomentare anche dalla sentenza della Corte Cost. 9 marzo 1992 n. 89, dichiarativa dell'illegittimit� costituzionale dell'art. 97 d.P.R. n. 602/73, sul fallimento �fiscale,�). Il disposto dell'art. 6 della legge fallimentare, secondo cui il fallimento pu� essere chiesto anche ai creditori, non pu� non applicarsi all'Amministrazione creditrice di somme, cos� come (� pacifico) si applicava all'esattore, nonostante che l'art. 51 del d.P.R. n. 602 citato permettesse l'esecuzione esattoriale in presenza del fallimento (v. ora, art. 129 d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43, sul servizio di riscossione tributi). Per concludere, l'Amministrazione che -come � avvenuto nel caso -inizi e porti a termine l'esecuzione individuale (pignoramento presso terzi) in presenza della conoscenza dello stato di insolvenza del debitore esecutato, non � affatto obbligata a tale procedura, poich� potrebbe scegliere, al suo posto, la richiesta di fallimento della societ� insolvente, senza per questo n� rinunciare �l credito, n� dilazionarne il pagamento. Invero, anche nell'esecuzione individuale il momento effettivo della riscossione non dipende dall'Amministrazione, ma dalle esigenze della procedura e dalla sua fruttuosit� (si pensi �ll'mtervento, in essa, di altri creditori muniti di una causa di prelazione poziore). Dimostrata l'assoluta: irrilevanza, ai fini della soluzione del problema di causa; dell'obbligatoriet� della riscossione dei crediti tributari, ne deriva la conseguenza che tale obbligatoriet� non � sottesa alla disposiz: ione del comma 3� dell'art. 51 del d.P.R. n. 602/73 (quale vigeva all'epoca dei fatti di causa) di guisa che la norma espressa non si pu� estendere alle imposte diverse da quelle che si riscuotevano, all'epoca, mediante l'esecuzione esattoriale, per la pretesa identit� di ratio fra tale esecuzione e quella fiscale in genere (non affidata all'esattore), sotto il profilo soggettivo attinente alla conoscenza dello stato di insolvenza. 2} In verit�, l'art. 51 si inserisce in un sistema nel quale � previsto un �complesso coordinamento con la procedura fallimentare, che non assicura� affatto all'esattore (che non � esonerato dall'intervento nella procedura fallimentare: vedi art. 18 d.P.R. n. 603 del 1973; art. 4 stesso d.P.R.; art. 78 d.P.R. n. 43 del 1988) il soddisfacimento, dato che il curatore si pu� insinuare nella procedura esattoriale, per far valere la soddisfazione, in sede di distribuzione del ricavato, dei crediti di rango poziore insinuati nel fallimento -contemporaneo -dell'imprenditore soggetto ad esecuzione speciale (Cass., Sez. Un., 12 maggio 1978 n. 2325, fra .le altre conformi). Si � detto pi� volte che si tratta di un privilegio di natura processuale e non sostanziale, e che pertanto non deroga agli .artt. 2740 e 2741 e.e. -. �Il legislatore delegato del 1973, ai primi due commi dell'art. 51 del d.P.R. n. 602 (sostanzialmente identici ai due commi dell'art. 206 del T.u. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 337 previgente 29 gennaio 1958 n. 645, a loro volta risalenti all'art. 97 del T.u. 17 ottobre 1922 n. 1401) ha aggiunto un terzo comma: �I pagamenti di imposte scadute non sono soggetti alla revocatoria prevista dall'art. 67 .R.D. 16 marzo 1942 n. 267�. Si � gi� detto -e giova ribadire, dato che l'argomentazione con� trarla costituisce il fulcro della tesi della ricorrente -che non pu� ritenersi che la � ratio � di tale norma possa collegarsi alla soluzione del conflitto fra � doverosit� � della riscossione delle imposte scadute e conoscenza dello stato di insolvenza, che costituisce il requisito soggettivo necessario per l'esercizio dell'azione revocatoria fallimentare. In� vero, nessun conflitto poteva ipotizzarsi nel senso preteso dall'Ammi� nistrazio:ve, posto che esso si risolveva agevolmente su un altro piano: quello �della scelta della esecuzione collettiva fallimentare (o della insinuazione nella procedura predetta), piuttosto che di quella individuale (che, nel campo delle imposte indirette, fra cui l'IVA, non era ammessa, fino all'entrata in vigore del nuovo sistema di cui infra, durante il fallime:qto del debitore d'imposta). L'Amministrazione consapevole dello stato di dissesto irreversibile del debitore d'imposta, prima della dichiarazione del suo fallimento, se non poteva avvalersi della norma derogatoria del primo comma dell'art. 51 d.P.R. n. 602. (in quanto poteva solo procedere all'esecuzione mediante ingiunzione, ai sensi dell'art. 62 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, richiamante il R.D. 14 aprile 1910 n. 639), era in grado di rifiutare il pagamento spontaneo del debitore dissestato e, a maggior ragione, quello ottenuto mediante la suddetta procedura esecutiva, e di optare per l'esecuzione collettiva fallimentare. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, non ha alcun peso in contrario l'argomento tratto dal divieto di sospensione dell'esecuzione individuale fiscale; esso si basa sull'espresso mancato richiamo, nell'art. �62 d.P.R. n. 633/72, dell'art. 3 del R.D. n. 639 del 1910, che conferisc� �all'A.G.O. il potere di sospendere l'esecuzione coattiva per la riscossione della entrate patrimoniali non tributarie. Da tale limitazione dei poteri dell'A.G.O. non si inferisce affatto che analogo potere non abbia la stessa Amministrazione procedente la quale, preso atto dello stato d'insolvenza (ancora non dichiarato con sentenza di fallimento) del suo debitore, potr� invece ben sospendere la procedura coattiva individu�le e richieden�e il fallimento, per non violare consapevolmente la par condicio dei creditori. Con tale atteggiamento l'Amministrazione non rinuncia al suo credito n� lo dilaziona al di fuori dei casi consentiti dalla legge, posto che � la stessa legge che le impone di ricorrere al diverso� mezzo di tutela dell'esecuzione fallimentare. Pertanto, nel caso che l'Amministrazione riscuota il suo credito nei confronti del debitore gi� insolvente, la cui insolvenza le sia nota, se ci� avviene nell'arco temporale annuale di cui all'art. 67 legge fall., ex post non potr� invocare 338 RASSEGNA� AVVOCATURA DELLO STATO come letteralmente sostiene' la sua difesa� -�il comportamento dov�to I (non legittimo), che sfugge ai rigori dell'art. 67 citato. La necessit� di un comportamento diverso, esclude che esso� sia dovuto e non illegitt�::��. Scartato, quindi, il profilo soggettivo; allo scopo di ritenersi � possi I ~ bile che la 'ratio sottesa al terzo comma dell'art. 51 d.P.R. n. 602/73 possa estendersi.. fino a comprendere. qualsiasi tipo di (( imposta �, utilizzando il dato letterale alla stregua di tale ipotetica ratio (interpretazione esten' siva consentita anche per le leggi eccezionali), si deve esaminare il profilo oggettivo, e cio� la deroga al principio della par condicio creditorum, che la. legge vuole sacrificare per privilegiare un principio diverso. Quest'ultimo non pu� essere costituito dal collegamento col principio del � non riscosso come riscosso � che grava sull'esattore, per due ragioni: a) perch� detto principio non vige in ogni caso (v. per es., il caso dei ruoli a carico dei falliti, ex art. 4 d.P.R. n. 603 del 1967); b) perch� il principio pu� esistere anche per la riscossione da parte dell'esattore di crediti non tributari (art. 3 primo comma d.P.R. 15 maggio 1963 n. 858, mantenuto in vigore dall'art. 36 del d.P.R. n. 603/73), ma a tali crediti non tributari non pu� applicarsi il terzo comma dell'art. 51 del d.P.R. n. 602/73, che espressamente si riferisce alle sole imposte. Dunque, la ratio evidente di quest'ultima norma � soltanto quella di assicurare la riscossione sicura e stabile delle imposte. Si pone pertanto il problema se tale ratio obiettiva possa riguardare qualsiasi tipo di imposta, e quindi anche l'IVA, ma ad esso deve darsi risposta negativa, per ragioni di carattere testuale. Prima dell'introduzione di detta norma, sebbene una parte della giurisprudenza di merito e della dottrina ritenesse che, sotto il vigore dell'art. 206 T.u. 29 gennaio 1958 n. 645, alla revoca dei pagamenti ex art. 67 legge fall. si sottraessero quelli fatti all'esattore (essendo egli esentato dall'osservare la legge sul fallimento), era da ritenere pi� esatta la tesi secondo cui anche detti pagamenti erano revocabili (Cass., Sez. 1a, 23 luglio 1968 n. 2648). Pertanto, il terzo comma dell'art. 51 � una norma innovat~va, (derogatoria al principio generale dell'art. 67 legge fall.), la quale, essendo contenuta in un decreto delegato, deve essere giustificata dalla sua conformit� alla legge di delega, in osservanza dell'art. 76 della Costituzione. Fra due possibili interpretazioni, deve privilegiarsi quella conforme alla Costituzione. Secondo la tesi del resistente, l'eccesso rispetto alla delega vi � stato, perch� la legge 9 ottobre 1971 n. 825 consentiva di disciplinare i rapporti fra lo Stato ed il contribuente e non quelli fra lo Stato e gli altri creditori del contribuente, derogando alla regola generale della par condicio. L'argomento prova . troppo, perch� metterebbe ingiustamente in �forse l� legittimit� della norma delegata sul privilegio a fa PARTE I, SEZ. �V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA vore dei crediti per IVA (art. 62 d.P.R. n. 633/72 e successive modifiche, ex art. 1 d.P.R. n. 24 del 1979), nonna nuova che attiene alla qualit� del credito e nel contempo istituisce una preferenza a favore dello Stato, rispetto agli altri creditori. Tuttavia, non � necessario approfondire l'argomento, perch� ai fini che interessano questa causa non tanto � necessario stabilire se la delega potesse riguardare una deroga all'art. 67 legge fall. nella materia delle imposte dirette riscuotibili mediante ruoli, quanto se la delega potesse riguardare anche imposte diverse, non riscuotibili mediante ruoli. La risposta � negativa. L'art. lO della legge di delega del 1971 n. 825, concernente le disposizioni in materia di riscossione, contiene un primo 'comma che � troppo generico, peJ' ritenere che possa riferirsi a questo punto, ed un n. 6 che recita (indicando il relativo criterio direttivo): �una migliore disciplina del sistema di riscossione dei tributi mediante ruoli, con particolare riguardo, ecc. ecc. �. Pertanto, soltanto alla riscossione dei tributi mediante ruoli si intendevano apportare � miglioramenti � per adeguare la disciplina vigente alle riforme previste dalla legge (comma 1�). Ammesso che la suddetta sia la base legislativa che ha permesso l'emanazione del terzo comma dell'art. 51, terzo comma, pi� volte citato, certamente essa non permetteva l'estensione della norma stessa alle imposte che, alla stregua della medesima legge e dei decreti delegati, non si riscuotevano mediante ruoli (come l'IVA), ma mediante ingiunzione e successivo procedimento ex R.D. del 1910 n. 639. Concludendo, � addirittura improponibile, per tale caratteristica formale della norma delegata de qua, il problema della sua estensione all'IVA, stante la mancanza di qualsiasi delega in proposito, e quindi l'autolimitazione del legislatore delegante. 3) Si deve aggiungere un ulteriore argomento. Con la legge 4 ottobre 1986 n. 657 � stata attribuita delega al Governo per l'istituzione e la disciplina del servizio di riscossione dei tributi, ivi compresa l'IVA (art. 1 lett. a), col criterio direttivo di cui all'art. 2 comma 2 (�revisione delle vigenti disposizioni al fine ... di assicurare uniformit� di procedure esecutive�). In attuazione della delega � stato emanato il d.P.R. 28 gennaio 1988 n. 43, riguardante anche l'IVA (art. 2 lett. e). I Concessionari della riscossione sono soggetti al d.P.R. n. 602 del 1973 (artt. 32, 63, 67 e 129), per cui � evidente che anche in materia di IVA -da quando � entrato in funzione il nuovo sistema -si applicher� la deroga rispetto alla revocatoria dei pagamenti ex art. 67 legge fallimentare. Il carattere innovativo e non retroattivo della normativa � evidente. (omissis) RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 340 CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 10 aprile 1994 n. 3343 -Pres. Corda Est. Baldassarre -P. M. Delli Priscoli (conf.) -Ministero delle Fi nanze (avv, Stato Palatiello) c. Buscaglione. Tributi erariali indiretti -Imposta di successione . -Base imponibile Valore di azioni non quotate -Riferimento alla situazione patrimQ-: niale della societ� -Criteri civilistici dell'art. 2424 e.e. -Esclusione Apprezzamento del valore venale del patrimonio sociale. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 22; e.e. art. 2424). Ai fini dell'imposta sulle successioni, il valore delle azioni non ammesse alla quotazione di borsa e delle quote di societ� non azionarie, comprese nell'attivo ereditario, deve essere determinato, ai sensi dell'. art. 22 del .d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, avendo riguardo alla situazione patrimoniale <;I.ella societ�, ossia assumendo quali elementi di valutazione i dati contabili desumibili dal bilancio di esercizio e dal conto dei profitti e delle perdite, salvi, tuttavia, il potere dell'Amministrazione finanziaria di 'contestare la veridicit� delle risultanze contabili e il correlato onere.� della prova in capo ad essa,-prescinde per� dai criteri civilistici- contabili prescritti per l'iscrizione alle singole voci all'attivo o .al passivo del bilancio medesimo, posto che la base imponibile � data 'aall'effettivo valore della parte di patrimonio sociale che dette azioni o quote rapptesentano (1). L'Amministrazione ricorrente denuncia violazione degli art. 21 e 22 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, con riguardo alla nozione di capitale sociale e all'art. 2424 cod. civ., nonch� motivazione contraddittoria ed insufficierite, ed assume: 1) I citati artt. 21 e 22 richiedono un elemento di certezza, che � dato dalle risultanze delle scritture contabili obbligatorie e regolarmente tenute o da atti aventi data certa e, rispettivamente dalla situazione patrimoniale; ma non che la base imponibile sia costituita dai risultati di tali scritture, essendo data invece dal valore venale dell'azienda o della quota societaria. In conseguenza non tutto ci� che, secondo la legge civile e la scienza aziendalistica, deve essere appostato al passivo costituisce passivit� da portare in diminuzione del valore lordo venale. In particolare, il capita�e sociale, che per l'art. 2424 cod. civ. va iscritto al passivo, non costituisce un debito della societ�, ma un valore � fermo � nella dinamica, aziendale, corrispondente al complesso dei conferimenti; (1) Decisione da condividere pienamente. I criteri civilistici aziendali sulla � funzione delle scritture contabili non possono trasferirsi tal quali alla base imponibile dell'imposta di successione n� come indirizzo di stima, n� come fonte di prova. � PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA tanto che ne � pr�vista l'iscrizione nel bilancio, ma non nel conto dei profitti e�delle perdite. 2) La Corte d'appello non ha, parimenti, considerato che le voci del bilancio per fondi ammortamento a) beni strumentali, b) spese d'impianto, c) ILOR 1980 comparivano contemporaneamente nello stato patrimoniale tra i debiti e nel conto dei profitti e delle perdite come �costi�, e che, per tanto, legittimamente l'ufficio le aveva escluse dal novero delle passivit�, non potendo essere valutate due volte. Il ricorso � fondato. La sentenza impugnata, che sui punti in esame offre una succinta motivazione in fatto, presuppone, in diritto, che il secondo comma dell'art. 22 del d.P.R. n. 637/72, nel disporre che �per le azioni non ammesse alla quotazione in borsa e per le quote di societ� non azionarie il valore venale � determinato avendo riguardo alla situazione patrimoniale della societ� �, operi un rinvio integrale alle norme in tema di societ� di capitali, � nel senso che la situazione patrimoniale ai fini dell'imposta di successione va determinata seguendo gli stessi criteri fissati per la redazione del bilancio �. Gi� la formulazione lessicale della norma dell'art. 22 contraddice l'interpretazione che ne ha dato la Corte territoriale, atteso che il legislatore, se avesse inteso operare un rinvio formale al bilancio delle societ�~ avrebbe usato tale specifico termine e non quello sostanziale di � situazione patrimoniale�. Siffatta interpretazione si pone poi in contrasto con l'intero sistema impositivo sulle successioni, sistema che, al fine di determinare la base imponibile, considera il valore (la non essenziale qualificazione � venale �, di cui all'art. 7 e alle altre norme del d.P.R. n. 637/73, � omessa nel T.u. approvato con d:P.R. 31 ottobre 1990 n. 346), dei beni e diritti oggetto del tfasferiI�:J.ento per causa di morte. Non deroga, di certo, al criterio generale l'art. 22, che, in tema di partecipazione societaria -quando non sia utilizzabile il dato certo del valore correlato al mercato borsistico (primo comma) -fa riferimento, nel secondo comma, alla situazione patrimoniale della societ� e dispone che da essa debba ricavarsi il valore delle azioni o quote, utilizzando un dato, altrettanto obiettivo ed attendibile, che non � diverso da quello (scritture contabili regolarmente tenute ed obbligatorie) adottato dall'art. 21 per determinare il valore dell'azienda . . �, Posto . che�� la base imponibile deve essere costituita, per quanto attiene all'attivo ereditario (da non confondere, ovviamente, con l'attivo sociale) dal valore delle azioni non quotate in borsa o delle quote, non possono trasferirsi alla valutazione a fini impositivi i criteri contabili ispirati alla diversa esigenza di rappresentare, organicamente, ai soci e ai terzi la situazione patrimoniale e la gestione della societ�. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 342 Del resto la stessa disciplina civilistica prescinde da tali criteri quando venga in discussione il valore di singole partecipazioni societarie, prevedendo, nelle ipotesi di liquidazione della quota del socio uscente, il diritto di questi al �valore� della quota (art. 2289 cod. civ.) e, nella specifica materia delle societ� di capitali, il rimborso delle azioni non quotate (art. 2437) o quote (art. 2494) in proporzione del patrimonio sodale risultante dal bilancio deWultimo esercizio. Con formula analoga a quella di questi due ultimi articoli la norma dell'art. 22 del d.P.R. n. 637/72 � stata trasfusa nell'art. 16, primo comma, lettera b), del Testo unico. Dovendo applicarsi, come nella specie, la normativa del 1972 ed accertarsi il valore, in concreto, delle azioni non quotate o della quota sociale, la base imponibile deve coincidere con la sostanziale situazione patrimoniale della societ�, desumendo i dati di valutazione dal bilancio e dal conto dei profitti e delle perdite (originario art. 2423 cod. civ.), cos� come, per l'azienda, dalle regolari scritture contabili. Ci� che non impedisce che l'Amministrazione finanziaria, ove ritenga tali fonti documentali non veritiere o comunque non indicative dell'effettivo valore della partecipazione, possa addivenire a diversa e motivata valutazione. Rimane comunque escluso che debba assumersi quale necessario ed imprescindibile parametro la catalogazione tra le poste attive o passive, secondo la disciplina civilistica-contabile, delle diverse voci di bilancio. Basti rilevare, con riguardo all'esempio pi� significativo, che se, ai fini fiscali, si dovesse far ricorso a detta disciplina, il valore della partecipazio ne societaria risulterebbe automaticamente diminuito in ragione del mag gior importo del capitale sociale, che -sebbene figuri nel bilancio quale entit� contabile del passivo -rappresenta il complesso dei conferimenti dei soci ed �, di norma, espressione della consistenza della societ�. Ne deriva l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio ad altro giudice di pari grado perch� proceda a nuovo esame dei punti controversi, tenendo presenti i seguenti principi di diritto: � Ai fini dell'imposta sulle successioni, il valore delle azioni non ammesse alla quotazione di borsa e delle quote di societ� non azionarie, comprese nell'attivo ereditario, deve essere determinato, ai sensi dell'articolo 22 del d.P .R. 26 ottobre 1972 n. 637, avendo riguardo alla situazione patrimoniale della societ�, ossia assumendo quali elementi di valutazione i dati contabili desumibili dal bilancio di esercizio e dal conto del profitto e delle perdite, salvi, tuttavia, il potere dell'Amministrazione finanziaria di contestare la veridicit� delle risultanze contabili e il correlato onere della prova in capo ad essa; prescinde per� dai criteri civilisticicontabili prescritti per l'iscrizione delle singole voci all'attivo o al passivo del bilancio medesimo, posto che la base imponibile � data dall'effettivo PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 343 valore della parte di patrimonio sociale che dette azioni o quote rappresentano. La determinazione in concreto di tale valore � riservata alla cognizione del giudice del merito, che � tenuto a fornire congrua motivazione del proprio apprezzamento �. CORTE DI CASSAZIONE, sez. un., 18 aprile 1994 n. 3684 -Pres. Montanari Visco -Est. Carbone -P. M. Morozzo della Rocca (diff.). -Mancini c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Arena E.). Tributi in genere -Contenzioso tributario -Competenza e giurisdizione Imposta cli registro -Nota del cancelliere che liquida le spese prenotate a debito -Giurisdizione della commissione. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 1; c.p.c. disp. att. art. 43; r.d. 16 marzo 1942 n. 267, art. 91). Appartiene alla giurisdizione delle commissioni l'impugnazione della nota del cancelliere che, a norma dell'art. 43 disp. att. c.p.c. e dell'art. 91 della legge fallimentare, liquida l'imposta di registro prenotata a debito; la nota del cancelliere non � una ingiunzione opponibile innanzi allo stesso giudice ma un atto di accertamento tributario da impugnare innanzi alla commissione (1). (omissis) Con l'unico motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver affermato la giurisdizione delle commissioni tributarie, deducendo l'errata interpretazione ed applicazione degli artt. 1 e 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, nonch� delle disposizioni del codice di rito (artt. 43 disp. attuaz. e 615 c.p.c.) e della legge fallimentare (art. 91 1. fall.), nonch� difetto di motivazione e travisamento delle risultanze processuali sotto un triplice profilo. Erroneamente la Corte d'appello avrebbe identificato l'oggetto della controversia nell'imposta di registro e non nelle spese di giustizia, in quanto l'art. 43 disp. attuaz. c.p.c. � preordinato anche al recupero di somme estranee all'area delle imposte e l'atto di precetto promanante da un ufficio giudiziario e non finanziario non rientra nell'elencazione tassativa degli atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie. L'atto che ha dato origine alla presente controversia non va qualificato come (1) Riconfermando la sentenza 28 novembre 1991 n. 12770, in questa Rassegna, 1991, I, 619, la S.C. precisa esattamente che la questione sulla debenza dell'imposta di registro � una controversia di imposta e che la nota del cancelliere �, in senso ampio, un accertamento tributario rientrante nella definizione di provvediinento impugnabile dell'art. 16 del d.P.R. n. 636/72. Sull'argomento v. BAFILE, Anticipazione delle spese per il procedimento fallimentare, imposta di registro e relative controversie, in questa Rassegna, 1979, I, 727. 12 344 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO opposizione all'ingiunzione, trattandosi piuttosto di opposizione al precetto avente ad oggetto la nota compilata dal cancelliere -relativa alle spese, tasse, diritti ed onorari prenotati a debito -dichiarata esecutiva dal capo dell'ufficio nell'ambito di funzioni amministrative e non giurisdizionali. Ne consegue che la controversia non ha natura tributaria ma costituisce opposizione a precetto, come tale rientrante nella giurisdizione del giudice ordinario. La questione cos� come posta non � fondata. Con la sentenza n. 1943 del 19 dicembre 1969, passata in giudicato, il Tribunale di Catania nell'omologare la proposta di concordato tenne a richiedere l'immediato pagamento di tutte le spese di giustizia, amministrazione e compenso del curatore, nonch� quelle relative alla registrazione della stessa sentenza di omologazione, lasciando fuori dal concordato soltanto la �tassa di societ� (di fatto)�. � rimasta quindi esclusa dal pacchetto di proposte oggetto dell'omologazione l'imposta di registro ed accessori relativa ad una registrazione d'ufficio effettuata in data 28 gennaio 1966, mentre come risulta dal giudicato � stato previsto come condizione della proposta di concordato il pagamento delle spese di giustizia di amministrazione e del compenso del curatore in conformit� alla prescrizione dell'art. 124 co. 1 1. fall. Alla stregua di questi elementi, essendo rimasta esclusa, tra le spese a debito solo la � tassa di registro� questa Corte non ha motivo per discostarsi dalla sua giurisprudenza secondo cui le controversie tributarie appartengono alla giurisdizione delle commissioni tributarie. La predetta giurisdizione dev'essere affermata, in tema di imposta di registro ai sensi dell'art. 1 co. 2 lett. f) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, anche quando trattandosi di registrazione con prenotazione a debito, secondo le previsioni degli artt. 91 e 133 1. fall., la controversia insorga in sede di contestazione della nota compilata dal cancelliere e resa esecutiva con provvedimento del capo dell'ufficio giudiziario in base all'art. 43 disp. attuaz. c.p.c. Anche in tale ipotesi, ricorrendo una controversia tributaria resta di conseguenza esclusa la giurisdizione del giudice ordinario e la denunciabilit� del provvedimento secondo le regole dettate dal codice di rito in tema di opposizione a decreto ingiuntivo (Cass, sez. un. 28 novembre 1991 n. 12770). In conclusione, la giurisdizione delle commissioni tributarie, in tema di imposta di registro efferente gli atti delle procedure fallimentari -o gli atti giudiziari compiuti nell'interesse delle persone o degli enti ammessi al gratuito patrocinio -non pu� essere derogata in favore dell'autorit� giudiziaria ordinaria, come sostiene il ricorrente, solo perch� l'imposta sia stata prenotata a debito e successivamente riscossa dal cancelliere. Ne consegue che il mezzo giuridico previsto dall'ordinamento per la riscossione delle somme iscritte a campione civile, compresa l'imposta di registro, non costituisce un decreto ingitintivo, come quello disciplinato dal codice PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 345 di rito, opponibile davanti allo stesso giudice che l'ha emesso, ma costituisce un atto di accertamento tributario relativo all'imposta di registro da impugnare innanzi alla commissione tributaria territorialmente competente. Il Collegio non ignora un diverso precedente a sezione semplice (Cass. 10 aprile 1979 n. 2049), relativo peraltro alla sola imposta di titolo e cio� all'imposta di registro afferente a patti enunciati nella sentenza dichiarativa di fallimento o in quella di omologazione del concordato, ma da un lato si tratta di un precedente formatosi sulla normativa antecedente alla riforma tributaria del 1973, dall'altro l'attuale indirizzo giurisprudenziale � consolidato nell'affermare la competenza giurisdizionale delle commissioni tributarie ogniqualvolta, come nella specie occorre risolvere una � questione tributaria � in cui il fisco tende ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto al tributo (imposta di registro) ed il privato a paralizzare la pretesa tributaria di quest'ultimo (Cass. sez. un. 18 maggio 1990 n. 4302; 23 dicembre 1990 n. 10553; 23 dicembre 1991 n. 13862). Il ricorso va pertanto respinto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, s.ez. I, 18 aprile 1994 n. 3691 -Pres. Salafia -Est. Sgroi -P. M. Delli Priscoli (conf.) -Soc. Castello Rametz (avv. Cavasola) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Braguglia). Tributi in genere -Riscossione -Ingiunzione -Motivazione -Non � necessaria. L'ingiunzione � sufficientemente motivata con l'indicazione del titolo e dell'oggetto della richiesta fatta valere; l'esattezza e la chiarezza dei calcoli attengono al merito apprezzabile dal giudice (1). (omissis) Con il primo motivo, la societ� ricorrente denuncia, ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dei regolamenti Cons. 974/71 e Comm. 649/73, nonch�, ai sensi dell'art. 360 n. 5 c.p.c., l'insufficiente motivazione in ordine ad un punto decisivo, in relaz~one alla eccezione di nullit� dell'ingiunzione, dell'identificabilit� da parte del destinatario dell'ammontare dell'importo compensativo applicato, osservando che, fino a quando in appello l'amministrazione non ha prodotto le liquidazioni, nessuno ha potuto ricostruire il conteggio, per cui l'opponente non era stato in grado di farlo, quindi di affermare se era o meno esatto. Non pu� essere valida un'ingiunzione che non indica la misura dell'importo applicato. Non esiste un solo importo compensativo, ma diversi importi a seconda della classificazione doganale del vino da pasto, per cui non (1) Viene corretta la estemperanea affermazione di Cass. 28 febbraio 1993 n. 2475, in questa Rassegna, 1993, I, 245. ����~�----��--�tt 346 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO era possibile risalire al conteggio. Inoltre, gli importi compensativi non sono fissati in base ad un unico parametro fisso o percentuale, ma in base ai prezzi medi fissati, per un periodo di una settimana, per i prodotti per i quali sono previste misure d'intervento (e quindi non in base ai prezzi effettivi); ad essi viene aggiunto un coefficiente calcolato in funzione del rapporto effettivamente constatato fra le due monete. L'impossibilit� dell'opponente di ricostruire il calcolo effettuato deve avere come conseguenza la dichiarazione di nullit� dell'ingiunzione. Il motivo � infondato. Di fronte all'ampia motivazione della sentenza di primo grado, che aveva respinto l'eccezione di nullit� formale dell'ingiunzione, la ditta appellante in via incidentale si era limitata a dedurre � che non era dato comprendere come fosse stato formato il calcolo degli importi compensativi �. Contro tale eccezione � sufficiente la risposta data dal giudice d'appello -trattandosi di interpretazione di un atto amministrativo devoluta al giudice del merito -secondo cui l'ingiunzione metteva in grado l'esportatore, con la dovuta diligenza, di ricostruire il conteggio, in quanto egli era in grado di conoscere ci� che aveva esportato ed i parametri risultavano da norme di pubblico dominio. D'altra parte, � da aggiungere che non deve confondersi il problema della motivazione dell'ingiunzione (per la quale � sufficiente l'indicazione del titolo e dell'oggetto della richiesta fatta valere in via amministrativa) con quello dell'esattezza e della stessa chiarezza e comprensibilit� dei calcoli in essa esposti, che attengono al merito della pretesa, la quale pu� essere contestata dal privato, gravando in tal caso sulla P.A. l'onere della dimostrazione dell'esattezza dei calcoli stessi. E dallo stesso ricorso risulta che tale onere � stato assolto dalla finanza con la successiva produzione della �liquidazione�, contro la quale nessun rilievo � mosso dalla ditta esportatrice, per cui la sua censura appare priva di interesse e di oggetto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 aprile 1994 n. 3767 -Pres. Beneforti Est. Borr� -Ministero delle Finanze (avv. Stato Palatiello) c. Crivelli. Tributi in genere -Accertamento -Notificazione -Consegna al portiere Mancato invio di raccomandata -Semplice irregolarit� � Nullit� � Esclusione. (c.p.c. art. 139). Nel caso di notifica mediante consegna al portiere ex art. 139 c.p.c., l'omissione della spedizione di raccomandata costituisce semplice irregolarit� che non d� luogo a nullit� della notificazione (1). (1) Giurisprudenza pacifica. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 347 (omissis) Con l'unico motivo l'Amministrazione ricorrente deduce violazione dell'art. 139 c.p.c., sostenendo che il mancato invio della raccomandata, nel caso di notifica al portiere, non produce nullit�, bens� semplice irregolarit� della notificazione. Questa, infatti, si perfeziona con la consegna dell'atto al portiere, essendo la spedizione della raccomandata un evento successivo rispetto alla fattispecie costitutiva della legale ricezione e conoscenza dell'atto medesimo. Il ricorso � fondato. Che la spedizione della raccomandata non integri un elemento costitutivo della fattispecie notificatoria � reso palese dal tenore letterale del quarto comma dell'art. 139 c.p.c., ove si dice che l'ufficiale giudiziario, con tale mezzo, d� notizia dell'avvenuta notificazione. L'omissione di tale formalit� non rende dunque nulla la notificazione, ma costituisce una mera irregolarit�. In tal senso si � fermamente orientata la giurisprudenza di questa Corte (cfr. sentenza n. 755 del 1980 e numerose successive conformi). (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 20 aprile 1994 n. 3769 -Pres. Salafia Est. Baldassarre -P. M. Lo Cascio (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Lancia) c. Ferrari. Tributi erariali indiretti -Imposta sulle successioni e donazioni � Base imponibile -Valutazione automatica in base ai redditi catastali Difetto di dichiarazione specifica dei singoli beni -Conseguenze. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, art. 26, introdotto con l. 17 dicembre 1986 n. 880). Perch� sia praticabile, nella imposta di successione come in quella di registro, la determinazione della base imponibile con il criterio automatico del reddito catastale, ove non siano dichiarati analiticamente i valori distinti di ogni singolo bene, � necessario che l'unico valore dichiarato sia pari o superiore alla somma dei singoli valori determinata attraverso i redditi catastali; la valutazione automatica non sar� possibile quando alcuno degli immobili da valutare non sia fornito di valori catastali o sia insuscettibile di tale valutazione. Relativamente ai fabbricati rurali � esclusa la valutazione automatica quando il fabbricato non sia legato da vincolo pertinenziale al terreno o perch� ceduto isolatamente o perch� il vincolo � venuto meno (1). (omissis) 1. -Il Ministero ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 43, 52 e 79 d.P.R. n. 131/86, 8 legge n. 880/86, 26, 37 (1) La sentenza offre una serie di precisazioni, tutte da condividere. 348 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO e 55 d.P.R. n. 637/72, 13 e 16 R.D. n. 1572/1931, 115 cod. proc. civ., 817 e 2697 cod. civ. e del loro combinato disposto, nonch� vizio di motivazione. Rilevata preliminarmente l'erroneit� del riferimento alla legge di registro (d.P.R. 131/86), trattandosi di donazione, osserva che per la tassazione di essa opera, tuttavia, una disposizione identica a quella dell'art. 52, comma quarto, cit.; assume quindi che tale disposizione (art. 26 del d.P.R. n. 637/72, nel testo introdotto dalla legge 17 dicembre 1986 n. 880) non pu� trovare applicazione, quando, come nella specie le parti non abbiano indicato il valore di ciascun bene, a cui riferire le aliquote per la valutazione automatica, ma un valore complessivo; che, in subordine, potrebbe ritenersi applicabile l'art. 26, quinto comma, cit. in caso di indicazione di un unico valore, solo se tutti i beni siano suscettibili di valutazione secondo il criterio automatico di cui alla citata norma; che, con particolare riguardo al trasferimento di fabbricati rurali, che sono iscritti al catasto senza attribuzione di rendita, non potrebbe operare comunque l'esenzione dal tributo, se non sussista vincolo pertinenziale tra essi e i terreni; vincolo che, nel caso in esame, non solo non risulta, ma � anche escluso, alla stregua della relazione di stima ritenuta attendibile dal giudice di primo grado, per il fabbricato principale, tenuto in uso proprio dalla donante, a differenza degli altri beni, dati in affitto. 2) -Rileva, in via pregiudiziale, il collegio che solo in pendenza del giudizio innanzi alla C.T.C., con memoria aggiuntiva depositata il 27 apri le 1988, le contribuenti hanno chiesto l'applicazione del criterio automa tico di determinazione del valore dei beni caduti in successione, invocan do, impropriamente, gli artt. 52, quarto comma, e 79 del d.P.R. 26 apri le 1986, n. 131, T.u. dell'imposta di registro. Si tratta di errore (che si ritrova anche nella motivazione della de cisione impugnata) non rilevante ai fini della decisione, atteso che dispo sizioni analoghe a quelle citate sono dettate, in tema di imposta sulle successioni e donazioni, dall'art. 26, quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 637, nel testo introdotto dall'art. 8 d.P.R. 17 dicembre 1988, n. 880 e, rispettivamente, dall'art. 12 D.L. 14 marzo 1988, n. 70, conv. in legge 13 maggio 1988, n. 154. La disciplina transitoria prevista da quest'ultimo articolo assegna, infatti, efficacia retroattiva alla norma del nuovo art. 26 cit., consentendone l'applicazione alle imposizioni su precedenti successioni o donazioni, sempre che, come nella specie, fosse ancora pendente la relativa controversia. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Ne derivano l'ammissibilit�, da un lato, dell'istanza di cui alla citata memoria e il connesso dovere della C.T.C. di decidere su di essa e, d'altra parte, la proponibilit�, in questa sede di legittimit�, delle questioni di cui al riassunto mezzo d'impugnazione. 3) -Dispone il citato art. 26, quinto comma, testo novellato, che �non sono sottoposti a rettifica il valore degli immobili, iscritti al catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura non inferiore, per i terreni, a sessanta volte il reddito dominicale risultante in catasto, e per i fabbricati, a ottanta volte il reddito risultante in catasto, aggiornati con i coeffici�nti stabiliti per le imposte sul reddito, n� i valori della nuda propriet� e dei diritti reali di godimento sugli immobili dichiarati in misura non inferiore a quella determinata su tale base a norma dell'art. 20 �. La trascritta norma deve trovare applicazione nella presente controversia, relativa a donazione in virt�, oltre che del richiamo da parte dell'art. 55 d.P.R. n. 637/72 dell'intero art. 26, dell'espresso riferimento dell'art. 12 cit. �alle donazioni poste in essere anteriormente al 1� luglio 1986, per le quali non sia gi� intervenuto il definitivo accertamento del valore imponibile �. Analoga disciplina � ora vigente, per essere stata tradotta nel quinto comma dell'art. 34 del T.u. approvato con d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 346, per quanto attiene alle successioni, la norma dell'art. 26, quinto comma (modificata solo nelle aliquote). In tema di donazioni -posto che l'art. 56 del T.u. rinvia ai commi 3 e 4 (non anche 5) dell'art. 36 -opera invece, per effetto del rinvio di cui all'art. 60, la norma dell'art. 52, quarto comma, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, sulla rettifica del valore degli immobili ai fini dell'imposta di registro. La scelta sistematica del legislatore, che, nel coordinare le disposizioni dei testi unici suddetti relativamente agli atti tra vivi, ha disposto il rinvio a disposizione riguardante la rettifica, trova fondamento nella natura dell'istituto della determinazione automatica della base imponibile, in materia di imposte tanto di registro che di successioni e di donazioni, in quanto la disciplina in esame non configura modalit� cogenti di valutazione degli immobili, ma impone un limite al potere di rettifica. Ne deriva che, perch� l'Amministrazione soggiaccia a siffatta limitazione, il contribuente deve offrire gli elementi necessari per operare la valutazione a coefficiente catastale. Se gli immobili siano pi� di uno ovvero siano costituiti da pi� parti, alle .quali corrispondano distinte valutazioni catastali, contrariamente a quanto sostenuto in via principale dalla ricorrente Amministrazione, si deve ritenere utile, ai fini dell'operativit� del limite di cui sopra, la dichia 350 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO razione di un valore complessivo che sia pari o superiore alla somma dei singoli valori determinati con il criterio automatico. Tale possibilit� viene meno quando uno o pi� (o alcune porzioni di) immobili, da assoggettare ad imposizione, non siano forniti di valori catastali oppure questi (come nel caso in cui parte di un fondo abbia assunto attitudine edificatoria) non siano applicabili; atteso che non � consentito all'ufficio di sostituirsi al contribuente e di attribuire, in sua vece, valori presuntivi ai beni o parti di beni non valutabili a coefficiente, tanto da ricondurre i valori degli altri in limiti che consentano la determinazione automatica. 4) -Il problema non si pone con riguardo ai fabbricati rurali, legati da vincolo pertinenziale ai fondi rustici su cui insistono, quando essi siano donati (ovvero caduti in successione o trasferiti con atti soggetti ad imposta di registro) in uno ai rispettivi fondi, in quanto l'estimo catastale dei terreni tiene conto degli esistenti fabbricati in ragione della loro destinazione agricola. Qualora la donazione (ed altrettanto dicasi per la successione e per gli atti soggetti all'imposta di registro) riguardi unicamente il fabbricato rurale, viene meno il presupposto del divieto di rettifica, ossia l'esistenza di un reddito dominicale da prendere a base del calcolo per determinare l'imponibile. Alla stregua dei rilievi di cui al precedente paragrafo, difetta, del pari, detto presupposto, se la donazione abbia ad oggetto il fondo rustico ed il fabbricato rurale, ma quest'ultimo non sia legato da vincolo pertinenziale con il terreno. L'accertamento, in concreto, della esistenza o meno di un siffatto vincolo rientra nella competenza esclusiva del giudice del merito, che tenuto conto delle regole sull'onere della prova, anche per quanto attiene all'eccezione dell'Amministrazione circa la mancata destinazione del fabbricato alla coltivazione del fondo -deve fornire adeguata motivazione del giudizio espresso. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 29 aprile 1994 n. 4168 -Pres. Cantillo Est. Graziadei -P. M. Nicita (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Mori. Tributi erariali diretti -Dichiarazione � Dichiarazione congiunta dei coniugi � Condono domandato da uno solo � Sopravvivenza della solidariet� per l'obbligazione non investita dal condono. (legge 13 aprile 1977 n. 114, art. 17; d.!. 10 luglio 1982 n. 429, art. 15). Bench� ai sensi della normativa di condono la dichiarazione integra �tiva di uno soltanto dei coniugi che abbiano presentato dichiarazione PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 351 congiunta non ha effetto nei confronti dell'altro, il debito di imposta dell'altro coniuge, non investito dal condono, rimane assistito dalla solidariet� di entrambi (1). (omissis) Il ricorso � fondato. Nella disciplina del condono tributario di cui al d.l. n. 429 del 1982, convertito in legge n. 516 del 1982, l'art. 15 terzo comma in linea con la natura del condono stesso di scelta individuale correlata a valutazioni di opportunit� attinenti alla singola posizione, stabilisce che ciascun coniuge, ove intenda .goderne, deve separatamente presentare dichiarazione integrativa, anche quando la dichiarazione annuale sia stata congiunta, ed aggiunge che la dichiarazione integrativa resa da uno soltanto dei coniugi non ha effetto nei confronti dell'altro. Tale ultima disposizione, a fronte della regola posta dall'art. 17 quinto comma della legge 13 aprile 1977 n. 114 sulla corresponsabilit� in solido dei coniugi condichiaranti per le imposte rispettivamente dovute (da iscriversi a ruolo a nome del marito), esprime deroga alla regola medesima con esclusivo riferimento all'obbligazione che nasce in capo al richiedente a seguito della domanda di definizione agevolata. L'estensione di detta deroga alla diversa obbligazione del coniuge non richiedente il condono, la quale continua a trovare titolo nell'originaria dichiarazione, non � autorizzata dalla lettera del citato art. 15 e nemmeno � evincibile dal suo coordinamento logico con il disposto dell'art. 17 della legge del 1977. La solidariet� dei coniugi, in caso di dichiarazione congiunta � il coerente risvolto dell'opportunit� loro concessa di ottenere una liquidazione unitaria della somma da versare per IRPEF, godendo, fra l'altro della compensabilit� �incrociata� dei rispettivi debiti e crediti. Il mantenimento di tale solidariet�, con riguardo all'obbligazione del coniuge che non si avvalga del condono, si armonizza con la conservazione, per l'obbligazione stessa di quei vantaggi. La diversa soluzione adottata dalla Commissione centrale, del resto, porterebbe all'inaccettabile risultato di assegnare ad una vicenda soprav venuta, produttiva di conseguenze solo sul debito di uno dei due autori della dichiarazione congiunta, l'effetto di privare l'Amministrazione fi nanziaria della particolare tutela apprestata dal vincolo di solidariet� anche per il debito rimasto entraneo alla vicenda stessa; la richiesta di condono, inoltre, ove presentata dal singolo coniuge, produrrebbe un atipico � profitto � aggiuntivo, consistente nell'esonero dell'istante dagli impegni in precedenza assunti con la dichiarazione congiunta. (1) Decisione esatta che ricerca acutamente la ratio della solidariet� fra coniugi. 352 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO In conclusione, il ricorso va accolto e la pronuncia impugnata deve essere annullata, per un riesame in sede di rinvio che si attenga al principio secondo il quale, quando i coniugi facciano dichiarazione unica dei redditi a norma dell'art. 17 della legge n. 114 del 1977, e poi uno solo di essi presenti dichiarazione integrativa al fine della definizione agevolata della sua personale posizione �ex� art. 15 del d.l. n. 429 del 1982 (convertito in legge n. 516 del 1982), il debito d'imposta dell'altro coniuge rimane assistito della corresponsabilit� solidale di entrambi, ai sensi ed agli effetti dell'ultimo comma del menzionato art. 17. (omissis) I CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 2 maggio 1994 n. 4239 -Pres. Cantillo Est. Graziadei -P. 11'1. Nicita (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara) c. Mele. Tributi in genere -Dichiarazione -Imposte sui redditi -Rimborsi Ritrattazione della dichiarazione -Limiti Materialit� dell'errore. Il rimborso della imposta versata sulla base della dichiarazione � ammissibile quando sia evincibile un errore che nella sua materialit� inficia la dichiarazione; va invece negato il rimborso ove l'allegato errore, desumibile da fatti ulteriori o diversi da quelli dichiarati, abbia natura sostanziale in quanto la dichiarazione ha la funzione di completa ed esaustiva esposizione da parte del contribuente di tutte le circostanze fattuali conferenti ai fini impositivi, s� che � preclusa al dichiarante ogni facolt� di successiva modificazione o integrazione. (1) II CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 27 giugno 1994 n. 6157 -Pres. Rossi, Est. Graziadei -P. M. Di Salvo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Favara) c. Soc. ITT (avv. Tinelli). Tributi erariali diretti � Dichiarazione -Rimborsi -Ritrattazione -Limiti. (d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 1 e 2; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, art. 38). La ripetizione di quanto versato in rispondenza dell'imponibile dichiarato, mentre non � ancorabile ad elementi fattuali ulteriori e di (1-2) Le brevi motivazioni riassumono un lungo lavoro di riflessione e di approfondimento ed esprimono un orientamento ormai solidissimo. In sede di domanda di rimborso di versamenti diretti, la dichiarazione, che non pu� essere PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 353 versi da quelli a suo tempo indicati (salvo l'errore materiale, cio� la svista evincibile dal contesto della dichiarazione e dai dati con essa of� ferti), pu� essere reclamata quando, fermi restando i fatti prima enunciati, risulti indebito il pagamento in carenza di norma che lo imponga (2). I (omissis) La ricorrente, sotto il profilo della violazione degli artt. l, 8, 9, 12, 31 e 36 bis del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, nonch� dell'art. 36 del d.P.R. 4 febbraio 1988 n. 42, critica la pronuncia impugnata per non aver considerato che la contribuente, scaduto il termine ultimo per la denuncia annuale, non era pi� ammessa ad integrarla con ulteriori elementi n� a far valere con istanza di rimborso la detraibilit� di spese a suo tempo non indicate e documentate. Il ricorso, tempestivo in quanto proposto entro il termine di un anno dalla pubblicazione della pronuncia impugnata (computando la sospensione del termine stesso per i quarantasei giorni del periodo feriale), � fondato. Con riguardo a versamento diretto, quale pacificamente quello in discussione, l'art. 38 primo comma del d.P .R. 29 settembre 1973 n. 602 autorizza l'istanza di rimborso, entro il termine di decadenza di diciotto mesi, nei casi di errore materiale, duplicazione ed inesistenza totale o parziale dell'obbligo del versamento stesso. Tale ultima previsione, alla luce della impostazione della norma in senso elencativo, ed altres� tenendosi conto che anche l'indebito causato da errore � astrattamente qualificabile come versamento non assistito da corrispondente obbligo, deve ritenersi circoscritta all'ipotesi di paga mento non dovuto per ragioni diverse dall'errore (ad esempio, insussi stenza del potere impositivo), di modo che non tocca l'esplicita condi zione alla quale � subordinata l'influenza dell'errore medesimo, vale a dire la sua �materialit��. Ne consegue che il diritto al rimborso, a fronte di svista commessa dal contribuente nel compilare la denuncia annuale, postula l'evinci bilit� del relativo errore da tale denuncia e dai dati con essa offerti, men tre deve essere negato ove l'errore stesso sia desumibile soltanto da fatti ulteriori e comunque diversi da quelli allegati, e, quindi, abbia natura ritrattata (salvo che per errori materiali chiaramente riconoscibili), preclude la deduzione di elementi di fatto ulteriori o diversi; ne consegue che sulla base degli stessi fatti dichiarati, il diritto al rimborso pu� discendere solo da una correzione della applicazione della legge tributaria. Le sentenze attestate su questa posizione, che hanno spazzato via il falso concetto della dichiarazione di scienza, sono ormai numerose (Cass. 13 agosto 1992 n. 9554 in questa Rassegna, 1992, I, 519 e precedenti ivi richiamati). 354 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO sostanziale non materiale, traducendosi in un giudizio viziato in ordine alle componenti del reddito imponibile (v. Cass. n. 9554 del 13 agosto 1992). La riportata interpretazione della disposizione che disciplina il rimborso si armonizza con le norme, richiamate dalla ricorrente, in tema di modalit� e termini per la compilazione e presentazione della dichiarazione dei redditi. L'analiticit� del primo adempimento e la perentoriet� delle scadenze fissate per il secondo attestano che il legislatore tributario ha voluto attribuire alla denuncia annuale la funzione di completa ed esaustiva esposizione da parte del contribuente di tutte le circostanze fattuali conferenti ai fini impositivi, cos� precludendo al dichiarante ogni facolt� di successiva modificazione od integrazione, ed al contempo circoscrivendo le possibili contese, circa la conformit� al vero dei dati denunciati, ad eventuali iniziative �in rettifica� da parte dell'ufficio. La tesi della emendabilit� �a posteriori� dell'errore non materiale, oltre che contrastata dal citato art. 38, non � conciliabile con dette caratteristiche della dichiarazione dei redditi, la quale perderebbe valore vincolante e resterebbe relegata ad atto meramente iniziale di un dibattito sull'effettiva consistenza dell'imponibile aperto per diciotto mesi dopo il versamento diretto in via di � autotassazione�. Tale versamento peraltro, sarebbe privato della sua funzione solutoria ed estintiva dell'obbligazione tributaria (in carenza di rettifiche dell'Amministrazione) e si trasformerebbe in un anomalo pagamento � in conto �, rivedibile dal contribuente in quei diciotto mesi successivi. In conclusione il ricorso deve essere accolto e la decisione della Commissione centrale va annullata, per un riesame in fase di rinvio che si attenga al principio secondo cui il rimborso di quanto direttamente versato sulla scorta della dichiarazione dei redditi non pu� essere reclamato dal contribuente opponendo fatti non enunciati in detta dichiarazione, qual.e il pagamento di interessi passivi erroneamente ritenuti non detraibili, atteso che tale omissione non � riconducibile nell'ambito dell'errore materiale. (omissis) II (omissis) Con il primo motivo del ricorso, deducendosi la violazione degli artt. 1 e segg. del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e 3 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, si assume che la Commissione centrale avrebbe dovuto negare alla Societ� la facolt� di rettificare la dichiarazione annuale, in ragione della scadenza del termine perentorio stabilito per la sua pre� sentazione, ed inoltre disconoscere rilevanza alla �riserva� avanzata al .tempo della dichiarazione stessa, in quanto non autorizzata da alcuna disposizione di legge e peraltro irritualmente apposta in documento diverso dal prescritto modulo. � f t I ' ~ � i ! I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 355 Il motivo � infondato. Con riguardo ai versamenti diretti effettuati dal contribuente, l'art. 38 primo comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 prevede la possibilit� di chiedere il rimborso, entro diciotto mesi, nei casi di errore materiale, duplicazione, inesistenza totale o parziale dell'obbligo di pagamento. Coordinando dette disposizioni con le regole richiamate dalla ricorrente in tema d'immodificabilit� della denuncia annuale dopo la tassativa scadenza fissata per la sua presentazione, si deve ritenere che la ripetizione di quanto versato in rispondenza dell'imponibile dichiarato, mentre non � ancorabile ad elementi fattuali ulteriori e diversi da quelli a suo tempo indicati (salvo l'errore materiale, cio� la svista evincibile dal contesto della dichiarazione e dai dati con essa offerti), pu� essere sempre reclamata quando, fermi restando i fatti prima enunciati, risulti indebito il pagamento, in assenza di norma che lo imponga (v. Cass. n. 9554 del 13 agosto 1992, n. 4878 dell'8 agosto 1988). Quest'ultima situazione si � verificata nella vicenda in esame, essendo pacifico che la Societ�, con l'istanza di rimborso, non ha preteso di variare od integrare gli elementi in precedenza forniti, ma ha allegato un pregresso errore �di diritto�, circa la qualificazione come reddito imponibile di una determinata posta, senza alcun mutamento in ordine alla natura ed alla consistenza della stessa, e, quindi, ha dedotto un'ipotesi di �inesistenza parziale� dell'obbligo di eseguire il versamento in concreto effettuato, gi� desumibile dalla propria dichiarazione. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 3 maggio 1994 n. 4253. Pres. Rossi� Est. Catalano . P. M. Viale (conf.) . Ministero delle Finanze (avv. Stato Cingolo) c. Soc. SESA. Tributi erariali indiretti . Imposta di registro � Concordato fallimentare � Imposta proporzionale . i!. dovuta. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 634, tariffa, art. 8 lett. e). La sentenza di omologazione del concordato preventivo o fallimentare, quale atto autoritativo che assorbe in s� gli accordi che ne sono il presupposto, � soggetta alla tassazione proporzionale della lettera c) dell'art. 8 della tariffa allegata al d.P.R. n. 634/1972, non essendo un semplice atto di controllo esterno di un atto negoziale (1). (1) Giurisprudenza ormai ben ferma (Cass. 4 febbraio 1986 n. 681 in questa Rassegna, 1986, I, 192; 10 luglio 1984 n. 4044, ivi, 1984, I, 1002; 11 agosto 1982 n. 4520, ivi, 1983, I, 175). Resta incerta la questione della imponibilit� autonoma delle al tre pattuizioni che possono accompagnare il concordato vero e proprio (in senso negativo 4 novembre 1992 n. 11967, ivi, 1993, I, 109). RASSEGNA AWOCATURA DELLO STATO 356 (omissis) L'amministrazione ricorrente deduce la violazione della norma innanzi indicata, nonch� delle norme di cui agli artt. 21 e 35 del citato decreto presidenziale e deduce che, contrariamente a quanto � sostenuto dal giudice tributario, la sentenza di omologazione del concordato fallimentare � assoggettata a tassazione proporzionale ed � inquadrabile tra gli atti (giudiziali) genericamente indicati nell'art. 8 lett. e) dell'allegato A del decreto presidenziale di cui si � detto. Il ricorso � fondato. Come � noto, l'art. 8 dell'allegato in questione, dopo la menzione degli atti che definiscono i giudizi, fra i quali i decreti ingiuntivi, quelli di aggiudicazione etc., ricomprende, nell'ambito delle altre categorie di atti sottoposti a tassazione a termine fisso, gli atti aventi ad oggetto i trasferimenti o costituzioni di diritti reali su terreni agricoli e relative pertinenze, gli atti aventi per oggetto autoveicoli, gli atti aventi ad oggetto beni e diritti diversi da quelli sopra indicati, o portanti condanna al pagamento di somme, valori ed altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura (lett. e), e gli atti di omologazione (lett. f). La giurisprudenza, dopo una prima affermazione secondo la quale nella sentenza di omologazione gli accordi tra il fallito ed i creditori restano assorbiti e trasfusi, costituendone un presupposto, sicch� non appare pertinente il richiamo alla lett. f) della tariffa (Cass. 19 marzo 1984, n. 4044), ha, successivamente, ritenuto (sentenza n. 681/1986), che agli effetti dell'imposta di registro nel sistema introdotto con il d.P.R. 634/ 1972, la sentenza di omologazione del concordato fallimentare, quale atto autoritativo, conclusivo di una complessa procedura che trasforma in obbligo giuridicamente vincolante per tutti i creditori la proposta originaria (cos� attuando la manifestazione della capacit� contributiva presupposta dall'imposizione) � soggetta a tassazione proporzionale ed � inquadrabile tra gli atti (giudiziali) genericamente indicati �sub � lett. e) dell'art. 8. Questa corte reputa di condividere siffatta impostazione non potendosi disconoscere che la sentenza di omologazione del concordato preventivo, che viene in rilievo nella specie, a differenza degli altri provvedimenti giurisdizionali di omologazione che si limitano ad approvare mediante un semplice controllo esterno un atto negoziale autonomo, costituisce la conclusione di un procedimento giurisdizionale evidenziando il suo contenuto sostanziale di atto costitutivo di un insieme di situazioni giuridiche, e da ci� consegue l'applicazione dell'imposta proporzionale trattandosi di un atto che si riconduce alla tipologia indicata nella citata lett. e). (omissis) PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 357 CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 4 maggio 1994 n. 4317 -Pres. Sensale Est. Catalano -P. M. Amirante (conf.) -CEA (avv. Berliri) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Cingolo). Tributi erariali indiretti � Imposta di registro -Agevolazione per le case di abitazione non di lusso -Case albergo -Equiparazione alle case di abitazione � Esclusione. (legge 2 luglio 1949 n. 408, artt..J3 e 14; legge 6 ottobre 1962 n. 1493, art. 1). Agli effetti della agevolazione degli artt. 13 e 14 della legge 2 luglio 1949 n. 408, le case-albergo non sono equiparabili alle case di abitazione, ma rientrano piuttosto nella nozione di negozio quali strutture destinate all'esercizio di una attivit� di impresa (1). (omissis) Per un corretto esame della censura, giova premettere che nel quadro della legislazione agevolativa di cui si tratta, vengono in rilievo, per quanto interessa nella specie, due gruppi di disposizioni normative. Il primo concerne: a) le case di abitazione, anche se comprendono uffici, ed edifici non aventi caratteristiche di abitazione di lusso, le quali godono dell'esenzione per venticinque anni dall'imposta sui fabbricati e relative sovraimposte se costruite entro i limiti temporali specificamente stabiliti (art. 13); b) gli acquisti di aree edificabili ed i contratti di appalto aventi ad oggetto la costruzione delle case di cui innanzi, per i quali � stato previsto il duplice beneficio dell'imposta fissa di registro e della riduzione ad un quarto dell'imposta ipotecaria (art. 14); c) i trasferimenti delle case di cui sub a), fruenti della riduzione alla met� dell'imposta di registro e di un quarto di quella ipotecaria, esclusione fatta per la vendita di negozi non effettuata con lo stesso atto con il quale viene trasferito il fabbricato e per la � vendita isolata � di negozi costituenti unit� economiche a s� stanti. Con il secondo gruppo, i benefici sono stati estesi ai locali destinati ad uffici e negozi nell'ipotesi in cui a questi ultimi sia stata destinata una superficie non eccedente il quarto di quella totale dei piani sopraterra, ma la concessione � stata subordinata alla ricorrenza congiunta di queste condizioni: a) che almeno il cinquanta per cento pi� uno della superficie totale dei piani sopraterra sia destinata ad abitazione; b) che non pi� del venticinque per cento della superficie totale dei piani sopraterra sia destinata a negozi (artt. 1 legge 6 ottobre 1962, n. 1493, come interpretato dalla legge 2 dicembre 1967, n. 1112). Nella specie � pacifico che su di un'area di mq 8789 si � costruita una � casa-Albergo �, occupando una superficie di mq 3360, mentre (1) Decisione di cui va apprezzata la nitida ricostruzione della finalit� della norma. 358 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO un'altra porzione dell'area, per mq 517, � stata occupata dalla costru zione di un negozio. La Commissione tributaria centrale ha escluso l'operativit� delle agevolazioni fiscali atteso che sull'area sopraterra utilizzata per l'at tivit� edificatoria � stato eretto un edificio a scopo alberghiero, con il superamento dei limiti dimensionali segnati dalle disposizioni innanzi citate, e questa destinazione non � assimilabile, n� ad abitazione, dato che attiene alla esplicazione di attivit� imprenditoriale, n� � riconducibile alla nozione di ufficio. Questa impostazione merita di essere condivisa tenuto conto che, come si desum� dal tenore delle disposizioni agevolative di cui si tratta, ai fini della concessione dei benefici, occorre avere riguardo ai requisiti di cui l'edificio sia obiettivamente in possesso, sia per quanto concerne il carat tere generale della costruzione, sia in relazione alle eventuali caratteri stiche di lusso. Orbene, posto che nel contesto normativo in esame per I �casa di abitazione� non pu� intendersi il luogo destinato ad ospitare i nuclei familiari, con carattere di tendenziale continuit�, nel quale si accentra la vita privata, mentre le locuzioni � negozio � ed � ufficio � riguardano, rispettivamente, il luogo deputato allo svolgimento dell'attivit� imprenditoriale consistente nell'offerta di beni e servizi al pubblico dei I consumatori, ovvero quello destinato alla esplicazione di attivit� profest sionale, accessibile agli utenti in determinate ore, appare evidente che I il manufatto in questione non pu� essere ricondotto n� alla prima, n� alla terza delle indicate nozioni. 13 noto che nell'attuale contesto sociale il concetto di � casa di abitazione� viene inteso in un'accezione pi� ampia ,. I di quella tradizionale in connessione con il crescente sviluppo di insedia menti abitativi in zone pi� o meno distanti dai centri urbani, carat terizzati dalla presenza di �seconde case� utilizzate in determinati pe riodi o in alternanza con quelle di citt�. 13 questo il caso delle residenze inserite in villaggi turistici costituite, ad esempio, da villette a destina zione unifamiliare con detenninati servizi gestiti in comune le quali sono riconducibili alla nozione in esame purch� intrinsecamente e funzional mente idonei ad ospitare nuclei familiari per consentire il normale svolgi mento della vita in comune, intesa come stabile dimora dei membri della famiglia. (Cass. 18 marzo 1975, n. 1036). Questa connotazione � esclusa in ordine alla � casa-Albergo � la cui funzione � quella di prestare ospitalit� dietro corrispettivo alla massa indiscriminata dei fruitori del servizio. Si, �, quindi, in presenza di una struttura funzionale all'esercizio di un'attivit� di impresa, la quale, lungi dal potersi considerare come � pressoch� identica � alla casa di abitazione, come, invece, assume la . ricorrente, si riconduce alla diversa categoria del � negozio � per il quale l'esenzione fiscale � legata alla sussistenza di specifici limiti dimensionali nella specie assenti. (omissis) PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 359 CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 13 maggio 1994 n. 4683 � Pres. Cantillo � Est. Morelli � P. M. Amirante (conf.) � Ministero delle Finanze (avv. Stato Polizzi) c. Soc. La Secura Assipopolare (avv. Rossi). Tributi in genere � Contenzioso tributarlo � Competenza degll uffici � Sdoppiamento degli uffici del registro delle grandi sedi � Rilevanza esterna. (d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 644, artt. 4 e 6). Lo sdoppiamento degli uffici del registro disposto con decreto del Ministro a norma dell'art. 4 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 644 ha a tutti gli effetti rilevanza esterna (1). (omissis) 1. -Con i tre motivi dell'impugnazione sostiene nell'ordine la parte ricorrente che abbiano errato i giudici a quibus: a) nell'escludere che le varie ripartizioni dei servizi relativi all'Ufficio del registro di Roma, operate con il citato D.M. 11 marzo 1978, abbiano inciso� facendo venir meno, all'esterno l'unit� soggettiva dell'ufficio stesso, laddove lo sdoppiamento dell'ufficio si riconduceva invece ad una espressa previsione dell'art. 4 del d.P.R. 1972 n. 644; b) nel non considerare che il preteso accollo dell'onere di proporre oppos~ione allo stato passivo nel breve termine di 15 giorni ad un ufficio incompetente, si sarebbe posto comunque in contrasto con i canoni costituzionali del diritto di difesa e di buona amministrazione (artt. 24 e 97 Cost.); c) nel trascurare, infine, di dare rilievo alle circostanze di fatto relative a1 comportamento tenuto in concreto dalla Liquidazione. 2. -Con articolate difese replica, in particolare sul primo punto, la resistente che sia viceversa aderente al dettato normativo l'interpretazione della Corte di merito che nega rilievo esterno ai � servizi � quali, con provvedimento ministeriale, ritagliati all'interno dell'unico ufficio, avente competenza nella circoscrizione territoriale di Roma. 3. -La questione che, in linea logicamente preliminare, si chiede quindi a questa Corte di risolvere � se in forza dell'art. 4 del d.P.R. 1972 n. 644~ dalle parti convergentemente richiamato, sia o non consentito al Ministro delle finanze di disporre con propri decreti, in luogo di un unico ufficio del registro dotato delle tipiche competenze, pi� uffici aventi ciascuno competenza esterna per i servizi loro affidati (servizi che altrimenti sarebbero di competenza dell'unico ufficio). Esattamente osserva al riguardo la difesa della � Secura � che la risposta a tale quesito non pu� rinvenirsi che nell'interpretazione delle (1) Per analoga separazione degli uffici distrettuali delle imposte dirette v. Cass. 3 gennaio 1991 n. 9, in questa Rass�gna, 1991, I, 93. 13 360 RASSEGNA AVVOCATURA D�LLO'sTATO norme che attrib�iscono . al ministro il potete sopra individuat� .. Poich�, I infatti, secondo il principio costituzionale fissato dail'art. 97 d�lla Costitu@ fil zione, spetta al legislatore, e ad esso soltanto, determinare la �ompetenza dei vari uffici e cio� la sfera di attribuzioni che ciascun ufficio � abilitato a. svolgere e comunque ad esso �. imputato agendo come organo d,ell'ente investito del relativo potere. Si tratta allora appunto di stabilire se, in forza della norma primaria su richiamata, il successivo decreto ministeriale (11 marzo 1978), che Iautorizz�la _realizzazione ai' pi� uffici d.~i registro con attribt�zione di determinati servizi dell'unica funzione spettante sulla circoscrizione territoriale, abbia rilevanza nei confronti dei terzi o se, invece, tale� frazionamento abbia efficacia meramente interna (nel senso che rifletta le attribuzioni demandate ai funzionari e di cui essi sono responsabili ma II non i terzi che con l'organo vengono in contatto). Il dato letterale della norma in questione (dispone testuahnente il citatoart. 4 d.P.R. 644/72 che �allo sdoppiamento dell'ufficio del registro nonch� ad ogni altra variazione dei relativi servizi che si render� neces I saria sar� provveduto con decreto del Ministro delle Finanze�) non � di per s�. risolutivo, 'potendo ritenersi neutro ed aperto ad entrambe le soluzioni. l ~ ~ viceversa . decisivo al riguardo il canone di interpretazione siste 1= . matica. I ~ 3 bis. -Un analogo � sdoppiamento � di servizi -relativamente agli uffici distrettuali delle imposte dirette di talune citt� -si trova infatti disposto in via immediata dallo stesso d.P.R. 644, nel successivo art. 6 che, per dette citt� (Roma, Milano, ecc.), prevede anche la costituzione I 'di�~ due separate sedi di direzione� per ciascun ufficio. E proprio con riferimento a tale disposizione questa Corte -con reI r: cente sentenza del 3 gennaio 1991 n. 9 -ha gi� avuto modo di affermare i (con diffuse argomentazioni dalle quali non si ha motivo di discostarsi) I che ne risulta, per l'effetto, la creazione in concreto di �due uffici�, I! �con proprie autonome competenze, di rilievo quindi esterno, per i quali, la preposizione di un dirigente � competa anche sotto il profilo I i soggettivo la rispettiva autonomia �, Per cui -stante la sostanziale univocit� del modello organizzatorio di subarticolazione dei servizi rispettivamente previsto nel citato art. 6 e nel precedente art. 4 -deve convenirsi che, anche nella previsione del detto I art. 4 (che ora ne occupa), il legislatore abbia inteso perseguire lo stesso ! obiettivo �di duplicazione dell'ufficio, ancorch� con l'intermediazione, in questo caso, del provvedimento ministeriale. Dal che la conferma del rilievo esterno attribuibile alle competenze come definite nel menzionato D.M. Finanze del 1978, con sostanziale PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 361 osservanza � anche della riserva (relativa) di legge sub art. 97 Cost. �per l'interposizione del pi� volte menzionato art. 4 del d.P.R. 644/72. Ed � appena il caso di aggiungere che l'accolta interpretazione del contesto norm�tivo esaminato � contestata dai principi della legge 24J/1990 sul procedimento amministrativo (essendo altrimenti difficilmente coniugabile la � trasparenza � del procedimento, la � responsabilit� del funzionario �, preposto al servizio, con il rilievo in tesi meramente interno del servizio stesso); e si inquadra inoltre nel pi� generale e consolidato indirizzo giurisprudenziale, a tenore del quale la ripartizione dei compiti e servizi fra i vari rami ed organi dell'Amministrazione, ancorch� rion rilevi quando sia questa ad instaurare il rapporto processuale, comporta un onere, viceversa, per i terzi cli precisa individuazione del ramo dell'amministrazione da chiamare in giudizio (cfr. da ultimo, Cass. 7642/ i991). �(omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 1� giugno 1994 n. 5320 -Pres. Corda -Est. Lupo -P. M. Di Salvo (diff.) -Soc. Eridania c. Ministero delle Finanze (avv. Stato De Bellis). Tributi locali -IQ:lposta sull'incremento di valore degli immobili -Decorso decennio -Fabbricati destinati all'esercizio di attivit� commerciali � Pertinenze -�Esenzione � Condizioni. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, artt. 3 e 25, lett. d). L'esenzione dall'INVIM decennale prevista per i fabbricati destinati all'esercizio di attivit� commerciali si estende alle pertinenze soltanto se anche per queste sussiste la condizione che non siano suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, non essendo sufficiente il solo vincolo pertinenziale (1). (omissis) 1. -Con il primo motivo del ricorso si deduce la violazione dell'art. 25, secondo comma, lettera d) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 e dell'art. 817 cod. civ., nonch� insufficiente e contraddittoria motivazione, in riferimento all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. La societ� ricorrente ritiene erronea l'esclusione del vincolo pertinenziale fondata sul fatto che le abitazioni non si trovano nel recinto dello stabilimento industriale, dovendo tale vincolo desumersi dal collegamento strumentale tra le prime ed il secondo, accertato dalla Commissione di 1� e 2� grado con ampia istruttoria documentale non considerata nella decisione impugnata. N� assume a tal fine rilievo l'alienabilit� delle abitazioni affermata nella stessa decisione, poich� tutte le pertinenze sono suscettibili di separata (1) Decisione di evidente esattezza. Non constano precedenti. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 362 alienazione. La ricorrente osserva infine che il requisito -previsto dal citato art. 25 -della non suscettibilit� di una � diversa destinazione senza radicale trasformazione � � previsto per la esenzione dell'immobile principale, e non anche di quello pertinenziale, per il quale � sufficiente che. esso sia posto al servizio del primo. Il� motivo di ricorso � infondato. L'art. 25, secondo comma, lettera d), del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, nel testo modificato dell'art. 3 della legge 22 dicembre 1975 n. 694, dispone che sono esenti dall'INVIM prevista per decorso del decennio (di cui al precedente art. 3) � gli incrementi di valore dei fabbricati destinati all'�sercizio di attivit� commerciali e non suscettibili di diversa destinazione senza radicale trasformazione e degli immobili destinati all'esercizio di cave e torbiere e relative pertinenze, semprech� l'attivit� commerciale sia in essi esercitata direttamente dal proprietario o dall'enfiteuta �. La societ� ricorrente invoca l'applicazione della trascritta disposizione nella parte in cui .si riferisce alle � pertinenze � del proprio zuccherificio. Non � dubbio che quest'ultimo fabbricato sia destinato � all'esercizio di attivit� commerciali�, e quindi ricada nell'ambito di applicazione dell'art. 25, secondo comma, lettera d), essendo infondata la tesi contraria sostenuta dall'Amministrazione delle finanze nella discussione orale (ma non anche nel controricorso) sulla base della considerazione che lo zuccherificio � destinato ad una attivit� industriale di produzione di beni. L'espressione � esercizio di attivit� commerciali � usata dalla norma sopra trascritta va intesa secondo fa regola generale posta dall'art. 2195, secondo comma, cod. civ., nel senso comprensivo di tutte le attivit� indicate nello stesso articolo, e quindi anche delle attivit� industriali. L'INVIM decennale, invero, colpisce gli immobili appartenenti � alle societ� di ogni tipo ed oggetto� (art. 3 citato) e la esenzione in esame concerne -come si esprime la relazione al disegno di legge governativo che � poi sfociato nella norma in discorso (legge 22 dicembre 1975 n. 694) �quei fabbricati che hanno carattere direttamente strumentale per l'esercizio delle attivit� commerciali della societ� � (Atti camera della VI legislatura, stampato n. 3703). Va poi precisato che le �relative pertinenze� indicate dall'art. 25 sdno non soltanto quelle degli immobili destinati all'esercizio di cave e torbiere, ma altres� quelle dei fabbricati strumentali alle attivit� commerciali. Non vi � infatti ragione per limitare la previsione della esenzione delle pertinenze ad una sola delle due ipotesi previste dall'art. 25. Quando la pertinenza consiste in un immobile posto a servizio del fabbricato strumentale, l'esenzione dall'INVIM � subordinata allo stesso requisito previsto dall'art.. 25 per il fabbricato principale, e cio� alla PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA� TRIBUTARIA sua non suscettibilit� cli diversa destinazione senza radicale trasformazione. La contraria tesi sostenuta dalla societ� ricorrente si pone contro la ratio della esenzione, che � quella cli escludere dall'INVIM decennale i soli immobili strutturalmente necessari all'attivit� imprenditoriale, nei quali l'incremento cli valore avutosi per effetto del decorso del tempo pu� essere realizzato previa una radicale trasformazione degli immobili stessi. Non vi �, cio�, ragione per distinguere il regime del fabbricato strumentale da quello dell'immobile destinato a suo servizio, nel senso che per ambedue l'assoggettamento all'INVIM o l'esen.zione dalla stessa � subordinata ai medesimi requisiti posti dalla trascritta disposizione dell'art. 25. Altrimenti opinandosi, sarebbe agevole per il proprietario cli un immobile godere dell'esenzione attraverso una destinazione pertinenziale rispetto ad un fabbricato strumentale, destinazione che potrebbe fa. cilmente cessare senza una radicale trasformazione dell'immobile. Non basta, quindi, per l'applicabilit� dell'esenzione invocata dalla societ� ricorrente, l'esistenza di un vincolo pertinenziale ai sensi dell'art. 817 cod. civ., ma occorre l'ulteriore requisito posto dal citato art. 25, (non suscettibilit� cli diversa destinazione dell'immobile pertinenziale senza radicale trasformazione). L'accertamento sull'esistenza di tale requisito � rimesso al giudice del merito. La Commissione tributaria centrale ha, ai fini cli detto accertamento, attribuito rilievo al fatto che gli immobili destinati ad alloggio del personale non si trovano all'interno del recinto dello stabilimento e pertanto non presentano carattere di incommerciabilit�, potendo in ipotesi essere ceduti a terzi al valore cli mercato. Il criterio seguito dalla Commissione centrale nell'accertare il requisito di fatto_ sopra indicato � corretto sotto l'aspetto logico-giuridico. E, d'altro canto, le censure che ad esso muove la societ� ricorrente partono dalla premessa (che, come si � detto, non pu� essere condivisa) dell'applicabilit� dell'esenzione dall'INVIM sulla base dei soli requisiti del vincolo pertinenziale posti dal codice civile. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 4 giugno 1994 n. 5430 � Pres. Salafia Est. Proto -P. M. Lo Cascio (conf.) -Buonaguicli (avv. Mastrobuono) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Fiorilli). Tributi in genere -Violazioni delle leggi finanziarie � Sanzioni � Pena pecuniaria � Prescrizione � Art. 17 legge 7 gennaio 1929 n. 4 � ~ sostituita dalla decadenza dell'art. 55 del d.P .R. 29 settembre 1973 n. 600. (legge 7 gennaio 1929 n. 4, art. 17; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 55). L'art. 17 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, che prevedeva la prescrizion� quinquennale per la riscossione della pena pecuniaria, � sostituito, per 364 � RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO le imposte dirette, dall'art. 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 in forza del qu�le le sanzioni devono essete irrogate dall'ufficio delle imposte entro un termine di decadenza (1). (omissis) 1. Con il primo motivo del ricorso si denuncia violazione od errata applicazione degli artt. 25 e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 e degli artt. 333 e 334 c.p.c. I ricorrenti censurano la decisione impugnata per aver dichiarato inammissibile -in quanto estranea all'oggetto del giudizio introdotto dall'Amministrazione con il ricorso principale l'impugnazione incidentale tardiva da essi proposta. 1.2 La censura � fondata. Secondo il pi� recente e ormai consolidato orientamento di questa Corte, l'art. 334 c.p.c. (che consente alla parte, contro la quale sia stata proposta impugnazione, di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza) � applicabile a qualsiasi capo della sentenza impugnata ancorch� autonomo rispetto a quello investito ! dalla impugnazione principale. Si � rilevato, infatti, per un verso, che la distinzione (sulla quale poggiava il precedente indirizzo, che limitava l'ambito di ammissibilit� della impugnazione incidentale) non aveva una ! base testuale, posto che nel sistema processuale sono considerate inciden% tali tutte le impugnazioni successive alla prima (principale) rivolte con~ tro la stessa decisione, intesa come unit� formale contenente una plura~ I m lit� .�di capi sulle domande delle parti; e che, per altro verso, essa conf: f: trasta con una delle finalit� dell'art. 334, che � volto a consentire alla parte parzialmente soccombente di accettare la decisione se questa � accettata anche dalla controparte (v. per tutte Cass. 24 novembre 1988 n. 6311). Con specifico riferimento al procedimento davanti alle Commisii sioni tributarie, si � poi osservato che, nel sistema di alternativit� preI I ~visto dall'art. 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (secondo cui nessuna delle parti pu� adire la corte .d'appello quando sia stato proposto ricorso alla commissione tributaria centrale), i ricorsi alla commissione successivi al primo, anche se relativi a statuizioni autonome rispetto a quelle gi� impugnate, non potrebbero essere dichiarati inammissibili sotto il ' profilo della mancata impugnazione di tali statuizioni, posto che contro I di esse sarebbe astrattamente ancora proponibile l'appello davanti al giudice ordinario (cfr. �ass. 29 gennaio 1990 n. 553). g dunque, evidente, alla stregua delle considerazioni che precedono, I che la Commissione tributari� centrale avrebbe dovuto esaminare le I ! i (1) In senso conforme Cass. 2 febbraio 1993 n. 1269, in questa Rassegna, I 1993, I, 141. Oggi il procedimento sanzionatorio della legge n. 4 del 1929 � rimasto i in vigore soltanto per poche imposte minori ed ha subito profonde modificaI i zioni per effetto dell'art. 16 della legge 29 dicembre 1990 n. 408. I I I I I I PARm I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA doglianze tardivamente proposte dai contribuenti, anche se autonome rispetto alle deduzioni della Amministrazione ricorrente, che attenevano alla irrogazione delle sanzioni pecuniarie. 2. Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 17 della legge 7 genn'aio 1929 n..4.. I ricorrenti deducono che la decisione impugnata erroneamente ha ritenuto inapplicabile l'art. 17 della legge n. 4 del 1929, non consiC�.er�ndo che l'art. 55 del d.P.R. n. 600/1973 si limiterebbe a dispor.re l'.nicit� dell'atto di accertamento e di irrogazione delle sanzioni, senza prevedere alcuna deroga n� al momento di decorrenza n� al termine per la prescrizione delle sanzioni medesime. 2.1 La censura � infondata. Sulla'. questione questa Corte si � gi� pronunciata (Cass. 2 febbraio 1993 n, 1269), 'stabilendo che le sanzioni pecuniarie previste per le violazioni che d�nno luogo ad accertamenti di rettifica o d'ufficio; per il disposto degli artt~ 43 e 55 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, devono essere. i:r:rogate, a pena di decadenza, entro lo stesso termin~ previsto per l'~ccer:tamento; � e che � esclusa l'applicabilit� della prescrizione quinquennale di cui all'art. 17 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, in quanto la nuova regolamentazione della materia dell'accertamento delle imposte dirette e delle relative sanzioni contenute nel citato decreto ne ha comportato l'abrogazione per incompatibilit�. 2.2 Questo principio, che il Collegio condivide e che deve essere, quindi, ribadito anche con riferimento alla fattispecie in esame, riposa essenzialmente sulle seguenti argomentazioni. Il divieto di abrogazione e modifiche, sancito nel capoverso dell'art. 1 della legge del '29 (secondo il quale � le disposizioni della presente legge ... non possono essere abrogate o modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per dichiarazione espressa del legislatore con specifico riferimento alle singole disposizioni abrogate o modificate �), riguardava le sole leggi posteriori �concernenti i singoli tributi � e, pertanto, non era volto ad impedire interventi normativi, nella modifica delle leggi in materia, aventi car�ttere di organicit�. Con la legge del 9 ottobre 1971, n. 825 (contenente delega al Governo per la riforma tributaria) si stabil�, appunto, di provvedere 'alla � unificazione, ove possibile, dei termini di prescrizione e di decadenza relativi all'accertamento e alla riscossione dei vari tributi� (art. 10, punto 9). Questa direttiva fu poi attuata col d.P.R. n. 600 (concernente disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte dirette e relative sanzioni), che ha previsto lo stesso termine di accertamento e di irrogazione delle. s~ioni (y., in particolare, artt. 43 e 55), e stabilito, infine, all'art; 70, l'applicabilit� in via residuale della legge del '29, �in materia di accer RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tamento delle violazioni e di sanzi�ni � in � quanto non ... diversamente disposto dal presente decreto �. L'art. 55 dispone che � per le violazioni che danno luogo ad accertamenti in rettifica o d'ufficio l'irrogazione della sanzione � comunicata al contribuente con lo stesso avviso di accertamento� (primo comma). Inoltre, prevede che � per le violazioni che non danno luogo ad accertamenti l'ufficio delle imposte pu� provvedere in qualsiasi momento, con separati avvisi da notificare entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui � avvenuta la violazione� (secondo comma, prima� parte). Poich� l'accertamento deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui � stata presentata la dichiarazione (art. 43), � evidente che la pena pecuniaria (indipendentemente dall'accertamento) deve essere irrogata mediante avviso da notificare entro quella data. E non � concepibile che, prima ed indipendentemente da quel termine, si maturi la prescrizione di un diritto, il cui esercizio non sarebbe legalmente possibile. 2,3 Agli enunciati criteri si � sostanzialmente adeguata la decisione impugnata, correttamente ritenendo inapplicabile, per effetto della nuova regolamentazione contenuta nel richiamato d.P.R. n. 600, l'art. 17 della legge del 1929; ed ha statuito, conseguentemente, che gli atti di accertamento, essendo stati notificati nei quinquenni decorrenti dal primo di ciascuno degli anni successivi a quelli nei quali erano state presentate le dichiarazioni, erano tempestivi e che non erano, quindi, prescritte le sanzioni pecuniarie irrogate. 3. In conclusione, il primo motivo del ricorso deve essere accolto, mentre va rigettato il secondo motivo. In relazione alla censura 'accolta consegue l'annullamento della decisione resa sul punto. La causa va, pertanto, rimessa alla Commissione tributaria centrale perch� esamini e decida nel merito il ricorso incidentale della societ� Buonaguidi e dei soci. CORTE DI� CASSAZIONE, sez. I, 4 giugno 1994 n. 5432 -Pres. Salafia -Est. Cicala. P. M. Tondi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Cingolo) c. Soc. Glaxo. Tributi locali � Imposta sull'incremento di valore degli immobili � Spese di acquisto -Dichiarazione -Termine -Decadenza. (d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, artt. 11 e 18). In base all'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, istitutivo della. INVIM, le spese di acquisto che incrementano il valore iniziale devono essere denunciate al pi� tardi (a pena di decadenza) al momento della PARTE l, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 367 registrazione dell'atto o nel termine stabilito per la deduzione di passivit� dell'imposta di successione,� successivamente pu� essere solo presentata la documentazione delle spese che siano state tempestivamente dichianate. Non vale come dichiarazione della spesa di acquisto una immotivata elevazione del prezza di acquisto (1). (omissis) Il ricorso con cui la Amministrazione lamenta violazione dell'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643, merita accoglimento. In base al terzo comma dell'art. 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 643 le �spese di cui all'art. 11 (tra cui rientrano le spese di acquisto) se gi� non esposte nella dichiarazione prevista dal primo comma del medesimo art. 18 debbono, a pena di decadenza, essere denunciate all'Ufficio al momento della registrazione dell'atto ovvero nel termine stabilito ai fini della deduzione delle passivit� agli effetti dell'imposta successoria, se le spese sono afferenti a beni caduti in successione. Di fronte alla esplicita dizione della legge che parla di � decadenza � la giurisprudenza ha bens� ammesso che il diritto di computare nel valore iniziale del bene immobile alienato le spese incrementative non � escluso dalla mancata allegazione alla dichiarazione dei documenti dimostrativi, potendo tale documentazione essere fornita successivamente al giudice tributario, tna ha dovuto riconoscere che la decadenza prevista dall'art. 18 d.P.R. n. 643 del 1972 scatta ove le spese non siano state neppure indicate nella denuncia (Cass. 29 novembre 1990, n. 11519). N� la indicazione pu� ritenersi implicita nella enunciazione di un valore del bene superiore a quello dichiarato nell'atto di acquisto. Dal momento che la legge distingue nettamente fra la denuncia del valore iniziale e la indicazione delle spese di acquisto sostenute. E la distinzione fra valore e spese appare essenziale anche per consentire la verifica della amministrazione� tributaria. (omissis) (1) Decisione ineccepibile. CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 7 giugno 1994 n. 5501 -Pres. Salafia �Est. Vignale -P. M. Lupi (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Pavone) c. Soc. Boehringer (avv. Russo). Tributi locali -Imposta locale sui redditi -Redditi fondiari -Tassazione separata -Deduzioni di spese e interessi -Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 artt. 34, 51, 52; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, art. 4). Per effetto del doppio richiamo dell'art. 4 del d.P.R. n. 599/1973 ai redditi determinati ai fini IRPEF o IRPEG e dell'art. 52 del d.P.R. n. 597I 368 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 1973 alle norme del titolo secondo, i redditi degli immobili non strumentali delle imprese, tassabili separatamente ai fini dell'ILOR, sono. determinati in base all'art. 34 secondo gli estimi catastali, s� che da tale reddito non possono essere dedotti costi o interessi passivi (1). Con il primo motivo cli ricorso, l'Amministrazione delle finanze assume che, a norma dell'art. 4, V comma del d.P.R. n. 599 del 1973, ai fini dell'ILOR relativa al reddito fondiario degli immobili non strumentali all'esercizio dell'impresa, gli interessi passivi e la relativa IVA non sono deducibili. Con il secondo motivo, premesso che sulla non strumentalit� dei fabbricati all'esercizio dell'impresa si form� il giudicato, sostiene che in merito a tale questione la Commissione Centrale non avrebbe pi� potuto portare il suo esame e comunque ribadisce la tesi della non strumentalit� dei beni, a norma degli artt. 40 d.P.R. n. 597 del 1973 e 6 d.P.R. n. 599 del 1973. Il ricorso � fondato. Va, innanzitutto, confermato, in relazione al se. condo motivo di ricorso, che la Commissione Tributaria di II grado qualific� espr�ssamente gli immobili cli propriet� della societ� contribu� ente, come beni non strumentali all'esercizio dell'impresa e che, non avendo tale sta.tuizione formato oggetto di impugnazione, la suddetta qualificazione non avrebbe potuto comunque essere modificata dalla Commissione Tributaria Centrale, la quale, peraltro, nella decisione impugnata, non sembra avere inteso riformare quella della Commissione di II grado neppure sotto questo aspetto. Prima cli esaminare la questione prospettata nell'altro mezzo d'impugnazione, appare opportuno delimitare esattamente l'oggetto dell'indagine . rimessa a questa Corte. A tale scopo, sul presupposto non pi� contestabile, della natura cli � beni non strumentali � all'esercizio dell'inpresa, riferibile agli immobili de quibus, il problema � soltanto di accertare come deve essere determinata l'ILOR in relazione al reddito fondiario prodotto da tali beni. Deve rilevarsi, a tal riguardo, che il III comma dell'art. 4 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 599, rinvia, per la determinazione dell'imposta locale sui redditi prodotti (come nella specie) da societ� cli capitali, al reddito complessivo determinato per l'IRPEG, specificando, poi, al V comma, che per i redditi fondiari l'imposta va applicata separatamente. (1) Massima cli evidente esattezza. Il reddito catastale di cui all'art. 34 del d.P.R. 597/1973 � stabilito tenendo conto, sempre in termini di media, delle spese e delle perdite. Non � quindi concepibile una deduzione ulteriore. Per la stessa ragione nessuna deduzione � ammessa ai fini IRPEG, come si desume dall'art. 21 del d.P .R. n. 598/1973 che limita la deducibilit� ai costi inerenti alle attivit� commerciali (Cass. 15 luglio 1991 n. 7844, in questa Rassegna, 1991 I, 555). PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA Parte;ndo da questo dato normativo, bisogna inoltre tener presente che, a norma dell'art. 5 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 598, ai fini IRPEG, per reddito complessivo deve intendersi il reddito d'impresa calcolato a norma degli artt. 51 e segg. del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597 in materia di IRPEF. Ebbene, per l'art. 52 del d.P.R. n. 597 del 1973, i redditi degli immobili che non costituiscono beni strumentali all'esercizio dell'impresa concorrono a formare il reddito della stessa nell'ammontare determinato a norma delle disposizioni di cui al precedente tit. Il, ossia, riferendosi di regola alla rendita catastale (art. 34). Quindi, stante il duplice richiamo alla disciplina relativa ai redditi fondiari contenuto nel V comma dell'art. 4 del d.P.R. n. 599 del 1973 e nell'art. 52 del d.P.R. n. 597 del 1973, l'ILOR relativa ai redditi prodotti da immobili non strumentali all'esercizio di una societ� di capitali va calcolata, con i criteri di cui all'art. 34 del d.P.R. n. 597 del 1973, owero sulla base soltanto della rendita catastale indipendentemente dal risultato (positivo o negativo) dell'esercizio. Pertanto, deve escludersi, che a tal fine, possano essere computati in detrazione gli interessi passivi per mutui contratti al fine di acquistare gli immobili stessi. Non rileva, infatti, che, in base al I comma di tale norma, il reddito fondiario ritraibile da ciascuna unit� immobiliare urbana debba essere calcolato al netto delle spese di riparazione e manutenzione e � di ogni altra eventuale spesa o perdita �. Si tratta, invece, di un'espressione identica a quella usata dal legislatore per indicare i criteri di determinazione della rendita catastale delle unit� immobiliari urbane (cfr. art. 7 d.P.R. 29 settembre l973 n. 604); un'espressione alla quale, in quest'ultima disposizione, � aggiunta l'ulteriore proposizione: � Nessuna detrazione avr� luogo per decime, canoni, livelli, interessi passivi, nonch� per oneri tributari �. La qual cosa conferma come in quella locuzione possano intendersi ricomprese soltanto le spese e le perdite collegate al godimento del bene ed idonee ad incidere sulla sua produttivit� effettiva, ma non gli interessi passivi, che non costituiscono n� una � spesa � n� una � perdita� e rappresentano, invece, il costo del danaro versato dal contribuente per l'acquisto dell'immobile. In definitiva (e a prescindere da ogni valutazione circa la computabilit�, sotto altra voce, degli interessi passivi collegati all'acquisto degli immobili ed i limiti dell'eventuale detrazione), rilevato che -ai sensi del suddetto art. 4, V comma, del d.P.R. n. 599 del 1973 -l'ILOR per i redditi fondiari va applicata separatamente rispetto al calcolo generale dell'imposta dovuta dalla societ�, deve concludersi che, per il computo dell'irnposta stessa su tali redditi, non bisogna tener conto degli interessi passivi relativi a mutui contratti per l'acquisto dei medesimi immobili. (omissis) 370 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 10 giugno 1994 n. 5650 -Pres. Rossi -Est. Baldassarre� P. M. Dettori (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato Polizzi) c. Granello. Tributi erariali diretti � Riscossione -Iscrizione a ruolo provvisoria � Interessi � Disciplina anteriore all'art. 5 del d.I. 27 aprile 1990 n. 90 . Esclusione. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, artt. 15 e 20; D.L. 27 aprile 1990 n. 90). Anteriormente all'entrata in vigore dell'art. 5, comma 9, del D.L. 27 aprile 1990 n. 90, l'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio regolata dal[' art. 15 del d.P.R. n. 602/1973 non poteva comprendere gli interessi maturati (1). (omissis) Il Ministero ricorrente, denunciando violazione degli artt. 14, 15 e 20 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, assume che -posto che l'iscrizione a ruolo del tributo a titolo definitivo non � evenienza diversa, sotto il profilo della riscossione, dall'iscrizione a ruolo a titolo provvisorio e tenuto conto della natura risarcitoria degli interessi di cui all'art. 20 -tali interessi sono dovuti anche quando sia violato il diritto dell'Amministrazione a riscuotere � subito � l'intera imposta iscritta a ruolo a titolo provvisorio ai sensi dell'art. 15. Il ricorso non � fondato. Va premesso che la fattispecie � disciplinata dall'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 nel testo vigente prima dell'entrata in vigore delle modifiche di cui all'art. 5, comma 9, D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165. E, proprio con riferimento alla normativa originaria questa Corte -con il supporto di attenta indagine ermeneutica, che non ha tralasciato il dato significativo desumibile dall'intervento riformatore del legislatore del 1990 -ha espresso di recente (sent. 21 agosto 1993 n. 8855) un principio di diritto, al quale il collegio ritiene di dover fare piena adesione. Va ribadito, per tanto, che in materia di riscossione delle imposte sul reddito, sulle somme riscosse attraverso provvisoria iscrizione nei ruoli, disposta in base ad accertamenti d'imponibile non definitivi, ai sensi della disposizione di carattere eccezionale di cui all'art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (anteriormente alle modifiche introdotte dall'art. 5, comma nono, del D.L. 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella (1) In senso conforme Cass. 21 agosto 1993 n. 8855, in questa Rassegna 1993, I, 459. Va tuttavia precisato che la disposizione innovativa dell'art. 5 trova applicazione per tutti i ruoli formati dopo l'entrata in vigore anche se riferiti ad imposte di periodi anteriori (Corte Cost. 3 febbraio 1994 n. 18). I I I~ ,., l I f I I I I I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 371 legge 26 giugno 1990, n. 165), non sono dovuti gli interessi previsti dal successivo art. 20, che con disposizione di carattere generale prevede il pagamento di interessi remuneratori soltanto in caso di ritardato pagamento delle � imposte dovute �, cio� di tutte quelle accertate definitivamente. Poich� la decisione impugnata ha fatto corretta applicazione di tale principio, il ricorso deve essere respinto. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez, I, 16 giugno 1994 n. 5826 -Pres. Corda Est. Borr� -P. M. Lo Cascio (diff.) -Ghira (avv. Tinelli) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato Fiorilli). Tributi �erariali diretti � Accertamento � Domicilio fiscale � Incompetenza dell'ufficio � Nullit�. _(t.u. 29 gennaio 1958 n. 645, artt. 9, 10, 38). � nullo l'accertamento compiuto da ufficio incompetente, in quanto diverso da quello corrispondente al domicilio fiscale del contribuente; n� l� elezione di domicilio in luogo diverso pu� valere come istanza seguita da tacito consenso a stabilire il domicilio fiscale in luogo di� verso (1). (omissis) 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 10, 29, 33, 38, primo comma, lett. d), d.P;R. 29 gennaio 1958 n. 645, nonch� insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia. Egli sostiene la asso (1) La nullit� dell'accertamento proveniente da ufficio incompetente � costantemente affermata (Cass. 9 dicembre 1983 n. 7301, in questa Rassegna 1984, I, 334). !!. anche corretta l'affermazione che la mera elezione di domicilio non pu� valere come motivata istanza e il comportamento dell'ufficio come tacito consenso a stabilire il domicilio fiscale in luogo diverso dal comune di domicilio fiscale (art. 59 d.P.R. n. 600/1973, conforme alla normativa del T.u. del 1958). Tuttavia non pare 1corretto annullare il valore della dichiarazione: le indicazioni contenute nella dichiarazione, anche se inesatte e non corrispon� denti ,alla realt� sono vincolanti per il dichiarante ed esonerano l'ufficio dal dovere di verificare e dimostrare la veridicit� del dichiarato (art. 38, terzo comma, d.P .R. n. 600) e ci� in particolare per quelle affermazioni di carattere irtfortnat�vo. Si va addirittura diffondendo l'uso di abilitare il dichiarante alla autocertificazione (ad es. art. 30, comma 3, d. lgs. 31 ottobre 1990 n. 346). Pertanto se l'ufficio trova nella dichiarazione l'indicazione di un d�micilio (che non sempre si rivela come domicilio eletto diverso dal domicilio fiscale) e presume che in quel luogo si trovi il domicilio fiscale, non pu� andare incontro a drastiche censure di nullit� anche in applicazione del principio dell'art. 157, terzo comma, c.p.c. 372 RASSEGNA AVVOCATURA DEllO STATO .. Iuta ed insanabile nullit� degli avvisi di accertamento in quanto posti in essere dall'Ufficio delle imposte �di Roma territorialmente � incompetente. La competenza territoriale spettava, infatti, secondo il ricorrente, all'Uffido delle imposte di Trieste, citt� ove egli aveva la residenza anagrafica e quindi, per legge, il domicilio fiscale. N� poteva riconoscersi alla "indicazione del domicilio in Roma, fatta nella dichiarazione dei redditi, una implicita manifestazione di volont� diretta ad ottenere lo stabilimento del domicilio fiscale nella capitale, cos� come non era ravvisabile, negli accertamenti compiuti dall'ufficio romano, l'implicita accettazione dell'intento del contribuente, a siffatta ricostruzione .ostando le nor.me s�pra richiamate. Il motivo � fondato. Secondo l'art. 9 del T.u. 645/1958, applicabile nella specie, �i cattadini italiani hanno i.I domicilio fiscale nel comune nella cui anagrafe sono iscritti �. La dichiarazione dei redditi � presentata all'Ufficio distrettuale delle imposte dirette nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del soggetto (art. 29). La competenza dell'ufficio tributario, cos� individuata, ha carattere funzionale ed inderogabile, sicch� l'accertamento, compiuto da ufficio incompetente, � viziato da nullit� assoluta, rilevabile anche di ufficio dal giudice in ogni stato e grado del procedimento (Cass. 4277/1980, 2646/1984, 2998/1987, 8017/1992); n� la attivit� compiuta dall'ufficio incompetente vale ad impedire la decadenza dal potere di accertamento (Cass. 6492 e 3596 del 1980). Ci� premesso, ritiene questa Corte che la Commissione tributaria centrale non abbia fatto corretta applicazione dell'art. 10 del citato testo unico, opinando che il Ghira, non avente residenza anagrafica in Roma, avesse tuttavia manifestato con comportamento concludente (ele zione di domicilio contenuta nella dichiarazione dei redditi) la volont� che il suo domicilio fiscale fosse stabilito in tale citt�, e che l'Amministra zione finanziaria avesse a sua volta espresso in modo concludente (at traverso la compiuta rettifica dei redditi) la volont� di aderire all'istan za del contribuente, stabilendo il di lui domicilio fiscale nella localit� desiderata. In realt� il citato art. 10 prevede, da un lato, una � motivata istan za � del contribuente a che il domicilio fiscale sia stabilito in luogo di verso dalla residenza anagrafica; dall'altro, un provvedimento dell'Inten dente di finanza o del Ministro delle finanze, che accolga tale istanza e stabilisca il domicilio fiscale in un diverso comune. La lettera e la logica della norma costituiscono, a parere del Collegio, insuperabile osta colo all'ipotesi interpretativa della Commissione tributaria centrale: il carattere motivato dell'istanza sembra escludere la possibilit� che essa sia � tacita �, e, soprattutto, non sembra potersi prescindere; dal lato PARTE I, SEZ. V, GlURISPRUDENZA TRIBUTA.'{IA 373 della pubblica amministrazione,� da un provvedimento formale, trattandosi 'di disposizione �in deroga�, costitutiva di una nuova e diversa situazione giitridica� che incide anche, di riflesso, sulla competenza dell'ufficio e quindi stilla validit� dell'accertamento. Va poi aggiunto che la competenza al compimento dell'atto attributivo del diverso domicilio spetta all'Intendente di finanza o al Ministro (evidentemente a seconda che il mutamento di comune rimanga o non entro l'ambito provinciale), mentre il comportamento, concludente, che nella specie dovrebbe tener luogo del �provvedimento formale, � fatto consistere nella rettifica dei redditi e perci� proviene non dalle predette aatorit�, ma dall'Ufficio distretttiale delle imposte. La decisione impugnata non pu� dunque essere condivisa laddove ritiene che la situazione sopra descritta sia giuridicamente ricostruibile come determinazione di un d01nicilio fiscale diverso dalla residenza anagrafica e che per questa via possa essere esclusa la incompetenza dell'Ufficio che ha proceduto all'accertamento, con le conseguenze che a tale incompetenza si collegano secondo la giurisprudenza sopra richiamata. La esclusione della correttezza giuridica di tale assunto della Commissione tributaria centrale rileva anche sotto un ulteriore profilo. Poich� a norma dell'art. 38, lett. d), del testo unico, la �facolt� del contribuente di eleggere domicilio presso una persona o un ufficio � � esercitabile con riferimento al � comune del proprio domicilio fiscale �, ne deriva che la notificazione degli avvisi di accertamento eseguita in Roma presso il prof. Permutti non era idonea a far decorrere il termine per l'impugnazione, non potendo la citt� di Roma considerarsi, alla luce delle considerazioni sopra svolte, domicilio fiscale del Ghira. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 giugno 1994 n. 6104 -Pres. Rossi Est.. Graziadei -P. M. Di Salvo (conf.) -Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano) c. Soc. Maglificio Fiora. Tributi in genere -Contenzioso tributarlo -Giudizio di rinvio dopo la cassazione � Produzione in copia autentica della sentenza di cassa zione � Difetto � Inammissibilit�. (c.p.c. art. 394; d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, art. 36). Il giudizio di rinvio dopo la pronuncia di cassazione � regolato non dal d.P.R. n. 63611972 ma dal codice procedura civile, s� che trova ap 374 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO plicazione l'art. 394 il quale dispone che in ogni caso deve essere prodotta copia autentica della sentenza di Cassazione; in mancanza l'atto di riassunzione � improcedibile, n� pu� ritenersi che il giudice abbia il dovere di rivolgere alle parti un invito a provvedere perch�, a norma :dell'art. 36 del d.P.R. n. 636/J972, innanzi alla Commissione centrale i documenti vanno esibiti unitamente al ricorso (1). (omissis) Il ricorso � infondato. Il giudizio di rinvio davanti alla Commissione centrale, al pari del giudizio di cassazione su ricorso contro le pronunce della Commissione medesima (v., da ultimo, Cass. S.U. n. 669 del 20 gennaio 1992), non � regolamentato dalla disciplina del contenzioso tributario di cui al d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 (e successive modificazioni), di modo che � soggetto all'art. 394 cod. proc. civ., e, quindi, anche al primo comma di esso, il quale stabilisce che � in ogni caso deve essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione �. La mancanza di tale copia, in quanto non allegata dalla parte istante, n� altrimenti acquisita (come pacificamente nella concreta vicenda), non I pu� non tradursi nella improcedibilit� dell'atto di riassunzione. Questo effetto non abbisogna di una norma che esplicitamente lo I contempli, atteso che non si correla ad ipotesi di nullit� o decadenza, n� esprime mera sanzione per l'inattivit� dei contendenti, ma integra neces I sario riflesso del difetto del presupposto indispensabile per la insorfil genza del potere-dovere del giudice di rinvio di sostituire la pronuncia ~ fil annullata, nei limiti ed in conformit� dei principi enunciati dalla sen~ tenza di cassazione, vale a dire la conoscibilit� della sentenza stessa. ! ! f: Resta da vedere se detta improcedibilit� sia da dichiararsi sulla scorta del solo riscontro della mancata produzione di quella sentenza, ovvero esiga preventivamente un tentativo di ovviare all'omissione, con relativo invito della parte interessata ed assegnazione di un termine. I La seconda delle riportate alternative, ancorch� in ipotesi praticabile nelle cause non tributarie (come ritenuto da Cass. n. 1180 del I 14 maggio 1963), non pu� trovare ingresso nel giudizio di rinvio davanti alla Commissione centrale, perch� in questo, in base al richiamo dell'arti colo 394, primo comma, cod. proc. civ., alle norme stabilite per il procedi I! '~ mento davanti al giudice �ad quem �,trova applicazione l'art. 36 del citato d.P.R. n. 636 del 1972, che esige la contenstualit� delle allegazioni documentali rispetto all'atto d'impulso processuale davanti alla Comrnis- I 1 (1) Decisione esatta. i I ! ! I PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 375 sione centrale, e relega a facolt� discrezionale della Commissione stessa, non quindi ad obbligo condizionante la decisione, l'eventuale sollecitazione delle parti ad emendare precorse omissioni. (omissis) CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 giugno 1994 n. 6105 -Pres. Rossi -Est. Graziadei -P. M. Di Salvo (conf.) -Liverani c. Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano). Tributi erariali diretti � Sanzioni � Societ� di persone � Dichiarazione infedele della societ� � Responsabilit� del socio. (d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597, art. 5; d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, artt. 40 e 46). Il socio di societ� di persone che non abbia dichiarato a fini IRPEF il reddito societario nella misura risultante dalla rettifica operata nei confronti della societ�, � soggetto alla pena pecuniaria per infedelt� della propria dichiarazione (1). (omissis) Con il terzo motivo del ricorso si ripropone l'affermazione della inapplicabilit� al socio della sanzione per dichiarazione infedele, in presenza di rettifica ascrivibile esclusivamente all'erronea denuncia della societ�, e, quindi, al fatto altrui. Il motivo � infondato. In adesione a quanto ritenuto dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 125 dell'8 gennaio 1993, si rileva che il socio di societ� di persone, il quale non abbia dichiarato ai fini dell'IRPEF, per la parte di sua pertinenza, il reddito societario, nella misura risultante dalla rettifica operata dall'Amministrazione finanziaria nei confronti della societ� stessa ai fini dell'ILOR, � soggetto alla pena pecuniaria per l'infedelt� della propria denuncia, ai sensi dell'art. 46 del d.P.R. n. 600 del 1973; il principio deriva dal fatto che la societ� di persone non � soggetto passivo dell'IRPEF, mentre i suoi utili, per tale imposta, configurano in via diretta reddito imponibile del socio, sulla scorta di presuntiva percezione dei medesimi in proporzione della quota di partecipazione, e che, inoltre, l'irrogabilit� di quella pena esige soltanto la volontariet� del comportamento sanzionato, indipendentemente dalla dolosit� o colposit� della non rispondenza del reddito dichiarato rispetto a quello effettivamente percepito o da presumersi percepito. (omissis) � (1) Viene confermata l'ineccepibile statuizione di Cass. 8 gennaio 1993 n. 125, in questa Rassegna, 1993, I, 117. Sull'argomento v. BAFILE, Alcune osservazioni sulla pluralit� soggettiva e sulla societ� di persone, in Riv. dir. trib., 1993, II, 340. 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO 376 CORTE DI CASSAZIONE, sez. I, 24 giugno 1994 n. 6106 -Pres. Corda -Est. Proto -P. M. Di Salvo (diff.) -Soc. Abbondio (avv. Pontecorvo) c. Ministero delle Finanze (avv. Stato De Stefano). Tributi in genere -Sanzioni -Amministratore di persona giuridica � Responsabilit� dell'ente amministrato � Condizioni. (I. 7 gennaio 1929 n. 4, art. 12). In relazione ad un comportamento illecito dell'amministratore di una persona giuridica non pu� affermarsi in assoluto la responsabilit� solidale dell'ente a norma dell'art. 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4; tuttavia se non pu� escludersi che in ipotesi particolari possa invocarsi la interruzione del rapporto di rappresentanza, � da considerare che i rischi di un determinato comportamento dannoso ricadono normalmente sul patrimonio che beneficia dell'attivit� realizzata (1). (omissis) Con l'unico motivo del ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, anche in relazione all'art. 58 (comma quarto) del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, e vizi di motivazione. La ricorrente, mentre riconosce la responsabilit� solidale della societ� per il pagamento delle pene pecuniarie irrogate dall'Amministrazione, deduce che erroneamente e con motivazione illogica e contraddittoria la decisione impugnata ha esteso tale responsabilit� al pagamento dei tributi indebitamente rimborsati, in quanto essa dovrebbe gravare esclusivamente e personalmente sull'Agostoni, autore della violazione (gi� condannato per una serie di reati commessi con alcuni funzionari dell'ufficio iva di Milano), per avere egli agito del tutto al di fuori delle proprie attribuzioni di amministratore. 2. Il motivo � fondato. Il problema che la censura prospetta � se e in quali limiti, tenendo conto delle evenienze del caso concreto, sia riferibile alla societ� persona giuridica il comportamento dell'amministratore. La Commissione tributaria centrale l'ha risolto in senso positivo, osservando che -mentre per il diritto civile la consumazione di un reato da parte dell'amministratore che abbia dolosamente agito per i suoi fini personali spezza il nesso dell'immedesimazione organica con l'ente ed il fatto illecito �, dunque, a lui imputabile direttamente -nei rapporti tributari la responsabilit� solidale dell'ente per il fatto compiuto dal suo sottoposto, si configura indipendentemente dall'atteggiamento doloso o colposo di questi e dai fini dallo (1) Decisione importante che, rifacendosi ai principi di diritto comune supera la mai dimostrata affermazione (Cass. 27 marzo 1984 n. 2018, in questa Rassegna, 1984, I, 539) che delle sanzioni risponde soltanto l'ente con personalit� giuridica. PARTE I, SEZ. V, GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA 377 stesso perseguiti. Basandosi sul disposto dell'art. 12 della legge 7 gennaio 1929 n. 4, la decisione impugnata ha, dunque, stabilito che la societ� � Abbondio � era tenuta a rispondere di tutte le violazioni inerenti a rapporti di diritto tributario comunque commesse dal suo amministratore; ed ha respinto, �per quanto di ragione�, il ricorso. Queste statuizioni e le argomentazioni che le sorreggono non possono essere condivise, per le considerazioni che seguono. La Commissione, per un verso, ha basato la soluzione della questione sull'art. 12 della legge del 1929 (contenente norme generali per la repressione delle violazioni delle leggi finanziarie), che prevede l'obbligo �in solido� dell'ente con l'autore della violazione per il pagamento �della pena pecuniaria o della sopratassa � -che, per altro, non pi� in discussione tra le parti -ma non contempla una responsabilit� solidale (o non) per le violazioni del regime che regola l'imposta sul valore aggiunto. Per altro verso, non ha chiarito (n�, tanto meno, qualificato) i fatti che sarebbero stati commessi dall'Agostoni e imputati, per la qualifica da lui rivestita, alla societ�; qualificazione indispensabile per la soluzione della questione in relazione alla fattispecie concreta. Infatti, mentre non c'� ragione di escludere che anche nei rapporti tributari (come in altri settori dell'ordinamento), in ipotesi particolari, possa essere invocata la verificatasi interruzione del rapporto di rappresentanza, per sottrarsi alle conseguenze dell'operato del proprio organo rappresentante; � da considerare, tuttavia, che i rischi connessi ad un determinato comportamento dannoso ricadono, normalmente, sul patrimonio che beneficia dell'attivit� realizzata, e non sarebbe, quindi, sufficiente far valere nei confronti dell'ente impositore l'abuso di potere commesso dall'amministratore, per eludere obblighi direttamente riferibili alla societ�. (omissis) I I e I I I I ! I i I PARTE SECONDA QUESTIONI � SUPERATO IL PRINCIPIO DELLA GIURISDIZIONE CONDIZIONATA NEL PROCESSO TRIBUTARIO? 1. Con la sentenza n. 406/1993, la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l'art. 33, ultimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642 (disciplina della imposta�sul bollo) nella parte in cui non prevede, in materia di rimborso dell'imposta, la esperibilit� della azione giudiziaria anche in mancanza di preventivo ricorso amministrativo. Con la successiva sentenza n. 360/1994 � stata dichiarata l'illegittimit� degli artt. 38 e 40 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 640 (disciplina della imposta sugli spettacoli) in quanto non prevedono l'esperimento della azione giudiziaria anche in mancanza di un ricorso amministrativo ed impongono una decadenza in conseguenza della omissione del ricorso amministrativo. Un orientamento decisamente avverso ai ricorsi amministrativi pregiudiziali alla azione giurisdizionale� era stato recentemente manifestato con la sentenza 40/1993 nella diversa materia del contratto di trasporto sulle Ferrovie dello Stato. Nel solco di questa tendenza si colloca la motivazione delle due sentenze che, richiamando precedenti di varia natura, hanno deciso la questione senza affatto considerare il principio specifico della giurisdizione condizionata nel processo tributario. Da sempre la giurisdizione in materia di tributi, sia del giudice ordinario che del giudice speciale, � concordemente ritenuta condizionata alla preesistenza di un provvedimento amministrativo che accerta il rapporto di imposta (o un suo separabile elemento); il processo segue il provvedimento amministrativo, al quale � cronologicamente collegato con un termine di decadenza, che delimita l'oggetto della controversia (1). � infatti riservata alla Amministrazione finanziaria la prima pronuncia sulla esistenza e sulla misura della obbligazione; e il giudice, al quale compete la verifica della fondatezza della pretesa dell'ufficio, non pu� eseguire l'accertamento; per questa ragione sono improponibili innanzi al giudice le azioni preventive di mero accertamento (da ultimo Cass. 27 maggio 1994 n. 5237). La regola vale anche per le domande di rimborso di imposte pagate senza la presenza di un atto dell'ufficio; prima di proporre la domanda giurisdizionale � necessario provocare un provvedimento con la domanda di rimborso; ove l'ufficio non provveda si assume il silenzio protratto per un tempo determinato come fatto che, con una finzione, realizza la condizione della giurisdizione (2). Sul piano normativo � sempre stato esplicitamente riaffermato detto principio sia nella legislazione remota (Reg. 22 maggio 1910 n. 316 e DL. 7 agosto 1936 n. 1639), sia nella legislazione della riforma: per le imposte soggette alla giurisdizione delle commissioni sia l'art. 16 del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636, sia gli artt. 19 e 21 del D.Lgt. 31 dicembre 1992 n. 546 stabiliscono in modo chiarissimo che il ricorso alla commissione deve seguire un atto dell'ufficio o il silenzio; per le imposte soggette alla giurisdizione ordinaria ancor pi� rigorosa � la necessit� di un pregiudiziale ricorso amministrativo gerarchico (1) V. per tutti: Russo, Manuale di diritto tributario, Milano 1994, 481; FANTOZZI, Diritto tributario, Torino 1991, 541. (2) BAFILE, Sui procedimenti (amministrativi e giurisdizionali) di rimborso delle imposte, in Rass. trib., 1990, I, 1 ss. 14 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO (all'intendente di finanza) non solo nel caso del rimborso, che deve sollecitare l'emanazione di un atto non ancora esistente, ma anche in ogni altro caso in cui l'atto esiste gi�; cos� � stabilito oltre che nell'art. 33 del d.P.R. 642/1972 e nell'art. 38 del d.P.R. 640/1972, negli altri coevi decreti della riforma (n. 638 sui tributi comunali; n. 639 sull'imposta sulla pubblicit�; n. 641 sulle concessioni governative) e in altre leggi successive (art. 3 legge 24 gennaio 1978 n. 27 sulle tasse automobilistiche; art. 16 legge 29 dicembre 1990 n. 408 che ha concentrato sull'ufficio del registro le competenze per l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle sanzioni nelle imposte, diverse da quelle doganali, non soggette alla giurisdizione delle commissioni (3). A questo solido e stagionato costrutto � stato dato un serio colpo. 2. La sentenza della Corte Costituzionale n. 406 giunge inaspettata per varie ragioni, oltre che per aver ignorato la problematica specifica tributaria. Nel valutare se la tutela giurisdizionale regolata dall'art. 33 del d.P.R. n. 642 fosse � eccessivamente difficoltosa �, la sentenza non considera affatto il silenzio che, aprendo la via all'azione giudiziaria, concilia i vantaggi del ricorso amministrativo con l'esigenza di una tempestiva tutela giurisdizionale; l'art. 33, ritenuto illegittimo, stabilisce che l'azione giudiziaria pu� essere promossa qualora dalla data della presentazione del ricorso siano decorsi 180 giorni, anche prima della notificazione della decisione amministrativa. :t! poi singolare che la dichiarazione di illegitttimit� sia stata circoscritta alle controversie � in materia di rimborsi � ed anzi individuando proprio in tali controversie la ragione della illegittimit�. Al contrario se pu� apparire sovrabbondante la necessit� del preliminare ricorso amministrativo quando esiste un atto di accertamento, l'istanza amministrativa appare ineliminabile nel rimborso di imposta pagata in mancanza di accertamento per evitare che la controversia arrivi vergine innanzi al giudice che dovr� eseguire per primo l'accertamento. Resta infine una profonda differenza di disciplina rispetto al contenzioso speciale della commissione che la stessa Corte Costituzionale ha lucidamente tratteggiato (sentenze 215/1976; 63/1982; 313/1985), in parallelo con la Corte di Cassazione, come processo contro un atto (o il silenzio) nel quale sono esclu� 0 se le azioni di mero accertamento (sentenza n. 94/1991 e ordinanze n. 305/1985; 545/1987; 871/1988; 322/1992). Sicuramente in questo settore la regola della giurisdizione condizionata, tanto saldamente ribadita dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (da ultimo 5 novembre 1993 11. 10990) resta ferma. Al con~ trarlo la breccia provocata dalla sentenza n. 406 pu� allargarsi verso le norme similari delle altre imposte soggette alla giurisdizione ordinaria. Ed infatti la Corte con la sent. n. 56/1995 ha dichiarato illegittimo l'art. 12 del d.P.R. n. 641/1972 sull'imposta sulle concessioni gov�rnative. La -sentenza n, 360, oltre a ripetere le considerazioni della precedente, rileva che la norma censurata non solo subordina la tutela giurisdizionale (sia1 di impugnazione dell'accertamento. che di domanda di rimborso) al previo esperimento di ricorso amministrativo, ma statuisce la decadenza dalla azione giudiziaria ove non si sia agito in via amministrativa nei termini prescritti, s� che la .tutela giurisdizionale sarebbe non solo condizionata ma addirittura esclusa, il che � ingiustificato e c;ontrario alle regole che dominano il contenzioso tributario delle commissioni..Non .tutte le proposizioni della sentenza possono essere condivise: �il rimborso richiede naturatmente un provvedimento o il silenzio, come � nel sistema del contenzioso delle commissioni; la decadenza (triennale) dell'art. 40 � stabilita per il diritto al rimborso in qualunque sede, (3) BAFILE, Introduzione al diritto tributario, Padova 1978, 233 e 245. PARTE II, QUESTIONI come � previsto in tutte le leggi di imposta, vi sia o meno necessit� di preventivo ricorso amministrativo; lo stesso � a dirsi per il termine breve per il ricorso contro l'accertamento che � stabilito per ogni specie di impugnazione. La decadenza opera di per s� e non � la conseguenza della previsione del ricorso amministrativo. 3. � interessante, comunque, precisare l'effetto prodotto dalle due sentenze e riordinare la normativa che sopravvive alla dichiarazione di illegittimit�. � stato osservato (4) che a seguito della dichiarata illegittimit� dell'art. 33 del d.P.R. n. 642, l'esercizio della azione di rimborso in materia di imposta di bollo � ora subordinato soltanto � alla tempestiva presentazione della relativa istanza di restituzione nei termini e nei modi previsti dall'art. 37 del d.P.R. n. 642/1972 �. In verit� a questa affermazione offre un aggancio la sentenza n. 406 quando dice � inoltre, vertendosi in materia di rimborsi su accertamenti documentali, una volta che questi sono stati compiuti con esito negativo, non si profilano esigenze che possano giustificare il differimento della esperibilit� della azione giudiziaria �. Sembrerebbe dunque che si presuppone l'esistenza di un provvedimento amministrativo provocato da una istanza che sarebbe pur sempre necessariamente pregiudiziale alla domanda giudiziaria. Una tale ricostruzione, che in definitiva si concilierebbe con il principio della giurisdizione condizionata e svuoterebbe di contenuto la sentenza della Corte, non pare per� sostenibile. II ricorso amministrativo all'intendente di finanza che introduce la controversia disciplinata dal primo comma dell'art. 33 �, per l'appunto, la domanda di rimborso che � il mezzo con il .quale naturalmente nasce la controversia quando non esiste un provvedimento dell'ufficio. Come pi� chiaramente si esprimeva il Reg. 22 maggio 1910 n. 316, che � il modello di riferimento delle norme sul contenzioso dei d.P.R. del. 1972, il ricorso all'intendente pu� configurarsi come opposizione ad una pretesa gi� manifestata o come domanda di rimborso; nell'uno e nell'altro caso emerge la medesima materia del contendere (5). Ed infatti nel sistema normativo dei d.P.R. del 1972 (come del resto, per le imposte dirette, nell'art. 38 del d.P.R. n. 602/1973)1 non si trova traccia di una istanza di rimborso distinta e anteriore al ricorso gerarchico all'intendente; � previsto solo il ricorso all'intendente per chiedere il rimborso. Si dovrebbe quindi ritenere che la pronuncia di incostituzionalit� contenuta nella sentenza n. 406 sia da intendere nel senso che il rimborso possa esserei domandato direttamente con citazione innanzi al tribunale eliminando ogni preliminare amministrativo. L'affermazione, che risulta pi� chiara dalla sentenza 360, pur di grande rilievo sui principi, � �di modesta rilevanza pratica: in base alle norme censurate il ricorso all'intendente di finanza era necessariamente preliminare alla azione ordinaria che tuttavia poteva essere proposta dopo il decorso di 180 giorni dalla presentazione del ricorso; oggi sembrerebbe proponibile la azione diretta. l'innovazione non � di grande momento. 4. La normativa che residua alla dichiarazione di illegittimit� deve essere ricomposta. II ricorso amministrativo concepito come filtro alle controversie giudiziarie e , come mezzo di tutela �non costoso; specie per imposte prevalentemente di modico valore, � una istituzione civile meritevole di apprezzamento; ed infatti (4) Russo, 011. cit., 483. (5) La stessa parificazione si ritrova nell'art. 141 della legge del registro del 1923 che per decenni � stato norma cardine del contenzioso. 16 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO quel che la Corte ha ritenuto illegittimo � non il ricorso in s� ma la sua pregiudizialit� alla domanda giudiziaria. Sopravvive quindi il ricorso amministrativo come facolt� che pu� essere tuttavia in qualsiasi momento ripudiata dopo il decorso di 180 giorni; e se sono previsti termini di decadenza il ricorso amministrativo ne impedisce il compimento lasciando salva la successiva proposizione della domanda giudiziaria. Un problema si presenta sulla sopravvivenza della decadenza rispetto alla domanda giurisdizionale. La sentenza n. 406 non affronta il problema e sembrerebbe far salvo l'art. 37 del d.P.R. n. 642 che stabilisce la decadenza per l'azione di rimborso (e parallelamente la decadenza della Amministrazione per procedere all'accertamento delle violazioni). La sentenza 360 dichiara invece illegittimo l'art. 40 del d.P.R. n. 640 che prevede analoga decadenza, ma riferisce l'illegittimit� al fatto che la pregiudizialit� del ricorso amministrativo soggetto a decadenza escluderebbe la tutela giurisdizionale; sarebbe cio� illegittima la decadenza conseguente alla mancata proposizione (nel termine) del ricorso amministrativo. Non � invece esplicitamente interessato dalla dichiarazione di illegittimit� l'altro termine breve di 60 giorni previsto nell'art. 38 per il ricorso contro l'accertamento. Ora non sembra ammissibile che il termine (pi� lungo) per la domanda di rimborso sia da ritenere caducato mentre resta fermo lo stesso termine posto a carico della Amministrazione; ancor meno � pensabile che il ricorso con� tro l'accertamento (sempre soggetto ad un termine breve di decadenza) sia proponibile nei limiti della prescrizione ordinaria. Si deve pertanto ritenere che la decadenza, sia quella breve per l'impugna� zione dell'accertamento (quando � prevista) sia quella pi� lunga per la domanda di rimborso (che � sempre prevista) restino operanti rispetto alla azione ordinaria che sia direttamente proposta. 5. Quanto gi� affermato per l'imposta di bollo, l'imposta sugli spettacoli e l'imposta sulle concessioni governative verr� presumibilmente esteso alle altre imposte soggette alla giurisdizione ordinaria, sia quelle disciplinate in modo analogo dai coevi d.P.R. n. 639 (sulla pubblicit�) e n. 638 (sui tributi comunali), sia altre quali le tasse automobilistiche (art. 13 legge 24 gennaio 1978 n. 27) e le rimanenti imposte non soggette alla giurisdizione delle commissioni considerate nell'art. 16 della legge 29 dicembre 1990 n. 408. Anche per queste imposte, se le norme sul procedimento passeranno sotto la censura della Corte, dovr� restare ferma l'esperibilit� del ricorso amministrativo facoltativo e l'operativit� della decadenza. 6. Si pone per� il problema se le norme di cui si � ragionato siano ancora in �vigore. Si sostiene infatti (6) che l'art. 16 della legge n. 408/1990 avrebbe abrogato tutte le norme relative ai procedimenti contenute nelle leggi, di cui si � trattato, concernenti le imposte non soggette alla giurisdizione delle commissioni; � stato tuttavia osservato (7) che il nuovo procedimento dell'art. 16 non � utilizzabile per i rimborsi per i quali dovrebbero continuare ad applicarsi le norme originarie. Questo costrutto alquanto contorto non pare corretto. L'art. 16 della legge n. 408 trasferisce agli uffici del registro � l'accertamento delle violazioni e l'irrogazione delle soprattasse '" cio� quei poteri che l'art. 55 della legge 7 gennaio 1929 n. 4 attribuisce all'intendente di finanza; trattasi (6) Russo, op. cit., 480; FANTOZZI, op. cit., 542; PREGNI, In tema di riscossione coattiva delle tasse automobilistiche e competenza giurisdizionale nel ricorso contro il ruolo, in Riv. dir. trib. 1994, II, 443. (7) Russo, op. loc. cit. PARTE II, QUESTIONI quindi di quell'accertamento repressivo successivo che � riferito ad una pluralit� di violazioni commesse in un determinato periodo; questo tipo di accertamento sanzionatorio, particolarmente utilizzato per i tributi senza accertamento, era gi� previsto in tutte le leggi di imposta esaminate le quali richiamano la legge n. 4 del 1929. Ma ci� non esclude che sia per i ricorsi contro l'accerta~ mento ordinario, sia per le domande di rimborso, cio� per i singoli rapporti di imposta che hanno seguito l'andamento normale, debbano trovare applicazione le norme sui ricorsi amministrativi che restano in vigore (la sentenza n. 406 non ha dichiarato illegittima una norma abrogata) a disciplinare ipotesi diverse da quelle cui si riferisce l'art. 16. Per questo, come si � visto, quando esiste. un accertamento il ricorso va proposto nel termine breve di decadenza prima e indipendentemente dalla iscrizione a ruolo. Una abrogazione espressa degli artt. 19 e 20 del d.P.R. n. 638/1972 e del l'art. 24 del d.P.R. 639/1972 � contenuta nell'art. 71 del D.Lgt. n. 546/1992 sul nuovo contenzioso in conseguenza della attrazione di queste imposte nella giurisdizione delle nuove commissioni; ma la norma di abrogazione avr� effetto soltanto dall'insediamento delle nuove commissioni (art. 80). Altra abrogazione espressa si trova nell'art. 37 del D.Lgt. 15 novembre 1993 n. 507 per l'imposta sulla pubblicit�, ma anche questa norma bench� in vigore dal 1� gennaio 1994 � concepita sul presupposto dell'entrata in funzione del nuovo contenzioso come si evince dagli artt. 75 e 76. Non risultano invece abrogate le norme procedimentali dei d.P.R. nn. 640, 641 e 642/1972 e della legge n. 27/1978. Si pu� quindi conclusivamente affermare che tutte le norme sui procedimenti delle varie imposte minori non soggette alla giurisdizione delle commissioni restano in vigore con la sola innovazione che il ricorso amministrativo previsto come necessario � ora facoltativo. , 7. Le regole dei procedimenti di queste particolari imposte, secondo una linea giurisprudenziale, sono tuttavia meno resistenti di quelle delle grandi imposte: competenze, termini e forme dei procedimenti tributari vengono disinvoltamente accantonate con il qualificare le domande di rimborso una azione di indebito oggettivo proponibile innanzi al giudice ordinario competente per valore nei limiti della prescrizione ordinaria; a fondamento di questa conclusione si invoca l'inesistenza di potest� impositiva in capo alla Amministrazione (Cass. 15 ottobre 1992 n. 11266). Singolarmente per� nelle imposte maggiori, che sono quelle soggette alla giurisdizione delle commissioni, la giurisprudenza ha sempre affermato (da ultimo Cass. 23 maggio 1993 n. 5861) che l'indebito oggettivo � configurabile soltanto quando il potere impositivo non sia previsto in astratto nei confronti della generalit� dei cittadini, s� che non � a parlare di indebito oggettivo quando l'Amministrazione assuma, fondatamente o meno, come realizzate le previsioni normative e quindi pretenda una prestazione a titolo di imposta. L'indebito � quindi un concetto teorico pressoch� irrealizzabile. Non si giustifica pertanto la facilit� con la quale nelle imposte minori si fa diventare un indebito la semplice contestazione della fondatezza di una pretesa. CARLO BAFILB 18 RASSEGNA AVVOCATURA DEU.O STATO FALSE LIGHT IN THE PUBLIC EYE: luci ed ombre del percorso giuri� sprudenziale. SOMMARIO: 1. La pretesa ticipit� dei diritti della personalit� in relazione alla � privacy� e all'identit� personale; 2. Il percorso della giurisprudenza; 3. La Cassazione e il caso VERONESI; 4. segue: il fondamento normativo; 5. I problemi applicativi; 6. segue: il caso COLEll.A; 7. segue: identit� personale e rettifica; 8. I casi pi� recenti: la pornostar, il caso PCI-PDS e il caso Bossi -DAll.A CHIESA. 1. -La considerazione dell'identit� personale, nel quadro dei diritti della personalit�, costituisce un dato ormai pacificamente accolto, in dottrina ed in giurisprudenza, essendosi da tempo abbandonato quell'orientamento dottrinale che ne proponeva una spiegazione in termini essenzialmente pubblicistici, collegata ai dati anagrafici del soggetto (1). La prima compiuta elaborazione della problematica relativa all'identit� personale, nella sua corretta accezione civilistica, si deve al DE CUPIS (2), il quale parla di �un diritto della personal�t�, avente ad oggetto un bene che costi� tuisce una qualit�, un modo di essere della persona... l'essere per gli altri, uguale a s� medesimo �. Non si � mai discussa, dunque, la sussistenza dell'interesse della persona alla conservazione della propria identit�. II problema che si � invece sempre posto � se tale interesse sia anche giuridicamente rilevante e perci� normativamente protetto. E ci� a prescindere� naturalmente dal se poi tale interesse possa o meno qualificarsi come diritto soggettivo, cosa che potrebbe anche essere indifferente ai fini di un'eventuale azione risarcitoria, atteso l'ampio significato, che sempre pi� si va attribuendo alla nozione di � ingiustizia del danno�, cui la nom1a dell'art. 2043 fa riferimento(3). La dottrina che si occup� per prima del problema riconobbe la tutela� bilit�, nel nostro ordinamento, del diritto all'identit� personale, individuandone il fondamento giuridico-positivo nella normativa sul diritto di rettifica (art. 8, primo comma legge 8 febbraio 1948, n. 147) (4) ed in quella a difesa dei segni distintivi della persona (nome, pseudonimo: artt. 6-9 cod. civ.), che il giudice potrebbe estendere analogicamente, trattandosi di � specificazioni� del diritto all'identit� personale, � avente portata generale �. In tale impostazione vi era gi� la consapevolezza che la tutela dei segni di� stintivi della persona consente di individuare solo una parte della � verit� � della (1) Cos�: FALCO, voce Identit� personale, in Nuovo Dig. lt., VI, Torino, 1938. p. 649. "{2) Cfr. � DB CuP1s, I airitti della personalit�, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu� Messineo, II, Milano, 1961, p. 3 e ss. Si tratta di un'elaborazione riconducibile ad una serie di saggi precedenti, tra cui si segnalano: Identit� personale, nome; numero telefo� nico, in Foro lt., 1951, I, p. 99; La verit� nel diritto, id., 1952, IV, l?� 223 e ss.; Tutela assoluta nell'individualit� personale, id., 1955, I. 560 e ss.; Tutela giuridica contro le alte� razioni della verit�� per,son01e, id., 1956, I, p. 1384 e ss. L'espressione identit� .Personale nella sua corretta accezione civilistica si rinviene gi� in ENRmTTI,. Compendio d1 diritto privato italiano. Torino, 1946, p. 121 e ss. Vedi pure TBDBSCHI, Il diritto alla riservatezza e alla verit� storica, in Riv. dir. comm., 1957, II, p. 200 e ss. (3) Cfr. REscIGNO, Conclusioni, cit., p. 191; SCALISI, Lesione dell'identit� personale e danno non patrimoniale, in AA.VV., La les�one dell'identit� personale .. ., cit., 121 e ss.; NATOLI, Riflessioni introduttive, cit., p. 563; BIGLIAZZI GBRI, Impressioni sull'identit� personale, in Dir. inf. e inform., 1985, p. 568 e ss. Per una diffusa e completa analisi sull'ingiustizia del danno si rinvia a ALPA e DBSSONI!, Atipicit� dell'illecito, I, Milano, 1977; ALPA, Il problema dell'atipicit� dell'illecito, Napoli, 1979; e, ancora, ALPA e BBSSONI!, I fatti illeciti, in Tratt. Rescigno, 14, Torino, 1982, 74 e ss.; VISBNTINI, I fatti illeciti; I. Ingiustizia del danno. Imputabilit�, Padova, 1987; BIANCA, Diritto civile, 5. La responsabilit�, Milano, 1994, 582 " <0 (4) La soluzione del problema con riferimento all'applicazione analogica <lell'art. 8 della L. sulla Stampa � stata sostenuta dal CARNELUTTI. Dfritto alla vita vrivata. Contributo alla teoria della libert� di opinione, in Scritti giuridici in memoria di Piero Calamandrei, I, Padova, 1958, p. 137 e p. 151. PARTE II, QUESTIONI persona (5), quella, cio�, estrinseca e formale, legata alla sua distinzione materiale nell'ambito di un contesto sociale, onde l'esigenza di riconoscere al soggetto la tutela dell'interesse ad affermarsi non solo come persona, ma anche come una certa persona. Sono gli anni in cui la letteratura giuridica nord-americana, nella persona di W. L. PROSSER, propone una teorizzazione del diritto all'identit� personale assai vicina a quella sopra delineata, parlando di false light in the public eye (6). Si configura, cio�, il tort of false light come una delle quattro ipotesi di attentato alla privacy, che pu� essere violata oltre che dalla generica invasione nella vita privata altrui (intrusion), o dalla pubblicazione di fatti privati altrui (public discolosure of private facts), o dall'uso, non consentito, del nome o dell'immagine altrui (appropriation), anche dalla diffusione di notizie personali non veritiere, che danno un'immagine falsata della persona (false light in the public eye) (7). Alla privacy per� i teorici della c.d. � analisi economica del diritto � hanno attribuito un contenuto non personale, ma patrimoniale, col dichiarato intento di farne discendere la sua libera commerciabilit� (8), mentre da noi la natura personale dell'interesse protetto e la sua conseguente indisponibilit� non sono mai state poste in discussione. A parte ci�, va sottolineato comunque come la privacy sia stata intesa non soltanto come diritto di essere lasciato solo (the right to be let alone, secondo la famosa formula adottata dal giudice COOLEY, ripresa nel celebre scritto di WARREN e BRANDEIS) (9), ma come diritto della personalit�, tout court, secondo le ultime tendenze della dottrina e della giurisprudenza statunitensi (10), che sembrano poter essere accolte anche nel nostro sistema grazie alla norma costituzionale contenuta nell'art. 2 (11). La giurisprudenza italiana, sul finire degli anni '50, era invece attestata su posizioni ancora troppo rigide, mostrando di condividere l'interpretazione restrit tiva della norma costituzionale, per la quale essa conteneva una clausola cos� generale da diventare una �scatola vuota� (empty box), una norma che sol tanto in via marginale poteva offrire tutela a posizioni soggettive, ma che in realt� si prestava a manipolazioni tali da escluderne l'applicazione diretta ai rapporti tra i privati (12). Nel 1960, infatti, la Corte di Cassazione, pur proclamando solennemente l'esi genza del rispetto della � verit� personale�, contro le alterazioni e le deforma zioni della medesima ad opera di terzi, non ne faceva discendere, neppure implicitamente, la configurazione di un originale ed autonomo diritto all'identit� (5) Cosi: G. B. FERRI, Privacy e identit� personale (nota a Pret. Roma, ord. 30.4.1981 e 11.5.1981), in Riv. dir. comm., 1981, II, p. 379 e ss. (6) WILLIAM L. PROSSBR, � Privacy �, in 48 California Law Review, 1960, .P� 383 e ss. (7) V. sul punto GAMBERO, Falsa luce agli occhi del pubblico (False light in the publiceye), in Riv..dir. civ., 1981, I, p. 84 e ss.; G. B. FBRRI, Privacy e identit� personale, cit., p. 382 e ss.; RUFFINI GANOOLFI, Il diritto all'identit� personale di fronte alla Corte Suprema aegli Stati Uniti (il Tort di false light), in Riv. dir. ind., 1981, I, p. 237 e ss.; ZENo-ZENCO� VICH, Onore e reputazione .. ., cit., p. 353 e ss. L'espressione statunitense � ormai utilizzata anche dalla manualistica pi� autorevole: v. TIWIUCCHI, Istituzioni di diritto civile, Padova, 1989, p. 96. (8) Questa opinione della dottrina nord-americana � riferita da PARDOLESI, Privacy e identit� personate nell'analisi economica del diritto, in AA.VV., Il diritto all'identit� personale, l>adova, 1981, p. 175� .(9) WARREN e BRANliEIS, The right to privacy, in Harward Law Review, 1980, p. 193 e ss. (10) Cfr. EPSTEIN, A teste f�r privacy. Evolution and the emergence of a naturnlistic athic,. in The Journal of Legai Studies, 1980, p. 679. (11) Condivide tale ricostruzione del concetto di � privacy �, G. B. FERRI, op. cit., p. 385. (12) In tal senso, la dottrina: MAZZIOTTI, Diritto all'immar;ine e Costituzione, in Giur. Cast., 1970, p. 1536; GROSSI, Introduzione ad uno studio sm diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Padova 1972, p. 159. 40 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO personale (13). Nella stessa pronuncia, del resto, la Suprema Corte si dichiarava ancora ferma nel misconoscimento di un generale diritto alla riservatezza, che non sembrava trovare alcun supporto normativo, non solo nel dettato costitu� zionale, ma neppure nella legislazione ordinaria. La decisione era evidentemente fondata sulla concezione c.d. atomistica dei diritti della personalit�, che afferma l'esistenza di tanti diritti, quanti sono gli aspetti della personalit� umana, presi espressamente in considerazione dal legislatore, e tutelati (c.d. numerus clausus dei diritti della personalit�), col conseguente misconoscimento della tutela di quegli interessi della persona non corrispondenti ad alcuna delle tipizzazioni normative. Tra i teorici della tipicit� vi era poi chi considerava solo le ipotesi previste dalla Costituzione (art. 4, 13-19, 21 e ss., 32 e 35) (14), e chi invece considerava rilevante anche le ipotesi previste dal codice civile (diritto al nome e allo pseudonimo e diritto all'immagine: artt. 6-10) ammettendosi tuttavia il ricorso al procedimento analogico per garantire la tutelabilit� di �nuovi � diritti, non tipizzati (15). Entrambe le versioni della c.d. tesi atomistica negano comunque l'unitariet� del valore giuridico �persona �, riconoscendo la tutela dei soli diritti soggettivi della persona espressamente riconosciuti. Ed entrambe � svalutano � perci� la norma dell'art. 2 Cost. a norma di carattere meramente programmatico, irrilevante come tale nei rapporti intersoggettivi, senza la mediazione di esplicite previsioni del legislatore ordinario (16). La norma in parola conterrebbe una for. mula meramente riepilogativa e riassuntiva, in cui il riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo espliciterebbe un � rinvio � a quelli successivamente e singolarmente riconosciuti nel testo costituzionale o anche nel codice civile. L'interpretazione restrittiva dell'art. 2 Cost. fu, tuttavia, ben presto � rinnegata � dalla stessa giurisprudenza. Infatti, nel 1963, sulla scorta di un'autorevole dottrina (17), la Corte di Cassazione, con un'improvvisa inversione di tendenza, accolse esplicitamente la concezione c.d. monistica, e cio� la tesi di un unico generale diritto della personalit�, specificantesi in molteplici aspetti (18), considerando la disposizione de qua come norma di � apertura � ad altre libert� e ad altri valori della persona, non espressamente tutelati nel testo costituzionale (19). La Suprema Corte, nel caso sottoposto al suo esame, riconobbe sostanzialmente, anche se in modo indiretto, l'esistenza del diritto alla riservatezza, individuandone il referente normativo nei principi costituzionali di tutela della personalit� umana (di cui agli artt. 2 e 3, 2� comma). 113) Cass. 7 dicembre 1960, n. 3199, in Foro it., 1961, I, p. 43, con osservazioni del DE CUPIS. (14) Cfr. PUGLIESE, Il preteso diritto alla riservatezza e le indiscrezioni cinematografiche, in Foro lt., 1954, I, p. 118, dove l'argomento � utilizzato per negare l'esistenza del diritto alla riservatezza; PUGLIATTI, La trascrizione, in Tratt. dir. civ. e comm., Cicu-Messineo, Milano, 1957, p. 12 e ss. La tesi ha avuto in tempi pi� recenti l'adesione di RBscIGNO, Diritti civili e diritto privato, in Attualit� e attuazione della Costituzione, Bari, 1979, p. 232 e ss.: l'autorevole studioso ritiene che l'espressione � diritti inviolabili significa pur sempre diritti positiva� mente fermati nel sistema nel catalogo che il legislatore costituente ha disegnato �. Nello stesso senso, v. pure CERRI, La Costituzione ed il diritto privato, in Trattato Rescigno, 21, 1987, p. 62. (15) Cfr. DE CUPIS, I diritti della personalit�, op. cit., 3 e ss. (16) Cfr. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legislazione costituzionale, op. cit., p. 360. (17) CARNBLUTTI, Il diritto alla vita privata, in Riv. trim. dir. pubbl., 1955, 6 e ss.; GIAMPICCOLO, La tutela giuridica della persona umana e il cd. diritto alla riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1958, p. 458. g noto l'iriflusso che su tale dottrina esercit� una decisione del � Bundsgerichtshof � del 1954, che configur� l'esistenza di un � diritto generale della personalit� �, con riferi� mento agli artt. 1 e 2 della Costituzione tedesca. Per un precedente, nella dottrina tedesca, v. GmRI<E, Deutsches Privatrecht; I, LeiJ?zig, 1985, p. 765. (18) Cass. 20 aprile 1963, n. 990, m Foro It., 1963, I, 1298. Nella stessa direzione, Cass. 27 maggio 1975, n. 2129, in Foro It., 1976, I, p. 2895. (19) BARBERA, in Comm. alla Cost., sub. art. 2, Bologna-Roma, 1975, p. 80 o ss. PARTE II, QUESTIONI 41 La sentenza fu tuttavia subito criticata dalla dottrina, ancora in prevalenza schierata a favore della teoria pluralistica dei diritti della personalit�. Tale dottrina, infatti, nei suoi primi commenti, in coerenza con i presupposti dogmatici da cui muoveva, contest� l'esistenza di un generale diritto della personalit� e sostenne l'esigenza del ricorso al procedimento analogico, ritenuto idoneo sulla scorta delle norme specifiche in materia al fine di riconoscere la ammissibilit� del diritto alla riservatezza nel nostro ordinamento (20). Il livello piuttosto raffinato del dibattito dottrinale che ne scatur� (21) non trov� tuttavia grande risonanza nella giurisprudenza. Solo infatti negli anni 70, la Suprema Corte chiamata in diverse occasioni a pronunciarsi in materia, ha riconosciuto in modo esplicito e definitivo l'ammissibilit� della tutela di un autonomo diritto alla riservatezza. Molto pi� recente � invece il riconoscimento giurisprudenziale del c.d. diritto all'identit� personale, che esprime l'esigenza del soggetto di apparire all'esterno come portatore dei principi morali, sociali e politici nei quali si riconosce (22). Nel riconoscimento del diritto all'identit� personale, in raffronto al precedente riconoscimento del diritto alla riservatezza, la dottrina pi� autorevole ha correttamente ravvisato � un progresso ulteriore, addirittura un salto, nel senso che dalla protezione dell'isolamento, dal riserbo, dalla difesa dalle altrui curiosit� si passa alla tutela della persona in una dimensione attiva, nella esplicazione di capacit�, attitudini, scelte di vita� (23). 2. -Il riconoscimento giurisprudenziale dell'esistenza di un diritto all'identit� personale ha seguito un cammino pi� lento e complesso approdando, soltanto nel 1985, all'imprimatur della Corte di Cassazione (24), a poco pi� di un decennio dalla prima pronuncia, in subiecta materia, della magistratura pretorile romana (25). Il � leading case � viene, infatti, comunemente individuato nell'ordinanza della Pretura di Roma, del 6 maggio 1974 (26), in cui viene solennemente riconosciuto � il diritto di ciascuno a non vedersi disconosciuta la paternit� delle proprie azioni,_(...), e soprattutto, a non sentirsi attribuire la paternit� di azioni non (20) Cfr. DE CUPIS, in Foro lt., 1963, I, p. 1298; PUGLIESE, Il diritto alla riservatezza nel quadro dei diritti della personalit�, in Riv. dir. civ., 1963, I, p. 605. Per il RllscIGNO era da respingere � il suggerimento di legare la base positiva del diritto alla riservatezza ( ... ) all'art. 2 Cost., poich� il centro di gravit� della norma sta nella garanzia delle particolari comunit� intermedie, in quanto servano allo svolgimento della persona�: Il diritto all'intimit� della vita privata, in �Atti del III Simposio di dir. proc. pen �, Milano, 1970, p. 126. (21) PUGLIESE, Aspetti civilistici della tutela dei diritti della personalit� nel nostro ordinamento, in �Alcuni l?roblemi sui diritti della personalit��, Milano, 1964, p. 3 e ss.; RllsCIGNO, Il diritto all'intimit� della vita privata, cit., p. 58 e ss.; GIORGIANNI, La tutela della riservatezza, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1970, I, p. 78 e ss. 22) Cfr. Nrno, Vicende giurisprudenziali del diritto all'identit� personale, in Riv. crit. dir. priv., 1983, p. 665 e ss. Per un panorama completo del percorso dottrinale e giurisprudenziale, v. ZENO ZENCOVICH, Identit� personale, in Digesto civ., Torino, 1993, IX, 294 e ss. (23) RllSCIGNO, Conclusioni, in ALPA-BESSONE-BONESCHI (a cura di), �Il diritto all'identit� personale �, Padova, 1981, p. 188. (24) Cass. 22 giu$UO 1985, n. 3769, in Giust. civ., 1985, I, 3049 con nota di MACIOCE (L'identit� personale tn Cassazione: un punto di arrivo e un punto di partenza) e di DOGLIOTTI (Il diritto all'identit� personale approda in Cassazione): in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, p. 647, con nota di ZENO ZENCOVICH. Per una chiara e_ puntuale ricostruzione dell'intera Eroblematica, cfr. VARRONE, Manuale di diritto d'autore, Napoli, 1989, 235 e ss. (25) Per un panorama della giurisprudenza di merito in argomento, cfr. NIRO, op. cit.; GIACOBBE, L'identit�_personale tra dottrina e giurisprudenza. Diritto sostanziale e strumenti di tutela, in AA.VV., La lesione dell'identit� personale ... , cit., 19 e ss.; MACIOCE, Tutela civile della persona e identit� personale, Padova, 1984, p. 173 e ss. (26) In Giur. It., 1975, I, 2, p. 514 e ss., con nota di D'ANGELO (�Lesione dell'identit� personale e tutela riparatoria�); v. pure in Giur. merito, 1975, I, 246 e ss. con nota di FAJELLA (Diritto all'identit� personale e misure privatistiche di tutela). 42 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO proprie, e non vedersi, cio�, travisare la propria personalit� individuale �. La pronuncia, giova ricordarlo, era stata sollecitata a seguito -della riproduzione, su di un manifesto per la propaganda antidivorzista, di un uomo ed una donna, che apparivano come agricoltori (mentre non lo erano), come coniugi (mentre non lo erano), e, quel che pi� conta, come favorevoli all'abrogazione della legge sul divorzio, mentre essi si dichiaravano convinti fautori dell'i� stituto. Il principio espresso nel provvedimento appena citato venne poi sviluppato, a tutela dell'immagine sociale, non di una persona fisica, ma di un raggruppamento politico, nell'ordinanza della Pretura di Roma, del 7 maggio 1974 (27). Pur non parlando esplicitamente di diritto all'ilientit� personale, il giudice ritenne, in quell'occasione, di poter accordare la tutela cautelare, a difesa dell'identit� politica di un partito (il P.C.I.) al quale erano stati attribuiti -mediante l'utilizzazione di espressioni subdolamente estrapolate dai discorsi di un suo leader (Palmiro Togliatti) -orientamenti in contrasto con la linea politica da esso costantemente seguita (rivolta, in quella circostanza, ad ottenere il mantenimento della legge sul divorzio). Ci� in base all'assunto. che � deve ritenersi scorretta e pregiudizievole la riproduzione, volutamente incompleta, di frasi, quando la incompletezza ne stravolge il significato �. Un altro significativo riconoscimento della tutelabilit�, nel nostro ordinamento, della delineata situazione soggettiva si rinviene nell'ordinanza della Pretura di Torino, del 30 maggio 1979 (28), che accolse il ricorso del leader radicale Marco Pannella, il quale lamentava la lesione della sua identit� politica conseguente alla distribuzione di un volantino elettorale recante l'affem1azione (poi rivelatasi falsa) che il noto uomo politico sarebbe stato, in passato, candidato nelle liste di una formazione politica di orientamento assai diverso da quello da lui attualmente propugnato. Un'affermazione esplicita che il soggetto �ha diritto a che venga rispet tata �la sua identit� personale, anche sotto il profilo della identit� politica � � contenuta nell'ordinanza della Pretura di Roma, del 30 maggio 1980 (29), che ac colse la richiesta di provvedimenti urgenti avanzata da un medico. Costui si riteneva leso dalla utilizzazione di un'intervista, da lui rilasciata, sulla grave deficienza delle strutture ospedaliere, per la propaganda elettorale di un partito (MSI) di orientamento opposto a quello del quale il ricorrente era mili tante. Una maggiore elaborazione della situazione giuridica in esame si riscontra nelle due ordinanze della Pretura di Roma, in data 2 giugno 1980 (30). Un parla mentare radicale lamentava la lesione del diritto all'identit� politica, propria e del partito rappresentato, in conseguenza della pubblicazione, su due quoti� diani nazionali, di articoli che prospettavano la collusione con altra forza politica al fine di ostacolare la concessione dell'autorizzazione a procedere in giudizio contro alcuni parlamentari ed affermavano (contrariamente al vero) il successo della presunta manovra dilatoria. La tutela cautelare venne ricono sciuta, in una sola delle citate ordinanze, in quanto � sembra al giudicante che possa essere ormai considerato acquisito dalla giurisprudenza, e sufficiente mente elaborato dalla dottrina, l'orientamento secondo il quale il vigente {27) In Foro It., 1974, I, p. 3227. {28) In Foro It., 1980, I, p. 2079, con nota di PIZZORUSSO; in Giust.. civ., 1980, I, p. 965, con nota di D�GUOTTI {Tutela dell'onore, identit� personale e questioni di compatibilit�). (29) In. Foro [(., 1980, I, p. 2048, con nota di PAROOLESI; in Giur. merito, 1981, p. 1264, con nota di FIGONE (Tutela dell'identit� personale e nuove pr.ospettive in tema di diritto all'immagine). (30) In Foro It. 1980, I, p. 2046, con nota di PARDOLEsr; in Giur. merito, 1981, p. 1264, con nota di FIGONE (cit. nota prec.); in Giust. civ., 1981, I, 218, con nota di FIORI, Art. 700 c.p.c.: utilit� e incertezze. ! I I PARTE II, QUESTJONI 41 ordinamento giuridico riconosce -nell'ambito della pi� generale e complessa categoria dei diritti della personalit� -il diritto all'identit� personale, inteso come proiezione della immagine -lato sensu individuata -della persona, in riferimento alla sua collocazione nel contesto delle relazioni sociali �. Questa pronuncia si presenta di particolare interesse perch� correttamente individua il fondamento normativo del diritto nel � combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost. � (31). A fronte di tali pronunce, anche la dottrina pi� recente ha cominciato ad affrontare in modo pi� approfondito, la questione, l'interesse per la quale � attestato da due convegni in subiecta materia, succedutisi a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, nel 1980 (32). Il dibattito ha condotto ad un quasi generale riconoscimento della tutelabilit� della situazione soggettiva de qua, sottolineandosene la natura di diritto quasi di esclusiva creazione giurisprudenziale (BESSONE, VISINTINI, ZArn), che tutela l'esigenza del soggetto di apparire all'esterno come portatore dei principi morali, sociali e politici nei quali si riconosce (ALPA) (33). Una parte della dottrina, in verit�, disconosce alla giurisprudenza pretorile � d'urgenza � questa funzione determinante nella elaborazione di categorie giuridiche di diritto sostanziale (34).. E ci� sembra difficile da contestare se si considera che la procedura cautelare atipica di cui all'art. 700 c.p.c. si fonda su un accertamento sommario, nei cui confini il potere di qualificazione della fattispecie risulta necessariamente limitato. Qualche commentatore ha impropriamente evocato il principio � judge made law � del diritto anglosassone. Ma in realt� �l'elaborazione giurisprudenziale che pur di volta in volta individua nuovi aspetti della persona rilevanti .sotto il profilo della tutela giuridica non fa che svolgere, nel rispetto del principio di legalit�, una funzione di attuazione e di specificazione del dettato normativo a rilevanza costituzionale � (35). Senonch� l'indirizzo pretorile trova conferma in alcune pronunce del Tribunale di Roma (36) ed ha il significativo avallo della Corte di Cassazione (37). Il caso all'esame della Suprema Corte � ben noto. Sulla stampa periodica era apparso un inserto pubblicitario di una marca di sigarette, che ri (31) Sull'applicazione diretta delle norme costituzionali, v. PERLINGIERI, Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Rass. dir. civ., 1980, p. 95 e ss. La dottrina assolutamente prevaiente fonda l'identit� personaie sull'art. 2 Cost.: v. ZATTI, Il diritto all'identit� personale e l'applicazione diretta dell'art. 2 della Costituzione, in � Il diritto ail'identit� pi:rsonale �, cit., J>. 54 e ss.; B~ssoNE, Problemi e questioni de~ diritto all'identit� personale, lVl, p. 23 e ss.; SCALISI, op. cit., p. 125 e ss.; NATOLI, op. cit., 563 e ss.; BIGLIAZZI GERI, op. cit.1 p. 572 e ss. MASTROPAOLO, Identit� personale e manifestazione del pensiero. Strumenti ai tutela, in Dir. inf. e inform., 1985, p. 583 e ss. (32) Si tratta del Seminario � I cittadini e il diritto all'identit� personaie �, svoltosi a Genova, il 21 e 22.3.1980, i cui atti sono J>Ubblicati in ALPA-BEssoNE-BONESCHI, Il diritto all'identit� personale, Padova, 1981; e del Convegno � L'informazione ed i diritti della personaiit� quaie tutela �, svoltosi a Roma, il 3-4-5 ottobre 1981. (33) Cfr. DoGLIOTTI, Un nuovo diritto: all'identit� personale, cit., p. 145 e ss. L'Autore ritiene � sostanzialmente esatta la definizione del dintto in questione come diritto giurisprudenziale �: in Violazione o abuso del diritto all'identit� personale?, nota a Pret. Roina, 11.5.1981, in Giust. civ., 1982, 826. Rivendica, invece, giustamente la paternit� della costruzione il DE CUPis, Bilancio di un'esperienza: il diritto all'identit� personale, in AA.VV., �La lesione dell'identit� perso nale ... �, cit., p. 189 e ss. Riconosce tale paternit� creativa il MACIOCE, L'identit� personalein Cassazione ... , cit., p. 3056, e, indirettamente, Cass. n. 3769/1985, nella parte in cw afferina la genesi dottrinale del diritto in parola. (34) In tal senso: VERDE, Considerazioni sul procedimento d'urgenw: come ~ e come si vorrebbe che fosse, in � I processi speciali: studi offerti a V. Andrioli dai suoi allievi�, Napoli, 1979, p. 409 e ss. Per una posizione pi� moderata, v. LA CHINA, Quale futuro per i provvedimenti d'urgenza? �, ivi, p. 151 e ss. � (35) Cosi, esattamente: PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalit� costituzionale, op. cit., p. 362. (36) Trib. Roma 10 marzo 1982, in Foro It., 1982, I, 1405; Trib. Roma 27 marzo 1984, in Foro It., 1984, I, p. 1687, con nota di PARDOLESI. (37) Cass. 22 giugno 1985, n. 3679, cit. 15 44 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO chiamava il parere di un illustre medico, il prof. Veronesi, direttore dell'istituto nazionale per la lotta ai tumori, circa la minore pericolosit� di tale tipo di sigarette. Il fatto aveva determinato una subdola distorsione dell'immagine dell'illustre medico, notoriamente antitabagista. Dalla lettura della motivazione di tale importante decisione traspare una serie di problemi che la Suprema Corte si � dato carico di risolvere, nel tentativo di fornire una ricostruzione esauriente di questo � nuovo � diritto della personalit�. Si allude principalmente al problema della definizione della situazione giu� ridica tutelata e al rapporto con gli altri diritti fondamentali; al problema del suo fondamento normativo, collegato alla diversa interpretazione proposta dall'art. 2 Cost.; ed infine, e soprattutto, al problema del rapporto fra tale tutela e la libert� di manifestazione del pensiero, garantita dall'art. 21 Cost. 3. -La definizione del diritto all'identit� personale (38) contenuta nella sentenza della Suprema Corte ha senz'altro il pregio della compiutezza, anche perch� riprende e sviluppa le conclusioni cui erano gi� pervenute la giurisprudenza di merito e la dottrina pi� accreditata. Si spiega che �ciascun soggetto ha interesse ... di essere rappresentato, nella vita di relazione, con la sua vera identit�, cos� come questa nella realt� sociale, generale o particolare, � conosciuta o poteva essere conosciuta con l'applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva; ha cio� interesse a . non vedersi all'esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale ecc. quale si era estrinsecato ed appariva in base a circostanze concrete ed univoche, destinato ad estrinsecarsi nell'ambiente sociale �. Emerge con chiarezza, e ci� era stato gi� evidenziato dalla giurisprudenza di merito (39), che il soggetto preso in considerazione non � l'uomo come individuo, ma come artefice di rapporti sociali, poich� � in tale dimensione che la sua immagine viene recepita dalla collettivit�. Si evidenzia cos� il primo carattere dell'identit� personale, ovverossia la sua � esteriorit��, poich� ci� che caratterizza il soggetto � l'essere partecipe di rapporti sociali. Ne discende che la lesione di tale interesse potr� avvenire solo attraverso un mezzo di comunicazione che alteri, nei consociati, la loro percezione della persona (ed infatti, nei casi venuti all'esame dei giudici, l'illecito � commesso ora con un volantino, ora mediante una trasmissione televisiva .o un inserto pubblicitario) (40). Risulta cos� confermato l'insegnamento del GIAMPICCOLO, il quale nel 1958 spiegava che � la tutela giuridica non � e non pu� essere riferita all'individuq per s� preso, ma all'homo sociabilis � (41). (38) La giurisprudenza parla di un vero e proprio diritto so15gettivo. In senso con� trarlo, in dottrina, MACIOCE, op. ult. cit., p. 4. Ritengono invece mdifferente ai fini dell'azione risarcitoria che tale interesse si qualifichi o meno come diritto soggettivo, gli I Autori indicati alla nota 14. (39) Cfr. Pret. Roma, ord. 2 giugno 1980, cit.; Trib. Roma 27 marzo 1984, in Giur. It., 1985, I, 2, 16, con nota di DoGLIOTTI: Trib. Roma, 15 settembre 1984, in Foro lt., 1984, I, I p. 2592; Trib. Roma, 7 novembre 1984, in Dir. inf. e inform., 1985, p. 215, con nota di RICCIUTO. (40) Cfr. ZENO ZENCOVICH, nota a Cass. 22 giugno 1985, n. 3769, in Nuova giur. civ. comm., I 1985, I, p. 654 e ss.; IANNOLO-VERGA, Il diritto all'identit� personale, in Nuova giur. civ. I .comm., 1987, II, p. 435 e ss. (41) GIAMPICCOLO, op. cit., p. 471. Con precisione lo SCALISI, op. che � occorre privilegiare ( ... ) una dimensione dell'identit� che pubblica, ma sociale �, che cio� � per determinare l'identit� della non dal 'basso', e neppure dall"alto', ma -se cos� si pu� dire cit., p. 121, ha spiegato non sia n� privata, n� I persona bisogna partire dal 'centro' ossia dalla I I! I I I I I I PARTE II, QUESTIONI 4J Altro aspetto dell'identit� personale evidenziato dalla Cassazione, sempre sulle orme della precedente giurisprudenza di merito, � la sua � soggettivit� �, nel senso che oggetto della tutela non � quel che il soggetto crede di .essere, ma quel che il soggetto risulta essere, cosi come la sua immagine si � esteriorizzata e oggettivata, e cio� � cos� come questa nella realt� sociale, generale o particolare � conosciuta o poteva essere conosciuta con l'applicazione dei criteri della normale diligenza e della buona fede soggettiva� (42). La Cassazione ha confermato inoltre l'orientamento secondo cui la titolarit� del diritto spetta anche alle persone giuridiche, in quanto anche queste ultime sono portatrici di una immagine sociale (43). 4. -Quanto al fondamento normativo del diritto all'identit� personale, la Cassazione ha escluso che esso possa rinvenirsi nelle norme degli artt. 1 e 10 e.e. (poste rispettivamente a tutela del nome e dell'immagine) o in quella dell'art. 8 co. I della legge sulla stampa (8 febbraio 1947, n. 147), sul diritto di rettifica. La Suprema Corte ha fatto espresso riferimento alla norma costituzionale dell'art. 2, che non avrebbe � una funzione meramente riassuntiva dei diritti espressamente tutelati nel testo costituzionale o anche di quelli inerenti alla persona umana previsti nel codice civile �. Per la Cassazione, l'art. 2 " costituisce una clausola aperta e generale di tutela del libero ed integrale svolgimento della persona umana ed � idonea in conseguenza ad abbracciare nel suo ambito nuovi interessi emergenti della persona umana �. Tuttavia, la Suprema Corte non trae da questa lettura � aperta � della norma quella che appare a molti una conclusione obbligata: l'esistenza di un unico diritto della personalit�. L'adesione alla teoria pluralistica dei diritti della personalit� costituisce allora la principale contraddizione cui � incorsa la Cassazione, data l'incoerenza della conclusione rispetto alle premesse da cui muove (44). Ma ancora pi� contraddittoria � quella parte della motivazione in cui si afferma che � pur riconducendosi all'art. 2, il diritto soggettivo all'identit� personale non si inserisce tra i diritti costituzionalmente garantiti, essendo tali soltanto quelli specificamente previsti dalle successive norme della Costituzione. La sua regolamentazione va dedotta, per analogia, da una disciplina prevista per il diritto al nome (art. 1 e.e.), essendo tale figura la pi� affine al diritto all'identit� persona�. La sentenza in parola � dunque senz'altro censurabile, perch� finisce con l'assegnare all'art. 2 Cost. la inutile funzione di attribuire rilevanza costituzionale ai soli diritti della persona tipizzati dalla stessa Costituzione, che di tale garanzia gi� godono per il fatto stesso di essere da essa espressamente previsti. societ�, dalla comunit�, cio�, nell'ambito della quale l'individuo opera e svolge la propriapersonalit� �. (42) Cass. 22 giugno 1985, n. 3769, cit. (43) Critica questo orientamento, con grande chiarezza, VARRONB, Manuale di diritto d'autore, op. cit, p. 237, in ~uanto la norma costituzionale dell'art. 2 �per il fatto che tutela i diritti inviolabili dell uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali, non sembra avere tra i suoi diretti destinatari anche le persone giuridiche �. La magistratura pretorile ha invece riconosciuto che anche gli enti giuridici non personificati potessero essere titolati di un diritto all'identit� personale: cfr. Pret. Roma, ord. 2.6.1980 e 11.5.1981, cit., e Pret. Verona, 21,12.1982, in Foro lt., 1983, I, 462 e ss. con nota di RoPPo. In tal senso, in dottrina: GIACOBBE, In tema di elaborazione giurispruden ziale del diritto all'identit� personale dei gruppi organizzati, in Giust. civ., 1980, Il, p. 266 e ss.; e, pi� recentemente, SATURNO, Il diritto all'identit� personale: evoluzione dottrinale e modelli giurisP.rudenziali, in Rass. dir. civ., 1987, p. 718 e ss. (44) Lo nlevano: DoGLIOTTI, Il diritto all'identit� personale approda in Cassazione, nota a Cass. 22 giugno 1988, n. 3769, in Giust. civ., 1985 I, p. 3064 e ss.; ZENO ZENCOVICH, op. cit., p. 655 e ss. 46 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Il richiamo poi all'estensione analogica dell'art., 7 e.e. rende privo di significato il riferimento all'art. 2 Cost., anche perch� non si spiega come si possa fondare l'identit� personale su tale norma costituzionale e poi disconoscere alla situazione soggettiva rilevanza costituzionale, quasi come se l'art. 2 non fosse compreso nel testo costituzionale (45). Si appalesa dunque fuorviante il riferimento all'estensione analogica dell'art. 7, poich� era gi� sufficiente il richiamo all'art. 2 Cost., per affermare che la lesione dell'identit� personale consente al soggetto di ottenere tutela giurisdizionale, attraverso l'ordine di cessazione del fatto lesivo, il risarcimento del danno anche in forma specifica, l'ordine di pubblicazione della sentenza (46). L'atteggiamento della Cassazione � forse spiegabile, anche se non giustificabile. :S probabile che essa sia stata condizionata dall'orientamento seguito dalla Corte Costituzionale, che aveva in precedenza quasi sempre negato la possibilit� di ricondurre nuove categorie di diritti della persona direttamente alla normativa costituzionale. Il tema era stato infatti affrontato in modo specifico dalla Corte Costituzionale, con sent. 1 agosto 1979, n. 98, che aveva sostanzialmente negato l'esistenza di un diritto all'identit� personale, ritenendo che � l'invocato art. 2 Cost., nel riconoscere i diritti inviolabili dell'uomo, che costituiscono patrimonio irretrattabile della sua personalit�, deve essere ricollegato alle norme costituzionali concernenti singoli diritti e garanzie fondamentali� (47). Ecco forse spiegata la ragione per cui la Cassazione non ha tratto, dalla lettura �aperta � della norma costituzionale dell'art. 2, tutte le logiche conseguenze, cadendo nella accennata contraddizione. :� tale incoerenza risulta oggi amplificata alla luce del pi� recente indirizzo della Corte Costituzionale sul valore dell'art. 2 Cost. Con due pi� recenti decisioni (sentenze n. 561 del 1987 e n. 404 del 1988), riguardanti rispettivamente il diritto alla libert� sessuale ed il diritto all'abitazione, la Consulta ha infatti ribadito il suo precedente orientamento, riconoscendo che l'art. 2 conterrebbe una norma � a fattispecie aperta'" idonea a recepire le nuove esigenze di tutela della persona emergenti nella societ� e, perci� a conferire agli interessi sottesi la dignit� di �nuovi� diritti costituzionali (48). Ne consegue allora che se si fonda l'identit� personale sulla norma dell'art. 2 Cost. non si pu� poi disconoscere la sua natura di diritto costituzionale � inviolabile �. Ed accogliendo la tesi, comunemente seguita dalla dottrina costituzio nalistica (49) e dalla Corte Costituzionale (50), secondo cui i diritti definiti �in (45) Sul punto, cfr. ancora DOGLIOTTI, op. ult. cit., p. 3065. Nega fondamento costituzionale all'identit� personale, Fo1s, Questioni sul fondamento costituzionale del diritto all'identit� personale, in Al2A, BESsoNB BoNBscm CAIAZZA, L'informazione e i diritti della persona. Napoli, 1983, p. 155. (46) Cfr. MACIOCE, L'identit� personale approda in Cassazione: un punto di arrivo e un punto di partenza, nota a Cass. ~2.6.1~85 n. 3769, in Giust. civ., 1985, I, p. 3056. (47) C. Cost. 1.8.1979, n. 98, m Gzur. Cost., 1979, p. 719, con nota di BARTOLE, Transessualismo e diritti inviolabili dell'uomo. (48) C. Cost. 18.12.1987, n. 561, in Giur. Cost. 1987, I, p. 3535, con nota di VIruCCI; -C. Cost. 7.4.1988, n. 404i in Giur. It., 1988, I, 1, p. 1627, con nota di TRABuccm. (49) Cfr. MoRTATI, stituzioni di diritto pubblico, II, Padova, 1964, _p. 153 e ss.; BARILE e DB SIBRvo, Revisione della Costituzione, in e Noviss. dig. it. �, XV, Torino, 1968, p. 773 e ss. (spec. 781 e ss.). (50) C. Cost. n. 1146/1988. �PARTE II, QUESTIONI 47 violabili� dall'art. 2 sarebbero sottratti al procedimento di revisione costituzionale, si dovrebbe giungere all'ulteriore conclusione della identit� personale come diritto costituzionale � irrivedibile � ai sensi dell'art. 2 Cost. (51). 5 -La Cassazione non ha dunque risolto adeguatamente i problemi che la tutela dell'identit� personale poneva e la dottrina pi� attenta non ha certo mancato di sottolinearlo. Gi� prima che la Cassazione prendesse posizione sul problema, un autorevole studioso aveva infatti contestato lo stesso concetto di identit� personale (52). Egli faceva notare che non potendo coincidere con l'immagine che di s� d� l'individuo, essa dovrebbe necessariamente consistere nell'immagine che dell'individuo ha la societ�. � Ma non vi saranno mai due soggetti che vedono la persona allo stesso modo, sicch� l'unit� della persona nella immagine che gli altri si formario non avr� mai i medesimi caratteri e si dissolve nel nulla�. E se. anche fosse stato possibile delineare un'immagine sociale con un certo grado di oggettivit�, ci sarebbe poi sempre l'ostacolo delle molteplicit� dei contesti sociali della famiglia, dell'ambiente di lavoro del raggruppamento politico, e cosi via, � a far arrestare nella molteplicit� ogni itinerario sociale di unificazione �. Se ne desumeva che � la identit� personale pu� essere soltanto formale (nome, immagine, fisionomia, tratti sequalitici) e non anche sostanziale �. Anche perch� altrimenti avrebbe dovuto essere tutelata pure l'immagine sociale del delinquente sanguinario cui si attribuisca, contrariamente al vero, un atto di bont�, o quella dell'eversivo cui si attribuisca il fatto non vero di essersi pentito. Di recente, si � poi contestata la autonomia della situazione giuridica protetta, sostenendosi che l'identit� personale altro non rappresenterebbe che � il nome civilistico del diritto all'onore ed alla reputazione, termini che sono rimasti appannaggio del lessico penalistico � (53). La moltiplicazione dei casi di falsa luce � stata conseguentemente spiegata come �una reazione alla cappa opprimente imposta per molti anni alla tutela della reputazione�, dovuta alla crescente importanza della libert� di stampa nella nostra societ�, che faceva apparire eccessivo il rimedio penalistico (54). Cosicch� mentre � un tempo la reazione normale di coloro che si sentivano offesi nella propria reputazione consisteva nel far sapere che minacciavano querela 'a carico dei diffamatori�, oggi � questa tattica si usa ancora, ma accanto ad essa ne � sorta un'altra che vede il diffamato sottolineare la propria indignazione per la notizia che lo ha offeso con la dichiarazione, che intende chiedere i danni �, la cui misura non ha nulla a che fare con il pregiudizio sofferto, esprimendo piuttosto la dimensione dell'indignazione suscitata. Per far capire al pubblico che si � fortemente risentiti per l'affermazione lesiva si chiede una cifra �astronomica�, avendo premura di specificare (�con tocco � (51) Per una puntuale critica della tesi dominante, v. PACE, La gai'anzia dei diritti fondamentali .nell'ordinamento costituzionale italiano: il ruolo del legislatore e dei giudici comuni, in Riv. trim. dir. proc. civ., settembre 1989, Jl� 688 e ss., nota 4 . . (52) FALZEA, Identit� personale: motivi di perplessit�, cit., p. 88 e ss. (53) Cosi, GAMBARO, Ancora in tema di falsa luce agli occhi del pubblico, in Quadrimestre, 1988, p. 312. Ma vedi sul punto ZENO-ZENCOVICH, Onore e reputazione ... , cit., p. 362 e ss. (54) GAMBARO, op. ult. cit., p. 308. 48 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO patetico�) che essa sar� per intero devoluta a scopi di beneficenza, a conferma del fatto che all'attore non interessa il risarcimento monetario in s�, ma � una pena per l'aggressore � (55). 6. -Che tale preoccupazione sia fondata sembra dimostrato dalla sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma nella ormai famosa causa Colella e/Ministero della Pubblica Istruzione. Pasquale Colella, professore associato di diritto canonico, chiedeva al Tribunale di Roma che venisse riconosciuta la lesione della sua identit� personale, come conseguenza dell'esclusione dal novero dei vincitori del concorso a professore universitario ordinario, poich� -a suo dire -la Commissione giudicatrice pi� che accertare il suo valore scientifico lo aveva discriminato per la sua non giovane et�. L'esito negativo aveva prodotto un danno alla sua immagine pubblica, le cui conseguenze avrebbero potuto riflettersi anche sullo svolgimento di eventuali futuri concorsi cui avrebbe potuto partecipare. A sostegno delle proprie tesi, il prof. Colella adduceva elementi che avrebbero dovuto provare lo scarso valore culturale e scientifico dei vincitori, sottoponendo ciascuno di essi a durissime censure. L'Amministrazione convenuta, regolarmente costituitasi, resisteva eccependo il difetto di giurisdizione dell'adito Tribunale e, comunque, l'infondatezza nel merito della domanda risarcitoria. Con sentenza del 20 marzo 1987 (56), il Tribunale di Roma sorprendentemente ha riconosciuto nell' � an � la fondatezza della domanda � per l'attivit� illecita posta in essere in danno dell'attore � e condannava la convenuta Amministrazione al risarcimento dei danni arrecati, da liquidarsi in separata sede. La dottrina, nei suoi primi commenti, ha criticato aspramente la pronuncia, facendo correttamente notare come il riconoscimento della negligenza dei commissari di concorso non abbia avuto altro scopo che soddisfare il sentimento di � vendetta � del candidato escluso dal novero dei vincitori, dal momento che in concreto il Tribunale non ha proceduto ad alcuna quantificazione del danno da �false light � (57).. L'attore cio� ha ricevuto soddisfazione con la sostituzione dell'informa zione che circola subito dopo la pubblicazione dei risultati del concorso (�il prof. Colella � meno meritevole dei vincitori�), con quella secondo cui � stata la Commissione esaminatrice che non lo ha valutato adeguatamente, facendo male il suo lavoro. � evidente allora che la teoria della � falsa luce � rischia di tradursi in uno strumento di controllo del circuito informativo affidato alla magistratura (58). 7. -Il diritto all'identit� personale finisce dunque per sottrarre spazi alla libert� di manifestazione del pensiero solennemente riconosciuta dall'art. 21 Cost. � un problema che gli interpreti si sono sempre posto, tanto che taluni di essi (soprattutto i costituzionalisti) sono giunti a ritenere che � la rilevanza (55) GA..'1BARO, 02. ult. cit., f.� 314 e ss. (56) In Giur. It., 1987, , 2, p. 337. -La sentenza � stata riformata dalla <!Corte d'Appello di Roma, con sentenza depositata il 3 aprile 1989, che ha riconosciuto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, in ordine alla richiesta risarcitoria del prof. Colella. Le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza del 1� aprile 1993, hanno diclllarato inammissibile il ricorso proposto dal Colella. � (57) G. B. Fmuu, in VISINTINI (a cura di), La giurisprudenza per massime ed il valore del precedente, Padova, 1988, p. 262; GAMBARO, op. ult. cit., 316 e ss. � In., Diritti della personalit�, in Riv. dir. civ., 1989, p. 422 e ss.; MONATBRI, Responsabilitlt extracontrattualefattispecie, in ivi, p. 457 e ss. I i i f PARTE II, QUESTIONI costituzionale di questo supposto diritto possa essere individuata solo in negativo, e cio� tra i limiti che la Costituzione pone alla libert� di manifestazione del pensiero�, che si traducono nel �divieto di affermare il falso o di pregiudicare l'altrui onore � (59). Si tratta indubbiamente di un problema di centrale importanza per il tema della nostra indagine. Nell'esperienza statunitense per scongiurare il pericolo di una restrizione eccessiva del diritto di cronaca sin dagli anni '60 la Corte Suprema Federale, nella decisione del caso New York Times v. Sullivan ha decretato il declino della teoria della falsa luce, sul presupposto che il riconoscimento della responsabilit� civile, connesso al contenuto di una pubblicazione, fosse un deterrente inaccettabile della libert� di stampa (60). Se allora non si vuole ripetere quest'esperienza anche da noi (61), sar� opportuno studiare soluzioni che valgano ad evitare il rischio di decisioni avventate, quale quella pronunciata dal Tribunale di Roma, nella causa Colella c. Ministero P .I. Alla magistratura pretorile romana va il merito di essersi sforzata di individuare una serie di parametri concreti, per accertare quando un comportamento della stampa debba ritenersi lesivo (62). Si scopre allora che essa si � fondata quasi esclusivamente su di un accertamento ;rigoroso del rispetto o meno della verit� storica del fatto riferito, emettendo pronunce di accoglimento solo a seguito dell'accertamento dell'effettiva alterazione della verit� (63). In tale prospettiva, dunque, � potr� ritenersi violato il diritto all'identit� personale, tutelato dall'art. 2 Cost., solo se risultino superati i limiti che pur sempre sussistono per il diritto di informazione ed in particolare quando le informazioni si risolvono in oggettiva alterazione della verit�� (64). E una notizia pu� essere non veritiera non solo quando sia difforme dalla realt�, ma anche quando per omissioni o lacune, esponga i fatti in maniera incompleta o frammentaria, travisandone il contenuto. La nota sentenza della Cassazione del 18 ottobre 1984, n. 5259 (passata alla cronaca come la �sentenza del decalogo del giornalista�) ha cercato di fare il (58) Lo rileva, esattamente, GAMBARO, Ancora in tema di falsa luce, cit., p. 318 e ss. Per una diversa lettura, v. BESSONE, nella relazione di sintesi del Convegno di Roma del 3-4-5 ott. 1980 su � L'informazione e i diritti della persona. Quale tutela? '" i cui atti sono pubblicati in AA.VV., L'informazione e i diritti della persona, Napoli 1983: l'A. intende il diritto all'identit� personale come richiesta di contropotere da parte dei soggetti sforniti del potere di governo dell'informazione, cogliendo cio� un aspetto positivo da una circo stanza che noi invece interpretiamo in termini di rischio. (59) PACE, Il c.d. diritto all'identitii personale e gli artt. 2 e 21 della Costituzione, in �Il diritto all'identit� personale�, cit., p. 38 e ss. Nello stesso senso: FALZEA, Identitii personale ... , cit., p. 90. (60) Cfr. GAMBARO, Falsa luce ... , cit., p. 99 e ss.; Io., Ancora in tema ... , cit., p. 319 e ss. La Corte Europea dei diritti dell'uomo sembra essersi yosta di recente sulla stessa scia della Corte Suprema Federale: cfr. la decisione 8 luglio 1986-ric.: l..INGENS, in Foro It., 1987, IV, 50, con nota di ZENO ZENCOVICH, Tutela della reputazione e manifestazione del pensiero nella convenzione europea dei diritti dell'uomo. Una sentenza che farii discutere. (61) Non � mancato, per la verit�, chi nel tentare una e previsione sull'evoluzione della giurisprudenza successiva � ha gi� escluso �che si assister� ad un consolidamento sulla tutela autonoma di un diritto all'identit� personale �: cos�, VISINTINI, I fatti illeciti. I. Ingiustizia del danno? Imputabilitii, nella collana � I grandi orientamenti della giurisprudenza civile e commerciale�, diretta da GALGANO, Padova, 1987, p. 213. J J 62) Lo rileva, esattamente, DE MARTIN!, L'identitii personale nell'esperienza operativa, in .VV., � La lesione dell'identit� personale ... �, cit., p. 96 e ss. (63) Pret. Torino 30.5.1979, cit.; Pret. Roma 30.5.1980, cit.; Pret. Roma 11 llll121!io '81 (tre ordinanze), in Foro It., 1981, p. 1737 e ss. Ma anche le pronunce di rigetto si "fondano sullo stesso dato: cfr. Pret. Roma, 2.6.1980 in Foro lt., 1980, I, 2047; Pret. Roma, 30.4.1981, 6.5.1981 e 11.5.1981 in Foro It., I, p. 1739 e ss. Per una critica di tale orientamento, V. tuttavia SCALISI, op. cit.. p. 130 e ss. (64) Pret. Roma, 11.5.1981, in Giust. civ., 1982, p. 821, con nota di Docuorrr, Violazione o abuso del diritto all'identitii personale? JO RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO punto su questo problema, con una serie di � obiter dieta� (e cio� di affermazioni incidentali), che certamente esulavano dalla fattispecie decisa (65). Dopo aver� infatti ribadito quali fossero le tre condizioni necessarie per il legittimo esercizio del diritto di cronaca (e cio� l'utilit� sociale dell'informazione, la verit� dei fatti e la forma �civile� dell'esposizione), la Suprema Corte ha precisato che �la verit� non � pi� tale se � mezza verit� (o comunque verit� incompleta) (...). La verit� incompleta (...) deve essere pertanto in tutto equiparata alla notizia falsa�. Appare allora chiaro come nella fattispecie decisa dalla Cassazione (caso Veronesi) venisse in rilievo una �mezza verit��, poich� la frase dell'intervista, relativa alle sigarette leggere, avulsa dal suo contesto, era stata utilizzata per propagandare una marca di sigarette, come se il Veronesi avesse voluto sostenere quella campagna pubblicitaria, laddove invece il senso complessivo del suo discorso esprimeva una inequivoca condanna del fumo. Il fatto, chiaramente lesivo dell'immagine sociale del Veronesi, non poteva perci� dirsi � giustificato �, quale esercizio del diritto di cronaca, poich� la Costituzione repubblicana non tutela il pluralismo informativo � tout court �, ma il �pluralismo informativo veritiero �. Assume allora rilevanza, tra gli strumenti di tutela dell'identit� personale, la rettifica � di atti, pensieri o affermazioni ritenuti contrari a verit��, sancita dall'art. 8 della L. sulla stampa (8 febbraio 1948, n. 47, nella versione modificata dall'art. 42, L. 5 agosto 1981, n. 416). g difficile perci� condividere la tesi della Cassazione, nella parte in cui riconosce l'impossibilit� di rinvenire nell'art. 8 cit. il fondamento normativo dell'identit� personale. Tale posizione si basa infatti sull'affermazione che la rettifica riguardi la sola 'contestazione di fatti non veri e non le omissioni, la cui erroneit� era stata gi� in precedenza evidenziata dalla stessa Cassazione, nella �sentenza del decalogo�, per la quale la � mezza verit�� o comunque la verit� incompleta � deve essere in tutto equiparata alla notizia falsa �, A dire il vero, la tesi sostenuta dalla Cassazione, nel caso Veronesi, � se guita da molti autori'. Essi esludono che la rettifica possa essere utilizzata come strumento di tutela dell'identit� personale, poich� vi osterebbe la sua natura marcatamente pubblicistica, essendo cio� essa � ispirata pi� dall'inte resse pubblico alla verit� della notizia che non dalla preoccupazione che la notizia leda qualche interesse privato �. Nella stessa direzione, altri specifica che � il diritto dei mezzi di comunicazione di massa � persegue il valore del pluralismo, pi� che la verit� o l'obiettivit� dell'informazione. Contro tale impostazione � stato per� agevole replicare che il nostro or� dinamento non tende ad assicurare il pluralismo informativo � tout court �, ma � il pluralismo informativo veritiero �, e che anzi l'interesse pubblico cui mira l'istituto della rettifica consiste nel � restaurare l'ordine del sistema informa tivo alterato dalla circolazione della notizia non vera"� che in s� non pu� considerarsi una manifestazione del pluralismo informativo, poich� (( non pro duce alcuna nuova informazione�. 8. -Le successive decisioni della magistratura pretorile, che vale la pena di ricordare, segnano il progressivo ampliamento dell'ambito applicativo . . (65) Cass. 18.10.1984, n. 2559, in Nuova giur. civ. comm., 1985, I, p. 84 e ss., con nota , di ALPA e replica di' RoPPO; in Quadrimestre, 1984, 609 e ss., con nota di G. B. FERRI; i Tutela della persona e diritto di cronaca; in Giust. civ., 1984, I, p. 2941 GIACOBBE, � Prime impressioni... tecniche su una contrastata sentenza � La Cassazione l'uniforme interpretazione della legge. e ss., con note di : e di FINOCCIIlARO, ! 1 ! [ !I I I I I PARTE II, QUESTIONJ' 51. dell'identit� personale, con utilizzazioni che ora riguardano personaggi pubblici ora si riferiscono a formazioni politiche in trasformazione. Nel primo caso che passiamo in rassegna viene in rilievo il problema del sopravvenuto mutamento dell'immagine: una nota attrice (Carmen Russo) che aveva iniziato la sua attivit� interpretando films di contenuto erotico (dai titoli inequivoci �Le fichissime � e �Buona come il pane�) col passare degli anni cambia genere di prestazioni artistiche e, perci�, sostiene che la pubblicazione di alcune fotografie su una rivista pornografica, in cui si reprendono immagini impudiche tratte da quei films interpretati all'inizio della carriera, sarebbe lesiva della nuova immagine �familiare� ormai assunta, attraverso alcune fortunate trasmissioni televisive. Correttamente, la Pretura di Roma, con ordinanza in data 10 febbraio 1988, accoglie il ricorso, riconoscendo la lesione dell'identit� personale di Carmen Russo, poich� l'utilizzazione di immagini riciclate da vecchi films, senza alcuna indicazione dell'origine dei fotogrammi che vengono invece presentati come se si trattasse di una produzione nuova, � tale da ingenerare �la falsa opinione che la Russo sia tornata al suo vecchio stile e modo di esibirsi� (66). La stessa Pretura di Roma, con ordinanza in data 21 gennaio 1989, accoglie il ricorso proposto dalla nota attrice Eleonora Brigliadori, riconoscendo lesa la sua identit� personale per la pubblicazione sulla rivista Playmen di fotografie di scena (tratte dal film � La cintura�) che ingenerava nei lettori � l'idea di una Brigliadori che ha ormai abbandonato il personaggio sul quale ha costruito la sua affermazione artistica per dedicarsi al pi� facile filone della pornografia o dell'erotismo >>. E che soprattutto le aveva prodotto un immediato pregiudizio poich� la RAI aveva subito risolto il contratto gi� con essa stipulato per la presentazione dello � Zecchino d'Oro � (67). L'ordinanza in parola si segnala per due importanti aspetti che mette bene in evidenza: in primo luogo, sottolinea correttamente �la differenza tra foto "posate", avt�se dal contenuto narrativo di un'opera cinematografica, e immagini di una sequenza di films �; ed, in secondo luogo, affronta il problema dell'efficacia del consenso sulle precise modalit� di ripresa e sulla destinazione delle fotografie. E, soprattutto, l'ordinanza imponendo la rettifica, con la pubblicazione di un comunicato sulla copertina delle riviste, in cui si precisa che la Brigliadori non ha posato nuda per Playmen e che le foto erano tratte da un film, utilizza lo strumento pi� idoneo, come evidenziato nel paragrafo precedente, a porre riparo alla � falsa luce �, conseguente alla subdola utilizzazione dell'immagine fotografica. Pi� di recente la Pretura di Roma ha accolto il ricorso di Marina Ripa di Meana, danneggiata dalla messa in onda dello sceneggiato televisivo � Piazza di Spagna � per la inequivoca identificazione con il personaggio della con� tessa Armida. Con ordinanza del 7 febbraio 1992, il Pretore ha accertato la lesione dell'identit� personale della ricorrente che, pur essendo � donna disinibita e spregiudicata�, non pu� certo essere associata alla � mazzettara "� dello sceneggiato, dedita solo a mediazioni tra politici e mondo della alta finanza, in cambio di � tangenti �. Anche in questo caso, il rimedio della rettifica, attraverso l'inserzione di un 1 comunicato (tra i titoli di testa e di coda dello sceneggiato) che esclude espressamente la riferibilit� delle vicende del personaggio televisivo alla Ripa (66) In Dir. informazione e informatica, 1988, 860 ss. Ma v. anche l'ampia esposizione di ALPA, Istituzioni di diritto privato, Torino, 1994, 252 e ss. (67) In Dir. informazione e informatica, 1989, 513 ss., annotata. J2 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO di Meana, appare lo strumento pi� idoneo ad assicurare il contemperamento. delle opposte esigenze (68). Passando alla tutela invocata dalle formazioni politiche, merita di essere segnalata l'importante ordinanza del Tribunale di Roma, che in data 26 aprile 1991, ha accolto il ricorso ex art. 700 c.p.c. del Partito Democratico della Sinistra, inibendo all'associazione non riconosciuta autodenominatasi Partito Comunista Italiano l'uso di tale denominazione, della sigla � P. C. I.� e del simbolo costituito da stella, falce e martello. I fatti di causa sono stati ampiamente pubblicizzati dalla stampa. Il Partito Comunista Italiano, nel corso del congresso di Rimini del 1991, si trasformava in Partito Democratico della Sinistra e adottava per simbolo l'albero della sinistra, alle cui radici veniva raffigurato il simbolo del P .C.I. Una minoranza dissenziente provocava una scissione, costituendo un'associazione non riconosciuta denominata P.C.I. e conveniva in giudizio il P.D.S., perch� fosse accertata la legittimit� dell'uso esclusivo di nome, sigla e simbolo prescelti come segni della sua identit� politica. Il Tribunale di Roma rende un'importante pronuncia accogliendo il ricorso ex art. 700 c.p.c. del convenuto P.D.S., affermando che l'uso di segni distintivi gi� appartenenti ad altro partito politico, ancora pienamente operante come tale, sia pure con denominazione e simbolo parzialmente diversi, costituisce lesione dell'identit� personale del secondo, che non ha certo rinnegato � il suo passato, cui anzi idealmente intende ricollegarsi attraverso la collocazione del vecchio (e notissimo) simbolo alle radici dell'albero della sinistra �. (69) Un ultimo caso (attualissimo) per concludere. Il 18 giugno 1993, alla vigilia della chiusura della campagna elettorale per la prima elezione diretta del Sindaco di Milano erano giunti al ballottaggio per l'ambita poltrona il leghista Formentini e l'esponente della Rete Nando Dalla Chiesa. Nel corso di un affollatissimo comizio tenuto in piazza Duomo, il leader della Lega Umberto Bossi us� parole di fuoco contro il figlio del generale caduto vittima di un agguato mafioso. � Della cosa nostra� fu definito l'esponente retino, storpiando il vero nome di Dalla Chiesa: � attraverso di lui -ebbe a dire Bossi -i tentacoli della Piovra si vogliono impadronire di Milano �. E ancora, con grande veemenza: � usa il nome del padre per farsi pubblicit��. Nel processo penale per diffamazione che ne � seguito, ricostruite le fasi ed i passaggi pi� ingiuriosi del discorso dell'on. Bossi, il Pretore di Milano con sentenza del 3 novembre 1994 ha condannato Bossi al risarcimento dei danni subiti dal Dalla Chiesa per lesione della sua immagine sociale e perci� del diritto all'identit� personale, con l'obbligo di pubblicazione della sentenza su due noti quotidiani (70). FEDERICO BASU.ICA (68) In Dir. informazione e informatica, 1992, 884 e ss., con nota di CLEMENTE, � Ogniriferimento � puramente casuale �. Tutela del diritto all'onore e all'identit� personale e diritto di creazione artistica. (69) In Dir. informazione e informatica, 1991, 868 e ss., con nota di CLEMENTE, La tutela inibitoria del nome e del simbolo del � vecchio P.C.I. �. I due casi pi� attuali sono comunque quelli relativi alla scissione tra i popolari di Buttiglione e quelli di Bianco e alla scissione dall'Allenza Nazionale di Fini dell'M.S.I. di Rauti. (70) La Voce, 2 novembre 1994. - PARTE II, QUESTIONI L'ARRINGA IN DIFESA DEL MINISTERO DELL'INTERNO, PARTE CIVILE NEL PROCESSO PER L'OMICIDIO DEL SOPRINTENDENTE DI POLIZIA SALVATORE AVERSA E DELLA MOGLIE (*). Prefazione: � La presentazione di questa magistrale arringa, pronunziata a conclusione di un delicatissimo dibattimento, potrebbe persino apparire imbarazzante, se non fosse suggerita dall'intendimento quanto mai vivo e sentito, di testimoniare la riconoscenza e l'apprezzamento per lo straordinario contributo ancora una volta offerto dall'Avvocatura Generale dello Stato alla causa della Giustizia, contributo che, nel caso di specie, si � dispiegato nel quadro di un procedimento che vedeva l'intera Polizia di Stato parte lesa, quale Organismo vivo e vitale proditoriamente attaccato e colpito. Mi riferisco, naturalmente, al processo celebrato a carico dei responsabili del barbaro omicidio del Sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore Aversa e della sua consorte Lucia Precenzano, vittime della violenza criminale che, il 4 gennaio 1992, a Lametia Terme, ne ha stroncato le coraggiose esistenze in segno di vile reazione alla sagace, incisiva, puntuale attivit� investigativa dispiegata senza sosta dal rimpianto Collega. Le indagini immediatamente avviate dopo il grave evento -e condotte dagli stessi appartenenti agli Organismi centrali e periferici della Polizia di Stato con tenace determinazione -di per s� oltre modo impegnative per la peculiare natura ed efferatezza del delitto, hanno incontrato un cammino irto di particolari, inedite difficolt�, superate grazie al generoso slancio di tutti gli operatori ed all'elevatissima professionalit� della Magistratura inquirente, costante riferimento in ogni fase dell'investigazione. L'esemplare sentenza emessa il 13 gennaio 1994, con la condanna degli autori dell'efferato crimine, Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, rispettivamente alla pena dell'ergastolo ed a 25 anni di reclusione, ha cos� concluso una tristissima, drammatica vicenda, con la riaffermazione di valori statuali e di principi giuridici che onorano la Magistratura giudicante, per l'alta sensibilit� dimostrata, ed il Procuratore Capo della Repubblica, per la rigorosa autore11olezza assicurata alle ragioni dell'accusa. Ma un ruolo fondamentale, che s'impone alla nostra ammirata stima e considerazione, va riconosciuto all'Avvocato Generale dello Stato, Dr. Giorgio Azzariti, ed all'esimio Avvocato Paolo di Tarsia di Belmonte. � con animo grato e riconoscente che rileggo l'arringa pronunziata dal difensore dello Stato il 7 gennaio 1994, dinanzi alla Corte di Assise di Catanzaro, certo di interpretare l'intensit� di sentimento e di emozione di quanti -tra i presenti al giudizio, colleghi del Sovrintendente Aversa ed onesti calabresi -ascoltavano le giuste richieste di punizione per i due colpevoli, per vedere riaffermata la legalit� in una terra, travagliata e meravigliosa insieme, che attende ordine e serenit� dalla Magistratura e dalle Forze dell'Ordine. L'accorato intervento dell'Avvocato Paolo di Tarsia di Belmonte ha pienamente confermato le elevate aspettative riposte nell'abile professionista. La sua capacit�, non disgiunta dall'alto senso di responsabilit� civica palesato (*) Nell'im_Possibilit� di pubblicarla per esteso, riportiamo brani dell'arringa, tenuta nell'arco di sei ore, innanzi alla Corte d'Assise di Catanzaro, dall'avv. Paolo di Tarsia di Belmonte nell'interesse del Ministero dell'Interno, parte civile nel noto processo, con la lusinghiera prefazione del Capo della Polizia, Prefetto Vincenzo Parisi, che ha riconosciuto il ruolo fondamentale svolto dall'Avvocatura dello Stato. J4 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO durante l'intero dibattimento, ha favorito, in modo invero assai significativo, la riparazione, per la parte consentita alla Giustizia umana, della grave offesa recata dal mondo criminale a due innocenti vittime e, attraverso il lom sacrificio, alla collettivit� intera. Nel ricordare, in queste brevi righe di presentazione, l'impegno e lo slancio profusi dall'Avvocato nel difficile cimento, non posso sottacere alcune riflessioni, suscitate dalla lettura di un testo nel quale la lucidit� espositiva e la maestria dialettica non prendono mai il sopravvento sulla straordinaria tensione morale, che, anzi, la raffinata oratoria esalta nella sua pregnanza. La difesa dello Stato non si � limitata a perseguire un utile immediato sul piano processuale. Al contrario, seguendo una invisibile ma saldissima linea, ha saputo calare il tragico racconto nella realt� storica lametina, cogliendone il caleidoscopio di situazioni sino a tratteggiare gli aspetti esiziali di una certa subcultura, linfa vitale del fenomeno mafioso, contrapposta alla radicata onest� di gran parte del tessuto civile. Ne � cos� emersa, trattegiata con toni forti ed eloquenti, la volont� dei criminali di colpire lo Stato, ma, soprattutto, � risultata vincente la capacit� reattiva proprio di quello Stato che si sperava invano di poter piegare, capacit� sorretta da ideali altissimi che queste splendide pagine consegnano al lettore e soprattutto al lettore calabrese, quale alta testimonianza di strenua volont� nella difesa degli inviolabili diritti dell'uomo. Una nota di rilievo meritano, ancora, quei passaggi dell'arringa nei quali l'Avvocato dello Stato ha saputo replicare agli enfatici, pericolosi atteggiamenti di altri attori del processo, che, non disinteressatamente, guardavano con sufficienza alle deposizioni testimoniali ed alle relazioni di polizia. Una esatta, minuziosa e concludente rassegna delle posizioni dei testi e dei verbalizzanti, in uno col calibrato riferimento alle regole proprie della psicologia giudiziaria, ha caratterizzato, invece, l'iter espositivo seguito dall'Avvocato Paolo di Tarsia di Belmonte. La vera pietra angolare di tutto l'impianto difensivo � stata per� posta con la corretta illustrazione della difficile posizione della protagonista di questa inchiesta giudiziaria, la �collaboratrice di giustizia� Rosetta Cerminara, alla quale si deve il merito di aver reso possibile una storica sconfitta della tradizionale omert� diffusa in certe aree del nostro Paese. Splendido il suo esempio di coraggio civile, non sfuggito all'attenta sensibilit� del Capo dello Stato, che ha inteso conferirle la medaglia d'oro al valore. Il therna probandurn � stato affrontato con un'analisi attenta e severa delle dichiarazioni della giovane lametina, la cui attendibilit� � stata dimostrata enucleando e valutando, in profondit�, i comportamenti della ragazza nelle fasi investigativa, istruttoria e dibattimentale e cogliendone i reali tratti psicologici. Per quanto concerne le motivazioni che avevano indotto la Cerminara a collaborare con gli inquirenti, � dato da osservare che esse sono state evi� denziate con indubbio rigore logico e con rara capacit� di apprezzarle nella giusta luce, contrastando efficacemente bassi tentativi di strumentalizzazione, cos� da suggellare indiscutibilmente la veridicit� di quanto dichiarato in ordine alla ricostruzione della crudele esecuzione del duplice omicidio. Mi sia consentito concludere affermando che questa pubblicazione ha altres� l'ulteriore, non meno importante merito di trascendere l'ambito del contesto giudiziario, proponendosi quale veicolo di diffusione per la pi� diffusa conoscenza dei positivi risultati che lo Stato, nell'aula della Corte di Assise di Catanzaro, ha saputo conseguire, merc� la dedizione e la professionalit� dei suoi servitori. Grazie a questa pubblicazione, il lettore. potr� cogliere non solo i particolari di una memoria difensiva di altissimo profilo, ma soprattutto il significa PARTE II, QUESTIONI to profondo di un saggio che, attraverso un fatto di cronaca, ha riguardato una realt� straordinariamente articolata sul piano sociale. L'illustrazione delle molteplici connotazioni di un fenomeno complesso, come quello dei collaboratori di Giustizia; la documentazione della corale risposta offerta da tutte le Istituzioni; l'attestazione della saldezza morale della compagine della Polizia di Stato, impegnata ogni giorno, con le altre Forze dell'Ordine, nella difesa dei diritti dei cittadini; la testimonianza di incondizionata fiducia nella limpida azione della Magistratura; questi, solo alcuni degli spunti di riflessione e delle ragioni di speranza che l'Avvocatura dello Stato ha saputo proporre in una delle pagine pi� belle della sua prestigiosa storia al servizio del Paese �. Il Capo della Polizia Vincenzo Parisi Arringa: Signor Presidente, Signore e Signori della Corte d'Assise di Catanzaro! lo sono qu�, in questa terra dove sono le mie origini antiche e dove torno sempre volentieri, in virt� di due richieste dell'Amministrazione dell'Interno che "si � costituita parte civile in questo processo e di cui vi ho test� formulato ,le conclusioni. Nella prima il Ministro scrive che l'Amministrazione annette particolare importanza alla costituzione di parte civile nel procedimento penale relativo all'uccisione del Sovrintendente della Polizia di Stato Salvatore Aversa, in servizio presso il Commissariato di Polizia di Lametia Terme, colpito in un agguato, unitamente alla consorte, la sera del 4 gennaio 1992, nel predetto comune. Nella seconda il Capo della Polizia scrive all'Avvocato Generale dello Stato rappresentandogli che � nel prossimo mese di giugno siamo all'inizio del precedente processo -presso la Corte d'Assise di Catanzaro si celebrer� il processo per l'omicidio del Sovrintendente Capo della Polizia di Stato Salvatore Aversa e della consorte trucidati a Lametia Terme il 4 gennaio u.s. in un agguato. Il testimone chiave � una ragazza che si � resa disponibile e per la quale � stato necessario adottare, in base alle leggi sui collaboratori di giustizia, complesse ed onerose misure di protezione, estese alla famiglia, che si � vista costretta a sospendere l'attivit� commerciale precedentemente svolta nella cittadina �. � Pu� quindi, Eccellenza, immaginare -continua la lettera -la rilevanza del caso, che ha visto stroncata la vita non solo di un validissimo dipendente impegnato nella lotta alla 'ndrangheta, ma anche della moglie, vittima im10cente di un cieca violenza mafiosa! Le sarei quindi particolarmente grato se volesse riservare alla questione prospettata la massima cortese attenzione, data la rilevanza del caso, su cui la malavita locale cercher� in ogni modo, attraverso i mandanti, purtroppo non ancora incriminati, di sviluppare una intensa azione difensiva con strategie particolarmente subdole, del tipo di quelle che vengono frequentemente attuate in consimili occasioni �. Sembra quasi profetica la previsione! Ma andiamo avanti. Perch� questa particolare attenzione a questo processo? Perch� questa richiesta sollecitata a cos� alti livelli? Perch� questo delitto di omicidio, efferato pi� di tanti altri, non � nemmeno analogo a quelli che purtroppo tanto spesso insanguinano questa terra! :B un reato che si presenta con connotazioni particolari: intanto colpisce al cuore dello Stato, sia pur nella limitata sfera di competenza territoriale, un fedele ed efficientissimo investigatore, Salvatore Aversa, valida figura di vecchio maresciallo, pilastro del Commissariato di Lametia Terme, memoria storica, come hanno scritto i giornali e come ha riconosciuto l'allora suo diretto superiore Arturo De Felice in quest'aula. J6 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Vedete, Signori della Corte d'Assise, i commissari vanno e vengono, la loro preparazione, la loro abilit�, la loro efficienza e la loro professionalit� devono necessariamente appoggiarsi a chi � stabile da tempo sul posto, a chi conosce perci� la geografia criminale come chi viene e passa non pu� pretendere di conoscere. Il Maresciallo Aversa sapeva pi� di quanto i Commissari non potessero sapere; aveva in sostanza, l'efficienza e l'affidabilit� dei vecchi sergenti dei reparti militari o meglio, se mi consentite l'omaggio che sento di dovere al valore dell'Uomo, aveva la capacit�, la professionalit� la competenza e le conoscenza dell'Ufficiale di Stato Maggiore, al quale il Comandante di Brigata si affida. Aversa era un uomo insostituibile e non vi sembri strana l'analogia che faccio con i reparti militari: � storia purtroppo di tutti i giorni! In questa terra t; nelle regioni finitime c'� guerra, non � pi� solo normale criminalit�; � guerra per impedire che porzioni del territorio nazionale vengano sottratte alla sovranit� dello Stato e lasciate alle leggi sanguinose delle bande. St� parlando di realt� di tutti i giorni, st� parlando di realt� che sono dentro questo processo, che hanno la valenza tragica e ineluttabile della notoriet� dei fatti. Le bande che imperversano nel lametino e di cui avete appunto certezza da questi fatti che apprendete e che il Pubblico Ministero vi ha esattamente indicato! La capacit� ramificante del potere delle bande! Ricordate l'episodio relativo ai collegamenti bolzanini di Rizzardi, le confidenze di Joele a Erlacher? La pericolos�t� delle bande criminali organizzate in mafia, in 'ndrangheta, camorra o in quant'altre forme associate possibili: si fondano sull'omert� i poteri di costoro, bubbone difficilissimo da estirpare; l'omert� � la conditio sine qua non del potere della banda, la conditio sine qua non della sua contrapposizione alla sovranit� statale. L'omert�, legge del silenzio all'interno della banda o dell'organizzazione mafiosa, legge del silenzio intesa nel senso di divieto di parlare, � il presupposto non solo dell'impermeabilit� della banda alle intrusioni esterne, ma addirittura presupposto della sua sopravvivenza. Lasciare agli offesi la vendetta, senza intrusioni dall'esterno, � il cemento unificatore della banda. Ma qul, forse, questo discorso c'entra poco o niente, se non forse per ricordare che certo gli assassini non avevano ragione di temere delazioni dall'interno! C'entra invece l'accezione pi� corrente del termine omert�, cio� il tacere per timore di rappresaglia, tacere che � il frutto di un costume diffuso, nato dalla prepotenza delle cosche, nutrito dalla intimidazione e dalla vigliaccheria, strumento potente della efficienza della 'ndrangheta sul quale, evidentemente, contavano coloro che hanno progettato ed eseguito questo episodio criminale! Qu� per� i loro piani vengono sconvolti da un fatto decisamente imprevisto ed imprevedibile, mai accaduto! L'arrogante certezza di costoro di farla franca, � stata sconfitta dall'inconsueto coraggio di questa giovane donna, Rosetta Cerminara, che ha osato sfidare le leggi del luogo! Coraggio, certo, il coraggio di denunciare i delitti, qu� a Lametia Terme, a Nicastro, il coraggio di uscire dall'indifferenza, dall'omert�, anche quella indiretta ed implicita, la forza di affrontare chi viola le regole di civilt�! Sembrava talmente inverosimile che ci� potesse mai accadere in un paese come questo, che, vedete, lodi e biasimi, applausi ed esecrazioni a Rosetta Cerminara hanno sostanzialmente e psicologicamente una comune matrice: lo stupore, l'incredulit�! Non si ritiene possibile che lo strapotere della delinquenza possa avere subito intralci! Ed � in questa dimensione psicologica di partenza, che stranamente unisce due strade diversissime, che vanno valutate le posizioni contra e pro, a favore o contro Rosetta Cerminara. Da un lato la si accusa di mitomania, di esaltazione, di fantasia malata PARm II, QUESTIONI 57 o peggio le si attribuiscono desideri di vendetta, matrice di accuse calunniose, la si accusa di essere accecata dall'odio o dominata soltanto da cinici interessi economici, profittatrice indegna di leggi che uno Stato, costretto ad una durissima lotta contro la criminalit� invadente, ha dovuto emanare; dall'altro vi � un coro di lodi, di consensi, di fiori -li abbiamo visti in aula! -e di incoraggiamenti, che ce la fanno apparire quasi come una eroina, ce la indicano come un esempio da imitare, modello di comportamenti da ripetere, cuneo di penetrazione nell'indifferenza sulla quale vegeta il crimine. Certo, la credibilit� di Rosetta � stata accentuata dalla sua costante, ferma ripetizione della scena tremenda che ha visto, dalla tenacia con la quale l'ha tante volte confermata, dallo stesso sdegno che ha manifestato in quest'aula per le non felici vicende processuali che si sono succedute, e, consentitemi di dire, dalla sua giovanile, ma genuina richiesta di essere creduta, perch� diceva quel che sapeva di aver visto! Essa merita rispetto, ripugna alla nostra coscienza il vituperio in cui si tenta di sommergerla per disperata difesa! Ma detto questo, signori della Corte d'Assise, vi assicuro che voglio evitare eccessi retorici in quest'aula! la retorica ottunde la capacit� di penetrazione logica, di critica valutativa! Rosetta � una giovane donna i cui moti spontanei della coscienza non erano ancora sommersi da quelle convenienze, calcoli e paura che spesso rendono :vigliacchi gli adulti! questa � la chiave di valutazione del comportamento di Rosetta Cerminara, questo, in coscienza, � quello che mi sento di dirvi, dopo avere ascoltato per 12 estenuanti ore l'ultima deposizione di Rosetta e dopo avere valutato, al di l� di quelle che si possono chiamare tattiche, strategie, dialettiche, esasperazioni del dialogo, i comportanwnti della stessa. Certo, � stato detto e ripetuto in quest'aula, Rosetta � una figlia di Lametia, � nata in un clima in cui il farsi i fatti propri � accessorio dell'omert� e ne abbiamo avuto contezza dall'interrogatorio dei suoi parenti, ne far� dopo alcuni accenni, ma intanto mi preme di farvi notare che i suoi genitori ed i suoi fratelli certo hanno faticato, essi, lametini da generazioni, immersi in questo modo di pensare, di agire, di comportarsi, ad individuare nei moventi di Rosetta quello pi� semplice, ed in fondo pi� puro: l'impossibilit� di sopportare, da sola, il peso di un episodio cos� orrendo contro l'uomo che lei sola conosceva. Perch� non volere riconoscere a Rosetta la possibilit� di una spinta nobile o il desiderio umano, agevole da comprendere, di scaricarsi? nemmeno i suoi genitori lo avevano compreso, nemmeno i suoi fratelli e si attaccavano ad un qualcosa... che a loro sembrava pi� concreto, pi� plausibile, pi� abietto e perci� pi� consono alla durezza dell'ambiente in cui dovevano vivere: la vendetta! Come assumono i difensori, quasi a esorcizzare la verit�, quella vendetta che essi pongono a prova della falsit� della testimone, come se non fosse possibile distinguere fra i moventi che inducono un teste a parlare e la veridicit� del suo racconto! Vedremo in seguito che la pretesa vendetta comunque non ha alcuna base n� storica, n� psicologica, che non pu� essere messa fra i moventi che hanno indotto Rosetta Cerminara a parlare: questa ragazza non � quella malvagia creatura che i difensori, malati di manicheismo, si sforzano di rappresentare. La verit� emersa in questo processo non d� basi a tale movente, nem meno quando esso � esplicitamente ipotizzato, perch� sempre e solo di ipotesi .si � trattato nelle telefonate intercettate da altri e respinte da .Rosetta. Va data una corretta valutazione delle personalit� del padre e del fratello, una genuina interpretazione dei loro momenti pi� profondi. RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Vi ricordate in quest'aula la deposizione di Michele Cerminara? Certo, ha dato tutt'altro che l'impressione di essere una persona di profonda cultura o di sapiente eloquio, ma � un padre! Vi ricordate con quale prudenza ha risposto alle richieste della famigL.1 Molinaro in quella famosa visita della madre di Renato Molinaro accompagnata dal figlio Gianfranco? Ricordate che ci disse che aveva fatto finta di non aver inteso i minacciosi avvertimenti e giustificava il suo dissenso al perdurare del rapporto affettivo fra Renato Molinaro e sua figlia con la scusa del viaggio in America? Riuscite ad avvertire, immedesimandovi nella posizione del momento, che in tutto ci�, nonostante l'autoritarismo di Michele Cerminara, traspare la sollecitudine di un padre, insieme alla paura di chi � costretto a vivere tra delinquenti? Ancora: ricordate la sua rassegnazione: � Tutta Italia si fa i fatti suoi e tu a chi vai a parlare, perch� non ti fai i tuoi affari�? 1l. in questa chiave che va psicologicamente letta la vendetta, non come movente di Rosetta, ma come valvola di sfogo di suo padre e di suo fratello. Mi interessa ora, per�, tornare sul delitto: �, come ho detto prima, un delitto di mafia come tanti altri o � un qualcosa di diverso? 1l. sicuramente qualche cosa di diverso, di pi� aggressivo, di pi� preoccupante, sia perch� hanno colpito il pi� efficiente, il pi� pericoloso per loro dei poliziotti dello Stato, in servizio a Lametia, sia perch�, come ci ha ben detto in quest'aula il dottor Pansa, hanno colpito, colpendo Aversa, la direzione antimafia in uno dei suoi gangli vitali, sia pure limitatamente al territorio, sia perch� questo delitto ha le connotazioni del momento di massima arroganza dell'aggressione criminale che ha investito il territorio lametino nell'ultimo decennio e si innesta in un avvertito pericolo delle cosche mafiose di essere scoperte; e perch�? Perch� in questo ultimo decennio c'era stata una guerra all'interno delle cosche mafiose, che aveva portato fatalmente ad una serie di pesanti omicidi per questioni di guardianie e questi omicidi e le successive indagini di polizia e di antimafia hanno scoperto posizioni che le bande avrebbero avuto interesse a mantenere segrete. Quindi questo delitto, dicono giustamente gli investigatori della polizia di Stato, dell'antimafia, costituisce, sia per la scelta degli strumenti, sia per la simbologia dell'arma usata, l'arma in dotazione alle forze dell'ordine, usata soltanto per uccidere e lasciata sulla Fiat Uno dal commando assassino -costituisce, dicevo, la risposta della criminalit� alla polizia, la risposta delle cosche mafiose lametine all'incessante impegno professionale del Sovrintendente Aversa. C'� questa connotazione, nel reato commesso, nella scelta dei tempi, nei luoghi di realizzazione, che mette in luce la terza e pi� preoccupante caratteristica: nella determinazione di chi ha voluto, nella determinazione di chi ha eseguito il duplice omicidio, c'� un aspetto tremendo di esemplarit� e di monito indirizzati all'esterno. Aversa dava fastidio, rischiava di fare scoprire collegamenti e traffici crimi nali con quella sua diuturna e paziente opera di investigatore, con le ragnatele che tesseva, con la messe di notizie che riusciva a raccogliere, con il controllo sistematico, quotidiano dei pregiudicati, ed era indubbiamente un uomo di coraggio, non sottovalutava il pericolo: ricordate i suoi atteggiamenti difensivi, quando si recava in locali pubblici o ristoranti? Ricordate le preoccupazioni non palesate, ma evidenti nel suo comportamento e sul suo volto come ci sono state riferite dagli orfani? D"altro canto, lo Stato, con le sue leggi ed i suoi uomini, aveva assestato e stava assestando colpi pericolosi, bisognava quindi dare prova di potenza per intimorire e allora ecco il progetto criminale immaginato ed attuato: pieno centro di Lametia, periodo festivo, una strada di intenso traffico, negozi aperti, assassini a viso scoperto, cio� quanto di meno tatticamente opportuno si poteva pensare!, di solito si uccide o si cerca di uccidere o si cerca di realizzare un fatto illecito, con quello che vien detto il I ~ I I I I I PARTI! II, QUESTIONI f9 favore delle tenebre, approfittando cio� delle situazioni di tempo, di luogo, di assenza di testimoni, pi� favorevoli per realizzare il fatto e per uscirne impuniti. Qui no! tutto ci� � stato valicato! Due giorni prima dell'Epifania, un'ora di traffico, negozi aperti, strada centrale di Lametia, assassini a viso scoperto, uomini del posto! Ci� ha un significato proprio di intimidazione in chi ha immaginato, voluto ed eseguito questo delitto e desiderava che accadesse, perch� gli assassini a viso scoperto e gli uomini del posto sono la dimostrazione dell'arroganza di una cosca che si sente potente e che sa che nessuno la denuncer�, perch� i testimoni si squaglieranno, perch� nessuno oser� parlare e pi� c'� arroganza, pi� c'� paura e silenzio! � un'andata e ritorno ineluttabile; gli uomini del posto, oltre che a questa evidente esigenza, corrispondono anche al principio che regola le cosche: � Chi � interessato provveda, noi diamo il consenso �. Efferatezza estrema: una serie di colpi, i colpi di grazia, l'uccisione della moglie. Che significato ha? �Siamo in grado di superare i limiti che finora ci eravamo imposti, un certo modus vivendi, una terra di nessuno fra noi e il potere statale. Se voi alzate il tiro, noi siamo in grado ancor pi� di voi di alzare il tiro e con pi� il pregio della sorpresa e dell'illegalit� �. Perch� vi ho descritto questo quadro? Perch� nel Inio primo avvicinarmi a questo processo, le prime domande che Ini sono posto sono quelle che si � 'posto o si pone l'uomo della strada, quelle che ognuno di noi si � posto, quelle che forse a Lametia tanti si sono posti e cio� due domande, matrici di tutto, iniziali: �Ma se proprio dovevano ammazzare, proprio a Lametia dovevano scegliere i killer? �. � giusto! in un fatto di criminalit� ordinaria che ubbidisca a tatticisini soltanto, cio� il risultato immediato e l'efficienza dell'operazione di quel momento, la risposta a questa domanda � certamente un dubbio a favore delle difese! ma questo non era un reato tattico, questo era un reato. sia pur nella liinitatezza del territorio, era un reato strategico; non si riprometteva soltanto un risultato a breve gittata, si riprometteva un risultato a lunga gittata sul piano pi� vasto, appunto l'intimidazione, la dimostrazione di un potere: � Per quanto tu Stato possa essere efficiente, per quanto tu Stato possa emanare leggi eccezionali, per quanto tu Stato ti affatichi a costituire direzioni centrali e distrettuali antimafia, non ce la fai contro di noi, perch� noi possiamo colpire dovunque, chiunque ed in qualsiasi momento e lo colpiamo con le nostre forze, perch� tu sei vincolato al principio del rispetto della legalit� e noi no! � Questo � il messaggio, questo i visi scoperti, questo gli uomini del posto stavano a significare e rappresentare e ne abbiamo purtroppo, su scala pi� vasta, su territorio nazionale, altri gravissiini esempi: la bomba di San Giorgio al Velabro a Roma, aveva una valenza esclusivamente strategica, nessun interesse diretto di mafia, se non questo messaggio a contenuto politico. Nel nostro caso c'erano i due messaggi: tattica e strategia. L'altra domanda �: �ma riconosciuti da Rosetta Cerminara hanno ammazzato lo stesso? � Questo poi lo vedremo dopo, ma tanto vale anticipare, voi sapete -io intendo evitare ripetizioni nei liiniti del possibile -voi sapete che Rosetta Cerminara dice di avere visto Rizzardi e Molinaro, che conosceva benissimo, all'interno di quei due cancelletti del palazzo Bilotta e allora, criminali decisi s� ad uccidere, ma con il rischio di essere riconosciuti da una testimone, con il rischio constatato tangibihnente � Ci ha visto Rosetta, siamo qu�! che facciamo?� Due risposte vi d�: non era rinviabile l'oinicidio! Voi pensate davvero che un oinicidio di questo genere avvenga casualmente, perch� due di punto in bianco decidono di uccidere colui che era il pi� teinibile loro avversario? Voi credete davvero che se il quadro di questo duplice oinici1 dio � quello che vi ho appena designato e le carte processuali non ci consen1 tono altre interpretazioni, voi credete davvero che un omicidio cosl sintoma 60 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO tico, cosi intimidatorio, potesse essere realizzato soltanto da due e non avesse una mente a monte, non avesse le sue cellule cli rinforzo, le sue squadre cli appoggio? Rinviare questo delitto soltanto perch� c'� un passaggio fugace dell'ex fidanzata di Renato Molinaro non era possibile! Un rischio calcolato! Lo si � affrontato e sono andati avanti! Poi c'� un'altro aspetto, un'altra risposta: ma Rosetta <Cerminara, poteva essere affidabile e in che misura, per la criminalit�\ che in quel momento stava agendo? Voi avete il dovere, dai fatti che sono stati provati ed accertati, dalle cose che sono state dette di fronte a voi, di collegare fatto con fatto per risalire ad una verit� umana e sostanziale. Rosetta Cerminara era la donna cli Renato Molinaro, Rosetta Cerminara sapeva che Renato, il suo Renato, commerciava, faceva traffico di droga, ha raccontato� degli episodi il cui dettaglio � tale da dare la certezza della credibilit�. Rosetta Cerminara era stata presentata da Molinaro a Rizzardi -poi vedremo che fondamento hanno quelle prese di distanza degli imputati � Noi neanche. ci conoscevamo, io non l'ho presentata mai� -era stata presentata a Rizzardi e c'era stata una fideiussione, chiamiamola cos�, del Molinaro a Rizzardi �Di lei ti puoi fidare�. Per Renato Molinaro Rosetta era la donna della ~ mala, colei che gli aveva garantito -ricordate? -che non lo avrebbe mai denunciato alla Polizia per il traffico degli stupefacenti! I Allora questi due elementi certamente consentono cli dire che, nonostante l'incontro, l'omicidio non era rinviabile e perci� a quelle due domande: dovevano ammazzare proprio a Lametia? Dovevano ammazzare proprio a Lametia I con killer del posto e, pur riconosciuti da Rosetta, ammazzano lo stesso? Si risponde s�! In piena coscienza, dopo una valutazione storica del momento ~ " e psicologica dei soggetti! ... * * * I ... lo sarei propenso a ritenere che la verit� di Monica Aiello � quando riferisce cli aver visto una macchina scura. Ma badi, signor Presidente, io non voglio I trincerarmi dietro una pur possibile constatazione cli inutilizzabilit� della ri sposta di Monica Aiello ad una domanda che non avrebbe dovuto essere ammes sa, n� vorrei accentuare la fama, che gi� mi son fatto in questo processo, di I essere sostenitore del rispetto della norma del codice cli procedura penale che pu� talvolta non far comodo n� alla difesa, n� alla parte civile, n� alla pubblh ca accusa e tanto meno scatenar battaglia sull'esatto ricordo dell'Aiello! Per� I non posso prescindere dal richiamare quello che ho sempre detto: dobbiamo respingere i subdoli tentativi cli far dire ai testi quello che ci fa comodo o I! attentare alla loro credibilit� chiedendo loro a ripetizione la stessa cosa, nella speranza cli poter dare ad un � forse � che poi diventa un � circa � o a � pi� volte� poi mutato in un � paio cli volte� una valenza di mendacio! Badate che se c'� nel codice cli procedura penale una norma che profondamen te garantisce la sostanza, essa � proprio quella sulla inutilizzabilit�, quella I dell'art. 191. Non vi dico altre cose perch� il tema sono stato costretto a trat I tarlo pi� volte nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Solo questo accenno: l'introduzione della inutilizzabilit� delle prove assunte in violazione dei divieti l stabiliti dalla legge � stata un'innovazione totale che affonda lo strumento chirurgico nella radice sostanziale del problema e che il legislatore processualI I �penalistico ha introdotto proprio a seguito del malgoverno -mi spiace doverI ' lo dire -che i giudici penali d'Italia spesso hanno fatto dell'istituto della nullit�. I I I P�RTE Il, QUESTIONI I giudici togati sanno che la nullit� � definita, quanto ai suoi effetti, con quel bellissimo e sintetico detto latino del quod nullum est, nullum producit effectum cio� quello che � nullo � nullo e non produce alcun effetto, � il nero totale, � l'assorbimento totale dei raggi di luce, non c'� luce che possa venire dal nero, dal nulla! Eppure spesso l'atto nullo risorgeva come un mostro dalle molte vite! Ricordo che una volta a Varese difesi un ingegnere delle Ferrovie dello Stato imputato di disastro ferroviario, condannato per questo reato sulla base di una perizia che era stata dichiarata nulla. Voi direte: � Non � possibile! � Gi�! E infatti non sarebbe stato possibile! Eppure ci� avvenne! Perch� quei bravi giudici condannarono l'imputato sulla base di una perizia che era s� stata dichiarata nulla in dibattimento e la cui nullit� era stata ribadita nella narrativa in fatto della decisione, ma gli argomenti della sentenza: erano gli argomenti della perizia! E questo fu di una gravit� abissale! Perch� era palese la non onest� di intenti -pu� succedere pro e contro gli imputati, pro e contro l'accusa -ma non deve succedere perch� cos� si farebbe mal governo della giustizia! Ed ecco allora, il nuovo che il legislatore introduce: l'inutilizzabilit� delle prove come garanzia profondamente etica: doversi escludere anche di fatto, dalla conoscenza e dalla coscienza del giudice ogni prova acquisita illegittimamente. Badate, la ricerca della verit� deve essere ricerca della verit�, non deve essere ricerca di una verit� fittizia, come accadrebbe in questo processo se trascurassimo come con pervicace insistenza la difesa pretende il dettato dell'art. 191 del codice di procedura: il loro gioco � scoperto, la comune esperienz11 ci insegna che se facciamo ad un testimone, per 10 volte la stessa domanda, quello risponder�, sull'essenziale di quello che sa o di quello che ha visto, sempre la stessa cosa, ma se lo tormentiamo con particolari e circostanze, non possiamo onestamente basarci sul � forse � che egli dice, quando poco prima ha detto � circa� o sulla variazione di minuti nell'indicazione sull'ora o11di una data per sostenere il mendacio! :S anche questo che il codice vuole garantire: le prove assunte in violazione delle norme della legge processuale, non hanno valore, non possono essere utilizzate, non possono essere richiamate, non possono entrare come argomenti da portare alla Vostra attenzione; ed ~o mi auguro che nessuno osi, per rispetto a Voi, per rispetto alla pro-; fessione di difensore, nessuno osi richiamare gli atti dell'incidente probatorio n� quelli del processo annullato! Vedete, signori, questa esigenza di correttezza � tanto sentita, che alcune proposte di legge prefigurano il dovere del Magistrato di escludere dal fascicolo processuale gli atti nulli o inutilizzabili come ulteriore ostacolo all'aggiramento della norma. 1 Per ora, tuttavia, il rispetto della legge che impone di non tenere conto dei fatti dei quali conto non si pu� tenere, signori della Corte d'Assise di Catanzaro, � affidata alla nostra correttezza professionale, alla Vostra rettitudine morale e alle vostre coscienze! * * * Rosetta Cerminara ha in questo processo, una importanza che nessuno smentisce, con le sue verit� e le sue contraddizioni; sarei troppo ingenuo se omettessi di considerarlo e forse non farei quel completo servizio che mi sono assunto, di rappresentare a questa Corte i punti di vista dell'accusa privata, ma .Rosetta Cerminara, anche se � il fulcro non � tutto in questo processo! Io vorrei percorrere questa linea logica che mi viene suggerita dalle vicende processuali, dagli atteggiamenti della difesa, le cui posizioni devo contrastare, senn� non Vi arrecherei quell'apporto costruttivo che deve essere base della vostra decisione. Allora mi chiedo e a Voi voglio chiedere di rispon 62 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO dere a questa domanda: qual'� il metro di valutazione delle contraddizioni di Rosetta Cerminara, questa donna che � stata tormentata in questa vicenda processuale al limite della distruzione psicologica, questa ragazza che � riuscita a resistere con saldezza di nervi e lucidit� mentale totale a dodici ore consecutive e pi� di interrogatorio con soli tre quarti d'ora di sospensione, questa giovane calabrese che verso la fine d'udienza aveva ancora il coraggio e la dignit�, (mi sono sentito piccolo, ci dobbiamo sentire piccoli di fronte al giganteggiare della sua forza d'animo) questa donna che ha avuto il coraggio di dire verso la fine dell'udienza: �Avvocato Veneto, non si preoccupi, non sono stanca! >>, questa donna che tuttavia viene accusata di essere mitomane o malata e che � caduta in una serie di contraddizioni, perch� non c'� dubbio: dal 22 gennaio del 1992, al 17 novembre del 1993, ha dato delle circostanze che ruotano intorno all'episodio cruciale, che non ha mai smentito, una serie di versioni contraddittorie, delle quali sicuramente si pasturer� la difesa? Allora, queste contraddizioni di Rosetta, sono davvero il frutto di una regia accusatoria, come dice la difesa, cui lei si presta abilmente? o si spiegano altrimenti con il dichiarato desiderio di depistare? o con la paw�a di esporsi o di esporre la famiglia? o pi� banalmente con errori, inesattezze e vuoti di memoria? o -vi� concedo anche -con un'umana comprensibile prudenza nell'esposizione dei fatti, fino a quando non avesse raggiunto tutela? che per� non intacca la verit� del suo dire! � facile prendersela con le leggi di uno Stato, costretto all'emergenza! le deggi di emergenza sono tante nella storia, la stessa taglia sui criminali � una -legge di emergenza, che fa a pugni con l'esigenza di una morale pura, di un imperativo categorico, perch� la taglia sul delinquente sfrutta i pi� bassi istinti dell'uomo, quegli istinti che uno Stato ordinato, ~ma a questo punto parliamo di Repubblica di Platone, non dovrebbe favorire. Per� tant'�, ci sono esempi anche peggiori di legislazione: pensate alla sanatoria edilizia: � difficile immaginare qualcosa di pi� immorale di uno Stato che dichiara la propria incapacit� di evitare fatti illeciti, li riconosce come tali e li legittima poi a pagamento. Ma cos� �: a situazioni estreme, rimedi estremi! Le leggi sui pentiti e sui collaboratori di giustizia sono leggi che lo Stato � stato costretto ad emanare da una criminalit� invadente che sta per occupare spazi della sua sovranit�. Sono stati scritti fiumi di inchiostro sulla effettiva efficacia di queste leggi e non solo perch� �fatta la legge, trovato l'inganno �. Ci viene il dubbio che la sovrabbondanza di pentiti possa avere riferimenti a pentitismi di maniera, a rami secchi che si offrono da parte della criminalit� per avere spazi vitali successivi, ma questo non interessa il nostro processo, se non per il dubbio che le leggi sul pentitismo e sulla protezione dei collaboratori possano stimolare i pi� bassi desideri, di rifarsi una vita, di sanare una propria situazione economica. Non sono tanto cieco da nascondermi le difficolt� e la possibilit� di questo discorso, ma � un modo per arrivare alla verit�, corrisponde in termini moderni alle taglie sui delinquenti dell'800, alle taglie sui briganti che in funzione antistato imperversavano nelle nostre terre dopo la cosidetta �conquista piemontese�, tanto per rifarci a discorsi storici. Quelle leggi hanno raggiunto i loro risultati, raggiungeranno anche queste i loro risultati, li stanno raggiungendo. Certo, Voi Giudici, che siete chiamati a valutare l'attendibilit� di posizioni probatorie cos� suscettibili di essere influenzate da una qualche cosa che con . il processo e con l'accertamento <;!ella verit� potrebbe non avere niente a che fare, avete un saliente e delicato compito di assicurarvi dell'attendibilit�, ma t11on andate al di l� di questo! Posso concedere tutto su questo aspetto 1PA�UE li, QUESTIONI 6J alla difesa: sono leggi che sarebbe bene non ci fossero, ma perch� ci sono? Perch� c'� una criminalit� potente, organizzata e diffusa, perch� dobbiamo reagire, non � possibile che la convivenza sociale sia alterata dalla formazione di bande, bande come gruppi che si pongono in antitesi. Con queste leggi dobbiamo puntare ad una convivenza sociale e armoniosa, il fatto singolare di gruppi contro gruppi, di gruppi che si danno leggi autonome e criminali e aggressive e considerano nemica la societ� e lo Stato deve finire! queste leggi Voi dovete applicare in funzione di queste esigenze! Perci�, tornando a Rosetta, vediamo se le difformit� siano giustificabili e su quali basi logiche, psicologiche, giuridiche e storiche o se sia valida la chiave di lettura che ci propone la difesa. Voglio dire cio�:� ci sono davvero nelle contraddizioni di Rosetta, quegli adattamenti successivi resi necessari dagli sviluppi processuali s� da screditarne totalmente la versione? Vedete, Signori della Corte d'Assise, se Rosetta fosse stata una costru� zione della Polizia, ben poca professionalit� dovremmo riconoscere a quei poliziotti che numerosi sono venuti a testimoniare in questo processo, molti dei quali sono il fior fiore degli investigatori italiani. Lo riconosce la stessa difesa quando sono venuti a testimoniare i Pansa, i Gratteri, i De Felice e, irritata per le brecce che non aveva potuto aprire in quello che essa definisce il falso castello accusatorio, tributa loro l'omaggio di pi� abili investigatori d'Italia: Allora c'� da domandarsi se possa essere appena verosimile che, volendo costruire un teste falso o stimolare atroci propositi di vendetta, quella stessa polizia, che si era resa ben conto che questo omicidio -lo scrive nei rapporti, lo ha ricordato il pubblico Ministero, lo dice qui in pubblica udienza -era la punta massima della parabola criminale a Lametia Terme, la stessa polizia, cos� elogiata, cos� efficiente, cos� motivata perch� era stato ucciso uno dei suoi uomini migliori, � possibile mai che potesse cadere in errori cos� banali come per esempio quello di non rifare il percorso di Rosetta Cerminara, non all'esperimento giudiziario primo, non all'esperimento giudiziario secondo, ma immediatamente dopo le sue prime dichiarazioni, quella stessa polizia alla quale Montilla dice di avere sentito le sirene e visto le macchine di polizia e carabinieri alle 18 e 45, non dice a Rosetta Cerminara, 10 giorni dopo febbrili indagini a tappeto, in cui certo il rapporto di Montilla non pu� essere passato inosservato, non l'avverte: � Bada, non dire che sei uscita da casa alle 18 e 20, perch� senn� come facevi ad essere alle 18 e 45 in via dei Campioni?. Allora, davvero Rosetta, quando qui in aula, dopo aver detto per ben due volte consecutive di essere uscita di casa alle 18 e 20 o alle 18 e 15 e una volta, dopo averlo circostanziato, con un � ricordo esattamente perch� l'ho detto a mamma �, viene qui e soltanto in quest'aula, il 17 novembre del '93 (badate che in coerenza estrema, a rischio di sentirmi ridere alle spalle, non cito altro che le dichiarazioni sentite in quest'aula, in piena validit� di deposizione!) precisa che erano invece le 18, 18 e 5, sarebbe lo strumento mendace di poliziotti abili, decisi a far condannare degli innocenti? Ed � questo � l'assesta� mento difensivo perch� si sono accorti che l'omicidio � avvenuto prima�? avremmo una polizia inetta e pasticciona che non meriterebbe nemmeno nel male elogi di capacit�! Mi sono domandato anche i vari perch� dei " Non ricordo � di Rosetta. Cerminara e mi sono chiesto: quanti stati d'animo, quanti atteggiamenti sono individuabili in questa giovane donna, di fronte agli inquirenti? Cio�, quante possibili chiavi di lettura abbiamo dei suoi � Non ricordo �, delle sue contraddizioni, delle sue imprecisioni, deile sue risposte? Intanto cominciamo col tenere presente che i suoi � Non ricordo � sono non ricordo di udienza e quindi hanno una valenza dialettica, psicologica, strumentale, che deve essere valutata in funzione della� sua credibilit� o no. Cfo� voglio dire: I � non ri� 64 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO cordo � di Rosetta Cerminara sono tutti � Non ricordo � di una teste che � messa in difficolt� e che quindi non vuole compromettere una posizione gi� dichiarata o sono � Non ricordo � di autodifesa o reazione ad un'aggressivit� verbale la cui cm;rettezza lascia molto a desiderare? Ne abbiamo avuti di questi casi, in dibattimento! Allora, ci sono i � Non ricordo � sicuramente sinceri, credo che nemmeno Veneto con tutta la sua abilit�, nemmeno Zofrea con la sua astuzia saranno in grado di dire che certi �Non ricordo� non siano sinceri e che non emergano con spontaneit� dal suo interrogatorio in udienza. Per esempio, quando Rosetta Cerminara a pagina 242 del verbale del 17 novembre,, risponde, a domanda del Presidente: �Non ricordo Presidente come ero vestita quel giorno, non ricordo veramente�, � certamente un � Non ricordo �, spontaneo per il contesto e per il modo della dichiarazione. E voi siete giudici di tutto, non soltanto delle dichiarazioni, ma delle espressioni, degli atteggiamenti, dei silenzi, dei pianti e degli scatti d'ira: tutto dovete e potete valutare ai fini dell'attendibilit�! Non umiliamo il dibattimento! � qui che nasce e si forma la prova, � l'udienza dibattimentale la regina dell'accertamento; evitiamo che degradi di nuovo a funzione notarile di accertamenti svolti altrove!. Le impressioni che ricevete dalle dichiarazioni dei testi sono importanti tanto pi� se la ricostruzione dell'iter logico del teste � soddisfacente � Non ricordo veramente quando vidi per la prima volta Paolo Aversa, se prima o dopo che De Felice venne a casa mia�, pag. 303 del suo interrogatorio. Quale valenza strumentale pu� essere data ad un � Non ricordo � di questo genere, per potere ritenere che potrebbe essere il tentativo di copertura di un mendacio? Nessuno! C'� abbondanza di documentazione sulla ricostruzione dei fatvi, le telefonate con Paolo, gli incontri con De Felice. Ci sono i �Non ricordo � in cui Rosetta Cerminara denuncia e questo � anche lodevole, questo va valutato ai fini di attendibilit�, non di inattendibilit�, denuncia una sua impossibilit� di essere pi� precisa. Ci sono i casi in cui Rosetta Cerminara � in parte travolta dal desiderio, che avverte, di collaborare, ed � spinta dalla opportunit� di fornire dati estrinseci di credibilit� all'episodio che ha realmente visto, senza che questo ne intacchi la veridicit�. A pagina 323, per esempio, sempre nel verbale del suo interrogatorio del 17 novembre, dice, a proposito dell'ora in cui decise di non andare pi� da Fanny, � Non me lo ricordo, � meglio dire cos� perch� � la verit��; ma perch� mai non dovrebbe essere la verit�, quella dichiarata con questa frase assolutamente spontanea da Rosetta Cerminara, la quale rivela un disagio psicologico interno? �lo devo dirli, gli orari, perch� devo dare credibilit� a quello che ho visto, in fondo sono stata in giro, ho dei termini di riferimento, l'ora in cui sono uscita, l'ora in cui sono arrivata da Gino Lo Prete, devo dirli gli orari � e d'altra parte � tormentata: � Ma io questi orari come faccio in coscienza a dirli con la precisione con la quale me li si chiede?�. In un primo tempo Rosetta Cerminara racconta un fatto e lo colloca approssimativamente nei tempi, ma quando questi tempi diventano esasperata richiesta di precisione al minuto, quando questi vengono prospettati con domande che per essere ripetute per l'ennesima volta, accavallate l'un l'altra, tendono ad indurla in inganno, lei dice: �Non me lo ricordo, � meglio dire cos� perch� � la verit��. E dove, quando lo I dice questo Rosetta Cerminara? Lo dice in un contesto dell'istruttoria dibatI � timentale ;in cui l'avvocato Veneto la copriva di assillanti pretese di sapere l'orario al cronometro. � Ma prima o dopo? Che ora era? avete detto che avete ! visto l'orologio di fronte ad Aversa�! :t!. una risposta in linea con questa situazione! Sciogliete, signore e signori della Corte d'Assise, i vostri dubbi con il.� massimo scrupolo; mi rendo conto che si tratta di applicare due ergastoli, perch� due ergastoli ha richiesto il Pubblico Ministero simo .,della pena che il nostro codice, frutto di una e l'ergastolo � il massoluzione di altissima I l ~ I I I PARTE II, QUESTIONI 6) civilt�, ha adottato. L'uomo non � padrone della vita e nessun giudice quindi la pu� togliere. La pena capitale � perci� da tempo sostituita con l'ergastolo, pena tremenda tuttavia, pur con gli strumenti che tendono ad attenuarla in corso d'esecuzione. Pena per� proporzionata all'atto tremendo di chi uccide! � giusto perci� che Voi esaminiate i fatti e le colpe nei minimi dettagli: nulla vi deve sfuggire, ma nulla nemmeno delle argomentazioni che vi prospetta l'accusa, dovete frettolosamente liquidare come pretenderebbe la difesa! Allora, dovete approfondire l'indagine, andare al di l� delle prime apparenze: c'� in Rosetta Cerminara il momento di intensa carica emotiva, vera, sacrosanta, difficile pensare che reciti, non solo perch� aveva 19 o 20 anni al momento e ne ha 22 adesso, perch� si pu� recitare anche a quell'et�, ma � difficile convincersi che Rosetta Cerminara reciti quando dice: � Me lo ricordo benissimo quello che ho vi.sto! �. O, a pag. 363, in un momento di contestazioni pesanti, quando urla: �Lei lo sa chi ha ammazzato Aversa!� rivolgendosi al difensore e badate, tengo a precisare, per evitare di essere frainteso, non � questa una critica al comportamento difensivo, � soltanto la valutazione dei fatti. Il compito del difensore, da qualsiasi parte stia, � cos� umile che non pu� avere m� l'arroganza, ne la pretesa della verit� finale: quella la dovete trovare voi, noi vi offriamo le nostre ragioni, noi e loro. Ma quando Rosetta Cerminara urla, rivolta a Veneto: �Lei lo sa chi ha ammazzato Aversa�, come facciamo a pensare che sia una recitazione? O quando dice, tormentata prima dal suo dilemma interno, tormentata da tutte le vicende, le lotte che ha sostenuto, sia quelle di carattere psicologico, sia quelle di carattere affettivo, sia quelle di carattere, chiamiamole economiche in senso buono, perch� non rifiuto, come vi ho detto, nemmeno questa possibili�t�; quando Rosetta Cerminara dice: �C'� del vero e ce ne � tanto del vero nelle mie precedenti dichiarazioni! �. Che ~cosa dice? Lei lo sa quali sono i suoi tormenti dopo avere visto quellit situazione, lei lo sa di che forza d'animo ha dovuto dare prova quando ha detto dal parrucchiere: �Accidenti, non vado pi� a sciare! �. Ma davvero voi pensate che quella frase di Rosetta Cerminara possa essere interpretata come dimostrazione di fatuit� o come prova che non aveva visto niente? Davvero pensate che sia accettabile quello che vi prospetta la difesa, secondo la quale Rosetta avrebbe dovuto dire l� a Lametia, di fronte a tutti �Si si, lo s� li ho visti io�? Cosa voleva Rosetta Cerminara? Che quella frase banale, sparata subito dopo la notizia di un fatto che l'aveva terrorizzata, che aveva visto e che si teneva per s�, coprisse ogni minimo turbamento nel suo volto: non era ancora iniziato il travaglio della sua coscienza, non avvertiva ancora il peso del segreto che l'avrebbe poi portata a denunciare il fatto. Prevaleva, d'istinto, la cultura dell'omert�; e allora si stringeva nella sua difesa, nell'indifferenza, scappa dalla sua coscienza, cos� come in preda alla paura, era scappata dal luogo che l'aveva vista testimone del delitto. Era il terrore di essere coinvolta che l'ha fatta parlare in quel modo, lo stesso terrore che l'aveva indotta ad andare da Gino Lo Prete �a passo veloce �, come ha sempre detto! avrei corso anch'io, Presidente, perch� correre serviva a scaricare un peso troppo pesante da sopportare! Altro che le risatine di scherno della difesa o le minacce di denuncia all'ausiliaria di polizia che ha rifatto il percorso di Rosetta! � qui che si capisce lo stato d'animo di questa teste: c'era un conflitto, un dramma interno, non determinato soltanto da questo desiderio iniziale di tutelarsi; quel dramma che l'aveva indotta a buttarsi a piangere sul letto della madre, in un ritorno di infanzia, di desiderio protettivo, del seno materno. Ricordate quando Santino le domanda � cos'hai? � e lei gli risponde in malo modo: �Lasciami stare, sono stancai �, Nessuno pu� negare che Rosetta Cermi 66 RASSEGNA AVVOCATURA DEl.J..O STATO nara abbia un carattere forte, ma questo non significa che Rosetta Cerminara sia una teste falsai Quando si butta sul letto e piange, perch� piange Rosetta Cerminara? Forse in quel momento non piange per il terrore dell'omicidio visto, Rosetta in quel momento piange per un altro motivo: aveva sperato che Molinaro non facesse pi� il traffico di droga. Rosetta Cerminara sapeva che Molinaro era implicato in queste vicende, sapeva dell'ambiente che Renato Molinaro frequen tava1 ma lei o per affetto o per desiderio di tornare con lui o per ricordo di un �amore che era stato felice sperava e pensava che Molinaro fosse migliore degli altri! Piange perch� vede definitivamente infranto un suo sogno affet tivo, in quel momento. C'� poco da :ridere su ci�! Non si possono con una risa tina distruggere le lacerazioni psicologiche di Rosetta Cerminara! ci sono troppi riscontri sul piano dell'umana psicologia di una ragazza di quell'et� in una situazione di questo genere perch� ci� possa essere ritenuto falso!! Quando dice qui in udienza, di fronte a voi: � C'� del vero e ce ne � tanto del vero nelle mie precedenti dichiarazioni �! fa una sintesi totale dei suoi stati d'animo nei quali c'� la delusione di un affetto radicalmente infranto da questo omicidio. Era un episodio al quale nemmeno Rosetta Cerminara, che pur frequentava senza troppi problemi trafficanti di droga -lo ha dichia rato lei -arrivava, perch� era al di sopra delle sue possibilit� di accetta zione! C'� in questa dichiarazione di Rosetta Cerminara, qui, di fronte a voi, al dibattimento, anche il ricordo tempestoso di tutte le vicende che ne hanno fatto la protagonista indiscussa del processo. Nelle sue dichiarazioni, quanti momenti significativi! c'� il momento in cui queste dichiarazioni erano controllate dai richiami prudenziali dei genitori, il momento in cui aveva il terrore che i genitori potessero essere perseguitati, il momento in cui, forse per legittima difesa, dichiarava qualche cosa a favore degli imputati, perch� allora, negli ambienti di loro provenienza si potesse percepire, (voi certo non crederete che i mandanti non abbiano seguito questo processo nei minimi dettagli!) si potesse percepire che Rosetta in fondo non era pericolo sa, che giocava una parte di teste d'accusa per buttare cortine fumogene. Perch� dite, voi della difesa, che sarebbe irrazionale l'episodio degli anelli al dito, perch� irrazionale l'episodio dell'accento reggino? Ha invece una sua razionalit� totale in questo senso: in fondo, bene o male, un p� la figura della ragazza della mala, per superficialit�, per amore, l'aveva rivestita, lei stessa ce lo dichiara: � Stai tranquillo, io non dico niente non denuncio nes suno!� Vi ricordate? a proposito del suo Renato? Ci sono le prudenze cui i genitori la stimolavano e c'� infine il calcolo anche, ve lo concedo, che pu� averla � indotta a non parlare completamente fino a quando non fossero stati protetti lei e i suoi. Sono stati pagati i debiti? Non lo so! sono protetti efficacemente? lo sono stati fin da allora? non lo so! Santino dice di no, per esempio, ed � preoccupante quello che Santino dice. Ha scarso pregio l'argomentazione finale di Veneto, quando dopo le mie domande a Santino Cerminara quando � emersa la sua preoccupazione, per aver visto nel paese o citt� dove vive, pi� di una volta giovani di Lametia l� sotto, � preoccupante questa circostanza e certo non viene esclusa dal pur abile tentativo del l'avvocato Veneto, che �alla fine fa a Santino Cerminara questa domanda: �Sa signor Cerminara, lei � troppo intelligente per non capire che da qui a qual-i che settimana noi verremo a sapere dove lei sta �. Vedete di che efficiente servizio informazioni pu� disporre la difesa; e � e se ne vanta! E poi chiede: � Dall'accento sembra che lei viva in una citt� dell'alt'ltalia, ora lei � troppo intelligente per non oapire che se vive in un paese questa PARTE II, QUESTIONI visita dei lametini ha un significato, se vive in una citt� ha tutt'altro significato �. Ora, per quanta stima abbia per la dialettica del mio avversario, devo dire che la sua logica qu� � claudicante. Mi dite perch� mai, se io vivo in un paesetto della costa tirrenica e sono protetto dalla polizia per un qualsivoglia motivo, dovrei pensare che una visita dei miei conterranei sul posto, non possa avere altro che un significato di intimidazione, mentre se viceversa vivo a Torino, a Venezia, a Lecce, a Milano o a Roma, vedo dei lametini, sotto casa mia o per le strade che frequento, dovrei pensare: � Niente paura, � un incontro meramente occasionale�? E vediamo altri � Non ricordo� di Rosetta Cerminara; Ci sono quelli che riflettono soltanto e qu� veniamo proprio al momento dialettico, la preoccupazione della teste di non essere tratta in inganno, di bloccare un'insidia, senza che �ci� influisca sulla genuinit� della risposta. Parliamo chiaro anche qu� e vediamo le cose nell'esatta loro luce: Rosetta Cerminara � una ragazza di 20 anni, � nata e vissuta in Calabria, ma c'� differenza fra lei e le calabresi vestite di nero, che si sono avvicendate su quella sedia a raccontarci cose fa. cilmente smentibili: ricordate la deposizione della madre di Molinaro? Ve ne parler� tra poco, ma esse nonostante tutto meritano rispetto, custodi come vogliono essere, nel bene e nel male, delle loro famiglie, al di l� delle quali nulla � importante, nulla � degno di considerazione. Fuori della cerchia degli affetti famigliari, la vita altrui, la giustizia, la convivenza sociale sono astrazioni, difficili da capire! Rosetta � diversa, i suoi interessi vanno oltre la famiglia, la sua socialit� � elevata e sa difendersi: � una giovane moderna, ed io non ho nessuna difficolt� ad accettare che le abbiano ancor meglio insegnato a difendersi di fronte ai molteplici possibili inganni di un controesame! D'altronde non dice l'art., 38 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, che i dif�nsori anche a mezzo di sostituti o di consulenti tecnici, possono conferire con le persone che possono dare informazioni? Che cosa pensate che possa dire un avvocato o chi per lui a tale persona? � Guarda, raccontami le cose come stanno e vedi di riferirle con chiarezza al momento del giudizio, perch� se questa � la verit� che conosci, non ti devi far trarre in inganno �! � probabile che questo sia stato detto dai difensori ai loro testi, certo, � doveroso, ed � probabile che altrettanto abbiano fatto gli uomini del servizio centrale operativo della Polizia di Stato: sarebbe stato altrettanto doveroso! :B certo invece che commetteremmo un illecito gravissimo, noi e loro della difesa, se dicessimo ai testi di dire il falso! Perch� vi dico questo? Perch� Rosetta Cerminara, che � una calabrese dinamica, vivace ed estroversa, ventenne, che reagisce al pungolo severo dei genitori che non ce la fanno a dare ai figli un'educazione all'antica, � una ragazza anche avvisata contro possibili inganni, forse in modo ingenuo. � avvertita �Bada che ti ingannano, bada che ti fanno dire il contrario di quella che � la verit�!� e allora, alla domanda dell'avvocato Veneto, che tutte queste cose le sa benissimo come le so io, � troppo intelligente per non conoscerle e per non condividerle (ma lui sonda e il controesame glielo consente, il teste fino all'esasperazione! E, purtroppo, i margini fra il comportamento lecito e quello illecito di chi, attraverso un rotolio di domande confonde e fa dire al teste una cosa diversa da quello che �, sono spesso labili). Alla domanda dell'avvocato Veneto a Rosetta Cerminara: �Lei � sicura che quella era una pistola come quella della polizia? � che � molto grossa, pi� di 20 centimetri di lunghezza e ben visibile a distanza, lei risponde: � Si �; � Ma lei lo .esclude che era una pistola a tamburo?�, dice Veneto e Rosetta, forse temendo chiss� quale inganno, risponde agguerrita ma ingenua: �Avvocato Veneto, io non escludo niente!� :S evidente che si tratta di un'autodifesa, � 68 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO evidente che hanno qu� operato gli avvertimenti al teste di non farsi trarre in inganno, ed � ulteriore prova della veridicit� di quello che lei dice! �Me lo ricordo benissimo quello che ho visto! e lei avvocato Veneto lo il sa chi ha ammazzato Aversa! � restano pilastri psicologicamente veritieri anche se non ci fosse altro! I Ci sono poi, nelle dichiarazioni e nei non ricordo di Rosetta Cerminara, le preclusioni, le determinazioni della teste di non riferire fatti della sua vita fil privata, non interessanti il processo: ce ne sono a piene mani in relazione ai rapporti con Renato Molinaro. Renato Molinaro dice, mettendolo sfrontatamente in piazza, di essere arrivato subito al dunque il primo giorno che sono usciti insieme; Rosetta Cerminara lo nega. E allora? � teste falsa per questo? Sono circostanze fuori dal processo, rispettiamo la personalit� della teste come impone il codice di procedura penale e non tacciamo di reticenza una testimone, che nega, se � vero che nega, situa:llioni che con il processo non hanno niente a che fare. Noi possiamo trarre dalle risposte alle domande, anche se non rigorosamente pertinenti al thema decidendum, elementi per valutare l'attendibilit�. Ma signor Presidente, signori e soprattutto signore della Corte d'Assise! asteniamoci dall'imprimere su questo sacrosanto pudore di una giovane donna di Calabria il marchio della sua inattendibilit� ... I ... Un'ultima dimostrazione della verosimiglianza della versione di Rosetta Cerminara se non volete, ancora, della sua verit�! C'� Teresa Vigliaturo. Quan I do entr� e disse che c'era stato un omicidio, senza sapere chi fossero le vit I ~ time. Le fu chiesto: �Lo chiese anche alla Cerminara se sapeva qualche cosa dell'omicidio? Ricorda se a questo dialogo partecip� anche la Cerminara? Lo pu� escludere o no?�; �No, dice Teresa Vigliaturo, questo lo escludo altrimenti me lo sarei ricordato�. Questa � una deposizione circostanziata, valida perch� aggancia al ricordo del �No, Rosetta Cerminara non mi ha chiesto niente >>, un fatto mnemonicamente valido: la conosco, se me l'avesse doman I dato fra le sconosciute che c'erano, mi sarebbe rimasto in mente. E Rosetta Cerminara, infatti al primo annuncio non disse niente: � Cal I missima, tranquilla eroi � ma su quella tranquillit� di Rosetta Cerminara ~ dal parrucchiere, non costruiamo una non conoscenza di Rosetta Cerminara di ~ I & un fatto cos� tragico e quindi la falsit� della testimone, ma valutiamola per quel che fu. Erano scattati i freni inibitori e le difese di Rosetta! Intendiamo ci. bene, Rosetta � pur sempre donna di Lametia, pu� essere moderna, diversa: da quelle donne quasi ieratiche, taciturne e vestite di nero, ma pur sempre donna di Lametia, ragazza di Lametia Terme. Quale pu� essere la prima reazione di un lametino che assiste ad un delitto? Ma se io ho sentito amici miei, non vi dico ovviamente chi e quanti e a che livello, dire: �Io? Se avessi visto non mi ci sarei immischiato per niente! A parte la seccatura di andare a testimoniare decine di volte, ma poi chi mi avrebbe garantito l'incolumit�? �. Questo � il clima nel quale viviamo, questo � l'ambiente, cos� siamo noi! Voi pensate che Rosetta Cerminara, a caldo, quando le ferite, n� quelle fisiche, n� quelle psicologiche si � ancora in grado di avvertire, pensate davve; ro che Rosetta Cerminara, quando � andata via a passo veloce, per allontanarsi il pi� possibile ed il pi� presto dalla scena del delitto, per mettere il maggiore spazio possibile tra lei e chi �aveva visto, forse anche preoccupata del fatto che qualcuno l'avrebbe potuta raggiungere, pensate che Rosetta o chiunque di noi o di voi, a 20 �anni o a 60, avesse deciso in quel primo, spontaneo impulso di autodifesa, di non dire niente, di far finta di niente, PARTE II, QUESTIONI 69 di non avere visto nulla -pensate davvero che sarebbe andata dal parrucchiere con la faccia sconvolta, con la faccia alterata? Io mi sarei messo una maschera di cera, Rosetta si sarebbe magari �voluta cospargere di cipria il volto per evitare rossori o pallori visibili dall'esterno! questa � la verit� di quei momenti! � Tranquilla ero �; � Come vi � parsa Rosetta quando le avete parlato?; �Tranquilla, serena�, ha un attimo di tensione emotiva e ve l'ho detto prima, in quella sua dichiarazione: � accidenti, non posso andare a sciare domani! �, ma chi di noi, che non avesse effettivamente visto, come la difesa pretende che Rosetta non abbia visto, al sentir la notizia dell'uccisione di Aversa che ella conosceva e della moglie, avrebbe reagito con una dichiarazione cos� brutale? Non sarebbe stata pi� consueta, pi� umana una espressione di cordoglio? anche se .fossero stati due sconosciuti? perch� Rosetta non lo ha detto e non ha fatto gli stessi commenti che vennero naturali a quanti davvero non avevano visto niente? Ma perch� se li avesse fatti non avrebbe resistito all'emozione e si sarebbe tradita, bastava un niente perch� la facessero fuori il giorno dopo, bastava un niente! E Rosetta Cerminara a 20 anni, a Lametia, queste cose non era in grado di saperle? Non era in grado di temerle? Questa � la teste che la difesa assume essere falsa! .... Signori della Corte d'Assise di Catanzaro! Noi ci troviamo dinanzi ad un feroce delitto di 'ndrangheta, che � stato realizzato per moventi chiari, emersi dal processo e noti nella zona. Questo delitto atroce deve essere punito, deve essere la risposta dello Stato, risposta difficile, risposta purtroppo che colpisce soltanto parte degli esecutori materiali. Non c'� l'autista, non ci sono gli appoggi, non ci sono coloro che hanno garantito materialmente ed esecutivamente sul posto la possibilit� di realizzazione, non ci sono i mandanti. Ma voi dovete punire lo stesso, � imprescindibile questo vostro dovere e lo. farete con coscienza serena e tranquilla, pur nella gravit� delle pene che il Pubblico Ministero vi ha richiesto, perch� non vi � possibilit� di altre strade! TUTELA GIURIDICA DEI PROGRAMMI PER ELABORATORE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Il presente articolo tratter� aspetti relativi alla applicabilit� del d.lg. 518/92 (attuativo della direttiva 91/250 CEE sulla tutela giuridica dei programmi per elaboratore elettronico) anche alle ipotesi di duplicazione di programmi effettuate dalla Pubblica Amministrazione. L'attuale testo della legge sul diritto d'autore, integrata dal dJg. 518/92, con pene particolarmente severe punisce una serie di abusi nell'uso del software, tra cui la duplicazione a fine di lucro e la detenzione a scopo commerciale (art. 171 bis). Si tratta pertanto di verificare se siano configurabili detti fini con riferimento alla Pubblica Amministrazione. Per quanto concerne il fine di lucro va rilevato che i primi commentatori della legge non hanno manifestato orientamenti univoci nella interpretazione del concetto. Taluni infatti rilevano che la nozione di scopo di lucro (come configurata dalla giurisprudenza penale in relazione ad altri reati) va riferita ad un vantaggio di tipo patrimoniale, ossia suscettibile di valutazione economica, che pu� consistere anche in un risparmio di spesa e che dunque pu� attagliarsi anche alle duplicazioni non realizzate nel contesto di una operazione economica, come nel caso della P .A. Altri, invece, ritengono che lo scopo di lucro vada ricavato, in negativo, dalla nozione di �uso personale �, alla quale viene contrapposta; pertanto poich� la duplicazione per uso personale (ammessa ai sensi dell'art. 68 legge 1941/633) importa senz'altro un risparmio di spesa per il duplicatore che intende usare il programma per s�, si deduce che il fine di lucro (vietato dall'art. 171 bis della legge) consista in un quid pluris (arricchimento) rispetto al mero risparmio di spesa e, comunque, presupponga un trasferimento a terzi (ossia un uso non personale). D'altro canto, secondo tale orientamento interpretativo, lo scopo di lucro pu� essere ricavato, in negativo, anche dalla nozione di scopo di liberalit�, cui sarebbe estraneo il vantaggio patrimoniale. Seguendo tale orientamento, dunque, dovrebbe escludersi il reato di cui all'art. 171 bis nel caso di duplicazione effettuata dalla Pubblica Amministrazione: in primo luogo perch� i programmi duplicati rimarrebbero nella disponibilit� della stessa Amministrazione e quindi non vi sarebbe un trasferilmento., a terzi; in secondo luogo perch� l'uso di terzi, seppure come tali si intendessero gli operatori dell'Amministrazione, sarebbe comunque gratuito. Tanto precisato in ordine al fine di lucro, resta da aggiungere qualche precisazione sul concetto di scopo commerciale previsto come fine che rende illecita la detenzione di copie di programmi non autorizzate. Si osserva in proposito che si contrappongono, tra i commentatori della legge, un criterio di interpretazione soggettivo, che riconosce la presenza del requisito solo in capo alle imprese commerciali individuate dalla dottrina commerciai- civilistica ai sensi dell'art. 2195 cc, ed un criterio di interpretazione oggettivo, che collega il requisito non alla natura dell'agente bens� al fine della sua attivit� (scopo di far �commercio�). La duplicazione attuata dalla Pubblica Amministrazione, peraltro, sfugge ad entrambe le interpretazioni, mancando nella specie sia la presenza di una impresa commerciale e sia lo scopo di fare commercio dei programmi duplicati. Pi� complesso appare il problema della applicabilit� del reato previsto dall'art. 171 legge 1933/633 alla P.A. PARTE II, QUESTIONI Tale fattispecie di reato, che parte della giurisprudenza ha applicato alla tutela del software anche prima dell'entrata in vigore del dlg. 518/1992, costituisce ipotesi di reato � residuale � integrabile ove non sussistano i presupposti per il reato speciale di cui all'art. 171 bis legge 1941/633. Occorre sottolineare che si tratta di un reato a dolo c.d. generico, diretto a ,'punire una serie di condotte (tra cui la riproduzione dell'opera altrui) per� meate dalla mera consapevolezza e volont� di dare corso alle stesse, prescindendo da qualsiasi fine di lucro o scopo commerciale. Consegue, dunque, che l'ambito applicativo della norma -notevolmente pi� vasto rispetto a quello dell'art. 171 bis -coincide con l'abusivit� della con dotta, abusivit� riscontrabile qualora l'attivit� esercitata dall'utilizzatore dell'opera esorbiti i limiti di uso imposti per legge ovvero per contratto dall'impresa titolare del diritto d'autore. Per quanto concerne i limiti di uso del software posti dalla legge si ricorda che l'art. 64 bis legge 1941/633 lett. a) riserva all'impresa la riproduzione del programma � anche temporanea�, � con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma � e che tale prerogativa � intesa nel senso che essa includa non solo la riprodu~ zione in copie del programma (su floppy o su altro supporto), bens� anche il semplice caricamento del programma nella memoria del calcolatore (c.d. loading, che viene inteso come riproduzione temporanea), nonch� il caricamento temporaneo del programma, residente su un server, nella memoria di pi� computer connessi in rete (c.d. accesso multiplo ad un programma da parte di pi� utenti di un solo sistema centrale). Pu� essere peraltro discussa la possibilit� di escludere il reato applicando, in sostanziale funzione discriminante di reato, l'art. 68 legge 1941/633 che riconosce come � libera la riproduzione ... per uso personale...fatta...con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell'opera nel pubblico�. La relativa applicazione alla Pubblica Amministrazione � dunque condizionata alla possibilit� di configurare come �personale � l'uso che dei programmi riprodotti faccia l'Amministrazione e alla possibilit� di escludere l'idoneit� allo spaccio o diffusione. In relazione a tale secondo punto si osserva che non sussiste idoneit� allo spaccio nel caso di riproduzione c.d. temporanea (eseguita mediante caricamento del programma di volta in volta sui vari computer ovvero mediante utilizzazione di un programma residente su server da pi� computer connessi in rete). Quanto all'uso personale � evidente la difficolt� di configurare tale requisito con riferimento ad un soggetto che .non sia una persona fisica. Infatti, deve escludersi che l'uso personale possa essere inteso nel senso che gli operatori che usino i programmi duplicati per fini istituzionali agiscano -in forza del rapporto di immedesimazione organica -per la P.A., cosicch� possa dirsi che siano integrati i presupposti per l'uso personale, ossia proprio della persona giuridica. Tale interpretazione, infatti, oltre ad essere contestata in dottrina, sarebbe difficilmente accettabile sul piano logico e giuridico in quanto finirebbe per estendere in modo abnorme l'ambito dell'uso personale ad ogni persona giuridica, pubblica e privata. Deve rilevarsi, peraltro, che secondo diverso indirizzo interpretativo l'uso personale va inteso non nel senso di uso proprio della persona fisica, bens� in senso relativo ed elastico, riferibile anche ad un ambito ristretto di persone (in via esemplificativa si cita espressamente l'ipotesi di un docente che utilizzi delle riproduzioni, nella specie fotocopie, nella cerchia ristretta dei suoi allievi). Non si escludono pertanto margini di applicabilit� dell'art. 68 legge 1941/633 ove l'uso del software riprodotto sia circoscritto entro un ambito soggettiva ,, ,, 72 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO mente ristretto e comunque tale, per numero di utilizzatori, da non costituire un comportamento violativo della concorrenza in pregiudizio dei diritti di utilizzazione economica dell'autore. Infine non pu� essere precluso all'utilizzatore del software un uso dei programmi che possa considerarsi normale alla stregua della natura e della destinazione, oggettiva e soggettiva, dei programmi stessi. Ad esempio ove si tratti di programmi didattici -ossia di programmi creati dall'autore come sussidio all'insegnamento e il cui uso presuppone una necessaria interrelazione tra docenti e discenti -pu� ritenersi che per l'ope� rativit� del programma sia necessaria la contemporanea utilizzazione dello stesso, 1da parte degli alunni e del loro docente, e quindi che la riproduzione.I del programma sia ammissibile nei limiti necessari per l'utilizzabilit� del software in conformit� della sua destinazione didatti.ca. Si osserva, infatti, che lo stesso dlg. 518/92 ha introdotto nella legge sul diritto d'autore l'art. 64 ter che consente -anche senza l'autorizzazione del titolare del diritto d'autore -la riproduzione del software ove sia � necessaria per l'uso del programma...conformemente alla sua destinazione da parte del legittimo acquirente�. Altro problema connesso all'entrata in vigore del d.lg. 518/92 attiene al diritto intertemporale. L'art. 11 dlg. 518/92 (art. 199 bis legge 1941/633) dispone l'app1icabilit� della legge anche � ai programmi creati prima della sua entrata in vigore �, ma non si pronuncia sui �fatti � commessi prima della entrata in vigore. Affrontando dunque il problema in via interpretativa si osserva che il d.lg. 518/92 1per un verso ha sancito per la prima volta l'illiceit� penale dell'abuso sul software (che apparirebbe pertanto come una nuova incriminazione, cui dovrebbe applicarsi il principio della irretroattivit� della legge penale) e, per altro verso, ha incluso detto illecito in una fattispecie di reato gi� esistente e gi� 'in precedenza applicata da parte della giurisprudenza. Tale ultima considerazione fa ritenere prevedibile che la tesi destinata ad imporsi \Sia quella che esclude la nuova incriminazione, nel qual caso dovrebbe assumersi la rilevanza penale dei fatti commessi anche prima della entrata in vigore del d.lg. 518/92. Ci� posto sembra che possa pervenirsi ad un temperamento della sanzione penale invocando, per i fatti commessi anteriormente al d.lg. 518/92, l'errore come �,causa soggettiva di esclusione della colpevolezza sotto il profilo dell'errore sulla stessa qualificazione del software come opera dell'ingegno. Con riferimento alla P.A. si pone, infine, il problema dell'applicabilit� nelle norme di tutela contrattuale. Ai sensi dell'art. 8 d.lg. 518/92 le speciali azioni civilistiche previste dagli artt. 156-170 legge 1942/633 sono estese anche a �chi mette in circolazione in qualsiasi modo o detiene per scopi commerciali copie non autorizzate di programma �. Sembra pertanto che, nel caso di duplicazione di programmi effettuata dalla Pubblica Amministrazione, possa essere esclusa sia la circolazione e sia lo scopo commerciale, con conseguente inapplicabilit� delle speciali azioni previste nella legge sul diritto d'autore. Ci� detto, peraltro, non pu� escludersi che la ditta titolare del diritto possa invocare l'ordinaria tutela contrattuale per inadempimento, ove la duplicazione del software costituisca attivit� riservata alla stessa ditta e pertanto preclusa all'utilizzatore del programma. GIANNA MARIA DE SOCIO ' I ~ I Im � ~ I I ~ ! I I I ~ ! I RASSEGNA DI L:EGISLAZIONE QUESTIONI DI LEGITTIMIT� COSTITUZIONALE I -NORME DICHIARATE INCOSTITUZIONALI codice di procedura civile, art. 669-terdeci�s, nella parte in cui non ammette il reclamo ivi previsto, anche avverso l'ordinanza con cui sia stata rigettata la domanda di provvedimento cautelare. Sentenza 23 giugno 1994, n. 253, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. codice penale, artt. 17 e 22, nella parte in cui non escludono l'applicazione della pena dell'ergastolo al minore imputabile. Sentenza 28 aprile 1994, n. 168, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. codice penale, art. 69, quarto comma, nella parte in cui prevede che nei confronti del minore imputabile sia applicabile la disposizione del primo comma dello stesso art. 69 in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o pi� circostanze aggravanti che comportano la pena dell'ergastolo, nonch� nella parte in cui prevede che nei confronti del minore stesso siano applicabili le disposizioni del primo e del terzo comma del citato art. 69, in caso di concorso tra la circostanza attenuante di cui all'art. 98 del codice penale e una o pi� circostanze aggravanti che accedono ad un reato per il quale � prevista la pena base dell'ergastolo. Sentenza 28 aprile 1994, n. 168, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. codice penale, art. 73, secondo comma, nella parte in cui, in caso di concorso di pi� delitti commessi da minore imputabile, per ciascuno dei quali deve infliggersi la pena della reclusione non inferiore a ventiquattro anni, prevede la pena dell'ergastolo. Sentenza 28 aprile 1994, n. 168, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. codice di procedura penale, art. 281, comma 2-bis. Sentenza 31 marzo 1994, n. 109, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. codice di procedura penale, art. 301, secondo comma, nella parte in cui non prevede che, ai fini dell'adozione del provvedimento di rinnovazione della misura cautelare personale, debba essere previamente sentito il difensore della persona da assoggettare alla misura. Sentenza 8 giugno 1994, n. 219, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 124, terzo comma, nella parte in cui, nel disciplinare i requisiti di ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede l'esclusione di coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, 74 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO secondo l'apprezzamento insindacabile del Consiglio Superiore della Magistratura, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa. Sentenza 31 marzo 1994, n. 108, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. r.dl. 31 maggio 1946, n. 511, art. 34, secondo comma, nella parte in cui non consente alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura di disporre d'ufficio la nomina di un magistrato difensore. Sentenza 8 giugno 1994, n. 220, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, art. 3, nella parte in cui prevede che i sequestri e i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato si eseguono presso l'Ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello Stato del Ministero del tesoro, anzich� presso l'organo dell'amministrazione che � titolare del potere di disporre la spesa. Sentenza 10 giugno 1994, n. 231, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. legge 3 agosto 1961, n. 833, art. 45, prbno comma, primo periodo, nella parte in cui non prevede il diretto deferimento a Commissione di disciplina qualora in base alle risultanze di accertamenti disciplinari il Comandante di Corpo o di zona o delle scuole ritenga che al militare sia da infliggere la sanzione della cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma, indicata alla lettera b) dell'art. 43 della stessa legge. Sentenza 26 maggio 1994, n. 197, G. U. 1� giugno 1994, n. 23. legge 22 luglio 1966, n. 613, art. 2, primo comma, nella parte in cui non considera familiari agli effetti della stessa legge gli affini entro il secondo grado. Sentenza 5 maggio 1994, n. 170, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59, primo comma, e d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 51, prbno comma, limitatamente alle parole �purch� il matrimonio sia durato non meno di un anno ovvero sia nata prole ancorch� postuma �, Sentenza 28 aprile 1994, n. 162, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488, art. 21 [cos� come modificato dall'art. 20 della legge 30 aprile 1969, n. 153], nella parte in cui non prevede che nel caso di lavoro a tempo parziale svolto da pensionati l'ammontare della detrazione da effettuare per settimana di lavoro sia determinato dividendo l'bnporto della trattenuta settimanale relativo all'orario normale per il numero delle ore corrispondenti a tale orario, e moltiplicando il risultato per il numero delle ore effettivamente lavorate nella settimana. Sentenza 8 giugno 1994, n .221, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 6, primo comma, lett. a), in riferimento all'art. 4, lett. c), nella parte in cui non prevede garanzie di contraddittorio ai fini della declaratoria della decadenza dall'incarico di componente la commissione tributaria, per sopravvenuto difetto della � buona condotta "� Sentenza 31 marzo 1994, n. 107, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE 7f d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915, art. 51, primo comma, e legge 18 marzo 1968, n. 313, art. 59, primo comma, limitatamente alle parole �purch� il matrimonio sia durato non meno di un anno ovvero sia nata prole ancorch� postuma�. Sentenza 28 aprile 1994, n. 162, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non prevede che la causa di ineleggibilit� a consigliere comunale del dipendente comunale cessi anche con il collocamento in aspettativa ai sensi del secondo comma dello stesso art. 2. Sentenza 31 marzo 1994, n. 111, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. legge 23 aprile 1981, n. 154, art. 2, terzo comma, nella parte in cui non prevede che la causa di ineleggibilit� a consigliere provinciale del dipendente provinciale cessi anche con il collocamento in aspettativa ai sensi del secondo comma dello stesso art. 2. Sentenza 31 marzo 1994, n. 111, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 60, secondo comma, nella parte in cui esclude che le pene sostitutive si applichino ai reati previsti dagli artt. 21 e 22 della legge 10 maggio 1976, n. 319. Sentenza 23 giugno 1994, n. 254, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. d.l. 28 febbraio 1983, n. 55, art. 25, secondo comma [convertito in legge 26 aprile 1983, n. 131], nella parte in cui demanda alla commissione arbitrale prevista dall'art. 1 del regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n. 36, convertito nella legge 9 aprile 1931, n. 460, la revisione delle misure dell'aggio, del minimo garantito e del canone fisso convenute nei contratti per l'accertamento e la riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicit�, dei diritti sulle pubbliche affissioni e delle tasse di occupazione di spazi ed aree pubbliche. Sentenza 2 giugno 1994, n. 206, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. d.I. 1� luglio 1986, n. 318, art. 14, terzo comma [convertito nella legge 9 agosto 1986, n. 488], nella parte in cui, attraverso il rinvio all'art. 25, secondo comma, del decreto-legge 28 febbraio 1983, n. 55, convertito nella legge 26 aprile 1983, n. 131, demanda alla commissione arbitrale prevista dall'art. 1 del regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n. 36, convertito nella legge 9 aprile 1931, n. 460, la revisione delle misure dell'aggio, del minimo garantito e del canone fisso convenute nei contratti per l'accertamento e la riscossione dell'imposta comunale sulla pubblicit�, dei diritti sulle pubbliche affissioni e delle tasse di occupazione di spazi ed aree pubbliche. Sentenza 2 giugno 1994, n. 206, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. d.I. 31 agosto 1987, n. 359, art. 18, quinto comma [convertito in legge 29 ottobre 1987, n. 400], nella parte in cui demanda alla commissione arbitrale prevista dall'art. 1 del regio decreto-legge 25 gennaio 1931, n. 36, convertito nella legge 9 aprile 1931, n. 460, la revisione delle misure di cui allo stesso art. 18. Sentenza 10 giugno 1994, n. 232, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. 17 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO legge 1� febbraio 1989, n. 53, art. 26, nella parte in cui, rinviando per l'accesso ai ruoli del personale della polizia di Stato al possesso delle qualit� morali 76 e di condotta stabilite per l'ammissione ai concorsi della magistratura ordinaria, prevede che siano esclusi coloro che, per le informazioni raccolte, non risultano, secondo l'apprezzamento insindacabile del Ministro competente, appartenenti a famiglia di estimazione morale indiscussa. Sentenza 31 marzo 1994, n. 108, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. legge reg. Piemonte 3 aprile 1989, n. 20, art. 11, lett. a), limitatamente all'inciso: � nelle zone assimilate alle zone � A� e � B � del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 e cio� nei centri edificati, nei nuclei minori, nelle aree sia residenziali che produttive a capacit� insediativa esaurita o residua e in quelle di completamento cos� definiti nei Piani Regolatori approvati ai sensi del titolo III della legge regionale 5 dicembre 1977, n. 56 e successive modificazioni e integrazioni �. Sentenza 31 marzo 1994, n. 110, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. legge 5 giugno 1990, n. 135, art. S, terzo e quinto comma, nella parte in cui non prevede accertamenti sanitari dell'assenza di sieropositivit� all'infezione da HIV come condizione per l'espletamento di attivit� che comportano rischi per la salute dei terzi. Sentenza 2 giugno 1994, n. 218, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. d.lgs. 27 febbraio 1991, n. 79, art. 12, primo comma, lett. c), nella parte in cui richiede, per la partecipazione al concorso e per la nomina a maestro vice direttore della banda musicale della Guardia di finanza, il requisito del sesso maschile, previsto in generale per la nomina ad ufficiale in servizio permanente. Sentenza 19 maggio 1994, n. 188, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. d.l. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, secondo comma [convertito in legge 14 novembre 1992, n. 438]. Sentenza 13 aprile 1994, n. 134, G. U. 20 aprile 1994, n. 17. d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, art. 2, primo comma, nella parte in cui dispone che, con atto di indirizzo e coordinamento, il Ministro della sanit� determina i requisiti minimi strutturali e tecnologici e stabilisce i criteri organizzativi uniformi ai quali gli istituti devono conformarsi. Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, art. 3, terzo comma, nella parte in cui richiede per la nomina del direttore generale dell'istituto zooprofilattico l'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le pro vince autonome. Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, art. 3, quarto comma, nella parte in cui dispone che, dei tre membri del collegio dei revisori degli istituti zooprofilattici, uno � designato dal Ministro della sanit� e uno dal Ministro del tesoro. Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. delibera legislativa reg. Trentino-Alto Adige, riapprovata il 24 settembre 1993, recante � Modifiche ed integrazioni al T.u. delle leggi regionali per l'elezione del Consiglio regionale, approvato con decreto del Presidente della Giunta regionale 29 gennaio 1987, n. 2/L al fine di consentire la rappresentanza delle popo� lazioni ladine della provincia di Trento nel Consiglio regionale e provinciale �. Sentenza 10 giugno 1994, n. 233, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993, art. 4, comma 3, lett. b), nella parte in cui indica una data successiva al 23 marzo 1992, e lettera d) nella parte in cui non prevede il pagamento di un corrispettivo adeguato al valore del diritto di abitazione, nonch� comma 6. Sentenza 5 maggio 1994, n, 169, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. legge 24 dicembre 1993, n. 537, art. 11, comma 22, nella parte in cui -nel caso di concorso di due o pi� pensioni integrate o integrabili al trattamento minimo, delle quali una sola conserva il diritto alla integrazione ai sensi dell'art. 6, comma 3, del d.1. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638, non risultando superati al 30 settembre 1983 i limiti di reddito fissati nei commi precedenti -prevede la riconduzione all'importo a calcolo dell'altra o delle altre pensioni non pi� integrabili, anzich� il mantenimento di esse nell'importo spettante alla data indicata, fino ad assorbimento negli aumenti della pensione-base derivanti dalla perequazione automatica. Sentenza 10 giugno 1994, n. 240, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. II -QUESTIONI DICHIARATE NON FONDATE combinato disposto art. 2118 codice civile, art. 6, quarto comma, d.I. 22 dicembre 1981, n. 791 [convertito in legge 26 febbraio 1982, n. 54] e 10 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (art. 3 e 38 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1994, n. 225, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. codice di procedura civile, art. 429, terzo comma. Sentenza 2 giugno 1994, n. 207, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. codice di procedura civile, art. 513, primo e secondo comma (artt. 13 e 14 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1994, n. 189, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. 78 RASSEGNA AVVOCATURA DEU..O STATO codice di procedura penale, art. 207, secondo comma. Sentenza 2 giugno 1994, n. 208, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. codice di procedura penale, art. 238, prbno comma [nel testo sostituito dall'art. 3, primo comma, d.l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356] (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 26 maggio 1994, n. 198, G. U. 1� giugno 1994, n. 23. codice di procedura penale, art. 286-bis (art. 3 della Costituzione). Sentenza 2 giugno 1994, n. 210, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. codice di procedura penale, art. 308, secondo comma, secondo periodo (artt. 3, 25 e 76 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 147, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. codice di procedura penale, art. 403 (artt. 3 e 112 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 181, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. codice di procedura penale, artt. 443 e 595, nella parte in cui non consentono al pubblico ministero, in esito al giudizio abbreviato, di proporre impugnazione incidentale nel caso in cui l'imputato proponga appello avverso la sentenza di condanna (artt. 3 e 112 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1994, n. 98, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. codice di procedura penale, artt. 500, comma 2-bis, e 512 (artt. 2, 3, 24, 25, 76, 101, 111 e 112 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 179, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. codice di procedura penale, art. 500, quarto comma (artt. 3, 24, 25 e 101 della Costituzione). Sentenza 16 giugno 1994, n. 241, G. U. 22 giugno 1994, n. 26. codice di procedura penale, art. 689, nella parte in cui non include il decreto penale di condanna fra le pronunce non menzionabili ex lege nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta dell'interessato (art. 3 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1994, n. 223, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. legge 25 giugno 1865, n. 2359, artt. 51 e 69 (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 13 aprile 1994, n. 135, G. U. 20 aprile 1994, n. 17. d.m. 8 luglio 1924, art. 37, terzo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 24 marzo 1994, n. 99, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE i9 r.d. 3 marzo 1934, n. 383, art. 144, lett. d), n. 6 (artt. 5, 128, 23 e 53 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 182, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. r.d. 16 marzo 1942, n. 267, art. 206, secondo comma (artt. 3 e 24 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1994, n. 173, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. legge 17 luglio 1942, n. 907, art. 3, n. 1 (artt. 3 e 43 della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1994, n. 257. G. U. 29 giugno 1994, n. 27. legge 12 febbraio 1955, n. 77, art. 1, secondo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 151, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 141, primo comma (art. 24 della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1994, n. 255, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393, art. 142-bis, primo comma (art. 24 della Costituzione). Sentenza 23 giugno 1994, n. 255, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. legge 9 luglio 1967, 11. 589, art. 4, primo comma, n. 1 (artt. 5, 128, 23 e 53 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 182, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, primo comma, secondo periodo (art. 3 della Costituzione). Sentenza 2 giugno 1994, n. 213, G. U. 8 giugno 1994, n. 24. legge 22 maggio 1974, n. 357, art. 2, nella parte in cui d� esecuzione all'art. 6 della Convenzione europea in materia di adozione di minori. Sentenza 16 maggio 1994, n. 183, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 7 (artt. 3, 29, secondo comma, 30, 31, secondo comma, e 37 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 150, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. legge 11 febbraio 1980, n. 18, art. 1 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1994, n. 193, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge 7 luglio 1980, n. 299, art. 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1994, n. 237, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. RASSEGNA AVVOCATURA DELl..O STATO 80 legge reg. Lombardia 29 novembre 1984, n. 60, art. 11, primo e secondo comma (artt. 3, 97 e 117 della Costituzione). Sentenza 10 giugno 1994, n. 234, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. d.I. 22 dicembre 1984, n. 901, art. 1, comma 5-bis [convertito in legge 1� marzo 1985, n. 42] (artt. 24 e 42 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1994, n. 163, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. legge 28 febbraio 1985, n. 47, artt. 20, primo comma, lett. c) e 22, ultimo comma (art. 3 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 148, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. r.d. 2 aprile 1985, n. 3095, artt. 4, 7 e 8 (artt. 5, 128, 23 e 53 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 182, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge 11 gennaio 1986, n. 3, artt. 1, 2 e 3 (art. 3 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 180, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge 11 gennaio 1986, n. 3, artt. 1, 2 e 3 (artt. 3, 13, primo comma, 16, primo comma, e 32 della Costituzione). Sentenza 16 maggio 1994, n. 180, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. d.1. 16 settembre 1987, n. 379, art. 1, comma 8 [convertito in legge 14 novembre 1987, n. 468], nella parte in cui esclude i colonnelli provenienti da carriere e ruoli diversi, che abbiano maturato ventinove anni di servizio militare comunque prestato, dalla parziale omogeneizzazione stipendiale fra gli ufficiali delle Forze armate e gli appartenenti alle Forze di polizia (artt. 3 e 97 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 146, G. U. 27 aprile 1994, n.. 18. d.l. 29 dicembre 1987, n. 534, art. 14, secondo comma [convertito in legge 28 febbraio 1988, n. 47] (artt. 24 e 42 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1994, n. 163, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. legge 21 novembre 1988, n. 508 (art. 3, primo comma, della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1994, n. 193, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge reg. Lombardia 6 febbraio 1990, n. 7, art. 20 (art. 117 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1994, n. 125, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, comma 4-septies (artt. 3, primo comma, e 97, primo comma). Sentenza 16 maggio 1994, n. 184, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. PARTE Il;. RASSEGNA DI LEGISLAZIONE cU. 27 aprile. 1990, n; 90, art� 12, quinto comma [convertito in legge 26 giu� gno 1990i n. 165] (artt. 23 e 53 della Costituzione). Sente)lZa 10 giugno 1994, n; 236, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. legge 30 luglio 1990, n. 217, art. 1, comma 8 (artt. 3 e 24, commi 1 e 2, della (;ostitu;1;ione).. Seriteni�.16 giugno 1994, n. 243, G. U. 22 giugno 1994, n. 26. legge 20 maggio 1991, n. 158, art. 22 (artt. 24 e 42 della Cosdtuzione). Sentenza 28 aprile 1994, n. 163, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. legge 8 novembre 1991, n. 360, art. 3� (artt. 3, 24 e � 42 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1994, n. 166, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. legge� reg. Frluii~Venezia Giulia 19 novembre 1991, n. 52; artt. 72, lett. b) e f), e 78 (artt. 3 e 25, secondo comma, della� Costituzione). Sentenza 24 marzo 1994, n. 100, G. U. 6 aprile 1994, n. 15. legge reg. Frluli-Veriezia Giulia 19 novembre 1991, n; 52, artt: 78, primo comma e 68, terzo comma, lett. f) (artt. 3, 25, secondo comma, e 116 della Co� stituzione, art. 4 dello statuto spec. reg. Friuli). SenteJlZa 16 maggio 1994, n. 178, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. legge 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, primo comma (artt. 3, 25, secondo comma, e 51, primo comma, della C9stituzione). Sentenza 31 marzo 1994, n. 118, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. combinato disposto artt. 18, primo comma, lett. b), 30, primo comma, lett. h) e 31, primo cQ:tnma, lett. g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (art. 25, secondo comma, della Costituzione). SenteJlZa 31 marzo 1994, n. 117, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. d.L 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, terzo comma [convertito nella. legge 8. ago� sto 1992, n. 359] (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 28 aprile 1994, .n. 164, G. U. 4 waggio 1994, n. 19. d.l. 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, quarto comma [convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359] (art. 36 della Costituzione). SenteJlZa 28 aprile 1994, n. 164, G. U. 4 maggio 1994, n. 19. legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 4, quinto comma (artt. 3 e 36 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 153, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. 82 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO legge 23 dicembre 1992, n. 498, art. 13, commi 2 e 3, cos� come sostituito dall'art. 6-bis del d.l. 18 gennaio 1993, n. 9 [c011vertito in legge 18 marzo 1993, n. 67] (artt. 3, 35, 36, 38, 101 e 104 della Costituzione). Sentenza 31 marzo 1994, n. 115 G. U. 13 aprile 1994, n. 16. d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, primo, secondo e quarto comma, (artt. 3, 24, 55 e seg., 70 e seg., 92 e seg., 97 e seg., 101, 102, 103, 104, 108 e seg. e 113 della Costituzione). Sentenza 24 giugno 1994, n. 263, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. d.I. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 21 [convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68] (artt. 2, 3, 24, 28, 41 e 113 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 155, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. d.1. 18 getll'laio 1993, n. 8, art. 21 [convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68] (artt. 2, 3, 23, 24, 53 e 113 della Costituzione). Sentenza 16 giugno 1994, n. 242, G. U. 22 giugno 1994, n. 26. d.l. 18 gennaio 1993, n. 8, art. 21, terzo comma [convertito in legge 19 mar� zo 1993, n. 68] (artt. 24 e 25 della Costituzione). Sentenza 21 aprile 1994, n. 149, G. U. 27 aprile 1994, n. 18. d.I. 23 gennaio 1993, n. 16, art. 2 [convertito in legge 24 marzo 1993, n. 75] (artt. 3, 24, 53, 102 e 103 della Costituzione). Sentenza 24 giugno 1994, n. 263, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. legge 24 marzo 1993, n. 75, art. 2, primo comma (artt. 3, 24, 55, 70 e seg., 92 e seg., 97 e seg., 101, 102, 103, 104, 108 e seg. e 113 della Costituzione). Sentenza 24 giugno 1994, n. 263, G. U. 29 giugno 1994, n. 27. d.1. 22 maggio 1993, n. 155, artt. 7, primo comma e 8-bis [convertito in legge 19 luglio 1993, n. 243]. Sentenza 8 giugno 1994, n. 222, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. d.lgs. 30 giugno 1993, n. 266, art. 1, terzo comma, lett. b); 1, terzo comma, lett. d); 5 e 6 (artt. 76, 117, 118, e VIII disposizione transitoria e finale, commi secondo e terzo, della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1994, n. 128, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, primo, terzo, quarto e quinto comma; 2, secondo e quinto comma; 3, primo, secondo, quinto e sesto comma (artt. 117, 118 e 76 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. PARTE II, RASSEGNA DI LEGISLAZIONE d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, prbno, terzo, quarto e quinto comma; 2, secondo e quinto comma; 3, prbno, secondo, quinto e sesto comma; 4; 5 e 10 (artt. 8, n. 21; 9, n. 10 e 16 dello statuto speciale Trentino-Alto Adige e art. 76 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. d.lgs. 30 giugno 1993, n. 270, artt. 1, prbno, quarto e quinto comma; 2, se� condo comma; 3, secondo e sesto comma; 5, primo comma; 6, prbno comma, lett. a); 10; prbno comma (artt. 117, 118, 119, e 76 della Costituzione). Sentenza 7 aprile 1994, n. 124, G. U. 13 aprile 1994, n. 16. d.lgs. 1� settembre 1993, n. 385, artt. 15, commi prbno, terzo e quarto, e 159, terzo comma (artt. 11 statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 8 giugno 1994, n. 224, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. �d.lgs. 1� settembre 1993, n. 385, artt. 47, secondo e terzo con'lla, 152, primo comma, e 159 (artt. 3, 4 e 6 statuto spec. reg. Sardegna e art. 76 della Costituzione). Sentenza 8 giugno 1994, n. 224, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. d.lgs. 1� settembre 1993, 11. 385, art. 159 (artt. 5, n. 3, 16, primo comma e 107, primo comma, statuto spec. Trentino-Alto Adige). Sentenza 8 giugno 1994, n. 224, G. U. 15 giugno 1994, n. 25. legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993, artt. 2, 3, S, 6, secondo, terzo e quarto comma, 11, nonch� restanti commi dell'art. 4 (artt. 3, 9 e 97 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1994, n. 169, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. legge approvata dall'Assemblea regionale siciliana il 14 ottobre 1993, artt. 7, terzo comma, e 8 (artt. 3, 9 e 97 della Costituzione). Sentenza 5 maggio 1994, n. 169, G. U. 11 maggio 1994, n. 20. legge reg. Puglia riappr. il 21 dicembre 1993, articolo unico, primo, se� condo e quarto comma (art. 117, ultimo comma, della Costituzione). Sentenza 19 maggio 1994, n. 192, G. U. 25 maggio 1994, n. 22. CONSULTAZIONI AMBIENTE -Ente parco -Direttore di parco nominato con contratto di diritto privato -Se sia lavoratore dipendente -Contratto di nomina Applicabilit� dei divieti di cui all'art. 3 commi 23 e 24 legge n. 537/93. Se il direttore di parco, nominato ai sensi dell'art. 9 comma 11 legge 6 dicembre 1991 n. 394, con contratto di diritto privato, sia lavoratore dipendente oppure autonomo e se i divieti (di assunzione di personale a tempo determinato e di stabilire prestazioni di lavoro autonomo per prestazioni superiori a tre mesi) posti dall'art. 3 commi 23 e 24 legge 24 dicembre 1993 n. 537, riguardino anche i contratti di nomina di direttori di parco (es. 902/94). ANTICHIT� E BELLE ARTI -Cose di interesse artistico e storico -C.d. privatizzazione di banche di interesse nazionale e di enti pubblici -Beni di interesse storico artistico di propriet� di questi -Regime giuridico -Effetti. Quali effetti determini sul regime dei beni di interesse storico artistico di propriet� di una banca di interesse nazionale (nel caso di specie COMIT S.p.A.) o di un ente pubblico la c.d. privatizzazione della banca o la trasformazione dell'ente pubblico in societ� per azioni (et. 11082/93). Immobili di interesse storico e artistico -Lavoro di riparazione -Effettuazione a spese di chi non sia il proprietario -Contributo ex art. 3 comma 2 legge n. 1552/61 -Erogabilit� all'effettuatore della spesa. Se il contributo delle spese di ripristino o conservazione di immobili di interesse storico-artistico, che lo Stato pu� erogare ai sensi dell'art. 3 comma 2 legge 21 dicembre 1961 n. 1552, possa essere corrisposto a soggetto che pur non essendo il proprietario degli immobili ha provveduto ad eseguire i ridetti lavori di ripristino o conservazione (es. 3510/94). ASSISTENZA E BENEFICENZA PUBBLICA -Croce Rossa Italiana -Affidamento dell'espletamento dei compiti di istituto a cooperativa -Possibilit�. Se nei confronti della Croce Rossa Italiana sia operante la deroga, al divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, posto dall'art. 1 legge 23 ottobre 1960 n. 1369, introdotta per gli enti senza finalit� di lucro che svolgano attivit� socio-assistenziale, dall'art. 6-bis d.l. 18 gennaio 1993 n. 9 (che sostituisce l'art. 13 legge 23 dicembre 1992 n. 498) (es. 4051/93). CIRCOLAZIONE STRADALE -Veicoli adibiti a servizi di polizia o di soccorso -Infrazioni alle prescrizioni del codice della strada da parte dei conducenti nell'esple� tamento di servizi di istituto e facendo uso dei dispositivi di allarme -Irrogabilit� di sanzioni pecuniarie all'amministrazione proprietaria. Se possano essere irrogate all'amministrazione proprietaria di veicoli adibiti a servizi di polizia o antincendio (o di ambulanze) sanzioni pecuniarie amministrative a cagione di comportamenti, non conformi alle prescrizioni in materia di circolazione stradale, tenuti da conducenti dei veicoli stessi, nell'esple PARTE II, CONSULTAZIONI tamento di servizi di istituto e facendo uso congiunto. sia del dispositivo sonoro di allarme, sia di quello di segnalazione visiva (luce lampeggiante blu) (es. 9418/93). Vigile del Fuoco in possesso di patente civile di guida -Conduzione di auto mezzi adibiti a servizi di istituto in attesa di rilascio della patente c.d. militare -Possibilit�. Se, in attesa del rilascio della patente c.d. militare il Vigile del Fuoco, munito di patente civile ordinaria, possa essere adibito alla guida di autoveicoli di propriet� del Ministero dell'Interno in servizio di istituto (es. 8106/93). Violazioni alle norme del codice della strada dalle quali derivino danni alle persone -Procedimento penale contro l'autore -Sentenza irrevocabile di condanna -Mancata applicazione da parte del giudice penale della sanzione della sospensione della patente -Sospensione provvisoria disposta in precedenza dall'autorit� amministrativa -Perdita di efficacia. Se la sospensione della patente, disposta dall'autorit� amministrativa, in pendenza di procedimento penale (per omicidio colposo e lesioni colpose) nei confronti dell'autore di infrazione al codice della strada dalla quale siano derivati danni alle persone, perda efficacia nel momento in cui diviene irrevocabile la sentenza che abbia condannato l'imputato omettendo di irrogare la sanzione della sospensione della patente (es. 785/94). COMUNE -Comune con popolazione superiore a 10.000 abitanti -Sindaco -Indennit� di carica -Raddoppio ex art. 3 legge n. 816/85 -Presupposti -Dimissioni da ministro e/o segretario di Stato. Se spetti il raddoppio dell'indennit� di carica -ex art. 3 comma 2 legge 27 dicembre 1985 n. 816 -a chi si sia dimesso da ministro della Repubblica e/o segretano di Stato nell'assumere la carica di sindaco (in un comune con popolatlone superiore a diecimila abitanti) (es. 1566/93). CREDITO � Ente creditizio pubblico legge n. 218/90 e d.lg. n. 356/90 -Conferimento dell'azienda bancaria in Societ� per Azioni -Conseguenze. Se a seguito delle � trasformazioni � in Societ� per Azioni di istituti di credito pubblici, gli enti conferenti l'azienda bancaria alla nuova societ� abbiano conservato la natura di enti pubblici o se siano trasformati in enti privati (ci� in relazione in particolare, ai problemi relativi alla necessit� di iscrizione nel registro delle persone giuridiche, al regime applicabile alle accettazioni di eredit� e di donazioni e agli acquisti di immobili, alla disciplina del rapporto di lavoro del personale) (es. 881/94). ENTI PUBBLICI -Enti pubblici economici -Norme disciplinanti l'accesso a documenti amministrativi (legge n. 241/90) -Applicabilit�. Se sia applicabile ad un ente pubblico economico (nella specie Ente Poste) la disciplina relativa all'accesso ai documenti amministrativi dettata dalla legge n. 241/90 (es. 3751/94). 86 RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO Patrimonio � C.d. privatizzazioni di banche di interesse nazionale e di enti pubblici � Beni di interesse storico artistico di propriet� di questi -Regime giuridico -Effetti. Quali effetti determini sul regime dei beni di interesse storico artistico di propriet� di una banca di interesse nazionale (nel caso di specie COMIT S.p.A.) o di un ente pubblico la c.d. privatizzazione della banca o la trasformazione dell'ente pubblico in Societ� per Azioni (et. 11082/93). ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICA UTILIT� -Indennit� cli esproprio . Determinazione Costruzione demolita quando era in itinere il procedimento di condono edilizio � Rilevanza. Se nella determinazione dell'indennit� di esproprio si debba tener conto di una costruzione che sia stata demolita dopo la presentazione della domanda di sanatoria edilizia e prima che questa sia stata accolta (es. 1978/94). Opere statali � Pronuncia clel decreto di esproprio in base al solo deposito dell'indennit� provvisoria non accettata -Legittimit�. Se nelle espropriazioni per pubblica utilit� dello Stato sia possibile emettere il decreto di esproprio quando si sia provveduto al deposito dell'indennit� provvisoria non accettata e prima che sia stata liquidata l'indennit� definitiva come determinata dai competenti organi tecnici (es. 851/94). IMPIEGO PUBBLICO � Diritti e doveri del dipendente -Imposizione cla parte dell'amministrazione del divieto di fumare nei luoghi di lavoro -Possibilit�. Se l'amministrazione possa imporre il divieto di fumare nei luoghi di lavoro (es. 3104/94). ISTRUZIONE E SCUOLE -Incarichi di insegnamento presso ISEF -Rapporto fra incaricato e ISEF -Natura -Lavoro subordinato o prestazione di opera. Se colui al quale sia conferito incarico di insegnamento presso un ISEF sia legato al predetto istituto da rapporto di lavoro subordinato (es. 8241/93). Personale della scuola -Impiego in attivit� non istituzionali -Limite posto dall'art. 5 d. lgs. 35/93 (1.000 unit�) ai comandi e collocamenti fuori ruolo Rilevanza. Se nel contingente di mille unit�, entro il quale l'art. 5 d.lgs. 12 fobbraio 1993 n. 35 contiene l'impiego del personale della scuola in funzioni diverse da quelle di istituto, debbano essere ricompresi: a) i comandi, b) le collocazioni fuori ruolo (es. 866/94). PARTE II, CONSULTAZIONI Professori universitari con impegno a tempo pieno -Assunzione di cariche di rappresentanza e/o amministrazione in consorzi costituiti fra universit� -Possibilit�. Se i professori universitari, con impegno a tempo pieno, possano assumere cariche di rappresentanza e/o amministrazione in consorzi costituiti tra univer sit� (v. anche es 2583/94) (es. 2582/94). MINIERE, CAVE E TORBIERE -Attivit� di ricerca ed estrazione mineraria -Svolgimento in zona sottoposta a vincolo ex legge n. 1497/39 -Autorizzazione Competenza. Se l'autorizzazione paesistica ex art. 7 legge n. 1497/1939, in relazione ad attivit� di ricerca ed estrazione mineraria in zona vincolata, competa allo Stato o alla regione ed enti locali (es. 3377/93). OBBLIGAZIONI (IN GENERE) -Imposte -Crediti dell'erario -Pagamento ad opera di soggetto estraneo al rapporto di imposta -Surrogazione ex art. 1201 cc. Ammissibilit�. Se l'amministrazione delle finanze, ricevendo il pagamento del credito di imposta (nel caso di specie Iva) da un terzo estraneo al rapporto tributario, possa surrogarlo nei propri diritti verso il debitore (es. 1507/94). OPERE PUBBLICHE (APPALTO DI) -Appalto di opere pubbliche -Formazione del contratto -Scelta del contraente -Gara ufficiosa -Offerte presentate da distinte societ� che abbiano come legale rappresentante la medesima persona Ammissibilit�. Se sia ammissibile la partecipazione, ad una gara ufficiosa di appalto di opera pubblica, di distinte imprese che peraltro siano rappresentate dalla stessa persona fisica (es. 3785/93). Collaudo -Determinazione del compenso dei collaudatori -Fattispecie. Questioni sulla determinazione dell'ammontare dei compensi dei collaudatori delle opere pubbliche: a) se in caso di lavori di ristrutturazione possano applicarsi le maggiorazioni previste, per i collaudi di lavori di manutenzione, dalla tariffe proressionali degli ingegneri ed architetti; b) se la base sulla quale calcolare il compenso dei collaudatori debba essere comprensiva del ribasso d'asta e dell'alea revisionale o al netto di tali voci (e corrispondente quindi al netto pagato all'impresa) (es. 3215/93). PENSIONI -Personale dirigente dello Stato -Pensioni -Somme spettanti a seguito della sentenza 1/91 della Corte Costituzionale -Interessi e rivalutazione monetaria sulle spese -Se siano dovuti. Se siano dovuti rivalutazione ed interessi sulle somme riliquidate ai dirigenti dello Stato a titolo di pensione a seguito della sentenza 1/1991 della Corte 88 RASSEGNA AVVOCATURA.DELLO STATO Costituzionale (che ha riconosciuto il diritto alla riliquidazione delle pensioni al personale dirigente collocato a riposo anteriormente al 1� gennaio 1979) (es. 621/94). POSTE E RADIOTELECOMUNICAZIONI � Servizi di telecomunicazione . Impianti e concessioni � Emittente pubblica � Concessioni e locazioni di beni immobili dello Stato � Riduzione di canone ex art. 1 legge n. 390/86 e 9 d.l. 16/93 � Usufruibilit� da parte della RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.A. Se per la concessione dell'auditorium del Foro Italico, destinato ad attivit� concertistica, la RAI possa usufruire delle riduzioni di canone previste (per istituzioni, enti, associazioni culturali) dall'art. 1 legge 11 luglio 1986 n. 390 e 9 d.I. 23 gennaio 1993 n. 16 (et. 10372/88). Soppressione A.S.S.T. � Dipendenti titolari di concessione di alloggio di servizio � Revoca o decadenza dalla concessione � Se si verifichi. Se il personale dell'ex azienda di Stato per i servizi telefonici, transitato alle dipendenze dell'Iritel o di amministrazioni dello Stato, conservi il diritto ! ~ di usufruire dell'alloggio di servizio concesso dalla soppressa azienda (es. 579/94). PREVIDENZA � Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni � Erogazione di rendita vitalizia a proprio dipendente per infortunio sul lavoro � Surroga nei confronti del danneggiante -Ammissibilit�. I Se l'amministrazione postale che (quale ente che gestisce l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro del proprio personale) abbia corrisposto al dipen I I {:: dente una rendita vitalizia per invalidit� permanente, abbia diritto a rivalersi ~: in via di surroga nei confronti di colui che abbia cagionato l'infortunio del di � pendente, per quanto da questi dovuto come risarcimento del danno biologico (es. 6116/92). PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -Albo dei fornitori di beni e servizi occorrenti per I! il funzionamento dell'amministrazione della P. S. � Iscrizione di imprese italiane aventi sedi operative all'estero -Ammissibilit�. Se ai fini della partecipazione a gare di forniture nazionali in favore della polizia, sia ammessa l'iscrizione all'albo dei fornitori dell'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, di imprese che pur costituite ed operanti in Italia, abbiano costituito sedi operative anche all'estero (es. 9415/93). RISCOSSIONE DELLE IMPOSTE -Soppressione dell'EFIM . Debiti per imposte delle societ� del gruppo -Sospensione del pagamento � Sussistenza. Se i crediti di imposta (nel caso di specie Iva) vantati nei confronti delle societ� del gruppo Efim (nel caso di specie Veneziana Conterie S.p.A.) siano, per effetto del d.I. 19 dicembre 1992 n. 487 conv. in legge 17 febbraio 1993 n. 33, ' sottoposti a sospensione del pagamento e, nella negativa, in che limiti e termini l e con quali procedimenti siano esigibili (es. 1033/94). E I I II PARTE II, CONSULTAZIONI SANZIONI AMMINISTRATIVE -Confisca ex legge n. 689/81 -Definitivit� del provvedimento -Fattispecie (provvedimento annullato dal Pretore con sentenza poi cassata e omessa riassunzione del giudizio) -Confisca di autoveicolo Vendita di questo da parte del proprietario prima che il provvedimento ablatorio sia trascritto -Conseguenze. Quando divenga definitivo il provvedimento di confisca (ex art. 20 legge n. 689/81) di un bene annullato dal Pretore, con sentenza poi cassata, ove nessuna delle parti abbia riassunto il giudizio nel termine di legge; se l'Amministrazione possa opporre la confisca a colui che abbia acquistato un autoveicolo (che si trovava nella disponibilit� del proprietario) quando il relativo provvedimento era gi� stato emesso ma non trascritto al PRA e -nell'ipotesi negativa -se possa, una volta divenuto definitivo H provvedimento, chiedere il risarcimento del danno al proprietario che abbia venduto l'autoveicolo, dopo che gli era stato notificato il provvedimento di confisca (et. 2060/84). STAMPA -Disciplina delle imprese editrici -Societ� editrici di giornali quotidiani -Obbligo di comunicazione scritta al garante dell'editoria ex art. 2 comma 1 legge n. 416/81 -Trasferimento di azioni (partecipazioni o quote di propriet�) -Nozioni. Se l'obbligo -previsto dall'art. 2 comma 1 legge n. 416/81 -di dare comunicazione scritta all'ufficio del garante dell'editoria del trasferimento di azioni, partecipazioni o quote di propriet� di societ� editrici di giornali quotidiani (che interessino pi� del 10 o/o del capitale sociale o della propriet�, limite ridotto al 2 o/o per le societ� quotate in borsa) operi: a) nel caso di emissione di nuove azioni a seguito di aumento del capitale sociale; b) di acquisto delle azioni da parte di banche o societ� di intermediazione mobiliare (es. 9247/93). STAMPA -Stampa periodica -Impresa editrice di giornali -Societ� di capitali � Intestazione di azioni aventi diritto al voto o di quote a persona fisica Nozione. Se ai fini di quanto disposto dall'art. 1 comma 4 legge n. 416/81 (secondo il quale le azioni aventi diritto al voto o le quote di una societ� di capitali esercente impresa editrice di giornali quotidiani � possono essere intestate a societ� per azioni, in accomandita per azioni o a responsabilit� limitata, solo se la maggioranza delle azioni aventi diritto di voto o delle quote di tale societ�, sono intestate a persone fisiche�) la titolarit� da parte di una persona fisica di diritto di pegno con diritto di voto su azioni ordinarie (intestate a societ�) possa considerarsi equivalente alla intestazione a persona fisica (es. 6690/93). TRASCRIZIONE -Conservatoria dei registri immobiliari -Visuristi di atti tenuti presso le Conservatorie dei RR.II. -Elaborazione dei dati raccolti -Creazione di archivi paralleli a quelli ufficiali -Legittimit�. Se colui che professionalmente esercita attivit� di visura degli atti tenuti dalle Conservatorie dei Registri Immobiliari possa legittimamente, eventual RASSEGNA AVVOCATURA DELLO STATO mente munendosi di autorizzazioni o concessioni, procedere alla gestione ed elaborazione dei dati rilevati (in particolare creando propri archivi �paralleli� a quelli ufficiali) (es. 9106/93). TRIBUTI ERARIALI DIRETTI � Imposte dirette -Indennit� di esproprio di terreni . edificabili -Plusvalenze (art. 81 comma 1 lett. b-tuir) realizzate da soggetti non ' esercenti imprese commerciali -Somme percepite dal 1� gennaio 1992 in relazione a titoli espropriativi anteriori a detta data -Imponibilit�. Se la tassazione, introdotta dall'art. 11 comma 5 legge n. 413/91, delle plusvalenze realizzate, da parte di soggetto non esercente imprese commerciali, in occasiop.e della percezione di indennit� di espropriazione di terreni edificabili, colpisca anche le somme percepite dopo l'entrata in vigore della ridetta legge n. 413/91 ma in relazione a titoli espropriativi venuti in essere precedentemente (es. 7854/93). IRPEF -Interessi ex art. 429 c.p.c. su retribuzioni corrisposte in ritardo -imponibilit� (art. 1 d.l. 30 dicembre 1993 n. 557). Se per effetto delle modificazioni apportate al T.u. delle imposte sui redditi dal d.l. 30 dicembre 1993 n. 557, siano tassabili gli interessi maturati ex art. 429 c.p.c. sulle retribuzioni corrisposte in ritardo (es. 2591/94). TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI -Tributi doganali -Contrabbando -Depenalizzazione ex art. 2 legge n. 562/93 -Sussistenza -Effetti dell'eventuale depenalizzazione sulla possibilit� di sequestrare e confiscare le merci oggetto di contrabbando. Se per effetto dell'art. 2 legge n. 562/93 il contrabbando sia stato depenalizzato (quantomeno nelle ipotesi non aggravate), e, nell'affermativa, se siano ancora possibili il sequestro e la confisca delle merci oggetto di contrabbando (es. 857/94). TURISMO � Ente Nazionale Italiano per il Turismo -Assunzione di personale all'estero ex art. 20 legge n. 292/90 -Residenza triennale all'estero -Nozione Assunzione di dipendenti di ruolo dell'Enit, previe loro dimissioni. Se il requisito della residenza all'estero, previsto dall'art. 20 legge n. 292/90 (quale condizione perch� un soggetto possa essere assunto dall'Enit, in uno stato estero, con contratto privatistico di diritto locale, per soddisfare esigenze degli uffici ivi esistenti) concerna tanto i cittadini italiani che gli stranieri, e sussista solamente quando, al momento della presentazione della domanda di assunzione, vi sia residenza, ininterrotta, per almeno tre anni, nello stato in cui si procede all'assunzione; e se possano essere assunti, presso uffici esteri dell'Enit, con contratto ex art. 20 legge n. 292/90, previe dimissioni, dipendenti di ruolo del ridetto ente che siano residenti all'estero per almeno (o pi�) di tre anni (es. 290/94). -